Indice Presentazione, di Maria Grazia Guida Introduzione, di Salvatore Mirante e Maria Cristina Iovinella Prima parte La mediazione: significati e pratiche 1. La mediazione in Italia: una fotografia in movimento, di Manuela Fumagalli Un po’ di storia… I percorsi formativi Ambiti di intervento 2. Stare ai confini: la mediazione nella scuola multiculturale, di Graziella Favaro Un dispositivo per una scuola che include Il mediatore nella scuola che cambia Fasi della scuola e compiti di mediazione Definizioni e compiti nella normativa Verso i genitori: informare e accompagnare Verso i minori: una figura di prossimità Verso gli insegnanti: facilitare e mettere in relazione Pratiche di integrazione e pratiche di riconoscimento Compiti e dimensioni della mediazione Indicatori di qualità La scuola: luogo di molteplici mediazioni 5 3. Il progetto Mediante: dati e modello organizzativo, di Simona Boffi, Manuela Fumagalli, Simona Panseri Il Progetto I dati Seconda parte I protagonisti dell’incontro mediato 4. Tra scuola e famiglia: storie di mediazione, di Graziella Favaro Educare un figlio altrove Storie famigliari differenti Legami famigliari tra qui e là Una migrazione nella migrazione La rappresentazione della scuola Genitori sulla soglia Disturbi di apprendimento Mediare, non espropriare 5. In ascolto dei bambini e dei ragazzi: quando i mediatori “traducono” storie, di Graziella Favaro Dentro e fuori dai confini Soli per il mondo Vulnerabilità e sfide Le relazioni con i pari Vicinanze e distanze Accompagnare nella città La storia di C.: potersi dire nella propria lingua “Mi hanno perso un anno” Figure di prossimità Il mediatore in ascolto 6. I mediatori e le mediatrici, di Graziella Favaro Chi sono Le attività svolte La formazione, il coordinamento, la supervisione La documentazione prodotta Allegati. La modulistica dello sportello Mediante, a cura di Simona Boffi, Simona Panseri Bibliografia, a cura di Manuela Fumagalli 6 Presentazione L’evidenza del fenomeno migratorio, concepito non soltanto come questione di emergenza o assistenziale ma come straordinaria opportunità per conoscere altre esperienze, oltre alla massiccia presenza straniera nelle scuole milanesi, sollecitano una risposta razionale ed efficace. È necessario infatti promuovere il dialogo e la convivenza costruttiva tra soggetti che appartengono a culture diverse, e la creazione della reciproca disponibilità a superare i propri limiti. Per questo bisogna sostenere un’educazione alle relazioni interculturali, consapevoli che la globalità è un punto di vista da raggiungere, una capacità di visione di assunzione dei problemi, al di là di un’ottica particolaristica. Per arrivare a una società dal volto plurale è necessario quindi partire dall’istruzione. La sfida è quella di creare una scuola capace di produrre culture in grado di sostenere il dialogo e la coabitazione tra modi differenti di pensare, di vivere, di presentare le proprie esperienze emotive, le proprie dimensioni anche religiose e rituali. Per qualsiasi processo di integrazione, di comunità, che accoglie in positivo la sfida di presenze diverse, la scuola è davvero un luogo strategico. È uno straordinario punto di partenza per dare chanche all’uguaglianza. Nasce così il progetto “Mediante. Nella scuola e nella città di Milano” che mette a disposizione servizi di mediazione linguistica e culturale per consentire l’accesso della popolazione straniera alle iniziative del Comune, arricchendo le attività già promosse dall’Ente. Nel particolare si dà sostegno ai minori neo-arrivati, per favorire così l’accoglienza e l’integrazione scolastica, e alle loro famiglie, per facilitare lo sviluppo della propria consapevolezza di ruolo nei confronti della scuola. L’impegno verso un’educazione interculturale coinvolge tutta la comunità educativa, affiancata dai mediatori, figure professionali di alta competenza, determinanti per instaurare un confronto positivo tra i docenti e le famiglie. 7 Questa pubblicazione racconta la nascita e l’evoluzione del Progetto che, seguendo una metodologia innovativa e attenta alle specificità di ciascun caso, può garantire i diritti dei giovani stranieri. Maria Grazia Guida Vice-sindaco e Assessore Educazione e Istruzione 8 Introduzione Qualunque monaco girovago può fermarsi in un tempio Zen, a patto che sostenga coi preti del posto una discussione sul Buddhismo e ne esca vittorioso. Se invece perde, deve andarsene via. In un tempio nelle regioni settentrionali del Giappone vivevano due confratelli monaci. Il più anziano era istruito, ma il più giovane era sciocco e aveva un occhio solo. Arrivò un monaco girovago e chiese alloggio, invitandoli secondo la norma a un dibattito sulla sublime dottrina. Il fratello più anziano, che quel giorno era affaticato dal molto studio, disse al più giovane di sostituirlo. “Vai tu e chiedigli il dialogo muto” lo ammonì. Così il monaco giovane e il forestiero andarono a sedersi nel tempio. Poco dopo il viaggiatore venne a cercare il fratello più anziano e gli disse: “II tuo giovane fratello è un tipo straordinario. Mi ha battuto”. “Riferiscimi il vostro dialogo” disse il più anziano. “Bè”, spiegò il viaggiatore “per prima cosa io ho alzato un dito, che rappresentava Buddha, l’Illuminato. E lui ha alzato due dita, per dire Buddha e il suo insegnamento. Io ho alzato tre dita per rappresentare Buddha, il suo insegnamento e i suoi seguaci, che vivono la vita armoniosa. Allora lui mi ha scosso il pugno chiuso davanti alla faccia, per mostrarmi che tutti e tre derivano da una sola realizzazione. Sicché ha vinto e io non ho nessun diritto di fermarmi”. E detto questo, il girovago se ne andò. “Dov’è quel tale?” domandò il più giovane, correndo dal fratello più anziano. “Ho saputo che hai vinto il dibattito”. “Io non ho vinto un bei niente. Voglio picchiare quell’individuo”, “Raccontami la vostra discussione” lo pregò il più anziano. “Accidenti, non appena mi ha visto lui ha alzato un dito, insultandomi con l’allusione che ho un occhio solo. Dal momento che era un forestiero, ho pensato che dovevo essere cortese con lui e ho alzato due dita, congratulandomi che avesse due occhi. Poi quel miserabile villano ha alzato tre dita per dire che tra tutti e due avevamo soltanto tre occhi. 9 Allora ho perso la tramontana e sono balzato in piedi per dargli un pugno, ma lui è scappato via e così è finita”. L’anziano monaco sorrise. (Tratto da “101 Storie Zen”, Adelphi) Tra i due monaci sarebbe stata utile una mediazione linguistica? Se si fossero parlati si sarebbero capiti? Forse un po’ di più. Ma se la regola del colloquio silenzioso va rispettata (nel nostro caso: se i due che devono comunicare non hanno competenze linguistiche comuni) esiste una “mediazione gestuale”, e quindi una competenza che sa tradurre i gesti ed i loro significati? Nel testo si parla di una funzione di “riconoscimento” che il mediatore ha scoperto di doversi assumere. Non è forse questa la mediazione “gestuale”, quella mediazione che va a cercare il senso ed il significato del non detto, dell’agito (i gesti sono azioni)? La didattica ha o non ha, nel suo corpus, le competenze per “decodificare” i significati di cui sono portatori i gesti (il non verbale: mimica, agìti, ecc.) degli allievi? Se così è, o dovrebbe essere, allora le nuove competenze di mediazione legate ai ragazzi stranieri dovranno essere “incorporate”, inserite nel corpus della didattica e, così, la funzione degli attuali mediatori non verrà meno, ma ne sarà rafforzata e chiarita. Non si dovrà fornire più uno sportello, che rimanda all’usa e getta, all’uso occasionale, ad hoc; ma si fornirà un servizio o una funzione integrativa della funzione di mediazione che il docente ha insito nel suo ruolo. Di questo ci parla l’esperienza descritta in questo libro; su questo la scuola – e la società – si sta interrogando con risposte tra loro alternative per la cui sintesi l’esperimento Mediante può essere un ottimo contributo. Salvatore Mirante* * Direttore del Settore Minori e Giovani dell’Assessorato Educazione e Istruzione. 10 La società italiana negli ultimi dieci anni ha subito un cambiamento radicale: uno dei principali fattori alla radice di tale cambiamento è rappresentato dall’immigrazione che è passata da fenomeno sporadico a realtà stanziale e strutturale sempre più legato all’andamento ed al fabbisogno del mercato del lavoro. Di conseguenza si avverte sempre di più, anche nelle scuole, la presenza di alunni con cittadinanza non italiana e la convivenza di diverse culture nello stesso contesto scolastico. Da qui la necessità di attrezzare le scuole affinché sia possibile anche una comunicazione più agevole tra le parti tenendo conto delle diversità culturali e linguistiche che non certo facilitano la soluzione di situazioni conflittuali o semplicemente la comunicazione fra le parti. Attraverso il progetto “Mediante. Nella scuola e nella città di Milano”, finanziato con Fondo Europeo per l’integrazione di cittadini di Paesi Terzi, il Comune di Milano, insieme al Centro Come della Cooperativa Farsi Prossimo e con la collaborazione dei Poli Start ha sviluppato un sistema di servizi di mediazione linguistico culturali per offrire un servizio altamente qualificato di traduzione, mediazione ed interpretariato, in particolare per orientare le famiglie nella scelta della scuola dei propri figli, per l’accoglienza e l’inserimento scolastico dei figli degli immigrati ed in generale per rendere più agevole i servizi che il Comune offre ai suoi cittadini. Oggi i dati ufficiali del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ci sottolineano che la presenza di bambini stranieri nelle scuole italiane è molto elevata ed è cresciuta di circa 40 volte in dieci anni, a Milano negli ultimi anni dopo aumenti consistenti si è passati a percentuali più stabili; infatti da 41.963 alunni nelle scuole primarie statali di cui 8.609 stranieri (20,52%) e da 25.032 alunni nella secondaria statale di primo grado di cui 5.077 (20,28%) dell’anno scolastico 2007/08, ci si è atte11 stati nell’anno scolastico corrente (2010/11) sulla presenza di 56.307 bambini, di cui 10.840 stranieri (19,25%) nella scuola primaria e 33.251 ragazzi nella secondaria di primo grado di cui 6.577 stranieri (19,78%). Ciò ci porta sempre più spesso al confronto, a nuove sfide da affrontare per promuovere l’incontro fra le diverse culture e per creare le condizioni più favorevoli per l’accoglienza e l’integrazione ed in alcuni casi a dover gestire situazioni di conflitto; ecco che nasce, quindi, l’idea di sviluppare un progetto specifico “Mediante. Nella scuola e nella città di Milano” per venire incontro alle esigenze delle famiglie straniere e favorire l’integrazione scolastica. In generale possiamo dire che in Italia si comincia a parlare di mediazione negli anni ’80, in particolare della gestione del conflitto nell’ambito familiare, nei casi di separazione e divorzi. L’obiettivo era quello di dare un aiuto ai genitori ed ai figli in un momento così delicato della vita familiare, promuovendo il dialogo fra le parti per permettere l’esercizio della funzione genitoriale attraverso una presa di coscienza ed una effettiva cooperazione fra i coniugi dopo la separazione ed il divorzio. Anche nella scuola, ormai da anni si parla di mediazione, in particolare di mediazione interculturale. Ma chi è il mediatore se non un facilitatore della comunicazione tra le parti per la soluzione di una situazione conflittuale? Si tratta di persone, molto spesso straniere già ben integrate nel tessuto sociale italiano che all’occorrenza si fanno carico di tradurre documenti, interpretare e anche compilare la modulistica, riguardanti il rinnovo dei permessi di soggiorno, la presentazione della dichiarazione dei redditi, la documentazione richiesta da presentare agli uffici competenti, l’iscrizione dei figli a scuola, in poche parole facilitare l’accesso degli immigrati ai singoli servizi. Questa è una funzione conosciuta in molti paesi di immigrazione, dove è richiesta una competenza tecnico-professionale per aiutare chi non è in grado di svolgere le proprie pratiche da solo. Nella scuola, in particolare nella città di Milano, dove la presenza di alunni con cittadinanza non italiana sia di prima che di seconda generazione, come ho già detto, assume connotazioni evidenti, è sempre più crescente l’esigenza di offrire servizi specifici per l’accoglienza, l’integrazione e l’inserimento dei bambini stranieri e delle loro famiglie. Per far fronte alle richieste sempre più crescenti di informazioni ed orientamento specifico nell’ambito scolastico ed integrando i servizi già esistenti, è stato pensato il progetto “Mediante. Nella scuola e nella città di Milano”, che anche attraverso un’attenta analisi, valutazione e riflessione delle attività e dei risultati ottenuti ha creato uno strumento utile anche ai fini della trasferibilità futura. È stato perciò attivato uno sportello, pres12 so i Servizi Educativi Adolescenti in Difficoltà di via Pastrengo 6, divenuto punto di riferimento per le scuole milanesi in caso di richieste di mediazione linguistica culturale in fasi diverse (prima accoglienza degli studenti stranieri, colloqui con i genitori, orientamento dopo la terza media), di traduzioni ed interpretariato, si tratta di interventi diretti su un piano culturale /interculturale, ma anche su un piano sociale e relazionale. Il tutto in stretta sinergia con i quattro Poli territoriali ed in rete con le scuole, attraverso uno stesso modello metodologico per fornire strumenti di conoscenza ed informazione che permettono alle famiglie straniere di capire meglio la realtà scolastica italiana; quali sono i diritti ed i doveri dei propri figli, quale scuola scegliere e come essere facilitati nel capire i meccanismi interni ed a volte complicati del nostro sistema scolastico, comprendere le circolari ed i comunicati inviati alle famiglie, poter iscrivere il proprio figlio ad un centro estivo riuscendo ad esserne coinvolti direttamente, di fatto come orientarsi per un inserimento soddisfacente nella struttura della società italiana. La presenza di difficoltà comunicative, spesso, può rendere difficile la relazione fra le parti determinando una maggiore difficoltà all’integrazione nella scuola e nel tessuto sociale; si evince quindi la necessità di politiche sociali, servizi efficienti sul territorio per poter accompagnare il processo verso un’integrazione piena e che si traduca in diritti e doveri, tutele e prestazioni, per poter costruire una società multiculturale che contribuisca alla crescita economica e sociale del nostro Paese. Sono convinta che affinché vi sia vera integrazione gli immigrati debbano sentirsi parte attiva ed integrante del nostro paese; ciò comporta una conoscenza dei diritti e doveri, nonché di un minimo di conoscenza dei nostri usi e costumi. La vera sfida per una società multiculturale consiste, appunto, nell’integrarsi in una società con usi e costumi diversi, senza dimenticare o rinunciare ai propri. Questa, secondo me, è la vera sfida del futuro e per le future generazioni che vogliano “integrarsi” pienamente in un paese nuovo e sentirsi cittadini attivi a tutti gli effetti. Maria Cristina Iovinella Responsabile Ufficio Minori e Giovani dell’Assessorato Educazione e Istruzione 13 Prima parte La mediazione: significati e pratiche 1. La mediazione in Italia: una fotografia in movimento di Manuela Fumagalli Un po’ di storia… La storia della “mediazione”, in senso ampio, ha origini lontane e la letteratura, gli studi, le ricerche in proposito costituiscono ormai un vasto materiale di analisi e riflessione. La mediazione ha conosciuto e conosce diffusione in vari ambiti e servizi” ma, prima di addentrarci nell’analisi della mediazione linguistico culturale, è necessario sottolineare che la mediazione è innanzitutto un concetto ampio, un approccio insito nelle professioni sociali; saper mediare, interrogarsi, aprire piste di dubbio, sospendere i giudizi, trovare territori comuni, riflettere sul proprio modo di concepire la professione dovrebbero essere componenti della professionalità di tutti gli operatori sociali, educativi, scolastici. È quindi una competenza diffusa, che si declina in modi differenti a seconda degli ambiti di lavoro, dei soggetti coinvolti, delle modalità utilizzate. Se ci avviciniamo al mondo della “mediazione linguistico culturale”, va sottolineato come le pratiche di mediazione si sono specializzate sul fronte culturale ed interculturale con l’intensificarsi dei processi migratori e che la mediazione interculturale è diventata pian piano una professione centrata sulle competenze linguistiche e relazionali, agite da un professionista della comunicazione mediata, appositamente formato a tale lavoro: il mediatore e la mediatrice interculturale. La mediazione fa dunque riferimento ad un particolare tipo di intervento/dispositivo che si inserisce all’interno di contesti sociali e territoriali caratterizzati dalla presenza di popolazioni migranti, dove persone che non condividono la stessa lingua e le medesime appartenenze culturali entrano in contatto e comunicazione, e, di conseguenza, l’intervento del mediatore ha come finalità generale il superamento delle barriere comunicative di tipo linguistico e culturale che possono presentarsi nell’interazione con i migranti (Luatti, 2011). 17 La riflessione in atto in questi ultimi anni sul concetto, le pratiche, gli usi, gli scopi della mediazione ha contribuito a chiarirne sempre più l’utilità e le potenzialità, ma ne ha contemporaneamente evidenziato i confini, i limiti, le contraddizioni. Molteplici questioni rimangono ancora aperte: l’uso del dispositivo della mediazione all’interno dei servizi, i rapporti con l’organizzazione e gli operatori, l’intreccio fra competenze, formazione, mansioni. In particolare, l’analisi di alcuni passaggi appare fondamentale per poter accompagnare il lavoro di mediazione verso un pieno riconoscimento: le attuali normative, la definizione del profilo e della figura professionale, le esperienze di formazione, la collocazione lavorativa. Dalla complessità di una professione tuttora in definizione discendono anche i tanti nomi della mediazione e del mediatore. Dal punto di vista linguistico, vi possono essere sottolineature diverse dell’una o dell’altra funzione e dello spazio assegnato al mediatore, già a partire dal nome con il quale si indica questa figura (Favaro, Fumagalli 2004): Per le funzioni di “tramite e ponte” si utilizzano più spesso i termini: • mediatore linguistico-culturale; • mediatore culturale; • mediatore interculturale; • mediatore del conflitto; Per le funzioni di “portavoce e difensore” del gruppo minoranza: • mediatore etnico; • mediatore di comunità; • operatore comunitario; • leader o rappresentante del gruppo; • agente di sviluppo comunitario. Per le funzioni di “traghettatore”, che si esprimono soprattutto attraverso la traduzione e la facilitazione linguistica e sociale: • mediatore linguistico; • interprete sociale; • traduttore; • facilitatore linguistico; Nel corso degli anni sono state dunque usate molteplici denominazioni per indicare la medesima figura professionale. I più recenti documenti istituzionali definiscono la mediazione come “interculturale”, scelta che sottolinea il ruolo e la funzione socio-culturale di “costruttori di ponti”. Ma come si è sviluppata la mediazione in Italia e quali gli attuali punti di attenzione per la professione? Sono trascorsi più di vent’anni dalla realizzazione delle prime esperienze di mediazione e, in questo tempo, è avvenuto un rapido diffondersi di esperienze, pratiche, progetti, che ha at18 traversato varie fasi di storia, nelle quali sono cambiate le tematiche emergenti, le attenzioni e le priorità. Alcuni studiosi (Luatti 2011) ne hanno individuate cinque: • sperimentazione e creatività; • sviluppo del livello formativo; • diffusione e silenzio isolamento; • azione autonoma verso la costituzione di una categoria professionale; • pluralizzazione e dispersione degli ambiti lavorativi del mediatore e di azione istituzionale finalizzata al riconoscimento della figura professionale. Una modalità interessante per ripercorrere il cammino della mediazione interculturale è quella di analizzare i documenti (legislazione, note, ricerche…) che sono stati prodotti da differenti e variegati soggetti (istituzioni, associazioni, gruppi di mediatori…), rispecchiando il dibattito e gli orientamenti interni ed esterni alla professione. Normativa nazionale Solo a partire dalla legge 40/98 la normativa nazionale ha fatto esplicito riferimento alla mediazione. Infatti l’art. 40 della stessa legge (recepito dall’art. 42 del T.U. 286/98) recita: Lo Stato, le Regioni, Le Province, e i comuni, nell’ambito delle proprie competenze, favoriscono […] la realizzazione di convenzioni con associazioni […] per l’impiego all’interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali, al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti a diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi. La legge non definisce l’attività di mediazione, ma introduce il termine di “mediatori interculturali” in una normativa nazionale, contemplando le misure per favorire l’integrazione degli immigrati e affermando esplicitamente la possibilità di convenzioni con le associazioni iscritte nell’apposito albo. Dunque, ciò che attiene all’attività di mediazione si concretizza nell’opera di facilitazione/agevolazione del rapporto tra gli stranieri e le pubbliche amministrazioni, in ambiti che non vengono definiti ma che si possono evincere dalla pratica lavorativa e da altri articoli di normative di settori specifici. In particolare, per quanto riguarda l’ambito scolastico, sempre la l. 40/98, all’art 36 (recepito dall’art. 38 della legge 189/02) determina la “necessità di stabilire i criteri e le modalità di comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l’ausilio di mediatori qualificati”. Già la C.M. 205 del 1990 aveva comunque sottolineato come “l’intervento degli enti locali e la collaborazione delle comunità e delle famiglie consente 19 in alcuni sedi scolastiche l’impiego di mediatori madrelingua per sostenere l’inserimento e attuare iniziative per la valorizzazione della lingua e cultura d’origine”. In seguito il DPR 394 del 1999 ha previsto che “il collegio docenti formula proposte in ordine ai criteri e alle modalità per la comunicazione tra la scuola e la famiglie degli alunni stranieri. Ove necessario, anche attraverso intese con l’ente locale, l’istituzione scolastica si avvale dell’opera di mediatori culturali qualificati”. L’art. 40 della l. 40/98 contiene altri punti che individuano una serie di iniziative finalizzate alla piena integrazione degli immigrati. Nello specifico si prevedono, quale terreno per le attività interculturali, alcune azioni possibili: corsi di lingua e cultura dei paesi d’origine; diffusione di informazioni relative ai diritti doveri e alle possibilità di integrazione; prevenzione di atti di razzismo e xenofobia; organizzazione di corsi di formazione; iniziative contro la discriminazione. Secondo alcuni autori (Andolfi, 2003) tali attività possono rientrare nell’area di competenza della mediazione linguistico culturale, svolta principalmente dalle associazioni, nel territorio e nella società, poiché in questi campi hanno operato e si sono formati alcuni dei primi mediatori presenti in Italia e la mediazione, essendo inerente alla problematica del rapporto tra culture, investe il campo della lotta al pregiudizio e al razzismo. Una menzione particolare merita altresì l’art. 12 della 328/20001, che non riguarda direttamente la mediazione culturale, ma che interseca e si inserisce a pieno titolo nel cammino per la definizione del profilo professionale del mediatore/trice. Infatti, tale articolo prevede che: vengano definiti i profili professionali delle figure professionali sociali da formare con corsi di laurea; da formare con corsi di formazione organizzati dalle Regioni (stabilendo criteri generali riguardanti l’accesso, la durata, l’ordinamento didattico) e vengano definiti i criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei profili professionali esistenti. Alla Commissione per la definizione dei profili professionali, organismo interministeriale, spetta il compito di definire le figure formate con corsi di laurea e a livello regionale e stabilire criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei titoli. 1. “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. 20 Tab. 1 - Elenco della normativa nazionale Anno Legge Articolo Contenuto 1998 n. 40 40 1998 T.U. 286 42 2002 n. 189 42 Possibilità di “realizzazione di convenzioni con associazioni […] per l’impiego all’interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali, al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti a diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi” 1998 n. 40 36 1998 T.U. 286 38 2002 n. 189 38 1998 n. 40 40 1998 T.U. 286 38 2002 n. 189 1999 DPR 394 2000 n. 328 42 Necessità “di stabilire i criteri e le modalità di comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l’ausilio di mediatori qualificati” Promozione di “corsi di lingua e cultura d’origine; diffusione di informazioni al positivo inserimento degli stranieri; prevenzione delle discriminazioni razziali; valorizzazione delle espressioni culturali e religiose…” “Il collegio docenti formula proposte in ordine ai criteri e alle modalità per la comunicazione tra la scuola e la famiglie degli alunni stranieri. Ove necessario, anche attraverso intese con l’ente locale, l’istituzione scolastica si avvale dell’opera di mediatori culturali qualificati” 12 Definizione dei “profili professionali delle figure professionali sociali da formare con corsi di laurea; da formare con corsi di formazione organizzati dalle Regioni (stabilendo criteri generali riguardanti l’accesso, la durata, l’ordinamento didattico) e… i criteri per il riconoscimento e l’equiparazione dei profili professionali esistenti” Proposte di legge La necessità di potenziare, definire e valorizzare la professione dei mediatori, viene rilanciata attraverso la presentazione di ben tre proposte di legge nel periodo 2009-2010, due delle quali (la n. 2138 e la n. 2185) a solo otto giorni di distanza l’una dall’altra. 21 Tab. 2 - Proposte di legge Anno Proponente Denominazione 2009 Camera dei Deputati Iniziativa Deputato Aldo Di Biagio Proposta di legge n. 2138 “Delega al Governo per l’istituzione dell’Albo dei mediatori interculturali” 2009 Camera dei Deputati Iniziativa Deputato Jean Leonard Touadi (e circa 70 altri) Proposta di legge n. 2185 “Disciplina della professione di mediatore interculturale e delega al Governo in materia di ordinamento dei corsi di formazione per il suo esercizio” 2010 Camera dei Deputati Iniziativa Deputato Delia Murer (e altri 15) Proposta di legge n. 3525 “Disciplina della professione di mediatore interculturale” Documenti Le iniziative di riflessione e discussione a carattere locale, regionale, nazionale, nate allo scopo di fare il punto sulle iniziative e progetti esistenti, aprire un confronto su concezioni ed usi della risorsa di mediazione, identificare terreni comuni di proposte per il riconoscimento del ruolo e del relativo percorso formativo, hanno spesso prodotto interessanti sintesi e documenti. Tab. 3 - Documenti Anno Ente/istituzione Documento 2000 Organismo nazionale di Coordinamento per le Politiche di Integrazione Sociale degli stranieri Consiglio Nazionale Economia e Lavoro Politiche per la mediazione culturale. Formazione ed impiego dei mediatori culturali 2002 Ministero del Lavoro Ministero dell’Interno Ministero della Giustizia Ministero dell’Istruzione Ministero dell’Università Ministero della Salute Nota del gruppo di lavoro interministeriale 22 Tab. 3 - segue Anno Ente/istituzione Documento 2002 Caritas di Roma - Forum per l’intercultura Formazione ed impiego dei mediatori culturali 2009 Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome Riconoscimento della figura professionale del Mediatore interculturale 2009 Organismo nazionale di Coordinamento per le Politiche di Integrazione Sociale degli stranieri Consiglio Nazionale Economia e Lavoro Mediazione e mediatori interculturali: indicazioni operative 2009 Unione Europea, Ministero dell’Interno Linee di indirizzo per il riconoscimento della figura professionale del mediatore interculturale I percorsi formativi I primi corsi di formazione per mediatori e mediatrici risalgono all’inizio degli anni ’90 e sono stati organizzati in modo sperimentale da cooperative, enti, associazioni, sulla spinta della consapevolezza che la spontaneità della mediazione andasse supportata da percorsi e processi qualificanti e che una buona collaborazione richiedesse di poter contare su figure professionali. In quegli anni l’aumento di richiesta di mediazione da parte degli operatori e dei servizi richiedeva la necessità di formare persone per precisi ambiti di lavoro, permettendo loro l’acquisizione di competenze specifiche. Dopo questa prima fase legata quasi esclusivamente all’iniziativa privata, si è assistito ad una maggior collaborazione con il pubblico, che ha dato origine alla nascita di corsi finanziati dalle istituzioni e gestiti in collaborazione con associazioni, cooperative ecc., oppure a formazioni coinvolgenti più parterns, anche internazionali, e finanziate da progetti del Fondo Sociale Europeo. Spesso grazie all’opera di sensibilizzazione delle agenzie-cooperative, all’impegno delle istituzioni e all’istaurarsi di buone sinergie, i corsi sono stati riconosciuti in ambito comunale e provinciale per poi, raramente, essere istituiti direttamente dalle Regioni, permettendo così ai/alle partecipanti l’acquisizione di un attestato regionale, ma soprattutto sancendo la necessità e il riconoscimento dell’utilità di questa profes23 sione e di un relativo percorso di studi. È degli ultimi anni l’iniziativa delle Università che hanno istituito corsi di laurea, con caratteristiche e connotazioni fra loro simili ma molto differenti dalle pregresse esperienze formative nel campo della mediazione e che hanno aperto ulteriori possibilità ma anche complessità in questo settore. Di contro, in un panorama così articolato e con ulteriori incertezze e contraddizioni relative alla collocazione lavorativa dei mediatori/trici, le associazioni, cooperative, agenzie, hanno tendenzialmente riconvertito le proprie energie su aspetti formativi mirati (es: approfondimento di settori specifici) o sul supporto alla creazione di imprese o all’autoimprenditorialità, anche in attesa di conoscere l’esatta definizione del profilo professionale. Seppur nati da bisogni simili, i corsi spesso presentano ampie differenze, a seconda degli obiettivi, destinatari, durata, canali di finanziamento, possibilità di inserimento lavorativo. Alcuni sono stati effettuati dopo la realizzazione di ricerche, altri hanno preso origine da necessità legate a servizi specifici, altri ancora sono stati sollecitati da richieste continue, alcuni hanno prodotto la creazione di cooperative di mediatori/trici. Questa spiccata eterogeneità non ha certo favorito una definizione istituzionale e nazionale della figura professionale. Il tema della formazione è dunque cruciale sia per la costruzione della professionalità dei mediatori, che per una sua definizione in vista del riconoscimento del titolo. E poiché la tematica è di vitale importanza, ha assunto particolare rilievo negli ultimi anni, attraverso contributi e riflessioni, che hanno contribuito a definire alcune linee comuni per una “buona” formazione. La prima è costituita dalla necessità di riconoscere uno spazio di rielaborazione della propria storia, del proprio vissuto, che comporta un faticoso lavoro su di sé; un lavoro di autoriflessione che consente di trasformare le competenze esperienziali in competenze professionali. Vi è inoltre un ampio accordo su una formazione dei mediatori articolata su tre piani d’azione: • formazione di base o di primo livello, con tirocinio; • formazione di secondo livello o specialistica (per ambiti d’intervento), con tirocinio; • intervento formativo in itinere continuo (aggiornamento). Accanto all’aggiornamento “contenutistico” sono necessari momenti di supervisione, intesa come uno spazio “tutelato” in cui i mediatori e le mediatrici possano ripensare ai propri obiettivi e modalità di lavoro, al fine di rivedere e rivalutare con metodo il loro agire professionale. Un tempo e uno spazio di “sospensione dell’azione” entro cui concedersi riflessioni sul piano tecnico ed emotivo. 24 Se si unisce la riflessione degli studiosi con l’analisi delle pratiche lavorative, si possono integrare ulteriori aspetti a cui prestare attenzione (Luatti 2011): • formazione congiunta (mediatori ed operatori); • formazione al lavoro in equipe; • formazione sulle dinamiche della comunicazione mediata (traduzione e interpretariato). Ambiti di intervento Sono sempre più numerosi gli enti e i servizi che fanno richiesta dei mediatori. Inizialmente il dispositivo della mediazione veniva richiesto dalle istituzioni nelle situazioni di emergenza e di prima accoglienza connesse alla gestione del fenomeno migratorio, per esigenze di controllo e di contrasto all’immigrazione clandestina e di accoglienza e protezione umanitaria dei migranti, ma ben presto è divenuta uno strumento delle politiche e dei processi di integrazione. Ora ai contesti di tradizionale intervento (sanitario, sociale, scolastico, ospedaliero…) se ne sono aggiunti di nuovi, definibili come emergenti in quanto espressione dei bisogni generati dai mutamenti del fenomeno migratorio. Per ogni ambito cambiano le richieste, il modo di intendere e di fare il lavoro di mediazione; cambiano i bisogni, gli obiettivi istituzionalmente perseguiti, le culture organizzative, le competenze e conoscenze richieste. Nove sono gli ambiti specifici individuati quali luoghi di intervento dei mediatori (Luatti, 2011). • Area emergenza e prima accoglienza: centri di accoglienza per migranti, centri di identificazione ed espulsione, centri accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo. • Area amministrativa; uffici per l’immigrazione, sportelli Unici, sportelli per il pubblico di enti locali, urp, anagrafe. • Area della pubblica sicurezza: Questura, Prefettura. • Area giudiziaria: Tribunali ordinari e per minorenni, carceri… • Area formazione, orientamento e lavoro: centri per l’impiego, sindacati, servizi comunali di orientamento al lavoro. • Area sanitaria e assistenziale: ospedali, pronto soccorso, consultori, servizi per la salute mentale, centri per la salute delle donne immigrate. • Area sociale: uffici per l’immigrazione e sportelli per il pubblico, servizi sociali, centri di comunità e accoglienza, centri per minori, mediatori di strada. 25 • Area educativa e scolastica: scuole, servizi educativi, CTP. • Area culturale: biblioteche, musei, centri interculturali. Dunque, nonostante le incertezze e i dubbi che ancora attraversano questa pratica lavorativa, si può affermare che i dispositivi di mediazione sono richiesti in modo sempre più massiccio dai servizi e daglioperatori e che, se correttamente utilizzati, contribuiscono alla facilitazione della comunicazione e alla creazione di ponti e legami fra cittadini stranieri e servizi italiani. Di seguito presentiamo i quadri riassuntivi dell’intervento di mediazione in alcuni ambiti (sociale; socio-sanitario; educativo e scolastico; di prossimità e lavoro di strada; bibliotecario), analizzato attraverso i soggetti, i luoghi, le modalità, le funzioni e i risultati. Tab. 4 - Mediazione in ambito sociale: quadro sinottico Chi Soprattutto donne con esperienza di migrazione Nazionalità: straniera Mediatrici singole o riunite in associazioni e cooperative Dove Servizi sociali comunali Servi associati di Tutela Minori Servizi materno-infantili Come Collaborazioni professionali, su progetto, occasionali con: • amministrazioni comunali e locali • cooperative e/o associazioni Funzioni Accoglienza dei nuclei familiari, delle donne, dei ragazzi, attraverso: • presenza ai colloqui • partecipazione alle visite domiciliari • partecipazione ai momenti di scambio e comunicazione tra operatori e famiglia Traduzione scritta di documentazione relativa al funzionamento del servizio e di avvisi riguardanti la comunicazione servizio-famiglia Facilitazione alla comunicazione e comprensione orale Orientamento dei nuclei familiari alla conoscenza del territorio e all’uso dei servizi, attraverso l’informazione e l’accompagnamento Informazione: • ai nuclei stranieri sul funzionamento e le modalità organizzative dei servizi • agli operatori sui contesti di provenienza dei nuclei Collaborazione con l’assistente sociale nella gestione della situazione, attraverso la partecipazione a: • programmazione e verifica • momenti di equipe e riunioni • incontri con altri servizi coinvolti 26 Tab. 4 - segue Aiuto nella decodifica delle richieste presentate dalle persone straniere Partecipazione a iniziative di facilitazione nel rapporto fra servizi e nuclei stranieri Stimolo per cambiamenti e accorgimenti organizzativi Risultati Miglioramento delle modalità e degli strumenti di accoglienza e comunicazione, con diminuzione di rischi di fraintendimenti e di attivazione di interventi non idonei Creazione di rapporto di fiducia fra operatori e famiglie Uso corretto dei servizi da parte degli utenti stranieri Possibilità di effettuare interventi mirati su situazioni problematiche Miglioramento di alcune condizioni lavorative degli operatori (possibilità di utilizzare comunicazioni bilingue; comunicazione più veloce; aumento delle informazioni) Tratto da Favaro G., Fumagalli M., Capirsi diversi. Idee e pratiche di mediazione interculturale, Carocci, Roma 2004. Tab. 5 - Mediazione in ambito socio-sanitario: quadro sinottico Chi Donne e uomini con esperienza di migrazione Dove Consultori familiari Servizi materno infantili Ospedali: reparti di ostetricia e ginecologia, sale parto, pronto soccorso Come Collaborazioni professionali occasionali con: • aziende ospedaliere • ASL • cooperative e/o associazioni Funzioni Accoglienza delle donne • attività di informazioni e consulenza telefonica • presenza nella segreteria di consultorio • presenza ai colloqui • partecipazione alle visite mediche Traduzione scritta di documentazione relativa al funzionamento del servizio e di documentazione medica e sanitaria Facilitazione alla comunicazione e comprensione orale, attraverso la presenza ai colloqui, visite mediche ecc. Informazione: • alle donne sul funzionamento e le modalità organizzative dei servizi; sui protocolli medici; sui significati delle prescrizioni; sui tempi delle visite… • agli utenti in generale sui significati degli interventi in atto, sulla documentazione necessaria, sulle competenze degli operatori 27 Tab. 5 - segue • agli/alle operatori/trici sul significato della domanda presentata; sui sistema di cura sanitaria nei paesi di origine Collaborazione con gli operatori ed operatrici, attraverso la partecipazione a: • momenti di equipe e riunioni • programmazione e verifica Aiuto nella decodifica delle richieste presentate dalle utenti straniere. Partecipazione a iniziative della struttura: corsi di preparazione al parto, momenti di scambi educativi, di informazione sanitaria… Stimolo per cambiamenti e accorgimenti organizzativi Risultati Miglioramento dell’accoglienza e conseguente aumento dell’utenza Uso corretto dei servizi da parte delle utenti straniere: • maggior regolarità nei controlli e negli esami • risposte più efficaci da parte del servizio • diminuzione dei rischi sanitari (interventi di urgenza) Snellimento di pratiche burocratiche, attraverso le comunicazioni bilingue, una raccolta anamnestica più precisa ed adeguata… Modifica dell’organizzazione: • cambiamenti nelle modalità di accesso • maggior disponibilità degli operatori Tratto da Favaro G., Fumagalli M., Capirsi diversi. Idee e pratiche di mediazione interculturale, Carocci, Roma 2004. Tab. 6 - Mediazione in ambito educativo e scolastico: quadro sinottico Chi Donne e uomini con esperienza di migrazione, oppure italiani bilingui Nazionalità: straniera o italiana Mediatori singoli o riuniti in associazioni e cooperative Dove Servizi educativi per l’infanzia Tempo per le famiglie, ludoteche, centri-gioco… Scuole primarie Scuole secondarie di primo e secondo grado Formazione professionale Attività extrascolastiche (doposcuola, centri estivi, …) Comunità alloggio Come Collaborazione professionale con: • ente locale • con la scuola, attraverso i fondi dell’autonomia attraverso i fondi per il diritto allo studio… Funzioni Accoglie (soprattutto gli alunni neo-arrivati) Traduce avvisi, messaggi, documenti Funziona da interprete durante i colloqui e gli incontri tra genitori e insegnanti 28 Tab. 6 - segue Accompagna gli alunni durante la prima fase di inserimento Facilita la relazione tra scuola e famiglia immigrata Valorizza la lingua e la cultura d’origine Aiuta nella rilevazione delle competenze al momento dell’ingresso e raccoglie la storia, personale e scolastica, degli alunni immigrati neoinseriti Collabora a ricostruire la biografia linguistica dei neoarrivati Informa gli insegnanti sul contesto e i riferimenti culturali di origine Collabora con gli insegnanti nell’insegnamento dell’italiano L2 Collabora a progetti di educazione interculturale per tutti gli alunni Introduce punti di vista diversi che fanno riferimento a matrici di senso percettive e culturali differenti Risultati Facilitazione linguistica, comunicativa e relazionale Maggiore individualizzazione dell’insegnamento e della programmazione Riferimento positivo e figura di identificazione per gli alunni neoarrivati Migliore comunicazione tra scuola e famiglie Apertura e curiosità da parte degli insegnanti e degli alunni autoctoni nei confronti dei contesti di origine Tratto da Favaro G., Fumagalli M., Capirsi diversi. Idee e pratiche di mediazione interculturale, Carocci, Roma 2004. Tab. 7 - Mediazione in ambito di prossimità e lavoro di strada: quadro sinottico2 Chi Mediatori culturali qualificati Donne e uomini con esperienza di migrazione Donne e uomini che hanno sperimentato in passato le situazioni di disagio su cui intervengono Dove Luoghi di vita e di aggregazione dei destinatari Luoghi di esercizio della prostituzione Drop in e servizi di accoglienza a bassa soglia comprese le unità mobili Quartieri ed aree cittadine a forte compresenza di migranti ed autoctoni Come Operatore sociale Membro di associazioni di volontariato Membro di associazioni a matrice etnica Funzioni Contatto ed aggancio del destinatario Distribuzione argomentata di materiale informativo multilingue e di presidi di riduzione del danno Traduzione di avvisi, segnaletica 2. La sintesi si riferisce a un servizio della Coop. Dedalus di Napoli. 29 Tab. 7 - segue Ascolto ed orientamento a servizi sociali Partecipazione alla programmazione, progettazione, valutazione degli interventi Analisi del contesto Lavoro d’equipe con gli altri operatori dei servizi a bassa soglia Facilitazione all’accesso ai servizi sociali e sanitari Risultati Riduzione dei rischi connessi a determinati comportamenti (prostituzione, dipendenze) Creazione di un rapporto di fiducia fra destinatari e servizi sociali Bollate Tratto da: Luatti L. (2011). Tab. 8 - Mediazione in ambito bibliotecario: quadro sinottico Chi Donne e uomini con esperienza di migrazione oppure italiani bilingui Nazionalità straniera o italiana Mediatori singoli o riuniti in associazioni e cooperative Dove Biblioteca pubblica Punti decentrati prestito libri Biblioteca Ospedale Biblioteca Carcere Biblioteca scolastica e Centro di Documentazione Interculturale Come Collaborazioni professionali su progetti occasionali con biblioteche Cooperative e/o associazioni Carcere, USL, scuola Funzioni Accoglienza Traduce avvisi, messaggi, modulistica Facilita la relazione tra biblioteche e famiglie immigrate Valorizza progetti di educazione interculturale per tutti Collabora alla progettazione e costruzione delle raccolte in lingua Collabora alla costruzione di un sito interculturale multilingue della biblioteca Collabora all’implementazione dello scaffale multiculturale per ragazzi, allo scaffale accoglienza e alla biblioteca specializzata Partecipa alla programmazione, progettazione, realizzazione e valutazione degli interventi Lavora in equipe con gli altri operatori della biblioteca Stimolo per cambiamenti e accorgimenti organizzativi Risultati Miglioramento della modalità e degli strumenti di accoglienza e comunicazione Uso corretto dei servizi bibliotecari da parte degli utenti stranieri Creazione di un rapporto di fiducia fra utenti stranieri e biblioteca Tratto da: Luatti L. (2011). 30 2. Stare ai confini: la mediazione nella scuola multiculturale di Gabriella Favaro Incontrarsi realmente significa necessariamente aprirsi al rischio del malinteso, non soltanto perché ogni incontro interculturale, e non solo, può generare incomprensioni, ma perché i malintesi possono offrire ampi spazi di approfondimento e spiegazione… La traduzione implica quasi sempre un tradimento, ma è per questo motivo che si apre la possibilità di un esercizio creativo, oltre la mera e semplice trasposizione da una parola all’latra, per capire quel significato e quale suono possano rendere al meglio un’idea. F. La Cecla, 2009 Un dispositivo per una scuola che include Il progetto Mediante ha messo a disposizione delle scuole milanesi, primarie e secondarie di primo grado, circa tremila ore di mediazione linguistico-culturale e trenta mediatori professionali con l’obiettivo di migliorare la relazione educativa tra lo spazio scolastico e quello famigliare e di sostenere il percorso positivo di integrazione degli alunni stranieri e, in particolare, di coloro che hanno vissuto il viaggio di migrazione in tempi recenti. La mediazione è un dispositivo di integrazione da tempo sperimentato e largamente diffuso a livello nazionale e che può ormai contare su ricerche e sudi specifici, come abbiamo visto nel primo capitolo, sull’individuazione sufficientemente chiara dei ruoli e delle funzioni dei mediatori, sulla definizione di un setting di comunicazione mediata già sperimentato. (Sui temi della mediazione linguistico-culturale nella scuola e nei servizi educativi si veda la bibliografia in fondo a questo capitolo). E ovviamente su un consistente gruppo di professionisti delle “terre di mezzo” che hanno ormai un’esperienza consolidata e che le indagini nazionali stimano essere circa tremila. E tuttavia, nonostante vent’anni di pratiche di mediazione, non sempre sono chiari nella scuola e agli occhi degli insegnanti chi sia il mediatore e che cosa faccia di preciso. 31 Molti lo confondono ancora con un insegnante facilitatore dell’apprendimento dell’italiano L2, altri con un educatore di sostegno che affianca i minori stranieri in difficoltà, altri con un operatore sociale intracomunitario che interviene in caso di conflitti e può attenuare le situazioni di disagio psicologico. Per questa ragione, ancora oggi succede che la scuola chieda l’utilizzo dei mediatori per rispondere a bisogni ed esigenze di tipo didattico, che sono invece compiti specifici dei docenti, o per problemi “sociali” che richiederebbero l’intervento specialistico dei servizi del territorio. La scuola diventata fortemente multiculturale e attraversata dalla pluralità si trova ad agire stretta tra vincoli e nuovi bisogni, a fare i conti con la contrazione e la compressione del tempo e il venir meno delle risorse specifiche. Tende così talvolta a delegare all’esterno la ricerca di soluzioni che richiederebbero al proprio interno consapevolezza delle sfide, attenzioni mirate, capacità di ascolto affinate, tempi più dilatati, dispositivi di integrazione continuativi ed efficaci. Come scrive una mediatrice nel suo diario di lavoro: “La mia impressione è che la scuola abbia sempre una grande urgenza e chieda al mediatore di gestire in fretta le difficoltà che si presentano”. Così, nonostante i tentativi di fare chiarezza su “chi fa che cosa”, nella scuola, i mediatori possono essere visti ancora come “tappabuchi”, operatori estemporanei che risolvono un problema che ha fatto la sua irruzione in una presunta normalità che deve essere ripristinata in fretta. L’esperienza di molti mediatori che operano nella scuola conferma il permanere delle richieste improprie a loro indirizzate e la domanda di “occuparsi” degli alunni stranieri, per qualche ora, per qualche tempo. Con ciò rinforzando l’immagine prototipica di minore straniero come un problema da trattare a parte e da affidare a un connazionale. La mediazione è azione fortemente educativa e dal carattere profondamente pedagogico. Interpretare, adattare, accogliere, esplicitare le regole, gli obiettivi e le aspettative reciproche: sono compiti che si pongono da sempre al centro della proposta educativa “ordinaria” e per tutti. La scuola è sempre stata il luogo privilegiato in cui si incontrano diverse storie d’infanzia e di adolescenza e differenze molteplici e la sua missione di inclusione consiste proprio nel proporre orizzonti comuni a partire da riferimenti culturali e percorsi identitari diversi. Apprendere e insegnare in contesti eterogenei sono dunque compiti conosciuti e situazioni sperimentate nel tempo. Ma l’eterogeneità è oggi più diffusa e profonda e riguarda componenti importanti della storia individuale, quali la lingua, l’origine, la religione, l’appartenenza, l’inculturazione in un altro contesto, le esperienze educative precedenti. 32 Nel paesaggio educativo fortemente segnato dal cambiamento, le istituzioni scolastiche e formative sono dunque a un bivio e di fronte a un dilemma che possiamo porre in questo modo: “opereranno per aiutare la diffusione di nuovi saperi, a favore di nuovi comuni linguaggi e di una maggiore democrazia cognitiva, oppure si arrenderanno dinanzi all’emergere di nuove disparità e di nuove barriere comunicative di natura tecnocratica? Affrontare tali questioni è quanto mai urgente e impellente” (Bocchi, Ceruti 2004). In questa visione della scuola e della formazione e alla luce dei cambiamenti in atto nella popolazione scolastica, il dialogo fra chi ha riferimenti culturali diversi non è solo una necessità etica, è un presupposto irrinunciabile e non più rimandabile nel tempo. Ma, a sua volta, “il dialogo fra le culture è possibile solo se le culture accettano di essere a un tempo chiuse e vicendevolmente aperte, capaci di contaminarsi senza perdere la loro identità” (Bocchi, Ceruti cit.). Per affrontare compiti didattici nuovi e accogliere nella scuola di tutti diventata multiculturale e plurilingue, gli insegnanti ricorrono dunque sempre più spesso al dispositivo della mediazione. Essi chiedono al mediatore sopratutto di essere supportati nelle fasi iniziali dell’accoglienza e dell’inserimento di bambini e ragazzi neoarrivati, durante i momenti informativi e relazionali rivolti alle famiglie per migliorare la reciproca conoscenza e rendere più fluida la relazione, nelle mosse di avvio dell’insegnamento a bambini e ragazzi non italofoni, nelle occasioni canoniche in cui vengono comunicati ai genitori gli esiti della valutazione e i giudizi sulla qualità e l’apprendimento di ogni alunno. Chiedono anche a queste figure professionali di rendere espliciti a chi viene da lontano gli obiettivi e il progetto di formazione della scuola, di disvelare aspettative e rappresentazioni reciproche che possono agire sullo sfondo e facilitare la relazione tra la scuola e la famiglia immigrata. In altre parole, di porsi in maniera attiva e competente nella “terra di mezzo”, tra lo spazio scolastico e quello famigliare per costruire e condurre insieme un progetto educativo efficace. Un progetto che si rivolga a ogni singolo bambino e ragazzo, con le loro storie singolari, le loro vulnerabilità e talenti. Il mediatore nella scuola che cambia Prima di entrare nel merito dei ruoli e delle funzioni dei mediatori linguistico-culturali nella scuola e negli spazi educativi, diamo uno sguardo al contesto del loro lavoro e alle trasformazioni in atto. I contesti educati33 vi e scolastici rappresentano il servizio e l’ambito di incontro maggiormente attraversati dai cambiamenti avvenuti in questi ultimi anni. Le scuole e i servizi per i più piccoli sono infatti stati, fin dall’inizio del fenomeno migratorio, i luoghi privilegiati dell’accoglienza e dello scambio, dell’apprendimento linguistico e del confronto fra aspettative e modelli di crescita. È soprattutto a partire dalla metà degli anni ’90 che il carattere multiculturale della scuola si è evidenziato con forza. I dati raccolti ogni anno dal Ministero dell’Istruzione delineano chiaramente la progressione storica delle presenze, fotografano la realtà attuale e anticipano le tendenze e le prospettive per il futuro. Il cambiamento della popolazione scolastica, iniziato un po’ in sordina più di vent’anni fa, colto solo dagli addetti ai lavori e limitato allora alle città medio-grandi, sta interessando sempre di più aree diverse del Paese, località grandi e piccole, capoluoghi o comunità disseminate sul territorio (MIUR 2010). Nel 1989/90, gli alunni stranieri erano meno di 13.700 e sono diventati dieci anni dopo quasi 120.000 (dati 1999/2000). Nel 2009/10, il loro numero è salito a circa 674.000 con un incremento percentuale in un decennio pari al 460%. La scuola milanese, pioniera dei cambiamenti, è ormai da tempo multiculturale, abitata da bambini e ragazzi che hanno origini altrove e che conducono qui, in parte o totalmente, la loro scolarità. Come si presenta oggi la situazione di multiculturalità di fatto? L’analisi dei dati riferiti agli anni scolastici recenti registra alcune caratteristiche e indica tendenze che presentiamo di seguito. Un assestamento delle presenze Si assiste a Milano, come nel resto dell’Italia, ad un assestamento delle presenze straniere con una crescita annua ancora importante, ma più contenuta, rispetto agli anni precedenti. L’incremento percentuale da un anno all’altro, che in passato aveva toccato punte fino al 20%, si è stabilizzato su livelli “fisiologici” più bassi ed è stato intorno al 7% nel 2009/10. L’avanzare della cosiddetta “seconda generazione” Il fattore determinante di crescita della popolazione scolastica non italiana non è più tanto costituito dagli arrivi di minori dal Paese d’origine per ricongiungimento famigliare, i quali vengono inseriti a scuola subito dopo l’ingresso in Italia, ma è rappresentato soprattutto dall’inserimento scolastico di coloro che sono nati qui e che presentano un iter di inserimento scolastico più o meno simile a quello dei pari italiani. Soprattutto nella scuola primaria, l’inserimento degli alunni neoarrivati (NAI, neoarrivati in Italia) si sta nel tempo riducendo, mentre maggiormente interessata è oggi la 34 scuola secondaria di primo e di secondo grado a causa del ricongiungimento famigliare di figli che si collocano soprattutto nella fascia di età adolescenziale. Il mondo a scuola La scuola milanese conferma chiaramente il suo carattere di pluralità etnica, linguistica e culturale. Sono infatti pochi i casi in cui si registra una consistente presenza nelle classi di una sola nazionalità, mentre la situazione maggiormente diffusa è quella della varietà e della convivenza nella stessa scuola di bambini e ragazzi che hanno origini, appartenenze e lingue molteplici. Negli ultimi tempi, alle nazionalità ormai ben consolidate e radicate da anni nella città (Filippine, Egitto, Perù, Cina, Ecuador, Sri Lanka, Romania, Marocco) si sono aggiunti “nuovi” contesti di origine quali: Moldavia, Ucraina, Bangla Desh… La pluralità delle provenienze Uno sguardo ai dati sull’inserimento scolastico degli alunni stranieri nell’anno scolastico 2009-2010 mostra come le presenze più significative si collochino ancora nella scuola primaria, ma indica anche il processo di distribuzione in atto su tutti gli ordini di scuola. I dati confermano inoltre l’inserimento massiccio dei bambini e dei ragazzi stranieri nel territorio lombardo e milanese, dove, in numeri assoluti, si registrano le presenze nazionale maggiori (tab. 1). Tab. 1 - Alunni stranieri in Italia, Lombardia e provincia di Milano. Anno scol. 2009-2010 Totale Italia Lombardia Milano (prov.) Infanzia Primaria Secondaria I grado Secondaria II grado 673.592 7,5 135.632 8.1 244.457 8,7 150.279 8,5 143.224 5,3 164.036 12,0 35.759 13,1 61.282 13,5 35.866 13,1 31.129 8,5 62.226 11,7 13.120 12,0 22.346 12,6 13.456 12,7 13.304 9,5 Fonte: MIUR 2010. Le scuole primarie e secondarie di primo grado, all’interno delle quali è stato realizzato il progetto Mediante si sono organizzate qualche anno fa in quattro macro-aree denominate Poli Start (1-2-3-4), ognuna delle quali raggruppa le zone del decentramento cittadino. In ogni “polo” è stata individuata la scuola sede, la quale funziona come luogo/risorsa e punto 35 di riferimento per le istituzioni scolastiche del territorio e dove si colloca il docente referente distaccato sul progetto. Un tavolo di lavoro inter-istituzionale, composto dai quattro dirigenti scolastici delle scuole sedi del “polo”, il Comune di Milano e l’Ufficio Scolastico Provinciale, individua ogni anno le linee di programmazione comune, raccoglie e individua i bisogni formativi, stabilisce procedure di accoglienza comuni e condivise. Attraverso i quattro Poli Start è passata la comunicazione a tutte le scuole e ai docenti che si occupano dell’integrazione degli alunni stranieri della possibilità di richiedere un intervento di mediazione linguistico-culturale e della procedura da seguire. I dati riferiti alla presenza degli alunni stranieri nelle scuole della città si discostano in parte da quelli riferiti alle scuole della Provincia di Milano e riportati nella tab. 1. A livello provinciale l’incidenza percentuale degli stranieri si colloca intorno al 12% nella scuola primaria e secondaria di primo grado, ma nelle scuole del Comune capoluogo, il dato è ben più rilevante e colloca Milano al primo posto nella graduatoria nazionale delle grandi città per presenza di alunni stranieri. Uno sguardo ai dati raccolti nelle scuole raggruppate nel territorio del Polo Start 1 (zone 1-2-3) indica in maniera chiara che in queste scuole, così come nelle altre della città, gli alunni stranieri rappresentano in media circa un quarto della popolazione scolastica (tab. 2). Si deve considerare inoltre che la situazione delle tre zone non è fra loro omogenea: nella zona 1 la percentuale degli alunni stranieri è infatti del 12.3% nella primaria e del 14,5% nella media, ma nella zona 2, i tassi raggiungono il 30,2% nelle elementari e ben il 36,3% nelle medie. Tab. 2 - Alunni stranieri nelle scuole del Polo Start 1 (zone 1-2-3). Anno scolastico 2010-2011 Alunni totali Scuola primaria Scuola secondaria I grado 12.244 7.465 Alunni stranieri % alunni stranieri 2.741 1.721 22,3 23,0 Fonte: Polo Start 1. Fasi della scuola e compiti di mediazione In questo periodo di attività nella scuola ho incontrato molti insegnanti e una gran parte di loro mi è sembrata molto affaticata, specialmente nelle scuole che hanno un’alta percentuale di alunni stranieri. La fatica di questi docenti, molti dei qua36 li davvero impegnati nella ricerca di un miglioramento della situazione degli alunni stranieri e di una facilitazione didattica per loro, è dovuta, secondo me, a fattori diversi. Vi è innanzi tutto l’incapacità di comunicare con lo studente appena arrivato, sia linguisticamente che “culturalmente” e allora il mediatore viene chiamato come se ci si trovasse sempre in una situazione di emergenza. Nonostante vi siano alle spalle molti anni di pratiche di accoglienza, in alcune scuole non viene ancora organizzata una modalità efficace di inserimento per i nuovi arrivati, calibrata caso per caso con cognizione di causa, e questo porta con sé problemi successivi più seri. Si avverte fra gli insegnanti una sorta di frustrazione per il fatto di dover gestire classi con alunni che hanno livelli molto diversi di conoscenza dell’italiano, che vanno da chi è ancora nella fase di silenzio a chi padroneggia l’orale ma ha difficoltà con lo scritto, da chi non comprende i testi di studio a chi invece ha fatto molti passi avanti in poco tempo. Inoltre le lingue origine sono diverse e anche i percorsi e i tempi di apprendimento: è diverso insegnare l’italiano ad un ispanofono o invece ad un alunno sinofono. Va meglio per le scuole che possono contare su un docente facilitatore interno, distaccato sul progetto specifico; la situazione è molto pesante quando non vi è una risorsa dedicata e l’insegnante si deve sdoppiare: organizzare una programmazione didattica personalizzata per l’alunno straniero (o per gli alunni stranieri con bisogni diversi) e contemporaneamente portare avanti il programma previsto per la classe. A tutte queste difficoltà si aggiunge inoltre un senso di solitudine che ho percepito nei docenti e che molti esprimono apertamente ed è diffusa la sensazione di essere lasciati soli a gestire la complessità (dal diario di mediazione di J.B.). Il punto di vista della mediatrice sulla scuola multiculturale (in particolare, sulla secondaria di primo grado) fotografa in maniera lucida le criticità che si sono nel tempo irrigidite e i vissuti dei docenti alle prese con richieste e pressioni provenienti da direzioni diverse, i tempi compressi, le storie dei ragazzi sempre più segnate da vulnerabilità. Servirebbero alla scuola più tempo, risorse ordinarie ed efficaci, più formazione rivolta a tutti coloro che vi operano. E sarebbe necessario promuovere una visione culturale più articolata e “larga”, adeguata a leggere il presente e le sue complessità e a preparare il futuro, basata sulla consapevolezza degli irreversibili mutamenti. Una scuola inoltre che impara dall’esperienza e che quindi sa gestire l’ingresso dei nuovi arrivati a scuola (tra l’altro,ora in numero abbastanza limitato, come abbiamo visto) con competenza e con fiducia, superando i tentativi e gli errori del passato e facendo spazio alle possibilità e alla sorprendente variabilità dei cammini individuali. In questi vent’anni e oltre di pratiche di integrazione, molte cose sono state fatte, ma a volte si ha l’impressione che ci si trovi sempre a ricominciare daccapo, ignorando che sono ormai disponibili strumenti, materiali, percorsi didattici e dispositivi da tempo sperimentati che possono alleviare la fatica delle fasi iniziali dell’inserimento e indirizzare il cammino dell’integrazione. 37 Se ripercorriamo la storia della scuola multiculturale a partire dalla prima circolare del 1989 sull’inserimento degli alunni stranieri ad oggi, vediamo che essa ha attraversato fasi diverse e che al mediatore sono stati chiesti di volta in volta compiti differenti. In una prima fase, durata grosso modo fino al 2000, gli alunni stranieri erano in numero contenuto e nei loro confronti vi era un clima prevalente di apertura e curiosità. Gli insegnanti avevano certamente meno competenza professionale e un minor numero di strumenti a disposizione, ma la situazione era più distesa e meno ansiogena. I bambini e i ragazzi stranieri erano una novità ed erano visti soprattutto come “emigrati da…”, spesso ingenuamente considerati come rappresentanti e portavoce di una cultura d’origine, che si voleva conoscere e far conoscere, anche se spesso veniva messa in scena in maniera un po’ stereotipata e folcloristica. In questa fase, il mediatore, pioniere della situazione multiculturale che si veniva sedimentando, fungeva soprattutto da figura di accoglienza, traduttore di messaggi e avvisi a carattere informativo, testimone del Paese di origine: un po’ traghettatore del passaggio e un po’ animatore interculturale. La seconda fase, nella quale si trova oggi gran parte della scuole, ha visto l’aumento della presenza degli alunni stranieri, i quali in alcune scuole milanesi rappresentano, come abbiamo visto, percentuali superiori al 30%. Vi sono molti più strumenti a disposizione delle scuole e una maggiore competenza professionale acquisita nel corso del tempo dagli insegnanti nella gestione di una classe plurilingue e multiculturale. Ma è cambiata anche la rappresentazione sociale dell’immigrazione, che viene proposta ora con toni allarmistici, come un flusso da arginare, un rischio da prevenire e contenere soprattutto nella situazione di crisi economica e sociale che attraversa il Paese. In questo clima, anche gli alunni stranieri sono diventati per molti un problema, una fatica aggiuntiva che si somma alle frustrazioni e alle responsabilità di chi oggi insegna. Essi si trovano inoltre ad essere privati – proprio perché sono diventati così numerosi – della loro soggettività e della loro storia, assorbiti dentro definizioni ed etichette alquanto stereotipate che descrivono “i marocchini, i cinesi, i peruviani…”. Rappresentazioni che rischiano di determinare i cammini, irrigidendo gli aspetti legati all’origine, alla provenienza e non lasciando quindi spazio alle possibilità e al “volo” di ciascuno, sorprendente e imprevedibile. In questa fase, l’intervento del mediatore è richiesto soprattutto per sostenere la scuola, rendere più fluida la comunicazione e alleviare almeno un po’ le sue fatiche: nella relazione con famiglie che appaiono o sono distanti, nell’accoglienza di alunni venuti da lontano e catapultati nel nuovo contesto scolastico senza conoscerne lingua e regole, nel dare voce a disagi e comportamenti che risultano disfunzionali. 38 In altre parole, il mediatore dovrebbe contribuire a “normalizzare” la situazione scolastica, eliminando ostacoli linguistici, esplicitando regole e attese, accompagnando i passaggi e le scelte. Con un intento, anche se non esplicito, di tipo assimilatorio e di adeguamento degli “altri” ad una realtà scolastica, che pur essendosi di fatto modificata, tuttavia resiste ai cambiamenti. Il mediatore inoltre è spesso chiamato tardivamente a “riparare” situazioni di difficoltà e distanza, a tradurre esiti scolastici negativi ormai sedimentati, a presentare e comunicare scelte già fatte. Ma la realtà multiculturale della scuola e le proiezioni sul numero di bambini e ragazzi che hanno origini altrove e che vivono qui disegnano un futuro segnato dalla pluralità e prefigurano comunità abitate sempre di più da cittadini che devono costruire orizzonti comuni a partire dalla varietà delle loro biografie. Nel progetto di costruzione di un futuro condiviso nel rispetto delle diversità, la scuola svolge il ruolo cruciale e basilare di educazione alla con-cittadinanza. Deve quindi ampliare la sua visione culturale, a partire dalla sua autorappresentazione e dall’idea stessa di apprendimento. In questa nuova fase di inclusione nella pluralità, che in molti casi deve ancora essere inaugurata, il ruolo dei mediatori nelle scuole multiculturali di “seconda generazione”, per riprendere un’espressione utilizzata in uno studio europeo (Allemann-Ghionda 2008) può esprimersi in maniera più matura e consapevole. Essi danno risposta alle richieste di interpretariato/ traduzione, permettono una comunicazione bilingue a due vie, sostengono l’accompagnamento dei cammini individuali, ma mettono anche in scena la normale diversità della classe e propongono in maniera diretta e autobiografica la ricchezza delle identità aperte e biculturali. Definizioni e compiti nella normativa La normativa recente sui mediatori in ambito scolastico, ha individuato in maniera più chiara le possibilità di utilizzo della figura professionale e i piani di intervento sui quali essi si collocano. Da tempo, la normativa sull’integrazione degli immigrati stranieri, minori e adulti, cita il dispositivo della mediazione fra quelli da attivare per una buona comunicazione e un inserimento positivo e ha cercato di definire, in maniera via via più articolata, i compiti e il profilo professionale di questo operatore “ai confini”. Negli ultimi tempi, come si può leggere nel capitolo 1, le normative e le proposte di legge sull’uso dei mediatori sono diventate più articolate e numerose, sia a livello nazionale che locale. 39 Ripercorriamo in maniera sintetica la definizione e i compiti figura del mediatore così come essi sono stati tratteggiati nella normativa scolastica. Già la legge n. 40 del 6/3/1998, “Disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” aveva fatto esplicitamente riferimento a questa figura professionale, contribuendo a definirne il ruolo di agente/strumento per l’integrazione delle minoranze, lasciando tuttavia nel vago i dettagli applicativi. In essa si affermava che: Lo Stato, le regioni, le province e i comuni nell’ambito delle proprie competenze favoriscono: la realizzazione di convenzioni con associazioni per l’impiego all’interno delle proprie strutture di stranieri, titolari di carta di soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a due anni, in qualità di mediatori interculturali, al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi (art. 40, comma 1). L’articolo 36 della stessa legge, dedicato all’inserimento scolastico, indicava inoltre la necessità di stabilire “i criteri e le modalità di comunicazione con le famiglie degli alunni stranieri, anche con l’ausilio di mediatori culturali qualificati”. Già da prima, la normativa scolastica aveva previsto la presenza di mediatori nella scuola in relazione all’inserimento degli alunni stranieri. E infatti già la circolare ministeriale 205 del 1990 (“La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri”) invitava alla collaborazione interistituzionale in tal senso: “L’intervento degli enti locali e la collaborazione delle comunità e delle famiglie consente in alcune sedi scolastiche l’impiego di mediatori madrelingua per sostenere l’inserimento e attuare le iniziative per la valorizzazione della lingua e cultura d’origine”. E sempre in ambito scolastico, il DPR n. 394 del 1999, riprendendo le indicazioni della legge n. 40, ribadiva che: “Il collegio dei docenti formula proposte in ordine ai criteri e alle modalità per la comunicazione tra la scuola e le famiglie degli alunni stranieri. Ove necessario, anche attraverso intese con l’ente locale, l’istituzione scolastica si avvale dell’opera di mediatori culturali qualificati”. Le indicazioni della normativa passata in materia di utilizzo dei mediatori linguistici e culturali (definiti, come abbiamo visto, in vario modo: mediatori interculturali, mediatori madrelingua, mediatori culturali qualificati) individuavano quattro funzioni principali riferite all’ambito scolastico ed educativo: • agevolare i rapporti tra immigrati e servizi per tutti i cittadini; • facilitare la comunicazione tra scuola e famiglie degli alunni stranieri; 40 • sostenere l’inserimento scolastico degli alunni stranieri di recente immigrazione; • attuare iniziative per la valorizzazione della lingua e cultura d’origine. I documenti più recenti hanno tenuto conto dell’esperienza consolidata in questi anni e rappresentano un passo avanti rispetto alla definizione del profilo professionale e delle funzioni. Quattro ambiti di lavoro Le “Linee guida per l’accoglienza e l’inserimento degli alunni stranieri” (MIUR 2006) così descrivono gli ambiti di intervento dei mediatori nella scuola: “ Il mediatore può collaborare in: • compiti di accoglienza, tutoraggio e facilitazione nei confronti degli alunni neoarrivati e delle loro famiglie; • compiti di mediazione nei confronti degli insegnanti: fornisce loro informazioni sulla scuola nei Paesi d’origine, sulle competenze, la storia scolastica e personale del singolo alunno; • compiti di interpretariato e traduzione (avvisi, messaggi, documenti orali e scritti) nei confronti delle famiglie e di assistenza e mediazione negli incontri dei docenti con i genitori, soprattutto nei casi di particolare problematicità; • compiti relativi a proposte e percorsi didattici di educazione interculturale, condotti nelle diverse classi, che prevedono momenti di conoscenza e valorizzazione dei Paesi, delle culture e delle lingue d’origine. Resta fermo che la funzione dei mediazione, nel suo insieme, è compito finale e prioritario della scuola stessa, quale istituzione preposta alla formazione culturale della totalità degli allievi nel contesto di territorio”. Siamo passati nel tempo da un mediatore per l’inserimento che agevola e facilita il rapporto tra gli immigrati e i servizi per tutti, ad un operatore, con un profilo professionale più definito, il quale – attraverso azioni diverse di accoglienza, tutoraggio, comunicazione bilingue, valorizzazione dei riferimenti culturali e linguistici – contribuisce al progetto di integrazione interculturale e di reciproco scambio. Come abbiamo visto, i documenti e la normativa più recenti contengono indicazioni importanti sul ruolo e l’utilizzo di questa risorsa, ne definiscono gli ambiti e precisano gli obiettivi delle diverse azioni. Essi continuano tuttavia a demandare la responsabilità e l’iniziativa agli enti locali. Ne ipotizzano quindi la presenza, e la caldeggiano, senza tuttavia sancirne la necessità, precisare il contesto di riferimento giuridico ed economico, indicare le modalità di lavoro operative. In alcune situazioni locali, sono state emanate leggi regionali sull’utilizzo dei mediatori nei servizi per tutti, e 41 naturalmente nella scuola, che hanno ovviato a queste carenze poiché definiscono l’impegno economico, la disponibilità, le modalità di richiesta e di erogazione del servizio. Verso i genitori: informare e accompagnare La scuola richiede l’intervento di mediazione soprattutto per rendere più fluidi e trasparenti i passaggi comunicativi e le scelte organizzative e didattiche di accoglienza e di integrazione. Chiede inoltre di disvelare gli impliciti (culturali o personali) che sono alla base di atteggiamenti e comportamenti problematici, per cercare soluzioni condivise e che tengano conto del punto di vista degli altri. Vediamo allora quali sono state le richieste di mediazione che le scuole hanno rivolto allo sportello attivato nell’ambito del progetto Mediante. Come si può leggere nella sintesi sul progetto proposta nel capitolo 3, quasi i quattro quinti delle domande hanno riguardato la facilitazione della relazione e della comunicazione nei confronti delle famiglie straniere. La distanza tra scuola e famiglia e le difficoltà di rapporto con i genitori immigrati sono le criticità che i docenti maggiormente avvertono e alle quali si cerca di trovare risposta attraverso il dispositivo della mediazione linguistico-culturale. Quali compiti e funzioni sono stati chiamati a svolgere i mediatori nei confronti dei genitori stranieri? I mediatori sono stati coinvolti soprattutto per informare e trasmettere notizie e chiarimenti alle famiglie immigrate sulle regole e il funzionamento della scuola, raccogliere informazioni sui figli appena ricongiunti e neo inseriti, accompagnarli lungo il cammino dell’inserimento e nel rapporto con altri servizi del territorio, tradurre avvisi e messaggi, proporre alla scadenza consueta gli esiti della valutazione espressa dai docenti e raccogliere il punto di vista dei genitori, orientare e sostenere le scelte per la prosecuzione degli studi, gestire situazioni di disagio, demotivazione, assenze. La presenza del mediatore accanto ai docenti ha permesso di rendere la comunicazione con le famiglie più fluida e meno faticosa, chiarire zone d’ombra ed esplicitare i numerosi impliciti che restano tali nel colloquio esolingue, dare senso alle pratiche e ai comportamenti degli uni e degli altri. In altre parole, la mediazione ha cercato di avvicinare i due partner educativi, disvelare almeno in parte le aspettative e le attese reciproche, stabilire un legame più solido ed efficace tra i due spazi educativi. Nella tabella seguente, sono riportate in maniera sintetica le richieste più importanti che la scuola ha rivolto ai mediatori per migliorare la relazione con le famiglie straniere. 42 La mediazione verso i genitori stranieri: che cosa e quando Che cosa Quando • accoglienza e informazione sul funzionamento della scuola • all’inizio dell’anno scolastico e nel caso di alunni neo arrivati • traduzione e presentazione delle schede di valutazione e raccolta del punto di vista dei genitori • al termine del I quadrimestre e alla conclusione dell’anno scolastico • presenza ai colloqui individuali con le famiglie • tutto l’anno scolastico • orientamento e accompagnamento verso i servizi del territorio (es. UONPIA) • tutto l’anno scolastico • presentazione di iniziative della scuola e delle modalità di partecipazione (uscite, gite, “scuola natura”…) • tutto l’anno scolastico • presentazione di iniziative e risorse extrascolastiche realizzate nel territorio (doposcuola, centri estivi…) • tutto l’anno scolastico • sostegno alle scelte di prosecuzione degli studi nella scuola superiore • nei momenti dell’orientamento • traduzione di messaggi, avvisi e documenti scritti • tutto l’anno scolastico Gli interventi di mediazione verso i genitori hanno riguardato soprattutto le famiglie cinesi e di lingua araba (egiziani e marocchini) e, in misura minore, coloro che provengono dalle Filippine, il Bangla Desh e Sri Lanka. La “distanza linguistica”, che permane nel tempo nei confronti di coloro che hanno una competenza in una lingua che non ha un alfabeto a caratteri neolatini e che non sono “immersi” quotidianamente nell’italiano, è il dato che ha giocato un ruolo predominante nell’indicazione della lingua da “mediare”. Circa il 40% delle richieste di mediatori ha riguardato infatti le situazioni comunicative con genitori di lingua cinese. Alla distanza linguistica si sommano in questi casi anche atteggiamenti e comportamenti, rilevati 43 presso una parte delle famiglie cinesi, di persistente distanza dalla scuola, la non conoscenza delle sue regole, dei tempi e del funzionamento; le difficoltà a rispondere in maniera adeguata e puntuale alle richieste degli insegnanti, la delega all’istituzione scolastica del percorso educativo e scolastico dei figli (vedi cap. 4). Per quanto riguarda i tempi privilegiati dell’intervento di mediazione nei confronti delle famiglie straniere, al di là delle richieste puntuali e caso per caso, i momenti topici e che possono essere previsti e organizzati a priori sono i seguenti: • l’avvio del nuovo anno scolastico; • la fase dell’accoglienza e del primo inserimento di alunni neo arrivati; • le scadenze della consegna delle schede di valutazione: alla fine del primo quadrimestre e al termine dell’anno scolastico; • i momenti dedicati all’orientamento dopo la terza media. Verso i minori: una figura di prossimità Le domande di mediazione nei confronti degli alunni stranieri sono state in numero più ridotto, rispetto alle richieste destinate alla facilitazione comunicativa con gli adulti. Ma l’ammontare delle ore impiegate per questi compiti equivale a quello dedicato agli interventi di mediazione con gli adulti, dal momento che i “pacchetti” di accoglienza dei neo arrivati o di accompagnamento degli alunni stranieri in classe prevedevano un numero di ore più consistente. Nei casi di lavoro con i minori, il mediatore ha sempre operato insieme e accanto agli insegnanti di classe o di laboratorio. Nella maggior parte di casi, si è trattato di una “mediazione per l’accoglienza”, organizzata nel momento del primo inserimento di bambini e ragazzi non italofoni inseriti a scuola subito dopo l’arrivo in Italia. L’obiettivo dell’intervento era quello di rilevare la storia scolastica e di individuare la biografia linguistica degli alunni, di mettere in luce competenze e saperi già acquisiti e individuare eventuali bisogni di apprendimento a carattere non linguistico. In altre parole, di permettere alla scuola di conoscere il nuovo alunno e di riconoscerlo nei suoi bisogni e talenti. Nelle occasioni di nuovi inserimenti, il mediatore ha fornito inoltre al bambino appena giunto nel nuovo Paese informazioni di base sulle regole, esplicite e implicite, della nuova scuola: l’utilizzo degli spazi e l’organizzazione del tempo; l’elenco dei materiali scolastici e la loro cura; la presentazione di una giornata/tipo e la successione delle discipline; l’uso del diario e la gestione del tempo di studio… Accanto alle richieste legate alla prima fase di accoglienza, vi sono state numerose domande indirizzate a gestire e trovare risposta a situazioni individuali di disagio che si sono manifestate, ad esempio, con assenze protrat44 te, demotivazione, atteggiamenti di ripiego e di silenzio o viceversa di aggressività. La possibilità di potersi esprimere anche nella lingua materna e di trovare uno spazio di ascolto e di prossimità ha permesso ai bambini e ragazzi stranieri spesso di “portare fuori” racconti e di esprimere ragioni e circostanze che altrimenti sarebbero rimasti nel silenzio. In altri casi, la presenza del mediatore in classe o nei momenti di laboratorio linguistico ha consentito di programmare interventi didattici personalizzati e “tutorati”, oppure di collaborare alla preparazione dell’esame di terza media, recuperando saperi e conoscenze degli alunni stranieri e integrandoli con i nuovi apprendimenti. O ancora, di organizzare iniziative di educazione interculturale per tutta la classe, assegnando al mediatore un ruolo di narratore interculturale e di testimone privilegiato. Nello schema seguente, una sintesi delle situazioni e dei compiti del lavoro di mediazione con i minori. La mediazione con i bambini e i ragazzi: situazioni e compiti Situazione Compiti • accoglienza e inserimento di alunni neo arrivati e non italofoni • rilevazione della storia scolastica e della biografia linguistica • presentazione delle regole e dell’organizzazione della scuola • accompagnamento durante i primi giorni di Inserimento • traduzione di materiali e messaggi • apprendimento in classe o nei momenti di Laboratorio linguistico • tutoraggio e collaborazione al piano educativo personalizzato • facilitazione linguistica attraverso la traduzione • aiuto alla preparazione dell’esame di terza media • situazioni individuali di disagio e di demoti vazione • presenza al colloquio condotto insieme all’insegnante • raccolta ed esplicitazione dei progetti e dei desideri del bambino o ragazzo • ricerca di soluzioni e di aiuti anche in spazi e tempo extrascolastici • accompagnamento a scuola e in situazioni extrascolastiche • educazione interculturale in classe • presentazione di aspetti significativi delle lingue e dei riferimenti culturali dei contesti d’origine 45 Verso gli insegnanti: facilitare e mettere in relazione Con i mediatori abbiamo potuto dedicare più attenzione alla famiglia, che per forza di cose avevamo un po’ trascurato. Per parlare con le famiglie straniere molto spesso noi ricorriamo al fai date te, ci rimbocchiamo le maniche, chiamiamo i figli a fare da traduttori per i loro stessi genitori oppure dei connazionali, ma abbiamo visto che non funziona. Si crea un clima di vergogna e di tensione. La presenza dei mediatori ha avuto veramente un ruolo positivo perché durante i colloqui nelle due lingue si riesce davvero a dire ciò che noi da soli non potremmo dire magari con i gesti, come abbiamo spesso fatto. Noi abbiamo giocato la risorsa della mediazione per arricchire dei percorsi didattici individualizzati per gli alunni neo arrivati, grazie al fatto che il mediatore ha potuto raccontarci a che punto era l’alunno con una certa disciplina e che cosa sapeva già fare. Gli insegnanti che hanno richiesto un intervento di mediazione hanno espresso un giudizio positivo sul progetto, sia sull’impianto organizzativo e il ruolo dello sportello, che ha permesso di chiarire le domande e di agire con efficacia, sia sulla puntualità della risposta e sulla competenza professionale dei mediatori. In una fase avanzata del progetto,si è svolto un incontro con alcuni docenti “utilizzatori” del dispositivo, con la metodologia del focus group, per cercare di fare il punto sugli interventi ed esprimere valutazioni e proposte. I frammenti di testimonianza citati sopra, così come le proposte per continuare riportate di seguito, sono emersi in quell’occasione. I docenti hanno sottolineato la necessità di mettere a disposizione delle scuole i mediatori già dall’inizio dell’anno scolastico, momento cruciale per inaugurare i percorsi di integrazione e di dare continuità al dispositivo, così che esso possa diventare risorsa strutturale della scuola multiculturale. In alcuni casi, le ore previste per l’intervento di mediazione sono risultate troppo scarse: è il caso, ad esempio, dei “pacchetti di accoglienza”, attivati bel caso di alunni neo arrivati, che dovrebbero essere più consistenti e accompagnare il cammino un po’ più a lungo. Per quanto riguarda l’intervento nei confronti delle famiglie straniere, gli insegnanti hanno sottolineato in maniera positiva la possibilità che è stata data ai genitori di prendere la parola, fare domande, dire di più… e hanno apprezzato in modo particolare gli interventi di accompagnamento verso di servizi del territorio. Una proposta per un progetto efficace di mediazione nella scuola è quella di organizzare in determinati momenti “topici” incon46 tri collettivi con genitori della stessa lingua alla presenza del mediatore per migliorare e sostenere la loro partecipazione alla vita della scuola. Molti sono stati i casi citati dagli insegnanti di sblocco emotivo e comunicativo di bambini e ragazzi stranieri in situazione di disagio grazie alla presenza del mediatore e alla possibilità di raccontarsi nella propria lingua. Per questa ragione, in determinate scuole, si auspica la presenza dei mediatori in maniera più continuativa, stabilendo, ad esempio, un appuntamento mensile che funzioni da dispositivo di accompagnamento e da “bussola” per i cammini di integrazione. Proposte degli insegnanti per un dispositivo di mediazione efficace • Caratteristiche di sistema Tempi – puntualità e avvio degli interventi fin dall’avvio dell’anno scolastico – continuità nel tempo del progetto – implementazione delle ore di mediazione – attenzione particolare ad alcuni momenti cruciali: il passaggio da un ordine di scuola all’altro; l’orientamento dopo la terza media, l’inserimento scolastico degli adolescenti… Organizzazione – informazione chiara a tutti i docenti sui ruoli e i compiti del mediatore – diffusione di un protocollo di mediazione nella scuola che definisce obiettivi, tappe e passaggi – importanza dello sportello “mediazione” che consente di chiarire la domanda e garantisce la qualità degli interventi – allargamento dei destinatari della mediazione ai servizi operativi per i più piccoli e alla scuola secondaria di secondo grado Caratteristiche dei mediatori – capacità dei mediatori di fare traduzioni anche di contenuto didattico e a carattere disciplinare – importanza della mescolanza per genere: presenza di donne mediatrici che rendono più facile il rapporto con le madri straniere e di mediatori uomini che facilitano la comunicazione con i padri • La mediazione verso i genitori stranieri – dilatare la durata degli interventi per permettere ai genitori di dire di più (ad esempio, durante la consegna delle schede di valutazione) – organizzare momenti collettivi di incontro con le famiglie straniere della stessa lingua alla presenza del mediatore (all’inizio dell’anno; nei momenti dell’orientamento…) – potenziare il dispositivo di accompagnamento da parte del mediatore all’uso dei servizi del territorio (UONPIA, servizi per minori disabili, doposcuola…) – coinvolgere il mediatore nei progetti della scuola che riguardano gli adulti stranieri (corsi di italiano L2 per genitori, iniziative per le mamme straniere…) • La mediazione verso gli alunni – potenziare il numero di ore da dedicare alla fase di accoglienza e di primo inserimento degli alunni neoarrivati 47 – coinvolgimento del mediatore nel momento di accoglienza e di ri-orientamento nei casi sempre più diffusi di minori “pendolari” ed erranti tra il Paese d’origine e l’Italia – prevedere una presenza continuativa (una volta al mese) del mediatore nel caso di minori in situazione di disagio per far emergere anche in lingua madre i cambiamenti e le nuove domande – possibilità di coinvolgere il mediatore, con un ruolo di tutoraggio accanto all’insegnante, in attività didattiche per un lavoro a piccoli gruppi o individualizzato, in classe o nel laboratorio linguistico – maggiore utilizzo dei mediatori in attività di educazione interculturale e di educazione alla cittadinanza rivolte a tutta la classe Pratiche di integrazione e pratiche di riconoscimento Il progetto Mediante ha permesso di confermare l’efficacia delle azioni di mediazione in alcuni ambiti e per determinati obiettivi, già prevedibili e previsti, e di rilevarne la positività per altri aspetti, non del tutto previsti. La mediazione, come abbiamo visto, può sostenere le fasi dell’accoglienza e del primo inserimento, facilitando il lavoro dei docenti e accompagnando il processo di ri-orientamento – spaziale, linguistico, cognitivo – che l’alunno straniero di recente migrazione si trova a compiere. Può rendere più trasparenti e chiari le regole e il funzionamento della scuola, le attese e le aspettative, le modalità di relazione all’interno e nei confronti della famiglia, rendendo un po’ meno opache le rappresentazioni che essa ha fatte proprie e propone di “buon alunno” e di “genitore adeguato”. Può inoltre accompagnare i minori e le famiglie stranieri in momenti topici della vita scolastica, quali la valutazione, le scelte per il futuro – nell’attraversamento di alcuni passaggi e nel rapporto con i servizi del territorio. In altre parole, la mediazione può spiegare “a piccole dosi” la scuola, le sue regole e le sue retoriche, cercando di attrezzare chi viene da lontano, piccolo o adulto, affinché possa in fretta trovarvi il suo posto. In altre parole, ad adeguarsi alle sue logiche in tempi rapidi e senza creare troppi disequilibri. Ma le storie di mediazione che abbiamo potuto seguire nel corso del progetto ci mostrano anche l’altra faccia della mediazione, ancora da definire e precisare e che ha a che fare con la dimensione del riconoscimento. Riconoscere l’altro nella sua soggettività e singolarità vuol dire consentirgli di dire e di dirsi a modo suo, non proporgli pensieri e intenzioni già pensati da noi, in una relazione asimmetrica che gli assegna per forza di cose un ruolo subalterno e quasi predefinito. Dare voce alle difficoltà, gli impacci e le conquiste di chi viene da lontano significa raccoglierne la storia, portare sulla scena le diverse parti della 48 biografia e tentare almeno un po’ di ricomporla. Con i bambini e i ragazzi stranieri, le pratiche di riconoscimento ci chiedono, ad esempio, di individuare carenze e vuoti, ma anche di rilevare talenti, saperi e competenze: situazioni di bilinguismo, conoscenze acquisite nella scuola precedente, traguardi scolastici ed esiti positivi raggiunti altrove, linguaggi di tipo espressivo già praticati… Ci suggeriscono di prestare attenzione alle fatiche della migrazione che vivono, alla necessità quotidiana che essi sperimentano nel farsi “camaleonte”, adeguando di volta in volta comportamenti e atteggiamenti all’uno e all’altro spazio, di cogliere i vissuti di nostalgia e il desiderio diffuso fra molti di loro di tornare laggiù. Dai nonni, dagli amici, da chi li capisce, li conosce e li riconosce. Con i genitori stranieri, le pratiche di riconoscimento ci chiedono, ad esempio, di considerarli a pieno titolo partner educativi, confermandone le competenze e l’autorità – e non disconfermandole, come la scuola rischia a volte di fare anche senza volerlo – e comprendendone anche le vulnerabilità. Essi vanno richiamati certamente all’assunzione del loro ruolo genitoriale, di cura, protezione e responsabilità, ma si deve comprendere anche la loro impossibilità ad adempiere a determinati “doveri”. Chi padroneggia l’italiano solo per gli usi della sopravvivenza quotidiana non sarà in grado di seguire il figlio nei compiti e nell’apprendimento dell’italiano per lo studio. Chi ha lottato per anni con la burocrazia e gli ostacoli per portare a buon fine il ricongiungimento del figlio, non sempre è pronto poi a gestire la rabbia e la nostalgia del ragazzo neo arrivato che si sente strappato e portato in Italia senza aver potuto scegliere. Il dispositivo della mediazione porta sulla scena parole e vissuti espressi in lingua d’origine, accoglie il punto di vista dell’altro, consente a chi vive in silenzio di far sentire la sua voce. In questo modo, può rendere più autentica la relazione con chi viene da lontano. Agisce dunque, non solo in un’ottica di adattamento e integrazione, ma anche di attenzione e riconoscimento reciproci. Nello schema seguente, descriviamo i compiti di mediazione nella scuola riferiti alle diverse dimensioni. Compiti e dimensioni della mediazione La mediazione per l’accoglienza Il mediatore svolge una funzione di tutoraggio e facilitazione nei confronti dei bambini e dei ragazzi neoarrivati. Li rassicura, dà spazio e voce alle loro emozioni, paure, stati d’animo; li orienta nella scuola e nel nuovo ambiente e nelle sue regole esplicite e implicite; accompagna la fase di primo inserimento. 49 Il mediatore fornisce agli insegnanti informazioni sulla scuola nel Paese d’origine; aiuta a rilevare le competenze, la storia scolastica e personale del singolo bambino; ricostruisce le biografie linguistiche. Nello stesso tempo, informa i genitori immigrati in merito al funzionamento della scuola in Italia, le regole, i tempi e i passaggi, le modalità di valutazione e di partecipazione. La mediazione per la relazione Il mediatore svolge un’azione di interpretariato e traduzione (avvisi, messaggi, documenti orali e scritti) nei confronti delle famiglie. Partecipa, se necessario, ai colloqui e agli incontri tra insegnanti e genitori stranieri, sia a carattere collettivo, sia di tipo individuale, su singoli casi. Presenta attività organizzate della scuola, accompagna i genitori stranieri all’uso dei servizi del territorio; fornisce informazioni utili alle scelte scolastiche nei momenti dell’orientamento. La mediazione per l’integrazione Il mediatore facilita e accompagna i processi di integrazione; chiarisce punti di vista e aspettative della scuola e della famiglia. Interviene accanto agli insegnanti nei colloqui con minori che attraversano situazioni di disagio e demotivazione e rischiano l’abbandono scolastico. Svolge un ruolo di tutoraggio e di figura positiva di riferimento per i minori e le famiglie. La mediazione per la didattica Il mediatore può collaborare alla proposta didattica con interventi di traduzione e di facilitazione linguistica accanto all’insegnante, nel laboratorio linguistico o in classe. Rappresenta una risorsa nell’elaborazione di piani personalizzati di apprendimento, dal momento che più aiutare a fare un bilancio delle conoscenze e delle competenze attraverso la lingua d’origine. Collabora alle proposte di aiuto allo studio e a compiti quali, ad esempio, la preparazione all’esame di terza media. La mediazione per il riconoscimento Il mediatore è in grado di individuare saperi e conoscenze già acquisiti, di tratteggiare la situazione linguistica degli alunni stranieri che sono in gran parte bilingui per gli usi orali e, a volte, anche scritti. Oltre a questa forma di riconoscimento di competenze, il mediatore può dare voce alle storie personali, alle aspettative e ai timori, agli episodi di discriminazione vissuti e ai progetti individuali. Può mettere la scuola nella condizione di sapere un po’ di più sugli altri, rivedendo le sue rappresentazioni e può mettere i genitori stranieri nella condizione di prendere la parola. La mediazione per l’intercultura Il mediatore collabora alle proposte e ai percorsi didattici di educazione interculturale, condotte nelle diverse classi, che prevedano momenti di conoscenza e valorizzazione delle culture e delle lingue d’origine. In alcuni casi – se ha una specifica competenza didattica e un’esperienza come insegnante nel proprio Paese – può condurre laboratori di apprendimento della cultura e della lingua d’origine, orale e scritta, rivolti ai bambini e ai ragazzi che ne fanno richiesta, durante corsi aggiuntivi in orario extrascolastico. 50 Indicatori di qualità Quando un intervento di mediazione nella scuola può essere ritenuto efficace e di qualità? Non sempre ovviamente il mediatore è in grado di modificare le situazioni, attenuare le distanze, contribuire al raggiungimento di esiti scolastici positivi. In alcuni casi, bambini e ragazzi per i quali è stato chiesta la mediazione sono tornati nel Paese d’origine, oppure hanno abbandonato la scuola, o sono stati respinti al termine dell’anno scolastico. In altri casi, i genitori assenti hanno fornito le loro ragioni, ma hanno comunque continuato a rimanere distanti e separati rispetto alla scuola dei figli. La qualità del dispositivo di mediazione sta dunque nei suoi risultati, che cercano di smuovere o modificare una situazione, ma si esplicita anche nella correttezza e razionalità del percorso, nella professionalità dei mediatori e nella chiarezza delle mosse comunicative che la connotano. Richiesti di individuare alcune criticità che hanno potuto riscontrare nel loro intervento nelle scuole, i mediatori hanno sottolineato alcuni aspetti. Innanzi tutto, una parte degli insegnanti ricorre alla mediazione troppo tardi e solo “alla fine dell’anno, quando i giochi sono fatti, i ragazzi già assenti o demotivati e non vi è più tempo per intervenire davvero”. L’intervento assume spesso un carattere di urgenza e di fretta e così “non vi è la possibilità di approfondire, scavare, considerare aspetti diversi”. Vi è inoltre un’idea della mediazione come dispositivo esterno e “circoscritto, senza integrarlo in maniera chiara e condivisa nelle modalità di gestione della classe o della scuola”. In quest’ottica, le richieste tendono ad essere quasi sempre “marginali e riduttive”, anche se poi i colloqui rivelano situazioni complesse che andrebbero indagate e conosciute. Un’altra criticità riguarda il ricorso abbastanza diffuso negli ultimi tempi da parte delle scuole al servizio territoriale di neuropsichiatria infantile, affinché valuti le difficoltà di apprendimento di bambini e ragazzi di recente immigrazione, i quali si trovano ancora nella fase di silenzio. In questi casi, il mediatore viene chiamato a spiegare alla famiglia le ragioni della segnalazione fatta dalla scuola al fine di raccoglierne l’adesione e preparare l’accesso al servizio. La proposta di chiedere una consultazione ad operatori specializzati può essere sostenuta, per alcuni minori, da valide ragioni che si sono via via chiarite e articolate grazie alle osservazioni attente fatte dai docenti. Ma in altri casi, le difficoltà linguistiche dell’alunno neo arrivato e il suo silenzio protratto possono trovare spiegazione nei ritmi stessi dell’apprendimento di una seconda lingua, nelle fasi successive che l’apprendente attraversa nello sviluppo dell’interlingua, nella grande variabilità dei cammini individuali. E ancora, possono essere ricondotte all’assenza 51 o alla scarsa efficacia dei dispositivi didattici di insegnamento dell’italiano come seconda lingua organizzati nella scuola; o alla situazione di solitudine relazionale che il bambino vive nel nuovo ambiente. Dal momento che un bambino impara la nuova lingua anche e in larga misura per ragioni affettive. Per quanto riguarda la mediazione con le famiglie, la grande criticità che emerge dalle parole dei mediatori riguarda oggi soprattutto le difficoltà diffuse di tipo sociale ed economico, la precarietà lavorativa e di alloggio, i ritmi di lavoro frammentati, il vissuto di provvisorietà. Tutto ciò rende il ruolo genitoriale più fragile e si riversa sul quotidiano dei figli, mettendo a rischio il loro cammino scolastico. E il mediatore spesso raccoglie nei momenti informali dell’incontro, negli interstizi comunicativi che la mediazione consente i racconti di bambini che passano il tempo da soli dentro case sovraffollate e che rimpiangono il luogo in cui sono nati (vedi cap. 5). Fattori importanti come il tempo della mediazione, l’estemporaneità della richiesta o, viceversa, la sua significatività e l’ancoraggio dentro un progetto chiaro ed esplicito di inclusione, la spiegazione riduttiva oppure articolata del processo di apprendimento nella situazione di migrazione, il contesto sociale nel quale la scuola agisce e la famiglia straniera vive: sono tutti elementi che costituiscono il quadro entro il quale si media con minore o maggiore efficacia. Sulla base degli esiti del progetto Mediante, l’individuazione di alcuni indicatori di qualità per un progetto di mediazione, può fare riferimento ad alcuni aspetti, quali: la chiarezza della richiesta, la preparazione dell’intervento, la verifica dei risultati, la documentazione puntuale. Li presentiamo in maniera sintetica. Indicatori di qualità Le caratteristiche del dispositivo Ha carattere di continuità e viene pubblicizzato in maniera chiara ed efficace presso le scuole egli insegnanti quanto agli obiettivi e alle modalità di lavoro. Si realizza seguendo procedure sperimentate, regole deontologiche condivise, quali: lo sportello a cui rivolgersi, l’iter che deve essere seguito; un protocollo della mediazione a scuola e nei servizi educativi nel quale sono precisate le funzioni e i ruoli del mediatore, ma anche i compiti della scuola e le condizioni dell’intervento. La professionalità dei mediatori I mediatori sono professionisti che hanno seguito una formazione specifica e che hanno un’esperienza consolidata di lavoro nelle scuole. Sono previsti per loro momenti di formazione, accompagnamento e di supervisione in itinere. 52 Le richieste delle scuole e degli insegnanti La scuola comunica a tutti gli insegnanti la possibilità di rivolgersi ai mediatori e ne precisa i ruoli e le funzioni. Gli insegnanti rivolgono allo sportello di mediazione una richiesta chiara e utilizzano il mediatore per i compiti previsti nel protocollo. Mette a disposizione del mediatore uno spazio per i colloqui che consenta la riservatezza. Gli interventi di mediazione Ogni intervento di mediazione va preparato in anticipo, in modo tale che il mediatore sia informato della richiesta e della situazione. La comunicazione mediata non deve essere imposta, ma deve essere concordata e accettata dai genitori stranieri. La valutazione e la documentazione Sono previste modalità di valutazione e verifica dell’intervento espresse dai vari soggetti coinvolti (mediatori, insegnante, genitori stranieri) e la documentazione del percorso attraverso schede, diari, relazioni… La scuola: luogo di molteplici mediazioni Il lavoro di mediazione è insito nell’azione pedagogica. Insegnare, apprendere, stabilire relazioni, proporre compiti e mete, valutare, incoraggiare: sotto i molteplici lati di un prisma che propone l’azione del mediare da vari punti di vista: relazionale, cognitivo, linguistico, culturale. La scuola è un luogo di molteplici mediazioni sociali, culturali, relazionali, affettive, comunicative. La didattica stessa rappresenta la mediazione fra teoria e prassi. Alla mediazione educativa concorrono vari soggetti: i bambini e i ragazzi, italiani e stranieri, mediano tra di loro e nei confronti dell’istituzione; le famiglie e i genitori (italiani e stranieri) sono coinvolti spesso in situazioni di incontro che prevedono di volere/sapere mediare; la scuola stessa è un’istituzione di mediazione tra istanze, spazi, norme e partner educativi differenti. E naturalmente, i docenti sono i mediatori per definizione, poiché sono impegnati in un’attività di trasformazione non tanto da un codice all’altro, ma volta a inventare un metodo, una sorta di zona intermedia neutra e franca, che permetta agli uni e agli altri di comprendersi indipendentemente dalle convinzioni e dagli stessi pregiudizi reciproci. Per mediatore interculturale intenderemo pertanto l’insegnante che, con consapevolezza, si interroga e si attrezza per favorire, non tanto la transizione da una cultura all’altra, quanto la sintesi – dove possibile – tra culture, allo scopo di creare momenti pedagogici capaci di andare oltre le reciproche differenze. Il concetto di mediazione non può quindi essere ridotto ad una singola fi53 gura e capacità; esso pervade tutta la professionalità pedagogica di chi fa scuola. Indipendentemente dai bambini che ha di fronte e dalle cose che deve insegnare. Perché mediare è azione che richiede l’esercizio di una riflessione continua sul proprio modo di concepire il senso di quello che si vuol fare o si sta facendo; è vigilanza su se stessi, sui propri gesti e modi comunicativi, nelle immagini e rappresentazioni che si hanno degli altri; è conoscenza di premesse e prefigurazioni di esiti all’interno di vincoli e circostanze date (Demetrio, Favaro 1997). Mediatore è dunque ogni insegnante in quanto specialista di comunicazione e oggi, sempre di più, di comunicazione interculturale. In una fase, come quella attuale, ricca di cambiamenti e di situazioni “spiazzanti” per la scuola, è tuttavia utile e arricchente poter contare anche su situazioni di mediazione condivisa che prevedono la possibilità di comunicare a più voci. I mediatori sono figure ricche di potenzialità, creatività, e proposte, da utilizzare come interlocutori privilegiati per informarsi, interrogarsi, rivedere l’organizzazione della scuola, introdurre nuovi saperi e punti di vista ecc. E tuttavia, se i mediatori vengono utilizzati solo come dispositivo d’urgenza per risolvere i problemi, si corre il rischio di delegare a un operatore aggiuntivo il ripristino di una presunta “normalità” e di affrontare così la complessità in maniera inadeguata, moltiplicando semplicemente le figure e introducendo “filtri e dispositivi-tampone”. L’esperienza condotta nell’ambito del progetto Mediante ci può servire a cogliere alcuni dei problemi che si incontrano quando si ha a che fare con le rappresentazioni rigide di famiglia, modello educativo, alunno e modalità di apprendimento. E soprattutto quando si ha a che fare con la mediazione che coinvolge i minori. Mediare fra adulti, rispetto a terreni definiti, quali: i servizi, la cura, il funzionamento,le prescrizioni, le regole è compito meno delicato, poiché si agisce come terzo bilingue (traduttore,interprete, portavoce) fra due interlocutori che accettano di essere mediati e che esercitano un controllo (seppur parziale) su ciò che viene detto e sul contesto della mediazione. Altra cosa – e ben più complessa – è invece agire sulla scena educativa come soggetto che può ridefinire i “contorni” e le storie degli interlocutori, indirizzare le scelte, incanalare le mosse didattiche e le attese. Per questo motivo, il dispositivo di mediazione nella scuola dovrebbe essere rivolto, in maniera privilegiata, agli adulti (insegnanti, educatori, genitori), oppure agire come un affiancamento “leggero”, da concordare caso per caso, dell’insegnante che accoglie, durante le mosse iniziali dell’inserimento. Ciò che risulta non efficace – e talvolta controproducente – è l’affido del bambino /dei bambini stranieri al mediatore per alcune ore, per qualche tempo. 54 Il rischio è, come abbiamo visto, che un dispositivo previsto per includere e facilitare, produca invece separazione e delega (e perdita di tempo). La mediazione, dispositivo e modalità di lavoro, che decostruisce gli stereotipi, dà voce a ciò che è implicito, disvela, almeno in parte, il racconto dei due interlocutori, non può inoltre produrre il paradosso di irrigidire, fissare, schematizzare. Si tratta dunque di passare da una visione “essenzialista” della differenza a una relazionale; pensare che la cultura sta più nei modi di essere con gli altri, che in un corpus di usi costumi, tradizioni e valori introiettati e trasmessi da una generazione all’altra. Come afferma Amin Maalouf, ognuno di noi non è subito se stesso, non si limita a “prendere coscienza di ciò che è”, ma diventa ciò che è; non si limita a “prendere coscienza della propria identità”, ma l’acquisisce giorno dopo giorno (Maalouf 2005). È a partire dunque da una rinnovata pedagogia della molteplicità interculturale che si interroga e che dialoga con competenza e pazienza, che si possono mettere le garanzie per una mediazione consapevole, efficace, che non si “accaparra” l’altro, ma lo aiuta a ritrovare la sua voce. Per un protocollo di mediazione nella scuola Alcuni punti di attenzione • Il dispositivo della mediazione costituisce un’azione positiva di un progetto di inclusione dei bambini e dei ragazzi immigrati, e delle loro famiglie, nei servizi educativi e nella scuola. • Il mediatore linguistico-culturale opera accanto agli insegnanti e nell’ambito di un progetto definito, condiviso, realizzato e verificato insieme. • Il mediatore linguistico-culturale può collaborare a compiti di: a) – accoglienza degli alunni neo arrivati; – accompagnamento e tutoraggio durante le prima fasi dell’inserimento; – conoscenza della storia scolastica, linguistica e personale dell’alunno; – rilevazione di capacità e conoscenze già acquisite e individuazione di bisogni di apprendimento non di tipo linguistico; – facilitazione linguistica durante i primi giorni dell’inserimento scolastico; – partecipazione a colloqui con gli alunni nei casi di demotivazione, assenze scolastiche, disagio. 55 b) – informazione nei confronti degli insegnanti sui sistemi scolastici e linguistici di provenienza degli alunni di recente immigrazione; – informazioni sul singolo alunno; – approfondimenti e spiegazioni rispetto a riferimenti culturali, comportamenti, pratiche c) – traduzione e interpretariato di messaggi orali e scritti rivolti alle famiglie straniere; – assistenza e mediazione durante gli incontri dei docenti con i genitori stranieri, sia individuali che collettivi – presenza ai colloqui con le famiglie soprattutto nei casi di particolare problermaticità; – prevenzione e gestione di possibili malintesi e fraintendimenti fra scuola e famiglia; d) – partecipazione a percorsi didattici di educazione interculturale, condotti nelle diverse classi e rivolti a tutti gli alunni che prevedono momenti di conoscenza e valorizzazione dei Paesi, delle culture e delle lingue d’origine. (Linee guida sull’accoglienza e l’inserimento degli alunni stranieri, MIUR 2006) • La domanda di mediazione non è generica, ma è legata a bisogni definiti, a situazioni chiare e contestualizzate, nelle quali il mediatore può giocare un ruolo efficace di tramite, facilitatore comunicativo, traduttore… • L’intervento del mediatore deve essere preparato e concordato in anticipo, in modo tale che gli uni e gli altri siano informati del compito e della situazione. • La mediazione non deve mai essere imposta, ma proposta e accettata dalle famiglie straniere, che devono essere informate del ruolo di traduttore del mediatore presente. • La scuola e i docenti sono consapevoli delle potenzialità e delle risorse della mediazione linguistico-culturale (e dei suoi limiti) e non pongono ai mediatori richieste improprie, rispetto al loro ruolo. • Si deve evitare che i mediatori linguistici e culturali vengano utilizzati per avvallare forme di delega del “problema stranieri” a specialisti, o per realizzare forme di separazione negli spazi educativi dei bambini e dei ragazzi immigrati. Il momento dell’accoglienza, ad esempio, deve coinvolgere la segreteria, la direzione della scuola, l’intera classe, dal momento che esso segna in maniera profonda il cammino successivo dell’inserimento e dell’integrazione. 56 • Il mediatore linguistico-culturale che opera nella scuola e nei servizi educativi ha seguito un percorso di formazione specifico e di tirocinio nel settore educativo e nelle scuole. È positivo attuare un percorso di aggiornamento e formazione comuni, dei mediatori e dei docenti, su temi quali: la migrazione dei bambini, l’accoglienza, la costruzione dell’identità nella migrazione, l’apprendimento dell’italiano L2, il bilinguismo, la comunicazione e l’educazione interculturale… • Il mediatore linguistico-culturale è una delle risorse di mediazione di cui dispone la scuola. La ricchezza delle relazioni e delle interazioni quotidiane (tra bambini, tra genitori italiani e stranieri, tra insegnanti e genitori…) costituisce tuttavia lo sfondo privilegiato dell’integrazione e dello scambio interculturale. Testi citati Allemann-Ghionda C. (a cura di) (2008), Intercultural Education in Schools. A comparative study, Parlamento Europeo. Bocchi G., Ceruti M. (2004), Educazione e globalizzazione, Cortina, Milano. Demetrio D., Favaro G. (1997), Bambini stranieri a scuola, La Nuova Italia, Firenze. Favaro G. (2011), A scuola nessuno è straniero, Giunti, Firenze. La Cecla F. (2009), Il malinteso. Antropologia del’incontro, Laterza, Bari. Maalouf A. (2005), L’identità, Rizzoli, Milano. MIUR (2010), Alunni di cittadinanza non italiana, Anno scolastico 2009-2010, cicl. e sul sito. 57 3. Il progetto Mediante: dati e modello organizzativo di Simona Boffi, Manuela Fumagalli, Simona Panseri Il Progetto Il progetto “Mediante. Nella scuola e nella città di Milano” si è proposto di sviluppare un sistema razionale ed efficace di servizi di mediazione linguistico – culturali per favorire l’accesso della popolazione straniera ai servizi del Comune di Milano, integrando le attività già in essere e promosse dell’Ente. Il progetto è stato finanziato dall’Unione Europea e dal Ministero dell’Interno con il Fondo Europeo per l’Integrazione dei Cittadini di Paesi Terzi, azione 4 annualità 2009; il fondo è destinato ad applicare i principi fondamentali comuni della politica di integrazione degli immigrati nell’UE. Target privilegiato del progetto sono i servizi a sostegno dell’accesso dei minori stranieri neo-arrivati e a favore di quelle famiglie giunte nella città negli ultimi anni che non possiedono ancora gli strumenti linguistici per l’esercizio delle proprie responsabilità genitoriali nei confronti della scuola. Si rivolge alle scuole primarie e secondarie di primo grado della rete milanese dei Poli Start. Gli obiettivi del progetto sono: • favorire l’accoglienza e l’integrazione scolastica dei minori stranieri neoarrivati; • facilitare la comunicazione e lo scambio tra famiglie immigrate e operatori della scuola; • individuare un modello organizzativo efficace per la risposta alle esigenze di mediazione linguistico-culturale delle scuole della città. Le azioni: • attivazione di uno sportello per la raccolta delle richieste di mediazione linguistico culturale e di traduzioni; 58 • attivazione e gestione di interventi di mediazione linguistico-culturale e interpretariato attraverso la collaborazione con mediatori esperti, madrelingua e italiani; • incontri di formazione, coordinamento e supervisione con il gruppo dei mediatori per l’analisi degli interventi svolti, l’approfondimento dei nodi critici e l’individuazione di un modello condiviso a livello teorico e metodologico; • incontri calendarizzati di monitoraggio per la valutazione e riprogrammazione in itinere degli interventi, l’analisi di casi individuali, la rilettura delle esperienze, la documentazione dei percorsi realizzati; • raccolta, predisposizione e pubblicazione di materiali tradotti riguardanti il rapporto fra famiglie straniere e scuole; • realizzazione di una dispensa finale, comprendente dati ed analisi delle attività svolte. Lo sportello ha avuto un ruolo fondamentale per l’implementazione, lo sviluppo e la realizzazione del Progetto. Le sue funzioni sono state: • raccolta delle richieste di mediazione e traduzione provenienti dalle scuole; • contatto con i mediatori per l’attivazione degli interventi; • organizzazione (date, orari, conferme) degli interventi; • organizzazione e redazione finale dei documenti tradotti; • raccolta di tutta la modulistica (schede di richiesta e verifica); • raccolta dei dati e compilazione del report complessivo; • verifica della documentazione amministrativa dei mediatori; • contatti con i Poli Start; • preparazione degli incontri con il gruppo mediatori (avvisi, documentazione…); • cura dei materiali per la pagina web. Attivo presso la sede del Comune di Milano, in Via Pastrengo 6, dal lunedì al venerdì a partire dal 25 ottobre 2010, ha funzionato con la presenza di tre operatrici, nei seguenti orari: Lunedì dalle ore 9.30 alle ore 15.00 Martedì dalle ore 9.30 alle ore 15.00 Mercoledì dalle ore 9.30 alle ore 13.00 Giovedì dalle ore 9.30 alle ore 13.00 Venerdì dalle ore 9.30 alle ore 13.00 59 Le scuole hanno potuto rivolgersi allo sportello per richiedere: • interventi di mediazione in momenti diversi: – nella fase di prima accoglienza degli studenti stranieri (es: iscrizione, presentazione iniziale della scuola alla famiglia, primo inserimento e accoglienza dei neo-arrivati; rilevazione della storia scolastica e linguistica dell’alunno); – in occasione di colloqui con i genitori; – nei momenti della consegna dei documenti di valutazione; – nella fase di orientamento per la prosecuzione degli studi dopo la terza media; – durante tutto l’anno scolastico in occasione di colloqui con i genitori e con operatori di altri servizi socio-assistenziali; • traduzioni di documenti scolastici o di messaggi informativi per le famiglie. Ad ogni scuola primaria e secondaria di primo grado è stata inviata la modulistica necessaria per l’attivazione e la verifica degli interventi da realizzare e le informazioni utili per la richiesta di mediazione. Tutte le richieste di interventi di mediazione sono pervenute allo sportello Mediante, attraverso l’indirizzo mail o il fax e sono stati realizzati entro 15 giorni dalla richiesta pervenuta dalle scuole (vedi allegato n. 1: modulistica). L’attività dello sportello Mediante si connota come un lavoro di costante monitoraggio e filtro da parte delle operatrici delle richieste di interventi di mediazione linguistico culturale che provengono dalle singole scuole. Questa attività si propone di fornire le “risposte” più adeguate ai bisogni espressi dalle scuole nelle domande. In particolare lo sportello si occupa di tradurre in linguaggi chiari e semplificati le richieste, in modo da garantire alle scuole richiedenti il tipo di intervento più idoneo possibile. Per esempio, ad un determinato tipo di richiesta l’operatrice, prendendo in considerazione l’intero gruppo di mediatori che collaborano al progetto valuta quale incaricare per lo specifico tipo di richiesta, tenendo presente la formazione dei singoli mediatori, l’esperienza su determinati casi, la conoscenza pregressa del caso specifico, il sesso del mediatore per la delicatezza dei temi da affrontare o per evitare l’insorgere di “incidenti culturali” (esempio, alla presenza di madre di cultura araba e religione islamica è generalmente preferibile la presenza di una mediatrice linguistico culturale di sesso femminile). In alcune situazioni le operatrici ritengono di dover “decodificare” le richieste delle scuole in quanto talvolta le richieste vengono formulate in modo non così chiaro o univoco da poter permettere l’attivazione di un intervento individualizzato efficace. In questi casi l’operatrice si attiva contat60 tando le referenti delle scuole per raccogliere il maggior numero di elementi circa il caso. Attraverso le ulteriori informazioni reperite sul caso, lo sportello si propone altresì di orientare le scuole alla maggior efficacia possibile degli interventi di mediazione. Ad esempio, talvolta le scuole segnalano la richiesta di colloquio con la famiglia di un alunno neo arrivato che mostra difficoltà di ambientamento mostrando reazioni di isolamento, episodi di aggressività… In questo caso le scuole intendono incontrare le famiglie alla presenza del mediatore linguistico culturale, che favorisce la circolarità della comunicazione. Il colloquio si articola in vari momenti: primo momento di conoscenza, raccolta informazioni sull’alunno, scambio reciproco. L’obiettivo specifico è quello di tentare di stabilire una sorta di alleanza con la famiglia per collaborare alla riuscita dell’inserimento scolastico del bambino e dell’integrazione a scuola. Lo sportello mette a disposizione delle scuole specifici pacchetti di ore per l’accoglienza alla presenza del mediatore da svolgere all’interno della classe dell’alunno attraverso attività varie: momenti di conoscenza e scambio personali e di gruppo, presentazione del paese di origine dell’alunno neo arrivato attraverso attività interculturali che prevadano l’interazione della classe, affiacamento per la lingua italiana e l’apprendimenrto delle discipline. Questo percorso si propone di mettere in atto una sorta di circolarità: rapporto scuola (insegnanti-mediatore)-famiglia e interventi scuola-mediazione con l’alunno con rimandi alla famiglia sull’andamento e confronti sul percorso. I dispositivi descritti messi in atto permettono di garantire che gli interventi di mediazione linguistico culturale vadano a buon fine nell’ottica più generale dell’integrazione degli alunni inseriti a scuola. I dati La raccolta sistematica dei dati relativi agli interventi di mediazione è stata una della attività che ha permesso sia un monitoraggio in itinere che l’ideazione di nuove proposte ma soprattutto ha facilitato la lettura dell’andamento del progetto. Prima di procedere ad un’analisi del contenuto delle varie tabelle, è necessario esplicitare la modalità utilizzata per la raccolta dei dati e i relativi strumenti, ovvero: 61 1. Report complessivo degli interventi di mediazione, comprensivo delle seguenti voci: • data della scheda di richiesta • scuola richiedente • polo Start • contenuto della richiesta • numero di ore assegnate • mediatore coinvolto • numero di ore svolte • scheda di verifica delle insegnanti • scheda di verifica del mediatore Il report è stato aggiornato in tempo reale e ha permesso di avere sempre un utile quadro delle richieste, del numero delle ore utilizzate, dei mediatori impegnati, della documentazione consegnata. 2. Documentazione cartacea di ogni intervento di mediazione, suddivisa per richiesta. Ogni cartellina comprende: la scheda di richiesta, la scheda di verifica delle insegnanti e del mediatore, la corrispondenza con le insegnanti e con il mediatore. 3. Time sheet dei mediatori Compilato mensilmente, riporta data, orario, luogo e contenuto dell’attività. 4. Agenda cartacea degli interventi. Sono stati riportati tutti gli interventi assegnati e ciò ha permesso di avere un quadro giornaliero degli impegni assegnati ai mediatori, nonché di risolvere velocemente eventuali disguidi organizzativi. L’intreccio tra tutti gli strumenti utilizzati, l’aggiornamento costante e la lettura trasversale dei dati che man mano emergevano si è rivelato un modo efficace di procedere e di ottenere informazioni. Valga quale esempio il monitoraggio sulle ore utilizzate che, ad un certo punto dell’anno, fatte le dovute proiezioni sul numero di ore da utilizzare/ipotesi su nuove richieste, ha permesso di ripensare a settori non ancora coinvolti (es: le attività dei Centri estivi) proponendo azioni concrete (traduzione di opuscoli informativi). Passiamo ora ad una sintetica analisi delle varie tabelle, sottolineando che i dati si riferiscono al periodo 25 ottobre 2010-30 giugno 2011. 62 Tab. 1 - Richieste e tipologie di scuola Richieste Ore Interventi Tipologia scuole N. 534 2826, 50* 720 Primaria Secondaria I grado 363 171 Graf. 1 - Richieste e tipologie di scuola La prima considerazione è relativa alla grande differenza tra richieste provenienti dalla scuola primaria e quelle provenienti dalla scuola secondaria di primo grado. Ad una prima lettura il dato parrebbe in contrasto con la presenza dei ragazzi neoarrivati che si collocano, per la maggior parte, nella fascia d’età della scuola secondaria. L’ipotesi è che la scuola primaria conosca da più tempo il dispositivo delle mediazione linguistico – culturale e, di conseguenza, l’abbia usato maggiormente quale strumento di supporto al dialogo con le famiglie e all’integrazione dei ragazzi. La necessità rilevata e l’auspicio per un prossimo anno è l’allargamento della possibilità di interventi di mediazione anche alla scuola dell’infanzia, con un’attenzione particolare al passaggio tra scuola dell’infanzia e scuola primaria, in quanto ottimo contesto per facilitare una precoce accoglienza e per delimitare e risolvere sul nascere eventuali difficoltà. La differenza di quantità di richieste provenienti dai diversi Poli Start fa chiaramente riferimento alla presenza, in quelle zone, di scuole con alta percentuale di alunni stranieri ma anche, come è capitato, alla contestuale attivazione di progetti con interventi simili a questo. 63 Tab. 2 - Provenienza richieste per poli Poli Start Totale 1 (z.1.2.3) 2 (z.4.5) 3 (z.6.7) 4 (z.8.9) 128 56 142 208 534 Graf. 2 - Provenienza richieste per poli Molto interessante è la lettura della tab. 3 relativa alla tipologia delle richieste; tale parte verrà ampiamente ripresa e sviluppata nel cap. 4 ma intanto si possono proporre alcune riflessioni. Come si nota, la maggior parte dei bisogni delle scuole sono relativi al rapporto con le famiglie straniere (colloqui con genitori) e alla prima accoglienza di alunni neo-arrivati e/o con difficoltà linguistiche o di inserimento. Come già accennato, tale dato è congruente con gli obiettivi e le aspettative del progetto, ovvero favorire l’accoglienza e l’integrazione scolastica dei minori stranieri neo-arrivati e facilitare la comunicazione e lo scambio tra famiglie immigrate e operatori della scuola. Un accenno particolare merita invece la voce consegna schede di valutazione, seconda in assoluto. 64 Tab. 3 - Tipologia della richiesta Tipologia della richiesta N. Colloqui con genitori (partecipazione assemblea di classe, presentazione uscita didattica scuola-natura, …) Colloqui con alunno Traduzioni Consegna schede valutazione Accoglienza alunni neo-arrivati Orientamento Accompagnamento UONPIA Presenza mensile Intervento interculturale in classe Totale 272 12 11 168 77* 4 1 7** 1 553 * I pacchetti di accoglienza per alunni neoarrivati di 8 ore complessive. ** I pacchetti mensili di 12 ore complessive. Graf. 3 - Tipologia delle richieste Questa voce comprende le azioni di interpretariato orale durante due momenti dell’anno scolastico: febbraio (schede intermedie) e giugno (schede finali). Sono momenti che le scuole programmano con largo anticipo e che hanno un’organizzazione abbastanza rigida o, perlomeno, difficile da modifi65 care, in cui è prevista la presenza di molte famiglie nell’arco di pochissime ore, con un tempo minimo dedicato ad ognuna e con la necessità di “passare concetti”, a volte anche delicati o spinosi, attraverso la traduzione. Il mediatore si trova così a dover tradurre velocissimamente parole, significati ed indicazioni, con il risultato di non riuscire, spesso, a svolgere un efficace lavoro. Più volte, sia durante gli incontri di gruppo che individualmente, i mediatori hanno segnalato tale disagio, chiedendo la possibilità di riservare un “momento dedicato” o, almeno, un tempo diverso alla comunicazione con le famiglie straniere (per la maggior parte cinesi ed arabe). Di ciò e di possibili cambiamenti si è discusso anche nel focus group svolto con le insegnanti ma pare che non siano possibili sostanziali modifiche organizzative. Altra voce da approfondire è quella relativa agli interventi interculturali in classe (ovvero ad attività di animazione e di informazione sulle culture altre rivolte a tutto il gruppo classe). Pur essendo un utile momento è stato assolutamente sottoutilizzato, forse perché non esplicitamente elencato nella prima comunicazione fatta alle scuole sulle possibilità offerte dal Progetto. L’unico intervento richiesto è stato effettuato “a due voci”, con la presenza contemporanea del mediatore peruviano e della mediatrice filippina, offrendo ad alunni ed insegnanti un’azione originale ed apprezzata. Il gruppo dei mediatori ha proposto di inserire tale tipologia di azione nei “pacchetti accoglienza” in quanto, a loro parere, se ben integrato con altre attività di classe e con un apposito intervento di mediazione, può contribuire a creare un clima favorevole all’integrazione degli alunni neo-arrivati attraverso la destrutturazione degli stereotipi e la presentazione degli aspetti positivi di culture sconosciute. Il dato relativo agli interventi di accompagnamento ad altri servizi (Uonpia) può trarre in inganno ed è stato oggetto di numerose riflessioni con il gruppo mediatori. Parrebbe infatti che solo una richiesta sia giunta allo Sportello ma il dato può essere letto sotto un duplice aspetto. Da una parte, nella voce “colloqui con i genitori” spesso si sono date indicazioni per l’orientamento verso altri servizi, Uonpia compresa. Dall’altra, la Uonpia ha già in essere una convenzione con una Cooperativa di mediazione e quindi garantisce tale servizio al suo interno, motivo per il quale non è necessaria la sovrapposizione di altre figure. Per ultimo, un approfondimento sulla presenza mensile dei mediatori nelle scuole. Il continuo monitoraggio, la lettura dell’andamento del progetto citati sopra, intersecati con il confronto con il gruppo mediatori hanno evidenziato, ad un certo punto dell’anno scolastico, come fosse necessario non solo continuare la realizzazione di interventi “su chiamata” ma prevedere anche momenti maggiormente strutturati e continuativi, che dessero 66 l’opportunità da un parte ai mediatori di seguire più approfonditamente le storie e le evoluzioni degli alunni e dall’altra alle insegnanti di poter contare su una risorsa certa e stabile. Si sono così strutturati 7 progetti di presenza mensile in alcune scuole (per un totale di 12 ore per ciascuna scuola), realizzati da n. 6 mediatori, delle seguenti provenienze: 3 dalla Cina, 1 dal Marocco, 1 dalle Filippine e 1 dalla Romania. Le verifiche della “presenza mensile” sono state raccolte attraverso la compilazione di diari da parte dei mediatori (vedere cap. 3). Per quanto riguarda le traduzioni, va evidenziato che, sebbene il numero di richieste non sia stato altissimo, la loro realizzazione ha però comportato molte ore di lavoro perché spesso i documenti da tradurre erano lunghi e complessi. Il numero delle richieste di traduzione pervenute allo sportello Mediante sono state 24. Di seguito elenchiamo alcuni esempi di documenti tradotti: • “Libretto genitori” Opuscolo informativo su come funziona la scuola primaria e secondaria di primo grado in Italia; • “Alle famiglie dei bambini stranieri neo-arrivati” - Polo Start 2 Opuscolo informativo sui servizi scolastici e socio-sanitari delle zone 4 e 5 di Milano; • Brochure e progetti relativi alle attività proposte dai centri estivi del Comune di Milano; • Documenti informativi relativi al funzionamento delle singole scuole: regolamento di istituto, patto di corresponsabilità educativa, schede di valutazione intermedia e finale degli alunni neo-arrivati. Tab. 4 - Le nazionalità Nazionalità richieste Albania Bangladesh Bolivia Brasile Bulgaria Cina Ecuador Egitto Etiopia N. 3 39 1 4 1 220 1 65 1 67 Tab. 4 - segue Nazionalità richieste Filippine Giappone India Marocco Moldavia Pakistan Perù Romania Sri Lanka Turchia Ucraina Totale N. 35 3 1 57 4 2 30 18 40 5 4 534 Graf. 4 - Le nazionalità richieste Come evidenziato nel cap. 4, oltre alle nazionalità già presenti da tempo (Filippine, Egitto, Perù, Cina, Ecuador, Sri Lanka, Romania, Marocco), negli ultimi tempi nella città di Milano, si sono aggiunti “nuovi” contesti di origine quali: Moldavia, Ucraina, Bangladesh. 68 Tab. 5 - Richieste per aree geografiche Aree geografiche N. richieste Europa Asia Sud America Africa Totale 30 345 36 123 534 Graf. 5 - Le aree geografiche Da qui la differenziazione delle provenienze degli alunni e famiglie per le quali sono stati richiesti ed attivati interventi di mediazione. Particolare rimane la situazione della comunità cinese, da tempo presente in città, che presenta ancora grosse difficoltà di comunicazione linguistica. 69 Seconda parte I protagonisti dell’incontro mediato 4. Tra scuola e famiglia: storie di mediazione di Graziella Favaro I nostri genitori non giocheranno mai a tennis o a golf. Non andranno mai a sciare o a mangiare in un ristorante di lusso. Non assisteranno mai a un concerto di musica classica. In vita loro non possiederanno mai un appartamento o una piccola proprietà da qualche parte in Francia dove finire tranquillamente i loro giorni. No, al prezzo di sacrifici incredibili, hanno preferito investire in case nell’entroterra africano, in cemento, che assomigliano vagamente a dei cubi e che loro chiamano ville. D. Ahmed, Disintegrati. Storia corale di una generazione di immigrati, 2007 Educare un figlio altrove Ho partecipato al colloquio tra i professori delle diverse materie e il padre di T.T., un alunno cinese di 14 anni arrivato in Italia da qualche mese. Tutti i docenti si sono lamentati a turno con il padre perché il ragazzo non rispetta le regole, non segue il programma di studio, disturba i compagni… Hanno detto che a casa non studia né fa i compiti e che chiaramente si vede che i genitori non lo seguono. I professori hanno chiesto ai genitori di prestare più attenzione al figlio e di dedicargli del tempo dopo la scuola. Il padre ha ascoltato in silenzio, con lo sguardo basso le parole in italiano, che si sforzava di capire e le mia traduzione in cinese. Poi ha detto in cinese che è consapevole del comportamento del figlio e che anche a casa non riescono a farsi ascoltare. Ha spiegato che sia lui che sua moglie lavorano in un ristorante e hanno orari che impediscono loro di controllare il figlio quando torma a casa da scuola. Così il ragazzo fa come vuole; dopo anni di vita da solo in Cina, seguito dalla nonna, è diventato troppo autonomo e viziato e non vuole impegnarsi. Alla fine il padre ha espresso la sua impotenza; ha detto che non ha nessuna idea o proposta per far cambiare il comportamento al figlio e spera solo che maturi (dal diario di mediazione di X.L.). Durante gli incontri con i genitori ho avuto modo di spiegare loro il funzionamento della scuola italiana e il diverso metodo di valutazione (in Cina i voti vengono espressi in centesimi). Ho detto ai genitori che le assenze devono essere giustificate e i voti controllati e firmati. A volte ho dovuto spiegare anche il significato e le pratiche di tutela del minore che vigono in Italia. Alcuni genitori non erano al cor73 rente degli orari scolastici dei figli e hanno detto che può succedere che i figli dicano di essere a scuola mentre invece non è vero (dal diario di mediazione di J.B.). Come abbiamo visto nella sintesi del progetto Mediante, la maggior parte delle richieste di mediazione inviate dalle scuole ha riguardato la relazione con le famiglie straniere ed è stata espressa in momenti diversi dell’anno scolastico, per singoli casi o, in maniera più ridotta, per incontri di gruppo. Come possiamo leggere nei frammenti dei diari dei mediatori, essi sono intervenuti soprattutto per spiegare le regole della scuola, chiarirne il funzionamento e i reciproci ruoli, richiamare i genitori a rispondere con puntualità ed efficacia ai loro compiti e alle attese degli insegnanti. Sono stati chiamati a metà e alla fine dell’anno scolastico a tradurre le schede di valutazione, cercando di dare senso agli esiti intermedi e finali e di illustrare i percorsi scolastici dei figli, le difficoltà e i progressi. Sono intervenuti inoltre nei casi di disagio che si sono manifestati a scuola attraverso la perdita di motivazione e di impegno, le assenze, le difficoltà di comportamento, l’aggressività o il ripiego, come nel caso di T.T. Educare un figlio altrove non è compito facile. L’ingresso del figlio nella scuola del Paese di immigrazione rappresenta per la famiglia straniera un evento cruciale, di fronte al quale i genitori provano orgoglio e, al tempo stesso, timore perché segna un passaggio importante nella storia famigliare. Rappresenta una conquista e una frattura. Una conquista: per le opportunità di apprendimento, la padronanza linguistica in italiano, lo sviluppo personale e professionale che prepara e indirizza il futuro. Una frattura: per la possibile discontinuità dei messaggi educativi della scuola, rispetto a quelli dell’inculturazione famigliare, l’acquisizione di una lingua scritta che non è quella delle origini, la distanza più o meno ampia tra il modello educativo interno e quello esterno. L’inserimento scolastico del figlio mette anche a nudo le “inadeguatezze” degli adulti stranieri nell’assumere il ruolo genitoriale e nel dare risposta puntuale ed efficace alle aspettative e alle richieste della scuola. Molto spesso la famiglia immigrata non conosce il progetto educativo e il funzionamento della scuola, le sue regole esplicite e implicite; ignora il linguaggio specialistico che veicola le informazioni, può fraintendere o mal interpretarne le richieste. I genitori stranieri inoltre sono spesso in difficoltà nell’accompagnare il figlio arrivato da poco e, per molti versi, quasi “sconosciuto”, nei momenti delicati e complessi della perdita dei legami già stabiliti altrove e del riorientamento nel nuovo Paese. Così come succede al padre di T.T., essi si trovano ad ascoltare in silenzio le parole degli insegnanti che descrivono le 74 difficoltà del figlio e che talvolta suonano anche come un giudizio negativo nei loro confronti. Storie famigliari differenti I ritratti delle famiglie per le quali è stato richiesto un intervento di mediazione sono variegati e plurali, pur essendo tutti accomunati da elementi di fragilità che sono legati alle condizioni sociali ed economiche, alla non conoscenza linguistica, alla distanza che esse vivono nei confronti dei servizi del Paese che li accoglie. Ogni famiglia immigrata – come del resto accade anche per i nuclei autoctoni – costituisce un mondo a sé, un microcosmo fatto di legami e storie di fondazione, ruoli e risorse, affetti ed eventi. Parlare quindi di famiglie immigrate come di soggetti sociali omogenei e fra loro simili è astratto e fuorviante. Le differenze fra nucleo e nucleo sono tantissime, così come diversi sono i loro progetti, le condizioni di vita e le modalità di relazione con i servizi e il territorio nel quale vivono. Proviamo a introdurre alcuni di questi elementi di distinzione soffermandoci sugli aspetti più “visibili” e documentabili. Una prima distinzione può essere fatta tra famiglie già costituite nel Paese d’origine che si ricompongono in Italia e famiglie neocostituite che iniziano la loro vita tessendo reti e relazioni nel Paese di immigrazione. Nel primo caso, la storia della famiglia è segnata, come abbiamo detto, da eventi salienti che ne hanno cambiato profondamente il tragitto e i ruoli. Il nucleo si è formato in patria, ha vissuto una parte della propria storia laggiù, finché è avvenuta la prima “frattura”; la partenza di uno dei due coniugi (il marito, nel caso di egiziani, marocchini, immigrati provenienti dal Bangla Desh; in altri casi, la moglie, ad esempio per le famiglie filippine, ucraine, peruviane ed ecuadoriane; altre volte entrambi: per molti cinesi, rumeni, albanesi,singalesi). La durata della separazione del nucleo può variare e in media è calcolata intorno ai cinque anni. Dopo questo tempo di distacco – durante il quale i vari soggetti della famiglia “spezzata” elaborano ciascuno a proprio modo l’assenza e le attese – la famiglia si ricompone nel paese di immigrazione. Un evento cruciale nella biografia famigliare è dunque il momento del ricongiungimento: i precedenti equilibri si scompongono, nuovi legami si devono ritessere per colmare distanze, assenze e distacchi profondi. Fra i nuclei per i quali è stato richiesto l’intervento di mediazione questo modo di “essere famiglia” è quello prevalente, mentre sono quasi assenti le famiglie formatesi qui. 75 Ricongiungersi altrove All’interno del gruppo delle famiglie ricongiunte, possiamo operare inoltre ulteriori distinzioni che ci consentono di definire una tipologia basata sulle modalità di arrivo e di riunificazione dei nuclei e sul ruolo da protagonista dell’uno e dell’altro coniuge. Si può quindi avere: • il ricongiungimento famigliare organizzato dall’uomo, che prevede l’arrivo della moglie e dei figli in un secondo tempo. È questa la modalità più diffusa tra i gruppi provenienti dal Nord Africa (Egitto e Marocco), dal Pakistan e dal Bangladesh, per lo più da persone di religione musulmana; • il ricongiungimento famigliare “al femminile”. In questo caso è la donna espatriata per prima a far giungere in un secondo tempo il coniuge e i figli. Si tratta della modalità più diffusa fra le immigrate filippine, ucraine, peruviane, appartenenti alle comunità e gruppi con forte predominanza femminile; • il ricongiungimento dei figli, quando i genitori sono entrambi emigrati, partiti insieme o a distanza ravvicinata l’uno dall’altro e fanno giungere in Italia i figli affidati fino a quel momento ai familiari (ad esempio, fra gli immigrati cinesi e rumeni). In certi casi, la riunificazione dei figli con i genitori può essere “selettiva” o avvenire “a puntate”: si fanno giungere per primi i più piccoli, perché più bisognosi di attenzione o, viceversa, i più grandi maggiormente autonomi. I primi ad arrivare possono essere i maschi, portati qui perché compiano un percorso scolastico che prefigura possibilità di inserimento professionale positivo e si lasciano nel Paese di origine le bambine, affinché crescano in maniera più consona alla tradizione della famiglia. Legami famigliari tra qui e là G. ha 14 anni e frequenta la terza media; è arrivata a febbraio dal Brasile per raggiungere la madre che non vedeva da cinque anni. La ragazza non accetta di vivere qui, ma vuole fortemente tornare in Brasile; anzi, non si impegna a scuola e rifiuta di apprendere l’italiano proprio perché spera che così la madre si convinca a farla rientrare nel Paese d’origine. Madre e figlia si incolpano a vicenda per la situazione di tensione in cui vivono: la madre accusa la ragazza di non impegnarsi a scuola; la figlia accusa la madre di averla portata qui contro la sua volontà (dal diario di mediazione di A.D.C.). Come testimonia il racconto di G., comune a quello di altri minori ricongiunti, qualunque sia la modalità dell’arrivo, la ricomposizione del nucleo spezzato dalla migrazione rappresenta un evento cruciale per tutti i soggetti dell’incontro. S’infrangono gli equilibri precedenti, si mettono a 76 nudo aspettative e delusioni, si richiede a ciascuno di ridefinirsi e di ridefinire ruoli e relazioni che si comprimono dentro lo spazio della nuova dimora. Tutto questo diventa più complesso nel caso dell’arrivo di preadolescenti e adolescenti che possono vivere la migrazione con sentimenti di ambivalenza. Essi sono contenti di ritrovare i genitori espatriati, ma soffrono nel lasciare affetti e amici; sono emozionati per l’avventura nel nuovo Paese, ma sono anche spaventati dal fatto di essere privi di parola e privati della loro storia. Da parte loro i genitori – che spesso hanno faticato anni per avere i requisiti richiesti e portare a compimento il ricongiungimento dei figli- pensano di avere infine raggiunto l’approdo, mentre l’arrivo dei minori inaugura spesso un faticoso cammino di ricominciamento. M.M. è arrivata un anno fa e ora frequenta la seconda media. La situazione scolastica non è buona e la scuola chiama i genitori ad un colloquio. In classe la ragazza è disattenta, non fa i compiti a casa, a volte arriva in ritardo, essi dicono. Durante il colloquio emergono delle informazioni sulla sua storia: in Cina era molto brava, mentre qui si è trovata in difficoltà a causa della lingua e, dopo una fase di buon impegno, si è scoraggiata: “Non capisco niente di quello che dicono i professori e allora rinuncio, dice la ragazza, No, non ho mai alzato la mano per chiedere una spiegazione. Tanto a cosa serve?” In Italia ha trovato una situazione famigliare, scolastica e relazionale che non aveva immaginato e l’unica cosa che vuole ora è tornare in Cina. Il ricongiungimento nel nuovo Paese dopo anni di distanza e di assenza rappresenta una prova per tutti: genitori e figli. Riprendere a vivere insieme nel contesto di immigrazione segna una tappa decisiva nella storia famigliare, che definisce in maniera profonda un “prima” e un “dopo” e che comporta modificazioni importanti che coinvolgono piani e soggetti diversi. Essi possono infatti riguardare gli aspetti giuridici, sociali, economici, psicologici e della relazione (interna alla famiglia ed esterna, con i servizi), progettuali. Se l’immigrato singolo ha potuto continuare a vivere per anni in una sorta di invisibilità sociale, rispetto ai servizi e ai luoghi di vita per tutti, la presenza del nucleo famigliare lo costringe a entrare in contatto con i servizi, a modificare i suoi progetti, a rivedere le modalità di relazione all’interno e all’esterno della famiglia. Molte sono le sfide che devono essere gestite nel momento del re-incontro dopo la parentesi della separazione che può essere durata anni. Ne citiamo alcune: • uno spazio nuovo da suddividere in maniera diversa e da condividere; • il progetto migratorio da riconsiderare nella sua durata, tempi, obiettivi; 77 • le relazioni affettive da ricostruire, a partire dai vissuti reciproci di “estraneità” sedimentati dalla distanza e dalla lontananza protratta; • le immagini reciproche da riconoscere e confrontare con le rappresentazioni che ciascuno ha elaborato durante l’assenza; • le aspettative e le illusioni da demolire o ridimensionare per far posto a nuove promesse e speranze da costruire insieme. Queste sfide nelle quali la famiglia ricomposta è impegnata incidono anche sull’inserimento scolastico e si manifestano, per i minori, come difficoltà a trovare il proprio posto nella classe e nell’apprendimento e per i genitori come inadeguatezza a sostenere il cammino di apprendimento del figlio in maniera efficace. Una migrazione nella migrazione Come abbiamo visto, l’inserimento del figlio nei servizi educativi e nella scuola del paese di immigrazione rappresenta per i genitori stranieri un evento cruciale, una tappa che modifica profondamente il progetto del nucleo e i legami tra le generazioni. Una sorta di ulteriore migrazione nella migrazione che richiede nuove forme di adattamento, autorizzazioni reciproche, aggiustamenti inediti tra perdite e guadagni/nuove acquisizioni. Il fatto che il figlio impari a leggere e a scrivere nella nuova lingua (e solo in questa), che diventi più competente e si senta maggiormente a suo agio nel mondo delle nuove parole e dei nuovi significati è certamente fonte di grande orgoglio e soddisfazione, ma è anche causa di timori per la perdita di legami, per la frattura nella storia famigliare e nella memoria del gruppo. Dal punto di vista linguistico e delle informazioni sul nuovo contesto, “il figlio lascia i genitori sull’altra riva”, come scrive Beneduce (Beneduce 1998). Avviene anche una rimessa in discussione dei propri ruoli e funzioni di genitori. Un genitore che è considerato e si considera inadeguato a capire i messaggi e contenuti e a rispondervi in maniera corretta, a sostenere il bambino nel labirinto dei nuovi apprendimenti, ad essere esempio e mediatore al suo fianco, e cioè un adulto competente e nella nuova lingua, e non un infans (letteralmente, colui che è senza parole) al quale tradurre e spiegare. La scuola, anche senza volerlo, mette a nudo le incapacità e gli impacci comunicativi dei genitori e disconosce le loro competenze e abilità acquisite altrove e qui poco spendibili. Quando i bambini varcano la soglia della struttura educativa del Paese ospite, l’orgoglio e le speranze si mescolano dunque ai timori, alle dife78 se, alla perdita di potere e di autorità. Come si struttura allora la relazione tra scuola e famiglie immigrate a partire da queste ambivalenti emozioni e aspettative? Nei confronti del modello educativo del Paese di immigrazione i genitori stranieri possono assumere atteggiamenti diversi, di: • chiusura, difesa, fino a forme di vero e proprio antagonismo; • distanza e percorso parallelo, senza conflitto e senza comunicazione; • delega, espressa attraverso accettazione passiva e subalterna; • collaborazione e partecipazione, anche attraverso la reinterpetazione e confronto. Il vissuto di dissonanza cognitiva che sperimenta chi si trova a vivere in una situazione di incoerenza con se stesso rispetto a quello che pensa (i suoi valori e i riferimenti) e a quello che fa (le scelte e gli aggiustamenti qui e ora, per sé e per i figli) può portare ad assumere comportamenti di auto-esclusione, passività, delega o, viceversa, di difesa e rifiuto. Naturalmente i diversi atteggiamenti non sono mai definiti una volta per tutte e la relazione quotidiana con chi educa i propri figli contribuisce a modificare i comportamenti, a superare barriere comunicative, a costruire spazi condivisi di ascolto e di comprensione reciproca. Il mediatore può cercare di modificare almeno un po’ la relazione tra la scuola e la famiglia, rassicurando coloro che si sentono minacciati, avvicinando coloro che camminano distanti e su strade parallele, aiutando a porre domande coloro che non hanno i mezzi linguistici per farlo. Modificando almeno un po’ la rappresentazione che i genitori possono avere interiorizzato della scuola e modificando anche l’idea che gli insegnanti hanno elaborato dei genitori stranieri, ritenuti spesso disinteressati, quando a volte può essere un vissuto di soggezione a marcare le distanze. La rappresentazione della scuola Quale immagine hanno i genitori stranieri della scuola italiana? Una ricerca condotta in città diverse della regione Emilia Romagna si è proposta, tra gli altri scopi, di indagare le rappresentazioni elaborate dalle famiglie immigrate. Per fare questo, ha dato la parola a un campione significativo di famiglie provenienti da cinque diversi Paesi: Senegal, Egitto, Ghana, Marocco e Albania (G. Giovannini 1999). Ecco, in sintesi, alcuni dei dati e delle riflessioni che sono emersi. I genitori stranieri intervistati hanno avuto differenti percorsi di scolarizzazione nei loro territori di origine, da pochi anni di scuola fino alla laurea. L’e79 sperienza personale, quindi, non sempre permette confronti approfonditi tra il contesto di provenienza e la scuola italiana e inoltre i dati di realtà, come è ovvio, si coniugano con le trasformazioni legate all’età e con le trasfigurazioni connesse all’esperienza dell’emigrazione. Provenienza territoriale e livello personale di scolarizzazione aiutano tuttavia a comprendere l’orientamento delle famiglie nei confronti dell’istituzione scolastica in generale e di quella italiana in particolare. Prevalgono le rappresentazioni della scuola di tipo strumentale, con attenzione soprattutto all’acquisizione delle conoscenze necessarie a inserirsi nella società e, in specifico, nel mondo del lavoro. Questo orientamento vale in modo particolare nei confronti della scuola italiana, alla quale non sembrano riconoscere una più ampia valenza formativo-valoriale. Si registrano tuttavia livelli diversificati di investimento attuale o potenziale nell’istruzione dei figli. Chi arriva in Italia con un titolo di studio superiore, indipendentemente dalla provenienza territoriale, prospetta con più forza per i propri figli una prosecuzione degli studi fino all’università, non solo per costruire per loro migliori occasioni di inserimento lavorativo, ma anche per conservare alto il proprio prestigio, soprattutto nei confronti della parentela lasciata in patria. Tra i diversi gruppi intervistati, l’investimento nell’istruzione è massimo tra gli egiziani, in continuità comunque con l’esperienza già vissuta o riscontrata nel Paese d’origine. Molti di loro sostengono di essere disposti anche a sostenere grossi sacrifici per garantire una formazione elevata ai propri figli e alcuni li iscrivono sia alla scuola italiana che a quella egiziana, per garantire entrambi i titoli di studio. Forte l’investimento in genere anche per gli albanesi che tendono, più degli altri gruppi, a riconoscere la validità dell’istruzione italiana, almeno rispetto a quella di cui si può usufruire attualmente in Albania. Più eterogenee sono le rappresentazioni e le aspettative dei senegalesi intervistati – quasi tutti con scarsa scolarizzazione – che spesso antepongono alla scuola e alla formazione culturale che in essa si può ricevere l’importanza della religione e del lavoro. Per quanto riguarda il confronto tra la scuola italiana e quella dei Paesi di provenienza, tutti i gruppi sono pronti a riconoscere alcune “superiorità” della prima, relative alla disponibilità di strutture, alla minore numerosità delle classi, ai materiali a disposizione. Ma, ad eccezione degli albanesi, che fanno riferimento soprattutto al decadimento attuale delle istituzioni formative nel loro Paese, il giudizio complessivo dei genitori intervistati sulla scuola italiana non sempre è del tutto positivo, sia pure per motivi diversificati. Le critiche riguardano soprattutto: • problemi di ordine valoriale e religioso. Si ritiene che la scuola italiana non sia in grado di “educare”, soprattutto non possa educare ai valori nei quali essi dicono di credere; 80 • il rispetto dell’autorità e della disciplina. È avvertita la preoccupazione che il tipo di rapporto insegnante-allievo diffuso nella scuola italiana pregiudichi anche l’apprendimento da parte del ragazzo dei tradizionali e indispensabili comportamenti di deferenza, rispetto e obbedienza nei confronti degli adulti e, in particolare, dei genitori. Non mancano tuttavia posizioni più ambivalenti in chi tende a rivedere la propria idea di infanzia a favore di una dinamica relazionale più “dolce” e paritaria tra bambino ed adulto; • problemi di acquisizione di competenze. Molti intervistati hanno sottolineato che la scuola italiana è meno impegnativa e selettiva di quella dei loro paesi, ma è soprattutto sulla formazione linguistica che si fermano le attenzioni. Accanto ad alcune richieste di avviare corsi che permettano ai figli di conservare la lingua materna, la volontà che emerge è quella di garantire attraverso la frequenza scolastica, oltre all’apprendimento dell’italiano, anche quella di altre lingue che siano spendibili fuori dall’Italia, alla ricerca, in sostanza, non di un bilinguismo, ma di un plurilinguismo. L’inglese, in particolare, è il codice linguistico maggiormente investito di aspettative e valore positivo poiché apre la possibilità di un ritorno nel paese di origine, ma anche di muoversi nel mondo con più strumenti e opportunità. Genitori sulla soglia I dati emersi dalla ricerca precedente sono di fatto confermati da un’indagine nazionale, condotta dal CNEL sulle aspettative delle famiglie straniere nei confronti del sistema scolastico italiano (CNEL 2009). Sono state prese in esame sei diverse situazioni locali (Milano, Torino, Treviso, Prato, Roma, Mazara del Vallo), intervistando docenti e genitori immigrati su tre grandi temi: • l’organizzazione della scuola multiculturale; • i contenuti curricolari; • le qualità della scuola. Per ognuno dei temi indagati, i colloqui hanno raccolto criticità e acquisizioni, indicazioni operative e proposte. Sul primo aspetto, quello dell’organizzazione scolastica, gli insegnanti e le famiglie concordano sul fatto che i temi/momenti in cui si presentano i problemi maggiori e che dovrebbero essere al centro dell’attenzione reciproca, sono quelli della comunicazione tra i due spazi educativi, dell’accoglienza degli alunni neo-arrivati (e delle loro famiglie); della valutazione degli apprendimenti, in itinere e finali, dell’orientamento alla prosecuzione degli studi. 81 Comune e trasversale a tutti i momenti è il tema della partecipazione dei genitori stranieri alla vita della scuola. Gran parte degli insegnanti ne lamentano la scarsità e stigmatizzano la distanza tra i due spazi e l’atteggiamento diffuso di delega. I genitori stranieri che tendono a stare “sulla soglia”, da parte loro, individuano le cause della loro debole e fugace presenza in ragioni diverse, di tipo culturale, legate all’asimmetria tra i due spazi educativi propria del modello scolastico tradizionale interiorizzato nel Paese di origine; di tipo organizzativo, dovute agli orari di lavoro, alla distanza tra scuola e casa e ai problemi di spostamento delle madri, in particolare; di tipo linguistico, connesse all’impossibilità di capire e di farsi capire. Questo atteggiamento di delega è più diffuso nei nuclei famigliari che si sono ricongiunti ad un certo momento in Italia; lo è in misura minore fra quelle famiglie che si sono costituite qui, i cui bambini, nati in Italia, hanno frequentato i servizi educativi per l’infanzia. I compiti a casa Una difficoltà dei genitori stranieri, che emerge spesso nella relazione tra scuola e famiglia e che è stata sottolineata dai mediatori che hanno fatto da tramite fra i due spazi educativi, è quella di poter seguire i loro figli negli studi nel tempo extrascolastico. Una delle variabili più importanti che determinano oggi la riuscita scolastica è costituita dal sostegno nello svolgimento dei compiti a casa, che gioca un ruolo essenziale nell’innalzare le chance e gli esiti. Oggi, più di ieri, un buon alunno è spesso chi può contare a casa sull’aiuto di un “buon genitore”. I dati emersi da una ricerca che ha coinvolto un numero molto significativo di alunni italiani e stranieri indicano che gli alunni italiani che non dispongono di un aiuto per i compiti a casa rappresentano il 23% del totale, mentre gli stranieri si differenziano alquanto sulla base della loro nazionalità e della lingua d’origine. Si è rilevato infatti che: • 50 ragazzi albanesi su 100 non hanno alcun aiuto; • 58 cinesi su 100 sono soli a casa dopo la scuola; • 42% dei marocchini; • 36% dei rumeni. (Dalla Zuanna e altri 2009) I genitori stranieri non sono in grado di sostenere i loro figli nello studio soprattutto per ragioni linguistiche, oltre che per la debole scolarità di 82 alcuni. Anche coloro che hanno frequentato la scuola a livelli alti nel Paese di origine e che sono diventati italofoni,tuttavia raramente sono in grado di padroneggiare la lingua dello studio, densa di termini settoriali e specifici, attraverso la quale vengono veicolati i contenuti del curricolo. D’altra parte, le famiglie straniere non hanno le risorse economiche per garantire ai figli un aiuto extrascolastico e chiedono quindi alla scuola di supportarli in questo compito di accompagnamento scolare. Più scuola, quindi: è una delle richieste maggiormente diffuse, come dimostra il frammento dal diario di mediazione riportato di seguito. Sono emigrato per far studiare mio figlio. Ho partecipato come mediatrice al colloquio con tre genitori cinesi che hanno i figli inseriti nella stessa classe prima media. Sono stati convocati dal dirigente scolastico con una lettera per discutere con loro del rischio di una bocciatura per i loro figli. La causa principale del possibile esito scolastico negativo va ritrovata nella scarsa competenza in italiano che i tre alunni hanno raggiunto. Uno dei genitori, dopo aver compreso che la scuola non dispone di risorse per attivare un corso specifico, ha fatto al proposta di organizzare per gli alunni cinesi di recente immigrazione un corso di italiano L2 a pagamento, a carico delle famiglie, in orario pomeridiano extrascolastico. L’insegnante ha risposto che avrebbe verificato la praticabilità della proposta. Alla fine del colloquio, il genitore che ha fatto la proposta ha detto agli insegnanti “sono emigrato anche per far studiare mio figlio” (dal diario di mediazione di J.B.). L’atteggiamento diffuso di delega e la scarsa partecipazione ai momenti formali degli incontri, a causa del quale spesso è stato richiesto l’intervento di mediazione, non si accompagnano sempre a basse aspettative nei confronti della scuola. Anzi, è vero il contrario. I genitori stranieri ripongono nella scuola italiana aspettative alte e vedono in essa il trampolino per un futuro lavorativo e sociale dei loro figli migliore del loro. Essi hanno un atteggiamento nei confronti dell’istruzione come mezzo di promozione e possibile “ascensore sociale” simile a quello diffuso in Italia negli anni ’50 e ’60, quando la scuola era vista come l’opportunità più grande per un futuro migliore. Anche per questo forte investimento, la loro valutazione rispetto ai contenuti proposti a scuola va nella direzione di una scuola più seria, meritocratica, prestativa. Durante alcuni colloqui di mediazione, alcuni hanno detto, ad esempio, che ci vorrebbe più tempo per le materie scientifiche e che il loro desiderio sarebbe quello di uno sviluppo trilingue: un figlio italofono, anglofono e competente nella lingua d’origine. La paura dell’insuccesso scolastico è forte e reale e si presenta con pregnanza diversa, rispetto ai vissuti dei genitori italiani. Non riuscire a scuola rappresenta un fallimento, una sorta di disastro, non solo per i figli, ma 83 per se stessi e investe il progetto stesso di migrazione, vanificando una delle ragioni importanti che erano alla base dell’esodo. Si emigra per sé, per la famiglia di origine, ma soprattutto per il futuro della propria famiglia e dei figli. A volte sono le difficoltà economiche, diffuse a causa della crisi attuale, a costringere a rivedere il progetto rispetto alla scuola dei figli e a ridurre le aspettative, come il caso di una famiglia egiziana testimonia. La mediatrice racconta: Sono intervenuta durante un colloquio tra la scuola e la famiglia per convincere un padre egiziano ad iscrivere la figlia all’istituto tecnico per il turismo. Gli insegnanti avevano consigliato questo tipo di orientamento perché la ragazza è molto brava e impegnata anche se è arrivata in Italia solo lo scorso anno. Il padre ha raccontato che le sue riserve sulla prosecuzione nella scuola superiore derivano dal fatto che ora lui ha perso il lavoro (faceva il muratore) e che la moglie non lavora e hanno un’altra figlia più piccola (dal diario di mediazione di A.M.). In alcuni casi, i genitori hanno raccontata ai mediatori episodi piccoli e grandi di discriminazione nei confronti dei loro figli, sia da parte dei pari in classe, sia da parte di alcuni insegnanti e di altri adulti. Anche per questi fatti e per un clima di distanza nei confronti degli stranieri che essi talvolta percepiscono, i genitori immigrati descrivono la loro relazione nei confronti della scuola e dei genitori autoctoni come un cammino segnato da passi avanti, soste, ripieghi, sconfitte. Disturbi di apprendimento M. è una bambina egiziana di nove anni ed è in Italia solo da tre mesi. Le insegnanti, che avevano difficoltà a relazionarsi con lei a causa del suo silenzio, hanno chiesto l’intervento della mediatrice per comunicare ai genitori la decisione di rivolgersi all’UONPIA. Sono infatti convinte che la bambina abbia dei deficit cognitivi. Durante il colloquio con i genitori è emerso che la bambina in Egitto aveva sempre avuto ottimi risultati scolastici e che quindi le sue difficoltà sono legate alla non comprensione dell’italiano e alla differenze negli stili di apprendimento che si riscontrano tra la scuola in Egitto e in Italia. Il colloquio è servito anche a contenere l’ansia degli insegnanti e a convincerle a dare più tempo alla bambina. A distanza di qualche mese, in occasione della consegna delle schede di valutazione, le insegnanti hanno sottolineato i progressi di M. e hanno espresso un giudizio positivo sull’andamento scolastico della bambina (dal diario di mediazione di T.H.). Un altro tema ricorrente negli incontri mediati tra insegnanti e genitori è stato quello della segnalazione all’UONPIA di alunni cinesi neo arrivati, che la scuola tende a praticare. In alcuni casi, vi è stato un rifiuto, a volte anche veemente, da parte delle famiglie, che considerano questo tipo di proposta offensiva, Sia nella 84 comunità cinese immigrata in Italia, che in Cina, non vi è infatti la consuetudine di ricorrere ad una consultazione psicologica o psichiatrica. Coloro che si avvalgono di strutture di questo tipo sono persone che hanno problemi gravi e conclamati di tipo psichiatrico o disabilità evidenti. Da una parte, vi sono quindi gli insegnanti che considerano normale ricorrere al parere di specialisti e agli esiti di un test; dall’altra parte dei genitori che considerano questa proposta discriminante (dal diario di mediazione di J.B.). La segnalazione al servizio di neuropsichiatria infantile di alunni stranieri per disturbi di apprendimento ha registrato un forte incremento negli ultimi anni, sia a Milano che altrove. Un esempio di questa tendenza ci viene dai dati relativi agli ultimi anni scolastici rilevati a Seriate, in provincia di Bergamo, nell’ambito del progetto FARE delineano chiaramente la tendenza in atto. Nel 2006, le segnalazioni al servizio sono state 462 e sono diventate quattro anni dopo 688, con un incremento percentuale di quasi il 50%. Ma quelle che sono aumentate in maniera forte sono le segnalazioni che riguardano i bambini stranieri, passate da 54 a 178, con un incremento del 230%. Tutte le richieste di consultazione dei bambini stranieri vengono inoltre fatte dalla scuola. Dopo la consultazione si riscontra inoltre che solo il 12% dei bambini segnalati risulta avere problemi di tipo neuropsichiatrico/neuropsicologico, mentre nel 78% dei casi restanti si tratta per lo più di difficoltà legate alla fase di disorientamento dopo l’arrivo, all’acquisizione della seconda lingua, alla perdita dei legami affettivi e alla fatica di ricostruirli altrove. Il rischio che si osserva oggi è dunque quello di una sovrageneralizzazione dei “disturbi di linguaggio e di apprendimento” che porta a classificare come tali anche difficoltà transitorie proprie di una certa fase e di un cammino dentro la seconda lingua. Se per un certo periodo dopo l’arrivo i bambini stranieri non comunicano con i pari e con gli adulti, questo non è sintomo di disagio, ma è una fase di silenzio durante la quale il bambino è impegnato a capire, memorizzare, immagazzinare parole frasi ricorrenti e diffuse. Se dopo qualche tempo di inserimento scolastico, l’alunno è sufficientemente fluente nella comunicazione interpersonale di base, ma ha ancora difficoltà a capire i testi di studio, a leggere e a scrivere in italiano, non significa che vi sono problemi cognitivi e di apprendimento, ma che un ostacolo è stato superato (quello dell’apprendimento dell’italiano per comunicare) ma che un altro, ben più pesante, deve essere affrontato ed è quello della lingua dello studio, codice veicolare per comprendere e verbalizzare i con tenuti del curricolo comune. In queste situazioni che cosa può fare il mediatore? Nei confronti degli insegnanti, può contribuire a dare elementi di conoscenza dell’alunno che possono indirizzare meglio le scelte. Può informa85 re sulla storia scolastica nel Paese d’origine e delineare le competenze che l’alunno possiede nella lingua materna, orale e scritta. Questo può far capire alla scuola che i problemi, in molti casi, riguardano soprattutto l’apprendimento della seconda lingua, il superamento dei diversi stadi di interlingua, le difficoltà fonologiche dovute alla distanza fra gli idiomi, i problemi di scrittura dovuti alla competenza in un altro alfabeto. E non sono sempre segni di deficit cognitivo generale. Nei confronti dei genitori, il mediatore può presentare i servizi del territorio e spiegarne le ragioni e il funzionamento, aiutando così le famiglie a superare paure e timori di etichettamento che alcune richieste possono scatenare. Mediare, non espropriare Z.R. frequenta la prima media, ha dodici anni, è in Italia da sei anni circa e conosce bene l’italiano. Il ragazzo viene chiamato dalla famiglia a fare da interprete in occasione dell’arrivo in Italia e dell’orientamento scolastico di una cugina quattordicenne. Racconta alla mediatrice che spesso viene utilizzato come interprete dalla madre, la quale, pur se in Italia da anni, non parla l’italiano. Avverte come un peso la responsabilità di questo compito e dice che a volte con capisce quello che deve fare o dire perché non conosce i termini e i significati delle cose che vengono dette in determinate situazioni formali e di relazione con i servizi. Durante questo racconto si mette a piangere (dal diario di mediazione di J.B.). In una scuola elementare di Milano con una forte presenza di alunni immigrati è il momento della consegna della scheda di valutazione del primo quadrimestre. Per risolvere il problema di comunicazione con i genitori stranieri (molti di loro conoscono poco o affatto l’italiano), gli insegnanti si sono organizzati in questo modo: hanno chiesto ai bambini di tradurre i contenuti della “pagella” ai loro stessi genitori. Il colloquio a tre è dunque “mediato” dal figlio: l’insegnante parla, il bambino traduce (?) al proprio genitore, il quale resta di fatto in silenzio. Una soluzione apparentemente pratica, salutata come positiva anche dalla stampa (il titolo del giornale recitava infatti: “I bambini traducono la pagella per i loro genitori») che in realtà rischia di creare più problemi di quanti cerchi di risolvere. Il momento della valutazione è infatti un evento cruciale nella relazione tra scuola e famiglia, che rimanda a cornici di senso che hanno a che fare con l’autorità, la responsabilità, la collaborazione tra i due spazi educativi. In questa situazione, il minore è al centro della relazione, ma lo è in un ruolo giustamente asimmetrico. Metterlo sullo stesso piano degli adulti, as86 segnandogli di fatto il “potere linguistico” nei confronti dei propri genitori, significa praticare e sostenere una sorta di inversione dei ruoli familiari, dal momento che sarà il genitore a diventare infans, letteralmente “colui che non sa parlare. Sorgono inoltre altri dubbi: quali informazioni saprà/ vorrà tradurre il bambino ai suoi genitori? In una classe terza media si tratta il tema dell’orientamento per la prosecuzione degli studi nella scuola superiore. Vi sono incontri con esperti, con le scuole secondarie della zona, colloqui individuali per capire le preferenze e le motivazioni dei ragazzi… Pian piano il quadro si compone e si mettono insieme: le attese familiari e i progetti futuri, le inclinazioni degli alunni e le loro capacità, le informazioni su quella specifica scuola e sulla proposta di formazione che offre, i suggerimenti e i consigli degli insegnanti. Un lavoro delicato e complesso che spesso i ragazzi stranieri si trovano a gestire in solitudine. I genitori di M., ad esempio, non sono in grado di sostenere la figlia in questo passaggio: hanno poche risorse linguistiche e informative, si limitano a chiedere una scuola precocemente professionalizzante, nonostante i risultati brillanti della ragazza. Anche la madre di Z. delega al figlio la scelta della scuola superiore: in Cina i percorsi formativi dopo la terza media sono più omogenei ed è difficile scegliere con consapevolezza. Anche in questo caso, si tratta di sostenere con efficacia delle scelte formative, di migliorare il livello di informazione, di prefigurare possibilità e vincoli per costruire progetti positivi di integrazione. E il ruolo del mediatore può aiutare a chiarire dubbi, far emergere progetti e domande, prefigurare il futuro. La mediazione nei confronti famiglia facilita lo scambio, mette in comunicazione le due parti, avvicina le famiglie alla scuola e viceversa. Ma l’intervento di mediazione deve contribuire anche a rafforzare il ruolo dei genitori stranieri, a renderli protagonisti delle scelte e non soggetti sullo sfondo ai quali comunicare decisioni già prese. Uno dei rischi che può essere visto nella comunicazione mediata è proprio quello di ridurre l’autonomia e il prestigio di coloro che non padroneggiano la lingua veicolare e che devono trovare un portavoce e un traduttore che parli al loro posto. I genitori stranieri rischiano spesso di vedere ridotto o messo in crisi il loro ruolo genitoriale: da figli linguisticamente e culturalmente più competenti; da servizi e operatori che vivono con fatica la gestione di relazioni non del tutto fluide e immediate; dalle rappresentazioni veicolate all’esterno che tratteggiano il “buon genitore” in maniera diversa da come essi possono viverlo. E anche la scuola, può, senza volerlo, mettere a rischio l’autorità dei genitori stranieri allorquando esprime ad alta voce e davanti ai figli le difficoltà a comunicare con la famiglia, le inadeguatezze, le assenze e le distanze tra i due spazi. 87 Un bravo mediatore deve essere in grado di dare parola a chi non sa (ancora) dire e tuttavia far sì che questi rimanga al centro della relazione. Interlocutore “mediato”, ma non espropriato del proprio ruolo, della propria autorità e storia. Testi citati Beneduce R. (1998), Frontiere dell’identità e della memoria, FrancoAngeli, Milano. CNEL (2009), Le aspettative delle famiglie immigrate nei confronti del sistema scolastico italiano, Cid. Dalla Zuanna G., Farina P., Strozza S. (2009), Nuovi italiani, I giovani immigrati cambieranno il nostro paese?, Il Mulino, Bologna. Favaro G. (0000), I mediatori linguistico-culturali nella scuola, EMI, Bologna. Giovannini G. (1999), 88 5. In ascolto dei bambini e dei ragazzi: quando i mediatori “traducono” storie di Graziella Favaro A volte chiudo gli occhi e provo a immaginare di involarmi, di abbandonare il mio corpo, la mia vita. Assecondando il mio desiderio inespresso di piombare in un’altra vita, non questa, una più facile, più lineare. Una famiglia come le altre, tutte quelle che le stanno attorno. Una religione che non ha bisogno di essere difesa, spiegata, mediata ogni giorno. Un’identità chiara, precisa, uniforme. R. Ghazy, 2007 Dentro e fuori dai confini “Questi bambini viaggiano troppo da un Paese all’altro e stanno troppo tempo da soli. Questo ‘troppo’ comincia a pesare nella loro storia; la fragilità non emerge subito, all’inizio della scuola, ma di solito quando sono in quarta o in quinta”. Troppo erranti e troppo soli: in questo modo un’insegnante coinvolta nel progetto Mediante descrive i bambini stranieri e le loro vulnerabilità. Nelle loro biografie sembrano pesare soprattutto due elementi: il viaggio di migrazione, a volte reiterato nelle numerose storie di pendolarismo tra i due contesti, con le inevitabili separazione affettive che esso comporta, e la situazione di solitudine che molti di loro vivono nel nuovo paese. Anche i mediatori riportano le difficoltà dei minori di recente immigrazione, soprattutto dei ragazzi in età preadolescenziale, e offrono uno sguardo più “interno” sull’infanzia che migra. Essi sono stati chiamati a intervenire nelle scuole per facilitare la relazione tra l’insegnante e gli alunni stranieri soprattutto in due casi: l’inserimento di ragazzi neo arrivati e il colloquio individuale con minori che manifestavano forme più o meno evidenti di disagio, perdita di interesse, demotivazione, silenzio. Nelle pagine che seguono, proponiamo dei frammenti di storie d’infanzia a partire dai diari di mediazione raccolti nell’ambito del progetto. 89 Y. ha quasi dieci anni ed è un chiaro esempio del pendolarismo dei bambini stranieri, dal momento che ha già attraversato i confini di quattro Paesi. È nato in Brasile dove è cresciuto con i nonni e ha iniziato la scuola. A sette anni ha raggiunto i genitori in Portogallo e vi è rimasto solo per pochi mesi senza mai frequentare la scuola. Da lì il nucleo famigliare si è spostato in Spagna dove il bambino ha frequentato la quarta e la quinta e infine, da quattro mesi, genitori e figlio sono arrivati in Italia. Y. è stato inserito in quarta, ma è più grande dei suoi compagni, sia fisicamente che per la sua maturità e le sue esperienze di piccolo migrante. In classe disturba e gioca e gli insegnanti non riescono a comunicare con lui e per questo è stato chiesto l’intervento della mediatrice. Durante il colloquio, sono emerse le difficili condizioni della famiglia: vivono in un monolocale senza riscaldamento, la madre non ha trovato lavoro e il padre fa saltuariamente il muratore. Inoltre il bambino, che frequenta una classe a tempo pieno, torna ogni giorno a casa per il pranzo perché la famiglia non è in grado di pagare la mensa scolastica. La madre è molto preoccupata e parla continuamente di un ritorno in Brasile… Dopo le vacanze di Pasqua, Y. non è più tornato a scuola; la famiglia è stata contattata più volte telefonicamente ma senza alcuna risposta (dal diario di mediazione di A.D.C.). Z. è una bambina cinese di otto anni, da poco tempo in Italia e inserita in terza elementare. Le insegnanti chiedono l’intervento del mediatore perché la bambina sta sempre in silenzio; risponde solo “sì” o “no” con un cenno della testa e non riesce a seguire il ritmo della classe. Viene chiamato il padre il quale racconta che la bambina è cresciuta con la nonna paterna e che in Cina era inserita per tutta la settimana in una scuola/collegio dalla quale usciva solo il sabato e la domenica. Dopo il colloquio mediato con il padre, questi si attiva per trovare un’insegnante che possa seguire privatamente la bambina. Si notano in seguito a questo dei miglioramenti e Z. comincia piano piano a far sentire la sua voce in classe… Alla consegna della pagella il padre ha comunicato che la bambina rientrerà in Cina perché la nonna reclama la presenza di Z. al suo fianco e i genitori non possono opporsi al suo desiderio in nome della tradizione culturale (dal diario di mediazione di Z.X.). Come nelle storie di Y. e Z., nelle vicissitudini dei bambini e dei ragazzi della migrazione, il viaggio e le separazioni affettive sono elementi ricorrenti. Essi segnano profondamente gli eventi e scandiscono uno snodo biografico cruciale che fa da spartiacque tra il “prima” e il “dopo”. Vi è il distacco precoce, a volte protratto nel tempo, dal genitore/dai genitori che sono emigrati per primi, particolarmente acuto e doloroso quando si tratta della madre. Avviene poi la rottura dei legami con le figure di attaccamento che nel frattempo avevano preso il posto dei genitori espatriati e che sono, in genere, i parenti stretti come i nonni e gli zii. E vi è l’abbandono del gruppo dei pari – cugini, compagni di scuola, amici del cuore – con i quali si sono condivisi i sogni, le avventure, le conquiste e le delusioni. 90 Quando i bambini e i ragazzi arrivano in Italia, portano con sé l’esperienza e i vissuti delle molteplici separazioni e perdite che hanno dovuto attraversare. Il viaggio di ricongiungimento diventa allora un’esperienza densa di ambivalenze: carica, da un lato, di aspettative e attese e, dall’altro lato, resa dolorosa dal vissuto di frattura, rispetto alla propria storia, agli affetti e ai legami che hanno popolato fino a quel momento la vita quotidiana e riparato le assenze. Viaggiatori che spesso non hanno deciso di partire, ma che si trovano all’improvviso catapultati in una parte diversa del mondo, senza che vi sia stata alcuna preparazione al distacco, i minori immigrati attraversano molteplici passaggi e transizioni: dal paese di origine a quello che li ospita, dalla cultura famigliare a quella della scuola; dal mondo interno e della dimora, a quello esterno, del nuovo ambiente; dai suoni permeanti e affettivi della lingua madre alle parole indecifrabili della seconda lingua (Favaro 2011). I frammenti delle loro biografie e i racconti del viaggio svelano la fatica di chi si trova a vivere – per un periodo più o meno lungo – senza potersi riconoscere, ed essere riconosciuti, nella propria storia. Molti vivono la migrazione come un evento drammatico: non hanno scelto di partire, non sanno bene dove si trovano, quale sia la distanza dal loro paese, non capiscono il senso dei cambiamenti improvvisi che si verificano intorno a loro. L. e R. Grinberg catalogano la migrazione come un vero e proprio trauma e scrivono: Riteniamo che il concetto di trauma debba essere riferito, non solo a un fatto isolato e unico, ma a situazioni più o meno prolungate nel tempo, come deprivazioni fisiche o affettive, separazioni dai genitori, reclusioni, ospedalizzazioni o migrazioni… Crediamo quindi che la migrazione, in quanto esperienza traumatica possa essere compresa nella categoria dei cosiddetti traumi “accumulativi” o “da tensione”, con reazioni non sempre esplosive o manifeste, ma dagli effetti profondi e duraturi (L. e R. Grinberg, 1990). Nella prima fase dopo l’arrivo, prevalgono, in genere, nei minori venuti da lontano la nostalgia per il paese d’origine e la resistenza nei confronti del nuovo ambiente e si possono riattivare le ansie e le paure di essere nuovamente abbandonati dai genitori e di restare da soli in luoghi sconosciuti e ostili. Di fronte alla necessità e all’urgenza di darsi delle risposte e allo smarrimento di trovarsi fuori luogo, alcuni possono ricostruire l’esperienza di migrazione in maniera fantastica, proponendo improbabili motivazioni del viaggio, descrivendo genitori irreali ed elaborando altri “romanzi famigliari”. Prima di partire molti avevano elaborato un’idea dell’Italia come El Dorado, un luogo nel quale “puoi vincere milioni rispondendo a una domanda facile facile”, come racconta Amir, un ragazzo albanese di dodici anni e si trovano a vivere in case anguste, sovraffollate o isolate, per certi aspetti peggiori di quelle in cui avevano abitato fino a quel momento. La 91 delusione è compensata almeno in parte dagli oggetti che i genitori acquistano per loro (giocattoli, vestiti…) e che dovrebbero risarcirli della perdita delle illusioni. Soli per il mondo In tutti i resoconti degli interventi di mediazione che hanno coinvolto direttamente i minori, il tema della solitudine di questi ultimi è ricorrente e diffuso. Anzi, a volte è una delle ragioni che spingono la scuola a richiedere l’intervento del mediatore. Solitudine reale, legata all’assenza delle figure genitoriali nel tempo extrascolastico a causa dei loro orari di lavoro e solitudine e solitudine percepita e originata, da un lato, dal vissuto di perdita dei legami affettivi e amicali che sono rimasti nel paese d’origine e, dall’altro lato, dalla sensazione di essere esposti senza protezione agli ostacoli, alle sfide, alla nuova lingua. Soprattutto le storie di gran parte dei bambini e dei ragazzi cinesi che emergono dai diari di mediazione, disegnano una diffusa condizione di isolamento. Due mediatori di lingua cinese raccontano a questo proposito: Ho fatto un colloquio telefonico con un ragazzo cinese inserito in terza media. Gli insegnanti hanno chiesto questo intervento perché l’alunno era assente da tempo e non si avevano notizie. Durante la telefonata è emerso che i genitori sono andati a vivere a Venezia per lavoro mentre lui è rimasto a Milano, ma non si sa a chi è affidato. A. è arrivato in Italia nel gennaio 2011 ed è inserito in prima media… Il problema del ragazzo, come quello di tanti altri minori cinesi, è che è lasciato a se stesso, non c’è nessuno in grado di aiutarlo, o perlomeno di incoraggiarlo e controllarlo, perché i genitori lavorano in un ristorante. In classe finora non ha legato con nessun compagno italiano e fuori dalla scuola vede solo amici cinesi. Gioca molto con i videogiochi o chatta in social network cinesi. A parte la scuola, non c’è nessun luogo in cui il ragazzo si trovi nella condizione di voler/dover parlare in italiano (dal diario di mediazione di J.B.). La solitudine extrascolastica è riempita spesso per i ragazzi stranieri dai contatti a distanza con gli amici rimasti in patria e da internet, senza tuttavia che nessuno sia in grado di controllare e proteggere i minori dalle insidie e i pericoli che essi possono incontrare navigando tra i siti. La storia di E. è un esempio di questi rischi. E. è una bambina filippina di 11 anni inserita in quinta. Le insegnanti chiedono l’intervento della mediatrice perché hanno osservato in lei comportamenti “da adulta” e si sono allarmate. Durante il colloquio è emerso che la bambina ha un profilo su facebook con una foto in atteggiamento non adatto alla sua età. Passa 92 molto tempo, anche fino a mezzanotte, su internet a chattare con gli amici di facebook. La madre non è in grado di controllare quello che fa sua figlia e con chi chatta (dal diario di C.C.). La migrazione dei bambini e dei ragazzi si traduce per molti in un evento faticoso che segna in maniera profonda la loro storia e l’identità personale. I cambiamenti sono molteplici e improvvisi, le fratture inevitabili, i compiti ai quali fare fronte nel paese di accoglienza appaiono, in un primo tempo, ardui e sembrano al di fuori della propria portata. I distacchi e gli aggiustamenti devono inoltre essere gestiti e affrontati in solitudine senza poter contare spesso sull’appoggio efficace dei famigliari o del gruppo dei pari. I genitori tendono infatti si trovano spesso nella condizione di non riuscire ad aiutarli, dato che non padroneggiano la lingua e non conoscono le regole implicite, le aspettative e i messaggi degli spazi educativi, della scuola e dei luoghi di socializzazione. Tutte le loro risorse, materiali ed emotive, sono state fino a quel momento mobilitate per portare a compimento il ricongiungimento della famiglia e il momento della ricomposizione viene visto come un traguardo, un approdo, la fine di un percorso defatigante, e non invece come un nuovo inizio che implica fatica, attenzioni costanti per riallacciare fili e legami che sono diventati per forza di cose labili e discontinui durante l’assenza. I genitori possono inoltre avere difficoltà ad assumere il ruolo di esempio e di mediatore tra lo spazio interno, famigliare e quello esterno; di iniziatore del nuovo viaggio, reale e simbolico. Non sempre riescono a elaborare un sistema adeguato di protezione dei figli e a presentare loro, per dirla con Winnicott il nuovo mondo che li accoglie “a piccole dosi”. Così i bambini e gli adolescenti della migrazione sembrano doversi confrontare “con una singolare forma di solitudine e diventare quasi demiurghi di se stessi e del proprio destino… Il bambino figlio di immigrati, per la particolarità di rapporto con il nuovo ambiente culturale, non meno che con quello originario della propria famiglia, è come se fosse fatto di “un’altra pasta, forgiato con un altro metallo”. Pertanto, mentre da un lato egli si trova a dover gestire da solo l’esperienza della migrazione, dall’altro sente di essere diverso da quanti fra i suoi famigliari lo hanno preceduto e da quanti lo seguiranno” (Beneduce 1998). L’esperienza della migrazione può allora tradursi in una condizione di maggiore vulnerabilità psicologica. Vulnerabilità e sfide Quando entrano in classe, i bambini e i ragazzi immigrati si trovano alle prese con sfide e compiti importanti e ardui: l’apprendimento della nuova 93 lingua, il riorientamento nello spazio e nel tempo, la necessità di decodificare le regole implicite ed esplicite che regolano le relazioni e i ruoli nella classe. Ma sono anche alle prese con il marasma emotivo che il viaggio di migrazione comporta, con i vissuti di perdita, da un lato, e con le difficoltà di ritessere legami affettivi con i genitori/quasi estranei, dall’altro. Al momento dell’inserimento, la scuola tende a registrare i bisogni linguistici e le necessità di apprendimento, ma non sempre vi è la consapevolezza dei vissuti di disorientamento e di nostalgia che connotano questo momento di passaggio. Negli studi sulla migrazione infantile, il concetto di vulnerabilità viene utilizzato di frequente e serve a designare uno stato di minore resistenza agli eventi e ai fattori nocivi: “Chi è stato ferito diviene ansioso, irritabile, rivede le immagini del pericolo, il più piccolo evento risveglia la memoria del trauma e fa ritornare la sofferenza” (Cyrulnik 2009). Il concetto di vulnerabilità, dinamico e aperto, sta dunque a indicare, non tanto un disagio, quanto un rischio e una possibilità. Esso ha origini multifattoriali e serve dunque anche a sottolineare la responsabilità e il ruolo che la famiglia, il contesto di accoglienza e i servizi hanno nel creare le condizioni che prevengano o attenuino tale rischio. La metafora delle tre bambole Per rappresentare la situazione di vulnerabilità, esprimerne la variabilità da un soggetto all’altro e individuare i fattori che la causano, viene spesso proposta la metafora delle tre bambole che cadono sul pavimento. La prima è fatta di vetro, la seconda di plastica e la terza di acciaio. Tutte e tre ricevono un colpo di uguale intensità e sono dunque esposte allo stesso rischio, ma il risultato in termini di vulnerabilità sarà differente: la bambola di vetro si romperà, la bambola di plastica porterà una cicatrice indelebile e quella d’acciaio ne uscirà indenne. La metafora delle tra bambole è stata più volte ripresa in maniera critica e articolata, evidenziando anche i riferimenti al contesto e alle altre variabili, non solo di natura individuale. In tal senso, Manciaux osserva che “quando si lascia cadere la bambola, essa si romperà più o meno facilmente secondo: • la resistenza del materiale di cui è fatta: vetro, plastica o acciaio; • la natura del pavimento: di cemento o di sabbia; • la forza del colpo: dato per negligenza o per calcolata aggressione. Il pavimento rappresenterebbe allora l’ambiente, il colpo l’evento traumatico e la resistenza del materiale, il livello di vulnerabilità individuale (citato in M. Anaut 2003). 94 Marie Rose Moro utilizza un’altra immagine per spiegare la vulnerabilità specifica dei minori che attraversano i confini e che sperimentano il passaggio da un mondo all’altro: quella del bambino “esposto”. La mitologia riporta numerosi esempi di bambini esposti ad un pericolo, lasciati in balia degli eventi o affidati ai flutti dentro un canestro. “Se il bambino supera il rischio, diviene un eroe. Ritroviamo il concetto di esposizione nelle leggende di Dioniso, Mosè, Paride, Perseo, ma anche naturalmente nel mito di Edipo. L’esposizione è in un certo senso un’acculturazione brutale, una costrizione a cambiare, un obbligo alla metamorfosi” (Moro 2001). La stessa studiosa individua soprattutto tre momenti critici nella vita dei bambini migranti durante i quali essi sono più vulnerabili. Essi sono: • la prima infanzia, in particolare i primissimi anni di vita, soprattutto a seguito della separazione precoce dalla madre o di interazioni problematiche tra madre e figlio; • l’ingresso nella scuola e l’apprendimento della lingua scritta; • la fase dell’adolescenza. Le relazioni con i pari Essere inserito e accettato nel gruppo dei pari è una condizione fondamentale perché un bambino o un ragazzo si sentano parte della classe e della sua storia. Ed è importante anche per poter apprendere; nessuno infatti riesce a imparare davvero se non si sente accolto, se non ha trovato il suo posto nella scuola, se sente di essere ai margini delle relazioni e degli scambi amicali. La presenza dei mediatori dentro la scuola ha fatto sì che i bambini e i ragazzi stranieri potessero “buttare fuori” episodi piccoli o grandi di rifiuto nei loro confronti e che venissero a galla vissuti di distanza e di marginalità relazionale, come i frammenti tratti dai diari di mediazione testimoniano. Durante il colloquio previsto alla fine del quadrimestre per la consegna ai genitori della scheda di valutazione, l’insegnante ha comunicato ai genitori le assenze eccessive di C. ma si è scoperto che i genitori ignoravano del tutto la situazione. È seguito un colloquio con il bambino, il quale ha raccontato in cinese che alcune mattine prende lo zaino e va al parco a leggere e poi ritorna a scuola al momento dell’uscita. Si assenta volontariamente da scuola perché non sopporta più gli scherzi e gli insulti pesanti di alcuni compagni di classe che lo hanno preso di mira e che durano da tempo. Gli insegnanti non si erano accorti del problema (dal diario di mediazione di H.D.). 95 S. ha dodici anni e viene inserito a due mesi dalla fine della scuola in una classe quinta, ovviamente senza comprendere né parlare in italiano. Vengo chiamata dopo che il bambino ha avuto una nuova crisi di pianto in classe e ha riferito alla sorella di essere stato picchiato dai compagni. S. ha un’ottima conoscenza dei contenuti di matematica; anzi dimostra un livello superiore a quello della classe, ma ha grandi difficoltà in italiano. Per questo motivo, gli insegnanti hanno predisposto per lui un programma facilitato e gli dedicano alcuni momenti di attenzione durante la giornata. Tutto ciò lo rende inviso ai compagni che lo considerano un “diverso” e in più coccolato dagli insegnanti. Va detto che S. è inserito in una classe molto vivace dove spesso i maschi ricorrono a pugni e calci. Il bambino è diventato un bersaglio, tanto che un giorno un compagno, non visto dall’insegnante ma sotto i miei occhi, gli sputa in faccia. Il bambino ha confessato che conta i giorni che mancano alla fine della scuola (dal diario di mediazione di J.B.). Il motivo alla base della richiesta di mediazione sta nella situazione di isolamento che vive A., un bambino marocchino di 11 anni. Le bambine della classe manifestavano verso di lui un rifiuto totale e questo provocava la derisione dei compagni maschi. A. reagisce chiudendosi sempre di più in se stesso. Sono intervenuta accanto all’insegnare per un lavoro con tutta la classe per raccontare la storia di A. e suscitare l’interesse dei bambini sulla provenienza e la lingua del loro compagno di classe (dal diario di T.H.). Nonostante gli appelli all’amicizia, i richiami delle insegnanti alla solidarietà e all’accoglienza di tutti, si stanno diffondendo fra i bambini e i ragazzi piccole e grandi tensioni “razziali”, episodi spiccioli e quotidiani di discriminazione e di rifiuto nei confronti dei compagni stranieri. Soprattutto nei momenti di minor controllo, durante i tempi del gioco, dell’aggregazione spontanea, dello spostamento libero nello spazio vengono a galla e prendono forma le parole e i gesti della distanza. In questi interstizi di maggiore libertà, più informali e meno strutturati, dove si allenta un po’ la vigilanza degli adulti e lo sguardo degli insegnanti è meno attento e giudicante, possono emergere pulsioni e atteggiamenti in altri casi tenuti sotto controllo (Favaro 2011). Raramente i minori, soprattutto gli adolescenti, parlano agli insegnanti degli episodi di discriminazione piccoli o grandi che essi vivono e cercano da soli di sopravvivere con strategie diverse, in questi casi, intradirette e autolesioniste: le assenze di C., le crisi di pianto di S., la chiusura di A. La presenza di un mediatore può consentire al bambino di far emergere questi vissuti e far sì che la scuola presti maggiori attenzioni ai modi dell’incontro e delle amicizie fra bambini. 96 Vicinanze e distanze Il tema delle relazioni fra bambini che hanno origini storie differenti nella situazione attuale di multiculturalità, è cruciale sia nelle scuole che nei luoghi dell’aggregazione e dell’incontro in tempi extrascolastici. Su questi temi, in Italia sono ancora poche le ricerche e gli studi, anche se il futuro e la coesione delle nostre classi e comunità passano dalla qualità degli scambi elettivi e amicali fra gruppi e persone di origini diverse. In questi vent’anni di pratiche di integrazione nella scuola italiana diventata in fretta multiculturale e plurilingue, sono stati messi al centro soprattutto i bisogni e i dispositivi di accoglienza, l’insegnamento dell’italiano come seconda lingua, la facilitazione dei contenuti curricolari comuni. Un approccio soprattutto di tipo “compensatorio” che presta ancora poca attenzione alla dimensione relazionale dell’integrazione, ai modi e alle forme della quotidiana convivenza fra bambini e fra adulti con storie e riferimenti differenti. Dalla parte dei bambini appartenenti al gruppo “maggioranza”, i modi e i gesti attraverso i quali essi manifestano la distanza hanno a che fare soprattutto con due dimensioni: quella fisica, del corpo e delle differenze somatiche e quella sociale e culturale, legata alla rappresentazione dell’altro. In altre parole, quello che Abdelmalek Sayad (1999) ha chiamato lo stigma dell’immigrazione, cioè, riprendendo le ricerche di E. Goffman, quei tratti fisici o sociali che funzionano come un vero e proprio “marchio” impresso su alcuni individui e su alcuni gruppi. I tabù rispetto al contatto fisico con i bambini somaticamente differenti rappresentano un elemento sempre più ricorrente e al quale prestare attenzione nelle dinamiche delle classi multiculturali. Nel mondo dei bambini la complicità e l’amicizia si esprimono quasi sempre attraverso la condivisione di una vicinanza corporea. La dimensione fusionale delle amicizie infantili appare in maniera immediata attraverso i gesti, il contatto, la prossimità. Così, tenere la distanza fra sé e il corpo dell’altro, aver paura della contaminazione degli oggetti da parte del compagno nero si caricano di una pienezza simbolica che rende esplicita la vulnerabilità dell’Io. Come racconta una bambina marocchina in un recente libro (Caliceti 2010): “All’inizio c’era una cosa che a me dava fastidio quando sono arrivata in questa scuola. Subito nessuno voleva sedersi vicino a me, andavano via, mi evitavano. Se una maestra mi chiamava e io mi alzavo, un bambino metteva il naso sulla sedia e faceva delle smorfie; faceva finta che puzzavo per far ridere gli altri”. Naima ricorda con dolore il suo corpo estraneo di bambina arrivata qui da lontano e le forme della distanza nei suoi confronti. 97 Essere un bambino nero, o un bambino somaticamente diverso, non corrispondente all’idea comune di “bello” è un’esperienza che comporta sofferenza e vissuti di distanza. Ma non solo il colore della pelle o la forma degli occhi possono creare barriere. Anche l’appartenenza ad un contesto o ad una nazionalità che nel tempo si sono caricati di rappresentazioni negative può provocare distanze e confini. Ma che cosa succede oggi dentro le classi multiculturali e plurilingui? Come si stabiliscono le interazioni fra i bambini italiani e stranieri? Da una rassegna delle ricerche, relative ai legami di amicizia nelle scuole britanniche fra alunni di etnia differente, curata da Tomlinson alcuni anni fa era emerso che i bambini mostravano preferenze per le relazioni con i pari dello stesso gruppo fin dalla prima infanzia (Tomlinson 1983). In genere, queste ricerche si basavano su tecniche sociometriche (sociogramma, questionari, rilevazione delle scelte e preferenze in situazioni di socialità diverse…) e tendevano, nell’analisi, a raggruppare i bambini per etnia e gruppi omogenei di appartenenza. Nella realtà, tuttavia, le cose sono più fluide e succede che i bambini indichino preferenze o esclusioni verso un compagno, non tanto perché è cinese, marocchino o rumeno… ma sulla base di attributi personali: perché è silenzioso o loquace; timido o aperto; aggressivo o gentile (Troyna e Hatcher 1993). Le relazioni possono inoltre variare secondo le situazioni di contatto e dispiegarsi in maniera diversa a scuola o nel tempo libero, nelle attività sportive o in un gruppo di studio. Alcuni eventi, in cui i minori stranieri possono manifestare competenze, saperi e saper fare fino a quel momento nascosti, possono diventare per loro occasioni di sblocco e di incontro; altri invece, che sollecitano competitività, conformismo, adeguamento a un “modello”, possono sospingere ai margini delle relazioni i minori più vulnerabili. L’essere straniero e l’appartenente ad un diverso gruppo etnico sono dunque variabili che vanno situate e lette dentro un contesto di interazione più ampio. Anche in Italia, sono state condotte alcune ricerche, a carattere quantitativo o qualitativo, in tempi più recenti, sui rapporti tra i bambini e i ragazzi italiani e stranieri; molte di queste indagini hanno rilevato una densità relazionale minore da parte dei minori stranieri, rispetto ai compagni italiani (Giovannini 1996, Queirolo Palmas 2006, Di Pentima 2006, Favaro 2009). In generale, i minori non italiani dichiarano di avere un numero di amici più ridotto, rispetto agli italiani; tendono a far coincidere i loro amici con i compagni di classe e ad essere più soli nel tempo extrascolastico, come le testimonianze dei mediatori dimostrano. Coloro che sono arrivati qui per ricongiungimento famigliare affermano inoltre che i loro “veri amici” sono quelli rimasti nel Paese di origine e indicano un numero di amici in98 versamente proporzionale all’età: più diventano grandi, più ridotte diventano le loro amicizie e spesso si stabiliscono in maniera privilegiata con i pari connazionali. Richiesti poi di indicare attività svolte e luoghi frequentati in tempo extrascolastico (a carattere aggregativo, ludico, sportivo…) descrivono situazioni di isolamento e una socialità elettiva più rarefatta: la loro mappa cittadina, o di quartiere, in cui segnare i percorsi di incontro con i pari e i luoghi frequentati nel tempo libero indica spazi ridotti e per lo più aperti, pubblici e gratuiti (piazze, giardini, parchi…). Una ricerca condotta qualche anno fa sulla condizione dei minori stranieri in città italiane diverse sintetizzava questa situazione di povertà relazionale nel titolo significativo: “allievi in classe, stranieri in città”. Le ridotte opportunità di incontro e di scambio con i pari al di fuori della scuola si riverberano poi anche sulla socialità dentro la classe perché chi più solo e isolato fuori dalla scuola ha meno racconti, episodi ed emozioni da condividere e vive, di conseguenza, una situazione di “vuoto narrativo”. E quindi, un numero ridotto di amici e di luoghi di socialità vuol dire anche avere meno storie, imparare e usare meno parole, essere escluso da una circolarità di racconti… Ragazzi stranieri e tempo libero Com’è la vita di relazione delle ragazze e dei ragazzi stranieri in Italia? E come impiegano il loro tempo libero? A partire dai risultati di una ricerca quantitativa condotta a livello nazionale su diecimila ragazzi stranieri e diecimila ragazzi italiani, di età compresa fra gli 11 e i 14 anni, residenti in zone diverse, ecco alcune osservazioni: • quasi tutti i ragazzi stranieri dicono di avere almeno un amico italiano, ma la frequentazione extrascolastica di amici italiani è strettamente connessa all’età dell’arrivo; • solo il 35% di chi è arrivato da poco vede almeno un amico italiano anche fuori dalla scuola, mentre la percentuale sale al 75% per chi è nato in Italia; • per i ragazzi provenienti dall’Europa dell’Est e per l’America Latina stabilire amicizie con i coetanei italiani è più semplice; • i ragazzi marocchini e asiatici (in particolare cinesi) trovano maggiore difficoltà ad uscire dalla cerchia delle relazioni etniche, anche se sono in Italia da tempo. Ad esempio, solo il 31% dei ragazzi cinesi, anche se presenti qui da tempo, si vede “spesso o molto spesso” fuori dalla scuola con gli amici italiani; • per tutti i ragazzi stranieri la scuola costituisce l’ambito privilegiato delle relazioni con i pari. (G. Dalla Zuanna e altri 2009) 99 Accompagnare nella città L’attenzione alle relazioni in classe e al clima che vi si respira è cruciale in una situazione di eterogeneità delle storie dei minori e in un contesto sociale che spesso esclude e colloca gli stranieri ai margini della socialità e in una condizione di subalternità. Essere un bambino o un ragazzo straniero significa fare i conti, oltre che con le sfide dell’accoglienza e della differenza, anche con lo stigma negativo che oggi connota l’immigrazione e che definisce in negativo una condizione sociale, culturale, economica. E questo stigma può provocare, come abbiamo visto, l’esclusione dalle occasioni di incontro e di socialità; esclusione che, a sua volta, è alla base di difficoltà comportamentali, sofferenze e disagi, problemi di apprendimento. L’intreccio esistente tra l’inclusione in un gruppo, il benessere personale e le possibilità di apprendimento è infatti strettissimo. Fare della classe un “ambiente colmo di tutori di resilienza”, citando Boris Cyrulnik (2009), è dunque cruciale oggi sia per i bambini e i ragazzi che vengono accolti, sia per chi accoglie. Ma l’amicizia fra i minori si alimenta attraverso cose e tempi scambiati, appuntamenti ed esperienze da condividere in un andare/venire tra ciò che avviene in classe, dentro le case, nel quartiere. Essa ha bisogno di spazi e tempi fluidi e di adulti che sostengano questa fluidità relazionale e che promuovano occasioni e incontri. A differenza di un tempo, dove i luoghi dell’incontro erano aperti, accessibili e gratuiti, oggi le mosse dell’aggregazione sono programmate, prestabilite, sorvegliate, condotte entro spazi chiusi e hanno un costo. I bambini si ritrovano per lo più nelle case, negli ambienti in cui si fa sport o attività elettive, nei luoghi della vacanza e del tempo libero. Tutti spazi che sono più o meno preclusi ai minori stranieri o dai quali essi risultano di fatto esclusi. A volte i mediatori hanno cercato di orientare e accompagnare i minori stranieri e le loro famiglie verso luoghi di incontro e di aggregazione attivi nel territorio, prendendo contatti con servizi di doposcuola, informando sul funzionamento dei centri estivi, segnalando opportunità di tipo ludico ed espressivo. R.K., ad esempio, annota nel suo diario di mediazione: Ho fatto un colloquio con i genitori singalesi di un bambino di dieci anni, il quale stava sempre da solo nel pomeriggio dopo la scuola e non aveva mai occasione di frequentare i compagni e di comunicare in italiano con i coetanei. Dopo il colloquio ho raccolto le informazioni utili sui luoghi d’incontro, l’oratorio, il doposcuola… Presenti nella zona e le ho passate alla mamma. 100 In alcuni casi, sono i genitori a sottovalutare l’importanza delle relazioni amicali fra bambini o a vedere nei luoghi d’incontro fra pari una possibile minaccia e allora il mediatore può cercare di spiegare e rassicurare, come è avvenuto in molti interventi di mediazione: A volte ho dovuto sensibilizzare i genitori su alcune questioni che essi non ritengono rilevanti, come, ad esempio, la socializzazione dei figli, la quale, se positiva, può favorire anche l’apprendimento (dal diario di mediazione di D.O.). Sono intervenuta in due scuole per spiegare a gruppi di genitori egiziani le attività di “scuola natura” e l’importanza per i loro figli di partecipare alla settimana di vita in comune in un luogo lontano da casa. Gli insegnanti hanno detto che, dopo l’incontro mediato, la partecipazione è stata totale, cosa che non sempre avveniva in precedenza (dal diario di A.M.). Oltre a non parlare l’italiano, la madre di P, una bambina boliviana di 11, ha un atteggiamento “culturale” che la porta a creare un’invisibile ma categorica distanza tra sua figlia e i compagni di classe. Questi l’hanno spesso invitata alle loro feste di compleanno, ma P. non è mai andata. Le attività al di fuori del contesto scolastico non vengono prese in considerazione dalla mamma, la quale teme sempre che possa succedere qualcosa di male alla figlia (dal diario di mediazione di J.R.). Accudire e promuovere buone e dense relazioni fra bambini italiani e stranieri sono dunque attenzioni e scelte cruciali che devono coinvolgere spazi educativi, persone e tempi diversi: la scuola e gli insegnanti, i genitori italiani e stranieri, gli operatori e gli educatori impegnati nei luoghi dell’aggregazione extrascolastica. E, come abbiamo visto, anche i mediatori linguistico-culturali, i quali sono in grado di vedere e di ascoltare segni e parole, che raccontano la distanza o l’isolamento, fino a quel momento invisibili. La storia di C.: potersi dire nella propria lingua Da sempre bambini e ragazzi, figli di immigrati o immigrati essi stessi, pagano il prezzo più alto dell’esodo. Dentro la classe troviamo fianco a fianco storie di minori segnate da vicende emotive e bagagli autobiografici diversi, ma che hanno il tratto comune della fatica. Fatica aggiuntiva, rispetto a quella dei coetanei, dal momento che essi devono affrontare, oltre ai compiti di sviluppo comuni, le sfide specifiche poste dalla condizione di migrazione. Il senso di disorientamento, la mancanza di parole per verbalizzare vissuti e desideri, la necessità di mobilitare ogni risorsa per far fronte alle sfide del presente: tutto questo può portare una parte dei bambini della migrazione a chiudersi nel mutismo. 101 I mediatori raccontano che spesso una delle ragioni che hanno spinto gli insegnanti a chiedere il loro intervento sta proprio nella non comunicazione con i minori stranieri, anche dopo qualche tempo dal loro arrivo. L’esercizio del silenzio è praticato come un comportamento che può facilitare l’integrazione e lasciare il tempo per osservare, imitare, provare a mimetizzarsi. È anche un modo per tenere a bada la nostalgia, comprimere il passato ed evitare che i ricordi vengano a galla. È un silenzio che ha un colore diverso da quello, previsto e prevedibile, di chi non ha ancora le parole per dire, fase che gli insegnanti hanno ormai imparato a conoscere e a gestire, in genere, senza farsi prendere dall’ansia. Il sentimento di nostalgia non si manifesta quasi mai in modo esplicito: mutuato sommessamente dai racconti delle memorie famigliari, per i piccoli nati in Italia, spesso occultato nei bambini arrivati qui da tempo, affiora in occasioni sporadiche in coloro che sono giunti di recente. E quasi sempre questo succede come per caso, durante attività e scambi informali e al di fuori delle attività scolastiche, durante racconti che parlano d’altro nel mezzo dei quali si evocano luoghi, volti, legami. E avviene più spesso con i mediatori che parlano la loro stessa lingua, con i quali si può prendere la parola con meno timore di esporsi al giudizio di tutti. La storia di C., raccontata dal mediatore che l’ha seguito in classe per alcune ore e durante alcuni incontri, mostra chiaramente come un intervento di mediazione, che si voleva circoscritto e puntuale, si sia in realtà trasformato in un evento di sblocco e di nuova comunicazione. Prima del mio colloquio con il ragazzo, gli insegnanti mi avevano descritto C. come un caso complesso e pieno di difficoltà dovute al suo scarso rispetto delle regole al suo inesistente interesse per la scuola. Una cosa che mi stupì subito fu lo scarso dominio dell’italiano orale che C. aveva malgrado fosse qui da quasi tre anni e fosse di lingua madre spagnola. Al primo colloquio mi accolse con una buona dose di diffidenza, guardandomi letteralmente con un solo occhio e un sorriso che sembrava una sfida. Mi accorsi che all’inizio tendeva a rispondere con poche parole in italiano e che poi passava improvvisamente allo spagnolo in maniera decisamente più fluida. Mi raccontò del suo arrivo in Italia e di quanto gli mancava sua nonna, con la quale era cresciuto e alla quale era molto legato. Di quanto gli fu difficile accettare una decisione presa dai suoi genitori e non da lui, anche se in fondo capiva che l’avevano fatto per dargli la possibilità di una vita migliore. Ho cercato di raccontare un po’ anche il mio vissuto per trovare un terreno comune e appropriarci così di uno spazio e di un tempo che solo noi due potevamo capire. Per ribadire che potevo capire. Già dal secondo incontro ho notato un certo cambiamento: era più sorridente e rilassato, meno duro e contratto, anche se si percepiva forte la sua inquietudine… L’ho aiutato insieme agli insegnanti a capire alcuni concetti e contenuti disciplinari, a organizzarsi per lo studio, a prepararsi all’esame di terza media… 102 Durante gli incontri mi raccontava che a casa non riusciva a studiare, non si concentrava e così preferiva correre a giocare a pallone. E soprattutto che gli sarebbe piaciuto tornare per sempre in Salvador. Oltre a lavorare sui contenuti di studio, durante gli incontri ogni tanto c’erano anche dei momenti di scambio e a volte anche di ironia e risate. C. mi diceva, ad esempio, che la parola “futuro”, sulla quale tutti gli insegnanti insistevano, a lui risultava difficile da comprendere e da pensare. Ma non è così per i ragazzi italiani che hanno tutto quello che lui non ha (soldi, vestiti, possibilità…) e anche per questo lui si sente snobbato da loro. Un giorno ha trovato il coraggio di dirmi tra le lacrime che da una settimana lui e la sua famiglia andavano a dormire senza cena. Che non riesce a non pensare a sua madre che non trova un lavoro regolare e a che cosa succederà quando dovrà rinnovare il permesso di soggiorno. Poi si è alzato in piedi e mi ha detto che avrebbe fatto di tutto per riuscire a finire la scuola in maniera positiva… Ora C. ha ottenuto la licenza media e, dopo aver giocato a pallone in una giornata di sole milanese, torna a casa sua, un magazzino di venti metri quadrati dove trova i suoi quattro fratelli e aspetta sua madre che non è ancora tornata dal lavoro. Un lavoro regolare finalmente, che forse può far intravvedere a C. quello che fino qualche tempo fa gli risultava difficile immaginare: il futuro (dal diario di mediazione di J.R.). Come la storia di C. suggerisce, è negli interstizi della comunicazione, quando il controllo è più basso e la vigilanza interiore si disarma un po’, che emergono frammenti di racconto e di memoria e possono trovare posto la nostalgia e il futuro. Affiorano come elementi di frattura della continuità temporale, come inattesa “iridescenza di quella variazione incessante e minuta che chiamano memoria” (Beneduce 1998). Una memoria discontinua che a volte lascia emergere ricordi segreti o frammentari, oppure affabulata e mitizzata come nelle immagini della nonna sapiente e piena di affetto lasciata in Salvador. “Mi hanno perso un anno” C., come molti bambini e ragazzi immigrati, è stato inserito in una classe inferiore all’età anagrafica, con un ritardo di uno, due o più anni. È questa una situazione che penalizza gli alunni stranieri, sia in termini di carriera scolastica e di possibilità di prosecuzione degli studi, sia anche per le relazioni con i compagni di classe. I minori stranieri sono e si sentono più grandi e questo non facilita le amicizie in classe. Alla base del ritardo scolastico in ingresso, vi è quasi sempre la non conoscenza dell’italiano e l’intenzione di facilitare il percorso scolastico facendo ripetere l’ultima classe frequentata nel paese d’origine, ma queste scelte non sempre si rivelano positive. “Mi hanno perso un anno”, dice a questo proposito una bambina rumena, inserita a undici anni in quarta elementare. 103 La presenza dei mediatori ha permesso di registrare anche nella scuola milanese, da tempo alle prese con il tema dell’inserimento di alunni stranieri neoarrivati, scelte della classe non sempre efficaci e positive. I due esempi seguenti, mostrano come il ritardo di due anni, in un caso, e l’anticipo di un anno, nell’altro, non abbiano portato poi a risultati scolastici positivi. A. e M. sono due ragazzi gemelli di quasi sedici anni, arrivati all’inizio dell’anno scolastico dall’Egitto e inseriti entrambi nella stessa classe terza media, con un ritardo scolastico di due anni. A fine maggio, la scuola ha chiesto il mio intervento di mediazione per affiancare M. durante un compito di matematica, fargli capire i concetti e renderlo consapevole dei suoi errori. Per il fratello, è stato chiesto un analogo intervento di affiancamento didattico durante le ore di italiano, per aiutarlo a comprendere un testo e a rispondere alle domande. Il testo era molto complesso, pieno di termini difficili, riferito ai lager nazisti, dal momento che la classe aveva fatto da poco un viaggio di studio in Germania. A differenza di A., che cerca in tutti i modi di comunicare in italiano, M. è taciturno e rimane in silenzio gran parte del tempo. Per lui, quindi la lettura e la comprensione del testo era al di là del suo livello linguistico. Ho chiesto all’insegnante di fare una fotocopia della lettura in modo tale che il ragazzo potesse leggerlo a casa varie volte e tentare di rispondere alle domande di comprensione. Ma la settimana dopo A. non aveva fatto alcun progresso perché l’insegnante si era scordata di dargli al fotocopia e il ragazzo non l’aveva chiesta. Sia la prova di matematica che il testo di italiano dono stati presentati alla classe come propedeutici alle prove di esame, ed esempi di prove che avrebbero potuto incontrare, e l’insegnante ha spiegato varie volte come si sarebbero svolti gli esami. E tuttavia, gli insegnanti della classe hanno deciso da tempo che i due ragazzi non saranno ammessi all’esame di terza media e quindi A. e M. non possono avere alcuna motivazione a capire e a cercare di affrontare il compito. Durante il colloquio finale con il padre, ho partecipati come mediatrice per spiegare al genitore le ragioni dell’esito negativo (la non ammissione all’esame) e gli ho suggerito di iscrivere subito i figli ad un CTP vicino a casa, data l’età dei ragazzi (dal diario di mediazione di G.M.). In una scuola primaria sono intervenuta per fare dei colloqui con la madre di un bambino di Sri Lanka per spiegarle che il figlio sarà bocciato e dovrà ripetere la classe. Il bambino era stato inserito nella classe prima della primaria a cinque anni e mezzo. La mamma aveva preso la decisione di anticipare l’ingresso a scuola di fatto perché non aveva trovato posto nella scuola dell’infanzia. E la scuola ha accettato l’inserimento in prima, nonostante il bambino non avesse mai frequentato la scuola dell’infanzia. Ma l’alunno ha fatto molta fatica durante tutto l’anno a seguire i ritmi della classe (dal diario di mediazione di R.R.). La richiesta di mediazione che proviene dalla scuola riguarda spesso l’accoglienza e l’inserimento degli alunni neo arrivati e anche nel progetto Mediante sono stati attivati circa ottanta “pacchetti di accoglienza” 104 con questo intendimento. Va detto però che il mediatore arriva nella scuola quasi sempre quando la determinazione della classe in cui inserire l’alunno è già avvenuta. Il lavoro di mediazione, che consiste nella raccolta di informazioni puntuali sull’alunno, sulle sue competenze, sulla situazione linguistica, sul percorso scolastico, raramente incide sulle scelte che sono già avvenute e che spesso penalizzano il neo arrivato in termini di ritardo scolastico. Gli alunni stranieri che vivono direttamente la migrazione e che entrano nella scuola provenendo direttamente dal paese d’origine erano la maggioranza fino qualche tempo fa, ma ora sono in costante calo (vedi cap. 3). Mentre nel passato, vi era la quasi totale coincidenza fra la condizione di minore “straniero” e di immigrato, ora gran parte degli alunni di cittadinanza non italiana è nata qui o arrivata da tempo nel nostro paese. Sul tema dell’accoglienza degli alunni neoarrivati, in questi anni gli insegnanti e le scuole hanno seguito e seguono tuttora due direzioni, a volte fra loro intrecciate e sovrapposte. Nel primo caso, l’obiettivo privilegiato è quello di mettere a proprio agio il nuovo alunno, considerandolo soprattutto come “emigrato da”. L’enfasi viene allora portata sui riti d’accoglienza, sulla raccolta della sua (supposta) storia e “cultura d’origine”. Un approccio olistico, di tipo autobiografico e culturale, che è animato dalle buone intenzioni del riconoscimento e della valorizzazione, ma che rischia talvolta di porre il bambino ancora disorientato e sradicato troppo al centro della scena, mentre vorrebbe essere almeno per un po’ meno visibile e più in disparte. Il secondo approccio, oggi più praticato, è quello di un’accoglienza “governata”, basata su pratiche, strumenti e prove che tendono a mettere l’altro sotto esame, a porne in risalto le competenze, o meglio le non competenze, il percorso scolastico, i bisogni linguistici… Protocolli d’accoglienza, test d’ingresso, questionari bilingui: tutti strumenti che rendono certamente il momento iniziale meno improvvisato, più competente e professionale, ma che tuttavia ci rimandano anche una domanda e un dubbio importanti. “Sono strumenti che ci aiutano a conoscere l’altro, o sono strumenti che ci aiutano a costruirlo?” (Zoletto 2007). Le scuole sollecitano l’intervento dei mediatori per l’una e per l’altra modalità. Nel caso del primo approccio, per conoscere la storia e la “cultura” dell’alunno; nel secondo, per rilevarne competenze e conoscenze e soprattutto per definire i bisogni e i percorsi di apprendimento e accompagnare le mosse iniziali dlel’inserimento. La differenza tra le due modalità – l’una di conoscenza e l’altra di “costruzione dell’altro” – è estremamente significativa e agisce, sia nel momento dell’ingresso a scuola, che in quello successivo dell’inserimento. L’accoglienza considerata come momento di controllo e di “esame”, contri105 buirebbe a “governare” la vita scolastica degli allievi mediante tre meccanismi diversi, ma fra loro collegati: • rendere visibile l’allievo; • documentando la sua specificità; • fare di ogni allievo un caso. Ma che cosa si rende visibile nell’uno e nell’altro approccio (“culturale” o di controllo)? Si rendono visibili, o meglio vengono sottolineati, in un caso, le differenze e le appartenenze culturali e, nell’altro caso, i vuoti e le carenze, i bisogni e le lacune. Individuare la parzialità delle scelte e rappresentazioni significa essere consapevoli della necessità di allargare lo sguardo e cogliere il ruolo costitutivo di pratiche e discorsi che non irrigidiscono e predeterminano i cammini dei bambini neoarrivati. Un mediatore efficace può cercare di intrecciare i due approcci e facilitare le scelte della scuola e la prima fase di avvio della scolarità nel nuovo paese. Ma spesso, come è successo anche nel progetto Mediante, la mediazione viene richiesta per comunicare e rendere chiare decisioni e scelte già prese, sia riguardanti le modalità di inserimento, sia la valutazione finale del percorso. Figure di prossimità Ripercorrendo le storie dei bambini immigrati che ha avuto modo di accompagnare, una mediatrice racconta: Per molto tempo N. è rimasta silenziosa e in disparte, sembrava assente e chiusa in un mondo tutto suo. Sul viso: un velo, un’espressione di tristezza. Ogni tanto appoggiava la testa sul banco come se volesse dormire o volesse essere da un’altra parte. Stava spesso male: mal di pancia, mal di testa… Un giorno mi sono fermata a scuola più tempo perché avevo un “pacchetto di ore” a disposizione e lei è stata con me a fare i compiti. Per la prima volta ho sentito la sua voce, senza bisogno di forzarla. Da quel momento si è aperta una breccia; ha cominciato a parlarmi, dapprima sottovoce, quasi non sentivo, poi un po’ più sicura. Come N., i bambini che migrano hanno bisogno di tempo e di un’attenzione vigile che possa dare ascolto al silenzio e raccogliere i primi tentativi di aprirsi. La vulnerabilità non rappresenta una condizione predeterminata e stabile, ma una possibilità alla quale prestare attenzione e che implica la complementarietà, sia dei fattori di rischio, che dei fattori di protezione. Essa non può infatti essere compresa appieno e utilizzata in maniera efficace se non viene messa a confronto con il suo opposto, e cioè la resilienza ovvero con la capacità di resistere, difendersi e reagire al trauma e alle si106 tuazioni di stress. Il termine (dal latino resilio: tornare indietro, rimbalzare) appartiene alla terminologia della fisica dei materiali e definisce la capacità fisica di un corpo di resistere a un urto, assorbendo energia cinetica senza rompersi. La resilienza è vista e presentata da punti di vista differenti, ora come capacità, ora come il risultato di un funzionamento psichico; come un processo dinamico adattivo o come una risposta puntuale a contingente a eventi e situazioni. Le storie dei bambini che diventano “resilienti” e che riescono nel processo di apprendimento, ci mostrano che non c’è un solo fattore ad aiutarli e a sostenerli, ma una costellazione di elementi, condizioni e variabili. Alcuni minori sembrano attingere e sviluppare risorse interne straordinarie per far fronte a compiti e sfide imprevisti; hanno la capacità di attraversare accadimenti improvvisi e cambiamenti profondi, mobilitando risorse per non farsi sommergere dalle difficoltà. A volte in uno stesso gruppo di fratelli che hanno vissuto insieme la migrazione e il ricongiungimento famigliare, alcuni sviluppano uno straordinario e positivo adattamento alle nuove situazioni e alle sfide dell’apprendimento; altri invece manifestano disagi e difficoltà profonde. Tuttavia un fattore fra gli altri emerge in maniera sorprendente: i figli degli immigrati che riescono bene a scuola hanno incontrato nel loro ambiente almeno una persona che svolge un ruolo positivo di guida/traghettatore nei loro confronti: una sorella o un fratello più grandi, un famigliare, un insegnante, un mediatore, un volontario… “Occorre che la società e l’ambiente abbiamo predisposto intorno al bambino qualche stella, ossia dei rapporti affettivi che permettono ai feriti dell’anima di imparare ad amare più facilmente e ad evolvere in attaccamento sicuro l’attaccamento insicuro causato dalle separazioni” (Cyrulnik 2004). Questo legame tra un bambino neoarrivato e la sua guida può essere anche “leggero” e intermittente, ma deve avere carattere di affidabilità. Le persone/stella che accompagnano e sostengono il passaggio permettono ai bambini di prevedere relazioni stabili e di ritrovare elementi di continuità tra gli eventi. In questo modo, essi possono integrare le conoscenze del mondo esterno, ancora per molti versi sconosciuto e indecifrabile, con maggiore facilità. Se i minori immigrati non vivessero almeno in parte questo nostro mondo come proprio, non potrebbero infatti interiorizzare le logiche, le parole, le scritture, le conoscenze. Un mediatore attento ed efficace può rappresentare per il bambino e il ragazzo straniero un tutore di resilienza perché è una figura di prossimità che può aiutare il cammino di ricomposizione. 107 Il mediatore in ascolto “In certi giorni è come se X. non fosse in classe, né per la maestra, né per i compagni”. È un’osservazione fatta da un mediatore, che può essere estesa a molte delle classi che accolgono bambini e ragazzi neoarrivati: privi di parola perché non ancora italofoni, incerti e spesso “congelati” rispetto al linguaggio non verbale, tendono a diventare invisibili nel grande gruppo, per “scongelarsi” a volte, come abbiamo visto, nelle situazioni di maggior vicinanza e minor filtro affettivo. Che cosa fare in questa fase in cui il desiderio di apprendere, essere accolto e riconosciuto si mescola con la nostalgia e lo sconforto, in maniera diversa da bambino a bambino ? Dare tempo e darsi tempo è certamente una buona direzione: lasciare che il bambino neoarrivato “posi la valigia” e riprenda fiato e respiro prima di sollecitarlo e interpellarlo. Ma questo tempo di sosta e di silenzio autoprotettivo non deve tradursi nell’invisibilità e nell’assenza. Occorre prestare attenzione sia alle parole che ai silenzi; tentare di intercettare le ombre presenti nelle loro storie diasporiche, le loro memorie interrotte, anche a partire dal linguaggio sillabato dei loro corpi. “Scoprire quelle tracce e quelle origini” richiede un lavoro minuzioso e uno sguardo paziente. Richiede l’intervento sollecito degli adulti per evitare le derive del silenzio protratto e per ricomporre le “schegge” di una memoria rapsodica, non sempre accettabile e accettata da coetanei. L’autocensura dell’oblio rischia altrimenti di precludere al bambino straniero quel processo irrinunciabile per la conquista d’una presenza visibile in una nuova patria culturale. Vanno creati dei contesti in grado di dare ai bambini della migrazione la possibilità di sperimentare la distanza e la continuità con la propria memoria, personale e culturale. La scuola è nelle condizioni di poter fare questo? Di mettersi in ascolto di parole che affiorano e di silenzi che cercano di evocare altre immagini di infanzia intrisa di nostalgie e di attese? Spesso le condizioni in cui gli insegnanti si trovano a educare (numerosità delle classi, tempi ridotti e costretti, ansia rispetto al percorso…) non sono certo le più favorevoli per riuscire a prestare ascolto a tutti e a ciascuno. Ecco che la presenza di un mediatore attento, che è in grado di accompagnare e di ascoltare, nel laboratorio o in classe ma sempre accanto all’insegnante, può rompere l’isolamento, dare voce alle emozioni, dare più coraggio alle nuove parole. Tener conto e fare i conti con i destini e i percorsi diversi dei bambini e dei ragazzi che approdano da lontano è compito delicato e complesso per108 ché significa avere a che fare con “oggetti interni” da maneggiare con cura, con storie e biografie in cui si mescolano cura, affetti, assenze, perdite. Oltre ad aver cura del tempo e quindi lasciare che ognuno trovi il suo posto prima di sentirsi autorizzato a condividere parti della sua storia, altre attenzioni riguardano i contesti e le sollecitazioni dello scambio che devono essere inclusivi e rivolti a tutti, e non intrusive e dirette al singolo bambino. Anche per questo è importante che in classe il mediatore sia riconosciuto da tutti i bambini, italiani e stranieri, come parte del contesto e del progetto educativo. Nel fluire di un racconto, e soprattutto nel rafforzarsi di relazioni di vicinanza e amicizia con i coetanei e con gli adulti, ogni bambino troverà i modi, i tempi e le parole per saldare un po’ i frammenti della sua storia. Testi citati Anaut M. (2003), La résilience. Surmonter les traumatismes, Natahan, Parsi Beneduce R. (1998), Frontiere dell’identità e della memoria, FrancoAngeli, Milano. Cyrulnik B. (2009), Autobiografia di uno spaventapasseri. Strategie per superare le esperienze traumatiche, Cortina, Milano. G. Dalla Zuanna e altri (2009), Nuovi italiani. I giovani immigrati cambieranno il nostro Paese?, Il Mulino, Bologna. Di Pentima Favano G., Napoli M. (a cura di) (2002), Come un pesce fuor d’acqua. Il disagio nascosto dei bambini immigrati, Guerini, Milano. Favaro G. (2011), A scuola nessuno è straniero, Giunti, Firenze. Ghazy R. (2007), Oggi forse non ammazzo nessuno. Storie minime di una giovane musulmana stranamente non terrorista, Fabbri, Milano. Giovannini G. (a cura di), Allievi in classe, stranieri in città, FrancoAngeli, Milano. Grinberg L. e R. (1990), Psicoanalisi della migrazione e dell’esilio, FrancoAngeli, Milano. Moro M.R. (2001), Bambini immigrati in cerca di aiuto, UTET, Torino. Queirolo Palmas L. Zoletto D. (2007), Straniero in classe, Cortina, Milano. 109 6. I mediatori e le mediatrici di Graziella Favaro Chi sono Il gruppo dei mediatori e delle mediatrici che ha lavorato nel Progetto è stato selezionato secondo alcuni criteri prioritari: • lingue richieste; • formazione; • adesione al metodo e modello proposto; • disponibilità al lavoro “su chiamata”. Abbiamo visto come le scuole milanesi, ormai da tempo multiculturali, rivestono un carattere di “pluralità etnica, linguistica e culturale”; da ciò ne consegue la presenza di molteplici provenienze e lingue e la relativa necessità di un gruppo mediatori capace di far fronte alle richieste differenziate. La scelta delle lingue e nazionalità dei mediatori è stata fatta a partire da tali elementi e dall’analisi dell’esperienza e dei dati dello scorso anno scolastico. Si è così formato un gruppo di 31 persone (7 mediatori e 24 mediatrici), provenienti da 18 Paesi differenti, con una competenza per 23 lingue. Tutti i mediatori/mediatrici coinvolti nel progetto possiedono una formazione di base e molti hanno svolto aggiornamenti e approfondimenti in itinere; due mediatrici stanno frequentando il Corso di laurea in Mediazione linguistico-culturale. È ormai assodato, infatti, come già ribadito, che diventare mediatori e mediatrici per professione non è facile e non dipende solo dalla propria volontà o da scelte individuali. Il quadro delle possibilità formative è ampio, articolato e contraddittorio e soffre di un momento di incertezza, legato all’attesa del riconoscimento del profilo professionale e del conseguente percorso di studi. Ma certa è la consapevolezza della necessità di una formazione qualificante per i mediatori/trici e di un percorso, 110 Tab. 1 - Provenienze/Lingue mediatori Paese di provenienza Albania Bangladesh Brasile Cina Egitto Etiopia Filippine India Italia Marocco Moldavia Nigeria Perù Russia Sri Lanka Turchia Ucraina N. mediatori N. mediatrici Lingue parlate/utilizzate – 1 – 1 – 1 – 1 – 2 – – 1 – – – – 2 – 1 6 2 – 2 1 1 2 1 1 1 1 1 1 1 albanese hindi, urdu, angla portoghese cinese arabo amarico, digrigno tagalog hindi giapponese arabo russo, rumeno edo spagnolo russo, ucraino cingalese Turco ucraino successivo all’iter di base, che approfondisca e potenzi le acquisizioni possedute e aiuti a riflettere sull’esperienza concreta. Oltre la formazione di base e/o specializzata, la quasi totalità dei componenti il gruppo ha esperienze di lavoro di mediazione (a volte da lunghissimi anni) in diversificati ambiti: scolastico, sociale, sanitario, educativo. L’intreccio delle varie caratteristiche (formazione di base professionale ed universitaria; aggiornamenti in itinere; ambiti lavorativi diversificati; lunga esperienza) ha costituito un patrimonio per il gruppo ed ha permesso, soprattutto nei momenti di formazione e di incontro, di fornire buoni contributi al lavoro di tutti. Il modello di lavoro proposto, deducile dall’iter metodologico, dalle attività previste a supporto delle azioni di mediazione e dalle opportunità fomite ai mediatori (in gruppo e singolarmente), prende origine da un’idea di mediazione come una professione al servizio di scuole, famiglie, alunni stranieri ed italiani. In altri termini, non una mediazione “a spot”, come “ultima spiaggia” o sempre necessaria ma, al contrario e per quanto possibile, una mediazione pensata, valutata e che possa lasciare “traccia” del proprio passaggio. Per111 ché ciò avvenga è allora indispensabile, per esempio, realizzare interventi in cui i mediatori tutelino il tempo per la progettazione e la verifica; partecipino agli incontri di formazione, coordinamento e supervisione; siano disponibili e rivedere il contenuto e il metodo delle proprie azioni, anche attraverso momenti di verifica individuale. Il progetto Mediante, come già evidenziato, ha previsto azioni “su richiesta” delle scuole che, seppur programmate con almeno 15 giorni di anticipo, non sono state sempre di agevole realizzazione per i mediatori, spesso impegnati in altri contesti. Questo è un classico nodo critico dei progetti che prevedono un tipo di mediazione “a chiamata” e non “in presenza”; la flessibilità richiesta ai mediatori nel momento dell’adesione al progetto ha costituito un elemento di selezione importante, il cui rispetto ha permesso la realizzazione delle richieste pervenute. Le attività svolte Nelle capitoli precedenti sono state analizzate ed approfondite le azioni che i mediatori hanno svolto. Qui preme solo sottolineare alcuni aspetti generali che rafforzano la caratteristica di flessibilità del lavoro di mediazione, nonché la necessità di possedere competenze differenziate in relazioni alle variegate azioni previste. Le attività richieste ai mediatori del Progetto hanno compreso: a) Interventi di mediazione linguistico culturale • mediazione linguistico culturale; • interpretariato orale (momenti di consegna delle schede di valutazione); • traduzione scritta (avvisi, documentazione ecc.); • orientamento all’uso dei servizi sul territorio; • interventi interculturali in classe. b) Attività di formazione, coordinamento, supervisione • partecipazione agli incontri di gruppo; • incontri singoli di verifica e/o supporto al lavoro; • incontri singoli di verifica degli aspetti amministrativi. c) Redazione di documentazione scritta: • schede di verifica degli interventi; • diari di presenza nelle scuole; • relazione finale. Si può dunque affermare che le azioni che i mediatori hanno svolto all’interno del Progetto si collocano su differenti piani a seconda degli obiettivi che si prefiggono e dei soggetti che coinvolgono. 112 Tab. 2 - Piani di intervento Piano orientativo e informativo Informazione alle famiglie Orientamento nel servizio (conoscenza delle funzioni, orari, modalità di accesso) Orientamento nel territorio (conoscenza dei servizi) Informazione agli insegnanti sui contesti di origine degli alunni stranieri: organizzazioni sociali, scolastiche, sanitarie Orientamento e accompagnamento delle famiglie straniere verso altri servizi Piano linguistico e comunicativo Traduzione orale e scritta Esplicitazione e decodifica di messaggi verbali e non verbali Partecipazione ai colloqui Piano culturale e interculturale Informazione sui contesti d’origine: organizzazione scolastica, sistemi familiari… Piano psicosociale e relazionale Attenzione alla relazione Prevenzione del sorgere di malintesi Collaborazione alla ricerca di risposte e soluzioni Le azioni di mediazione sono state rivolte a differenti destinatari: le famiglie, gli alunni stranieri, le classi, gli insegnanti. Vediamo in generale quali sono le funzioni svolte a favore di ogni gruppo. Tab. 3 - Destinatari Nei confronti delle famiglie Accoglienza e orientamento Informazioni relative al sistema scolastico e alle regole della scuola (orari, modulistica, documentazione) Orientamento ed accompagnamento verso altri servizi Traduzione orale e scritta, avvisi, comunicazioni Nei confronti Accoglienza e supporto all’inserimento degli alunni stranieri Informazioni relative alle regole della scuola Nei confronti del gruppo classe Attività di animazione interculturale Nei confronti degli insegnanti Traduzione scritta ed orale Informazione relativa ai contesti di origine e provenienza delle famiglie di alunni stranieri Collaborazione alla gestione della situazione Nei confronti della scuola Modulistica tradotta, materiali plurilingue… Partecipazione alle iniziative della scuola Nei confronti del Progetto Documentazione degli interventi effettuati 113 La formazione, il coordinamento, la supervisione I mediatori devono avere “robuste” competenze e una forte professionalità e vi è ormai ampio accordo su una formazione “ideale” articolata su tre piani, ovvero di base, specifica e in itinere. Accanto all’aggiornamento sui contenuti, dovrebbe essere inoltre necessario prevedere momenti di supervisione dell’attività lavorativa. Abbiamo visto che i mediatori del progetto dovevano possedere, quale elemento di selezione, una formazione di base; molti possedevano anche formazioni specifiche e settoriali. Il Progetto ha dunque fornito loro incontri di formazione iniziale, supervisione singola e in gruppo e ha garantito il coordinamento delle attività. Sono stati svolti 6 incontri di gruppo, con cadenza bimestrale, di tre ore ciascuno. Inoltre si sono effettuati 3 incontri singoli, con due mediatrici. La tabella seguente riassume l’attività di formazione svolta. Tab. 4 - Incontri gruppo mediatori Date incontri Ordine del giorno 6 ottobre 2010 Presentazione del progetto Formazione 11 novembre 2010 La “Figura del mediatore” I dati della scuola italiana Prima analisi delle richieste di mediazione pervenute allo Sportello Discussione e confronto 15 dicembre 2010 Presentazione dei “casi” seguiti suddivisi per destinatari: ragazzi, famiglie e insegnanti Riflessioni sui risultati conseguiti e su eventuali punti critici evidenziati Aspetti amministrativi ed organizzativi dello Sportello 3 febbraio 2011 Analisi degli interventi Approfondimento sul profilo del mediatore nella scuola Aspetti amministrativi 30 marzo 2011 Stato del progetto Mediante (dati sugli interventi di mediazione; focus con gli insegnanti; dispensa finale) Verifica degli interventi di mediazione in atto (interventi individuali, presenza mensile nelle scuole) Comunicazioni sul proseguimento del progetto Verifica documentazione (time sheet, schede verifica) 9 giugno 2011 Verifica conclusiva progetto Relazione finale Materiali Verifica amministrativa 114 In aggiunta, sono stati effettuati tre incontri individuali: • n. 2 incontri con una mediatrice cinese finalizzati al chiarimento e alla ridefinizione del suo ruolo nell’intervento previsto; • n. 1 incontro con una mediatrice cinese per l’analisi di una situazione di un alunno, particolarmente problematica. Per quanto riguarda l’approfondimento formativo relativo alla tematica del progetto, durante il primo incontro si sono affrontate le seguenti questioni: 1. la figura del mediatore: confronto e segnalazione di materiali sul tema della mediazione interculturale; 2. i dati della scuola italiana. I materiali segnalati, distribuiti e/o messi a disposizione nel corso del Progetto sono stati: • Casadei S., Franceschetti M. (a cura di) (2009), Il mediatore culturale in sei Paesi europei (Italia, Francia, Germania, Grecia, Regno Unito e Spagna). Ambiti di intervento, percorsi di accesso e competenze, Unione Europea - Fondo Sociale Europeo - Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali - Isfol. • Piano per l’integrazione nella sicurezza. Identità e incontro - A cura del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Ministero dell’Interno, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - Giugno 2010. • Bibliografia sulla mediazione interculturale (scaricabile dal sito www. centrocome.it) e relativa possibilità di consultazione testi. • Articolo: Luatti L. (2010), “Mediazione linguistico-culturale: cosa bolle in pentola”, in “Dossier mediazione interculturale. Le principali novità” in “Agorà. Paesaggi dell’intercultura. Magazine a cura di Lorenzo Luatti” www.vanninieditrice.it/agora_home.as. • Vademecum per gli interventi di mediazione nella scuola, a cura di Graziella Favaro (tratto da Favaro G., Fumagalli M. (2004), Capirsi diversi. Idee e pratiche di mediazione interculturale, Carocci, Roma. • Testo: Lorenzo Luatti, Mediatori atleti dell’incontro. Luoghi, modi e nodi della mediazione interculturale, Vannini editrice, Gussago, 2011, pp. 198 (coll. “Agorà_Studi. Ricerche e pratiche sull’intercultura”). In generale, gli incontri hanno avuto una partecipazione qualitativa di buon livello anche se alcuni mediatori, non hanno potuto garantire una presenza continuativa. Durante le discussioni sono emerse alcune tematiche sulle quali si è concentrata l’attenzione. In particolare: • importanza del lavoro di accoglienza per gli alunni neo-arrivati e la necessità di ampliare le ore del “pacchetto accoglienza”; • necessità di realizzare incontri informativi con le referenti intercultura/ insegnanti sul ruolo del mediatore e su prassi di lavoro condivise; 115 • importanza di momenti di animazione/informazione interculturale nelle classi, da proporre all’interno del pacchetto accoglienza (in questo progetto ne è stato realizzato solo uno); • apertura di una riflessione con le insegnanti sulle segnalazioni eccessive di bambini stranieri alla Uonpia; • necessità di un maggior coinvolgimento delle famiglie straniere; • utilità del lavoro congiunto (insegnanti-mediatori) sull’orientamento scolastico, anche attraverso l’utilizzo di materiale tradotto all’interno del Progetto (Libretto Genitori sul funzionamento della scuola in Italia). Gli incontri hanno dunque confermato la necessità di garantire ai mediatori uno spazio di riflessione, pensiero, confronto e riprogettazione sulle azioni in corso, mettendo in rete informazioni utili a tutti. La documentazione prodotta La documentazione relativa agli interenti effettuati è un efficace supporto per una professione, quella del mediatore, che si basa soprattutto sul “fare” (come molte professioni del sociale) e stenta a riconoscere il valore dello “scrivere” quale strumento di comunicazione e riflessione, oltre che traccia del lavoro svolto. Anche per tali motivi, ma soprattutto per effettuare una corretta valutazione e monitoraggio del lavoro in atto, il Progetto ha previsto e richiesto ai mediatori la compilazione e la redazione di alcuni strumenti scritti: • le schede di valutazione degli interventi effettuati; • il diario della presenza mensile nelle scuola; • una relazione finale. Le schede di valutazione degli interventi effettuati Per ogni attività svolta ai mediatori è stata richiesta la compilazione della scheda (inserita in allegato), volta a verificare l’efficacia dell’intervento, i punti di riuscita e gli eventuali nodi critici. Le schede riconsegnate dai mediatori sono state 358 (pari al 64% del totale delle richieste). In relazione alla percentuale non altissima va considerato: • a volte una stessa scheda ha riguardato più interventi; • alcune attività (es: presenze mensili) sono state documentate attraverso i diari; • le traduzioni scritte non necessitavano di scheda di verifica. Per quanto riguarda il contenuto delle verifica, in generale sono stati segnalati come punti critici alcune situazioni ricorrenti: 116 • impossibilità di svolgere l’intervento per ritardi o assenze dei genitori; • richieste di mediazione un po’ tardive rispetto al bisogno; • pacchetto di ore a disposizione insufficiente rispetto all’obiettivo. Molti sono stati comunque i giudizi positivi e la valutazioni di soddisfazione per la riuscita delle azioni. Da segnalare che, a volte, i mediatori e gli insegnanti hanno redatto congiuntamente la stessa scheda di valutazione e ciò potrebbe essere un’indicazione per il futuro, in quanto unico strumento che diventerebbe a pieno titolo una modalità di valutazione complessiva. Il diario della presenza mensile nelle scuola L’attività di “presenza strutturata” in alcune scuole si è svolta nei mesi di marzo, aprile e maggio. Al termine di ogni momento di presenza mensile e a conclusione dell’intero monte – ore il mediatore ha redatto una breve relazione, seguendo la traccia in tabella. Tab. 5 - Traccia per i diari Diario dell’attività di mediazione - Presenza mensile Mediatrice/mediatore Scuola Insegnante di riferimento Mese di marzo/aprile/maggio Data Orario Luogo in cui si è svolta l’attività (es: classe, aula dedicata, aula insegnanti…) È stata fatta una programmazione con l’insegnante per decidere le attività da svolgere? Al termine è stata fatta una verifica con l’insegnante dell’attività svolta? Attività svolta: • verso gli alunni • verso le insegnanti • verso i genitori • verso la scuola Note e commenti Per ogni alunno seguito Breve storia dell’alunno Perché è stata richiesta la mediazione? Qual è stato il primo intervento del mediatore? Evoluzione dell’inserimento del bambino/del ragazzo Osservazione conclusiva Note e commenti 117 La lettura dei diari ha evidenziato alcune linee comuni nella realizzazione dell’azione di mediazione. Innanzitutto la programmazione e la verifica sono sempre state effettuate e mediatori ed insegnanti hanno trovato tempi e modi di scambiarsi opinioni sull’efficacia e la riuscita degli interventi. L’attività è stata prevalentemente svolta a favore di alunni e genitori e la presenza del mediatore è stata favorevolmente accolta dagli alunni. Scrive una mediatrice: “Il ragazzo da quando ha saputo che c’è la mediatrice che l’aiuta viene la scuola abbastanza regolarmente, e segue le lezioni volentieri”. In tutte le situazioni si sono raggiunti gli obiettivi prefissati e la presenza mensile è stata apprezzata. I nodi critici di questa attività, riscontrati però solo in alcune scuole, hanno riguardato: • la non omogeneità e continuità dell’intervento di mediazione da un mese all’altro; • la grande quantità di richieste di intervento (colloqui con genitori, affiancamento ad alunni…) nelle ore di presenza; • le azioni hanno funzionato sui “casi singoli”, ma non sono servite quale stimolo per una modifica organizzativa più generale o per apportare cambiamenti alla metodologia e agli strumenti utilizzati dalla scuola, criticità che comunque è generale a tutti gli interventi di mediazione. Una menzione particolare merita il “report” sull’unica attività interculturale svolta che, anche se non rientra a pieno titolo nella categoria dei “diari”, ha ben documentato l’esperienza vissuta, fornendo preziosi spunti di riflessione. Di seguito riportiamo il resoconto del mediatore peruviano: Abbiamo avuto l’opportunità di essere presenti, dopo un breve colloquio con le insegnanti, in una classe con una considerevole presenza di bambini di provenienza straniera. Dal Congo alla Bolivia, dall’Ecuador all’Egitto, da Santo Domingo al Perù. Credo di avere recepito ad un certo punto che i bambini italiani fossero una incuriosita minoranza. Una classe dove mi sono sentito subito a mio agio. Dopo una breve presentazione di noi mediatori nelle nostre rispettive lingue, spagnolo e filippino, cominciamo a strappare i primi sorrisi di questo attento gruppo. Gli sguardi di questi bimbi s’incrociano chiedendosi che cosa mai avremmo detto. Qualche bambino italiano vanta una certa conoscenza dello spagnolo, mentre gli ispanofoni rimangono in silenzio osservando la reazione dei compagni. Il sottofondo si riempie di commenti sul fatto di avere capito; un po’ meno quando si presenta la collega filippina. Cala il quasi totale silenzio, nessuno, tranne due bambini filippini, ha capito quelle poche frasi dette dalla mediatrice. E qua approfittiamo per introdurre quel che faremo in quelle due ore. Usando la lingua che ci accomuna tutti in classe, incominciamo a chiedere che cosa avevano sentito, che cosa ave118 vano provato ascoltando una persona che parlava una lingua diversa. Le risposte, anche se potevano sembrare scontate, erano accompagnate da una carica sensibile e solidale, partendo dal proprio sentimento ma riportato a quello che poteva essere il vissuto del compagno straniero. Abbiamo sottolineato, volutamente, che l’obiettivo della nostra presenza era di mettere a fuoco l’importanza per questi bambini e ragazzi, di essere accolti e sostenuti in modo adeguato, di essere una fonte di ricchezza e non numeri in più, di quanto può essere prezioso dedicare alcuni minuti al compagno che non capisce ancora la lingua italiana, di quanto uno può imparare da quel bambino di cultura e abitudini diverse, di quanto la nostra memoria, passati gli anni, ci ricorderà con immenso piacere i momenti di gioco, di studio e perché no, anche di momenti di difficoltà vissuti con i nostri compagni, stranieri e non. Capiamo a questo punto che possiamo cominciare. Inizio con la solita domanda che in tanti si fanno: perché noi peruviani, noi sudamericani, parliamo lo spagnolo? E qua inizia un racconto, quasi un monologo del prima, durante e dopo la conquista spagnola. A singhiozzo ci diamo il cambio con la mia collega filippina, che a sua volta racconta e descrive il suo paese anche da un punto di vista storico e culturale. L’interesse cresce in classe e l’intervento prende la strada dell’interazione. Domande e momenti di racconto della propria esperienza arrivano a raffica, soprattutto quando parliamo di cibo, musica e cose in comune che possiamo avere tutti noi i presenti. Ci soffermiamo su un aspetto emerso nello scambio d’informazioni, rilevante nella relazione fra i pari: il linguaggio metaverbale, i gesti. Avvertiti dalle insegnanti di un problema di fraintendimento tra gli alunni riguardo a determinati gesti e frasi interpretati in modo sbagliato, abbiamo cominciato insieme alla collega filippina, a spiegare e “tradurre” gesti normalmente usati in alcuni paesi e sconosciuti in Italia. Con un briciolo di divertimento affrontiamo anche questo, strappando risate ma puntando insistentemente sul fare capire al gruppo che tante volte ci sentiamo “minacciati” da frasi o da gesti che in realtà vogliono dire tutto il contrario. Cerchiamo nel possibile, malgrado lo scarso tempo a disposizione, di indurre alla riflessione su questo tipo di problematiche. All’enorme curiosità dei ragazzi si aggiunge quella dei due insegnanti che ci affiancano, creando così un contenitore de idee e informazioni, di scambio e ripasso di quello che si studia in classe. Uno spazio dove prevale la solidarietà, il rispetto e la conoscenza dell’altro. Una conoscenza che arricchisce tutti. Sono passate più di due ore e dobbiamo andare. Mentre ci salutiamo, ci vengono incontro alcuni ragazzi che ci chiedono insistentemente quando ci rivedremo di nuovo. Tra loro non ci sono stranieri, questi, sono rimasti lì a guardarci con una certa complicità. Gli altri intorno a noi continuano a farci domande sui nostri paesi. La relazione finale Al termine del Progetto è stato proposta ad ogni mediatore la stesura di una relazione seguendo una traccia comune (tab. 11), discussa in un incontro di gruppo e finalizzata a documentare l’esperienza e l’attività lavorativa, a fornire ulteriore elementi di verifica e a evidenziare i punti di forza e i nodi critici dell’attività svolta. 119 Tab. 6 - Traccia per la relazione finale Traccia per relazione finale Mediatore-mediatrice: Azioni di mediazione Compilare un riquadro per ogni scuola in cui si è lavorato Scuola: Periodo lavorativo: Luogo in cui si è svolta l’attività (es: classe, aula dedicata, aula insegnanti…): È stata fatta una programmazione con le/gli insegnanti per decidere le attività da svolgere? Al termine è stata fatta una verifica con le/gli insegnanti dell’attività svolta? Attività svolta: • verso gli alunni • verso le insegnanti • verso i genitori • verso la scuola Funzioni di mediazione svolte: Risultati ottenuti Criticità riscontrate Note e commenti Le storie Individuare due situazioni di alunni/alunne seguite Storia Nazionalità dell’alunno/alunna Età Motivo della richiesta di mediazione Racconto dell’intervento di mediazione Risultati conseguiti Punti di forza Punti di debolezza Note e commenti Sono state redatte 20 relazioni che, in generale, hanno rispecchiato e sottolineato gli aspetti di dibattito già affrontati durante tutto il Progetto, mettendo in evidenza criticità ma anche sottolineando la riuscita degli interventi. Citiamo alcuni commenti e proposte: • sarebbe necessario concedere più ore di mediazione per ogni bambino, soprattutto per i ragazzi della scuola secondaria perché la barriera linguistica crea numerose difficoltà nello studio e nella comunicazione; • è molto importante lavorare anche a livello affettivo e di socializzazione con gli altri, permettere di valorizzare la cultura, le capacità individuali dell’alunno neo arrivato; 120 • è necessario lavorare molto sul rispetto delle regole scolastiche, sulle diversità culturali, l’accettazione degli altri, la convivenza sociale; • è indispensabile lavorare con la famiglia per creare un rapporto di collaborazione e fiducia. Interessanti sono alcune “storie” scelte dai mediatori che riportano l’intreccio tra necessità delle scuole, degli alunni, delle famiglie e intervento di mediazione. Ne riportiamo alcune a titolo esemplificativo: Nazionalità: turca Età: 7 Motivo della richiesta di mediazione: colloquio con il genitori e consegna scheda di valutazione Racconto dell’intervento di mediazione: in questo caso, le insegnanti hanno ritenuto opportuno non ammettere il bambino alla classe successiva, poiché non era riuscito a conseguire gli obbiettivi prestabiliti. Dopo una dettagliata spiegazione alla madre sui motivi di tale scelta (il bambino non aveva frequentato la scuola dell’infanzia perciò si trovava in un contesto del tutto nuovo e per di più con una lingua a lui sconosciuta), si scopre che il bambino, il quale si pensava fosse neo arrivato dal paese d’origine, in realtà si trovava in Italia già da anni, ma che non era mai stato fuori dal contesto “casa”. Inoltre, si scopre anche che la famiglia non vive in un contesto molto agiato e per di più il padre sembra disinteressato e poco presente all’andamento scolastico del figlio. Risultati conseguiti: il genitore ha compreso l’importanza di tale scelta e le insegnanti sono convinte che il bambino potrà ripetere l’anno scolastico senza alcuna difficoltà. Punti di forza: è stata un’occasione per comprendere meglio la situazione del bambino e il contesto in cui vive. Punti di debolezza: nonostante le insegnanti conoscessero il bambino da un anno e avessero avuto altre occasioni per parlare con il genitore, non avevano mai avuto occasione di chiedere del passato dell’alunno, poiché pensavano che fosse neo arrivato. Note e commenti: si poteva richiedere l’intervento della mediatrice (necessaria soprattutto nella prima accoglienza) per affiancare il bambino, affinché potesse non solo aiutarlo nella mera comprensione della lingua italiana, ma anche per ambientarlo in un contesto che per lui era del tutto sconosciuto. 121 Nazionalità: moldava Età: 14 anni Motivo della richiesta di mediazione: come neo arrivata l’alunna ha incontrato delle difficoltà linguistiche ma anche alcuni problemi di integrazione. Racconto dell’intervento di mediazione: l’alunna è arrivata in Italia per ricongiungersi con la sua famiglia che prima ha lavorato in Portogallo e poi si è trasferita in Italia. Per lei è stato un inserimento forzato anche perché essendo stata separata dai genitori da piccola ha fatto tanti sforzi per accettare la vita insieme a loro. All’inizio ha avuto molta nostalgia per il paese di origine, per i nonni e soprattutto per gli amici rimasti nel suo paese. I genitori non le rifiutano niente e tante volte esagerano con dei regali costosi (telefonino ultimo modello, Ipod, vestiti…) Tutto questo ha creato degli atteggiamenti problematici sia nei confronti dei compagni di classe che con gli insegnanti. Dal suo paese è arrivata con un buon livello didattico. La ragazza ha imparato in fretta la lingua italiana. Si esprime bene e prova anche ad affrontare i testi di studio. È stata aiutata durante i laboratori di L2, soprattutto in grammatica, spiegandole le interferenze e le differenze delle strutture grammaticali tra madre lingua/italiano; sono stati utilizzati testi facilitati in scienze, antologia, storia. La ragazza è stata aiutata a fare la tesina per l’esame di Licenza Media. Risultati conseguiti: l’alunna ha fatto progressi nello studio della lingua italiana, si è ben integrata e ha fatto amicizia con diversi compagni di classe, però preferisce la compagnia dei ragazzi connazionali, romeni e moldavi. Si è lavorato molto sugli atteggiamenti ed è riuscita a cambiare in modo radicale. Punti di forza: i risultati positivi sono dovuti anche al fatto che la ragazza è molto intelligente e ha avuto una buona risposta alla presenza del mediatore. Punti di debolezza: le ore di intervento di mediazione sono state poche per arrivare a risultati maggiormente efficaci. Note e commenti: la ragazza non ha fatto una scelta consapevole della scuola superiore non essendo in grado di capire la struttura della scuola italiana. Come si nota, la scrittura ha dato la possibilità ai mediatori di riflettere sulla storia dell’alunno, ma anche sull’intervento effettuato, evidenziando questioni di metodo e proponendo correttivi per migliorare l’efficacia della mediazione. 122 Allegati La modulistica dello sportello Mediante a cura di Simona Boffi, Simona Panseri 125 126 127 128 Bibliografia* a cura di Manuela Fumagalli Articoli Aa.Vv. 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