Indice
Presentazione, di Maria Grazia Guida
Introduzione, di Salvatore Mirante e Maria Cristina Iovinella
Prima parte
La mediazione: significati e pratiche
1. La mediazione in Italia: una fotografia in movimento, di
Manuela Fumagalli
Un po’ di storia…
I percorsi formativi
Ambiti di intervento
2. Stare ai confini: la mediazione nella scuola multiculturale, di Graziella Favaro
Un dispositivo per una scuola che include
Il mediatore nella scuola che cambia
Fasi della scuola e compiti di mediazione
Definizioni e compiti nella normativa
Verso i genitori: informare e accompagnare
Verso i minori: una figura di prossimità
Verso gli insegnanti: facilitare e mettere in relazione
Pratiche di integrazione e pratiche di riconoscimento
Compiti e dimensioni della mediazione
Indicatori di qualità
La scuola: luogo di molteplici mediazioni
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3. Il progetto Mediante: dati e modello organizzativo, di
Simona Boffi, Manuela Fumagalli, Simona Panseri
Il Progetto
I dati
Seconda parte
I protagonisti dell’incontro mediato
4. Tra scuola e famiglia: storie di mediazione, di Graziella
Favaro
Educare un figlio altrove
Storie famigliari differenti
Legami famigliari tra qui e là
Una migrazione nella migrazione
La rappresentazione della scuola
Genitori sulla soglia
Disturbi di apprendimento
Mediare, non espropriare
5. In ascolto dei bambini e dei ragazzi: quando i mediatori
“traducono” storie, di Graziella Favaro
Dentro e fuori dai confini
Soli per il mondo
Vulnerabilità e sfide
Le relazioni con i pari
Vicinanze e distanze
Accompagnare nella città
La storia di C.: potersi dire nella propria lingua
“Mi hanno perso un anno”
Figure di prossimità
Il mediatore in ascolto
6. I mediatori e le mediatrici, di Graziella Favaro
Chi sono
Le attività svolte
La formazione, il coordinamento, la supervisione
La documentazione prodotta
Allegati. La modulistica dello sportello Mediante, a cura di
Simona Boffi, Simona Panseri
Bibliografia, a cura di Manuela Fumagalli
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Presentazione
L’evidenza del fenomeno migratorio, concepito non soltanto come questione di emergenza o assistenziale ma come straordinaria opportunità
per conoscere altre esperienze, oltre alla massiccia presenza straniera nelle scuole milanesi, sollecitano una risposta razionale ed efficace. È necessario infatti promuovere il dialogo e la convivenza costruttiva tra soggetti
che appartengono a culture diverse, e la creazione della reciproca disponibilità a superare i propri limiti. Per questo bisogna sostenere un’educazione
alle relazioni interculturali, consapevoli che la globalità è un punto di vista
da raggiungere, una capacità di visione di assunzione dei problemi, al di là
di un’ottica particolaristica.
Per arrivare a una società dal volto plurale è necessario quindi partire dall’istruzione. La sfida è quella di creare una scuola capace di produrre
culture in grado di sostenere il dialogo e la coabitazione tra modi differenti
di pensare, di vivere, di presentare le proprie esperienze emotive, le proprie
dimensioni anche religiose e rituali. Per qualsiasi processo di integrazione,
di comunità, che accoglie in positivo la sfida di presenze diverse, la scuola è davvero un luogo strategico. È uno straordinario punto di partenza per
dare chanche all’uguaglianza.
Nasce così il progetto “Mediante. Nella scuola e nella città di Milano”
che mette a disposizione servizi di mediazione linguistica e culturale per
consentire l’accesso della popolazione straniera alle iniziative del Comune,
arricchendo le attività già promosse dall’Ente. Nel particolare si dà sostegno ai minori neo-arrivati, per favorire così l’accoglienza e l’integrazione
scolastica, e alle loro famiglie, per facilitare lo sviluppo della propria consapevolezza di ruolo nei confronti della scuola.
L’impegno verso un’educazione interculturale coinvolge tutta la comunità
educativa, affiancata dai mediatori, figure professionali di alta competenza,
determinanti per instaurare un confronto positivo tra i docenti e le famiglie.
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Questa pubblicazione racconta la nascita e l’evoluzione del Progetto che,
seguendo una metodologia innovativa e attenta alle specificità di ciascun
caso, può garantire i diritti dei giovani stranieri.
Maria Grazia Guida
Vice-sindaco e Assessore Educazione e Istruzione
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Introduzione
Qualunque monaco girovago può fermarsi in un tempio Zen, a patto che sostenga
coi preti del posto una discussione sul Buddhismo e ne esca vittorioso. Se invece
perde, deve andarsene via.
In un tempio nelle regioni settentrionali del Giappone vivevano due confratelli
monaci.
Il più anziano era istruito, ma il più giovane era sciocco e aveva un occhio solo.
Arrivò un monaco girovago e chiese alloggio, invitandoli secondo la norma a un
dibattito sulla sublime dottrina. Il fratello più anziano, che quel giorno era affaticato dal molto studio, disse al più giovane di sostituirlo. “Vai tu e chiedigli il dialogo muto” lo ammonì.
Così il monaco giovane e il forestiero andarono a sedersi nel tempio.
Poco dopo il viaggiatore venne a cercare il fratello più anziano e gli disse: “II tuo
giovane fratello è un tipo straordinario. Mi ha battuto”.
“Riferiscimi il vostro dialogo” disse il più anziano.
“Bè”, spiegò il viaggiatore “per prima cosa io ho alzato un dito, che rappresentava
Buddha, l’Illuminato. E lui ha alzato due dita, per dire Buddha e il suo insegnamento.
Io ho alzato tre dita per rappresentare Buddha, il suo insegnamento e i suoi seguaci, che vivono la vita armoniosa.
Allora lui mi ha scosso il pugno chiuso davanti alla faccia, per mostrarmi che tutti
e tre derivano da una sola realizzazione. Sicché ha vinto e io non ho nessun diritto
di fermarmi”. E detto questo, il girovago se ne andò.
“Dov’è quel tale?” domandò il più giovane, correndo dal fratello più anziano.
“Ho saputo che hai vinto il dibattito”.
“Io non ho vinto un bei niente. Voglio picchiare quell’individuo”,
“Raccontami la vostra discussione” lo pregò il più anziano.
“Accidenti, non appena mi ha visto lui ha alzato un dito, insultandomi con l’allusione che ho un occhio solo.
Dal momento che era un forestiero, ho pensato che dovevo essere cortese con lui e
ho alzato due dita, congratulandomi che avesse due occhi.
Poi quel miserabile villano ha alzato tre dita per dire che tra tutti e due avevamo
soltanto tre occhi.
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Allora ho perso la tramontana e sono balzato in piedi per dargli un pugno, ma lui
è scappato via e così è finita”.
L’anziano monaco sorrise.
(Tratto da “101 Storie Zen”, Adelphi)
Tra i due monaci sarebbe stata utile una mediazione linguistica? Se si
fossero parlati si sarebbero capiti? Forse un po’ di più.
Ma se la regola del colloquio silenzioso va rispettata (nel nostro caso: se
i due che devono comunicare non hanno competenze linguistiche comuni)
esiste una “mediazione gestuale”, e quindi una competenza che sa tradurre
i gesti ed i loro significati?
Nel testo si parla di una funzione di “riconoscimento” che il mediatore ha scoperto di doversi assumere. Non è forse questa la mediazione “gestuale”, quella mediazione che va a cercare il senso ed il significato del non
detto, dell’agito (i gesti sono azioni)?
La didattica ha o non ha, nel suo corpus, le competenze per “decodificare” i significati di cui sono portatori i gesti (il non verbale: mimica, agìti,
ecc.) degli allievi?
Se così è, o dovrebbe essere, allora le nuove competenze di mediazione
legate ai ragazzi stranieri dovranno essere “incorporate”, inserite nel corpus della didattica e, così, la funzione degli attuali mediatori non verrà meno, ma ne sarà rafforzata e chiarita.
Non si dovrà fornire più uno sportello, che rimanda all’usa e getta, all’uso occasionale, ad hoc; ma si fornirà un servizio o una funzione integrativa
della funzione di mediazione che il docente ha insito nel suo ruolo.
Di questo ci parla l’esperienza descritta in questo libro; su questo la
scuola – e la società – si sta interrogando con risposte tra loro alternative
per la cui sintesi l’esperimento Mediante può essere un ottimo contributo.
Salvatore Mirante*
* Direttore del Settore Minori e Giovani dell’Assessorato Educazione e Istruzione.
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La società italiana negli ultimi dieci anni ha subito un cambiamento radicale: uno dei principali fattori alla radice di tale cambiamento è rappresentato dall’immigrazione che è passata da fenomeno sporadico a realtà stanziale e strutturale sempre più legato all’andamento ed al fabbisogno
del mercato del lavoro. Di conseguenza si avverte sempre di più, anche nelle scuole, la presenza di alunni con cittadinanza non italiana e la convivenza di diverse culture nello stesso contesto scolastico.
Da qui la necessità di attrezzare le scuole affinché sia possibile anche
una comunicazione più agevole tra le parti tenendo conto delle diversità culturali e linguistiche che non certo facilitano la soluzione di situazioni
conflittuali o semplicemente la comunicazione fra le parti.
Attraverso il progetto “Mediante. Nella scuola e nella città di Milano”,
finanziato con Fondo Europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi Terzi, il Comune di Milano, insieme al Centro Come della Cooperativa Farsi Prossimo e con la collaborazione dei Poli Start ha sviluppato un sistema
di servizi di mediazione linguistico culturali per offrire un servizio altamente qualificato di traduzione, mediazione ed interpretariato, in particolare per orientare le famiglie nella scelta della scuola dei propri figli, per
l’accoglienza e l’inserimento scolastico dei figli degli immigrati ed in generale per rendere più agevole i servizi che il Comune offre ai suoi cittadini.
Oggi i dati ufficiali del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ci sottolineano che la presenza di bambini stranieri nelle scuole italiane è molto elevata ed è cresciuta di circa 40 volte in dieci anni, a
Milano negli ultimi anni dopo aumenti consistenti si è passati a percentuali più stabili; infatti da 41.963 alunni nelle scuole primarie statali di cui
8.609 stranieri (20,52%) e da 25.032 alunni nella secondaria statale di primo grado di cui 5.077 (20,28%) dell’anno scolastico 2007/08, ci si è atte11
stati nell’anno scolastico corrente (2010/11) sulla presenza di 56.307 bambini, di cui 10.840 stranieri (19,25%) nella scuola primaria e 33.251 ragazzi
nella secondaria di primo grado di cui 6.577 stranieri (19,78%).
Ciò ci porta sempre più spesso al confronto, a nuove sfide da affrontare per promuovere l’incontro fra le diverse culture e per creare le condizioni più favorevoli per l’accoglienza e l’integrazione ed in alcuni casi a dover
gestire situazioni di conflitto; ecco che nasce, quindi, l’idea di sviluppare
un progetto specifico “Mediante. Nella scuola e nella città di Milano” per
venire incontro alle esigenze delle famiglie straniere e favorire l’integrazione scolastica.
In generale possiamo dire che in Italia si comincia a parlare di mediazione negli anni ’80, in particolare della gestione del conflitto nell’ambito
familiare, nei casi di separazione e divorzi.
L’obiettivo era quello di dare un aiuto ai genitori ed ai figli in un momento così delicato della vita familiare, promuovendo il dialogo fra le parti per permettere l’esercizio della funzione genitoriale attraverso una presa
di coscienza ed una effettiva cooperazione fra i coniugi dopo la separazione ed il divorzio. Anche nella scuola, ormai da anni si parla di mediazione,
in particolare di mediazione interculturale.
Ma chi è il mediatore se non un facilitatore della comunicazione tra
le parti per la soluzione di una situazione conflittuale? Si tratta di persone, molto spesso straniere già ben integrate nel tessuto sociale italiano che
all’occorrenza si fanno carico di tradurre documenti, interpretare e anche
compilare la modulistica, riguardanti il rinnovo dei permessi di soggiorno,
la presentazione della dichiarazione dei redditi, la documentazione richiesta
da presentare agli uffici competenti, l’iscrizione dei figli a scuola, in poche
parole facilitare l’accesso degli immigrati ai singoli servizi.
Questa è una funzione conosciuta in molti paesi di immigrazione, dove
è richiesta una competenza tecnico-professionale per aiutare chi non è in
grado di svolgere le proprie pratiche da solo.
Nella scuola, in particolare nella città di Milano, dove la presenza di
alunni con cittadinanza non italiana sia di prima che di seconda generazione, come ho già detto, assume connotazioni evidenti, è sempre più crescente l’esigenza di offrire servizi specifici per l’accoglienza, l’integrazione e
l’inserimento dei bambini stranieri e delle loro famiglie.
Per far fronte alle richieste sempre più crescenti di informazioni ed
orientamento specifico nell’ambito scolastico ed integrando i servizi già
esistenti, è stato pensato il progetto “Mediante. Nella scuola e nella città
di Milano”, che anche attraverso un’attenta analisi, valutazione e riflessione delle attività e dei risultati ottenuti ha creato uno strumento utile anche
ai fini della trasferibilità futura. È stato perciò attivato uno sportello, pres12
so i Servizi Educativi Adolescenti in Difficoltà di via Pastrengo 6, divenuto punto di riferimento per le scuole milanesi in caso di richieste di mediazione linguistica culturale in fasi diverse (prima accoglienza degli studenti
stranieri, colloqui con i genitori, orientamento dopo la terza media), di traduzioni ed interpretariato, si tratta di interventi diretti su un piano culturale
/interculturale, ma anche su un piano sociale e relazionale.
Il tutto in stretta sinergia con i quattro Poli territoriali ed in rete con le
scuole, attraverso uno stesso modello metodologico per fornire strumenti di conoscenza ed informazione che permettono alle famiglie straniere
di capire meglio la realtà scolastica italiana; quali sono i diritti ed i doveri dei propri figli, quale scuola scegliere e come essere facilitati nel capire i meccanismi interni ed a volte complicati del nostro sistema scolastico,
comprendere le circolari ed i comunicati inviati alle famiglie, poter iscrivere il proprio figlio ad un centro estivo riuscendo ad esserne coinvolti direttamente, di fatto come orientarsi per un inserimento soddisfacente nella
struttura della società italiana. La presenza di difficoltà comunicative, spesso, può rendere difficile la relazione fra le parti determinando una maggiore difficoltà all’integrazione nella scuola e nel tessuto sociale; si evince quindi la necessità di politiche sociali, servizi efficienti sul territorio per
poter accompagnare il processo verso un’integrazione piena e che si traduca in diritti e doveri, tutele e prestazioni, per poter costruire una società multiculturale che contribuisca alla crescita economica e sociale del nostro Paese.
Sono convinta che affinché vi sia vera integrazione gli immigrati debbano sentirsi parte attiva ed integrante del nostro paese; ciò comporta una conoscenza dei diritti e doveri, nonché di un minimo di conoscenza dei nostri
usi e costumi. La vera sfida per una società multiculturale consiste, appunto, nell’integrarsi in una società con usi e costumi diversi, senza dimenticare o rinunciare ai propri. Questa, secondo me, è la vera sfida del futuro e
per le future generazioni che vogliano “integrarsi” pienamente in un paese
nuovo e sentirsi cittadini attivi a tutti gli effetti.
Maria Cristina Iovinella
Responsabile Ufficio Minori e Giovani
dell’Assessorato Educazione e Istruzione
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Prima parte
La mediazione: significati e pratiche
1. La mediazione in Italia:
una fotografia in movimento
di Manuela Fumagalli
Un po’ di storia…
La storia della “mediazione”, in senso ampio, ha origini lontane e la letteratura, gli studi, le ricerche in proposito costituiscono ormai un vasto materiale di analisi e riflessione. La mediazione ha conosciuto e conosce diffusione in vari ambiti e servizi” ma, prima di addentrarci nell’analisi della
mediazione linguistico culturale, è necessario sottolineare che la mediazione è innanzitutto un concetto ampio, un approccio insito nelle professioni sociali; saper mediare, interrogarsi, aprire piste di dubbio, sospendere
i giudizi, trovare territori comuni, riflettere sul proprio modo di concepire la professione dovrebbero essere componenti della professionalità di tutti
gli operatori sociali, educativi, scolastici. È quindi una competenza diffusa,
che si declina in modi differenti a seconda degli ambiti di lavoro, dei soggetti coinvolti, delle modalità utilizzate.
Se ci avviciniamo al mondo della “mediazione linguistico culturale”, va
sottolineato come le pratiche di mediazione si sono specializzate sul fronte culturale ed interculturale con l’intensificarsi dei processi migratori e che
la mediazione interculturale è diventata pian piano una professione centrata
sulle competenze linguistiche e relazionali, agite da un professionista della
comunicazione mediata, appositamente formato a tale lavoro: il mediatore
e la mediatrice interculturale.
La mediazione fa dunque riferimento ad un particolare tipo di intervento/dispositivo che si inserisce all’interno di contesti sociali e territoriali caratterizzati dalla presenza di popolazioni migranti, dove persone che non
condividono la stessa lingua e le medesime appartenenze culturali entrano
in contatto e comunicazione, e, di conseguenza, l’intervento del mediatore
ha come finalità generale il superamento delle barriere comunicative di tipo linguistico e culturale che possono presentarsi nell’interazione con i migranti (Luatti, 2011).
17
La riflessione in atto in questi ultimi anni sul concetto, le pratiche, gli
usi, gli scopi della mediazione ha contribuito a chiarirne sempre più l’utilità e le potenzialità, ma ne ha contemporaneamente evidenziato i confini, i limiti, le contraddizioni. Molteplici questioni rimangono ancora aperte:
l’uso del dispositivo della mediazione all’interno dei servizi, i rapporti con
l’organizzazione e gli operatori, l’intreccio fra competenze, formazione,
mansioni. In particolare, l’analisi di alcuni passaggi appare fondamentale
per poter accompagnare il lavoro di mediazione verso un pieno riconoscimento: le attuali normative, la definizione del profilo e della figura professionale, le esperienze di formazione, la collocazione lavorativa.
Dalla complessità di una professione tuttora in definizione discendono
anche i tanti nomi della mediazione e del mediatore.
Dal punto di vista linguistico, vi possono essere sottolineature diverse dell’una o dell’altra funzione e dello spazio assegnato al mediatore, già
a partire dal nome con il quale si indica questa figura (Favaro, Fumagalli 2004):
Per le funzioni di “tramite e ponte” si utilizzano più spesso i termini:
• mediatore linguistico-culturale;
• mediatore culturale;
• mediatore interculturale;
• mediatore del conflitto;
Per le funzioni di “portavoce e difensore” del gruppo minoranza:
• mediatore etnico;
• mediatore di comunità;
• operatore comunitario;
• leader o rappresentante del gruppo;
• agente di sviluppo comunitario.
Per le funzioni di “traghettatore”, che si esprimono soprattutto attraverso
la traduzione e la facilitazione linguistica e sociale:
• mediatore linguistico;
• interprete sociale;
• traduttore;
• facilitatore linguistico;
Nel corso degli anni sono state dunque usate molteplici denominazioni
per indicare la medesima figura professionale. I più recenti documenti istituzionali definiscono la mediazione come “interculturale”, scelta che sottolinea il ruolo e la funzione socio-culturale di “costruttori di ponti”.
Ma come si è sviluppata la mediazione in Italia e quali gli attuali punti di attenzione per la professione? Sono trascorsi più di vent’anni dalla realizzazione delle prime esperienze di mediazione e, in questo tempo, è
avvenuto un rapido diffondersi di esperienze, pratiche, progetti, che ha at18
traversato varie fasi di storia, nelle quali sono cambiate le tematiche emergenti, le attenzioni e le priorità. Alcuni studiosi (Luatti 2011) ne hanno individuate cinque:
• sperimentazione e creatività;
• sviluppo del livello formativo;
• diffusione e silenzio isolamento;
• azione autonoma verso la costituzione di una categoria professionale;
• pluralizzazione e dispersione degli ambiti lavorativi del mediatore e di
azione istituzionale finalizzata al riconoscimento della figura professionale.
Una modalità interessante per ripercorrere il cammino della mediazione
interculturale è quella di analizzare i documenti (legislazione, note, ricerche…) che sono stati prodotti da differenti e variegati soggetti (istituzioni,
associazioni, gruppi di mediatori…), rispecchiando il dibattito e gli orientamenti interni ed esterni alla professione.
Normativa nazionale
Solo a partire dalla legge 40/98 la normativa nazionale ha fatto esplicito riferimento alla mediazione. Infatti l’art. 40 della stessa legge (recepito
dall’art. 42 del T.U. 286/98) recita:
Lo Stato, le Regioni, Le Province, e i comuni, nell’ambito delle proprie competenze, favoriscono […] la realizzazione di convenzioni con associazioni […] per l’impiego all’interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di soggiorno o
di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali, al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli
stranieri appartenenti a diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi.
La legge non definisce l’attività di mediazione, ma introduce il termine di “mediatori interculturali” in una normativa nazionale, contemplando
le misure per favorire l’integrazione degli immigrati e affermando esplicitamente la possibilità di convenzioni con le associazioni iscritte nell’apposito albo. Dunque, ciò che attiene all’attività di mediazione si concretizza nell’opera di facilitazione/agevolazione del rapporto tra gli stranieri e le
pubbliche amministrazioni, in ambiti che non vengono definiti ma che si
possono evincere dalla pratica lavorativa e da altri articoli di normative di
settori specifici.
In particolare, per quanto riguarda l’ambito scolastico, sempre la l.
40/98, all’art 36 (recepito dall’art. 38 della legge 189/02) determina la “necessità di stabilire i criteri e le modalità di comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l’ausilio di mediatori qualificati”. Già
la C.M. 205 del 1990 aveva comunque sottolineato come “l’intervento degli enti locali e la collaborazione delle comunità e delle famiglie consente
19
in alcuni sedi scolastiche l’impiego di mediatori madrelingua per sostenere l’inserimento e attuare iniziative per la valorizzazione della lingua e cultura d’origine”. In seguito il DPR 394 del 1999 ha previsto che “il collegio
docenti formula proposte in ordine ai criteri e alle modalità per la comunicazione tra la scuola e la famiglie degli alunni stranieri. Ove necessario,
anche attraverso intese con l’ente locale, l’istituzione scolastica si avvale
dell’opera di mediatori culturali qualificati”.
L’art. 40 della l. 40/98 contiene altri punti che individuano una serie di
iniziative finalizzate alla piena integrazione degli immigrati. Nello specifico si prevedono, quale terreno per le attività interculturali, alcune azioni
possibili: corsi di lingua e cultura dei paesi d’origine; diffusione di informazioni relative ai diritti doveri e alle possibilità di integrazione; prevenzione di atti di razzismo e xenofobia; organizzazione di corsi di formazione; iniziative contro la discriminazione. Secondo alcuni autori (Andolfi,
2003) tali attività possono rientrare nell’area di competenza della mediazione linguistico culturale, svolta principalmente dalle associazioni, nel territorio e nella società, poiché in questi campi hanno operato e si sono formati alcuni dei primi mediatori presenti in Italia e la mediazione, essendo
inerente alla problematica del rapporto tra culture, investe il campo della
lotta al pregiudizio e al razzismo.
Una menzione particolare merita altresì l’art. 12 della 328/20001, che
non riguarda direttamente la mediazione culturale, ma che interseca e si inserisce a pieno titolo nel cammino per la definizione del profilo professionale del mediatore/trice. Infatti, tale articolo prevede che:
vengano definiti i profili professionali delle figure professionali sociali da formare con corsi di laurea; da formare con corsi di formazione organizzati dalle Regioni (stabilendo criteri generali riguardanti l’accesso, la durata, l’ordinamento didattico) e vengano definiti i criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei profili
professionali esistenti.
Alla Commissione per la definizione dei profili professionali, organismo
interministeriale, spetta il compito di definire le figure formate con corsi di
laurea e a livello regionale e stabilire criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei titoli.
1. “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi
sociali”.
20
Tab. 1 - Elenco della normativa nazionale
Anno
Legge
Articolo
Contenuto
1998
n. 40
40
1998
T.U. 286 42
2002
n. 189
42
Possibilità di “realizzazione di convenzioni con
associazioni […] per l’impiego all’interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di
soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali, al fine di agevolare i rapporti
tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti a diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi”
1998
n. 40
36
1998
T.U. 286 38
2002
n. 189
38
1998
n. 40
40
1998
T.U. 286 38
2002
n. 189
1999
DPR 394
2000
n. 328
42
Necessità “di stabilire i criteri e le modalità di
comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l’ausilio di mediatori qualificati”
Promozione di “corsi di lingua e cultura d’origine; diffusione di informazioni al positivo inserimento degli stranieri; prevenzione delle discriminazioni razziali; valorizzazione delle
espressioni culturali e religiose…”
“Il collegio docenti formula proposte in ordine ai criteri e alle modalità per la comunicazione tra la scuola e la famiglie degli alunni stranieri. Ove necessario, anche attraverso intese
con l’ente locale, l’istituzione scolastica si avvale dell’opera di mediatori culturali qualificati”
12
Definizione dei “profili professionali delle figure professionali sociali da formare con corsi
di laurea; da formare con corsi di formazione organizzati dalle Regioni (stabilendo criteri
generali riguardanti l’accesso, la durata, l’ordinamento didattico) e… i criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei profili professionali esistenti”
Proposte di legge
La necessità di potenziare, definire e valorizzare la professione dei mediatori, viene rilanciata attraverso la presentazione di ben tre proposte di
legge nel periodo 2009-2010, due delle quali (la n. 2138 e la n. 2185) a solo
otto giorni di distanza l’una dall’altra.
21
Tab. 2 - Proposte di legge
Anno
Proponente
Denominazione
2009
Camera dei Deputati
Iniziativa Deputato
Aldo Di Biagio
Proposta di legge n. 2138 “Delega al Governo per l’istituzione dell’Albo dei mediatori interculturali”
2009
Camera dei Deputati
Iniziativa Deputato
Jean Leonard Touadi
(e circa 70 altri)
Proposta di legge n. 2185 “Disciplina della professione di mediatore interculturale e delega al
Governo in materia di ordinamento dei corsi di
formazione per il suo esercizio”
2010
Camera dei Deputati
Iniziativa Deputato
Delia Murer (e altri
15)
Proposta di legge n. 3525 “Disciplina della professione di mediatore interculturale”
Documenti
Le iniziative di riflessione e discussione a carattere locale, regionale, nazionale, nate allo scopo di fare il punto sulle iniziative e progetti esistenti,
aprire un confronto su concezioni ed usi della risorsa di mediazione, identificare terreni comuni di proposte per il riconoscimento del ruolo e del relativo
percorso formativo, hanno spesso prodotto interessanti sintesi e documenti.
Tab. 3 - Documenti
Anno
Ente/istituzione
Documento
2000
Organismo nazionale
di Coordinamento
per le Politiche di
Integrazione Sociale
degli stranieri Consiglio Nazionale
Economia e Lavoro
Politiche per la mediazione culturale. Formazione ed impiego dei mediatori culturali
2002
Ministero del Lavoro
Ministero dell’Interno
Ministero della
Giustizia
Ministero
dell’Istruzione
Ministero
dell’Università
Ministero della Salute
Nota del gruppo di lavoro interministeriale
22
Tab. 3 - segue
Anno
Ente/istituzione
Documento
2002
Caritas di Roma
- Forum per
l’intercultura
Formazione ed impiego dei mediatori culturali
2009
Conferenza delle
Regioni e delle
Province Autonome
Riconoscimento della figura professionale del
Mediatore interculturale
2009
Organismo nazionale
di Coordinamento
per le Politiche di
Integrazione Sociale
degli stranieri Consiglio Nazionale
Economia e Lavoro
Mediazione e mediatori interculturali: indicazioni operative
2009
Unione Europea,
Ministero dell’Interno
Linee di indirizzo per il riconoscimento della figura professionale del mediatore interculturale
I percorsi formativi
I primi corsi di formazione per mediatori e mediatrici risalgono all’inizio degli anni ’90 e sono stati organizzati in modo sperimentale da cooperative, enti, associazioni, sulla spinta della consapevolezza che la spontaneità della mediazione andasse supportata da percorsi e processi qualificanti e
che una buona collaborazione richiedesse di poter contare su figure professionali. In quegli anni l’aumento di richiesta di mediazione da parte degli
operatori e dei servizi richiedeva la necessità di formare persone per precisi ambiti di lavoro, permettendo loro l’acquisizione di competenze specifiche. Dopo questa prima fase legata quasi esclusivamente all’iniziativa privata, si è assistito ad una maggior collaborazione con il pubblico, che ha
dato origine alla nascita di corsi finanziati dalle istituzioni e gestiti in collaborazione con associazioni, cooperative ecc., oppure a formazioni coinvolgenti più parterns, anche internazionali, e finanziate da progetti del
Fondo Sociale Europeo. Spesso grazie all’opera di sensibilizzazione delle agenzie-cooperative, all’impegno delle istituzioni e all’istaurarsi di buone sinergie, i corsi sono stati riconosciuti in ambito comunale e provinciale
per poi, raramente, essere istituiti direttamente dalle Regioni, permettendo
così ai/alle partecipanti l’acquisizione di un attestato regionale, ma soprattutto sancendo la necessità e il riconoscimento dell’utilità di questa profes23
sione e di un relativo percorso di studi. È degli ultimi anni l’iniziativa delle
Università che hanno istituito corsi di laurea, con caratteristiche e connotazioni fra loro simili ma molto differenti dalle pregresse esperienze formative nel campo della mediazione e che hanno aperto ulteriori possibilità ma
anche complessità in questo settore. Di contro, in un panorama così articolato e con ulteriori incertezze e contraddizioni relative alla collocazione lavorativa dei mediatori/trici, le associazioni, cooperative, agenzie, hanno
tendenzialmente riconvertito le proprie energie su aspetti formativi mirati (es: approfondimento di settori specifici) o sul supporto alla creazione di
imprese o all’autoimprenditorialità, anche in attesa di conoscere l’esatta definizione del profilo professionale.
Seppur nati da bisogni simili, i corsi spesso presentano ampie differenze,
a seconda degli obiettivi, destinatari, durata, canali di finanziamento, possibilità di inserimento lavorativo. Alcuni sono stati effettuati dopo la realizzazione di ricerche, altri hanno preso origine da necessità legate a servizi
specifici, altri ancora sono stati sollecitati da richieste continue, alcuni hanno prodotto la creazione di cooperative di mediatori/trici. Questa spiccata
eterogeneità non ha certo favorito una definizione istituzionale e nazionale
della figura professionale.
Il tema della formazione è dunque cruciale sia per la costruzione della professionalità dei mediatori, che per una sua definizione in vista del riconoscimento del titolo. E poiché la tematica è di vitale importanza, ha assunto particolare rilievo negli ultimi anni, attraverso contributi e riflessioni,
che hanno contribuito a definire alcune linee comuni per una “buona” formazione.
La prima è costituita dalla necessità di riconoscere uno spazio di rielaborazione della propria storia, del proprio vissuto, che comporta un faticoso lavoro su di sé; un lavoro di autoriflessione che consente di trasformare
le competenze esperienziali in competenze professionali.
Vi è inoltre un ampio accordo su una formazione dei mediatori articolata su tre piani d’azione:
• formazione di base o di primo livello, con tirocinio;
• formazione di secondo livello o specialistica (per ambiti d’intervento),
con tirocinio;
• intervento formativo in itinere continuo (aggiornamento).
Accanto all’aggiornamento “contenutistico” sono necessari momenti di
supervisione, intesa come uno spazio “tutelato” in cui i mediatori e le mediatrici possano ripensare ai propri obiettivi e modalità di lavoro, al fine
di rivedere e rivalutare con metodo il loro agire professionale. Un tempo e
uno spazio di “sospensione dell’azione” entro cui concedersi riflessioni sul
piano tecnico ed emotivo.
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Se si unisce la riflessione degli studiosi con l’analisi delle pratiche lavorative, si possono integrare ulteriori aspetti a cui prestare attenzione (Luatti 2011):
• formazione congiunta (mediatori ed operatori);
• formazione al lavoro in equipe;
• formazione sulle dinamiche della comunicazione mediata (traduzione e
interpretariato).
Ambiti di intervento
Sono sempre più numerosi gli enti e i servizi che fanno richiesta dei mediatori. Inizialmente il dispositivo della mediazione veniva richiesto dalle istituzioni nelle situazioni di emergenza e di prima accoglienza connesse
alla gestione del fenomeno migratorio, per esigenze di controllo e di contrasto all’immigrazione clandestina e di accoglienza e protezione umanitaria dei migranti, ma ben presto è divenuta uno strumento delle politiche e
dei processi di integrazione.
Ora ai contesti di tradizionale intervento (sanitario, sociale, scolastico,
ospedaliero…) se ne sono aggiunti di nuovi, definibili come emergenti in
quanto espressione dei bisogni generati dai mutamenti del fenomeno migratorio.
Per ogni ambito cambiano le richieste, il modo di intendere e di fare il
lavoro di mediazione; cambiano i bisogni, gli obiettivi istituzionalmente
perseguiti, le culture organizzative, le competenze e conoscenze richieste.
Nove sono gli ambiti specifici individuati quali luoghi di intervento dei
mediatori (Luatti, 2011).
• Area emergenza e prima accoglienza: centri di accoglienza per migranti, centri di identificazione ed espulsione, centri accoglienza per rifugiati
e richiedenti asilo.
• Area amministrativa; uffici per l’immigrazione, sportelli Unici, sportelli
per il pubblico di enti locali, urp, anagrafe.
• Area della pubblica sicurezza: Questura, Prefettura.
• Area giudiziaria: Tribunali ordinari e per minorenni, carceri…
• Area formazione, orientamento e lavoro: centri per l’impiego, sindacati,
servizi comunali di orientamento al lavoro.
• Area sanitaria e assistenziale: ospedali, pronto soccorso, consultori, servizi per la salute mentale, centri per la salute delle donne immigrate.
• Area sociale: uffici per l’immigrazione e sportelli per il pubblico, servizi
sociali, centri di comunità e accoglienza, centri per minori, mediatori di
strada.
25
• Area educativa e scolastica: scuole, servizi educativi, CTP.
• Area culturale: biblioteche, musei, centri interculturali.
Dunque, nonostante le incertezze e i dubbi che ancora attraversano questa pratica lavorativa, si può affermare che i dispositivi di mediazione sono richiesti in modo sempre più massiccio dai servizi e daglioperatori e
che, se correttamente utilizzati, contribuiscono alla facilitazione della comunicazione e alla creazione di ponti e legami fra cittadini stranieri e servizi italiani.
Di seguito presentiamo i quadri riassuntivi dell’intervento di mediazione
in alcuni ambiti (sociale; socio-sanitario; educativo e scolastico; di prossimità e lavoro di strada; bibliotecario), analizzato attraverso i soggetti, i luoghi, le modalità, le funzioni e i risultati.
Tab. 4 - Mediazione in ambito sociale: quadro sinottico
Chi
Soprattutto donne con esperienza di migrazione
Nazionalità: straniera
Mediatrici singole o riunite in associazioni e cooperative
Dove
Servizi sociali comunali
Servi associati di Tutela Minori
Servizi materno-infantili
Come
Collaborazioni professionali, su progetto, occasionali con:
• amministrazioni comunali e locali
• cooperative e/o associazioni
Funzioni
Accoglienza dei nuclei familiari, delle donne, dei ragazzi, attraverso:
• presenza ai colloqui
• partecipazione alle visite domiciliari
• partecipazione ai momenti di scambio e comunicazione tra operatori e famiglia
Traduzione scritta di documentazione relativa al funzionamento del
servizio e di avvisi riguardanti la comunicazione servizio-famiglia
Facilitazione alla comunicazione e comprensione orale
Orientamento dei nuclei familiari alla conoscenza del territorio e all’uso dei servizi, attraverso l’informazione e l’accompagnamento
Informazione:
• ai nuclei stranieri sul funzionamento e le modalità organizzative dei
servizi
• agli operatori sui contesti di provenienza dei nuclei
Collaborazione con l’assistente sociale nella gestione della situazione, attraverso la partecipazione a:
• programmazione e verifica
• momenti di equipe e riunioni
• incontri con altri servizi coinvolti
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Tab. 4 - segue
Aiuto nella decodifica delle richieste presentate dalle persone straniere
Partecipazione a iniziative di facilitazione nel rapporto fra servizi e
nuclei stranieri
Stimolo per cambiamenti e accorgimenti organizzativi
Risultati
Miglioramento delle modalità e degli strumenti di accoglienza e comunicazione, con diminuzione di rischi di fraintendimenti e di attivazione di interventi non idonei
Creazione di rapporto di fiducia fra operatori e famiglie
Uso corretto dei servizi da parte degli utenti stranieri
Possibilità di effettuare interventi mirati su situazioni problematiche
Miglioramento di alcune condizioni lavorative degli operatori (possibilità di utilizzare comunicazioni bilingue; comunicazione più veloce;
aumento delle informazioni)
Tratto da Favaro G., Fumagalli M., Capirsi diversi. Idee e pratiche di mediazione interculturale, Carocci, Roma 2004.
Tab. 5 - Mediazione in ambito socio-sanitario: quadro sinottico
Chi
Donne e uomini con esperienza di migrazione
Dove
Consultori familiari
Servizi materno infantili
Ospedali: reparti di ostetricia e ginecologia, sale parto, pronto soccorso
Come
Collaborazioni professionali occasionali con:
• aziende ospedaliere
• ASL
• cooperative e/o associazioni
Funzioni
Accoglienza delle donne
• attività di informazioni e consulenza telefonica
• presenza nella segreteria di consultorio
• presenza ai colloqui
• partecipazione alle visite mediche
Traduzione scritta di documentazione relativa al funzionamento del
servizio e di documentazione medica e sanitaria
Facilitazione alla comunicazione e comprensione orale, attraverso la
presenza ai colloqui, visite mediche ecc.
Informazione:
• alle donne sul funzionamento e le modalità organizzative dei servizi;
sui protocolli medici; sui significati delle prescrizioni; sui tempi delle visite…
• agli utenti in generale sui significati degli interventi in atto, sulla documentazione necessaria, sulle competenze degli operatori
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Tab. 5 - segue
• agli/alle operatori/trici sul significato della domanda presentata; sui
sistema di cura sanitaria nei paesi di origine
Collaborazione con gli operatori ed operatrici, attraverso la partecipazione a:
• momenti di equipe e riunioni
• programmazione e verifica
Aiuto nella decodifica delle richieste presentate dalle utenti straniere.
Partecipazione a iniziative della struttura: corsi di preparazione al parto, momenti di scambi educativi, di informazione sanitaria…
Stimolo per cambiamenti e accorgimenti organizzativi
Risultati
Miglioramento dell’accoglienza e conseguente aumento dell’utenza
Uso corretto dei servizi da parte delle utenti straniere:
• maggior regolarità nei controlli e negli esami
• risposte più efficaci da parte del servizio
• diminuzione dei rischi sanitari (interventi di urgenza)
Snellimento di pratiche burocratiche, attraverso le comunicazioni bilingue, una raccolta anamnestica più precisa ed adeguata…
Modifica dell’organizzazione:
• cambiamenti nelle modalità di accesso
• maggior disponibilità degli operatori
Tratto da Favaro G., Fumagalli M., Capirsi diversi. Idee e pratiche di mediazione interculturale, Carocci, Roma 2004.
Tab. 6 - Mediazione in ambito educativo e scolastico: quadro sinottico
Chi
Donne e uomini con esperienza di migrazione, oppure italiani bilingui
Nazionalità: straniera o italiana
Mediatori singoli o riuniti in associazioni e cooperative
Dove
Servizi educativi per l’infanzia
Tempo per le famiglie, ludoteche, centri-gioco…
Scuole primarie
Scuole secondarie di primo e secondo grado
Formazione professionale
Attività extrascolastiche (doposcuola, centri estivi, …)
Comunità alloggio
Come
Collaborazione professionale con:
• ente locale
• con la scuola, attraverso i fondi dell’autonomia
attraverso i fondi per il diritto allo studio…
Funzioni
Accoglie (soprattutto gli alunni neo-arrivati)
Traduce avvisi, messaggi, documenti
Funziona da interprete durante i colloqui e gli incontri tra genitori e insegnanti
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Tab. 6 - segue
Accompagna gli alunni durante la prima fase di inserimento
Facilita la relazione tra scuola e famiglia immigrata
Valorizza la lingua e la cultura d’origine
Aiuta nella rilevazione delle competenze al momento dell’ingresso e
raccoglie la storia, personale e scolastica, degli alunni immigrati neoinseriti
Collabora a ricostruire la biografia linguistica dei neoarrivati
Informa gli insegnanti sul contesto e i riferimenti culturali di origine
Collabora con gli insegnanti nell’insegnamento dell’italiano L2
Collabora a progetti di educazione interculturale per tutti gli alunni
Introduce punti di vista diversi che fanno riferimento a matrici di senso percettive e culturali differenti
Risultati
Facilitazione linguistica, comunicativa e relazionale
Maggiore individualizzazione dell’insegnamento e della programmazione
Riferimento positivo e figura di identificazione per gli alunni neoarrivati
Migliore comunicazione tra scuola e famiglie
Apertura e curiosità da parte degli insegnanti e degli alunni autoctoni
nei confronti dei contesti di origine
Tratto da Favaro G., Fumagalli M., Capirsi diversi. Idee e pratiche di mediazione interculturale, Carocci, Roma 2004.
Tab. 7 - Mediazione in ambito di prossimità e lavoro di strada: quadro sinottico2
Chi
Mediatori culturali qualificati
Donne e uomini con esperienza di migrazione
Donne e uomini che hanno sperimentato in passato le situazioni di disagio su cui intervengono
Dove
Luoghi di vita e di aggregazione dei destinatari
Luoghi di esercizio della prostituzione
Drop in e servizi di accoglienza a bassa soglia comprese le unità mobili
Quartieri ed aree cittadine a forte compresenza di migranti ed autoctoni
Come
Operatore sociale
Membro di associazioni di volontariato
Membro di associazioni a matrice etnica
Funzioni
Contatto ed aggancio del destinatario
Distribuzione argomentata di materiale informativo multilingue e di
presidi di riduzione del danno
Traduzione di avvisi, segnaletica
2. La sintesi si riferisce a un servizio della Coop. Dedalus di Napoli.
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Tab. 7 - segue
Ascolto ed orientamento a servizi sociali
Partecipazione alla programmazione, progettazione, valutazione degli interventi
Analisi del contesto
Lavoro d’equipe con gli altri operatori dei servizi a bassa soglia
Facilitazione all’accesso ai servizi sociali e sanitari
Risultati
Riduzione dei rischi connessi a determinati comportamenti (prostituzione, dipendenze)
Creazione di un rapporto di fiducia fra destinatari e servizi sociali Bollate
Tratto da: Luatti L. (2011).
Tab. 8 - Mediazione in ambito bibliotecario: quadro sinottico
Chi
Donne e uomini con esperienza di migrazione oppure italiani bilingui
Nazionalità straniera o italiana
Mediatori singoli o riuniti in associazioni e cooperative
Dove
Biblioteca pubblica
Punti decentrati prestito libri
Biblioteca Ospedale
Biblioteca Carcere
Biblioteca scolastica e Centro di Documentazione Interculturale
Come
Collaborazioni professionali su progetti occasionali con biblioteche
Cooperative e/o associazioni
Carcere, USL, scuola
Funzioni
Accoglienza
Traduce avvisi, messaggi, modulistica
Facilita la relazione tra biblioteche e famiglie immigrate
Valorizza progetti di educazione interculturale per tutti
Collabora alla progettazione e costruzione delle raccolte in lingua
Collabora alla costruzione di un sito interculturale multilingue della biblioteca
Collabora all’implementazione dello scaffale multiculturale per ragazzi, allo scaffale accoglienza e alla biblioteca specializzata
Partecipa alla programmazione, progettazione, realizzazione e valutazione degli interventi
Lavora in equipe con gli altri operatori della biblioteca
Stimolo per cambiamenti e accorgimenti organizzativi
Risultati
Miglioramento della modalità e degli strumenti di accoglienza e comunicazione
Uso corretto dei servizi bibliotecari da parte degli utenti stranieri
Creazione di un rapporto di fiducia fra utenti stranieri e biblioteca
Tratto da: Luatti L. (2011).
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2. Stare ai confini:
la mediazione nella scuola multiculturale
di Gabriella Favaro
Incontrarsi realmente significa necessariamente aprirsi al rischio del malinteso, non
soltanto perché ogni incontro interculturale, e non solo, può generare incomprensioni,
ma perché i malintesi possono offrire ampi
spazi di approfondimento e spiegazione… La
traduzione implica quasi sempre un tradimento, ma è per questo motivo che si apre la
possibilità di un esercizio creativo, oltre la
mera e semplice trasposizione da una parola
all’latra, per capire quel significato e quale suono possano rendere al meglio un’idea.
F. La Cecla, 2009
Un dispositivo per una scuola che include
Il progetto Mediante ha messo a disposizione delle scuole milanesi, primarie e secondarie di primo grado, circa tremila ore di mediazione linguistico-culturale e trenta mediatori professionali con l’obiettivo di migliorare
la relazione educativa tra lo spazio scolastico e quello famigliare e di sostenere il percorso positivo di integrazione degli alunni stranieri e, in particolare, di coloro che hanno vissuto il viaggio di migrazione in tempi recenti.
La mediazione è un dispositivo di integrazione da tempo sperimentato
e largamente diffuso a livello nazionale e che può ormai contare su ricerche e sudi specifici, come abbiamo visto nel primo capitolo, sull’individuazione sufficientemente chiara dei ruoli e delle funzioni dei mediatori, sulla
definizione di un setting di comunicazione mediata già sperimentato. (Sui
temi della mediazione linguistico-culturale nella scuola e nei servizi educativi si veda la bibliografia in fondo a questo capitolo). E ovviamente su un
consistente gruppo di professionisti delle “terre di mezzo” che hanno ormai
un’esperienza consolidata e che le indagini nazionali stimano essere circa
tremila.
E tuttavia, nonostante vent’anni di pratiche di mediazione, non sempre
sono chiari nella scuola e agli occhi degli insegnanti chi sia il mediatore e
che cosa faccia di preciso.
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Molti lo confondono ancora con un insegnante facilitatore dell’apprendimento dell’italiano L2, altri con un educatore di sostegno che affianca i minori stranieri in difficoltà, altri con un operatore sociale intracomunitario
che interviene in caso di conflitti e può attenuare le situazioni di disagio
psicologico. Per questa ragione, ancora oggi succede che la scuola chieda
l’utilizzo dei mediatori per rispondere a bisogni ed esigenze di tipo didattico, che sono invece compiti specifici dei docenti, o per problemi “sociali”
che richiederebbero l’intervento specialistico dei servizi del territorio.
La scuola diventata fortemente multiculturale e attraversata dalla pluralità si trova ad agire stretta tra vincoli e nuovi bisogni, a fare i conti con la
contrazione e la compressione del tempo e il venir meno delle risorse specifiche. Tende così talvolta a delegare all’esterno la ricerca di soluzioni che
richiederebbero al proprio interno consapevolezza delle sfide, attenzioni
mirate, capacità di ascolto affinate, tempi più dilatati, dispositivi di integrazione continuativi ed efficaci.
Come scrive una mediatrice nel suo diario di lavoro: “La mia impressione è che la scuola abbia sempre una grande urgenza e chieda al mediatore
di gestire in fretta le difficoltà che si presentano”. Così, nonostante i tentativi di fare chiarezza su “chi fa che cosa”, nella scuola, i mediatori possono
essere visti ancora come “tappabuchi”, operatori estemporanei che risolvono un problema che ha fatto la sua irruzione in una presunta normalità che
deve essere ripristinata in fretta. L’esperienza di molti mediatori che operano nella scuola conferma il permanere delle richieste improprie a loro indirizzate e la domanda di “occuparsi” degli alunni stranieri, per qualche ora,
per qualche tempo. Con ciò rinforzando l’immagine prototipica di minore straniero come un problema da trattare a parte e da affidare a un connazionale.
La mediazione è azione fortemente educativa e dal carattere profondamente pedagogico.
Interpretare, adattare, accogliere, esplicitare le regole, gli obiettivi e le
aspettative reciproche: sono compiti che si pongono da sempre al centro
della proposta educativa “ordinaria” e per tutti. La scuola è sempre stata il
luogo privilegiato in cui si incontrano diverse storie d’infanzia e di adolescenza e differenze molteplici e la sua missione di inclusione consiste proprio nel proporre orizzonti comuni a partire da riferimenti culturali e percorsi identitari diversi.
Apprendere e insegnare in contesti eterogenei sono dunque compiti conosciuti e situazioni sperimentate nel tempo. Ma l’eterogeneità è oggi più
diffusa e profonda e riguarda componenti importanti della storia individuale, quali la lingua, l’origine, la religione, l’appartenenza, l’inculturazione in
un altro contesto, le esperienze educative precedenti.
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Nel paesaggio educativo fortemente segnato dal cambiamento, le istituzioni scolastiche e formative sono dunque a un bivio e di fronte a un dilemma che possiamo porre in questo modo: “opereranno per aiutare la
diffusione di nuovi saperi, a favore di nuovi comuni linguaggi e di una
maggiore democrazia cognitiva, oppure si arrenderanno dinanzi all’emergere di nuove disparità e di nuove barriere comunicative di natura tecnocratica? Affrontare tali questioni è quanto mai urgente e impellente” (Bocchi, Ceruti 2004). In questa visione della scuola e della formazione e alla
luce dei cambiamenti in atto nella popolazione scolastica, il dialogo fra chi
ha riferimenti culturali diversi non è solo una necessità etica, è un presupposto irrinunciabile e non più rimandabile nel tempo. Ma, a sua volta, “il
dialogo fra le culture è possibile solo se le culture accettano di essere a un
tempo chiuse e vicendevolmente aperte, capaci di contaminarsi senza perdere la loro identità” (Bocchi, Ceruti cit.).
Per affrontare compiti didattici nuovi e accogliere nella scuola di tutti
diventata multiculturale e plurilingue, gli insegnanti ricorrono dunque sempre più spesso al dispositivo della mediazione. Essi chiedono al mediatore
sopratutto di essere supportati nelle fasi iniziali dell’accoglienza e dell’inserimento di bambini e ragazzi neoarrivati, durante i momenti informativi e relazionali rivolti alle famiglie per migliorare la reciproca conoscenza e rendere più fluida la relazione, nelle mosse di avvio dell’insegnamento
a bambini e ragazzi non italofoni, nelle occasioni canoniche in cui vengono
comunicati ai genitori gli esiti della valutazione e i giudizi sulla qualità e
l’apprendimento di ogni alunno. Chiedono anche a queste figure professionali di rendere espliciti a chi viene da lontano gli obiettivi e il progetto di
formazione della scuola, di disvelare aspettative e rappresentazioni reciproche che possono agire sullo sfondo e facilitare la relazione tra la scuola e la
famiglia immigrata.
In altre parole, di porsi in maniera attiva e competente nella “terra di
mezzo”, tra lo spazio scolastico e quello famigliare per costruire e condurre insieme un progetto educativo efficace. Un progetto che si rivolga a ogni
singolo bambino e ragazzo, con le loro storie singolari, le loro vulnerabilità e talenti.
Il mediatore nella scuola che cambia
Prima di entrare nel merito dei ruoli e delle funzioni dei mediatori linguistico-culturali nella scuola e negli spazi educativi, diamo uno sguardo
al contesto del loro lavoro e alle trasformazioni in atto. I contesti educati33
vi e scolastici rappresentano il servizio e l’ambito di incontro maggiormente attraversati dai cambiamenti avvenuti in questi ultimi anni. Le scuole e
i servizi per i più piccoli sono infatti stati, fin dall’inizio del fenomeno migratorio, i luoghi privilegiati dell’accoglienza e dello scambio, dell’apprendimento linguistico e del confronto fra aspettative e modelli di crescita.
È soprattutto a partire dalla metà degli anni ’90 che il carattere multiculturale della scuola si è evidenziato con forza. I dati raccolti ogni anno
dal Ministero dell’Istruzione delineano chiaramente la progressione storica delle presenze, fotografano la realtà attuale e anticipano le tendenze e le
prospettive per il futuro. Il cambiamento della popolazione scolastica, iniziato un po’ in sordina più di vent’anni fa, colto solo dagli addetti ai lavori e limitato allora alle città medio-grandi, sta interessando sempre di più
aree diverse del Paese, località grandi e piccole, capoluoghi o comunità
disseminate sul territorio (MIUR 2010).
Nel 1989/90, gli alunni stranieri erano meno di 13.700 e sono diventati dieci anni dopo quasi 120.000 (dati 1999/2000). Nel 2009/10, il loro numero è salito a circa 674.000 con un incremento percentuale in un decennio pari al 460%.
La scuola milanese, pioniera dei cambiamenti, è ormai da tempo multiculturale, abitata da bambini e ragazzi che hanno origini altrove e che conducono qui, in parte o totalmente, la loro scolarità.
Come si presenta oggi la situazione di multiculturalità di fatto? L’analisi dei dati riferiti agli anni scolastici recenti registra alcune caratteristiche e
indica tendenze che presentiamo di seguito.
Un assestamento delle presenze
Si assiste a Milano, come nel resto dell’Italia, ad un assestamento delle
presenze straniere con una crescita annua ancora importante, ma più contenuta, rispetto agli anni precedenti. L’incremento percentuale da un anno
all’altro, che in passato aveva toccato punte fino al 20%, si è stabilizzato su
livelli “fisiologici” più bassi ed è stato intorno al 7% nel 2009/10.
L’avanzare della cosiddetta “seconda generazione”
Il fattore determinante di crescita della popolazione scolastica non italiana non è più tanto costituito dagli arrivi di minori dal Paese d’origine per
ricongiungimento famigliare, i quali vengono inseriti a scuola subito dopo
l’ingresso in Italia, ma è rappresentato soprattutto dall’inserimento scolastico di coloro che sono nati qui e che presentano un iter di inserimento scolastico più o meno simile a quello dei pari italiani. Soprattutto nella scuola
primaria, l’inserimento degli alunni neoarrivati (NAI, neoarrivati in Italia) si sta nel tempo riducendo, mentre maggiormente interessata è oggi la
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scuola secondaria di primo e di secondo grado a causa del ricongiungimento famigliare di figli che si collocano soprattutto nella fascia di età adolescenziale.
Il mondo a scuola
La scuola milanese conferma chiaramente il suo carattere di pluralità etnica, linguistica e culturale. Sono infatti pochi i casi in cui si registra una consistente presenza nelle classi di una sola nazionalità, mentre
la situazione maggiormente diffusa è quella della varietà e della convivenza nella stessa scuola di bambini e ragazzi che hanno origini, appartenenze
e lingue molteplici. Negli ultimi tempi, alle nazionalità ormai ben consolidate e radicate da anni nella città (Filippine, Egitto, Perù, Cina, Ecuador,
Sri Lanka, Romania, Marocco) si sono aggiunti “nuovi” contesti di origine
quali: Moldavia, Ucraina, Bangla Desh…
La pluralità delle provenienze
Uno sguardo ai dati sull’inserimento scolastico degli alunni stranieri nell’anno scolastico 2009-2010 mostra come le presenze più significative si collochino ancora nella scuola primaria, ma indica anche il processo
di distribuzione in atto su tutti gli ordini di scuola. I dati confermano inoltre l’inserimento massiccio dei bambini e dei ragazzi stranieri nel territorio
lombardo e milanese, dove, in numeri assoluti, si registrano le presenze nazionale maggiori (tab. 1).
Tab. 1 - Alunni stranieri in Italia, Lombardia e provincia di Milano. Anno scol.
2009-2010
Totale
Italia
Lombardia
Milano (prov.)
Infanzia
Primaria
Secondaria
I grado
Secondaria
II grado
673.592 7,5 135.632 8.1 244.457 8,7 150.279 8,5 143.224 5,3
164.036 12,0 35.759 13,1 61.282 13,5 35.866 13,1 31.129 8,5
62.226 11,7 13.120 12,0 22.346 12,6 13.456 12,7 13.304 9,5
Fonte: MIUR 2010.
Le scuole primarie e secondarie di primo grado, all’interno delle quali è stato realizzato il progetto Mediante si sono organizzate qualche anno fa in quattro macro-aree denominate Poli Start (1-2-3-4), ognuna delle
quali raggruppa le zone del decentramento cittadino. In ogni “polo” è stata individuata la scuola sede, la quale funziona come luogo/risorsa e punto
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di riferimento per le istituzioni scolastiche del territorio e dove si colloca il
docente referente distaccato sul progetto. Un tavolo di lavoro inter-istituzionale, composto dai quattro dirigenti scolastici delle scuole sedi del “polo”,
il Comune di Milano e l’Ufficio Scolastico Provinciale, individua ogni anno le linee di programmazione comune, raccoglie e individua i bisogni formativi, stabilisce procedure di accoglienza comuni e condivise. Attraverso
i quattro Poli Start è passata la comunicazione a tutte le scuole e ai docenti
che si occupano dell’integrazione degli alunni stranieri della possibilità di
richiedere un intervento di mediazione linguistico-culturale e della procedura da seguire.
I dati riferiti alla presenza degli alunni stranieri nelle scuole della città
si discostano in parte da quelli riferiti alle scuole della Provincia di Milano e riportati nella tab. 1. A livello provinciale l’incidenza percentuale degli stranieri si colloca intorno al 12% nella scuola primaria e secondaria di
primo grado, ma nelle scuole del Comune capoluogo, il dato è ben più rilevante e colloca Milano al primo posto nella graduatoria nazionale delle
grandi città per presenza di alunni stranieri.
Uno sguardo ai dati raccolti nelle scuole raggruppate nel territorio del
Polo Start 1 (zone 1-2-3) indica in maniera chiara che in queste scuole, così
come nelle altre della città, gli alunni stranieri rappresentano in media circa un quarto della popolazione scolastica (tab. 2). Si deve considerare inoltre che la situazione delle tre zone non è fra loro omogenea: nella zona 1
la percentuale degli alunni stranieri è infatti del 12.3% nella primaria e del
14,5% nella media, ma nella zona 2, i tassi raggiungono il 30,2% nelle elementari e ben il 36,3% nelle medie.
Tab. 2 - Alunni stranieri nelle scuole del Polo Start 1 (zone 1-2-3). Anno scolastico 2010-2011
Alunni totali
Scuola primaria
Scuola secondaria I grado
12.244
7.465
Alunni stranieri % alunni stranieri
2.741
1.721
22,3
23,0
Fonte: Polo Start 1.
Fasi della scuola e compiti di mediazione
In questo periodo di attività nella scuola ho incontrato molti insegnanti e una gran
parte di loro mi è sembrata molto affaticata, specialmente nelle scuole che hanno
un’alta percentuale di alunni stranieri. La fatica di questi docenti, molti dei qua36
li davvero impegnati nella ricerca di un miglioramento della situazione degli alunni stranieri e di una facilitazione didattica per loro, è dovuta, secondo me, a fattori
diversi. Vi è innanzi tutto l’incapacità di comunicare con lo studente appena arrivato, sia linguisticamente che “culturalmente” e allora il mediatore viene chiamato
come se ci si trovasse sempre in una situazione di emergenza. Nonostante vi siano
alle spalle molti anni di pratiche di accoglienza, in alcune scuole non viene ancora
organizzata una modalità efficace di inserimento per i nuovi arrivati, calibrata caso per caso con cognizione di causa, e questo porta con sé problemi successivi più
seri. Si avverte fra gli insegnanti una sorta di frustrazione per il fatto di dover gestire classi con alunni che hanno livelli molto diversi di conoscenza dell’italiano,
che vanno da chi è ancora nella fase di silenzio a chi padroneggia l’orale ma ha
difficoltà con lo scritto, da chi non comprende i testi di studio a chi invece ha fatto molti passi avanti in poco tempo. Inoltre le lingue origine sono diverse e anche
i percorsi e i tempi di apprendimento: è diverso insegnare l’italiano ad un ispanofono o invece ad un alunno sinofono. Va meglio per le scuole che possono contare su un docente facilitatore interno, distaccato sul progetto specifico; la situazione
è molto pesante quando non vi è una risorsa dedicata e l’insegnante si deve sdoppiare: organizzare una programmazione didattica personalizzata per l’alunno straniero (o per gli alunni stranieri con bisogni diversi) e contemporaneamente portare avanti il programma previsto per la classe. A tutte queste difficoltà si aggiunge
inoltre un senso di solitudine che ho percepito nei docenti e che molti esprimono
apertamente ed è diffusa la sensazione di essere lasciati soli a gestire la complessità (dal diario di mediazione di J.B.).
Il punto di vista della mediatrice sulla scuola multiculturale (in particolare, sulla secondaria di primo grado) fotografa in maniera lucida le criticità che si sono nel tempo irrigidite e i vissuti dei docenti alle prese con richieste e pressioni provenienti da direzioni diverse, i tempi compressi, le
storie dei ragazzi sempre più segnate da vulnerabilità.
Servirebbero alla scuola più tempo, risorse ordinarie ed efficaci, più formazione rivolta a tutti coloro che vi operano. E sarebbe necessario promuovere una visione culturale più articolata e “larga”, adeguata a leggere il
presente e le sue complessità e a preparare il futuro, basata sulla consapevolezza degli irreversibili mutamenti.
Una scuola inoltre che impara dall’esperienza e che quindi sa gestire
l’ingresso dei nuovi arrivati a scuola (tra l’altro,ora in numero abbastanza
limitato, come abbiamo visto) con competenza e con fiducia, superando i
tentativi e gli errori del passato e facendo spazio alle possibilità e alla sorprendente variabilità dei cammini individuali.
In questi vent’anni e oltre di pratiche di integrazione, molte cose sono
state fatte, ma a volte si ha l’impressione che ci si trovi sempre a ricominciare daccapo, ignorando che sono ormai disponibili strumenti, materiali,
percorsi didattici e dispositivi da tempo sperimentati che possono alleviare
la fatica delle fasi iniziali dell’inserimento e indirizzare il cammino dell’integrazione.
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Se ripercorriamo la storia della scuola multiculturale a partire dalla prima circolare del 1989 sull’inserimento degli alunni stranieri ad oggi, vediamo che essa ha attraversato fasi diverse e che al mediatore sono stati chiesti di volta in volta compiti differenti.
In una prima fase, durata grosso modo fino al 2000, gli alunni stranieri erano in numero contenuto e nei loro confronti vi era un clima prevalente di apertura e curiosità. Gli insegnanti avevano certamente meno competenza professionale e un minor numero di strumenti a disposizione, ma la
situazione era più distesa e meno ansiogena. I bambini e i ragazzi stranieri erano una novità ed erano visti soprattutto come “emigrati da…”, spesso
ingenuamente considerati come rappresentanti e portavoce di una cultura
d’origine, che si voleva conoscere e far conoscere, anche se spesso veniva
messa in scena in maniera un po’ stereotipata e folcloristica. In questa fase,
il mediatore, pioniere della situazione multiculturale che si veniva sedimentando, fungeva soprattutto da figura di accoglienza, traduttore di messaggi
e avvisi a carattere informativo, testimone del Paese di origine: un po’ traghettatore del passaggio e un po’ animatore interculturale.
La seconda fase, nella quale si trova oggi gran parte della scuole, ha visto l’aumento della presenza degli alunni stranieri, i quali in alcune scuole milanesi rappresentano, come abbiamo visto, percentuali superiori al
30%. Vi sono molti più strumenti a disposizione delle scuole e una maggiore competenza professionale acquisita nel corso del tempo dagli insegnanti
nella gestione di una classe plurilingue e multiculturale. Ma è cambiata anche la rappresentazione sociale dell’immigrazione, che viene proposta ora
con toni allarmistici, come un flusso da arginare, un rischio da prevenire e
contenere soprattutto nella situazione di crisi economica e sociale che attraversa il Paese. In questo clima, anche gli alunni stranieri sono diventati
per molti un problema, una fatica aggiuntiva che si somma alle frustrazioni e alle responsabilità di chi oggi insegna. Essi si trovano inoltre ad essere privati – proprio perché sono diventati così numerosi – della loro soggettività e della loro storia, assorbiti dentro definizioni ed etichette alquanto
stereotipate che descrivono “i marocchini, i cinesi, i peruviani…”. Rappresentazioni che rischiano di determinare i cammini, irrigidendo gli aspetti
legati all’origine, alla provenienza e non lasciando quindi spazio alle possibilità e al “volo” di ciascuno, sorprendente e imprevedibile.
In questa fase, l’intervento del mediatore è richiesto soprattutto per sostenere la scuola, rendere più fluida la comunicazione e alleviare almeno
un po’ le sue fatiche: nella relazione con famiglie che appaiono o sono distanti, nell’accoglienza di alunni venuti da lontano e catapultati nel nuovo
contesto scolastico senza conoscerne lingua e regole, nel dare voce a disagi
e comportamenti che risultano disfunzionali.
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In altre parole, il mediatore dovrebbe contribuire a “normalizzare” la situazione scolastica, eliminando ostacoli linguistici, esplicitando regole e attese, accompagnando i passaggi e le scelte. Con un intento, anche se non
esplicito, di tipo assimilatorio e di adeguamento degli “altri” ad una realtà scolastica, che pur essendosi di fatto modificata, tuttavia resiste ai cambiamenti. Il mediatore inoltre è spesso chiamato tardivamente a “riparare”
situazioni di difficoltà e distanza, a tradurre esiti scolastici negativi ormai
sedimentati, a presentare e comunicare scelte già fatte.
Ma la realtà multiculturale della scuola e le proiezioni sul numero di
bambini e ragazzi che hanno origini altrove e che vivono qui disegnano un
futuro segnato dalla pluralità e prefigurano comunità abitate sempre di più
da cittadini che devono costruire orizzonti comuni a partire dalla varietà
delle loro biografie. Nel progetto di costruzione di un futuro condiviso nel
rispetto delle diversità, la scuola svolge il ruolo cruciale e basilare di educazione alla con-cittadinanza. Deve quindi ampliare la sua visione culturale, a partire dalla sua autorappresentazione e dall’idea stessa di apprendimento.
In questa nuova fase di inclusione nella pluralità, che in molti casi deve
ancora essere inaugurata, il ruolo dei mediatori nelle scuole multiculturali di “seconda generazione”, per riprendere un’espressione utilizzata in uno
studio europeo (Allemann-Ghionda 2008) può esprimersi in maniera più
matura e consapevole. Essi danno risposta alle richieste di interpretariato/
traduzione, permettono una comunicazione bilingue a due vie, sostengono
l’accompagnamento dei cammini individuali, ma mettono anche in scena
la normale diversità della classe e propongono in maniera diretta e autobiografica la ricchezza delle identità aperte e biculturali.
Definizioni e compiti nella normativa
La normativa recente sui mediatori in ambito scolastico, ha individuato
in maniera più chiara le possibilità di utilizzo della figura professionale e i
piani di intervento sui quali essi si collocano.
Da tempo, la normativa sull’integrazione degli immigrati stranieri, minori e adulti, cita il dispositivo della mediazione fra quelli da attivare per
una buona comunicazione e un inserimento positivo e ha cercato di definire, in maniera via via più articolata, i compiti e il profilo professionale di
questo operatore “ai confini”. Negli ultimi tempi, come si può leggere nel
capitolo 1, le normative e le proposte di legge sull’uso dei mediatori sono
diventate più articolate e numerose, sia a livello nazionale che locale.
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Ripercorriamo in maniera sintetica la definizione e i compiti figura del
mediatore così come essi sono stati tratteggiati nella normativa scolastica.
Già la legge n. 40 del 6/3/1998, “Disciplina dell’immigrazione e norme
sulla condizione dello straniero” aveva fatto esplicitamente riferimento a
questa figura professionale, contribuendo a definirne il ruolo di agente/strumento per l’integrazione delle minoranze, lasciando tuttavia nel vago i dettagli applicativi. In essa si affermava che:
Lo Stato, le regioni, le province e i comuni nell’ambito delle proprie competenze favoriscono: la realizzazione di convenzioni con associazioni per l’impiego
all’interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di soggiorno o di
permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali, al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli
stranieri appartenenti ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi (art.
40, comma 1).
L’articolo 36 della stessa legge, dedicato all’inserimento scolastico, indicava inoltre la necessità di stabilire “i criteri e le modalità di comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l’ausilio di mediatori
culturali qualificati”.
Già da prima, la normativa scolastica aveva previsto la presenza di mediatori nella scuola in relazione all’inserimento degli alunni stranieri. E infatti già la circolare ministeriale 205 del 1990 (“La scuola dell’obbligo e gli
alunni stranieri”) invitava alla collaborazione interistituzionale in tal senso:
“L’intervento degli enti locali e la collaborazione delle comunità e delle famiglie consente in alcune sedi scolastiche l’impiego di mediatori madrelingua per sostenere l’inserimento e attuare le iniziative per la valorizzazione
della lingua e cultura d’origine”.
E sempre in ambito scolastico, il DPR n. 394 del 1999, riprendendo le
indicazioni della legge n. 40, ribadiva che: “Il collegio dei docenti formula proposte in ordine ai criteri e alle modalità per la comunicazione tra la
scuola e le famiglie degli alunni stranieri. Ove necessario, anche attraverso intese con l’ente locale, l’istituzione scolastica si avvale dell’opera di mediatori culturali qualificati”.
Le indicazioni della normativa passata in materia di utilizzo dei mediatori linguistici e culturali (definiti, come abbiamo visto, in vario modo: mediatori interculturali, mediatori madrelingua, mediatori culturali qualificati) individuavano quattro funzioni principali riferite all’ambito scolastico ed
educativo:
• agevolare i rapporti tra immigrati e servizi per tutti i cittadini;
• facilitare la comunicazione tra scuola e famiglie degli alunni stranieri;
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• sostenere l’inserimento scolastico degli alunni stranieri di recente immigrazione;
• attuare iniziative per la valorizzazione della lingua e cultura d’origine.
I documenti più recenti hanno tenuto conto dell’esperienza consolidata
in questi anni e rappresentano un passo avanti rispetto alla definizione del
profilo professionale e delle funzioni.
Quattro ambiti di lavoro
Le “Linee guida per l’accoglienza e l’inserimento degli alunni stranieri”
(MIUR 2006) così descrivono gli ambiti di intervento dei mediatori nella
scuola: “ Il mediatore può collaborare in:
• compiti di accoglienza, tutoraggio e facilitazione nei confronti degli
alunni neoarrivati e delle loro famiglie;
• compiti di mediazione nei confronti degli insegnanti: fornisce loro informazioni sulla scuola nei Paesi d’origine, sulle competenze, la storia scolastica e personale del singolo alunno;
• compiti di interpretariato e traduzione (avvisi, messaggi, documenti orali e scritti) nei confronti delle famiglie e di assistenza e mediazione negli
incontri dei docenti con i genitori, soprattutto nei casi di particolare problematicità;
• compiti relativi a proposte e percorsi didattici di educazione interculturale, condotti nelle diverse classi, che prevedono momenti di conoscenza
e valorizzazione dei Paesi, delle culture e delle lingue d’origine.
Resta fermo che la funzione dei mediazione, nel suo insieme, è compito
finale e prioritario della scuola stessa, quale istituzione preposta alla formazione culturale della totalità degli allievi nel contesto di territorio”.
Siamo passati nel tempo da un mediatore per l’inserimento che agevola
e facilita il rapporto tra gli immigrati e i servizi per tutti, ad un operatore,
con un profilo professionale più definito, il quale – attraverso azioni diverse
di accoglienza, tutoraggio, comunicazione bilingue, valorizzazione dei riferimenti culturali e linguistici – contribuisce al progetto di integrazione interculturale e di reciproco scambio.
Come abbiamo visto, i documenti e la normativa più recenti contengono
indicazioni importanti sul ruolo e l’utilizzo di questa risorsa, ne definiscono gli ambiti e precisano gli obiettivi delle diverse azioni. Essi continuano tuttavia a demandare la responsabilità e l’iniziativa agli enti locali. Ne
ipotizzano quindi la presenza, e la caldeggiano, senza tuttavia sancirne la
necessità, precisare il contesto di riferimento giuridico ed economico, indicare le modalità di lavoro operative. In alcune situazioni locali, sono state emanate leggi regionali sull’utilizzo dei mediatori nei servizi per tutti, e
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naturalmente nella scuola, che hanno ovviato a queste carenze poiché definiscono l’impegno economico, la disponibilità, le modalità di richiesta e di
erogazione del servizio.
Verso i genitori: informare e accompagnare
La scuola richiede l’intervento di mediazione soprattutto per rendere più
fluidi e trasparenti i passaggi comunicativi e le scelte organizzative e didattiche di accoglienza e di integrazione. Chiede inoltre di disvelare gli impliciti (culturali o personali) che sono alla base di atteggiamenti e comportamenti problematici, per cercare soluzioni condivise e che tengano conto del
punto di vista degli altri.
Vediamo allora quali sono state le richieste di mediazione che le scuole
hanno rivolto allo sportello attivato nell’ambito del progetto Mediante. Come si può leggere nella sintesi sul progetto proposta nel capitolo 3, quasi i
quattro quinti delle domande hanno riguardato la facilitazione della relazione e della comunicazione nei confronti delle famiglie straniere.
La distanza tra scuola e famiglia e le difficoltà di rapporto con i genitori immigrati sono le criticità che i docenti maggiormente avvertono e alle
quali si cerca di trovare risposta attraverso il dispositivo della mediazione
linguistico-culturale. Quali compiti e funzioni sono stati chiamati a svolgere i mediatori nei confronti dei genitori stranieri?
I mediatori sono stati coinvolti soprattutto per informare e trasmettere
notizie e chiarimenti alle famiglie immigrate sulle regole e il funzionamento della scuola, raccogliere informazioni sui figli appena ricongiunti e neo
inseriti, accompagnarli lungo il cammino dell’inserimento e nel rapporto
con altri servizi del territorio, tradurre avvisi e messaggi, proporre alla scadenza consueta gli esiti della valutazione espressa dai docenti e raccogliere
il punto di vista dei genitori, orientare e sostenere le scelte per la prosecuzione degli studi, gestire situazioni di disagio, demotivazione, assenze.
La presenza del mediatore accanto ai docenti ha permesso di rendere la comunicazione con le famiglie più fluida e meno faticosa, chiarire zone d’ombra ed esplicitare i numerosi impliciti che restano tali nel colloquio
esolingue, dare senso alle pratiche e ai comportamenti degli uni e degli altri.
In altre parole, la mediazione ha cercato di avvicinare i due partner educativi, disvelare almeno in parte le aspettative e le attese reciproche, stabilire un legame più solido ed efficace tra i due spazi educativi.
Nella tabella seguente, sono riportate in maniera sintetica le richieste più
importanti che la scuola ha rivolto ai mediatori per migliorare la relazione
con le famiglie straniere.
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La mediazione verso i genitori stranieri: che cosa e quando
Che cosa
Quando
• accoglienza e informazione
sul funzionamento della scuola
• all’inizio dell’anno scolastico
e nel caso di alunni neo arrivati
• traduzione e presentazione
delle schede di valutazione
e raccolta del punto di vista
dei genitori
• al termine del I quadrimestre
e alla conclusione dell’anno
scolastico
• presenza ai colloqui individuali
con le famiglie
• tutto l’anno scolastico
• orientamento e accompagnamento
verso i servizi del territorio
(es. UONPIA)
• tutto l’anno scolastico
• presentazione di iniziative
della scuola e delle modalità
di partecipazione (uscite, gite,
“scuola natura”…)
• tutto l’anno scolastico
• presentazione di iniziative e risorse
extrascolastiche realizzate
nel territorio (doposcuola,
centri estivi…)
• tutto l’anno scolastico
• sostegno alle scelte di prosecuzione
degli studi nella scuola superiore
• nei momenti dell’orientamento
• traduzione di messaggi, avvisi
e documenti scritti
• tutto l’anno scolastico
Gli interventi di mediazione verso i genitori hanno riguardato soprattutto le famiglie cinesi e di lingua araba (egiziani e marocchini) e, in misura
minore, coloro che provengono dalle Filippine, il Bangla Desh e Sri Lanka.
La “distanza linguistica”, che permane nel tempo nei confronti di coloro
che hanno una competenza in una lingua che non ha un alfabeto a caratteri
neolatini e che non sono “immersi” quotidianamente nell’italiano, è il dato
che ha giocato un ruolo predominante nell’indicazione della lingua da “mediare”. Circa il 40% delle richieste di mediatori ha riguardato infatti le situazioni comunicative con genitori di lingua cinese. Alla distanza linguistica si sommano in questi casi anche atteggiamenti e comportamenti, rilevati
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presso una parte delle famiglie cinesi, di persistente distanza dalla scuola,
la non conoscenza delle sue regole, dei tempi e del funzionamento; le difficoltà a rispondere in maniera adeguata e puntuale alle richieste degli insegnanti, la delega all’istituzione scolastica del percorso educativo e scolastico dei figli (vedi cap. 4).
Per quanto riguarda i tempi privilegiati dell’intervento di mediazione nei
confronti delle famiglie straniere, al di là delle richieste puntuali e caso per
caso, i momenti topici e che possono essere previsti e organizzati a priori
sono i seguenti:
• l’avvio del nuovo anno scolastico;
• la fase dell’accoglienza e del primo inserimento di alunni neo arrivati;
• le scadenze della consegna delle schede di valutazione: alla fine del primo quadrimestre e al termine dell’anno scolastico;
• i momenti dedicati all’orientamento dopo la terza media.
Verso i minori: una figura di prossimità
Le domande di mediazione nei confronti degli alunni stranieri sono state in numero più ridotto, rispetto alle richieste destinate alla facilitazione
comunicativa con gli adulti. Ma l’ammontare delle ore impiegate per questi compiti equivale a quello dedicato agli interventi di mediazione con gli
adulti, dal momento che i “pacchetti” di accoglienza dei neo arrivati o di
accompagnamento degli alunni stranieri in classe prevedevano un numero
di ore più consistente. Nei casi di lavoro con i minori, il mediatore ha sempre operato insieme e accanto agli insegnanti di classe o di laboratorio. Nella maggior parte di casi, si è trattato di una “mediazione per l’accoglienza”,
organizzata nel momento del primo inserimento di bambini e ragazzi non
italofoni inseriti a scuola subito dopo l’arrivo in Italia. L’obiettivo dell’intervento era quello di rilevare la storia scolastica e di individuare la biografia
linguistica degli alunni, di mettere in luce competenze e saperi già acquisiti e individuare eventuali bisogni di apprendimento a carattere non linguistico. In altre parole, di permettere alla scuola di conoscere il nuovo alunno
e di riconoscerlo nei suoi bisogni e talenti. Nelle occasioni di nuovi inserimenti, il mediatore ha fornito inoltre al bambino appena giunto nel nuovo Paese informazioni di base sulle regole, esplicite e implicite, della nuova
scuola: l’utilizzo degli spazi e l’organizzazione del tempo; l’elenco dei materiali scolastici e la loro cura; la presentazione di una giornata/tipo e la successione delle discipline; l’uso del diario e la gestione del tempo di studio…
Accanto alle richieste legate alla prima fase di accoglienza, vi sono state
numerose domande indirizzate a gestire e trovare risposta a situazioni individuali di disagio che si sono manifestate, ad esempio, con assenze protrat44
te, demotivazione, atteggiamenti di ripiego e di silenzio o viceversa di aggressività. La possibilità di potersi esprimere anche nella lingua materna e
di trovare uno spazio di ascolto e di prossimità ha permesso ai bambini e
ragazzi stranieri spesso di “portare fuori” racconti e di esprimere ragioni e
circostanze che altrimenti sarebbero rimasti nel silenzio.
In altri casi, la presenza del mediatore in classe o nei momenti di laboratorio linguistico ha consentito di programmare interventi didattici personalizzati e “tutorati”, oppure di collaborare alla preparazione dell’esame di
terza media, recuperando saperi e conoscenze degli alunni stranieri e integrandoli con i nuovi apprendimenti. O ancora, di organizzare iniziative di
educazione interculturale per tutta la classe, assegnando al mediatore un
ruolo di narratore interculturale e di testimone privilegiato.
Nello schema seguente, una sintesi delle situazioni e dei compiti del lavoro di mediazione con i minori.
La mediazione con i bambini e i ragazzi: situazioni e compiti
Situazione
Compiti
• accoglienza e inserimento di alunni
neo arrivati e non italofoni
• rilevazione della storia scolastica
e della biografia linguistica
• presentazione delle regole
e dell’organizzazione della scuola
• accompagnamento durante i primi
giorni di Inserimento
• traduzione di materiali e messaggi
• apprendimento in classe o nei
momenti di Laboratorio linguistico
• tutoraggio e collaborazione al piano
educativo personalizzato
• facilitazione linguistica attraverso
la traduzione
• aiuto alla preparazione dell’esame
di terza media
• situazioni individuali di disagio
e di demoti vazione
• presenza al colloquio condotto
insieme all’insegnante
• raccolta ed esplicitazione
dei progetti e dei desideri
del bambino o ragazzo
• ricerca di soluzioni e di aiuti anche
in spazi e tempo extrascolastici
• accompagnamento a scuola
e in situazioni extrascolastiche
• educazione interculturale in classe
• presentazione di aspetti significativi
delle lingue e dei riferimenti culturali
dei contesti d’origine
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Verso gli insegnanti: facilitare e mettere in relazione
Con i mediatori abbiamo potuto dedicare più attenzione alla famiglia, che per forza di cose avevamo un po’ trascurato.
Per parlare con le famiglie straniere molto spesso noi ricorriamo al fai date te, ci
rimbocchiamo le maniche, chiamiamo i figli a fare da traduttori per i loro stessi
genitori oppure dei connazionali, ma abbiamo visto che non funziona. Si crea un
clima di vergogna e di tensione.
La presenza dei mediatori ha avuto veramente un ruolo positivo perché durante i
colloqui nelle due lingue si riesce davvero a dire ciò che noi da soli non potremmo dire magari con i gesti, come abbiamo spesso fatto.
Noi abbiamo giocato la risorsa della mediazione per arricchire dei percorsi didattici individualizzati per gli alunni neo arrivati, grazie al fatto che il mediatore ha
potuto raccontarci a che punto era l’alunno con una certa disciplina e che cosa sapeva già fare.
Gli insegnanti che hanno richiesto un intervento di mediazione hanno
espresso un giudizio positivo sul progetto, sia sull’impianto organizzativo
e il ruolo dello sportello, che ha permesso di chiarire le domande e di agire con efficacia, sia sulla puntualità della risposta e sulla competenza professionale dei mediatori. In una fase avanzata del progetto,si è svolto un incontro con alcuni docenti “utilizzatori” del dispositivo, con la metodologia
del focus group, per cercare di fare il punto sugli interventi ed esprimere
valutazioni e proposte. I frammenti di testimonianza citati sopra, così come le proposte per continuare riportate di seguito, sono emersi in quell’occasione.
I docenti hanno sottolineato la necessità di mettere a disposizione delle scuole i mediatori già dall’inizio dell’anno scolastico, momento cruciale
per inaugurare i percorsi di integrazione e di dare continuità al dispositivo,
così che esso possa diventare risorsa strutturale della scuola multiculturale.
In alcuni casi, le ore previste per l’intervento di mediazione sono risultate
troppo scarse: è il caso, ad esempio, dei “pacchetti di accoglienza”, attivati
bel caso di alunni neo arrivati, che dovrebbero essere più consistenti e accompagnare il cammino un po’ più a lungo.
Per quanto riguarda l’intervento nei confronti delle famiglie straniere, gli
insegnanti hanno sottolineato in maniera positiva la possibilità che è stata
data ai genitori di prendere la parola, fare domande, dire di più… e hanno
apprezzato in modo particolare gli interventi di accompagnamento verso di
servizi del territorio. Una proposta per un progetto efficace di mediazione
nella scuola è quella di organizzare in determinati momenti “topici” incon46
tri collettivi con genitori della stessa lingua alla presenza del mediatore per
migliorare e sostenere la loro partecipazione alla vita della scuola.
Molti sono stati i casi citati dagli insegnanti di sblocco emotivo e comunicativo di bambini e ragazzi stranieri in situazione di disagio grazie alla
presenza del mediatore e alla possibilità di raccontarsi nella propria lingua.
Per questa ragione, in determinate scuole, si auspica la presenza dei mediatori in maniera più continuativa, stabilendo, ad esempio, un appuntamento mensile che funzioni da dispositivo di accompagnamento e da “bussola”
per i cammini di integrazione.
Proposte degli insegnanti per un dispositivo di mediazione efficace
• Caratteristiche di sistema
Tempi
– puntualità e avvio degli interventi fin dall’avvio dell’anno scolastico
– continuità nel tempo del progetto
– implementazione delle ore di mediazione
– attenzione particolare ad alcuni momenti cruciali: il passaggio da un ordine di
scuola all’altro; l’orientamento dopo la terza media, l’inserimento scolastico degli adolescenti…
Organizzazione
– informazione chiara a tutti i docenti sui ruoli e i compiti del mediatore
– diffusione di un protocollo di mediazione nella scuola che definisce obiettivi,
tappe e passaggi
– importanza dello sportello “mediazione” che consente di chiarire la domanda e
garantisce la qualità degli interventi
– allargamento dei destinatari della mediazione ai servizi operativi per i più piccoli e alla scuola secondaria di secondo grado
Caratteristiche dei mediatori
– capacità dei mediatori di fare traduzioni anche di contenuto didattico e a carattere disciplinare
– importanza della mescolanza per genere: presenza di donne mediatrici che
rendono più facile il rapporto con le madri straniere e di mediatori uomini che
facilitano la comunicazione con i padri
• La mediazione verso i genitori stranieri
– dilatare la durata degli interventi per permettere ai genitori di dire di più (ad
esempio, durante la consegna delle schede di valutazione)
– organizzare momenti collettivi di incontro con le famiglie straniere della stessa
lingua alla presenza del mediatore (all’inizio dell’anno; nei momenti dell’orientamento…)
– potenziare il dispositivo di accompagnamento da parte del mediatore all’uso
dei servizi del territorio (UONPIA, servizi per minori disabili, doposcuola…)
– coinvolgere il mediatore nei progetti della scuola che riguardano gli adulti stranieri (corsi di italiano L2 per genitori, iniziative per le mamme straniere…)
• La mediazione verso gli alunni
– potenziare il numero di ore da dedicare alla fase di accoglienza e di primo inserimento degli alunni neoarrivati
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– coinvolgimento del mediatore nel momento di accoglienza e di ri-orientamento
nei casi sempre più diffusi di minori “pendolari” ed erranti tra il Paese d’origine
e l’Italia
– prevedere una presenza continuativa (una volta al mese) del mediatore nel caso di minori in situazione di disagio per far emergere anche in lingua madre i
cambiamenti e le nuove domande
– possibilità di coinvolgere il mediatore, con un ruolo di tutoraggio accanto all’insegnante, in attività didattiche per un lavoro a piccoli gruppi o individualizzato,
in classe o nel laboratorio linguistico
– maggiore utilizzo dei mediatori in attività di educazione interculturale e di educazione alla cittadinanza rivolte a tutta la classe
Pratiche di integrazione e pratiche di riconoscimento
Il progetto Mediante ha permesso di confermare l’efficacia delle azioni di mediazione in alcuni ambiti e per determinati obiettivi, già prevedibili
e previsti, e di rilevarne la positività per altri aspetti, non del tutto previsti.
La mediazione, come abbiamo visto, può sostenere le fasi dell’accoglienza e del primo inserimento, facilitando il lavoro dei docenti e accompagnando il processo di ri-orientamento – spaziale, linguistico, cognitivo – che l’alunno straniero di recente migrazione si trova a compiere. Può
rendere più trasparenti e chiari le regole e il funzionamento della scuola,
le attese e le aspettative, le modalità di relazione all’interno e nei confronti della famiglia, rendendo un po’ meno opache le rappresentazioni che essa ha fatte proprie e propone di “buon alunno” e di “genitore adeguato”.
Può inoltre accompagnare i minori e le famiglie stranieri in momenti topici della vita scolastica, quali la valutazione, le scelte per il futuro – nell’attraversamento di alcuni passaggi e nel rapporto con i servizi del territorio.
In altre parole, la mediazione può spiegare “a piccole dosi” la scuola, le sue
regole e le sue retoriche, cercando di attrezzare chi viene da lontano, piccolo o adulto, affinché possa in fretta trovarvi il suo posto.
In altre parole, ad adeguarsi alle sue logiche in tempi rapidi e senza creare troppi disequilibri.
Ma le storie di mediazione che abbiamo potuto seguire nel corso del
progetto ci mostrano anche l’altra faccia della mediazione, ancora da definire e precisare e che ha a che fare con la dimensione del riconoscimento.
Riconoscere l’altro nella sua soggettività e singolarità vuol dire consentirgli di dire e di dirsi a modo suo, non proporgli pensieri e intenzioni già
pensati da noi, in una relazione asimmetrica che gli assegna per forza di
cose un ruolo subalterno e quasi predefinito.
Dare voce alle difficoltà, gli impacci e le conquiste di chi viene da lontano significa raccoglierne la storia, portare sulla scena le diverse parti della
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biografia e tentare almeno un po’ di ricomporla. Con i bambini e i ragazzi stranieri, le pratiche di riconoscimento ci chiedono, ad esempio, di individuare carenze e vuoti, ma anche di rilevare talenti, saperi e competenze:
situazioni di bilinguismo, conoscenze acquisite nella scuola precedente, traguardi scolastici ed esiti positivi raggiunti altrove, linguaggi di tipo espressivo già praticati… Ci suggeriscono di prestare attenzione alle fatiche della migrazione che vivono, alla necessità quotidiana che essi sperimentano
nel farsi “camaleonte”, adeguando di volta in volta comportamenti e atteggiamenti all’uno e all’altro spazio, di cogliere i vissuti di nostalgia e il desiderio diffuso fra molti di loro di tornare laggiù. Dai nonni, dagli amici, da
chi li capisce, li conosce e li riconosce.
Con i genitori stranieri, le pratiche di riconoscimento ci chiedono, ad
esempio, di considerarli a pieno titolo partner educativi, confermandone le
competenze e l’autorità – e non disconfermandole, come la scuola rischia a
volte di fare anche senza volerlo – e comprendendone anche le vulnerabilità. Essi vanno richiamati certamente all’assunzione del loro ruolo genitoriale, di cura, protezione e responsabilità, ma si deve comprendere anche la
loro impossibilità ad adempiere a determinati “doveri”. Chi padroneggia l’italiano solo per gli usi della sopravvivenza quotidiana non sarà in grado di
seguire il figlio nei compiti e nell’apprendimento dell’italiano per lo studio.
Chi ha lottato per anni con la burocrazia e gli ostacoli per portare a buon
fine il ricongiungimento del figlio, non sempre è pronto poi a gestire la rabbia e la nostalgia del ragazzo neo arrivato che si sente strappato e portato
in Italia senza aver potuto scegliere.
Il dispositivo della mediazione porta sulla scena parole e vissuti espressi
in lingua d’origine, accoglie il punto di vista dell’altro, consente a chi vive
in silenzio di far sentire la sua voce. In questo modo, può rendere più autentica la relazione con chi viene da lontano.
Agisce dunque, non solo in un’ottica di adattamento e integrazione, ma
anche di attenzione e riconoscimento reciproci.
Nello schema seguente, descriviamo i compiti di mediazione nella scuola
riferiti alle diverse dimensioni.
Compiti e dimensioni della mediazione
La mediazione per l’accoglienza
Il mediatore svolge una funzione di tutoraggio e facilitazione nei confronti dei
bambini e dei ragazzi neoarrivati. Li rassicura, dà spazio e voce alle loro emozioni, paure, stati d’animo; li orienta nella scuola e nel nuovo ambiente e nelle sue
regole esplicite e implicite; accompagna la fase di primo inserimento.
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Il mediatore fornisce agli insegnanti informazioni sulla scuola nel Paese d’origine;
aiuta a rilevare le competenze, la storia scolastica e personale del singolo bambino; ricostruisce le biografie linguistiche. Nello stesso tempo, informa i genitori immigrati in merito al funzionamento della scuola in Italia, le regole, i tempi e i
passaggi, le modalità di valutazione e di partecipazione.
La mediazione per la relazione
Il mediatore svolge un’azione di interpretariato e traduzione (avvisi, messaggi,
documenti orali e scritti) nei confronti delle famiglie. Partecipa, se necessario, ai
colloqui e agli incontri tra insegnanti e genitori stranieri, sia a carattere collettivo,
sia di tipo individuale, su singoli casi. Presenta attività organizzate della scuola,
accompagna i genitori stranieri all’uso dei servizi del territorio; fornisce informazioni utili alle scelte scolastiche nei momenti dell’orientamento.
La mediazione per l’integrazione
Il mediatore facilita e accompagna i processi di integrazione; chiarisce punti di
vista e aspettative della scuola e della famiglia. Interviene accanto agli insegnanti nei colloqui con minori che attraversano situazioni di disagio e demotivazione e
rischiano l’abbandono scolastico. Svolge un ruolo di tutoraggio e di figura positiva di riferimento per i minori e le famiglie.
La mediazione per la didattica
Il mediatore può collaborare alla proposta didattica con interventi di traduzione e di facilitazione linguistica accanto all’insegnante, nel laboratorio linguistico
o in classe. Rappresenta una risorsa nell’elaborazione di piani personalizzati di
apprendimento, dal momento che più aiutare a fare un bilancio delle conoscenze e delle competenze attraverso la lingua d’origine. Collabora alle proposte di
aiuto allo studio e a compiti quali, ad esempio, la preparazione all’esame di terza media.
La mediazione per il riconoscimento
Il mediatore è in grado di individuare saperi e conoscenze già acquisiti, di tratteggiare la situazione linguistica degli alunni stranieri che sono in gran parte bilingui per gli usi orali e, a volte, anche scritti. Oltre a questa forma di riconoscimento di competenze, il mediatore può dare voce alle storie personali, alle
aspettative e ai timori, agli episodi di discriminazione vissuti e ai progetti individuali. Può mettere la scuola nella condizione di sapere un po’ di più sugli altri, rivedendo le sue rappresentazioni e può mettere i genitori stranieri nella condizione di prendere la parola.
La mediazione per l’intercultura
Il mediatore collabora alle proposte e ai percorsi didattici di educazione interculturale, condotte nelle diverse classi, che prevedano momenti di conoscenza
e valorizzazione delle culture e delle lingue d’origine. In alcuni casi – se ha una
specifica competenza didattica e un’esperienza come insegnante nel proprio Paese – può condurre laboratori di apprendimento della cultura e della lingua d’origine, orale e scritta, rivolti ai bambini e ai ragazzi che ne fanno richiesta, durante
corsi aggiuntivi in orario extrascolastico.
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Indicatori di qualità
Quando un intervento di mediazione nella scuola può essere ritenuto efficace e di qualità? Non sempre ovviamente il mediatore è in grado di modificare le situazioni, attenuare le distanze, contribuire al raggiungimento
di esiti scolastici positivi. In alcuni casi, bambini e ragazzi per i quali è stato chiesta la mediazione sono tornati nel Paese d’origine, oppure hanno abbandonato la scuola, o sono stati respinti al termine dell’anno scolastico. In
altri casi, i genitori assenti hanno fornito le loro ragioni, ma hanno comunque continuato a rimanere distanti e separati rispetto alla scuola dei figli.
La qualità del dispositivo di mediazione sta dunque nei suoi risultati, che
cercano di smuovere o modificare una situazione, ma si esplicita anche nella correttezza e razionalità del percorso, nella professionalità dei mediatori
e nella chiarezza delle mosse comunicative che la connotano.
Richiesti di individuare alcune criticità che hanno potuto riscontrare nel
loro intervento nelle scuole, i mediatori hanno sottolineato alcuni aspetti. Innanzi tutto, una parte degli insegnanti ricorre alla mediazione troppo
tardi e solo “alla fine dell’anno, quando i giochi sono fatti, i ragazzi già assenti o demotivati e non vi è più tempo per intervenire davvero”. L’intervento assume spesso un carattere di urgenza e di fretta e così “non vi è la
possibilità di approfondire, scavare, considerare aspetti diversi”. Vi è inoltre un’idea della mediazione come dispositivo esterno e “circoscritto, senza integrarlo in maniera chiara e condivisa nelle modalità di gestione della classe o della scuola”. In quest’ottica, le richieste tendono ad essere quasi
sempre “marginali e riduttive”, anche se poi i colloqui rivelano situazioni
complesse che andrebbero indagate e conosciute.
Un’altra criticità riguarda il ricorso abbastanza diffuso negli ultimi tempi da parte delle scuole al servizio territoriale di neuropsichiatria infantile,
affinché valuti le difficoltà di apprendimento di bambini e ragazzi di recente immigrazione, i quali si trovano ancora nella fase di silenzio. In questi
casi, il mediatore viene chiamato a spiegare alla famiglia le ragioni della
segnalazione fatta dalla scuola al fine di raccoglierne l’adesione e preparare
l’accesso al servizio. La proposta di chiedere una consultazione ad operatori specializzati può essere sostenuta, per alcuni minori, da valide ragioni
che si sono via via chiarite e articolate grazie alle osservazioni attente fatte dai docenti. Ma in altri casi, le difficoltà linguistiche dell’alunno neo arrivato e il suo silenzio protratto possono trovare spiegazione nei ritmi stessi
dell’apprendimento di una seconda lingua, nelle fasi successive che l’apprendente attraversa nello sviluppo dell’interlingua, nella grande variabilità dei cammini individuali. E ancora, possono essere ricondotte all’assenza
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o alla scarsa efficacia dei dispositivi didattici di insegnamento dell’italiano
come seconda lingua organizzati nella scuola; o alla situazione di solitudine relazionale che il bambino vive nel nuovo ambiente. Dal momento che
un bambino impara la nuova lingua anche e in larga misura per ragioni affettive.
Per quanto riguarda la mediazione con le famiglie, la grande criticità
che emerge dalle parole dei mediatori riguarda oggi soprattutto le difficoltà
diffuse di tipo sociale ed economico, la precarietà lavorativa e di alloggio,
i ritmi di lavoro frammentati, il vissuto di provvisorietà. Tutto ciò rende il
ruolo genitoriale più fragile e si riversa sul quotidiano dei figli, mettendo a
rischio il loro cammino scolastico. E il mediatore spesso raccoglie nei momenti informali dell’incontro, negli interstizi comunicativi che la mediazione consente i racconti di bambini che passano il tempo da soli dentro case
sovraffollate e che rimpiangono il luogo in cui sono nati (vedi cap. 5).
Fattori importanti come il tempo della mediazione, l’estemporaneità della richiesta o, viceversa, la sua significatività e l’ancoraggio dentro un progetto chiaro ed esplicito di inclusione, la spiegazione riduttiva oppure articolata del processo di apprendimento nella situazione di migrazione, il
contesto sociale nel quale la scuola agisce e la famiglia straniera vive: sono
tutti elementi che costituiscono il quadro entro il quale si media con minore o maggiore efficacia.
Sulla base degli esiti del progetto Mediante, l’individuazione di alcuni
indicatori di qualità per un progetto di mediazione, può fare riferimento ad
alcuni aspetti, quali: la chiarezza della richiesta, la preparazione dell’intervento, la verifica dei risultati, la documentazione puntuale.
Li presentiamo in maniera sintetica.
Indicatori di qualità
Le caratteristiche del dispositivo
Ha carattere di continuità e viene pubblicizzato in maniera chiara ed efficace
presso le scuole egli insegnanti quanto agli obiettivi e alle modalità di lavoro.
Si realizza seguendo procedure sperimentate, regole deontologiche condivise, quali: lo sportello a cui rivolgersi, l’iter che deve essere seguito; un protocollo della mediazione a scuola e nei servizi educativi nel quale sono precisate le
funzioni e i ruoli del mediatore, ma anche i compiti della scuola e le condizioni
dell’intervento.
La professionalità dei mediatori
I mediatori sono professionisti che hanno seguito una formazione specifica e che
hanno un’esperienza consolidata di lavoro nelle scuole. Sono previsti per loro
momenti di formazione, accompagnamento e di supervisione in itinere.
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Le richieste delle scuole e degli insegnanti
La scuola comunica a tutti gli insegnanti la possibilità di rivolgersi ai mediatori e
ne precisa i ruoli e le funzioni. Gli insegnanti rivolgono allo sportello di mediazione
una richiesta chiara e utilizzano il mediatore per i compiti previsti nel protocollo.
Mette a disposizione del mediatore uno spazio per i colloqui che consenta la riservatezza.
Gli interventi di mediazione
Ogni intervento di mediazione va preparato in anticipo, in modo tale che il mediatore sia informato della richiesta e della situazione.
La comunicazione mediata non deve essere imposta, ma deve essere concordata e accettata dai genitori stranieri.
La valutazione e la documentazione
Sono previste modalità di valutazione e verifica dell’intervento espresse dai vari soggetti coinvolti (mediatori, insegnante, genitori stranieri) e la documentazione
del percorso attraverso schede, diari, relazioni…
La scuola: luogo di molteplici mediazioni
Il lavoro di mediazione è insito nell’azione pedagogica.
Insegnare, apprendere, stabilire relazioni, proporre compiti e mete, valutare, incoraggiare: sotto i molteplici lati di un prisma che propone l’azione
del mediare da vari punti di vista: relazionale, cognitivo, linguistico, culturale.
La scuola è un luogo di molteplici mediazioni sociali, culturali, relazionali, affettive, comunicative. La didattica stessa rappresenta la mediazione
fra teoria e prassi.
Alla mediazione educativa concorrono vari soggetti: i bambini e i ragazzi, italiani e stranieri, mediano tra di loro e nei confronti dell’istituzione; le
famiglie e i genitori (italiani e stranieri) sono coinvolti spesso in situazioni
di incontro che prevedono di volere/sapere mediare; la scuola stessa è un’istituzione di mediazione tra istanze, spazi, norme e partner educativi differenti. E naturalmente, i docenti sono i mediatori per definizione, poiché sono impegnati
in un’attività di trasformazione non tanto da un codice all’altro, ma volta a inventare un metodo, una sorta di zona intermedia neutra e franca, che permetta agli
uni e agli altri di comprendersi indipendentemente dalle convinzioni e dagli stessi pregiudizi reciproci. Per mediatore interculturale intenderemo pertanto l’insegnante che, con consapevolezza, si interroga e si attrezza per favorire, non tanto la
transizione da una cultura all’altra, quanto la sintesi – dove possibile – tra culture,
allo scopo di creare momenti pedagogici capaci di andare oltre le reciproche differenze. Il concetto di mediazione non può quindi essere ridotto ad una singola fi53
gura e capacità; esso pervade tutta la professionalità pedagogica di chi fa scuola.
Indipendentemente dai bambini che ha di fronte e dalle cose che deve insegnare. Perché mediare è azione che richiede l’esercizio di una riflessione continua sul
proprio modo di concepire il senso di quello che si vuol fare o si sta facendo; è vigilanza su se stessi, sui propri gesti e modi comunicativi, nelle immagini e rappresentazioni che si hanno degli altri; è conoscenza di premesse e prefigurazioni di
esiti all’interno di vincoli e circostanze date (Demetrio, Favaro 1997).
Mediatore è dunque ogni insegnante in quanto specialista di comunicazione e oggi, sempre di più, di comunicazione interculturale. In una fase, come quella attuale, ricca di cambiamenti e di situazioni “spiazzanti”
per la scuola, è tuttavia utile e arricchente poter contare anche su situazioni di mediazione condivisa che prevedono la possibilità di comunicare a più voci.
I mediatori sono figure ricche di potenzialità, creatività, e proposte, da
utilizzare come interlocutori privilegiati per informarsi, interrogarsi, rivedere l’organizzazione della scuola, introdurre nuovi saperi e punti di vista
ecc. E tuttavia, se i mediatori vengono utilizzati solo come dispositivo d’urgenza per risolvere i problemi, si corre il rischio di delegare a un operatore
aggiuntivo il ripristino di una presunta “normalità” e di affrontare così la
complessità in maniera inadeguata, moltiplicando semplicemente le figure e
introducendo “filtri e dispositivi-tampone”.
L’esperienza condotta nell’ambito del progetto Mediante ci può servire a
cogliere alcuni dei problemi che si incontrano quando si ha a che fare con
le rappresentazioni rigide di famiglia, modello educativo, alunno e modalità di apprendimento.
E soprattutto quando si ha a che fare con la mediazione che coinvolge i
minori.
Mediare fra adulti, rispetto a terreni definiti, quali: i servizi, la cura, il
funzionamento,le prescrizioni, le regole è compito meno delicato, poiché si
agisce come terzo bilingue (traduttore,interprete, portavoce) fra due interlocutori che accettano di essere mediati e che esercitano un controllo (seppur
parziale) su ciò che viene detto e sul contesto della mediazione.
Altra cosa – e ben più complessa – è invece agire sulla scena educativa
come soggetto che può ridefinire i “contorni” e le storie degli interlocutori,
indirizzare le scelte, incanalare le mosse didattiche e le attese. Per questo
motivo, il dispositivo di mediazione nella scuola dovrebbe essere rivolto,
in maniera privilegiata, agli adulti (insegnanti, educatori, genitori), oppure agire come un affiancamento “leggero”, da concordare caso per caso,
dell’insegnante che accoglie, durante le mosse iniziali dell’inserimento. Ciò
che risulta non efficace – e talvolta controproducente – è l’affido del bambino /dei bambini stranieri al mediatore per alcune ore, per qualche tempo.
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Il rischio è, come abbiamo visto, che un dispositivo previsto per includere e
facilitare, produca invece separazione e delega (e perdita di tempo).
La mediazione, dispositivo e modalità di lavoro, che decostruisce gli stereotipi, dà voce a ciò che è implicito, disvela, almeno in parte, il racconto
dei due interlocutori, non può inoltre produrre il paradosso di irrigidire, fissare, schematizzare.
Si tratta dunque di passare da una visione “essenzialista” della differenza a una relazionale; pensare che la cultura sta più nei modi di essere con
gli altri, che in un corpus di usi costumi, tradizioni e valori introiettati e
trasmessi da una generazione all’altra. Come afferma Amin Maalouf, ognuno di noi non è subito se stesso, non si limita a “prendere coscienza di ciò
che è”, ma diventa ciò che è; non si limita a “prendere coscienza della propria identità”, ma l’acquisisce giorno dopo giorno (Maalouf 2005).
È a partire dunque da una rinnovata pedagogia della molteplicità interculturale che si interroga e che dialoga con competenza e pazienza, che si
possono mettere le garanzie per una mediazione consapevole, efficace, che
non si “accaparra” l’altro, ma lo aiuta a ritrovare la sua voce.
Per un protocollo di mediazione nella scuola
Alcuni punti di attenzione
• Il dispositivo della mediazione costituisce un’azione positiva di un
progetto di inclusione dei bambini e dei ragazzi immigrati, e delle loro
famiglie, nei servizi educativi e nella scuola.
• Il mediatore linguistico-culturale opera accanto agli insegnanti e
nell’ambito di un progetto definito, condiviso, realizzato e verificato insieme.
• Il mediatore linguistico-culturale può collaborare a compiti di:
a) – accoglienza degli alunni neo arrivati;
– accompagnamento e tutoraggio durante le prima fasi dell’inserimento;
– conoscenza della storia scolastica, linguistica e personale dell’alunno;
– rilevazione di capacità e conoscenze già acquisite e individuazione
di bisogni di apprendimento non di tipo linguistico;
– facilitazione linguistica durante i primi giorni dell’inserimento scolastico;
– partecipazione a colloqui con gli alunni nei casi di demotivazione,
assenze scolastiche, disagio.
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b) – informazione nei confronti degli insegnanti sui sistemi scolastici e
linguistici di provenienza degli alunni di recente immigrazione;
– informazioni sul singolo alunno;
– approfondimenti e spiegazioni rispetto a riferimenti culturali, comportamenti, pratiche
c) – traduzione e interpretariato di messaggi orali e scritti rivolti alle famiglie straniere;
– assistenza e mediazione durante gli incontri dei docenti con i genitori stranieri, sia individuali che collettivi
– presenza ai colloqui con le famiglie soprattutto nei casi di particolare problermaticità;
– prevenzione e gestione di possibili malintesi e fraintendimenti fra
scuola e famiglia;
d) – partecipazione a percorsi didattici di educazione interculturale,
condotti nelle diverse classi e rivolti a tutti gli alunni che prevedono momenti di conoscenza e valorizzazione dei Paesi, delle culture
e delle lingue d’origine.
(Linee guida sull’accoglienza e l’inserimento degli alunni stranieri, MIUR
2006)
• La domanda di mediazione non è generica, ma è legata a bisogni
definiti, a situazioni chiare e contestualizzate, nelle quali il mediatore
può giocare un ruolo efficace di tramite, facilitatore comunicativo, traduttore…
• L’intervento del mediatore deve essere preparato e concordato in anticipo, in modo tale che gli uni e gli altri siano informati del compito e
della situazione.
• La mediazione non deve mai essere imposta, ma proposta e accettata dalle famiglie straniere, che devono essere informate del ruolo di
traduttore del mediatore presente.
• La scuola e i docenti sono consapevoli delle potenzialità e delle risorse della mediazione linguistico-culturale (e dei suoi limiti) e non pongono ai mediatori richieste improprie, rispetto al loro ruolo.
• Si deve evitare che i mediatori linguistici e culturali vengano utilizzati per avvallare forme di delega del “problema stranieri” a specialisti,
o per realizzare forme di separazione negli spazi educativi dei bambini e dei ragazzi immigrati. Il momento dell’accoglienza, ad esempio, deve coinvolgere la segreteria, la direzione della scuola, l’intera classe, dal
momento che esso segna in maniera profonda il cammino successivo
dell’inserimento e dell’integrazione.
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• Il mediatore linguistico-culturale che opera nella scuola e nei servizi educativi ha seguito un percorso di formazione specifico e di tirocinio nel settore educativo e nelle scuole. È positivo attuare un percorso
di aggiornamento e formazione comuni, dei mediatori e dei docenti, su
temi quali: la migrazione dei bambini, l’accoglienza, la costruzione dell’identità nella migrazione, l’apprendimento dell’italiano L2, il bilinguismo,
la comunicazione e l’educazione interculturale…
• Il mediatore linguistico-culturale è una delle risorse di mediazione
di cui dispone la scuola. La ricchezza delle relazioni e delle interazioni quotidiane (tra bambini, tra genitori italiani e stranieri, tra insegnanti
e genitori…) costituisce tuttavia lo sfondo privilegiato dell’integrazione e
dello scambio interculturale.
Testi citati
Allemann-Ghionda C. (a cura di) (2008), Intercultural Education in Schools. A
comparative study, Parlamento Europeo.
Bocchi G., Ceruti M. (2004), Educazione e globalizzazione, Cortina, Milano.
Demetrio D., Favaro G. (1997), Bambini stranieri a scuola, La Nuova Italia, Firenze.
Favaro G. (2011), A scuola nessuno è straniero, Giunti, Firenze.
La Cecla F. (2009), Il malinteso. Antropologia del’incontro, Laterza, Bari.
Maalouf A. (2005), L’identità, Rizzoli, Milano.
MIUR (2010), Alunni di cittadinanza non italiana, Anno scolastico 2009-2010,
cicl. e sul sito.
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3. Il progetto Mediante:
dati e modello organizzativo
di Simona Boffi, Manuela Fumagalli, Simona Panseri
Il Progetto
Il progetto “Mediante. Nella scuola e nella città di Milano” si è proposto
di sviluppare un sistema razionale ed efficace di servizi di mediazione linguistico – culturali per favorire l’accesso della popolazione straniera ai servizi del Comune di Milano, integrando le attività già in essere e promosse
dell’Ente.
Il progetto è stato finanziato dall’Unione Europea e dal Ministero
dell’Interno con il Fondo Europeo per l’Integrazione dei Cittadini di Paesi Terzi, azione 4 annualità 2009; il fondo è destinato ad applicare i principi fondamentali comuni della politica di integrazione degli immigrati
nell’UE.
Target privilegiato del progetto sono i servizi a sostegno dell’accesso dei
minori stranieri neo-arrivati e a favore di quelle famiglie giunte nella città negli ultimi anni che non possiedono ancora gli strumenti linguistici per
l’esercizio delle proprie responsabilità genitoriali nei confronti della scuola.
Si rivolge alle scuole primarie e secondarie di primo grado della rete
milanese dei Poli Start.
Gli obiettivi del progetto sono:
• favorire l’accoglienza e l’integrazione scolastica dei minori stranieri neoarrivati;
• facilitare la comunicazione e lo scambio tra famiglie immigrate e operatori della scuola;
• individuare un modello organizzativo efficace per la risposta alle esigenze di mediazione linguistico-culturale delle scuole della città.
Le azioni:
• attivazione di uno sportello per la raccolta delle richieste di mediazione
linguistico culturale e di traduzioni;
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• attivazione e gestione di interventi di mediazione linguistico-culturale e
interpretariato attraverso la collaborazione con mediatori esperti, madrelingua e italiani;
• incontri di formazione, coordinamento e supervisione con il gruppo dei
mediatori per l’analisi degli interventi svolti, l’approfondimento dei nodi
critici e l’individuazione di un modello condiviso a livello teorico e metodologico;
• incontri calendarizzati di monitoraggio per la valutazione e riprogrammazione in itinere degli interventi, l’analisi di casi individuali, la rilettura delle esperienze, la documentazione dei percorsi realizzati;
• raccolta, predisposizione e pubblicazione di materiali tradotti riguardanti
il rapporto fra famiglie straniere e scuole;
• realizzazione di una dispensa finale, comprendente dati ed analisi delle
attività svolte.
Lo sportello ha avuto un ruolo fondamentale per l’implementazione, lo
sviluppo e la realizzazione del Progetto. Le sue funzioni sono state:
• raccolta delle richieste di mediazione e traduzione provenienti dalle
scuole;
• contatto con i mediatori per l’attivazione degli interventi;
• organizzazione (date, orari, conferme) degli interventi;
• organizzazione e redazione finale dei documenti tradotti;
• raccolta di tutta la modulistica (schede di richiesta e verifica);
• raccolta dei dati e compilazione del report complessivo;
• verifica della documentazione amministrativa dei mediatori;
• contatti con i Poli Start;
• preparazione degli incontri con il gruppo mediatori (avvisi, documentazione…);
• cura dei materiali per la pagina web.
Attivo presso la sede del Comune di Milano, in Via Pastrengo 6, dal lunedì al venerdì a partire dal 25 ottobre 2010, ha funzionato con la presenza
di tre operatrici, nei seguenti orari:
Lunedì
dalle ore 9.30 alle ore 15.00
Martedì
dalle ore 9.30 alle ore 15.00
Mercoledì
dalle ore 9.30 alle ore 13.00
Giovedì
dalle ore 9.30 alle ore 13.00
Venerdì
dalle ore 9.30 alle ore 13.00
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Le scuole hanno potuto rivolgersi allo sportello per richiedere:
• interventi di mediazione in momenti diversi:
– nella fase di prima accoglienza degli studenti stranieri (es: iscrizione,
presentazione iniziale della scuola alla famiglia, primo inserimento e
accoglienza dei neo-arrivati; rilevazione della storia scolastica e linguistica dell’alunno);
– in occasione di colloqui con i genitori;
– nei momenti della consegna dei documenti di valutazione;
– nella fase di orientamento per la prosecuzione degli studi dopo la terza media;
– durante tutto l’anno scolastico in occasione di colloqui con i genitori e
con operatori di altri servizi socio-assistenziali;
• traduzioni di documenti scolastici o di messaggi informativi per le famiglie.
Ad ogni scuola primaria e secondaria di primo grado è stata inviata la
modulistica necessaria per l’attivazione e la verifica degli interventi da realizzare e le informazioni utili per la richiesta di mediazione.
Tutte le richieste di interventi di mediazione sono pervenute allo sportello Mediante, attraverso l’indirizzo mail o il fax e sono stati realizzati entro
15 giorni dalla richiesta pervenuta dalle scuole (vedi allegato n. 1: modulistica).
L’attività dello sportello Mediante si connota come un lavoro di costante monitoraggio e filtro da parte delle operatrici delle richieste di interventi di mediazione linguistico culturale che provengono dalle singole scuole.
Questa attività si propone di fornire le “risposte” più adeguate ai bisogni
espressi dalle scuole nelle domande.
In particolare lo sportello si occupa di tradurre in linguaggi chiari e
semplificati le richieste, in modo da garantire alle scuole richiedenti il tipo di intervento più idoneo possibile. Per esempio, ad un determinato tipo
di richiesta l’operatrice, prendendo in considerazione l’intero gruppo di mediatori che collaborano al progetto valuta quale incaricare per lo specifico
tipo di richiesta, tenendo presente la formazione dei singoli mediatori, l’esperienza su determinati casi, la conoscenza pregressa del caso specifico,
il sesso del mediatore per la delicatezza dei temi da affrontare o per evitare l’insorgere di “incidenti culturali” (esempio, alla presenza di madre di
cultura araba e religione islamica è generalmente preferibile la presenza di
una mediatrice linguistico culturale di sesso femminile).
In alcune situazioni le operatrici ritengono di dover “decodificare” le richieste delle scuole in quanto talvolta le richieste vengono formulate in
modo non così chiaro o univoco da poter permettere l’attivazione di un intervento individualizzato efficace. In questi casi l’operatrice si attiva contat60
tando le referenti delle scuole per raccogliere il maggior numero di elementi circa il caso.
Attraverso le ulteriori informazioni reperite sul caso, lo sportello si propone altresì di orientare le scuole alla maggior efficacia possibile degli interventi di mediazione.
Ad esempio, talvolta le scuole segnalano la richiesta di colloquio con la
famiglia di un alunno neo arrivato che mostra difficoltà di ambientamento
mostrando reazioni di isolamento, episodi di aggressività… In questo caso
le scuole intendono incontrare le famiglie alla presenza del mediatore linguistico culturale, che favorisce la circolarità della comunicazione.
Il colloquio si articola in vari momenti: primo momento di conoscenza,
raccolta informazioni sull’alunno, scambio reciproco. L’obiettivo specifico è
quello di tentare di stabilire una sorta di alleanza con la famiglia per collaborare alla riuscita dell’inserimento scolastico del bambino e dell’integrazione a scuola.
Lo sportello mette a disposizione delle scuole specifici pacchetti di ore
per l’accoglienza alla presenza del mediatore da svolgere all’interno della
classe dell’alunno attraverso attività varie: momenti di conoscenza e scambio personali e di gruppo, presentazione del paese di origine dell’alunno
neo arrivato attraverso attività interculturali che prevadano l’interazione
della classe, affiacamento per la lingua italiana e l’apprendimenrto delle discipline.
Questo percorso si propone di mettere in atto una sorta di circolarità:
rapporto scuola (insegnanti-mediatore)-famiglia e interventi scuola-mediazione con l’alunno con rimandi alla famiglia sull’andamento e confronti sul
percorso.
I dispositivi descritti messi in atto permettono di garantire che gli interventi di mediazione linguistico culturale vadano a buon fine nell’ottica più
generale dell’integrazione degli alunni inseriti a scuola.
I dati
La raccolta sistematica dei dati relativi agli interventi di mediazione è
stata una della attività che ha permesso sia un monitoraggio in itinere che
l’ideazione di nuove proposte ma soprattutto ha facilitato la lettura dell’andamento del progetto.
Prima di procedere ad un’analisi del contenuto delle varie tabelle, è necessario esplicitare la modalità utilizzata per la raccolta dei dati e i relativi
strumenti, ovvero:
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1. Report complessivo degli interventi di mediazione, comprensivo delle seguenti voci:
• data della scheda di richiesta
• scuola richiedente
• polo Start
• contenuto della richiesta
• numero di ore assegnate
• mediatore coinvolto
• numero di ore svolte
• scheda di verifica delle insegnanti
• scheda di verifica del mediatore
Il report è stato aggiornato in tempo reale e ha permesso di avere sempre un utile quadro delle richieste, del numero delle ore utilizzate, dei mediatori impegnati, della documentazione consegnata.
2. Documentazione cartacea di ogni intervento di mediazione, suddivisa
per richiesta.
Ogni cartellina comprende: la scheda di richiesta, la scheda di verifica
delle insegnanti e del mediatore, la corrispondenza con le insegnanti e con
il mediatore.
3. Time sheet dei mediatori
Compilato mensilmente, riporta data, orario, luogo e contenuto dell’attività.
4. Agenda cartacea degli interventi.
Sono stati riportati tutti gli interventi assegnati e ciò ha permesso di avere un quadro giornaliero degli impegni assegnati ai mediatori, nonché di risolvere velocemente eventuali disguidi organizzativi.
L’intreccio tra tutti gli strumenti utilizzati, l’aggiornamento costante e la
lettura trasversale dei dati che man mano emergevano si è rivelato un modo efficace di procedere e di ottenere informazioni.
Valga quale esempio il monitoraggio sulle ore utilizzate che, ad un certo punto dell’anno, fatte le dovute proiezioni sul numero di ore da utilizzare/ipotesi su nuove richieste, ha permesso di ripensare a settori non ancora
coinvolti (es: le attività dei Centri estivi) proponendo azioni concrete (traduzione di opuscoli informativi).
Passiamo ora ad una sintetica analisi delle varie tabelle, sottolineando
che i dati si riferiscono al periodo 25 ottobre 2010-30 giugno 2011.
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Tab. 1 - Richieste e tipologie di scuola
Richieste
Ore
Interventi
Tipologia scuole
N.
534
2826, 50*
720
Primaria
Secondaria I grado
363
171
Graf. 1 - Richieste e tipologie di scuola
La prima considerazione è relativa alla grande differenza tra richieste provenienti dalla scuola primaria e quelle provenienti dalla scuola secondaria di primo grado. Ad una prima lettura il dato parrebbe in contrasto con la presenza dei ragazzi neoarrivati che si collocano, per la maggior
parte, nella fascia d’età della scuola secondaria. L’ipotesi è che la scuola
primaria conosca da più tempo il dispositivo delle mediazione linguistico –
culturale e, di conseguenza, l’abbia usato maggiormente quale strumento di
supporto al dialogo con le famiglie e all’integrazione dei ragazzi. La necessità rilevata e l’auspicio per un prossimo anno è l’allargamento della possibilità di interventi di mediazione anche alla scuola dell’infanzia, con un’attenzione particolare al passaggio tra scuola dell’infanzia e scuola primaria,
in quanto ottimo contesto per facilitare una precoce accoglienza e per delimitare e risolvere sul nascere eventuali difficoltà.
La differenza di quantità di richieste provenienti dai diversi Poli Start
fa chiaramente riferimento alla presenza, in quelle zone, di scuole con alta
percentuale di alunni stranieri ma anche, come è capitato, alla contestuale
attivazione di progetti con interventi simili a questo.
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Tab. 2 - Provenienza richieste per poli
Poli Start
Totale
1
(z.1.2.3)
2
(z.4.5)
3
(z.6.7)
4
(z.8.9)
128
56
142
208
534
Graf. 2 - Provenienza richieste per poli
Molto interessante è la lettura della tab. 3 relativa alla tipologia delle richieste; tale parte verrà ampiamente ripresa e sviluppata nel cap. 4 ma intanto si possono proporre alcune riflessioni. Come si nota, la maggior parte dei bisogni delle scuole sono relativi al rapporto con le famiglie straniere
(colloqui con genitori) e alla prima accoglienza di alunni neo-arrivati e/o
con difficoltà linguistiche o di inserimento. Come già accennato, tale dato è congruente con gli obiettivi e le aspettative del progetto, ovvero favorire l’accoglienza e l’integrazione scolastica dei minori stranieri neo-arrivati
e facilitare la comunicazione e lo scambio tra famiglie immigrate e operatori della scuola.
Un accenno particolare merita invece la voce consegna schede di valutazione, seconda in assoluto.
64
Tab. 3 - Tipologia della richiesta
Tipologia della richiesta
N.
Colloqui con genitori
(partecipazione assemblea di classe, presentazione uscita didattica
scuola-natura, …)
Colloqui con alunno
Traduzioni
Consegna schede valutazione
Accoglienza alunni neo-arrivati
Orientamento
Accompagnamento UONPIA
Presenza mensile
Intervento interculturale in classe
Totale
272
12
11
168
77*
4
1
7**
1
553
* I pacchetti di accoglienza per alunni neoarrivati di 8 ore complessive.
** I pacchetti mensili di 12 ore complessive.
Graf. 3 - Tipologia delle richieste
Questa voce comprende le azioni di interpretariato orale durante due
momenti dell’anno scolastico: febbraio (schede intermedie) e giugno (schede finali).
Sono momenti che le scuole programmano con largo anticipo e che hanno un’organizzazione abbastanza rigida o, perlomeno, difficile da modifi65
care, in cui è prevista la presenza di molte famiglie nell’arco di pochissime
ore, con un tempo minimo dedicato ad ognuna e con la necessità di “passare concetti”, a volte anche delicati o spinosi, attraverso la traduzione.
Il mediatore si trova così a dover tradurre velocissimamente parole, significati ed indicazioni, con il risultato di non riuscire, spesso, a svolgere un efficace lavoro. Più volte, sia durante gli incontri di gruppo che
individualmente, i mediatori hanno segnalato tale disagio, chiedendo la
possibilità di riservare un “momento dedicato” o, almeno, un tempo diverso alla comunicazione con le famiglie straniere (per la maggior parte cinesi ed arabe). Di ciò e di possibili cambiamenti si è discusso anche nel focus
group svolto con le insegnanti ma pare che non siano possibili sostanziali
modifiche organizzative.
Altra voce da approfondire è quella relativa agli interventi interculturali in classe (ovvero ad attività di animazione e di informazione sulle culture altre rivolte a tutto il gruppo classe). Pur essendo un utile momento è
stato assolutamente sottoutilizzato, forse perché non esplicitamente elencato nella prima comunicazione fatta alle scuole sulle possibilità offerte dal
Progetto. L’unico intervento richiesto è stato effettuato “a due voci”, con la
presenza contemporanea del mediatore peruviano e della mediatrice filippina, offrendo ad alunni ed insegnanti un’azione originale ed apprezzata.
Il gruppo dei mediatori ha proposto di inserire tale tipologia di azione
nei “pacchetti accoglienza” in quanto, a loro parere, se ben integrato con
altre attività di classe e con un apposito intervento di mediazione, può contribuire a creare un clima favorevole all’integrazione degli alunni neo-arrivati attraverso la destrutturazione degli stereotipi e la presentazione degli
aspetti positivi di culture sconosciute.
Il dato relativo agli interventi di accompagnamento ad altri servizi (Uonpia) può trarre in inganno ed è stato oggetto di numerose riflessioni con il gruppo mediatori. Parrebbe infatti che solo una richiesta sia giunta allo Sportello ma il dato può essere letto sotto un duplice aspetto. Da
una parte, nella voce “colloqui con i genitori” spesso si sono date indicazioni per l’orientamento verso altri servizi, Uonpia compresa. Dall’altra, la
Uonpia ha già in essere una convenzione con una Cooperativa di mediazione e quindi garantisce tale servizio al suo interno, motivo per il quale non
è necessaria la sovrapposizione di altre figure.
Per ultimo, un approfondimento sulla presenza mensile dei mediatori
nelle scuole. Il continuo monitoraggio, la lettura dell’andamento del progetto citati sopra, intersecati con il confronto con il gruppo mediatori hanno
evidenziato, ad un certo punto dell’anno scolastico, come fosse necessario
non solo continuare la realizzazione di interventi “su chiamata” ma prevedere anche momenti maggiormente strutturati e continuativi, che dessero
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l’opportunità da un parte ai mediatori di seguire più approfonditamente le
storie e le evoluzioni degli alunni e dall’altra alle insegnanti di poter contare su una risorsa certa e stabile. Si sono così strutturati 7 progetti di presenza mensile in alcune scuole (per un totale di 12 ore per ciascuna scuola), realizzati da n. 6 mediatori, delle seguenti provenienze: 3 dalla Cina, 1
dal Marocco, 1 dalle Filippine e 1 dalla Romania.
Le verifiche della “presenza mensile” sono state raccolte attraverso la
compilazione di diari da parte dei mediatori (vedere cap. 3).
Per quanto riguarda le traduzioni, va evidenziato che, sebbene il numero di richieste non sia stato altissimo, la loro realizzazione ha però comportato molte ore di lavoro perché spesso i documenti da tradurre erano lunghi
e complessi.
Il numero delle richieste di traduzione pervenute allo sportello Mediante sono state 24.
Di seguito elenchiamo alcuni esempi di documenti tradotti:
• “Libretto genitori”
Opuscolo informativo su come funziona la scuola primaria e secondaria
di primo grado in Italia;
• “Alle famiglie dei bambini stranieri neo-arrivati” - Polo Start 2
Opuscolo informativo sui servizi scolastici e socio-sanitari delle zone 4
e 5 di Milano;
• Brochure e progetti relativi alle attività proposte dai centri estivi del Comune di Milano;
• Documenti informativi relativi al funzionamento delle singole scuole: regolamento di istituto, patto di corresponsabilità educativa, schede di valutazione intermedia e finale degli alunni neo-arrivati.
Tab. 4 - Le nazionalità
Nazionalità richieste
Albania
Bangladesh
Bolivia
Brasile
Bulgaria
Cina
Ecuador
Egitto
Etiopia
N.
3
39
1
4
1
220
1
65
1
67
Tab. 4 - segue
Nazionalità richieste
Filippine
Giappone
India
Marocco
Moldavia
Pakistan
Perù
Romania
Sri Lanka
Turchia
Ucraina
Totale
N.
35
3
1
57
4
2
30
18
40
5
4
534
Graf. 4 - Le nazionalità richieste
Come evidenziato nel cap. 4, oltre alle nazionalità già presenti da tempo
(Filippine, Egitto, Perù, Cina, Ecuador, Sri Lanka, Romania, Marocco), negli ultimi tempi nella città di Milano, si sono aggiunti “nuovi” contesti di
origine quali: Moldavia, Ucraina, Bangladesh.
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Tab. 5 - Richieste per aree geografiche
Aree geografiche
N. richieste
Europa
Asia
Sud America
Africa
Totale
30
345
36
123
534
Graf. 5 - Le aree geografiche
Da qui la differenziazione delle provenienze degli alunni e famiglie per
le quali sono stati richiesti ed attivati interventi di mediazione. Particolare
rimane la situazione della comunità cinese, da tempo presente in città, che
presenta ancora grosse difficoltà di comunicazione linguistica.
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Seconda parte
I protagonisti dell’incontro mediato
4. Tra scuola e famiglia: storie di mediazione
di Graziella Favaro
I nostri genitori non giocheranno mai a tennis o a golf. Non andranno mai a sciare o a
mangiare in un ristorante di lusso. Non assisteranno mai a un concerto di musica classica. In vita loro non possiederanno mai un
appartamento o una piccola proprietà da
qualche parte in Francia dove finire tranquillamente i loro giorni. No, al prezzo di
sacrifici incredibili, hanno preferito investire in case nell’entroterra africano, in cemento, che assomigliano vagamente a dei cubi e
che loro chiamano ville.
D. Ahmed, Disintegrati. Storia corale
di una generazione di immigrati, 2007
Educare un figlio altrove
Ho partecipato al colloquio tra i professori delle diverse materie e il padre di T.T.,
un alunno cinese di 14 anni arrivato in Italia da qualche mese. Tutti i docenti si
sono lamentati a turno con il padre perché il ragazzo non rispetta le regole, non
segue il programma di studio, disturba i compagni… Hanno detto che a casa non
studia né fa i compiti e che chiaramente si vede che i genitori non lo seguono. I
professori hanno chiesto ai genitori di prestare più attenzione al figlio e di dedicargli del tempo dopo la scuola. Il padre ha ascoltato in silenzio, con lo sguardo
basso le parole in italiano, che si sforzava di capire e le mia traduzione in cinese.
Poi ha detto in cinese che è consapevole del comportamento del figlio e che anche a casa non riescono a farsi ascoltare. Ha spiegato che sia lui che sua moglie lavorano in un ristorante e hanno orari che impediscono loro di controllare il figlio
quando torma a casa da scuola. Così il ragazzo fa come vuole; dopo anni di vita
da solo in Cina, seguito dalla nonna, è diventato troppo autonomo e viziato e non
vuole impegnarsi. Alla fine il padre ha espresso la sua impotenza; ha detto che
non ha nessuna idea o proposta per far cambiare il comportamento al figlio e spera solo che maturi (dal diario di mediazione di X.L.).
Durante gli incontri con i genitori ho avuto modo di spiegare loro il funzionamento della scuola italiana e il diverso metodo di valutazione (in Cina i voti vengono
espressi in centesimi). Ho detto ai genitori che le assenze devono essere giustificate e i voti controllati e firmati. A volte ho dovuto spiegare anche il significato e le
pratiche di tutela del minore che vigono in Italia. Alcuni genitori non erano al cor73
rente degli orari scolastici dei figli e hanno detto che può succedere che i figli dicano di essere a scuola mentre invece non è vero (dal diario di mediazione di J.B.).
Come abbiamo visto nella sintesi del progetto Mediante, la maggior parte delle richieste di mediazione inviate dalle scuole ha riguardato la relazione con le famiglie straniere ed è stata espressa in momenti diversi
dell’anno scolastico, per singoli casi o, in maniera più ridotta, per incontri di gruppo. Come possiamo leggere nei frammenti dei diari dei mediatori, essi sono intervenuti soprattutto per spiegare le regole della scuola, chiarirne il funzionamento e i reciproci ruoli, richiamare i genitori a rispondere
con puntualità ed efficacia ai loro compiti e alle attese degli insegnanti. Sono stati chiamati a metà e alla fine dell’anno scolastico a tradurre le schede
di valutazione, cercando di dare senso agli esiti intermedi e finali e di illustrare i percorsi scolastici dei figli, le difficoltà e i progressi. Sono intervenuti inoltre nei casi di disagio che si sono manifestati a scuola attraverso la
perdita di motivazione e di impegno, le assenze, le difficoltà di comportamento, l’aggressività o il ripiego, come nel caso di T.T.
Educare un figlio altrove non è compito facile.
L’ingresso del figlio nella scuola del Paese di immigrazione rappresenta per la famiglia straniera un evento cruciale, di fronte al quale i genitori provano orgoglio e, al tempo stesso, timore perché segna un passaggio
importante nella storia famigliare. Rappresenta una conquista e una frattura. Una conquista: per le opportunità di apprendimento, la padronanza linguistica in italiano, lo sviluppo personale e professionale che prepara e indirizza il futuro. Una frattura: per la possibile discontinuità dei messaggi
educativi della scuola, rispetto a quelli dell’inculturazione famigliare, l’acquisizione di una lingua scritta che non è quella delle origini, la distanza
più o meno ampia tra il modello educativo interno e quello esterno.
L’inserimento scolastico del figlio mette anche a nudo le “inadeguatezze” degli adulti stranieri nell’assumere il ruolo genitoriale e nel dare risposta puntuale ed efficace alle aspettative e alle richieste della scuola. Molto
spesso la famiglia immigrata non conosce il progetto educativo e il funzionamento della scuola, le sue regole esplicite e implicite; ignora il linguaggio specialistico che veicola le informazioni, può fraintendere o mal interpretarne le richieste.
I genitori stranieri inoltre sono spesso in difficoltà nell’accompagnare il
figlio arrivato da poco e, per molti versi, quasi “sconosciuto”, nei momenti delicati e complessi della perdita dei legami già stabiliti altrove e del riorientamento nel nuovo Paese. Così come succede al padre di T.T., essi si
trovano ad ascoltare in silenzio le parole degli insegnanti che descrivono le
74
difficoltà del figlio e che talvolta suonano anche come un giudizio negativo
nei loro confronti.
Storie famigliari differenti
I ritratti delle famiglie per le quali è stato richiesto un intervento di mediazione sono variegati e plurali, pur essendo tutti accomunati da elementi
di fragilità che sono legati alle condizioni sociali ed economiche, alla non
conoscenza linguistica, alla distanza che esse vivono nei confronti dei servizi del Paese che li accoglie.
Ogni famiglia immigrata – come del resto accade anche per i nuclei autoctoni – costituisce un mondo a sé, un microcosmo fatto di legami e storie
di fondazione, ruoli e risorse, affetti ed eventi. Parlare quindi di famiglie
immigrate come di soggetti sociali omogenei e fra loro simili è astratto e
fuorviante. Le differenze fra nucleo e nucleo sono tantissime, così come diversi sono i loro progetti, le condizioni di vita e le modalità di relazione
con i servizi e il territorio nel quale vivono. Proviamo a introdurre alcuni
di questi elementi di distinzione soffermandoci sugli aspetti più “visibili” e
documentabili.
Una prima distinzione può essere fatta tra famiglie già costituite nel Paese d’origine che si ricompongono in Italia e famiglie neocostituite che iniziano la loro vita tessendo reti e relazioni nel Paese di immigrazione.
Nel primo caso, la storia della famiglia è segnata, come abbiamo detto,
da eventi salienti che ne hanno cambiato profondamente il tragitto e i ruoli. Il nucleo si è formato in patria, ha vissuto una parte della propria storia
laggiù, finché è avvenuta la prima “frattura”; la partenza di uno dei due coniugi (il marito, nel caso di egiziani, marocchini, immigrati provenienti dal
Bangla Desh; in altri casi, la moglie, ad esempio per le famiglie filippine,
ucraine, peruviane ed ecuadoriane; altre volte entrambi: per molti cinesi,
rumeni, albanesi,singalesi). La durata della separazione del nucleo può variare e in media è calcolata intorno ai cinque anni. Dopo questo tempo di
distacco – durante il quale i vari soggetti della famiglia “spezzata” elaborano ciascuno a proprio modo l’assenza e le attese – la famiglia si ricompone
nel paese di immigrazione.
Un evento cruciale nella biografia famigliare è dunque il momento del
ricongiungimento: i precedenti equilibri si scompongono, nuovi legami si
devono ritessere per colmare distanze, assenze e distacchi profondi.
Fra i nuclei per i quali è stato richiesto l’intervento di mediazione questo
modo di “essere famiglia” è quello prevalente, mentre sono quasi assenti le
famiglie formatesi qui.
75
Ricongiungersi altrove
All’interno del gruppo delle famiglie ricongiunte, possiamo operare inoltre ulteriori distinzioni che ci consentono di definire una tipologia basata
sulle modalità di arrivo e di riunificazione dei nuclei e sul ruolo da protagonista dell’uno e dell’altro coniuge. Si può quindi avere:
• il ricongiungimento famigliare organizzato dall’uomo, che prevede
l’arrivo della moglie e dei figli in un secondo tempo. È questa la modalità più diffusa tra i gruppi provenienti dal Nord Africa (Egitto e Marocco), dal Pakistan e dal Bangladesh, per lo più da persone di religione musulmana;
• il ricongiungimento famigliare “al femminile”. In questo caso è la donna espatriata per prima a far giungere in un secondo tempo il coniuge e i figli. Si tratta della modalità più diffusa fra le immigrate filippine, ucraine, peruviane, appartenenti alle comunità e gruppi con forte
predominanza femminile;
• il ricongiungimento dei figli, quando i genitori sono entrambi emigrati,
partiti insieme o a distanza ravvicinata l’uno dall’altro e fanno giungere in Italia i figli affidati fino a quel momento ai familiari (ad esempio,
fra gli immigrati cinesi e rumeni). In certi casi, la riunificazione dei figli con i genitori può essere “selettiva” o avvenire “a puntate”: si fanno giungere per primi i più piccoli, perché più bisognosi di attenzione
o, viceversa, i più grandi maggiormente autonomi. I primi ad arrivare
possono essere i maschi, portati qui perché compiano un percorso
scolastico che prefigura possibilità di inserimento professionale positivo e si lasciano nel Paese di origine le bambine, affinché crescano
in maniera più consona alla tradizione della famiglia.
Legami famigliari tra qui e là
G. ha 14 anni e frequenta la terza media; è arrivata a febbraio dal Brasile per raggiungere la madre che non vedeva da cinque anni. La ragazza non accetta di vivere qui, ma vuole fortemente tornare in Brasile; anzi, non si impegna a scuola e rifiuta di apprendere l’italiano proprio perché spera che così la madre si convinca a
farla rientrare nel Paese d’origine. Madre e figlia si incolpano a vicenda per la situazione di tensione in cui vivono: la madre accusa la ragazza di non impegnarsi
a scuola; la figlia accusa la madre di averla portata qui contro la sua volontà (dal
diario di mediazione di A.D.C.).
Come testimonia il racconto di G., comune a quello di altri minori ricongiunti, qualunque sia la modalità dell’arrivo, la ricomposizione del nucleo spezzato dalla migrazione rappresenta un evento cruciale per tutti i
soggetti dell’incontro. S’infrangono gli equilibri precedenti, si mettono a
76
nudo aspettative e delusioni, si richiede a ciascuno di ridefinirsi e di ridefinire ruoli e relazioni che si comprimono dentro lo spazio della nuova dimora.
Tutto questo diventa più complesso nel caso dell’arrivo di preadolescenti e adolescenti che possono vivere la migrazione con sentimenti di ambivalenza. Essi sono contenti di ritrovare i genitori espatriati, ma soffrono
nel lasciare affetti e amici; sono emozionati per l’avventura nel nuovo Paese, ma sono anche spaventati dal fatto di essere privi di parola e privati della loro storia.
Da parte loro i genitori – che spesso hanno faticato anni per avere i requisiti richiesti e portare a compimento il ricongiungimento dei figli- pensano di avere infine raggiunto l’approdo, mentre l’arrivo dei minori inaugura spesso un faticoso cammino di ricominciamento.
M.M. è arrivata un anno fa e ora frequenta la seconda media. La situazione scolastica non è buona e la scuola chiama i genitori ad un colloquio. In classe la ragazza è disattenta, non fa i compiti a casa, a volte arriva in ritardo, essi dicono. Durante il colloquio emergono delle informazioni sulla sua storia: in Cina era molto
brava, mentre qui si è trovata in difficoltà a causa della lingua e, dopo una fase di
buon impegno, si è scoraggiata: “Non capisco niente di quello che dicono i professori e allora rinuncio, dice la ragazza, No, non ho mai alzato la mano per chiedere
una spiegazione. Tanto a cosa serve?” In Italia ha trovato una situazione famigliare, scolastica e relazionale che non aveva immaginato e l’unica cosa che vuole ora
è tornare in Cina.
Il ricongiungimento nel nuovo Paese dopo anni di distanza e di assenza
rappresenta una prova per tutti: genitori e figli.
Riprendere a vivere insieme nel contesto di immigrazione segna una tappa decisiva nella storia famigliare, che definisce in maniera profonda un
“prima” e un “dopo” e che comporta modificazioni importanti che coinvolgono piani e soggetti diversi. Essi possono infatti riguardare gli aspetti giuridici, sociali, economici, psicologici e della relazione (interna alla famiglia
ed esterna, con i servizi), progettuali.
Se l’immigrato singolo ha potuto continuare a vivere per anni in una
sorta di invisibilità sociale, rispetto ai servizi e ai luoghi di vita per tutti, la
presenza del nucleo famigliare lo costringe a entrare in contatto con i servizi, a modificare i suoi progetti, a rivedere le modalità di relazione all’interno e all’esterno della famiglia. Molte sono le sfide che devono essere gestite nel momento del re-incontro dopo la parentesi della separazione che
può essere durata anni. Ne citiamo alcune:
• uno spazio nuovo da suddividere in maniera diversa e da condividere;
• il progetto migratorio da riconsiderare nella sua durata, tempi, obiettivi;
77
• le relazioni affettive da ricostruire, a partire dai vissuti reciproci di
“estraneità” sedimentati dalla distanza e dalla lontananza protratta;
• le immagini reciproche da riconoscere e confrontare con le rappresentazioni che ciascuno ha elaborato durante l’assenza;
• le aspettative e le illusioni da demolire o ridimensionare per far posto a
nuove promesse e speranze da costruire insieme.
Queste sfide nelle quali la famiglia ricomposta è impegnata incidono anche sull’inserimento scolastico e si manifestano, per i minori, come difficoltà a trovare il proprio posto nella classe e nell’apprendimento e per i genitori come inadeguatezza a sostenere il cammino di apprendimento del
figlio in maniera efficace.
Una migrazione nella migrazione
Come abbiamo visto, l’inserimento del figlio nei servizi educativi e nella scuola del paese di immigrazione rappresenta per i genitori stranieri un
evento cruciale, una tappa che modifica profondamente il progetto del nucleo e i legami tra le generazioni. Una sorta di ulteriore migrazione nella migrazione che richiede nuove forme di adattamento, autorizzazioni reciproche, aggiustamenti inediti tra perdite e guadagni/nuove acquisizioni.
Il fatto che il figlio impari a leggere e a scrivere nella nuova lingua (e solo
in questa), che diventi più competente e si senta maggiormente a suo agio
nel mondo delle nuove parole e dei nuovi significati è certamente fonte di
grande orgoglio e soddisfazione, ma è anche causa di timori per la perdita
di legami, per la frattura nella storia famigliare e nella memoria del gruppo. Dal punto di vista linguistico e delle informazioni sul nuovo contesto,
“il figlio lascia i genitori sull’altra riva”, come scrive Beneduce (Beneduce
1998).
Avviene anche una rimessa in discussione dei propri ruoli e funzioni di
genitori. Un genitore che è considerato e si considera inadeguato a capire i messaggi e contenuti e a rispondervi in maniera corretta, a sostenere il
bambino nel labirinto dei nuovi apprendimenti, ad essere esempio e mediatore al suo fianco, e cioè un adulto competente e nella nuova lingua, e non
un infans (letteralmente, colui che è senza parole) al quale tradurre e spiegare. La scuola, anche senza volerlo, mette a nudo le incapacità e gli impacci comunicativi dei genitori e disconosce le loro competenze e abilità
acquisite altrove e qui poco spendibili.
Quando i bambini varcano la soglia della struttura educativa del Paese ospite, l’orgoglio e le speranze si mescolano dunque ai timori, alle dife78
se, alla perdita di potere e di autorità. Come si struttura allora la relazione
tra scuola e famiglie immigrate a partire da queste ambivalenti emozioni e
aspettative?
Nei confronti del modello educativo del Paese di immigrazione i genitori stranieri possono assumere atteggiamenti diversi, di:
• chiusura, difesa, fino a forme di vero e proprio antagonismo;
• distanza e percorso parallelo, senza conflitto e senza comunicazione;
• delega, espressa attraverso accettazione passiva e subalterna;
• collaborazione e partecipazione, anche attraverso la reinterpetazione e
confronto.
Il vissuto di dissonanza cognitiva che sperimenta chi si trova a vivere in una situazione di incoerenza con se stesso rispetto a quello che pensa
(i suoi valori e i riferimenti) e a quello che fa (le scelte e gli aggiustamenti qui e ora, per sé e per i figli) può portare ad assumere comportamenti di
auto-esclusione, passività, delega o, viceversa, di difesa e rifiuto. Naturalmente i diversi atteggiamenti non sono mai definiti una volta per tutte e la
relazione quotidiana con chi educa i propri figli contribuisce a modificare i
comportamenti, a superare barriere comunicative, a costruire spazi condivisi di ascolto e di comprensione reciproca.
Il mediatore può cercare di modificare almeno un po’ la relazione tra la
scuola e la famiglia, rassicurando coloro che si sentono minacciati, avvicinando coloro che camminano distanti e su strade parallele, aiutando a porre domande coloro che non hanno i mezzi linguistici per farlo.
Modificando almeno un po’ la rappresentazione che i genitori possono avere interiorizzato della scuola e modificando anche l’idea che gli insegnanti hanno elaborato dei genitori stranieri, ritenuti spesso disinteressati,
quando a volte può essere un vissuto di soggezione a marcare le distanze.
La rappresentazione della scuola
Quale immagine hanno i genitori stranieri della scuola italiana? Una ricerca condotta in città diverse della regione Emilia Romagna si è proposta,
tra gli altri scopi, di indagare le rappresentazioni elaborate dalle famiglie
immigrate. Per fare questo, ha dato la parola a un campione significativo di
famiglie provenienti da cinque diversi Paesi: Senegal, Egitto, Ghana, Marocco e Albania (G. Giovannini 1999).
Ecco, in sintesi, alcuni dei dati e delle riflessioni che sono emersi. I genitori stranieri intervistati hanno avuto differenti percorsi di scolarizzazione nei loro territori di origine, da pochi anni di scuola fino alla laurea. L’e79
sperienza personale, quindi, non sempre permette confronti approfonditi tra
il contesto di provenienza e la scuola italiana e inoltre i dati di realtà, come
è ovvio, si coniugano con le trasformazioni legate all’età e con le trasfigurazioni connesse all’esperienza dell’emigrazione. Provenienza territoriale e
livello personale di scolarizzazione aiutano tuttavia a comprendere l’orientamento delle famiglie nei confronti dell’istituzione scolastica in generale e
di quella italiana in particolare. Prevalgono le rappresentazioni della scuola di tipo strumentale, con attenzione soprattutto all’acquisizione delle conoscenze necessarie a inserirsi nella società e, in specifico, nel mondo del
lavoro. Questo orientamento vale in modo particolare nei confronti della
scuola italiana, alla quale non sembrano riconoscere una più ampia valenza
formativo-valoriale.
Si registrano tuttavia livelli diversificati di investimento attuale o potenziale nell’istruzione dei figli. Chi arriva in Italia con un titolo di studio superiore, indipendentemente dalla provenienza territoriale, prospetta con più
forza per i propri figli una prosecuzione degli studi fino all’università, non
solo per costruire per loro migliori occasioni di inserimento lavorativo, ma
anche per conservare alto il proprio prestigio, soprattutto nei confronti della parentela lasciata in patria. Tra i diversi gruppi intervistati, l’investimento
nell’istruzione è massimo tra gli egiziani, in continuità comunque con l’esperienza già vissuta o riscontrata nel Paese d’origine. Molti di loro sostengono
di essere disposti anche a sostenere grossi sacrifici per garantire una formazione elevata ai propri figli e alcuni li iscrivono sia alla scuola italiana che a
quella egiziana, per garantire entrambi i titoli di studio. Forte l’investimento
in genere anche per gli albanesi che tendono, più degli altri gruppi, a riconoscere la validità dell’istruzione italiana, almeno rispetto a quella di cui si può
usufruire attualmente in Albania. Più eterogenee sono le rappresentazioni e
le aspettative dei senegalesi intervistati – quasi tutti con scarsa scolarizzazione – che spesso antepongono alla scuola e alla formazione culturale che
in essa si può ricevere l’importanza della religione e del lavoro.
Per quanto riguarda il confronto tra la scuola italiana e quella dei Paesi di provenienza, tutti i gruppi sono pronti a riconoscere alcune “superiorità” della prima, relative alla disponibilità di strutture, alla minore numerosità delle classi, ai materiali a disposizione.
Ma, ad eccezione degli albanesi, che fanno riferimento soprattutto al
decadimento attuale delle istituzioni formative nel loro Paese, il giudizio
complessivo dei genitori intervistati sulla scuola italiana non sempre è del
tutto positivo, sia pure per motivi diversificati.
Le critiche riguardano soprattutto:
• problemi di ordine valoriale e religioso. Si ritiene che la scuola italiana
non sia in grado di “educare”, soprattutto non possa educare ai valori nei
quali essi dicono di credere;
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• il rispetto dell’autorità e della disciplina. È avvertita la preoccupazione che il tipo di rapporto insegnante-allievo diffuso nella scuola italiana
pregiudichi anche l’apprendimento da parte del ragazzo dei tradizionali e indispensabili comportamenti di deferenza, rispetto e obbedienza nei
confronti degli adulti e, in particolare, dei genitori. Non mancano tuttavia posizioni più ambivalenti in chi tende a rivedere la propria idea di
infanzia a favore di una dinamica relazionale più “dolce” e paritaria tra
bambino ed adulto;
• problemi di acquisizione di competenze. Molti intervistati hanno sottolineato che la scuola italiana è meno impegnativa e selettiva di quella dei
loro paesi, ma è soprattutto sulla formazione linguistica che si fermano
le attenzioni. Accanto ad alcune richieste di avviare corsi che permettano ai figli di conservare la lingua materna, la volontà che emerge è quella di garantire attraverso la frequenza scolastica, oltre all’apprendimento
dell’italiano, anche quella di altre lingue che siano spendibili fuori dall’Italia, alla ricerca, in sostanza, non di un bilinguismo, ma di un plurilinguismo. L’inglese, in particolare, è il codice linguistico maggiormente investito di aspettative e valore positivo poiché apre la possibilità di
un ritorno nel paese di origine, ma anche di muoversi nel mondo con più
strumenti e opportunità.
Genitori sulla soglia
I dati emersi dalla ricerca precedente sono di fatto confermati da un’indagine nazionale, condotta dal CNEL sulle aspettative delle famiglie straniere nei confronti del sistema scolastico italiano (CNEL 2009). Sono state
prese in esame sei diverse situazioni locali (Milano, Torino, Treviso, Prato,
Roma, Mazara del Vallo), intervistando docenti e genitori immigrati su tre
grandi temi:
• l’organizzazione della scuola multiculturale;
• i contenuti curricolari;
• le qualità della scuola.
Per ognuno dei temi indagati, i colloqui hanno raccolto criticità e acquisizioni, indicazioni operative e proposte. Sul primo aspetto, quello dell’organizzazione scolastica, gli insegnanti e le famiglie concordano sul fatto
che i temi/momenti in cui si presentano i problemi maggiori e che dovrebbero essere al centro dell’attenzione reciproca, sono quelli della comunicazione tra i due spazi educativi, dell’accoglienza degli alunni neo-arrivati (e
delle loro famiglie); della valutazione degli apprendimenti, in itinere e finali, dell’orientamento alla prosecuzione degli studi.
81
Comune e trasversale a tutti i momenti è il tema della partecipazione dei
genitori stranieri alla vita della scuola. Gran parte degli insegnanti ne lamentano la scarsità e stigmatizzano la distanza tra i due spazi e l’atteggiamento diffuso di delega. I genitori stranieri che tendono a stare “sulla
soglia”, da parte loro, individuano le cause della loro debole e fugace presenza in ragioni diverse, di tipo culturale, legate all’asimmetria tra i due
spazi educativi propria del modello scolastico tradizionale interiorizzato
nel Paese di origine; di tipo organizzativo, dovute agli orari di lavoro, alla distanza tra scuola e casa e ai problemi di spostamento delle madri, in
particolare; di tipo linguistico, connesse all’impossibilità di capire e di farsi capire.
Questo atteggiamento di delega è più diffuso nei nuclei famigliari che si
sono ricongiunti ad un certo momento in Italia; lo è in misura minore fra
quelle famiglie che si sono costituite qui, i cui bambini, nati in Italia, hanno frequentato i servizi educativi per l’infanzia.
I compiti a casa
Una difficoltà dei genitori stranieri, che emerge spesso nella relazione
tra scuola e famiglia e che è stata sottolineata dai mediatori che hanno
fatto da tramite fra i due spazi educativi, è quella di poter seguire i loro
figli negli studi nel tempo extrascolastico.
Una delle variabili più importanti che determinano oggi la riuscita scolastica è costituita dal sostegno nello svolgimento dei compiti a casa, che
gioca un ruolo essenziale nell’innalzare le chance e gli esiti. Oggi, più
di ieri, un buon alunno è spesso chi può contare a casa sull’aiuto di un
“buon genitore”.
I dati emersi da una ricerca che ha coinvolto un numero molto significativo di alunni italiani e stranieri indicano che gli alunni italiani che non
dispongono di un aiuto per i compiti a casa rappresentano il 23% del
totale, mentre gli stranieri si differenziano alquanto sulla base della loro
nazionalità e della lingua d’origine. Si è rilevato infatti che:
• 50 ragazzi albanesi su 100 non hanno alcun aiuto;
• 58 cinesi su 100 sono soli a casa dopo la scuola;
• 42% dei marocchini;
• 36% dei rumeni.
(Dalla Zuanna e altri 2009)
I genitori stranieri non sono in grado di sostenere i loro figli nello studio soprattutto per ragioni linguistiche, oltre che per la debole scolarità di
82
alcuni. Anche coloro che hanno frequentato la scuola a livelli alti nel Paese
di origine e che sono diventati italofoni,tuttavia raramente sono in grado di
padroneggiare la lingua dello studio, densa di termini settoriali e specifici,
attraverso la quale vengono veicolati i contenuti del curricolo. D’altra parte,
le famiglie straniere non hanno le risorse economiche per garantire ai figli
un aiuto extrascolastico e chiedono quindi alla scuola di supportarli in questo compito di accompagnamento scolare.
Più scuola, quindi: è una delle richieste maggiormente diffuse, come dimostra il frammento dal diario di mediazione riportato di seguito.
Sono emigrato per far studiare mio figlio.
Ho partecipato come mediatrice al colloquio con tre genitori cinesi che hanno i figli inseriti nella stessa classe prima media. Sono stati convocati dal dirigente scolastico con una lettera per discutere con loro del rischio di una bocciatura per i
loro figli. La causa principale del possibile esito scolastico negativo va ritrovata nella scarsa competenza in italiano che i tre alunni hanno raggiunto. Uno dei
genitori, dopo aver compreso che la scuola non dispone di risorse per attivare un
corso specifico, ha fatto al proposta di organizzare per gli alunni cinesi di recente immigrazione un corso di italiano L2 a pagamento, a carico delle famiglie, in
orario pomeridiano extrascolastico. L’insegnante ha risposto che avrebbe verificato la praticabilità della proposta. Alla fine del colloquio, il genitore che ha fatto la
proposta ha detto agli insegnanti “sono emigrato anche per far studiare mio figlio”
(dal diario di mediazione di J.B.).
L’atteggiamento diffuso di delega e la scarsa partecipazione ai momenti
formali degli incontri, a causa del quale spesso è stato richiesto l’intervento di mediazione, non si accompagnano sempre a basse aspettative nei confronti della scuola. Anzi, è vero il contrario. I genitori stranieri ripongono
nella scuola italiana aspettative alte e vedono in essa il trampolino per un
futuro lavorativo e sociale dei loro figli migliore del loro. Essi hanno un atteggiamento nei confronti dell’istruzione come mezzo di promozione e possibile “ascensore sociale” simile a quello diffuso in Italia negli anni ’50 e
’60, quando la scuola era vista come l’opportunità più grande per un futuro migliore. Anche per questo forte investimento, la loro valutazione rispetto ai contenuti proposti a scuola va nella direzione di una scuola più seria, meritocratica, prestativa. Durante alcuni colloqui di mediazione, alcuni
hanno detto, ad esempio, che ci vorrebbe più tempo per le materie scientifiche e che il loro desiderio sarebbe quello di uno sviluppo trilingue: un figlio italofono, anglofono e competente nella lingua d’origine.
La paura dell’insuccesso scolastico è forte e reale e si presenta con pregnanza diversa, rispetto ai vissuti dei genitori italiani. Non riuscire a scuola rappresenta un fallimento, una sorta di disastro, non solo per i figli, ma
83
per se stessi e investe il progetto stesso di migrazione, vanificando una delle ragioni importanti che erano alla base dell’esodo.
Si emigra per sé, per la famiglia di origine, ma soprattutto per il futuro
della propria famiglia e dei figli. A volte sono le difficoltà economiche, diffuse a causa della crisi attuale, a costringere a rivedere il progetto rispetto
alla scuola dei figli e a ridurre le aspettative, come il caso di una famiglia
egiziana testimonia. La mediatrice racconta:
Sono intervenuta durante un colloquio tra la scuola e la famiglia per convincere un padre egiziano ad iscrivere la figlia all’istituto tecnico per il turismo. Gli insegnanti avevano consigliato questo tipo di orientamento perché la ragazza è molto brava e impegnata anche se è arrivata in Italia solo lo scorso anno. Il padre ha
raccontato che le sue riserve sulla prosecuzione nella scuola superiore derivano
dal fatto che ora lui ha perso il lavoro (faceva il muratore) e che la moglie non lavora e hanno un’altra figlia più piccola (dal diario di mediazione di A.M.).
In alcuni casi, i genitori hanno raccontata ai mediatori episodi piccoli e
grandi di discriminazione nei confronti dei loro figli, sia da parte dei pari
in classe, sia da parte di alcuni insegnanti e di altri adulti. Anche per questi
fatti e per un clima di distanza nei confronti degli stranieri che essi talvolta
percepiscono, i genitori immigrati descrivono la loro relazione nei confronti della scuola e dei genitori autoctoni come un cammino segnato da passi
avanti, soste, ripieghi, sconfitte.
Disturbi di apprendimento
M. è una bambina egiziana di nove anni ed è in Italia solo da tre mesi. Le insegnanti, che avevano difficoltà a relazionarsi con lei a causa del suo silenzio, hanno chiesto l’intervento della mediatrice per comunicare ai genitori la decisione di
rivolgersi all’UONPIA. Sono infatti convinte che la bambina abbia dei deficit cognitivi. Durante il colloquio con i genitori è emerso che la bambina in Egitto aveva sempre avuto ottimi risultati scolastici e che quindi le sue difficoltà sono legate
alla non comprensione dell’italiano e alla differenze negli stili di apprendimento che si riscontrano tra la scuola in Egitto e in Italia. Il colloquio è servito anche
a contenere l’ansia degli insegnanti e a convincerle a dare più tempo alla bambina.
A distanza di qualche mese, in occasione della consegna delle schede di valutazione, le insegnanti hanno sottolineato i progressi di M. e hanno espresso un giudizio positivo sull’andamento scolastico della bambina (dal diario di mediazione di
T.H.).
Un altro tema ricorrente negli incontri mediati tra insegnanti e genitori è stato
quello della segnalazione all’UONPIA di alunni cinesi neo arrivati, che la scuola tende a praticare. In alcuni casi, vi è stato un rifiuto, a volte anche veemente, da
parte delle famiglie, che considerano questo tipo di proposta offensiva, Sia nella
84
comunità cinese immigrata in Italia, che in Cina, non vi è infatti la consuetudine
di ricorrere ad una consultazione psicologica o psichiatrica. Coloro che si avvalgono di strutture di questo tipo sono persone che hanno problemi gravi e conclamati
di tipo psichiatrico o disabilità evidenti. Da una parte, vi sono quindi gli insegnanti che considerano normale ricorrere al parere di specialisti e agli esiti di un test;
dall’altra parte dei genitori che considerano questa proposta discriminante (dal
diario di mediazione di J.B.).
La segnalazione al servizio di neuropsichiatria infantile di alunni stranieri per disturbi di apprendimento ha registrato un forte incremento negli
ultimi anni, sia a Milano che altrove. Un esempio di questa tendenza ci viene dai dati relativi agli ultimi anni scolastici rilevati a Seriate, in provincia
di Bergamo, nell’ambito del progetto FARE delineano chiaramente la tendenza in atto. Nel 2006, le segnalazioni al servizio sono state 462 e sono
diventate quattro anni dopo 688, con un incremento percentuale di quasi il
50%. Ma quelle che sono aumentate in maniera forte sono le segnalazioni
che riguardano i bambini stranieri, passate da 54 a 178, con un incremento
del 230%. Tutte le richieste di consultazione dei bambini stranieri vengono
inoltre fatte dalla scuola. Dopo la consultazione si riscontra inoltre che solo il 12% dei bambini segnalati risulta avere problemi di tipo neuropsichiatrico/neuropsicologico, mentre nel 78% dei casi restanti si tratta per lo più
di difficoltà legate alla fase di disorientamento dopo l’arrivo, all’acquisizione della seconda lingua, alla perdita dei legami affettivi e alla fatica di ricostruirli altrove.
Il rischio che si osserva oggi è dunque quello di una sovrageneralizzazione dei “disturbi di linguaggio e di apprendimento” che porta a classificare come tali anche difficoltà transitorie proprie di una certa fase e di
un cammino dentro la seconda lingua. Se per un certo periodo dopo l’arrivo i bambini stranieri non comunicano con i pari e con gli adulti, questo
non è sintomo di disagio, ma è una fase di silenzio durante la quale il bambino è impegnato a capire, memorizzare, immagazzinare parole frasi ricorrenti e diffuse. Se dopo qualche tempo di inserimento scolastico, l’alunno è
sufficientemente fluente nella comunicazione interpersonale di base, ma ha
ancora difficoltà a capire i testi di studio, a leggere e a scrivere in italiano,
non significa che vi sono problemi cognitivi e di apprendimento, ma che un
ostacolo è stato superato (quello dell’apprendimento dell’italiano per comunicare) ma che un altro, ben più pesante, deve essere affrontato ed è quello
della lingua dello studio, codice veicolare per comprendere e verbalizzare i
con tenuti del curricolo comune.
In queste situazioni che cosa può fare il mediatore?
Nei confronti degli insegnanti, può contribuire a dare elementi di conoscenza dell’alunno che possono indirizzare meglio le scelte. Può informa85
re sulla storia scolastica nel Paese d’origine e delineare le competenze che
l’alunno possiede nella lingua materna, orale e scritta. Questo può far capire alla scuola che i problemi, in molti casi, riguardano soprattutto l’apprendimento della seconda lingua, il superamento dei diversi stadi di interlingua, le difficoltà fonologiche dovute alla distanza fra gli idiomi, i problemi
di scrittura dovuti alla competenza in un altro alfabeto. E non sono sempre
segni di deficit cognitivo generale.
Nei confronti dei genitori, il mediatore può presentare i servizi del territorio e spiegarne le ragioni e il funzionamento, aiutando così le famiglie a
superare paure e timori di etichettamento che alcune richieste possono scatenare.
Mediare, non espropriare
Z.R. frequenta la prima media, ha dodici anni, è in Italia da sei anni circa e conosce bene l’italiano. Il ragazzo viene chiamato dalla famiglia a fare da interprete in
occasione dell’arrivo in Italia e dell’orientamento scolastico di una cugina quattordicenne. Racconta alla mediatrice che spesso viene utilizzato come interprete dalla madre, la quale, pur se in Italia da anni, non parla l’italiano. Avverte come un
peso la responsabilità di questo compito e dice che a volte con capisce quello che
deve fare o dire perché non conosce i termini e i significati delle cose che vengono dette in determinate situazioni formali e di relazione con i servizi. Durante
questo racconto si mette a piangere (dal diario di mediazione di J.B.).
In una scuola elementare di Milano con una forte presenza di alunni immigrati è il momento della consegna della scheda di valutazione del primo quadrimestre. Per risolvere il problema di comunicazione con i genitori stranieri (molti di loro conoscono poco o affatto l’italiano), gli insegnanti
si sono organizzati in questo modo: hanno chiesto ai bambini di tradurre i
contenuti della “pagella” ai loro stessi genitori. Il colloquio a tre è dunque
“mediato” dal figlio: l’insegnante parla, il bambino traduce (?) al proprio
genitore, il quale resta di fatto in silenzio.
Una soluzione apparentemente pratica, salutata come positiva anche dalla stampa (il titolo del giornale recitava infatti: “I bambini traducono la pagella per i loro genitori») che in realtà rischia di creare più problemi di
quanti cerchi di risolvere. Il momento della valutazione è infatti un evento
cruciale nella relazione tra scuola e famiglia, che rimanda a cornici di senso che hanno a che fare con l’autorità, la responsabilità, la collaborazione
tra i due spazi educativi.
In questa situazione, il minore è al centro della relazione, ma lo è in un
ruolo giustamente asimmetrico. Metterlo sullo stesso piano degli adulti, as86
segnandogli di fatto il “potere linguistico” nei confronti dei propri genitori, significa praticare e sostenere una sorta di inversione dei ruoli familiari, dal momento che sarà il genitore a diventare infans, letteralmente “colui
che non sa parlare. Sorgono inoltre altri dubbi: quali informazioni saprà/
vorrà tradurre il bambino ai suoi genitori?
In una classe terza media si tratta il tema dell’orientamento per la prosecuzione degli studi nella scuola superiore. Vi sono incontri con esperti, con
le scuole secondarie della zona, colloqui individuali per capire le preferenze
e le motivazioni dei ragazzi… Pian piano il quadro si compone e si mettono insieme: le attese familiari e i progetti futuri, le inclinazioni degli alunni
e le loro capacità, le informazioni su quella specifica scuola e sulla proposta
di formazione che offre, i suggerimenti e i consigli degli insegnanti.
Un lavoro delicato e complesso che spesso i ragazzi stranieri si trovano a
gestire in solitudine. I genitori di M., ad esempio, non sono in grado di sostenere la figlia in questo passaggio: hanno poche risorse linguistiche e informative, si limitano a chiedere una scuola precocemente professionalizzante, nonostante i risultati brillanti della ragazza. Anche la madre di Z.
delega al figlio la scelta della scuola superiore: in Cina i percorsi formativi dopo la terza media sono più omogenei ed è difficile scegliere con consapevolezza. Anche in questo caso, si tratta di sostenere con efficacia delle
scelte formative, di migliorare il livello di informazione, di prefigurare possibilità e vincoli per costruire progetti positivi di integrazione.
E il ruolo del mediatore può aiutare a chiarire dubbi, far emergere progetti e domande, prefigurare il futuro.
La mediazione nei confronti famiglia facilita lo scambio, mette in comunicazione le due parti, avvicina le famiglie alla scuola e viceversa. Ma
l’intervento di mediazione deve contribuire anche a rafforzare il ruolo dei
genitori stranieri, a renderli protagonisti delle scelte e non soggetti sullo
sfondo ai quali comunicare decisioni già prese. Uno dei rischi che può essere visto nella comunicazione mediata è proprio quello di ridurre l’autonomia e il prestigio di coloro che non padroneggiano la lingua veicolare e che
devono trovare un portavoce e un traduttore che parli al loro posto.
I genitori stranieri rischiano spesso di vedere ridotto o messo in crisi il
loro ruolo genitoriale: da figli linguisticamente e culturalmente più competenti; da servizi e operatori che vivono con fatica la gestione di relazioni
non del tutto fluide e immediate; dalle rappresentazioni veicolate all’esterno che tratteggiano il “buon genitore” in maniera diversa da come essi possono viverlo. E anche la scuola, può, senza volerlo, mettere a rischio l’autorità dei genitori stranieri allorquando esprime ad alta voce e davanti ai figli
le difficoltà a comunicare con la famiglia, le inadeguatezze, le assenze e le
distanze tra i due spazi.
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Un bravo mediatore deve essere in grado di dare parola a chi non sa (ancora) dire e tuttavia far sì che questi rimanga al centro della relazione.
Interlocutore “mediato”, ma non espropriato del proprio ruolo, della propria autorità e storia.
Testi citati
Beneduce R. (1998), Frontiere dell’identità e della memoria, FrancoAngeli, Milano.
CNEL (2009), Le aspettative delle famiglie immigrate nei confronti del sistema
scolastico italiano, Cid.
Dalla Zuanna G., Farina P., Strozza S. (2009), Nuovi italiani, I giovani immigrati
cambieranno il nostro paese?, Il Mulino, Bologna.
Favaro G. (0000), I mediatori linguistico-culturali nella scuola, EMI, Bologna.
Giovannini G. (1999),
88
5. In ascolto dei bambini e dei ragazzi:
quando i mediatori “traducono” storie
di Graziella Favaro
A volte chiudo gli occhi e provo a immaginare di involarmi, di abbandonare il mio
corpo, la mia vita. Assecondando il mio desiderio inespresso di piombare in un’altra
vita, non questa, una più facile, più lineare. Una famiglia come le altre, tutte quelle
che le stanno attorno. Una religione che non
ha bisogno di essere difesa, spiegata, mediata ogni giorno. Un’identità chiara, precisa,
uniforme.
R. Ghazy, 2007
Dentro e fuori dai confini
“Questi bambini viaggiano troppo da un Paese all’altro e stanno troppo
tempo da soli. Questo ‘troppo’ comincia a pesare nella loro storia; la fragilità non emerge subito, all’inizio della scuola, ma di solito quando sono in
quarta o in quinta”.
Troppo erranti e troppo soli: in questo modo un’insegnante coinvolta nel
progetto Mediante descrive i bambini stranieri e le loro vulnerabilità. Nelle
loro biografie sembrano pesare soprattutto due elementi: il viaggio di migrazione, a volte reiterato nelle numerose storie di pendolarismo tra i due
contesti, con le inevitabili separazione affettive che esso comporta, e la situazione di solitudine che molti di loro vivono nel nuovo paese. Anche i
mediatori riportano le difficoltà dei minori di recente immigrazione, soprattutto dei ragazzi in età preadolescenziale, e offrono uno sguardo più
“interno” sull’infanzia che migra.
Essi sono stati chiamati a intervenire nelle scuole per facilitare la relazione tra l’insegnante e gli alunni stranieri soprattutto in due casi: l’inserimento di ragazzi neo arrivati e il colloquio individuale con minori che
manifestavano forme più o meno evidenti di disagio, perdita di interesse,
demotivazione, silenzio. Nelle pagine che seguono, proponiamo dei frammenti di storie d’infanzia a partire dai diari di mediazione raccolti nell’ambito del progetto.
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Y. ha quasi dieci anni ed è un chiaro esempio del pendolarismo dei
bambini stranieri, dal momento che ha già attraversato i confini di quattro
Paesi.
È nato in Brasile dove è cresciuto con i nonni e ha iniziato la scuola. A sette anni ha raggiunto i genitori in Portogallo e vi è rimasto solo per pochi mesi senza
mai frequentare la scuola. Da lì il nucleo famigliare si è spostato in Spagna dove il bambino ha frequentato la quarta e la quinta e infine, da quattro mesi, genitori e figlio sono arrivati in Italia. Y. è stato inserito in quarta, ma è più grande dei
suoi compagni, sia fisicamente che per la sua maturità e le sue esperienze di piccolo migrante. In classe disturba e gioca e gli insegnanti non riescono a comunicare con lui e per questo è stato chiesto l’intervento della mediatrice. Durante il
colloquio, sono emerse le difficili condizioni della famiglia: vivono in un monolocale senza riscaldamento, la madre non ha trovato lavoro e il padre fa saltuariamente il muratore. Inoltre il bambino, che frequenta una classe a tempo pieno, torna ogni giorno a casa per il pranzo perché la famiglia non è in grado di pagare la
mensa scolastica. La madre è molto preoccupata e parla continuamente di un ritorno in Brasile… Dopo le vacanze di Pasqua, Y. non è più tornato a scuola; la famiglia è stata contattata più volte telefonicamente ma senza alcuna risposta (dal
diario di mediazione di A.D.C.).
Z. è una bambina cinese di otto anni, da poco tempo in Italia e inserita in terza elementare. Le insegnanti chiedono l’intervento del mediatore perché la bambina sta sempre in silenzio; risponde solo “sì” o “no” con un cenno della testa e
non riesce a seguire il ritmo della classe. Viene chiamato il padre il quale racconta che la bambina è cresciuta con la nonna paterna e che in Cina era inserita per
tutta la settimana in una scuola/collegio dalla quale usciva solo il sabato e la domenica. Dopo il colloquio mediato con il padre, questi si attiva per trovare un’insegnante che possa seguire privatamente la bambina. Si notano in seguito a questo
dei miglioramenti e Z. comincia piano piano a far sentire la sua voce in classe…
Alla consegna della pagella il padre ha comunicato che la bambina rientrerà in Cina perché la nonna reclama la presenza di Z. al suo fianco e i genitori non possono opporsi al suo desiderio in nome della tradizione culturale (dal diario di mediazione di Z.X.).
Come nelle storie di Y. e Z., nelle vicissitudini dei bambini e dei ragazzi della migrazione, il viaggio e le separazioni affettive sono elementi ricorrenti. Essi segnano profondamente gli eventi e scandiscono uno snodo
biografico cruciale che fa da spartiacque tra il “prima” e il “dopo”. Vi è il
distacco precoce, a volte protratto nel tempo, dal genitore/dai genitori che
sono emigrati per primi, particolarmente acuto e doloroso quando si tratta
della madre. Avviene poi la rottura dei legami con le figure di attaccamento che nel frattempo avevano preso il posto dei genitori espatriati e che sono, in genere, i parenti stretti come i nonni e gli zii. E vi è l’abbandono del
gruppo dei pari – cugini, compagni di scuola, amici del cuore – con i quali
si sono condivisi i sogni, le avventure, le conquiste e le delusioni.
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Quando i bambini e i ragazzi arrivano in Italia, portano con sé l’esperienza e i vissuti delle molteplici separazioni e perdite che hanno dovuto attraversare. Il viaggio di ricongiungimento diventa allora un’esperienza
densa di ambivalenze: carica, da un lato, di aspettative e attese e, dall’altro
lato, resa dolorosa dal vissuto di frattura, rispetto alla propria storia, agli
affetti e ai legami che hanno popolato fino a quel momento la vita quotidiana e riparato le assenze.
Viaggiatori che spesso non hanno deciso di partire, ma che si trovano
all’improvviso catapultati in una parte diversa del mondo, senza che vi sia
stata alcuna preparazione al distacco, i minori immigrati attraversano molteplici passaggi e transizioni: dal paese di origine a quello che li ospita, dalla
cultura famigliare a quella della scuola; dal mondo interno e della dimora, a
quello esterno, del nuovo ambiente; dai suoni permeanti e affettivi della lingua madre alle parole indecifrabili della seconda lingua (Favaro 2011).
I frammenti delle loro biografie e i racconti del viaggio svelano la fatica di
chi si trova a vivere – per un periodo più o meno lungo – senza potersi riconoscere, ed essere riconosciuti, nella propria storia. Molti vivono la migrazione come un evento drammatico: non hanno scelto di partire, non sanno bene
dove si trovano, quale sia la distanza dal loro paese, non capiscono il senso
dei cambiamenti improvvisi che si verificano intorno a loro. L. e R. Grinberg
catalogano la migrazione come un vero e proprio trauma e scrivono:
Riteniamo che il concetto di trauma debba essere riferito, non solo a un fatto isolato e unico, ma a situazioni più o meno prolungate nel tempo, come deprivazioni
fisiche o affettive, separazioni dai genitori, reclusioni, ospedalizzazioni o migrazioni… Crediamo quindi che la migrazione, in quanto esperienza traumatica possa essere compresa nella categoria dei cosiddetti traumi “accumulativi” o “da tensione”, con reazioni non sempre esplosive o manifeste, ma dagli effetti profondi e
duraturi (L. e R. Grinberg, 1990).
Nella prima fase dopo l’arrivo, prevalgono, in genere, nei minori venuti da lontano la nostalgia per il paese d’origine e la resistenza nei confronti
del nuovo ambiente e si possono riattivare le ansie e le paure di essere nuovamente abbandonati dai genitori e di restare da soli in luoghi sconosciuti e ostili. Di fronte alla necessità e all’urgenza di darsi delle risposte e allo
smarrimento di trovarsi fuori luogo, alcuni possono ricostruire l’esperienza di migrazione in maniera fantastica, proponendo improbabili motivazioni del viaggio, descrivendo genitori irreali ed elaborando altri “romanzi
famigliari”. Prima di partire molti avevano elaborato un’idea dell’Italia come El Dorado, un luogo nel quale “puoi vincere milioni rispondendo a una
domanda facile facile”, come racconta Amir, un ragazzo albanese di dodici anni e si trovano a vivere in case anguste, sovraffollate o isolate, per certi aspetti peggiori di quelle in cui avevano abitato fino a quel momento. La
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delusione è compensata almeno in parte dagli oggetti che i genitori acquistano per loro (giocattoli, vestiti…) e che dovrebbero risarcirli della perdita delle illusioni.
Soli per il mondo
In tutti i resoconti degli interventi di mediazione che hanno coinvolto direttamente i minori, il tema della solitudine di questi ultimi è ricorrente e
diffuso. Anzi, a volte è una delle ragioni che spingono la scuola a richiedere l’intervento del mediatore. Solitudine reale, legata all’assenza delle figure genitoriali nel tempo extrascolastico a causa dei loro orari di lavoro e solitudine e solitudine percepita e originata, da un lato, dal vissuto di perdita
dei legami affettivi e amicali che sono rimasti nel paese d’origine e, dall’altro lato, dalla sensazione di essere esposti senza protezione agli ostacoli,
alle sfide, alla nuova lingua.
Soprattutto le storie di gran parte dei bambini e dei ragazzi cinesi che
emergono dai diari di mediazione, disegnano una diffusa condizione di isolamento. Due mediatori di lingua cinese raccontano a questo proposito:
Ho fatto un colloquio telefonico con un ragazzo cinese inserito in terza media. Gli
insegnanti hanno chiesto questo intervento perché l’alunno era assente da tempo e
non si avevano notizie. Durante la telefonata è emerso che i genitori sono andati a
vivere a Venezia per lavoro mentre lui è rimasto a Milano, ma non si sa a chi è affidato.
A. è arrivato in Italia nel gennaio 2011 ed è inserito in prima media… Il problema del ragazzo, come quello di tanti altri minori cinesi, è che è lasciato a se stesso, non c’è nessuno in grado di aiutarlo, o perlomeno di incoraggiarlo e controllarlo, perché i genitori lavorano in un ristorante. In classe finora non ha legato con
nessun compagno italiano e fuori dalla scuola vede solo amici cinesi. Gioca molto
con i videogiochi o chatta in social network cinesi. A parte la scuola, non c’è nessun luogo in cui il ragazzo si trovi nella condizione di voler/dover parlare in italiano (dal diario di mediazione di J.B.).
La solitudine extrascolastica è riempita spesso per i ragazzi stranieri dai
contatti a distanza con gli amici rimasti in patria e da internet, senza tuttavia che nessuno sia in grado di controllare e proteggere i minori dalle insidie e i pericoli che essi possono incontrare navigando tra i siti. La storia di
E. è un esempio di questi rischi.
E. è una bambina filippina di 11 anni inserita in quinta. Le insegnanti chiedono l’intervento della mediatrice perché hanno osservato in lei comportamenti “da
adulta” e si sono allarmate. Durante il colloquio è emerso che la bambina ha un
profilo su facebook con una foto in atteggiamento non adatto alla sua età. Passa
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molto tempo, anche fino a mezzanotte, su internet a chattare con gli amici di facebook. La madre non è in grado di controllare quello che fa sua figlia e con chi
chatta (dal diario di C.C.).
La migrazione dei bambini e dei ragazzi si traduce per molti in un evento faticoso che segna in maniera profonda la loro storia e l’identità personale. I cambiamenti sono molteplici e improvvisi, le fratture inevitabili, i
compiti ai quali fare fronte nel paese di accoglienza appaiono, in un primo tempo, ardui e sembrano al di fuori della propria portata. I distacchi e
gli aggiustamenti devono inoltre essere gestiti e affrontati in solitudine senza poter contare spesso sull’appoggio efficace dei famigliari o del gruppo dei pari. I genitori tendono infatti si trovano spesso nella condizione di
non riuscire ad aiutarli, dato che non padroneggiano la lingua e non conoscono le regole implicite, le aspettative e i messaggi degli spazi educativi,
della scuola e dei luoghi di socializzazione. Tutte le loro risorse, materiali
ed emotive, sono state fino a quel momento mobilitate per portare a compimento il ricongiungimento della famiglia e il momento della ricomposizione viene visto come un traguardo, un approdo, la fine di un percorso defatigante, e non invece come un nuovo inizio che implica fatica, attenzioni
costanti per riallacciare fili e legami che sono diventati per forza di cose
labili e discontinui durante l’assenza. I genitori possono inoltre avere difficoltà ad assumere il ruolo di esempio e di mediatore tra lo spazio interno,
famigliare e quello esterno; di iniziatore del nuovo viaggio, reale e simbolico. Non sempre riescono a elaborare un sistema adeguato di protezione dei
figli e a presentare loro, per dirla con Winnicott il nuovo mondo che li accoglie “a piccole dosi”.
Così i bambini e gli adolescenti della migrazione sembrano doversi confrontare “con una singolare forma di solitudine e diventare quasi demiurghi
di se stessi e del proprio destino… Il bambino figlio di immigrati, per la
particolarità di rapporto con il nuovo ambiente culturale, non meno che con
quello originario della propria famiglia, è come se fosse fatto di “un’altra
pasta, forgiato con un altro metallo”. Pertanto, mentre da un lato egli si trova a dover gestire da solo l’esperienza della migrazione, dall’altro sente di
essere diverso da quanti fra i suoi famigliari lo hanno preceduto e da quanti lo seguiranno” (Beneduce 1998). L’esperienza della migrazione può allora tradursi in una condizione di maggiore vulnerabilità psicologica.
Vulnerabilità e sfide
Quando entrano in classe, i bambini e i ragazzi immigrati si trovano alle prese con sfide e compiti importanti e ardui: l’apprendimento della nuova
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lingua, il riorientamento nello spazio e nel tempo, la necessità di decodificare le regole implicite ed esplicite che regolano le relazioni e i ruoli nella
classe. Ma sono anche alle prese con il marasma emotivo che il viaggio di
migrazione comporta, con i vissuti di perdita, da un lato, e con le difficoltà
di ritessere legami affettivi con i genitori/quasi estranei, dall’altro.
Al momento dell’inserimento, la scuola tende a registrare i bisogni linguistici e le necessità di apprendimento, ma non sempre vi è la consapevolezza dei vissuti di disorientamento e di nostalgia che connotano questo
momento di passaggio.
Negli studi sulla migrazione infantile, il concetto di vulnerabilità viene utilizzato di frequente e serve a designare uno stato di minore resistenza
agli eventi e ai fattori nocivi: “Chi è stato ferito diviene ansioso, irritabile,
rivede le immagini del pericolo, il più piccolo evento risveglia la memoria
del trauma e fa ritornare la sofferenza” (Cyrulnik 2009).
Il concetto di vulnerabilità, dinamico e aperto, sta dunque a indicare, non tanto un disagio, quanto un rischio e una possibilità. Esso ha origini multifattoriali e serve dunque anche a sottolineare la responsabilità e il
ruolo che la famiglia, il contesto di accoglienza e i servizi hanno nel creare
le condizioni che prevengano o attenuino tale rischio.
La metafora delle tre bambole
Per rappresentare la situazione di vulnerabilità, esprimerne la variabilità da
un soggetto all’altro e individuare i fattori che la causano, viene spesso proposta la metafora delle tre bambole che cadono sul pavimento. La prima è
fatta di vetro, la seconda di plastica e la terza di acciaio. Tutte e tre ricevono un colpo di uguale intensità e sono dunque esposte allo stesso rischio, ma
il risultato in termini di vulnerabilità sarà differente: la bambola di vetro si
romperà, la bambola di plastica porterà una cicatrice indelebile e quella d’acciaio ne uscirà indenne.
La metafora delle tra bambole è stata più volte ripresa in maniera critica e
articolata, evidenziando anche i riferimenti al contesto e alle altre variabili,
non solo di natura individuale. In tal senso, Manciaux osserva che “quando
si lascia cadere la bambola, essa si romperà più o meno facilmente secondo:
• la resistenza del materiale di cui è fatta: vetro, plastica o acciaio;
• la natura del pavimento: di cemento o di sabbia;
• la forza del colpo: dato per negligenza o per calcolata aggressione.
Il pavimento rappresenterebbe allora l’ambiente, il colpo l’evento traumatico
e la resistenza del materiale, il livello di vulnerabilità individuale (citato in
M. Anaut 2003).
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Marie Rose Moro utilizza un’altra immagine per spiegare la vulnerabilità specifica dei minori che attraversano i confini e che sperimentano il passaggio da un mondo all’altro: quella del bambino “esposto”. La mitologia
riporta numerosi esempi di bambini esposti ad un pericolo, lasciati in balia degli eventi o affidati ai flutti dentro un canestro. “Se il bambino supera
il rischio, diviene un eroe. Ritroviamo il concetto di esposizione nelle leggende di Dioniso, Mosè, Paride, Perseo, ma anche naturalmente nel mito di
Edipo. L’esposizione è in un certo senso un’acculturazione brutale, una costrizione a cambiare, un obbligo alla metamorfosi” (Moro 2001). La stessa
studiosa individua soprattutto tre momenti critici nella vita dei bambini migranti durante i quali essi sono più vulnerabili. Essi sono:
• la prima infanzia, in particolare i primissimi anni di vita, soprattutto a
seguito della separazione precoce dalla madre o di interazioni problematiche tra madre e figlio;
• l’ingresso nella scuola e l’apprendimento della lingua scritta;
• la fase dell’adolescenza.
Le relazioni con i pari
Essere inserito e accettato nel gruppo dei pari è una condizione fondamentale perché un bambino o un ragazzo si sentano parte della classe e
della sua storia. Ed è importante anche per poter apprendere; nessuno infatti riesce a imparare davvero se non si sente accolto, se non ha trovato il
suo posto nella scuola, se sente di essere ai margini delle relazioni e degli
scambi amicali. La presenza dei mediatori dentro la scuola ha fatto sì che
i bambini e i ragazzi stranieri potessero “buttare fuori” episodi piccoli o
grandi di rifiuto nei loro confronti e che venissero a galla vissuti di distanza e di marginalità relazionale, come i frammenti tratti dai diari di mediazione testimoniano.
Durante il colloquio previsto alla fine del quadrimestre per la consegna ai genitori della scheda di valutazione, l’insegnante ha comunicato ai genitori le assenze
eccessive di C. ma si è scoperto che i genitori ignoravano del tutto la situazione.
È seguito un colloquio con il bambino, il quale ha raccontato in cinese che alcune mattine prende lo zaino e va al parco a leggere e poi ritorna a scuola al momento dell’uscita. Si assenta volontariamente da scuola perché non sopporta più
gli scherzi e gli insulti pesanti di alcuni compagni di classe che lo hanno preso di
mira e che durano da tempo. Gli insegnanti non si erano accorti del problema (dal
diario di mediazione di H.D.).
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S. ha dodici anni e viene inserito a due mesi dalla fine della scuola in una classe
quinta, ovviamente senza comprendere né parlare in italiano. Vengo chiamata dopo che il bambino ha avuto una nuova crisi di pianto in classe e ha riferito alla sorella di essere stato picchiato dai compagni. S. ha un’ottima conoscenza dei contenuti di matematica; anzi dimostra un livello superiore a quello della classe, ma ha
grandi difficoltà in italiano. Per questo motivo, gli insegnanti hanno predisposto
per lui un programma facilitato e gli dedicano alcuni momenti di attenzione durante la giornata. Tutto ciò lo rende inviso ai compagni che lo considerano un “diverso” e in più coccolato dagli insegnanti. Va detto che S. è inserito in una classe
molto vivace dove spesso i maschi ricorrono a pugni e calci. Il bambino è diventato un bersaglio, tanto che un giorno un compagno, non visto dall’insegnante ma
sotto i miei occhi, gli sputa in faccia. Il bambino ha confessato che conta i giorni
che mancano alla fine della scuola (dal diario di mediazione di J.B.).
Il motivo alla base della richiesta di mediazione sta nella situazione di isolamento
che vive A., un bambino marocchino di 11 anni. Le bambine della classe manifestavano verso di lui un rifiuto totale e questo provocava la derisione dei compagni
maschi. A. reagisce chiudendosi sempre di più in se stesso. Sono intervenuta accanto all’insegnare per un lavoro con tutta la classe per raccontare la storia di A.
e suscitare l’interesse dei bambini sulla provenienza e la lingua del loro compagno
di classe (dal diario di T.H.).
Nonostante gli appelli all’amicizia, i richiami delle insegnanti alla solidarietà e all’accoglienza di tutti, si stanno diffondendo fra i bambini e i ragazzi piccole e grandi tensioni “razziali”, episodi spiccioli e quotidiani di
discriminazione e di rifiuto nei confronti dei compagni stranieri. Soprattutto nei momenti di minor controllo, durante i tempi del gioco, dell’aggregazione spontanea, dello spostamento libero nello spazio vengono a galla e prendono forma le parole e i gesti della distanza. In questi interstizi di
maggiore libertà, più informali e meno strutturati, dove si allenta un po’ la
vigilanza degli adulti e lo sguardo degli insegnanti è meno attento e giudicante, possono emergere pulsioni e atteggiamenti in altri casi tenuti sotto
controllo (Favaro 2011).
Raramente i minori, soprattutto gli adolescenti, parlano agli insegnanti degli episodi di discriminazione piccoli o grandi che essi vivono e cercano da soli di sopravvivere con strategie diverse, in questi casi, intradirette e
autolesioniste: le assenze di C., le crisi di pianto di S., la chiusura di A. La
presenza di un mediatore può consentire al bambino di far emergere questi
vissuti e far sì che la scuola presti maggiori attenzioni ai modi dell’incontro
e delle amicizie fra bambini.
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Vicinanze e distanze
Il tema delle relazioni fra bambini che hanno origini storie differenti nella situazione attuale di multiculturalità, è cruciale sia nelle scuole che
nei luoghi dell’aggregazione e dell’incontro in tempi extrascolastici. Su
questi temi, in Italia sono ancora poche le ricerche e gli studi, anche se il
futuro e la coesione delle nostre classi e comunità passano dalla qualità degli scambi elettivi e amicali fra gruppi e persone di origini diverse.
In questi vent’anni di pratiche di integrazione nella scuola italiana diventata in fretta multiculturale e plurilingue, sono stati messi al centro soprattutto i bisogni e i dispositivi di accoglienza, l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua, la facilitazione dei contenuti curricolari comuni.
Un approccio soprattutto di tipo “compensatorio” che presta ancora poca
attenzione alla dimensione relazionale dell’integrazione, ai modi e alle forme della quotidiana convivenza fra bambini e fra adulti con storie e riferimenti differenti.
Dalla parte dei bambini appartenenti al gruppo “maggioranza”, i modi e
i gesti attraverso i quali essi manifestano la distanza hanno a che fare soprattutto con due dimensioni: quella fisica, del corpo e delle differenze somatiche e quella sociale e culturale, legata alla rappresentazione dell’altro.
In altre parole, quello che Abdelmalek Sayad (1999) ha chiamato lo stigma
dell’immigrazione, cioè, riprendendo le ricerche di E. Goffman, quei tratti
fisici o sociali che funzionano come un vero e proprio “marchio” impresso
su alcuni individui e su alcuni gruppi.
I tabù rispetto al contatto fisico con i bambini somaticamente differenti
rappresentano un elemento sempre più ricorrente e al quale prestare attenzione nelle dinamiche delle classi multiculturali. Nel mondo dei bambini
la complicità e l’amicizia si esprimono quasi sempre attraverso la condivisione di una vicinanza corporea. La dimensione fusionale delle amicizie infantili appare in maniera immediata attraverso i gesti, il contatto, la
prossimità. Così, tenere la distanza fra sé e il corpo dell’altro, aver paura
della contaminazione degli oggetti da parte del compagno nero si caricano
di una pienezza simbolica che rende esplicita la vulnerabilità dell’Io. Come racconta una bambina marocchina in un recente libro (Caliceti 2010):
“All’inizio c’era una cosa che a me dava fastidio quando sono arrivata in
questa scuola. Subito nessuno voleva sedersi vicino a me, andavano via, mi
evitavano. Se una maestra mi chiamava e io mi alzavo, un bambino metteva il naso sulla sedia e faceva delle smorfie; faceva finta che puzzavo per
far ridere gli altri”. Naima ricorda con dolore il suo corpo estraneo di bambina arrivata qui da lontano e le forme della distanza nei suoi confronti.
97
Essere un bambino nero, o un bambino somaticamente diverso, non corrispondente all’idea comune di “bello” è un’esperienza che comporta sofferenza e vissuti di distanza. Ma non solo il colore della pelle o la forma degli occhi possono creare barriere. Anche l’appartenenza ad un contesto o
ad una nazionalità che nel tempo si sono caricati di rappresentazioni negative può provocare distanze e confini.
Ma che cosa succede oggi dentro le classi multiculturali e plurilingui?
Come si stabiliscono le interazioni fra i bambini italiani e stranieri?
Da una rassegna delle ricerche, relative ai legami di amicizia nelle scuole britanniche fra alunni di etnia differente, curata da Tomlinson alcuni anni fa era emerso che i bambini mostravano preferenze per le relazioni con
i pari dello stesso gruppo fin dalla prima infanzia (Tomlinson 1983). In genere, queste ricerche si basavano su tecniche sociometriche (sociogramma, questionari, rilevazione delle scelte e preferenze in situazioni di socialità diverse…) e tendevano, nell’analisi, a raggruppare i bambini per etnia
e gruppi omogenei di appartenenza. Nella realtà, tuttavia, le cose sono più
fluide e succede che i bambini indichino preferenze o esclusioni verso un
compagno, non tanto perché è cinese, marocchino o rumeno… ma sulla base di attributi personali: perché è silenzioso o loquace; timido o aperto; aggressivo o gentile (Troyna e Hatcher 1993).
Le relazioni possono inoltre variare secondo le situazioni di contatto e dispiegarsi in maniera diversa a scuola o nel tempo libero, nelle attività sportive o in un gruppo di studio. Alcuni eventi, in cui i minori stranieri possono
manifestare competenze, saperi e saper fare fino a quel momento nascosti,
possono diventare per loro occasioni di sblocco e di incontro; altri invece,
che sollecitano competitività, conformismo, adeguamento a un “modello”,
possono sospingere ai margini delle relazioni i minori più vulnerabili.
L’essere straniero e l’appartenente ad un diverso gruppo etnico sono dunque variabili che vanno situate e lette dentro un contesto di interazione più
ampio.
Anche in Italia, sono state condotte alcune ricerche, a carattere quantitativo o qualitativo, in tempi più recenti, sui rapporti tra i bambini e i ragazzi
italiani e stranieri; molte di queste indagini hanno rilevato una densità relazionale minore da parte dei minori stranieri, rispetto ai compagni italiani
(Giovannini 1996, Queirolo Palmas 2006, Di Pentima 2006, Favaro 2009).
In generale, i minori non italiani dichiarano di avere un numero di amici più ridotto, rispetto agli italiani; tendono a far coincidere i loro amici
con i compagni di classe e ad essere più soli nel tempo extrascolastico, come le testimonianze dei mediatori dimostrano. Coloro che sono arrivati qui
per ricongiungimento famigliare affermano inoltre che i loro “veri amici”
sono quelli rimasti nel Paese di origine e indicano un numero di amici in98
versamente proporzionale all’età: più diventano grandi, più ridotte diventano le loro amicizie e spesso si stabiliscono in maniera privilegiata con i
pari connazionali. Richiesti poi di indicare attività svolte e luoghi frequentati in tempo extrascolastico (a carattere aggregativo, ludico, sportivo…) descrivono situazioni di isolamento e una socialità elettiva più rarefatta: la loro mappa cittadina, o di quartiere, in cui segnare i percorsi di incontro con
i pari e i luoghi frequentati nel tempo libero indica spazi ridotti e per lo più
aperti, pubblici e gratuiti (piazze, giardini, parchi…).
Una ricerca condotta qualche anno fa sulla condizione dei minori stranieri in città italiane diverse sintetizzava questa situazione di povertà relazionale nel titolo significativo: “allievi in classe, stranieri in città”. Le
ridotte opportunità di incontro e di scambio con i pari al di fuori della
scuola si riverberano poi anche sulla socialità dentro la classe perché chi
più solo e isolato fuori dalla scuola ha meno racconti, episodi ed emozioni
da condividere e vive, di conseguenza, una situazione di “vuoto narrativo”.
E quindi, un numero ridotto di amici e di luoghi di socialità vuol dire
anche avere meno storie, imparare e usare meno parole, essere escluso da
una circolarità di racconti…
Ragazzi stranieri e tempo libero
Com’è la vita di relazione delle ragazze e dei ragazzi stranieri in Italia? E
come impiegano il loro tempo libero? A partire dai risultati di una ricerca
quantitativa condotta a livello nazionale su diecimila ragazzi stranieri e diecimila ragazzi italiani, di età compresa fra gli 11 e i 14 anni, residenti in zone diverse, ecco alcune osservazioni:
• quasi tutti i ragazzi stranieri dicono di avere almeno un amico italiano,
ma la frequentazione extrascolastica di amici italiani è strettamente connessa all’età dell’arrivo;
• solo il 35% di chi è arrivato da poco vede almeno un amico italiano anche fuori dalla scuola, mentre la percentuale sale al 75% per chi è nato in
Italia;
• per i ragazzi provenienti dall’Europa dell’Est e per l’America Latina stabilire amicizie con i coetanei italiani è più semplice;
• i ragazzi marocchini e asiatici (in particolare cinesi) trovano maggiore
difficoltà ad uscire dalla cerchia delle relazioni etniche, anche se sono in
Italia da tempo. Ad esempio, solo il 31% dei ragazzi cinesi, anche se presenti qui da tempo, si vede “spesso o molto spesso” fuori dalla scuola con
gli amici italiani;
• per tutti i ragazzi stranieri la scuola costituisce l’ambito privilegiato delle
relazioni con i pari.
(G. Dalla Zuanna e altri 2009)
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Accompagnare nella città
L’attenzione alle relazioni in classe e al clima che vi si respira è cruciale in una situazione di eterogeneità delle storie dei minori e in un contesto
sociale che spesso esclude e colloca gli stranieri ai margini della socialità e
in una condizione di subalternità. Essere un bambino o un ragazzo straniero significa fare i conti, oltre che con le sfide dell’accoglienza e della differenza, anche con lo stigma negativo che oggi connota l’immigrazione e che
definisce in negativo una condizione sociale, culturale, economica. E questo stigma può provocare, come abbiamo visto, l’esclusione dalle occasioni
di incontro e di socialità; esclusione che, a sua volta, è alla base di difficoltà comportamentali, sofferenze e disagi, problemi di apprendimento.
L’intreccio esistente tra l’inclusione in un gruppo, il benessere personale
e le possibilità di apprendimento è infatti strettissimo. Fare della classe un
“ambiente colmo di tutori di resilienza”, citando Boris Cyrulnik (2009), è
dunque cruciale oggi sia per i bambini e i ragazzi che vengono accolti, sia
per chi accoglie.
Ma l’amicizia fra i minori si alimenta attraverso cose e tempi scambiati,
appuntamenti ed esperienze da condividere in un andare/venire tra ciò che
avviene in classe, dentro le case, nel quartiere. Essa ha bisogno di spazi e
tempi fluidi e di adulti che sostengano questa fluidità relazionale e che promuovano occasioni e incontri.
A differenza di un tempo, dove i luoghi dell’incontro erano aperti, accessibili e gratuiti, oggi le mosse dell’aggregazione sono programmate, prestabilite, sorvegliate, condotte entro spazi chiusi e hanno un costo. I bambini
si ritrovano per lo più nelle case, negli ambienti in cui si fa sport o attività
elettive, nei luoghi della vacanza e del tempo libero.
Tutti spazi che sono più o meno preclusi ai minori stranieri o dai quali
essi risultano di fatto esclusi.
A volte i mediatori hanno cercato di orientare e accompagnare i minori
stranieri e le loro famiglie verso luoghi di incontro e di aggregazione attivi
nel territorio, prendendo contatti con servizi di doposcuola, informando sul
funzionamento dei centri estivi, segnalando opportunità di tipo ludico ed
espressivo. R.K., ad esempio, annota nel suo diario di mediazione:
Ho fatto un colloquio con i genitori singalesi di un bambino di dieci anni, il quale
stava sempre da solo nel pomeriggio dopo la scuola e non aveva mai occasione di
frequentare i compagni e di comunicare in italiano con i coetanei. Dopo il colloquio ho raccolto le informazioni utili sui luoghi d’incontro, l’oratorio, il doposcuola… Presenti nella zona e le ho passate alla mamma.
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In alcuni casi, sono i genitori a sottovalutare l’importanza delle relazioni
amicali fra bambini o a vedere nei luoghi d’incontro fra pari una possibile
minaccia e allora il mediatore può cercare di spiegare e rassicurare, come è
avvenuto in molti interventi di mediazione:
A volte ho dovuto sensibilizzare i genitori su alcune questioni che essi non ritengono rilevanti, come, ad esempio, la socializzazione dei figli, la quale, se positiva,
può favorire anche l’apprendimento (dal diario di mediazione di D.O.).
Sono intervenuta in due scuole per spiegare a gruppi di genitori egiziani le attività di “scuola natura” e l’importanza per i loro figli di partecipare alla settimana di
vita in comune in un luogo lontano da casa. Gli insegnanti hanno detto che, dopo
l’incontro mediato, la partecipazione è stata totale, cosa che non sempre avveniva
in precedenza (dal diario di A.M.).
Oltre a non parlare l’italiano, la madre di P, una bambina boliviana di 11, ha un atteggiamento “culturale” che la porta a creare un’invisibile ma categorica distanza
tra sua figlia e i compagni di classe. Questi l’hanno spesso invitata alle loro feste
di compleanno, ma P. non è mai andata. Le attività al di fuori del contesto scolastico non vengono prese in considerazione dalla mamma, la quale teme sempre
che possa succedere qualcosa di male alla figlia (dal diario di mediazione di J.R.).
Accudire e promuovere buone e dense relazioni fra bambini italiani e
stranieri sono dunque attenzioni e scelte cruciali che devono coinvolgere
spazi educativi, persone e tempi diversi: la scuola e gli insegnanti, i genitori
italiani e stranieri, gli operatori e gli educatori impegnati nei luoghi dell’aggregazione extrascolastica. E, come abbiamo visto, anche i mediatori linguistico-culturali, i quali sono in grado di vedere e di ascoltare segni e parole, che raccontano la distanza o l’isolamento, fino a quel momento invisibili.
La storia di C.: potersi dire nella propria lingua
Da sempre bambini e ragazzi, figli di immigrati o immigrati essi stessi, pagano il prezzo più alto dell’esodo. Dentro la classe troviamo fianco a
fianco storie di minori segnate da vicende emotive e bagagli autobiografici diversi, ma che hanno il tratto comune della fatica. Fatica aggiuntiva, rispetto a quella dei coetanei, dal momento che essi devono affrontare, oltre ai compiti di sviluppo comuni, le sfide specifiche poste dalla condizione
di migrazione. Il senso di disorientamento, la mancanza di parole per verbalizzare vissuti e desideri, la necessità di mobilitare ogni risorsa per far
fronte alle sfide del presente: tutto questo può portare una parte dei bambini della migrazione a chiudersi nel mutismo.
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I mediatori raccontano che spesso una delle ragioni che hanno spinto gli
insegnanti a chiedere il loro intervento sta proprio nella non comunicazione
con i minori stranieri, anche dopo qualche tempo dal loro arrivo. L’esercizio del silenzio è praticato come un comportamento che può facilitare l’integrazione e lasciare il tempo per osservare, imitare, provare a mimetizzarsi. È anche un modo per tenere a bada la nostalgia, comprimere il passato
ed evitare che i ricordi vengano a galla. È un silenzio che ha un colore diverso da quello, previsto e prevedibile, di chi non ha ancora le parole per
dire, fase che gli insegnanti hanno ormai imparato a conoscere e a gestire,
in genere, senza farsi prendere dall’ansia.
Il sentimento di nostalgia non si manifesta quasi mai in modo esplicito:
mutuato sommessamente dai racconti delle memorie famigliari, per i piccoli nati in Italia, spesso occultato nei bambini arrivati qui da tempo, affiora in occasioni sporadiche in coloro che sono giunti di recente. E quasi
sempre questo succede come per caso, durante attività e scambi informali e
al di fuori delle attività scolastiche, durante racconti che parlano d’altro nel
mezzo dei quali si evocano luoghi, volti, legami. E avviene più spesso con
i mediatori che parlano la loro stessa lingua, con i quali si può prendere la
parola con meno timore di esporsi al giudizio di tutti.
La storia di C., raccontata dal mediatore che l’ha seguito in classe per
alcune ore e durante alcuni incontri, mostra chiaramente come un intervento di mediazione, che si voleva circoscritto e puntuale, si sia in realtà trasformato in un evento di sblocco e di nuova comunicazione.
Prima del mio colloquio con il ragazzo, gli insegnanti mi avevano descritto C. come un caso complesso e pieno di difficoltà dovute al suo scarso rispetto delle regole al suo inesistente interesse per la scuola. Una cosa che mi stupì subito fu lo
scarso dominio dell’italiano orale che C. aveva malgrado fosse qui da quasi tre anni e fosse di lingua madre spagnola. Al primo colloquio mi accolse con una buona dose di diffidenza, guardandomi letteralmente con un solo occhio e un sorriso
che sembrava una sfida. Mi accorsi che all’inizio tendeva a rispondere con poche
parole in italiano e che poi passava improvvisamente allo spagnolo in maniera decisamente più fluida. Mi raccontò del suo arrivo in Italia e di quanto gli mancava
sua nonna, con la quale era cresciuto e alla quale era molto legato. Di quanto gli
fu difficile accettare una decisione presa dai suoi genitori e non da lui, anche se in
fondo capiva che l’avevano fatto per dargli la possibilità di una vita migliore. Ho
cercato di raccontare un po’ anche il mio vissuto per trovare un terreno comune e
appropriarci così di uno spazio e di un tempo che solo noi due potevamo capire.
Per ribadire che potevo capire. Già dal secondo incontro ho notato un certo cambiamento: era più sorridente e rilassato, meno duro e contratto, anche se si percepiva forte la sua inquietudine…
L’ho aiutato insieme agli insegnanti a capire alcuni concetti e contenuti disciplinari, a organizzarsi per lo studio, a prepararsi all’esame di terza media…
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Durante gli incontri mi raccontava che a casa non riusciva a studiare, non si concentrava e così preferiva correre a giocare a pallone. E soprattutto che gli sarebbe
piaciuto tornare per sempre in Salvador.
Oltre a lavorare sui contenuti di studio, durante gli incontri ogni tanto c’erano anche dei momenti di scambio e a volte anche di ironia e risate. C. mi diceva, ad
esempio, che la parola “futuro”, sulla quale tutti gli insegnanti insistevano, a lui risultava difficile da comprendere e da pensare. Ma non è così per i ragazzi italiani
che hanno tutto quello che lui non ha (soldi, vestiti, possibilità…) e anche per questo lui si sente snobbato da loro.
Un giorno ha trovato il coraggio di dirmi tra le lacrime che da una settimana lui
e la sua famiglia andavano a dormire senza cena. Che non riesce a non pensare
a sua madre che non trova un lavoro regolare e a che cosa succederà quando dovrà rinnovare il permesso di soggiorno. Poi si è alzato in piedi e mi ha detto che
avrebbe fatto di tutto per riuscire a finire la scuola in maniera positiva…
Ora C. ha ottenuto la licenza media e, dopo aver giocato a pallone in una giornata
di sole milanese, torna a casa sua, un magazzino di venti metri quadrati dove trova i suoi quattro fratelli e aspetta sua madre che non è ancora tornata dal lavoro.
Un lavoro regolare finalmente, che forse può far intravvedere a C. quello che fino
qualche tempo fa gli risultava difficile immaginare: il futuro (dal diario di mediazione di J.R.).
Come la storia di C. suggerisce, è negli interstizi della comunicazione,
quando il controllo è più basso e la vigilanza interiore si disarma un po’,
che emergono frammenti di racconto e di memoria e possono trovare posto la nostalgia e il futuro. Affiorano come elementi di frattura della continuità temporale, come inattesa “iridescenza di quella variazione incessante
e minuta che chiamano memoria” (Beneduce 1998). Una memoria discontinua che a volte lascia emergere ricordi segreti o frammentari, oppure affabulata e mitizzata come nelle immagini della nonna sapiente e piena di affetto lasciata in Salvador.
“Mi hanno perso un anno”
C., come molti bambini e ragazzi immigrati, è stato inserito in una classe inferiore all’età anagrafica, con un ritardo di uno, due o più anni. È questa una situazione che penalizza gli alunni stranieri, sia in termini di carriera scolastica e di possibilità di prosecuzione degli studi, sia anche per le
relazioni con i compagni di classe. I minori stranieri sono e si sentono più
grandi e questo non facilita le amicizie in classe. Alla base del ritardo scolastico in ingresso, vi è quasi sempre la non conoscenza dell’italiano e l’intenzione di facilitare il percorso scolastico facendo ripetere l’ultima classe
frequentata nel paese d’origine, ma queste scelte non sempre si rivelano positive. “Mi hanno perso un anno”, dice a questo proposito una bambina rumena, inserita a undici anni in quarta elementare.
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La presenza dei mediatori ha permesso di registrare anche nella scuola milanese, da tempo alle prese con il tema dell’inserimento di alunni stranieri neoarrivati, scelte della classe non sempre efficaci e positive. I due
esempi seguenti, mostrano come il ritardo di due anni, in un caso, e l’anticipo di un anno, nell’altro, non abbiano portato poi a risultati scolastici positivi.
A. e M. sono due ragazzi gemelli di quasi sedici anni, arrivati all’inizio dell’anno
scolastico dall’Egitto e inseriti entrambi nella stessa classe terza media, con un ritardo scolastico di due anni. A fine maggio, la scuola ha chiesto il mio intervento
di mediazione per affiancare M. durante un compito di matematica, fargli capire
i concetti e renderlo consapevole dei suoi errori. Per il fratello, è stato chiesto un
analogo intervento di affiancamento didattico durante le ore di italiano, per aiutarlo a comprendere un testo e a rispondere alle domande. Il testo era molto complesso, pieno di termini difficili, riferito ai lager nazisti, dal momento che la classe aveva fatto da poco un viaggio di studio in Germania. A differenza di A., che
cerca in tutti i modi di comunicare in italiano, M. è taciturno e rimane in silenzio
gran parte del tempo. Per lui, quindi la lettura e la comprensione del testo era al di
là del suo livello linguistico. Ho chiesto all’insegnante di fare una fotocopia della
lettura in modo tale che il ragazzo potesse leggerlo a casa varie volte e tentare di
rispondere alle domande di comprensione. Ma la settimana dopo A. non aveva fatto alcun progresso perché l’insegnante si era scordata di dargli al fotocopia e il ragazzo non l’aveva chiesta.
Sia la prova di matematica che il testo di italiano dono stati presentati alla classe come propedeutici alle prove di esame, ed esempi di prove che avrebbero potuto incontrare, e l’insegnante ha spiegato varie volte come si sarebbero svolti gli
esami.
E tuttavia, gli insegnanti della classe hanno deciso da tempo che i due ragazzi non
saranno ammessi all’esame di terza media e quindi A. e M. non possono avere alcuna motivazione a capire e a cercare di affrontare il compito.
Durante il colloquio finale con il padre, ho partecipati come mediatrice per spiegare al genitore le ragioni dell’esito negativo (la non ammissione all’esame) e gli
ho suggerito di iscrivere subito i figli ad un CTP vicino a casa, data l’età dei ragazzi (dal diario di mediazione di G.M.).
In una scuola primaria sono intervenuta per fare dei colloqui con la madre di un
bambino di Sri Lanka per spiegarle che il figlio sarà bocciato e dovrà ripetere la
classe. Il bambino era stato inserito nella classe prima della primaria a cinque anni e mezzo. La mamma aveva preso la decisione di anticipare l’ingresso a scuola di fatto perché non aveva trovato posto nella scuola dell’infanzia. E la scuola ha
accettato l’inserimento in prima, nonostante il bambino non avesse mai frequentato la scuola dell’infanzia. Ma l’alunno ha fatto molta fatica durante tutto l’anno a
seguire i ritmi della classe (dal diario di mediazione di R.R.).
La richiesta di mediazione che proviene dalla scuola riguarda spesso l’accoglienza e l’inserimento degli alunni neo arrivati e anche nel progetto Mediante sono stati attivati circa ottanta “pacchetti di accoglienza”
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con questo intendimento. Va detto però che il mediatore arriva nella scuola
quasi sempre quando la determinazione della classe in cui inserire l’alunno è già avvenuta. Il lavoro di mediazione, che consiste nella raccolta di informazioni puntuali sull’alunno, sulle sue competenze, sulla situazione linguistica, sul percorso scolastico, raramente incide sulle scelte che sono già
avvenute e che spesso penalizzano il neo arrivato in termini di ritardo scolastico.
Gli alunni stranieri che vivono direttamente la migrazione e che entrano nella scuola provenendo direttamente dal paese d’origine erano la maggioranza fino qualche tempo fa, ma ora sono in costante calo (vedi cap. 3).
Mentre nel passato, vi era la quasi totale coincidenza fra la condizione di
minore “straniero” e di immigrato, ora gran parte degli alunni di cittadinanza non italiana è nata qui o arrivata da tempo nel nostro paese.
Sul tema dell’accoglienza degli alunni neoarrivati, in questi anni gli insegnanti e le scuole hanno seguito e seguono tuttora due direzioni, a volte
fra loro intrecciate e sovrapposte. Nel primo caso, l’obiettivo privilegiato è
quello di mettere a proprio agio il nuovo alunno, considerandolo soprattutto come “emigrato da”. L’enfasi viene allora portata sui riti d’accoglienza,
sulla raccolta della sua (supposta) storia e “cultura d’origine”. Un approccio olistico, di tipo autobiografico e culturale, che è animato dalle buone
intenzioni del riconoscimento e della valorizzazione, ma che rischia talvolta di porre il bambino ancora disorientato e sradicato troppo al centro della scena, mentre vorrebbe essere almeno per un po’ meno visibile e più in
disparte. Il secondo approccio, oggi più praticato, è quello di un’accoglienza “governata”, basata su pratiche, strumenti e prove che tendono a mettere l’altro sotto esame, a porne in risalto le competenze, o meglio le non
competenze, il percorso scolastico, i bisogni linguistici… Protocolli d’accoglienza, test d’ingresso, questionari bilingui: tutti strumenti che rendono
certamente il momento iniziale meno improvvisato, più competente e professionale, ma che tuttavia ci rimandano anche una domanda e un dubbio
importanti. “Sono strumenti che ci aiutano a conoscere l’altro, o sono strumenti che ci aiutano a costruirlo?” (Zoletto 2007).
Le scuole sollecitano l’intervento dei mediatori per l’una e per l’altra
modalità. Nel caso del primo approccio, per conoscere la storia e la “cultura” dell’alunno; nel secondo, per rilevarne competenze e conoscenze e soprattutto per definire i bisogni e i percorsi di apprendimento e accompagnare le mosse iniziali dlel’inserimento.
La differenza tra le due modalità – l’una di conoscenza e l’altra di “costruzione dell’altro” – è estremamente significativa e agisce, sia nel momento dell’ingresso a scuola, che in quello successivo dell’inserimento.
L’accoglienza considerata come momento di controllo e di “esame”, contri105
buirebbe a “governare” la vita scolastica degli allievi mediante tre meccanismi diversi, ma fra loro collegati:
• rendere visibile l’allievo;
• documentando la sua specificità;
• fare di ogni allievo un caso.
Ma che cosa si rende visibile nell’uno e nell’altro approccio (“culturale” o di controllo)? Si rendono visibili, o meglio vengono sottolineati, in un
caso, le differenze e le appartenenze culturali e, nell’altro caso, i vuoti e le
carenze, i bisogni e le lacune. Individuare la parzialità delle scelte e rappresentazioni significa essere consapevoli della necessità di allargare lo sguardo e cogliere il ruolo costitutivo di pratiche e discorsi che non irrigidiscono
e predeterminano i cammini dei bambini neoarrivati.
Un mediatore efficace può cercare di intrecciare i due approcci e facilitare le scelte della scuola e la prima fase di avvio della scolarità nel nuovo paese. Ma spesso, come è successo anche nel progetto Mediante, la mediazione viene richiesta per comunicare e rendere chiare decisioni e scelte
già prese, sia riguardanti le modalità di inserimento, sia la valutazione finale del percorso.
Figure di prossimità
Ripercorrendo le storie dei bambini immigrati che ha avuto modo di accompagnare, una mediatrice racconta:
Per molto tempo N. è rimasta silenziosa e in disparte, sembrava assente e chiusa in un mondo tutto suo. Sul viso: un velo, un’espressione di tristezza. Ogni tanto
appoggiava la testa sul banco come se volesse dormire o volesse essere da un’altra
parte. Stava spesso male: mal di pancia, mal di testa… Un giorno mi sono fermata
a scuola più tempo perché avevo un “pacchetto di ore” a disposizione e lei è stata
con me a fare i compiti. Per la prima volta ho sentito la sua voce, senza bisogno di
forzarla. Da quel momento si è aperta una breccia; ha cominciato a parlarmi, dapprima sottovoce, quasi non sentivo, poi un po’ più sicura.
Come N., i bambini che migrano hanno bisogno di tempo e di un’attenzione vigile che possa dare ascolto al silenzio e raccogliere i primi tentativi
di aprirsi. La vulnerabilità non rappresenta una condizione predeterminata e stabile, ma una possibilità alla quale prestare attenzione e che implica
la complementarietà, sia dei fattori di rischio, che dei fattori di protezione.
Essa non può infatti essere compresa appieno e utilizzata in maniera efficace se non viene messa a confronto con il suo opposto, e cioè la resilienza
ovvero con la capacità di resistere, difendersi e reagire al trauma e alle si106
tuazioni di stress. Il termine (dal latino resilio: tornare indietro, rimbalzare)
appartiene alla terminologia della fisica dei materiali e definisce la capacità fisica di un corpo di resistere a un urto, assorbendo energia cinetica senza rompersi. La resilienza è vista e presentata da punti di vista differenti,
ora come capacità, ora come il risultato di un funzionamento psichico; come un processo dinamico adattivo o come una risposta puntuale a contingente a eventi e situazioni.
Le storie dei bambini che diventano “resilienti” e che riescono nel processo di apprendimento, ci mostrano che non c’è un solo fattore ad aiutarli e a sostenerli, ma una costellazione di elementi, condizioni e variabili.
Alcuni minori sembrano attingere e sviluppare risorse interne straordinarie per far fronte a compiti e sfide imprevisti; hanno la capacità di attraversare accadimenti improvvisi e cambiamenti profondi, mobilitando risorse per non farsi sommergere dalle difficoltà. A volte in uno stesso gruppo
di fratelli che hanno vissuto insieme la migrazione e il ricongiungimento famigliare, alcuni sviluppano uno straordinario e positivo adattamento alle nuove situazioni e alle sfide dell’apprendimento; altri invece manifestano disagi e difficoltà profonde. Tuttavia un fattore fra gli altri emerge
in maniera sorprendente: i figli degli immigrati che riescono bene a scuola
hanno incontrato nel loro ambiente almeno una persona che svolge un ruolo positivo di guida/traghettatore nei loro confronti: una sorella o un fratello più grandi, un famigliare, un insegnante, un mediatore, un volontario…
“Occorre che la società e l’ambiente abbiamo predisposto intorno al bambino qualche stella, ossia dei rapporti affettivi che permettono ai feriti dell’anima di imparare ad amare più facilmente e ad evolvere in attaccamento sicuro l’attaccamento insicuro causato dalle separazioni” (Cyrulnik 2004).
Questo legame tra un bambino neoarrivato e la sua guida può essere anche “leggero” e intermittente, ma deve avere carattere di affidabilità.
Le persone/stella che accompagnano e sostengono il passaggio permettono ai bambini di prevedere relazioni stabili e di ritrovare elementi di continuità tra gli eventi. In questo modo, essi possono integrare le conoscenze
del mondo esterno, ancora per molti versi sconosciuto e indecifrabile, con
maggiore facilità.
Se i minori immigrati non vivessero almeno in parte questo nostro mondo come proprio, non potrebbero infatti interiorizzare le logiche, le parole,
le scritture, le conoscenze.
Un mediatore attento ed efficace può rappresentare per il bambino e il
ragazzo straniero un tutore di resilienza perché è una figura di prossimità
che può aiutare il cammino di ricomposizione.
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Il mediatore in ascolto
“In certi giorni è come se X. non fosse in classe, né per la maestra, né
per i compagni”. È un’osservazione fatta da un mediatore, che può essere estesa a molte delle classi che accolgono bambini e ragazzi neoarrivati:
privi di parola perché non ancora italofoni, incerti e spesso “congelati” rispetto al linguaggio non verbale, tendono a diventare invisibili nel grande
gruppo, per “scongelarsi” a volte, come abbiamo visto, nelle situazioni di
maggior vicinanza e minor filtro affettivo.
Che cosa fare in questa fase in cui il desiderio di apprendere, essere accolto e riconosciuto si mescola con la nostalgia e lo sconforto, in maniera diversa da bambino a bambino ? Dare tempo e darsi tempo è certamente
una buona direzione: lasciare che il bambino neoarrivato “posi la valigia” e
riprenda fiato e respiro prima di sollecitarlo e interpellarlo. Ma questo tempo di sosta e di silenzio autoprotettivo non deve tradursi nell’invisibilità e
nell’assenza.
Occorre prestare attenzione sia alle parole che ai silenzi; tentare di intercettare le ombre presenti nelle loro storie diasporiche, le loro memorie interrotte, anche a partire dal linguaggio sillabato dei loro corpi. “Scoprire
quelle tracce e quelle origini” richiede un lavoro minuzioso e uno sguardo
paziente. Richiede l’intervento sollecito degli adulti per evitare le derive del
silenzio protratto e per ricomporre le “schegge” di una memoria rapsodica,
non sempre accettabile e accettata da coetanei. L’autocensura dell’oblio rischia altrimenti di precludere al bambino straniero quel processo irrinunciabile per la conquista d’una presenza visibile in una nuova patria culturale.
Vanno creati dei contesti in grado di dare ai bambini della migrazione la
possibilità di sperimentare la distanza e la continuità con la propria memoria, personale e culturale.
La scuola è nelle condizioni di poter fare questo? Di mettersi in ascolto di parole che affiorano e di silenzi che cercano di evocare altre immagini di infanzia intrisa di nostalgie e di attese? Spesso le condizioni in cui gli
insegnanti si trovano a educare (numerosità delle classi, tempi ridotti e costretti, ansia rispetto al percorso…) non sono certo le più favorevoli per riuscire a prestare ascolto a tutti e a ciascuno.
Ecco che la presenza di un mediatore attento, che è in grado di accompagnare e di ascoltare, nel laboratorio o in classe ma sempre accanto all’insegnante, può rompere l’isolamento, dare voce alle emozioni, dare più coraggio alle nuove parole.
Tener conto e fare i conti con i destini e i percorsi diversi dei bambini e
dei ragazzi che approdano da lontano è compito delicato e complesso per108
ché significa avere a che fare con “oggetti interni” da maneggiare con cura, con storie e biografie in cui si mescolano cura, affetti, assenze, perdite.
Oltre ad aver cura del tempo e quindi lasciare che ognuno trovi il suo posto
prima di sentirsi autorizzato a condividere parti della sua storia, altre attenzioni riguardano i contesti e le sollecitazioni dello scambio che devono essere inclusivi e rivolti a tutti, e non intrusive e dirette al singolo bambino.
Anche per questo è importante che in classe il mediatore sia riconosciuto
da tutti i bambini, italiani e stranieri, come parte del contesto e del progetto educativo.
Nel fluire di un racconto, e soprattutto nel rafforzarsi di relazioni di vicinanza e amicizia con i coetanei e con gli adulti, ogni bambino troverà i
modi, i tempi e le parole per saldare un po’ i frammenti della sua storia.
Testi citati
Anaut M. (2003), La résilience. Surmonter les traumatismes, Natahan, Parsi
Beneduce R. (1998), Frontiere dell’identità e della memoria, FrancoAngeli, Milano.
Cyrulnik B. (2009), Autobiografia di uno spaventapasseri. Strategie per superare
le esperienze traumatiche, Cortina, Milano.
G. Dalla Zuanna e altri (2009), Nuovi italiani. I giovani immigrati cambieranno il
nostro Paese?, Il Mulino, Bologna.
Di Pentima
Favano G., Napoli M. (a cura di) (2002), Come un pesce fuor d’acqua. Il disagio
nascosto dei bambini immigrati, Guerini, Milano.
Favaro G. (2011), A scuola nessuno è straniero, Giunti, Firenze.
Ghazy R. (2007), Oggi forse non ammazzo nessuno. Storie minime di una giovane musulmana stranamente non terrorista, Fabbri, Milano.
Giovannini G. (a cura di), Allievi in classe, stranieri in città, FrancoAngeli, Milano.
Grinberg L. e R. (1990), Psicoanalisi della migrazione e dell’esilio, FrancoAngeli, Milano.
Moro M.R. (2001), Bambini immigrati in cerca di aiuto, UTET, Torino.
Queirolo Palmas L.
Zoletto D. (2007), Straniero in classe, Cortina, Milano.
109
6. I mediatori e le mediatrici
di Graziella Favaro
Chi sono
Il gruppo dei mediatori e delle mediatrici che ha lavorato nel Progetto è
stato selezionato secondo alcuni criteri prioritari:
• lingue richieste;
• formazione;
• adesione al metodo e modello proposto;
• disponibilità al lavoro “su chiamata”.
Abbiamo visto come le scuole milanesi, ormai da tempo multiculturali, rivestono un carattere di “pluralità etnica, linguistica e culturale”; da
ciò ne consegue la presenza di molteplici provenienze e lingue e la relativa necessità di un gruppo mediatori capace di far fronte alle richieste differenziate.
La scelta delle lingue e nazionalità dei mediatori è stata fatta a partire da tali elementi e dall’analisi dell’esperienza e dei dati dello scorso anno scolastico.
Si è così formato un gruppo di 31 persone (7 mediatori e 24 mediatrici),
provenienti da 18 Paesi differenti, con una competenza per 23 lingue.
Tutti i mediatori/mediatrici coinvolti nel progetto possiedono una formazione di base e molti hanno svolto aggiornamenti e approfondimenti in itinere; due mediatrici stanno frequentando il Corso di laurea in Mediazione
linguistico-culturale. È ormai assodato, infatti, come già ribadito, che diventare mediatori e mediatrici per professione non è facile e non dipende
solo dalla propria volontà o da scelte individuali. Il quadro delle possibilità formative è ampio, articolato e contraddittorio e soffre di un momento
di incertezza, legato all’attesa del riconoscimento del profilo professionale
e del conseguente percorso di studi. Ma certa è la consapevolezza della necessità di una formazione qualificante per i mediatori/trici e di un percorso,
110
Tab. 1 - Provenienze/Lingue mediatori
Paese di provenienza
Albania
Bangladesh
Brasile
Cina
Egitto
Etiopia
Filippine
India
Italia
Marocco
Moldavia
Nigeria
Perù
Russia
Sri Lanka
Turchia
Ucraina
N. mediatori
N. mediatrici Lingue parlate/utilizzate
–
1
–
1
–
1
–
1
–
2
–
–
1
–
–
–
–
2
–
1
6
2
–
2
1
1
2
1
1
1
1
1
1
1
albanese
hindi, urdu, angla
portoghese
cinese
arabo
amarico, digrigno
tagalog
hindi
giapponese
arabo
russo, rumeno
edo
spagnolo
russo, ucraino
cingalese
Turco
ucraino
successivo all’iter di base, che approfondisca e potenzi le acquisizioni possedute e aiuti a riflettere sull’esperienza concreta.
Oltre la formazione di base e/o specializzata, la quasi totalità dei componenti il gruppo ha esperienze di lavoro di mediazione (a volte da lunghissimi anni) in diversificati ambiti: scolastico, sociale, sanitario, educativo.
L’intreccio delle varie caratteristiche (formazione di base professionale ed
universitaria; aggiornamenti in itinere; ambiti lavorativi diversificati; lunga
esperienza) ha costituito un patrimonio per il gruppo ed ha permesso, soprattutto nei momenti di formazione e di incontro, di fornire buoni contributi al lavoro di tutti.
Il modello di lavoro proposto, deducile dall’iter metodologico, dalle attività previste a supporto delle azioni di mediazione e dalle opportunità fomite ai mediatori (in gruppo e singolarmente), prende origine da un’idea
di mediazione come una professione al servizio di scuole, famiglie, alunni
stranieri ed italiani.
In altri termini, non una mediazione “a spot”, come “ultima spiaggia” o
sempre necessaria ma, al contrario e per quanto possibile, una mediazione
pensata, valutata e che possa lasciare “traccia” del proprio passaggio. Per111
ché ciò avvenga è allora indispensabile, per esempio, realizzare interventi
in cui i mediatori tutelino il tempo per la progettazione e la verifica; partecipino agli incontri di formazione, coordinamento e supervisione; siano disponibili e rivedere il contenuto e il metodo delle proprie azioni, anche attraverso momenti di verifica individuale.
Il progetto Mediante, come già evidenziato, ha previsto azioni “su richiesta” delle scuole che, seppur programmate con almeno 15 giorni di anticipo, non sono state sempre di agevole realizzazione per i mediatori, spesso impegnati in altri contesti. Questo è un classico nodo critico dei progetti
che prevedono un tipo di mediazione “a chiamata” e non “in presenza”; la
flessibilità richiesta ai mediatori nel momento dell’adesione al progetto ha
costituito un elemento di selezione importante, il cui rispetto ha permesso
la realizzazione delle richieste pervenute.
Le attività svolte
Nelle capitoli precedenti sono state analizzate ed approfondite le azioni
che i mediatori hanno svolto. Qui preme solo sottolineare alcuni aspetti generali che rafforzano la caratteristica di flessibilità del lavoro di mediazione, nonché la necessità di possedere competenze differenziate in relazioni
alle variegate azioni previste.
Le attività richieste ai mediatori del Progetto hanno compreso:
a) Interventi di mediazione linguistico culturale
• mediazione linguistico culturale;
• interpretariato orale (momenti di consegna delle schede di valutazione);
• traduzione scritta (avvisi, documentazione ecc.);
• orientamento all’uso dei servizi sul territorio;
• interventi interculturali in classe.
b) Attività di formazione, coordinamento, supervisione
• partecipazione agli incontri di gruppo;
• incontri singoli di verifica e/o supporto al lavoro;
• incontri singoli di verifica degli aspetti amministrativi.
c) Redazione di documentazione scritta:
• schede di verifica degli interventi;
• diari di presenza nelle scuole;
• relazione finale.
Si può dunque affermare che le azioni che i mediatori hanno svolto all’interno del Progetto si collocano su differenti piani a seconda degli
obiettivi che si prefiggono e dei soggetti che coinvolgono.
112
Tab. 2 - Piani di intervento
Piano orientativo
e informativo
Informazione alle famiglie
Orientamento nel servizio (conoscenza delle funzioni, orari,
modalità di accesso)
Orientamento nel territorio (conoscenza dei servizi)
Informazione agli insegnanti sui contesti di origine degli
alunni stranieri: organizzazioni sociali, scolastiche, sanitarie
Orientamento e accompagnamento delle famiglie straniere
verso altri servizi
Piano linguistico
e comunicativo
Traduzione orale e scritta
Esplicitazione e decodifica di messaggi verbali e non verbali
Partecipazione ai colloqui
Piano culturale
e interculturale
Informazione sui contesti d’origine: organizzazione scolastica, sistemi familiari…
Piano psicosociale
e relazionale
Attenzione alla relazione
Prevenzione del sorgere di malintesi
Collaborazione alla ricerca di risposte e soluzioni
Le azioni di mediazione sono state rivolte a differenti destinatari: le famiglie, gli alunni stranieri, le classi, gli insegnanti. Vediamo in generale
quali sono le funzioni svolte a favore di ogni gruppo.
Tab. 3 - Destinatari
Nei confronti
delle famiglie
Accoglienza e orientamento
Informazioni relative al sistema scolastico e alle regole della scuola (orari, modulistica, documentazione)
Orientamento ed accompagnamento verso altri servizi
Traduzione orale e scritta, avvisi, comunicazioni
Nei confronti
Accoglienza e supporto all’inserimento
degli alunni stranieri Informazioni relative alle regole della scuola
Nei confronti
del gruppo classe
Attività di animazione interculturale
Nei confronti
degli insegnanti
Traduzione scritta ed orale
Informazione relativa ai contesti di origine e provenienza
delle famiglie di alunni stranieri
Collaborazione alla gestione della situazione
Nei confronti
della scuola
Modulistica tradotta, materiali plurilingue…
Partecipazione alle iniziative della scuola
Nei confronti
del Progetto
Documentazione degli interventi effettuati
113
La formazione, il coordinamento, la supervisione
I mediatori devono avere “robuste” competenze e una forte professionalità e vi è ormai ampio accordo su una formazione “ideale” articolata su tre
piani, ovvero di base, specifica e in itinere. Accanto all’aggiornamento sui
contenuti, dovrebbe essere inoltre necessario prevedere momenti di supervisione dell’attività lavorativa.
Abbiamo visto che i mediatori del progetto dovevano possedere, quale elemento di selezione, una formazione di base; molti possedevano anche
formazioni specifiche e settoriali. Il Progetto ha dunque fornito loro incontri di formazione iniziale, supervisione singola e in gruppo e ha garantito il
coordinamento delle attività.
Sono stati svolti 6 incontri di gruppo, con cadenza bimestrale, di tre ore
ciascuno.
Inoltre si sono effettuati 3 incontri singoli, con due mediatrici.
La tabella seguente riassume l’attività di formazione svolta.
Tab. 4 - Incontri gruppo mediatori
Date incontri
Ordine del giorno
6 ottobre 2010
Presentazione del progetto
Formazione
11 novembre 2010
La “Figura del mediatore”
I dati della scuola italiana
Prima analisi delle richieste di mediazione pervenute allo
Sportello
Discussione e confronto
15 dicembre 2010
Presentazione dei “casi” seguiti suddivisi per destinatari:
ragazzi, famiglie e insegnanti
Riflessioni sui risultati conseguiti e su eventuali punti critici evidenziati
Aspetti amministrativi ed organizzativi dello Sportello
3 febbraio 2011
Analisi degli interventi
Approfondimento sul profilo del mediatore nella scuola
Aspetti amministrativi
30 marzo 2011
Stato del progetto Mediante (dati sugli interventi di mediazione; focus con gli insegnanti; dispensa finale)
Verifica degli interventi di mediazione in atto (interventi individuali, presenza mensile nelle scuole)
Comunicazioni sul proseguimento del progetto
Verifica documentazione (time sheet, schede verifica)
9 giugno 2011
Verifica conclusiva progetto
Relazione finale
Materiali
Verifica amministrativa
114
In aggiunta, sono stati effettuati tre incontri individuali:
• n. 2 incontri con una mediatrice cinese finalizzati al chiarimento e alla
ridefinizione del suo ruolo nell’intervento previsto;
• n. 1 incontro con una mediatrice cinese per l’analisi di una situazione di
un alunno, particolarmente problematica.
Per quanto riguarda l’approfondimento formativo relativo alla tematica
del progetto, durante il primo incontro si sono affrontate le seguenti questioni:
1. la figura del mediatore: confronto e segnalazione di materiali sul tema
della mediazione interculturale;
2. i dati della scuola italiana.
I materiali segnalati, distribuiti e/o messi a disposizione nel corso del
Progetto sono stati:
• Casadei S., Franceschetti M. (a cura di) (2009), Il mediatore culturale
in sei Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Grecia, Regno Unito e
Spagna). Ambiti di intervento, percorsi di accesso e competenze, Unione
Europea - Fondo Sociale Europeo - Ministero del Lavoro, della Salute e
delle Politiche Sociali - Isfol.
• Piano per l’integrazione nella sicurezza. Identità e incontro - A cura
del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell’Interno,
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Giugno 2010.
• Bibliografia sulla mediazione interculturale (scaricabile dal sito www.
centrocome.it) e relativa possibilità di consultazione testi.
• Articolo: Luatti L. (2010), “Mediazione linguistico-culturale: cosa bolle
in pentola”, in “Dossier mediazione interculturale. Le principali novità”
in “Agorà. Paesaggi dell’intercultura. Magazine a cura di Lorenzo Luatti” www.vanninieditrice.it/agora_home.as.
• Vademecum per gli interventi di mediazione nella scuola, a cura di Graziella Favaro (tratto da Favaro G., Fumagalli M. (2004), Capirsi diversi.
Idee e pratiche di mediazione interculturale, Carocci, Roma.
• Testo: Lorenzo Luatti, Mediatori atleti dell’incontro. Luoghi, modi e nodi della mediazione interculturale, Vannini editrice, Gussago, 2011, pp.
198 (coll. “Agorà_Studi. Ricerche e pratiche sull’intercultura”).
In generale, gli incontri hanno avuto una partecipazione qualitativa di
buon livello anche se alcuni mediatori, non hanno potuto garantire una presenza continuativa. Durante le discussioni sono emerse alcune tematiche
sulle quali si è concentrata l’attenzione. In particolare:
• importanza del lavoro di accoglienza per gli alunni neo-arrivati e la necessità di ampliare le ore del “pacchetto accoglienza”;
• necessità di realizzare incontri informativi con le referenti intercultura/
insegnanti sul ruolo del mediatore e su prassi di lavoro condivise;
115
• importanza di momenti di animazione/informazione interculturale nelle
classi, da proporre all’interno del pacchetto accoglienza (in questo progetto ne è stato realizzato solo uno);
• apertura di una riflessione con le insegnanti sulle segnalazioni eccessive
di bambini stranieri alla Uonpia;
• necessità di un maggior coinvolgimento delle famiglie straniere;
• utilità del lavoro congiunto (insegnanti-mediatori) sull’orientamento scolastico, anche attraverso l’utilizzo di materiale tradotto all’interno del
Progetto (Libretto Genitori sul funzionamento della scuola in Italia).
Gli incontri hanno dunque confermato la necessità di garantire ai mediatori uno spazio di riflessione, pensiero, confronto e riprogettazione sulle
azioni in corso, mettendo in rete informazioni utili a tutti.
La documentazione prodotta
La documentazione relativa agli interenti effettuati è un efficace supporto per una professione, quella del mediatore, che si basa soprattutto sul
“fare” (come molte professioni del sociale) e stenta a riconoscere il valore dello “scrivere” quale strumento di comunicazione e riflessione, oltre che
traccia del lavoro svolto.
Anche per tali motivi, ma soprattutto per effettuare una corretta valutazione e monitoraggio del lavoro in atto, il Progetto ha previsto e richiesto
ai mediatori la compilazione e la redazione di alcuni strumenti scritti:
• le schede di valutazione degli interventi effettuati;
• il diario della presenza mensile nelle scuola;
• una relazione finale.
Le schede di valutazione degli interventi effettuati
Per ogni attività svolta ai mediatori è stata richiesta la compilazione della scheda (inserita in allegato), volta a verificare l’efficacia dell’intervento, i
punti di riuscita e gli eventuali nodi critici.
Le schede riconsegnate dai mediatori sono state 358 (pari al 64% del totale delle richieste).
In relazione alla percentuale non altissima va considerato:
• a volte una stessa scheda ha riguardato più interventi;
• alcune attività (es: presenze mensili) sono state documentate attraverso i
diari;
• le traduzioni scritte non necessitavano di scheda di verifica.
Per quanto riguarda il contenuto delle verifica, in generale sono stati segnalati come punti critici alcune situazioni ricorrenti:
116
• impossibilità di svolgere l’intervento per ritardi o assenze dei genitori;
• richieste di mediazione un po’ tardive rispetto al bisogno;
• pacchetto di ore a disposizione insufficiente rispetto all’obiettivo.
Molti sono stati comunque i giudizi positivi e la valutazioni di soddisfazione per la riuscita delle azioni. Da segnalare che, a volte, i mediatori e gli
insegnanti hanno redatto congiuntamente la stessa scheda di valutazione e
ciò potrebbe essere un’indicazione per il futuro, in quanto unico strumento che diventerebbe a pieno titolo una modalità di valutazione complessiva.
Il diario della presenza mensile nelle scuola
L’attività di “presenza strutturata” in alcune scuole si è svolta nei mesi di
marzo, aprile e maggio. Al termine di ogni momento di presenza mensile e
a conclusione dell’intero monte – ore il mediatore ha redatto una breve relazione, seguendo la traccia in tabella.
Tab. 5 - Traccia per i diari
Diario dell’attività di mediazione - Presenza mensile
Mediatrice/mediatore
Scuola
Insegnante di riferimento
Mese di marzo/aprile/maggio
Data
Orario
Luogo in cui si è svolta l’attività (es: classe, aula dedicata, aula insegnanti…)
È stata fatta una programmazione con l’insegnante per decidere le attività da
svolgere?
Al termine è stata fatta una verifica con l’insegnante dell’attività svolta?
Attività svolta:
• verso gli alunni
• verso le insegnanti
• verso i genitori
• verso la scuola
Note e commenti
Per ogni alunno seguito
Breve storia dell’alunno
Perché è stata richiesta la mediazione?
Qual è stato il primo intervento del mediatore?
Evoluzione dell’inserimento del bambino/del ragazzo
Osservazione conclusiva
Note e commenti
117
La lettura dei diari ha evidenziato alcune linee comuni nella realizzazione dell’azione di mediazione.
Innanzitutto la programmazione e la verifica sono sempre state effettuate e mediatori ed insegnanti hanno trovato tempi e modi di scambiarsi opinioni sull’efficacia e la riuscita degli interventi.
L’attività è stata prevalentemente svolta a favore di alunni e genitori e la
presenza del mediatore è stata favorevolmente accolta dagli alunni. Scrive
una mediatrice: “Il ragazzo da quando ha saputo che c’è la mediatrice che
l’aiuta viene la scuola abbastanza regolarmente, e segue le lezioni volentieri”.
In tutte le situazioni si sono raggiunti gli obiettivi prefissati e la presenza
mensile è stata apprezzata.
I nodi critici di questa attività, riscontrati però solo in alcune scuole,
hanno riguardato:
• la non omogeneità e continuità dell’intervento di mediazione da un mese
all’altro;
• la grande quantità di richieste di intervento (colloqui con genitori, affiancamento ad alunni…) nelle ore di presenza;
• le azioni hanno funzionato sui “casi singoli”, ma non sono servite quale stimolo per una modifica organizzativa più generale o per apportare cambiamenti alla metodologia e agli strumenti utilizzati dalla scuola,
criticità che comunque è generale a tutti gli interventi di mediazione.
Una menzione particolare merita il “report” sull’unica attività interculturale svolta che, anche se non rientra a pieno titolo nella categoria dei “diari”, ha ben documentato l’esperienza vissuta, fornendo preziosi spunti di riflessione.
Di seguito riportiamo il resoconto del mediatore peruviano:
Abbiamo avuto l’opportunità di essere presenti, dopo un breve colloquio con le insegnanti, in una classe con una considerevole presenza di bambini di provenienza straniera. Dal Congo alla Bolivia, dall’Ecuador all’Egitto, da Santo Domingo al
Perù. Credo di avere recepito ad un certo punto che i bambini italiani fossero una
incuriosita minoranza. Una classe dove mi sono sentito subito a mio agio.
Dopo una breve presentazione di noi mediatori nelle nostre rispettive lingue, spagnolo e filippino, cominciamo a strappare i primi sorrisi di questo attento gruppo.
Gli sguardi di questi bimbi s’incrociano chiedendosi che cosa mai avremmo detto.
Qualche bambino italiano vanta una certa conoscenza dello spagnolo, mentre gli
ispanofoni rimangono in silenzio osservando la reazione dei compagni. Il sottofondo si riempie di commenti sul fatto di avere capito; un po’ meno quando si presenta la collega filippina. Cala il quasi totale silenzio, nessuno, tranne due bambini
filippini, ha capito quelle poche frasi dette dalla mediatrice. E qua approfittiamo
per introdurre quel che faremo in quelle due ore. Usando la lingua che ci accomuna tutti in classe, incominciamo a chiedere che cosa avevano sentito, che cosa ave118
vano provato ascoltando una persona che parlava una lingua diversa. Le risposte,
anche se potevano sembrare scontate, erano accompagnate da una carica sensibile
e solidale, partendo dal proprio sentimento ma riportato a quello che poteva essere
il vissuto del compagno straniero. Abbiamo sottolineato, volutamente, che l’obiettivo della nostra presenza era di mettere a fuoco l’importanza per questi bambini e
ragazzi, di essere accolti e sostenuti in modo adeguato, di essere una fonte di ricchezza e non numeri in più, di quanto può essere prezioso dedicare alcuni minuti al compagno che non capisce ancora la lingua italiana, di quanto uno può imparare da quel bambino di cultura e abitudini diverse, di quanto la nostra memoria,
passati gli anni, ci ricorderà con immenso piacere i momenti di gioco, di studio e
perché no, anche di momenti di difficoltà vissuti con i nostri compagni, stranieri e
non.
Capiamo a questo punto che possiamo cominciare. Inizio con la solita domanda
che in tanti si fanno: perché noi peruviani, noi sudamericani, parliamo lo spagnolo? E qua inizia un racconto, quasi un monologo del prima, durante e dopo la conquista spagnola. A singhiozzo ci diamo il cambio con la mia collega filippina, che
a sua volta racconta e descrive il suo paese anche da un punto di vista storico e
culturale.
L’interesse cresce in classe e l’intervento prende la strada dell’interazione. Domande e momenti di racconto della propria esperienza arrivano a raffica, soprattutto
quando parliamo di cibo, musica e cose in comune che possiamo avere tutti noi i
presenti. Ci soffermiamo su un aspetto emerso nello scambio d’informazioni, rilevante nella relazione fra i pari: il linguaggio metaverbale, i gesti.
Avvertiti dalle insegnanti di un problema di fraintendimento tra gli alunni riguardo a determinati gesti e frasi interpretati in modo sbagliato, abbiamo cominciato insieme alla collega filippina, a spiegare e “tradurre” gesti normalmente usati
in alcuni paesi e sconosciuti in Italia. Con un briciolo di divertimento affrontiamo anche questo, strappando risate ma puntando insistentemente sul fare capire
al gruppo che tante volte ci sentiamo “minacciati” da frasi o da gesti che in realtà
vogliono dire tutto il contrario. Cerchiamo nel possibile, malgrado lo scarso tempo a disposizione, di indurre alla riflessione su questo tipo di problematiche.
All’enorme curiosità dei ragazzi si aggiunge quella dei due insegnanti che ci affiancano, creando così un contenitore de idee e informazioni, di scambio e ripasso
di quello che si studia in classe. Uno spazio dove prevale la solidarietà, il rispetto
e la conoscenza dell’altro. Una conoscenza che arricchisce tutti.
Sono passate più di due ore e dobbiamo andare. Mentre ci salutiamo, ci vengono incontro alcuni ragazzi che ci chiedono insistentemente quando ci rivedremo di nuovo. Tra loro non ci sono stranieri, questi, sono rimasti lì a guardarci con
una certa complicità. Gli altri intorno a noi continuano a farci domande sui nostri
paesi.
La relazione finale
Al termine del Progetto è stato proposta ad ogni mediatore la stesura di
una relazione seguendo una traccia comune (tab. 11), discussa in un incontro di gruppo e finalizzata a documentare l’esperienza e l’attività lavorativa, a fornire ulteriore elementi di verifica e a evidenziare i punti di forza e
i nodi critici dell’attività svolta.
119
Tab. 6 - Traccia per la relazione finale
Traccia per relazione finale
Mediatore-mediatrice:
Azioni di mediazione
Compilare un riquadro per ogni scuola in cui si è lavorato
Scuola:
Periodo lavorativo:
Luogo in cui si è svolta l’attività (es: classe, aula dedicata, aula insegnanti…):
È stata fatta una programmazione con le/gli insegnanti per decidere le attività da
svolgere?
Al termine è stata fatta una verifica con le/gli insegnanti dell’attività svolta?
Attività svolta:
• verso gli alunni
• verso le insegnanti
• verso i genitori
• verso la scuola
Funzioni di mediazione svolte:
Risultati ottenuti
Criticità riscontrate
Note e commenti
Le storie
Individuare due situazioni di alunni/alunne seguite
Storia
Nazionalità dell’alunno/alunna
Età
Motivo della richiesta di mediazione
Racconto dell’intervento di mediazione
Risultati conseguiti
Punti di forza
Punti di debolezza
Note e commenti
Sono state redatte 20 relazioni che, in generale, hanno rispecchiato e
sottolineato gli aspetti di dibattito già affrontati durante tutto il Progetto,
mettendo in evidenza criticità ma anche sottolineando la riuscita degli interventi.
Citiamo alcuni commenti e proposte:
• sarebbe necessario concedere più ore di mediazione per ogni bambino,
soprattutto per i ragazzi della scuola secondaria perché la barriera linguistica crea numerose difficoltà nello studio e nella comunicazione;
• è molto importante lavorare anche a livello affettivo e di socializzazione
con gli altri, permettere di valorizzare la cultura, le capacità individuali
dell’alunno neo arrivato;
120
• è necessario lavorare molto sul rispetto delle regole scolastiche, sulle diversità culturali, l’accettazione degli altri, la convivenza sociale;
• è indispensabile lavorare con la famiglia per creare un rapporto di collaborazione e fiducia.
Interessanti sono alcune “storie” scelte dai mediatori che riportano l’intreccio tra necessità delle scuole, degli alunni, delle famiglie e intervento di
mediazione.
Ne riportiamo alcune a titolo esemplificativo:
Nazionalità: turca
Età: 7
Motivo della richiesta di mediazione: colloquio con il genitori e consegna scheda di valutazione
Racconto dell’intervento di mediazione: in questo caso, le insegnanti hanno ritenuto opportuno non ammettere il bambino alla classe successiva, poiché non era riuscito a conseguire gli obbiettivi prestabiliti.
Dopo una dettagliata spiegazione alla madre sui motivi di tale scelta (il
bambino non aveva frequentato la scuola dell’infanzia perciò si trovava
in un contesto del tutto nuovo e per di più con una lingua a lui sconosciuta), si scopre che il bambino, il quale si pensava fosse neo arrivato
dal paese d’origine, in realtà si trovava in Italia già da anni, ma che non
era mai stato fuori dal contesto “casa”. Inoltre, si scopre anche che la
famiglia non vive in un contesto molto agiato e per di più il padre sembra disinteressato e poco presente all’andamento scolastico del figlio.
Risultati conseguiti: il genitore ha compreso l’importanza di tale scelta e
le insegnanti sono convinte che il bambino potrà ripetere l’anno scolastico senza alcuna difficoltà.
Punti di forza: è stata un’occasione per comprendere meglio la situazione del bambino e il contesto in cui vive.
Punti di debolezza: nonostante le insegnanti conoscessero il bambino
da un anno e avessero avuto altre occasioni per parlare con il genitore,
non avevano mai avuto occasione di chiedere del passato dell’alunno,
poiché pensavano che fosse neo arrivato.
Note e commenti: si poteva richiedere l’intervento della mediatrice (necessaria soprattutto nella prima accoglienza) per affiancare il bambino,
affinché potesse non solo aiutarlo nella mera comprensione della lingua
italiana, ma anche per ambientarlo in un contesto che per lui era del
tutto sconosciuto.
121
Nazionalità: moldava
Età: 14 anni
Motivo della richiesta di mediazione: come neo arrivata l’alunna ha incontrato delle difficoltà linguistiche ma anche alcuni problemi di integrazione.
Racconto dell’intervento di mediazione: l’alunna è arrivata in Italia per
ricongiungersi con la sua famiglia che prima ha lavorato in Portogallo e poi si è trasferita in Italia. Per lei è stato un inserimento forzato anche perché essendo stata separata dai genitori da piccola ha fatto tanti
sforzi per accettare la vita insieme a loro. All’inizio ha avuto molta nostalgia per il paese di origine, per i nonni e soprattutto per gli amici rimasti nel suo paese. I genitori non le rifiutano niente e tante volte esagerano con dei regali costosi (telefonino ultimo modello, Ipod, vestiti…)
Tutto questo ha creato degli atteggiamenti problematici sia nei confronti
dei compagni di classe che con gli insegnanti.
Dal suo paese è arrivata con un buon livello didattico.
La ragazza ha imparato in fretta la lingua italiana. Si esprime bene e
prova anche ad affrontare i testi di studio. È stata aiutata durante i laboratori di L2, soprattutto in grammatica, spiegandole le interferenze e
le differenze delle strutture grammaticali tra madre lingua/italiano; sono stati utilizzati testi facilitati in scienze, antologia, storia. La ragazza è
stata aiutata a fare la tesina per l’esame di Licenza Media.
Risultati conseguiti: l’alunna ha fatto progressi nello studio della lingua
italiana, si è ben integrata e ha fatto amicizia con diversi compagni di
classe, però preferisce la compagnia dei ragazzi connazionali, romeni e
moldavi. Si è lavorato molto sugli atteggiamenti ed è riuscita a cambiare in modo radicale.
Punti di forza: i risultati positivi sono dovuti anche al fatto che la ragazza è molto intelligente e ha avuto una buona risposta alla presenza del
mediatore.
Punti di debolezza: le ore di intervento di mediazione sono state poche
per arrivare a risultati maggiormente efficaci.
Note e commenti: la ragazza non ha fatto una scelta consapevole della
scuola superiore non essendo in grado di capire la struttura della scuola italiana.
Come si nota, la scrittura ha dato la possibilità ai mediatori di riflettere sulla storia dell’alunno, ma anche sull’intervento effettuato, evidenziando
questioni di metodo e proponendo correttivi per migliorare l’efficacia della mediazione.
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Allegati
La modulistica dello sportello Mediante
a cura di Simona Boffi, Simona Panseri
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126
127
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Bibliografia*
a cura di Manuela Fumagalli
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