Anno LV - n. 16 nuova serie - giugno 2007
Rivista dell'Aiccre, Associazione italiana
per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa
EDITORIALE
• Una legge concreta, una utopia che si fa realtà di Roberto Di Giovan Paolo
pag.
3
• Un'efficace politica di cooperazione allo sviluppo di Fabio Pellegrini
pag.
7
• La centralità della cooperazione per l'Italia di Nino Sergi
pag. 11
• Il governo italiano e la cooperazione di Patrizia Sentinelli
pag. 17
• L'aiuto pubblico allo sviluppo di Alfredo Mantica
pag. 25
• Anche decentrata la cooperazione allo sviluppo di Marina Sereni
pag. 31
• Pianificare per cooperare di Dario Rivolta
pag. 36
• L'approccio dal basso della cooperazione decentrata di Mauro Zani
pag. 39
• Dobbiamo tener fede agli impegni e alle promesse di Alessandro Battilocchio
pag. 44
• L'impegno dell'AICCRE
per un ruolo più attivo degli Enti locali di Enrico Casciani
pag. 47
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
CONTRIBUTI E OPINIONI
• Un progetto di respiro europeo: a Udine il Bilancio Sociale di Sergio Cecotti
pag. 54
• Giustizia sociale: quale risposta a questa domanda? di Michele Scandroglio
pag. 57
• L'orso europeo è partito da Ravenna... di Graziella Ricci
pag. 60
• Maghreb: rilanciamo il processo di Barcellona di Alberto Isetta
pag. 64
LE RECENSIONI
• A cinquant'anni, tra no e adesioni concordate intervista a Emilio R. Papa
pag. 68
• L'orso europeo di Patrizia Cimini
pag. 72
I DOCUMENTI
• Legge 26 febbraio 1987, n. 49
pag. 74
Comuni d’Europa
Rivista dell’Aiccre, Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa
Presidente Mercedes Bresso
Vicepresidenti: Fabio Pellegrini (vicario), Giuseppe Castiglione, Candido De Angelis,
Gina Fasan, Giovanni Orsenigo, Franco Punzi, Rosa Rinaldi
Segretario generale: Roberto Di Giovan Paolo
Segretario generale aggiunto: Michele Scandroglio
Tesoriere: Giuseppe Viola
Direzione e redazione a cura della struttura stampa Aiccre:
Mario Marsala, Pino D’Andrea, Lucia Corrias, Anna Pennestri, Giuseppe Viola
Piazza Fontana di Trevi, 86 - 00187 Roma
tel. 06.69940461 - fax 06.6793275 - www.aiccre.it - [email protected]
Registrato al Tribunale di Roma n. 4696 dell’11-6-1955
Direttore Politico: Nicola Zingaretti
Direttore Responsabile: Roberto Di Giovan Paolo
L’Aiccre edita Comuni d’Europa, EuropaRegioni “on line” e dossier “cartaceo”, la newsletter settimanale on line e
il suo sito www.aiccre.it. Per ogni iniziativa ed informazione si può corrispondere con il responsabile della Segreteria
politica per stampa e multimedialità: [email protected], [email protected]
Abbonamento annuo
individuale Euro 25,00
per Enti Euro 104,00
sostenitore Euro 250,00
benemerito Euro 500,00
I versamenti devono essere effettuati:
1) Sul c/c bancario n. 274/72 intestato ad Aiccre
c/o Banca di Roma, Dipendenza 88 - CAB 03379; ABI 3002; CIN Y
2) A mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato ad Aiccre, specificando la causale del versamento
• Impaginazione: Prom.it - Roma • Stampa: Futura Grafica - Roma • ISSN 0010-4973
Questo numero è andato in stampa il 4 giugno 2007
Comuni d’Europa
EDITORIALE
Una legge concreta,
una utopia che si fa realtà
di Roberto Di Giovan Paolo
Segretario generale dell'Aiccre
testi presentati, inizi l’iter di riunificazione del dibattito e proceda indicando una
tempistica che sia coerente, concordata
con la Camera dei Deputati e realistica.
Qui ha ragione Sergi (più avanti l’articolo
del Segretario di Intersos “La centralità
della cooperazione per l’Italia”, ndr),
quando ricorda che l’ottimo è contrario
del bene… sono anni che attendendo
Godot, chi “sta sul campo” continua a
fare i conti con l’emergenza, con i ritardi,
con i fondi in ritardo e con i convogliamenti di fondi della cooperazione addirittura in campi per certi versi a loro
antitetici.
Bisogna fare una legge e gestire nel frattempo la transizione, andando incontro
alla legge che viene, non al passato che
dovrebbe passare.
Una cosa è certa: l’Aiccre è tornata a
giocare un ruolo nel campo della cooperazione, e lo sta facendo in un momento
cruciale.
Ovvero quando si decide se e quando,
e soprattutto come, si cambierà la legge
italiana in materia, dopo anni di “boatos”
di cambiamento e il niente che ha caratterizzato i tempi passati, con errori e
pigrizie, in alcuni casi davvero “bipartisan”. Così come bipartisan è stato, non
poteva essere altrimenti, il confronto
che abbiamo portato avanti nella nostra
sede nazionale di Piazza di Trevi, tra
parlamentari, ong, associazionismo degli
enti locali e regionali e della società civile,
esperti, le nostre federazioni regionali e
il Ccre.
Cosa emerge allora e su cosa appuntare
l’attenzione, una attenzione che sia
insieme attenta al “bene comune” ed
insieme anche al ruolo che la nostra
associazione può e deve giocare in questi
anni?
La politica si misura
su questa legge
Tutti ormai dicono di essere a favore
della cooperazione internazionale e di
quella decentrata ed ormai sembrano
passati “anni luce” dai tempi in cui si
era guardati con esotismo al momento
di evocare il lavoro quotidiano ed i suoi
risultati “immediati” sulla politica, di chi
La legge deve farsi e presto
Innanzitutto la legge va fatta e chiediamo
che presto il Senato, alla Commissione
Esteri, laddove sono raggruppati i diversi
n. 16 • giugno 2007
3
EDITORIALE
praticava la cooperazione, in anni difficili, rispetto al “lontano” futuro di chi
riceveva quell’aiuto.
Nessuno più immagina che si possa fare
cooperazione agli “amici” e negarla ai
“nemici”. Nessuno pensa più, che si
debba farla come un gesto pietistico né,
d’altra parte, trasformarla in un corollario della politica industriale del paese
donante.
Insomma, siamo fuori, sembrerebbe, da
un certo clima ideologico avvelenato e
le proposte di legge presenti in materia,
su più fronti politici, non fanno che
avvalorare questi termini del discorso.
Permettendo, da un lato di andare subito
al succo della questione e, dall’altro, di
escludere che ci si possa baloccare dando
la colpa a questo o quello e invocando
temi “inesplorati” tali da far ritardare
l’analisi dei testi e giungere quindi ad un
voto di merito, positivo o negativo che
sia ma, come si usa in una democrazia
matura, responsabile del suo “sì “ o del
suo “no”, e delle motivazioni. Che a quel
punto saranno divenute sempre “costruttive”, sia che provengano dalla maggioranza come dall’opposizione, su come
costruire la presenza del nostro Paese su
un tema su cui molta della società civile,
ma anche politica e sociale dell’Italia contemporanea, è impegnata.
In questo senso crediamo che la politica
possa fare il suo dovere e dare conto,
in questo caso stupèndo i consueti fautori dell’“antipolitica”, delle sue proposte, della ricchezza di un dibattito,
dell’ineluttabilità di una scelta finale, della
riformabilità dei possibili errori, dell’avvio
di un cammino nuovo e duraturo, ben-
efico per il nostro Paese e per le società
civili e legali dei Paesi in cui siamo o
saremo presenti per la cooperazione.
Per fare questo serve una volontà comune
di confronto, un calendario certo, un iter
concordato, uno sforzo delle istituzioni.
Non sfuggirà allo scrutinio dell’Aiccre il
comportamento complessivo e singolo.
Il ruolo della società civile
Un altro punto di confronto annoso è
quello sul ruolo della società civile e delle
Ong. Non siamo nati ieri e conosciamo
tutti cosa sia la “retorica della società
civile”: ci conforta sapere che i più seri
organizzatori delle Ong, i più costanti
operatori di cooperazione e di pace,
in genere sono anche quelli che meno
usano questa retorica ed anzi ne sono un
po’ anche disturbati… Non che non sia
giusto saper anche dire ogni tanto parole
sferzanti alla politica quando non fa il
suo dovere (ognuno di noi che fa politica
dovrebbe pagare una quota ad amici e
parenti per aiutarsi a divenire, in alcuni
casi mantenere, meno retorico, tronfio o
astratto...), ma la verità è che questi anni
di difficoltà hanno anche passato al setaccio certi impegni personali o di gruppo:
ci sono associazioni che operano con
concretezza dai tempi della guerra del
Biafra ed altre nate inconcludenti e sempre alla ricerca del “testimonial” uscito
dall’ultimo reality tv… alcune che perseguono fini che vanno oltre la raccolta di
fondi e credono che anche il modo in cui
si lavora conta, cambia, tocca i cuori ed
i cervelli, ed altre che invece si misurano
solo in numeri a molti zeri oppure a seconda della loro influenza sui politici o
4
Comuni d’Europa
Una legge concreta, una utopia che si fa realtà
risultati ed alla costruzione del metodo, e
la messa in comune delle risorse.
Dunque, dovrebbe esserci un concerto
di proposte, di azioni, di eventuali emendamenti, come di analisi del lavoro del
passato, spesso da alcuni ottimamente
fatto e troppo spesso sostitutivo della
nostra politica estera o addirittura (ma
non è una novità in attesa della ratifica
del Trattato di Roma e di una vera e propria Costituzione... ndr) di quella della
Unione Europea.
E conta, e molto, che l’associazione
più grande d’Europa degli enti locali
e regionali, il Ccre, abbia tra le sue fila
anche deputati europei come il vice sindaco di Parigi, Schapira, che sul tema
hanno fatto approvare relazioni e denari
per mettersi al passo con una nuova
cultura europea della cooperazione che
è innanzitutto un ulteriore elemento di
unità europea, presente e futura.
sui media o sullo spettacolo ( spesso è la
stessa cosa…).
Non spetta a noi il giudizio. Non spetta
alla politica esprimere un “pre”-giudizio
morale sulle Ong e su coloro che praticano la cooperazione.
Quel giudizio non può che essere affidato alla rispondenza alle norme di una
nuova, buona e perfettibile, legge sulla
cooperazione, ed ai risultati che da essa
risulteranno, anche per i singoli che la
utilizzeranno o per le associazioni Ong
e quanti altri vorranno misurarsi con una
nuova legge ed un nuovo clima, speriamo
una cultura anch’essa rinnovata, della
cooperazione internazionale.
Gli enti locali e regionali
e la cooperazione internazionale
e decentrata
Altri in questo numero analizzano le
varie situazioni e le specificità. Quello
che a noi preme sottolineare in questo
editoriale è che il panorama dell’impegno
è complesso ma alcune regole di comportamento dovrebbero essere uguali per
tutti i tipi di Governo Locale.
Punto primo, non è che si possa accettare
una “guerra tra poveri”… peraltro per…
aiutare altri poveri!
Le autonomie locali e regionali dovrebbero muoversi assieme, con le loro associazioni di “sindacato”, e collettivamente.
Noi non vogliamo fare la morale ad
altri… parliamo per noi e diciamo con
chiarezza che non ci interessa dire che
un livello vale più degli altri, perché nella
cooperazione (guarda un po’ quasi come
il federalismo, ma va...) conta lo sguardo
e l’azione integrati; la collaborazione ai
n. 16 • giugno 2007
Un impegno concreto
Questo numero pressoché monografico
arriva dopo una serie di seminari, un convegno ad aprile, una lettera dell’Aiccre
a Presidente e Capigruppo in Senato, a
responsabili settoriali di partito, di Ong,
di associazioni consorelle, e non si ferma
alla mera raccolta di documentazione e
riflessioni.
E’un pezzo del contributo che l’Aiccre
intende dare alla costruzione della legge
futura.
In questo senso alcune regole che per noi
sono chiave dicono che:
a) non può esserci centralismo quando i
soldi ed i soggetti che li erogano sono
a più livelli;
5
EDITORIALE
europeo degli enti locali e regionali per la
pace, che sarà ospitato nella parte Aiccre
della nuova House of Local Governments che si è aperta lo scorso 6 giugno
a Bruxelles; per l’impegno contro le
Tratte attraverso l’appello “Tratta No”
approvato da Consigli regionali, provinciali e comunali in Italia oltre che dalla
Presidenza del Consiglio dei ministri-Pari
opportunità e dal Ccre in Europa, e per
un confronto rinnovato tra la nostra
associazione e la società civile.
Non si può vivere nelle istituzioni senza
ricevere linfa vitale dalla società civile.
L’Aiccre nasce da lì, e lì sta tornando per
ritrovare una storia e per fare atti concreti
di politica: una legge, delle proposte,
emendamenti, conti e bilanci alla mano.
Atti concreti che, talvolta, significa dare
senso alla storia, cambiando davvero la
vita di altri esseri umani.
Che è il senso ultimo della politica…
anche se i fondi potrebbero gestirli altri.
b) non si può essere allo stesso tempo
controllori e controllati e questo
dovrebbe valere per tutti, associazioni,
Ong, organi dello Stato Nazionale;
c) la “lettura” degli interventi deve rispondere ad una logica condivisa,
che sia espressione del complesso
dell’impegno del Paese in questo
campo come nella politica estera, ed
economica, pena la irrilevanza, anche
internazionale, del nostro impegno in
campo europeo e mondiale.
Su questi temi l’Aiccre non arriva ora.
Porta a maturazione un impegno fatto
di federalismo solidale, gemellaggio per
la pace, collaborazione e rappresentanza
politica, che data a prima dei Trattati di
Roma del 1957 che quest’anno in molti
(alcuni riscoprono, altri retorizzano…) si
sono decisi a celebrare.
E questi temi fanno il paio con il nostro impegno per la pace, per la marcia
Perugia-Assisi e per il Coordinamento
6
Comuni d’Europa
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
Un'efficace politica
di cooperazione allo sviluppo
di Fabio Pellegrini
Vice Presidente Vicario dell'Aiccre
– se non proprio di bilancio – delle esperienze fino ad oggi fatte.
Malgrado le azioni ed i programmi attuati, malgrado che alcuni Paesi meno
sviluppati si trovino ora in una fase di
transizione con percentuali significative
di sviluppo economico, il numero dei
poveri nel mondo è in aumento. Sono in
aumento le persone colpite dalla fame e
dalle malattie, è in diminuzione in molte
parti del mondo il livello di auto-approvvigionamento alimentare. Nella stessa
parte sud del Mediterraneo il problema
alimentare, così come quello della disponibilità di acqua potabile, sta peggiorando.
In generale si tende a confondere quelli
che sono processi naturali, fisici o biologici del pianeta, con i rapporti sociali
e gli equilibri (o squilibri) internazionali.
Non dovremmo parlare di catastrofi naturali, ma di catastrofi economiche (perdite di vite umane e materiali) conseguenti
a “fenomeni” naturali.
Le parti più fertili del nostro pianeta
sono il risultato di frane ed alluvioni
(“terreni alluvionali” si chiamano infatti
in pedologia agronomica). Se per ipotesi un vulcano “spento” dovesse ripren-
L’attuale momento è caratterizzato da un
particolare interesse alle questioni dello
sviluppo e del sottosviluppo, per usare
un linguaggio vecchio, ma non ipocrita.
Il lancio degli Otto obiettivi del Millennio per il 2015; la nuova politica
dell’Unione europea della cooperazione
per lo sviluppo (accompagnata dalla
PEV – Politica Europea di Vicinato);
il dibattito sul riscaldamento del clima
(per certi versi allucinante: si sentono
dire cose a dir poco strampalate, sicuramente per molti aspetti contraddittorie)
che, passando ai rimedi di contenimento
degli effetti negativi, richiama i problemi
dei rapporti tra parti del globo economicamente sviluppate e parti meno sviluppate; gli obiettivi e le strategie su cui
muoversi per garantire a quest’ultime
una crescita sostenibile (o compatibile
con l’ambiente); la lunga ed estenuante
trattativa del Doha Round per la definizione di nuove regole per il commercio
mondiale; infine la modifica della legge
49/1987 sulla cooperazione.
Un dibattito che si è fatto serrato, animato da nuove proposte e da confronti
con interessi consolidati, ma che non ci
propone alcun tentativo di messa a punto
n. 16 • giugno 2007
7
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
evitare danni economici futuri, senza poi
incolpare di ciò la natura.
Rispetto alla complessità di queste problematiche le risposte non sono univoche.
In generale, dalla nostra parte del mondo
si tende a prevedere pavidi palliativi e
chiedere agli altri (ai Paesi meno sviluppati) di non seguire il nostro modello per
non peggiorare la situazione ambientale,
ma senza indicare come fare e senza
mettere in discussione l’attuale assetto
delle relazioni mondiali. Senza di ciò
significa dire loro non sviluppatevi, cosa
evidentemente non accettabile da parte
loro; oppure, tra un allarmismo e l’altro,
lasciare andare avanti le cose così come
stanno andando oggi. Difficilmente i
PVS accetteranno modelli che prevedano
livelli di emissione di gas inferiori a quelli
pro-capite dei Paesi più sviluppati, per
cui ogni meccanismo per il controllo
delle emissioni dovrà includere, per avere
successo, i PVS.
La scienza e le nuove tecnologie potrebbero darci dei contributi determinanti
per comprendere meglio tali fenomeni,
per prendere delle decisioni ed attuare le
azioni adeguate.
La globalizzazione dovrebbe rappresentare un’opportunità da cogliere, sia
per garantire sviluppo sia per evitare
o ridurre i danni ambientali e creare le
condizioni per una vita migliore per tutti.
Governare i rischi della globalizzazione
(compresi quelli di aggravare gli squilibri
e le ingiustizie sociali tra aree geoeconomiche) e valorizzare le sue opportunità, oltre al benessere porterebbe anche
all’affermazione e all’espansione della
democrazia e delle libertà nel mondo,
dere la sua attività eruttiva e migliaia di
persone dovessero abbandonare le loro
abitazioni minacciate dalla lava, prima di
essere spazzate via, dovremmo parlare
per questo di catastrofe naturale o considerare irrazionale averci costruito delle
case ed essere andati ad abitare sulle sue
pendici?
Conosciamo bene i meccanismi economici che guidano tali comportamenti,
ma è più facile incolpare la natura che
modificare gli interessi speculativi, fondiari ed urbanistici.
Nella metà di marzo a Parigi si è tenuta
una riunione del Consiglio Mondiale e
del Bureau Esecutivo della nuova organizzazione mondiale dei poteri territoriali,
CGLU (Città e Governi Locali Uniti):
uno dei principali argomenti all’ordine
del giorno era il cambiamento climatico
del pianeta.
Questo tema è stato deciso di dibatterlo
anche in una sessione del prossimo (il 2°)
Congresso che si terrà a Jeju (in Corea)
alla fine di ottobre di quest’anno. Uno
degli aspetti più discussi è stato l’aumento
della temperatura e l’innalzamento del
livello marino, con il conseguente pericolo per gli insediamenti umani vicini al
mare. A Jeju oltre a porre attenzione alle
proposte (anche se discordi e contrastanti tra gli scienziati), se non per bloccare
almeno per attenuare gli effetti di tale
cambiamento – che comunque potrebbe
avvenire in tempi non immediati né brevi
-, dovremmo prendere in considerazione
l’opportunità di decidere l’immediato
blocco dei permessi di costruire sulle
spiagge o vicino al mare e rivedere tutti
i piani regolatori e di fabbricazione per
8
Comuni d’Europa
Un'efficace politica di cooperazione allo sviluppo
a partire dalla democrazia locale. Parte
integrante del governo della globalizzazione dovrebbero essere le azioni di rottura degli intrecci tra interessi particolari,
spesso illeciti, e la lotta alla corruzione
(corruttori e corrotti) quali condizioni
per la fine degli innumerevoli conflitti
locali e per innescare processi di crescita
economico-sociale ed il radicamento della
democrazia nei paesi del sottosviluppo e
della fame.
Ma la vera lotta per lo sviluppo va
condotta sul piano di nuovi equilibri
internazionali. La prova del fuoco della
volontà di impegnarci in questa sfida
è l’avanzamento verso un accordo del
negoziato del Doha Round, bloccato proprio sui nodi cruciali di una realtà dominata dagli interessi dei Paesi sviluppati
che contrastano con le esigenze di sviluppo dei Paesi più poveri. Gli attuali
rapporti commerciali mondiali penalizzano doppiamente questi paesi. Siamo
in genere noi a mantenere le barriere
di protezione commerciali sia per molti
prodotti industriali sia per quelli agricoloalimentari. Nella grande maggioranza dei
PVS è ancora l’agricoltura il settore principale e l’acquisto da parte nostra dei loro
prodotti servirebbe loro per disporre
delle risorse economiche per gli investimenti finalizzati alla crescita. L’Europa
e soprattutto gli USA, al contrario, conducono una politica agricola che penalizza, attraverso i sussidi alle produzioni e
quelli alle esportazioni, due volte i PVS:
sia per la capacità di penetrazione nei
loro mercati, sia mettendoli fuori mercato a livello internazionale con i nostri
prezzi artificiosamente bassi malgrado i
n. 16 • giugno 2007
loro minori costi di produzione.
Evidentemente, oltre al danno prodotto
ai PVS, va considerato quello ai nostri
consumatori che per acquistare molti
prodotti agro-alimentari pagano dei prezzi molto superiori a quelli che pagherebbero in un mercato liberato dalle deformazioni protezionistiche. Certo non tutto
è così semplice e lineare. Esistono problemi commerciali complessi e negoziati
difficili con alcuni protagonisti in ascesa
economica e di influenza politica come
la Cina, l’India, il Brasile (la Russia), i
cosiddetti Bric. Soprattutto con la Cina,
che catalizza l’attenzione e le critiche
per la sua scarsa disponibilità a tutelare
a sufficienza marchi, copyright e proprietà intellettuali, con la quale soprattutto
l’Europa intende tenere aperto il dialogo
anche sulle questioni legate all’accesso al
suo mercato di nostri prodotti e servizi.
L’apertura dei mercati, l’acquisto dei loro
prodotti, soprattutto dell’agricoltura,
maggiori investimenti e dislocazioni di
attività economiche a cominciare da
quelle ad alto grado di occupazione di
manodopera, ormai rara nei nostri Paesi
e sostituita con l’immigrazione, sarebbero le vere politiche di una efficace
cooperazione per lo sviluppo.
Con ciò non intendiamo considerare inutile ed inefficace la cooperazione decentrata degli enti territoriali e quella compiuta da migliaia di ONG, molte delle
quali si concentrano principalmente su
micro-progetti. Certamente alcune cose
da rivedere sono state messe in evidenza: per esempio i costi di gestione dei
progetti che sovente assorbono troppe
risorse economiche rispetto a quelle che
9
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
hanno senza dubbio il merito, oltre per
gli aspetti concreti sopra detti, di contribuire notevolmente a sensibilizzare i
nostri concittadini, per far crescere in
loro la consapevolezza della necessità di
sostenere quelle iniziative tese a modificare l’attuale stato dei rapporti mondiali,
sia attraverso più coerenti e corretti comportamenti individuali e collettivi, sia
rimuovendo le cause del sottosviluppo,
della povertà e delle morti per fame che
stanno all’origine di guerre, di violenze,
di incontrollabili flussi migratori, di instabilità e di insicurezza, che finiscono per
colpire la nostra vita quotidiana e che i
nostri cittadini sentono come minacce
reali, ma al tempo stesso considerano
la sicurezza e la pace, la democrazia e la
libertà come valori irrinunciabili.
giungono effettivamente ai beneficiari.
Un’altra considerazione da fare è quella
che migliaia di piccoli progetti indubbiamente risolvono dei problemi quotidiani ed essenziali per le comunità locali,
ma non “fanno sviluppo”. Il pozzo per
l’acqua, il presidio sanitario, la scuola,
ecc. sono utili e non vanno sottovalutati,
ma non sono sufficienti per rimuovere le
cause della povertà e della fame.
Le risorse delle collettività territoriali
europee destinate alla cooperazione sono
notevoli e sono destinate ad aumentare,
malgrado le difficoltà di bilancio. Con
il Millennium Goal lanciato dalle Nazioni
Unite nel 2000 e fatto proprio da CGLU
e CCRE (e quindi anche dall’AICCRE),
tali sforzi avranno un impulso di attività
e di impegno economico. Questi sforzi
10
Comuni d’Europa
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
La centralità della cooperazione
per 'Italia
di Nino Sergi
Segretario Generale INTERSOS
concetto nobilitato di cooperazione e
garantirne la centralità politica in tutta
l’azione internazionale dell’Italia. Essa
deve ispirarsi ai principi della cooperazione fra gli Stati e fra i popoli, favorirla
e rafforzarla per la promozione degli
interessi nazionali e di una globalizzazione basata su rapporti di giustizia,
equità, rispetto dei diritti e della dignità
della persona e dei popoli, tutela dell’ambiente, convivenza, pace e sicurezza.
La politica centrata sulla cooperazione
deve diventare il fondamento di ogni
rapporto internazionale e deve rimanere
il cardine su cui si sviluppano le relazioni
a livello economico, politico, culturale,
ambientale, dei diritti, dello sviluppo e
lotta alla povertà, della sicurezza. Pluralità di relazioni e cooperazioni che devono
essere esercitate garantendo la massima
coerenza politica e il necessario coordinamento.
Nobilitare il concetto di cooperazione e
renderlo trasversale ad ogni atto politico
dell’Italia nei rapporti internazionali è
per il nostro paese una via premiante e
ad avviso di molti, sia di centrosinistra
che di centrodestra, ormai obbligata se
vogliamo promuovere i nostri interessi
nel mondo. Da percorrere e proporre
anche all’interno dell’Unione europea.
Non possiamo infatti praticare alcuna
politica di potenza né sarebbe dignitoso
accodarsi a politiche di potenza (sempre
più miopi) di altri paesi. L’Italia ha un
altro importante ruolo da giocare: quello
del dialogo e della cooperazione. E’ la
nostra via per difendere e incentivare
gli interessi nazionali, anche economici
e commerciali. Abbiamo davanti agli
occhi continue testimonianze che attestano quanto sia convincente e riconosciuta
questa attiva azione italiana, nel Medio
Oriente, nel Mediterraneo, nei Balcani,
in Africa ma anche in Asia e America
latina. Sembriamo però incapaci di trarne le preziose indicazioni e di adottare
definitivamente e chiaramente le scelte
conseguenti.
Per parlare di cooperazione allo sviluppo
oggi, occorre partire proprio da questo
n. 16 • giugno 2007
La cooperazione allo sviluppo,
parte qualificante
della politica estera
La cooperazione allo sviluppo, finalizzata
all’aiuto ai paesi più poveri e alla lotta alla
povertà, si inserisce in questo più ampio
11
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
ambito delle relazioni internazionali dell’Italia, qualificandole e esigendone la
coerenza, pena la sua inutilità e inefficacia. La cooperazione allo sviluppo è
quindi non solo parte integrante della
politica estera italiana, ma la sua espressione qualificante, basata sul dialogo e
sulla collaborazione fra Stati, su rapporti
di equità e di giustizia, su percorsi comuni e non su logiche di potenza e dominio
o sulla forza delle armi.
Si è molto discusso dell’ipotesi di un ministero specifico, autonomo dagli Esteri, e
qualche proposta in merito è stata presentata in Parlamento. Ma, contrariamente a
quanto può apparire, una simile opzione
ne diminuirebbe di molto la valenza e la
forza politica. La scelta politicamente più
convincente richiede che venga assicurata agli Esteri l’unitarietà degli strumenti e
delle decisioni (i doni, i crediti, i contributi al Fondo europeo di sviluppo e alle
Istituzioni finanziarie internazionali e la
partecipazione in esse) che in larga parte
fanno oggi riferimento all’Economia e
Finanze, seguendo criteri che poco corrispondono a quelli della cooperazione
allo sviluppo. Si tratta di una stonatura
della nostra azione internazionale e deve
essere superata. Lo richiedono ragioni di
coerenza politica e di maggiore efficacia
della stessa azione di cooperazione che
assumerebbe, in questo modo, anche
maggiore peso internazionale.
La coerenza politica richiede anche altro.
Innanzitutto forme di coordinamento
delle iniziative territoriali di cooperazione
pubblica allo sviluppo (definite malamente “decentrate”), prevedendo anche
alcuni vincoli in relazione agli indirizzi e
alle priorità approvate dal Parlamento. Si
tratta di iniziative che vanno valorizzate,
data la specificità e il coinvolgimento sul
territorio. Esse corrispondono, nell’insieme, a significativi impegni finanziari, i cui
benefici possono essere moltiplicati se
vengono inserite in un quadro di maggiore coordinamento e coerenza, senza nulla
togliere alla capacità propositiva delle
Regioni e degli Enti locali. Analogamente, va assicurata la più ampia integrazione
tra pubblico e privato basata sul principio
della sussidiarietà.
Le risorse, un problema culturale
Il rinnovamento e il rilancio della cooperazione allo sviluppo non avrebbe alcun
senso senza le risorse adeguate per poterlo realizzare. Le decisioni prese a livello
di UE dovranno essere prese a riferimento nel nostro paese: lo 0,56% del Pil, con
crescente gradualità, entro il 2010, fino a
giungere allo 0,7% nel 2015. Così è stato
definito dal Consiglio europeo nel 2005 e
stabilito nel “European Consensus on Development” con il pieno accordo dell’Italia.
Purtroppo non sarà così. Negli ultimi 15
anni sia i governi di centrosinistra che
quelli di centrodestra hanno dimostrato
scarsa attenzione: pochi e miseri sono
stati gli effetti dei grandi proclami e
degli ambiziosi impegni (si fa per dire!)
internazionali. Mentre, con una tendenza
radicalmente opposta, la società dimostra
grande disponibilità e generosità, forse
male indirizzata e limitata all’emotività
e alla spinta solidaristica, ma vera ed
effettiva.
Nel dibattito politico, salvo alcuni casi
encomiabili, continua un bipartisan vuoto
12
Comuni d’Europa
La centralità della cooperazione per l'Italia
di “cultura” e quindi di interesse politico.
La cooperazione allo sviluppo non è vista
come una grande opportunità per l’Italia,
come un investimento per l’intero sistema paese, da definire, programmare e
dotare delle risorse necessarie, ma come
tema residuale da tener presente perché
non si può farne a meno ma che “non
porta voti”. Chiusi in un provincialismo
fuori tempo, si fa finta di non vedere
che la povertà alle nostre porte (e con
la globalizzazione le nostre porte sono
ovunque) è un problema anche italiano
che tocca il nostro sistema in profondità. E’ così già ora e maggiormente nel
prossimo futuro, quindi va affrontato
con convinzione e decisione. Non è una
questione di nuove leggi, ma di cultura e
di volontà politica. Forse solo un grande
patto tra società civile, Ong, Università,
Ministero degli Esteri, Regioni ed Enti
locali interessati, per creare e affermare
una nuovo approccio culturale alla cooperazione allo sviluppo, può contribuire
al cambiamento.
campi della cooperazione. Una consultazione iniziata nel 2005, che ha avuto
un momento di confronto pubblico il 24
marzo 2006 a Firenze con il candidato
primo ministro Prodi alla presenza di
duemila persone e che si è approfondita
nei mesi successivi.
Nel presentare la proposta Luciano Vecchi, responsabile esteri DS, e Gianguido Folloni, responsabile cooperazione
DL-Margherita, hanno voluto da subito
manifestare l’opzione politica del “rilancio con forza e coerenza delle politiche
di cooperazione allo sviluppo dell’Italia”.
“Una comunità di popoli e nazioni capaci
di vivere in pace, di cooperare per uno
sviluppo equilibrato, nel rispetto della
libertà e dei diritti personali di ogni singolo uomo e di libertà e diritti delle diverse
comunità umane è l’obiettivo della politica estera che vede nella crescita democratica della Comunità internazionale e delle
sue istituzioni un fine da perseguire con
impegno”. “Lotta alla povertà, sviluppo sostenibile, democrazia, diritti umani,
civili e politici, protagonismo della società civile, tutela e promozione ambientale:
questi sono, tra gli altri, gli obiettivi da
perseguire e da mettere pienamente al
centro dell’iniziativa internazionale del
nostro Paese.”
Intenzioni e parole già ascoltate negli
anni passati, da parte di molti partiti e
dei più alti livelli istituzionali, ma che non
sono mai state tradotte in politiche attive,
definite e programmate.
Ciò che fa sperare oggi è che questa
volontà politica, pur nelle sue diversificazioni, è manifestata quasi in modo
corale, stando al disegno di legge delega
La proposta di legge dell’Ulivo
La proposta di legge n. 2127 “Nuove
disposizioni in materia di cooperazione
allo sviluppo” presentata alla Camera il
12 gennaio 2007 dal Gruppo dell’Ulivo,
con primi firmatari Sereni e Franceschini riprende, forse più di altre, i principi e le preoccupazioni sopra enunciati.
Anche perché tale proposta è il frutto di
un’ampia consultazione, promossa congiuntamente da DS e DL-Margherita a
cui hanno partecipato rappresentanze
di soggetti pubblici e privati, del volontariato e di quanti operano nei diversi
n. 16 • giugno 2007
13
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
del Governo e alle proposte di legge di
Ulivo, FI, AN, PRC, UDC depositate alla
Camera e al Senato.
•
I punti salienti
della proposta dell’Ulivo
La proposta di legge si compone di 12
articoli il cui contenuto può essere sintetizzato come segue:
• Punto cardine è l’idea che le politiche
di cooperazione tra i popoli e gli Stati
siano alla base delle relazioni internazionali e dell’impegno internazionale
dell’Italia. La cooperazione diviene,
nella cornice di questa proposta, una
delle componenti fondamentali e qualificanti della politica estera italiana.
• Altri presupposti essenziali da cui
muove il documento sono che l’Aiuto
Pubblico allo Sviluppo (APS) si fonda
sui principi del partenariato e del cosviluppo; non deve essere subordinato
ad altri interessi particolari ed esclude
quindi interventi finalizzati al sostegno di ulteriori tornaconti economici,
militari e politici; ha una sua propria
dignità e deve rimanere normalmente
svincolato dalla fornitura di beni e
servizi italiani.
• Al Consiglio dei Ministri è affidato il
compito di assicurare la coerenza delle
politiche di cooperazione, mentre le
figure di riferimento sono rappresentate dal Ministro e dal Vice-Ministro degli Affari Esteri, che è il soggetto che realizza quanto il Consiglio
dei Ministri ed il Parlamento hanno
adottato.
• E’ previsto un fondo unico per l’APS
che raccoglie tutti i fondi destinati a
•
•
•
14
tali politiche e che viene posto sotto
la responsabilità del Vice Ministro.
Viene istituita l’Agenzia italiana per
la cooperazione allo sviluppo, quale
organo di gestione dell’APS, governata da un Consiglio d’amministrazione,
presieduto da un presidente nominato
dal Ministro. Essa agisce in piena
autonomia e non è sottoposta ai vincoli delle norme sull’amministrazione
e contabilità dello Stato.
Con la previsione del fondo unico,
compito dell’Agenzia sarà quello di
stanziarne le risorse in base alla programmazione annuale, affidando al
Ministero dell’Economia la parte destinata ai contributi obbligatori alle
istituzioni finanziarie internazionali e
attribuendo agli altri ministeri le parti
spettanti.
Il testo chiarisce, inoltre, il confine tra
cooperazione allo sviluppo ed emergenza, ponendo quest’ultima nella
cornice degli interventi delle politiche
dell’APS. Slegare la cooperazione e
l’emergenza, che comporta sempre
l’interruzione o lo sconvolgimento di
un processo di sviluppo, farebbe infatti perdere alla cooperazione una parte
importante della sua natura, essendo
l’interveto di emergenza finalizzato,
oltre che al soccorso delle popolazioni, al rapido ristabilimento delle
condizioni necessarie per la ripresa
dello sviluppo.
Altro punto qualificante è il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo
delle Regioni, degli Enti locali e degli
attori italiani privati e pubblici, sostenendo la migliore integrazione tra
Comuni d’Europa
La centralità della cooperazione per l'Italia
pubblico e privato, nella realizzazione dei programmi e progetti, fermo
restando il rispetto del principio della
sussidiarietà e fermo restando il ruolo
di coordinamento svolto dal Ministero degli Esteri.
• Viene riconosciuto anche il contributo positivo che possono fornire le
piccole e medie imprese in un’ottica di
sviluppo dei distretti locali: l’Agenzia
potrà infatti promuovere gli interventi
e gli investimenti delle PMI italiane
nel quadro dei programmi di sviluppo
nei PVS.
• Pur rimanendo le Ong un riferimento
importante e valorizzando il ruolo da
esse svolto nei PVS, dove spesso sono
l’unica presenza italiana, la proposta
di legge prevede che tutti i soggetti
potranno partecipare alle iniziative
di cooperazione secondo procedure
concorsuali regolate sulla base di
quelle adottate in sede UE e definite
dal regolamento dell’Agenzia.
• Le risorse destinate all’APS dovranno
essere indicate con chiarezza, con
l’obiettivo di arrivare gradualmente,
ma in modo programmato, allo 0,7%
del PIL, secondo quanto definito in
sede UE. E’ prevista anche la detassazione dei fondi destinati ad iniziative di cooperazione allo sviluppo
realizzate da organizzazioni riconosciute ai sensi della legge.
l’azione di cooperazione internazionale;
nuovi strumenti operativi e di gestione;
precisi impegni sulle risorse. Molto altro
poteva essere inserito, ma è prevalsa
nell’Ulivo la volontà di limitarsi all’essenziale per arricchirlo nel dibattito e
nel confronto con gli altri progetti depositati, ognuno dei quali meritevole di
attenzione, e soprattutto per contribuire
ad arricchire il disegno di legge delega
su cui il Governo stava lavorando e che
è stato poi presentato in Senato il 3 maggio scorso.
Occorre fare tesoro delle lezioni passate. Le precedenti legislature non sono
riuscite a portare a termine l’iter di
riforma della legge sulla cooperazione
allo sviluppo. Varie le cause, ma due in
particolare mi preme ricordare: i tempi
troppo lunghi e i veti incrociati. Ai primi
si sta ovviando con la legge delega che
definisce tempi certi e brevi, un biennio.
Più difficile sarà superare i secondi che,
nel passato, sono stati causati in buona
parte dalla poca attenzione alle esigenze
e legittime aspettative di soggetti, privati
e pubblici, che male accettavano la loro
sottovalutazione o il ridimensionamento,
a loro avviso ingiustificato e controproducente, del proprio ruolo. Senza pregiudizi, se mai sarà possibile, il Parlamento
dovrà impegnarsi affinché non si ripeta
una simile paralizzante esperienza. Su
una materia come questa, che esprime
il volto dell’Italia nel mondo e la sua
visione di pace, giustizia, dialogo e cooperazione tra popoli e paesi, sarebbe
opportuno e utile che le forze politiche
potessero giungere, dopo le opportune
discussioni e i necessari approfondimen-
Il meglio, sempre nemico del bene
La proposta presenta quindi una nuova
definizione dei principi, delle finalità e
delle responsabilità politiche; la necessità
della coerenza del sistema paese neln. 16 • giugno 2007
15
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
ti, ad un cammino congiunto. Magari
non su ciò che ogni gruppo parlamentare considera il “meglio”, ma su ciò che
per tutti può esser considerato il “bene”
per il nostro paese e per la sua azione
internazionale. Le Ong, nel dialogo con
le forze politiche, potrebbero impegnarsi per favorire questo cammino.
Era proprio necessaria una legge di riforma? E’ la domanda che ancora oggi ricorre. Stando ai contenuti di tutte le nuove
proposte, compresa quella governativa,
qualcuno potrebbe affermare di no sulla
semplice considerazione che la legge 49 del
1987, nel suo testo originario, con un’unità
operativa efficace e con regole di gestione
non sottoposte ai vincoli delle norme sulla
contabilità dello Stato, potrebbe garantire
ugualmente un’efficace cooperazione allo
sviluppo se solo vi fosse la volontà politica per attuarla. La necessità della riforma
della legge è stata motivata, oltre cha dalla
paralisi operativa della cooperazione, dal
nuovo contesto internazionale che vede
il mondo cambiato, mutati i rapporti tra
gli Stati, rafforzate le politiche europee in
materia, nuova e diversa la mappatura dei
PVS e dei loro rapporti di cooperazione
ecc. Giusto discorso (che andrebbe fatto
anche per molti “Regi Decreti” fuori dal
tempo che ancora oggi bloccano la macchina dello Stato e la stessa cooperazione)
che convince, ma che nulla toglie al fatto
che è stato facile e preferibile scaricare
sulla legge 49 responsabilità che risiedono
altrove.
Comunque sia, quella della riforma è
ormai una via obbligata. Pur non meritando forse tutti i mali che le sono stati
attribuiti, la legge 49 va cambiata e cambiata presto, cercando di non buttare il
solito bambino insieme all’acqua sporca.
16
Comuni d’Europa
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
Il governo italiano
e la cooperazione
di Patrizia Sentinelli
Viceministro per gli Affari Esteri
Pubblichiamo qui di seguito la versione ufficiale del resoconto stenografico dell’audizione
del 18/10/2006 dell’on. Sentinelli alla Commissione esteri della Camera dei Deputati sulla
cooperazione allo sviluppo.
rati ed evidenziatisi negli ultimi tempi; ci
tornerò con cura, sottolineando i limiti
in cui ci siamo imbattuti. Mi sembra peraltro importante sottolineare che, proprio oggi, questo nostro patrimonio deve
nuovamente ed ulteriormente essere valorizzato e riqualificato, sia per la parte
bilaterale, che per quella multilaterale.
Oggi siamo chiamati ad intervenire - lo
ripetiamo in tante occasioni - in misura
maggiore rispetto al passato. Nel mondo,
il divario tra i paesi più avvantaggiati e
quelli in via di sviluppo cresce enormemente. E sono anche cresciute le ragioni
che spingono nella direzione di un nostro
intervento, insieme a quello di altri paesi;
per brevità, mi limito a indicare solo il
grande tema dei disastri ambientali, e le
iniziative post conflitto, che chiamano noi
tutti ad una maggiore responsabilità.
Tuttavia, voglio subito precisare con
estrema chiarezza che questi interventi
non possono essere in alcun modo confusi con altri, diversi dalla cooperazione
messa in atto da alcuni soggetti; in particolare mi riferisco a interventi della protezione civile o delle missioni militari, di
cui parlerò successivamente rimandando
anche a quanto la recente mozione parla-
La cooperazione internazionale allo sviluppo ha nel nostro paese una lunga
tradizione. Ieri ero a Lussemburgo
per rappresentare il Governo italiano
nel CAGRE (Consiglio affari generali
e relazioni esterne), e successivamente
ritornerò brevemente su alcune indicazioni emerse; in quella sede ho avuto
modo di segnalare non solo l’impegno e
la generosità (se si può utilizzare questo
termine) profusi da molte organizzazioni
della società civile (come le ONG), ma
anche - in particolare - il riconoscimento
da dare alle iniziative portate avanti dagli
enti locali, dal sistema delle autonomie
locali, e dunque anche dalle regioni.
Tradizione, generosità, impegno e riconoscimento di questo rilievo nelle attività
del Parlamento e del Governo: direi che
l’Italia si è contraddistinta in tante parti
del mondo proprio per questo ruolo
importante.
Ovviamente, esistono problemi matun. 16 • giugno 2007
17
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
mentare sulla missione in Afghanistan ha
opportunamente e in modo chiaro precisato. C’è però un punto che deve essere
posto in risalto: le ristrettezze di bilancio
dei paesi sviluppati e lo spostamento
significativo di risorse per la sicurezza e
l’emergenza privano l’aiuto pubblico allo
sviluppo di quote di risorse che altrimenti
dovrebbero essere destinate a tale scopo.
Vi dicevo, in apertura, che sono stata nei
giorni scorsi a Lussemburgo per rappresentare il nostro paese in un’importante
sessione del CAGRE, insieme ai ministri
del commercio e degli esteri. Ne faccio
menzione non solo perché è una notazione comunque utile a livello informativo,
ma anche perché mi è parso di notare
che all’interno dell’Unione europea viene
prodotto uno sforzo maggiore, un più
puntuale richiamo affinché i paesi membri possano utilizzare gli strumenti per
l’aiuto pubblico allo sviluppo in modo
più coerente e preciso rispetto al passato.
Queste affermazioni ed indicazioni inducono a discutere su una divisione del
lavoro e sulla complementarietà; e non
credo sfuggano a nessuno le difficoltà
per il nostro paese rispetto a questo
tema: la divisione del lavoro è utile fra
tutti i membri dell’Unione Europea, però
pensare allo strumento della complementarietà non in termini flessibili, ma in termini troppo rigidi, potrebbe comportare
un’esclusione dell’Italia in alcune zone
del mondo, e non credo ciò sia utile.
Tuttavia, non c’è certamente solo il problema della quantità delle risorse da destinare all’APS, su cui tornerò con più precisione a dar conto; c’è anche il rilevante
tema della riqualificazione dell’intervento.
Ritengo molto importante ragionare sulle
modalità con cui il nostro paese può
partecipare al conseguimento degli obiettivi del Millennio; abbiamo imperativi
stringenti a cui dobbiamo far fronte.
Anche quando si parla di good governance, a mio parere, non vi è alcun dubbio che non si possa mettere in agenda
- nelle relazioni con alcuni paesi - solo
la lotta alla corruzione, pur necessaria; e
penso in particolare ad alcune esperienze
dell’Africa. La good governance richiede
un approccio globale da mantenere e
perseguire, soprattutto con riferimento al
rafforzamento delle istituzioni, al ruolo
delle donne all’interno delle stesse e più
in generale nella società civile.
Allo stesso modo, quando si parla di Aid
for trade, non bisogna commettere l’errore
di pensare allo strumento-commercio
come sganciato dal resto, essendo invece
opportunità significativa per la definizione di piattaforme - le chiamo così
- di partenariato territoriale, ad esempio a proposito delle risorse idriche ed
energetiche. È stato un punto molto
importante di discussione su un aspetto
che tornerà certamente utile nella definizione programmatica per il 2007, 2008 e
2009 dei settori e paesi di intervento da
assumere come priorità.
L’importante obiettivo della nostra cooperazione è l’incremento delle
quote per l’aiuto pubblico allo sviluppo;
e dicevo in apertura che non bisogna
cadere nell’errore di definire gli interventi, insieme alle altre organizzazioni o
istituzioni (anche dell’amministrazione, e
facevo riferimento alla Protezione civile),
18
Comuni d’Europa
Il governo italiano e la cooperazione
previsioni delle leggi, gli stanziamenti
MAE per la cooperazione, nel 2006,
ammontavano a soli 392 milioni di euro,
con un taglio del 27 per cento rispetto
all’anno precedente. Vorrei ricordare che
l’impegno internazionale assunto per il
2006 prevedeva la destinazione all’APS
di una cifra ben maggiore: dovevamo
arrivare allo 0,33 per cento del PIL, un
obiettivo intermedio per raggiungere nel
periodo conclusivo (nel 2015) il famoso
0,7 per cento; ma purtroppo non abbiamo ancora raggiunto tali obiettivi. E
sottolineo, inoltre - per maggiore precisione -, che nella manovra finanziaria
2006-2008 lo stanziamento indicato per
il 2007 era addirittura minore, ossia di
382 milioni di euro, e poi ancora più
basso per il 2008; ma ora non occorre
richiamare questo trend negativo, se non
per indurre ad uno sforzo, che tutti dobbiamo assumere, per un graduale rientro
negli impegni internazionali. Abbiamo
infatti giudicato indispensabile uno stanziamento, per il 2007, presente nella
bozza della legge finanziaria (nella tabella
C) che discuterete a breve, di 600 milioni
di euro; e facendo riferimento alla tabella
C, intendo gli aiuti a dono.
Questo è un primo passo importante,
che corrisponde ad un aumento del 55
per cento dei fondi previsti; tuttavia - e lo
pongo alla vostra attenzione con una segnalazione particolare -, occorre prendere
in considerazione uno stanziamento speciale sul fondo globale per le pandemie di
150 milioni di euro di arretrati. Denunciamo, infatti, un grave gap rispetto agli
impegni assunti per la lotta all’AIDS, alla
malaria, e alla tubercolosi; su questo è
con ambiguità o con rischi di sovrapposizione. Al contempo, però, deve essere
altrettanto chiaro che l’impiego delle
Forze armate non può essere identificato
con l’intervento umanitario di cooperazione, da condurre invece con forze civili.
Sono personalmente impegnata (e tutto
il Governo deve esserlo) in merito alla
mozione votata dal Parlamento in occasione della recente votazione sul rifinanziamento della missione in Afghanistan.
Intendo fare riferimento a due punti
molto importanti per ricordare come
una nuova conferenza internazionale
sull’Afghanistan debba favorire un dialogo a livello regionale; debba rilanciare
l’impegno della comunità internazionale
volto alla ricostruzione economica e civile del paese e alla pacificazione e rafforzamento delle istituzioni afgane; debba,
nella propria azione di politica estera,
valorizzare prioritariamente gli strumenti
di prevenzione dei conflitti, mediazione e
accompagnamento dei processi di pace;
e debba mantenere distinti, nell’ambito
delle iniziative italiane all’estero, gli interventi di cooperazione allo sviluppo rispetto alle attività di sicurezza e polizia
internazionale.
Ho voluto riprendere questo impegno
perché è questione vitale per la nostra
cooperazione, finalizzato al riposizionamento nella comunità internazionale secondo le modalità indicate, e soprattutto
indirizzato al miglior utilizzo delle risorse
finanziarie.
Le risorse, come si diceva, sono un
grande problema. Negli ultimi anni, si è
assistito ad un decremento delle risorse
per l’aiuto pubblico allo sviluppo. Nelle
n. 16 • giugno 2007
19
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
generale a farlo al più presto) a bandire
un nuovo concorso per gli esperti, proprio per porre in risalto quanto essi servano all’interno della cooperazione e per
adeguare così l’organico previsto.
Per quanto riguarda il punto, molto
importante, relativo agli aiuti, ricordo
che nel 2006 - a causa dei tagli cui facevo
riferimento - siamo ancora allo 0,19 per
cento del PIL, e, considerando la cancellazione del debito, arriviamo allo 0,250,26 per cento; in tal senso è forte la mia
sollecitazione, e dovremo essere coesi
per portare il nostro paese ad un posto
non più in coda tra i paesi donatori.
Questo Governo ha individuato poi nella
cooperazione allo sviluppo una delle priorità d’intervento, nonostante la difficile
situazione economica; e già dal 2006 (non
faccio quindi riferimento agli impegni
2007-2008) sono stati adottati importanti
provvedimenti: il 4 agosto il Parlamento
ha approvato la legge n. 247, che prevede,
tra le altre cose, un’autorizzazione di
spesa per 17,5 milioni di euro, finalizzati ad interventi di cooperazione in
Afghanistan e Sudan (per questo ho
voluto richiamare prima il passaggio della
mozione parlamentare di accompagno),
progetti che stiamo rendendo operativi in
entrambi i casi. Nel caso del Sudan, con
la definizione del CPA per il sud e per il
Darfur; nel caso dell’Afghanistan, sono
state affrontate in varie occasioni le questioni della giustizia e dei diversi contributi
sul canale bilaterale e multilaterale.
Il 20 agosto scorso, è stato approvato
il testo normativo «missione UNIFIL»
(chiamiamolo così per brevità); in questo
articolato era previsto espressamente,
necessario prevedere ed operare un cambio sostanzioso e una maggiore e qualificata politica di cooperazione.
Ci sono impegni che il nostro paese non
ha rispettato; pongo alla vostra attenzione due dati riguardanti i contributi
volontari per gli organismi internazionali.
Nel 2006, sono stati deliberati impegni,
inclusi gli arretrati del 2005, per 127 milioni di euro; ma circa la metà (63 milioni
di euro) non sono stati versati, e graveranno nel 2007. Addirittura (è opportuno
segnalarlo), nel 2006 sono stati esclusi
dalla contribuzione volontaria 14 organismi internazionali che prima ricevevano
contributi dal nostro paese; e tra questi
rientra un programma - il cui recupero
è indispensabile - delle Nazioni Unite
per l’ambiente, attraverso l’UNEP. Sono
rilievi fatti non solo per dovere d’ufficio,
ma anche per richiamare l’attenzione sul
sostanzioso incremento di cui necessita
la cooperazione internazionale allo sviluppo.
Abbiamo poi un altro compito, perché accanto alla quantità c’è la qualità dell’intervento; e la struttura tecnica
amministrativa del ministero deve avere
un’attenzione diversa: come evidenziato dalla mia presenza odierna, è stato
realizzato un potenziamento attraverso
l’attribuzione di una delega ad un viceministro per la cooperazione, e mi interessa
segnalare la valorizzazione della struttura
tecnica del MAE, punto che ritengo di
grande importanza. La situazione tuttavia presenta ancora un’insufficienza di
organico, se pensiamo solo agli esperti
della cooperazione. Stiamo procedendo
(sarà ovviamente chiamata la direzione
20
Comuni d’Europa
Il governo italiano e la cooperazione
portare in Congo durante il processo
elettorale (in particolare, per la prima sessione svoltasi a fine luglio) osservatori di
pace delle associazioni, che hanno affiancato gli osservatori internazionali inviati
dall’Unione Europea. Vedremo, alla fine
di questo mese, come si svolgerà il secondo turno elettorale in Congo; ma - informata dalle stesse associazioni - so che
molti di questi osservatori seguiranno le
elezioni. Allo stesso modo, abbiamo ritenuto molto interessante l’organizzazione
del Forum sociale di Nairobi, che si terrà a
gennaio prossimo, a cui abbiamo voluto
dare un contributo per uno sviluppo e
una organizzazione puntuale.
Dobbiamo però procedere con speditezza; ciò che è stato inserito nella bozza
della legge finanziaria e l’impegno a
valorizzare gli attori della cooperazione
sono solo i primi impegni. Ma non c’è
dubbio che, accanto alla programmazione triennale cui facevo riferimento, è
necessaria una grande spinta per la definizione di un nuovo quadro legislativo.
La legge sulla cooperazione è stata da
più parti presa in analisi, e le discussioni
sono già ampie; è una legge importante,
ma ormai superata dalle grandi novità
sopraggiunte. La legge n. 49 del 1987 va
dunque modificata, e sotto questo punto
di vista è necessaria una volontà comune
affinché fra gli obiettivi della nuova cooperazione sia definita la pace, la solidarietà
internazionale; questo perché la cooperazione allo sviluppo deve essere capace
di interagire con la politica estera di un
paese, e l’insieme della cooperazione e
degli interventi di cooperazione internazionale deve essere proposto con un
nell’articolo 1, una autorizzazione di spesa
di 30 milioni di euro per la realizzazione
degli interventi della cooperazione in
Libano, interventi che stiamo approntando. A questo proposito, abbiamo attivato
un’interessante sperimentazione di tavolo
di lavoro aperto al contributo della società civile - con ciò intendendo non solo
le ONG, ma anche i responsabili degli
enti locali e del sistema delle autonomie
locali che offrono il loro contributo -, per
definire gli interventi soprattutto bilaterali
in Libano, essendo comunque impegnati
anche sul canale multilaterale. Dobbiamo
lavorare insieme per l’aiuto pubblico, e
in modo particolare per il fondo globale,
nella direzione che ho indicato.
Voglio poi soffermarmi su un (a mio
parere) importante messaggio che abbiamo già provveduto a dare alla direzione
generale: la necessità della programmazione triennale 2007-2008-2009. Nel nostro paese e nel quadro internazionale,
in questi anni sono emersi nuovi attori
(accanto ai vecchi) della cooperazione: le
ONG, le associazioni di rete, gli interessanti contributi che vengono dalla finanza etica e dal commercio equo e solidale, che credo debbano essere premiati
col riconoscimento del lavoro svolto
nella cooperazione. Un importante contributo, riguardante proprio la qualità e
la riqualificazione e valorizzazione della
cooperazione, arriva dal volontariato e
da espressioni di movimento; a tal proposito, ricordo due recenti decisioni che
mi sembra vadano nella direzione di
valorizzazione e utilità. Abbiamo infatti
raccolto l’invito - che veniva da gruppi
di base dell’associazionismo di pace - di
n. 16 • giugno 2007
21
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
nuovo patto di trasparenza tra Governo
e cittadini. La cooperazione, insomma, è
realmente elemento fondante della nostra
politica estera in campo multilaterale.
Dovremo quindi delineare un sistema
della cooperazione fortemente incentrato
nel Ministero degli esteri, ma capace - a
mio parere - di agire in modo tempestivo
ed efficace con la snellezza necessaria,
attraverso una agenzia che faccia tesoro
- nella progettazione degli interventi del contributo di quegli attori sociali cui
prima accennavo (ONG, reti e il complesso degli enti locali). A questo proposito, credo che la cooperazione decentrata
debba essere considerata con più attenzione e riconoscimento.
Faremmo bene a parlare, piuttosto che di
cooperazione decentrata, di cooperazione
comunitaria di partenariato: non esistono
- se non per semplificare il concetto utilizzato - paesi donatori e paesi beneficiari
collocati in modo subalterno, ma sussistono invece rapporti di partenariato,
in cui la popolazione civile e le organizzazioni della popolazione civile possono
essere presi come riferimento.
Questo è un punto importante, indicato
come tale anche dalle raccomandazioni
OCSE/DAC. Facciamo bene a discutere
della nostra legge da riformare, della programmazione e dei settori di intervento
prioritari in termini geografici e tematici, ma dobbiamo anche essere capaci di
essere parte dell’Unione Europea e della
comunità internazionale. E l’OCSE/DAC
invita ad una visione nazionale che derivi
da un rapporto più partecipativo con i
soggetti italiani della cooperazione; indica
inoltre una maggiore chiarezza nella defi-
nizione delle politiche di cooperazione,
motivo per cui faccio chiaro riferimento
alla riduzione della povertà, obiettivo
individuato da una cooperazione non
ancella della politica estera ma parte fondante della stessa.
L’OCSE, poi, chiede la definizione di
una strategia operativa per gli obiettivi di
sviluppo del Millennio; e da ciò prendo
spunto per ricordare (a me, al Governo, a
tutti noi) che l’aumento del 50 per cento
collocato nel 2007 per la tabella C sarebbe
indispensabile (non solo utile) estenderlo
anche agli anni 2008-2009, in modo tale
che con questo trend possiamo rispettare l’obiettivo intermedio dello 0,56 per
cento nel 2010.
L’OCSE parla, inoltre, di una migliore
strategia di comunicazione e informazione per accrescere la consapevolezza
dell’opinione pubblica; ritengo per questo
indispensabile non solo l’utilizzo diretto,
partecipe, responsabile dei mass media,
ma anche quelli che ho chiamato i tavoli partecipativi di consultazione con la
società civile. Queste raccomandazioni
dell’OCSE (ne ho ricordate solo alcune)
devono essere per noi un importante
elemento di stimolo.
A questo proposito, intendo segnalarvi un
impegno assunto che considero rilevante,
e che si svolgerà nelle prossime settimane:
al fine di contribuire all’allargamento della
consapevolezza della nostra cittadinanza attorno ai temi della cooperazione,
abbiamo programmato alcune giornate di
discussione che abbiamo chiamato «Forum
della cooperazione»; esse verteranno su
oltre 60 momenti di discussione. In particolare, quattro di questi momenti sono stati
22
Comuni d’Europa
Il governo italiano e la cooperazione
miseria, ma anche la promozione dei diritti umani e dei diritti delle donne, nonché la loro espressione nella comunità
economica. Interessanti a tal proposito
sono gli interventi sul microcredito, che
si fanno strada in alcuni paesi dell’Africa
o in realtà come l’Afghanistan.
A mio parere, è importante considerare
il ruolo del nostro paese nella cooperazione relativamente alla possibilità di
lavorare sulla formazione; e, appunto,
il quarto tema centrale di questi forum
della cooperazione riguarderà l’alta formazione e l’eccellenza nella capacità
formativa. Abbiamo del resto grandi e
preziosi istituti nel nostro paese (Trieste,
il Sant’Anna e altri ancora) che possono
essere utilizzati al meglio.
C’è poi un altro tema che deve essere
considerato, già sviluppato in altre parti
del mondo con grande cura: la possibilità
di discutere sulle tasse globali, sulla possibile introduzione di tasse di scopo per
muovere verso una nuova responsabilità;
le tasse globali e di scopo (su cui 43 paesi,
tra cui il Brasile e la Francia, stanno già
lavorando) non sostituirebbero la responsabilità pubblica allo sviluppo, ma semmai si limiterebbero ad accompagnarla in
un momento delicato come questo.
Credo inoltre vi sia un’altra priorità di
intervento, una priorità metodologica, di
carattere procedurale: il coordinamento
necessario fra le branche della nostra
amministrazione. A volte, abbiamo infatti difficoltà di lavoro con il Ministero
dell’ambiente o con quello dell’economia
e delle finanze; ma non vorrei si dimenticasse che i due terzi dei finanziamenti
attuali per l’aiuto pubblico allo svilup-
organizzati e promossi dal MAE come
elementi centrali di discussione: il primo
si terrà il 14 novembre sul tema «Obiettivi del Millennio e lotta alla povertà»; vi
verranno inviate più puntuali informazioni sui relatori, ma voglio solo segnalarvi
l’utile partecipazione a questi obiettivi
della società civile, nonché delle istituzioni locali e centrali. Successivamente, ci
sarà un importante approfondimento sui
temi ambientali; non si può infatti parlare
in modo neutro di sviluppo, dovendo
considerare gli sprechi - prodottisi in tanti
anni di cooperazione sulle questioni ambientali - della terra, del cibo, dell’acqua,
dell’energia, tutti temi fondamentali per
discutere di nuova cooperazione. Seguirà
poi un argomento che - non solo a me,
ma a tutti voi - deve interessare in modo
particolare: le tematiche di genere. È sufficiente leggere le nude cifre fornite dalle
statistiche per capire come ancora nel
mondo si muoia per mettere alla luce un
bimbo o una bimba; la mortalità delle
donne durante il parto è ancora elevatissima, così come la mortalità infantile.
Si parlava prima delle missioni militari;
vorrei solo ricordare un dato che mi ha
particolarmente colpito: qualche giorno
fa, sono stata in Afghanistan, paese poverissimo in cui il 20-25 per cento dei
bambini non raggiunge il quinto anno di
età. È un dato che ci aiuta a capire che
dobbiamo operare con grande determinazione nell’individuare i paesi verso cui
indirizzare la nostra azione. La tematica
di genere non può non essere declinata
laddove parliamo di cooperazione, anche
in senso positivo: non solo l’intervento
per combattere la povertà intesa come
n. 16 • giugno 2007
23
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
po sono definiti e gestiti dal Ministero
dell’economia e delle finanze, mentre
solo un terzo dal Ministero degli affari
esteri. E quando parlo di coordinamento,
non ho affatto dimenticato la necessità,
in quel quadro legislativo da modificare,
di porre mano a questo aspetto, per
determinare l’unitarietà della gestione, e
per meglio rendere efficaci l’intervento
del nostro paese nella comunità internazionale e il lavoro bilaterale che stiamo
conducendo.
Avendo parlato di programmazione triennale, credo che gli indirizzi che presenterò al Parlamento - sui quali già
stiamo lavorando - dovranno indicare
le priorità geografiche: se l’aiuto pubblico allo sviluppo è sradicamento della
povertà nel senso ampio del termine, un
problema redistributivo ed economico,
allora l’Africa (in particolare subsahariana) presenta una collocazione importante; così come altri nostri impegni
dovranno essere mantenuti per quanto
riguarda Afghanistan, Libano, ed alcuni
paesi dell’America Latina o dell’Asia.
Non è un elenco senza priorità: l’Africa
è il punto di partenza, con altri elementi
che possono servire a meglio rendere
la questione dell’aiuto pubblico allo sviluppo trasparente ed efficace.
Sono questi gli impegni assunti, e mi pare
che da questo punto di vista possiamo
già attestarci ad un primo livello di intervento positivo. Molto ancora c’è da fare,
e dobbiamo farlo rapidamente.
24
Comuni d’Europa
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
L'aiuto pubblico
allo sviluppo
di Alfredo Mantica
Senatore, Vicepresidente della Commissione Esteri del Senato
l’efficacia degli interventi.
Gli insoddisfacenti risultati di molti
Paesi in via di sviluppo hanno portato
all’elaborazione di teorie in parte derivanti
da quelle neo-marxiste. In sostanza viene
individuato il sottosviluppo del Terzo
Mondo come prodotto delle relazioni
con il Nord. Conseguentemente il commercio internazionale è visto come un
serio ostacolo sulla strada dello sviluppo.
Pur essendosi nel tempo sviluppatesi
altre teorie, il concetto di sostanziale irrisolvibilità del problema, senza una qualche forma di “rivoluzione” del sistema
mondiale continua a persistere.
Alla luce di queste considerazioni si è
sviluppato un processo di negoziazione
degli interessi tra Nord e Sud ed iniziative
portate avanti da alcuni gruppi regionali.
Gli anni che stiamo vivendo vedono il
fenomeno della globalizzazione. Ciò ha
favorito il nascere di nuove forme di
cooperazione internazionale tra imprese
in forma di alleanze strategiche come
conseguenza dell’accentramento territoriale delle imprese stesse e la formazione
di distretti industriali spesso altamente
specializzati.
I flussi privati verso i PVS hanno rag-
L’avvio delle politiche di sviluppo da
parte dei paesi industrializzati coincide
con la decolonizzazione negli anni successivi alla seconda guerra mondiale.
Il concetto trova riscontro e fondamento
nell’art. 13 della Carta delle Nazioni
Unite che conferisce all’Assemblea Generale la competenza ad operare nei settori
economico, sociale, culturale, sanitario
e dei diritti umani. L’aiuto allo sviluppo
consiste nel fornire assistenza economica, finanziaria e tecnica. Allorché il
concetto si è diffuso ed è stato fatto
proprio dai Paesi membri industrializzati,
la comunità internazionale, su iniziativa
degli stessi Paesi destinatari si è posta
degli obiettivi di carattere quantitativo
connessi cioè al volume totale dell’aiuto
pubblico da concedere. La problematica
che si è sviluppata nel corso degli anni
in materia di Aiuto allo Sviluppo è assai
complessa. Lo sviluppo dei Paesi arretrati è infatti la combinazione di una
serie di fattori economici, politici, sociali
ed istituzionali che richiedono un’analisi
più complessa rispetto a quella riferita
alla crescita economica di un Paese avanzato. Le esperienze accumulatesi in questi
anni hanno reso di non facile soluzione
n. 16 • giugno 2007
25
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
giunto in media nel periodo 90/98 il 4%
del Pil dei Paesi beneficiari.
Il contemporaneo cambiamento negli
ultimi anni del panorama economico
internazionale, ha determinato un acceso
dibattito sui problemi dello sviluppo e
una rielaborazione delle stesse strategie
politiche.
In generale, si è abbandonato il concetto
di equivalenza stabile tra crescita economica e benessere mentre è stata crescente
l’attenzione sui fattori politico-istituzionali che hanno portato all’individuazione
di nuovi paradigmi basati su concetti
quali lo sviluppo sostenibile, lo sviluppo
umano, lo sviluppo sociale e lo sviluppo
partecipativo.
L’ampio dibattito a livello internazionale
ha portato all’individuazione di 7 obiettivi internazionali di sviluppo, definiti
in termini quantitativi, che riassumono
le finalità da perseguire indicate dalle
Conferenze delle NU sulle tematiche allo
sviluppo che si sono succedute nel corso
degli anni 90:
• la riduzione del 50% tra il 1990 ed il
2015 delle persone che vivono in condizioni di estrema povertà (cioè con
meno di un dollaro al giorno);
• la frequentazione della scuola primaria
da parte del 100% dei bambini entro il
2015;
• la riduzione di due terzi tra il 1990 ed
il 2015 della mortalità infantile (cioè
dei bambini sotto i 5 anni );
• la riduzione di ¾ tra il 1990 ed il 2015
della mortalità materna;
• l’accesso per tutti entro il 2015 ai
servizi sanitari per la programmazione
familiare;
• l’adozione, entro il 2005 da parte di
ogni paese di una strategia per lo sviluppo sostenibile per invertire, entro
il 2015, la tendenza alla perdita di
risorse ambientali.
Questa strategia indicata dai Paesi donatori
nel 1996 si ritrova nella Dichiarazione del
Millennio adottata dall’Assemblea Generale delle NU nel settembre del 2000.
Nonostante queste dichiarazioni si è registrata negli ultimi anni una diminuzione delle risorse pubbliche indirizzate
all’assistenza allo sviluppo e la contemporanea ricerca di soluzioni alternative.
La prima delle soluzioni all’attenzione
della Comunità Internazionale consiste
nella proposta di introdurre un’imposta
sulle transazioni valutarie (detta Tobin
Tax dal nome dell’economista e vincitore
del premio Nobel James Tobin che per
primo aveva suggerito l’idea).
Un’altra ipotesi di nuova risorsa finanziaria è quella derivante dall’introduzione a
livello mondiale della “Carbon Tax” da
applicarsi sul consumo di carburanti di
origine fossile con aliquote variabili in
funzione del tipo di carburante e del suo
contributo alle emissioni complessive di
anidride carbonica.
Un’ulteriore proposta riguarda il rilancio
del già esistente strumento di liquidità
internazionale: il DSP (diritto speciale
di prelievo), la cui ultima allocazione
è stata fatta dai Paesi membri del FMI
nel 1991. La rivitalizzazione di tale strumento metterebbe a disposizione dei
PVS nuove risorse finanziarie che attualmente, invece, vengono prese in prestito
a condizioni di mercato con un aggravio
dell’esposizione debitoria.
26
Comuni d’Europa
L'aiuto pubblico allo sviluppo
Tutte queste riflessioni hanno portato alla
Conferenza Internazionale sul Finanziamento allo Sviluppo tenutasi a Monterrey
in Messico dal 18 al 22 marzo 2002.
Il documento conclusivo approvato (The
Monterrey Consensus) ha sottolineato
l’importanza della dimensione internazionale di problemi quali la mobilizzazione delle risorse per lo sviluppo ma
anche tematiche tradizionalmente trattate
a livello nazionale come il governo economico (capacity building), tassazione,
ambiente favorevole agli investimenti,
lotta alla corruzione, evidenziando, quindi, la necessità del rafforzamento e diffusione della cooperazione intergovernativa.
Infine è stata rilanciata la NEPAD (New
Partnership for Africa’s Development).
- altri flussi pubblici. Sono risorse pubbliche costituite da doni forniti non
con obiettivi di sviluppo economico e
prestiti con una parte di dono inferiore al 25%.
L’APS si suddivide tra:
- APS bilaterale. Risorse fornite direttamente da Governi, Enti locali, Agenzie pubbliche dei Paesi industrializzati appartenenti all’OCSE, dei Paesi
dell’Est europeo e dei Paesi OPEC;
- APS multilaterale. Risorse fornite
dagli Organismi di cooperazione
internazionale (Agenzie delle NU,
Banca Mondiale, Banca Europea degli
Investimenti, Banche Regionali di Sviluppo);
- APS multibilaterale. Le risorse provengono dall’APS bilaterale, ma la gestione dell’intervento, concordata con
il Paese ricevente, viene affidata ad un
Organismo di Cooperazione internazionale.
Il finanziamento allo sviluppo
I flussi finanziari verso i PVS si suddividono tra fondi derivanti da fonti private
e da fonti pubbliche.
I fondi privati sono:
- investimenti diretti esteri (IDE);
- investimenti di portafoglio;
- crediti bancari;
- crediti all’esportazione;
- obbligazioni;
- doni.
I fondi pubblici sono composti da:
- aiuto pubblico allo sviluppo (APS).
Sono le risorse fornite da strutture
pubbliche inclusi gli enti di governo
locale;
- aiuto pubblico. Si tratta dell’APS fornito ai paesi più avanzati tra quelli in
via di Sviluppo e a quelli in transizione
verso l’economia di mercato;
n. 16 • giugno 2007
Gli attori
della Cooperazione Internazionale
Le istituzioni internazionali che agiscono
in questo settore sono:
- Banca Mondiale;
- Fondo Monetario Internazionale;
- Il sistema delle Nazioni Unite.
La Cooperazione Internazionale delle
NU è formata da un sistema composito di Agenzie e Organismi dipendenti
per lo più dal Consiglio economico e
sociale (ECOSOC). Da esso dipendono
le maggiori Agenzie NU per lo sviluppo.
Alcune sono specializzate in settori specifici e destinate ad avere la funzione
27
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
di eseguire programmi di sviluppo (per
esempio la FAO, l’UNIDO, l’IFAD),
mentre altre sono programmi ed organi
(quali per esempio l’UNCTAD, l’UNPD,
l’UNICEF).
- Banche regionali di sviluppo (Banca
Interamericana, Banca Africana, Banca
Asiatica).
- la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del
Ministero degli Esteri che gestisce un
terzo circa dell’APS italiano;
- il Ministero dell’Economia e Finanze
che è responsabile di un altro terzo
dell’APS che riguarda le ricostituzioni del capitale di Banche e fondi di
sviluppo nonché le cancellazioni del
debito;
- i trasferimenti all’Unione Europea che
confluiscono nel FES.
A fianco di questi tre canali principali
esistono linee di bilancio minori gestite
da altri ministeri, nonché dalle Regioni e
dagli Enti locali.
La DGCS del MAE è l’organo deputato all’elaborazione ed applicazione degli
indirizzi della politica di cooperazione del
nostro Paese ed è, teoricamente, il punto
di riferimento dell’intera attività di cooperazione italiana all’estero.
In tale contesto gestisce la cooperazione
finanziaria per il sostegno all’imprenditoria
privata e alla bilancia dei pagamenti. E’
competente anche per i rapporti con
le Organizzazioni internazionali e con
l’Unione Europea. Cura, inoltre, i rapporti con le ONG ed il volontariato.
Utilizza i seguenti strumenti di intervento: doni, crediti di aiuto, fondi fiduciari e
finanziamenti alle imprese italiane per la
costruzione di joint ventures.
L’APS italiano ha conosciuto un costante
e rilevante ridimensionamento in termini
di risorse disponibili durante l’ultimo
decennio in parte in conseguenza del più
generale andamento dell’Aiuto Pubblico
allo Sviluppo a livello mondiale e in parte
per ragioni di natura interna.
L’Unione Europea
Il trattato istitutivo dell’Unione Europea
prevede che la Cooperazione allo Sviluppo rientri tra le politiche comunitarie.
L’organo di gestione è la Direzione Generale Sviluppo della Commissione Europea che svolge la sua attività in stretta
collaborazione con altri servizi della
Commissione, in particolare l’ufficio per
gli aiuti umanitari (ECHO) e la Direzione
Generale Relazioni Esterne.
I fondi disponibili provengono dalle
risorse del Fondo Europeo di Sviluppo
(FES) cui contribuiscono tutti i Paesi
membri.
La Cooperazione italiana
La Cooperazione italiana è disciplinata
dalla legge 49/87. Il Ministero degli
Affari Esteri è formalmente responsabile
della promozione e del coordinamento
di ogni iniziativa di Cooperazione allo
sviluppo.
La legge 49/87 stabilisce che “la cooperazione allo sviluppo è parte integrante
della politica estera italiana e persegue
ideali di solidarietà tra i popoli nella ricerca dell’adempimento dei diritti umani
fondamentali”.
L’APS italiano viene gestito attraverso
tre canali:
28
Comuni d’Europa
L'aiuto pubblico allo sviluppo
Oggi il nostro Paese si colloca praticamente all’ultimo posto tra i Paesi maggiormente industrializzati in termini di
risorse allocate rispetto al PIL.
Ciò accade da una parte per il sostanziale
disinteresse che a livello politico viene
manifestato per la materia, dall’altra per
la inadeguatezza della macchina (DGCS)
di cui l’Italia dispone.
Ambedue gli argomenti costituiscono lo
scopo fondamentale di queste riflessioni.
Il disinteresse a livello politico è frutto di
una mancanza di legami sostanziali tra il
concetto di presenza del nostro Paese a
livello internazionale e di quello di aiuto
pubblico allo sviluppo. Quest’ultimo
viene visto non tanto come strumento
principe di presenza sullo scenario internazionale e fonte di investimenti diretti
ed indiretti quanto come una sorta di
elargizione più o meno doverosa che
bisogna fare consapevoli del loro significato di liberalità o che si tratta di
somme sostanzialmente sprecate o da
utilizzare per una politica di assistenza
sociale a livello planetario come prolungamento dell’assistenzialismo. Quel che
manca è l’esatta percezione del concetto
e degli sviluppi che lo stesso ha ormai
acquisito a livello internazionale. Tale
concetto ha un nome preciso: INVESTMENTO. L’aiuto pubblico allo sviluppo
viene ormai interpretato da tutti i Paesi
industrializzati come un necessario ed
ineludibile investimento. Ciò giustifica il
ruolo che ha ormai assunto all’interno
dei vari bilanci.
Accanto agli Stati Uniti, tradizionalmente
leaders in termini quantitativi, si collocano Paesi come Giappone e Germania
n. 16 • giugno 2007
che dell’argomento hanno fatto il loro
cavallo di battaglia anche per il noto
problema dell’allargamento del Consiglio
di Sicurezza. Ma anche altri Paesi come
l’Inghilterra, la Francia e da ultimo la
Spagna investono ormai cifre assai considerevoli. Si tratta quindi di suscitare
a livello politico la consapevolezza del
rilievo che la materia riveste per il nostro
Paese. Sull’argomento possono essere
sviluppate non solo una serie di considerazioni legate alla nostra tradizione
culturale e storica ma alcune linee di condotta in relazione ai flussi migratori ed al
nostro ruolo nel Mediterraneo.
Accanto a queste riflessioni è necessario
maturare un’idea sullo strumento che
deve essere utilizzato.
L’attuale struttura non è in alcun modo
adeguata. Non ha gli strumenti operativi
ed agisce in un contesto (Ministero degli
Esteri) che, per la sua natura burocratica,
non è compatibile con una moderna
attività in materia.
Sull’argomento sono stati presentati, nel
corso delle varie legislature, numerosi
progetti di riforma. Analogo tentativo
è già stato avviato dall’attuale governo
così che la riforma della cooperazione
allo sviluppo è diventata un tema di costante attualità da almeno dieci anni. L’iter
parlamentare nella legislatura 1996- 2001
non si concluse alla Camera dei Deputati:
si era ancora alla seconda lettura dopo
un defatigante lavoro parlamentare che
stravolse l’impostazione originaria proposta dal Governo Prodi e seguita in ogni
suo momento, e con grande attenzione,
dal sottosegretario delegato, On. Serri.
Nella legislatura 2001-2006 il Governo
29
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
nell’art. 1 della troppo discussa legge n.
49 e ristabilire il principio della primazia
del Ministero degli Affari Esteri.
Non si può più continuare con l’attuale
sistema amministrativo che non era previsto nella legge n. 49 ma che è il frutto di una circolare dell’allora Ministro
Andreatta in un momento delicato della
vicenda “tangentopoli” (165 avvisi di
garanzia pervenuti al MAE e nessuna
condanna). Quelle condizioni sono oggi
superate e occorre tornare a quanto disposto dalla legge n. 49 che finanziava la
cooperazione allo sviluppo con un Fondo
speciale annuale consentendo gestioni
amministrative semplificate (come per la
Protezione Civile).
E sempre restando in ambito della
legge n. 49 nulla vieta un diverso e
più attento controllo del sistema delle
agenzie dell’ONU (perché non devono
mai fornire rendiconti a consuntivo?)
dell’Unione Europea e dei fondi FES,
una più marcata linea di rafforzamento
del meccanismo di AID & TRADE ( e
non solo quindi Commercio solidale) con
una più netta e decisa posizione dell’Italia
in sede di Doha round.
Sono queste le premesse per una riforma
vera della cooperazione italiana: l’iter legislativo sarà il frutto maturo di un dibattito e di innovative linee di azioni condivise. Agenzie, UTC, semplificazione
amministrativa potranno essere delegate
al Governo.
Berlusconi non propose nessuna riforma
della legge 49 del 1987 e tentò di modificare con atti amministrativi le procedure
cercando la strada della semplificazione
burocratica e di una più attenta ripartizione delle responsabilità tra politica,
diplomazia, tecnici e ONG.
Anche questo approccio soft, lo dico con
senso di responsabilità e con amarezza
visto che ne fui l’artefice, si è concluso,
dopo un lavoro altrettanto defatigante,
con scarsissimi risultati annullati poi dal
cambio di governo avvenuto nel 2006.
Le ragioni di questo stallo non sono e
non possono essere legate a fatti contingenti ma presuppongono profonde
innovazioni culturali.
Dal concetto stesso di cooperazione allo
sviluppo per riproporre con forza a tutte
le forze politiche una priorità imprescindibile che è il rispetto dei patti assunti in
sede europea per quanto riguarda il volume dell’APS: a Barcellona assumemmo
l’impegno dello 0,33% nel 2006 e in sede
europea lo 0,5%nel 2011. Non si può
derogare: se non lo si vuole o non lo si
può fare non ha senso la riforma della
cooperazione.
E ancora: non si può continuare a non
avere un solo responsabile politico della
cooperazione oggi di competenza di
più ministeri, non ultimo l’Ambiente,
che viaggiano in maniera autonoma e
non coordinata. Basterebbe in tal senso
riprendere e ribadire quanto affermato
30
Comuni d’Europa
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
Anche decentrata
la cooperazione allo sviluppo
di Marina Sereni
Vicepresidente Vicario del Gruppo “L'Ulivo” alla Camera dei Deputati
dei soggetti non governativi operanti
nel settore, sia provenienti dal mondo
associativo e del volontariato, sia direttamente rispondenti alle Regioni e agli
Enti locali.
La Cooperazione Internazionale, per come
noi la intendiamo, è strumento per la
costruzione di un Welfare globale, fondato su un modello di “relazioni” fra
cittadini, componenti della società civile
ed espressioni organizzate a livello territoriale, improntata ai valori della giustizia,
della difesa/promozione dei diritti umani
e della garanzia dei beni comuni, sulla
base di relazioni di partenariato, ossia di
relazioni dirette fra comunità, enti locali
e singoli cittadini.
Questi obiettivi sono conformi agli impegni assunti dall’Italia nelle sedi internazionali. E’ sufficiente ricordare la risoluzione 55\2 dell’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite, tenutasi nel corso della
sessione speciale nel settembre del 2000 a
New York, in occasione della quale è stato
ufficialmente sancito il patto di ridurre
drasticamente il divario economico tra il
Nord ed il Sud del Mondo entro il 2015,
attraverso il perseguimento di 8 obiettivi
internazionali di sviluppo: sradicamento
Il tentativo di riformare, aggiornare, rendere più efficiente e trasparente la politica
di cooperazione allo sviluppo del nostro
Paese ha alle spalle almeno un decennio
di impegno e lavoro parlamentare.
La legge 49 del 1987 che attualmente
regola la materia e che fu approvata a
suo tempo con un ampio consenso parlamentare, pur essendosi dimostrata una
buona legge, specie dal punto di vista
della definizione dell’identità della cooperazione italiana, è stata resa inadeguata
da alcune circostanze che hanno profondamente mutato il quadro in cui oggi si è
chiamati ad agire.
Da una parte la richiesta di una cooperazione più efficiente e trasparente, attraverso un controllo più effettivo sui flussi di
finanziamento, è divenuta un’esigenza
primaria dopo la stagione difficile degli
anni ’90 e le irregolarità che travolsero
quella gestione.
Dall’altra parte, oggi esiste una necessità
di maggiore rapidità, flessibilità e affidabilità nella gestione dei fondi e nella
concessione dei contributi rispetto agli
impegni internazionali assunti dal nostro
Paese, mi riferisco alla frequenza di interventi di emergenza, alla moltiplicazione
n. 16 • giugno 2007
31
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
della povertà estrema e della fame; assicurazione entro il 2015 di un’educazione primaria per tutti; promozione delle
pari opportunità in genere; riduzione di
due terzi (tra il 1990 e il 2015) del tasso
di mortalità infantile; riduzione di tre
quarti del tasso di mortalità materna;
lotta all’HIV\AIDS, malaria e principali
malattie infettive; assicurazione di uno
sviluppo sostenibile; costruzione di una
partnership globale per lo sviluppo.
Proprio per rispondere con uno strumento legislativo moderno al protagonismo
che il nostro Paese rivendica nella promozione internazionale dello sviluppo e
del dialogo tra i popoli, è oggi necessario
porre mano a una seria riforma della cooperazione, impegnandoci a raggiungere
un risultato che è oramai atteso da anni.
Finalmente, in questa legislatura, sembrano essersi create alcune condizioni positive perché il cammino della riforma della
Cooperazione abbia un esito positivo. In
Parlamento sta per arrivare il testo della
legge delega, predisposta e già approvata
dal Governo dopo un esame in sede di
conferenza Stato-Regioni, per ridisegnare
l’intero settore anche sulla scorta delle
richieste e delle riflessioni, ponderate e
condivise, prodotte dal dibattito di questi
anni. Inoltre, in questi mesi, Governo,
partiti e Gruppi parlamentari, tra cui
quello dell’Ulivo, hanno avuto cura di
coinvolgere in forme di consultazioni
informali e continue gli operatori dell’aiuto allo sviluppo e della cooperazione
internazionale, così da giungere a un
risultato quanto più condiviso e ragionato da portare all’esame del Parlamento.
Per quanto riguarda l’Ulivo, il progetto
di legge di cui sono prima firmataria (pdl
2127) insieme al Presidente del gruppo,
Dario Franceschini e ai parlamentari dell’Ulivo della Commissione Esteri, tenta
proprio di tradurre e affinare questo
lavoro di confronto e dibattito, compiuto
in un tavolo tecnico insieme ai rappresentanti dei Ds, della Margherita e di alcune
tra le associazioni più attive nel settore.
Fa ben sperare anche un atteggiamento
dell’opposizione che sembrerebbe, ad
oggi, costruttivo e collaborativo, almeno
a giudicare dai contenuti delle proposte di
legge depositate in Parlamento così come
dalle dichiarazioni rese da esponenti della
minoranza in dibattiti e incontri pubblici,
come abbiamo avuto modo di notare
nello stesso seminario organizzato dall’Aiccre nelle scorse settimane.
Il gruppo dell’Ulivo intende essere protagonista e riferimento del dibattito che
si aprirà in Parlamento, partendo dalla
propria proposta di legge, pensata e scritta soprattutto per indicare con chiarezza
i principi e le scelte di fondo alle quali
dovrebbe ispirarsi la nuova cooperazione
italiana e che dovranno essere scritti nella
legge delega che l’assemblea parlamentare sarà chiamata a licenziare.
Nei primi articoli, la proposta dell’Ulivo,
si preoccupa di ridefinire la politica di
cooperazione allo sviluppo quale parte
fondamentale e qualificante della politica
estera dell’Italia e strumento per perseguire il raggiungimento degli obiettivi del
Millennio, sanciti dall’ONU. In questo
quadro, si specificano i principi guida
del partenariato e del co-sviluppo quali
quelli cui deve conformarsi la politica
della cooperazione, lo stile il metodo
32
Comuni d’Europa
Anche decentrata la cooperazione allo sviluppo
con cui l’Italia intende portare avanti la
propria azione di promozione umana,
economica e sociale. Proprio per questo
si esclude dall’aiuto allo sviluppo qualsiasi intervento a sostegno di operazioni
militari o con finalità di penetrazione
commerciale. Si tratta in questo caso
di operare una distinzione di piani, di
motivazioni e di modalità di intervento
necessaria a preservare non solo la serietà
e la trasparenza dell’azione politica del
nostro Paese, ma anche a non indebolire,
mettere in difficoltà e far perdere credibilità agli stessi operatori privati della
cooperazione.
Per dare concretezza agli impegni internazionali che sopra richiamavo, la proposta dell’Ulivo prevede un provvedimento
con forza di legge che periodicamente
definisca tempi e modalità di erogazione delle risorse destinate al rispetto di
quello 0,7 per cento di Pil che l’Italia si
è vincolata a riservare all’aiuto allo sviluppo. Viene, altresì, istituito un Fondo
unico per la cooperazione in cui far
confluire tutte le risorse e in seno al
quale trasparentemente ripartire quelle
relative ai contributi obbligatori per la
partecipazione alle istituzioni finanziarie
internazionali.
Dal punto di vista dell’architettura, per
così dire, istituzionale e politica in cui
definire le politiche di cooperazione, la
nostra proposta riserva l’indirizzo e il
controllo politico dell’aiuto pubblico al
Governo, attraverso il MAE e il Viceministro alla Cooperazione, e al Parlamento,
che approva il programma triennale degli
interventi e esercita un potere di controllo. Sottolineo che proprio il ruolo del
n. 16 • giugno 2007
Parlamento mi pare un aspetto ancora
troppo debole nella proposta governativa
e che perciò sarà opportuno approfondire nel corso delle discussioni in Commissione e in Aula, pur evitando il rischio di
eccessivi appesantimenti nelle procedure
decisionali.
Per quanto, invece, attiene al nuovo
strumento operativo della cooperazione
italiana, raccogliendo l’indicazione della
gran parte del mondo delle Ong del settore, abbiamo immaginato l’istituzione
di un’Agenzia, il cui Presidente è nominato dal Consiglio dei Ministri, con margini
adeguati di autonomia e indipendenza
operativa e finanziaria, a tutto vantaggio
della efficienza e della flessibilità della
sua azione. Determinante, in questo caso,
sarà assicurare norme e procedure contabili che consentano di rispondere alle
molteplici esigenze tecniche e di controllo che la Cooperazione allo Sviluppo
esige, garantendo contestualmente l’efficienza, l’economicità e la rapidità di intervento che sono propri, oramai, dei nuovo
strumenti di aiuto allo sviluppo delineati
e adottati con le recenti riforme in altri
paesi europei, ad iniziare dalla Spagna,
dalla Gran Bretagna e dalla Svezia.
Uno dei temi rilevanti della prossima
riforma sarà senza dubbio quello relativo
alla cosiddetta “cooperazione decentrata”, fenomeno in crescita negli ultimi anni
e rispetto al quale si devono sottolineare
aspetti di grande interesse e positività,
accanto ad alcune critiche che richiedono
di affrontare per risolvere diversi nodi
di fondo. Non vi è dubbio che Regioni,
Comuni e Province dimostrano da anni
una grande capacità di mobilitare risorse
33
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
culturali, professionali ed economiche
che danno vita ad importanti iniziative di
cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. Non si tratta oramai solo di un flusso
di aiuti dal punto di vista economico, ma
di una realtà di incontro tra comunità
locali e cittadini, che arricchisce i paesi
beneficiari con l’esperienza e la particolare competenza che le comunità locali
italiane possono donare mentre, nel contempo, accresce la stessa responsabilità
civica, i valori democratici e la cultura
del dialogo e dell’accoglienza degli stessi
Enti locali italiani.
Abbiamo ritenuto fosse opportuno dare
un esplicito e chiaro riconoscimento del
ruolo che ha assunto la cooperazione
decentrata, facendola rientrare in pieno
nell’azione complessiva della cooperazione italiana. Nel contempo non può essere
ignorata la necessità di definire meglio, dal
punto di vista giuridico formale e operativo, il profilo di tale cooperazione, le competenze che Regioni ed Enti locali hanno
nella loro azione internazionale di aiuto
allo sviluppo, infine il coordinamento di
tale azione con le competenze esclusive
dello Stato, con la sovranità nazionale e
soprattutto, con l’azione generale di politica estera del nostro Paese. Si tratta di
un tema delicato, in cui non solo si sono
registrate obiettive difficoltà di coordinamento e sinergia, ma che è stato oggetto
anche di pronunce giurisprudenziali, come
la nota sentenza 211/2006 della Corte
Costituzionale, che hanno teso a limitare
sensibilmente il campo di azione della
cooperazione decentrata. Se pensiamo al
fatto che esiste anche a livello politicoamministrativo un forte impulso a cen-
tralizzare, controllare e limitare l’azione di
Regioni ed Enti locali in questo campo, si
capisce quanto sia urgente intervenire con
una nuova regolamentazione che, senza
disconoscere la corretta e indispensabile
esigenza di coerenza della presenza internazionale proposta dal Governo centrale
e dalle autonomie locali, non disperda la
ricchezza della “cooperazione decentrata”.
Per questi motivi, nella proposta di legge
dell’Ulivo, da una parte è ribadito (art.
9) che la cooperazione allo sviluppo
italiana promuove e valorizza le iniziative di solidarietà internazionale svolte
e livello decentrato, consentendo anche
intese con le collettività e le amministrazioni substatali di paesi terzi, senza
lesione della potestà statale, dall’altra si
chiarisce che tali iniziative devono essere
coordinate e coerenti con le indicazioni strategiche contenute nei documenti di programmazione pluriennale della
cooperazione. Tale coordinamento viene
assicurato garantendo la partecipazione
dei rappresentanti di Regioni ed Enti
locali alle istanze decisionali più rilevanti:
i Consigli dei Ministri riservati al tema, da
una parte e l’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo, dall’altra.
Ultimo nodo che vorrei sottolineare in
questa mia illustrazione della proposta
di riforma dell’Ulivo è quello relativo
alla definizione delle competenze e delle
modalità operative dell’azione italiana
all’estero, nei casi in cui siamo chiamati
a contribuire a interventi di emergenza
conseguenti a grandi catastrofi umanitarie o naturali. Si tratta di una questione sollevata di recente e che potrebbe
34
Comuni d’Europa
Anche decentrata la cooperazione allo sviluppo
possibilità che l’Agenzia per la cooperazione affidi le fasi legate all’emergenza
e all’intervento rapido alla Protezione
civile, dotata di mezzi e competenze
adeguate.
In conclusione, siamo consapevoli del
lavoro parlamentare che abbiamo davanti e ci conforta l’idea di aver discusso a
lungo di questi temi con i protagonisti
della nostra cooperazione che coinvolgeremo anche nella prossima fase parlamentare, determinati a cogliere il risultato
finale per poter assicurare al Paese una
riforma condivisa e funzionante che dia
nuovo slancio alla cooperazione italiana.
assumere sempre maggiore rilevanza nei
prossimi anni. Occorre perciò distinguere, in tali casi, il pronto intervento, immediato e volto a ristabilire le condizioni di
vita minime per le popolazioni coinvolte,
dalla vera e propria azione di cooperazione, sostegno e ricostruzione che si
dispieghi nel medio-lungo periodo e che
necessita di capacità, risorse e strumenti
culturali del tutto diversi.
A questo proposito, nella nostra proposta abbiamo voluto segnare due principi:
la distinzione tra le risorse economiche
destinate alle emergenze umanitarie da
quelle previste per la cooperazione; la
n. 16 • giugno 2007
35
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
Pianificare
per cooperare
di Dario Rivolta
Vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati
diversa e il cittadino italiano medio non
è, quasi mai, al corrente di dove e come
il nostro Paese intervenga per aiutare lo
sviluppo di popolazioni più sfortunate.
La cosa è ancora più grave quando capita
che, nemmeno tra le diverse amministrazioni, ci sia né coordinamento né,
almeno, informazione.
I nostri stessi Ambasciatori si trovano
spesso a dover solamente prendere atto
di iniziative intraprese da Comuni, Province o Regioni italiane nel Paese in cui
loro dovrebbero essere i più alti nostri
rappresentanti.
E’ indubbio che la cooperazione decentrata sia un diritto delle Istituzioni ai
diversi livelli, così com’è noto che alcuni
Enti Locali cercano di coordinarsi con
il nostro Ministero degli Esteri prima
di effettuare ogni nuova iniziativa. Ciò
che invece è ben più raro, e non lo trovo
utile, è che cerchino di valutare, prima di
assumere ogni decisone, assieme al Ministero degli Esteri, l’opportunità o meno
dell’intervento stesso.
Se, almeno, esistesse il federalismo fiscale
potremmo dirci che con i soldi raccolti
in loco, con la consapevolezza dei propri
amministrati, si può decidere l’uso che si
Pochi anni or sono una collega parlamentare, al rientro da un viaggio istituzionale
in un paese africano, mi raccontò, un po’
stupita, di aver visitato, tra un incontro
istituzionale e un altro, un asilo in una
città di medie dimensioni di quel Paese.
L’arredamento intero dell’asilo era stato
donato da un Comune della sua Regione
nell’ambito della cooperazione decentrata allo sviluppo. La cosa stupefacente
fu che si trovò di fronte un arredamento
nuovo e modernissimo, mentre l’asilo
nel Comune donatore, che lei conosceva
bene, manteneva mobili ed equipaggiamento da tempo fatiscenti.
Era, evidentemente, un atto di grande
generosità ma, si domandava la collega,
i cittadini di quel Comune toscano erano
al corrente che la generosità elargita dalla
loro amministrazione poteva essere a
scapito dell’ammodernamento del loro
stesso asilo?
Si pensa solitamente che la cooperazione
allo sviluppo, soprattutto quella decentrata, sia il risultato di una volontà collettiva che trova nell’organo donatore
il realizzatore di un giusto desiderio di
generosità da parte dei cittadini rappresentati. Purtroppo la realtà è molto
36
Comuni d’Europa
Pianificare per cooperare
ritiene politicamente più opportuno. Ma
questo non è il caso dell’Italia odierna.
Allo stato attuale dei fatti, e in molti paesi
del mondo, gli interventi di cooperazione
sono spesso l’unica contropartita che
i nostri Ambasciatori possono mettere
sul tavolo nell’ambito e al servizio della
propria azione diplomatica. E’, accettato
o condannato che sia, ciò che fanno le
Ambasciate di Stati anche meno generosi
del nostro.
Non sarebbe più vantaggioso anche per
noi seguire questa strada?
E’ evidente che non si sta parlando degli
interventi di emergenza che hanno un
aspetto di urgenza e immediatamente
umanitario. Parliamo invece della cooperazione allo sviluppo, ovvero quella che
può essere pianificata e che dobbiamo,
volta per volta, scegliere se indirizzare
verso una realtà o un’altra, vista la limitatezza dei mezzi disponibili.
A questo punto, perché non parlare
anche della cooperazione multilaterale?
Oggi i soldi che l’Italia destina a questa
forma di aiuto allo sviluppo sono più del
60% dei fondi disponibili. Ci rendiamo
conto che, all’interno dei calderoni multilaterali, i nostri soldi non hanno più
colore e chi li riceve non sa nemmeno a
chi dovrebbe dire grazie.
Le anime candide e i buonisti, sempre
numerosi, dicono che l’aiuto allo sviluppo deve essere totalmente disinteressato.
Nella proposta di legge di riforma, presentata dall’allora e attuale maggioranza durante la XII legislatura, le sinistre sostennero perfino la “teorizzazione
dello slegamento”. In altre parole, la
legge, fortunatamente abortita, doveva
n. 16 • giugno 2007
prevedere che i fondi italiani dovessero
escludere, nel loro impiego, il ricorso ad
aziende o servizi nazionali: il colmo del
masochismo!
Dare aiuti a chi ne ha bisogno è un
dovere morale e va fatto comunque. Tuttavia, a parità di condizioni, è altrettanto
doveroso ottenere il massimo ritorno
possibile per il nostro Paese sia in termini
di immagine che di politica e di economia.
Chi sostiene il contrario o ritiene che
questi eventuali ritorni debbano essere
considerati superflui o addirittura negativi o è assolutamente ipocrita o ha altri
interessi non dichiarati o vuole il male del
nostro Paese, chiedendo alle tasche degli
italiani un sacrificio senza che, ove possibile, tale sacrificio sia in qualche modo
compensato.
A tutto questo si aggiunge che è diventato oggi di moda pensare di affidare
tutto il lavoro ad un’agenzia esterna al
Ministero. Noi non crediamo che il fatto
di attribuire ad un’entità esterna la gestione esecutiva della cooperazione possa
semplificare i meccanismi. Al contrario, un’agenzia toglierebbe ulteriormente
alla nostra politica estera la possibilità
di effettuare scelte coordinate con gli
interessi nazionali e sposterebbe semplicemente il momento burocratico da
un palazzo all’altro, magari appesantendolo, aumentando contemporaneamente
la discrezionalità, già alta, dei numerosi
funzionari e consulenti.
Ad oggi, nonostante il Governo abbia
annunciato una propria proposta, nessuna discussione è ancora iniziata. Di certo
il tema della cooperazione allo sviluppo,
37
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
lasciare che sia il Parlamento, attraverso riflessioni approfondite e numerose
audizioni con gli addetti ai lavori, a trovare la strada migliore.
escludendo gli interventi di emergenza,
è complessa e sfaccettata e non lascia
prevedere alcuna soluzione miracolistica.
La sua complessità suggerisce però di
38
Comuni d’Europa
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
L'approccio dal basso
della cooperazione concordata
di Mauro Zani
Membro della Commissione Sviluppo del Parlamento Europeo
perseguono gli stessi obiettivi quando
negoziano in sede di OMC. Non necessitano di programmi di intervento simili da
parte della Banca Mondiale e del Fondo
Monetario Internazionale e hanno priorità politiche e sociali interne alquanto
diverse. E’ necessario, quindi, superare
una visione tanto (apparentemente) politicamente corretta, quanto notevolmente
invecchiata.
L’aiuto allo sviluppo e il sostegno ad un
sistema di relazioni commerciali equo
deve in realtà scontare spesso e volentieri, in tutta una serie di paesi poveri o
anche a reddito medio, livelli di corruzione abnormi insieme alla negazione dei
più elementari diritti umani. Per questo,
l’aiuto allo sviluppo va coerentemente
accompagnato da un dialogo politico
serrato, entro il quale premiare le buone
pratiche di governo e disincentivare le
cattive abitudini di classi “dirigenti” corrotte fino al midollo, nei confronti delle
quali le ex potenze coloniali non sono
affatto esenti da responsabilità storiche
pregresse e da persistenti tentazioni a
chiudere un occhio (e a volte tutti e due)
quando sono in gioco affari e convenienze strategiche.
In genere si pensa ai PVS come ad un
gruppo omogeneo con problemi e caratteristiche del tutto simili. Si tratta di un
modello interpretativo di comodo, che
non coglie l’articolazione crescente degli
interessi e delle diversità che caratterizzano i protagonismi in atto nel mondo
attuale. Assistiamo ad una rapida evoluzione entro la quale non ha più molto
senso parlare di un unico sottosviluppo.
E’ necessario considerare appieno il ruolo
che stanno vieppiù assumendo potenze
economiche emergenti come il Brasile
o per altro verso lo stesso Sud Africa.
E’ un’evoluzione che sta cambiando il
panorama del sottosviluppo rendendolo
più eterogeneo e stratificato.
Ai fini di una piena comprensione della
complessità dei problemi è necessario
tener conto di una pluralità di facce
del sottosviluppo. Chiunque abbia avuto
occasione, anche solo indirettamente, di
imbattersi nel dibattito sulla liberalizzazione degli scambi commerciali degli
ultimi anni, avrà certamente notato come
gli interessi, le strategie e conseguentemente le posizioni negoziali dei diversi
paesi in via di sviluppo differiscano in
modo sostanziale. Brasile e Uganda non
n. 16 • giugno 2007
39
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
dei donatori e politiche commerciali per
ottenere un effetto moltiplicatore degli
interventi tale da inserire progressivamente i paesi poveri nell’economia e nel
commercio mondiale.
Senza indulgere in un atteggiamento acritico nei confronti dell’UE, va riconosciuta l’importanza di una strategia dello
sviluppo fondata sulla consapevolezza
che “mai prima d’ora l’eliminazione della
povertà e lo sviluppo sostenibile sono stati
più importanti” e che “il conseguimento
degli obiettivi del millennio va nell’interesse della pace e sicurezza, collettive e
individuali, a lungo termine. Senza pace
e sicurezza, lo sviluppo e l’eliminazione
della povertà sono impossibili, ma, senza
sviluppo ed eliminazione della povertà,
non vi sarà pace sostenibile”. Due sono
i punti di forza di questa impostazione.
Per la prima volta, la nozione di “sviluppo umano” inteso come “ampliamento
delle possibilità di scelta delle persone
– aumento delle opportunità di accedere
all’istruzione, sanità, reddito e impiego
che copre l’intera gamma delle scelte
dell’uomo da un ambiente sostenibile alle
libertà politiche ed economiche”3 entra
a pieno titolo nell’agenda politica di uno
degli attori più importanti sulla scena
internazionale.
Da un punto di vista concettuale, inoltre,
essa si pone come diretta alternativa ad
una concezione “muscolare” dei rapporti
tra mondo industrializzato e paesi in via
di sviluppo che interpreta i problemi del
sottosviluppo come residuali e basata
sulla cinica idea che “ogni paese deve
farsi carico della responsabilità del proprio sviluppo”.
Non a caso attualmente l’Unione Europea promuove una visione più ricca e
articolata dei rapporti nord-sud a livello
globale rispetto al passato. D’altra parte,
il graduale consolidarsi della dimensione
esterna accompagna il processo di integrazione europea, con tutti i suoi limiti e
contraddizioni.
Proprio la politica di cooperazione allo
sviluppo è uno dei settori nei quali questa
“peculiarità” europea meglio si esprime.
Usando una terminologia certamente
non casuale, Commissione, Consiglio e
Parlamento hanno adottato, nel febbraio
2006, una dichiarazione congiunta intitolata “Il Consenso europeo in materia
di sviluppo”1 che segue alla dichiarazione
congiunta sulla politica di cooperazione
allo sviluppo del novembre 2000,2 con la
quale, per la prima volta, sono stati stabiliti il quadro di obiettivi, valori e principi comuni all’interno del quale l’Unione
e i suoi venticinque Stati membri sono
chiamati ad attuare le proprie politiche
di sviluppo in uno spirito di complementarietà.
La Dichiarazione comune parte dal presupposto che la lotta globale contro
la povertà non è soltanto un obbligo
morale, ma è bensì necessaria per creare
un mondo più stabile, più pacifico, più
prospero e più equo. In particolare si
avanza una visione sistemica il cui risultato deve essere maggiore della somma
dei singoli interventi: una visione olistica
com’è stata definita, in verità alquanto
pomposamente, dal Commissario allo
sviluppo, il liberale belga Louis Michel.
Più semplicemente si cerca una sinergia
tra politiche per lo sviluppo, impegno
40
Comuni d’Europa
L'approccio dal basso della cooperazione concordata
Nel generale contesto del cosiddetto
“Consensus europeo” assume una particolare rilevanza la nuova strategia per
l’Africa ed altri gruppi di paesi geograficamente vicini (Isole del Pacifico, Caraibi,
Corno d’Africa).
Lo sviluppo del continente africano è
al centro dell’attenzione del mondo già
da molti anni, numerose proposte sono
state avanzate nel recente passato, molte
delle quali provenienti dall’esterno e in
primo luogo dal Sistema delle Nazioni
Unite e dall’Unione europea.
L’iniziativa dell’Unione europea concernente l’Africa è il seguito di tutto un percorso avviato già alcuni fa e che i recenti
cambiamenti, in Europa, nel mondo e
nell’Africa medesima hanno reso non più
rinviabile al fine di dare a quest’ultima
l’opportunità di avviarsi verso uno sviluppo sostenibile e duraturo e di eliminare la povertà che l’affligge.
Nell’impostazione e nei contenuti la
nuova strategia europea verso l’Africa
non costituisce solo una pura riaffermazione della volontà europea di rafforzare le
relazioni euro-africane, ma piuttosto una
chiara assunzione di responsabilità, e un
cambiamento di approccio verso l’Africa
medesima, con le sue differenze culturali,
etniche e religiose in cui l’organizzazione
dell’Unità Africana -UA- (la cui nascita suscitò perplessità e scetticismo), è
chiamata a svolgere un ruolo centrale.
Nella dichiarazione congiunta rilasciata
al termine del vertice dell’UA tenutosi
a Addis Abeba nel luglio 2004, l’UE ha
esplicitamente ribadito “l’impegno ad
ampliare al massimo le sue relazioni con
l’UA”. Di fatto si tratta di una chiara prefn. 16 • giugno 2007
erenza verso fenomeni di integrazione
regionale.
L’Unione Europea ha raccolto la sfida
della Dichiarazione del Millennio e definito come uno dei pilastri fondanti della
propria concezione di “governo della
globalizzazione” una strategia che ha
nella lotta alla povertà uno degli obiettivi
primari. A questo punto il problema è
dare sostanza a queste enunciazioni di
principio. L’Unione Europea deve provare nei fatti, pragmaticamente, che la
politica per lo sviluppo è una componente fondamentale della sua azione esterna
anche quando sono in gioco grandi blocchi di interessi.
Un ruolo molto importante svolge il
commercio internazionale. In questo
ambito, la sfida consiste nel delineare
un nuovo sistema commerciale internazionale che garantisca ai paesi in via di
sviluppo l’accesso ai benefici derivanti
dall’integrazione nei mercati globali evitando che liberalizzazione commerciale
si traduca nella distruzione delle capacità
produttive di questi paesi. Una strada
percorribile è quella di garantire, ai beni
prodotti nelle aree del sottosviluppo un
maggiore accesso ai mercati dei paesi
sviluppati mantenendo un certo grado di
asimmetria negli scambi per preparare i
PVS ad una consapevole e quindi graduale e differenziata liberalizzazione.
L’Unione Europea si sta da tempo attrezzando per rispondere a questa sfida.
Ovviamente gli orientamenti di politica
commerciale in Europa non sono guidati
da motivazioni di carattere esclusivamente solidaristico. Basti ricordare le innumerevoli critiche di cui l’Unione Europea
41
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
è stata fatta oggetto a causa della natura protezionistica della Politica Agricola
Comune (PAC) per gli effetti negativi
ch’essa ha avuto sulle opportunità di sviluppo dei paesi più poveri.
La politica commerciale dell’Europa è
meno iniqua di quanto viene spesso
descritta. Si deve riconoscere che sono
stati introdotti strumenti che perlomeno si propongono di gestire in modo
efficace il legame di interdipendenza
esistente tra commercio internazionale e
sviluppo. Da un lato, l’Unione consente
un accesso preferenziale ai suoi mercati
esente da dazi o a tariffa ridotta per la
maggior parte delle importazioni provenienti dai paesi in via di sviluppo e da
economie in transizione sulla base del
sistema delle preferenze tariffarie generalizzate (SPG). Dall’altro, i 49 paesi più
poveri del mondo godono di accesso
esente da dazi doganali sul mercato dell’Unione - con l’unica eccezione delle
armi - in base ad un programma lanciato
nel 2001, denominato “Tutto tranne le
armi”(EBA). Inoltre, L’UE ha elaborato una nuova strategia commerciale
e di sviluppo con i suoi 79 partner del
gruppo di paesi Africa-Caraibi-Pacifico
(ACP) volta ad integrarli nel commercio
mondiale fondata sull’introduzione di
un nuovo quadro per la cooperazione
commerciale incentrato su Accordi di
Cooperazione Economica (APE) nelle
cinque zone d’integrazione. Nel caso
dei prodotti agricoli, gli interessi dell’Unione e quelli dei paesi più poveri
del mondo vengono in questa fase a
coincidere.
L’Unione Europea è da tempo il prin-
cipale donatore al mondo di APS che
comprende: gli aiuti bilaterali degli Stati
membri, i prestiti della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), gli aiuti
iscritti al bilancio dell’UE e, infine, quelli
versati dagli Stati membri attraverso il
Fondo europeo di sviluppo (FES) il quale
finanzia i progetti per la realizzazione
degli obiettivi del partenariato concluso a
Cotonou nel 2000.
Non vi è dubbio che per imprimere una
maggiore efficacia all’aiuto sia necessario
aprire l’intero processo alla partecipazione degli attori locali non statali e dei parlamenti nazionali e in particolare incentivare quella cooperazione decentrata che
ha negli enti locali il suo fulcro più
significativo. Ciò aiuterebbe l’indispensabile trasparenza nell’impiego delle risorse
soprattutto di fronte all’intenzione, più
volte proclamata dalla Commissione, di
fornire la maggior parte dell’aiuto direttamente al bilancio statale dei PVS.
Nonostante questi problemi, nel complesso l’Unione Europea rimane l’attore maggiormente impegnato sul fronte
dell’aiuto pubblico allo sviluppo non
solo nel presente ma anche in termini di
impegni per il futuro.
La politica di cooperazione allo sviluppo
dagli anni cinquanta ad oggi ha conosciuto degli importanti progressi, acquisendo
gradualmente una dimensione comunitaria e sovranazionale. Tuttavia, resta pur
sempre una politica condivisa fra gli Stati
membri e la CE per conto dell’Unione
europea. In assenza di una politica estera
europea, è necessario rafforzare i sistemi
di governance a livelli diversi da quello
europeo e statali, dei sistemi di gover42
Comuni d’Europa
L'approccio dal basso della cooperazione concordata
attraverso un approccio non più calato
dall’alto, bensì partecipativo.
nance multilivello, capaci di tenere conto
di un approccio allo sviluppo dal basso e
dal locale. Ad esempio attraverso la cooperazione decentrata.
Dunque, più coerenza tra le varie politiche europee, sia interne che esterne ma
anche una maggiore valorizzazione delle
tipicità e delle risorse delle popolazioni interessate attraverso l’appropriazione del processo di sviluppo (ownership),
sulla forte partecipazione in tutte le sue
fasi che generano il reale protagonismo
delle persone coinvolte (empowerment) e
sulla trasformazione della progettazione e implementazione delle politiche,
n. 16 • giugno 2007
NOTE
1 Dichiarazione comune del Consiglio e dei
rappresentanti dei governi degli Stati membri
riuniti in sede di Consiglio, del Parlamento
europeo e della Commissione sulla politica
di sviluppo dell’Unione europea: «Il consenso
europeo» (2006/C 46/01).
2 Dichiarazione congiunta del Consiglio e
della Commissione sulla Politica di sviluppo
dell’UE, Novembre 2000.
3 UNDP, Human Development Report 1990, New
York.
43
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
Dobbiamo tener fede
agli impegni e alle promesse
di Alessandro Battilocchio
Membro della Commissione Sviluppo del Parlamento europeo
beneficiari: dai paesi candidati a quelli in
transizione verso un futuro più democratico e rispettoso dei diritti umani, ai
paesi più poveri e a quelli vittime di conflitti. Questo nuovo approccio non solo
semplifica l’accesso ai fondi da parte dei
paesi beneficiari, non più costretti a districarsi tra decine di formulari diversi che
seguivano più una logica interna di linee
di bilancio piuttosto che di efficienza, ma
contribuisce anche a rendere più chiari e
trasparenti i termini effettivi degli aiuti, e
di conseguenza più semplice la valutazione dei risultati. E si presta anche, tuttavia, ad una logica politica e strategica
più sottile.
La flessibilità decantata dai nuovi strumenti permette infatti di spostare più
agilmente fondi da una regione geografica all’altra, secondo le priorità e le
necessità che via via vanno cambiando
in un panorama geopolitico internazionale alquanto instabile e mutevole da
almeno un paio di decenni. Se il crollo
dell’URSS aveva deviato gran parte dei
fondi per lo sviluppo dalle ex colonie
(i paesi ACP) alle nuove repubbliche
dell’Europa Centro-orientale per accompagnarle fino all’adesione, la minaccia
Anche nel 2006 l’Unione Europea si è
confermata al primo posto tra i donatori internazionali, con il 55% degli aiuti
allo sviluppo a livello mondiale, grazie
agli sforzi congiunti della Commissione
Europea (che ne gestisce circa un quinto)
e degli oramai 27 Stati Membri.
In seguito al Trattato di Maastricht nel
1993, che ha posto lo sviluppo tra le
politiche del secondo pilastro, e soprattutto dopo la riforma del 2000 che, grazie
a procedure più snelle, rapide e trasparenti, e alla creazione di un unico organo di
gestione (Europeaid) e di 77 delegazioni,
ha permesso di aumentare il volume dei
finanziamenti verso i paesi terzi del 54%
rispetto al periodo precedente, la politica
di sviluppo della Commissione Europea
ha conosciuto uno slancio importante,
che ha contribuito a fare dell’UE uno dei
principali attori dello sviluppo internazionale.
La nuova riforma, approvata nel 2006 ed
entrata in vigore dal gennaio scorso, ha
ulteriormente semplificato il sistema dei
finanziamenti, riducendo gli strumenti
esistenti a 5 grandi programmi definiti
non più in base a criteri geografici ma
in base alle necessità e alle priorità dei
44
Comuni d’Europa
Dobbiamo tener fede agli impegni e alle promesse
rinnovato, costante e più intenso. Continue arrivano infatti le accuse dal mondo
del non-governativo riguardo ai dati forniti dall’UE sui flussi di finanziamenti
che sarebbero, a loro avviso, gonfiati
dall’annullamento del debito (nel 2005 ha
pesato molto sul computo internazionale
l’annullamento accordato alla Nigeria e
all’Iraq) e dal sostegno umanitario a zone
critiche (Iraq, Afghanistan, zone colpite
dallo tsunami, da terremoti e cicloni),
fondi questi ultimi che per trasparenza
non dovrebbero essere contabilizzati tra
gli aiuti effettivi allo sviluppo.
Un impegno deve anche essere preso
dall’UE per armonizzare le pratiche e le
priorità in vigore, se non tra tutti i donatori internazionali, almeno al suo interno (attualmente sono 28: una per stato
membro più la Commissione Europea),
per rispondere ad una sempre maggiore
richiesta di efficienza e di trasparenza.
Necessario è anche garantire la coerenza
tra le diverse politiche europee e le
priorità in materia di sviluppo (senza
dimenticare i negoziati in corso in seno
all’OMC, e la scadenza degli Accordi di
Partenariato Economico con molti paesi
in via di sviluppo, che abbatteranno le
barriere tariffarie sui prodotti importati
dall’Unione Europea, con probabili ripercussioni sul loro mercato interno).
Ma nessuna di queste raccomandazioni sarà sufficiente se, prima tra tutti
l’Unione Europea, seguita dai singoli
Stati Membri (e mi riferisco in particolare
a quei paesi che, come l’Italia, sono ben
al di sotto della soglia), non rispetteranno
le promesse fatte alla comunità internazionale e a tutti i paesi beneficiari di
terrorista ed i conflitti in Medio Oriente
hanno modificato di nuovo le priorità
europee, spostando l’attenzione ai nuovi
confini dell’Unione (tramite una Politica
di Vicinato rafforzata) e prediligendo
azioni mirate a sviluppare l’economia
e la stabilità democratica dei paesi del
Mediterraneo, del Caucaso e dell’Asia
Centrale, non solo per tamponare eventuali emorragie di terroristi, immigrati
e traffico di droga, ma anche per farne,
col tempo, affidabili partner economici
e politici.
Un altro esempio: le regioni dell’Asia
Centrale e del Caucaso del Sud, fino al
2006 gestite esclusivamente nell’ambito
del programma TACIS, diventano di
un’importanza strategica crescente per
l’UE man mano che si aggrava il problema della dipendenza energetica dalla Russia, con le tensioni politiche che questo
comporta, e si pone con urgenza la questione di alternative valide. La possibilità
di intervenire in queste aree (puntate
anche dalla Russia stessa, e dalle vicine
Cina e India) in diversi settori tramite i
vari strumenti tematici disponibili (diritti
umani, ambiente, stabilità ecc), permette
all’UE di poter adeguare il flusso di fondi
da destinare alla regione non solo in base
alle necessità individuate in tali paesi, ma
anche, e soprattutto, alle priorità interne
dell’Unione stessa.
Importante sarà quindi vegliare affinché le
mire economiche, commerciali e politiche
dell’UE non vadano a scapito dei fondi
destinati originariamente allo sviluppo dei
Paesi più poveri, per i quali, nonostante
i tanti impegni presi ripetutamente in
sede internazionale, occorre uno sforzo
n. 16 • giugno 2007
45
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
Millennio, e la disponibilità dei paesi
industrializzati ad adoperarsi per ridurre
in modo sensibile la povertà nel mondo,
l’incidenza dell’AIDS e delle altre malattie e sofferenze che colpiscono i paesi
poveri, non sono stati solo una solenne
presa in giro.
aumentare l’impegno effettivo degli aiuti
per raggiungere entro il 2010 almeno lo
0.7% stabilito (nel 2006 l’UE ha sfiorato l’obbiettivo intermedio dello 0.35%).
Soglia che rappresenta il limite minimo
necessario per dimostrare all’opinione
pubblica mondiale che gli Obbiettivi del
46
Comuni d’Europa
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
L'impegno dell'AICCRE
per un ruolo più attivo degli Enti locali
di Enrico Casciani
Responsabile Aiccre per la cooperazione
Parimenti, ogni governo ha cercato di
dare una sua impronta e segnatamente
il precedente governo aveva in animo di
porre mano ad una radicale riforma che
tuttavia non è stata varata.
Anche il Governo attuale si propone di
riscrivere le regole della Cooperazione e,
per dare più rilevanza politica all’impegno,
ha nominato un Vice-Ministro con delega specifica in luogo dell’usuale figura
del Sottosegretario con delega alla cooperazione.
Questo per indicare un quadro di sfondo
in cui collocare le proposte e sviluppare
un’analisi sui limiti della legge citata
Essi paiono ancor più evidenti in un
mutato scenario interno ed internazionale che, come fanno notare alcuni,
risaltano ancor più stridenti nella sottile
e sempre presente contrapposizione tra
emergenza e aiuto allo sviluppo e pongono i seri interrogativi su quale significato
attribuire agli aiuti e segnatamente quelli
umanitari.
Questo tema, lungi dall’essere risolto, è
tutt’oggi, nel dibattito che attorno alla
riforma della legge 49 si va articolando,
oggetto di profonde e acute osservazioni
che risentono, come è ovvio, delle differ-
La legge 49 del 1987 meglio nota come
Legge sulla cooperazione verso i Paesi
in Via di Sviluppo (PVS) varata nel 1987
con il consenso unanime del Parlamento,
doveva portare ordine nella duplice legislazione allora vigente in materia di aiuti
ai Paesi poveri.
La legge, infatti, riuniva in una sola Direzione Generale per la Cooperazione allo
Sviluppo (DGCS) del MAE le funzioni
proprie del Dipartimento per la Cooperazione allo Sviluppo nato nel 1979 (legge
38) e quelle del cosiddetto Fondo Aiuti
Italiani (FAI) nato nel 1985 (legge 73).
Tuttavia, la storia di questa legge, che
pure aveva avuto il consenso unanime
del Parlamento, si segnala, a giudizio di
molti, come ampiamente disattesa o violata da parte di chi aveva la responsabilità
nella gestione degli strumenti che questa
legge metteva a disposizione.
L’originario testo, inoltre, ha subìto modifiche ed interventi che ne hanno ulteriormente vanificato la sua applicabilità in
un dedalo normativo (delibere, ordini e
comunicazioni di servizio, interventi normativi su singoli aspetti) che ne hanno
appesantito il già complicato iter burocratico.
n. 16 • giugno 2007
47
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
enti posizioni ancor che politiche essenzialmente culturali e di indirizzo.
In altre parole, quali contenuti e cornici
debbano avere una legge moderna sulla
cooperazione che faccia salvo l’aspetto
umanitario ma che non si appiattisca su
generiche forme d’aiuto. Insomma lo
sminamento di una zona dell’Afganistan
piuttosto che del Kossovo quali caratteristiche deve avere per essere aiuto umanitario. E ancora fornire assistenza (come,
in che modo, con quale profilo) alla
creazione di piccole e medie imprese nel
Ciad o in Ecuador lo si deve intendere
rientrante nella legge sulla cooperazione
o negli spazi del commercio estero e
dell’ICE?
Una sommaria disamina della legge consente altresì di indicare i punti particolarmente stridenti con i mutati scenari
nazionali ed internazionali; e obbliga,
parimenti, tutti i soggetti che per qualche
verso si occupano di cooperazione a porsi
degli obiettivi in relazione al contributo
da apportare. Questo vale anche per un’
Associazione, i cui compiti sono quelli
di promuovere la partecipazione delle
Autorità Locali anche intervenendo laddove è possibile nella discussione aperta
dalla formulazione della nuova legge.
In particolare occorre porre attenzione ad alcuni punti che possono avere
convergenza con l’azione e le finalità
dell’AICCRE.
E’ sempre bene ricordare come la legge
inizi con un’affermazione di principio
estremamente vincolante che non è male
ricordare: allorché recita: ”La cooperazione
allo sviluppo è parte integrante della politica
estera italiana…..” (art 1 § 1) in cui inte-
grante sancisce la stretta connessione tra
cooperazione e politica estera e ne sancisce altresì l’esclusiva titolarità al Ministero/Ministro degli Esteri in quanto rappresentante e gestore della politica estera
del Governo.
All’art. 2 poi sono elencate (§ 3) le attività
di cooperazione. Rientrano nella cooperazione allo sviluppo:
a) l’elaborazione di studi, la progettazione, la fornitura e la costruzione di impianti, infrastrutture, attrezzature e servizi,
la realizzazione di progetti di sviluppo
integrati e l’attuazione delle iniziative
anche di carattere finanziario…
c) l’impiego di personale qualificato per
compiti di assistenza tecnica
d) la formazione professionale e la promozione sociale dei cittadini dei PVS in
loco, in altri Paesi in via di sviluppo e
in Italia…. E la formazione di personale
italiano destinato a svolgere attività di
cooperazione allo sviluppo.
e) il sostegno alla realizzazione di progetti e interventi ad opera delle ONG
idonee anche tramite l’invio di volontari
e proprio personale nei PVS
f) l’attuazione di interventi specifici per
migliorare la condizione femminile e
dell’infanzia, per promuovere lo sviluppo
culturale e sociale della donna con la sua
diretta partecipazione.
h) la promozione dei programmi di educazione ai temi dello sviluppo, anche
nell’ambito scolastico, e di iniziative volte
all’intensificazione degli scambi culturali
tra Italia e PVS con particolare riguardo
a quelli tra i giovani.
Quanto specificato in alcuni passaggi
dell’art 2 sono da sottolineare perché
48
Comuni d’Europa
L'impegno dell'AICCRE per un ruolo più attivo degli Enti locali
interessano gli EELL in genere come
viene specificato al successivo §4:
“ Le attività di cui alle lettere a) c) d) e) f) h)
del § 3 possono essere attuate…… anche utilizzando le strutture pubbliche delle Regioni, delle
Province Autonome e degli EELL”
Se per la prima volta si fa menzione di
strutture pubbliche delle Regioni, delle
Province e dei Comuni appare del tutto
evidente come il ruolo assegnato loro,
sia del tutto marginale e di sostegno e
non già di autonoma capacità operativa
che necessiterebbe di una più articolata
definizione.
E’ evidente, a rileggere quanto detto
sopra, come la legge 49, disegni uno
scenario – e non potrebbe essere diversamente visti i tempi – connotato da una
marcata centralità dello Stato.
Al contempo proprio questa centralità
era messa in discussione non solo dagli
obblighi derivanti da accordi internazionali ma dalla specifica azione dell’allora
Comunità Europea che proprio in quegli
anni inizia a varare dei programmi di
partenariato.
Il partenariato, prende forma,è bene
ricordarlo, attraverso le Iniziative Comunitarie dotate di un budget irrisorio
rispetto all’economia generale ma pur
sempre di un budget (1% dell’intero
bilancio comunitario) e consentivano un
partenariato diretto tra autorità locali
senza necessariamente passare attraverso
la ripartizione regionali dei Fondi.
In tal modo non solo si favoriva ma
si fissavano le regole per una cooperazione tra Enti minori non necessariamente riconducibile alla cooperazione
allo sviluppo ma sicuramente prodroma
n. 16 • giugno 2007
di nuove responsabilità delle autorità
locali
PHARE, Echange de Esperience, Ecos,
UrbAL, AsiaUrb, MedUrb sono state
Iniziative Comunitarie spesso sfociate in
programmi comunitari ben più articolati e corposi ma qui preme sottolineare
non già la specificità dei Programmi
stessi quanto piuttosto il ruolo giocato
dei partecipanti e in primo luogo delle
autorità locali.
Il ferreo meccanismo italiano poneva,
su questo versante, non poche difficoltà
e svantaggi a fronte di Paesi comunitari
più istituzionalmente attrezzati
Basti pensare che era vietato alle Regioni
italiane di aprire uffici di rappresentanza
presso le Istituzioni comunitarie e questo
era un indubbio fattore di svantaggio.
Tutto cambia con l’approvazione della
Riforma Costituzionale. (L3/01) Essa
ha apportato novità significative nel rapporto tra lo Stato, le Regioni e il diritto
comunitario. La nuova ripartizione delle
competenze legislative, infatti, assegna un
ruolo affatto nuovo al legislatore regionale che è chiamato ad intervenire entro
confini materiali ben più ampi, all’interno
degli stessi limiti generali cui è sottoposto
il legislatore statale (cfr Cecilia Odone:
Regioni e diritto comunitario dopo la
Riforma del Titolo V. Osservatorio Legislativo Interregionale 2004).
L’art.117 §1 della Costituzione nella
nuova formulazione, infatti, stabilisce
che “La potestà legislativa è esercitata
dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto
della Costituzione nonché dei vincoli
derivanti dall’ordinamento comunitario
e dagli obblighi internazionali” e ancora
49
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
“Le Regioni e le province Autonome di
Trento e Bolzano, nelle materie di loro
competenza, partecipano alle decisioni
dirette alla formazione degli atti normativi
comunitari e provvedono all’attuazione e
all’esecuzione degli accordi internazionali
e degli atti dell’Unione Europea…. (art.
1 §5)
Appare del tutto evidente come anche
in materia di cooperazione verso i PVS
le modifiche apportate dalla Riforma
Costituzionale assegnino un ruolo affatto
differente al mero contributo previsto
dalla legge 49 nel citato § 4 dell’art.2 ed
impongano nuovi e più articolati rapporti segnatamente tra Stato e Regioni
medesime.
Le Regioni dunque non sono chiamate
ad apportare solo un sostegno logistico
e a contribuire in modo accidentale alla
realizzazione degli obiettivi che si prefigge la legge 49 ma concorrono, assieme
allo Stato, (Conferenza Stato-Regioni)
alla sua elaborazione e realizzazione.
Anche lo scenario internazionale è profondamente mutato con un aggravarsi
delle crisi in alcuni Paesi e con l’emergere,
nel caotico contrasto tra sviluppo e
democrazia – come noi comunemente la
consideriamo – di nuovi soggetti non più
definibili come PVS ma non ancora completamente affrancati da un moderno
sistema di relazioni e di welfare. Questi
Paesi sono conosciuti come Paesi àncora
La definizione di Paesi àncora è stata
qui mutuata da un pregevole lavoro del
CESPI (Cfr: Sistemi di cooperazione
a confronto:spunti per l’Europa) sulla
cooperazione e anche alcuni Parlamentari (cfr Sen. Mantica in questo stesso
numero) la riprendono per sottolineare
quanto si sia evoluto il concetto di PVS e
quanto siano necessarie distinzioni prima
superflue.
Il Senatore Mantica, tra l’altro, si spinge
oltre domandandosi, visto il diverso tasso
di povertà cui soggiacciono aree contigue o aree di uno stesso PVS, se sia più
proficua un’azione di sviluppo delle aree
già –relativamente – sviluppate in modo
tale da ingenerare ricchezza o se invece si
debbano sostenere le aree tra le più povere in modo da sopperire alla necessità di
bisogni primari.
E’ una suggestione che non dovrebbe
essere lasciata cadere nel vuoto.
Così che non sarà ininfluente se gli sforzi
saranno indirizzati verso quei Paesi che
oltre a quanto detto sopra esercitano
una forte capacità attrattiva, di ancoraggio appunto, per tutta l’area geo-economica; che sono i Paesi più grandi della
regione geografica di appartenenza o
che concentrano almeno il 20% del reddito regionale: Cina, India, Indonesia,
Pakistan, Thailandia, Egitto, Iran, Arabia
Saudita, Nigeria Sudafrica, Argentina,
Brasile, Messico Russia e Turchia.
Il concetto di povertà diffusa non lo si
deve, appunto, intendere riferita solo
al reddito pro-capite ma a quella rete di
servizi sociali (scuola, sanità, assistenza
sociale, tutela dei diritti e garanzie democratiche) tipiche delle società in cui forte
è l’intreccio tra sistema statuale e sviluppo.
Al contempo questi Paesi hanno grandi
potenzialità i cui effetti non saranno secondari nello scenario mondiale.
Dall’altro versante abbiamo gli altri Paesi
50
Comuni d’Europa
L'impegno dell'AICCRE per un ruolo più attivo degli Enti locali
che per alcuni versi paiono più sospinti
verso una povertà sempre maggiore ma
che sensibilità e strategie d’interesse nazionale, almeno tra le persone più avvertite, consigliano di modulare in modo
diverso.
Anche questa è una variante di non poco
conto nella nuova formulazione della
cooperazione allo sviluppo e definire un
quadro prioritario (con il contributo delle
Regioni) appare obbligatorio per non
fare d’ogni rappresentante delle Istituzioni un potenziale ministro degli esteri
che baldanzosamente si crede investito di
una missione talvolta più grande di lui.
In qualche modo, occorre dire, che almeno
nelle formulazioni sia del Governo sia
delle forze politiche che in Parlamento
hanno presentato pdl, quest’esigenza è
molto sentita e grande è l’attenzione a
porre rimedio al pericolo che ci si muova
sullo scenario internazionale in modo a
dir poco scombiccchierato
Sul fronte governativo ci si muove in uno
stretto confronto tra questo e le forze
della maggioranza che sta elaborando
un testo con quale confrontarsi in sede
parlamentare.
L’AICCRE è stata invitata ad un incontro
organizzato dalla Vice-Ministro Sentinelli
nel luglio scorso al MAE nel quale è stato
fatto un primo giro di orizzonte.
In quella circostanza sono state illustrate
le finalità dell’Associazione stessa e la sua
vocazione europea nonché l’interesse a
regole più precise circa la partecipazione
delle autorità locali al processo di realizzazione di progetti.
Questa posizione è stata espressa anche
in incontri organizzati dal gruppo de
n. 16 • giugno 2007
L’Ulivo in vista della presentazione così
come se ne è dibattuto nell’incontro del
4 aprile scorso con alcuni parlamentari e
con rappresentanti delle ONG non perdendo di vista la vocazione europea di
un’Associazione come l’AICCRE che si
è battuta in sede di Parlamento Europeo
per dare maggiore visibilità alle Autorità
Locali; battaglia che ha portato al voto
favorevole sulla risoluzione Schapira vice
sindaco di Parigi e Parlamentare del
PSE.
E’ bene ricordare inoltre che la Commissione Europea, infine nel luglio scorso
ha varato il regolamento 1082 (GECT)
attraverso il quale fissa le regole della
nuova cooperazione territoriale alla cui
radice sta la constatazione del cattivo
funzionamento dello strumento della
cooperazione comunitaria con le vecchie
regole.
Occorre dire che lo stesso termine territoriale è stato oggetto d’approfondito
e franco dibattito e fortemente voluto
dal Comitato delle Regioni per le implicazioni politiche che tale riconoscimento
determina. Va detto, inoltre, che da un
punto di vista operativo che esso, più che
nel passato, insiste sul Fondo europeo
di sviluppo regionale, sul Fondo sociale
europeo e sul Fondo di coesione accrescendo, in tal modo i mezzi destinati alla
cooperazione territoriale.
All’art.3 esso indica chiaramente i soggetti e tra essi in maniera del tutto paritaria vengono citati gli Enti Locali i quali
hanno il solo obbligo di rispettare il vincolo del riconoscimento da parte di una,
per ora non definita Autorità Nazionale,
e l’essere, il GECT, costituito da entità
51
LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
nelle varie sedi la propria posizione articolandola in vari modi. Si tratta di assumerla facendo leva sulle proprie specifiche
caratteristiche e sulle proprie specifiche
relazioni e competenze prendendo spunto dai punti messi qui sotto e che hanno il
solo scopo di favorire la riflessione e sui
quali discutere:
1) Da più parti ormai si rivendica un
ruolo più dinamico degli Enti Locali
e l’AICCRE dovrebbe, con questi
soggetti, nazionali e/o europei trovare organiche forme di contatto non
prescindendo da altri soggetti associativi che sul terreno operano e con
questi pervenire all’elaborazione di
una strategia o magari sottoporre
nelle sedi appropriate emendamenti
affinché anche gli Enti Locali trovino nella normativa una loro giusta
esaltazione.
2) La natura associativa che organizza
tutti i soggetti istituzionali presenti
sul territorio può essere la sede adatta
per dibattere e mettere a confronto opinioni sulla materia che poi,
magari, in sede di confronto della
Conferenza Unificata possono trovare una loro sintesi istituzionale. Per
questo, l’AICCRE dovrebbe promuovere dibattiti, incontri sia nazionali
sia regionali per incanalare in questo
filone le sue potenzialità e i suoi
compiti associativi.
3) Traendo spunto dalla Conferenza
Unificata, o meglio ancora dalla Conferenza Stato-Regioni, l’AICCRE si
potrebbe fare promotore di sollecitare
come a fianco del sistema Paese si sviluppi una sorta di sistema-Regione al
paritarie di almeno due Stati diversi.
Inoltre nel preambolo al citato Regolamento 1082 si legge: “L’adozione di
una misura comunitaria che consente
di costituire un GECT, non esclude,
tuttavia la possibilità che entità di paesi
terzi partecipino ad un GECT costituto
in conformità al presente Regolamento
qualora la legislazione del paese terzo o
gli accordi tra Stati membri e paesi terzi
lo consentano”
Appare del tutto evidente come queste
norme obbligano ad una ridiscussione,
anche in chiave europea e comunitaria, di
tutte le norme che finora hanno regolato
la cooperazione compresa quella degli
enti locali che come si è visto attualmente
è molto relegata a ruoli di sussistenza.
Il quadro delineato indica forse una
non poca confusione ma sicuramente
un grande e positivo movimento verso
una dimensione più adatta ai tempi della
cooperazione stessa.
Non di poco conto è quello di tentare una
netta distinzione tra emergenza e programmazione e tali distinzioni appaiono
fondamentali per incanalare la cooperazione entro l’ alveo programmato dello
sviluppo.
La cooperazione deve seguire una sua
specifica programmazione, vincolata alla
politica estera, che innanzi tutto moduli la
cooperazione stessa attorno all’esigenza
dei beneficiari ma avendo presente altresì
la strategia Paese in un sistema complesso e articolato che esalti le specificità
regionali e ne rispetti quanto previsto
dalla Costituzione.
Come Associazione si tratta dunque di
un’occasione interessante per esporre
52
Comuni d’Europa
L'impegno dell'AICCRE per un ruolo più attivo degli Enti locali
cioè di proporre e gestire progetti.
Queste figure, sono per certi versi da
inventare e sostenere. In quest’ottica
la “Consulta dei funzionari” prevista dall’art.10 dello Statuto potrebbe
essere uno strumento che può favorire
il confronto e produrre idee in materia
e pertanto un compito cui l’AICCRE
potrebbe assolvere, sarebbe quello, in
stretto contatto tra Centro e Federazioni regionali, di promuovere incontri, dibattiti e formazione allo scopo
di contribuire alla individuazione di
Enti e soggetti capaci di ben operare
nel terreno ricco e impegnativo della
cooperazione.
cui interno i vari soggetti trovino una
rappresentanza e forme di partecipazione. Attraverso questi strumenti si
potrebbe arrivare ad una sintesi da far
valere presso il soggetto che dovrebbe
avere la responsabilità gestionale vale
a dire il Ministero degli Esteri.
4) Nell’illustrazione della legge e delle
proposte di modifica si è volutamente tralasciata tutta quella parte che
riguarda il cosiddetto “personale in
missione” E’un terreno estremamente
delicato poiché appare del tutto evidente come anche per gli Enti Locali
vi sia la necessità di poter contare su
figure professionali specifiche, capaci
n. 16 • giugno 2007
53
CONTRIBUTI E OPINIONI
Un progetto di respiro europeo:
a Udine il Bilancio Sociale
di Sergio Cecotti
Sindaco del Comune di Udine
Diciotto gennaio 2007. Questa la data
in cui nella Regione del Friuli Venezia Giulia viene realizzato per la prima
volta da un’Amministrazione Comunale
il Bilancio Sociale. E il protagonista di
questa operazione è il Comune di Udine,
una realtà del settore pubblico che si sta
contraddistinguendo per la capacità di
essere all’avanguardia nella comunicazione istituzionale.
Un percorso iniziato con la creazione di
un nuovo logo per la città. Una nuova
identità visiva per veicolare l’immagine
di un Ente giovane e moderno, ma
legato con forza alle tradizioni, alla sua
storia e al suo territorio. Un processo di
rinnovamento conclusosi con la realizzazione del manuale d’uso d’immagine
coordinata per delineare le linee guida
di un corretto utilizzo che assicuri il
rispetto dell’identità visiva comunale e
che ha fatto emergere con forza la capacità comunicativa dell’Amministrazione
Comunale.
Un modus operandi che si è ripetuto
anche nel progetto del Bilancio Sociale.
Un’iniziativa multidimensionale che racchiude aspetti differenti come lavoro di
squadra, partecipazione, dialogo, ascolto,
trasparenza.
Ma cos’è il Bilancio Sociale?
Uno strumento per migliorare il rapporto
con il cittadino. Una nuova prospettiva di
relazione e di dialogo con l’abitante della
città, che diventa il primo stakeholder del
Comune. Un approccio che mette il cittadino al centro dell’azione di governo.
Una pratica che il pubblico ha trasferito
dal privato. Non è stata, però, una semplice trasposizione, ma uno strumento che le pubbliche Amministrazioni,
Comuni in primis, hanno saputo contestualizzare alla realtà della proprio sfera di
attività. Il Bilancio Sociale si inserisce in
un percorso nuovo, quello di un approccio citizen oriented, che contraddistingue le
realtà europee. Un approccio integrato
sistemico ai servizi, alle politiche per la
qualità della vita, alla vivibilità, ma che ha
sempre il cittadino al centro. Gli abitanti
del territorio rappresentano i veri stakeholder, che negli ultimi anni manifestano
il bisogno di capire come sono spesi i
loro soldi e sopratutto in quali ambiti
vengono distribuite le risorse.
Un progetto che non è localista, ma che
va oltre i confini del Comune per la sua
capacità di tracciare un percorso nuovo
54
Comuni d’Europa
Un progeto di respiro europeo: a Udine il Bilancio Sociale
nell’intendere il rapporto con il cittadino.
Una “buona pratica” che pone Udine
all’avanguardia nel panorama nazionale e
lo colloca in una posizione di completa
adesione alle nuove politiche europee
di governance e democracy. Uno strumento
che si inserisce nella nuova filosofia tracciata dall’Unione Europea per la Pubblica Amministrazione, dove aspetti come
ascolto, partecipazione e responsabilità
sono concetti cardine nel rapporto con il
cittadino europeo, sempre più attento e
critico nella valutazione dei servizi.
Ma l’esperienza del Bilancio sociale di
Udine si caratterizza anche per essere
costruito secondo una prospettiva innovativa, con una visione della comunicazione pubblica che individua nella città un
vero e proprio attore dello spazio pubblico, disegnandola come un territorio più
vivibile, una città a misura del cittadino,
una città più vicina, una città più solidale,
una città che sa educare e formare, una
città per i giovani, una città turistica e
salotto della cultura, una città sportiva.
È questo l’indice del Bilancio Sociale
del Comune di Udine, introdotto da un
capitolo sull’identità e sull’universo valoriale di riferimento, e da una premessa
sull’assetto organizzativo e il rendiconto
economico.
Ogni capitolo, poi, ha voluto spiegare
attività, progetti, eventi e manifestazioni
per far emergere il portato delle scelte,
del programma e delle modalità di intervento del Comune di Udine, sulla base
dei tratti identitari e peculiari della città.
Un tratto comunicativo che contraddistingue il progetto è rappresentato dalla
forte relazionalità insita in esso. Il Bilann. 16 • giugno 2007
cio Sociale non esprime solo la volontà
di spiegare e illustrare al cittadino i progetti, le iniziative e gli eventi realizzati: il
Comune ha dimostrato capacità di storytelling, che significa raccontare al cittadino
i servizi, i progetti, le attività.
Il linguaggio utilizzato semplice, comprensibile e chiaro, è volto a facilitare il
cittadino nella lettura e nella comprensione delle diverse sezioni. Un registro
linguistico che non cerca di convincere
e persuadere, ma di illustrare per soddisfare il bisogno di trasparenza degli
abitanti di Udine.
Queste le peculiarità del progetto, realizzato dall’Ufficio Comunicazione, sotto la
supervisione della responsabile, Marina
Galluzzo, con la collaborazione di Andrea Altinier, che si è occupato della realizzazione dei testi e con la consulenza
scientifica di Francesco Pira.
Caratterizzante anche il layout e
l’impostazione grafica della pubblicazione: uno stile friendly e moderno, ma
in una certa misura anche simbolico e
evocativo. Un profilo grafico comunicativo e leggibile, in grado di catturare e
mantenere l’attenzione del lettore e che è
stato declinato in tutti gli altri strumenti
di comunicazione utilizzati, compreso
l’online.
L’importanza del progetto è stata sottolineata dallo sforzo compiuto per una
estesa divulgazione sul territorio che ha
visto la distribuzione di 17.500 copie del
volume, distribuite con varie modalità
alle famiglie udinesi, oltrechè la realizzazione di una sezione online dedicata al progetto sul sito www.comune.
udine.it. Un’operazione che ha garantito
55
CONTRIBUTI E OPINIONI
di Udine. Un progetto sperimentale, un
laboratorio di crescita che ha gettato i
prodromi per il miglioramento costante
e continuo.
Una modalità di partecipazione anche
per riavvicinare la gente alla politica,
e dare un’immagine nuova e carica di
un diverso appeal al settore pubblico,
attraverso un’iniziativa che fornisce un’
interazione diretta di relazione e valutazione per il cittadino.
È un documento che ha un significato
di partecipazione, trasparenza e comunicazione. La sua realizzazione è dettata
da quello che dovrebbe essere il senso di
responsabilità che guida ogni pubblica
amministrazione. Questo è il valore che
ha spinto il Comune di Udine verso il
Bilancio Sociale, verso l’innovazione e la
modernità. Verso l’Europa.
un’importante esposizione al Bilancio
Sociale e a un’elevata potenzialità di penetrazione e efficacia. Una collaborazione
per raggiungere il più ampio numero
possibile di cittadini.
Ma con la comunicazione del Bilancio Sociale l’Amministrazione ha offerto
al cittadino anche uno strumento di
democracy integrato: il forum organizzato sul sito internet dove ogni cittadino
può esprimere opinioni, commenti e
valutazioni sul progetto realizzato oltre
che proposte e suggerimenti per le future
edizioni.
Una comunicazione e partecipazione globale, anche a livello di struttura interna
dove si è saputo lavorare in staff mettendo insieme competenze e professionalità diverse, per migliorare il dialogo con
il cittadino e per far crescere il Comune
56
Comuni d’Europa
CONTRIBUTI E OPINIONI
Giustizia sociale:
quale risposta a questa domanda?
di Michele Scandroglio
Segretario generale aggiunto dell'Aiccre
di una regola universale, nella speranza
che le organizzazioni internazionali si
adoperino, mutando loro stesse, per dare
corpo ad un embrione d’autorità mondiale.
Come non rendersi conto che la più
grande sfida del Terzo Millennio è quella
posta dall’interpretazione, comprensione
e gestione delle differenze, del pluralismo?
Qual è l’unica risposta se non la ricerca
di un ordine sociale globale, fondato sulla
libertà e la dignità di ogni essere umano:
un umanesimo integrale e solidale?
La pace, e dunque lo sviluppo, si realizzerà tendenzialmente solo quando i
pubblici poteri della comunità mondiale
saranno chiamati complessivamente ad
affrontare e risolvere i problemi a contenuto economico e di giustizia sociale,
con l’obbiettivo di porre in essere il
tentativo di realizzare il “bene comune
universale”.
Come non fosse chiaro che non si può
più credere ad un mondo diviso in aree di
solo benessere ed aree di sola sofferenza,
l’esplosione delle periferie nelle metropoli occidentali e il flusso migratorio dalle
zone del sottosviluppo verso i lidi del
Il nuovo nome della Pace è “Sviluppo solidale dell’umanità ed integrale dell’uomo”,
non è solo questione di dimensione economica, ma anche culturale. Lo sviluppo
è la risposta alla domanda di giustizia
sociale, può garantire la pace planetaria e
realizzare dunque un umanesimo globale.
Pensare alla giustizia sociale tra le nazioni
implica affrontare una tesi, non nuova,
ma considerata ancora ardita: quella del
Governo mondiale.
Le società post-industriali hanno oramai
convenuto sull’insufficienza delle ideologie a rispondere alle sfide contemporanee
della condizione giovanile e femminile,
delle diversità, dell’incremento demografico, dell’influsso dei media, dei processi di
migrazione, della disoccupazione, della
difesa dell’ambiente, dell’urbanizzazione,
della precarietà endemica, dello sfruttamento del lavoro infantile. Questi temi,
già direttamente od indirettamente sottolineati dalla rerum novarum e sempre riproposti aggiornati sino alla laborem exerceus,
tratteggiano le preoccupazioni per un
sistema sempre più globale, ma sempre
più senza guida.
Nella sua più squisita accezione spirituale
la Chiesa si offre come modello morale
n. 16 • giugno 2007
57
CONTRIBUTI E OPINIONI
benessere, sono gli inneschi che faranno
deflagrare il mondo, se non vi saranno
urgenti interventi correttivi.
“Istituire una qualche autorità pubblica
universale, da tutti riconosciuta, che goda
di un potere effettivo per garantire a tutti
sicurezza, giustizia e rispetto di diritti”,
non sono le parole di Isaac Asimov, ma
di Giovanni XXIII.
La nuova frontiera non può più essere
solo l’Europa che pure è un tassello indispensabile allo sviluppo, ma il mondo.
L’individuazione di un’Autorità mondiale, non limitativa dei pubblici poteri e
dei singoli stati, ma figlia di un sentire
avvertito costantemente, quello di realizzare le condizioni per adottare misure
coordinate ed utili a conseguire un
ordinamento internazionale di maggiore spessore ed autorevolezza, è la
sfida che ci consentirà, dopo averla
superata anche di affrontare l’ansia e
la percezione di precarietà del mondo
intero.
La globalizzazione, come avevano fatto,
sia pure in modo diverso, sia la I° che la
II° guerra mondiale, crea la drammatica precondizione necessaria alla nuova
frontiera, per dare al futuro speranza e
sviluppo.
L’aspettativa di pace che si immagina
di creare dando vita sin dal 1920 alla
Società delle Nazioni, la loro evoluzione
nelle Nazioni Unite (ONU) ed il processo di formazione della Comunità economica europea sino alla introduzione
di un Parlamento europeo, sono prodromiche alla realizzazione di un Governo
Mondiale, in altre parole la “creazione di
un’Organizzazione internazionale capace
di realizzare il bene comune universale”.
Quale egoismo cieco continua a trattenere i governi nazionali dal rinunciare a
parti del proprio potere per conferirlo ad
una sovranità internazionale, capace di
tendere alla realizzazione di un processo
di sviluppo e di pace?
Il pensiero federalista, nelle teorizzazioni
di Kant e Seeley, ha come punto di riferimento costante la ricerca della pace
universale, attraverso il superamento del
concetto stesso di nazione.
Anche Spinelli e Rossi nel Manifesto di
Ventotene ragionavano, sia pure in nuce,
intorno al governo del mondo: “E quando superando l’orizzonte del vecchio
Continente si abbracciano in un insieme
d’unioni tutti i Popoli che costituiscono
l’umanità, bisogna pur riconoscere che la
Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli
asiatici ed americani si possano svolgere
su una base di politica cooperazione
nell’attesa di un più lontano avvenire,
in cui diventi possibile l’unità politica
dell’intero globo” (Manifesto di Ventotene).
Dalla I guerra mondiale alla globalizzazione, il percorso si è realizzato con mille
sfaccettature impreviste, ma è giunto al
nodo: il mondo senza un governo è destinato alla consunzione.
“Un nuovo ordine per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà,
impegnato in un forte senso di solidarietà
sociale …” (Manifesto di Ventotene).
Appare chiaro che, seppure da angoli
assai differenti, eminenti personalità che
con onestà intellettuale hanno sempre
guardato avanti, ragionando intorno a ciò
58
Comuni d’Europa
Giustizia sociale: quale risposta a questa domanda?
che è meglio per l’individuo, identificano
nell’universalità della politica il primo
obiettivo per dare una chiara risposta alle
sfide del Terzo Millennio.
Sta a noi, società civile e politica, nella
prospettiva del bene comune, riuscire a
far sì che si rafforzi un processo di sintesi
tra un più recente universalismo laico e
quello cristiano, che attraverso la propria
forza trascendentale ha dato corpo alla
dimensione globale della pace.
Illudersi che il nazional-europeismo sia la
n. 16 • giugno 2007
soluzione è falso, che sia una tappa indispensabile, invece è giusto.
Da oggi ogni azione della nostra vita
deve essere informata alla più ampia
visione di un percorso che deve portarci
alla creazione di un grado superiore di
ordinamento internazionale.
Il raggiungimento del bene comune può
divenire un obiettivo a portata di mano,
la metamorfosi delle organizzazioni
sopranazionali ed inter-governative devono esserne lo strumento.
59
CONTRIBUTI E OPINIONI
L'orso europeo
è partito da Ravenna...
di Graziella Ricci
Responsabile Ufficio Politiche Europee del Comune di Ravenna
L’Ufficio Politiche Europee del Comune
di Ravenna, nella sua azione di promozione e sensibilizzazione sui temi della
cultura e della cittadinanza europea si
rivolge alle giovani generazioni ed in particolare al mondo dell’infanzia.
Grazie alla stretta collaborazione con
la Cooperativa culturale Raccolto1, ed
all’attenzione particolare del suo Presidente, Daniele Oppi, artista e uomo
di impegno civile e sociale, nel 2005
conoscemmo “L’orso europeo, ovvero il
negozio dei giocattoli” poemetto inedito
di Gianfranco Draghi, scritto nel 1952
per sensibilizzare già allora le giovanissime generazioni sui valori della pace
e della tolleranza fra i popoli, dopo gli
orrori della guerra.
Condividemmo l’idea di offrire ai bambini d’Europa il vivace libretto, di far
conoscere in particolare ad una scuola di
Ravenna il poemetto, per verificare la sua
efficacia come strumento di stimolo, di
coinvolgimento dei bambini su argomenti all’apparenza così “adulti”.
Era nostra convinzione che il testo, con
la sua carica poetica, sarebbe stato di
stimolo, liberando la fantasia dei ragazzi,
moltiplicando le possibilità di immagina-
zione proprie dell’età infantile, consentendo ampi spazi di interpretazione agli
insegnanti.
Il libro fu monitorato attraverso un
sapiente e felice progetto interpretativo
svoltosi a Ravenna, tra venticinque alunni della classe 5A della scuola elementare Giuseppe Garibaldi, che si misero
all’opera guidati dalle insegnanti Paola
Argelli, Mariagrazia Coralli, Raffaella
Guerra2.
Su una bozza provvisoria del nascituro
libretto si animò un percorso che condusse direttamente all’interno di un circo
mirabolante.
La lettura del testo suscitò grande entusiasmo nei ragazzi: i fenomeni espressivi
si sono succeduti a cascata generando
lavori poetici, letterari, di recitazione,
di invenzione teatrale, di individuazione
di motivi musicali, di pittura e disegno,
creazione di oggetti, poster, copertine,
collages, disegni simbolici delle nazioni
d’Europa, acrostici, memory, slogan e
tautogrammi.
Rilevante il fenomeno di assimilazione
e identificazione fisica interpretativa di
singoli alunni nell’immagine /personaggio di singole Nazioni: un bambino
60
Comuni d’Europa
L'orso europeo è partito da Ravenna...
maggio 2005, momento in cui Gianfranco Draghi ricambia la visita. In occasione
dell’Atelier la Cooperativa il Raccolto
con la condivisione e su richiesta del
Comune di Ravenna pubblicò, attraverso
la sua casa editrice Raccolto Edizioni, il
racconto di Gianfranco Draghi accompagnato dall’esperienza dei bambini che a
Ravenna lo avevano fatto rivivere presso
i banchi di scuola (nel “Circo ….e non
solo”).
L’Orso continuò il suo viaggio ed il 29
novembre 2005 fu dentro i locali della
chiesa romanica di S. Alessandro a Fiesole, in compagnia dei ragazzi della classe
5° della scuola elementare del Girone, in
uno spettacolo da essi creato ispirandosi
alla commedia dell’Arte.
Nell’anno scolastico 2006/2007 un altro
piccolo passo si compie sul sentiero
d’Europa. Prendendo spunto dal successo dell’esperienza della scuola Garibaldi e
per non disperdere la validità dei risultati
il Comune di Ravenna ne promuove
la diffusione attraverso la realizzazione
di un nuovo progetto “L’orso europeo
parla ai bambini d’Europa… sulle note
dell’Europa”, patrocinato dalla Regione
Emilia Romagna che ne supporta la realizzazione. Ad accogliere l’Orso europeo
sono le classi quinte della scuola elementare Iqbal Masih di Lido Adriano e le
prime classi della scuola media Mario
Montanari, in una zona della città i cui
abitanti provengono per la maggior parte
da diversi paesi stranieri. Qui l’Europa
è la tolleranza, è il valore aggiunto della
diversità delle culture che si integrano.
Nel percorso gli alunni sono accompagnati da 7 insegnanti e da Andrea Lama
diventa francese o greco, una bimba è
tedesca o russa, persino nell’inflessione
dell’accento, e così via.
Le valigie diventano il simbolo stesso
del Viaggio e dell’incontro e appaiono
come scatole a sorpresa da cui trarre le
immagini dei paesi di provenienza. Il
nuovo contenitore scenico scaturito dal
negozio dei giocattoli diventa un mirabolante Circo delle meraviglie.
Il tutto si è svolto all’interno di un vero e
proprio percorso metodologico didattico
che ha abbracciato tutte le materie secondo i criteri dell’interdisciplinarietà e ha
coinvolto attivamente fin dall’inizio tutti
i bambini della classe secondo metodologie ispirate al “Cooperative Learning”.
La manifestazione teatrale vera e propria
fu presentata come spettacolo interattivo a Ravenna, alla presenza dei genitori
degli alunni di tutta la scuola nel marzo
del 2005.
La curiosità verso il personaggio-autore
del libretto si acuì e così il Comune di
Fiesole, dove vive e lavora su una collina boschiva il vecchio papà dell’Orso
europeo Gianfranco Draghi, diventò la
meta di trasferta di tutto il circo ravennate: la Compagnia dell’Orso europeo
incontrò gli alunni di Fiesole, organizzati
dall’Assessore alla Pubblica Istruzione di
quella località, e lì si esibì nella sua prima
replica. Nacque a Fiesole il dialogointervista tra i bambini e Gianfranco
Draghi, presenti anche gli insegnanti ed
i genitori di Fiesole e Ravenna. La tappa
successiva fu l’Atelier-Mostra dal titolo
“L’Orso europeo….il circo e non solo”
promossa dall’Ufficio Politiche Europee
del Comune di Ravenna, svoltosi il 14
n. 16 • giugno 2007
61
CONTRIBUTI E OPINIONI
che a suon di musica e canzoni conduce
tutti ad immaginare l’Orso europeo nella
quotidianità di quel loro paese.
“Tutto è partito da qui, dalla lettura in
classe della fiaba dell’Orso europeo; dal
negozio di giocattoli dov’è ambientato
il racconto che, come per magia, si è
concretizzato all’interno della classe ed il
carattere delle bambole dei diversi paesi
ha stimolato simpatie ed antipatie nei
ragazzi e nelle ragazze che ascoltavano.
Non era più “il negozio di giocattoli” ma
il proprio paese, la propria città; così le
bambole, il cavallo irlandese, i burattini
e la tigre di stoffa ad un tratto si sono
trasformati nei singoli amici ed amiche:
nei propri vicini di banco!” Afferma
Andrea Lama, l’operatore che ha supportato tutte le attività ed il lavoro degli
insegnanti e dei ragazzi.
Da questa trasposizione nel reale, è nata
la voglia di tradurre il viaggio che l’Orso
aveva compiuto, in un viaggio teatrale e
musicale, con canzoni scritte ad hoc e con
una piéce teatrale che hanno trasformato
il progetto educativo in un viaggio dove
le diverse caratteristiche dei paesi europei
hanno trovato una contestualizzazione e
quindi una più immediata comprensione
da parte degli alunni.
E’ da qui che parte il viaggio teatrale, da
questo paese multietnico dove la scuola
vive da tempo esperienze di confronto
fra diverse culture e dove i ragazzi e
le ragazze manifestano le loro identità
definendo un contesto comune dove
interagire.
Il progetto ha rappresentato una situazione di arricchimento culturale, perché ogni alunno ed alunna, ha potuto
far conoscere ai compagni di classe le
proprie radici con varie tecniche espressive: con un disegno della maschera del
proprio paese, con le parole di una canzone della propria nazione (macedone,
marocchina, albanese, etc…) ed allo stesso tempo, l’acquisizione di altri saperi ed
altre immagini di “cultura europea”.
Anche l’esperienza di quest’anno è stata
documentata e descritta in una piccola
pubblicazione grazie alla collaborazione
della Cooperativa Raccolto che ha curato
la nuova edizione de “L’Orso europeo….
sulle note dell’Europa” 3.
Commenta il Sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci: «Il Comune di Ravenna, per primo, ha suscitato nella scuola
l’interesse per il testo di Gianfranco
Draghi: dalla scintilla dell’opera poetica è
scaturito l’innamoramento delle insegnanti che hanno saputo registrare l’empatia
dei giovanissimi lettori, accompagnando
amorevolmente le invenzioni creative dei
bambini. Il risultato è testimoniato da
una ricchissima produzione creativa, documento tangibile di una fioritura di opere
che riguardano tutte le discipline, che noi
adulti chiamiamo “delle arti”. L'allora
Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha letto la fiaba, e così la commenta rivolgendosi a Gianfranco Draghi:
“... delicata e apprezzabilissima favola in
cui il Suo spirito europeista si traduce in
lieve poesia per le giovanissime generazioni...” Ci auguriamo tutti che le valige
con le quali l'Orso europeo è partito da
Ravenna siano il bagaglio di un viaggio
che non finisca mai, e che girando per
le strade d'Europa possa incontrare tanti
bambini e bambine. Sarà una volta di più
62
Comuni d’Europa
L'orso europeo è partito da Ravenna...
confermato che l'opera d'arte, la poesia,
la creatività sono la miccia che accende
la conoscenza, il sapere, la crescita di
ogni individuo. In questo caso europeo,
s'intende».
(MI) - Tel. 0331-875337 / 0331-873928 –
Fax 0331-876557 - www.raccolto.org - e-mai
[email protected]
2 “Percorso metodologico - didattico - Classe
quinta A della scuola Giuseppe Garibaldi di
Ravenna”, Raccolto Edizioni
3 “L’orso europeo…sulle note dell’Europa”
progetto didattico ispirato da “L’orso europeo.
Ovvero il negozio di giocattoli” di Gianfranco
Draghi – Raccolto Edizioni
NOTE
1 RACCOLTO – APE - Centro Studi della
Cooperativa Raccolto Scarl - Cascina del
Guado – 20020 Robecchetto con Induno
n. 16 • giugno 2007
63
CONTRIBUTI E OPINIONI
Maghreb: rilanciamo
il processo di Barcellona
di Alberto Isetta
Responsabile locale di SECUM (Sciences, Education et Cultures en Méditerranée)
Il 2007 è considerato un anno chiave per
l’Europa e i suoi vicini: dal 1° gennaio
Romania e Bulgaria sono due nuovi Stati
membri dell’Unione europea mentre, a
partire dalla stessa data, è entrato in vigore il nuovo Strumento finanziario di
Vicinato e Partenariato (2007-2013), che
sostituisce i programmi regionali TACIS
(Paesi dell’Est e Russia) e MEDA (Paesi
del Sud del Mediterraneo). A ventuno
mesi dal lancio ufficiale della Politica
Europea di Vicinato, è ancora difficile
poter avanzare un bilancio, dal momento
che i progetti in essa contenuti riguardano
esclusivamente una prospettiva temporale di lungo termine. Tuttavia, secondo
uno dei periodici report della Commissione europea datato 4 dicembre 20061,
i primi mesi di intenso lavoro hanno gettato le basi necessarie per la realizzazione
di importanti progressi in quest’ambito.
Spetterà ora all’Unione europea e ai
suoi partner dare credibilità e continuità
alla Politica di Vicinato, rinforzandola
a partire dalle sue stesse fondamenta: il
Processo di Barcellona.
Tale Processo, sbocciato in occasione
della prima Conferenza euro-mediterranea di Barcellona (1995), pervade forte-
mente i documenti strategici dell’Unione
europea in materia di Politica di Vicinato.
L’esperienza del Partenariato euro-mediterraneo, poggiante sui tre assi -politico
e di sicurezza, economico e finanziario e
sociale e culturale – è preso come esempio di gestione attenta e prudente di aree
geografiche molto vaste ed eterogenee.
Ne è riprova il fatto che le stesse tre
parole cardine del Processo di Barcellona, stabilità – prosperità – sicurezza,
compaiano ripetutamente nelle principali
Comunicazioni della Commissione europea inerenti la Politica di Vicinato2.
Rilanciare il Processo di Barcellona,
facendo leva sui numerosi risultati riportati nell’area mediterranea, significherebbe in primo luogo dare un decisivo
impulso alla Politica di Vicinato, il cui
controllo appare oggi assai complesso.
A tal proposito, sarebbe anche lecito
chiedersi se l’arduo compito di rivitalizzare tale Processo spetti esclusivamente
all’Europa, all’interno della quale fervono
i dibattiti relativi ai processi decisionali e
alla Costituzione europea, o se questo
impegno possa essere portato avanti in
modo efficace con la partecipazione attiva
di alcuni partner dell’Unione, come i Paesi
64
Comuni d’Europa
Maghreb: rilanciamo il processo di Barcellona
politici, hanno palesato una realtà politica
composta da entità nazionali vicine, a
volte amiche, ma sempre distinte e giammai federate.
Ad oggi non esiste alcuna struttura né
politica, né economica, di natura associativa o federativa, che leghi profondamente questi cinque Paesi. La stessa sigla
identificativa dell’UMA possiede un altissimo significato evocativo, dal momento che richiama l’Umma, vale a dire la
comunità musulmana. Ciononostante,
essa corrisponde più ad una aspirazione
piuttosto che a una realtà: la frontiera
algero-marocchina, per esempio, è di
nuovo chiusa dal 1994, la questione del
Sahara occidentale condiziona pesantemente le relazioni tra Algeria e Marocco,
il contenzioso tunisino-libico in seguito
all’espulsione dei lavoratori tunisini dalla
Libia ha lasciato degli strascichi polemici
tra questi due Paesi.
L’Unione europea, mantenendo una
doverosa equidistanza dalle dinamiche
interne alla regione nordafricana, pare
incoraggiare fortemente la cooperazione
sub-regionale e l’integrazione dei Paesi a
sud del Mediterraneo, ivi compresi quelli
maghrebini. Ad oggi l’Europa rappresenta, per i Paesi del Maghreb, il primo partner economico-commerciale dal quale
diventa sempre più difficile prescindere.
A fronte di questo dato, tuttavia, bisogna
anche sottolineare la grave debolezza
degli scambi commerciali intra maghrebini, le cui cifre raggiungono livelli del
tutto trascurabili.
La realizzazione di un progetto politico
unitario, che coinvolga oltre a Marocco,
Tunisia e Algeria anche Libia e Maurita-
del Maghreb. Algeria, Tunisia e Marocco,
al di là dei numerosi ed intensi legami
storici, economici e culturali con la Francia e l’Europa in generale, rappresentano
quel nucleo primario di Paesi attorno al
quale è stato possibile costruire l’idea
di un Partenariato euro-mediterraneo,
finalizzato al dialogo politico tra le due
sponde, all’intensificazione degli scambi
commerciali, alla lotta contro i traffici
illeciti nel Bacino del Mediterraneo.
Benché nella regione “dove tramonta il sole”
esista dal 1989 un’organizzazione regionale caratterizzata da grandi ambizioni,
l’Unione del Maghreb Arabo (UMA), i
tentativi di una reale integrazione politico-economica si sono dimostrati fino
ad ora tristemente infruttuosi. La lotta
comune per l’indipendenza fece rivivere
nel XX secolo una forte solidarietà maghrebina, che si sarebbe espressa, in maniera emblematica, nell’appoggio da parte
dei marocchini, dei tunisini e dei libici a
favore della causa algerina, finalizzata alla
liberazione dal giogo coloniale francese
(fatto che si verificherà nel 1962 dopo
anni di aspri e sanguinosi combattimenti).
Tuttavia, una volta realizzati i tanto agoniati progetti di indipendenza nazionale,
affiorarono numerosi problemi connessi
alla gestione e allo sfruttamento delle
ingenti risorse minerarie, di cui è ricchissima l’intera regione maghrebina, e alle
conseguenti rivendicazioni territoriali. I
differenti regimi politici instauratisi nei
Paesi del Maghreb, unitamente alle manifeste apprensioni verso un progetto di
unificazione, alle molteplici dichiarazioni
di intenti rimaste tali, al comportamento
pro-nazionalista di alcuni responsabili
n. 16 • giugno 2007
65
CONTRIBUTI E OPINIONI
nia, produrrebbe un potere di negoziazione più forte nei confronti dell’Europa,
il cui baricentro politico-economico si
è spostato ulteriormente verso Est con
la partecipazione di nuovi attori nella
Politica estera dell’UE: Balcani Occidentali e Russia. I primi sono considerati
potenziali membri dell’Unione, mentre la
seconda rappresenta non solo un vicino
importante, ma anche un partner strategico di indubbia rilevanza, in grado di
calamitare l’interesse dell’Europa e dei
suoi Stati membri a discapito dell’area
mediterranea.
Un solo interlocutore maghrebino sarebbe, inoltre, in grado di avanzare con rinnovato vigore le proprie esigenze e i progetti con cui soddisfarle riducendo, da un
lato, le disparità che discendono dai classici rapporti bilaterali (UE-singolo stato)
e comportando, dall’altro, un’allocazione
più efficiente dei fondi stanziati a sostegno della riva Sud del Mediterraneo.
Attualmente, le procedure seguite
all’interno della Politica di Vicinato
prevedono che i Piani d’Azione, che definiscono sostanzialmente i programmi di
riforme economiche, sociali e politiche
a corto e medio termine (3-5 anni) per
i Paesi a Sud del Mediterraneo, siano
negoziati dall’UE e dal singolo stato sulla
base degli interessi di quest’ultimo e,
naturalmente, dell’Europa. In questa delicatissima fase di concertazione, dunque,
sarebbe auspicabile il non verificarsi della
“teoria del rilancio del precedente”, che
troppo spesso ha viziato, negli anni precedenti, le fasi preliminari degli accordi
tra UE e Maghreb. In base a questa
teoria, infatti, ciascun Paese sarebbe por-
tato a richiedere condizioni economiche,
finanziarie e commerciali più vantaggiose
rispetto a quelle garantite agli altri Paesi
impegnati in negoziazioni simili. Uno
scenario di questo tipo non farebbe che
aprire nuove fratture all’interno dello
spazio euro-maghrebino e, di conseguenza, nell’ambito del Processo di Barcellona che anima fortemente tanto lo
spirito quanto l’azione della Politica di
Vicinato.
Di una realtà politica maghrebina, più
compatta e coesa, ne beneficerebbero
anche le relazioni internazionali: in primo
luogo la normalizzazione dei rapporti tra
l’Europa e la Libia, che ha recentemente
annunciato di essere disposta ad un’ apertura verso il Processo di Barcellona; in
secondo luogo, l’implicazione della Mauritania potrebbe assicurare a quest’ultima
una nuova fase nel quadro della cooperazione con l’Unione.
L’Unione europea e la regione maghrebina condividono diverse sfide comuni, corrispondenti ai tre capitoli della
Dichiarazione di Barcellona: la stabilità
politica, la pace, la zona di libero scambio
entro il 2010, il dialogo interculturale, la
lotta contro il terrorismo internazionale
e la questione dell’immigrazione illegale.
Questi obiettivi possono essere realizzati solo attraverso una cooperazione
più intensa tra interlocutori regionali
solidi e credibili, ciascuno dei quali deve
poter godere di una posizione di assoluta
equità nei confronti degli altri.
NOTE
1 SEC(2006) 1504/2.
2 Cfr. Europa ampliata – Prossimità: un nuovo
66
Comuni d’Europa
Maghreb: rilanciamo il processo di Barcellona
contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali, COM(2003), 104
finale, Bruxelles Marzo 2003; Politica europea di Prossimità: documento di strategia
COM(2004),373 definitivo, Bruxelles Mag-
n. 16 • giugno 2007
gio 2004; Comunicazione della Commissione
al Consiglio e al Parlamento europeo sullo
sviluppo della Politica europea di Vicinato:
COM(2006), 726 definitivo, Bruxelles Dicembre 2006.
67
LE RECENSIONI
A cinquant'anni,
tra no e adesioni concordate
di Emilio R. Papa
Nostra intervista
di fonti conducendola a meditata sintesi e ad unità critica. Tanto, e seguendo
l’idea di Europa e dell’identità europea, colte nel loro svolgimento teorico
dall’antichità ad oggi (“è una premessa
che si svolge in cielo” ha detto sorridendo, nel soffermarsi sul rapporto fra
alte ascendenze ideali e cronaca politica)
e seguendo poi con la maggiore ampiezza la traccia storica degli avvenimenti
sul piano politico, fino alla cronaca attuale, la quale ricalca vecchie polemiche e
chiusure di posizione.
Il deputato europeo Marco Rizzo, dopo
aver puntualizzato l’attualità di alcuni
atteggiamenti di Altiero Spinelli, ha segnalato l’importanza di un approfondimento del tema di un’Europa sociale
– aderendo alla sensibilità da Papa rivelata in argomento – ponendo in rilievo
le contraddittorietà alle quali ha dato
luogo la politica di scontro degli interessi nazionali ancora nell’attuale scenario
europeo.
Gli storici Lucio Levi e Umberto Morelli, dopo aver segnalato l’ampiezza e
l’aggiornamento di informazioni del
libro di Papa, hanno indicato in esso
il profittevole percorso seguito nella
Emilio R. Papa,
Storia dell’unificazione europea,
Bompiani, Milano 2006
Allievo di Alessandro Galante Garrone, storico e giurista, Emilio R. Papa
– ordinario di storia contemporanea e
già docente di storia delle costituzioni
europee – con una appassionante ed
aggiornatissima “Storia dell’unificazione
europea” ha posto ad ulteriore ed importante frutto il suo impegno di studio sul
federalismo (che conta all’attivo volumi
sul federalismo svizzero, sul pensiero
federalista di Carlo Rosselli, di Ferrari e
di Cattaneo, ed un fortunato “Discorso
sul federalismo”).
Nell’ambito organizzativo del Centro
Studi sul Federalismo presieduto da A.
Padoa Schioppa, il volume è stato di
recente presentato presso la Fondazione Einaudi di Torino, dal sen. Valerio
Zanone, dall’on. Marco Rizzo e dagli
storici e studiosi eminenti del federalismo europeo, prof. Lucio Levi e Umberto Morelli dell’Università di Torino.
Valerio Zanone ha posto in evidenza il
forte impegno dell’autore nel raccogliere
nel suo lavoro una straripante ricchezza
68
Comuni d’Europa
A cinquant'anni, tra no e adesioni concordate
esplorazione di alcune interessanti piste
di indagine.
Abbiamo incontrato Emilio Raffaele
Papa e avuto con lui il colloquio che qui
di seguito riportiamo.
riuscito di trovare un gioco fra le lotte
dei partiti nazionali. E va detto che
questi ultimi – seguendo i riti di una
democrazia di stampo elettoralistico –
sul piano ideologico erano se mai preoccupati di prendere posizione scegliendo
fra le due egemonie nelle quali era diviso
il mondo, sovietica ed atlantica. Attestandosi sulle posizioni dell’una o dell’altra.
Sul campo di battaglia per l’unità politica, l’ideale federalistico espresse nelle
sue fila grandi personaggi; ma lotte fra
i partiti all’interno e logica intergovernativa sull’asse europeo, portarono
il dialogo fra i Paesi della Comunità
troppo spesso sul pianori una politica di
confronto fra egoismi nazionali volti al
più ad intese di tipo preconfederalistico.
Tanto, a partire dal fallimento gravissimo della CED, affossata con un voto
del parlamento nel ’54 (in Francia, come
per tutti i grandi appuntamenti mancati
dell’europeismo).
Perfino la pur grande vittoria segnata
dal conseguimento della elezione popolare diretta del Parlamento europeo
nacque avvilita: tale istituzione venne
infatti costretta nell’ambito di poteri di
pesante diversificazione – per difetto
– rispetto ai modelli parlamentari liberali consacrati dalla storia politica europea. Il tentativo di apertura tentato da
Spinelli col suo trasversale Club del coccodrillo, venne subito ingabbiato, se pur
dietro false condiscendenze sul piano
dei principi, fino ad essere senz’altro
sepolto. Col No francese ed olandese
nel 2005 al progetto costituzionale
europeo, si è infine aperta la caccia
allo sfruttamento di posizione da tali
A cinquant’anni – gli abbiamo chiesto – dalla nascita della CEE, con la
firma dei Trattati di Roma, guardando dall’attuale punto di arrivo delle
due strade per l’unione europea,
quella verso l’integrazione economica comunitaria e quella dell’unità
politica, quali bilanci pensa si possano trarre?
Si è trattato in effetti di due percorsi i
quali si sono posti su due dimensioni ad
un certo punto diversificatesi. La CECA
nel 1951 aveva segnato un formidabile
punto di partenza verso l’integrazione
economica dell’Europa, risolvendo
sul piano della politica delle risorse e
dell’energia il paralizzante ed inveterato
conflitto fra Francia e Germania, ed
avviando una collaborazione proficua
per l’economia dell’intero continente
europeo. Ma aveva altresì segnato un
importante punto di partenza anche
sul piano politico: al suo vertice l’Alta
Autorità era organo collegiale proclamato indipendente rispetto ai governi
nazionali, e con decisioni a maggioranza
vincolanti per i Paesi membri, sul piano
dunque di una già conclamata sovrannazionalità…
…Ma dopo?
Ma dopo, le carte dell’europeismo sono
tornate in mano ai governi, al potere
intergovernativo, ed ai federalisti non è
n. 16 • giugno 2007
69
LE RECENSIONI
nell’unità politica dell’Europa e ad una
politica mirata al conseguimento di un
tale scopo, su di un piano di ravvicinabili
intendimenti, è quella di ottenere tempi
brevi – quali a suo tempo peraltro già
decisi nella stessa sede intergovernativa
– nel processo di ratifica della Costituzione. Quest’ultimo è un documento che
considerato sul piano politico costituzionale fa acqua da molte parti. Ma è di
irrinunciabile importanza per tutto ciò
che rappresenta quale punto di partenza
per l’unità politica europea.
Dal conseguimento di tempi ragionevolmente brevi per la conclusione del citato
processo di ratifica, può venire la risposta alla sua domanda, e credo di averla
sufficientemente tratteggiata nel mio
libro. Nel caso infatti – che peraltro è
già da dare per acquisito – di una maggioranza di Paesi favorevoli alla ratifica,
resta aperta per i Paesi contrari – una
volta esaurita la consultazione in tutto il
territorio europeo – la via dell’adesione
alla UE con riserva di opting out ed
in qualità di paesi associati, contraendo
forme concordate di adesione…
eventi segnato, quale scampo agognato
della politica antifederalista inglese e di
quella scandinava.
Sul piano strettamente della cooperazione economica, è tuttavia innegabile che i passi in avanti che sono
stati fatti hanno portato a risultati
che non lasciano temere ritorni di
vecchio segno…
Il treno dell’europeismo percorse in
effetti con più rapida marcia di velocità il
cammino verso l’integrazione economica. Anche se la PAC, la politica agricola,
divenne sostanzialmente campo privilegiato dell’economia francese, che si è
sempre battuta per una sua posizione
dominante e condizionante dell’intera
economia europea. Con De Grulle tale
situazione privilegiata venne duramente
difesa, nel periodo detto della sedia vuota,
nel quale furono esautorate le posizioni
illuminate di un europeista quale Hallstein.
Per suo verso la politica economica
europea dell’Inghilterra (un piede in
Europa e l’altro nel Commonwealth,
alternando la tecnica dell’opting out
a quella di una partecipazione sempre
condizionata e condizionante) ha sempre perseguito la logica di una partecipazione non esclusiva, e vigile, rispetto
al… pericolo di una sua assimilazione ad
una politica unitaria dell’UE.
Nel caso, quali Paesi lei pensa
potrebbero rientrare in quest’ultima
casistica?
È evidente che l’Inghilterra (la quale
peraltro ha dato grandi teorici all’idea
del federalismo europeo, da Robbins a
Lord Lothian), secondo del resto una
profezia di Churchill, fra l’Europa e il
mare aperto sceglierebbe il mare aperto!
Ciò tuttavia non significherebbe essere
fuori dall’Europa, ma farne parte in
misura confacente alla propria partico-
Nel suo libro lei sembra distinguere
fra i No alla costituzione europea e
fra i vari tipi possibili di adesione
alla politica comunitaria europea.
La battaglia di chi continua a credere
70
Comuni d’Europa
A cinquant'anni, tra no e adesioni concordate
non definitiva, e comunque non tale da
bloccare indefinitamente un progresso autenticamente sentito dalla maggioranza europea. Dai risultati positivi
del quale appare molto difficile pensare
che un ingresso a pieno titolo dei Paesi
recalcitranti nel palazzo Europa voglia
poi essere a lungo rinviato!
lare dimensione di politica economica
nel mondo. Per Francia, Olanda e per
alcuni Paesi scandinavi (e in non ancora
credibile ipotesi, per Polonia e Repubblica Ceca) non è affatto detto che il No
– in questi casi ben diversamente motivato – permanga e che, nel caso contrario,
non finisca col dar vita ad un’esperienza
n. 16 • giugno 2007
71
LE RECENSIONI
L'orso europeo
di Patrizia Cimini
“L’orso europeo - ovvero
il negozio dei giocattoli”
di Gianfranco Draghi
Raccolto Edizioni, 2005
Cascina del Guado
cipio per affermare la legge nel caos degli
istinti predatori, ma non è abbastanza per
la bella favola di Draghi. L’orso europeo
è portatore di qualcosa di più, non vuole
combattere, vuole raccontare delle storie
alle belle bambole del negozio e le storie
sono quelle dei paesi che ha conosciuto: Olanda, Italia, Svizzera, Inghilterra,
Germania, Svezia, Austria, Lussemburgo,
Danimarca, Belgio, Norvegia, Finlandia,
Russia, Ungheria, Irlanda, gli Stati Uniti,
la Cina, l’India, l’Africa, la Malesia, il
Giappone, l’Australia, il Brasile, il Canada. Sono i paesi europei e non europei,
e per l’orso distinguerli e raccontarli è
importante. La sua vicenda nel negozio
dei giocattoli si snoda in modo semplice,
viene catturato durante un riposino dalle
ombre e chiuso in una pentola. Solo gli
sforzi uniti dei giocattoli e delle bambole
lo salveranno. Solo unendo i paesi europei, l’orso tornerà a raccontare le sue
storie. Le racconterà anche alla bambola
russa, che si tiene in disparte, facendo
finta di non essere molto interessata.
La delicata narrazione di Draghi fa
emergere non tanto il testo a tema che
era nell’intenzione dell’autore, raccontare
ai ragazzi l’idea dell’Europa, ma la voglia
L’atmosfera è quella di Natale. Quel
Natale a casa Drosselmaier, il padrino di
Fritz e Marie. Nella stanza dei doni molte
sono le bambole che aspettano Marie e
un bel cavallo a dondolo attende Fritz.
Quella che si snoderà è una azione tra
il sogno e la realtà che Ernest Theodor
Hoffman raccontò ottimamente per il
suo pubblico, tanto che Tchaikovsky
ne fu catturato e scrisse la musica per il
celebre balletto che rappresenta, ancora
oggi, così bene in tutti i teatri del mondo
la cultura e il genio europeo.
La favola raccontata da Draghi, che non
ha ispirato un balletto, ma sicuramente
ha l’Europa come obiettivo, racconta di
un negozio di giocattoli, in cui ci sono
bambole e cavalli a dondolo, ma nel quale
si aggira, bonario e un po’ soprapensiero,
un orso e non uno schiaccianoci.
Lo schiaccianoci di Hoffman è lo spirito
coraggioso e guerriero di chi vuole giustizia contro il male, ed è un buon prin72
Comuni d’Europa
L'orso europeo
altre vite, quasi fosse un gatto.
Da questo testo sono state tratte altre
storie parallele, e carte mnemoniche, e
cruciverba, e acronimi, e recite e invenzioni su storie di paesi europei. L’orso
europeo è un animale forte e veloce,
quando vuole, e sempre quando vuole
sa scegliersi un bel posto per una dormitina.
Questo Orso Europeo ha anche molta
voglia di girare per il mondo e farsi
conoscere, così come è, con le sue storie, insieme ai suoi amici del negozio dei
giocattoli.
di cooperare nella diversità che sottende
alle azioni di una comunità. La comunità
che viene descritta da Draghi è quella del
negozio di giocattoli, ma questi giocattoli sembrano essere più attenti e animati da emozioni e intelligenza di molte
altre comunità. Non casualmente viene
descritto un Pinocchio a cavallo di un
destriero a dondolo, che riporta alla
mente la piccola comunità dei burattini
di Mangiafuoco di cui anche Pinocchio
fece parte, e che si preoccupavano delle
sorti infarinate del piccolo Pinocchio più
certo che del Gatto e della Volpe. Quella
pietà e quella preoccupazione che sono
il collante necessario per ogni azione
comune; quella per esempio di salvare
l’orso europeo dalla morte per bollitura nella pentola ad opere delle oscure
ombre maligne.
L’orso europeo di Draghi è un racconto
brillante condotto con mano poetica e
gentile, che stimola suggestioni e voglia
di conoscere di più, che è il risultato migliore di ogni opera letteraria.
Tanto è vero che il testo, per iniziativa di
Graziella Ricci, responsabile dell’Ufficio
Europa del Comune di Ravenna, con
la complicità della scuola elementare
Garibaldi di Ravenna e di 25 alunni della
classe Va, è stato rappresentato, animato,
parcellizzato, ricomposto e diasporato in
altre attività, cosicché si è trovato a vivere
n. 16 • giugno 2007
Gianfranco Draghi
Nasce a Bologna e studia a Milano.
Vive gli ultimi anni di guerra in Svizzera
nutrendosi culturalmente in ambiente
antifascista. Si laurea a Firenze con
Eugenio Garin con una tesi sull’Alberti
ed è tra i fondatori e i primissimi militanti
con Altiero Spinelli del Movimento federalista europeo. Poeta, scrittore, artista,
allievo alla fine degli anni cinquanta dello
psicoterapeuta junghiano Ernst Bernhard, ha pubblicato negli anni diversi
libri e coltiva insieme alla scrittura diverse
altre arti: notevoli i suoi quadri, le sue
sculture, le incisioni, i tappeti, i burattini. Accanto ai suoi lavori teatrali viene
in luce anche l’attività di attore e mimo.
Oggi vive a Fiesole.
73
I DOCUMENTI
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
Nuova disciplina della Cooperazione dell'Italia
con i Paesi in via di sviluppo
Art. 1
(Finalità)
1. La cooperazione allo sviluppo è parte
integrante della politica estera dell’Italia
e persegue obiettivi di solidarietà tra i
popoli e di piena realizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo, ispirandosi
ai princìpi sanciti dalle Nazioni Unite e
dalle convenzioni CEE-ACP.
2. Essa è finalizzata al soddisfacimento
dei bisogni primari e in primo luogo
alla salvaguardia della vita umana, alla
autosufficienza alimentare, alla valorizzazione delle risorse umane, alla conservazione del patrimonio ambientale,
all’attuazione e al consolidamento dei
processi di sviluppo endogeno e alla
crescita economica, sociale e culturale dei
paesi in via di sviluppo. La cooperazione
allo sviluppo deve essere altresì finalizzata al miglioramento della condizione
femminile e dell’infanzia ed al sostegno
della promozione della donna .
3. Essa comprende le iniziative pubbliche
e private, impostate e attuate nei modi
previsti dalla presente legge e collocate
prioritariamente nell’ambito di programmi plurisettoriali concordati in appositi
incontri intergovernativi con i paesi ben-
eficiari su base pluriennale e secondo
criteri di concentrazione geografica.
4. Rientrano nella cooperazione allo sviluppo gli interventi straordinari destinati
a fronteggiare casi di calamità e situazioni
di denutrizione e di carenze igienico-sanitarie che minacciano la sopravvivenza di
popolazioni .
5. Gli stanziamenti per la cooperazione
allo sviluppo non possono essere utilizzati, direttamente o indirettamente, per
finanziare attività di carattere militare.
Art. 2
(Attività di cooperazione)
1. L’attività di cooperazione allo sviluppo
è finanziata a titolo gratuito e con crediti
a condizioni particolarmente agevolate.
Essa può essere svolta sul piano bilaterale, multilaterale e multibilaterale.
2. Gli stanziamenti destinati alla realizzazione di tale attività sono determinati
su base triennale con legge finanziaria.
Annualmente viene allegata allo stato di
previsione della spesa del Ministero degli
affari esteri una relazione previsionale e
programmatica del Ministro contenente
fra l’altro le proposte e le motivazioni per
la ripartizione delle risorse finanziarie, la
74
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
di sviluppo; f) l’attuazione di interventi
specifici per migliorare la condizione
femminile e dell’infanzia, per promuovere lo sviluppo culturale e sociale della
donna con la sua diretta partecipazione;
g) l’adozione di programmi di riconversione agricola per ostacolare la produzione della droga nei Paesi in via di sviluppo; h) la promozione di programmi di
educazione ai temi dello sviluppo, anche
nell’ambito scolastico, e di iniziative volte
all’intensificazione degli scambi culturali
tra l’Italia e i Paesi in via di sviluppo. con
particolare riguardo a quelli tra i giovani; i)
la realizzazione di interventi in materia di
ricerca scientifica e tecnologica ai fini del
trasferimento di tecnologie appropriate
nei Paesi in via di sviluppo; l) l’adozione
di strumenti e interventi, anche di natura
finanziaria che favoriscano gli scambi tra
Paesi in via di sviluppo, la stabilizzazione
dei mercati regionali e interni e la riduzione dell’indebitamento, in armonia con
i programmi e l’azione della Comunità
europea; m) il sostegno a programmi
di informazione e comunicazione che
favoriscano una maggiore partecipazione
delle popolazioni ai processi di democrazia e sviluppo dei paesi beneficiari.
4. Le attività di cui alle lettere a), c), d),
e), f), h) del comma 3 possono essere
attuate, in conformità con quanto previsto dal successivo articolo 5, anche
utilizzando le strutture pubbliche delle
regioni, delle provincie autonome e degli
enti locali.
5. Le regioni, le province autonome e
gli enti locali possono avanzare proposte in tal senso alla Direzione generale
per la cooperazione allo sviluppo di
scelta delle priorità delle aree geografiche
e dei singoli Paesi, nonché dei diversi settori nel cui ambito dovrà essere attuata la
cooperazione allo sviluppo e la indicazione degli strumenti di intervento. Il Parlamento discute la relazione previsionale
e programmatica insieme alla relazione
consuntiva di cui al comma 6, lettera c),
dell’articolo 3.
3. Nell’attività di cooperazione rientrano:
a) L’elaborazione di studi, la progettazione, la fornitura e costruzione di
impianti, infrastrutture, attrezzature e
servizi, la realizzazione di progetti di
sviluppo integrati e l’attuazione delle
iniziative anche di carattere finanziario,
atte a consentire il conseguimento delle
finalità di cui all’articolo 1; b) la partecipazione. anche finanziaria, all’attività e
al capitale di organismi, banche e fondi
internazionali, impegnati nella cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, nonché
nell’attività di cooperazione allo sviluppo
della Comunità economica europea; c)
L’impiego di personale qualificato per
compiti di assistenza tecnica, amministrazione e gestione, valutazione e monitoraggio dell’attività di cooperazione allo
sviluppo; d) la formazione professionale
e la promozione sociale di cittadini dei
Paesi in via di sviluppo in loco, in altri
Paesi in via di sviluppo e in Italia, anche
ai fini della legge 30 dicembre 1986, n.
943 , e la formazione di personale italiano destinato a svolgere attività di cooperazione allo sviluppo; e) il sostegno alla
realizzazione di progetti e interventi ad
opera di organizzazioni non governative
idonee anche tramite l’invio di volontari
e di proprio personale nei paesi in via
n. 16 • giugno 2007
75
I DOCUMENTI
Art. 5
(Funzioni di coordinamento
del Ministro degli affari esteri)
1. Sulla base degli indirizzi stabiliti ai
sensi degli articoli precedenti il Ministro
degli affari esteri, d’intesa con il Ministro
del tesoro per la parte di sua competenza,
promuove e coordina nell’ambito del settore pubblico, nonché tra questo e il settore privato, programmi operativi e ogni
altra iniziativa in materia di cooperazione
allo sviluppo.
2. In mancanza di accordo con i Paesi
beneficiari e di uniformità agli indirizzi
di cooperazione e di coordinamento stabiliti dal Ministero degli affari esteri, le
iniziative di cooperazione allo sviluppo
non possono essere ammesse ai benefici
previsti dalla presente legge.
3. In via eccezionale possono essere
ammesse ai benefici previsti dalla presente legge - anche in mancanza di
richieste da parte dei Paesi in via di sviluppo interessati - iniziative proposte da
organizzazioni non governative purché
adeguatamente documentate e motivate
da esigenze di carattere umanitario.
cui all’articolo 10. Il Comitato direzionale di cui all’articolo 9, ove ne ravvisi l’opportunità, autorizza la stipula di
apposite convenzioni con le suddette
strutture pubbliche.
Art. 3
(Presidenza e funzioni
del Comitato interministeriale
per la cooperazione allo sviluppo)
Il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS) è stato soppresso a seguito dell’entrata in vigore della
Legge n.537/1993. Le competenze del
disciolto CICS sono state trasferite al CIPE
per quanto riguarda le funzioni di indirizzo
generale, quali la definizione degli indirizzi
programmatici e delle priorità geografiche ,
al Ministero degli Affari Esteri per quanto
attiene alle altre funzioni.
Art. 4
(Competenza del Ministro del tesoro)
1.Il Ministro del tesoro, in conformità
con i criteri stabiliti dal CICS e d’intesa
con i Ministri degli affari esteri e del
bilancio e della programmazione economica, cura le relazioni con le banche e i
fondi di sviluppo a carattere multilaterale,
e assicura la partecipazione finanziaria
alle risorse di detti organismi nonché la
concessione dei contributi obbligatori
agli altri organismi multilaterali di aiuto
ai Paesi in via di sviluppo.
2. Il Ministro del tesoro predispone
annualmente una relazione sugli esiti
dell’attività di propria competenza. Tale
relazione è inviata al Parlamento in allegato alla relazione di cui al comma 6
dell’articolo 3.
Art. 6
(Fondo rotativo
presso il Mediocredito centrale)
1. Il Ministro del tesoro, previa delibera
del CICS, su proposta del Ministro degli
affari esteri. autorizza il Mediocredito
centrale a concedere. anche in consorzio
con enti o banche estere, a Stati, banche
centrali o enti di Stato di Paesi in via
di sviluppo, crediti finanziari agevolati
a valere sul Fondo rotativo costituito
presso di esso.
76
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
2. In estensione a quanto previsto
dall’articolo 13, secondo comma, del
decreto legge 6 giugno 1956, n. 476,
convertito, con modificazioni, nella legge
25 luglio 1956, n. 786 e successive modificazioni ed integrazioni, il Ministro del
commercio con l’estero delega le competenze di cui al citato articolo 13, primo
comma, lettera d), al Mediocredito centrale in ordine alle operazioni finanziate
con crediti di aiuto o con crediti misti.
3. I crediti di aiuto anche quando sono
associati ad altri strumenti finanziari
(doni, crediti agevolati all’esportazione,
crediti a condizioni di mercato), potranno essere concessi solamente per progetti
e programmi di sviluppo rispondenti alle
finalità della presente legge. Nel predetto
fondo rotativo confluiscono gli stanziamenti già effettuati ai sensi della legge 24
maggio 1977, n. 227, della legge 9 febbraio 1979, n. 38, e della legge 3 gennaio
1981. n. 7.
4. Ove richiesto dalla natura dei progetti
e programmi di sviluppo, i crediti di aiuto
possono essere destinati, in particolare
nei Paesi a più basso reddito, anche al
finanziamento di parte dei costi locali e
di eventuali acquisti in paesi terzi di beni
inerenti ai progetti approvati e per favorire l’accrescimento della cooperazione tra
Paesi in via di sviluppo.
ziamento della loro quota di capitale di
rischio in imprese miste da realizzarsi in
Paesi in via di sviluppo con partecipazione di investitori, pubblici o privati, del
Paese destinatario, nonché di altri Paesi.
2. II CICS stabilirà: a) la quota del
Fondo di rotazione che potrà annualmente essere impiegata a tale scopo; b)
i criteri per la selezione di tali iniziative
che dovranno tenere conto - oltre che
delle generali priorità geografiche o settoriali della cooperazione italiana - anche
delle garanzie offerte dai Paesi destinatari
a tutela degli investimenti stranieri. Tali
criteri mireranno a privilegiare la creazione di occupazione e di valore aggiunto
locale; c) le condizioni a cui potranno
essere concessi i crediti di cui trattasi.
3. La quota, di cui al comma 1, del Fondo
di rotazione viene trasferita al Mediocredito centrale. Allo stesso è affidata.
con apposita convenzione, la valutazione,
l’erogazione e la gestione dei crediti di cui
al presente articolo.
Art 8 (Comitato consultivo
per la cooperazione allo sviluppo)
Il Comitato consultivo per la cooperazione allo sviluppo è stato soppresso a
seguito dell’entrata in vigore della Legge
n.537/1993.
Art. 9
(Comitato direzionale)
1. E’ istituito presso il Ministero degli
affari esteri il Comitato direzionale per la
cooperazione allo sviluppo.
2. Esso è presieduto dal Ministro degli
affari esteri o dal Sottosegretario per gli
affari esteri di cui all’articolo 3, comma 4,
Art. 7
(Imprese miste nei Paesi
in via di sviluppo)
1. A valere sul Fondo di rotazione di cui
all’articolo 6. e con le stesse procedure,
possono essere concessi crediti agevolati
alle imprese italiane con il parziale finann. 16 • giugno 2007
77
I DOCUMENTI
dispone di una segreteria composta da tre
funzionari del Ministero degli affari esteri
e di un nucleo di valutazione tecnica composto da cinque esperti scelti nell’ambito
del personale di cui all’articolo 12.
7. Con propria delibera, il Comitato nomina i componenti della segreteria e del
nucleo di valutazione tecnica e definisce i
rispettivi criteri organizzativi e compiti.
ed è composto da: a) i Direttori generali
del Ministero degli affari esteri; b) il Segretario generale per la programmazione
economica del Ministero del bilancio, il
Direttore generale del tesoro, il Direttore
generale delle valute del Ministero del
commercio estero e quello del Mediocredito centrale.
3. I membri del Comitato direzionale
potranno farsi rappresentare da loro
sostituti all’uopo designati.
4. Il Comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo: a) definisce le direttive per l’attuazione degli indirizzi di cui
all’articolo 3 e delibera la programmazione annuale delle attività da realizzare ai
sensi della presente legge; b) approva le
iniziative di cooperazione il cui valore
superi i due miliardi di lire; c) approva
la costituzione delle unità tecniche di
cui all’articolo 10 e le modalità per la
loro formazione; d) delibera di volta in
volta circa l’esistenza dei presupposti per
attivare gli interventi di cui all’articolo
ll. ad eccezione di quelli derivanti da
casi di calamità; e) approva i nominativi
degli esperti da inviare nei Paesi in via di
sviluppo per periodi superiori a quattro
mesi; f) esprime il parere sulle iniziative
suscettibili di essere finanziate con crediti
di aiuto; g) stabilisce le procedure relative
all’acquisizione dei pareri tecnici di cui
all’articolo 12; h) delibera in merito ad
ogni questione che il Presidente ritenga
opportuno sottoporre al suo vaglio.
5. Le delibere del Comitato direzionale
sono pubbliche e ne viene data notizia
mediante apposito bollettino.
6. Per l’attuazione dei compiti previsti dal
presente articolo il Comitato direzionale
Art. 10
(Direzione generale
per la cooperazione allo sviluppo)
1. Per lo svolgimento delle attività di
cooperazione di cui all’articolo 2 della
presente legge. è istituita, nell’ambito del
Ministero degli affari esteri, quale suo
organo centrale ai sensi dell’articolo 3 del
decreto del Presidente della Repubblica
5 gennaio 1967, n. 18, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo.
Essa è disciplinata dal predetto decreto, salvo quanto previsto dalla presente
legge. In seno alla Direzione generale è
istituito un ufficio di studio e proposta
per la promozione del ruolo della donna
nei Paesi in via di sviluppo nell’ambito
della politica di cooperazione.
2. In sede di prima applicazione il Ministro degli affari esteri con proprio decreto
determina l’organizzazione della Direzione.
3. Essa opera in conformità con le direttive e deliberazioni del Comitato direzionale e attende alla istruzione delle questioni bilaterali e multilaterali attinenti alla
politica di cooperazione allo sviluppo e
all’espletamento, in via diretta o indiretta,
delle attività necessarie alla realizzazione
dei programmi e delle iniziative bilaterali
78
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
finanziate con le risorse destinate alla
cooperazione allo sviluppo, ai sensi degli
articoli 1 e 2 della presente legge.
4. La Direzione generale provvede
all’istituzione, previa delibera del Comitato direzionale di cui all’articolo 9, di
unità tecniche di cooperazione nei Paesi
in via di sviluppo destinatari della cooperazione italiana.
5. La Direzione generale si avvale
dell’Istituto agronomico per l’Oltremare
di Firenze, organo tecnico-scientifico del
Ministero degli affari esteri, oltre che
per servizi di consulenza e di assistenza
nel campo dell’agricoltura, anche per
l’attuazione e la gestione di iniziative
di sviluppo nei settori agro-zootecnico,
forestale e agro-industriale.
per il tempestivo raggiungimento degli
obiettivi di cui alle lettere a), b), e c);
e) l’utilizzazione di organizzazioni non
governative riconosciute idonee ai sensi
della presente legge, sia direttamente sia
attraverso il finanziamento di programmi
elaborati da tali enti ed organismi e concordati con la Direzione generale per la
cooperazione allo Sviluppo.
2. Gli interventi derivanti da calamità o eventi eccezionali possono essere
effettuati d’intesa con il Ministro per il
coordinamento della protezione civile,
il quale con i poteri di cui al secondo
comma dell’articolo 1 del decreto-legge
12 novembre 1982, n.829, convertito,
con modificazioni, nella legge 23 dicembre 1982, n. 938, pone a disposizione
personale specializzato e mezzi idonei
per farvi fronte. I relativi oneri sono a
carico della Direzione Generale per la
Cooperazione allo Sviluppo
3. Le iniziative promosse ai sensi del presente articolo sono deliberate dal Ministro degli affari esteri o dal Sottosegretario
di cui all’articolo 3, comma 4, qualora
l’onere previsto sia superiore a lire 2 miliardi, ovvero dal Direttore generale per
importi inferiori e non sono sottoposte
al parere preventivo del Comitato direzionale né al visto preventivo dell’ufficio di
ragioneria di cui all’articolo 15, comma 2.
La relativa documentazione è inoltrata al
Comitato direzionale, al Comitato consultivo e all’Ufficio di ragioneria contestualmente alla delibera.
4. Le attività di cui al presente articolo sono affidate, con il decreto di cui
all’articolo 10, comma 2, ad apposita
unità operativa della Direzione generale.
Art. 11
(Interventi straordinari)
1. Gli interventi straordinari di cui
all’articolo 1, comma 4, sono: a) l’invio di
missioni di soccorso, la cessione di beni,
attrezzature e derrate alimentari, la concessione di finanziamenti in via bilaterale;
b) l’avvio di interventi imperniati principalmente sulla sanità e la messa in opera
delle infrastrutture di base, soprattutto in
campo agricolo e igienico sanitario, indispensabili per l’immediato soddisfacimento dei bisogni fondamentali dell’uomo in
aree colpite da calamità, da carestie e da
fame, e caratterizzate da alti tassi di mortalità; c) la realizzazione in loco di sistemi
di raccolta, stoccaggio, trasporto e distribuzione di beni, attrezzature e derrate;
d) L’impiego, d’intesa con tutti i Ministeri
interessati, gli enti locali e gli enti pubblici, dei mezzi e del personale necessario
n. 16 • giugno 2007
79
I DOCUMENTI
Art. 12
(Unità tecnica centrale)
1. A supporto dell’attività della Direzione
generale per la cooperazione allo sviluppo e limitatamente allo svolgimento
dei compiti di natura tecnica relativi alle
fasi di individuazione, istruttoria, formulazione, valutazione, gestione e controllo
dei programmi, delle iniziative e degli
interventi di cooperazione di cui agli articoli 1 e 2, nonché per le attività di studio
e ricerca nel campo della cooperazione
allo sviluppo è istituita l’Unità tecnica
centrale di cooperazione allo sviluppo.
2. Nel decreto di cui al comma 2
dell’articolo 10 dovrà essere determinata l’articolazione funzionale dell’Unità
tecnica centrale nell’ambito della Direzione generale in modo da rispecchiare al
massimo l’articolazione funzionale della
Direzione medesima.
3. L’organico dell’Unità tecnica centrale è
costituito da esperti assunti con contratto
di diritto privato a termine entro un contingente massimo di centoventi unità e
da personale di supporto tecnico-amministrativo ed ausiliario del Ministero degli
affari esteri. All’Unita tecnica centrale è
preposto un funzionario della carriera
diplomatica.
4. Le caratteristiche del rapporto contrattuale di diritto privato a termine ivi compreso il trattamento economico
- sono fissate con decreto del Ministro
degli affari esteri, di concerto con il
Ministro del tesoro e con il Ministro
della funzione pubblica, previo parere del
Comitato direzionale di cui all’articolo 9,
tenuto conto dei criteri e dei parametri
osservati al riguardo dal Fondo europeo
dello sviluppo della Comunità economica
europea, nonché dell’esperienza professionale di cui il personale interessato sarà
in possesso al momento della stipula del
contratto. Il contratto avrà durata quadriennale rinnovabile in costanza delle esigenze connesse all’attuazione dei compiti
di natura tecnica della cooperazione allo
sviluppo. Il decreto di cui al presente
comma dovrà altresì prevedere le procedure concorsuali per la immissione degli
esperti di cui al comma 3 nell’Unità tecnica centrale.
5. Gli esperti di cui ai commi 3 e 4 sono
impiegati anche nelle unità tecniche di
cooperazione nei Paesi in via di sviluppo
di cui all’articolo 13.
6. Nella prima applicazione della presente legge hanno titolo di precedenza
per l’immissione, attraverso le procedure
concorsuali di cui al comma 4, nell’Unità
tecnica centrale. fino alla copertura massima del cinquanta per cento del contingente di cui al comma 3. a) gli esperti e
il personale tecnico che, a qualsiasi titolo,
con oneri dello Stato, prestino servizio
presso gli uffici centrali del Dipartimento
per la cooperazione di cui alla legge 9 febbraio 1979, n.38 e presso la sede centrale
del Servizio speciale di cui all’articolo 3
della legge 8 marzo 1985, n.73, da almeno
dodici mesi alla data di entrata in vigore
della presente legge; b) i funzionari di cittadinanza italiana che svolgano attività da
almeno due anni presso organizzazioni
internazionali e comunitarie operanti nel
settore della cooperazione con i Paesi
in Via di sviluppo, alla data di entrata in
vigore della presente legge.
7. Tale titolo di precedenza può essere
80
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
fatto valere dagli interessati con domanda da presentarsi entro trenta giorni
dall’entrata in vigore della presente
legge.
8. L’esistenza dei requisiti di cui ai commi
precedenti verrà verificata con delibera
del Comitato direzionale su parere del
Consiglio di amministrazione del Ministero degli affari esteri.
9. In relazione alle esigenze di supporto
derivanti dalla istituzione dell’Unità Tecnica Centrale, la dotazione organica delle
qualifiche funzionali del Ministero degli
affari esteri è accresciuta di 25 posti alla
V qualifica e di 35 alla IV. La ripartizione
delle suddette dotazioni aggiuntive per
profili professionali è stabilita con decreto del Ministro degli affari esteri, di
concerto con il Ministro per la funzione
pubblica. Con la stessa procedura può
essere modificata la ripartizione degli
anzidetti posti di organico aggiuntivo tra
le qualifiche funzionali sempre che intervengano modifiche nei pertinenti profili.
Il personale che presti servizio a tempo
pieno ed a qualunque titolo, presso il
Dipartimento per la cooperazione allo
sviluppo o presso il Servizio speciale
istituito ai sensi della legge 8 marzo
1985, n. 73, da almeno un anno alla data
di entrata in vigore della presente legge
svolgendo mansioni di supporto amministrativo, può essere ammesso entro sei
mesi a sostenere, a domanda, una prova
selettiva per l’immissione nel contigente
aggiuntivo di organico di cui al presente
comma, nelle qualifiche e profili corrispondenti alle mansioni svolte. Con
decreto del Ministro degli affari esteri,
sentito il Consiglio di amministrazione,
n. 16 • giugno 2007
sono stabilite le procedure e le modalità
di svolgimento delle prove selettive.
10. All’onere derivante dall’applicazione
del comma 9, valutato in lire un miliardo
e duecento milioni annui, si provvede
mediante corrispondente riduzione
dello stanziamento iscritto, ai fini del
bilancio triennale 1987-1989, al capitolo
6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l’anno finanziario
1987, all’uopo parzialmente utilizzando
l’accantonamento: “Riordinamento del
Ministero degli affari esteri”.
11. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad
apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Art. 13
(Unità tecniche di cooperazione
nei Paesi in via di sviluppo)
1. Le unità tecniche di cui agli articoli 9
e 10 sono istituite nei Paesi in via di sviluppo dichiarati prioritari dal CICS con
accreditamento diretto presso i Governi
interessati nel quadro degli accordi di
cooperazione.
2. Le unità tecniche sono costituite da
esperti dell’Unità tecnica centrale di
cui all’articolo 12 e da esperti tecnicoamministrativi assegnati dalla Direzione
generale per la cooperazione allo sviluppo nonché da personale esecutivo e
ausiliario assumibile in loco con contratti
a tempo determinato.
3. I compiti delle unità tecnica consistono: a) nella predisposizione e nell’invio
alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo di relazioni, di dati e
di ogni elemento di informazione utile
all’individuazione, all’istruttoria e alla val81
I DOCUMENTI
utazione delle iniziative di cooperazione
suscettibili di finanziamento; b) nella
predisposizione e nell’invio alla Direzione generale per la cooperazione allo
sviluppo di relazioni, di dati e di elementi
di informazione sui piani e programmi
di sviluppo del Paese di accreditamento
e sulla cooperazione allo sviluppo ivi
promossa e attuata anche da altri Paesi
e da organismi internazionali; c) nella
supervisione e nel controllo tecnico delle
iniziative di cooperazione in atto; d) nello
sdoganamento, controllo, custodia e consegna delle attrezzature e dei beni inviati
dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo; e) nell’espletamento
di ogni altro compito atto a garantire il
buon andamento delle iniziative di cooperazione nel Paese.
4. Ciascuna unità tecnica è diretta da un
esperto dell’Unità tecnica centrale di cui
all’articolo 12, che risponde, anche per
quanto riguarda l’amministrazione dei
fondi di cui al comma 5, al capo della
rappresentanza diplomatica competente
per territorio.
5. Le unità tecniche sono dotate dalla
Direzione generale per la cooperazione
allo sviluppo dei fondi e delle attrezzature necessarie per l’espletamento dei
compiti ad esse affidati.
istero degli Affari Esteri. L’art.14 della
Legge n.49/1987 è sostituito dal seguente:
Art.14
(Disponibilità finanziarie)
I mezzi finanziari destinati all’attuazione
della presente legge, fatti salvi quelli
derivanti da specifiche disposizioni di
legge, i crediti di aiuto e i fondi destinati
alla partecipazione italiana al capitale di
banche e fondi internazionali, nonché
alla cooperazione svolta dalla Comunità
europea, sono costituiti:dagli stanziamenti iscritti nell’apposita rubrica istituita
nello stato di previsione del Ministero
degli Affari Esteri e determinati annualmente con le modalità di cui all’art.11
comma 3 lett.d) della Legge 5 agosto
1978 n.468, come sostituito dall’art.5
della Legge 23 agosto 1988 n.362; dagli
eventuali apporti conferiti in qualsiasi
valuta dagli stessi paesi in via di sviluppo
e da altri paesi o enti e organismi internazionali per la cooperazione allo sviluppo;
da fondi raccolti con iniziative promosse
e coordinate dagli enti locali; da donazioni, lasciti, legati e liberalità, debitamente accettati; da qualsiasi altro provento derivante dall’esercizio delle attività
della Direzione Generale, ivi comprese le
eventuali restituzioni comunitarie.
Le somme di cui alle lettere b), c), d) ed e)
del comma 1 sono versate all’entrata del
bilancio dello Stato per essere riassegnate,
con decreti del Ministro del Tesoro, ai
pertinenti capitoli di bilancio. Le operazioni effettuate nei confronti delle Amministrazioni dello Stato e di organizzazioni
non governative riconosciute ai sensi
Art. 14
(Fondo speciale)
Il Fondo speciale è stato soppresso a
seguito dell’entrata in vigore della Legge
n.559/1993. A decorrere dal 1° gennaio
1995 i mezzi finanziari già destinati al
Fondo speciale sono iscritti in apposita
rubrica dello stato di previsione del Min82
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
della presente legge che provvedono,
secondo modalità stabilite con decreti del
Ministro delle Finanze, al trasporto e alla
spedizione di beni all’estero in attuazione
di finalità umanitarie, comprese quelle
dirette a realizzare programmi di cooperazione allo sviluppo, non sono soggette
all’imposta sul valore aggiunto; analogo
beneficio compete per le importazioni di
beni destinati alle medesime finalità.
Generale l’avvenuto visto o le eventuali
osservazioni sugli atti sottoposti al controllo.
5. Per l’attuazione delle iniziative e degli
interventi di cooperazione previsti dalla
presente legge, la Direzione generale
per la cooperazione allo sviluppo può
stipulare, previa delibera del Comitato
direzionale, convenzioni e contratti con
soggetti esterni all’amministrazione dello
Stato.
6. [comma abrogato]
7. In ogni caso le delibere e i pareri del
Comitato direzionale sulle singole iniziative di cooperazione dovranno essere
obbligatoriamente corredate da specifica
valutazione dell’Unità tecnica centrale di
cui all’articolo 12. Nel caso di trattativa
privata, il contratto e le relative valutazioni tecniche devono essere pubblicate nel
bollettino di cui all’articolo 9, comma 5.
8. La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo può predisporre, su
richiesta del Ministro degli affari esteri o
del Comitato direzionale, l’effettuazione
di particolari controlli, che siano riferiti
a singoli progetti ed abbiano carattere
temporaneo, da parte di organismi terzi
e indipendenti, sugli studi, sulle progettazioni e sulle realizzazioni attuate ai
sensi della presente legge.
9. Le somme non impegnate nell’esercizio
di competenza possono essere impegnate
nell’esercizio successivo. Il Ministro del
tesoro, su proposta del Ministro degli
Affari esteri, può apportare variazioni
compensative tra capitoli di spesa, in termini di competenza e cassa, iscritti nella
rubrica dello stato di previsione del Ministero degli Affari esteri di cui all’art.14
Art. 15
(Autonomia finanziaria
della Direzione Generale
per la cooperazione allo sviluppo )
1. Alla gestione delle attività dirette alla
realizzazione delle finalità della presente
legge si provvede in deroga alle norme
sull’amministrazione del patrimonio e
sulla contabilità generale dello Stato, nei
limiti della presente legge [..]
2. Presso la Direzione generale è costituito un apposito ufficio di ragioneria,
alle dipendenze del Ministero del tesoro
per l’esercizio delle funzioni proprie delle
ragionerie centrali [..].
3. La Corte dei conti esercita il controllo
di legittimità in via successiva sugli atti
della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo che è tenuta a inoltrarli
contestualmente alla loro definizione.
4. A tal fine è costituito un apposito
ufficio della Corte dei conti presso la
Direzione generale per la cooperazione
allo sviluppo. Tale ufficio è tenuto ad
esercitare il controllo in via successiva
entro il termine di sessanta giorni dalla
data di ricevimento degli atti della Direzione generale. Entro il suddetto termine
l’ufficio dovrà comunicare alla Direzione
n. 16 • giugno 2007
83
I DOCUMENTI
Art. 17
(Invio in missione)
1. Il personale inviato in missione
all’estero per periodi superiori a quattro
mesi in relazione a progetti di cooperazione allo sviluppo è tratto dalle seguenti categorie: a) personale di ruolo
dipendente dalle amministrazioni dello
Stato, dagli enti locali, da enti pubblici
non economici o altro personale di ruolo
comandato presso la Direzione generale
per la cooperazione allo sviluppo; b) personale a contratto di cui all’articolo 12 e
quello previsto dall’articolo 16, comma
1, lettera e); c) personale assunto dal
Ministero degli affari esteri con contratto
di diritto privato a tempo determinato,
sulla base di criteri fissati dal Comitato
direzionale.
comma 1 lett.a), cui affluiscono i mezzi
finanziari già destinati al Fondo speciale
per la cooperazione allo sviluppo.
10. [comma abrogato]
Art. 16
(Personale addetto
alla Direzione generale
per la cooperazione allo sviluppo)
1. Il personale addetto alla Direzione
generale per la cooperazione allo sviluppo è costituito da: a) personale del
Ministero degli affari esteri; b) magistrati ordinari o amministrativi, avvocati
dello Stato, comandati o nominati con
le modalità previste dagli ordinamenti
delle rispettive istituzioni, nel limite massimo di sette unità; c) esperti e tecnici
assunti con contratto di diritto privato,
ai sensi dell’articolo 12; d) personale
dell’amministrazione dello Stato. degli
enti locali e di enti pubblici non economici posto in posizione di fuori ruolo
o di comando; e) funzionari esperti.
di cittadinanza italiana, provenienti da
organismi internazionali nei limiti di Un
contingente massimo di trenta unità,
assunti dalla Direzione generale per la
cooperazione allo sviluppo sulla base di
criteri analoghi a quelli previsti dalla lettera C).
2. Fino a cinque funzionari della Carriera diplomatica possono essere collocati
a disposizione per incarichi speciali da
svolgere presso la Direzione generale per
la cooperazione allo sviluppo e all’estero,
in soprannumero al contingente fissato
dall’articolo 111 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 5 gennaio 1967.
Art.18.
(Doveri del personale
inviato all’estero)
1. Il personale inviato all’estero per
compiti di cooperazione è tenuto ad
assolvere le mansioni ad esso affidate
in modo conforme alle finalità della
presente legge e agli obblighi contrattualmente assunti. Esso non può in alcun
caso essere impiegato in operazioni di
polizia o di carattere militare.
2. Il capo della rappresentanza diplomatica italiana competente per territorio
sovrintende al corretto svolgimento delle
attività di detto personale, anche ai fini
amministrativi e disciplinari, fatta salva
la normativa di stato propria di ciascun
dipendente, che resta regolata dagli ordinamenti delle amministrazioni di rispettiva appartenenza.
84
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
Art. 21
(Utilizzazione di dipendenti pubblici. docenti universitari e magistrati)
1. Il personale dello Stato o di enti pubblici di cui all’articolo 17, lettera a), può
essere utilizzato nei limiti dei contingenti
determinati con decreto del Ministro
degli affari esteri, sentiti i Ministri del
tesoro e della funzione pubblica
2. Nei limiti di tali contingenti, il personale di cui sopra e messo a disposizione
della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo: a) con decreto del
Ministro degli affari esteri, per il personale da esso dipendente; b) con decreto
del Ministro competente, di concerto
con il Ministro degli affari esteri, per il
personale dipendente da altre amministrazioni dello Stato; c) con decreto del
Ministro degli affari esteri, d’intesa con
l’ente pubblico interessato, per il personale dipendente da enti pubblici.
3. La messa a disposizione dei magistrati
ordinari e disposta dal Consiglio superiore della magistratura, su richiesta del
Ministro di grazia e giustizia, previo concerto con il Ministro degli affari esteri.
4. Durante il collocamento a disposizione
detto personale continua a percepire gli
assegni fissi e continuativi spettanti per
l’intero a carico dell’amministrazione o
dell’ente di appartenenza, ad eccezione
delle quote di aggiunta di famiglia, della
indennità integrativa speciale, delle indennità inerenti a specifiche funzioni ed
incarichi ovvero connesse a determinate
condizioni ambientali, e comunque degli
emolumenti legati all’effettiva prestazione del servizio in Italia.
5. La durata di ogni incarico non può
Art. 19
(Divieto di emolumenti aggiuntivi)
1. Il personale di cui all’articolo 17 non
può percepire nel Paese di impiego alcuna integrazione al trattamento economico
corrisposto dall’amministrazione italiana.
Art. 20 (Attestato finale)
1. Al termine del servizio il Ministero degli affari esteri, su richiesta
degli interessati, provvede a rilasciare
al personale che ha prestato servizio di
cooperazione ai sensi degli articoli 17 e
31 un apposito attestato da cui risultino
la regolarità, la durata e la natura del
servizio prestato.
2. Tale attestato costituisce titolo preferenziale di valutazione, equiparato
a servizio presso la pubblica amministrazione: a) nella formazione delle
graduatorie dei pubblici concorsi per
l’ammissione alle carriere dello Stato o
degli enti pubblici; b) nell’ammissione
agli impieghi privati, compatibilmente
con le disposizioni generali sul collocamento.
3. Il periodo di servizio e computato per
l’elevazione del limite massimo di età per
la partecipazione ai pubblici concorsi.
4. Salvo più favorevoli disposizioni di
legge, le attività di servizio prestate in
un Paese in via di sviluppo dal personale
di cui al comma 1, sono riconosciute
ad ogni effetto giuridico equivalenti per
intero ad analoghe attività professionali
di ruolo prestate nell’ambito nazionale,
in particolare per l’anzianità di servizio,
per la progressione della carriera, per il
trattamento di quiescenza e previdenza e
per l’attribuzione degli aumenti periodici
di stipendio.
n. 16 • giugno 2007
85
I DOCUMENTI
l’intero onere relativo a tali assegni comprese le indennità di aggiornamento e di rischio, ad esclusione di ogni
altra indennità che si considera assorbita
dall’indennità di servizio all’estero - e
assunto dalla Direzione generale per la
cooperazione allo sviluppo.
3. Detto personale conserva altresì il diritto alle prestazioni assistenziali e previdenziali, i cui contributi sono rimborsati
dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo all’amministrazione
di appartenenza.
essere inferiore a quattro mesi né superare
i quattro anni e deve essere indicata nei
decreti di collocamento a disposizione;
solo in caso di comprovate necessità del
programma di cooperazione nel quale
il personale è impegnato, può essere
disposta la proroga del predetto termine quadriennale da parte del Comitato
direzionale. Decorso tale termine, nessun
nuovo incarico può essere conferito alla
medesima persona ai sensi del presente
articolo se non per un programma diverso da quello precedentemente svolto.
6. Il Ministero della pubblica istruzione
può autorizzare docenti e ricercatori delle
università italiane a usufruire di un congedo con assegni per la durata dell’incarico
conferito ai sensi dei precedenti commi
del presente articolo per esercitare attività di cooperazione allo sviluppo.
Art. 23
(Equiparazione del servizio all’estero
a quello di istituto)
1. Salve diverse disposizioni della presente legge, il servizio prestato in Paesi
in via di sviluppo dal personale di cui alla
lettera a) dell’articolo 17 e equiparato a
tutti gli effetti giuridici, ivi compresi quelli
relativi alla progressione di carriera ed al
trattamento di quiescenza, al servizio di
istituto prestato nell’ambito delle rispettive amministrazioni di appartenenza.
2. Al personale di cui alla lettera a)
dell’articolo 17 si applica inoltre la disposizione dell’articolo 144, secondo
comma, del decreto del Presidente della
Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, relativa al computo del servizio prestato in
residenze disagiate e particolarmente disagiate ai fini del trattamento di quiescenza. Per la determinazione delle predette
residenze si fa riferimento al decreto di
cui al primo comma del predetto articolo
144, integrato, per i Paesi che non siano
stati presi in considerazione nel decreto
stesso in quanto non vi risieda una rap-
Art. 22
(Dipendenti di enti pubblici)
1. Gli enti pubblici, previo nulla osta
delle amministrazioni vigilanti, compresi
le strutture del Servizio sanitario nazionale, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e gli istituti zooprofilattici
sperimentali, d’intesa con il Ministero
degli affari esteri possono collocare in
aspettativa, per un periodo non superiore
all’incarico, personale dipendente, da essi
autorizzato all’espletamento di compiti
di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.
2. Il personale collocato in aspettativa
ha diritto agli assegni di cui all’articolo
21 a carico dell’amministrazione di
appartenenza. Solo per il personale delle
istituzioni sanitarie di cui al comma 1,
86
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
presentanza italiana, da successivi decreti
emanati nelle medesime forme. Ai fini
degli aumenti periodici di stipendio ogni
trimestre completo di servizio prestato
all’estero e valutato con la maggiorazione
di un terzo.
3. Le disposizioni del presente articolo si
applicano altresì agli insegnanti ed al personale docente di ruolo di ogni ordine e
grado, che sia destinato a prestare servizio
in scuole che funzionino nei Paesi suddetti o che dipendano da tali Paesi e da
organismi o enti internazionali .
4.II servizio di insegnamento effettuato
in un Paese in via di sviluppo è considerato, in relazione al grado documentato
dell’insegnamento prestato, come titolo
valutabile ad ogni effetto di legge e ai
tini dei concorsi per l’insegnamento negli
istituti e scuole di istruzione di pari grado
in Italia, qualora il personale interessato sia in possesso dei requisiti richiesti
dall’ordinamento italiano per tale insegnamento.
affari esteri farà riferimento, per quanto
possibile, ai parametri retributivi adottati
al riguardo dal Fondo europeo di sviluppo della Comunità economica europea
per il personale omologo impiegato nei
programmi di sviluppo.
Art. 24
(Trattamento economico all’estero)
1. Il personale di cui all’articolo 17,
lettere a) e b), percepisce, durante il
servizio all’estero, oltre allo stipendio ed
agli assegni fissi e continuativi previsti
per l’interno, una indennità di servizio
all’estero stabilita con decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con il
Ministro del tesoro. Tale decreto determina altresì ogni altra competenza e
provvidenza.
2. Nel determinare l’ammontare complessivo della retribuzione per il personale
di cui all’articolo 17 il Ministro degli
Art. 26
(Trattamento economico e assicurativo)
1. Il personale di cui all’articolo 17, lettera c), assunto con contratto di diritto
privato a tempo determinato può essere
utilizzato nei limiti di un contingente
stabilito periodicamente con decreto del
Ministro degli affari esteri di concerto
con il Ministro del tesoro.
2. Nella medesima forma sono stabilite
le condizioni generali del contratto e il
trattamento economico spettante per le
diverse qualificazioni del suddetto personale.
3. Tale trattamento deve essere equipara-
n. 16 • giugno 2007
Art. 25
(Congedo e spese di viaggio)
1. Al personale di cui all’articolo 17, lettere a) e b), spetta un congedo ordinario
nella misura prevista dai rispettivi ordinamenti, e comunque non inferiore a
trentasei giorni all’anno.
2. Durante il congedo ordinario è corrisposta al predetto personale l’indennità di
servizio di cui all’articolo 24.
3. Al personale spetta il rimborso delle
spese di viaggio e trasporto degli effetti
per sé e, qualora il servizio sia di durata
superiore a otto mesi, anche per i familiari a carico. La misura e le modalità del
rimborso saranno stabilite con decreto
del Ministro degli affari esteri.
87
I DOCUMENTI
qualificati designati allo scopo dal Direttore generale per la cooperazione allo
sviluppo possono essere inviati all’estero
per brevi missioni di durata inferiore
a quattro mesi e per le finalità previste nell’articolo 1, con provvedimento
adottato dall’amministrazione o ente di
appartenenza d’intesa con il Ministero
degli affari esteri o con decreto della
Direzione generale per la cooperazione
allo sviluppo, nel quale viene determinata
la qualificazione dell’esperto ai fini della
corresponsione del relativo trattamento
economico.
2. L’ammontare dell’indennità e determinato con decreto del Ministro degli affari
esteri, di concerto con il Ministro del
tesoro, tenuto conto dei trattamenti previsti per le missioni di cui all’articolo 17.
to per quanto possibile al trattamento del
personale di corrispondente qualificazione tecnica invialo ai sensi dell’articolo
17, lettera a).
4. Il personale di cui al comma l è iscritto,
a carico dell’amministrazione o dell’ente
assuntore alle assicurazioni per l’invalidità,
la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori
dipendenti, nonché all’assicurazione per
le malattie, limitatamente alle prestazioni
sanitarie.
5. I rapporti assicurativi di cui al comma
4, sono regolati da apposite convenzioni
concluse dall’amministrazione o dall’ente
assuntore con gli istituti assicurativi.
6. I contributi per le assicurazioni sono
commisurati ad apposite retribuzioni
convenzionali, da stabilirsi con decreto
del Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, di concerto con il Ministro degli
affari esteri.
7. Con apposita convenzione da stipulare
con l’Istituto nazionale delle assicurazioni, l’amministrazione o l’ente assuntore provvede inoltre a assicurare la
liquidazione di un equo indennizzo per
lesioni della integrità fisica derivanti da
infortuni occorsi o da infermità contratte durante il servizio o per causa di
servizio, nonché di una indennità per il
caso di morte durante il servizio o per
causa del servizio, da corrispondere agli
aventi diritto o, in mancanza di essi, ad
altra persona designata dal dipendente a
contratto.
Art. 28
(Riconoscimento di idoneità
delle organizzazioni non governative)
1. Le organizzazioni non governative,
che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, possono ottenere il riconoscimento di idoneità
ai fini di cui all’articolo 29 con decreto
del Ministro degli affari esteri, sentito il
parere della Commissione per le organizzazioni non governative, di cui all’articolo
8, comma 10. Tale Commissione esprime
pareri obbligatori anche sulle revoche di
idoneità, sulle qualificazioni professionali
o di mestiere e sulle modalità di selezione,
formazione e perfezionamento tecnicoprofessionale dei volontari e degli altri
cooperanti impiegati dalle organizzazioni
non governative.
2. L’idoneità può essere richiesta per la
Art. 27
(Missioni inferiori a quattro mesi)
1. Il personale di cui alla lettera a)
dell’articolo 17 nonché esperti e tecnici
88
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
settore o nei settori per cui si richiede il
riconoscimento di idoneità; g) accettino
controlli periodici all’uopo stabiliti dalla
Direzione generale per la cooperazione
allo sviluppo anche ai fini del mantenimento della qualifica; h) presentino i
bilanci analitici relativi all’ultimo triennio
e documentino la tenuta della contabilità;
i) si obblighino alla presentazione di una
relazione annuale sullo stato di avanzamento dei programmi m corso.
realizzazione di programmi a breve e
medio periodo nei Paesi in via di sviluppo; per la selezione, formazione e
impiego dei volontari in servizio civile;
per attività di formazione in loco di cittadini dei Paesi in via di sviluppo, Le
organizzazioni idonee per una delle suddette attività possono inoltre richiedere
l’idoneità per attività di informazione e di
educazione allo sviluppo.
3. Sono fatte salve le idoneità formalmente concesse dal Ministro degli affari
esteri prima dell’entrata in vigore della
presente legge.
4. Il riconoscimento di idoneità alle
organizzazioni non governative può
essere dato per uno o più settori di intervento sopra indicati, a condizione che le
medesime: a) risultino costituite ai sensi
degli articoli 10, 36 e 39 del codice civile;
b) abbiano come fine istituzionale quello
di svolgere attività di cooperazione allo
sviluppo in favore delle popolazioni del
terzo mondo; c) non perseguano finalità
di lucro e prevedano l’obbligo di destinare ogni provento, anche derivante
da attività commerciali accessorie o da
altre forme di autofinanziamento, per
i fini istituzionali di cui sopra; d) non
abbiano rapporti di dipendenza, da enti
con finalità di lucro, né siano collegate in
alcun modo agli interessi di enti pubblici
o privati, italiani o stranieri aventi scopo
di lucro; e) diano adeguate garanzie in
ordine alla realizzazione delle attività
previste, disponendo anche delle strutture e del personale qualificato necessari;
f) documentino esperienza operativa e
capacità organizzativa di almeno tre anni,
in rapporto ai Paesi in via di sviluppo, nel
n. 16 • giugno 2007
Art. 29
(Effetti dell’idoneità)
1. Il Comitato direzionale verifica - ai fini
dell’ammissione ai benefici della presente
legge la conformità, ai criteri stabiliti
dalla legge stessa, dei programmi e degli
interventi predisposti dalle organizzazioni non governative riconosciute idonee,
sentila la Commissione per le organizzazioni non governative di cui all’articolo
8, comma 10.
2. Alle organizzazioni su indicate possono essere concessi contributi per lo
svolgimento di attività di cooperazione
da loro promosse, in misura non superiore al 70 per cento dell’importo delle
iniziative programmate, che deve essere
integrato per la quota restante da forme
autonome, dirette o indirette, di finanziamento, salvo quanto previsto agli articoli
31, comma 2-bis, e 32, comma 2-ter. Ad
esse può essere altresì affidato l’incarico
di realizzare specifici programmi di cooperazione i cui oneri saranno finanziati
dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo
3. Le modalità di concessione dei contributi e dei finanziamenti e la determi89
I DOCUMENTI
nazione dei relativi importi sono stabilite con apposita delibera del Comitato
direzionale, sentito il parere della Commissione per le organizzazioni non governative.
4. Le attività di cooperazione svolte dalle
organizzazioni non governative riconosciute idonee sono da considerarsi, ai
fini fiscali, attività di natura non commerciale.
contratto di cooperazione della durata di
almeno due anni registrato ai sensi del
comma 5, con il quale si siano impeganti
a svolgere attività di lavoro autonomo
di cooperazione nei paesi in via di sviluppo nell’ambito di programmi previsti
dall’articolo 29.
2. Il contratto di cooperazione deve
prevedere il programma di cooperazione
nel quale si inserisce l’attività di volontariato e il trattamento economico.[..] I
contenuti di tale contratto sono definiti
dal Comitato direzionale sentito il parere
della Commissione per le organizzazioni
non governative. I volontari in servizio
civile con contratto di cooperazione registrato presso la Direzione generale per la
cooperazione allo sviluppo, esclusi quelli
in aspettativa ai sensi dell’art.33, comma
1, lettera a), sono iscritti a loro cura
alle assicurazioni per invalidità, vecchiaia
e superstiti dei lavoratori dipendenti,
nonché all’assicurazione per le malattie,
limitatamente alle prestazioni sanitarie,
ferma rimanendo la natura autonoma
del rapporto e l’inesistenza di obblighi
contributivi a carico diretto dei volontari.
Termini e modalità del versamento dei
contributi saranno definiti dal regolamento di esecuzione della presente legge,
anche in deroga alle disposizioni previste
in materia per le predette assicurazioni.
2-bis. I contributi previdenziali e assistenziali di cui al comma 2, gli importi
dei quali sono commisurati ai compensi
convenzionali determinati con apposito
decreto interministeriale, sono posti integralmente a carico della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo la
quale provvede direttamente all’accredito
Art. 30
(Contributi deducibili)
1. I contributi, le donazioni e le oblazioni
erogati da persone fisiche e giuridiche in
favore delle organizzazioni non governative idonee ai sensi dell’articolo 28 sono
deducibili dal reddito imponibile netto
ai fini dell’imposta sul reddito istituita
dall’articolo 3 del decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n.
597, per le persone fisiche e dall’articolo
3 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 598, per le
persone giuridiche, nella misura massima
del 2 per cento di detto reddito.
Art. 31
(Volontari in servizio civile)
1. Agli effetti della presente legge sono
considerati volontari in servizio civile
i cittadini italiani maggiorenni che, in
possesso delle conoscenze tecniche e
delle qualità personali necessarie per rispondere alle esigenze dei Paesi interessati, nonché di adeguata formazione e
di idoneità psicofisica, prescindendo da
fini di lucro e nella ricerca prioritaria dei
valori della solidarietà e della cooperazione internazionale, abbiano stipulato un
90
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
2 e 3, nonché la sussistenza dei requisiti
di cui al comma 1.
6. Copia del contratto registrato è trasmessa dalla Direzione generale per la
cooperazione allo sviluppo alla rappresentanza italiana competente per territorio ai fini previsti dall’articolo 34.
dei contributi presso il fondo pensioni
dei lavoratori dipendenti. I volontari ed
i loro familiari a carico sono anche assicurati contro i rischi di infortuni, morte
e malattia con polizza a loro favore. La
Direzione generale per la cooperazione
allo sviluppo provvede al pagamento
dei premi per massimali che sono determinati con delibera del comitato direzionale su proposta della Commissione
per le organizzazioni non governative.
Per i volontari in aspettativa ai sensi
dell’articolo 33, comma 1, lettera a), il
trattamento previdenziale ed assistenziale
rimane a carico delle amministrazioni di
appartenenza per la parte di loro competenza, mentre la parte a carico del lavoratore è rimborsata dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo
alle stesse amministrazioni.
3. II Comitato direzionale, sentito il
parere della Commissione per le organizzazioni non governative, stabilisce ed
aggiorna annualmente i criteri di congruità per il trattamento economico di cui al
comma 2, tenendo conto anche del caso
di volontari con precedente esperienza
che siano chiamati a svolgere funzioni di
rilevante responsabilità.
4. E’ parte integrante del contratto di
cooperazione un periodo all’inizio del
servizio, non superiore a tre mesi, da
destinarsi alla formazione.
5. La qualifica di volontario in servizio
civile e attribuita con la registrazione del
contratto di cui al comma 1, presso la
Direzione generale per la cooperazione
allo sviluppo. A tal fine la Direzione
generale deve verificare la conformità del
contratto con quanto previsto ai commi
n. 16 • giugno 2007
Art. 32
(Cooperanti delle organizzazioni
non governative)
1. Le organizzazioni non governative idonee possono inoltre impiegare
nell’ambito dei programmi riconosciuti conformi alle finalità della presente
legge, ove previsto nei programmi stessi,
con oneri a carico dei pertinenti capitoli dell’apposita rubrica di cui all’art.14
comma 1 lett a)[..], cittadini italiani maggiorenni in possesso delle conoscenze
tecniche, dell’esperienza professionale e
delle qualità personali necessarie, che
si siano impegnati a svolgere attività
di lavoro autonomo nei paesi in via di
sviluppo con un contratto di cooperazione,[..] di durata inferiore a due anni,
per l’espletamento di compiti di rilevante
responsabilità tecnica gestionale e organizzativa. Il contratto di cui sopra deve
essere conforme ai contenuti che verranno definiti dal Comitato direzionale
sentito il parere della Commissione di cui
all’articolo 8, comma 10.
2. La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, verificata tale
conformità nonché la congruità con il
programma di cooperazione, registra il
contratto attribuendo in tal modo la
qualifica di cooperante ai sensi della
presente legge. I cooperanti dipendenti
91
I DOCUMENTI
dallo Stato o da enti pubblici hanno
diritto [..] al collocamento in aspettativa
senza assegni per la durata del contratto
di cooperazione. [..]
2-bis. I cooperanti in servizio con contratto di cooperazione registrato presso
la Direzione generale per la cooperazione
allo sviluppo possono iscriversi a loro cura
alle assicurazione per invalidità, vecchiaia
e superstiti dei lavoratori dipendenti,
nonché all’assicurazione per le malattie,
limitatamente alle prestazioni sanitarie,
ferma rimanendo la natura autonoma del
rapporto e l’inesistenza di obblighi contributivi a carico diretto dei cooperanti.
Termini e modalità del versamento dei
contributi saranno definiti dal regolamento di esecuzione della presente legge,
anche in deroga alle disposizioni previste
in materia per le predette assicurazioni.
I contributi sono commisurati ai compensi convenzionali da determinare con
apposito decreto interministeriale.
2-ter. I contributi previdenziali e assistenziali per i cooperanti che si iscrivono alle
assicurazioni di cui al comma 2-bis sono
posti integralmente a carico della Direzione generale per la cooperazione allo
sviluppo. I cooperanti ed i loro familiari
a carico sono anche assicurati contro
i rischi di infortuni, morte e malattia
con polizza a loro favore. La Direzione
generale per la cooperazione allo sviluppo provvede al pagamento dei premi
per massimali che sono determinati con
delibera del comitato direzionale su proposta della Commissione per le organizzazioni non governative.
2-quater. I cooperanti hanno diritto al
riconoscimento del servizio prestato
nei Paesi in via di sviluppo ai sensi
dell’articolo 20.
3. Copia del contratto registrato è trasmessa dalla Direzione generale per la
cooperazione allo sviluppo alla rappresentanza italiana competente per territorio ai fini previsti dall’articolo 34.
Art. 33
(Diritti dei volontari)
l. Coloro ai quali sia riconosciuta con la
registrazione la qualifica di volontari in
servizio hanno diritto: a)
al collocamento in aspettativa senza assegni, se
dipendenti di ruolo o non di ruolo da
amministrazioni statali o da enti pubblici, nei limiti di appositi contingenti, da
determinare periodicamente con decreto
del Presidente del Consiglio dei ministri,
di concerto con i Ministri degli affari
esteri e del tesoro. Il periodo di tempo
trascorso in aspettativa e computato per
intero ai fini della progressione della
carriera, della attribuzione degli aumenti
periodici di stipendio e del trattamento
di quiescenza e previdenza. Il diritto di
collocamento in aspettativa senza assegni
spetta anche al dipendente il cui coniuge
sia in servizio di cooperazione come
volontario; b) al riconoscimento del
servizio prestato nei Paesi in via di sviluppo; c) alla conservazione del proprio
posto di lavoro, secondo le disposizioni
del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n.
303, e successive norme integrative, relative ai lavoratori chiamati alle armi per il
servizio di leva, qualora beneficino del
rinvio del servizio militare ai sensi della
presente legge.
92
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
decadono dai diritti previsti dalla presente legge [..].
4. Il Ministro degli affari esteri può inoltre disporre il rimpatrio dei volontari e
dei cooperanti: a) quando amministrazioni, istituti, enti od organismi per i quali
prestano la loro opera in un determinato
Paese cessino la propria attività, o la
riducano tanto da non essere più in grado
di servirsi della loro opera; b) quando
le condizioni del Paese nelle quali essi
prestano la loro opera mutino in modo
da impedire la prosecuzione della loro
attività o il regolare svolgimento di essa.
5. Gli organismi non governativi idonei
possono risolvere anticipatamente i contratti di cooperazione e disporre il rimpatrio del volontario o del cooperante
interessato, in caso di grave inadempienza degli impegni da questo assunti,
previa comunicazione delle motivazioni
alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo e autorizzazione di
questa ultima.
2. Alle imprese private che concederanno ai volontari e cooperanti da esse
dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni è data la possibilità di
assumere personale sostitutivo con contratto a tempo determinato.
Art. 34
(Doveri dei volontari e dei cooperanti)
1. I volontari in servizio civile e i cooperanti con contratto di breve durata per i
periodi di servizio svolti nei Paesi in via
di sviluppo sono soggetti alla vigilanza
del Capo della rappresentanza italiana
competente per territorio, al quale comunicano l’inizio e la fine della loro attività
di cooperazione.
2. Essi devono assolvere alle proprie
mansioni con diligenza in modo conforme alla dignità del proprio compito.
In nessun caso essi possono essere impiegati in operazioni di polizia o di carattere militare.
3. I volontari ed i cooperanti non possono intrattenere con le organizzazioni
non governative rapporti di lavoro subordinato per l’esercizio di qualsivoglia
mansione. Ogni contratto di lavoro subordinato eventualmente stipulato dal
volontario o dal cooperante, anche tacitamente, con le organizzazioni non governative è nullo ai sensi dell’articolo 1343
del codice civile. In caso di inosservanza
di quanto disposto nel comma 1 o del
divieto di cui al presente comma, o di
grave mancanza - accertata nelle debite
forme - ai doveri di cui al comma 2, il
contratto di cooperazione, di cui agli
articoli 31 o 32, è risolto con effetto
immediato e i volontari o i cooperanti
n. 16 • giugno 2007
Art. 35
(Servizio militare, rinvio e dispensa)
1. I volontari in servizio civile che prestino la loro opera ai sensi dell’articolo 31
in Paesi in via di sviluppo e che debbano ancora effettuare il servizio militare
obbligatorio di leva, possono, in tempo di
pace, chiederne il rinvio al Ministero della
difesa, il quale è autorizzato a concederlo
per la durata del servizio all’estero, a condizione che il richiedente sia sottoposto a
visita medica ed arruolato.
2. Al termine di un biennio di effettivo e
continuativo servizio nei Paesi suindicati,
i volontari che abbiano ottenuto il rinvio
93
I DOCUMENTI
Art. 37 (Stanziamenti)
1. Con legge finanziaria è determinata ogni anno l’entità globale dei fondi
destinati per il triennio successivo alla
“Cooperazione allo sviluppo”, bilaterale
e multilaterale.
2. Gli stanziamenti iscritti nel bilancio di
previsione dello Stato destinati all’aiuto
pubblico allo sviluppo in tutte le sue forme
dovranno essere calcolati tenendo conto
degli impegni internazionali dello Stato.
3. [comma abrogato]
4. Con gli stanziamenti disposti sulla
apposita rubrica di cui all’art.14 comma
1 lett.a) [..], la Direzione generale per la
cooperazione allo sviluppo è autorizzata
a provvedere alle spese per il personale
aggiuntivo di cui agli articoli 12 e 16; per
l’organizzazione, la sistemazione logistica
ed il funzionamento della Direzione generale stessa e della Segreteria del CICS,
del Comitato consultivo e del Comitato
direzionale, sovvenendo ai relativi fabbisogni anche con l’acquisizione di servizi
esterni di carattere tecnico e operativo,
direttamente e senza le formalità previste
nell’articolo 24 del regio decreto 20 giugno
1929, n. 1058, e successive modificazioni;
per l’indennità di lavoro straordinario e
per le missioni del dipendente personale ordinario, comandato e aggiuntivo;
per le missioni, all’estero e in Italia,
disposte dalla Direzione generale per
l’espletamento dei compiti di controllo,
gestione e valutazione di cui agli articoli
10 e 12, nonché per il finanziamento delle
visite in Italia di qualificate personalità di
Paesi in via di sviluppo e di organismi
donatori bilaterali e multilaterali, invitate
per la trattazione, con la Direzione gen-
del servizio militare hanno diritto ad
ottenerne in tempo di pace la definitiva
dispensa dal Ministero della difesa.
3. Le condizioni di ammissione ai rinvii
e alla dispensa definitiva sono stabilite
con decreto del Ministro della difesa.
di concerto con il Ministro degli affari
esteri,
4. Nel caso in cui un volontario, pur
avendo tempestivamente iniziato il
servizio all’estero cui si è impegnato, non
raggiunga il compimento di un biennio
di servizio, decade dal beneficio della dispensa. Tuttavia, se l’interruzione avviene
per i motivi di cui al comma 4 dell’articolo
34 o per documentati motivi di salute o
di forza maggiore, il tempo trascorso in
posizione di rinvio nel Paese di destinazione è proporzionalmente computato ai
fini della ferma militare obbligatoria.
Art. 36
(Banca dati informativi)
1. E’ istituita presso la Direzione generale
per la cooperazione allo sviluppo una
banca dati in cui sono inseriti tutti i contratti, le iniziative, i programmi connessi
con l’attività di cooperazione disciplinata
dalla presente legge e la relativa documentazione.
2. L’accesso alla banca dati è pubblico
salvo i limiti previsti dall’ordinamento
3. Le modalità di accesso saranno disciplinate dal regolamento di cui all’articolo
38.
4. In attesa dell’entrata in funzione della
banca dati, la Direzione generale per
la cooperazione allo sviluppo è tenuta
comunque a garantire l’accesso alle informazioni di cui al comma 1.
94
Comuni d’Europa
Legge 26 febbraio 1987, n. 49
2. Entro trenta giorni dalla data di entrata
in vigore della presente legge il Comitato
direzionale esamina le singole iniziative
di cui al comma 1, verifica il relativo stadio di attuazione, adotta, ove necessario,
i provvedimenti adeguati, e delibera quali
devono essere attribuite alla gestione
dell’unità operativa di cui al comma 4
dell’articolo 11. Fino a tale momento la
gestione operativa delle iniziative è assicurata dagli uffici esistenti.
3. Gli organismi di amministrazione attiva, di controllo e consultivi, previsti dalla
presente legge, sono istituiti entro trenta
giorni dalla entrata in vigore della legge
stessa.
4. La documentazione, anche contabile,
delle precedenti gestioni istituite in base
alle leggi 9 febbraio 1979, n. 38 , e 8
marzo 1985, n. 73 , è trasferita al Comitato direzionale alla data di entrata in
vigore della presente legge.
5. Le leggi 9 febbraio 1979, n. 38 e 8
marzo 1985, n. 73, sono abrogate.
6. La presente legge entra in vigore il
giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana.
erale, dei problemi attinenti, in applicazione della presente legge, alla cooperazione allo sviluppo. [..]
Art. 38
(Disposizioni transitorie e finali)
l. Entro due mesi dall’entrata in vigore
della presente legge, con decreto del
Presidente della Repubblica, su proposta
del Ministro degli affari esteri, sentito
il Ministro del tesoro nonché le altre
amministrazioni dello Stato interessate,
sarà emanato il regolamento contenente
le norme di esecuzione. Dalla data di
entrata in vigore della presente legge e
fino all’emanazione dei decreti di attuazione del Ministro degli affari esteri, il
Comitato direzionale, anche nella composizione di cui all’articolo 9, impartisce
le direttive per assicurarne l’immediata
operatività e per garantire la continuità
delle iniziative in corso di attuazione alla
data del 28 febbraio 1987 in base alle leggi
9 febbraio 1979, n. 38, e 8 marzo 1985,
n. 73 . A tal fine il Comitato direzionale
adotta, con propria delibera, i provvedimenti necessari, ivi compresa la proroga
di tutti i contratti, anche di lavoro.
n. 16 • giugno 2007
95
Errata corrige
Nel numero precedente di Comuni d’Europa, il n° 15 di marzo 2007,
nell’articolo su “Informatore europeo per le Istituzioni locali” pubblicato nella
rubrica I DOCUMENTI, sono apparse alcune inesattezze che volentieri qui di
seguito rettifichiamo
- alla p. 67, penultimo capoverso, penultimo periodo: “Le unità di competenza così descritte possono essere selezionate …” (manca il verbo essere, e
dunque non è chiaro il senso del periodo)
- alla pag. 70, tra i profili declinabili dalla figura, aggiungere: “Informatore europeo per la tutela del patrimonio artistico e culturale”, dopo
“Informatore europeo per la tutela industriale e intellettuale”
- alla pag. 89, inserire, nella colonna delle conoscenze (prima colonna), in corrispondenza della riga in cui è scritto, nella seconda colonna, “sa definire
indici di valutazione … “, il seguente periodo: “E’ in grado di valutare le
politiche pubbliche locali nel contesto di una valutazione condivisa e
nel rispetto dei principi dello sviluppo sostenibile”
I nostri obiettivi?
Promuovere una cittadinanza attiva in Europa
Realizzare nuove forme di cooperazione tra cittadini ed istituzioni
Promuovere la Pace e i Diritti umani ovunque sia possibile
Lavoriamo perché queste speranze non restino parole vuote
Se condividi questi obiettivi, puoi contribuire destinando il 5x1000 all’Associazione
PMG, Peace-makers for the local governance, nella prossima dichiarazione dei redditi.
Firma nel riquadro “Sostegno alle associazioni di promozione sociale” ed inserisci il
codice fiscale dell’Associazione: 97247540582
Il nostro sito web: www.pmgovernance.org
La nostra e-mail: [email protected]
GRAZIE
Scarica

EDITORIALE • Una legge concreta, una utopia