Anno LV - n. 16 nuova serie - giugno 2007 Rivista dell'Aiccre, Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa EDITORIALE • Una legge concreta, una utopia che si fa realtà di Roberto Di Giovan Paolo pag. 3 • Un'efficace politica di cooperazione allo sviluppo di Fabio Pellegrini pag. 7 • La centralità della cooperazione per l'Italia di Nino Sergi pag. 11 • Il governo italiano e la cooperazione di Patrizia Sentinelli pag. 17 • L'aiuto pubblico allo sviluppo di Alfredo Mantica pag. 25 • Anche decentrata la cooperazione allo sviluppo di Marina Sereni pag. 31 • Pianificare per cooperare di Dario Rivolta pag. 36 • L'approccio dal basso della cooperazione decentrata di Mauro Zani pag. 39 • Dobbiamo tener fede agli impegni e alle promesse di Alessandro Battilocchio pag. 44 • L'impegno dell'AICCRE per un ruolo più attivo degli Enti locali di Enrico Casciani pag. 47 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO CONTRIBUTI E OPINIONI • Un progetto di respiro europeo: a Udine il Bilancio Sociale di Sergio Cecotti pag. 54 • Giustizia sociale: quale risposta a questa domanda? di Michele Scandroglio pag. 57 • L'orso europeo è partito da Ravenna... di Graziella Ricci pag. 60 • Maghreb: rilanciamo il processo di Barcellona di Alberto Isetta pag. 64 LE RECENSIONI • A cinquant'anni, tra no e adesioni concordate intervista a Emilio R. Papa pag. 68 • L'orso europeo di Patrizia Cimini pag. 72 I DOCUMENTI • Legge 26 febbraio 1987, n. 49 pag. 74 Comuni d’Europa Rivista dell’Aiccre, Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d’Europa Presidente Mercedes Bresso Vicepresidenti: Fabio Pellegrini (vicario), Giuseppe Castiglione, Candido De Angelis, Gina Fasan, Giovanni Orsenigo, Franco Punzi, Rosa Rinaldi Segretario generale: Roberto Di Giovan Paolo Segretario generale aggiunto: Michele Scandroglio Tesoriere: Giuseppe Viola Direzione e redazione a cura della struttura stampa Aiccre: Mario Marsala, Pino D’Andrea, Lucia Corrias, Anna Pennestri, Giuseppe Viola Piazza Fontana di Trevi, 86 - 00187 Roma tel. 06.69940461 - fax 06.6793275 - www.aiccre.it - [email protected] Registrato al Tribunale di Roma n. 4696 dell’11-6-1955 Direttore Politico: Nicola Zingaretti Direttore Responsabile: Roberto Di Giovan Paolo L’Aiccre edita Comuni d’Europa, EuropaRegioni “on line” e dossier “cartaceo”, la newsletter settimanale on line e il suo sito www.aiccre.it. 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Qui ha ragione Sergi (più avanti l’articolo del Segretario di Intersos “La centralità della cooperazione per l’Italia”, ndr), quando ricorda che l’ottimo è contrario del bene… sono anni che attendendo Godot, chi “sta sul campo” continua a fare i conti con l’emergenza, con i ritardi, con i fondi in ritardo e con i convogliamenti di fondi della cooperazione addirittura in campi per certi versi a loro antitetici. Bisogna fare una legge e gestire nel frattempo la transizione, andando incontro alla legge che viene, non al passato che dovrebbe passare. Una cosa è certa: l’Aiccre è tornata a giocare un ruolo nel campo della cooperazione, e lo sta facendo in un momento cruciale. Ovvero quando si decide se e quando, e soprattutto come, si cambierà la legge italiana in materia, dopo anni di “boatos” di cambiamento e il niente che ha caratterizzato i tempi passati, con errori e pigrizie, in alcuni casi davvero “bipartisan”. Così come bipartisan è stato, non poteva essere altrimenti, il confronto che abbiamo portato avanti nella nostra sede nazionale di Piazza di Trevi, tra parlamentari, ong, associazionismo degli enti locali e regionali e della società civile, esperti, le nostre federazioni regionali e il Ccre. Cosa emerge allora e su cosa appuntare l’attenzione, una attenzione che sia insieme attenta al “bene comune” ed insieme anche al ruolo che la nostra associazione può e deve giocare in questi anni? La politica si misura su questa legge Tutti ormai dicono di essere a favore della cooperazione internazionale e di quella decentrata ed ormai sembrano passati “anni luce” dai tempi in cui si era guardati con esotismo al momento di evocare il lavoro quotidiano ed i suoi risultati “immediati” sulla politica, di chi La legge deve farsi e presto Innanzitutto la legge va fatta e chiediamo che presto il Senato, alla Commissione Esteri, laddove sono raggruppati i diversi n. 16 • giugno 2007 3 EDITORIALE praticava la cooperazione, in anni difficili, rispetto al “lontano” futuro di chi riceveva quell’aiuto. Nessuno più immagina che si possa fare cooperazione agli “amici” e negarla ai “nemici”. Nessuno pensa più, che si debba farla come un gesto pietistico né, d’altra parte, trasformarla in un corollario della politica industriale del paese donante. Insomma, siamo fuori, sembrerebbe, da un certo clima ideologico avvelenato e le proposte di legge presenti in materia, su più fronti politici, non fanno che avvalorare questi termini del discorso. Permettendo, da un lato di andare subito al succo della questione e, dall’altro, di escludere che ci si possa baloccare dando la colpa a questo o quello e invocando temi “inesplorati” tali da far ritardare l’analisi dei testi e giungere quindi ad un voto di merito, positivo o negativo che sia ma, come si usa in una democrazia matura, responsabile del suo “sì “ o del suo “no”, e delle motivazioni. Che a quel punto saranno divenute sempre “costruttive”, sia che provengano dalla maggioranza come dall’opposizione, su come costruire la presenza del nostro Paese su un tema su cui molta della società civile, ma anche politica e sociale dell’Italia contemporanea, è impegnata. In questo senso crediamo che la politica possa fare il suo dovere e dare conto, in questo caso stupèndo i consueti fautori dell’“antipolitica”, delle sue proposte, della ricchezza di un dibattito, dell’ineluttabilità di una scelta finale, della riformabilità dei possibili errori, dell’avvio di un cammino nuovo e duraturo, ben- efico per il nostro Paese e per le società civili e legali dei Paesi in cui siamo o saremo presenti per la cooperazione. Per fare questo serve una volontà comune di confronto, un calendario certo, un iter concordato, uno sforzo delle istituzioni. Non sfuggirà allo scrutinio dell’Aiccre il comportamento complessivo e singolo. Il ruolo della società civile Un altro punto di confronto annoso è quello sul ruolo della società civile e delle Ong. Non siamo nati ieri e conosciamo tutti cosa sia la “retorica della società civile”: ci conforta sapere che i più seri organizzatori delle Ong, i più costanti operatori di cooperazione e di pace, in genere sono anche quelli che meno usano questa retorica ed anzi ne sono un po’ anche disturbati… Non che non sia giusto saper anche dire ogni tanto parole sferzanti alla politica quando non fa il suo dovere (ognuno di noi che fa politica dovrebbe pagare una quota ad amici e parenti per aiutarsi a divenire, in alcuni casi mantenere, meno retorico, tronfio o astratto...), ma la verità è che questi anni di difficoltà hanno anche passato al setaccio certi impegni personali o di gruppo: ci sono associazioni che operano con concretezza dai tempi della guerra del Biafra ed altre nate inconcludenti e sempre alla ricerca del “testimonial” uscito dall’ultimo reality tv… alcune che perseguono fini che vanno oltre la raccolta di fondi e credono che anche il modo in cui si lavora conta, cambia, tocca i cuori ed i cervelli, ed altre che invece si misurano solo in numeri a molti zeri oppure a seconda della loro influenza sui politici o 4 Comuni d’Europa Una legge concreta, una utopia che si fa realtà risultati ed alla costruzione del metodo, e la messa in comune delle risorse. Dunque, dovrebbe esserci un concerto di proposte, di azioni, di eventuali emendamenti, come di analisi del lavoro del passato, spesso da alcuni ottimamente fatto e troppo spesso sostitutivo della nostra politica estera o addirittura (ma non è una novità in attesa della ratifica del Trattato di Roma e di una vera e propria Costituzione... ndr) di quella della Unione Europea. E conta, e molto, che l’associazione più grande d’Europa degli enti locali e regionali, il Ccre, abbia tra le sue fila anche deputati europei come il vice sindaco di Parigi, Schapira, che sul tema hanno fatto approvare relazioni e denari per mettersi al passo con una nuova cultura europea della cooperazione che è innanzitutto un ulteriore elemento di unità europea, presente e futura. sui media o sullo spettacolo ( spesso è la stessa cosa…). Non spetta a noi il giudizio. Non spetta alla politica esprimere un “pre”-giudizio morale sulle Ong e su coloro che praticano la cooperazione. Quel giudizio non può che essere affidato alla rispondenza alle norme di una nuova, buona e perfettibile, legge sulla cooperazione, ed ai risultati che da essa risulteranno, anche per i singoli che la utilizzeranno o per le associazioni Ong e quanti altri vorranno misurarsi con una nuova legge ed un nuovo clima, speriamo una cultura anch’essa rinnovata, della cooperazione internazionale. Gli enti locali e regionali e la cooperazione internazionale e decentrata Altri in questo numero analizzano le varie situazioni e le specificità. Quello che a noi preme sottolineare in questo editoriale è che il panorama dell’impegno è complesso ma alcune regole di comportamento dovrebbero essere uguali per tutti i tipi di Governo Locale. Punto primo, non è che si possa accettare una “guerra tra poveri”… peraltro per… aiutare altri poveri! Le autonomie locali e regionali dovrebbero muoversi assieme, con le loro associazioni di “sindacato”, e collettivamente. Noi non vogliamo fare la morale ad altri… parliamo per noi e diciamo con chiarezza che non ci interessa dire che un livello vale più degli altri, perché nella cooperazione (guarda un po’ quasi come il federalismo, ma va...) conta lo sguardo e l’azione integrati; la collaborazione ai n. 16 • giugno 2007 Un impegno concreto Questo numero pressoché monografico arriva dopo una serie di seminari, un convegno ad aprile, una lettera dell’Aiccre a Presidente e Capigruppo in Senato, a responsabili settoriali di partito, di Ong, di associazioni consorelle, e non si ferma alla mera raccolta di documentazione e riflessioni. E’un pezzo del contributo che l’Aiccre intende dare alla costruzione della legge futura. In questo senso alcune regole che per noi sono chiave dicono che: a) non può esserci centralismo quando i soldi ed i soggetti che li erogano sono a più livelli; 5 EDITORIALE europeo degli enti locali e regionali per la pace, che sarà ospitato nella parte Aiccre della nuova House of Local Governments che si è aperta lo scorso 6 giugno a Bruxelles; per l’impegno contro le Tratte attraverso l’appello “Tratta No” approvato da Consigli regionali, provinciali e comunali in Italia oltre che dalla Presidenza del Consiglio dei ministri-Pari opportunità e dal Ccre in Europa, e per un confronto rinnovato tra la nostra associazione e la società civile. Non si può vivere nelle istituzioni senza ricevere linfa vitale dalla società civile. L’Aiccre nasce da lì, e lì sta tornando per ritrovare una storia e per fare atti concreti di politica: una legge, delle proposte, emendamenti, conti e bilanci alla mano. Atti concreti che, talvolta, significa dare senso alla storia, cambiando davvero la vita di altri esseri umani. Che è il senso ultimo della politica… anche se i fondi potrebbero gestirli altri. b) non si può essere allo stesso tempo controllori e controllati e questo dovrebbe valere per tutti, associazioni, Ong, organi dello Stato Nazionale; c) la “lettura” degli interventi deve rispondere ad una logica condivisa, che sia espressione del complesso dell’impegno del Paese in questo campo come nella politica estera, ed economica, pena la irrilevanza, anche internazionale, del nostro impegno in campo europeo e mondiale. Su questi temi l’Aiccre non arriva ora. Porta a maturazione un impegno fatto di federalismo solidale, gemellaggio per la pace, collaborazione e rappresentanza politica, che data a prima dei Trattati di Roma del 1957 che quest’anno in molti (alcuni riscoprono, altri retorizzano…) si sono decisi a celebrare. E questi temi fanno il paio con il nostro impegno per la pace, per la marcia Perugia-Assisi e per il Coordinamento 6 Comuni d’Europa LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO Un'efficace politica di cooperazione allo sviluppo di Fabio Pellegrini Vice Presidente Vicario dell'Aiccre – se non proprio di bilancio – delle esperienze fino ad oggi fatte. Malgrado le azioni ed i programmi attuati, malgrado che alcuni Paesi meno sviluppati si trovino ora in una fase di transizione con percentuali significative di sviluppo economico, il numero dei poveri nel mondo è in aumento. Sono in aumento le persone colpite dalla fame e dalle malattie, è in diminuzione in molte parti del mondo il livello di auto-approvvigionamento alimentare. Nella stessa parte sud del Mediterraneo il problema alimentare, così come quello della disponibilità di acqua potabile, sta peggiorando. In generale si tende a confondere quelli che sono processi naturali, fisici o biologici del pianeta, con i rapporti sociali e gli equilibri (o squilibri) internazionali. Non dovremmo parlare di catastrofi naturali, ma di catastrofi economiche (perdite di vite umane e materiali) conseguenti a “fenomeni” naturali. Le parti più fertili del nostro pianeta sono il risultato di frane ed alluvioni (“terreni alluvionali” si chiamano infatti in pedologia agronomica). Se per ipotesi un vulcano “spento” dovesse ripren- L’attuale momento è caratterizzato da un particolare interesse alle questioni dello sviluppo e del sottosviluppo, per usare un linguaggio vecchio, ma non ipocrita. Il lancio degli Otto obiettivi del Millennio per il 2015; la nuova politica dell’Unione europea della cooperazione per lo sviluppo (accompagnata dalla PEV – Politica Europea di Vicinato); il dibattito sul riscaldamento del clima (per certi versi allucinante: si sentono dire cose a dir poco strampalate, sicuramente per molti aspetti contraddittorie) che, passando ai rimedi di contenimento degli effetti negativi, richiama i problemi dei rapporti tra parti del globo economicamente sviluppate e parti meno sviluppate; gli obiettivi e le strategie su cui muoversi per garantire a quest’ultime una crescita sostenibile (o compatibile con l’ambiente); la lunga ed estenuante trattativa del Doha Round per la definizione di nuove regole per il commercio mondiale; infine la modifica della legge 49/1987 sulla cooperazione. Un dibattito che si è fatto serrato, animato da nuove proposte e da confronti con interessi consolidati, ma che non ci propone alcun tentativo di messa a punto n. 16 • giugno 2007 7 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO evitare danni economici futuri, senza poi incolpare di ciò la natura. Rispetto alla complessità di queste problematiche le risposte non sono univoche. In generale, dalla nostra parte del mondo si tende a prevedere pavidi palliativi e chiedere agli altri (ai Paesi meno sviluppati) di non seguire il nostro modello per non peggiorare la situazione ambientale, ma senza indicare come fare e senza mettere in discussione l’attuale assetto delle relazioni mondiali. Senza di ciò significa dire loro non sviluppatevi, cosa evidentemente non accettabile da parte loro; oppure, tra un allarmismo e l’altro, lasciare andare avanti le cose così come stanno andando oggi. Difficilmente i PVS accetteranno modelli che prevedano livelli di emissione di gas inferiori a quelli pro-capite dei Paesi più sviluppati, per cui ogni meccanismo per il controllo delle emissioni dovrà includere, per avere successo, i PVS. La scienza e le nuove tecnologie potrebbero darci dei contributi determinanti per comprendere meglio tali fenomeni, per prendere delle decisioni ed attuare le azioni adeguate. La globalizzazione dovrebbe rappresentare un’opportunità da cogliere, sia per garantire sviluppo sia per evitare o ridurre i danni ambientali e creare le condizioni per una vita migliore per tutti. Governare i rischi della globalizzazione (compresi quelli di aggravare gli squilibri e le ingiustizie sociali tra aree geoeconomiche) e valorizzare le sue opportunità, oltre al benessere porterebbe anche all’affermazione e all’espansione della democrazia e delle libertà nel mondo, dere la sua attività eruttiva e migliaia di persone dovessero abbandonare le loro abitazioni minacciate dalla lava, prima di essere spazzate via, dovremmo parlare per questo di catastrofe naturale o considerare irrazionale averci costruito delle case ed essere andati ad abitare sulle sue pendici? Conosciamo bene i meccanismi economici che guidano tali comportamenti, ma è più facile incolpare la natura che modificare gli interessi speculativi, fondiari ed urbanistici. Nella metà di marzo a Parigi si è tenuta una riunione del Consiglio Mondiale e del Bureau Esecutivo della nuova organizzazione mondiale dei poteri territoriali, CGLU (Città e Governi Locali Uniti): uno dei principali argomenti all’ordine del giorno era il cambiamento climatico del pianeta. Questo tema è stato deciso di dibatterlo anche in una sessione del prossimo (il 2°) Congresso che si terrà a Jeju (in Corea) alla fine di ottobre di quest’anno. Uno degli aspetti più discussi è stato l’aumento della temperatura e l’innalzamento del livello marino, con il conseguente pericolo per gli insediamenti umani vicini al mare. A Jeju oltre a porre attenzione alle proposte (anche se discordi e contrastanti tra gli scienziati), se non per bloccare almeno per attenuare gli effetti di tale cambiamento – che comunque potrebbe avvenire in tempi non immediati né brevi -, dovremmo prendere in considerazione l’opportunità di decidere l’immediato blocco dei permessi di costruire sulle spiagge o vicino al mare e rivedere tutti i piani regolatori e di fabbricazione per 8 Comuni d’Europa Un'efficace politica di cooperazione allo sviluppo a partire dalla democrazia locale. Parte integrante del governo della globalizzazione dovrebbero essere le azioni di rottura degli intrecci tra interessi particolari, spesso illeciti, e la lotta alla corruzione (corruttori e corrotti) quali condizioni per la fine degli innumerevoli conflitti locali e per innescare processi di crescita economico-sociale ed il radicamento della democrazia nei paesi del sottosviluppo e della fame. Ma la vera lotta per lo sviluppo va condotta sul piano di nuovi equilibri internazionali. La prova del fuoco della volontà di impegnarci in questa sfida è l’avanzamento verso un accordo del negoziato del Doha Round, bloccato proprio sui nodi cruciali di una realtà dominata dagli interessi dei Paesi sviluppati che contrastano con le esigenze di sviluppo dei Paesi più poveri. Gli attuali rapporti commerciali mondiali penalizzano doppiamente questi paesi. Siamo in genere noi a mantenere le barriere di protezione commerciali sia per molti prodotti industriali sia per quelli agricoloalimentari. Nella grande maggioranza dei PVS è ancora l’agricoltura il settore principale e l’acquisto da parte nostra dei loro prodotti servirebbe loro per disporre delle risorse economiche per gli investimenti finalizzati alla crescita. L’Europa e soprattutto gli USA, al contrario, conducono una politica agricola che penalizza, attraverso i sussidi alle produzioni e quelli alle esportazioni, due volte i PVS: sia per la capacità di penetrazione nei loro mercati, sia mettendoli fuori mercato a livello internazionale con i nostri prezzi artificiosamente bassi malgrado i n. 16 • giugno 2007 loro minori costi di produzione. Evidentemente, oltre al danno prodotto ai PVS, va considerato quello ai nostri consumatori che per acquistare molti prodotti agro-alimentari pagano dei prezzi molto superiori a quelli che pagherebbero in un mercato liberato dalle deformazioni protezionistiche. Certo non tutto è così semplice e lineare. Esistono problemi commerciali complessi e negoziati difficili con alcuni protagonisti in ascesa economica e di influenza politica come la Cina, l’India, il Brasile (la Russia), i cosiddetti Bric. Soprattutto con la Cina, che catalizza l’attenzione e le critiche per la sua scarsa disponibilità a tutelare a sufficienza marchi, copyright e proprietà intellettuali, con la quale soprattutto l’Europa intende tenere aperto il dialogo anche sulle questioni legate all’accesso al suo mercato di nostri prodotti e servizi. L’apertura dei mercati, l’acquisto dei loro prodotti, soprattutto dell’agricoltura, maggiori investimenti e dislocazioni di attività economiche a cominciare da quelle ad alto grado di occupazione di manodopera, ormai rara nei nostri Paesi e sostituita con l’immigrazione, sarebbero le vere politiche di una efficace cooperazione per lo sviluppo. Con ciò non intendiamo considerare inutile ed inefficace la cooperazione decentrata degli enti territoriali e quella compiuta da migliaia di ONG, molte delle quali si concentrano principalmente su micro-progetti. Certamente alcune cose da rivedere sono state messe in evidenza: per esempio i costi di gestione dei progetti che sovente assorbono troppe risorse economiche rispetto a quelle che 9 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO hanno senza dubbio il merito, oltre per gli aspetti concreti sopra detti, di contribuire notevolmente a sensibilizzare i nostri concittadini, per far crescere in loro la consapevolezza della necessità di sostenere quelle iniziative tese a modificare l’attuale stato dei rapporti mondiali, sia attraverso più coerenti e corretti comportamenti individuali e collettivi, sia rimuovendo le cause del sottosviluppo, della povertà e delle morti per fame che stanno all’origine di guerre, di violenze, di incontrollabili flussi migratori, di instabilità e di insicurezza, che finiscono per colpire la nostra vita quotidiana e che i nostri cittadini sentono come minacce reali, ma al tempo stesso considerano la sicurezza e la pace, la democrazia e la libertà come valori irrinunciabili. giungono effettivamente ai beneficiari. Un’altra considerazione da fare è quella che migliaia di piccoli progetti indubbiamente risolvono dei problemi quotidiani ed essenziali per le comunità locali, ma non “fanno sviluppo”. Il pozzo per l’acqua, il presidio sanitario, la scuola, ecc. sono utili e non vanno sottovalutati, ma non sono sufficienti per rimuovere le cause della povertà e della fame. Le risorse delle collettività territoriali europee destinate alla cooperazione sono notevoli e sono destinate ad aumentare, malgrado le difficoltà di bilancio. Con il Millennium Goal lanciato dalle Nazioni Unite nel 2000 e fatto proprio da CGLU e CCRE (e quindi anche dall’AICCRE), tali sforzi avranno un impulso di attività e di impegno economico. Questi sforzi 10 Comuni d’Europa LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO La centralità della cooperazione per 'Italia di Nino Sergi Segretario Generale INTERSOS concetto nobilitato di cooperazione e garantirne la centralità politica in tutta l’azione internazionale dell’Italia. Essa deve ispirarsi ai principi della cooperazione fra gli Stati e fra i popoli, favorirla e rafforzarla per la promozione degli interessi nazionali e di una globalizzazione basata su rapporti di giustizia, equità, rispetto dei diritti e della dignità della persona e dei popoli, tutela dell’ambiente, convivenza, pace e sicurezza. La politica centrata sulla cooperazione deve diventare il fondamento di ogni rapporto internazionale e deve rimanere il cardine su cui si sviluppano le relazioni a livello economico, politico, culturale, ambientale, dei diritti, dello sviluppo e lotta alla povertà, della sicurezza. Pluralità di relazioni e cooperazioni che devono essere esercitate garantendo la massima coerenza politica e il necessario coordinamento. Nobilitare il concetto di cooperazione e renderlo trasversale ad ogni atto politico dell’Italia nei rapporti internazionali è per il nostro paese una via premiante e ad avviso di molti, sia di centrosinistra che di centrodestra, ormai obbligata se vogliamo promuovere i nostri interessi nel mondo. Da percorrere e proporre anche all’interno dell’Unione europea. Non possiamo infatti praticare alcuna politica di potenza né sarebbe dignitoso accodarsi a politiche di potenza (sempre più miopi) di altri paesi. L’Italia ha un altro importante ruolo da giocare: quello del dialogo e della cooperazione. E’ la nostra via per difendere e incentivare gli interessi nazionali, anche economici e commerciali. Abbiamo davanti agli occhi continue testimonianze che attestano quanto sia convincente e riconosciuta questa attiva azione italiana, nel Medio Oriente, nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa ma anche in Asia e America latina. Sembriamo però incapaci di trarne le preziose indicazioni e di adottare definitivamente e chiaramente le scelte conseguenti. Per parlare di cooperazione allo sviluppo oggi, occorre partire proprio da questo n. 16 • giugno 2007 La cooperazione allo sviluppo, parte qualificante della politica estera La cooperazione allo sviluppo, finalizzata all’aiuto ai paesi più poveri e alla lotta alla povertà, si inserisce in questo più ampio 11 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO ambito delle relazioni internazionali dell’Italia, qualificandole e esigendone la coerenza, pena la sua inutilità e inefficacia. La cooperazione allo sviluppo è quindi non solo parte integrante della politica estera italiana, ma la sua espressione qualificante, basata sul dialogo e sulla collaborazione fra Stati, su rapporti di equità e di giustizia, su percorsi comuni e non su logiche di potenza e dominio o sulla forza delle armi. Si è molto discusso dell’ipotesi di un ministero specifico, autonomo dagli Esteri, e qualche proposta in merito è stata presentata in Parlamento. Ma, contrariamente a quanto può apparire, una simile opzione ne diminuirebbe di molto la valenza e la forza politica. La scelta politicamente più convincente richiede che venga assicurata agli Esteri l’unitarietà degli strumenti e delle decisioni (i doni, i crediti, i contributi al Fondo europeo di sviluppo e alle Istituzioni finanziarie internazionali e la partecipazione in esse) che in larga parte fanno oggi riferimento all’Economia e Finanze, seguendo criteri che poco corrispondono a quelli della cooperazione allo sviluppo. Si tratta di una stonatura della nostra azione internazionale e deve essere superata. Lo richiedono ragioni di coerenza politica e di maggiore efficacia della stessa azione di cooperazione che assumerebbe, in questo modo, anche maggiore peso internazionale. La coerenza politica richiede anche altro. Innanzitutto forme di coordinamento delle iniziative territoriali di cooperazione pubblica allo sviluppo (definite malamente “decentrate”), prevedendo anche alcuni vincoli in relazione agli indirizzi e alle priorità approvate dal Parlamento. Si tratta di iniziative che vanno valorizzate, data la specificità e il coinvolgimento sul territorio. Esse corrispondono, nell’insieme, a significativi impegni finanziari, i cui benefici possono essere moltiplicati se vengono inserite in un quadro di maggiore coordinamento e coerenza, senza nulla togliere alla capacità propositiva delle Regioni e degli Enti locali. Analogamente, va assicurata la più ampia integrazione tra pubblico e privato basata sul principio della sussidiarietà. Le risorse, un problema culturale Il rinnovamento e il rilancio della cooperazione allo sviluppo non avrebbe alcun senso senza le risorse adeguate per poterlo realizzare. Le decisioni prese a livello di UE dovranno essere prese a riferimento nel nostro paese: lo 0,56% del Pil, con crescente gradualità, entro il 2010, fino a giungere allo 0,7% nel 2015. Così è stato definito dal Consiglio europeo nel 2005 e stabilito nel “European Consensus on Development” con il pieno accordo dell’Italia. Purtroppo non sarà così. Negli ultimi 15 anni sia i governi di centrosinistra che quelli di centrodestra hanno dimostrato scarsa attenzione: pochi e miseri sono stati gli effetti dei grandi proclami e degli ambiziosi impegni (si fa per dire!) internazionali. Mentre, con una tendenza radicalmente opposta, la società dimostra grande disponibilità e generosità, forse male indirizzata e limitata all’emotività e alla spinta solidaristica, ma vera ed effettiva. Nel dibattito politico, salvo alcuni casi encomiabili, continua un bipartisan vuoto 12 Comuni d’Europa La centralità della cooperazione per l'Italia di “cultura” e quindi di interesse politico. La cooperazione allo sviluppo non è vista come una grande opportunità per l’Italia, come un investimento per l’intero sistema paese, da definire, programmare e dotare delle risorse necessarie, ma come tema residuale da tener presente perché non si può farne a meno ma che “non porta voti”. Chiusi in un provincialismo fuori tempo, si fa finta di non vedere che la povertà alle nostre porte (e con la globalizzazione le nostre porte sono ovunque) è un problema anche italiano che tocca il nostro sistema in profondità. E’ così già ora e maggiormente nel prossimo futuro, quindi va affrontato con convinzione e decisione. Non è una questione di nuove leggi, ma di cultura e di volontà politica. Forse solo un grande patto tra società civile, Ong, Università, Ministero degli Esteri, Regioni ed Enti locali interessati, per creare e affermare una nuovo approccio culturale alla cooperazione allo sviluppo, può contribuire al cambiamento. campi della cooperazione. Una consultazione iniziata nel 2005, che ha avuto un momento di confronto pubblico il 24 marzo 2006 a Firenze con il candidato primo ministro Prodi alla presenza di duemila persone e che si è approfondita nei mesi successivi. Nel presentare la proposta Luciano Vecchi, responsabile esteri DS, e Gianguido Folloni, responsabile cooperazione DL-Margherita, hanno voluto da subito manifestare l’opzione politica del “rilancio con forza e coerenza delle politiche di cooperazione allo sviluppo dell’Italia”. “Una comunità di popoli e nazioni capaci di vivere in pace, di cooperare per uno sviluppo equilibrato, nel rispetto della libertà e dei diritti personali di ogni singolo uomo e di libertà e diritti delle diverse comunità umane è l’obiettivo della politica estera che vede nella crescita democratica della Comunità internazionale e delle sue istituzioni un fine da perseguire con impegno”. “Lotta alla povertà, sviluppo sostenibile, democrazia, diritti umani, civili e politici, protagonismo della società civile, tutela e promozione ambientale: questi sono, tra gli altri, gli obiettivi da perseguire e da mettere pienamente al centro dell’iniziativa internazionale del nostro Paese.” Intenzioni e parole già ascoltate negli anni passati, da parte di molti partiti e dei più alti livelli istituzionali, ma che non sono mai state tradotte in politiche attive, definite e programmate. Ciò che fa sperare oggi è che questa volontà politica, pur nelle sue diversificazioni, è manifestata quasi in modo corale, stando al disegno di legge delega La proposta di legge dell’Ulivo La proposta di legge n. 2127 “Nuove disposizioni in materia di cooperazione allo sviluppo” presentata alla Camera il 12 gennaio 2007 dal Gruppo dell’Ulivo, con primi firmatari Sereni e Franceschini riprende, forse più di altre, i principi e le preoccupazioni sopra enunciati. Anche perché tale proposta è il frutto di un’ampia consultazione, promossa congiuntamente da DS e DL-Margherita a cui hanno partecipato rappresentanze di soggetti pubblici e privati, del volontariato e di quanti operano nei diversi n. 16 • giugno 2007 13 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO del Governo e alle proposte di legge di Ulivo, FI, AN, PRC, UDC depositate alla Camera e al Senato. • I punti salienti della proposta dell’Ulivo La proposta di legge si compone di 12 articoli il cui contenuto può essere sintetizzato come segue: • Punto cardine è l’idea che le politiche di cooperazione tra i popoli e gli Stati siano alla base delle relazioni internazionali e dell’impegno internazionale dell’Italia. La cooperazione diviene, nella cornice di questa proposta, una delle componenti fondamentali e qualificanti della politica estera italiana. • Altri presupposti essenziali da cui muove il documento sono che l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) si fonda sui principi del partenariato e del cosviluppo; non deve essere subordinato ad altri interessi particolari ed esclude quindi interventi finalizzati al sostegno di ulteriori tornaconti economici, militari e politici; ha una sua propria dignità e deve rimanere normalmente svincolato dalla fornitura di beni e servizi italiani. • Al Consiglio dei Ministri è affidato il compito di assicurare la coerenza delle politiche di cooperazione, mentre le figure di riferimento sono rappresentate dal Ministro e dal Vice-Ministro degli Affari Esteri, che è il soggetto che realizza quanto il Consiglio dei Ministri ed il Parlamento hanno adottato. • E’ previsto un fondo unico per l’APS che raccoglie tutti i fondi destinati a • • • 14 tali politiche e che viene posto sotto la responsabilità del Vice Ministro. Viene istituita l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, quale organo di gestione dell’APS, governata da un Consiglio d’amministrazione, presieduto da un presidente nominato dal Ministro. Essa agisce in piena autonomia e non è sottoposta ai vincoli delle norme sull’amministrazione e contabilità dello Stato. Con la previsione del fondo unico, compito dell’Agenzia sarà quello di stanziarne le risorse in base alla programmazione annuale, affidando al Ministero dell’Economia la parte destinata ai contributi obbligatori alle istituzioni finanziarie internazionali e attribuendo agli altri ministeri le parti spettanti. Il testo chiarisce, inoltre, il confine tra cooperazione allo sviluppo ed emergenza, ponendo quest’ultima nella cornice degli interventi delle politiche dell’APS. Slegare la cooperazione e l’emergenza, che comporta sempre l’interruzione o lo sconvolgimento di un processo di sviluppo, farebbe infatti perdere alla cooperazione una parte importante della sua natura, essendo l’interveto di emergenza finalizzato, oltre che al soccorso delle popolazioni, al rapido ristabilimento delle condizioni necessarie per la ripresa dello sviluppo. Altro punto qualificante è il riconoscimento e la valorizzazione del ruolo delle Regioni, degli Enti locali e degli attori italiani privati e pubblici, sostenendo la migliore integrazione tra Comuni d’Europa La centralità della cooperazione per l'Italia pubblico e privato, nella realizzazione dei programmi e progetti, fermo restando il rispetto del principio della sussidiarietà e fermo restando il ruolo di coordinamento svolto dal Ministero degli Esteri. • Viene riconosciuto anche il contributo positivo che possono fornire le piccole e medie imprese in un’ottica di sviluppo dei distretti locali: l’Agenzia potrà infatti promuovere gli interventi e gli investimenti delle PMI italiane nel quadro dei programmi di sviluppo nei PVS. • Pur rimanendo le Ong un riferimento importante e valorizzando il ruolo da esse svolto nei PVS, dove spesso sono l’unica presenza italiana, la proposta di legge prevede che tutti i soggetti potranno partecipare alle iniziative di cooperazione secondo procedure concorsuali regolate sulla base di quelle adottate in sede UE e definite dal regolamento dell’Agenzia. • Le risorse destinate all’APS dovranno essere indicate con chiarezza, con l’obiettivo di arrivare gradualmente, ma in modo programmato, allo 0,7% del PIL, secondo quanto definito in sede UE. E’ prevista anche la detassazione dei fondi destinati ad iniziative di cooperazione allo sviluppo realizzate da organizzazioni riconosciute ai sensi della legge. l’azione di cooperazione internazionale; nuovi strumenti operativi e di gestione; precisi impegni sulle risorse. Molto altro poteva essere inserito, ma è prevalsa nell’Ulivo la volontà di limitarsi all’essenziale per arricchirlo nel dibattito e nel confronto con gli altri progetti depositati, ognuno dei quali meritevole di attenzione, e soprattutto per contribuire ad arricchire il disegno di legge delega su cui il Governo stava lavorando e che è stato poi presentato in Senato il 3 maggio scorso. Occorre fare tesoro delle lezioni passate. Le precedenti legislature non sono riuscite a portare a termine l’iter di riforma della legge sulla cooperazione allo sviluppo. Varie le cause, ma due in particolare mi preme ricordare: i tempi troppo lunghi e i veti incrociati. Ai primi si sta ovviando con la legge delega che definisce tempi certi e brevi, un biennio. Più difficile sarà superare i secondi che, nel passato, sono stati causati in buona parte dalla poca attenzione alle esigenze e legittime aspettative di soggetti, privati e pubblici, che male accettavano la loro sottovalutazione o il ridimensionamento, a loro avviso ingiustificato e controproducente, del proprio ruolo. Senza pregiudizi, se mai sarà possibile, il Parlamento dovrà impegnarsi affinché non si ripeta una simile paralizzante esperienza. Su una materia come questa, che esprime il volto dell’Italia nel mondo e la sua visione di pace, giustizia, dialogo e cooperazione tra popoli e paesi, sarebbe opportuno e utile che le forze politiche potessero giungere, dopo le opportune discussioni e i necessari approfondimen- Il meglio, sempre nemico del bene La proposta presenta quindi una nuova definizione dei principi, delle finalità e delle responsabilità politiche; la necessità della coerenza del sistema paese neln. 16 • giugno 2007 15 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO ti, ad un cammino congiunto. Magari non su ciò che ogni gruppo parlamentare considera il “meglio”, ma su ciò che per tutti può esser considerato il “bene” per il nostro paese e per la sua azione internazionale. Le Ong, nel dialogo con le forze politiche, potrebbero impegnarsi per favorire questo cammino. Era proprio necessaria una legge di riforma? E’ la domanda che ancora oggi ricorre. Stando ai contenuti di tutte le nuove proposte, compresa quella governativa, qualcuno potrebbe affermare di no sulla semplice considerazione che la legge 49 del 1987, nel suo testo originario, con un’unità operativa efficace e con regole di gestione non sottoposte ai vincoli delle norme sulla contabilità dello Stato, potrebbe garantire ugualmente un’efficace cooperazione allo sviluppo se solo vi fosse la volontà politica per attuarla. La necessità della riforma della legge è stata motivata, oltre cha dalla paralisi operativa della cooperazione, dal nuovo contesto internazionale che vede il mondo cambiato, mutati i rapporti tra gli Stati, rafforzate le politiche europee in materia, nuova e diversa la mappatura dei PVS e dei loro rapporti di cooperazione ecc. Giusto discorso (che andrebbe fatto anche per molti “Regi Decreti” fuori dal tempo che ancora oggi bloccano la macchina dello Stato e la stessa cooperazione) che convince, ma che nulla toglie al fatto che è stato facile e preferibile scaricare sulla legge 49 responsabilità che risiedono altrove. Comunque sia, quella della riforma è ormai una via obbligata. Pur non meritando forse tutti i mali che le sono stati attribuiti, la legge 49 va cambiata e cambiata presto, cercando di non buttare il solito bambino insieme all’acqua sporca. 16 Comuni d’Europa LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO Il governo italiano e la cooperazione di Patrizia Sentinelli Viceministro per gli Affari Esteri Pubblichiamo qui di seguito la versione ufficiale del resoconto stenografico dell’audizione del 18/10/2006 dell’on. Sentinelli alla Commissione esteri della Camera dei Deputati sulla cooperazione allo sviluppo. rati ed evidenziatisi negli ultimi tempi; ci tornerò con cura, sottolineando i limiti in cui ci siamo imbattuti. Mi sembra peraltro importante sottolineare che, proprio oggi, questo nostro patrimonio deve nuovamente ed ulteriormente essere valorizzato e riqualificato, sia per la parte bilaterale, che per quella multilaterale. Oggi siamo chiamati ad intervenire - lo ripetiamo in tante occasioni - in misura maggiore rispetto al passato. Nel mondo, il divario tra i paesi più avvantaggiati e quelli in via di sviluppo cresce enormemente. E sono anche cresciute le ragioni che spingono nella direzione di un nostro intervento, insieme a quello di altri paesi; per brevità, mi limito a indicare solo il grande tema dei disastri ambientali, e le iniziative post conflitto, che chiamano noi tutti ad una maggiore responsabilità. Tuttavia, voglio subito precisare con estrema chiarezza che questi interventi non possono essere in alcun modo confusi con altri, diversi dalla cooperazione messa in atto da alcuni soggetti; in particolare mi riferisco a interventi della protezione civile o delle missioni militari, di cui parlerò successivamente rimandando anche a quanto la recente mozione parla- La cooperazione internazionale allo sviluppo ha nel nostro paese una lunga tradizione. Ieri ero a Lussemburgo per rappresentare il Governo italiano nel CAGRE (Consiglio affari generali e relazioni esterne), e successivamente ritornerò brevemente su alcune indicazioni emerse; in quella sede ho avuto modo di segnalare non solo l’impegno e la generosità (se si può utilizzare questo termine) profusi da molte organizzazioni della società civile (come le ONG), ma anche - in particolare - il riconoscimento da dare alle iniziative portate avanti dagli enti locali, dal sistema delle autonomie locali, e dunque anche dalle regioni. Tradizione, generosità, impegno e riconoscimento di questo rilievo nelle attività del Parlamento e del Governo: direi che l’Italia si è contraddistinta in tante parti del mondo proprio per questo ruolo importante. Ovviamente, esistono problemi matun. 16 • giugno 2007 17 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO mentare sulla missione in Afghanistan ha opportunamente e in modo chiaro precisato. C’è però un punto che deve essere posto in risalto: le ristrettezze di bilancio dei paesi sviluppati e lo spostamento significativo di risorse per la sicurezza e l’emergenza privano l’aiuto pubblico allo sviluppo di quote di risorse che altrimenti dovrebbero essere destinate a tale scopo. Vi dicevo, in apertura, che sono stata nei giorni scorsi a Lussemburgo per rappresentare il nostro paese in un’importante sessione del CAGRE, insieme ai ministri del commercio e degli esteri. Ne faccio menzione non solo perché è una notazione comunque utile a livello informativo, ma anche perché mi è parso di notare che all’interno dell’Unione europea viene prodotto uno sforzo maggiore, un più puntuale richiamo affinché i paesi membri possano utilizzare gli strumenti per l’aiuto pubblico allo sviluppo in modo più coerente e preciso rispetto al passato. Queste affermazioni ed indicazioni inducono a discutere su una divisione del lavoro e sulla complementarietà; e non credo sfuggano a nessuno le difficoltà per il nostro paese rispetto a questo tema: la divisione del lavoro è utile fra tutti i membri dell’Unione Europea, però pensare allo strumento della complementarietà non in termini flessibili, ma in termini troppo rigidi, potrebbe comportare un’esclusione dell’Italia in alcune zone del mondo, e non credo ciò sia utile. Tuttavia, non c’è certamente solo il problema della quantità delle risorse da destinare all’APS, su cui tornerò con più precisione a dar conto; c’è anche il rilevante tema della riqualificazione dell’intervento. Ritengo molto importante ragionare sulle modalità con cui il nostro paese può partecipare al conseguimento degli obiettivi del Millennio; abbiamo imperativi stringenti a cui dobbiamo far fronte. Anche quando si parla di good governance, a mio parere, non vi è alcun dubbio che non si possa mettere in agenda - nelle relazioni con alcuni paesi - solo la lotta alla corruzione, pur necessaria; e penso in particolare ad alcune esperienze dell’Africa. La good governance richiede un approccio globale da mantenere e perseguire, soprattutto con riferimento al rafforzamento delle istituzioni, al ruolo delle donne all’interno delle stesse e più in generale nella società civile. Allo stesso modo, quando si parla di Aid for trade, non bisogna commettere l’errore di pensare allo strumento-commercio come sganciato dal resto, essendo invece opportunità significativa per la definizione di piattaforme - le chiamo così - di partenariato territoriale, ad esempio a proposito delle risorse idriche ed energetiche. È stato un punto molto importante di discussione su un aspetto che tornerà certamente utile nella definizione programmatica per il 2007, 2008 e 2009 dei settori e paesi di intervento da assumere come priorità. L’importante obiettivo della nostra cooperazione è l’incremento delle quote per l’aiuto pubblico allo sviluppo; e dicevo in apertura che non bisogna cadere nell’errore di definire gli interventi, insieme alle altre organizzazioni o istituzioni (anche dell’amministrazione, e facevo riferimento alla Protezione civile), 18 Comuni d’Europa Il governo italiano e la cooperazione previsioni delle leggi, gli stanziamenti MAE per la cooperazione, nel 2006, ammontavano a soli 392 milioni di euro, con un taglio del 27 per cento rispetto all’anno precedente. Vorrei ricordare che l’impegno internazionale assunto per il 2006 prevedeva la destinazione all’APS di una cifra ben maggiore: dovevamo arrivare allo 0,33 per cento del PIL, un obiettivo intermedio per raggiungere nel periodo conclusivo (nel 2015) il famoso 0,7 per cento; ma purtroppo non abbiamo ancora raggiunto tali obiettivi. E sottolineo, inoltre - per maggiore precisione -, che nella manovra finanziaria 2006-2008 lo stanziamento indicato per il 2007 era addirittura minore, ossia di 382 milioni di euro, e poi ancora più basso per il 2008; ma ora non occorre richiamare questo trend negativo, se non per indurre ad uno sforzo, che tutti dobbiamo assumere, per un graduale rientro negli impegni internazionali. Abbiamo infatti giudicato indispensabile uno stanziamento, per il 2007, presente nella bozza della legge finanziaria (nella tabella C) che discuterete a breve, di 600 milioni di euro; e facendo riferimento alla tabella C, intendo gli aiuti a dono. Questo è un primo passo importante, che corrisponde ad un aumento del 55 per cento dei fondi previsti; tuttavia - e lo pongo alla vostra attenzione con una segnalazione particolare -, occorre prendere in considerazione uno stanziamento speciale sul fondo globale per le pandemie di 150 milioni di euro di arretrati. Denunciamo, infatti, un grave gap rispetto agli impegni assunti per la lotta all’AIDS, alla malaria, e alla tubercolosi; su questo è con ambiguità o con rischi di sovrapposizione. Al contempo, però, deve essere altrettanto chiaro che l’impiego delle Forze armate non può essere identificato con l’intervento umanitario di cooperazione, da condurre invece con forze civili. Sono personalmente impegnata (e tutto il Governo deve esserlo) in merito alla mozione votata dal Parlamento in occasione della recente votazione sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. Intendo fare riferimento a due punti molto importanti per ricordare come una nuova conferenza internazionale sull’Afghanistan debba favorire un dialogo a livello regionale; debba rilanciare l’impegno della comunità internazionale volto alla ricostruzione economica e civile del paese e alla pacificazione e rafforzamento delle istituzioni afgane; debba, nella propria azione di politica estera, valorizzare prioritariamente gli strumenti di prevenzione dei conflitti, mediazione e accompagnamento dei processi di pace; e debba mantenere distinti, nell’ambito delle iniziative italiane all’estero, gli interventi di cooperazione allo sviluppo rispetto alle attività di sicurezza e polizia internazionale. Ho voluto riprendere questo impegno perché è questione vitale per la nostra cooperazione, finalizzato al riposizionamento nella comunità internazionale secondo le modalità indicate, e soprattutto indirizzato al miglior utilizzo delle risorse finanziarie. Le risorse, come si diceva, sono un grande problema. Negli ultimi anni, si è assistito ad un decremento delle risorse per l’aiuto pubblico allo sviluppo. Nelle n. 16 • giugno 2007 19 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO generale a farlo al più presto) a bandire un nuovo concorso per gli esperti, proprio per porre in risalto quanto essi servano all’interno della cooperazione e per adeguare così l’organico previsto. Per quanto riguarda il punto, molto importante, relativo agli aiuti, ricordo che nel 2006 - a causa dei tagli cui facevo riferimento - siamo ancora allo 0,19 per cento del PIL, e, considerando la cancellazione del debito, arriviamo allo 0,250,26 per cento; in tal senso è forte la mia sollecitazione, e dovremo essere coesi per portare il nostro paese ad un posto non più in coda tra i paesi donatori. Questo Governo ha individuato poi nella cooperazione allo sviluppo una delle priorità d’intervento, nonostante la difficile situazione economica; e già dal 2006 (non faccio quindi riferimento agli impegni 2007-2008) sono stati adottati importanti provvedimenti: il 4 agosto il Parlamento ha approvato la legge n. 247, che prevede, tra le altre cose, un’autorizzazione di spesa per 17,5 milioni di euro, finalizzati ad interventi di cooperazione in Afghanistan e Sudan (per questo ho voluto richiamare prima il passaggio della mozione parlamentare di accompagno), progetti che stiamo rendendo operativi in entrambi i casi. Nel caso del Sudan, con la definizione del CPA per il sud e per il Darfur; nel caso dell’Afghanistan, sono state affrontate in varie occasioni le questioni della giustizia e dei diversi contributi sul canale bilaterale e multilaterale. Il 20 agosto scorso, è stato approvato il testo normativo «missione UNIFIL» (chiamiamolo così per brevità); in questo articolato era previsto espressamente, necessario prevedere ed operare un cambio sostanzioso e una maggiore e qualificata politica di cooperazione. Ci sono impegni che il nostro paese non ha rispettato; pongo alla vostra attenzione due dati riguardanti i contributi volontari per gli organismi internazionali. Nel 2006, sono stati deliberati impegni, inclusi gli arretrati del 2005, per 127 milioni di euro; ma circa la metà (63 milioni di euro) non sono stati versati, e graveranno nel 2007. Addirittura (è opportuno segnalarlo), nel 2006 sono stati esclusi dalla contribuzione volontaria 14 organismi internazionali che prima ricevevano contributi dal nostro paese; e tra questi rientra un programma - il cui recupero è indispensabile - delle Nazioni Unite per l’ambiente, attraverso l’UNEP. Sono rilievi fatti non solo per dovere d’ufficio, ma anche per richiamare l’attenzione sul sostanzioso incremento di cui necessita la cooperazione internazionale allo sviluppo. Abbiamo poi un altro compito, perché accanto alla quantità c’è la qualità dell’intervento; e la struttura tecnica amministrativa del ministero deve avere un’attenzione diversa: come evidenziato dalla mia presenza odierna, è stato realizzato un potenziamento attraverso l’attribuzione di una delega ad un viceministro per la cooperazione, e mi interessa segnalare la valorizzazione della struttura tecnica del MAE, punto che ritengo di grande importanza. La situazione tuttavia presenta ancora un’insufficienza di organico, se pensiamo solo agli esperti della cooperazione. Stiamo procedendo (sarà ovviamente chiamata la direzione 20 Comuni d’Europa Il governo italiano e la cooperazione portare in Congo durante il processo elettorale (in particolare, per la prima sessione svoltasi a fine luglio) osservatori di pace delle associazioni, che hanno affiancato gli osservatori internazionali inviati dall’Unione Europea. Vedremo, alla fine di questo mese, come si svolgerà il secondo turno elettorale in Congo; ma - informata dalle stesse associazioni - so che molti di questi osservatori seguiranno le elezioni. Allo stesso modo, abbiamo ritenuto molto interessante l’organizzazione del Forum sociale di Nairobi, che si terrà a gennaio prossimo, a cui abbiamo voluto dare un contributo per uno sviluppo e una organizzazione puntuale. Dobbiamo però procedere con speditezza; ciò che è stato inserito nella bozza della legge finanziaria e l’impegno a valorizzare gli attori della cooperazione sono solo i primi impegni. Ma non c’è dubbio che, accanto alla programmazione triennale cui facevo riferimento, è necessaria una grande spinta per la definizione di un nuovo quadro legislativo. La legge sulla cooperazione è stata da più parti presa in analisi, e le discussioni sono già ampie; è una legge importante, ma ormai superata dalle grandi novità sopraggiunte. La legge n. 49 del 1987 va dunque modificata, e sotto questo punto di vista è necessaria una volontà comune affinché fra gli obiettivi della nuova cooperazione sia definita la pace, la solidarietà internazionale; questo perché la cooperazione allo sviluppo deve essere capace di interagire con la politica estera di un paese, e l’insieme della cooperazione e degli interventi di cooperazione internazionale deve essere proposto con un nell’articolo 1, una autorizzazione di spesa di 30 milioni di euro per la realizzazione degli interventi della cooperazione in Libano, interventi che stiamo approntando. A questo proposito, abbiamo attivato un’interessante sperimentazione di tavolo di lavoro aperto al contributo della società civile - con ciò intendendo non solo le ONG, ma anche i responsabili degli enti locali e del sistema delle autonomie locali che offrono il loro contributo -, per definire gli interventi soprattutto bilaterali in Libano, essendo comunque impegnati anche sul canale multilaterale. Dobbiamo lavorare insieme per l’aiuto pubblico, e in modo particolare per il fondo globale, nella direzione che ho indicato. Voglio poi soffermarmi su un (a mio parere) importante messaggio che abbiamo già provveduto a dare alla direzione generale: la necessità della programmazione triennale 2007-2008-2009. Nel nostro paese e nel quadro internazionale, in questi anni sono emersi nuovi attori (accanto ai vecchi) della cooperazione: le ONG, le associazioni di rete, gli interessanti contributi che vengono dalla finanza etica e dal commercio equo e solidale, che credo debbano essere premiati col riconoscimento del lavoro svolto nella cooperazione. Un importante contributo, riguardante proprio la qualità e la riqualificazione e valorizzazione della cooperazione, arriva dal volontariato e da espressioni di movimento; a tal proposito, ricordo due recenti decisioni che mi sembra vadano nella direzione di valorizzazione e utilità. Abbiamo infatti raccolto l’invito - che veniva da gruppi di base dell’associazionismo di pace - di n. 16 • giugno 2007 21 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO nuovo patto di trasparenza tra Governo e cittadini. La cooperazione, insomma, è realmente elemento fondante della nostra politica estera in campo multilaterale. Dovremo quindi delineare un sistema della cooperazione fortemente incentrato nel Ministero degli esteri, ma capace - a mio parere - di agire in modo tempestivo ed efficace con la snellezza necessaria, attraverso una agenzia che faccia tesoro - nella progettazione degli interventi del contributo di quegli attori sociali cui prima accennavo (ONG, reti e il complesso degli enti locali). A questo proposito, credo che la cooperazione decentrata debba essere considerata con più attenzione e riconoscimento. Faremmo bene a parlare, piuttosto che di cooperazione decentrata, di cooperazione comunitaria di partenariato: non esistono - se non per semplificare il concetto utilizzato - paesi donatori e paesi beneficiari collocati in modo subalterno, ma sussistono invece rapporti di partenariato, in cui la popolazione civile e le organizzazioni della popolazione civile possono essere presi come riferimento. Questo è un punto importante, indicato come tale anche dalle raccomandazioni OCSE/DAC. Facciamo bene a discutere della nostra legge da riformare, della programmazione e dei settori di intervento prioritari in termini geografici e tematici, ma dobbiamo anche essere capaci di essere parte dell’Unione Europea e della comunità internazionale. E l’OCSE/DAC invita ad una visione nazionale che derivi da un rapporto più partecipativo con i soggetti italiani della cooperazione; indica inoltre una maggiore chiarezza nella defi- nizione delle politiche di cooperazione, motivo per cui faccio chiaro riferimento alla riduzione della povertà, obiettivo individuato da una cooperazione non ancella della politica estera ma parte fondante della stessa. L’OCSE, poi, chiede la definizione di una strategia operativa per gli obiettivi di sviluppo del Millennio; e da ciò prendo spunto per ricordare (a me, al Governo, a tutti noi) che l’aumento del 50 per cento collocato nel 2007 per la tabella C sarebbe indispensabile (non solo utile) estenderlo anche agli anni 2008-2009, in modo tale che con questo trend possiamo rispettare l’obiettivo intermedio dello 0,56 per cento nel 2010. L’OCSE parla, inoltre, di una migliore strategia di comunicazione e informazione per accrescere la consapevolezza dell’opinione pubblica; ritengo per questo indispensabile non solo l’utilizzo diretto, partecipe, responsabile dei mass media, ma anche quelli che ho chiamato i tavoli partecipativi di consultazione con la società civile. Queste raccomandazioni dell’OCSE (ne ho ricordate solo alcune) devono essere per noi un importante elemento di stimolo. A questo proposito, intendo segnalarvi un impegno assunto che considero rilevante, e che si svolgerà nelle prossime settimane: al fine di contribuire all’allargamento della consapevolezza della nostra cittadinanza attorno ai temi della cooperazione, abbiamo programmato alcune giornate di discussione che abbiamo chiamato «Forum della cooperazione»; esse verteranno su oltre 60 momenti di discussione. In particolare, quattro di questi momenti sono stati 22 Comuni d’Europa Il governo italiano e la cooperazione miseria, ma anche la promozione dei diritti umani e dei diritti delle donne, nonché la loro espressione nella comunità economica. Interessanti a tal proposito sono gli interventi sul microcredito, che si fanno strada in alcuni paesi dell’Africa o in realtà come l’Afghanistan. A mio parere, è importante considerare il ruolo del nostro paese nella cooperazione relativamente alla possibilità di lavorare sulla formazione; e, appunto, il quarto tema centrale di questi forum della cooperazione riguarderà l’alta formazione e l’eccellenza nella capacità formativa. Abbiamo del resto grandi e preziosi istituti nel nostro paese (Trieste, il Sant’Anna e altri ancora) che possono essere utilizzati al meglio. C’è poi un altro tema che deve essere considerato, già sviluppato in altre parti del mondo con grande cura: la possibilità di discutere sulle tasse globali, sulla possibile introduzione di tasse di scopo per muovere verso una nuova responsabilità; le tasse globali e di scopo (su cui 43 paesi, tra cui il Brasile e la Francia, stanno già lavorando) non sostituirebbero la responsabilità pubblica allo sviluppo, ma semmai si limiterebbero ad accompagnarla in un momento delicato come questo. Credo inoltre vi sia un’altra priorità di intervento, una priorità metodologica, di carattere procedurale: il coordinamento necessario fra le branche della nostra amministrazione. A volte, abbiamo infatti difficoltà di lavoro con il Ministero dell’ambiente o con quello dell’economia e delle finanze; ma non vorrei si dimenticasse che i due terzi dei finanziamenti attuali per l’aiuto pubblico allo svilup- organizzati e promossi dal MAE come elementi centrali di discussione: il primo si terrà il 14 novembre sul tema «Obiettivi del Millennio e lotta alla povertà»; vi verranno inviate più puntuali informazioni sui relatori, ma voglio solo segnalarvi l’utile partecipazione a questi obiettivi della società civile, nonché delle istituzioni locali e centrali. Successivamente, ci sarà un importante approfondimento sui temi ambientali; non si può infatti parlare in modo neutro di sviluppo, dovendo considerare gli sprechi - prodottisi in tanti anni di cooperazione sulle questioni ambientali - della terra, del cibo, dell’acqua, dell’energia, tutti temi fondamentali per discutere di nuova cooperazione. Seguirà poi un argomento che - non solo a me, ma a tutti voi - deve interessare in modo particolare: le tematiche di genere. È sufficiente leggere le nude cifre fornite dalle statistiche per capire come ancora nel mondo si muoia per mettere alla luce un bimbo o una bimba; la mortalità delle donne durante il parto è ancora elevatissima, così come la mortalità infantile. Si parlava prima delle missioni militari; vorrei solo ricordare un dato che mi ha particolarmente colpito: qualche giorno fa, sono stata in Afghanistan, paese poverissimo in cui il 20-25 per cento dei bambini non raggiunge il quinto anno di età. È un dato che ci aiuta a capire che dobbiamo operare con grande determinazione nell’individuare i paesi verso cui indirizzare la nostra azione. La tematica di genere non può non essere declinata laddove parliamo di cooperazione, anche in senso positivo: non solo l’intervento per combattere la povertà intesa come n. 16 • giugno 2007 23 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO po sono definiti e gestiti dal Ministero dell’economia e delle finanze, mentre solo un terzo dal Ministero degli affari esteri. E quando parlo di coordinamento, non ho affatto dimenticato la necessità, in quel quadro legislativo da modificare, di porre mano a questo aspetto, per determinare l’unitarietà della gestione, e per meglio rendere efficaci l’intervento del nostro paese nella comunità internazionale e il lavoro bilaterale che stiamo conducendo. Avendo parlato di programmazione triennale, credo che gli indirizzi che presenterò al Parlamento - sui quali già stiamo lavorando - dovranno indicare le priorità geografiche: se l’aiuto pubblico allo sviluppo è sradicamento della povertà nel senso ampio del termine, un problema redistributivo ed economico, allora l’Africa (in particolare subsahariana) presenta una collocazione importante; così come altri nostri impegni dovranno essere mantenuti per quanto riguarda Afghanistan, Libano, ed alcuni paesi dell’America Latina o dell’Asia. Non è un elenco senza priorità: l’Africa è il punto di partenza, con altri elementi che possono servire a meglio rendere la questione dell’aiuto pubblico allo sviluppo trasparente ed efficace. Sono questi gli impegni assunti, e mi pare che da questo punto di vista possiamo già attestarci ad un primo livello di intervento positivo. Molto ancora c’è da fare, e dobbiamo farlo rapidamente. 24 Comuni d’Europa LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO L'aiuto pubblico allo sviluppo di Alfredo Mantica Senatore, Vicepresidente della Commissione Esteri del Senato l’efficacia degli interventi. Gli insoddisfacenti risultati di molti Paesi in via di sviluppo hanno portato all’elaborazione di teorie in parte derivanti da quelle neo-marxiste. In sostanza viene individuato il sottosviluppo del Terzo Mondo come prodotto delle relazioni con il Nord. Conseguentemente il commercio internazionale è visto come un serio ostacolo sulla strada dello sviluppo. Pur essendosi nel tempo sviluppatesi altre teorie, il concetto di sostanziale irrisolvibilità del problema, senza una qualche forma di “rivoluzione” del sistema mondiale continua a persistere. Alla luce di queste considerazioni si è sviluppato un processo di negoziazione degli interessi tra Nord e Sud ed iniziative portate avanti da alcuni gruppi regionali. Gli anni che stiamo vivendo vedono il fenomeno della globalizzazione. Ciò ha favorito il nascere di nuove forme di cooperazione internazionale tra imprese in forma di alleanze strategiche come conseguenza dell’accentramento territoriale delle imprese stesse e la formazione di distretti industriali spesso altamente specializzati. I flussi privati verso i PVS hanno rag- L’avvio delle politiche di sviluppo da parte dei paesi industrializzati coincide con la decolonizzazione negli anni successivi alla seconda guerra mondiale. Il concetto trova riscontro e fondamento nell’art. 13 della Carta delle Nazioni Unite che conferisce all’Assemblea Generale la competenza ad operare nei settori economico, sociale, culturale, sanitario e dei diritti umani. L’aiuto allo sviluppo consiste nel fornire assistenza economica, finanziaria e tecnica. Allorché il concetto si è diffuso ed è stato fatto proprio dai Paesi membri industrializzati, la comunità internazionale, su iniziativa degli stessi Paesi destinatari si è posta degli obiettivi di carattere quantitativo connessi cioè al volume totale dell’aiuto pubblico da concedere. La problematica che si è sviluppata nel corso degli anni in materia di Aiuto allo Sviluppo è assai complessa. Lo sviluppo dei Paesi arretrati è infatti la combinazione di una serie di fattori economici, politici, sociali ed istituzionali che richiedono un’analisi più complessa rispetto a quella riferita alla crescita economica di un Paese avanzato. Le esperienze accumulatesi in questi anni hanno reso di non facile soluzione n. 16 • giugno 2007 25 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO giunto in media nel periodo 90/98 il 4% del Pil dei Paesi beneficiari. Il contemporaneo cambiamento negli ultimi anni del panorama economico internazionale, ha determinato un acceso dibattito sui problemi dello sviluppo e una rielaborazione delle stesse strategie politiche. In generale, si è abbandonato il concetto di equivalenza stabile tra crescita economica e benessere mentre è stata crescente l’attenzione sui fattori politico-istituzionali che hanno portato all’individuazione di nuovi paradigmi basati su concetti quali lo sviluppo sostenibile, lo sviluppo umano, lo sviluppo sociale e lo sviluppo partecipativo. L’ampio dibattito a livello internazionale ha portato all’individuazione di 7 obiettivi internazionali di sviluppo, definiti in termini quantitativi, che riassumono le finalità da perseguire indicate dalle Conferenze delle NU sulle tematiche allo sviluppo che si sono succedute nel corso degli anni 90: • la riduzione del 50% tra il 1990 ed il 2015 delle persone che vivono in condizioni di estrema povertà (cioè con meno di un dollaro al giorno); • la frequentazione della scuola primaria da parte del 100% dei bambini entro il 2015; • la riduzione di due terzi tra il 1990 ed il 2015 della mortalità infantile (cioè dei bambini sotto i 5 anni ); • la riduzione di ¾ tra il 1990 ed il 2015 della mortalità materna; • l’accesso per tutti entro il 2015 ai servizi sanitari per la programmazione familiare; • l’adozione, entro il 2005 da parte di ogni paese di una strategia per lo sviluppo sostenibile per invertire, entro il 2015, la tendenza alla perdita di risorse ambientali. Questa strategia indicata dai Paesi donatori nel 1996 si ritrova nella Dichiarazione del Millennio adottata dall’Assemblea Generale delle NU nel settembre del 2000. Nonostante queste dichiarazioni si è registrata negli ultimi anni una diminuzione delle risorse pubbliche indirizzate all’assistenza allo sviluppo e la contemporanea ricerca di soluzioni alternative. La prima delle soluzioni all’attenzione della Comunità Internazionale consiste nella proposta di introdurre un’imposta sulle transazioni valutarie (detta Tobin Tax dal nome dell’economista e vincitore del premio Nobel James Tobin che per primo aveva suggerito l’idea). Un’altra ipotesi di nuova risorsa finanziaria è quella derivante dall’introduzione a livello mondiale della “Carbon Tax” da applicarsi sul consumo di carburanti di origine fossile con aliquote variabili in funzione del tipo di carburante e del suo contributo alle emissioni complessive di anidride carbonica. Un’ulteriore proposta riguarda il rilancio del già esistente strumento di liquidità internazionale: il DSP (diritto speciale di prelievo), la cui ultima allocazione è stata fatta dai Paesi membri del FMI nel 1991. La rivitalizzazione di tale strumento metterebbe a disposizione dei PVS nuove risorse finanziarie che attualmente, invece, vengono prese in prestito a condizioni di mercato con un aggravio dell’esposizione debitoria. 26 Comuni d’Europa L'aiuto pubblico allo sviluppo Tutte queste riflessioni hanno portato alla Conferenza Internazionale sul Finanziamento allo Sviluppo tenutasi a Monterrey in Messico dal 18 al 22 marzo 2002. Il documento conclusivo approvato (The Monterrey Consensus) ha sottolineato l’importanza della dimensione internazionale di problemi quali la mobilizzazione delle risorse per lo sviluppo ma anche tematiche tradizionalmente trattate a livello nazionale come il governo economico (capacity building), tassazione, ambiente favorevole agli investimenti, lotta alla corruzione, evidenziando, quindi, la necessità del rafforzamento e diffusione della cooperazione intergovernativa. Infine è stata rilanciata la NEPAD (New Partnership for Africa’s Development). - altri flussi pubblici. Sono risorse pubbliche costituite da doni forniti non con obiettivi di sviluppo economico e prestiti con una parte di dono inferiore al 25%. L’APS si suddivide tra: - APS bilaterale. Risorse fornite direttamente da Governi, Enti locali, Agenzie pubbliche dei Paesi industrializzati appartenenti all’OCSE, dei Paesi dell’Est europeo e dei Paesi OPEC; - APS multilaterale. Risorse fornite dagli Organismi di cooperazione internazionale (Agenzie delle NU, Banca Mondiale, Banca Europea degli Investimenti, Banche Regionali di Sviluppo); - APS multibilaterale. Le risorse provengono dall’APS bilaterale, ma la gestione dell’intervento, concordata con il Paese ricevente, viene affidata ad un Organismo di Cooperazione internazionale. Il finanziamento allo sviluppo I flussi finanziari verso i PVS si suddividono tra fondi derivanti da fonti private e da fonti pubbliche. I fondi privati sono: - investimenti diretti esteri (IDE); - investimenti di portafoglio; - crediti bancari; - crediti all’esportazione; - obbligazioni; - doni. I fondi pubblici sono composti da: - aiuto pubblico allo sviluppo (APS). Sono le risorse fornite da strutture pubbliche inclusi gli enti di governo locale; - aiuto pubblico. Si tratta dell’APS fornito ai paesi più avanzati tra quelli in via di Sviluppo e a quelli in transizione verso l’economia di mercato; n. 16 • giugno 2007 Gli attori della Cooperazione Internazionale Le istituzioni internazionali che agiscono in questo settore sono: - Banca Mondiale; - Fondo Monetario Internazionale; - Il sistema delle Nazioni Unite. La Cooperazione Internazionale delle NU è formata da un sistema composito di Agenzie e Organismi dipendenti per lo più dal Consiglio economico e sociale (ECOSOC). Da esso dipendono le maggiori Agenzie NU per lo sviluppo. Alcune sono specializzate in settori specifici e destinate ad avere la funzione 27 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO di eseguire programmi di sviluppo (per esempio la FAO, l’UNIDO, l’IFAD), mentre altre sono programmi ed organi (quali per esempio l’UNCTAD, l’UNPD, l’UNICEF). - Banche regionali di sviluppo (Banca Interamericana, Banca Africana, Banca Asiatica). - la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero degli Esteri che gestisce un terzo circa dell’APS italiano; - il Ministero dell’Economia e Finanze che è responsabile di un altro terzo dell’APS che riguarda le ricostituzioni del capitale di Banche e fondi di sviluppo nonché le cancellazioni del debito; - i trasferimenti all’Unione Europea che confluiscono nel FES. A fianco di questi tre canali principali esistono linee di bilancio minori gestite da altri ministeri, nonché dalle Regioni e dagli Enti locali. La DGCS del MAE è l’organo deputato all’elaborazione ed applicazione degli indirizzi della politica di cooperazione del nostro Paese ed è, teoricamente, il punto di riferimento dell’intera attività di cooperazione italiana all’estero. In tale contesto gestisce la cooperazione finanziaria per il sostegno all’imprenditoria privata e alla bilancia dei pagamenti. E’ competente anche per i rapporti con le Organizzazioni internazionali e con l’Unione Europea. Cura, inoltre, i rapporti con le ONG ed il volontariato. Utilizza i seguenti strumenti di intervento: doni, crediti di aiuto, fondi fiduciari e finanziamenti alle imprese italiane per la costruzione di joint ventures. L’APS italiano ha conosciuto un costante e rilevante ridimensionamento in termini di risorse disponibili durante l’ultimo decennio in parte in conseguenza del più generale andamento dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo a livello mondiale e in parte per ragioni di natura interna. L’Unione Europea Il trattato istitutivo dell’Unione Europea prevede che la Cooperazione allo Sviluppo rientri tra le politiche comunitarie. L’organo di gestione è la Direzione Generale Sviluppo della Commissione Europea che svolge la sua attività in stretta collaborazione con altri servizi della Commissione, in particolare l’ufficio per gli aiuti umanitari (ECHO) e la Direzione Generale Relazioni Esterne. I fondi disponibili provengono dalle risorse del Fondo Europeo di Sviluppo (FES) cui contribuiscono tutti i Paesi membri. La Cooperazione italiana La Cooperazione italiana è disciplinata dalla legge 49/87. Il Ministero degli Affari Esteri è formalmente responsabile della promozione e del coordinamento di ogni iniziativa di Cooperazione allo sviluppo. La legge 49/87 stabilisce che “la cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera italiana e persegue ideali di solidarietà tra i popoli nella ricerca dell’adempimento dei diritti umani fondamentali”. L’APS italiano viene gestito attraverso tre canali: 28 Comuni d’Europa L'aiuto pubblico allo sviluppo Oggi il nostro Paese si colloca praticamente all’ultimo posto tra i Paesi maggiormente industrializzati in termini di risorse allocate rispetto al PIL. Ciò accade da una parte per il sostanziale disinteresse che a livello politico viene manifestato per la materia, dall’altra per la inadeguatezza della macchina (DGCS) di cui l’Italia dispone. Ambedue gli argomenti costituiscono lo scopo fondamentale di queste riflessioni. Il disinteresse a livello politico è frutto di una mancanza di legami sostanziali tra il concetto di presenza del nostro Paese a livello internazionale e di quello di aiuto pubblico allo sviluppo. Quest’ultimo viene visto non tanto come strumento principe di presenza sullo scenario internazionale e fonte di investimenti diretti ed indiretti quanto come una sorta di elargizione più o meno doverosa che bisogna fare consapevoli del loro significato di liberalità o che si tratta di somme sostanzialmente sprecate o da utilizzare per una politica di assistenza sociale a livello planetario come prolungamento dell’assistenzialismo. Quel che manca è l’esatta percezione del concetto e degli sviluppi che lo stesso ha ormai acquisito a livello internazionale. Tale concetto ha un nome preciso: INVESTMENTO. L’aiuto pubblico allo sviluppo viene ormai interpretato da tutti i Paesi industrializzati come un necessario ed ineludibile investimento. Ciò giustifica il ruolo che ha ormai assunto all’interno dei vari bilanci. Accanto agli Stati Uniti, tradizionalmente leaders in termini quantitativi, si collocano Paesi come Giappone e Germania n. 16 • giugno 2007 che dell’argomento hanno fatto il loro cavallo di battaglia anche per il noto problema dell’allargamento del Consiglio di Sicurezza. Ma anche altri Paesi come l’Inghilterra, la Francia e da ultimo la Spagna investono ormai cifre assai considerevoli. Si tratta quindi di suscitare a livello politico la consapevolezza del rilievo che la materia riveste per il nostro Paese. Sull’argomento possono essere sviluppate non solo una serie di considerazioni legate alla nostra tradizione culturale e storica ma alcune linee di condotta in relazione ai flussi migratori ed al nostro ruolo nel Mediterraneo. Accanto a queste riflessioni è necessario maturare un’idea sullo strumento che deve essere utilizzato. L’attuale struttura non è in alcun modo adeguata. Non ha gli strumenti operativi ed agisce in un contesto (Ministero degli Esteri) che, per la sua natura burocratica, non è compatibile con una moderna attività in materia. Sull’argomento sono stati presentati, nel corso delle varie legislature, numerosi progetti di riforma. Analogo tentativo è già stato avviato dall’attuale governo così che la riforma della cooperazione allo sviluppo è diventata un tema di costante attualità da almeno dieci anni. L’iter parlamentare nella legislatura 1996- 2001 non si concluse alla Camera dei Deputati: si era ancora alla seconda lettura dopo un defatigante lavoro parlamentare che stravolse l’impostazione originaria proposta dal Governo Prodi e seguita in ogni suo momento, e con grande attenzione, dal sottosegretario delegato, On. Serri. Nella legislatura 2001-2006 il Governo 29 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO nell’art. 1 della troppo discussa legge n. 49 e ristabilire il principio della primazia del Ministero degli Affari Esteri. Non si può più continuare con l’attuale sistema amministrativo che non era previsto nella legge n. 49 ma che è il frutto di una circolare dell’allora Ministro Andreatta in un momento delicato della vicenda “tangentopoli” (165 avvisi di garanzia pervenuti al MAE e nessuna condanna). Quelle condizioni sono oggi superate e occorre tornare a quanto disposto dalla legge n. 49 che finanziava la cooperazione allo sviluppo con un Fondo speciale annuale consentendo gestioni amministrative semplificate (come per la Protezione Civile). E sempre restando in ambito della legge n. 49 nulla vieta un diverso e più attento controllo del sistema delle agenzie dell’ONU (perché non devono mai fornire rendiconti a consuntivo?) dell’Unione Europea e dei fondi FES, una più marcata linea di rafforzamento del meccanismo di AID & TRADE ( e non solo quindi Commercio solidale) con una più netta e decisa posizione dell’Italia in sede di Doha round. Sono queste le premesse per una riforma vera della cooperazione italiana: l’iter legislativo sarà il frutto maturo di un dibattito e di innovative linee di azioni condivise. Agenzie, UTC, semplificazione amministrativa potranno essere delegate al Governo. Berlusconi non propose nessuna riforma della legge 49 del 1987 e tentò di modificare con atti amministrativi le procedure cercando la strada della semplificazione burocratica e di una più attenta ripartizione delle responsabilità tra politica, diplomazia, tecnici e ONG. Anche questo approccio soft, lo dico con senso di responsabilità e con amarezza visto che ne fui l’artefice, si è concluso, dopo un lavoro altrettanto defatigante, con scarsissimi risultati annullati poi dal cambio di governo avvenuto nel 2006. Le ragioni di questo stallo non sono e non possono essere legate a fatti contingenti ma presuppongono profonde innovazioni culturali. Dal concetto stesso di cooperazione allo sviluppo per riproporre con forza a tutte le forze politiche una priorità imprescindibile che è il rispetto dei patti assunti in sede europea per quanto riguarda il volume dell’APS: a Barcellona assumemmo l’impegno dello 0,33% nel 2006 e in sede europea lo 0,5%nel 2011. Non si può derogare: se non lo si vuole o non lo si può fare non ha senso la riforma della cooperazione. E ancora: non si può continuare a non avere un solo responsabile politico della cooperazione oggi di competenza di più ministeri, non ultimo l’Ambiente, che viaggiano in maniera autonoma e non coordinata. Basterebbe in tal senso riprendere e ribadire quanto affermato 30 Comuni d’Europa LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO Anche decentrata la cooperazione allo sviluppo di Marina Sereni Vicepresidente Vicario del Gruppo “L'Ulivo” alla Camera dei Deputati dei soggetti non governativi operanti nel settore, sia provenienti dal mondo associativo e del volontariato, sia direttamente rispondenti alle Regioni e agli Enti locali. La Cooperazione Internazionale, per come noi la intendiamo, è strumento per la costruzione di un Welfare globale, fondato su un modello di “relazioni” fra cittadini, componenti della società civile ed espressioni organizzate a livello territoriale, improntata ai valori della giustizia, della difesa/promozione dei diritti umani e della garanzia dei beni comuni, sulla base di relazioni di partenariato, ossia di relazioni dirette fra comunità, enti locali e singoli cittadini. Questi obiettivi sono conformi agli impegni assunti dall’Italia nelle sedi internazionali. E’ sufficiente ricordare la risoluzione 55\2 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tenutasi nel corso della sessione speciale nel settembre del 2000 a New York, in occasione della quale è stato ufficialmente sancito il patto di ridurre drasticamente il divario economico tra il Nord ed il Sud del Mondo entro il 2015, attraverso il perseguimento di 8 obiettivi internazionali di sviluppo: sradicamento Il tentativo di riformare, aggiornare, rendere più efficiente e trasparente la politica di cooperazione allo sviluppo del nostro Paese ha alle spalle almeno un decennio di impegno e lavoro parlamentare. La legge 49 del 1987 che attualmente regola la materia e che fu approvata a suo tempo con un ampio consenso parlamentare, pur essendosi dimostrata una buona legge, specie dal punto di vista della definizione dell’identità della cooperazione italiana, è stata resa inadeguata da alcune circostanze che hanno profondamente mutato il quadro in cui oggi si è chiamati ad agire. Da una parte la richiesta di una cooperazione più efficiente e trasparente, attraverso un controllo più effettivo sui flussi di finanziamento, è divenuta un’esigenza primaria dopo la stagione difficile degli anni ’90 e le irregolarità che travolsero quella gestione. Dall’altra parte, oggi esiste una necessità di maggiore rapidità, flessibilità e affidabilità nella gestione dei fondi e nella concessione dei contributi rispetto agli impegni internazionali assunti dal nostro Paese, mi riferisco alla frequenza di interventi di emergenza, alla moltiplicazione n. 16 • giugno 2007 31 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO della povertà estrema e della fame; assicurazione entro il 2015 di un’educazione primaria per tutti; promozione delle pari opportunità in genere; riduzione di due terzi (tra il 1990 e il 2015) del tasso di mortalità infantile; riduzione di tre quarti del tasso di mortalità materna; lotta all’HIV\AIDS, malaria e principali malattie infettive; assicurazione di uno sviluppo sostenibile; costruzione di una partnership globale per lo sviluppo. Proprio per rispondere con uno strumento legislativo moderno al protagonismo che il nostro Paese rivendica nella promozione internazionale dello sviluppo e del dialogo tra i popoli, è oggi necessario porre mano a una seria riforma della cooperazione, impegnandoci a raggiungere un risultato che è oramai atteso da anni. Finalmente, in questa legislatura, sembrano essersi create alcune condizioni positive perché il cammino della riforma della Cooperazione abbia un esito positivo. In Parlamento sta per arrivare il testo della legge delega, predisposta e già approvata dal Governo dopo un esame in sede di conferenza Stato-Regioni, per ridisegnare l’intero settore anche sulla scorta delle richieste e delle riflessioni, ponderate e condivise, prodotte dal dibattito di questi anni. Inoltre, in questi mesi, Governo, partiti e Gruppi parlamentari, tra cui quello dell’Ulivo, hanno avuto cura di coinvolgere in forme di consultazioni informali e continue gli operatori dell’aiuto allo sviluppo e della cooperazione internazionale, così da giungere a un risultato quanto più condiviso e ragionato da portare all’esame del Parlamento. Per quanto riguarda l’Ulivo, il progetto di legge di cui sono prima firmataria (pdl 2127) insieme al Presidente del gruppo, Dario Franceschini e ai parlamentari dell’Ulivo della Commissione Esteri, tenta proprio di tradurre e affinare questo lavoro di confronto e dibattito, compiuto in un tavolo tecnico insieme ai rappresentanti dei Ds, della Margherita e di alcune tra le associazioni più attive nel settore. Fa ben sperare anche un atteggiamento dell’opposizione che sembrerebbe, ad oggi, costruttivo e collaborativo, almeno a giudicare dai contenuti delle proposte di legge depositate in Parlamento così come dalle dichiarazioni rese da esponenti della minoranza in dibattiti e incontri pubblici, come abbiamo avuto modo di notare nello stesso seminario organizzato dall’Aiccre nelle scorse settimane. Il gruppo dell’Ulivo intende essere protagonista e riferimento del dibattito che si aprirà in Parlamento, partendo dalla propria proposta di legge, pensata e scritta soprattutto per indicare con chiarezza i principi e le scelte di fondo alle quali dovrebbe ispirarsi la nuova cooperazione italiana e che dovranno essere scritti nella legge delega che l’assemblea parlamentare sarà chiamata a licenziare. Nei primi articoli, la proposta dell’Ulivo, si preoccupa di ridefinire la politica di cooperazione allo sviluppo quale parte fondamentale e qualificante della politica estera dell’Italia e strumento per perseguire il raggiungimento degli obiettivi del Millennio, sanciti dall’ONU. In questo quadro, si specificano i principi guida del partenariato e del co-sviluppo quali quelli cui deve conformarsi la politica della cooperazione, lo stile il metodo 32 Comuni d’Europa Anche decentrata la cooperazione allo sviluppo con cui l’Italia intende portare avanti la propria azione di promozione umana, economica e sociale. Proprio per questo si esclude dall’aiuto allo sviluppo qualsiasi intervento a sostegno di operazioni militari o con finalità di penetrazione commerciale. Si tratta in questo caso di operare una distinzione di piani, di motivazioni e di modalità di intervento necessaria a preservare non solo la serietà e la trasparenza dell’azione politica del nostro Paese, ma anche a non indebolire, mettere in difficoltà e far perdere credibilità agli stessi operatori privati della cooperazione. Per dare concretezza agli impegni internazionali che sopra richiamavo, la proposta dell’Ulivo prevede un provvedimento con forza di legge che periodicamente definisca tempi e modalità di erogazione delle risorse destinate al rispetto di quello 0,7 per cento di Pil che l’Italia si è vincolata a riservare all’aiuto allo sviluppo. Viene, altresì, istituito un Fondo unico per la cooperazione in cui far confluire tutte le risorse e in seno al quale trasparentemente ripartire quelle relative ai contributi obbligatori per la partecipazione alle istituzioni finanziarie internazionali. Dal punto di vista dell’architettura, per così dire, istituzionale e politica in cui definire le politiche di cooperazione, la nostra proposta riserva l’indirizzo e il controllo politico dell’aiuto pubblico al Governo, attraverso il MAE e il Viceministro alla Cooperazione, e al Parlamento, che approva il programma triennale degli interventi e esercita un potere di controllo. Sottolineo che proprio il ruolo del n. 16 • giugno 2007 Parlamento mi pare un aspetto ancora troppo debole nella proposta governativa e che perciò sarà opportuno approfondire nel corso delle discussioni in Commissione e in Aula, pur evitando il rischio di eccessivi appesantimenti nelle procedure decisionali. Per quanto, invece, attiene al nuovo strumento operativo della cooperazione italiana, raccogliendo l’indicazione della gran parte del mondo delle Ong del settore, abbiamo immaginato l’istituzione di un’Agenzia, il cui Presidente è nominato dal Consiglio dei Ministri, con margini adeguati di autonomia e indipendenza operativa e finanziaria, a tutto vantaggio della efficienza e della flessibilità della sua azione. Determinante, in questo caso, sarà assicurare norme e procedure contabili che consentano di rispondere alle molteplici esigenze tecniche e di controllo che la Cooperazione allo Sviluppo esige, garantendo contestualmente l’efficienza, l’economicità e la rapidità di intervento che sono propri, oramai, dei nuovo strumenti di aiuto allo sviluppo delineati e adottati con le recenti riforme in altri paesi europei, ad iniziare dalla Spagna, dalla Gran Bretagna e dalla Svezia. Uno dei temi rilevanti della prossima riforma sarà senza dubbio quello relativo alla cosiddetta “cooperazione decentrata”, fenomeno in crescita negli ultimi anni e rispetto al quale si devono sottolineare aspetti di grande interesse e positività, accanto ad alcune critiche che richiedono di affrontare per risolvere diversi nodi di fondo. Non vi è dubbio che Regioni, Comuni e Province dimostrano da anni una grande capacità di mobilitare risorse 33 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO culturali, professionali ed economiche che danno vita ad importanti iniziative di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. Non si tratta oramai solo di un flusso di aiuti dal punto di vista economico, ma di una realtà di incontro tra comunità locali e cittadini, che arricchisce i paesi beneficiari con l’esperienza e la particolare competenza che le comunità locali italiane possono donare mentre, nel contempo, accresce la stessa responsabilità civica, i valori democratici e la cultura del dialogo e dell’accoglienza degli stessi Enti locali italiani. Abbiamo ritenuto fosse opportuno dare un esplicito e chiaro riconoscimento del ruolo che ha assunto la cooperazione decentrata, facendola rientrare in pieno nell’azione complessiva della cooperazione italiana. Nel contempo non può essere ignorata la necessità di definire meglio, dal punto di vista giuridico formale e operativo, il profilo di tale cooperazione, le competenze che Regioni ed Enti locali hanno nella loro azione internazionale di aiuto allo sviluppo, infine il coordinamento di tale azione con le competenze esclusive dello Stato, con la sovranità nazionale e soprattutto, con l’azione generale di politica estera del nostro Paese. Si tratta di un tema delicato, in cui non solo si sono registrate obiettive difficoltà di coordinamento e sinergia, ma che è stato oggetto anche di pronunce giurisprudenziali, come la nota sentenza 211/2006 della Corte Costituzionale, che hanno teso a limitare sensibilmente il campo di azione della cooperazione decentrata. Se pensiamo al fatto che esiste anche a livello politicoamministrativo un forte impulso a cen- tralizzare, controllare e limitare l’azione di Regioni ed Enti locali in questo campo, si capisce quanto sia urgente intervenire con una nuova regolamentazione che, senza disconoscere la corretta e indispensabile esigenza di coerenza della presenza internazionale proposta dal Governo centrale e dalle autonomie locali, non disperda la ricchezza della “cooperazione decentrata”. Per questi motivi, nella proposta di legge dell’Ulivo, da una parte è ribadito (art. 9) che la cooperazione allo sviluppo italiana promuove e valorizza le iniziative di solidarietà internazionale svolte e livello decentrato, consentendo anche intese con le collettività e le amministrazioni substatali di paesi terzi, senza lesione della potestà statale, dall’altra si chiarisce che tali iniziative devono essere coordinate e coerenti con le indicazioni strategiche contenute nei documenti di programmazione pluriennale della cooperazione. Tale coordinamento viene assicurato garantendo la partecipazione dei rappresentanti di Regioni ed Enti locali alle istanze decisionali più rilevanti: i Consigli dei Ministri riservati al tema, da una parte e l’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo, dall’altra. Ultimo nodo che vorrei sottolineare in questa mia illustrazione della proposta di riforma dell’Ulivo è quello relativo alla definizione delle competenze e delle modalità operative dell’azione italiana all’estero, nei casi in cui siamo chiamati a contribuire a interventi di emergenza conseguenti a grandi catastrofi umanitarie o naturali. Si tratta di una questione sollevata di recente e che potrebbe 34 Comuni d’Europa Anche decentrata la cooperazione allo sviluppo possibilità che l’Agenzia per la cooperazione affidi le fasi legate all’emergenza e all’intervento rapido alla Protezione civile, dotata di mezzi e competenze adeguate. In conclusione, siamo consapevoli del lavoro parlamentare che abbiamo davanti e ci conforta l’idea di aver discusso a lungo di questi temi con i protagonisti della nostra cooperazione che coinvolgeremo anche nella prossima fase parlamentare, determinati a cogliere il risultato finale per poter assicurare al Paese una riforma condivisa e funzionante che dia nuovo slancio alla cooperazione italiana. assumere sempre maggiore rilevanza nei prossimi anni. Occorre perciò distinguere, in tali casi, il pronto intervento, immediato e volto a ristabilire le condizioni di vita minime per le popolazioni coinvolte, dalla vera e propria azione di cooperazione, sostegno e ricostruzione che si dispieghi nel medio-lungo periodo e che necessita di capacità, risorse e strumenti culturali del tutto diversi. A questo proposito, nella nostra proposta abbiamo voluto segnare due principi: la distinzione tra le risorse economiche destinate alle emergenze umanitarie da quelle previste per la cooperazione; la n. 16 • giugno 2007 35 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO Pianificare per cooperare di Dario Rivolta Vicepresidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati diversa e il cittadino italiano medio non è, quasi mai, al corrente di dove e come il nostro Paese intervenga per aiutare lo sviluppo di popolazioni più sfortunate. La cosa è ancora più grave quando capita che, nemmeno tra le diverse amministrazioni, ci sia né coordinamento né, almeno, informazione. I nostri stessi Ambasciatori si trovano spesso a dover solamente prendere atto di iniziative intraprese da Comuni, Province o Regioni italiane nel Paese in cui loro dovrebbero essere i più alti nostri rappresentanti. E’ indubbio che la cooperazione decentrata sia un diritto delle Istituzioni ai diversi livelli, così com’è noto che alcuni Enti Locali cercano di coordinarsi con il nostro Ministero degli Esteri prima di effettuare ogni nuova iniziativa. Ciò che invece è ben più raro, e non lo trovo utile, è che cerchino di valutare, prima di assumere ogni decisone, assieme al Ministero degli Esteri, l’opportunità o meno dell’intervento stesso. Se, almeno, esistesse il federalismo fiscale potremmo dirci che con i soldi raccolti in loco, con la consapevolezza dei propri amministrati, si può decidere l’uso che si Pochi anni or sono una collega parlamentare, al rientro da un viaggio istituzionale in un paese africano, mi raccontò, un po’ stupita, di aver visitato, tra un incontro istituzionale e un altro, un asilo in una città di medie dimensioni di quel Paese. L’arredamento intero dell’asilo era stato donato da un Comune della sua Regione nell’ambito della cooperazione decentrata allo sviluppo. La cosa stupefacente fu che si trovò di fronte un arredamento nuovo e modernissimo, mentre l’asilo nel Comune donatore, che lei conosceva bene, manteneva mobili ed equipaggiamento da tempo fatiscenti. Era, evidentemente, un atto di grande generosità ma, si domandava la collega, i cittadini di quel Comune toscano erano al corrente che la generosità elargita dalla loro amministrazione poteva essere a scapito dell’ammodernamento del loro stesso asilo? Si pensa solitamente che la cooperazione allo sviluppo, soprattutto quella decentrata, sia il risultato di una volontà collettiva che trova nell’organo donatore il realizzatore di un giusto desiderio di generosità da parte dei cittadini rappresentati. Purtroppo la realtà è molto 36 Comuni d’Europa Pianificare per cooperare ritiene politicamente più opportuno. Ma questo non è il caso dell’Italia odierna. Allo stato attuale dei fatti, e in molti paesi del mondo, gli interventi di cooperazione sono spesso l’unica contropartita che i nostri Ambasciatori possono mettere sul tavolo nell’ambito e al servizio della propria azione diplomatica. E’, accettato o condannato che sia, ciò che fanno le Ambasciate di Stati anche meno generosi del nostro. Non sarebbe più vantaggioso anche per noi seguire questa strada? E’ evidente che non si sta parlando degli interventi di emergenza che hanno un aspetto di urgenza e immediatamente umanitario. Parliamo invece della cooperazione allo sviluppo, ovvero quella che può essere pianificata e che dobbiamo, volta per volta, scegliere se indirizzare verso una realtà o un’altra, vista la limitatezza dei mezzi disponibili. A questo punto, perché non parlare anche della cooperazione multilaterale? Oggi i soldi che l’Italia destina a questa forma di aiuto allo sviluppo sono più del 60% dei fondi disponibili. Ci rendiamo conto che, all’interno dei calderoni multilaterali, i nostri soldi non hanno più colore e chi li riceve non sa nemmeno a chi dovrebbe dire grazie. Le anime candide e i buonisti, sempre numerosi, dicono che l’aiuto allo sviluppo deve essere totalmente disinteressato. Nella proposta di legge di riforma, presentata dall’allora e attuale maggioranza durante la XII legislatura, le sinistre sostennero perfino la “teorizzazione dello slegamento”. In altre parole, la legge, fortunatamente abortita, doveva n. 16 • giugno 2007 prevedere che i fondi italiani dovessero escludere, nel loro impiego, il ricorso ad aziende o servizi nazionali: il colmo del masochismo! Dare aiuti a chi ne ha bisogno è un dovere morale e va fatto comunque. Tuttavia, a parità di condizioni, è altrettanto doveroso ottenere il massimo ritorno possibile per il nostro Paese sia in termini di immagine che di politica e di economia. Chi sostiene il contrario o ritiene che questi eventuali ritorni debbano essere considerati superflui o addirittura negativi o è assolutamente ipocrita o ha altri interessi non dichiarati o vuole il male del nostro Paese, chiedendo alle tasche degli italiani un sacrificio senza che, ove possibile, tale sacrificio sia in qualche modo compensato. A tutto questo si aggiunge che è diventato oggi di moda pensare di affidare tutto il lavoro ad un’agenzia esterna al Ministero. Noi non crediamo che il fatto di attribuire ad un’entità esterna la gestione esecutiva della cooperazione possa semplificare i meccanismi. Al contrario, un’agenzia toglierebbe ulteriormente alla nostra politica estera la possibilità di effettuare scelte coordinate con gli interessi nazionali e sposterebbe semplicemente il momento burocratico da un palazzo all’altro, magari appesantendolo, aumentando contemporaneamente la discrezionalità, già alta, dei numerosi funzionari e consulenti. Ad oggi, nonostante il Governo abbia annunciato una propria proposta, nessuna discussione è ancora iniziata. Di certo il tema della cooperazione allo sviluppo, 37 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO lasciare che sia il Parlamento, attraverso riflessioni approfondite e numerose audizioni con gli addetti ai lavori, a trovare la strada migliore. escludendo gli interventi di emergenza, è complessa e sfaccettata e non lascia prevedere alcuna soluzione miracolistica. La sua complessità suggerisce però di 38 Comuni d’Europa LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO L'approccio dal basso della cooperazione concordata di Mauro Zani Membro della Commissione Sviluppo del Parlamento Europeo perseguono gli stessi obiettivi quando negoziano in sede di OMC. Non necessitano di programmi di intervento simili da parte della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale e hanno priorità politiche e sociali interne alquanto diverse. E’ necessario, quindi, superare una visione tanto (apparentemente) politicamente corretta, quanto notevolmente invecchiata. L’aiuto allo sviluppo e il sostegno ad un sistema di relazioni commerciali equo deve in realtà scontare spesso e volentieri, in tutta una serie di paesi poveri o anche a reddito medio, livelli di corruzione abnormi insieme alla negazione dei più elementari diritti umani. Per questo, l’aiuto allo sviluppo va coerentemente accompagnato da un dialogo politico serrato, entro il quale premiare le buone pratiche di governo e disincentivare le cattive abitudini di classi “dirigenti” corrotte fino al midollo, nei confronti delle quali le ex potenze coloniali non sono affatto esenti da responsabilità storiche pregresse e da persistenti tentazioni a chiudere un occhio (e a volte tutti e due) quando sono in gioco affari e convenienze strategiche. In genere si pensa ai PVS come ad un gruppo omogeneo con problemi e caratteristiche del tutto simili. Si tratta di un modello interpretativo di comodo, che non coglie l’articolazione crescente degli interessi e delle diversità che caratterizzano i protagonismi in atto nel mondo attuale. Assistiamo ad una rapida evoluzione entro la quale non ha più molto senso parlare di un unico sottosviluppo. E’ necessario considerare appieno il ruolo che stanno vieppiù assumendo potenze economiche emergenti come il Brasile o per altro verso lo stesso Sud Africa. E’ un’evoluzione che sta cambiando il panorama del sottosviluppo rendendolo più eterogeneo e stratificato. Ai fini di una piena comprensione della complessità dei problemi è necessario tener conto di una pluralità di facce del sottosviluppo. Chiunque abbia avuto occasione, anche solo indirettamente, di imbattersi nel dibattito sulla liberalizzazione degli scambi commerciali degli ultimi anni, avrà certamente notato come gli interessi, le strategie e conseguentemente le posizioni negoziali dei diversi paesi in via di sviluppo differiscano in modo sostanziale. Brasile e Uganda non n. 16 • giugno 2007 39 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO dei donatori e politiche commerciali per ottenere un effetto moltiplicatore degli interventi tale da inserire progressivamente i paesi poveri nell’economia e nel commercio mondiale. Senza indulgere in un atteggiamento acritico nei confronti dell’UE, va riconosciuta l’importanza di una strategia dello sviluppo fondata sulla consapevolezza che “mai prima d’ora l’eliminazione della povertà e lo sviluppo sostenibile sono stati più importanti” e che “il conseguimento degli obiettivi del millennio va nell’interesse della pace e sicurezza, collettive e individuali, a lungo termine. Senza pace e sicurezza, lo sviluppo e l’eliminazione della povertà sono impossibili, ma, senza sviluppo ed eliminazione della povertà, non vi sarà pace sostenibile”. Due sono i punti di forza di questa impostazione. Per la prima volta, la nozione di “sviluppo umano” inteso come “ampliamento delle possibilità di scelta delle persone – aumento delle opportunità di accedere all’istruzione, sanità, reddito e impiego che copre l’intera gamma delle scelte dell’uomo da un ambiente sostenibile alle libertà politiche ed economiche”3 entra a pieno titolo nell’agenda politica di uno degli attori più importanti sulla scena internazionale. Da un punto di vista concettuale, inoltre, essa si pone come diretta alternativa ad una concezione “muscolare” dei rapporti tra mondo industrializzato e paesi in via di sviluppo che interpreta i problemi del sottosviluppo come residuali e basata sulla cinica idea che “ogni paese deve farsi carico della responsabilità del proprio sviluppo”. Non a caso attualmente l’Unione Europea promuove una visione più ricca e articolata dei rapporti nord-sud a livello globale rispetto al passato. D’altra parte, il graduale consolidarsi della dimensione esterna accompagna il processo di integrazione europea, con tutti i suoi limiti e contraddizioni. Proprio la politica di cooperazione allo sviluppo è uno dei settori nei quali questa “peculiarità” europea meglio si esprime. Usando una terminologia certamente non casuale, Commissione, Consiglio e Parlamento hanno adottato, nel febbraio 2006, una dichiarazione congiunta intitolata “Il Consenso europeo in materia di sviluppo”1 che segue alla dichiarazione congiunta sulla politica di cooperazione allo sviluppo del novembre 2000,2 con la quale, per la prima volta, sono stati stabiliti il quadro di obiettivi, valori e principi comuni all’interno del quale l’Unione e i suoi venticinque Stati membri sono chiamati ad attuare le proprie politiche di sviluppo in uno spirito di complementarietà. La Dichiarazione comune parte dal presupposto che la lotta globale contro la povertà non è soltanto un obbligo morale, ma è bensì necessaria per creare un mondo più stabile, più pacifico, più prospero e più equo. In particolare si avanza una visione sistemica il cui risultato deve essere maggiore della somma dei singoli interventi: una visione olistica com’è stata definita, in verità alquanto pomposamente, dal Commissario allo sviluppo, il liberale belga Louis Michel. Più semplicemente si cerca una sinergia tra politiche per lo sviluppo, impegno 40 Comuni d’Europa L'approccio dal basso della cooperazione concordata Nel generale contesto del cosiddetto “Consensus europeo” assume una particolare rilevanza la nuova strategia per l’Africa ed altri gruppi di paesi geograficamente vicini (Isole del Pacifico, Caraibi, Corno d’Africa). Lo sviluppo del continente africano è al centro dell’attenzione del mondo già da molti anni, numerose proposte sono state avanzate nel recente passato, molte delle quali provenienti dall’esterno e in primo luogo dal Sistema delle Nazioni Unite e dall’Unione europea. L’iniziativa dell’Unione europea concernente l’Africa è il seguito di tutto un percorso avviato già alcuni fa e che i recenti cambiamenti, in Europa, nel mondo e nell’Africa medesima hanno reso non più rinviabile al fine di dare a quest’ultima l’opportunità di avviarsi verso uno sviluppo sostenibile e duraturo e di eliminare la povertà che l’affligge. Nell’impostazione e nei contenuti la nuova strategia europea verso l’Africa non costituisce solo una pura riaffermazione della volontà europea di rafforzare le relazioni euro-africane, ma piuttosto una chiara assunzione di responsabilità, e un cambiamento di approccio verso l’Africa medesima, con le sue differenze culturali, etniche e religiose in cui l’organizzazione dell’Unità Africana -UA- (la cui nascita suscitò perplessità e scetticismo), è chiamata a svolgere un ruolo centrale. Nella dichiarazione congiunta rilasciata al termine del vertice dell’UA tenutosi a Addis Abeba nel luglio 2004, l’UE ha esplicitamente ribadito “l’impegno ad ampliare al massimo le sue relazioni con l’UA”. Di fatto si tratta di una chiara prefn. 16 • giugno 2007 erenza verso fenomeni di integrazione regionale. L’Unione Europea ha raccolto la sfida della Dichiarazione del Millennio e definito come uno dei pilastri fondanti della propria concezione di “governo della globalizzazione” una strategia che ha nella lotta alla povertà uno degli obiettivi primari. A questo punto il problema è dare sostanza a queste enunciazioni di principio. L’Unione Europea deve provare nei fatti, pragmaticamente, che la politica per lo sviluppo è una componente fondamentale della sua azione esterna anche quando sono in gioco grandi blocchi di interessi. Un ruolo molto importante svolge il commercio internazionale. In questo ambito, la sfida consiste nel delineare un nuovo sistema commerciale internazionale che garantisca ai paesi in via di sviluppo l’accesso ai benefici derivanti dall’integrazione nei mercati globali evitando che liberalizzazione commerciale si traduca nella distruzione delle capacità produttive di questi paesi. Una strada percorribile è quella di garantire, ai beni prodotti nelle aree del sottosviluppo un maggiore accesso ai mercati dei paesi sviluppati mantenendo un certo grado di asimmetria negli scambi per preparare i PVS ad una consapevole e quindi graduale e differenziata liberalizzazione. L’Unione Europea si sta da tempo attrezzando per rispondere a questa sfida. Ovviamente gli orientamenti di politica commerciale in Europa non sono guidati da motivazioni di carattere esclusivamente solidaristico. Basti ricordare le innumerevoli critiche di cui l’Unione Europea 41 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO è stata fatta oggetto a causa della natura protezionistica della Politica Agricola Comune (PAC) per gli effetti negativi ch’essa ha avuto sulle opportunità di sviluppo dei paesi più poveri. La politica commerciale dell’Europa è meno iniqua di quanto viene spesso descritta. Si deve riconoscere che sono stati introdotti strumenti che perlomeno si propongono di gestire in modo efficace il legame di interdipendenza esistente tra commercio internazionale e sviluppo. Da un lato, l’Unione consente un accesso preferenziale ai suoi mercati esente da dazi o a tariffa ridotta per la maggior parte delle importazioni provenienti dai paesi in via di sviluppo e da economie in transizione sulla base del sistema delle preferenze tariffarie generalizzate (SPG). Dall’altro, i 49 paesi più poveri del mondo godono di accesso esente da dazi doganali sul mercato dell’Unione - con l’unica eccezione delle armi - in base ad un programma lanciato nel 2001, denominato “Tutto tranne le armi”(EBA). Inoltre, L’UE ha elaborato una nuova strategia commerciale e di sviluppo con i suoi 79 partner del gruppo di paesi Africa-Caraibi-Pacifico (ACP) volta ad integrarli nel commercio mondiale fondata sull’introduzione di un nuovo quadro per la cooperazione commerciale incentrato su Accordi di Cooperazione Economica (APE) nelle cinque zone d’integrazione. Nel caso dei prodotti agricoli, gli interessi dell’Unione e quelli dei paesi più poveri del mondo vengono in questa fase a coincidere. L’Unione Europea è da tempo il prin- cipale donatore al mondo di APS che comprende: gli aiuti bilaterali degli Stati membri, i prestiti della Banca Europea per gli Investimenti (BEI), gli aiuti iscritti al bilancio dell’UE e, infine, quelli versati dagli Stati membri attraverso il Fondo europeo di sviluppo (FES) il quale finanzia i progetti per la realizzazione degli obiettivi del partenariato concluso a Cotonou nel 2000. Non vi è dubbio che per imprimere una maggiore efficacia all’aiuto sia necessario aprire l’intero processo alla partecipazione degli attori locali non statali e dei parlamenti nazionali e in particolare incentivare quella cooperazione decentrata che ha negli enti locali il suo fulcro più significativo. Ciò aiuterebbe l’indispensabile trasparenza nell’impiego delle risorse soprattutto di fronte all’intenzione, più volte proclamata dalla Commissione, di fornire la maggior parte dell’aiuto direttamente al bilancio statale dei PVS. Nonostante questi problemi, nel complesso l’Unione Europea rimane l’attore maggiormente impegnato sul fronte dell’aiuto pubblico allo sviluppo non solo nel presente ma anche in termini di impegni per il futuro. La politica di cooperazione allo sviluppo dagli anni cinquanta ad oggi ha conosciuto degli importanti progressi, acquisendo gradualmente una dimensione comunitaria e sovranazionale. Tuttavia, resta pur sempre una politica condivisa fra gli Stati membri e la CE per conto dell’Unione europea. In assenza di una politica estera europea, è necessario rafforzare i sistemi di governance a livelli diversi da quello europeo e statali, dei sistemi di gover42 Comuni d’Europa L'approccio dal basso della cooperazione concordata attraverso un approccio non più calato dall’alto, bensì partecipativo. nance multilivello, capaci di tenere conto di un approccio allo sviluppo dal basso e dal locale. Ad esempio attraverso la cooperazione decentrata. Dunque, più coerenza tra le varie politiche europee, sia interne che esterne ma anche una maggiore valorizzazione delle tipicità e delle risorse delle popolazioni interessate attraverso l’appropriazione del processo di sviluppo (ownership), sulla forte partecipazione in tutte le sue fasi che generano il reale protagonismo delle persone coinvolte (empowerment) e sulla trasformazione della progettazione e implementazione delle politiche, n. 16 • giugno 2007 NOTE 1 Dichiarazione comune del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio, del Parlamento europeo e della Commissione sulla politica di sviluppo dell’Unione europea: «Il consenso europeo» (2006/C 46/01). 2 Dichiarazione congiunta del Consiglio e della Commissione sulla Politica di sviluppo dell’UE, Novembre 2000. 3 UNDP, Human Development Report 1990, New York. 43 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO Dobbiamo tener fede agli impegni e alle promesse di Alessandro Battilocchio Membro della Commissione Sviluppo del Parlamento europeo beneficiari: dai paesi candidati a quelli in transizione verso un futuro più democratico e rispettoso dei diritti umani, ai paesi più poveri e a quelli vittime di conflitti. Questo nuovo approccio non solo semplifica l’accesso ai fondi da parte dei paesi beneficiari, non più costretti a districarsi tra decine di formulari diversi che seguivano più una logica interna di linee di bilancio piuttosto che di efficienza, ma contribuisce anche a rendere più chiari e trasparenti i termini effettivi degli aiuti, e di conseguenza più semplice la valutazione dei risultati. E si presta anche, tuttavia, ad una logica politica e strategica più sottile. La flessibilità decantata dai nuovi strumenti permette infatti di spostare più agilmente fondi da una regione geografica all’altra, secondo le priorità e le necessità che via via vanno cambiando in un panorama geopolitico internazionale alquanto instabile e mutevole da almeno un paio di decenni. Se il crollo dell’URSS aveva deviato gran parte dei fondi per lo sviluppo dalle ex colonie (i paesi ACP) alle nuove repubbliche dell’Europa Centro-orientale per accompagnarle fino all’adesione, la minaccia Anche nel 2006 l’Unione Europea si è confermata al primo posto tra i donatori internazionali, con il 55% degli aiuti allo sviluppo a livello mondiale, grazie agli sforzi congiunti della Commissione Europea (che ne gestisce circa un quinto) e degli oramai 27 Stati Membri. In seguito al Trattato di Maastricht nel 1993, che ha posto lo sviluppo tra le politiche del secondo pilastro, e soprattutto dopo la riforma del 2000 che, grazie a procedure più snelle, rapide e trasparenti, e alla creazione di un unico organo di gestione (Europeaid) e di 77 delegazioni, ha permesso di aumentare il volume dei finanziamenti verso i paesi terzi del 54% rispetto al periodo precedente, la politica di sviluppo della Commissione Europea ha conosciuto uno slancio importante, che ha contribuito a fare dell’UE uno dei principali attori dello sviluppo internazionale. La nuova riforma, approvata nel 2006 ed entrata in vigore dal gennaio scorso, ha ulteriormente semplificato il sistema dei finanziamenti, riducendo gli strumenti esistenti a 5 grandi programmi definiti non più in base a criteri geografici ma in base alle necessità e alle priorità dei 44 Comuni d’Europa Dobbiamo tener fede agli impegni e alle promesse rinnovato, costante e più intenso. Continue arrivano infatti le accuse dal mondo del non-governativo riguardo ai dati forniti dall’UE sui flussi di finanziamenti che sarebbero, a loro avviso, gonfiati dall’annullamento del debito (nel 2005 ha pesato molto sul computo internazionale l’annullamento accordato alla Nigeria e all’Iraq) e dal sostegno umanitario a zone critiche (Iraq, Afghanistan, zone colpite dallo tsunami, da terremoti e cicloni), fondi questi ultimi che per trasparenza non dovrebbero essere contabilizzati tra gli aiuti effettivi allo sviluppo. Un impegno deve anche essere preso dall’UE per armonizzare le pratiche e le priorità in vigore, se non tra tutti i donatori internazionali, almeno al suo interno (attualmente sono 28: una per stato membro più la Commissione Europea), per rispondere ad una sempre maggiore richiesta di efficienza e di trasparenza. Necessario è anche garantire la coerenza tra le diverse politiche europee e le priorità in materia di sviluppo (senza dimenticare i negoziati in corso in seno all’OMC, e la scadenza degli Accordi di Partenariato Economico con molti paesi in via di sviluppo, che abbatteranno le barriere tariffarie sui prodotti importati dall’Unione Europea, con probabili ripercussioni sul loro mercato interno). Ma nessuna di queste raccomandazioni sarà sufficiente se, prima tra tutti l’Unione Europea, seguita dai singoli Stati Membri (e mi riferisco in particolare a quei paesi che, come l’Italia, sono ben al di sotto della soglia), non rispetteranno le promesse fatte alla comunità internazionale e a tutti i paesi beneficiari di terrorista ed i conflitti in Medio Oriente hanno modificato di nuovo le priorità europee, spostando l’attenzione ai nuovi confini dell’Unione (tramite una Politica di Vicinato rafforzata) e prediligendo azioni mirate a sviluppare l’economia e la stabilità democratica dei paesi del Mediterraneo, del Caucaso e dell’Asia Centrale, non solo per tamponare eventuali emorragie di terroristi, immigrati e traffico di droga, ma anche per farne, col tempo, affidabili partner economici e politici. Un altro esempio: le regioni dell’Asia Centrale e del Caucaso del Sud, fino al 2006 gestite esclusivamente nell’ambito del programma TACIS, diventano di un’importanza strategica crescente per l’UE man mano che si aggrava il problema della dipendenza energetica dalla Russia, con le tensioni politiche che questo comporta, e si pone con urgenza la questione di alternative valide. La possibilità di intervenire in queste aree (puntate anche dalla Russia stessa, e dalle vicine Cina e India) in diversi settori tramite i vari strumenti tematici disponibili (diritti umani, ambiente, stabilità ecc), permette all’UE di poter adeguare il flusso di fondi da destinare alla regione non solo in base alle necessità individuate in tali paesi, ma anche, e soprattutto, alle priorità interne dell’Unione stessa. Importante sarà quindi vegliare affinché le mire economiche, commerciali e politiche dell’UE non vadano a scapito dei fondi destinati originariamente allo sviluppo dei Paesi più poveri, per i quali, nonostante i tanti impegni presi ripetutamente in sede internazionale, occorre uno sforzo n. 16 • giugno 2007 45 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO Millennio, e la disponibilità dei paesi industrializzati ad adoperarsi per ridurre in modo sensibile la povertà nel mondo, l’incidenza dell’AIDS e delle altre malattie e sofferenze che colpiscono i paesi poveri, non sono stati solo una solenne presa in giro. aumentare l’impegno effettivo degli aiuti per raggiungere entro il 2010 almeno lo 0.7% stabilito (nel 2006 l’UE ha sfiorato l’obbiettivo intermedio dello 0.35%). Soglia che rappresenta il limite minimo necessario per dimostrare all’opinione pubblica mondiale che gli Obbiettivi del 46 Comuni d’Europa LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO L'impegno dell'AICCRE per un ruolo più attivo degli Enti locali di Enrico Casciani Responsabile Aiccre per la cooperazione Parimenti, ogni governo ha cercato di dare una sua impronta e segnatamente il precedente governo aveva in animo di porre mano ad una radicale riforma che tuttavia non è stata varata. Anche il Governo attuale si propone di riscrivere le regole della Cooperazione e, per dare più rilevanza politica all’impegno, ha nominato un Vice-Ministro con delega specifica in luogo dell’usuale figura del Sottosegretario con delega alla cooperazione. Questo per indicare un quadro di sfondo in cui collocare le proposte e sviluppare un’analisi sui limiti della legge citata Essi paiono ancor più evidenti in un mutato scenario interno ed internazionale che, come fanno notare alcuni, risaltano ancor più stridenti nella sottile e sempre presente contrapposizione tra emergenza e aiuto allo sviluppo e pongono i seri interrogativi su quale significato attribuire agli aiuti e segnatamente quelli umanitari. Questo tema, lungi dall’essere risolto, è tutt’oggi, nel dibattito che attorno alla riforma della legge 49 si va articolando, oggetto di profonde e acute osservazioni che risentono, come è ovvio, delle differ- La legge 49 del 1987 meglio nota come Legge sulla cooperazione verso i Paesi in Via di Sviluppo (PVS) varata nel 1987 con il consenso unanime del Parlamento, doveva portare ordine nella duplice legislazione allora vigente in materia di aiuti ai Paesi poveri. La legge, infatti, riuniva in una sola Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del MAE le funzioni proprie del Dipartimento per la Cooperazione allo Sviluppo nato nel 1979 (legge 38) e quelle del cosiddetto Fondo Aiuti Italiani (FAI) nato nel 1985 (legge 73). Tuttavia, la storia di questa legge, che pure aveva avuto il consenso unanime del Parlamento, si segnala, a giudizio di molti, come ampiamente disattesa o violata da parte di chi aveva la responsabilità nella gestione degli strumenti che questa legge metteva a disposizione. L’originario testo, inoltre, ha subìto modifiche ed interventi che ne hanno ulteriormente vanificato la sua applicabilità in un dedalo normativo (delibere, ordini e comunicazioni di servizio, interventi normativi su singoli aspetti) che ne hanno appesantito il già complicato iter burocratico. n. 16 • giugno 2007 47 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO enti posizioni ancor che politiche essenzialmente culturali e di indirizzo. In altre parole, quali contenuti e cornici debbano avere una legge moderna sulla cooperazione che faccia salvo l’aspetto umanitario ma che non si appiattisca su generiche forme d’aiuto. Insomma lo sminamento di una zona dell’Afganistan piuttosto che del Kossovo quali caratteristiche deve avere per essere aiuto umanitario. E ancora fornire assistenza (come, in che modo, con quale profilo) alla creazione di piccole e medie imprese nel Ciad o in Ecuador lo si deve intendere rientrante nella legge sulla cooperazione o negli spazi del commercio estero e dell’ICE? Una sommaria disamina della legge consente altresì di indicare i punti particolarmente stridenti con i mutati scenari nazionali ed internazionali; e obbliga, parimenti, tutti i soggetti che per qualche verso si occupano di cooperazione a porsi degli obiettivi in relazione al contributo da apportare. Questo vale anche per un’ Associazione, i cui compiti sono quelli di promuovere la partecipazione delle Autorità Locali anche intervenendo laddove è possibile nella discussione aperta dalla formulazione della nuova legge. In particolare occorre porre attenzione ad alcuni punti che possono avere convergenza con l’azione e le finalità dell’AICCRE. E’ sempre bene ricordare come la legge inizi con un’affermazione di principio estremamente vincolante che non è male ricordare: allorché recita: ”La cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera italiana…..” (art 1 § 1) in cui inte- grante sancisce la stretta connessione tra cooperazione e politica estera e ne sancisce altresì l’esclusiva titolarità al Ministero/Ministro degli Esteri in quanto rappresentante e gestore della politica estera del Governo. All’art. 2 poi sono elencate (§ 3) le attività di cooperazione. Rientrano nella cooperazione allo sviluppo: a) l’elaborazione di studi, la progettazione, la fornitura e la costruzione di impianti, infrastrutture, attrezzature e servizi, la realizzazione di progetti di sviluppo integrati e l’attuazione delle iniziative anche di carattere finanziario… c) l’impiego di personale qualificato per compiti di assistenza tecnica d) la formazione professionale e la promozione sociale dei cittadini dei PVS in loco, in altri Paesi in via di sviluppo e in Italia…. E la formazione di personale italiano destinato a svolgere attività di cooperazione allo sviluppo. e) il sostegno alla realizzazione di progetti e interventi ad opera delle ONG idonee anche tramite l’invio di volontari e proprio personale nei PVS f) l’attuazione di interventi specifici per migliorare la condizione femminile e dell’infanzia, per promuovere lo sviluppo culturale e sociale della donna con la sua diretta partecipazione. h) la promozione dei programmi di educazione ai temi dello sviluppo, anche nell’ambito scolastico, e di iniziative volte all’intensificazione degli scambi culturali tra Italia e PVS con particolare riguardo a quelli tra i giovani. Quanto specificato in alcuni passaggi dell’art 2 sono da sottolineare perché 48 Comuni d’Europa L'impegno dell'AICCRE per un ruolo più attivo degli Enti locali interessano gli EELL in genere come viene specificato al successivo §4: “ Le attività di cui alle lettere a) c) d) e) f) h) del § 3 possono essere attuate…… anche utilizzando le strutture pubbliche delle Regioni, delle Province Autonome e degli EELL” Se per la prima volta si fa menzione di strutture pubbliche delle Regioni, delle Province e dei Comuni appare del tutto evidente come il ruolo assegnato loro, sia del tutto marginale e di sostegno e non già di autonoma capacità operativa che necessiterebbe di una più articolata definizione. E’ evidente, a rileggere quanto detto sopra, come la legge 49, disegni uno scenario – e non potrebbe essere diversamente visti i tempi – connotato da una marcata centralità dello Stato. Al contempo proprio questa centralità era messa in discussione non solo dagli obblighi derivanti da accordi internazionali ma dalla specifica azione dell’allora Comunità Europea che proprio in quegli anni inizia a varare dei programmi di partenariato. Il partenariato, prende forma,è bene ricordarlo, attraverso le Iniziative Comunitarie dotate di un budget irrisorio rispetto all’economia generale ma pur sempre di un budget (1% dell’intero bilancio comunitario) e consentivano un partenariato diretto tra autorità locali senza necessariamente passare attraverso la ripartizione regionali dei Fondi. In tal modo non solo si favoriva ma si fissavano le regole per una cooperazione tra Enti minori non necessariamente riconducibile alla cooperazione allo sviluppo ma sicuramente prodroma n. 16 • giugno 2007 di nuove responsabilità delle autorità locali PHARE, Echange de Esperience, Ecos, UrbAL, AsiaUrb, MedUrb sono state Iniziative Comunitarie spesso sfociate in programmi comunitari ben più articolati e corposi ma qui preme sottolineare non già la specificità dei Programmi stessi quanto piuttosto il ruolo giocato dei partecipanti e in primo luogo delle autorità locali. Il ferreo meccanismo italiano poneva, su questo versante, non poche difficoltà e svantaggi a fronte di Paesi comunitari più istituzionalmente attrezzati Basti pensare che era vietato alle Regioni italiane di aprire uffici di rappresentanza presso le Istituzioni comunitarie e questo era un indubbio fattore di svantaggio. Tutto cambia con l’approvazione della Riforma Costituzionale. (L3/01) Essa ha apportato novità significative nel rapporto tra lo Stato, le Regioni e il diritto comunitario. La nuova ripartizione delle competenze legislative, infatti, assegna un ruolo affatto nuovo al legislatore regionale che è chiamato ad intervenire entro confini materiali ben più ampi, all’interno degli stessi limiti generali cui è sottoposto il legislatore statale (cfr Cecilia Odone: Regioni e diritto comunitario dopo la Riforma del Titolo V. Osservatorio Legislativo Interregionale 2004). L’art.117 §1 della Costituzione nella nuova formulazione, infatti, stabilisce che “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali” e ancora 49 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO “Le Regioni e le province Autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea…. (art. 1 §5) Appare del tutto evidente come anche in materia di cooperazione verso i PVS le modifiche apportate dalla Riforma Costituzionale assegnino un ruolo affatto differente al mero contributo previsto dalla legge 49 nel citato § 4 dell’art.2 ed impongano nuovi e più articolati rapporti segnatamente tra Stato e Regioni medesime. Le Regioni dunque non sono chiamate ad apportare solo un sostegno logistico e a contribuire in modo accidentale alla realizzazione degli obiettivi che si prefigge la legge 49 ma concorrono, assieme allo Stato, (Conferenza Stato-Regioni) alla sua elaborazione e realizzazione. Anche lo scenario internazionale è profondamente mutato con un aggravarsi delle crisi in alcuni Paesi e con l’emergere, nel caotico contrasto tra sviluppo e democrazia – come noi comunemente la consideriamo – di nuovi soggetti non più definibili come PVS ma non ancora completamente affrancati da un moderno sistema di relazioni e di welfare. Questi Paesi sono conosciuti come Paesi àncora La definizione di Paesi àncora è stata qui mutuata da un pregevole lavoro del CESPI (Cfr: Sistemi di cooperazione a confronto:spunti per l’Europa) sulla cooperazione e anche alcuni Parlamentari (cfr Sen. Mantica in questo stesso numero) la riprendono per sottolineare quanto si sia evoluto il concetto di PVS e quanto siano necessarie distinzioni prima superflue. Il Senatore Mantica, tra l’altro, si spinge oltre domandandosi, visto il diverso tasso di povertà cui soggiacciono aree contigue o aree di uno stesso PVS, se sia più proficua un’azione di sviluppo delle aree già –relativamente – sviluppate in modo tale da ingenerare ricchezza o se invece si debbano sostenere le aree tra le più povere in modo da sopperire alla necessità di bisogni primari. E’ una suggestione che non dovrebbe essere lasciata cadere nel vuoto. Così che non sarà ininfluente se gli sforzi saranno indirizzati verso quei Paesi che oltre a quanto detto sopra esercitano una forte capacità attrattiva, di ancoraggio appunto, per tutta l’area geo-economica; che sono i Paesi più grandi della regione geografica di appartenenza o che concentrano almeno il 20% del reddito regionale: Cina, India, Indonesia, Pakistan, Thailandia, Egitto, Iran, Arabia Saudita, Nigeria Sudafrica, Argentina, Brasile, Messico Russia e Turchia. Il concetto di povertà diffusa non lo si deve, appunto, intendere riferita solo al reddito pro-capite ma a quella rete di servizi sociali (scuola, sanità, assistenza sociale, tutela dei diritti e garanzie democratiche) tipiche delle società in cui forte è l’intreccio tra sistema statuale e sviluppo. Al contempo questi Paesi hanno grandi potenzialità i cui effetti non saranno secondari nello scenario mondiale. Dall’altro versante abbiamo gli altri Paesi 50 Comuni d’Europa L'impegno dell'AICCRE per un ruolo più attivo degli Enti locali che per alcuni versi paiono più sospinti verso una povertà sempre maggiore ma che sensibilità e strategie d’interesse nazionale, almeno tra le persone più avvertite, consigliano di modulare in modo diverso. Anche questa è una variante di non poco conto nella nuova formulazione della cooperazione allo sviluppo e definire un quadro prioritario (con il contributo delle Regioni) appare obbligatorio per non fare d’ogni rappresentante delle Istituzioni un potenziale ministro degli esteri che baldanzosamente si crede investito di una missione talvolta più grande di lui. In qualche modo, occorre dire, che almeno nelle formulazioni sia del Governo sia delle forze politiche che in Parlamento hanno presentato pdl, quest’esigenza è molto sentita e grande è l’attenzione a porre rimedio al pericolo che ci si muova sullo scenario internazionale in modo a dir poco scombiccchierato Sul fronte governativo ci si muove in uno stretto confronto tra questo e le forze della maggioranza che sta elaborando un testo con quale confrontarsi in sede parlamentare. L’AICCRE è stata invitata ad un incontro organizzato dalla Vice-Ministro Sentinelli nel luglio scorso al MAE nel quale è stato fatto un primo giro di orizzonte. In quella circostanza sono state illustrate le finalità dell’Associazione stessa e la sua vocazione europea nonché l’interesse a regole più precise circa la partecipazione delle autorità locali al processo di realizzazione di progetti. Questa posizione è stata espressa anche in incontri organizzati dal gruppo de n. 16 • giugno 2007 L’Ulivo in vista della presentazione così come se ne è dibattuto nell’incontro del 4 aprile scorso con alcuni parlamentari e con rappresentanti delle ONG non perdendo di vista la vocazione europea di un’Associazione come l’AICCRE che si è battuta in sede di Parlamento Europeo per dare maggiore visibilità alle Autorità Locali; battaglia che ha portato al voto favorevole sulla risoluzione Schapira vice sindaco di Parigi e Parlamentare del PSE. E’ bene ricordare inoltre che la Commissione Europea, infine nel luglio scorso ha varato il regolamento 1082 (GECT) attraverso il quale fissa le regole della nuova cooperazione territoriale alla cui radice sta la constatazione del cattivo funzionamento dello strumento della cooperazione comunitaria con le vecchie regole. Occorre dire che lo stesso termine territoriale è stato oggetto d’approfondito e franco dibattito e fortemente voluto dal Comitato delle Regioni per le implicazioni politiche che tale riconoscimento determina. Va detto, inoltre, che da un punto di vista operativo che esso, più che nel passato, insiste sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione accrescendo, in tal modo i mezzi destinati alla cooperazione territoriale. All’art.3 esso indica chiaramente i soggetti e tra essi in maniera del tutto paritaria vengono citati gli Enti Locali i quali hanno il solo obbligo di rispettare il vincolo del riconoscimento da parte di una, per ora non definita Autorità Nazionale, e l’essere, il GECT, costituito da entità 51 LA COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO nelle varie sedi la propria posizione articolandola in vari modi. Si tratta di assumerla facendo leva sulle proprie specifiche caratteristiche e sulle proprie specifiche relazioni e competenze prendendo spunto dai punti messi qui sotto e che hanno il solo scopo di favorire la riflessione e sui quali discutere: 1) Da più parti ormai si rivendica un ruolo più dinamico degli Enti Locali e l’AICCRE dovrebbe, con questi soggetti, nazionali e/o europei trovare organiche forme di contatto non prescindendo da altri soggetti associativi che sul terreno operano e con questi pervenire all’elaborazione di una strategia o magari sottoporre nelle sedi appropriate emendamenti affinché anche gli Enti Locali trovino nella normativa una loro giusta esaltazione. 2) La natura associativa che organizza tutti i soggetti istituzionali presenti sul territorio può essere la sede adatta per dibattere e mettere a confronto opinioni sulla materia che poi, magari, in sede di confronto della Conferenza Unificata possono trovare una loro sintesi istituzionale. Per questo, l’AICCRE dovrebbe promuovere dibattiti, incontri sia nazionali sia regionali per incanalare in questo filone le sue potenzialità e i suoi compiti associativi. 3) Traendo spunto dalla Conferenza Unificata, o meglio ancora dalla Conferenza Stato-Regioni, l’AICCRE si potrebbe fare promotore di sollecitare come a fianco del sistema Paese si sviluppi una sorta di sistema-Regione al paritarie di almeno due Stati diversi. Inoltre nel preambolo al citato Regolamento 1082 si legge: “L’adozione di una misura comunitaria che consente di costituire un GECT, non esclude, tuttavia la possibilità che entità di paesi terzi partecipino ad un GECT costituto in conformità al presente Regolamento qualora la legislazione del paese terzo o gli accordi tra Stati membri e paesi terzi lo consentano” Appare del tutto evidente come queste norme obbligano ad una ridiscussione, anche in chiave europea e comunitaria, di tutte le norme che finora hanno regolato la cooperazione compresa quella degli enti locali che come si è visto attualmente è molto relegata a ruoli di sussistenza. Il quadro delineato indica forse una non poca confusione ma sicuramente un grande e positivo movimento verso una dimensione più adatta ai tempi della cooperazione stessa. Non di poco conto è quello di tentare una netta distinzione tra emergenza e programmazione e tali distinzioni appaiono fondamentali per incanalare la cooperazione entro l’ alveo programmato dello sviluppo. La cooperazione deve seguire una sua specifica programmazione, vincolata alla politica estera, che innanzi tutto moduli la cooperazione stessa attorno all’esigenza dei beneficiari ma avendo presente altresì la strategia Paese in un sistema complesso e articolato che esalti le specificità regionali e ne rispetti quanto previsto dalla Costituzione. Come Associazione si tratta dunque di un’occasione interessante per esporre 52 Comuni d’Europa L'impegno dell'AICCRE per un ruolo più attivo degli Enti locali cioè di proporre e gestire progetti. Queste figure, sono per certi versi da inventare e sostenere. In quest’ottica la “Consulta dei funzionari” prevista dall’art.10 dello Statuto potrebbe essere uno strumento che può favorire il confronto e produrre idee in materia e pertanto un compito cui l’AICCRE potrebbe assolvere, sarebbe quello, in stretto contatto tra Centro e Federazioni regionali, di promuovere incontri, dibattiti e formazione allo scopo di contribuire alla individuazione di Enti e soggetti capaci di ben operare nel terreno ricco e impegnativo della cooperazione. cui interno i vari soggetti trovino una rappresentanza e forme di partecipazione. Attraverso questi strumenti si potrebbe arrivare ad una sintesi da far valere presso il soggetto che dovrebbe avere la responsabilità gestionale vale a dire il Ministero degli Esteri. 4) Nell’illustrazione della legge e delle proposte di modifica si è volutamente tralasciata tutta quella parte che riguarda il cosiddetto “personale in missione” E’un terreno estremamente delicato poiché appare del tutto evidente come anche per gli Enti Locali vi sia la necessità di poter contare su figure professionali specifiche, capaci n. 16 • giugno 2007 53 CONTRIBUTI E OPINIONI Un progetto di respiro europeo: a Udine il Bilancio Sociale di Sergio Cecotti Sindaco del Comune di Udine Diciotto gennaio 2007. Questa la data in cui nella Regione del Friuli Venezia Giulia viene realizzato per la prima volta da un’Amministrazione Comunale il Bilancio Sociale. E il protagonista di questa operazione è il Comune di Udine, una realtà del settore pubblico che si sta contraddistinguendo per la capacità di essere all’avanguardia nella comunicazione istituzionale. Un percorso iniziato con la creazione di un nuovo logo per la città. Una nuova identità visiva per veicolare l’immagine di un Ente giovane e moderno, ma legato con forza alle tradizioni, alla sua storia e al suo territorio. Un processo di rinnovamento conclusosi con la realizzazione del manuale d’uso d’immagine coordinata per delineare le linee guida di un corretto utilizzo che assicuri il rispetto dell’identità visiva comunale e che ha fatto emergere con forza la capacità comunicativa dell’Amministrazione Comunale. Un modus operandi che si è ripetuto anche nel progetto del Bilancio Sociale. Un’iniziativa multidimensionale che racchiude aspetti differenti come lavoro di squadra, partecipazione, dialogo, ascolto, trasparenza. Ma cos’è il Bilancio Sociale? Uno strumento per migliorare il rapporto con il cittadino. Una nuova prospettiva di relazione e di dialogo con l’abitante della città, che diventa il primo stakeholder del Comune. Un approccio che mette il cittadino al centro dell’azione di governo. Una pratica che il pubblico ha trasferito dal privato. Non è stata, però, una semplice trasposizione, ma uno strumento che le pubbliche Amministrazioni, Comuni in primis, hanno saputo contestualizzare alla realtà della proprio sfera di attività. Il Bilancio Sociale si inserisce in un percorso nuovo, quello di un approccio citizen oriented, che contraddistingue le realtà europee. Un approccio integrato sistemico ai servizi, alle politiche per la qualità della vita, alla vivibilità, ma che ha sempre il cittadino al centro. Gli abitanti del territorio rappresentano i veri stakeholder, che negli ultimi anni manifestano il bisogno di capire come sono spesi i loro soldi e sopratutto in quali ambiti vengono distribuite le risorse. Un progetto che non è localista, ma che va oltre i confini del Comune per la sua capacità di tracciare un percorso nuovo 54 Comuni d’Europa Un progeto di respiro europeo: a Udine il Bilancio Sociale nell’intendere il rapporto con il cittadino. Una “buona pratica” che pone Udine all’avanguardia nel panorama nazionale e lo colloca in una posizione di completa adesione alle nuove politiche europee di governance e democracy. Uno strumento che si inserisce nella nuova filosofia tracciata dall’Unione Europea per la Pubblica Amministrazione, dove aspetti come ascolto, partecipazione e responsabilità sono concetti cardine nel rapporto con il cittadino europeo, sempre più attento e critico nella valutazione dei servizi. Ma l’esperienza del Bilancio sociale di Udine si caratterizza anche per essere costruito secondo una prospettiva innovativa, con una visione della comunicazione pubblica che individua nella città un vero e proprio attore dello spazio pubblico, disegnandola come un territorio più vivibile, una città a misura del cittadino, una città più vicina, una città più solidale, una città che sa educare e formare, una città per i giovani, una città turistica e salotto della cultura, una città sportiva. È questo l’indice del Bilancio Sociale del Comune di Udine, introdotto da un capitolo sull’identità e sull’universo valoriale di riferimento, e da una premessa sull’assetto organizzativo e il rendiconto economico. Ogni capitolo, poi, ha voluto spiegare attività, progetti, eventi e manifestazioni per far emergere il portato delle scelte, del programma e delle modalità di intervento del Comune di Udine, sulla base dei tratti identitari e peculiari della città. Un tratto comunicativo che contraddistingue il progetto è rappresentato dalla forte relazionalità insita in esso. Il Bilann. 16 • giugno 2007 cio Sociale non esprime solo la volontà di spiegare e illustrare al cittadino i progetti, le iniziative e gli eventi realizzati: il Comune ha dimostrato capacità di storytelling, che significa raccontare al cittadino i servizi, i progetti, le attività. Il linguaggio utilizzato semplice, comprensibile e chiaro, è volto a facilitare il cittadino nella lettura e nella comprensione delle diverse sezioni. Un registro linguistico che non cerca di convincere e persuadere, ma di illustrare per soddisfare il bisogno di trasparenza degli abitanti di Udine. Queste le peculiarità del progetto, realizzato dall’Ufficio Comunicazione, sotto la supervisione della responsabile, Marina Galluzzo, con la collaborazione di Andrea Altinier, che si è occupato della realizzazione dei testi e con la consulenza scientifica di Francesco Pira. Caratterizzante anche il layout e l’impostazione grafica della pubblicazione: uno stile friendly e moderno, ma in una certa misura anche simbolico e evocativo. Un profilo grafico comunicativo e leggibile, in grado di catturare e mantenere l’attenzione del lettore e che è stato declinato in tutti gli altri strumenti di comunicazione utilizzati, compreso l’online. L’importanza del progetto è stata sottolineata dallo sforzo compiuto per una estesa divulgazione sul territorio che ha visto la distribuzione di 17.500 copie del volume, distribuite con varie modalità alle famiglie udinesi, oltrechè la realizzazione di una sezione online dedicata al progetto sul sito www.comune. udine.it. Un’operazione che ha garantito 55 CONTRIBUTI E OPINIONI di Udine. Un progetto sperimentale, un laboratorio di crescita che ha gettato i prodromi per il miglioramento costante e continuo. Una modalità di partecipazione anche per riavvicinare la gente alla politica, e dare un’immagine nuova e carica di un diverso appeal al settore pubblico, attraverso un’iniziativa che fornisce un’ interazione diretta di relazione e valutazione per il cittadino. È un documento che ha un significato di partecipazione, trasparenza e comunicazione. La sua realizzazione è dettata da quello che dovrebbe essere il senso di responsabilità che guida ogni pubblica amministrazione. Questo è il valore che ha spinto il Comune di Udine verso il Bilancio Sociale, verso l’innovazione e la modernità. Verso l’Europa. un’importante esposizione al Bilancio Sociale e a un’elevata potenzialità di penetrazione e efficacia. Una collaborazione per raggiungere il più ampio numero possibile di cittadini. Ma con la comunicazione del Bilancio Sociale l’Amministrazione ha offerto al cittadino anche uno strumento di democracy integrato: il forum organizzato sul sito internet dove ogni cittadino può esprimere opinioni, commenti e valutazioni sul progetto realizzato oltre che proposte e suggerimenti per le future edizioni. Una comunicazione e partecipazione globale, anche a livello di struttura interna dove si è saputo lavorare in staff mettendo insieme competenze e professionalità diverse, per migliorare il dialogo con il cittadino e per far crescere il Comune 56 Comuni d’Europa CONTRIBUTI E OPINIONI Giustizia sociale: quale risposta a questa domanda? di Michele Scandroglio Segretario generale aggiunto dell'Aiccre di una regola universale, nella speranza che le organizzazioni internazionali si adoperino, mutando loro stesse, per dare corpo ad un embrione d’autorità mondiale. Come non rendersi conto che la più grande sfida del Terzo Millennio è quella posta dall’interpretazione, comprensione e gestione delle differenze, del pluralismo? Qual è l’unica risposta se non la ricerca di un ordine sociale globale, fondato sulla libertà e la dignità di ogni essere umano: un umanesimo integrale e solidale? La pace, e dunque lo sviluppo, si realizzerà tendenzialmente solo quando i pubblici poteri della comunità mondiale saranno chiamati complessivamente ad affrontare e risolvere i problemi a contenuto economico e di giustizia sociale, con l’obbiettivo di porre in essere il tentativo di realizzare il “bene comune universale”. Come non fosse chiaro che non si può più credere ad un mondo diviso in aree di solo benessere ed aree di sola sofferenza, l’esplosione delle periferie nelle metropoli occidentali e il flusso migratorio dalle zone del sottosviluppo verso i lidi del Il nuovo nome della Pace è “Sviluppo solidale dell’umanità ed integrale dell’uomo”, non è solo questione di dimensione economica, ma anche culturale. Lo sviluppo è la risposta alla domanda di giustizia sociale, può garantire la pace planetaria e realizzare dunque un umanesimo globale. Pensare alla giustizia sociale tra le nazioni implica affrontare una tesi, non nuova, ma considerata ancora ardita: quella del Governo mondiale. Le società post-industriali hanno oramai convenuto sull’insufficienza delle ideologie a rispondere alle sfide contemporanee della condizione giovanile e femminile, delle diversità, dell’incremento demografico, dell’influsso dei media, dei processi di migrazione, della disoccupazione, della difesa dell’ambiente, dell’urbanizzazione, della precarietà endemica, dello sfruttamento del lavoro infantile. Questi temi, già direttamente od indirettamente sottolineati dalla rerum novarum e sempre riproposti aggiornati sino alla laborem exerceus, tratteggiano le preoccupazioni per un sistema sempre più globale, ma sempre più senza guida. Nella sua più squisita accezione spirituale la Chiesa si offre come modello morale n. 16 • giugno 2007 57 CONTRIBUTI E OPINIONI benessere, sono gli inneschi che faranno deflagrare il mondo, se non vi saranno urgenti interventi correttivi. “Istituire una qualche autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, che goda di un potere effettivo per garantire a tutti sicurezza, giustizia e rispetto di diritti”, non sono le parole di Isaac Asimov, ma di Giovanni XXIII. La nuova frontiera non può più essere solo l’Europa che pure è un tassello indispensabile allo sviluppo, ma il mondo. L’individuazione di un’Autorità mondiale, non limitativa dei pubblici poteri e dei singoli stati, ma figlia di un sentire avvertito costantemente, quello di realizzare le condizioni per adottare misure coordinate ed utili a conseguire un ordinamento internazionale di maggiore spessore ed autorevolezza, è la sfida che ci consentirà, dopo averla superata anche di affrontare l’ansia e la percezione di precarietà del mondo intero. La globalizzazione, come avevano fatto, sia pure in modo diverso, sia la I° che la II° guerra mondiale, crea la drammatica precondizione necessaria alla nuova frontiera, per dare al futuro speranza e sviluppo. L’aspettativa di pace che si immagina di creare dando vita sin dal 1920 alla Società delle Nazioni, la loro evoluzione nelle Nazioni Unite (ONU) ed il processo di formazione della Comunità economica europea sino alla introduzione di un Parlamento europeo, sono prodromiche alla realizzazione di un Governo Mondiale, in altre parole la “creazione di un’Organizzazione internazionale capace di realizzare il bene comune universale”. Quale egoismo cieco continua a trattenere i governi nazionali dal rinunciare a parti del proprio potere per conferirlo ad una sovranità internazionale, capace di tendere alla realizzazione di un processo di sviluppo e di pace? Il pensiero federalista, nelle teorizzazioni di Kant e Seeley, ha come punto di riferimento costante la ricerca della pace universale, attraverso il superamento del concetto stesso di nazione. Anche Spinelli e Rossi nel Manifesto di Ventotene ragionavano, sia pure in nuce, intorno al governo del mondo: “E quando superando l’orizzonte del vecchio Continente si abbracciano in un insieme d’unioni tutti i Popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici ed americani si possano svolgere su una base di politica cooperazione nell’attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo” (Manifesto di Ventotene). Dalla I guerra mondiale alla globalizzazione, il percorso si è realizzato con mille sfaccettature impreviste, ma è giunto al nodo: il mondo senza un governo è destinato alla consunzione. “Un nuovo ordine per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impegnato in un forte senso di solidarietà sociale …” (Manifesto di Ventotene). Appare chiaro che, seppure da angoli assai differenti, eminenti personalità che con onestà intellettuale hanno sempre guardato avanti, ragionando intorno a ciò 58 Comuni d’Europa Giustizia sociale: quale risposta a questa domanda? che è meglio per l’individuo, identificano nell’universalità della politica il primo obiettivo per dare una chiara risposta alle sfide del Terzo Millennio. Sta a noi, società civile e politica, nella prospettiva del bene comune, riuscire a far sì che si rafforzi un processo di sintesi tra un più recente universalismo laico e quello cristiano, che attraverso la propria forza trascendentale ha dato corpo alla dimensione globale della pace. Illudersi che il nazional-europeismo sia la n. 16 • giugno 2007 soluzione è falso, che sia una tappa indispensabile, invece è giusto. Da oggi ogni azione della nostra vita deve essere informata alla più ampia visione di un percorso che deve portarci alla creazione di un grado superiore di ordinamento internazionale. Il raggiungimento del bene comune può divenire un obiettivo a portata di mano, la metamorfosi delle organizzazioni sopranazionali ed inter-governative devono esserne lo strumento. 59 CONTRIBUTI E OPINIONI L'orso europeo è partito da Ravenna... di Graziella Ricci Responsabile Ufficio Politiche Europee del Comune di Ravenna L’Ufficio Politiche Europee del Comune di Ravenna, nella sua azione di promozione e sensibilizzazione sui temi della cultura e della cittadinanza europea si rivolge alle giovani generazioni ed in particolare al mondo dell’infanzia. Grazie alla stretta collaborazione con la Cooperativa culturale Raccolto1, ed all’attenzione particolare del suo Presidente, Daniele Oppi, artista e uomo di impegno civile e sociale, nel 2005 conoscemmo “L’orso europeo, ovvero il negozio dei giocattoli” poemetto inedito di Gianfranco Draghi, scritto nel 1952 per sensibilizzare già allora le giovanissime generazioni sui valori della pace e della tolleranza fra i popoli, dopo gli orrori della guerra. Condividemmo l’idea di offrire ai bambini d’Europa il vivace libretto, di far conoscere in particolare ad una scuola di Ravenna il poemetto, per verificare la sua efficacia come strumento di stimolo, di coinvolgimento dei bambini su argomenti all’apparenza così “adulti”. Era nostra convinzione che il testo, con la sua carica poetica, sarebbe stato di stimolo, liberando la fantasia dei ragazzi, moltiplicando le possibilità di immagina- zione proprie dell’età infantile, consentendo ampi spazi di interpretazione agli insegnanti. Il libro fu monitorato attraverso un sapiente e felice progetto interpretativo svoltosi a Ravenna, tra venticinque alunni della classe 5A della scuola elementare Giuseppe Garibaldi, che si misero all’opera guidati dalle insegnanti Paola Argelli, Mariagrazia Coralli, Raffaella Guerra2. Su una bozza provvisoria del nascituro libretto si animò un percorso che condusse direttamente all’interno di un circo mirabolante. La lettura del testo suscitò grande entusiasmo nei ragazzi: i fenomeni espressivi si sono succeduti a cascata generando lavori poetici, letterari, di recitazione, di invenzione teatrale, di individuazione di motivi musicali, di pittura e disegno, creazione di oggetti, poster, copertine, collages, disegni simbolici delle nazioni d’Europa, acrostici, memory, slogan e tautogrammi. Rilevante il fenomeno di assimilazione e identificazione fisica interpretativa di singoli alunni nell’immagine /personaggio di singole Nazioni: un bambino 60 Comuni d’Europa L'orso europeo è partito da Ravenna... maggio 2005, momento in cui Gianfranco Draghi ricambia la visita. In occasione dell’Atelier la Cooperativa il Raccolto con la condivisione e su richiesta del Comune di Ravenna pubblicò, attraverso la sua casa editrice Raccolto Edizioni, il racconto di Gianfranco Draghi accompagnato dall’esperienza dei bambini che a Ravenna lo avevano fatto rivivere presso i banchi di scuola (nel “Circo ….e non solo”). L’Orso continuò il suo viaggio ed il 29 novembre 2005 fu dentro i locali della chiesa romanica di S. Alessandro a Fiesole, in compagnia dei ragazzi della classe 5° della scuola elementare del Girone, in uno spettacolo da essi creato ispirandosi alla commedia dell’Arte. Nell’anno scolastico 2006/2007 un altro piccolo passo si compie sul sentiero d’Europa. Prendendo spunto dal successo dell’esperienza della scuola Garibaldi e per non disperdere la validità dei risultati il Comune di Ravenna ne promuove la diffusione attraverso la realizzazione di un nuovo progetto “L’orso europeo parla ai bambini d’Europa… sulle note dell’Europa”, patrocinato dalla Regione Emilia Romagna che ne supporta la realizzazione. Ad accogliere l’Orso europeo sono le classi quinte della scuola elementare Iqbal Masih di Lido Adriano e le prime classi della scuola media Mario Montanari, in una zona della città i cui abitanti provengono per la maggior parte da diversi paesi stranieri. Qui l’Europa è la tolleranza, è il valore aggiunto della diversità delle culture che si integrano. Nel percorso gli alunni sono accompagnati da 7 insegnanti e da Andrea Lama diventa francese o greco, una bimba è tedesca o russa, persino nell’inflessione dell’accento, e così via. Le valigie diventano il simbolo stesso del Viaggio e dell’incontro e appaiono come scatole a sorpresa da cui trarre le immagini dei paesi di provenienza. Il nuovo contenitore scenico scaturito dal negozio dei giocattoli diventa un mirabolante Circo delle meraviglie. Il tutto si è svolto all’interno di un vero e proprio percorso metodologico didattico che ha abbracciato tutte le materie secondo i criteri dell’interdisciplinarietà e ha coinvolto attivamente fin dall’inizio tutti i bambini della classe secondo metodologie ispirate al “Cooperative Learning”. La manifestazione teatrale vera e propria fu presentata come spettacolo interattivo a Ravenna, alla presenza dei genitori degli alunni di tutta la scuola nel marzo del 2005. La curiosità verso il personaggio-autore del libretto si acuì e così il Comune di Fiesole, dove vive e lavora su una collina boschiva il vecchio papà dell’Orso europeo Gianfranco Draghi, diventò la meta di trasferta di tutto il circo ravennate: la Compagnia dell’Orso europeo incontrò gli alunni di Fiesole, organizzati dall’Assessore alla Pubblica Istruzione di quella località, e lì si esibì nella sua prima replica. Nacque a Fiesole il dialogointervista tra i bambini e Gianfranco Draghi, presenti anche gli insegnanti ed i genitori di Fiesole e Ravenna. La tappa successiva fu l’Atelier-Mostra dal titolo “L’Orso europeo….il circo e non solo” promossa dall’Ufficio Politiche Europee del Comune di Ravenna, svoltosi il 14 n. 16 • giugno 2007 61 CONTRIBUTI E OPINIONI che a suon di musica e canzoni conduce tutti ad immaginare l’Orso europeo nella quotidianità di quel loro paese. “Tutto è partito da qui, dalla lettura in classe della fiaba dell’Orso europeo; dal negozio di giocattoli dov’è ambientato il racconto che, come per magia, si è concretizzato all’interno della classe ed il carattere delle bambole dei diversi paesi ha stimolato simpatie ed antipatie nei ragazzi e nelle ragazze che ascoltavano. Non era più “il negozio di giocattoli” ma il proprio paese, la propria città; così le bambole, il cavallo irlandese, i burattini e la tigre di stoffa ad un tratto si sono trasformati nei singoli amici ed amiche: nei propri vicini di banco!” Afferma Andrea Lama, l’operatore che ha supportato tutte le attività ed il lavoro degli insegnanti e dei ragazzi. Da questa trasposizione nel reale, è nata la voglia di tradurre il viaggio che l’Orso aveva compiuto, in un viaggio teatrale e musicale, con canzoni scritte ad hoc e con una piéce teatrale che hanno trasformato il progetto educativo in un viaggio dove le diverse caratteristiche dei paesi europei hanno trovato una contestualizzazione e quindi una più immediata comprensione da parte degli alunni. E’ da qui che parte il viaggio teatrale, da questo paese multietnico dove la scuola vive da tempo esperienze di confronto fra diverse culture e dove i ragazzi e le ragazze manifestano le loro identità definendo un contesto comune dove interagire. Il progetto ha rappresentato una situazione di arricchimento culturale, perché ogni alunno ed alunna, ha potuto far conoscere ai compagni di classe le proprie radici con varie tecniche espressive: con un disegno della maschera del proprio paese, con le parole di una canzone della propria nazione (macedone, marocchina, albanese, etc…) ed allo stesso tempo, l’acquisizione di altri saperi ed altre immagini di “cultura europea”. Anche l’esperienza di quest’anno è stata documentata e descritta in una piccola pubblicazione grazie alla collaborazione della Cooperativa Raccolto che ha curato la nuova edizione de “L’Orso europeo…. sulle note dell’Europa” 3. Commenta il Sindaco di Ravenna Fabrizio Matteucci: «Il Comune di Ravenna, per primo, ha suscitato nella scuola l’interesse per il testo di Gianfranco Draghi: dalla scintilla dell’opera poetica è scaturito l’innamoramento delle insegnanti che hanno saputo registrare l’empatia dei giovanissimi lettori, accompagnando amorevolmente le invenzioni creative dei bambini. Il risultato è testimoniato da una ricchissima produzione creativa, documento tangibile di una fioritura di opere che riguardano tutte le discipline, che noi adulti chiamiamo “delle arti”. L'allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ha letto la fiaba, e così la commenta rivolgendosi a Gianfranco Draghi: “... delicata e apprezzabilissima favola in cui il Suo spirito europeista si traduce in lieve poesia per le giovanissime generazioni...” Ci auguriamo tutti che le valige con le quali l'Orso europeo è partito da Ravenna siano il bagaglio di un viaggio che non finisca mai, e che girando per le strade d'Europa possa incontrare tanti bambini e bambine. Sarà una volta di più 62 Comuni d’Europa L'orso europeo è partito da Ravenna... confermato che l'opera d'arte, la poesia, la creatività sono la miccia che accende la conoscenza, il sapere, la crescita di ogni individuo. In questo caso europeo, s'intende». (MI) - Tel. 0331-875337 / 0331-873928 – Fax 0331-876557 - www.raccolto.org - e-mai [email protected] 2 “Percorso metodologico - didattico - Classe quinta A della scuola Giuseppe Garibaldi di Ravenna”, Raccolto Edizioni 3 “L’orso europeo…sulle note dell’Europa” progetto didattico ispirato da “L’orso europeo. Ovvero il negozio di giocattoli” di Gianfranco Draghi – Raccolto Edizioni NOTE 1 RACCOLTO – APE - Centro Studi della Cooperativa Raccolto Scarl - Cascina del Guado – 20020 Robecchetto con Induno n. 16 • giugno 2007 63 CONTRIBUTI E OPINIONI Maghreb: rilanciamo il processo di Barcellona di Alberto Isetta Responsabile locale di SECUM (Sciences, Education et Cultures en Méditerranée) Il 2007 è considerato un anno chiave per l’Europa e i suoi vicini: dal 1° gennaio Romania e Bulgaria sono due nuovi Stati membri dell’Unione europea mentre, a partire dalla stessa data, è entrato in vigore il nuovo Strumento finanziario di Vicinato e Partenariato (2007-2013), che sostituisce i programmi regionali TACIS (Paesi dell’Est e Russia) e MEDA (Paesi del Sud del Mediterraneo). A ventuno mesi dal lancio ufficiale della Politica Europea di Vicinato, è ancora difficile poter avanzare un bilancio, dal momento che i progetti in essa contenuti riguardano esclusivamente una prospettiva temporale di lungo termine. Tuttavia, secondo uno dei periodici report della Commissione europea datato 4 dicembre 20061, i primi mesi di intenso lavoro hanno gettato le basi necessarie per la realizzazione di importanti progressi in quest’ambito. Spetterà ora all’Unione europea e ai suoi partner dare credibilità e continuità alla Politica di Vicinato, rinforzandola a partire dalle sue stesse fondamenta: il Processo di Barcellona. Tale Processo, sbocciato in occasione della prima Conferenza euro-mediterranea di Barcellona (1995), pervade forte- mente i documenti strategici dell’Unione europea in materia di Politica di Vicinato. L’esperienza del Partenariato euro-mediterraneo, poggiante sui tre assi -politico e di sicurezza, economico e finanziario e sociale e culturale – è preso come esempio di gestione attenta e prudente di aree geografiche molto vaste ed eterogenee. Ne è riprova il fatto che le stesse tre parole cardine del Processo di Barcellona, stabilità – prosperità – sicurezza, compaiano ripetutamente nelle principali Comunicazioni della Commissione europea inerenti la Politica di Vicinato2. Rilanciare il Processo di Barcellona, facendo leva sui numerosi risultati riportati nell’area mediterranea, significherebbe in primo luogo dare un decisivo impulso alla Politica di Vicinato, il cui controllo appare oggi assai complesso. A tal proposito, sarebbe anche lecito chiedersi se l’arduo compito di rivitalizzare tale Processo spetti esclusivamente all’Europa, all’interno della quale fervono i dibattiti relativi ai processi decisionali e alla Costituzione europea, o se questo impegno possa essere portato avanti in modo efficace con la partecipazione attiva di alcuni partner dell’Unione, come i Paesi 64 Comuni d’Europa Maghreb: rilanciamo il processo di Barcellona politici, hanno palesato una realtà politica composta da entità nazionali vicine, a volte amiche, ma sempre distinte e giammai federate. Ad oggi non esiste alcuna struttura né politica, né economica, di natura associativa o federativa, che leghi profondamente questi cinque Paesi. La stessa sigla identificativa dell’UMA possiede un altissimo significato evocativo, dal momento che richiama l’Umma, vale a dire la comunità musulmana. Ciononostante, essa corrisponde più ad una aspirazione piuttosto che a una realtà: la frontiera algero-marocchina, per esempio, è di nuovo chiusa dal 1994, la questione del Sahara occidentale condiziona pesantemente le relazioni tra Algeria e Marocco, il contenzioso tunisino-libico in seguito all’espulsione dei lavoratori tunisini dalla Libia ha lasciato degli strascichi polemici tra questi due Paesi. L’Unione europea, mantenendo una doverosa equidistanza dalle dinamiche interne alla regione nordafricana, pare incoraggiare fortemente la cooperazione sub-regionale e l’integrazione dei Paesi a sud del Mediterraneo, ivi compresi quelli maghrebini. Ad oggi l’Europa rappresenta, per i Paesi del Maghreb, il primo partner economico-commerciale dal quale diventa sempre più difficile prescindere. A fronte di questo dato, tuttavia, bisogna anche sottolineare la grave debolezza degli scambi commerciali intra maghrebini, le cui cifre raggiungono livelli del tutto trascurabili. La realizzazione di un progetto politico unitario, che coinvolga oltre a Marocco, Tunisia e Algeria anche Libia e Maurita- del Maghreb. Algeria, Tunisia e Marocco, al di là dei numerosi ed intensi legami storici, economici e culturali con la Francia e l’Europa in generale, rappresentano quel nucleo primario di Paesi attorno al quale è stato possibile costruire l’idea di un Partenariato euro-mediterraneo, finalizzato al dialogo politico tra le due sponde, all’intensificazione degli scambi commerciali, alla lotta contro i traffici illeciti nel Bacino del Mediterraneo. Benché nella regione “dove tramonta il sole” esista dal 1989 un’organizzazione regionale caratterizzata da grandi ambizioni, l’Unione del Maghreb Arabo (UMA), i tentativi di una reale integrazione politico-economica si sono dimostrati fino ad ora tristemente infruttuosi. La lotta comune per l’indipendenza fece rivivere nel XX secolo una forte solidarietà maghrebina, che si sarebbe espressa, in maniera emblematica, nell’appoggio da parte dei marocchini, dei tunisini e dei libici a favore della causa algerina, finalizzata alla liberazione dal giogo coloniale francese (fatto che si verificherà nel 1962 dopo anni di aspri e sanguinosi combattimenti). Tuttavia, una volta realizzati i tanto agoniati progetti di indipendenza nazionale, affiorarono numerosi problemi connessi alla gestione e allo sfruttamento delle ingenti risorse minerarie, di cui è ricchissima l’intera regione maghrebina, e alle conseguenti rivendicazioni territoriali. I differenti regimi politici instauratisi nei Paesi del Maghreb, unitamente alle manifeste apprensioni verso un progetto di unificazione, alle molteplici dichiarazioni di intenti rimaste tali, al comportamento pro-nazionalista di alcuni responsabili n. 16 • giugno 2007 65 CONTRIBUTI E OPINIONI nia, produrrebbe un potere di negoziazione più forte nei confronti dell’Europa, il cui baricentro politico-economico si è spostato ulteriormente verso Est con la partecipazione di nuovi attori nella Politica estera dell’UE: Balcani Occidentali e Russia. I primi sono considerati potenziali membri dell’Unione, mentre la seconda rappresenta non solo un vicino importante, ma anche un partner strategico di indubbia rilevanza, in grado di calamitare l’interesse dell’Europa e dei suoi Stati membri a discapito dell’area mediterranea. Un solo interlocutore maghrebino sarebbe, inoltre, in grado di avanzare con rinnovato vigore le proprie esigenze e i progetti con cui soddisfarle riducendo, da un lato, le disparità che discendono dai classici rapporti bilaterali (UE-singolo stato) e comportando, dall’altro, un’allocazione più efficiente dei fondi stanziati a sostegno della riva Sud del Mediterraneo. Attualmente, le procedure seguite all’interno della Politica di Vicinato prevedono che i Piani d’Azione, che definiscono sostanzialmente i programmi di riforme economiche, sociali e politiche a corto e medio termine (3-5 anni) per i Paesi a Sud del Mediterraneo, siano negoziati dall’UE e dal singolo stato sulla base degli interessi di quest’ultimo e, naturalmente, dell’Europa. In questa delicatissima fase di concertazione, dunque, sarebbe auspicabile il non verificarsi della “teoria del rilancio del precedente”, che troppo spesso ha viziato, negli anni precedenti, le fasi preliminari degli accordi tra UE e Maghreb. In base a questa teoria, infatti, ciascun Paese sarebbe por- tato a richiedere condizioni economiche, finanziarie e commerciali più vantaggiose rispetto a quelle garantite agli altri Paesi impegnati in negoziazioni simili. Uno scenario di questo tipo non farebbe che aprire nuove fratture all’interno dello spazio euro-maghrebino e, di conseguenza, nell’ambito del Processo di Barcellona che anima fortemente tanto lo spirito quanto l’azione della Politica di Vicinato. Di una realtà politica maghrebina, più compatta e coesa, ne beneficerebbero anche le relazioni internazionali: in primo luogo la normalizzazione dei rapporti tra l’Europa e la Libia, che ha recentemente annunciato di essere disposta ad un’ apertura verso il Processo di Barcellona; in secondo luogo, l’implicazione della Mauritania potrebbe assicurare a quest’ultima una nuova fase nel quadro della cooperazione con l’Unione. L’Unione europea e la regione maghrebina condividono diverse sfide comuni, corrispondenti ai tre capitoli della Dichiarazione di Barcellona: la stabilità politica, la pace, la zona di libero scambio entro il 2010, il dialogo interculturale, la lotta contro il terrorismo internazionale e la questione dell’immigrazione illegale. Questi obiettivi possono essere realizzati solo attraverso una cooperazione più intensa tra interlocutori regionali solidi e credibili, ciascuno dei quali deve poter godere di una posizione di assoluta equità nei confronti degli altri. NOTE 1 SEC(2006) 1504/2. 2 Cfr. Europa ampliata – Prossimità: un nuovo 66 Comuni d’Europa Maghreb: rilanciamo il processo di Barcellona contesto per le relazioni con i nostri vicini orientali e meridionali, COM(2003), 104 finale, Bruxelles Marzo 2003; Politica europea di Prossimità: documento di strategia COM(2004),373 definitivo, Bruxelles Mag- n. 16 • giugno 2007 gio 2004; Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sullo sviluppo della Politica europea di Vicinato: COM(2006), 726 definitivo, Bruxelles Dicembre 2006. 67 LE RECENSIONI A cinquant'anni, tra no e adesioni concordate di Emilio R. Papa Nostra intervista di fonti conducendola a meditata sintesi e ad unità critica. Tanto, e seguendo l’idea di Europa e dell’identità europea, colte nel loro svolgimento teorico dall’antichità ad oggi (“è una premessa che si svolge in cielo” ha detto sorridendo, nel soffermarsi sul rapporto fra alte ascendenze ideali e cronaca politica) e seguendo poi con la maggiore ampiezza la traccia storica degli avvenimenti sul piano politico, fino alla cronaca attuale, la quale ricalca vecchie polemiche e chiusure di posizione. Il deputato europeo Marco Rizzo, dopo aver puntualizzato l’attualità di alcuni atteggiamenti di Altiero Spinelli, ha segnalato l’importanza di un approfondimento del tema di un’Europa sociale – aderendo alla sensibilità da Papa rivelata in argomento – ponendo in rilievo le contraddittorietà alle quali ha dato luogo la politica di scontro degli interessi nazionali ancora nell’attuale scenario europeo. Gli storici Lucio Levi e Umberto Morelli, dopo aver segnalato l’ampiezza e l’aggiornamento di informazioni del libro di Papa, hanno indicato in esso il profittevole percorso seguito nella Emilio R. Papa, Storia dell’unificazione europea, Bompiani, Milano 2006 Allievo di Alessandro Galante Garrone, storico e giurista, Emilio R. Papa – ordinario di storia contemporanea e già docente di storia delle costituzioni europee – con una appassionante ed aggiornatissima “Storia dell’unificazione europea” ha posto ad ulteriore ed importante frutto il suo impegno di studio sul federalismo (che conta all’attivo volumi sul federalismo svizzero, sul pensiero federalista di Carlo Rosselli, di Ferrari e di Cattaneo, ed un fortunato “Discorso sul federalismo”). Nell’ambito organizzativo del Centro Studi sul Federalismo presieduto da A. Padoa Schioppa, il volume è stato di recente presentato presso la Fondazione Einaudi di Torino, dal sen. Valerio Zanone, dall’on. Marco Rizzo e dagli storici e studiosi eminenti del federalismo europeo, prof. Lucio Levi e Umberto Morelli dell’Università di Torino. Valerio Zanone ha posto in evidenza il forte impegno dell’autore nel raccogliere nel suo lavoro una straripante ricchezza 68 Comuni d’Europa A cinquant'anni, tra no e adesioni concordate esplorazione di alcune interessanti piste di indagine. Abbiamo incontrato Emilio Raffaele Papa e avuto con lui il colloquio che qui di seguito riportiamo. riuscito di trovare un gioco fra le lotte dei partiti nazionali. E va detto che questi ultimi – seguendo i riti di una democrazia di stampo elettoralistico – sul piano ideologico erano se mai preoccupati di prendere posizione scegliendo fra le due egemonie nelle quali era diviso il mondo, sovietica ed atlantica. Attestandosi sulle posizioni dell’una o dell’altra. Sul campo di battaglia per l’unità politica, l’ideale federalistico espresse nelle sue fila grandi personaggi; ma lotte fra i partiti all’interno e logica intergovernativa sull’asse europeo, portarono il dialogo fra i Paesi della Comunità troppo spesso sul pianori una politica di confronto fra egoismi nazionali volti al più ad intese di tipo preconfederalistico. Tanto, a partire dal fallimento gravissimo della CED, affossata con un voto del parlamento nel ’54 (in Francia, come per tutti i grandi appuntamenti mancati dell’europeismo). Perfino la pur grande vittoria segnata dal conseguimento della elezione popolare diretta del Parlamento europeo nacque avvilita: tale istituzione venne infatti costretta nell’ambito di poteri di pesante diversificazione – per difetto – rispetto ai modelli parlamentari liberali consacrati dalla storia politica europea. Il tentativo di apertura tentato da Spinelli col suo trasversale Club del coccodrillo, venne subito ingabbiato, se pur dietro false condiscendenze sul piano dei principi, fino ad essere senz’altro sepolto. Col No francese ed olandese nel 2005 al progetto costituzionale europeo, si è infine aperta la caccia allo sfruttamento di posizione da tali A cinquant’anni – gli abbiamo chiesto – dalla nascita della CEE, con la firma dei Trattati di Roma, guardando dall’attuale punto di arrivo delle due strade per l’unione europea, quella verso l’integrazione economica comunitaria e quella dell’unità politica, quali bilanci pensa si possano trarre? Si è trattato in effetti di due percorsi i quali si sono posti su due dimensioni ad un certo punto diversificatesi. La CECA nel 1951 aveva segnato un formidabile punto di partenza verso l’integrazione economica dell’Europa, risolvendo sul piano della politica delle risorse e dell’energia il paralizzante ed inveterato conflitto fra Francia e Germania, ed avviando una collaborazione proficua per l’economia dell’intero continente europeo. Ma aveva altresì segnato un importante punto di partenza anche sul piano politico: al suo vertice l’Alta Autorità era organo collegiale proclamato indipendente rispetto ai governi nazionali, e con decisioni a maggioranza vincolanti per i Paesi membri, sul piano dunque di una già conclamata sovrannazionalità… …Ma dopo? Ma dopo, le carte dell’europeismo sono tornate in mano ai governi, al potere intergovernativo, ed ai federalisti non è n. 16 • giugno 2007 69 LE RECENSIONI nell’unità politica dell’Europa e ad una politica mirata al conseguimento di un tale scopo, su di un piano di ravvicinabili intendimenti, è quella di ottenere tempi brevi – quali a suo tempo peraltro già decisi nella stessa sede intergovernativa – nel processo di ratifica della Costituzione. Quest’ultimo è un documento che considerato sul piano politico costituzionale fa acqua da molte parti. Ma è di irrinunciabile importanza per tutto ciò che rappresenta quale punto di partenza per l’unità politica europea. Dal conseguimento di tempi ragionevolmente brevi per la conclusione del citato processo di ratifica, può venire la risposta alla sua domanda, e credo di averla sufficientemente tratteggiata nel mio libro. Nel caso infatti – che peraltro è già da dare per acquisito – di una maggioranza di Paesi favorevoli alla ratifica, resta aperta per i Paesi contrari – una volta esaurita la consultazione in tutto il territorio europeo – la via dell’adesione alla UE con riserva di opting out ed in qualità di paesi associati, contraendo forme concordate di adesione… eventi segnato, quale scampo agognato della politica antifederalista inglese e di quella scandinava. Sul piano strettamente della cooperazione economica, è tuttavia innegabile che i passi in avanti che sono stati fatti hanno portato a risultati che non lasciano temere ritorni di vecchio segno… Il treno dell’europeismo percorse in effetti con più rapida marcia di velocità il cammino verso l’integrazione economica. Anche se la PAC, la politica agricola, divenne sostanzialmente campo privilegiato dell’economia francese, che si è sempre battuta per una sua posizione dominante e condizionante dell’intera economia europea. Con De Grulle tale situazione privilegiata venne duramente difesa, nel periodo detto della sedia vuota, nel quale furono esautorate le posizioni illuminate di un europeista quale Hallstein. Per suo verso la politica economica europea dell’Inghilterra (un piede in Europa e l’altro nel Commonwealth, alternando la tecnica dell’opting out a quella di una partecipazione sempre condizionata e condizionante) ha sempre perseguito la logica di una partecipazione non esclusiva, e vigile, rispetto al… pericolo di una sua assimilazione ad una politica unitaria dell’UE. Nel caso, quali Paesi lei pensa potrebbero rientrare in quest’ultima casistica? È evidente che l’Inghilterra (la quale peraltro ha dato grandi teorici all’idea del federalismo europeo, da Robbins a Lord Lothian), secondo del resto una profezia di Churchill, fra l’Europa e il mare aperto sceglierebbe il mare aperto! Ciò tuttavia non significherebbe essere fuori dall’Europa, ma farne parte in misura confacente alla propria partico- Nel suo libro lei sembra distinguere fra i No alla costituzione europea e fra i vari tipi possibili di adesione alla politica comunitaria europea. La battaglia di chi continua a credere 70 Comuni d’Europa A cinquant'anni, tra no e adesioni concordate non definitiva, e comunque non tale da bloccare indefinitamente un progresso autenticamente sentito dalla maggioranza europea. Dai risultati positivi del quale appare molto difficile pensare che un ingresso a pieno titolo dei Paesi recalcitranti nel palazzo Europa voglia poi essere a lungo rinviato! lare dimensione di politica economica nel mondo. Per Francia, Olanda e per alcuni Paesi scandinavi (e in non ancora credibile ipotesi, per Polonia e Repubblica Ceca) non è affatto detto che il No – in questi casi ben diversamente motivato – permanga e che, nel caso contrario, non finisca col dar vita ad un’esperienza n. 16 • giugno 2007 71 LE RECENSIONI L'orso europeo di Patrizia Cimini “L’orso europeo - ovvero il negozio dei giocattoli” di Gianfranco Draghi Raccolto Edizioni, 2005 Cascina del Guado cipio per affermare la legge nel caos degli istinti predatori, ma non è abbastanza per la bella favola di Draghi. L’orso europeo è portatore di qualcosa di più, non vuole combattere, vuole raccontare delle storie alle belle bambole del negozio e le storie sono quelle dei paesi che ha conosciuto: Olanda, Italia, Svizzera, Inghilterra, Germania, Svezia, Austria, Lussemburgo, Danimarca, Belgio, Norvegia, Finlandia, Russia, Ungheria, Irlanda, gli Stati Uniti, la Cina, l’India, l’Africa, la Malesia, il Giappone, l’Australia, il Brasile, il Canada. Sono i paesi europei e non europei, e per l’orso distinguerli e raccontarli è importante. La sua vicenda nel negozio dei giocattoli si snoda in modo semplice, viene catturato durante un riposino dalle ombre e chiuso in una pentola. Solo gli sforzi uniti dei giocattoli e delle bambole lo salveranno. Solo unendo i paesi europei, l’orso tornerà a raccontare le sue storie. Le racconterà anche alla bambola russa, che si tiene in disparte, facendo finta di non essere molto interessata. La delicata narrazione di Draghi fa emergere non tanto il testo a tema che era nell’intenzione dell’autore, raccontare ai ragazzi l’idea dell’Europa, ma la voglia L’atmosfera è quella di Natale. Quel Natale a casa Drosselmaier, il padrino di Fritz e Marie. Nella stanza dei doni molte sono le bambole che aspettano Marie e un bel cavallo a dondolo attende Fritz. Quella che si snoderà è una azione tra il sogno e la realtà che Ernest Theodor Hoffman raccontò ottimamente per il suo pubblico, tanto che Tchaikovsky ne fu catturato e scrisse la musica per il celebre balletto che rappresenta, ancora oggi, così bene in tutti i teatri del mondo la cultura e il genio europeo. La favola raccontata da Draghi, che non ha ispirato un balletto, ma sicuramente ha l’Europa come obiettivo, racconta di un negozio di giocattoli, in cui ci sono bambole e cavalli a dondolo, ma nel quale si aggira, bonario e un po’ soprapensiero, un orso e non uno schiaccianoci. Lo schiaccianoci di Hoffman è lo spirito coraggioso e guerriero di chi vuole giustizia contro il male, ed è un buon prin72 Comuni d’Europa L'orso europeo altre vite, quasi fosse un gatto. Da questo testo sono state tratte altre storie parallele, e carte mnemoniche, e cruciverba, e acronimi, e recite e invenzioni su storie di paesi europei. L’orso europeo è un animale forte e veloce, quando vuole, e sempre quando vuole sa scegliersi un bel posto per una dormitina. Questo Orso Europeo ha anche molta voglia di girare per il mondo e farsi conoscere, così come è, con le sue storie, insieme ai suoi amici del negozio dei giocattoli. di cooperare nella diversità che sottende alle azioni di una comunità. La comunità che viene descritta da Draghi è quella del negozio di giocattoli, ma questi giocattoli sembrano essere più attenti e animati da emozioni e intelligenza di molte altre comunità. Non casualmente viene descritto un Pinocchio a cavallo di un destriero a dondolo, che riporta alla mente la piccola comunità dei burattini di Mangiafuoco di cui anche Pinocchio fece parte, e che si preoccupavano delle sorti infarinate del piccolo Pinocchio più certo che del Gatto e della Volpe. Quella pietà e quella preoccupazione che sono il collante necessario per ogni azione comune; quella per esempio di salvare l’orso europeo dalla morte per bollitura nella pentola ad opere delle oscure ombre maligne. L’orso europeo di Draghi è un racconto brillante condotto con mano poetica e gentile, che stimola suggestioni e voglia di conoscere di più, che è il risultato migliore di ogni opera letteraria. Tanto è vero che il testo, per iniziativa di Graziella Ricci, responsabile dell’Ufficio Europa del Comune di Ravenna, con la complicità della scuola elementare Garibaldi di Ravenna e di 25 alunni della classe Va, è stato rappresentato, animato, parcellizzato, ricomposto e diasporato in altre attività, cosicché si è trovato a vivere n. 16 • giugno 2007 Gianfranco Draghi Nasce a Bologna e studia a Milano. Vive gli ultimi anni di guerra in Svizzera nutrendosi culturalmente in ambiente antifascista. Si laurea a Firenze con Eugenio Garin con una tesi sull’Alberti ed è tra i fondatori e i primissimi militanti con Altiero Spinelli del Movimento federalista europeo. Poeta, scrittore, artista, allievo alla fine degli anni cinquanta dello psicoterapeuta junghiano Ernst Bernhard, ha pubblicato negli anni diversi libri e coltiva insieme alla scrittura diverse altre arti: notevoli i suoi quadri, le sue sculture, le incisioni, i tappeti, i burattini. Accanto ai suoi lavori teatrali viene in luce anche l’attività di attore e mimo. Oggi vive a Fiesole. 73 I DOCUMENTI Legge 26 febbraio 1987, n. 49 Nuova disciplina della Cooperazione dell'Italia con i Paesi in via di sviluppo Art. 1 (Finalità) 1. La cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera dell’Italia e persegue obiettivi di solidarietà tra i popoli e di piena realizzazione dei diritti fondamentali dell’uomo, ispirandosi ai princìpi sanciti dalle Nazioni Unite e dalle convenzioni CEE-ACP. 2. Essa è finalizzata al soddisfacimento dei bisogni primari e in primo luogo alla salvaguardia della vita umana, alla autosufficienza alimentare, alla valorizzazione delle risorse umane, alla conservazione del patrimonio ambientale, all’attuazione e al consolidamento dei processi di sviluppo endogeno e alla crescita economica, sociale e culturale dei paesi in via di sviluppo. La cooperazione allo sviluppo deve essere altresì finalizzata al miglioramento della condizione femminile e dell’infanzia ed al sostegno della promozione della donna . 3. Essa comprende le iniziative pubbliche e private, impostate e attuate nei modi previsti dalla presente legge e collocate prioritariamente nell’ambito di programmi plurisettoriali concordati in appositi incontri intergovernativi con i paesi ben- eficiari su base pluriennale e secondo criteri di concentrazione geografica. 4. Rientrano nella cooperazione allo sviluppo gli interventi straordinari destinati a fronteggiare casi di calamità e situazioni di denutrizione e di carenze igienico-sanitarie che minacciano la sopravvivenza di popolazioni . 5. Gli stanziamenti per la cooperazione allo sviluppo non possono essere utilizzati, direttamente o indirettamente, per finanziare attività di carattere militare. Art. 2 (Attività di cooperazione) 1. L’attività di cooperazione allo sviluppo è finanziata a titolo gratuito e con crediti a condizioni particolarmente agevolate. Essa può essere svolta sul piano bilaterale, multilaterale e multibilaterale. 2. Gli stanziamenti destinati alla realizzazione di tale attività sono determinati su base triennale con legge finanziaria. Annualmente viene allegata allo stato di previsione della spesa del Ministero degli affari esteri una relazione previsionale e programmatica del Ministro contenente fra l’altro le proposte e le motivazioni per la ripartizione delle risorse finanziarie, la 74 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 di sviluppo; f) l’attuazione di interventi specifici per migliorare la condizione femminile e dell’infanzia, per promuovere lo sviluppo culturale e sociale della donna con la sua diretta partecipazione; g) l’adozione di programmi di riconversione agricola per ostacolare la produzione della droga nei Paesi in via di sviluppo; h) la promozione di programmi di educazione ai temi dello sviluppo, anche nell’ambito scolastico, e di iniziative volte all’intensificazione degli scambi culturali tra l’Italia e i Paesi in via di sviluppo. con particolare riguardo a quelli tra i giovani; i) la realizzazione di interventi in materia di ricerca scientifica e tecnologica ai fini del trasferimento di tecnologie appropriate nei Paesi in via di sviluppo; l) l’adozione di strumenti e interventi, anche di natura finanziaria che favoriscano gli scambi tra Paesi in via di sviluppo, la stabilizzazione dei mercati regionali e interni e la riduzione dell’indebitamento, in armonia con i programmi e l’azione della Comunità europea; m) il sostegno a programmi di informazione e comunicazione che favoriscano una maggiore partecipazione delle popolazioni ai processi di democrazia e sviluppo dei paesi beneficiari. 4. Le attività di cui alle lettere a), c), d), e), f), h) del comma 3 possono essere attuate, in conformità con quanto previsto dal successivo articolo 5, anche utilizzando le strutture pubbliche delle regioni, delle provincie autonome e degli enti locali. 5. Le regioni, le province autonome e gli enti locali possono avanzare proposte in tal senso alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo di scelta delle priorità delle aree geografiche e dei singoli Paesi, nonché dei diversi settori nel cui ambito dovrà essere attuata la cooperazione allo sviluppo e la indicazione degli strumenti di intervento. Il Parlamento discute la relazione previsionale e programmatica insieme alla relazione consuntiva di cui al comma 6, lettera c), dell’articolo 3. 3. Nell’attività di cooperazione rientrano: a) L’elaborazione di studi, la progettazione, la fornitura e costruzione di impianti, infrastrutture, attrezzature e servizi, la realizzazione di progetti di sviluppo integrati e l’attuazione delle iniziative anche di carattere finanziario, atte a consentire il conseguimento delle finalità di cui all’articolo 1; b) la partecipazione. anche finanziaria, all’attività e al capitale di organismi, banche e fondi internazionali, impegnati nella cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, nonché nell’attività di cooperazione allo sviluppo della Comunità economica europea; c) L’impiego di personale qualificato per compiti di assistenza tecnica, amministrazione e gestione, valutazione e monitoraggio dell’attività di cooperazione allo sviluppo; d) la formazione professionale e la promozione sociale di cittadini dei Paesi in via di sviluppo in loco, in altri Paesi in via di sviluppo e in Italia, anche ai fini della legge 30 dicembre 1986, n. 943 , e la formazione di personale italiano destinato a svolgere attività di cooperazione allo sviluppo; e) il sostegno alla realizzazione di progetti e interventi ad opera di organizzazioni non governative idonee anche tramite l’invio di volontari e di proprio personale nei paesi in via n. 16 • giugno 2007 75 I DOCUMENTI Art. 5 (Funzioni di coordinamento del Ministro degli affari esteri) 1. Sulla base degli indirizzi stabiliti ai sensi degli articoli precedenti il Ministro degli affari esteri, d’intesa con il Ministro del tesoro per la parte di sua competenza, promuove e coordina nell’ambito del settore pubblico, nonché tra questo e il settore privato, programmi operativi e ogni altra iniziativa in materia di cooperazione allo sviluppo. 2. In mancanza di accordo con i Paesi beneficiari e di uniformità agli indirizzi di cooperazione e di coordinamento stabiliti dal Ministero degli affari esteri, le iniziative di cooperazione allo sviluppo non possono essere ammesse ai benefici previsti dalla presente legge. 3. In via eccezionale possono essere ammesse ai benefici previsti dalla presente legge - anche in mancanza di richieste da parte dei Paesi in via di sviluppo interessati - iniziative proposte da organizzazioni non governative purché adeguatamente documentate e motivate da esigenze di carattere umanitario. cui all’articolo 10. Il Comitato direzionale di cui all’articolo 9, ove ne ravvisi l’opportunità, autorizza la stipula di apposite convenzioni con le suddette strutture pubbliche. Art. 3 (Presidenza e funzioni del Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo) Il Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (CICS) è stato soppresso a seguito dell’entrata in vigore della Legge n.537/1993. Le competenze del disciolto CICS sono state trasferite al CIPE per quanto riguarda le funzioni di indirizzo generale, quali la definizione degli indirizzi programmatici e delle priorità geografiche , al Ministero degli Affari Esteri per quanto attiene alle altre funzioni. Art. 4 (Competenza del Ministro del tesoro) 1.Il Ministro del tesoro, in conformità con i criteri stabiliti dal CICS e d’intesa con i Ministri degli affari esteri e del bilancio e della programmazione economica, cura le relazioni con le banche e i fondi di sviluppo a carattere multilaterale, e assicura la partecipazione finanziaria alle risorse di detti organismi nonché la concessione dei contributi obbligatori agli altri organismi multilaterali di aiuto ai Paesi in via di sviluppo. 2. Il Ministro del tesoro predispone annualmente una relazione sugli esiti dell’attività di propria competenza. Tale relazione è inviata al Parlamento in allegato alla relazione di cui al comma 6 dell’articolo 3. Art. 6 (Fondo rotativo presso il Mediocredito centrale) 1. Il Ministro del tesoro, previa delibera del CICS, su proposta del Ministro degli affari esteri. autorizza il Mediocredito centrale a concedere. anche in consorzio con enti o banche estere, a Stati, banche centrali o enti di Stato di Paesi in via di sviluppo, crediti finanziari agevolati a valere sul Fondo rotativo costituito presso di esso. 76 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 2. In estensione a quanto previsto dall’articolo 13, secondo comma, del decreto legge 6 giugno 1956, n. 476, convertito, con modificazioni, nella legge 25 luglio 1956, n. 786 e successive modificazioni ed integrazioni, il Ministro del commercio con l’estero delega le competenze di cui al citato articolo 13, primo comma, lettera d), al Mediocredito centrale in ordine alle operazioni finanziate con crediti di aiuto o con crediti misti. 3. I crediti di aiuto anche quando sono associati ad altri strumenti finanziari (doni, crediti agevolati all’esportazione, crediti a condizioni di mercato), potranno essere concessi solamente per progetti e programmi di sviluppo rispondenti alle finalità della presente legge. Nel predetto fondo rotativo confluiscono gli stanziamenti già effettuati ai sensi della legge 24 maggio 1977, n. 227, della legge 9 febbraio 1979, n. 38, e della legge 3 gennaio 1981. n. 7. 4. Ove richiesto dalla natura dei progetti e programmi di sviluppo, i crediti di aiuto possono essere destinati, in particolare nei Paesi a più basso reddito, anche al finanziamento di parte dei costi locali e di eventuali acquisti in paesi terzi di beni inerenti ai progetti approvati e per favorire l’accrescimento della cooperazione tra Paesi in via di sviluppo. ziamento della loro quota di capitale di rischio in imprese miste da realizzarsi in Paesi in via di sviluppo con partecipazione di investitori, pubblici o privati, del Paese destinatario, nonché di altri Paesi. 2. II CICS stabilirà: a) la quota del Fondo di rotazione che potrà annualmente essere impiegata a tale scopo; b) i criteri per la selezione di tali iniziative che dovranno tenere conto - oltre che delle generali priorità geografiche o settoriali della cooperazione italiana - anche delle garanzie offerte dai Paesi destinatari a tutela degli investimenti stranieri. Tali criteri mireranno a privilegiare la creazione di occupazione e di valore aggiunto locale; c) le condizioni a cui potranno essere concessi i crediti di cui trattasi. 3. La quota, di cui al comma 1, del Fondo di rotazione viene trasferita al Mediocredito centrale. Allo stesso è affidata. con apposita convenzione, la valutazione, l’erogazione e la gestione dei crediti di cui al presente articolo. Art 8 (Comitato consultivo per la cooperazione allo sviluppo) Il Comitato consultivo per la cooperazione allo sviluppo è stato soppresso a seguito dell’entrata in vigore della Legge n.537/1993. Art. 9 (Comitato direzionale) 1. E’ istituito presso il Ministero degli affari esteri il Comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo. 2. Esso è presieduto dal Ministro degli affari esteri o dal Sottosegretario per gli affari esteri di cui all’articolo 3, comma 4, Art. 7 (Imprese miste nei Paesi in via di sviluppo) 1. A valere sul Fondo di rotazione di cui all’articolo 6. e con le stesse procedure, possono essere concessi crediti agevolati alle imprese italiane con il parziale finann. 16 • giugno 2007 77 I DOCUMENTI dispone di una segreteria composta da tre funzionari del Ministero degli affari esteri e di un nucleo di valutazione tecnica composto da cinque esperti scelti nell’ambito del personale di cui all’articolo 12. 7. Con propria delibera, il Comitato nomina i componenti della segreteria e del nucleo di valutazione tecnica e definisce i rispettivi criteri organizzativi e compiti. ed è composto da: a) i Direttori generali del Ministero degli affari esteri; b) il Segretario generale per la programmazione economica del Ministero del bilancio, il Direttore generale del tesoro, il Direttore generale delle valute del Ministero del commercio estero e quello del Mediocredito centrale. 3. I membri del Comitato direzionale potranno farsi rappresentare da loro sostituti all’uopo designati. 4. Il Comitato direzionale per la cooperazione allo sviluppo: a) definisce le direttive per l’attuazione degli indirizzi di cui all’articolo 3 e delibera la programmazione annuale delle attività da realizzare ai sensi della presente legge; b) approva le iniziative di cooperazione il cui valore superi i due miliardi di lire; c) approva la costituzione delle unità tecniche di cui all’articolo 10 e le modalità per la loro formazione; d) delibera di volta in volta circa l’esistenza dei presupposti per attivare gli interventi di cui all’articolo ll. ad eccezione di quelli derivanti da casi di calamità; e) approva i nominativi degli esperti da inviare nei Paesi in via di sviluppo per periodi superiori a quattro mesi; f) esprime il parere sulle iniziative suscettibili di essere finanziate con crediti di aiuto; g) stabilisce le procedure relative all’acquisizione dei pareri tecnici di cui all’articolo 12; h) delibera in merito ad ogni questione che il Presidente ritenga opportuno sottoporre al suo vaglio. 5. Le delibere del Comitato direzionale sono pubbliche e ne viene data notizia mediante apposito bollettino. 6. Per l’attuazione dei compiti previsti dal presente articolo il Comitato direzionale Art. 10 (Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo) 1. Per lo svolgimento delle attività di cooperazione di cui all’articolo 2 della presente legge. è istituita, nell’ambito del Ministero degli affari esteri, quale suo organo centrale ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. Essa è disciplinata dal predetto decreto, salvo quanto previsto dalla presente legge. In seno alla Direzione generale è istituito un ufficio di studio e proposta per la promozione del ruolo della donna nei Paesi in via di sviluppo nell’ambito della politica di cooperazione. 2. In sede di prima applicazione il Ministro degli affari esteri con proprio decreto determina l’organizzazione della Direzione. 3. Essa opera in conformità con le direttive e deliberazioni del Comitato direzionale e attende alla istruzione delle questioni bilaterali e multilaterali attinenti alla politica di cooperazione allo sviluppo e all’espletamento, in via diretta o indiretta, delle attività necessarie alla realizzazione dei programmi e delle iniziative bilaterali 78 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 finanziate con le risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo, ai sensi degli articoli 1 e 2 della presente legge. 4. La Direzione generale provvede all’istituzione, previa delibera del Comitato direzionale di cui all’articolo 9, di unità tecniche di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo destinatari della cooperazione italiana. 5. La Direzione generale si avvale dell’Istituto agronomico per l’Oltremare di Firenze, organo tecnico-scientifico del Ministero degli affari esteri, oltre che per servizi di consulenza e di assistenza nel campo dell’agricoltura, anche per l’attuazione e la gestione di iniziative di sviluppo nei settori agro-zootecnico, forestale e agro-industriale. per il tempestivo raggiungimento degli obiettivi di cui alle lettere a), b), e c); e) l’utilizzazione di organizzazioni non governative riconosciute idonee ai sensi della presente legge, sia direttamente sia attraverso il finanziamento di programmi elaborati da tali enti ed organismi e concordati con la Direzione generale per la cooperazione allo Sviluppo. 2. Gli interventi derivanti da calamità o eventi eccezionali possono essere effettuati d’intesa con il Ministro per il coordinamento della protezione civile, il quale con i poteri di cui al secondo comma dell’articolo 1 del decreto-legge 12 novembre 1982, n.829, convertito, con modificazioni, nella legge 23 dicembre 1982, n. 938, pone a disposizione personale specializzato e mezzi idonei per farvi fronte. I relativi oneri sono a carico della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo 3. Le iniziative promosse ai sensi del presente articolo sono deliberate dal Ministro degli affari esteri o dal Sottosegretario di cui all’articolo 3, comma 4, qualora l’onere previsto sia superiore a lire 2 miliardi, ovvero dal Direttore generale per importi inferiori e non sono sottoposte al parere preventivo del Comitato direzionale né al visto preventivo dell’ufficio di ragioneria di cui all’articolo 15, comma 2. La relativa documentazione è inoltrata al Comitato direzionale, al Comitato consultivo e all’Ufficio di ragioneria contestualmente alla delibera. 4. Le attività di cui al presente articolo sono affidate, con il decreto di cui all’articolo 10, comma 2, ad apposita unità operativa della Direzione generale. Art. 11 (Interventi straordinari) 1. Gli interventi straordinari di cui all’articolo 1, comma 4, sono: a) l’invio di missioni di soccorso, la cessione di beni, attrezzature e derrate alimentari, la concessione di finanziamenti in via bilaterale; b) l’avvio di interventi imperniati principalmente sulla sanità e la messa in opera delle infrastrutture di base, soprattutto in campo agricolo e igienico sanitario, indispensabili per l’immediato soddisfacimento dei bisogni fondamentali dell’uomo in aree colpite da calamità, da carestie e da fame, e caratterizzate da alti tassi di mortalità; c) la realizzazione in loco di sistemi di raccolta, stoccaggio, trasporto e distribuzione di beni, attrezzature e derrate; d) L’impiego, d’intesa con tutti i Ministeri interessati, gli enti locali e gli enti pubblici, dei mezzi e del personale necessario n. 16 • giugno 2007 79 I DOCUMENTI Art. 12 (Unità tecnica centrale) 1. A supporto dell’attività della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo e limitatamente allo svolgimento dei compiti di natura tecnica relativi alle fasi di individuazione, istruttoria, formulazione, valutazione, gestione e controllo dei programmi, delle iniziative e degli interventi di cooperazione di cui agli articoli 1 e 2, nonché per le attività di studio e ricerca nel campo della cooperazione allo sviluppo è istituita l’Unità tecnica centrale di cooperazione allo sviluppo. 2. Nel decreto di cui al comma 2 dell’articolo 10 dovrà essere determinata l’articolazione funzionale dell’Unità tecnica centrale nell’ambito della Direzione generale in modo da rispecchiare al massimo l’articolazione funzionale della Direzione medesima. 3. L’organico dell’Unità tecnica centrale è costituito da esperti assunti con contratto di diritto privato a termine entro un contingente massimo di centoventi unità e da personale di supporto tecnico-amministrativo ed ausiliario del Ministero degli affari esteri. All’Unita tecnica centrale è preposto un funzionario della carriera diplomatica. 4. Le caratteristiche del rapporto contrattuale di diritto privato a termine ivi compreso il trattamento economico - sono fissate con decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro del tesoro e con il Ministro della funzione pubblica, previo parere del Comitato direzionale di cui all’articolo 9, tenuto conto dei criteri e dei parametri osservati al riguardo dal Fondo europeo dello sviluppo della Comunità economica europea, nonché dell’esperienza professionale di cui il personale interessato sarà in possesso al momento della stipula del contratto. Il contratto avrà durata quadriennale rinnovabile in costanza delle esigenze connesse all’attuazione dei compiti di natura tecnica della cooperazione allo sviluppo. Il decreto di cui al presente comma dovrà altresì prevedere le procedure concorsuali per la immissione degli esperti di cui al comma 3 nell’Unità tecnica centrale. 5. Gli esperti di cui ai commi 3 e 4 sono impiegati anche nelle unità tecniche di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo di cui all’articolo 13. 6. Nella prima applicazione della presente legge hanno titolo di precedenza per l’immissione, attraverso le procedure concorsuali di cui al comma 4, nell’Unità tecnica centrale. fino alla copertura massima del cinquanta per cento del contingente di cui al comma 3. a) gli esperti e il personale tecnico che, a qualsiasi titolo, con oneri dello Stato, prestino servizio presso gli uffici centrali del Dipartimento per la cooperazione di cui alla legge 9 febbraio 1979, n.38 e presso la sede centrale del Servizio speciale di cui all’articolo 3 della legge 8 marzo 1985, n.73, da almeno dodici mesi alla data di entrata in vigore della presente legge; b) i funzionari di cittadinanza italiana che svolgano attività da almeno due anni presso organizzazioni internazionali e comunitarie operanti nel settore della cooperazione con i Paesi in Via di sviluppo, alla data di entrata in vigore della presente legge. 7. Tale titolo di precedenza può essere 80 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 fatto valere dagli interessati con domanda da presentarsi entro trenta giorni dall’entrata in vigore della presente legge. 8. L’esistenza dei requisiti di cui ai commi precedenti verrà verificata con delibera del Comitato direzionale su parere del Consiglio di amministrazione del Ministero degli affari esteri. 9. In relazione alle esigenze di supporto derivanti dalla istituzione dell’Unità Tecnica Centrale, la dotazione organica delle qualifiche funzionali del Ministero degli affari esteri è accresciuta di 25 posti alla V qualifica e di 35 alla IV. La ripartizione delle suddette dotazioni aggiuntive per profili professionali è stabilita con decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica. Con la stessa procedura può essere modificata la ripartizione degli anzidetti posti di organico aggiuntivo tra le qualifiche funzionali sempre che intervengano modifiche nei pertinenti profili. Il personale che presti servizio a tempo pieno ed a qualunque titolo, presso il Dipartimento per la cooperazione allo sviluppo o presso il Servizio speciale istituito ai sensi della legge 8 marzo 1985, n. 73, da almeno un anno alla data di entrata in vigore della presente legge svolgendo mansioni di supporto amministrativo, può essere ammesso entro sei mesi a sostenere, a domanda, una prova selettiva per l’immissione nel contigente aggiuntivo di organico di cui al presente comma, nelle qualifiche e profili corrispondenti alle mansioni svolte. Con decreto del Ministro degli affari esteri, sentito il Consiglio di amministrazione, n. 16 • giugno 2007 sono stabilite le procedure e le modalità di svolgimento delle prove selettive. 10. All’onere derivante dall’applicazione del comma 9, valutato in lire un miliardo e duecento milioni annui, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1987-1989, al capitolo 6856 dello stato di previsione del Ministero del tesoro per l’anno finanziario 1987, all’uopo parzialmente utilizzando l’accantonamento: “Riordinamento del Ministero degli affari esteri”. 11. Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio. Art. 13 (Unità tecniche di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo) 1. Le unità tecniche di cui agli articoli 9 e 10 sono istituite nei Paesi in via di sviluppo dichiarati prioritari dal CICS con accreditamento diretto presso i Governi interessati nel quadro degli accordi di cooperazione. 2. Le unità tecniche sono costituite da esperti dell’Unità tecnica centrale di cui all’articolo 12 e da esperti tecnicoamministrativi assegnati dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo nonché da personale esecutivo e ausiliario assumibile in loco con contratti a tempo determinato. 3. I compiti delle unità tecnica consistono: a) nella predisposizione e nell’invio alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo di relazioni, di dati e di ogni elemento di informazione utile all’individuazione, all’istruttoria e alla val81 I DOCUMENTI utazione delle iniziative di cooperazione suscettibili di finanziamento; b) nella predisposizione e nell’invio alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo di relazioni, di dati e di elementi di informazione sui piani e programmi di sviluppo del Paese di accreditamento e sulla cooperazione allo sviluppo ivi promossa e attuata anche da altri Paesi e da organismi internazionali; c) nella supervisione e nel controllo tecnico delle iniziative di cooperazione in atto; d) nello sdoganamento, controllo, custodia e consegna delle attrezzature e dei beni inviati dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo; e) nell’espletamento di ogni altro compito atto a garantire il buon andamento delle iniziative di cooperazione nel Paese. 4. Ciascuna unità tecnica è diretta da un esperto dell’Unità tecnica centrale di cui all’articolo 12, che risponde, anche per quanto riguarda l’amministrazione dei fondi di cui al comma 5, al capo della rappresentanza diplomatica competente per territorio. 5. Le unità tecniche sono dotate dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo dei fondi e delle attrezzature necessarie per l’espletamento dei compiti ad esse affidati. istero degli Affari Esteri. L’art.14 della Legge n.49/1987 è sostituito dal seguente: Art.14 (Disponibilità finanziarie) I mezzi finanziari destinati all’attuazione della presente legge, fatti salvi quelli derivanti da specifiche disposizioni di legge, i crediti di aiuto e i fondi destinati alla partecipazione italiana al capitale di banche e fondi internazionali, nonché alla cooperazione svolta dalla Comunità europea, sono costituiti:dagli stanziamenti iscritti nell’apposita rubrica istituita nello stato di previsione del Ministero degli Affari Esteri e determinati annualmente con le modalità di cui all’art.11 comma 3 lett.d) della Legge 5 agosto 1978 n.468, come sostituito dall’art.5 della Legge 23 agosto 1988 n.362; dagli eventuali apporti conferiti in qualsiasi valuta dagli stessi paesi in via di sviluppo e da altri paesi o enti e organismi internazionali per la cooperazione allo sviluppo; da fondi raccolti con iniziative promosse e coordinate dagli enti locali; da donazioni, lasciti, legati e liberalità, debitamente accettati; da qualsiasi altro provento derivante dall’esercizio delle attività della Direzione Generale, ivi comprese le eventuali restituzioni comunitarie. Le somme di cui alle lettere b), c), d) ed e) del comma 1 sono versate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate, con decreti del Ministro del Tesoro, ai pertinenti capitoli di bilancio. Le operazioni effettuate nei confronti delle Amministrazioni dello Stato e di organizzazioni non governative riconosciute ai sensi Art. 14 (Fondo speciale) Il Fondo speciale è stato soppresso a seguito dell’entrata in vigore della Legge n.559/1993. A decorrere dal 1° gennaio 1995 i mezzi finanziari già destinati al Fondo speciale sono iscritti in apposita rubrica dello stato di previsione del Min82 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 della presente legge che provvedono, secondo modalità stabilite con decreti del Ministro delle Finanze, al trasporto e alla spedizione di beni all’estero in attuazione di finalità umanitarie, comprese quelle dirette a realizzare programmi di cooperazione allo sviluppo, non sono soggette all’imposta sul valore aggiunto; analogo beneficio compete per le importazioni di beni destinati alle medesime finalità. Generale l’avvenuto visto o le eventuali osservazioni sugli atti sottoposti al controllo. 5. Per l’attuazione delle iniziative e degli interventi di cooperazione previsti dalla presente legge, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo può stipulare, previa delibera del Comitato direzionale, convenzioni e contratti con soggetti esterni all’amministrazione dello Stato. 6. [comma abrogato] 7. In ogni caso le delibere e i pareri del Comitato direzionale sulle singole iniziative di cooperazione dovranno essere obbligatoriamente corredate da specifica valutazione dell’Unità tecnica centrale di cui all’articolo 12. Nel caso di trattativa privata, il contratto e le relative valutazioni tecniche devono essere pubblicate nel bollettino di cui all’articolo 9, comma 5. 8. La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo può predisporre, su richiesta del Ministro degli affari esteri o del Comitato direzionale, l’effettuazione di particolari controlli, che siano riferiti a singoli progetti ed abbiano carattere temporaneo, da parte di organismi terzi e indipendenti, sugli studi, sulle progettazioni e sulle realizzazioni attuate ai sensi della presente legge. 9. Le somme non impegnate nell’esercizio di competenza possono essere impegnate nell’esercizio successivo. Il Ministro del tesoro, su proposta del Ministro degli Affari esteri, può apportare variazioni compensative tra capitoli di spesa, in termini di competenza e cassa, iscritti nella rubrica dello stato di previsione del Ministero degli Affari esteri di cui all’art.14 Art. 15 (Autonomia finanziaria della Direzione Generale per la cooperazione allo sviluppo ) 1. Alla gestione delle attività dirette alla realizzazione delle finalità della presente legge si provvede in deroga alle norme sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, nei limiti della presente legge [..] 2. Presso la Direzione generale è costituito un apposito ufficio di ragioneria, alle dipendenze del Ministero del tesoro per l’esercizio delle funzioni proprie delle ragionerie centrali [..]. 3. La Corte dei conti esercita il controllo di legittimità in via successiva sugli atti della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo che è tenuta a inoltrarli contestualmente alla loro definizione. 4. A tal fine è costituito un apposito ufficio della Corte dei conti presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. Tale ufficio è tenuto ad esercitare il controllo in via successiva entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricevimento degli atti della Direzione generale. Entro il suddetto termine l’ufficio dovrà comunicare alla Direzione n. 16 • giugno 2007 83 I DOCUMENTI Art. 17 (Invio in missione) 1. Il personale inviato in missione all’estero per periodi superiori a quattro mesi in relazione a progetti di cooperazione allo sviluppo è tratto dalle seguenti categorie: a) personale di ruolo dipendente dalle amministrazioni dello Stato, dagli enti locali, da enti pubblici non economici o altro personale di ruolo comandato presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo; b) personale a contratto di cui all’articolo 12 e quello previsto dall’articolo 16, comma 1, lettera e); c) personale assunto dal Ministero degli affari esteri con contratto di diritto privato a tempo determinato, sulla base di criteri fissati dal Comitato direzionale. comma 1 lett.a), cui affluiscono i mezzi finanziari già destinati al Fondo speciale per la cooperazione allo sviluppo. 10. [comma abrogato] Art. 16 (Personale addetto alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo) 1. Il personale addetto alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo è costituito da: a) personale del Ministero degli affari esteri; b) magistrati ordinari o amministrativi, avvocati dello Stato, comandati o nominati con le modalità previste dagli ordinamenti delle rispettive istituzioni, nel limite massimo di sette unità; c) esperti e tecnici assunti con contratto di diritto privato, ai sensi dell’articolo 12; d) personale dell’amministrazione dello Stato. degli enti locali e di enti pubblici non economici posto in posizione di fuori ruolo o di comando; e) funzionari esperti. di cittadinanza italiana, provenienti da organismi internazionali nei limiti di Un contingente massimo di trenta unità, assunti dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo sulla base di criteri analoghi a quelli previsti dalla lettera C). 2. Fino a cinque funzionari della Carriera diplomatica possono essere collocati a disposizione per incarichi speciali da svolgere presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo e all’estero, in soprannumero al contingente fissato dall’articolo 111 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 5 gennaio 1967. Art.18. (Doveri del personale inviato all’estero) 1. Il personale inviato all’estero per compiti di cooperazione è tenuto ad assolvere le mansioni ad esso affidate in modo conforme alle finalità della presente legge e agli obblighi contrattualmente assunti. Esso non può in alcun caso essere impiegato in operazioni di polizia o di carattere militare. 2. Il capo della rappresentanza diplomatica italiana competente per territorio sovrintende al corretto svolgimento delle attività di detto personale, anche ai fini amministrativi e disciplinari, fatta salva la normativa di stato propria di ciascun dipendente, che resta regolata dagli ordinamenti delle amministrazioni di rispettiva appartenenza. 84 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 Art. 21 (Utilizzazione di dipendenti pubblici. docenti universitari e magistrati) 1. Il personale dello Stato o di enti pubblici di cui all’articolo 17, lettera a), può essere utilizzato nei limiti dei contingenti determinati con decreto del Ministro degli affari esteri, sentiti i Ministri del tesoro e della funzione pubblica 2. Nei limiti di tali contingenti, il personale di cui sopra e messo a disposizione della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo: a) con decreto del Ministro degli affari esteri, per il personale da esso dipendente; b) con decreto del Ministro competente, di concerto con il Ministro degli affari esteri, per il personale dipendente da altre amministrazioni dello Stato; c) con decreto del Ministro degli affari esteri, d’intesa con l’ente pubblico interessato, per il personale dipendente da enti pubblici. 3. La messa a disposizione dei magistrati ordinari e disposta dal Consiglio superiore della magistratura, su richiesta del Ministro di grazia e giustizia, previo concerto con il Ministro degli affari esteri. 4. Durante il collocamento a disposizione detto personale continua a percepire gli assegni fissi e continuativi spettanti per l’intero a carico dell’amministrazione o dell’ente di appartenenza, ad eccezione delle quote di aggiunta di famiglia, della indennità integrativa speciale, delle indennità inerenti a specifiche funzioni ed incarichi ovvero connesse a determinate condizioni ambientali, e comunque degli emolumenti legati all’effettiva prestazione del servizio in Italia. 5. La durata di ogni incarico non può Art. 19 (Divieto di emolumenti aggiuntivi) 1. Il personale di cui all’articolo 17 non può percepire nel Paese di impiego alcuna integrazione al trattamento economico corrisposto dall’amministrazione italiana. Art. 20 (Attestato finale) 1. Al termine del servizio il Ministero degli affari esteri, su richiesta degli interessati, provvede a rilasciare al personale che ha prestato servizio di cooperazione ai sensi degli articoli 17 e 31 un apposito attestato da cui risultino la regolarità, la durata e la natura del servizio prestato. 2. Tale attestato costituisce titolo preferenziale di valutazione, equiparato a servizio presso la pubblica amministrazione: a) nella formazione delle graduatorie dei pubblici concorsi per l’ammissione alle carriere dello Stato o degli enti pubblici; b) nell’ammissione agli impieghi privati, compatibilmente con le disposizioni generali sul collocamento. 3. Il periodo di servizio e computato per l’elevazione del limite massimo di età per la partecipazione ai pubblici concorsi. 4. Salvo più favorevoli disposizioni di legge, le attività di servizio prestate in un Paese in via di sviluppo dal personale di cui al comma 1, sono riconosciute ad ogni effetto giuridico equivalenti per intero ad analoghe attività professionali di ruolo prestate nell’ambito nazionale, in particolare per l’anzianità di servizio, per la progressione della carriera, per il trattamento di quiescenza e previdenza e per l’attribuzione degli aumenti periodici di stipendio. n. 16 • giugno 2007 85 I DOCUMENTI l’intero onere relativo a tali assegni comprese le indennità di aggiornamento e di rischio, ad esclusione di ogni altra indennità che si considera assorbita dall’indennità di servizio all’estero - e assunto dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. 3. Detto personale conserva altresì il diritto alle prestazioni assistenziali e previdenziali, i cui contributi sono rimborsati dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo all’amministrazione di appartenenza. essere inferiore a quattro mesi né superare i quattro anni e deve essere indicata nei decreti di collocamento a disposizione; solo in caso di comprovate necessità del programma di cooperazione nel quale il personale è impegnato, può essere disposta la proroga del predetto termine quadriennale da parte del Comitato direzionale. Decorso tale termine, nessun nuovo incarico può essere conferito alla medesima persona ai sensi del presente articolo se non per un programma diverso da quello precedentemente svolto. 6. Il Ministero della pubblica istruzione può autorizzare docenti e ricercatori delle università italiane a usufruire di un congedo con assegni per la durata dell’incarico conferito ai sensi dei precedenti commi del presente articolo per esercitare attività di cooperazione allo sviluppo. Art. 23 (Equiparazione del servizio all’estero a quello di istituto) 1. Salve diverse disposizioni della presente legge, il servizio prestato in Paesi in via di sviluppo dal personale di cui alla lettera a) dell’articolo 17 e equiparato a tutti gli effetti giuridici, ivi compresi quelli relativi alla progressione di carriera ed al trattamento di quiescenza, al servizio di istituto prestato nell’ambito delle rispettive amministrazioni di appartenenza. 2. Al personale di cui alla lettera a) dell’articolo 17 si applica inoltre la disposizione dell’articolo 144, secondo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, relativa al computo del servizio prestato in residenze disagiate e particolarmente disagiate ai fini del trattamento di quiescenza. Per la determinazione delle predette residenze si fa riferimento al decreto di cui al primo comma del predetto articolo 144, integrato, per i Paesi che non siano stati presi in considerazione nel decreto stesso in quanto non vi risieda una rap- Art. 22 (Dipendenti di enti pubblici) 1. Gli enti pubblici, previo nulla osta delle amministrazioni vigilanti, compresi le strutture del Servizio sanitario nazionale, gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico e gli istituti zooprofilattici sperimentali, d’intesa con il Ministero degli affari esteri possono collocare in aspettativa, per un periodo non superiore all’incarico, personale dipendente, da essi autorizzato all’espletamento di compiti di cooperazione con i Paesi in via di sviluppo. 2. Il personale collocato in aspettativa ha diritto agli assegni di cui all’articolo 21 a carico dell’amministrazione di appartenenza. Solo per il personale delle istituzioni sanitarie di cui al comma 1, 86 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 presentanza italiana, da successivi decreti emanati nelle medesime forme. Ai fini degli aumenti periodici di stipendio ogni trimestre completo di servizio prestato all’estero e valutato con la maggiorazione di un terzo. 3. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì agli insegnanti ed al personale docente di ruolo di ogni ordine e grado, che sia destinato a prestare servizio in scuole che funzionino nei Paesi suddetti o che dipendano da tali Paesi e da organismi o enti internazionali . 4.II servizio di insegnamento effettuato in un Paese in via di sviluppo è considerato, in relazione al grado documentato dell’insegnamento prestato, come titolo valutabile ad ogni effetto di legge e ai tini dei concorsi per l’insegnamento negli istituti e scuole di istruzione di pari grado in Italia, qualora il personale interessato sia in possesso dei requisiti richiesti dall’ordinamento italiano per tale insegnamento. affari esteri farà riferimento, per quanto possibile, ai parametri retributivi adottati al riguardo dal Fondo europeo di sviluppo della Comunità economica europea per il personale omologo impiegato nei programmi di sviluppo. Art. 24 (Trattamento economico all’estero) 1. Il personale di cui all’articolo 17, lettere a) e b), percepisce, durante il servizio all’estero, oltre allo stipendio ed agli assegni fissi e continuativi previsti per l’interno, una indennità di servizio all’estero stabilita con decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro del tesoro. Tale decreto determina altresì ogni altra competenza e provvidenza. 2. Nel determinare l’ammontare complessivo della retribuzione per il personale di cui all’articolo 17 il Ministro degli Art. 26 (Trattamento economico e assicurativo) 1. Il personale di cui all’articolo 17, lettera c), assunto con contratto di diritto privato a tempo determinato può essere utilizzato nei limiti di un contingente stabilito periodicamente con decreto del Ministro degli affari esteri di concerto con il Ministro del tesoro. 2. Nella medesima forma sono stabilite le condizioni generali del contratto e il trattamento economico spettante per le diverse qualificazioni del suddetto personale. 3. Tale trattamento deve essere equipara- n. 16 • giugno 2007 Art. 25 (Congedo e spese di viaggio) 1. Al personale di cui all’articolo 17, lettere a) e b), spetta un congedo ordinario nella misura prevista dai rispettivi ordinamenti, e comunque non inferiore a trentasei giorni all’anno. 2. Durante il congedo ordinario è corrisposta al predetto personale l’indennità di servizio di cui all’articolo 24. 3. Al personale spetta il rimborso delle spese di viaggio e trasporto degli effetti per sé e, qualora il servizio sia di durata superiore a otto mesi, anche per i familiari a carico. La misura e le modalità del rimborso saranno stabilite con decreto del Ministro degli affari esteri. 87 I DOCUMENTI qualificati designati allo scopo dal Direttore generale per la cooperazione allo sviluppo possono essere inviati all’estero per brevi missioni di durata inferiore a quattro mesi e per le finalità previste nell’articolo 1, con provvedimento adottato dall’amministrazione o ente di appartenenza d’intesa con il Ministero degli affari esteri o con decreto della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, nel quale viene determinata la qualificazione dell’esperto ai fini della corresponsione del relativo trattamento economico. 2. L’ammontare dell’indennità e determinato con decreto del Ministro degli affari esteri, di concerto con il Ministro del tesoro, tenuto conto dei trattamenti previsti per le missioni di cui all’articolo 17. to per quanto possibile al trattamento del personale di corrispondente qualificazione tecnica invialo ai sensi dell’articolo 17, lettera a). 4. Il personale di cui al comma l è iscritto, a carico dell’amministrazione o dell’ente assuntore alle assicurazioni per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti, nonché all’assicurazione per le malattie, limitatamente alle prestazioni sanitarie. 5. I rapporti assicurativi di cui al comma 4, sono regolati da apposite convenzioni concluse dall’amministrazione o dall’ente assuntore con gli istituti assicurativi. 6. I contributi per le assicurazioni sono commisurati ad apposite retribuzioni convenzionali, da stabilirsi con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro degli affari esteri. 7. Con apposita convenzione da stipulare con l’Istituto nazionale delle assicurazioni, l’amministrazione o l’ente assuntore provvede inoltre a assicurare la liquidazione di un equo indennizzo per lesioni della integrità fisica derivanti da infortuni occorsi o da infermità contratte durante il servizio o per causa di servizio, nonché di una indennità per il caso di morte durante il servizio o per causa del servizio, da corrispondere agli aventi diritto o, in mancanza di essi, ad altra persona designata dal dipendente a contratto. Art. 28 (Riconoscimento di idoneità delle organizzazioni non governative) 1. Le organizzazioni non governative, che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, possono ottenere il riconoscimento di idoneità ai fini di cui all’articolo 29 con decreto del Ministro degli affari esteri, sentito il parere della Commissione per le organizzazioni non governative, di cui all’articolo 8, comma 10. Tale Commissione esprime pareri obbligatori anche sulle revoche di idoneità, sulle qualificazioni professionali o di mestiere e sulle modalità di selezione, formazione e perfezionamento tecnicoprofessionale dei volontari e degli altri cooperanti impiegati dalle organizzazioni non governative. 2. L’idoneità può essere richiesta per la Art. 27 (Missioni inferiori a quattro mesi) 1. Il personale di cui alla lettera a) dell’articolo 17 nonché esperti e tecnici 88 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 settore o nei settori per cui si richiede il riconoscimento di idoneità; g) accettino controlli periodici all’uopo stabiliti dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo anche ai fini del mantenimento della qualifica; h) presentino i bilanci analitici relativi all’ultimo triennio e documentino la tenuta della contabilità; i) si obblighino alla presentazione di una relazione annuale sullo stato di avanzamento dei programmi m corso. realizzazione di programmi a breve e medio periodo nei Paesi in via di sviluppo; per la selezione, formazione e impiego dei volontari in servizio civile; per attività di formazione in loco di cittadini dei Paesi in via di sviluppo, Le organizzazioni idonee per una delle suddette attività possono inoltre richiedere l’idoneità per attività di informazione e di educazione allo sviluppo. 3. Sono fatte salve le idoneità formalmente concesse dal Ministro degli affari esteri prima dell’entrata in vigore della presente legge. 4. Il riconoscimento di idoneità alle organizzazioni non governative può essere dato per uno o più settori di intervento sopra indicati, a condizione che le medesime: a) risultino costituite ai sensi degli articoli 10, 36 e 39 del codice civile; b) abbiano come fine istituzionale quello di svolgere attività di cooperazione allo sviluppo in favore delle popolazioni del terzo mondo; c) non perseguano finalità di lucro e prevedano l’obbligo di destinare ogni provento, anche derivante da attività commerciali accessorie o da altre forme di autofinanziamento, per i fini istituzionali di cui sopra; d) non abbiano rapporti di dipendenza, da enti con finalità di lucro, né siano collegate in alcun modo agli interessi di enti pubblici o privati, italiani o stranieri aventi scopo di lucro; e) diano adeguate garanzie in ordine alla realizzazione delle attività previste, disponendo anche delle strutture e del personale qualificato necessari; f) documentino esperienza operativa e capacità organizzativa di almeno tre anni, in rapporto ai Paesi in via di sviluppo, nel n. 16 • giugno 2007 Art. 29 (Effetti dell’idoneità) 1. Il Comitato direzionale verifica - ai fini dell’ammissione ai benefici della presente legge la conformità, ai criteri stabiliti dalla legge stessa, dei programmi e degli interventi predisposti dalle organizzazioni non governative riconosciute idonee, sentila la Commissione per le organizzazioni non governative di cui all’articolo 8, comma 10. 2. Alle organizzazioni su indicate possono essere concessi contributi per lo svolgimento di attività di cooperazione da loro promosse, in misura non superiore al 70 per cento dell’importo delle iniziative programmate, che deve essere integrato per la quota restante da forme autonome, dirette o indirette, di finanziamento, salvo quanto previsto agli articoli 31, comma 2-bis, e 32, comma 2-ter. Ad esse può essere altresì affidato l’incarico di realizzare specifici programmi di cooperazione i cui oneri saranno finanziati dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo 3. Le modalità di concessione dei contributi e dei finanziamenti e la determi89 I DOCUMENTI nazione dei relativi importi sono stabilite con apposita delibera del Comitato direzionale, sentito il parere della Commissione per le organizzazioni non governative. 4. Le attività di cooperazione svolte dalle organizzazioni non governative riconosciute idonee sono da considerarsi, ai fini fiscali, attività di natura non commerciale. contratto di cooperazione della durata di almeno due anni registrato ai sensi del comma 5, con il quale si siano impeganti a svolgere attività di lavoro autonomo di cooperazione nei paesi in via di sviluppo nell’ambito di programmi previsti dall’articolo 29. 2. Il contratto di cooperazione deve prevedere il programma di cooperazione nel quale si inserisce l’attività di volontariato e il trattamento economico.[..] I contenuti di tale contratto sono definiti dal Comitato direzionale sentito il parere della Commissione per le organizzazioni non governative. I volontari in servizio civile con contratto di cooperazione registrato presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, esclusi quelli in aspettativa ai sensi dell’art.33, comma 1, lettera a), sono iscritti a loro cura alle assicurazioni per invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, nonché all’assicurazione per le malattie, limitatamente alle prestazioni sanitarie, ferma rimanendo la natura autonoma del rapporto e l’inesistenza di obblighi contributivi a carico diretto dei volontari. Termini e modalità del versamento dei contributi saranno definiti dal regolamento di esecuzione della presente legge, anche in deroga alle disposizioni previste in materia per le predette assicurazioni. 2-bis. I contributi previdenziali e assistenziali di cui al comma 2, gli importi dei quali sono commisurati ai compensi convenzionali determinati con apposito decreto interministeriale, sono posti integralmente a carico della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo la quale provvede direttamente all’accredito Art. 30 (Contributi deducibili) 1. I contributi, le donazioni e le oblazioni erogati da persone fisiche e giuridiche in favore delle organizzazioni non governative idonee ai sensi dell’articolo 28 sono deducibili dal reddito imponibile netto ai fini dell’imposta sul reddito istituita dall’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 597, per le persone fisiche e dall’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 598, per le persone giuridiche, nella misura massima del 2 per cento di detto reddito. Art. 31 (Volontari in servizio civile) 1. Agli effetti della presente legge sono considerati volontari in servizio civile i cittadini italiani maggiorenni che, in possesso delle conoscenze tecniche e delle qualità personali necessarie per rispondere alle esigenze dei Paesi interessati, nonché di adeguata formazione e di idoneità psicofisica, prescindendo da fini di lucro e nella ricerca prioritaria dei valori della solidarietà e della cooperazione internazionale, abbiano stipulato un 90 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 2 e 3, nonché la sussistenza dei requisiti di cui al comma 1. 6. Copia del contratto registrato è trasmessa dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo alla rappresentanza italiana competente per territorio ai fini previsti dall’articolo 34. dei contributi presso il fondo pensioni dei lavoratori dipendenti. I volontari ed i loro familiari a carico sono anche assicurati contro i rischi di infortuni, morte e malattia con polizza a loro favore. La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo provvede al pagamento dei premi per massimali che sono determinati con delibera del comitato direzionale su proposta della Commissione per le organizzazioni non governative. Per i volontari in aspettativa ai sensi dell’articolo 33, comma 1, lettera a), il trattamento previdenziale ed assistenziale rimane a carico delle amministrazioni di appartenenza per la parte di loro competenza, mentre la parte a carico del lavoratore è rimborsata dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo alle stesse amministrazioni. 3. II Comitato direzionale, sentito il parere della Commissione per le organizzazioni non governative, stabilisce ed aggiorna annualmente i criteri di congruità per il trattamento economico di cui al comma 2, tenendo conto anche del caso di volontari con precedente esperienza che siano chiamati a svolgere funzioni di rilevante responsabilità. 4. E’ parte integrante del contratto di cooperazione un periodo all’inizio del servizio, non superiore a tre mesi, da destinarsi alla formazione. 5. La qualifica di volontario in servizio civile e attribuita con la registrazione del contratto di cui al comma 1, presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. A tal fine la Direzione generale deve verificare la conformità del contratto con quanto previsto ai commi n. 16 • giugno 2007 Art. 32 (Cooperanti delle organizzazioni non governative) 1. Le organizzazioni non governative idonee possono inoltre impiegare nell’ambito dei programmi riconosciuti conformi alle finalità della presente legge, ove previsto nei programmi stessi, con oneri a carico dei pertinenti capitoli dell’apposita rubrica di cui all’art.14 comma 1 lett a)[..], cittadini italiani maggiorenni in possesso delle conoscenze tecniche, dell’esperienza professionale e delle qualità personali necessarie, che si siano impegnati a svolgere attività di lavoro autonomo nei paesi in via di sviluppo con un contratto di cooperazione,[..] di durata inferiore a due anni, per l’espletamento di compiti di rilevante responsabilità tecnica gestionale e organizzativa. Il contratto di cui sopra deve essere conforme ai contenuti che verranno definiti dal Comitato direzionale sentito il parere della Commissione di cui all’articolo 8, comma 10. 2. La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo, verificata tale conformità nonché la congruità con il programma di cooperazione, registra il contratto attribuendo in tal modo la qualifica di cooperante ai sensi della presente legge. I cooperanti dipendenti 91 I DOCUMENTI dallo Stato o da enti pubblici hanno diritto [..] al collocamento in aspettativa senza assegni per la durata del contratto di cooperazione. [..] 2-bis. I cooperanti in servizio con contratto di cooperazione registrato presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo possono iscriversi a loro cura alle assicurazione per invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, nonché all’assicurazione per le malattie, limitatamente alle prestazioni sanitarie, ferma rimanendo la natura autonoma del rapporto e l’inesistenza di obblighi contributivi a carico diretto dei cooperanti. Termini e modalità del versamento dei contributi saranno definiti dal regolamento di esecuzione della presente legge, anche in deroga alle disposizioni previste in materia per le predette assicurazioni. I contributi sono commisurati ai compensi convenzionali da determinare con apposito decreto interministeriale. 2-ter. I contributi previdenziali e assistenziali per i cooperanti che si iscrivono alle assicurazioni di cui al comma 2-bis sono posti integralmente a carico della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. I cooperanti ed i loro familiari a carico sono anche assicurati contro i rischi di infortuni, morte e malattia con polizza a loro favore. La Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo provvede al pagamento dei premi per massimali che sono determinati con delibera del comitato direzionale su proposta della Commissione per le organizzazioni non governative. 2-quater. I cooperanti hanno diritto al riconoscimento del servizio prestato nei Paesi in via di sviluppo ai sensi dell’articolo 20. 3. Copia del contratto registrato è trasmessa dalla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo alla rappresentanza italiana competente per territorio ai fini previsti dall’articolo 34. Art. 33 (Diritti dei volontari) l. Coloro ai quali sia riconosciuta con la registrazione la qualifica di volontari in servizio hanno diritto: a) al collocamento in aspettativa senza assegni, se dipendenti di ruolo o non di ruolo da amministrazioni statali o da enti pubblici, nei limiti di appositi contingenti, da determinare periodicamente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri degli affari esteri e del tesoro. Il periodo di tempo trascorso in aspettativa e computato per intero ai fini della progressione della carriera, della attribuzione degli aumenti periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e previdenza. Il diritto di collocamento in aspettativa senza assegni spetta anche al dipendente il cui coniuge sia in servizio di cooperazione come volontario; b) al riconoscimento del servizio prestato nei Paesi in via di sviluppo; c) alla conservazione del proprio posto di lavoro, secondo le disposizioni del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 303, e successive norme integrative, relative ai lavoratori chiamati alle armi per il servizio di leva, qualora beneficino del rinvio del servizio militare ai sensi della presente legge. 92 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 decadono dai diritti previsti dalla presente legge [..]. 4. Il Ministro degli affari esteri può inoltre disporre il rimpatrio dei volontari e dei cooperanti: a) quando amministrazioni, istituti, enti od organismi per i quali prestano la loro opera in un determinato Paese cessino la propria attività, o la riducano tanto da non essere più in grado di servirsi della loro opera; b) quando le condizioni del Paese nelle quali essi prestano la loro opera mutino in modo da impedire la prosecuzione della loro attività o il regolare svolgimento di essa. 5. Gli organismi non governativi idonei possono risolvere anticipatamente i contratti di cooperazione e disporre il rimpatrio del volontario o del cooperante interessato, in caso di grave inadempienza degli impegni da questo assunti, previa comunicazione delle motivazioni alla Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo e autorizzazione di questa ultima. 2. Alle imprese private che concederanno ai volontari e cooperanti da esse dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni è data la possibilità di assumere personale sostitutivo con contratto a tempo determinato. Art. 34 (Doveri dei volontari e dei cooperanti) 1. I volontari in servizio civile e i cooperanti con contratto di breve durata per i periodi di servizio svolti nei Paesi in via di sviluppo sono soggetti alla vigilanza del Capo della rappresentanza italiana competente per territorio, al quale comunicano l’inizio e la fine della loro attività di cooperazione. 2. Essi devono assolvere alle proprie mansioni con diligenza in modo conforme alla dignità del proprio compito. In nessun caso essi possono essere impiegati in operazioni di polizia o di carattere militare. 3. I volontari ed i cooperanti non possono intrattenere con le organizzazioni non governative rapporti di lavoro subordinato per l’esercizio di qualsivoglia mansione. Ogni contratto di lavoro subordinato eventualmente stipulato dal volontario o dal cooperante, anche tacitamente, con le organizzazioni non governative è nullo ai sensi dell’articolo 1343 del codice civile. In caso di inosservanza di quanto disposto nel comma 1 o del divieto di cui al presente comma, o di grave mancanza - accertata nelle debite forme - ai doveri di cui al comma 2, il contratto di cooperazione, di cui agli articoli 31 o 32, è risolto con effetto immediato e i volontari o i cooperanti n. 16 • giugno 2007 Art. 35 (Servizio militare, rinvio e dispensa) 1. I volontari in servizio civile che prestino la loro opera ai sensi dell’articolo 31 in Paesi in via di sviluppo e che debbano ancora effettuare il servizio militare obbligatorio di leva, possono, in tempo di pace, chiederne il rinvio al Ministero della difesa, il quale è autorizzato a concederlo per la durata del servizio all’estero, a condizione che il richiedente sia sottoposto a visita medica ed arruolato. 2. Al termine di un biennio di effettivo e continuativo servizio nei Paesi suindicati, i volontari che abbiano ottenuto il rinvio 93 I DOCUMENTI Art. 37 (Stanziamenti) 1. Con legge finanziaria è determinata ogni anno l’entità globale dei fondi destinati per il triennio successivo alla “Cooperazione allo sviluppo”, bilaterale e multilaterale. 2. Gli stanziamenti iscritti nel bilancio di previsione dello Stato destinati all’aiuto pubblico allo sviluppo in tutte le sue forme dovranno essere calcolati tenendo conto degli impegni internazionali dello Stato. 3. [comma abrogato] 4. Con gli stanziamenti disposti sulla apposita rubrica di cui all’art.14 comma 1 lett.a) [..], la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo è autorizzata a provvedere alle spese per il personale aggiuntivo di cui agli articoli 12 e 16; per l’organizzazione, la sistemazione logistica ed il funzionamento della Direzione generale stessa e della Segreteria del CICS, del Comitato consultivo e del Comitato direzionale, sovvenendo ai relativi fabbisogni anche con l’acquisizione di servizi esterni di carattere tecnico e operativo, direttamente e senza le formalità previste nell’articolo 24 del regio decreto 20 giugno 1929, n. 1058, e successive modificazioni; per l’indennità di lavoro straordinario e per le missioni del dipendente personale ordinario, comandato e aggiuntivo; per le missioni, all’estero e in Italia, disposte dalla Direzione generale per l’espletamento dei compiti di controllo, gestione e valutazione di cui agli articoli 10 e 12, nonché per il finanziamento delle visite in Italia di qualificate personalità di Paesi in via di sviluppo e di organismi donatori bilaterali e multilaterali, invitate per la trattazione, con la Direzione gen- del servizio militare hanno diritto ad ottenerne in tempo di pace la definitiva dispensa dal Ministero della difesa. 3. Le condizioni di ammissione ai rinvii e alla dispensa definitiva sono stabilite con decreto del Ministro della difesa. di concerto con il Ministro degli affari esteri, 4. Nel caso in cui un volontario, pur avendo tempestivamente iniziato il servizio all’estero cui si è impegnato, non raggiunga il compimento di un biennio di servizio, decade dal beneficio della dispensa. Tuttavia, se l’interruzione avviene per i motivi di cui al comma 4 dell’articolo 34 o per documentati motivi di salute o di forza maggiore, il tempo trascorso in posizione di rinvio nel Paese di destinazione è proporzionalmente computato ai fini della ferma militare obbligatoria. Art. 36 (Banca dati informativi) 1. E’ istituita presso la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo una banca dati in cui sono inseriti tutti i contratti, le iniziative, i programmi connessi con l’attività di cooperazione disciplinata dalla presente legge e la relativa documentazione. 2. L’accesso alla banca dati è pubblico salvo i limiti previsti dall’ordinamento 3. Le modalità di accesso saranno disciplinate dal regolamento di cui all’articolo 38. 4. In attesa dell’entrata in funzione della banca dati, la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo è tenuta comunque a garantire l’accesso alle informazioni di cui al comma 1. 94 Comuni d’Europa Legge 26 febbraio 1987, n. 49 2. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Comitato direzionale esamina le singole iniziative di cui al comma 1, verifica il relativo stadio di attuazione, adotta, ove necessario, i provvedimenti adeguati, e delibera quali devono essere attribuite alla gestione dell’unità operativa di cui al comma 4 dell’articolo 11. Fino a tale momento la gestione operativa delle iniziative è assicurata dagli uffici esistenti. 3. Gli organismi di amministrazione attiva, di controllo e consultivi, previsti dalla presente legge, sono istituiti entro trenta giorni dalla entrata in vigore della legge stessa. 4. La documentazione, anche contabile, delle precedenti gestioni istituite in base alle leggi 9 febbraio 1979, n. 38 , e 8 marzo 1985, n. 73 , è trasferita al Comitato direzionale alla data di entrata in vigore della presente legge. 5. Le leggi 9 febbraio 1979, n. 38 e 8 marzo 1985, n. 73, sono abrogate. 6. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. erale, dei problemi attinenti, in applicazione della presente legge, alla cooperazione allo sviluppo. [..] Art. 38 (Disposizioni transitorie e finali) l. Entro due mesi dall’entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro degli affari esteri, sentito il Ministro del tesoro nonché le altre amministrazioni dello Stato interessate, sarà emanato il regolamento contenente le norme di esecuzione. Dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino all’emanazione dei decreti di attuazione del Ministro degli affari esteri, il Comitato direzionale, anche nella composizione di cui all’articolo 9, impartisce le direttive per assicurarne l’immediata operatività e per garantire la continuità delle iniziative in corso di attuazione alla data del 28 febbraio 1987 in base alle leggi 9 febbraio 1979, n. 38, e 8 marzo 1985, n. 73 . A tal fine il Comitato direzionale adotta, con propria delibera, i provvedimenti necessari, ivi compresa la proroga di tutti i contratti, anche di lavoro. n. 16 • giugno 2007 95 Errata corrige Nel numero precedente di Comuni d’Europa, il n° 15 di marzo 2007, nell’articolo su “Informatore europeo per le Istituzioni locali” pubblicato nella rubrica I DOCUMENTI, sono apparse alcune inesattezze che volentieri qui di seguito rettifichiamo - alla p. 67, penultimo capoverso, penultimo periodo: “Le unità di competenza così descritte possono essere selezionate …” (manca il verbo essere, e dunque non è chiaro il senso del periodo) - alla pag. 70, tra i profili declinabili dalla figura, aggiungere: “Informatore europeo per la tutela del patrimonio artistico e culturale”, dopo “Informatore europeo per la tutela industriale e intellettuale” - alla pag. 89, inserire, nella colonna delle conoscenze (prima colonna), in corrispondenza della riga in cui è scritto, nella seconda colonna, “sa definire indici di valutazione … “, il seguente periodo: “E’ in grado di valutare le politiche pubbliche locali nel contesto di una valutazione condivisa e nel rispetto dei principi dello sviluppo sostenibile” I nostri obiettivi? Promuovere una cittadinanza attiva in Europa Realizzare nuove forme di cooperazione tra cittadini ed istituzioni Promuovere la Pace e i Diritti umani ovunque sia possibile Lavoriamo perché queste speranze non restino parole vuote Se condividi questi obiettivi, puoi contribuire destinando il 5x1000 all’Associazione PMG, Peace-makers for the local governance, nella prossima dichiarazione dei redditi. Firma nel riquadro “Sostegno alle associazioni di promozione sociale” ed inserisci il codice fiscale dell’Associazione: 97247540582 Il nostro sito web: www.pmgovernance.org La nostra e-mail: [email protected] GRAZIE