cantiere regia — 31
Massimo Gasparon, giovane e affermato regista veneziano, negli ultimi mesi ha portato con i suoi allestimenti la musica di Vivaldi in
giro per il mondo. In particolare, tra dicembre e aprile, ha messo in
scena il Montezuma a Città del Messico (foto a destra) e la Juditha triumphans a Seoul (in basso). Nelle righe seguenti ci illustra la genesi e le caratteristiche di questi due lavori.
I
l Montezuma affronta il tema della conquista dell’America, e nasce alla fine del 2009 in preparazione del
bicentenario dell’indipendenza del Messico, le cui celebrazioni si svolgono nel 2010.
Il testo originale, in italiano, è stato tradotto in una doppia lingua. Da una parte i personaggi spagnoli, che parlano castigliano,
dall’altra gli indigeni, per i quali è stato fatto
dall’Università messicana un grande lavoro di recupero filologico, traducendo le loro
parti nell’antica lingua nahuatl, cioè azteca.
Ascoltare i dialoghi tra Montezuma (o Motecuhzoma, nella grafia originale) e Cortés
cantati in questo duplice registro linguistico
è di grande effetto, e rende molto godibile
l’allestimento, che sarebbe magnifico portare a Venezia in questa inedita versione. La musica, ovviamente, è quella di Vivaldi – affidata alla magistrale direzione di Francesco Fanna – cui è stata fatta qualche aggiunta per completarla. Sempre in un’ottica di analisi storica di quegli eventi antichi, è stato anche inserito un personaggio nuovo e introdotto un attore che collega le scene
tra loro. Dal punto di vista registico è uno spettacolo denso di simbolismi. Abbiamo ricreato la grande pietra del calendario azteco, con i suoi cinquantadue simboli, e poi c’è
«
una struttura a piramide in plexiglass che poggia su un pavimento lucido riflettente che rappresenta l’ossidiana, cioè
la pietra che caratterizzava le divinità. Questo disco nero
che è il pavimento, dove si riflettono i personaggi, è quasi
un lago, e il riferimento è a Città del Messico, la quale sorgeva proprio su un lago, un po’ come Venezia. Come tendo a fare sempre, anche in questo caso ho voluto mescolare la nostra tradizione con quelle locali, e infatti durante la rappresentazione si assiste all’esibizione di un gruppo di ballo preispanico. E, sempre su questa falsariga, alla strumentazione canonica sono state accostate le sonorità magiche di antichi strumenti autoctoni.
Un discorso diverso è quello della Juditha
triumphans che ho portato a Seoul in aprile.
Si tratta di un oratorio, che normalmente si
dà in forma di concerto, mentre io ho voluto curarne una realizzazione scenica. L’impostazione questa volta è completamente
barocca, con dei chiari riferimenti tiepoleschi e quattro colonne che richiamano in
modo esplicito le quattro colonne di Salomone, strettamente legate al mito di Giuditta. Ho sottolineato l’allegoria dichiarata
nel libretto, secondo la quale Giuditta rappresenta Venezia, mentre Oloferne i turchi.
L’opera era stata commissionata a Vivaldi
come auspicio di una futura vittoria sugli
ottomani, che in effetti si verificò ancora
prima che debuttasse alla Pietà. Anche qui
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I Vivaldi internazionali
di Massimo Gasparon
ho operato una commistione culturale, inserendo una danza orientale nel bel mezzo della vicenda. Questa Juditha è la
seconda opera barocca in assoluto che si fa in Corea, dopo il Rinaldo di Haendel ideato da Pier Luigi Pizzi». (l.m.) ◼
32 — cantiere regia
Il teatro epico
di Brockhaus
e Svoboda
Il regista tedesco porta
a Treviso la sua «Traviata»
I
di Giulia Covelli
cantiere regia
l Teatro Comunale di Treviso ha ospitato l’undici marzo
scorso La traviata di Verdi con le scene di Josef Svoboda e la regia di Henning Brockhaus. Quest’ultimo ci racconta il suo allestimento, che nasce nel ’92 per lo Sferisterio di Macerata.
Quali sono stati i cambiamenti di questo spettacolo dalla sua nascita a oggi?
I principali sono stati determinati dal mutamento dello spazio teatrale, dall’esterno all’interno (Teatro all’Opera di Roma nel 1994); in quest’ultima occasione Svoboda
cambiò la forma dell’enorme specchio al centro della scena, da scultura scalare ad ampio rettangolo. Questa decisione nacque dalla necessità di adattarsi al nuovo spazio.
Di conseguenza si verificarono delle ripercussioni anche
nella regia, ma l’impianto generale rimase lo stesso. A ogni
ripresa avviene qualche piccola modifica, alcune dettate
dalla disponibilità a muoversi e a rispondere alle mie richieste da parte dei cantanti e del coro.
È noto che il suo rapporto con Svoboda fu di grande amicizia e in-
tesa: c’era complementarietà nei vostri ruoli? Si sente in qualche modo anche scenografo?
Nel periodo in cui mi chiesero di occuparmi di questo
spettacolo stavo con Svoboda praticamente notte e giorno: lui era stato chiamato da Giorgio Strehler al Piccolo
Teatro per realizzare le scenografie di Faust e io ero diventato la sua persona di riferimento anche perché avevamo
già avuto diverse esperienze teatrali insieme. In un certo
senso anch’io sono diventato scenografo, ma più che altro
per necessità, perché non ho più lavorato con artisti come
Svoboda con il quale l’intesa era totale. Lui e io ci siamo
capiti a pelle perché entrambi venivamo dalla tradizione
brechtiana. Il nostro intento, fin dall’inizio, fu quello di
non fare del teatro naturalistico ma epico, dove la storia è
data per conosciuta e l’attenzione è rivolta alla psicologia
dei personaggi, infatti sia l’attrezzeria che i cambi di scena sono a vista. Svoboda diceva sempre che lo spazio deve seguire la musica, deve essere in grado di crescere ed
emergere con forza, ma anche sapersi ritirare man mano
là dove la musica decresce e, dove c’è il silenzio, deve sparire totalmente: questa concezione è unica, non ho mai incontrato uno scenografo simile!
Lei dà estrema importanza al romanzo di Dumas, ci sono elementi di questo testo che non emergono dal libretto di Piave-Verdi e che lei
ha voluto riportare alla luce?
Ho visto La traviata varie volte e sono sempre stato contrario alle messinscene piene di clichè, dove non è chiaro
che questa donna è una prostituta. Spesso gli spettacoli si
aprono con una cena tra gente elegante ma non si capisce
né il vero ruolo di Violetta né quello di chi le sta attorno:
ogni corista è una Violetta e anche Flora è una prostituta.
Ho notato la tendenza ad attenuare questo aspetto anche
in Madame Butterfly. Nella tradizione borghese della lirica
queste cose vengono sempre omesse.
Il testo, le fonti letterarie e quelle storiche sono fondamentali per
comprendere la vera storia della Traviata?
Bisogna sempre documentarsi, ho studiato infatti tutte le fonti come faccio in queste occasioni. Prendendo ad
esempio il titolo del romanzo di Dumas La dama delle camelie ho notato che il novanta per cento dei cantanti non
sa da cosa derivi. Sappiamo bene che questa donna andava a teatro con delle camelie, e che comunicava ai clienti la sua disponibilità fisica con il colore dei fiori, bianco o
rosso. Molte soprano non conoscono nemmeno il significato della parola «traviata». In America, durante la prova generale, una ragazzina me ne chiese il significato e io
risposi: «La traviata è una
donna che ha avuto una
vita “travagliata” e che ha
perso la retta via», e la ragazza se ne andò via felice e soddisfatta. Sbalordito confidai al soprano italiano la domanda e
lei mi chiese stupita: «E
tu hai saputo rispondere?» Lì ho scoperto che il
mio soprano aveva già interpretato altre venti volte La Traviata senza sapere il significato del titolo.
La soluzione dei tappeti e
dello specchio può essere considerata come l’antenata delle
moderne videoproiezioni. Cosa ne pensa di queste tecniche
scenografiche?
Svoboda è stato il primo a cimentarsi con le
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mettendo la sua carriera da avvocato. Nella casa di Flora
il coro accoglie Alfredo come un guastafeste ma questo lo
si capisce solo se si approfondisce la storia e la psicologia
dei personaggi. Il comportamento di Armand, lasciato da
Marguerite, è molto più crudo nel romanzo di quanto lo
cantiere regia
proiezioni in teatro restando tuttavia contrario
all’idea che esse potessero
sostituire la scenografia.
Il video proiettato ha senso solo quando rappresenta una nostra proiezione interna, una vibrazione emotiva oltre lo spazio.
Lo specchio è l’elemento rivelatore di una simbologia latente, quindi le immagini riflesse
rappresentano l’ambiente psicologico in cui i personaggi si
trovano?
La mescolanza tra pittura e realtà suscita diverse associazioni. Svoboda
definiva lo spazio teatrale come «spazio psico-fisico», che ha cioè la qualità di suggerire suggestioni o emozioni nello spettatore. Lo specchio serve
per sdoppiare la prospettiva e per riflettere le immagini che fanno parte del mondo psicologico o di quello onirico del personaggio.
Come affronta la regia l’incontro sul palco tra illusione e realtà, sogno e logica? Quali episodi simbolici e quali riferimenti alla crudezza della storia vuole ricordare?
Il lavoro del regista è prima di tutto un momento di appropriazione della partitura e del testo: si fanno ricerche
per avere un’idea di come riraccontare la storia e questa è
un’operazione intellettuale, forse anche intuitiva ma sicuramente di ricerca. Poi si può pensare alle soluzioni sceniche attraverso l’uso del simbolo e dell’evocazione. Nel secondo atto della Traviata, nella scena in cui Germont canta «Pura sì come un angelo» il telo che rappresenta la casa viene tirato via lentamente e, mentre la casa nel riflesso svanisce, per Violetta si svela un mondo di fiori: questo è un momento simbolico; la casa, metafora dell’esistenza borghese, si scioglie come neve al sole lasciando
spazio a un mondo naturale incontaminato. Questa scena è drammaturgicamente molto debole e si discosta anche dalla storia originale. Marie Duplesiss non ha sensi
di colpa, sa che deve morire per una malattia tremenda e
che non c’è modo di salvarsi. Quando si ritira in campagna non rinuncia alla sua professione e affitta una casa poco lontano per incontrare gli amanti; in queste circostanze Dumas impazzisce di gelosia e scappa senza rispondere alle lettere che per mesi la donna gli invia. Al suo ritorno, nel periodo del carnevale, lei muore. Verdi e Piave inseriscono nell’opera un aspetto cattolico che nel romanzo di Dumas non c’è. Infatti Germont chiede a Violetta
di sacrificare il suo amore per Alfredo per non macchiare la reputazione della figlia che sta per sposarsi e in cambio Dio le avrebbe perdonato la vita condotta e l’avrebbe
accolta in paradiso. Questo presuppone che Violetta abbia dei sensi di colpa per la sua professione di prostituta e
che veda nella malattia una punizione divina. Anche la figura del padre nell’opera di Verdi si discosta da quella del
romanzo: egli dice semplicemente al figlio che è un pazzo,
non perché incontra prostitute ma perché toglie dal mercato la più bella di loro facendosi tanti nemici e compro-
sia nell’opera di Verdi: il giovane stabilisce infatti una relazione amorosa con Olympe, provocando volutamente,
anche con corteggiamenti espliciti e insistenti, la sensibilità di Marguerite. Nel romanzo ci sono tante situazioni
crudeli, piene di depravazione e di gelosie, che la mia regia, con tante piccole azioni, cerca di portare alla luce. Dumas sosteneva che queste prostitute si sentivano umiliate perché diffamate, malgrado i pagamenti generosi, e si
vendicavano canzonando gli uomini. Tra le ragazze c’era
sempre una certa competizione: nella mia regia, per esempio, quando nel primo atto entra Flora accompagnata da
un giovane, Violetta le va incontro con le braccia aperte,
ma il suo abbraccio coinvolge il ragazzo, non Flora. La regia cerca di ricreare queste situazioni con tanti piccoli gesti. Alla fine della prima parte del secondo atto, quando
Alfredo viene a conoscenza della partenza di Violetta per
Parigi, ho evidenziato questo punto musicale come momento simbolico: il telo raffigurante le margherite lascia
spazio a un collage di immagini della famiglia al cui centro
padroneggia la figura emblematica del padre; Alfredo, urlando, si getta tra le sue braccia come in un sogno. Verdi
non segue una logica razionale ma un linguaggio diverso,
che non tiene conto della successione cronologica degli
eventi o della distinzione tra situazione reale e psicologica; il nostro compito oggi è di decifrare proprio questo. ◼
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Cantiere Regia - Euterpe Venezia