La colomba della pace 4 - 2012 LA VITA La vita è opportunità, coglila! È bellezza, ammirala! È sogno, fanne una realtà! Sfida, affrontala! Dovere, compilo! Gioco, giocala! Amore, godine! Ricchezza, conservala! Mistero, scoprilo! Promessa, adempila! Tristezza, superala! La vita è un inno, cantalo! E’ una lotta, accettala! Avventura, rischiala! Felicità, meritala! La vita … è la vita, difendila!!! Madre Teresa di Calcutta. “Premio Impegno per la pace” 1982 della fondazione Gianfrancesco Serio 30 Sembra che in Calabria – come altrove – vincano sempre i corrotti, i furbi, i violenti … Non importa. Tu spera e fai trionfare la Giustizia … Sembra che la società sia indifferente di fronte alla fame dei popoli dell’Africa e di tant’altre parti del mondo … Non importa, tu scegli la solidarietà … Sembra che stiano vincendo l’individualismo gaio, il fondamentalismo cieco … Non importa … Difendi la dignità dell’uomo che è una ricchezza inesauribile, come l’intelligenza e l’amore! Fai fiorire nel tuo cuore la pace che non è una virtù, non è negoziabile (come i beni di consumo), non si acquista al mercato, non la si esporta, né la si difende con le armi … ma con la libertà, con l’esempio e la testimonianza … La Pace è frutto di virtù, è silenziosa come un bosco che cresce … La Pace è il seme del bene comune. Il seme sei tu, giovane, che cresci e ti carichi di semi … che nemmeno in tempo di carestia puoi mangiare se vuoi che diventino … semi per altri giovani che promuovono la vita … buona e onesta … (gs) Qualeducazione La violenza somiglia al bosco che brucia e s’incenerisce … 79 Sped. in A.P. 45% - Art. 2 comma 20/b Legge 662/96 - DCO/DC-CS/133/2003 Valida dal 17-03-2003 Qualeducazione Per un dialogo libero in Europa - Trimestrale internazionale di Pedagogia Giuseppe Serio, direttore scientifico Walter Pellegrini, direttore responsabile Filomena Serio, segretaria di redazione Direzione-Redazione: Viale della Libertà, 33 87028 PRAIA A MARE Tel. e Fax (0985) 72047 Amministrazione: 87100 Cosenza Via Camposano, 41 - Cas. Post. 158 Gruppo Periodici Pellegrini Tel. 0984 795065 - Telefax 0984 792672 E-mail: [email protected] Qualeducazione è una rivista del Gruppo Periodici Pellegrini: Nuova Rassegna di Studi Meridionali, Letteratura & Società, Giornale di Storia Contemporanea, Incontri Mediterranei, La Questione Meridionale, Labirinti del Fantastico, Voci, Crocevia, Fata Morgana. Comitato scientifico: Dietrich Benner (università di Berlino), Franco Blezza (università di Chieti), Michele Borrelli (università della Calabria), Luciano Corradini (università di Roma3), S. Serenella Macchietti (università di Siena), Gaetano Mollo (università di Perugia), Antonio Pieretti (pro-rettore università di Perugia), Jörg Ruhloff (university of Wuppertal, Germany), Concetta Sirna (università di Messina), Giuseppe Spadafora (università della Calabria), Giuseppe Zanniello (università di Palermo). Comitato di Referees: Sergio Angori (università di Siena), Massimo Baldacci (università di Urbino), Carlo Borgomeo (presidente Fondazione per il Sud), Michael Byram (univ. Durham, England), Carlo Nanni (rettore dell’università salesiana), Dietrich Benner (università di Berlino), Jörg Ruhloff (university of Wuppertal, Germany), Gaetano Mollo (università di Perugia), Stefania Paluzzi (università di Chieti), Antonia Rosetto Aiello (LUMSA Caltanissetta), Daniela Grieco (pedagogista in Vicenza), Marisa Di Clemente. RedazionE: Franco Blezza (Univ. G. D’Annunzio, Chieti), Emilia Ciccia (ricercatrice), Vincenzo Pucci, Giovanni Villarossa (Presidente nazionale UCIIM), Filomena Serio. RedazionE EUROPEA: Michele Borrelli (Univ. della Calabria). Libri (per recensione) e riviste (per cambio) debbono essere inviati al direttore della rivista: Giuseppe Serio, Viale della Libertà, 33 - 87028 PRAIA A MARE (Cosenza) Periodicità trimestrale - Anno XXX - N. 4 (ottobre-dicembre 2012) - Fascicolo N. 79 Abbonamento - annuale E 26,00 con il suppl. “Vivere la nonviolenza”; estero il doppio; un numero E 6,00 - Iscrizione R.O.C. n. 316 del 29/08/2001 (* Gli abbonamenti s’intendono rinnovati automaticamente se non disdetti 30 gg. prima della scadenza). Autorizzazione del tribunale di Cosenza - Iscr. Registro Nazionale della Stampa n. 00969 del 29-8-1983 - c.c.p. n. 11747870 intestato a Luigi Pellegrini Editore - Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza Fotocomposizione: Pellegrini Editore Per un dialogo libero in Europa Rivista internazionale di Pedagogia Nata nel 1982 – quando sembrava, come ancora sembra imminente l’eclissi dell’educazione – questa rivista si propone al mondo della scuola e dell’università come un progetto che si realizza con il dialogo libero, plurale, aperto in continuità per approfondirlo tra un convegno e l’altro che la fondazione Serio affida alla discussione della Comunità scientifica internazionale a cui aderiscono studiosi di alta qualità e varia collocazione culturale. La rivista – sin dall’origine – si configura come comunità scientifica dialogante, disponibile all’incontro, al confronto costruttivo tra persone, istituzioni, associazioni e, grazie alla sua apertura, è cresciuta e cresce producendo cultura. Quando l’editore Pellegrini mi affidò la direzione avvertii, come avverto tuttora, l’esigenza di dare più forza alla cultura che privilegia le problematiche concernenti la dignità della persona prescindendo dal colore della pelle, dalla fede religiosa, dall’orientamento politico … In 30 anni di presenza in Italia e in Europa, 79 fascicoli, settemila pagine, chiede di poter continuare il suo discorso in un momento difficile della storia dell’educazione, un bel tempo per la libertà dell’uomo e del cittadino. Nota: L’abbonamento alla rivista è di E 26.00 da versare sul ccp N. 11747870, intestato a Pellegrini Editore, Via Camposano, 41 – 87100 Cosenza. Dai siti www.associazionegianfrancescoserio.it – www.progettolegalita.org. si possono leggere gli ultimi 5 fascicoli, l’elenco dei collaboratori, l’impianto scientifico della rivista e il progetto “Costituzione e cittadinanza – Promozione della legalità”. I collaboratori di Qualeducazione Giuseppe Acone, Aldo Agazzi (†), Silvana Aguggini (†), Grazia Angeloni, Fabrizia Antinori, Karl-Otto Apel, Antonio Augenti, Ilaria Attisani, Theodor Ballauff, Imma Barbalinardo, Giuseppe Barbarino, Nicoletta Bellugi, Dietrich Benner, Armin Bernhard, Anna Bisazza Madeo, Franco Blezza, Lamberto Borghi (†), Carlo Borgomeo, Michele Borrelli, Wolfgang Brezinka, Maria Anna Burgnich, Wilhelm Büttemeyer, Dieter Buttyes, Michael Byram, Mimmo Calbi, Pasquale Cammarota (†), Francesca Caputo, Tommaso Cariati, Alessia Casoni, Bernat Castany Magraner, Pier Giuseppe Castoldi, Francesco Castronuovo, Elide Catalfamo Favet, Giuseppe Catalfamo (†), Vittoria Cavallai, Manuela Cecotti, Lucia Cibin, Sergio Cicatelli, Emilia Ciccia, Giuseppina Colaiuda, Ignazio Dario Collari, Enza Colicchi, Ornella Comuzzo, Eva Corradini, Luciano Corradini, Piero Crispiani, Armando Curatola, Augusto Cury, Emilio D’Agostino, Guido D’Agostino, Antonio D’Aquino, Elio Damiano, Maria Ermelinda De Carlo, Luisa Della Ratta, Tullio De Mauro, Severino De Pieri, Paolo De Stefani, Lorenzo Di Bartolo, Salvatore Di Gregorio, Walter Di Gregorio, Adele Diodato, Vincenzo D’Onofrio, Concetta Epasto, Armando Ervas, Michele Famiglietti (†), Marisa Fallico, Marcella Farina, Antonio Fazio, Otto Filtzinger, Giuseppe Fioroni, Franco Frabboni, Barbara Gaiardoni, Lauro Galzigna, Hans-Jochen Gamm, Roberto Gatti, Mario Gennari, Andrea Giambetti, Fatbardha Gjini, Franco Severini Giordano, Guido Giugni (†), Maria Angela Grassi, Anna Maria Graziano, Giovannella Greco, Adelina Guerrera, Vincenzo Guli, Giuseppe Guzzo (†), Hartmut Von Hentig, Eugenio Imbriani, Nunzio Ingiusto, Massimo Introvigine, Isabel Jiménez, Fatane Hassani Jafari, Amik Kasaruho, Maria E. Koutilouka, Edmondo Labrozzi, Mauro Laeng (†), Marino Lagorio, Nico Lamedica, Giuseppe Lanza, Raffaele Laporta (†), Valeria Lenzi, Isabella Loiodice, Sira Serenella Macchietti, Francesco Maceri, Alessandro Manganaro, Giuseppe Manzato, Ugo Marchetta, Maddalena Marconi, Lucia Mason, Louis Massarenti, Giuseppe Mastroeni, Giovanni Mazzillo, Nomberto Mazzoli, Mario Mencarelli (†), Gaetano Mollo, Maria Monteleone, Daria Morara, Paola Bernardini Mosconi, Marina Mundula, Carlo Nanni, Walter Napoli, Stefano Orofino, Anna Paladino, Roberto A. Paolone, Cecilia Parisi, Anna Maria Passaseo, Anna Paschero, Luigi Pellegrini, Angela Perucca, Enzo Petrini, Rosaria Picozzi, Antonio Pieretti, Gustavo Pietropolli Charmet, Lucrezia Piraino, Antonio Pisanti, Gianni Pittella, Andrea Porcarelli, Livio Poldini, Clide Prestifilippo, Alessandro Prisciandaro, Vincenzo Pucci, Marco Pasqua, Maria Moro Quaresima, Francesco Raimondo, Giusy Rao, Elena Ravazzolo, Paolo Raviolo, Micheline Rey, Aurelio Rizzacasa, Rosa Grazia Romano, Antonia Rosetto Ajello, Elisabetta Rossini, Angelo Rovetta, Franca Ruggeri, Maria Antonietta Ruggeri, Morena Ruggeri, G. Carlo Sacchi, Elisabetta Salvini, Alessandra Samarca, Graziella Sanfilippo Scuderi, Bruno Schettini (†), Pantaleone Sergi, Filomena Daniela Serio, Alessandra Signorini, Andrei Simic, Concetta Sirna, J.J. Smoliez, Angela Sorge, Giuseppe Spadafora, Gianfranco Spiazzi, Francesco Susi, Anna Pia Taormina, Ermanno Taracchini, Gennaro Tedesco, I. Testa Bappenheim, Alessandra Tigano, Rosanna Tirelli, Enrica Todeschini, Giuseppe Trebisacce, Mario Truscello, Laura Tussi, Elena Urso, Pierre Vayer, Giovanni Villarossa, Claudio Volpi (†), Giorgio Vuoso, Giuseppe Zago, I. Zamberlan, Alex Zanotelli, Antonino Zichichi, Corrado Ziglio. SOMMARIO - Fascicolo 79/2013 EDITORIALE PER DIALOGARE NELLA VERITÀ di Giuseppe Serio........................................................................................ 3 IL DIALOGO DELLA SCUOLA ITALIANA CON L’EUROPA by Gianni Pittella........................................................................................ 8 EDUCARE È UN ATTO DI AMORE di Sira Serenella Macchietti....................................................................... 10 SCUOLA, “SAPERI”, “EDUCAZIONI”, “CITTADINANZA E COSTITUZIONE” di Luciano Corradini.................................................................................. 17 DIALOGARE PER COOPERARE di Gaetano Mollo ........................................................................................ 25 IL DIALOGO ODIERNO, COME FORMA D’AIUTO E D’ESERCIZIO PROFESSIONALE PEDAGOGICO di Franco Blezza.......................................................................................... 32 COMUNICAZIONE E DIALOGO. RIFLESSIONI SULLA CONOSCENZA E CRESCITA UMANA di Grazia Angeloni...................................................................................... 41 DALLA SOFFERENZA ALLA SPERANZA. UN PERCORSO DIALOGICO PER LA MATURAZIONE DELLA PERSONA di Rosa Grazia Romano.............................................................................. 46 IL DIALOGO COME RECIPROCO ASCOLTO di Vincenzo Pucci........................................................................................ 60 MAIEUTICA, AUTO-PROGETTO, RAPPORTO EMPATICO CON L’ALTERITÀ: ATTUALITÀ DELLA PROPOSTA PEDAGOGICOSOCIALE DI ANTONINO MANGANO di Antonia Rosetto Ajello............................................................................ 69 QUALE DIALOGO PER LA COSTRUZIONE DEL BENE COMUNE di Concetta Sirna........................................................................................ 80 LA MEDIAZIONE CULTURALE COME STRATEGIA PER FACILITARE IL DIALOGO di Fatane Hassani Jafari........................................................................... 96 IL DIALOGO ELEMENTO PORTANTE DEL VATICANO II di Giovanni Mazzillo...................................................................................103 DIALOGARE E TESTIMONIARE PER EDUCARE IN UNA SOCIETÀ IN CRISI di Giovanni Villarossa................................................................................108 IL DIALOGO FORMATIVO INTERCULTURALE PER LA SCUOLA DEMOCRATICA di Giuseppe Spadafora................................................................................111 Editoriale Per dialogare nella verità Trent’anni di promozione della cultura di pace di GIUSEPPE SERIO* Nel corso del convegno internazionale sul tema “Educazione alla pace. Un progetto per la scuola degli anni ’80” pensai che sarebbe stato interessante far conoscere ai lontani dal convegno le tematiche affrontate da pedagogisti cattolici, laici e marxisti al fine di far continuare il dialogo tra un convegno e l’altro della fondazione Serio. Nel 1982, perciò, nacque questa rivista che fu presentata ai partecipanti del convegno sul tema “I Valori socio-politici nella vita giovanile”; allora, la rivista recava come sottotitolo “Per un dialogo libero nel Mezzogiorno” (e l’ha mantenuto fino al fascicolo 30; a partire dal 2000 ha assunto, l’attuale). Il dialogo a distanza ha giovato veramente al lavoro della comunità scientifica che via via si è costituita intorno agli interessi culturali della fondazione Serio. Credo che sia giusto ricordare che i Programmi didattici del 1985 dell’allora scuola elementare, raccolsero l’invito di promuovere la cultura di pace nella scuola. Abstract: To celebrate 30[=thirty!] years of this magazine («QE: for a free dialogue in Europe) we present the contributions of collaborators and friends of Qualeducazione [=What Education?]: (Sira Serenella Macchietti, Luciano Corradini, Gaetano Mollo, Franco Blezza, Grazia Angeloni, Rosa Grazia Romano, Vincenzo Pucci, Rosetto Ajello, Concetta Sirna, Fatane Hassani Jafari, G. Mazzillo, G. Villarossa, Giuseppe Spadafora) which expose their points of view on the “concept”(noema) and practice(praxis) of dialogue in contemporary world, look- * Direttore del Centro studi per la promozione della pedagogia dell’Associazione Pedagogica Italiana - Direttore scientifico di Qualeducazione. ing from the Old Europe, the birthplace of Socrates and Thomas Aquinas. Il tema scelto per questo fascicolo (che celebra i 30 anni della rivista) s’incentra sulla variegata e polisemica parola/chiave del sottotitolo della rivista; cioè, il dialogo inter-personale; interculturale tra popoli, razze e stati; inter-religioso tra le chiese; educativo e politico nelle varie istituzioni educative. Ogni contributo per questo fascicolo speciale da parte di chi ha accettato di collaborare, vuole essere un atto di chiarimento per l’Europa che ha il dovere di scoraggiare ogni tentativo di far prevalere il pensiero unico che cerchi di aprirsi una porta entrando come portavoce di un neo-razzismo vellutato proprio nell’Europa dei popoli, QUALEDUCAZIONE • 3 delle culture e degli stati che s’impegnano a realizzare la democrazia del dialogo politico e culturale che è una grande ricchezza del pensiero libero in un mondo che si libera dalla schiavitù del potere finanziario e dalle urla dei falsi democratici. Dopo trent’anni, la rivista, presenta un nuovo progetto culturale che affonda le sue ragioni nella Costituzione italiana che parla all’uomo, cittadino di ogni tempo, e lo invita a volare alto guardando la stella polare delle regole condivise evitando di volare rasoterra, di precipitare ancora là, dove l’assolutismo e il fondamentalismo lo riducono al silenzio, alla morte del pensiero vivo e della libertà, dono sublime di Dio alla persona umana. *** Sira Serenella Macchietti ritiene che il dialogo sia un atto di amore riferendosi particolarmente al discorso di Benedetto XVI del 19.X.2006 per il quale l’“esercizio della carità intellettuale” è un’opera educativa della persona che, in questa società in evoluzione, deve essere assolutamente forte e coraggiosa perché – aggiunge – l’educazione deve essere “illuminata dalla ragione e dalla fede”. In tal modo, il dialogo “allarga gli orizzonti della razionalità” per promuovere la città dell’uomo che “esige relazioni di gratuità, misericordia e comunione” che sono le condizioni per realizzare la relazione di amicizia fra le persone e i popoli. Il secondo contributo è di Luciano Corradini, conoscitore dei tre modelli di scuola che si sono consolidati nel secolo scorso (centralistico-burocrati4 • QUALEDUCAZIONE co; partecipativo-democratico; autonomistico-manageriale) sul cui sfondo la scuola sembra essere un apprenditoio senza la struttura di cui si vantavano gli studenti di Agrigento al tempo del Progetto giovani, quella di saper usare la testa pensante. Il dialogo educativo è l’opportunità offerta alla scuola per dibattere i temi dei diritti umani, del valore della salute, della sessualità, dell’inter-cultura, della Costituzione con cui si può prevenire la ludopatìa se la scuola sa istruire, educare, formare i giovani mediante lo svolgimento delle attività che li aiutino a crescere insieme come protagonisti e cittadini attivi. Dunque, i “saperi diventano formativi se vengono … integrati, elaborati, assimilati …”. Corradini conclude il suo contributo richiamandosi all’art.1 della L 30.10.2008 che impegna la scuola ad assicurare agli studenti una acquisizione graduale di conoscenze e competenze che aiutino il giovane a formarsi anche mediante la prassi dialogica. Il terzo contributo è di Gaetano Mollo secondo cui “al centro di ogni situazione volta alla comprensione deve esserci sempre il dialogo in atto, vivo, rispettoso, collaborativo e costruttivo”, volto a “superare steccati e presunzioni di superiorità” e caratterizzato dall’ascolto empatico e attivo fra i dialoganti. La comprensione fra persone e culture, oggi, è per Mollo la sfida della pace che implica rispetto reciproco e autentico di soggetti “costruttori di ponti e creatori di condivisioni”. Franco Blezza, titolare della rubrica Ricerca e innovazione educativa e didattica della rivista, si richiama a Socrate, il primo grande teorizzatore del dialogo e primo filosofo che “interpretò corret- tamente il responso dell’oracolo di Delfi” scoprendo i limiti del dialogo avente, come punto di partenza, la conoscenza di sé (“ghnòthi seautòn”) e come punto d’arrivo il riconoscimento della propria ignoranza. Perciò, la scelta del tema è attuale, “specificamente pedagogica, a questo proposito”. Mollo analizza questo “strumento rigoroso di comunicazione interpersonale” facendoci dono di una sintesi organizzata del dialogo nell’evoluzione filosofico-pedagogica, a partire da Socrate fino a Sant’Agostino e a Galilei. Segue a questo, l’articolo della Angeloni che affronta la tematica del progresso della scienza e della tecnica per evidenziare l’impreparazione dell’uomo di fronte ai risultati e alle opportunità offerte da tale evento e all’ incapacità di contrapporre un risvolto orientato alla volontà di dialogare per superare la logica dell’isolamento e dell’indifferenza. Rosa Grazia Romano si propone di aiutare la persona ad oltrepassare o superare i contrasti confidando nel perdono e cercando la pace interiore, momento indispensabile per superare la sofferenza, oltrepassarla, vincere la inquietudine, l’incomunicabilità superando fatica, affanni, soprattutto, imparando a perdonare per vincere la solitudine. Il vero desiderio implica l’imparare ad attendere, ad ascoltare gli altri, particolarmente se sono diversi. Insomma, il ‘perdono’ fa bene a chi lo concede e a chi lo riceve: è il segreto per star bene con se stessi e gli altri vivendo nella società globale e disorientata. Vincenzo Pucci (curatore della Rubrica aperta per un dialogo costruttivo della rivista) ritiene che il dialogo autentico sia quello primordiale, quello dell’uomo con Dio che “è ascolto reci- proco nel silenzio torrenziale d’Amore”; un dialogo difficile nel mondo egoistico, cinico, urlante in cui ci troviamo a vivere. Il dialogo è il tentativo d’imparare ad ascoltare davvero l’interlocutore perché un autentico e reciproco ascolto, pur se raro, può rinnovare la vita sul pianeta. Nel mondo com’è ora, però, domina il dialogo fra sordi o il monologo dei potenti. “Insegnare stanca” a scuola – dove soprattutto s’impara poco e male – ed “educare è faticoso”; lo è anche nella famiglia, in ogni ambito della società frammentata. La politica – esercizio di potere, non servizio ai cittadini – è un cattivo esempio che sbilancia la testimonianza degli onesti che rispettano i valori, vanno contro corrente, ancorati alla carità nella verità, nella giustizia, nella libertà e non a favore della massa grigia degli ignavi e degli opportunisti. Antonia Rosetto Ajello coglie “l’occasione per ricordare Antonino Mangano (scomparso nel 2010) frequentatore degli appuntamenti della fondazione Gianfrancesco Serio, autore di articoli che hanno trovato spazio in questa rivista e negli Atti di alcuni convegni; convinto sostenitore del suo progetto culturale”. L’amicizia con Danilo Dolci è stata per Mangano “l’occasione per confrontarsi con una personalità stimolante e poliedrica con cui condivideva l’amore per la natura”. La pedagogia maieutica di Mangano si “coglie nel modo d’interrogare la realtà sociale”; “nell’analisi dei bisogni dell’era planetaria” e nella scoperta di un’etica fondata sul rispetto e sull’apertura alle persone. Per Mangano, collaborare è rielaborare l’esperienza, fare chiarezza mediante “l’ascolto attivo di chi è chiamato a comprendere”. Secondo Rosetto Ajello, QUALEDUCAZIONE • 5 “la maieutica richiede anche un conflitto che è essenziale come la diversità”. L’intervento della Sirna integra quelli affrontati da R. G. Romano, Rosetto Ajello e Pucci. Il mondo contemporaneo sta cercando di affrontare il dialogo in ambito planetario; ma la pedagogista messinese ritiene inadeguate sia le teorie liberiste di orientamento individualistico sia quelle ispirate ai vari comunitarismi. Entrambe, infatti, pur veicolando alcuni principi accettabili, risultano nel complesso riduttive e dagli esiti spesso problematici. Il discorso che affronta la Sirna vuole soprattutto mostrare l’urgenza di promuovere la costruzione di una comunità umana capace di realizzare il bene comune e metterlo a frutto col contributo di tutti. Ma ciò non è facile. Lo riconosce lei stessa che non è un’impresa semplice orientare le persone nella costruzione del mondo socio-economico solidale. Non è nemmeno facile avviare un processo di sviluppo inclusivo dei soggetti che vivono ai margini della società. Nel mondo contemporaneo sono molti quelli che preferiscono vivere nell’indifferenza, sia nei confronti degli ultimi della terra … che per la possibilità di contribuire alla realizzazione del bene comune. Infatti, molte persone non dialogano né politicamente né eticamente perché sono concentrate egoisticamente su se stesse e non sentono il bisogno di cercare la verità e l’amore per la vita … A questo punto mi sembra giusto accogliere qui il contributo di Fatane Hassani Jafari, pedagogista iraniana, che affronta il difficile progetto del dialogo tra bambini indigeni e bambini stranieri, sono quelli che si trovano a vivere in una realtà scolastica spesso confusa e disorientata proprio perché diversa e 6 • QUALEDUCAZIONE differente da quella di appartenenza. L’A. lo fa raccontando la sua esperienza di mediatore culturale e di migrante in Italia. Perciò, analizza con specifica competenza le tante e varie difficoltà che incontrano i bambini stranieri nel nostro Paese, diverso dai loro; sono differenze di popolo, di cultura, di religione, di comunicazione linguistica … non facile da superare, ridurre, compensare … nella società globale … e anche in un Paese come il nostro dove c’è anche la realtà della Padania in cui, purtroppo, alcuni genitori insegnano ai loro figli di cambiare strada se incontrano il demonio (il bambino extra-comunitario) e, anche se si trovano a vivere in ambiente accogliente e aperto, devono, comunque, superare le normali difficoltà; occorre pur sempre soddisfare i bisogni dei bambini che frequentano la scuola sprovvista del mediatore (MLC) che sa e può alleviare o attenuare e, forse, anche contrastare le tante differenze. Al contributo di Fatane Hassani Jafari, iraniana, si affianca quello di don Giovanni Mazzillo, teologo della pace, che osserva la Chiesa sul versante dell’auto-comprensione (Chiesa, chi sei?) e su quello del rapporto con la realtà esterna (Chiesa, cosa dici del mondo e del suo futuro?) proponendoci un dialogo ad intra e ad extra, che “innerva i due aspetti” ponendosi a fondamento della costituzione della Chiesa a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II, che vuole capirsi e capire l’altro, anzi, gli altri. Il Concilio guarda l’uomo, il suo futuro, in un dialogo che si fa “simpatia”, cioè, si fa “una sola cosa”, chiesa e mondo, una coscienza dialogante che si manifesta esprimendosi con il “linguaggio dell’amore”che è il dialogo fondamento della Parola. Villarossa – docente “in progress” – ha percorso tutto l’ordinamento scolastico dalla primaria alla secondaria di secondo grado; è stato dirigente scolastico; cura la Rubrica Autonomia Dirigenza Progettualità di questa rivista; fino a dicembre 2012 è stato presidente nazionale dell’UCIIM. Il suo contributo vuole dare chiarezza all’orizzonte della scuola cattolica in Italia; interpreta il dialogo come strumento educativo fondato sulla testimonianza ispirandosi, appunto, alla sua multiforme carriera di persona impegnata nell’associazionismo. Il ‘testimone vero’ – dice – ‘comunica ciò che passa in prima istanza attraverso se stesso’. L’educazione mediante il dialogo è testimonianza in quanto è anche ricerca dei punti strategici con cui si può capire il mondo vario e variopinto nei volti di bambini e ragazzi che frequentano la scuola italiana aperta a tutti nell’accoglienza solidale… ed anche civile … Il contributo di Spadafora conclude il fascicolo speciale della rivista. Dopo la significativa premessa, svolta particolarmente in chiave filosofica, appositamente scelta, interpreta il dialogo formativo partendo dal tema del concetto di formazione che egli esplora alla luce della tradizione filosofica e pedagogica che spesso s’incrocia e sovrappone a tale riguardo. La dimensione dello sviluppo psicobiologico del soggetto è vicina alla ‘vita interiore’ che è “un fenomeno complesso” che si spiega con “le azioni umane e attraverso l’interpretazione filosofica” per cui il processo formativo “esprime situazioni di crescita e di sviluppo”. Le dimensioni del dialogo formativo, scrive Spadafora, sono nel progetto che si caratterizza nel pensiero e nella co- municazione; il momento noetico è più complesso nel rapporto tra mente pensante e corpo agente. Il dialogo si qualifica per le sue varie dimensioni: “intersoggettività, come problema filosofico”; la relazione etnico-culturale-religiosa, come “caso limite di dialogicità”; la tolleranza, “come nodo della cultura illuministica e liberale” e come rispetto nella reciprocità o nella “percezione dell’alterità quale riconoscimento che preannuncia l’azione inter-soggettiva. Una seconda qualificazione, aggiunge l’A., è data dalla piattaforma valoriale e condivisa; la terza forma di dialogicità è l’integrazione /inter-azione dei valori condivisi. Infine, il dialogo interculturale scolastico che, secondo il pedagogista calabrese, dipende “dal ruolo culturale” e dalla “dimensione politica” del docente, inteso come medium di cui si sono interessati qui Luciano Corradini inizialmente e, nel precedente intervento, Giovanni Villarossa. Giustamente, ci ricorda Vincenzo Pucci, il dialogo, in un mondo in cui prevalgono gli urlanti che intimoriscono le persone semplici, si avverte l’urgenza di ricominciare dalla famiglia, dalla scuola a parlare nella verità in maniera libera e, soprattutto, aggiungerei, considerando gli altri come titolari degli stessi diritti e degli stessi doveri che fanno di ognuno una persona unica e irripetibile “in fieri”, in crescita permanente … Un sincero, caloroso ringraziamento all’on. le Gianni Pittella – primo Vicepresidente del Parlamento europeo – per il suo intervento e al Presidente della Commissione europea, onorevole Josè Manuel Barroso, che ha concesso il patrocinio morale a questo fascicolo speciale della nostra rivista che celebra 30 anni di attività scientifica in Europa. QUALEDUCAZIONE • 7 Il dialogo della scuola italiana con l’Europa The dialogue of the Italian school with Europe by GIANNI PITTELLA* Riassunto: Mi sembra giusto premettere una breve riflessione sulla situazione in cui si trova attualmente la scuola italiana di cui si è sempre occupata la rivista internazionale di Pedagogia Qualeducazione (per un dialogo libero in Europa, che celebra 30 anni di attività culturale) che riguardante il tema che affronto nel seguente contributo. Abstract: I think it’s right to start first by making a brief reflection on the situation in which the Italian school is nowadays, theme always focused by the international journal of Pedagogy “Qualeducazione”, which celebrates 30 years of cultural activity – for a free dialogue in Europe – and deals with the topic I investigate in my following contribution. Il depauperamento della scuola e la dissipazione del patrimonio di esperienza e di sapere, costituita dalla mortificazione e dall’allontanamento di tanti insegnanti validi e nonostante tutto ancora motivati, credo sia la responsabilità maggiore che prima il governo Berlusconi poi Monti portano su di loro nei riguardi del paese. * Primo Vicepresidente del Parlamento Europeo. 8 • QUALEDUCAZIONE Se andiamo a leggere il decennio berlusconiano e leghista alla luce di quanto predicato e purtroppo poi realizzato nell’istruzione dobbiamo concludere che si sta raccogliendo purtroppo quello che si è seminato a piene mani. Dapprima si è detto con il dicastero della Moratti che la scuola pubblica doveva trovare efficienza nel modello privatistico anglosassone in nome dell’autonomia scolastica. La conseguenza è stata molti finanziamenti agli istituti privati a scapito di quelli pubblici, aumento indiscriminato delle quote universitarie e dei contributi delle famiglie in tutti gli ordini di scuole, spese indirette, come libri, trasporti, mense lasciate a briglia sciolta, formazione forzosa e a pagamento dei precari per conquistarsi un posto in graduatoria. Operazione che poi per molti si è rivelata doppiamente una beffa ai loro danni perpetrata dal MIUR. Poi è arrivata la Gelmini in piena era di tagli “orizzontali” e indiscriminati, con l’istruzione considerata alla stregua di un qualunque ramo secco dello Stato (ma quelli veri rimangono saldamente attaccati all’albero insieme a corrotti e mafiosi) e con la quale stiamo assistendo al naufragio annunciato della scuola elementare e tecnica. Il ministro Profumo, sicuramente il più qualificato e competente, è riuscito a dare solo qualche segnale di cambiamento, per quanto importante, come le nuove metodiche adottate per il concorso a cattedre e il varo dell’agenda digitale, ma il tempo, e la variegata maggioranza che lo sosteneva, gli hanno impedito di fare qualcosa di più approfondito. Tutto questo sfacelo deve ovviamente essere moltiplicato per due nel Mezzogiorno, dove l’abbandono scolastico cresce, i laureati migliori scappano all’ estero, la mediocrità del servizio offerto è paradigmatica per le aziende che assumono e la messa in strada di migliaia di precari si trasforma in un fenomeno di arretratezza sociale senza precedenti. Il livello di mediocrità in cui questa politica ha precipitato la scuola e l’università italiana, rispetto al contesto internazionale, sta producendo abissali differenze territoriali e ambientali. Il numero degli espulsi dal sistema scolastico ci colloca fuori dall’Europa: in Italia il 20% dei giovani tra i 20 ai 24 anni ha solo la licenza media, La Fondazione Agnelli calcola che se conseguissero il diploma di scuola media superiore si occuperebbero un milione e 300mila giovani in più, pari al 6,3% degli occupati. Nel Meridione si alternano aree di eccellenza e esperienze positive, come quella rappresentata dalla Basilicata, a una scarsa efficienza del sistema pubblico che rende la situazione spesso fallimentare, la disoccupazione giovanile dilaga sotto il peso della crisi mentre oltre un terzo dei giovani meridionali non raggiunge il livello di competenze necessario per essere ritenuto a livello internazionale un cittadino attivo, l’età media degli insegnanti continua a crescere, così come l’affollamento delle classi. Il divario misurato dal titolo di studio dei genitori, dal contesto ambientale e dalla qualità delle strutture frequentate pesa assai più del talento individuale, i paesi al vertice della classifica Ocse e delle nazioni più progredite sono gli stessi che riducono al minimo il divario tra istituzioni pubbliche e famiglie, tra ordini di scuola e la qualità di singoli istituti: è questo il compito del governo nazionale e locale per non far sprofondare il paese nel sottosviluppo sociale ed economico e che deve essere affrontato unendo e non aumentando le disparità sociali e formative tra nord e sud. Che dire, il quadro è desolante. L’unica via di uscita è tenere duro e non smettere di denunciare la situazione ai tanti utenti e lavoratori della scuola, perché sulla consapevolezza e la verità si possa costruire prima possibile un’alternativa. QUALEDUCAZIONE • 9 Educare è un atto di amore Pensieri di Benedetto XVI sull’educazione di SIRA SERENELLA MACCHIETTI* Riassunto Questo contributo presenta e cerca di interpretare la visione dell’educazione di Benedetto XVI, prendendo in esame la Lettera ai fedeli di Roma e l’Enciclica Caritas in Veritate, in cui il Papa afferma che l’uomo si realizza nelle relazioni interpersonali e che l’educazione è un atto d’amore ed esercizio della “carità intellettuale” che richiede responsabilità, dedizione, coerenza di vita ed apertura alla Verità. Abstract This paper presents and tries to interpret the vision of education of Benedict XVI, by examining the Letter to the faithful of Rome and the Encyclical Caritas in Veritate, in which he states that man is defined through interpersonal relations and that the education is an act of love and exercise of “intellectual charity”, that requires responsibility, dedication, coherence of life and openness to the Truth. Questo contributo si propone di riflettere sulla visione dell’educazione di Benedetto XVI, prendendo in esame in prospettiva pedagogica la Lettera ai fedeli di Roma1 ed accennando all’Enci* Università di Siena - Direttore della rivista Prospettiva EP. Cfr. Lettera del Santo Padre Benedetto XVI alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, Dal Vaticano, 21 gennaio 2008. 1 10 • QUALEDUCAZIONE clica Caritas in Veritate2. Amore, autorevolezza e speranza Nel discorso fatto il 19 ottobre 2006 ai partecipanti al Convegno Ecclesiale di Verona, Benedetto XVI ha affermato che per far sì che «l’esperienza della fede e dell’amore cristiano sia accolta e vissuta e si trasmetta da una generazione all’altra, una questione fondamentale e decisiva è quella dell’educazione della persona»3. Ha inoltre precisato che «un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà»4. Negli anni successivi il Papa ha continuato a proporre riflessioni sull’educazione, sull’importanza della testimonianza e ad indicare itinerari da com2 Benedetto XVI, Enciclica sociale Caritas in Veritate (CIV), Roma, presso San Pietro, 29 giugno 2009. 3 Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al IV Convegno Nazionale della Chiesa Italiana, Verona 19 ottobre 2006. 4 Ibidem. piere e traguardi educativi da conseguire. Significativo, a questo proposito, è il suo Discorso fatto in occasione dell’apertura del Convegno della diocesi di Roma (11 giugno 2007) sul tema Gesù è il Signore. Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza in cui ha precisato che promuovere questa educazione «vuol dire aiutare i nostri fratelli, o meglio aiutarci scambievolmente, ad entrare in un rapporto vivo con Cristo e con il Padre». Ha inoltre ricordato che questo è il compito fondamentale della Chiesa, la quale non può rinunciare a perseguire «lo scopo essenziale dell’educazione, che è la formazione della persona per renderla capace di vivere in pienezza e di dare il proprio contributo al bene della comunità». Il 21 gennaio 2008 il Papa è tornato a riflettere sulla questione educativa nella Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione. La Lettera inizia con queste parole: «Cari fedeli di Roma, ho pensato di rivolgermi a voi… per parlarvi di un problema che voi stessi sentite…: il problema dell’educazione» e continua rilevando che «Abbiamo tutti a cuore il bene delle persone che amiamo, in particolare dei nostri bambini, adolescenti e giovani» e non possiamo «non essere solleciti per la formazione delle nuove generazioni, per la loro capacità di orientarsi nella vita e di discernere il bene dal male, per la loro salute non soltanto fisica ma anche morale…». «Educare però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile» «trasmettere da una generazione all’altra, qualcosa di valido e di certo, regole di comportamento, obiet- tivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita». E, rivolgendosi ancora ai «Cari fratelli e sorelle di Roma», il Papa così si esprime: «a questo punto vorrei dirvi una parola molto semplice: Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti, non sono insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità che giustamente l’accompagna». Si tratta di una libertà sempre nuova che chiede sempre a ciascuna persona e a ciascuna generazione «… di prendere di nuovo, e in proprio», le proprie decisioni. A questo proposito il Papa ricorda che a differenza di quanto avviene in altri campi, ad esempio in quello tecnico o economico in cui i progressi di oggi possono aggiungersi a quelli realizzati nel passato, «nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste una simile possibilità di accumulazione». I valori del passato infatti non possono essere ereditati e debbono essere coscientemente conquistati, interiorizzati, rinnovati, vissuti e testimoniati. Il Papa rileva inoltre che le fondamenta di questi valori sono state scosse pertanto non si hanno più “le certezze essenziali”. Aggiunge però che il bisogno dei valori che orientano le scelte esistenziali e i rapporti interpersonali «torna a farsi sentire in modo impellente: così, in concreto, aumenta … la domanda di un’educazione che sia davvero tale». Questa educazione è richiesta dai genitori, dagli insegnanti e dalla «società nel suo complesso, che vede messe in dubbio le basi stesse della convivenza…», e dagli stessi ragazzi e dai giovani, «che non vogliono essere lasciati soli QUALEDUCAZIONE • 11 di fronte alle sfide della vita». Il Papa pertanto invita tutti coloro che hanno a cuore il futuro dell’umanità ad impegnarsi per soddisfare questa domanda, ricordando che «chi crede in Gesù Cristo ha … un ulteriore e … forte motivo per non avere paura: sa infatti che Dio non ci abbandona, che il suo amore ci raggiunge là dove siamo e così come siamo, con le nostre miserie e debolezze, per offrirci una nuova possibilità di bene». A questo punto, per rendere “più concrete” le sue riflessioni scrive che «può essere utile individuare alcune esigenze comuni» ed afferma che l’azione educativa «ha bisogno anzitutto di quella vicinanza e di quella fiducia che nascono dall’amore». E continua il suo discorso pensando «a quella prima e fondamentale esperienza dell’amore che i bambini fanno, o almeno dovrebbero fare, con i loro genitori». Ricorda inoltre che «ogni vero educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore». L’amore “pedagogico” chiede agli educatori di non limitarsi a soddisfare «il grande desiderio di sapere e di capire» che è presente «già in un piccolo bambino» e che si esprime nelle continue domande e nella richiesta di spiegazioni. Infatti sarebbe «una ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita». E sarebbe ancora più povera un’educazione che cercasse di tenere «al ri12 • QUALEDUCAZIONE paro i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore». Questa educazione infatti rischierebbe «di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone fragili e poco generose»… perché la capacità di amare corrisponde «alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme». A questa riflessione, la quale vuole ricordare che la sofferenza «fa parte della verità della nostra vita», seguono alcune considerazioni sulla necessità di «trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina…» cioè su un classico problema pedagogico ed educativo. Il Papa afferma che «senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro». Giova però non dimenticare che “il rapporto educativo” è anzitutto «l’incontro di due libertà» e che «l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà». Pertanto il Papa incoraggia gli educatori ad accettare il rischio della libertà, senza mai rinunciare ad essere disponibili e attenti ad aiutare i giovani, senza mai assecondarli negli errori, senza fingere di non vederli… e senza condividerli e senza considerarli come «le nuove frontiere del progresso umano». Successivamente il discorso passa dall’educazione all’educatore, al quale il Pontefice domanda quell’autorevolezza che è frutto di competenza e di esperienza e che «si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero». L’educatore è quindi chiamato a proporsi come testimone della verità e del bene, testimone forse non perfetto ma sempre disposto a mettersi e a rimettersi in sintonia con la sua missione, e a non rinunciare mai all’esercizio della sua responsabilità. A questo proposito il Papa afferma che «nell’educazione è decisivo il senso di responsabilità», di quella dell’educatore, «ma anche, e in misura che cresce con l’età, responsabilità del figlio, dell’alunno, del giovane che entra nel mondo del lavoro», precisando che «è responsabile chi sa rispondere a se stesso e agli altri» e scrivendo che «chi crede cerca inoltre, e anzitutto, di rispondere a Dio che lo ha amato per primo». A proposito di responsabilità è comunque opportuno tener presente che il fatto che essa «è in primo luogo personale» non può far dimenticare che c’è anche una responsabilità da condividere «come cittadini di una stessa città e di una nazione, come membri della famiglia umana», come “credenti”…, «come figli di un unico Dio» e come «membri della Chiesa». È quindi indispensabile comprendere che la società non è «un’astrazione» e che poi, «alla fine, siamo noi stessi, tutti insieme», anche se abbiamo ruoli e responsabilità diverse. Ognuno di noi può infatti offrire un contributo per la realizzazione della vera educazione, onorando la vocazione comunitaria che è propria della persona. A conclusione della Lettera il Papa propone una riflessione sulla speranza, rilevando che essa «è insidiata da molte parti» e che proprio dalla mancanza di speranza «nasce la difficoltà forse più profonda per realizzare una vera opera educativa». La speranza che il Papa propone trova il suo fondamento in Dio. È pertanto una “speranza affidabile” che costituisce “l’anima dell’ educazione” e dell’intera vita. Infatti «la speranza che si rivolge a Dio non è mai speranza solo per me, è sempre anche speranza per gli altri: non ci isola, ma ci rende solidali nel bene, ci stimola ad educarci reciprocamente alla verità e all’amore…». Queste parole con le quali si chiude il discorso del Papa ci consentono di considerare la Sua Lettera come un invito a riscoprire il valore dell’uomo e la sua apertura al Sommo Bene, senza la quale, «prima o poi ogni persona è condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune»5. Se riflettiamo su questa Lettera in cui Benedetto XVI costruisce un solido discorso pedagogico, attento ai modelli culturali odierni, al rischio del relativismo ed ai suoi effetti e alle difficoltà dell’educare, possiamo rilevare la sua vigorosa passione educativa che gli consente di intuire, “sentire” e comprendere, cioè di “saper prendere con se” le fragilità, le ansie, le attese e le difficoltà del tempo presente, le aspirazioni degli educatori e i bisogni delle giovani generazioni e di saper parlare a tutti facendo leva sulla fede e sulla carità, ricordando che «anima dell’educazione, come dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile»6. 5 Cfr. Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma su Famiglia e Comunità cristiana: formazione della persona e trasmissione della fede, 6 giugno 2005. 6 Per approfondire questa questione cfr. l’articolo di S.S. Macchietti, Abbiamo tutti a cuore l’educazione (in «Scuola Materna», n. 17, 10 giugno QUALEDUCAZIONE • 13 Inoltre si può affermare che la testimonianza di attenzione, di premura e di amore per l’uomo e specialmente per le giovani generazioni permette al Papa di proporre con semplicità riflessioni profonde sulla società del nostro tempo e di indicare itinerari da percorrere, responsabilità da assumere e virtù da potenziare e da conquistare e di far sentire la sua vicinanza agli educatori ai quali suggerisce fraternamente di non rinunciare ad essere veramente tali, invitandoli a pensare, a riflettere, a riconquistare sicurezza e fiducia ed a rispondere agli appelli della vita. Ma a questo proposito si può anche sostenere che la lettura di questa Lettera può consentire ad ogni lettore di riflettere su se stesso e di diventare educatore di se stesso, di interrogarsi sulla sua esistenza e sui suoi timori, di mettere in discussione molti “luoghi comuni…” e i tanti dogmi che la cultura in cui viviamo ci impone e che spesso accettiamo acriticamente… anche per pigrizia, diventando vittime di un conformismo che gradualmente spegne la gioia di vivere, di essere di elaborare e di realizzare un progetto esistenziale capace di coltivare e di onorare la nostra umanità e la nostra creaturalità…. Per promuovere la “città dell’uomo” Nell’enciclica Caritas in Veritate 2008, pp. 9-11) e il saggio Pensieri e Messaggi di Benedetto XVI sull’educazione (in Aa.Vv., Identità e specificità della scuola dell’infanzia. Ieri, oggi, domani, a cura di S.S. Macchietti, Atti del XXXII Convegno di studio – Roma, 7-9 settembre 2007 –, Euroma-La Goliardica, Roma, 2008, pp. 67-78) il cui contenuto è stato in parte riproposto in questo contributo. 14 • QUALEDUCAZIONE Benedetto XVI delinea implicitamente un percorso educativo da compiere per pervenire all’autentico sviluppo dell’uomo. Collocandosi in questa prospettiva il Papa sostiene che negli interventi per lo sviluppo va fatto salvo il principio della centralità della persona umana. Afferma anche che a livello internazionale la più ampia e produttiva solidarietà è quella che si esprime «innanzitutto nel continuare a promuovere, anche in condizioni di crisi economica, un accesso all’educazione, la quale, d’altro canto, è condizione essenziale per l’efficacia della stessa cooperazione internazionale»7. A questa affermazione segue una precisazione del significato del termine “educazione” con il quale «non ci si riferisce solo all’istruzione o alla formazione al lavoro, entrambe cause importanti di sviluppo, ma alla formazione completa della persona. A questo proposito va sottolineato un aspetto emblematico: per educare bisogna sapere chi è la persona umana, conoscerne la natura»8. A questo proposito il Pontefice rileva che oggi l’affermarsi di una visione relativistica della natura dell’uomo «pone seri problemi all’educazione» e soprattutto a quella morale pregiudicando sia la realizzazione personale sia «l’estensione a livello universale» e lo sviluppo di tutti gli uomini. Questa visione relativistica della natura dell’uomo pone problemi anche al dialogo interculturale e determina il rischio di sostituirlo con un eclettismo o con un appiattimento e quindi con l’omologazione dei comportamenti 7 Cfr. CIV, 61. 8 Ibidem. che convergono «nella separazione delle culture dalla natura umana riducendo l’uomo a solo dato culturale»9. Di fatto oggi vengono a mancare certezze essenziali sulle quali può basarsi un’azione educativa volta a promuovere la realizzazione di tutto l’uomo, il cui sviluppo integrale, «risposta ad una vocazione di Dio creatore, domanda il proprio inveramento in un “umanesimo trascendente”», che conferisce all’essere umano «la “sua più grande pienezza”10. La vocazione cristiana a tale sviluppo riguarda dunque sia il piano naturale sia quello soprannaturale; motivo per cui, “quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il ‘bene’ comincia a svanire”»11. Per educare è quindi indispensabile conoscere la persona umana e, a questo proposito, il Papa si richiama all’antropologia cristiana la quale, ispirandosi «all’evento della rivelazione»12 e concependo l’uomo come creatura di Dio, può sostenere un’azione educativa capace di aiutarlo a coltivare la sua umanità e la sua creaturalità. Si tratta di un’antropologia che sostiene il primato dell’essere sulla conoscenza e il primato della vita sulla teoria e quello della carità sulla verità le quali costituiscono un dono e si integrano vicendevolmente e sostengono, 9 Ivi, II, 26. Cfr. Paolo VI, Populorum Progressio, 26 marzo 1967, 10, 265. 10 11 Benedetto XVI, Discorso ai giovani al molo di Barangaroo, in «L’Osservatore Romano», 18 luglio 2008, p. 8. Cfr. anche CIV, I, 18. 12 Cfr. F. Attard, L’emergenza educativa. L’impegno della Chiesa e il recente magistero cattolico, in «Itinerarium», n. 44, gen.-apr. 2010, p. 13. orientano e rendono possibile l’educazione la cui realizzazione è legata alla natura relazionale dell’uomo. In questa prospettiva la relazione è «elevata a criterio conoscitivo e costruttivo della realtà umana in generale», è coessenziale all’educazione e si configura come una categoria che postula «un approfondimento critico e valoriale» il quale non può essere effettuato soltanto «dalle sole scienze sociali, in quanto richiede l’apporto di saperi come la metafisica e la teologia, per cogliere in maniera illuminata la dignità trascendente dell’uomo». A questo proposito nella CIV si legge che «la creatura umana, in quanto di natura spirituale, si realizza nelle relazioni interpersonali». Pertanto l’uomo più «vive in modo autentico» le relazioni più matura «la propria identità personale. Non è isolandosi che l’uomo valorizza se stesso, ma ponendosi in relazione con gli altri e con Dio. L’importanza di tali relazioni diventa quindi fondamentale. Ciò vale anche per i popoli. È, quindi, molto utile al loro sviluppo una visione metafisica della relazione tra le persone»13. A questa relazione si collega la costruzione della comunità degli uomini la quale «non assorbe in sé la persona annientandone l’autonomia, […], ma la valorizza ulteriormente, perché il rapporto tra persona e comunità è di un tutto verso un altro tutto»14. Si tratta di una relazionalità che trova «un’illuminazione decisiva nel rapporto tra le Persone della Trinità nell’unica Sostanza divina. La Trinità è asso- 13 Cfr. CIV, V, 53. 14 Ibidem. QUALEDUCAZIONE • 15 luta unità, in quanto le tre divine Persone sono relazionalità pura. La trasparenza reciproca tra le Persone divine è piena e il legame dell’una con l’altra totale, perché costituiscono un’assoluta unità e unicità. Dio vuole associare anche noi a questa realtà di comunione: “perché siano come noi una cosa sola” (Gv 17, 22)»15. Prospettive e proposte educative In coerenza con la certezza che l’uomo «si realizza nelle relazioni interpersonali» l’educazione che il Papa propone è un atto d’amore, esercizio della “carità intellettuale” che richiede responsabilità, dedizione e coerenza di vita, è infatti «aperta alla verità da qualsiasi sapere provenga»16. È un’educazione che postula una relazione tra chi educa e chi è educatore e che ha come modello quella che intercorre «tra Dio e il suo popolo, di Dio che cammina con il Suo popolo e lo educa»17. È un’educazione che è illuminata dalla ragione e dalla fede, che è quindi attenta alla conquista della cultura ed alla promozione della capacità di produrla, alle esperienze e alla razionalità educativa, alla ricerca della verità che va cercata, trovata ed espressa nell’«economia della carità», la quale a sua volta va compresa, «avvalorata e praticata nella luce della verità» in vista 15 Ivi, V, 54. 16 Ivi, Introduzione, 9. Cfr. S.S. Macchietti, La pedagogicità della Caritas in Veritate, in Aa.Vv., Educare tra scuola e formazioni sociali, Atti del XLIX Convegno di Scholé (Brescia, 9-10 settembre 2010), La Scuola, Brescia, 2011, pp. 220-223. dell’unificazione degli uomini «secondo modalità in cui non ci sono barriere né confini»18. È quindi un’educazione che allarga gli orizzonti della razionalità, che mira a purificare la ragione e che, attingendo alla sapienza divina, «getta luce sulla fondazione della moralità e dell’etica umana» e la pone nella logica del dono e del perdono, tenendo desta la sensibilità dell’uomo per la verità e per il bene, orientando alla conquista delle virtù umane e cristiane e della “libertà responsabile”19. Questa educazione può promuovere la “città dell’uomo” perché esige relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione e si ispira all’amore di Dio, conferendo «valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo»20. Da destra E. Marino (Presidente Proloco di Praia), L. Smeriglio (università di Messina) e G. Serio (Presidente Associazione Amici dell’uomo) 1977. 17 16 • QUALEDUCAZIONE 18 Cfr. CIV, III, 34. 19 Ivi, I, 17; IV, 48; VI, 70. 20 Ivi, Introduzione, 6. Scuola, “saperi”, “educazioni”, “Cittadinanza e Costituzione” di LUCIANO CORRADINI* Riassunto La scuola può essere intesa, vissuta e analizzata, come edificio più o meno accogliente e funzionale, come istituzione più o meno efficiente e autorevole, come servizio sociale più o meno apprezzato, come organizzazione più o meno bene disegnata e gestita, e infine come comunità educativa. Nella massa casuale, nello Stato come impersonale apparato di norme o addirittura nel carcere o nell’ospedale di solito non ci si sente identificati o appartenenti; nella comunità scolastica questo è possibile, a certe condizioni, che andrebbero esplorate e possibilmente favorite. Abstract School can be regarded, lived and analysed, as a more or less welcoming and functional building, as a more or less efficient and influential institution, as a more or less appreciated social service, as a more or less well designed and managed organization, and finally as an educational community. In the casual mass , in the State as an impersonal system of rules or even in prison or hospital usually we do not feel identified or belonging; in the school community this is possible, under certain conditions, which should be explored and possibly fostered. * Professore emerito di Pedagogia generale nell’Università di Roma Tre. Modelli e fini della scuola La scuola moderna ha assunto, negli ultimi due secoli, il carattere di istituzione burocratica (non necessariamente nell’accezione peggiore), per l’omogeneità formale delle sue procedure, per la validità dei titoli che rilascia, per i controlli che impone, per le strutture operative che utilizza: strutture costituite da insegnanti specializzati e selezionati dallo Stato, alunni divisi per classi e ospitati in aule, contenuti d’insegnamento graduati e scelti entro certi limiti dal Ministero, orari prestabiliti, lezioni, interrogazioni, compiti in classe, compiti a casa, scrutini e/o esami finali. Questo modello ha una sua semplicità organizzativa, anche se presenta molti inconvenienti sul piano pedagogico e didattico. Benché le norme relative alla scuola, a partire dagli anni ’70, abbiano autorizzato e talora favorito innovazioni sul piano dei contenuti, dei metodi, delle modalità organizzative, attraverso la partecipazione, la sperimentazione, l’autonomia scolastica, le nuove tecnologie, lo schema di fondo resiste. Si può dire che si siano imposti, nello scorso mezzo secolo, tre modelli di scuola: quello centralistico-burocratico, quello partecipativo -democratico e infine quello autonomistico- manageriale. Il tentativo che fanno oggi molte persone di buona volontà è quello d’innovare senza rinunciare alle conquiste precedenti: ossia a un certo grado di uniforQUALEDUCAZIONE • 17 mità dei contenuti e delle procedure di valutazione, ad una sia pur debole partecipazione dei soggetti interessati alla scuola, per garantirle consenso e linfa vitale, e all’agilità gestionale e alla responsabilità che sono tipiche del mondo aziendale. Alcuni pensano che questo schema sia ormai “fuori mercato”, ossia non più capace di garantire la sopravvivenza della scuola, dati i profondi mutamenti sociali e culturali del mondo contemporaneo; altri, pur vedendone i limiti e i rischi, ritengono che non sia il caso di pensare a “descolarizzare” la società, se si può ancora far qualcosa per “socializzare la scuola”, ossia per rendere questa istituzione più abitabile e più efficace, in riferimento alle finalità generali proposte dalla Costituzione italiana del 1947. Questi fini, richiamati anche dalla normativa più recente (si pensi al dpr 275/1999 sull’autonomia scolastica e al dpr 235/2007 sullo statuto delle studentesse e degli studenti), riguardano l’istruzione, l’educazione, la formazione. È vero che la società è come un mare agitato da venti contrapposti e che il sapere diviene sempre più complesso, la costellazione dei valori sempre meno visibile, l’approdo alla vita professionale dei giovani sempre più problematico. È vero anche che non mancano insegnanti e studenti a dir poco afflitti da demotivazione e da “mal di mare”. Tuttavia sembra più utile riparare la nave-scuola, prima di abbandonarla, se come alternativa si può contare solo su precarie scialuppe e su un limitato numero di salvagente. Ricordo una frase scritta dai ragazzi di Agrigento, in occasione del Progetto Giovani 1993: “Non abbiamo strutture: usiamo la testa!”. 18 • QUALEDUCAZIONE Nelle aule e durante le ore scolastiche, accanto al buon grano di un apprendimento valido e gratificante crescono anche le erbacce della noia, della superficialità, del non senso. Per quanto taluni, per semplificarsi il compito, cerchino di ridurre le scuole ad “apprenditoi” e a “esamifici”, i problemi personali e sociali non cessano di riproporre, nel bene e nel male, la problematica educativa, in tutta l’ampiezza delle sue dimensioni e dei suoi ambiti. Il bisogno di verità, di bellezza, di pulizia, di competenza civica, prima o poi viene fuori anche nella scuola, quando si insegnano e si studiano “le materie” e quando si parla fra amici, quando si legge un giornale, si guarda la TV, si naviga in internet. In sede teorica si dibatte fra i sostenitori dell’istruzione, o dei saperi e i sostenitori delle educazioni: queste si sono fatte strada nella scuola, in virtù di leggi e di circolari ministeriali che hanno spostato l’attenzione volta a volta sui diritti umani, sulla salute, sulla sessualità, sull’intercultura, sulla legalità, sulla circolazione stradale, sulla cittadinanza, fino alla prevenzione della ludopatia, che appare oggi come una nuova droga. In astratto, e senza impegnarsi in questioni architettoniche troppo complicate, si capisce che non può esserci vera alternativa fra saperi e educazioni, perché, come abbiamo ricordato, la scuola ha il compito di istruire, educare e formare. Queste funzioni si svolgono non solo “imparando le materie”, ma anche svolgendo attività tali che facciano crescere studenti e docenti, come quell’erba che cresce fra un mattone e l’altro o trasversalmente sui diversi mattoni, come fanno le piante rampicanti. Occupiamoci ora prima dei mattoni, poi dell’erba. Discipline scolastiche, itinerari formativi, valori e competenze Le discipline, presenti nella scuola come materie d’insegnamento e apprendimento, elencate secondo un tradizionale ordine d’importanza nelle pagelle, concorrono alla trasmissione-elaborazione dei “saperi” delle nuove generazioni, che attingono anche ad altre fonti di conoscenza e di esperienza. Separati più o meno artificiosamente nelle singole discipline, ma di fatto interconnessi, questi saperi diventano formativi se vengono non semplicemente sommati, ma integrati, elaborati, assimilati, in termini culturali, personali, esistenziali, ossia se diventano sapere e, più profondante, sapienza. Diciamo educazione scolastica il processo dialogico attraverso il quale si realizza l’elaborazione personale delle discipline e dei saperi, ossia la trasformazione dei dati, delle informazioni, delle conoscenze, delle esperienze, dei valori che le caratterizzano, in nutrimento di personalità consapevoli, responsabili, capaci di affrontare al meglio le problematiche personali, civiche e professionali della vita. Fra l’informazione, l’istruzione, l’erudizione, la conoscenza, la scienza, la competenza e la sapienza c’è un difficile percorso che, da Platone ad Agostino a Dante a Rousseau a Delors, si può chiamare “viaggio interiore”: in termini scolastici questo è il curricolo, ossia quel processo in parte programmato e verificato d’insegnamento e apprendimento che conduce verso il traguardo del “successo formativo”. Questo successo solo riduttivamente si può identificare col punteggio ottenuto nei test finali e col titolo di studio. In effetti ac- canto al curricolo formale, c’è un curricolo nascosto, che non è meno importante per dare vita e forza al primo. Questo secondo curricolo è come un albero che affonda le radici nel buon terreno dei “mondi vitali” (famiglia, chiesa, gruppi giovanili, culturali, sportivi o di volontariato…), ma che può anche intercettare il terreno inquinato della criminalità e del vizio: sicché per certi aspetti il curricolo nascosto, e cioè non formale e non scolastico, è formativo, per altri deformativo. Questo viaggio interiore che è simbolico ma anche esistenziale e reale, non è un’allegra passeggiata, perché i “luoghi” che si debbono attraversare, da quelli esteriori a quelli interiori, presentano oscurità e alternative in cui è facile smarrirsi. Da Abramo a Ulisse, dalla caverna platonica alla selva dantesca, la situazione di partenza è dura e quella di arrivo incerta. Tutte le risorse interiori sono chiamate in causa: l’itinerario del sapere ha forti implicazioni religiose, vocazionali, etiche, che non tutti riescono a riconoscere e a mobilitare: il sapere, più che una facile scoperta, è una dura conquista, per la quale, come insegna una tradizione millenaria, occorrono aiuti che vengano dall’alto, o almeno da maestri saggi e sapienti come Virgilio, il “savio gentil che tutto seppe”. Il quale solo al termine di un itinerario che è stato insieme conoscitivo e spirituale ha potuto dare a Dante la duplice laurea della piena maturità umana: “Non aspettar mio dir più, né mio cenno: libero, dritto e sano è tuo arbitrio, e fallo fòra non fare a suo senno: perch’io te sovra te corono e mìtrio”(Purg., 139-142). In sostanza: ormai sei cresciuto in conoscenza e in responsabilità, sei padrone QUALEDUCAZIONE • 19 (papa e re) di te stesso: sbaglieresti a non seguire la tua coscienza. Lo squallore e il degrado di certa attuale vita di scuola non deve indurci a dimenticare questo archetipo aristocratico, ascetico ed eroico della crescita culturale, che consente finalmente un uso etico della libertà, frutto del dialogo educativo. Al vertice degli studi non c’è solo un buon mestiere ben pagato (condizioni che non dipendono esclusivamente da noi), ma c’è anche autonomia personale, da esercitarsi con “senno”. Si tratta, in Omero e in Dante, di una rappresentazione ben più forte e drammatica della contemporanea “navigazione su internet”, facilitata da uno dei “motori di ricerca”, che ha preso il nome dell’antico poeta latino (appunto virgilio.it). Eppure anche nella navigazione nel cyberspazio si pongono problemi non dissimili da quelli allegorizzati nell’Odissea omerica, nell’Eneide virgiliana e nella Commedia dantesca. Il richiamo all’immaginario presente in quelle “grandi narrazioni” che sono all’origine della nostra civiltà e che hanno fornito a molte generazioni punti di riferimento ideali e simbolici, ci dice per esempio che cosa stiamo perdendo e dove dobbiamo ricostruire, per non restare impigliati nella selva della complessità disorientante del nostro tempo. Certo, il sapere nella società secolarizzata, tecnologica e globalizzata è anche una risorsa utile alla produzione e al consumo: una risorsa che si può anche comprare e vendere, con maggiore o minore fatica, se si è motivati e capaci di entrare nel grande circuito della competizione per conquistare i posti più pregiati nel mondo delle professioni. Si possono però imparare le scienze e le tecniche senza crescere in umanità. 20 • QUALEDUCAZIONE Non smarrire, nel turbinio delle avventure, la nostalgia di Itaca e il dovere di fondare Roma, comporta qualcosa di più dei linguaggi e delle tecniche: fra l’altro comporta strumenti critici e morali atti a tenere sotto controllo per quanto possibile, nell’imprevedibilità degli eventi, l’ideologia, l’odio, la violenza e la sete di potere. Si confrontano ancora il sapere a pagamento dei sofisti, per fare carriera, e quello gratuito di Socrate, per diventare migliori. L’Occidente si regge sull’uno e sull’altro. Senza etica, anche gli affari prima o poi crollano: e se anche non crollassero, quelli non sarebbero veri affari. D’altra parte è difficile pensare che si diventi eroi e santi, o vigliacchi e criminali solo in virtù dei programmi d’insegnamento e della saggezza o dell’ignavia dei propri maestri. Alessandro fu discepolo di Aristotele, Giuda Iscariota di Gesù e Nerone di Seneca. Ma talora si cresce anche liberandosi del peso dei propri padri e dei propri maestri: per Aristotele, amicus Plato, magis amica veritas. Un curricolo equilibrato per una proposta educativa aggiornata Se non esistono ingredienti capaci di per sé di “produrre” personalità colte, sagge e mature, non si può negare, non foss’altro a partire dalla propria personale esperienza, che la qualità degli apprendimenti scolastici, lo spirito e la testimonianza con cui questi vengono proposti, abbiano qualche influenza nella costruzione degli atteggiamenti e di comportamenti giovanili. E non si può dire che tutto ciò che serve a crescere si trovi solo nell’ambito delle discipline e di coloro che le professano. Qualità, spirito e testimonianza hanno a che fare con i valori: i quali non sono pillole che facciano crescere i muscoli dell’intelligenza e della volontà, ma deboli luci che orientano la navigazione, voci non sempre gradevoli, come quella del collodiano Grillo parlante che, nonostante la sua saggezza, finì “stecchito e appiccicato alla parete.” E tuttavia Collodi, alla fine della storia, lo fa risorgere come voce orientante e illuminante, in un Pinocchio trasformato in uomo. Nell’era dell’accesso alle reti, delle neuroscienze, del cognitivismo, possiamo ancora parlare di personalità morale, di affetti, di volontà, di responsabilità? Mi limito, a questo proposito, a citare Howard Gardner, una delle voci più intonate della contemporanea ricerca sull’intelligenza umana e sul ruolo dell’educazione e della scuola: “In un momento come questo, contrassegnato dalla rapidità dei cambiamenti e dal venir meno di ogni distinzione netta ed evidente tra “buoni” e “cattivi”, inoltre, è diventata più frenetica la ricerca di modelli di umanità. Questa fame ha alimentato gli sforzi di molti per una definizione più ampia di intelligenza. “Tradizionalmente per ”intelligenza” si intendeva “attitudine alle materie scolastiche e all’acquisizione delle abilità insegnate scuola”. Coloro che aspirano a far valere una visione più ampia dell’intelligenza - e che quindi parlano di intelligenza personale, di intelligenza emozionale, di intelligenza morale e di saggezza - sostengono concordemente che non si può ridurre l’intelligenza alla facilità di apprendere certe discipline di base e di risolvere certi tipi di problemi. Non basta che le persone siano in grado di analizzare; occorre an- che che operino con giustizia. Non basta che sappiano pensare o siano creative; occorre che siano ammirevoli anche come esseri umani. Personalmente sottoscrivo il motto di Emerson: “Il carattere è più importante dell’ intelligenza” (H. Gardner, Sapere per comprendere, tr. it., Feltrinelli, Milano 1999, p. 264). Il che pone problemi di notevole difficoltà, perché essere giusto non è come saper calcolare il volume della sfera o recitare una poesia. Essere ammirevole non significa solo vincere un concorso di bellezza o avere la moto più grossa. Il carattere non si può costruire e misurare come la velocità nella corsa o la rapidità nella risoluzione di un problema. Non per questo si può rimuovere o non considerare tutto ciò che non è conoscibile e sviluppabile con evidenza matematica. Molti delinquenti sono maestri nell’uso della matematica e del diritto. L’educazione si occupa, sia pure nel rispetto della libertà delle persone, non solo del possesso di certe conoscenze e di certe tecniche, ma anche dell’uso che se ne fa. Ed è a questo proposito che si parla in senso pieno di competenze, intendendo conoscenza, abilità tecnica e responsabilità sociale. Intanto teniamo fermo un principio: occuparsi di educazione della personalità nella scuola non è impossibile, arbitrario, illegittimo. La ricerca sarà lunga ed esposta ad approssimazioni e forse ad errori. Ma non è giusto attendere d’aver risolto tutti i problemi ideologici, epistemologici e metodologici per cominciare a programmare e a valutare tenendo conto, per quanto possibile, e con tutta la prudenza e la discrezione necessarie, ma senza rimozioni o censure, dei risvolti affettivi, relazionali, etici e comportamentali della personalità dei ragazzi, offrendo loro stimoli, aiuQUALEDUCAZIONE • 21 to e spazi di cittadinanza attiva. Il che chiama in causa la questione dei valori, su cui non si può non soffermarsi. Ho sott’occhio due saggi, uno di Luigi Zoja, dal titolo La morte del prossimo, Einaudi, Torino, 2009, l’altro del CENSIS, presentato dal suo segretario generale Giuseppe De Rita, dal titolo I valori degli italiani. Dall’individualismo alla riscoperta delle relazioni, CENSIS, Marsilio, Venezia 2012. L’approccio del primo è psicanalitico, quello del secondo sociologico. Zoja vede nell’uomo metropolitano un individuo non più connesso con i vicini, ma con i lontani: si parla col cellulare o col computer, ma si diventa sempre più indifferenti ed estranei nei confronti dei vicini, che perdono di consistenza. De Rita, a conclusione di un’ampia indagine sociologica, rileva che la prossimità non è scomparsa: il 43,4% definisce il suo vicinato una comunità in cui tutti si conoscono, si frequentano e, se necessario, si aiutano. Il 26% degli italiani (poco più di 13 milioni) svolge attività di volontariato. Mi limito a questi cenni per notare che, secondo De Rita, si vanno lentamente avvicinando l’élite che è stata protagonista di gran parte della storia patria, dal Risorgimento al fascismo, e il popolo, che è stato invece protagonista della lunga corsa al benessere della fase democratica. La cronaca presenta in proposito testimonianze contrastanti. Da un lato tende a dilatarsi la “forbice” che esiste da secoli fra il popolo e le istituzioni, con particolare riferimento alla classe politica e alle “caste” di privilegiati; dall’altro si scorge un tessuto nuovo, che si viene formando sottola crosta della corruzione, del carrierismo e della violenza. A scuola la perdita di prestigio e di autorità di in22 • QUALEDUCAZIONE segnanti e dirigenti, il bullismo, la volgarità non dilagano ovunque. C’è anche una buona scuola, diffusa più di quanto lasci intendere la cronaca giornalistica. C’è da chiedersi se la scuola sia vissuta anche, almeno in parte, come comunità educativa, in cui si sviluppino sentimenti e riflessioni di empatia, di rispetto, appartenenza e di partecipazione. Tutto questo consente di produrre e di conservare, in vista del difficile futuro verso il quale stiamo andando, uno spirito di amicizia e di fiducia reciproca fra ex alunni, che costruiscano un prezioso “capitale sociale”. Occorre insomma un’alternativa sia alla solitudine di individui isolati o superficialmente collegati con facebook, sia alle reti del malaffare. Chiediamoci adesso se ci sono punti di riferimento, documenti, norme che aiutino a connettere i vissuti di oggi con i valori di verità, di giustizia, di merito, di solidarietà, senza i quali è difficile orientarsi e superare le fatiche e le frustrazioni che accompagnano la nostra vita, in famiglia, a scuola, nelle associazioni e nella vita sociale e politica. La mia risposta è che questi strumenti ci sono e sono utili, se si impara a utilizzarli, come si farebbe con la bussola e con le carte nautiche. Una luce orientante per la vita scolastica e per la vita sociale Il tema dell’educazione sociale e civica, ai diritti umani e alla cittadinanza, è molto sentito a livello internazionale, come dimostra una copiosa produzione di documenti delle Nazioni Unite, dell’UNESCO, dell’OMS, del Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea. Il Consiglio d’Europa ha avviato importanti progetti di educazione alla cittadinanza democratica; il Parlamento e il Consiglio dell’Unione europea hanno prodotto, nel 2006, un’autorevole Raccomandazione sulle competenze chiave per la cittadinanza europea. L’Italia ha dedicato al tema una recente legge dello Stato (l.30.10.2008, n. 169), che nel 1° articolo impegna la scuola ad assicurare, “nel primo e nel secondo ciclo, l’acquisizione delle conoscenze e competenze relative a Cittadinanza e Costituzione, nell’ambito delle aree storicogeografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse”. In sostanza la legge indica nella Costituzione un patrimonio di conoscenze necessarie per acquisire le indispensabili competenze di cittadinanza, che comprendono oggi gli ambiti locale, regionale, nazionale, europeo e mondiale. Per “navigare” in questi ambiti occorrono conoscenze e competenze molteplici, che trovano nella Costituzione una “bussola” efficace. La CM 86/2010 precisa che “l’insegnamento/apprendimento di Cittadinanza e Costituzione è un obiettivo irrinunciabile di tutte le scuole”, e che “è un insegnamento con propri contenuti, che devono trovare un tempo dedicato per essere conosciuti e gradualmente approfonditi”: tale insegnamento implica sia una dimensione integrata alle discipline dell’area storico-geograficosociale, con ovvie connessioni con filosofia, diritto, economia, sia una dimensione trasversale, che riguarda tutte le discipline. Questa scelta corrisponde a quanto richiesto dalle Indicazioni nazionali (dpr 15.3.2010 n.89), riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento. Nella premessa ai programmi di storia dei nuovi Licei si dice che “uno spazio adeguato dovrà essere riservato al tema della cittadinanza e della Costituzione repubblicana, in modo che, al termine del quinquennio liceale, lo studente conosca bene i fondamenti del nostro ordinamento costituzionale, quali esplicitazioni valoriali delle esperienze storicamente rilevanti del nostro popolo, anche in rapporto e confronto con alcuni documenti fondamentali (solo per citare qualche esempio, dalla Magna Charta libertatum alla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino alla Dichiarazione universale dei diritti umani)”. Espressioni simili sono utilizzate dalle Indicazioni nazionali relative agli Istituti tecnici e professionali (dpr 15. 3. 2010, nn. 87 e 88). Nonostante queste impegnative affermazioni le ore a disposizione per l’area storico-geografica, storico-sociale, storico-filosofica e giuridico-economica, dove esiste, non sono aumentate come la commissione ministeriale che ho presieduto aveva proposto: anzi, i decisori non hanno nemmeno citato “cittadinanza e Costituzione” accanto alla storia, che, dal 1958, era affidata a un insegnamento dal titolo “storia e educazione civica”. E tuttavia il problema resta, sul piano pedagogico culturale, non meno che sul piano istituzionale. Due strumenti didattici Una messa a punto di questa problematica e delle prospettive per affrontarla validamente all’interno delle attuali QUALEDUCAZIONE • 23 ristrettezze di orario abbiamo tentato nel libro L. Corradini (a cura di) Cittadinanza e Costituzione. Disciplinarità e trasversalità alla prova della sperimentazione nazionale Una guida teorico-pratica per docenti, Tecnodid, Napoli, 2009. Si esaminano quasi tutte le discipline scolastiche, dal punto di vista della didattica interdisciplinare e trasversale, in funzione delle competenze sociali e civiche. Col collega Andrea Porcarelli, che ha fatto parte della citata commissione ministeriale, abbiamo cercato di rivolgerci anche agli studenti del secondo ciclo, con un libro il più possibile chiaro, sintetico e colloquiale, per offrire loro uno strumento utile ad orientarsi nella vita e nella cultura contemporanea e a costruire la loro identità personale e civile, in un tempo di oscuramento degli ideali e di sfiducia nella scuola e nella politica. Le nozioni sono presentate in un contesto di senso che ne consenta la comprensione e la discussione, in dialogo con tutte le discipline scolastiche. Il libro, che ha per titolo Nella nostra società. Cittadinanza e Costituzione, SEI, Torino 2012, propone ai giovani una sorta di visita guidata alla “galleria” dei 139 articoli della Costituzione, per coglierne le implicazioni di carattere storico, etico, giuridico, politico, in modo da facilitare in loro la scoperta e la valorizzazione del “tesoro” che i “padri costituenti” hanno costruito intorno alla metà del secolo scorso. Il primo capitolo inizia il dialogo con i lettori esplorando per così dire dall’alto lo scenario storico in cui sono maturati i diritti di cittadinanza, a partire dall’età antica. Nei successivi si presentano e si commentano i nodi fondamentali del testo costituzionale. Il libro intende va24 • QUALEDUCAZIONE lorizzare ciò che di vivo e di essenziale gli studenti possono incontrare nel corso dell’adolescenza e nell’itinerario formativo della scuola secondaria superiore, fornendo loro criteri di lettura della realtà, e indicando prospettive d’impegno di cittadinanza attiva. I glossari hanno il compito di accompagnare lo studente, offrendogli nel corso della lettura definizioni e spiegazioni dei termini più tecnici o più difficili. I laboratori consentono di “fare il punto” sui temi trattati al termine di ogni capitolo e si strutturano in due tipologie di esercizi: esercizi a schema chiuso, per verificare alcune delle conoscenze fondamentali, ed esercizi a schema aperto, collaborativi e creativi, per consentire di mettere in atto, nei contesti concreti delle diverse classi, le proprie competenze culturali in ordine alla cittadinanza e in rapporto alla Costituzione. Un sito apposito dell’Editrice SEI offre materiale da utilizzarsi on line, per la documentazione e per l’approfondimento dei temi. Il profilo e i libri dell’A. sono leggibili e scaricabili nel sito www. lucianocorradini.it Qualeducazione è una rivista internazionale di pedagogia fondata da Giuseppe Serio Dialogare per cooperare di GAETANO MOLLO* “Il dialogo richiede che abbandoniamo le nostre posizioni, per entrare in quelle dell’altro. Quanto più mi do all’altro, tanto meglio conosco me stesso tanto più acquisto un’identità unica” L. Dupré Riassunto Il processo di comprensione reciproca fra persone, fra popoli, fra culture e fra continenti costituisce, oggi, la grande sfida pedagogica. Al centro di ogni situazione volta alla cooperazione deve, pertanto, esserci sempre il dialogo. Una società della cooperazione richiede una socialità estesa, alimentata da un’eticità profonda. Vanno sollecitati tutti gli aspetti di una relazionalità ampia. Attraverso il procedimento dialogico può essere attivato un atteggiamento cooperativo, basato su tre elementi: a) l’accettazione incondizionata di ogni persona; b) il rispetto profondo della diversità; c) il fondamentale senso della corresponsabilità. Ascoltare in profondità richiede il sintonizzare il proprio animo sulle lunghezze d’onda della persona in difficoltà e delle situazioni problematiche. Questo richiede che non ci si fermi a un ascolto emotivo e neppure ci si limiti a un ascolto ideologico, ma ci si apra a un ascolto patetico. * Ordinario di Pedagogia, Università di Perugia. Abstract The process of mutual understanding between people, cultures and continents is, today, the great pedagogical challenge. At the center of every cooperative situation must always be dialogue. A society of cooperation requires an extensive sociality, fueled by a deep ethic. For this reason should be promoted all aspects of a large relationality. Through the process of dialogue we could trigger a cooperative approach based on three elements: a) the unconditional acceptance of each person, b) the profound respect for diversity, c) the fundamental sense of shared responsibility. Listen in depth requires tune your mind on the wavelength of the person in distress and problematic situations. This requires us not to stop to an emotional listening, nor limit ourselves to an ideological listening, but open to a pathetic listening. La società della cooperazione Oggi non è più possibile rinchiudersi nel proprio mondo. Siamo tutti interdipendenti. La nostra stessa personalità – così come William Kilpatrick ha ben messo in evidenza – costituisce contemporaneamente un bene personale e un contributo sociale. Così pure, si deve considerare – assieme a Edgar Morin – che è necessaria una riforma del pensiero, consistente nel riunire ciò che si presenta sepaQUALEDUCAZIONE • 25 ratamente. Tuttavia, è necessario riuscire anche a trascendere il pensare nell’incertezza, scorgendo un orizzonte di senso che permetta di affrontare le incognite del futuro, delineando, attraverso una progettualità costruttiva, le visioni dell’avvenire. Il processo di comprensione reciproca fra persone, fra popoli, fra culture e fra continenti costituisce, oggi, la grande sfida pedagogica. Se Jeremy Rifkin prospetta una civiltà dell’empatia – la cui grande ondata empatica ha avuto origine con la venuta del Cristo –, condizione per lo sviluppo di una “coscienza biosferica”1, si deve poter costituire un modello cooperativo fra persone, fra comunità e sul piano internazionale, per poter produrre un “sistema a rete”, capace di soppiantare la gerarchia e la separazione netta di funzioni, caratteristica del “sistema piramidale”. Si tratta di formare una coscienza transpersonale, ossia una coscienza che riesca a trascendere l’individualismo e superare il separatismo, espressioni queste di uno sguardo corto, incapace di scorgere con lungimiranza i grandi orizzonti dell’avvenire. Questo richiede la capacità di decentrarsi e di riconoscersi nel diverso, nel distante e nel difforme, ossia in tutte le forme di vita di cui è costituita l’umanità. Da tale tipo d’impostazione può scaturire un “modello cooperativo”, che consideri la diversità una ricchezza e non una questione di superiorità e inferiorità2. La mentalità della cooperazione può 1 Cfr. J. Rifkin, La civiltà dell’empatia, tr. it., Mondadori, Milano 2011. Cfr. G. Mollo, La civiltà della cooperazione, Morlacchi, Perugia 2012. 2 26 • QUALEDUCAZIONE sconfiggere la continua conflittualità e la selvaggia competizione. Si devono poter apprendere i due registri relazionali, che Paul Ricoeur individua nella “pedagogia privata” – quale si scopre e si esercita nell’amicizia e nei rapporti col prossimo – e nella “pedagogia pubblica” – dove si possono apprendere il rispetto delle leggi e delle regole associative. Da qui l’importanza che assume l’amicizia morale, per la formazione delle virtù dell’apertura mentale, della disponibilità collaborativa, dell’ascolto e dell’aiuto3. Solo in una visione edificante e di superiore utilità dell’unificazione, ciò che costituisce la tensione di armonizzazione e la consapevolezza del tornaconto di benessere personale e per tutta l’umanità può ispirare le vie della cooperazione e dell’armonizzazione. Da ciò l’importanza dell’ incontrarsi e del dialogare, per scoprire ciò che può essere compreso eticamente e condiviso socialmente, portando alla cooperazione e generando corresponsabilità. Si può, quindi, parlare di un vero e proprio “paradigma del cooperare”, basilare per determinare un modo d’associarsi partecipe e responsabile. Tale associarsi, nella mentalità della post-modernità, si presenta ben diversamente dall’associarsi funzionalistico e strumentale della modernità: si tratta di un associarsi non fondato sull’utilitarismo, ma sul riconoscimento del valore delle emozioni e dell’importanza dei sentimenti. Dalla considerazione e constatazione del valore e della funzione del gruppo, discende l’utilità e la necessità di dover ap3 Cfr. G. Mollo, Aspetti pedagogici nel pensiero di Paul Ricoeur, in “Pedagogia e Vita”, n. 5-6, settembre-dicembre 2009, pp. 83-98. prendere le varie modalità della vita sociale in situazioni culturali e lavorative di cooperazione. In questa prospettiva, il cooperative learning costituisce quella forma sociale di apprendimento di regole e di modalità operative, attraverso la condivisione di un progetto e la collaborazione alla sua realizzazione. Attraverso di esso si può attivare un autentico “sistema a rete”, caratterizzato dai seguenti aspetti: a) i rapporti e le relazioni sono sia verticali sia orizzontali; b) si può passare da un sottogruppo a un altro con una certa libertà; c) ogni membro può apportare, nelle sedi e momenti opportuni, il proprio contributo; d) c’è un centro della rete, dove convergono le idee di tutti e si prendono le decisioni da parte della leadership; e) la partecipazione è diffusa e la decisionalità è condivisa. Per attivare tale sistema relazionale sono necessarie tre condizioni: a) una visione d’insieme, che comprende le finalità da perseguire e i traguardi organizzativi da raggiungere; b) la consapevolezza per ogni collaboratore del valore e della funzione del proprio contributo; c) il coinvolgimento nei processi decisionali, con il conseguente impegno e responsabilità. Nel sistema della cooperazione dove il profitto passa da fine primario a effetto dell’efficienza e della produttività del sistema socio-economico – prevale il parametro della condivisione e della corresponsabilità. Non ci deve essere una lotta di reciproca volontà di superamento – e nel peggiore dei casi anche di annientamento - ma una competizione al miglioramento. Il sistema della cooperazione vive del reciproco riconoscimento di diritti e doveri, liberamente accettati come parti in causa di un’organizzazione e di tutta l’umanità. All’interno di tale clima sociale l’autorità non costituisce una forma di aggressione contro la libertà dei dipendenti ma può essere vissuta come centro vitale dell’organismo sociale, di cui si fa parte. A sua volta, chi è insignito dell’autorità, quale riconoscimento di qualità e di propensione, non sarà portato a intendere il suo ruolo come superiorità di comando, ma come un dovere verso i suoi dipendenti, tale che questi siano indotti a sentirsi tutti collaboratori, a vari livelli e con differenti funzioni. Così, non c’è lotta continua fra le varie parte di un organismo sociale, ma costante ricerca di cooperazione, che richiede, in quanto tale, un coordinamento e un organo decisionale. La condizione basilare per istituire una civiltà della cooperazione è riuscire ad attivare reciproche condizioni di ascolto. Si tratta di riuscire a dialogare fra persone, fra comunità, fa culture, fra popoli, senza la pretesa di assimilare l’altro al proprio pensiero o riportarlo alla propria visione del mondo. Lo strumento del dialogo Una società della cooperazione richiede una socialità estesa, alimentata da una eticità profonda. Per questo vanno promossi tutti gli aspetti di una relazionalità ampia: dalla relazione con l’altro alla relazione col gruppo, dalla relazione con l’umanità alla relazione con il Tutto4. 4 Nell’altro – seguendo in questo la visione di Aldo Capitini – va saputo riscoprire l’Altro, come presenza religiosa che unisce tutta l’umanità, da riconoscere attraverso la “prassi dell’amorevolezza”. QUALEDUCAZIONE • 27 Da ciò la centralità della relazione: si tratta di considerare alla base di ogni intenzione e di ogni atto la relazione con le altre persone e gli altri esseri viventi. Da tale consapevolezza deriva la considerazione che siamo responsabili di ogni sguardo e di ogni parola che rivolgiamo agli altri, ivi comprese le omissioni. Conseguenza di tutto ciò è il rispetto, consistente nel farsi consapevoli della dignità di ogni persona e di ogni altro essere vivente, cercando di considerarne e comprenderne la storia e le condizioni di vita. Effetto ne è la reciprocità, rappresentante il senso della comprensione di tutti, percepita come vicendevole riconoscimento e considerazione. È attraverso la reciprocità che nel mondo affettivo e nel mondo del lavoro ci si può considerare come membri della stessa comunità, della stessa organizzazione, della stessa società, con gli stessi diritti e doveri. La reciprocità – a livello di coscienza transpersonale e planetaria – si estende sino a tutti i popoli e i diversi continenti. È all’interno di una situazione di reciprocità che si può istituire un vero dialogo5. Questi si pone a tre livelli: a) a livello personale, riguarda la dimensione interiore di ogni persona, dove la passione ispira riflessioni e motiva azioni. È il luogo intimo dove si costituisce il “me” di ogni soggetto. È fatto di passione; b) a livello interpersonale, costituisce la dimensione sociale della persona, fatta di reti relazionali, che permettono di entrare in rapporto col mondo e di farne parte. È lo spazio entro il quale si configura l’“io” di ogni personalità. È fatto di compassione; c) a livello transpersonale: rappresenta la dimensione del “Sé” ampio, dove si scopre il senso profondo dell’umanità e il farne parte, in compagnia di tutto ciò che chiamiamo “natura” e ”spirito”. È fatto di compartecipazione. Tutti questi tre aspetti devono poter alimentare il dialogo di ogni essere umano con se stesso, con gli altri e con il mondo, per ampliare la coscienza, sino a farsi coscienza planetaria e biosferica. Il cercare di dialogare deve rappresentare la condizione di fondo di ogni relazione inter-umana, quella sfera di condivisione dove – secondo Marin Buber6 – può istituirsi il velo colloquio, in cui ognuno possa riconoscere l’interlocutore come un uomo specifico, rivolgendosi a lui nella sua essenza. Da ciò la fondamentale importanza di alcuni basilari atteggiamenti, da coltivare come doti umane: a) il saper ascoltare in profondità le esigenze intime altrui, cercando di mettersi al posto dell’altro, sapendo percepire le domande e riuscendo a fare quelle giuste. Questo richiede l’interessarsi sinceramente agli altri, incoraggiandoli a parlare di se stessi, facendo sì che ognuno si senta importante, soprattutto come persona. b) il saper contribuire a realizzare un’atmosfera dialogica, basata sulla comunicazione genuina, ma anche sulla criticità, sulla relazionalità rispettosa e sul confronto sincero. È necessario riuscire a sostituire atmosfere di anti-dialogo – strutturate su rapporti verticali, privi d’amore e senza comprensione – con atmosfere dialogi- Cfr. G. Mollo, La civiltà della cooperazione, ed. cit., pp. 207-211. Cfr. M. Buber, Il principio dialogico, tr. it., Edizioni di Comunità, Milano 1975, p. 215. 5 28 • QUALEDUCAZIONE 6 che – plasmate sulla fiducia e sulla collaborazione, come ha ben testimoniato e sostenuto Paulo Freire7. Attraverso il procedimento dialogico può essere attivato un atteggiamento cooperativo, basato su tre elementi: a) l’accettazione incondizionata di ogni persona; b) il rispetto profondo della diversità; c) il fondamentale senso della corresponsabilità. A tal fine ogni persona che intenda assumere una responsabilità formativa deve saper incoraggiare e valorizzare tutti coloro che fanno parte di un progetto formativo o di una situazione d’apprendimento. Incoraggiare a dare il proprio contributo, credendo in ciò che si può fare e ottenere. Incoraggiare a condividere e vivere la gioia delle conquiste assieme. Incoraggiare la comunicazione e lo scambio di idee e esperienze. Si tratta di valorizzare tre fondamentali aspetti: a) le risorse e il potenziale di ogni persona; b) il senso di comunanza collettiva, che pur contiene e ammette simpatie individuali; c) le spinte creative e ideative, volte non solo a rendere coprotagonisti, ma a far si che un sistema di servizi o un sistema produttivo sia sempre aperto al rinnovamento e disposto all’innovazione. Quello che si deve costituire è il sen- Negli anni Sessanta, Paulo Freire ha condotto un’esperienza, in Brasile, basata su “circoli di cultura” e confluita nel “Movimento di educazione popolare”. Furono creati – nel 1962 – 1300 sindacati rurali nelle regioni più povere del nord-est, con quindici milioni di analfabeti su venticinque milioni di abitanti. Fu elaborato un piano per alfabetizzare due milioni all’anno di persone, attraverso 20.000 circoli, con il fine della coscientizzazione delle masse (cfr. P. Freire, L’educazione come pratica della libertà, tr. it., Mondadori, Milano 1973, pp. 67-68). 7 so di un’interdipendenza positiva e costruttiva, lavorando e impegnandosi per obiettivi comuni, pur mantenendo l’apporto individuale e il riconoscimento di merito. In tale prospettiva ciò che deve essere incentivato è sempre l’elemento dialogico di ogni gruppo, agevolando i rapporti da pari a pari, in quanto persone – pur nella diversità di funzioni e ruoli – nello starsi di fronte in un vivente scambio. Da tale autentico vivente interscambio discende la diversità fra il dialogare – che ha al centro la relazione interumana e il logos – e il semplice conversare, il discutere e il chiacchierare. Al conversare manca l’intenzionalità di volersi implicare e cambiare. Il discutere è ispirato e sollecitato dal voler far prevalere la propria idea o posizione. Al chiacchierare difetta la profonda comprensione del fenomeno di cui si parla, così come anche Martin Heidegger chiarisce in Essere e Tempo8. Nel conversare prevale la stabilità nell’alternarsi dei protagonisti degli interventi. Nel dialogare s’instaura un certo squilibrio, che fa avanzare il gruppo verso riflessioni e considerazioni impreviste e inaspettate. Ed è all’interno dell’autentico dialogare che può svilupparsi l’arte dell’ascoltare. L’arte dell’ascoltare Non esiste vero dialogo senza un au- 8 Per questo, Heidegger sostiene che la “chiacchera” è la pretesa di voler parlare di tutto, senza alcuna preliminare appropriazione della cosa da comprendere, considerando che il linguaggio presuppone sempre la comprensione e l’interpretazione. QUALEDUCAZIONE • 29 tentico ascolto. Potremmo dire che se il dialogo è il motore della cooperazione, l’ascolto ne rappresenta il motorino d’avviamento. La possibilità di attivare un clima dialogico e di ascolto è facilitata dall’impostazione dei work shop – dove tutti i partecipanti di un gruppo sono chiamati ad assumere un atteggiamento aperto al dialogo – creando le condizioni per una partecipazione collaborativa. In tale atmosfera relazionale diventano possibili le due fondamentali forme di ascolto: a) l’ascolto empatico, costituito dal sapersi decentrare, immedesimandosi nel problema dell’altro e permettendogli, poi, una visione più ampia e distaccata della difficoltà incontrata; b) l’ascolto attivo, basato sull’opportunità che si offre di rispondere a domande, servendosi di supposizioni e di ipotesi, cogliendo il sentimento che ha mosso l’interrogativo o spinto la richiesta. È riuscendo ad ascoltare che si perviene all’atteggiamento ipotetico, alimentandosi all’umiltà di chi sa che ogni situazione è diversa. Sapere non basta. È necessario riuscire a intuire la domanda intima e poter cogliere lo stato interiore del sentimento (paura, ansia, attesa, aspettativa, rabbia, risentimento, preoccupazione, interessamento, speranza, ecc.). Per ascoltare in profondità bisogna tener presente la relazione interumana e la rete emotiva che s’istituisce. Eugenio Borgna afferma che “c’è sempre relazione e, cioè, costruzione, sia pur fragile e frammentaria - di ascolto e di dialogo, d’intersoggettività e di reciprocità”9. È E. Borgna, Le emozioni ferite, Feltrinelli, Milano 2009, p. 22. 9 30 • QUALEDUCAZIONE in tale prospettiva che ci si deve porre come uomini della domanda e non subito come uomini della risposta. L’uomo della domanda è colui che cerca di porsi dal punto di vista dell’altro. Si tratta di un atteggiamento di compassione profonda, derivante della capacità di provare empatia per un altro, per una comunità o per una situazione di vita10. Tale atteggiamento empatico si basa sulla capacità di ascoltare in profondità, sintonizzando il proprio animo sulle lunghezze d’onda della persona in difficoltà o delle situazioni problematiche. Questo richiede che non ci si fermi a un ascolto emotivo e neppure ci si limiti a un ascolto ideologico, ma ci si apra a un ascolto patetico. Si deve, infatti, distinguere fra: a) ascolto emotivo: basato sull’emotività e sulla momentaneità, limitato alla percezione dell’immediatezza. È destinato a svanire presto nel tempo, assieme alla sollecitazione che ha generato l’emozione; b) l’ascolto ideologico, limitato a ciò che rientra nei propri schemi mentali e nel proprio sistema di valore, diffidando di tutto ciò che si presenta come diverso e distante dal proprio mondo; c) l’ascolto patetico: basato sull’interessamento e sulla compassione, prodotto di appassionamento e apertura mentale. L’ascolto patetico è possibile se ci si accorge della presenza e dei problemi delle altre persone. Nel riferirsi alle si- È in tal senso che Jeremy Rifkin sostiene che Schopenhauer è stato il primo a descrivere un rapporto empatico, anche se non ha usato proprio questo termine, ponendolo alla base dell’atto morale e in forza del convincimento dell’essere tutti uno stesso essere (cfr. J. Rifkin, La civiltà dell’empatia, ed. cit., pp. 321-322). 10 tuazioni problematiche, rappresenta ciò che mette in moto un meccanismo di compartecipazione. Da qui l’attenzione verso i bisogni degli altri e la disponibilità a condividere situazioni di via, entrambe condizioni della possibilità del prendersi cura11. Una leaderschip cooperativa deve possedere tale predisposizione, mossa da compassione, spinta dall’amore e partecipe con intelligenza. 1980 Educazione alla pace; da sinistra G. Giugni (univ di Perugia), A. Pieretti (univ di Perugia), avv. L. Giugni (sindaco di Praia).G. Serio (presidente fondazione), dott. G. Impedovo (Segr naz Aspei). Educazione alla pace. Iil saluto di S.E. Mons. A. Lauro, vcescovo di S. Marco A - Scalea. 11 Paul Ricoeur definisce l’ascolto come un “luogo pre-etico” e il dialogo come quello spazio nel quale sorge l’etica. QUALEDUCAZIONE • 31 Il dialogo odierno, come forma d’aiuto e d’esercizio professionale pedagogico di FRANCO BLEZZA* Riassunto La pedagogia ha una storia antica, anche se il termine si è consolidato nella cultura molto più di recente: il richiamo alle sue radici nella Grecia classica è essenziale perché da quella fonte attingiamo tutto un complesso di strumenti concettuali ed operativi di fondamentale importanza, sia per l’esercizio professionale pedagogico che per la pedagogia generale, e tra questi proprio il διάλόγoς è di assoluto rilievo come esercizio professionale e come potenzialità di riflessione generale e metodologica. In questo saggio si riprende la storia del dialogo. dalle sue origini non filosofiche fino a taluni suoi rilevanti sviluppi successivi, per approdare a quella forma attuale di dialogo che è l’interlocuzione pedagogica. Si discutono, attraverso i tratti salienti di questa tecnica e modalità d’esercizio, alcuni dei tratti di fondo della pedagogia professionale odierna, come il suo carattere di relazione d’aiuto e di cura (to care of) ma non terapeutica (to cure), la necessità di un saldo fondamento scientifico, il carattere non normativo, il ruolo essenziale della riflessione sul metodo. Abstract Pedagogy has a long history, although the term has established itself * Redattore di Qualeducazione - Ordinario di Pedagogia sociale nell’Università G. D’Annunzio, Chieti. 32 • QUALEDUCAZIONE in culture much more recently: the reference to its roots in classical Greece is essential because from that source we draw a whole series of conceptual and operational tools of fundamental importance, both for pedagogical professional practice and for the general pedagogy, among them just the διά-λόγoς is of absolute importance as a professional exercise and as a potential for an overall and methodological reflection. This essay discusses the story of the dialogue from its non philosophical origins up to some of its major developments, to arrive at the current form of dialogue that is the pedagogical interlocution . Through the main features of this technique and the procedures of its practice, some of the pivotal features of today’s professional pedagogy are discussed, such as its character of supportive relationship and care (to take care of) but not therapeutic (to cure), the need for a strong scientific foundation , its non-regulatory character, the essential role of the reflection on method. “Dialogo”, come noto, non è sostantivo che indichi una qualunque forma di comunicazione tra persone o un canale di socializzazione generico, bensì è un termine tecnico che designa una forma molto particolare e specifica di esercizio di cultura umana con fini promozionali, evolutivi, di conquista di sé stessi e di conoscenza della realtà. Questa essenziale concettualità va coniugata con quelle analogamente ti- piche della civiltà greco-classica ed altrettanto caratterizzanti. Potremmo cominciare dal πάντων χρημάτων μέτρον ἐστὶν ἄνθρωπος, τῶν μὲν ὄντων ὡς ἔστιν, τῶν δὲ οὐκ ὄντων ὡς οὐκ ἔστιν di Protagora di Abdera (ca. 490-420 a.C.); ουδέν εστίν, ει δ’ εστίν ου νοητόν, ει δε νοητόν, αλλ’ ου γνωστόν, ειδέ και γνωστόν, αλλ’ ου δηλωτόν άλλους di Gorgia da Lentini (ca. 485-c.380 a.C.); φύσει μέν εστιν ‘άνθρωπος ζωον πολιτικόν di Aristotele (384-322 a.C.); dal ruolo e dall’importanza della’ρητορεία; dal διάλογος socratico; dalla πολιτεία intesa come socializzazione e come partecipazione attiva alla vita politica; dalla logica classica con le sue regole; dal γνῶθισεαυτόν (nosce te ipsum), nel senso profondo della limitatezza dell’essere umano e della piena consapevolezza delle potenzialità e dei limiti propri di ciascuno, con la conseguente condanna della ‘ύβρις, superba ed arrogante violazione di questo carattere umano essenziale; ma potremmo continuare a lungo per linee altrettanto significative. La contestualizzazione storica e culturale di questi strumenti concettuali, e la loro integrazione in quella civiltà, consente di coglierne appieno i caratteri e le valenze essenziali, sia dal punto di vista storico che con riferimento all’attualità. Non risulterà allora una coincidenza il fatto che il Socrate primo teorizzatore del dialogo come forma di promozione umana fosse anche quello stesso Socrate che interpretò correttamente il responso dell’oracolo di Delfo, nel senso di una saggezza umana che si identifica direttamente con la consapevolezza dei propri limiti e di quanto ancora non si conosce. In questo senso, il tema del presente numero speciale di “Qualeducazione” nell’occasione del suo trentennale si offre ad una avanzata competenza pedagogica come la sede più adatta per fare il punto dello stato dell’arte della professione di pedagogista circa il dialogo nei tempi correnti: tempi caratterizzati da un’evoluzione frenetica e con carichi pedagogici pesantissimi, tempi di transizione epocale dopo un periodo storico caratterizzato da un particolare spirito borghese e durato all’incirca due secoli, poco più poco meno a seconda delle realtà geografiche e culturali considerate. Questo ci sembra anche il modo più coerente per seguitare una collaborazione iniziata nel 1987, e prestata regolarmente dal 19901. Non sarebbe in linea con la pedagogia odierna, che non è una scienza normativa in senso forte, cogente e costrittivo, declinare questo tema generale (ancorché non generico) nel senso della prescrizione o dell’esortazione o del monito a dialogare sic et simpliciter. Ciò potrebbe portare, fra l’altro, ad un’accezione del termine “dialogo” tanto aspecifica da risultare di scarso valore informativo, e comunque molto lontana da ciò che è stato il dialogo dalla sua fondazione, due millenni e mezzo fa, fino ai tempi attuali. Un adempimento attualissimo, e specificamente pedagogico a questo proposito, consiste invece nell’analizzare questo prezioso ed estremamente rigoroso strumento di comunicazione inter1 Il primo contributo è apparso nel fascicolo 19 (anno VI, n. 4, ottobre-dicembre 1987, pag. 3339). La cura della rubrica “Ricerca ed innovazione educativa e didattica” è iniziata con il fascicolo 29 (anno IX, n. 3, luglio-settembre 1990). QUALEDUCAZIONE • 33 personale e di evoluzione umana, con un riguardo per gli sviluppi millenari e per le attuali discendenze legittime, le quali fanno parte della cassetta degli attrezzi dei pedagogisti professionali e di ogni professionista intellettuale, della cultura, dell’area socio-sanitaria, il quale si avvalga nel suo esercizio professionale anche di strumenti specificamente pedagogici. Ne ricaveremo, fra l’altro ma non in seconda battuta, la testimonianza di come la normatività non sia uscita dal novero degli adempimenti della pedagogia attuale, ivi compresa la pedagogia professionale intesa come branca degli studi pedagogici portante una particolare professione sociale e tutte le altre che a questa attingono, e di come essa si ridefinisca precisamente nel senso di normatività di metodo. Il pedagogista, o chi eserciti comunque in modo pedagogico, non ha prescrizioni di merito da impartire, bensì norme di metodo, imperativi ipotetici (o doppiamente ipotetici) da prospettare al proprio interlocutore. L’attualità del dialogo a partire dal fondatore, e taluni suoi sviluppi nel lungo lasso di tempo che ci porta fino all’oggi, risulterà in modo particolare attraverso la presa d’atto di quanto sia prezioso questo strumento, o meglio di quanto lo sia questo complesso di strumenti, per la persona e per la società d’oggi, che di esercizio professionale specificamente pedagogico nel sociale dimostrano di avere un bisogno sempre crescente e sempre più essenziale, ancorché ostacolato da pesanti inerzie e largamente inadeguato come consapevolezza diffusa. 34 • QUALEDUCAZIONE Il “dialogo” alle origini della pedagogia Il termine λόγoς, come noto, si riferisce sia alle varie accezioni del discorso (espressione, parola, colloquio, …), che alla ragione (intelligenza, regola, giudizio, computo, valutazione, corrispondenza, analogia, …); la preposizione διά significa “attraverso”, “per”, sia nel senso temporale che nel senso del moto per luogo, con una derivazione che indica la penetrazione, la suddivisione conseguente a tale penetrazione nell’oggetto nel quale essa viene compiuta, la spaccatura, lo squarcio. Il termine può quindi intendere sia un λόγoς che attraversa più persone, sia un λόγoς che penetra nelle idee, nelle cose, nella realtà con discernimento profondo ed essenziale. L’origine del dialogo è nella Grecia classica, ed è esterna alla Filosofia: anche se la mente andrebbe direttamente a Socrate, il dialogo era presente in alcuni generi poetici, nella tragedia greca (tra agonisti e coro, tra agonista e agonista), e nella storiografia (Erodoto, 484430 a.C.). Si originò in quello stesso periodo la Filosofia occidentale, sulla base di problemi educativi, secondo il John Dewey più noto2 che, almeno per chi si occupi di pedagogia, dovrebbe costituire un riferimento essenziale. Facciamo risalire basi importanti della teoria e della metodologia pedagogica, in ispecie il dialogo, proprio a Socrate; o meglio, ai dialoghi socratici scritti da Platone, a quanto ci ha riferito Senofonte e a qualche altra fonte 2 Democracy and Education. In rete ad es. all’URL http://www2.hn.psu.edu/faculty/ jmanis/johndewey/dem&ed.pdf, pag. 337-338. ancora per lo più indiretta, essendo ben noto che Socrate non ha lasciato scritto nulla ed anzi ha asserito l’importanza dell’oralità e della memoria proprio in un periodo storico nel quale la scrittura stava affermandosi nel mondo greco e, anche per questa eredità, si sarebbe consolidata definitivamente in occidente. Invece, l’esercizio professionale pedagogico è ancora precedente, riconducibile ai Sofisti cioè al primo corpo di professionisti specificamente esercitanti in educazione. I Sofisti insegnavano ’ρητορεία, e si facevano carico dell’educazione dei giovani al fine di farne dei cittadini in grado di vivere la vita politica nella loro πóλις. La pedagogia nasce in occidente come professione sociale ai massimi livelli. Pensiamo a Protagora (V secolo a.C.) che si presentava come maestro di εύβουλία3, sia negli affari privati, ossia il modo migliore di amministrare la propria casa, sia negli affari politici cioè della πóλις, ossia il modo di diventare in sommo grado abile nel governo della città-stato, negli atti e nelle parole. È da una simile prospettiva, più pedagogica che non filosofica, che si comprendono e si apprezzano le posizioni di quei professionisti dell’educazione in età adulta che invece suscitavano e suscitano la critica da una prospettiva filosofica in senso stretto. Ad esempio, la citata massima di Protagora secon3 Platone, Protagora [319 A - B]. Il termine designa una capacità di consigliare bene: βουλή indica la volontà, la decisione, come anche il parere, l’avviso, o il progetto, il disegno, e l’atto di riflettere e di deliberare, nonché in concreto alcune forme di adunanza, di assemblea, di consiglio; e il prefisso εΰ indica un’accezione buona, positiva, ben fatta. do la quale l’uomo è misura di tutte le cose4, coniugata con la centralità della ’ρητορεία come arte di persuadere con la parola i concittadini, le autorità e ogni istanza sociale5. In una democrazia come quella delle πóλεις, è il consenso maggioritario dei cittadini che conta; altra questione è se esistano una Verità, una Giustizia, una Virtù ed altri assoluti e, se del caso se essi siano conoscibili, individuabili, descrivibili, trasmissibili, e come. Si capisce come la ’ρητορεία dei Sofisti potesse anche essere impiegata come esercitazione al limite estremo, ma fondamentalmente come attestazione di questo atteggiamento correttamente relativistico in un contesto di democrazia diretta. Socrate, da parte sua, è chiaro al riguardo fin nel suo ultimo discorso, la difesa o απολογία da lui pronunciata davanti al tribunale ateniese nella primavera del 399 a.C., rispetto alla grave accusa di empietà e di stravolgimento delle idee e dei valori in un’azione diseducativa e di corruzione delle giovani generazioni. Dopo aver citato il responso che il suo amico, e stimato concittadino, Cherofonte ebbe dall’Oracolo di Delfo, secondo il quale non c’era maggior saggio di Socrate stesso: “Da un tale accurato esame, o cittadini ateniesi, […] mi derivò anche tale reputazione, ossia di essere sapiente […] che io fossi sapiente in quelle cose sulle quali confutavo l’altro. Invece, o cittadini, si dà il caso che, in realtà, sapiente sia il dio e che il suo oracolo voglia dire appunto questo, ossia che la sa- 4 Teeteto, 166 D-167 B. 5 Gorgia, 452 D-E. QUALEDUCAZIONE • 35 pienza umana ha poco o nessun valore. E il dio sembra che parli proprio di me Socrate , e invece fa uso del mio nome, servendosi di me come di esempio, come se dicesse questo: «O uomini, fra di voi è sapientissimo chi, come Socrate, si è reso conto che, per quanto riguarda la sua sapienza, non vale nulla». Appunto per questo anche ora, andando attorno, io ricerco e indago, in base a ciò che ha detto il dio, se io posso giudicare sapiente qualcuno dei cittadini e degli stranieri. E, dal momento che non mi sembra che sia tale, venendo in soccorso al dio, dimostro che non esiste un sapiente.”6. Se ne può trarre anche una prospettazione realistica dell’atteggiamento “sapiente”, nel senso che “la sua sapienza non vale nulla” in un certo senso assoluto, che il professionista di cultura pedagogica deve avere nel suo esercizio nel sociale. La limitatezza umana, intrinseca all’uomo in quanto tale, non consente né sapienza né verità: ma questo non toglie alcunché all’eventuale convincimento che una Verità, un Sapienza, ed anche una Giustizia o una Virtù esistano; semmai, è nella limitatezza umana che si evidenzia l’importanza dell’atto educativo, anche eventualmente raffrontandola o riferendola agli assoluti, anche come ricerca di andare oltre questi limiti pur non potendo mai liberarsi dai limiti stessi. Si può quindi riconfermare la validità come strumento concettuale del dialogo con i suoi due momenti della ’ειρωνία e della μαιευτική τέχνη7, 6 Ivi, 21 B e 22 E - 23 C. 7 Essi sono esplicati nei vari dialoghi, in par- 36 • QUALEDUCAZIONE con riguardo particolare al carattere di questo secondo di dazione alla luce delle idee maturate nell’allievo da parte dell’allievo stesso, con il maestro che lo aiuta esattamente come una levatrice aiuta la partoriente, metafora efficacemente ripresa da Socrate nell’arte di sua madre Fenarete. Ma una tale attualità va correttamente coniugata con il senso del limite umano e della consapevolezza di questa limitatezza come caratteristica connaturata all’uomo in quanto tale, rispetto al quale sarebbe gravissima ‘ύβρις derogare; il che, almeno dal punto di vista specificamente pedagogico, esclude la ricerca di ‘αλήθεια cioè di verità assoluta. Queste idee di fondo conservano la loro attualità, pur se il dialogo ha avuto, da quei tempi lontani, un suo sviluppo cospicuo, come forma espositiva letteraria, filosofica, scientifica, anche a voler prescindere da tutto ciò che rimanda a generi teatrali. In Latino antico, la forma-dialogo sarà impiegati da Cicerone , da Severino Boezio (480-526), e da altri ancora; e sarà ulteriormente impiegato anche in Greco. Questa forma verrà poi fatta propria anche da alcuni importanti autori cristiani come forma di discussione, di propaganda, di polemica contro movimenti od idee di carattere eretico (Gerolamo, 347-420 ca.; Agostino d’Ippona, 354-430). Per Agostino, vi è corrispondenza tra la SS. Trinità e la forma dialogica dello spirito umano. Ed è da notarsi che non sono mancati esempi notevoli di impiego del dialogo come forma letteraria nella quale ticolare nel Menone e nel Teeteto. esprimere dei saggi: per la lingua italiana, la mente va immediatamente ai vari dialoghi di Galileo Galilei8 (15641642), nei quali l’insegnamento disciplinare di Fisica moderna va insieme ad un insegnamento metodologico e ad una critica “ironica” nei confronti di posizioni anti-scientifiche, retrive, chiuse, reazionarie. Ma esso fu impiegato anche da filosofi e saggisti molto diversi, come Nicola Cusano (1401-1464), Giordano Bruno (1548-1600), George Berkeley (1685-1753), e da altri ancora. Oggi, il termine “dialogo” è nel linguaggio comune: ad esso si tende ad attribuire prima di tutto un’accezione di apertura, di disponibilità, di ascolto reciproco, ad esempio tra insegnanti ed allievi, tra genitori e figli, comunque tra educatore ed educando; oppure, tra partiti politici, tra maggioranza e minoranza, tra parti sociali. Queste caratteristiche rimangono valide anche per il dialogo inteso come termine tecnico, che indica un modo particolare di esercitare la professione, una procedura specifica, od anche un modo particolare di scrivere saggi di pedagogia o di filosofia o di scienze dell’uomo. Un pedagogista attento ai ceti e ai popoli oppressi come Paulo Freire (1921-1997) fece del dialogo addirittura il fondamento dell’educazione. L’interlocuzione pedagogica e l’attualità del dialogo Chiamiamo “interlocuzione pedagogica” l’erede attuale in campo pedagogico professionale del dialogo socratico e, più in generale, del dialogo per come questa forma di comunicazione umana si è evoluta nei millenni. Essa è stata sviluppata nel contesto della relazione d’aiuto professionale. Essa è stata proposta pubblicamente nel 1997, tanto alla comunità scientifica dei pedagogisti accademici quanto all’associazionismo del settore della professione9 9. La sperimentazione era in corso da molti anni10, ed è seguitata. Da un punto di vista più generale questa proposta, con l’esperienza relativa, si offre come forma paradigmatica di tecnica di relazione d’aiuto, nella quale implementare la metodologia e la strumentazione concettuale ed operativa specifica del pedagogista professionale, o del professionista di cultura pe9 In particolare, una dispensa universitaria (Pedagogia professionale odierna e problemi di genere, Treviso 1997), largamente diffusa anche in rete; la lezione magistrale al I Congresso Scientifico dell’A.N.Pe. (Roma, 10-11 ottobre 1997) dal titolo L’educazione come relazione d’aiuto (in L’educazione come relazione di aiuto ed etica professionale; Professione Pedagogista, Bologna 1998, pag. 21-44); e in svariati articoli scientifici. Molti scritti in materia sono stati pubblicati in rete, nell’associazionismo e nella convegnistica dei Pedagogisti professionali, e nella sezione di Pedagogia che si è ottenuto fosse aperta presso il sito www.larchivio.com. La prima sintesi organica è stata data in Pedagogia della vita quotidiana – La formazione del Pedagogista professionale, un aiuto per chiunque sia educatore (Pellegrini, Cosenza 2001). Quest’ultima opera ha avuto una nuova edizione, interamente riscritta ed aggiornata, in Pedagogia della vita quotidiana. Dodici anni dopo (Pellegrini, Cosenza 2011). 10 8 Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (cioè Tolemaico e Copernicano) pubblicato nel 1632 è solo il più noto. Ad esempio, anche i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e i movimenti locali (cioè sulla statica e sulla dinamica), pubblicato nel 1638, è dialogico nella stessa forma e con gli stessi personaggi. QUALEDUCAZIONE • 37 dagogica. L’I.P., insomma, fornisce delle indicazioni fruibili da chiunque eserciti una qualsiasi relazione d’aiuto pedagogica, ed offre i suoi contributi, per il tramite di una opportuna mediazione, alla pedagogia generale. Questa rivista ne ha ospitato la prima proposta in forma di nota scientifica11. A quelle prime sedi si rimanda per i dettagli che qui non è opportuno ricapitolare, come anche nelle opere più recenti in materia12. “Provando e riprovando” Il richiamo a Galileo come dialogista non è puramente storiografico od attinente ad un genere letterario molto particolare, ove si consideri attentamente anche il ruolo simbolico che si attribuisce al grande pisano circa la scienza moderna propriamente detta, cioè dell’evo moderno. Si rifletta sul noto motto che la fiorentina Accademia del Cinto, la prima società scientifica sorta in Italia quindici anni dopo la morte di Galileo, vale a dire sul notissimo «Provando e riprovando», motto che divenne comune tra quanti si richiamavano metodologicamente allo stesso Galileo. Non altrettanto noto è che si tratta di un’eredità dantesca (Paradiso, canto III verso 3): 11 “L’interlocuzione come relazione d’aiuto del pedagogista professionale” (anno XVI. n. 3-4, fascicolo n. 50 della serie, pp. 33-41, lugliodicembre 1997). 12 In particolare La pedagogia sociale (Liguori, Napoli 2010), Pedagogia della vita quotidiana. Dodici anni dopo, citata, La pedagogia professionale (E-book, ScriptaWeb, Napoli 2011). 38 • QUALEDUCAZIONE Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto, di bella verità m’avea scoverto, provando e riprovando, il dolce aspetto; Non è scorretto interpretare questo motto nel senso della reiterazione degli approcci, che è tipica della ricerca e che la connota fin dall’etimo latino tardo13; sbagliato e fuorviante sarebbe semmai interpretarlo in modo riduttivo. I due gerundi, in effetti, andrebbero letti in ordine logicamente inverso rispetto a quello che la metrica ha richiesto al Sommo Poeta, ed indicano il “riprovando” propriamente un confutare, e il “provando” cioè il dimostrare e avvalorare o, come diremmo oggi, il corroborare. Poi, va discusso il ruolo della via empirica, o delle “sensate esperienze”, e quello della via logica o delle “necessarie dimostrazioni”, galileianamente parlando; ma il fondamento rimane quello. La scienza moderna è andata incontro nella seconda metà dell’Ottocento ad una crisi, sia di ordine empirico che di ordine logico, che ben presto si è rivelata insuperabile. La rivoluzione scientifica che ne ha costituito il seguito è approdata ad una dualità di paradigmi nelle teorie della relatività e nelle teorie dei quanti, con le loro ricadute nelle scienze chimiche, nelle scienze della vita, nelle scienze geografiche e dell’universo. Fra l’altro, non è banale il fatto che la prima con13 “Circari” indicava la verbalizzazione della preposizione “circa”, intorno, e tendeva a denominare un “andare attorno a” qualcosa di determinato. La particella “re” a prefisso indica quell’impegno, quella costanza, quella determinazione, quella volitività che, in genere, richiedono una reiterazione di atti ed un ritorno continuo su fatti e circostanze, ipotesi e riflessioni. futazione empirica del sistema scientifico moderno si sia avuta storicamente nell’osservazione del moto dei pianeti attorno al sole (la precessione del perielio di Mercurio, cioè la non validità della prima delle leggi di Keplero che erano state a fondamento proprio della costruzione meccanica di Newton); e che una delle conseguenze empiriche più rilevanti della Relatività Generale stava proprio nella ridefinizione del moto dei pianeti in conseguenza della nuova Meccanica, che ha consentito di corroborare la costruzione di Einstein misurando via via le precessioni dei perieli anche dei pianeti meno centrali. Nuovi paradigmi significano anche visioni evolutive delle idee sulla ricerca scientifica e sulla sua metodologia, delle quali è opportuno fruire anche in pedagogia e nel relativo esercizio professionale. Ad esempio, l’approccio quantistico significa anche inseparabilità tra osservatore e osservato, da cui il limite nella determinazione; nel nostro caso, non distinguibilità del maestro dall’allievo e del pedagogista professionale dall’interlocutore, parti di un unico dialogo, nel quale è impossibile anche in linea di principio isolare un dialogante con le sue problematiche dagli altri, come è impossibile qualunque cosa assomigli al “distacco clinico”. Relatività non significa solamente impossibilità di un sistema di riferimento assoluto, non si può ridurre un complesso di teorie organiche con un generico “tutto è relativo!”; ma anche dovere di formulare le leggi in modo da garantire l’equivalenza di ogni riferimento, cioè in modo che conservino la stessa forma oltre che la stessa sostanza se osservate da qualunque sistema alternativamente. Una simile proprietà si chiama “covarianza”. Ma sono solo le primissime idee che se ne dovrebbero trarre. Non è cambiata quella parte essenziale dei fondamenti che consentono di parlare legittimamente di scienza e di ricerca in continuità, e che è quanto sostanzia la continuità anche della pedagogia e del dialogo. In particolare, il considerare la scienza come un esercizio di creatività umana entro la ricerca continua, priva di certezze e di definitività, sempre fallibile, sempre ipotetica, congetturale, provvisoria, storicamente contestualizzata. Tale riconferma è andata di pari passo con la crisi del Positivismo, vale a dire di una concezione filosofica che si è appoggiata alla scienza moderna quando essa era ormai matura e poi già in crisi o addirittura superata, e che ha avuto ricadute anche in campo pedagogico e didattico come in altri campi di scienze professionalmente applicative come quello medico o quello sociologico. Il dialogo, anche attraverso i suoi eredi legittimi, esemplifica e sviluppa egregiamente una pedagogia che è necessariamente anche esercizio professionale per il fatto stesso di essere scienza. Del resto, l’etimo corretto del termine “pedagogia”, apparso a cavallo tra Medio Evo ed Evo Moderno, direttamente latino e solo mediatamente greco-classico14, rende efficacemente 14 Arte del paedagogus. Che, poi, paedagogus fosse un calco linguistico di παιδαγωγός, e che questo termine derivasse a sua volta da παίς e ’άγω, è un altro discorso. La rigorosissima ricognizione in materia operata da Luigi Volpicelli nel volume 2 del Lessico delle scienze dell’educazione da lui diretto (Vallardi, Milano 1978), proprio alla voce “Pedagogia”, è estremamente QUALEDUCAZIONE • 39 l’idea di una materia non riducibile né a pura teoria (o filosofia dell’educazione o teoretica), né a pura prassi educativa. Essa è inscindibile dall’impegno e dalla presa in carico nei confronti di chiunque sia educando, e costituisce una materia che esige un rapporto organico con l’esperienza sull’oggetto di applicazione. Vale il paragone con la Medicina Chirurgia, anche in senso metodologico, anche nel senso dei fondamenti, anche nel senso dell’espressione di una professione e del relativo esercizio. Con la sostanziale differenza che la pedagogia non comporta una terapia, che significa il ristabilimento della fisiologia violata, in quanto la pedagogia stessa non reca una fisiologia o normalità o normatività di merito di riferimento che si possa considerare ad essa interna ed intrinseca. Semmai, essa mutua ad esempio le norme del Diritto positivo, o quelle delle scienze naturali e della medicina, o quelle della cultura e del costume sociali nei quali essa agisce, ma appunto dall’esterno. Vi sono invero norme anche all’interno della pedagogia: ma esse sono norme di metodo, che riguardano non il che cosa fare ma il come. E si riconferma come il pedagogista sia anche un metodologo e la metodologia faccia parte del suo strumentario più essenziale. illuminante in proposito. Nel greco classico, lingua di grande vocazione filosofica e pedagogica, vi sarebbero state le risorse lessicali a questo scopo; ma nessuna tradizione ha portato il termine παιδαγωγία, che designava appunto l’arte o l’ufficio o il compito del παιδαγωγός, oppure una locuzione come παιδαγωγική τέχνη, dall’antichità attraverso il medio evo e fino all’evo moderno. 40 • QUALEDUCAZIONE La pedagogia, e il pedagogista, non curano (to cure someone or something), bensì si prendono cura (to care of someone or something). Il dialogo grecoclassico e quello socratico, evolutosi in millenni di storia e alla luce delle conquiste recenti della scienza e della pedagogia, costituisce per questo uno strumento essenziale Il come è stato ampiamente esposto nelle sedi citate15 e viene continuativamente investigato anche attraverso un esercizio professionale volontaristico. Da destra F. Fusca, I. Bertone (univ. Genova), A. Pieretti, G. Serio, L. Giugni, G. Giugni. Opere citate, in particolare alla precedente nota 12. 15 Comunicazione e dialogo. Riflessioni sulla conoscenza e crescita umana di GRAZIA ANGELONI* Riassunto A seguito delle numerose teorie sviluppatesi nel corso degli anni sulla comunicazione, a partire dal primo Novecento, essa è attualmente considerata quale processo che pone in interdipendenza contemporaneamente due o più esseri umani. Tale relazione è finalizzata a dare alla realtà un significato comune, ad interpretare e ri-costruire il mondo fenomenico attorno all’uomo, a porre e risolvere problemi. Il dialogo come forma privilegiata di comunicazione adempie questo compito, ma perché venga posto in essere, devono essere richiamate talune sue caratteristiche: in primis riconoscere l’altro da sé, esercitare un ruolo attivo, partecipativo e di ascolto e coltivare l’ Einfühlung. Lo scritto che di seguito si propone enfatizza le potenzialità della comunicazione e del dialogo per la crescita umana e sociale. Parimenti, nel discutere gli effetti di una comunicazione autentica, si suggerisce di partire da quelle istituzioni in cui la sua mancanza sembra rafforzarne il legame lasco. Abstract After the many theories developed throughout the years regarding communication, starting from the early XXth century, nowadays it is considered as a * Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali, Università G. d’Annunzio, Chieti. process that puts two or more human beings in interdependence. Such a relation is in order to give reality a common meaning, to interpret and build again a phenomenic world around man, to pose and solve problems. Dialogue as its privileged form fulfils this task, but in order to occur it needs some features i.e. to acknowledge the other self, to exercise an active, participative listening and to nurture a sense of Einfühlung. This issue is focused on the potentiality of either communication and dialogue in the human and social growth. In discussing the effects of an authentic communication it suggests to start from those institutions where the lack of it seems to strengthen their loose-coupling systems. Ad un esame attento delle teorie della comunicazione che dal 1949 arrivano ai nostri giorni, notiamo una evoluzione che sposta il focus dal canale e dal contenuto degli atti di parola scambiati tra un emittente ed un referente alla relazione intercorrente tra due o più persone, processo che si svolge in un contesto specifico e che acquista funzioni eminentemente formative più che informative. Non è peregrino richiamare autori quali Shannon e Weaver (1949) e i relativi studi sulle modalità strettamente fisiche dell’informazione, Pierce (1867) e il suo contributo alle teorie linguistiche relative al segno, Wiener (1958) considerato il padre della cibernetica e tanti altri ancora che, come de SausQUALEDUCAZIONE • 41 sure (1916) nell’ambito della linguistica strutturalista e Roman Jakobson (1961,1963) hanno tracciato sentieri di ricerca, e riferirsi a tali suggestioni che di fatto rappresentano modi di esplorazione ancora in progress dialettico. Riconosciamo oggi alla comunicazione una dimensione sociale senza la quale essa non esisterebbe. Comunicazione e gruppi sociali o, in alternativa, comunicazione e persone si configurano quale binomio inscindibile. La scuola di Palo Alto ed il suo autorevole rappresentante: Paul Watzlawick nella Pragmatica della comunicazione (1971) enunciava il suo primo assioma, detto anche meta comunicazionale “Non si può non comunicare” e per il tramite del secondo, con il quale egli riconosceva ad ogni atto comunicativo un aspetto di contenuto ed uno di relazione, lo studioso procedeva nella definizione degli altri tre che mettono rispettivamente in risalto la natura circolare della comunicazione tra gli esseri umani, la non contraddittorietà della stessa, grazie alla relazione contestuale che funge da cornice di riferimento per l’interpretazione del linguaggio e dei suoi contenuti. Tale framework di contesto è creato proprio dai parlanti, cioè da coloro che attraverso atti linguistici scambiano punti di vista, o rimangono irretiti nelle loro personali convinzioni, negoziano ed effettuano transazioni di modi di pensare e della loro stessa identità o oppongono resistenza all’altro, nell’affermazione intenzionale o non volontaria del proprio ego. Comunicare implica una personale abilità, un saper fare che si nutre di quella particolare disposizione interiore di apertura e di accettazione della diversità ed unicità rappresentata 42 • QUALEDUCAZIONE dall’altro e, che nel suo divenire, si determina quale competenza interpersonale. Parafrasando Lévinas, la comunicazione è la “grande avventura dell’essere”, perché immerge ogni persona, nel riconoscimento di un bisogno innato, appunto quello di entrare in contatto con i propri simili, nella complessità di una o più relazioni. All’interno di queste vengono veicolati, attraverso il linguaggio che è manifestazione esteriore e perciò più visibile della cultura intesa in accezione antropologica, valori ed assunti taciti condivisi. I primi sono a fondamento dell’essere umano e del suo stesso svolgimento in contesti reali o ideali, i secondi rappresentano le grandi categorie che la mente pone a se stessa. Kant le nomina “idee regolative”: l’idea di ragione, dell’Io, del mondo, di Dio che consentono all’uomo di proiettarsi oltre l’esperienza e che di fatto la ordinano e la regolano. Schein (2000) le classifica come natura della natura, natura del tempo, natura dello spazio, natura delle relazioni umane, natura della realtà e della verità. Sono queste, per lo studioso del MIT le cinque categorie che giacciono in profondità e che, similmente ad un iceberg, rappresentano la parte sommersa che può all’occorrenza riemergere attraverso talune tecniche dialogiche e comunicative. Quando qualcuno entra in relazione con l’altro, affinché si realizzi l’evento dialogico che è manifestazione particolare della comunicazione, pone se stesso in scambio reciproco con un tu dal quale, secondo Buber l’io stesso dipende. Né l’uno senza l’altro potrebbero mai esistere, perché è proprio in virtù dell’altro che il sé acquista la sua vera identità. L’io-tu, diverso dall’io-esso è sempre soggetto, promotore di uno scambio interiore che è manifestazione piena di sé all’altro, che riconosce questi come complementare e mai antagonista, che è rispetto in termini di intimità e discrezione, condizioni per Simmel (1906) essenziali della comunicazione. Ciò implica il non entrare forzatamente nella sfera privata dell’altro, non irrompere nella altrui personalità attraverso l’eloquio invadente, se mai discretamente e con tatto riuscire a fare in modo che si realizzi quel processo di scambio valoriale che in primis è narrazione del proprio essere, senza alcuna pretesa di provocare una risposta immediata dall’altra parte e perciò di accedere alla parte più intima dell’altro. La contingenza che è anzitutto circostanza storicamente oltre che socialmente stabilita, è intimamente legata alla posizione di chi riconosce il carattere fugace e perciò contingente – di ciò che è ora, ma potrebbe non essere più – delle proprie convinzioni, dei propri modi di pensare, delle proprie visioni rispetto ad un evento, un fenomeno o anche un problema. Quest’ultima capacità che caratterizza l’essere umano che vive non il disincanto, ma la certezza che i fenomeni nel mondo e tutto ciò che è precostituito all’uomo debbano essere interpretati e, di fatto lo sono, sulla base di assunti culturali che regolano la vita di una data comunità in un dato periodo storico, viene nominata da Rorty (1989) “ironia”, la quale pur se in accezione diversa da quella socratica, segna una sorta di relativismo cognitivo, funzionale all’integrazione di altri modi di pensare, di sentire, di percepire la complessità di situazioni problematiche, di eventi ed esistenti. Lo stesso Socrate, parimenti, attra- verso l’ironia mirava al disvelamento delle false congetture, alla dimostrazione dell’infondatezza di un ragionamento che ha il carattere di mera opinione, pertanto vacillante ed effimero. Attraverso il dialogo che implica sempre un confronto orale tra le parti per mezzo del discorso ci si può avviare, secondo il filosofo greco alla ricerca della conoscenza. Il processo gnoseologico si costituisce quale bildung personale, rielaborazione cognitiva in un dialogo intimo dell’uomo con se stesso che nell’atto di intuire, afferrare, fare proprio, inferire dall’esperienza, sintetizza, dà ordine, classifica, stabilisce connessioni tra dati e informazioni di vario genere, ma non senza il supporto di un contesto sociale che lo aiuta ad esplorare meglio, lo sostiene nella scoperta, lo orienta nella definizione del sé. La conoscenza diviene così costruzione sociale e, nel suo farsi storico, rappresenta la risposta di una comunità che attraverso atti di parola, ricchi di significato, cerca di conferire senso al mondo, dandone rappresentazione congiunta, perpetuando, nel mentre, quella continuità che è tensione dell’essere umano verso l’infinito ed insieme speranza di lasciare qualcosa al mondo dopo di sè. Ancora, con il dialogo e per il suo tramite le questioni problematiche che sono nelle cose, possono essere poste quali problemi effettivamente avvertiti che presuppongono soluzioni sì personali, ma sempre sollecitate, fatte nascere da altri. Il richiamo a Socrate e alla maieutica, anche in questo caso, è del tutto evidente. L’interlocuzione che è forma privilegiata di dialogo (Blezza, 2001, 2007, 2008), infatti, dispone tanto l’emittente quanto il referente delQUALEDUCAZIONE • 43 la comunicazione ad una migliore definizione della situazione-problema, in termini popperiani, dando adito ad una rappresentazione più intellegibile, dotata dei caratteri dell’evidenza e della nitidezza. Per due o più menti che si predispongono a tale circostanza, il linguaggio e la comunicazione sono strumenti del pensiero che pone idee-ipotesi da corroborare costantemente, da porre al vaglio di una realtà che si offre quale trama da ri-tessere congiuntamente e dove ciascuno è di diritto legittimato ad apportare il proprio contributo (Lave & Wenger, 1991). Tuttavia ci sono alcune condizioni che devono verificarsi perché il discorso tra le parti possa avvenire e perché la situazione comunicativa sia davvero edificante: l’apertura nei confronti dell’altro in termini di riconoscimento quale interlocutore privilegiato è la prima, dalla quale discendono tutte le altre. Rogers evidenzia il ruolo dell’ascolto attivo che implica empatia, un riconoscersi nell’altro e che, secondo Bianchi (2010) è anche il “dono del tempo: attendere l’altro, con le sue esitazioni e i suoi ritardi, con la sua difficoltà ad esprimersi, con i suoi timori e le sue reticenze”. Gordon, nel richiamare il principio dell’ascolto attivo lo pone in successione all’ascolto da lui definito “passivo”. La capacità dell’interlocutore di prestare totale attenzione a ciò che l’altro dice è preliminare e condizione necessaria per effettuare una compiuta riflessione, senza giudicare o sentenziare su ciò che l’altro ha espresso. L’empatia, diversa dall’Einfühlung steiniana, dispone a sentirsi parte di uno stesso costrutto umano, a soffrire, a sorri44 • QUALEDUCAZIONE dere, in sostanza a provare le stesse emozioni della persona con la quale si è in relazione dialogica. L’ Einfühlung è invece ben altra cosa: è un processo che proietta la persona nella situazione problematica dell’altro, nella personalità dell’altro, fin da farsi carico e non solo emotivamente del vissuto del proprio referente. Il dialogo implica dunque crescita personale e sociale, nella misura in cui la relazione comunicativa è improntata al senso di comunanza, di condivisione di interdipendenza. È solo allora che la parola si fa logos che non è solo discorso, racconto, ma come sostiene Heidegger essendo il termine greco intimamente connesso al verbo leghein è anche conservazione, raccolta, accoglimento di ciò che viene detto e quindi ascolto. Il dialogo ha il potere di costruire o di demolire, di creare o di distruggere, di partecipare o di occultare. Le possibilità in positivo e le eventuali distorsioni sono sempre a carico dell’uomo e dell’immagine di socialità che questi ha sviluppato attraverso la propria esperienza e la formazione. Quando la parola perde la sua pregnanza, in termini valoriali e acquisisce accezioni meramente conative, il dialogo e la comunicazione risultano in declino, impoveriti strutturalmente e privati della loro primaria funzione: quella di fungere da collante tra gli uomini, di porli non gli uni accanto agli altri, ma in prossimità degli altri, lasciando loro presagire orizzonti comuni di senso. Quando persino significante e significato perdono la loro connessione e coerenza, quasi a riprodurre una torre di Babele, i linguaggi diventano una sorta di “clashing grammars” e rinsaldano legami a connessione debole - è il caso di numerose organizzazioni umane, tra cui la scuola e la famiglia-. In tali istituzioni in cui lo sviluppo umano e sociale è strettamente correlato alla comunicazione ed alla predisposizione del contesto nel quale essa avviene, si rende oggi, più che mai auspicabile la formulazione e l’esercizio di azioni formative mirate all’apprendimento della capacità di dialogo proprio lì dove essa è in difetto. Apprendere a dialogare dialogando, una sorta di learning by doing, teso ad un obiettivo più alto: la riscoperta dell’uomo. “Considera l’uomo con l’uomo, e vedrai congiuntamente, ogni volta, la dualità dinamica che è l’essenza umana: (…); sempre due in uno, completandosi l’un l’altro nel reciproco impegno, mostrando l’uno con l’altro uomo. (…). Alla risposta alla domanda “che cos’è l’uomo?”, saremo più vicini se impareremo a comprendere nell’uomo l’essere nel cui stato dialogico, nel cui reciproco attuale essere in due, si realizza e si riconosce ogni volta l’incontro dell’uno con l’altro” (Buber, 2004, p. 119). le, come non pregiudicarle, La Meridiana, Bari, 2005. Lévinas E., Umanesimo dell’altro uomo, Il Melangolo, Genova, 1985. Popper K., Tutta la vita è un risolvere problemi. Scritti sulla conoscenza, la storia e la politica, Rusconi, Milano, 1996. Rogers C.R., A way of being, Houghton Mifflin, Boston, 1980. Trad. italiana: Un modo di essere, Martinelli, Firenze, 1985. Rogers, C.R., On becoming a person, Houghton Mifflin, Boston, 1961 Trad. italiana: Da persona a persona, Astrolabio, Roma, 1973. Rorty R. Mc K., La filosofia dopo la filosofia: contingenza, ironia e solidarietà, Laterza, Bari, 1989. Schein E. A., Culture d’impresa, Raffaello Cortina, Milano, 2000. Simmel G., Sull’intimità, Armando, Roma, 1998. 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Un percorso dialogico per la maturazione della persona di ROSA GRAZIA ROMANO* Riassunto Il vertiginoso progresso della scienza e della tecnica sembra rendere l’umanità impreparata ad affrontare i complicati risvolti di questo progresso, che toccano gli aspetti della vita sociale, educativa, affettiva, emotiva, spirituale, rendendo l’uomo sempre più inquieto ed infelice, incapace di vivere la sofferenza e di custodire la speranza. Occorre riuscire a contrapporre un percorso educativo che sia orientato ad una maggiore capacità dialogica dell’essere umano con se stesso e con il mondo, in modo che possa superare e trascendere la logica dell’isolamento narcisistico e dell’indifferenza. L’articolo traccia un percorso possibile di crescita in tale direzione, riflettendo su quali siano le condizioni perché la persona possa guardare oltre la propria sofferenza e le proprie paure ed aprirsi ad una relazionalità positiva. Inoltre, propone un modo di conservare, in tutte le circostanze della vita, quella forza che aiuta a superare le ineludibili difficoltà dell’esistere e di muoversi in un’ottica di speranza, recuperando il desiderio, la fiducia ed il perdono, che aiutano a custodire la pace profonda del cuore. * Ricercatrice di Pedagogia generale, Università di Messina. 46 • QUALEDUCAZIONE Abstract The rapid progress of science and technology seems to make mankind unprepared to deal with the complicated aspects of this progress, which affect aspects of social, educational, emotional, spiritual life, making the man more and more restless and unhappy, unable to experience the suffering and guard/keep the hope. It is essential to oppose an educational route oriented towards a greater dialogical capacity of the human being with himself and the world, so that he may overcome and transcend the logic of narcissistic isolation and indifference. The article outlines a possible growth path in this direction, reflecting on the conditions for which the person can see beyond his pains and his fears and open up to a positive relationality. Also, the article proposes a way to preserve, in all circumstances of life, the strenght that helps to overcome the inevitable difficulties of existence and to move in a perspective of hope, recovering desire, trust and forgiveness, which helps to keep the deep peace of the heart. È possibile vincere l’inquietudine e l’incomunicabilità? Nonostante il progresso della scienza e della tecnica consenta ormai all’uomo di esercitare un potere sempre mag- giore sulle forze della natura e sulla realtà che lo circonda, non sembra che si possa affermare che l’umanità sia più felice, più in relazione e più in dialogo. La nostra si rivela come un’epoca in cui nuove inquietudini stanno permeando tutti gli aspetti della vita dell’essere umano, da quelli materiali, pratici ed operativi, a quelli psicologici, ideali e valoriali. Si respira nell’aria una tensione diffusa, densa di paura e incomprensione, anche perché sono forti gli squilibri che continuano ad alimentare conflitti a tutti i livelli e che ostacolano l’instaurarsi di un clima relazionale positivo ed accogliente. Come afferma Benedetto XVI – si constata che “il dialogo tra le generazioni si fa faticoso e a volte prevale la contrapposizione; assistiamo a fatti quotidiani in cui ci sembra che gli uomini stiano diventando più aggressivi e più scontrosi; comprendersi sembra troppo impegnativo e si preferisce rimanere nel proprio io, nei propri interessi»1. Prevale la tendenza del soggetto a rivendicare la propria autonomia, a negare ogni limite al proprio desiderio, a costruire la propria felicità ed il proprio benessere in maniera autoreferenziale ed isolata, rimarcando la propria indipendenza ed indifferenza nei confronti degli altri. Sembra quasi che la ricerca della felicità e del dialogo nella società delle persone si configuri come una opposizione tra la sfera personale e quella relazionale e sociale, il che produce inevitabilmente un progressivo isolamento del soggetto ed il conseguente sfaldamento della coesione sociale e del senso di so1 Benedetto XVI (2012), Omelia nella solennità di Pentecoste, Basilica Vaticana 27 Maggio 2012, Libreria Editrice Vaticana. lidarietà. La corsa a “salvarsi da soli” sta avviando, cioè, un processo perverso di avvitamento in un circuito vizioso di incomunicabilità, incomprensione e conflittualità che, lungi dal liberarci dall’inquietudine, ci condurrà verso l’aridità dei sentimenti e l’incapacità di costruire un futuro accettabile per l’intera umanità. È possibile interrompere questa corsa disperata e disperante verso l’annullamento della vita e della speranza per ricostruire, invece, un diverso e più positivo percorso che vada “oltre” l’inquietudine e l’incomunicabilità? È possibile attrezzare il soggetto perché sia messo in grado di attraversare questa nuova temperie culturale senza soccombere ai nuovi conflitti ed alle diverse e più subdole inquietudini che la rendono vischiosa e, alla fine, distruttiva? Urge ripensare un cammino capace di rafforzare le difese che l’uomo del XXI secolo deve mettere in campo per neutralizzare le rischiose e paralizzanti derive che si aprono lungo il suo percorso esistenziale. Occorre riuscire a contrapporre, al senso di angosciosa solitudine e di sfiducia in un futuro comune e solidale, un percorso educativo che sia orientato ad una pacificazione dell’essere umano con se stesso e con il mondo, in modo che possa divenire capace di superare e trascendere la logica dell’isolamento narcisistico e dell’indifferenza. Nel tracciare un percorso possibile di crescita in tale direzione, rifletteremo su quali siano le condizioni perché la persona possa guardare oltre la propria sofferenza e le proprie paure ed aprirsi ad una relazionalità positiva e ad un dialogo costruttivo. Ci interrogheremo su come si possa trovare un modo di conservare, in tutte le circostanze delQUALEDUCAZIONE • 47 la vita, quella forza che aiuta a superare le ineludibili difficoltà dell’esistere ed a muoversi in un’ottica di speranza, recuperando il desiderio e la fiducia. Ci sforzeremo di trovare le buone ragioni per custodire la pace profonda del cuore2 e per rintracciare altri modi meno paralizzanti di leggere il dolore e la sofferenza (causati anche dalla solitudine e della mancanza di dialogo), altre e più positive logiche per orientare le dinamiche relazionali, altri approdi verso cui indirizzare desideri, attese e comportamenti. Desiderio e attesa: i volani della vita Il desiderio è un’esperienza umana fondativa ed ineludibile, connessa sia con il piacere che con il dolore, generativa di felicità ma anche di infelicità. Tutte le culture e le società, riconoscendo la carica energetica e trasformativa che da esso promana, gli attribuiscono un valore ed un peso particolare nell’esperienza personale e sociale ed intervengono variamente sul suo controllo, preoccupate della forza dirompente che esso riesce a sprigionare. Nel mercato capitalistico occidentale, ad esempio, il desiderio è considerato come la molla vitale del sistema economico/finanziario e, pertanto, viene continuamente sollecitato, rappresentato ed orientato nei modi più vari. Diversa è, invece, la cultura che si ispira al buddismo perché, considerando il desiCome insegnano i maestri di spiritualità, la pace si perde sempre per cattive ragioni. Si veda, tra gli altri, il denso libretto di: Philippe J. (1991), La pace del cuore, tr. it. Dehoniane, Roma, 1992. 2 48 • QUALEDUCAZIONE derio come la vera fonte della sofferenza, propone di raggiungere la felicità attraverso pratiche ascetiche che portino all’assenza di ogni desiderio, il nirvana. Può accadere, cioè, che si rincorra continuamente la soddisfazione di ogni desiderio o, al contrario, che si scelga di rinunciare al desiderio oppure anche che si smarrisca il desiderio, a seguito di drammatiche delusioni. In ogni caso, al desiderio si rimane comunque legati, anche quando si desidera di non desiderare per non soffrire nel desiderare invano. Ma, se desiderare è inevitabile, come dice Salonia, «sta a noi decidere il cosa e il come desiderare. Si può dire anzi che imparare a desiderare è una competenza necessaria nella vita, che ne decide probabilmente pure la qualità»3. Può accadere, infatti, che si faccia l’errore di desiderare qualcosa instead of, “al posto di” qualcos’altro perché non si riesce a capire ciò di cui si ha realmente bisogno e, in questo modo, si rischia di rimanere sempre insoddisfatti, perché si insegue un desiderio illusorio che non è quello reale. Ecco perché l’educazione al e del desiderio dovrebbe essere un momento fondamentale del processo educativo, un compito da non sottovalutare. Proprio perché viviamo nella società dell’overdose4, dove c’è troppo di tutto e non si riesce più a discriminare tra cose necessarie e cose superflue, diventa vitale saper discernere tra i desideri del cuore, più significativi e arricchen3 Salonia G. (2011), Sulla felicità e dintorni. Tra corpo, parola e tempo, Il pozzo di Giacobbe, Trapani, p. 27. Da Empoli G. (2002), Overdose. La società dell’informazione eccessiva, Marsilio, Venezia. 4 ti, e quelli superficiali ed inessenziali, indotti dai modelli del consumismo imperante e dalle pubblicità martellanti di esperti imbonitori. Diventa sempre più difficile distinguere verità e falsità, bene e male, positività e negatività in un tempo, come il nostro, in cui le cose superflue e perfino inutili sono percepite come necessarie e dove la struttura economica poggia proprio sulla continua creazione di nuovi bisogni indotti che sollecitano il desiderio di comprare e di consumare subito, inoculando l’illusione di poter diventare felici col possesso di alcuni oggetti. La nostra sembra ormai una società della “felicità usa e getta”, dove il desiderio è sempre mutevole, liquido e inafferrabile anche quando riguarda oggetti, legami e persone: tutto si usa finché serve e poi si butta via. Ecco perché una delle sfide più impegnative è diventata quella di fornire criteri per poter distinguere, nella pluralità di offerte e possibilità, cosa è da considerare positivo e complessivamente accettabile e cosa è invece pericoloso o inutile, quindi da lasciare ed evitare. Ma, per saper desiderare e saper scegliere, occorre apprendere a sostare consapevolmente nel desiderio, piuttosto che continuare ad inseguire desideri inconsistenti, riuscire a saper discernere cosa sia valido e desiderabile e cosa non lo sia, scoprire per cosa e per chi valga la pena attendere, lavorare e soffrire. La prima competenza da apprendere, pertanto, è il riuscire ad essere consapevoli di cosa si desidera davvero. L’antica saggezza greca a riguardo ci mette in guardia: «Quando gli dei ci vogliono punire, realizzano i nostri desideri». Ci sono aspettative sbagliate il cui perseguimento porta infelicità, scoraggiamento e delusioni distruttive, in un crescendo di agitazione e di pretese piuttosto che di soddisfacimento, serenità e felicità. Saper desiderare significa anche saper attendere, esser capaci cioè di dilazionare nel tempo il raggiungimento dell’obiettivo del desiderio, accettando le condizioni necessarie (scelte, rinunce, fatiche, sofferenze, ecc.) perché questo divenga possibile. Senza maturare la capacità di attesa, cui risulta collegata anche quella di progettare e organizzare coerentemente i propri comportamenti, il desiderio, infatti, può diventare fonte di infelicità ulteriore. Un’altra competenza che occorre raggiungere riguarda il modo in cui occorre rapportarsi con le proprie attese. Infatti, ogni persona, a partire dalle proprie esperienze, costruisce uno stile personale ed adotta delle strategie che dovrebbero condurla alla realizzazione delle aspettative. Se è vero che non esiste un unico stile giusto o vincente, è pur vero che c’è una linea di demarcazione tra stili di attesa personali patologici, rigidi e disfunzionali, e stili sani, flessibili, che permettono alla persona di adattarsi alle circostanze, di individuare con ponderatezza ed equilibrio sia l’obiettivo da conseguire, sia la strada da percorrere (direzione) e l’energia/impegno necessari per raggiungerlo. L’esperienza stessa del desiderare, pertanto, può diventare strategia vincente soltanto se non alimenta aspettative irrealistiche, asfittiche ed orientate in senso individualistico, e si trasforma invece in un percorso maturativo della persona, occasione di sviluppo delle sue potenzialità e del suo impegno attivo verso il bene comune. La tensione alla realizzazione dell’obiettivo del desiderio, in questo caso, non rimane vincolaQUALEDUCAZIONE • 49 ta sempre e soltanto autarchicamente a sé stessi (stile relazionale narcisistico), né legata esclusivamente alla presenza di un’altra persona (stile relazionale dipendente), ma si apre all’alterità in senso più ampio, con percorsi di crescita comune (stile dialogante e cooperativo) basati sulla capacità di dare e chiedere aiuto. Maturare in senso pieno la capacità educativa della tensione dell’attesa desiderante diventa, in tal modo, l’occasione per recuperare e valorizzare le forze più potenti della vita. Si può dire, anzi, che da come viviamo l’attesa dipende il modo in cui noi viviamo la vita, la nostra capacità di affrontare e reagire alle esperienze più difficili. Dolore e sofferenza: riuscire a guardare al di là della siepe E particolarmente difficili sono le esperienze del dolore e della sofferenza che non mancano in nessuna esistenza, anzi diventano la cartina al tornasole per misurare la forza vitale della persona. La società dell’immagine e del consumo non aiuta certo ad affrontare con equilibrio queste esperienze e queste tematiche, che tratta invece in modo schizofrenico e contraddittorio. Infatti, da un lato, nel mondo edulcorato ed irrealistico delle rappresentazioni pubblicitarie massmediali così come nella stessa organizzazione delle città si fa di tutto per negare spazio e visibilità alla sofferenza e al dolore della realtà quotidiana di poveri, emarginati, malati, isolati di fatto in luoghi dove non possano incontrare, interferire o infastidire chi è sano, ricco, felice. Con questa 50 • QUALEDUCAZIONE lontananza si vuole esorcizzare, negandola e circoscrivendola, la realtà della negatività e del limite per distrarre il pubblico dei consumatori5, rassicurandoli sulla bontà e appetibilità di alcuni beni verso i quali si tende ad orientare i consumi. Per altro verso, invece, il male e la sofferenza fanno irruzione in tutta la loro forza e virulenza nei media sia in dossier e reportage sia in particolari fiction, dove appaiono a dosi massicce sotto forma di crude rappresentazioni di violenza, indulgendo con sadica pervicacia su immagini di efferatezza inaudita. Dolore, malattia, sofferenza, anche quando riguardano altre persone reali, diventano parti di uno spettacolo e, come tali, psicologicamente tendono ad essere confinate nella distanza della rappresentazione filmica, non sentite più come realtà coinvolgenti vissute da nostri simili, ma come entità astratte, lontane e allontanabili a piacimento con un click del telecomando. Questa spettacolarizzazione ed assuefazione alla rappresentazione del dolore e della sofferenza produce, a lungo andare, un inevitabile distanziamento ed una insensibilità rispetto al dolore così raffigurato ma, quel che è peggio, non aiuta il soggetto a confrontarsi realisticamente né con le proprie emozioni né con l’altro (attraverso il dialogo); anzi lo rende ancor più fragile ed indifeso, convinto di poter allontanare da sé la fatica della rielaborazione dei propri vissuti di sofferenza, quando questa si presenterà. 5 Confronta su questi temi le efficaci descrizioni del sociologo Bauman Z., in particolare il suo Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, tr. it. Erickson, Trento, 2007. Purtroppo ogni esistenza umana prima o poi viene attraversata, in un modo o nell’altro e con diversa intensità, dal dolore e dalla sofferenza e nessuno ne può essere esente del tutto. Si tratta di esperienze che nessuno sceglie né può allontanare a piacimento, che talvolta risultano anche positive, quando riescono a temprare e rafforzare la persona, ma che tante volte possono essere talmente gravi e dolorose da schiacciare ogni resistenza, fino all’esperienza estrema del suicidio. Ma sarebbe riduttivo e miope fermarsi all’affermazione che il dolore e la sofferenza, in sé e per sé, non hanno alcun senso e sono una realtà negativa: questo non aiuta certo ad affrontarli. Meno banale e più significativo diventa, come ci ricorda la saggezza della nostra migliore tradizione culturale, riconoscere che tutta la vita è comunque e sempre una lotta per cui, in qualche misura, diventa fisiologico attraversare sofferenze e sconfitte. Più difficile, invece, è comprendere quando e perché la sofferenza che l’uomo è costretto a sperimentare risulti eccessiva e disperante. Quanta sofferenza è possibile sopportare? E cosa fare per imparare a sopportarla meglio? Se è vero che non esistono risposte magiche e valide sempre, tuttavia si può imparare a trattarla se si riesce a distinguere tra: – la sofferenza “fisiologica”, cosiddetta “normale”, legata cioè ai cambiamenti fisiologici e traumatici dell’esistenza, (come, ad esempio, la sofferenza di chi sperimenta un lutto o quella legata ad uno stato doloroso passeggero); – la sofferenza che si fa problema, che richiede la competenza dell’esperto, perché ha provocato un blocco, una in- terruzione della crescita e della trama relazionale, con la conseguente chiusura nei confronti della vita e degli altri6. Saper distinguere tra sofferenza e problema è fondamentale, perché determina il tipo di sostegno da chiedere o da dare e, conseguentemente, il tipo di intervento da mettere in campo. Indubbiamente, una via fondamentale per sopportare ed andare oltre è quella di trovare un senso al dolore ed alla sofferenza7. Non è cosa facile da fare: è come chiedere di lanciarsi nel buio oltre la siepe, andando contro e sfidando l’evidenza con lo sguardo più in là rispetto al vissuto immediato! E non tutti ci riescono e lo possono fare da soli. Per dare un senso occorre riuscire a guardare con gli occhi della speranza per vedere in filigrana quello che generalmente non si riesce a vedere. Se si riesce a fare questo salto avviene una inversione di ottica che può cambiare di segno tutta l’esperienza ed il vissuto della persona. La “forza salvifica” del dolore la si scopre meglio a distanza, quando il dolore è finito ed ha lasciato le sue tracce, facendo maturare atteggiamenti più comprensivi, convinzioni meno pre6 Cfr. Salonia G. (2011), Sulla felicità e dintorni…, op. cit., pp. 75-80. 7 Sul tema del dolore e della sofferenza si vedano, tra gli altri, i classici: Görres A. - Rahner K. (1982), Il male, tr. it. Paoline, Cinisello Balsamo; Mounier E. (1995), Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero della sofferenza, tr. it. BUR, Milano; Teilhard de Chardin P. (1991), Sulla sofferenza, tr. it. Queriniana, Brescia; ed inoltre: Natoli S. (1986), L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Feltrinelli, Milano; Andreoli V. (2007), Capire il dolore. Perché la sofferenza lasci spazio alla gioia, BUR, Milano; Ravasi G. (2002), Fino a quando Signore? Un itinerario nel mistero della sofferenza e del male, San Paolo, Cinisello Balsamo. QUALEDUCAZIONE • 51 suntuose e attese più realistiche. La sofferenza, d’altra parte, è la condizione che aiuta ad aprirsi all’ascolto degli altri che soffrono se viene accettata da chi soffre, che fa scoprire il sano attaccamento alla vita ed ai suoi aspetti essenziali, che abitua ad accettarsi pur nella condizione di fragilità, ridimensionata e relativizzata. Soltanto a contatto col dolore, accettandolo, la persona ne può scoprire, autonomamente, l’oscuro significato. Non sono le spiegazioni scientifiche o i significati esoterici che possono aiutare a vivere il dolore; per accettarlo, serve molto di più l’esperienza consolante della presenza e della vicinanza dell’altro che resta accanto ad ascoltare, anche in silenzio, il nostro racconto. Sarà poi ognuno a scoprire, all’interno dei temi della sua esistenza e dei suoi particolari percorsi evolutivi, il senso particolare del proprio dolore, attraverso un non facile cammino di accettazione e di risignificazione della propria fatica di vivere8. Seguendo questa logica, la sofferenza, il nostro “essere spezzati”, non è più semplicemente una noiosa interruzione nella nostra vita, ma rivela qualcosa su chi siamo, sul nostro limite, sulla nostra creaturalità e vulnerabilità9, così come insegna a guardare in faccia la solitudine e il dolore, senza stordirsi ed anestetizzarsi, vivendo con pazienza il “non ancora” e confidando in un futuro più luminoso. Sappiamo ormai dalle scienze umaCfr. Salonia G. (2011), Sulla felicità e dintorni…, op. cit., p. 78. 8 9 Gensabella Furnari M. (2008), Vulnerabilità e cura. Bioetica ed esperienza del limite, Rubbettino, Soveria Mannelli. 52 • QUALEDUCAZIONE ne, che lo hanno ampiamente dimostrato, che un modo per affrontare meglio il dolore è l’uscire dall’isolamento e condividerlo con qualcuno che sa e può accoglierlo. Infatti, entrare in relazione dialogica, raccontare i problemi, confidare le lotte e le solitudini serve non soltanto a chi li vive ma anche a chi li ascolta, aiuta a crescere insieme nella consolante condivisione dei problemi che allevia le pene e toglie dall’isolamento. Nella sua lunga esperienza di aiuto a coloro che soffrono, Nowen scrive: «Quando scopro di non essere più solo nella mia lotta e quando comincio a sperimentare una nuova “fraternità nella debolezza”, allora può prorompere la vera gioia, in mezzo al mio dolore»10. È il modo di vivere il dolore che consente ad esso di non costituirsi come ostacolo alla gioia. Come dimostrano tante testimonianze di mistici e di persone credenti di ogni tempo e cultura che hanno subìto sulla propria persona persecuzioni e violenze o che hanno dovuto lottare con gravi malattie, la sofferenza, quando viene accettata e vissuta con serenità come una esperienza di amore necessaria per raggiungere qualcosa di più grande, può diventare il mezzo attraverso cui attraversare la siepe e trasfigurare il dolore, la chiave segreta che fa dell’essere spezzati un passaggio misterioso verso la gioia. Il Perdono: un modo di vivere la gratuità In fondo, a ben guardare, molta della Nowen H.J.M. (1994), Vivere nello Spirito, tr. it. Queriniana, Brescia, p. 33. 10 umana sofferenza, soprattutto di quella che riguarda i sentimenti e le relazioni, dipende dal rimanere legati ad una logica materialistica ed utilitaristica che ci blocca in circuiti viziosi di reazioni e contro-reazioni oppositive dai quali non riusciamo a liberarci, vittime delle nostre stesse emozioni e passioni che ci posseggono e che non sappiamo riconoscere, controllare e gestire. Diverso sarebbe se riuscissimo a scoprire la forza liberante della logica della gratuità che ci aiuterebbe ad adottare elementi di moderazione e dinamiche ricostruttive dei nessi essenziali per una sana vitalità ed una positiva relazionalità, anche in situazioni in cui la sofferenza obnubila la capacità di autocontrollo e non lascia spazio alla ragionevolezza. Un passaggio importante per poter consentire al dolore di tramutarsi in uno strumento di cammino verso la gioia è, infatti, quello che porta la persona a superare ogni tipo di astiosità e le fa scegliere di azzerare il complesso intreccio di crediti/debiti, colpe/offese che ne ostacolano l’avvio. Si inizia il percorso quando la persona decide di riappacificarsi con se stessa, e può farlo se riesce a liberarsi di tanti sensi di colpa, che molto spesso sono indotti socialmente e culturalmente. Si tratta invero di un percorso in salita, un po’ ostico ma di fondamentale importanza. È utile precisare che “sentire la colpa” è molto differente dal provare “senso di colpa”: se il sentire la colpa può essere un sentimento sano, restare in perenne senso di colpa per ciò che si prova o per ciò che si è fatto può portare ad una paralisi psicologica per nulla costruttiva. Pacificarsi con sé stessi, quindi, comporta il superamento del conflitto inte- riore, nel quale – per sua natura – ci sono degli elementi che si contrappongono. Questo confliggere di elementi opposti porta un grande senso di infelicità, perché fa vivere l’individuo in uno stato di perenne combattimento interiore. Certamente, il modo migliore, più rasserenante e durevole, per superare il conflitto interiore è quello di perdonare, adottando la logica della gratuità, applicata nelle tre declinazioni del: 1) perdonare sé stessi: spesso i giudici più impietosi contro di noi siamo proprio noi stessi che non ci perdoniamo gli errori commessi, perché non ci accettiamo come esseri imperfetti; 2) perdonare la Vita e Dio, che ha permesso tanta sofferenza nella nostra vita ed in quella dei nostri cari o di persone innocenti e indifese; 3) perdonare gli altri, tutti coloro che ci hanno fatto del male, o sono stati indifferenti alla nostra sofferenza, siano essi lontani ed estranei oppure nostri stessi familiari. Se è vero che molta della nostra sofferenza più profonda deriva proprio dal rapporto con noi stessi e con coloro che amiamo di più e che ci amano di più, con cui condividiamo la nostra vita quotidiana, perché nella quotidianità, continuità e vicinanza della sofferenza si acuiscono/esasperano i vissuti dei problemi, quindi, è anche lì che occorre trovare soluzioni e rimedi. Fondamentale e primario diventa, quindi, il perdonare sé stessi perché da questo discendono anche le altre forme di perdono. Facciamo molta fatica, infatti, ad accettarci con i nostri limiti ed a rinunciare alle logiche giustificatorie che ci fanno imputare sempre ad altri i fallimenti: a volte, preferiamo crogiolarci nell’illusione consolatoria che i nostri errori QUALEDUCAZIONE • 53 derivino dal fatto di essere stati vincolati da forze esterne ingestibili di cui ci sentiamo in balìa. Tutto può essere ribaltato solo se sappiamo fare un salto di qualità nel rinunciare all’idea di onnipotenza ed accettarci limitati ma, anche e comunque, capaci di scegliere il percorso di autotrasformazione: questo gesto gratuito ci restituisce la libertà di riavviare il cammino. La persona che non sa perdonarsi non sa neppure perdonare agli altri, anzi rimane stritolata dalle fratture dei propri sentimenti ed invischiata in un circuito narcisistico, incapace di avviarsi su un sentiero di novità di pensiero e di vita. Ma che significa “perdonare”? In quasi tutte le lingue, il perdono è collegato al “dono”11, nel senso cioè di un atto gratuito, che offre in dono ciò che è più prezioso e nuovo, senza cercare motivazioni nel passato o nelle caratteristiche (meriti, competenze, ecc.) del soggetto a cui esso è rivolto. Come il dono, anche il perdono si proietta nel futuro senza attendere nulla in cambio. È pur vero che, di fronte alla logica del dono/perdono non può considerarsi irrilevante l’obiezione avanzata da Jankélévitch, il quale sosteneva che per certi crimini perdonare dovrebbe essere impossibile, inopportuno e perfino immorale, perché il perdono potrebbe significare legittimare il crimine e generare l’oblio delle vittime12. Si pensi, ad esempio, alle vittime del nazismo e dei crimini hitleriani e al dibattito che, a riguardo, ha agitato il mondo sociale, culturale e politico lungo tutto il periodo del secondo dopoguerra. Altrettanto intrigante e complesso da sciogliere è il nodo «se si perdona qualcuno o si perdona qualcosa a qualcuno»13: è un problema che entra nel merito se l’imperdonabilità riguardi la persona nella sua interezza, oppure salvi la persona e si riferisca soltanto ai suoi atti. Diverse dovrebbero essere le implicazioni operative sulla valutazione degli atti di compensazione che andrebbero richiesti a riparazione del danno, in nome di una giustizia che non si può comunque mettere a tacere. Senza voler entrare nel complesso intrigo dei nodi teorici problematici che si aprono nella trattazione del tema in questione, ferma restando la salvaguardia dei fondamentali principi di equità e giustizia, ci sembra opportuno comunque richiamare l’attenzione sulla grande valenza innovativa del tema della gratuità e del perdono in campo educativo e formativo. In questo settore, infatti, ai fini della crescita personale e relazionale diventano estremamente importanti gli effetti dinamizzanti correlati a tutte quelle forze che sono collegate alla “cura del cuore”14 oltre che alla dimensione cognitiva e razionale. Pertanto, di fronte ai tanti fatti che siamo tentati di considerare imperdo- 11 Sirna C. (2004), Educazione alla libertà come educazione al per-dono, in Sirna C. (a cura di), Tempo formativo e creatività. Scritti in onore di Leone Agnello, I Tomo, Pensa MultiMedia, Lecce, pp. 231-239. 13 Cfr. Derrida J. (2004), Perdonare. L’imperdonabile e l’imprescrittibile, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, pp. 30 ss.. Jankélévitch V. (1987), Perdonare?, tr. it. Giuntine, Firenze. 12 54 • QUALEDUCAZIONE 14 Cfr. Rossi B. (2007), Aver cura del cuore. L’educazione del sentire, Carocci, Roma; Natoli S. (1994), La felicità. Saggio di teoria degli affetti, Feltrinelli, Milano. nabili15 e che bloccano la positiva evoluzione della realtà personale e sociale, ci sembra particolarmente fruttuoso in termini di novità di vita, serenità e libertà creativa ricorrere all’adozione della logica del perdono, per quanto difficile e fragile essa possa apparire, per iniziare un percorso di crescita creativa e liberatoria, svincolata da paure e da schemi, sicuramente realistica e riequilibrante sul piano intra-personale ed inter-personale. Perdonare significa liberare dal carcere il cuore sia della persona che offre il perdono che quello della persona da perdonare. L’unico vero pericolo, infatti, è rimanere prigionieri della rabbia, del rancore, del risentimento che, anche sul piano psicologico, ci legano all’altro molto di più di qualunque altro sentimento. Scegliere di perdonare è, in ultima analisi, voler ricomporre l’integrità personale e lasciare che il lupo e l’agnello, che vivono dentro ogni persona, giacciano insieme16, far sì che la parte adulta, matura e forte conviva con la parte bambina, spaventata, ferita, bisognosa di affetto, di approvazione e di comprensione. Se diamo retta solo al lupo, ci scopriremo capaci di vedere solo i nostri obiettivi ed incapaci di vedere l’altra persona. Se prestiamo attenzione solo all’agnello, diventeremo vittima di noi stessi, dell’altro e del bisogno di attenzione altrui. 15 Cfr. Derrida J. (2004), Perdonare…, op. cit.. La vera condizione del perdono, scrive l’A., è la sua imperdonabilità, Infatti, se un fatto fosse perdonabile, che bisogno ci sarebbe di perdono? Il perdono, in realtà, è concepibile soltanto perché c’è qualcosa che ha creato una frattura, una lacerazione che si fa fatica a far rientrare nella normale economia della riparazione. 16 Si veda Isaia 11, 6. Oggi più che mai, l’arte dell’educare che voglia aprire l’uomo alla sanità, alla ricchezza e alla dialogicità della vita è chiamata a riconoscere, al contempo, la forza e la vulnerabilità di ogni essere, ad accettare ognuno nella sua integrità ed interezza e, soprattutto, ad avviare ciascuno ad accettare se stesso, gli altri e il mondo con cuore aperto, comprensivo e fiducioso. Condizioni della dialogicità: fiducia e speranza Se manca la fiducia, il cammino verso la serenità e verso il dialogo con sé stessi e con l’altro è impossibile per chiunque. Ma in chi o in che cosa si può e si deve avere fiducia? Sicuramente occorre che la persona abbia fiducia in se stessa e nell’umanità e non consideri la realtà come immutabile e gli eventi come inesorabili. Abbia fiducia, cioè, in quella libertà che rende ogni persona capace di agire e reagire agli eventi che la sovrastano creando strumenti, oggetti, relazioni e contesti diversi da quelli dati, inventando così situazioni migliori rispetto a quelle in cui si trova a vivere ed operare. La realtà può essere modificata, trasformata e migliorata soltanto da chi crede che la realtà è modificabile ed ha fiducia di poter intervenire, con le proprie forze, per progettare soluzioni ai problemi17. In caso contrario non esiste altro che la paralisi e l’attesa fatalistica degli eventi o, peggio ancora, la creazione di condizioni negative e falli- Cfr. Kristeva J. (2006), Il bisogno di credere. Un punto di vista laico, tr. it. Donzelli, Roma. 17 QUALEDUCAZIONE • 55 mentari: si pensi, ad esempio, ai circuiti viziosi che si innescano nelle borse dove la sfiducia in un titolo finanziario produce di fatto perdite indotte proprio dall’effetto domino delle vendite relative a quel titolo. Occorre avere fiducia in sé stessi per iniziare il proprio percorso di crescita, per affrontare compiti evolutivi e processi di apprendimento che esigono impegno così come per riuscire a maturare forme sempre più alte di autocontrollo delle proprie emozioni e relazioni più positive. Ma, se si vuole crescere, occorre avere fiducia anche negli altri, in tutti coloro da cui in qualche modo si dipende, perché offrono gli strumenti necessari alla vita ed alla crescita, anche in quelli che, pur con tutti i loro limiti, rappresentano i punti di riferimento operativi e istituzionali con i quali ci si deve confrontare per acquisire informazioni, conoscenze e saperi indispensabili. Chi non ha fiducia negli altri rischia di fatto di mettere in atto comportamenti che, inconsapevolmente ma inesorabilmente, lo portano ad accentuare la distanza e la sfiducia anche degli altri nei loro confronti, perché di fatto il loro convincimento funziona come una “profezia che si autoadempie” (Watzlawick)18. La fiducia negli altri è doverosa e ineludibile anche, e soprattutto, per chi esercita funzioni educative e formative, perché deve sempre scommettere sulla possibilità di sviluppare le potenzialità ancora inespresse degli interlocutori. Rosenthal e Jacobson (1976) hanno 18 Watzlawick P. - Beavin J.H. - Jackson D.D. (1967), Pragmatica della comunicazione umana, tr. it. Astrolabio, Roma. 56 • QUALEDUCAZIONE dimostrato sperimentalmente quale peso esercitino le nostre credenze e le nostre aspettative relativamente all’esito positivo degli interventi formativi (effetto Pigmalione): possono influenzare in maniera radicale le relazioni e le performance che si possono ottenere dagli altri. Avere fiducia, in fondo, significa scommettere su qualcosa possibile, che può avvenire ma che è ancora solo preannunciata da alcuni segnali che il soggetto sa cogliere e che vuole valorizzare, attivando tutte le sue energie nella direzione indicata. Una scommessa che, come dimostra tutta la storia umana, vale sempre la pena di fare perché dinamizza l’esistenza personale e sociale in maniera straordinaria, contribuendo al conseguimento di risultati spesso impensabili. Soltanto chi crede ha la forza di progettare e di guardare al futuro con entusiasmo e dinamismo: la fiducia/fede scaccia la paura e mette nella condizione di sperimentare realtà e forze, altrimenti nascoste ed inattingibili (ad esempio, riesce a sentire la forza e la potenza dal paracadute solo chi ha avuto il coraggio di gettarsi nel vuoto). In realtà, la serenità della persona dipende molto dalla sua capacità di aver fiducia nella vita e di riuscire a progettare il proprio futuro, contrastando problemi e sofferenze. La vera fiducia, quella che produce grandi cose, non è mai senza rischi: è sempre un fidarsi senza capire tutto necessariamente o subito, un accettare di mettersi in cammino, non con rassegnazione, ma con un vivo e gioioso desiderio di realizzare qualcosa di cui si è intuita la grandezza e che ormai si ha nel cuore. Come scrive Kierkegaard, credere è «inoltrarsi per quel- la strada dove tutti i cartelli indicatori dicono: Indietro, indietro!», è «venirsi a trovare in mare aperto, là dove ci sono settanta stadi di profondità sotto di te»; è «compiere un atto tale che per esso uno si viene a trovare completamente gettato in braccio all’Assoluto»19. Il premio per chi crede è il dono del coraggio della speranza, una speranza necessaria per intraprendere il percorso di pacificazione e di apertura all’alterità ed all’Alterità che ci fa accettare i grandi misteri della vita – nascita, vita, morte, sofferenza – rifuggendo dai fantasmi di morte che continuamente ci tentano20. Chi crede e spera è consapevole che, per quanto possa impegnarsi, il mistero della vita non sarà mai svelato del tutto e che la realtà trascende le possibilità di comprensione, previsione e controllo totale. Questo significa eliminazione di tante inutili rigidità e blocchi mentali che ci fanno vivere nella «dimensione ambigua e dilemmatica» dell’attesa ed aprono ad un futuro interpretato, invece, in una «dimensione radicalmente aperta e luminosa»21, capace di far fronte alla disperazione dell’uomo. L’opposto di speranza, infatti, non è paura, come spesso si è portati a ritenere, bensì disperazione. Di-sperare è vivere senza speranza, vivere con le prospettive di un futuro fermo al presente, di un futuro morto o, nel miglio- 19 Kierkegaard S. (1850/2012), Esercizio del cristianesimo, tr. it. SE, Udine, passim. 20 Si veda l’ormai classico di Bloch E. (1994), Il principio speranza, tr. it. Garzanti, Milano; ed il recente Mosconi F. - Natoli S. (2012), Sperare oggi, Il Margine, Trento. Borgna E. (2005), L’attesa e la speranza, Feltrinelli, Milano, p. 51. 21 re dei casi, un futuro molto, talvolta troppo, prossimo. Sono i tanti disperati quelli che commettono scelleratezze e si sentono legittimati a commetterle, perché divenuti incapaci di aprirsi agli orizzonti luminosi della speranza, che colora la vita di gioia e brillantezza riempiendola di calore, di aperture e di fervida serenità. Nel tempo della speranza diventa possibile vivere più pienamente l’esperienza della partecipazione, della condivisione, della solidarietà e del dialogo, perché si è più pronti ad aprirsi ad inedite possibilità e, soprattutto, si comprendono meglio le sofferenze e le emozioni altrui. La speranza, quindi, non si configura tanto come uno “sperare che”, ma come uno “sperare in” perché è sua peculiare caratteristica la necessità di aprirsi all’alterità, e quindi alla fiducia in un Altro: come scrive Gabriel Marcel «la speranza è sempre centrata su di un noi, su di una relazione vivente; e se non ce ne rendiamo conto è perché usiamo troppo spesso la parola speranza là dove invece si tratta del desiderio»22. Non esiste quindi la speranza in sé, ma esistono soltanto persone chiamate a sperare, che decidono di abitare la 22 Marcel G. (1951), Structure de l’ésperance, in “Dieu vivant”, n. 19, pp. 76-77. La speranza cristiana diviene certezza di una felicità futura poiché si fonda sulla fede in Dio, ma si traduce in una attesa attiva, quella dell’homo viator di cui parla Marcel, sempre in cammino e sostenuto dalla speranza: consapevole di essere straniero e pellegrino, frutto di elezione e non di esclusione, egli è al contempo appartenente ed estraneo al mondo, è nel mondo senza essere del mondo (cfr. Gv 17) e spera e si spende per la attuazione del Regno promesso [Cfr. Marcel G. (1944), Homo viator. Prolegomeni ad una metafisica della speranza, tr. it. Borla, Roma]. QUALEDUCAZIONE • 57 speranza. Vera speranza è solo quella che si incarna in uomini e donne che hanno il coraggio di sperare e si impegnano a realizzare quello in cui sperano: sono gli uomini che hanno imparato a sperare e che vogliono continuare a farlo. Come dice Jürgen Moltmann, teologo protestante tedesco, la speranza permanente non fa parte del nostro corredo genetico, non ce la portiamo dietro dalla nascita, né l’acquisiamo dall’esperienza, ma è una possibilità esistenziale che dobbiamo apprendere23 ed apprendere a coltivare. Coltivare la speranza non solo è possibile, ma necessario. Non si può essere felici senza avere speranza, poiché è la speranza che fa accettare gli errori del passato ed apre la porta al futuro, riempie di senso e di luce l’inevitabile sofferenza che avvolge l’esistenza, ridona lo stupore e il desiderio di conoscere cose nuove, incoraggia ad entrare in novità di vita, sollecita ad aprirsi all’ascolto ed al dialogo. Essa rappresenta un importante punto di partenza per la crescita e l’arricchimento dell’umanità, senza la quale la visione del mondo e di sé rimane fortemente amputata: è la pista di volo necessaria per intraprendere il viaggio della vita, per accettare il rischio di andare avanti ed affrontare il futuro. È compito di ogni uomo apprendere e coltivare il coraggio della speranza e la forza del dialogo, un dovere educativo soprattutto verso quelle persone che non li hanno mai conosciuti o li hanno smarriti durante il percorso della loro esistenza. 23 Moltmann J. (1979), Esperienze di Dio. Speranza, angoscia, mistica, tr. it. Queriniana, Brescia. Cfr. anche Moltmann J. (2011), Etica della speranza, tr. it. Queriniana, Brescia. 58 • QUALEDUCAZIONE Bibliografia Andreoli V. (2007), Capire il dolore. Perché la sofferenza lasci spazio alla gioia, BUR, Milano. Bauman Z. (2007), Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, tr. it. Erickson, Trento. Bloch E. (1994), Il principio speranza, tr. it. Garzanti, Milano. Borgna E. (2005), L’attesa e la speranza, Feltrinelli, Milano. Da Empoli G. (2002), Overdose. La società dell’informazione eccessiva, Marsilio, Venezia. Derrida J. (2004), Perdonare. L’imperdonabile e l’imprescrittibile, tr. it. Raffaello Cortina, Milano. Fox M. (2011), In principio era la gioia, tr. it. Roma, Fazi. Gensabella Furnari M. (2008), Vulnerabilità e cura. Bioetica ed esperienza del limite, Rubbettino, Soveria Mannelli. Görres A. - Rahner K. (1982), Il male, tr. it. Paoline, Cinisello Balsamo. Jankélévitch V. (1987), Perdonare?, tr. it. Giuntine, Firenze. Kierkegaard S. (1850/2012), Esercizio del cristianesimo, tr. it. SE, Udine, 2012. Kristeva J. (2006), Il bisogno di credere. Un punto di vista laico, tr. it. Donzelli, Roma. Macchietti S.S. (2007), Alla scuola del dolore. Appunti per una lettura pedagogica di Emmanuel Mounier, in Sirna C. (a cura di), Tempo formativo e creatività. Scritti in onore di Leone Agnello, I Tomo, Pensa MultiMedia, Lecce, pp. 147-164. Marcel G. (1944), Homo viator. Prolegomeni ad una metafisica della speranza, tr. it. Borla, Roma, 1967. Marcel G. (1951), Structure de l’ésperance, in “Dieu vivant”, n. 19, pp. 76-77. Moltmann J. (1979), Esperienze di Dio. Speranza, angoscia, mistica, tr. it. Queriniana, Brescia. Moltmann J. (2011), Etica della speranza, tr. it. Queriniana, Brescia. Mosconi F. - Natoli S. (2012), Sperare oggi, Il Margine, Trento. Mounier E. (1995), Lettere sul dolore. Uno sguardo sul mistero della sofferenza, tr. it. BUR, Milano. Natoli S. (1986), L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, Feltrinelli, Milano. Natoli S. (1994), La felicità. Saggio di teoria degli affetti, Feltrinelli, Milano. Nowen H.J.M. (1994), Vivere nello Spirito, Queriniana, Brescia, 1995, 20107. Nowen H.J.M. (1996), La voce dell’Amore. Itinerario dalle profondità dell’angoscia ad una nuova fiducia, tr. it. Queriniana, Brescia, 1997, 20108. Philippe J. (1991), La pace del cuore, tr. it. Dehoniane, Roma, 1992. Ravasi G. (2002), Fino a quando Signore? Un itinerario nel mistero della sofferenza e del male, San Paolo, Cinisello Balsamo. Rossi B. (2007), Aver cura del cuore. L’educazione del sentire, Carocci Roma. Salonia G. (2011), Sulla felicità e dintorni. Tra corpo, parola e tempo, Il pozzo di Giacobbe, Trapani. Sirna C. (2004), Educazione alla libertà come educazione al per-dono, in Sirna C. (a cura di), Tempo formativo e creatività. Scritti in onore di Leone Agnello, I Tomo, Pensa MultiMedia, Lecce, pp. 231-239. Teilhard De Chardin P. (1991), Sulla sofferenza, tr. it. Queriniana, Brescia. Watzlawick P. - Beavin J.H. - Jackson D.D. (1967), Pragmatica della comunicazione umana, tr. it. Astrolabio, Roma. Convegno Educazione alla Giustizia. Da sinistra G. Serio, I. Bertoni, A. Pieretti, L. Giugni, I. Marrone, apertura dei lavori. QUALEDUCAZIONE • 59 Il dialogo come reciproco ascolto di VINCENZO PUCCI* Riassunto Il presente contributo vuole ribadire che l’emergenza educativa scaturisce dalla pratica crescente e deleteria (nei passati decenni) nei confronti degli educandi, del permissivismo e della “facilitazione”, cioè la rinuncia alla formazione morale e alla buona educazione (già carente in famiglia) della gioventù. Tale “politica” ha tolto dignità e tempo all’insegnante indifeso, e ha dato via libera alla “vivacità” sempre più distruttiva e incontrollabile di certi allievi, piccoli “Attila”, iperprotetti, “ipersensibili” [se vengono corretti, quando sbagliano, si offendono (!?!)]1 ma incapaci di rispetto verso gli altri e privi del senso del limite. Dalla scuola autoritaria si è passati alla scuola confusa e fracassona, sottomessa al diktat di genitori e figli * Vincenzo Pucci, redattore della Rubrica Aperta di Qualeducazione. 1 “«Fili mi, noli neglegere disciplinam Domini, neque deficias, dum ab eo argueris: quem eum diligit, Dominus castigat…» Ad disciplinam suffertis; tamquam filios tractat Deus. Quis enim filius, quem non corripit pater? Quod si extra disciplinam estis… ergo adulterini et non filii estis!” (Epistula ad Hebraeos 12, 5-9). (“«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti scoraggiare quando sei da lui ripreso. Il Signore infatti corregge colui che ama….» Per correzione voi soffrite; Dio si presenta a voi come a figli: qual è il figlio che il padre non corregge? Se invece siete senza correzione… allora siete dei bastardi e non figli!”) Cfr. Al termine disciplina, nella Vulgata, corrisponde nella versione dei LXX, la parola παιδεία: c’è motivo di riflettere su questo insegnamento biblico, solida profonda perenne “paideia” dei popoli. 60 • QUALEDUCAZIONE viziati. Anno dopo anno, la scuola si è appiattita e impoverita, è divenuta poco seria, caotica, ingovernabile per chi voglia educare e formare, oltre che istruire. Non c’era il dialogo, prima, non c’è un vero dialogo neanche adesso. Gli educatori non possono operare nel tumulto permanente . Una volta si stava attenti in classe, per rispetto e per timore di ripetere l’anno; oggi si pretende di essere promossi, pur non rispettando le regole di comportamento(corretto) e rendimento(almeno sufficiente). Dall’attacco all’Autorità (storica e metafisica) è scaturito il declino e la barbarie nella scuola e nella società. Socrate, maestro di dialogo e di arte maieutica, nella sua amata πόλις, ieri, 2500 anni fa, martire della libertà, oggi ci è più vicino di ieri. Gesù di Nazaret, l’unico Maestro, superstite (perché Risorto), di dialogo senza confini, da 2000 anni, coi suoi Discepoli, è Lui il solo che può salvare la Famiglia (e la “razza”) umana dall’estinzione. L’unico possibile dialogo è Amore nella Verità. Wo Gott ist, da ist Zukunft(Dove c’è Dio, c’è il futuro). Abstract This paper wants to repeat that Educational Emergency springs from permissivism and “facilities”, that is from renunciation of moulding young people about Freedom, Truth, Correctness and Humility. Someone asked Mother(the Blessed)Teresa of Calcutta: “When you pray, what do you say to God?” “I don’t speak, I listen” “And what God says?” “God, He listens…” Praying is a mutual listening. Speaking, today, instead, is a mutual ignorance, because of ego-latria (individual) and ethno-centrism (collective). The rush of life is the opposite of the joy of living. In absence of Project Life, we live as if God did not exist (=etsi Deus non daretur). Yes, we must learn to talk between us, so that we become human, again and finally. The lack of listening in the educational activity (family, school, church, society) is a direct con-sequence of “forbidden to forbid” in May ’68; by this way, it’s impossible to dialogue (mutual listening)! But, thank God, there are Islands of Resistance to drift legal-judicial and moral eclipse: a) The World Youth Days with the Pope and b) honest and free people, sincere and supportive persons of every faith, in every place on Earth: Citizens of the world [=Κοσμοπολίται]. Together, in the name of Jesus of Nazareth, we can build, in the mind and heart, the Family of Mankind (of the Human Race) …The only possible dialogue is Love in Truth! Qualcuno chiede a Madre Teresa di Calcutta: “Quando prega, che cosa dice a Dio?” «Ma io non parlo, ascolto…», risponde, lei , serafica. “E Dio che dice?” «Lui, ascolta…». La preghiera è un reciproco ascolto. Il dialogo, primordiale, con Dio è un reciproco ascolto nel silenzio torrenziale d’Amore. La realtà del mondo d’oggi si colloca a distanze siderali, in una condizione inconciliabile con la preghiera, immersa com’è nel rumore e nella fretta insonne; è necessario, per chi prega, ritagliarsi degli spazi di silenzio e di pace, all’insegna del «Festīna lente» [ affrettati lentamente], perché la gente vive – correndo furiosa- mente – come se Dio non esistesse, in un mondo asfittico. Non ci sono, no, alternative: o recuperiamo la capacità dialogica e di mutuo rispetto (rallentando la vita, nostra e altrui) o finiremo per scannarci, gli uni con gli altri, cioè col nemico, che, volta per volta, abbiamo introiettato! Basta seguire la contesa elettorale e i dibattiti in cui ci si sbrodola addosso in modo inverecondo! Sì, dobbiamo imparare di nuovo a parlarci, ad ascoltarci, per ridiventare umani. Per ora, dappertutto, vediamo individui che pretendono di … celebrare «matrimoni gay», imporre a tutti il «gender» [«genitore 1 e genitore 2»], praticare la “religione fai da te”, ritoccare (cioè “smontare”) la Costituzione, avere “tutto e subito”, perché non distinguono il Bene dal Male e non si curano del bene comune, nelle aule parlamentari, nelle aule giudiziarie, nelle aule scolastiche, tra le pareti domestiche, nelle piazze, senza mai veramente ascoltarsi reciprocamente, pensando solo a sé stessi, murati in una maschera beota o eginetica. Si blatera di “progetti” in ogni ambiente, per ricavarne guadagno o prestigio, ma il Progetto Vita (la vita buona del Vangelo) è minoritario: la qualità della vita vien (quasi) sempre dopo i soldi, dopo l’ideologia libertaria di turno. La libertà è in vendita: «I shop, (also) I am!» A proposito delle «nozze» fra due uomini o due donne “la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale”. Tali persone “sono chiamate alla castità. Attraverso la virtù della padronanQUALEDUCAZIONE • 61 za di sé…con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana” recita il Catechismo della Chiesa Cattolica (C.C.C. n. 2357). Per bonificare le paludi dello spirito che ci circondano, 1) occorre considerare seriamente “lo smodato desiderio”, cioè il peccato («Poiché tutto ciò che vi è nel mondo: concupiscentia carnis, concupiscentia oculorum, iactantia vitae non è dal Padre» [1Gv2, 16]) prenderne coscienza, perché il mondo ce lo presenta come modelli di comportamento da imitare[ la cronaca quotidiana sembra suggerire la trasgressione!]2 per smascherarlo e combatterlo, e, naturalmente, 2) considerare i “novissimi”(morte, giudizio, inferno, paradiso) le realtà ultime nella vita di ogni uomo, credente o agnostico o ateo; è imprudente vivere senza pensare al morire (“Laudato si, mi Signore, per sora nostra morte corporale” come la chiama Frate Francesco…).3 Vagando, come Diogene, con la lanterna accesa in pieno giorno, in cerca dell’Uomo, troviamo, spesso, cupo mutismo e reticenza, apatia, menzogna, ghigni e sghignazzi, calunnia, mugugni e grugniti, 2 La pubblicità invita a coltivare non la sobrietà, ma l’avarizia e lo sperpero, la lussuria e la gola, non l’umiltà ma la superbia, l’invidia, la collera e l’accidia (quelli che la sapienza millenaria della Chiesa chiama “vizi capitali”). Ma sono proprio l’umiltà e la sobrietà che ci soccorrono, adesso e in ogni difficoltà della vita, ovviamente insieme alle virtù teologali: fides, spes, caritas… 3 «Ci tocca scegliere tra una liquidazione tecnica e una vita offerta. Non c’è alternativa: darsi la morte o donare la vita per ciò che ne vale la pena» (Fabrice Hadjadj) [N.d.R.: l’evidenziatura è nostra]. 62 • QUALEDUCAZIONE sofismi , discorsi idioti, volgarità… e, sovrana, regna su tutta l’ecumene, l’ininterrotta chiacchiera telematica, una muta logorrea, che “parla” tanto e non dice niente. Ma la Parola (Λόγος, Verbum, Wort, Palabra) resta, viva, nel Cuore che ascolta.« Non ci sono parole senza risposte … anche se non incontrano che il silenzio, purché abbiano un ascoltatore». Infatti, a prescindere dal “grande orecchio” degli intercettatori di ogni genere (“cimici” & affini), che non cercano il dialogo, perché origliano nell’etere per ben altri motivi, c’è un Grande Ascoltatore della mente e del cuore umano, Dio, che non tralascia neanche un sospiro o un batter di ciglia e dà sempre una risposta a ciascuna creatura vivente (passata, presente e futura). “Qui habet aures, audiat”. E tutti coloro che s’illudono, che si illusero, che continuano a illudersi (i furbi, gl’ipocriti e i malvagi) di poter sfuggire alla propria personale responsabilità, possono eludere la giustizia umana ma, alla morte, dévono rispóndere a Lui. La «facoltà di non rispondere» non è prevista davanti a Dio “illa nocte” (Lc 17, 34). Qualche premessa è necessaria per uscire dal vicolo cieco in cui ci siamo cacciati. Insegnare stanca. “La professione educativa esige un grado di resistenza alla fatica incomprensibile a chi non ne abbia fatto prova” scrive il grande pedagogista francese René Hubert [18851954], e aggiunge: “Tale equilibrio psicofisico non è meno necessario di quello morale, della costanza di umori, della padronanza di sé”. Oggi, però, al contrario di un passato che sembra mitico, preistorico (solo qualche decennio fa!) l’insegnamento è divenuto un’attività poco gratificante, sempre meno proficua per docenti smarriti e per discenti “frenetici” (specialmente nella fascia più delicata, quella che era chiamata la “scuola dell’obbligo”) bistrattata dai media, trascurata dalla politica, vissuta senza letizia, come reclusione. Ci sono delle isole felici, dove i ragazzi hanno imparato a leggere! Ha ragione il Prof. Alessandro D’Avenia a parlare di una «lettura “responsabile”» e George Steiner a proporre “in ironica polemica con le scuole di scrittura creativa, l’inizio di «scuole di lettura creativa»”. Bisogna prima imparare a leggere, per riuscire, poi a “intus legere” e ad “inter legere” (cioè capire e far capire) la Parola, le parole e la realtà “effettuale” e virtuale che incontriamo nell’avventura di imparare ad apprendere, cioè di imparare a vivere. Educare è faticoso, oggi come non mai, perché manca la capacità di ascolto, che è naturale conseguenza del sessantottardo “Il est interdit d’interdire” («proibito proibire!»). L’educazione permissiva è come il sonno della ragione: «El sueño de la razón produce monstruos». È come affidare una macchina da corsa ad un bambino. Il dialogo è il colloquio fra due o più persone, ma se l’interazione comunicativa in famiglia, a scuola, per televisione, dappertutto assume si-ste-ma-ti-ca-men-te la modalità della lite, della rissa, dello scontro (o, peggio, della supponente sufficienza)… è praticamente impossibile conversare, realizzare un pacifico scambio, un incontro che, esso solo, migliora e arricchisce gli interlocutori. La Tv e gli ordigni telematici, con poche eccezioni, fanno a gara a rimpinzarci di violenza e di scetticismo, a mostrarci tutto il negativo che si esprime nel mondo, con cupa e martellante mo- notonia e con effetti nefasti e variegati. Il cattivo esempio, che ci viene offerto da talune personalità pubbliche (non bilanciato dall’esemplarità di tanti sconosciuti servitori dello stato o di semplici cittadini che, in Italia o all’estero, esaltano la dignità, l’onestà, la creatività del proprio Paese) non aiuta ad avere fiducia nelle varie autorità e nei confronti del prossimo. Dalla seconda metà degli anni ’60 del secolo (e millennio)scorso, è cominciata la demolizione del concetto di autorità, anche se Messer Lionardo da Vinci ricorda che «Chi disputa allegando l’autorità [Ipse dixit], non adopra lo ingegno, ma più tosto la memoria». Demolito il concetto di autorità, che non sempre coincide con l’autorevolezza, rimane, però, il Potere, in cui è sempre presente un’alta dose di ambiguità e di prevaricazione, ed ecco che ci troviamo a vivere in una società non più libera, senza valori, priva del senso del limite, grazie all’“educazione” libertaria che ha favorito lo sviluppo di generazioni “invertebrate”, che reclamano i diritti e ignorano i doveri. Qualcuno diceva: «Il potere logora!» a cui altri rispondeva: «Il potere logora chi non ce l’ha!». È vero, invece, che il potere inquina, se non viene assunto come servizio , con umiltà e dedizione [deditio=resa, alla “Divina Potentia” da cui proviene ogni umana “potestas”]. Solo la Grazia di Dio può salvare dalla petrificazione nel cinismo mercantile che disumana e reifica … gli utenti della condizione umana. Tutto il resto è … “pulvis et umbra”. C’è anche il buon esempio di coloro che, andando contro corrente, fanno filtrare la verità e la giustizia dalla coltre di malaffare, dalla conclamata disonestà, dalla ‘ύβρις (tracotanza) QUALEDUCAZIONE • 63 contemporanea, che è contrastata solo dalla chiara e tenace testimonianza dei “ptōchòi tō pnèumati” (i poveri in ispirito) dei “catharòi tē cardìa” (i puri di cuore) e degli “eirēnopoiòi” (gli operatori di pace), dai noti o, spesso, sconosciuti Hoffnungsträger (i portatori di speranza) di ogni età, di ogni epoca e di ogni parte del mondo… Viviamo nell’epoca della contumacia universale, in cui si proclama – solennemente e ufficialmente – l’etica della responsabilità, ma – in pratica – nessuno risponde mai di nulla. Responsabile, secondo l’etimologia, è colui che risponde, ma nella realtà di ogni giorno ognuno fa quel che gli pare. Alla Forza del Diritto è subentrato, in ogni ambito dell’operare umano, il “diritto” della violenza e dell’etno-ego-centrismo, che non è forza ma debolezza, vacuità dello spirito, che spegne, però, la vita! Sulla sana forza del Diritto prevale, hic et nunc, la “logica” paranoica del Cavillo (& del Profitto ad ogni costo), la brutalità materiale e “culturale”, l’ottusa protervia, il vile servilismo, la libertà… recintata, la verità e la giustizia… malmenate ed offese, la Pace dilaniata e (quasi) irraggiungibile. Ma, grazie a Dio, ci sono delle isole di Resistenza alla deriva giuridicogiudiziaria e all’eclissi morale: – dei magistrati esemplari (per l’abnegazione[fino al sacrificio], per l’umiltà e l’ efficienza); – tanti ignoti cittadini (medici, insegnanti, sacerdoti, artigiani, operai, casalinghe) che fanno il loro dovere fino in fondo – malgrado tutto, sempre e dappertutto. È necessario, dunque, che si ricomponga il puzzle del ministerium potestatis (servizio del potere) per combattere 64 • QUALEDUCAZIONE il mysterium iniquitatis (mistero del male) che sconvolge l’universo (Ap 12, 9): “Et proiectus est draco ille magnus, serpens antiquus, qui vocatur Diabolus et Satanas, qui seducit universum orbem; proiectus est in terram, et angeli eius cum illo proiecti sunt [= il grande dragone, il serpente antico, quello che è chiamato Diavolo e Satana, colui che inganna tutta la terra (tēn oikoumènēn hòlēn) fu precipitato sulla terra (tēn ghēn) e con lui furono precipitati anche i suoi angeli”]. Ai nostri giorni, babelici e dementi, la generale contumacia è la conseguenza diretta della demolizione della scuola ad opera della politica-parolaia e della pedagogia-virtuale: coloro che (senza avere mai sperimentato lo squallore culturale spirituale ed umano di classi della secondaria di 1° e di 2° grado, dove la Parola è sconosciuta o calpestata, la Luce è fioca o assente, l’“aurĕa curiosĭtas” è [quasi] spenta) parlano di riforme, progettano di costruire sulle … macerie. La rivolta contro l’autoritarismo ha travolto l’Autorità in ogni ambito della società (Famiglia Scuola Chiesa Lavoro) e il «ribellismo» generale è cresciuto negli anni e nei decenni sui binari dell’ignoranza-arroganza, non all’insegna della moderazione e del buon senso ma sotto la spinta iconoclasta e trionfante dell’effimero dell’edonismo e dello sperpero. E del non senso. E la famiglia è ferita, la scuola è devastata, la Chiesa sopra-v-vive(« sed portae inferi non praevalebunt»). Il lavoro è alienante o virtuale, spesso nomade, non più stabile; per tanti non c’è più lavoro per vivere. Per ricomporre le tessere del potere come servizio (ministerium potestatis) occorre purificare la volontà e il pensiero inquinati dal mistero del male e ri-costruire l’uomo frammentato e deformato dal peccato originale (mysterium iniquitatis) e dalle sue conseguenze. Si parte sempre dall’educare [= educāre + educĕre] e, finalmente… l’hanno capito (quasi) tutti che l’Italia (insieme agli altri “Grandi”) è fuori strada da decenni . Nelle scuole euro-nippo-americane (nei Paesi cosiddetti “civilizzati”) enfatizzando, ma non troppo, potremmo dire che si sta “allevando in batteria” l’uomo a una sola dimensione: cioè il-cliente-ha-sempre-ragione, cioè bestiame, animali senz’anima… “Chronica” (=mass media) docet. Possiamo combattere questa grave involuzione, rinnovando il vocabolario anglicizzato e tecnocratico, recuperando – nel deserto e nel silenzio della preghiera del cuore – la gratitudine e lo stupore, la disciplina: l’arte infinita di imparare ad apprendere il poema del Creato. Recuperiamo la fiaba, la capacità di narrare, l’innocenza del Bambino; difendiamola dagli Orchi che si aggirano indisturbati fra di noi. Abbiamo la Costituzione: impariamo a conoscerla e a difenderla, prima che una brigata di prestigiatori, sforbiciando, la faccia sparire. Abbiamo il Decalogo: impariamo a conoscerlo e a viverlo, prima che lo mandino al macero. La carta fondamentale della nostra nazione, nata dall’esperienza eccezionale (nel bene e nel male) della Resistenza [una guerra di popolo, dopo le guerre dei re, che ha completato e ha dato senso al Risorgimento, “rivoluzione” borghese del secolo XIX] ha scelto la Repubblica fondata sul lavoro. Se alla nostra Repubblica democratica (e all’Unione Europea) diamo le regole umane e divine [=la Costituzione; il decalogo e il discorso della montagna] che sono state ripudiate (perché scomode e obsolete? Ma il Futuro ha un cuore antico!), vivremo tutti meglio nel mondo. L’emergenza educativa è molto avanzata, e per risolvere l’ intrico occorre: a) far emergere dalla “palude stigia” l’umile forgiatore di coscienze, l’educatore “utopiano” (come, ad es., Socrate, S. Agostino, S. Tommaso d’Aquino <Doctor Angelicus>, S. Filippo Neri, S. Teresa de Àvila, S. Teresa di Lisieux, Don Bosco, il Mahatma Gandhi, Don Lorenzo Milani, Giuseppe Lazzati, Salvatore Battaglia e infiniti altri) sulle orme di Gesù Maestro… ridando alla scuola dignità ed efficacia, efficienza e rispetto; b) restituire a ognuno il suo ruolo (il docente formi le nuove generazioni secondo i valori perenni e, nel contempo, le renda capaci di rispondere alle sfide del futuro; il genitore faccia il genitore, l’alunno faccia l’alunno) Ma è un compito immane, hic et nunc… Non possiamo più perdere tempo in questioni di lana caprina, come tanti “avventori” del ns Parlamento; c) rimuovere i “docenti” non motivati [e incapaci di ascoltare l’infanzia e la gioventù, incapaci di dialogare con esse, nel cercare insieme la verità, nel difendere la comune libertà]; essi, gli “ignavi”, «a Dio spiacenti ed a’ nemici sui», vanno assegnati a mansioni più consone ai loro talenti… d) aiutare la famiglia sana, la scuola viva, la parrocchia profetica , le associazioni di volontari a vivere dignitosamente, a combattere e a sconfiggere, insieme, la Schwarzdenkung (il pensare in nero, la necrofilia) dovunque si annidi, riscoprendo insieme alle nuove generazioni tutto ciò che di bello grande e santo c’è, nel caleidoscopio diacroQUALEDUCAZIONE • 65 nico/sincronico della natura e cultura umana. Senza norme da rispettare, senza valori da testimoniare … non c’è identità, non c’è appartenenza, non c’è senso di responsabilità. Non c’è futuro, perché non si può interagire dialogando. Una società ipocrita e violenta che non rispetta più le regole, non ci consente di insegnarle e trasmetterle neanche con l’esempio. L’unica autorità morale universale è il Papa [nella “Caritas in veritate”c’è una sintesi pedagogica grandiosa: «la verità.. è “lόgos” che crea “diά-logos” e quindi comunicazione e comunione»]; ogni altra autorità vive in uno stato di compromesso, spesso di ostilità o di indifferenza, nei confronti dei valori irrinunciabili: la Vita (dall’alba : l’aborto uccide crudelmente una creatura indifesa [50 milioni di morti ogni anno] al tramonto: l’eutanasia è un eufemismo che non può mascherare l’uccisione di un’altra creatura indifesa) la Libertà, la Verità, la Giustizia, la Pace. Dalla deriva dei valori non può nascere un mondo nuovo [“Maledictus homo qui confidit in homine” (Ger17, 5): è la perenne tentazione e presunzione dell’uomo (che pensa di potersi salvare, da solo, senza la Grazia!)] ma soltanto una realtà da incubo. E ci siamo già, per chi vuole capire… che il lavoro umano “não è a pena que paga para ser homem / mas um modo de amar - e de ajudar / o mundo a ser melhor… canção de amor geral que eu vi crescer/ nos olhos do homem que aprendeu a ler” [Thiago de Mello, Faz Escuro Mas eu Canto - Porque a Manhã Vai Chegar. Poesias, Editora Civilização Brasileira, Rio, 1965]. I ragazzi delle GMG (Giornate Mondiali della Gioventù, WYD) confermano 66 • QUALEDUCAZIONE al mondo che, se gli affidiamo i doveri, i compiti, le sfide sempre più grandi che ci interpellano, questi giovani se ne assumono la responsabilità perché credono (sanno chi sono: da dove vengono, dove vanno, perché vivono) e sanno obbedire [= ob + audio =oboedio= ascoltare per] e sono capaci di lottare (e perfino dare la vita) per un ideale formidabile e concreto: la santità, una parola sovversiva, proscritta (dai pennaioli del consenso facile). Se tutti i giovani studiassero l’agiografìa come… quella delle «star» del cinema, dello spettacolo e dello sport, essi potrebbero fare il confronto e non avrebbero orizzonti angusti e mercantili, ma sconfinati. La facile, immune trasgressione è il modo di agire della persona incompiuta, facilmente soggiogabile, incapace di scegliere, sempre manipolata dai Media e dall’artificio di Mammona (=denaro potere successo ad-ogni-costo) che baratta l’integrità della vita propria e altrui col miraggio della “ribalta” (che spesso brucia giovani esistenze con la droga e con lo sperpero di tessuti irenico-semantici), che baratta la vita eterna per … un effimero istante di notorietà e, poi, con la rinuncia alla speranza di ri-nascere per sempre! I Cristiani sanno che tutti risorgeremo, ma c’è un bivio: l’inferno o il paradiso? La dannazione o la felicità senza limiti? La nostra vita sarà pesata sulla bilancia: pensieri, parole, opere ed omissioni saranno finalmente valutati nella giustizia perfetta, senza ombre, senza “patteggiamenti”… Come ci svelano i poeti, il rumore e l’insensatezza delle “guerre” degli uomini(pensiamo alla meschina “querelle” infinita dei politicanti nostrani “aggrappati” alle poltrone… il reciproco monologo tra filistei) è «ronzìo di un’ape dentro il bugno vuoto». Abbiamo la testimonianza di scienziati come Galileo Galilei, Albert Einstein, Enrico Medi ed Antonino Zichichi, in cui fede e scienza convivono armoniosamente. Ci sono filosofi come Fabrice Hadjadj [nato nel 1971, moglie e 6 figli; libri speciali: “Réussir sa mort: Anti-méthode pour vivre”, Presses de la Renaissance, 2005 etc]4 che dall’ateo-nichilismo sbarca nella vita buona del Vangelo, nel cuore del cristianesimo. La crisi sempre più globale e totalitaria, che stiamo vivendo, sta mostrando con chiarezza meridiana che non può essere superata, se non si torna alle radici dell’essere uomini. Dobbiamo recuperare la sobrietà e la solidarietà del secondo dopoguerra [1945-1960]. C’è bisogno di un lavoro onesto e stabile per le ultime generazioni, non il gioco d’azzardo e la «ludopatia», la microcriminalità e la follia suicida quotidiana. Dobbiamo tornare a Cristo, che ci ha detto: «senza di me non potete fare niente». Ed è vero. L’Italia, l’Europa e il mondo si sono affidati ai faccendieri, ai tecnocrati, ai prestigiatori della finanza e ai bucanieri della politica, che hanno fatto scempio della speranza e del futuro delle ultime generazioni. «La tierra no es una herencia de nuestros padres, sino un préstamo de nuestros hijos». Stiamo diventando tutti poveri – materialmente – perché abbiamo scelto di esser 4 “Entre una liquidation tecnique et une vie offerte, il nous faut choisir. Il n’y a pas d’alternative: se donner la mort ou bien donner sa vie pour ce qui en vaut la peine.” (Fabrice Hadjadj, «philosophe juif, de nom arabe et de confession catholique», autore di: Réussir la mort [2005] La profondeur des sexes [2008] La foi des démons ou l’athéisme dépassé [2009] Le Paradis à la porte [2011] etc). poveri spiritualmente: l’egoismo è l’atteggiamento più diffuso fra i governanti e i “decisori” , e l’empatia non abita (quasi) più nelle case, nelle strade, nei luoghi di lavoro, nei nostri cuori aridi. Solo una stupida superbia può ostinarsi a combattere contro l’Amore di Cristo e contro i suoi seguaci: i cristiani, coloro che si sforzano di essere, alla sequela del Maestro, “radicalmente umani”! La “guerra” che era invisibile [il combattimento spirituale] è divenuta sempre più tangibile, giorno dopo giorno. C’è una tenera madre, Maria, che ci chiama a raccolta da Medjugorje (Bosnia) da oltre trent’anni. Ascoltiamo le sue parole: «Cari figli, in questo tempo di grazia, vi invito tutti a rinnovare la preghiera. Apritevi alla Santa confessione perché ognuno di voi accetti col cuore la mia chiamata. Io sono con voi e vi proteggo dall’abisso del peccato e voi dovete aprirvi alla via della conversione e della santità, perché il vostro cuore arda d’amore per Dio. DateGli il tempo e Lui si donerà a voi e così nella volontà di Dio scoprirete l’amore e la gioia della vita. Grazie per aver risposto alla mia chiamata» (25/11/2012). Le strade dell’uomo & la Via “Quante strade [«How many Roads…»] deve percorrere un uomo Prima che lo si chiami uomo?” (Bob Dylan). «Deve versare fiumi di lacrime / di gioia e di dolore, / ascoltare e produrre / fontane di risate / e bere l’odio e la paura, / cocenti umiliazioni, ferite laceranti / ed amare la vita e tutto ciò che vive. / Sentirsi respinto da tutti, / da tutti non voluto: / un profeta che sanguina, / senza essere creduto, [S. di Cassandra] ed avere ancora / il coraggio di sperare… / per potersi avviare / sulle strade dell’Uomo… Animale in bilico / è la creatura umaQUALEDUCAZIONE • 67 na, / sospesa sull’abisso, tra il rifiuto che annichila / e il silenzio dell’Annuncio, che brucia la mente / e prepara il Risveglio / dell’Eterna Primavera, della Pienezza senza fine, / della Sorgente che significa, / dell’Energìa che popola di grazia / il groviglio semantico dell’Uomo. / La Sincronia-Diacronia: / l’esserci insieme per sempre / nelle Radici della Vita, ci rende liberi finalmente / di attingere la joie de vivre. Ci consente di respirare / la letizia e la sapienza / la salute e l’innocenza / nella Natura Immacolata / senza più la colpa disperata / senza più solitudine. / Capaci finalmente di guardare / l’implacabile Amore di Dio / che ci fascia di tenerezza. / Finalmente capaci di capire / la Sua gioia di averci ri-trovati». Il dialogo, conflitto tra forti identità, ma soprattutto reciproco ascolto, è il metodo giusto per comunicare fra di noi, dappertutto: a casa, in famiglia, fra genitori e figli; a scuola, fra gli allievi-di- 68 • QUALEDUCAZIONE scepoli e i docenti-educatori; nel vasto mondo, fra tutti coloro che insieme cercano il senso della vita, che camminano con la speranza nel cuore, vestiti di umiltà e di empatia, armati di carità e di parresìa, per incontrare Cristo ViaVerità-Vita, la concreta Utopia-Ucronia (=lo spazio-tempo che non è ancora, non del tutto realizzato…Work in Progress) che ricapitola risana e rinnova il pianeta martoriato e la storia e il cuore dell’uomo: non è una “pietosa insania”, come temeva Foscolo, ma, caduto “il muro d’ombra” di cui parla Ungaretti, ci attende la pienezza della Vita eterna. Non è un mito, ma una promessa. Non possiamo non ripetere, con Sant’Agostino: «…fecisti nos ad Te, et inquietum est cor nostrum, donec requiescat in Te» . Θεός Πατήρ, Θεός ́Αγάπη (Dio è Padre, Dio è Amore) ci ricorda Giovanni. Ed è vero. «Benedictus vir qui confidit in Domino» (Ger 17, 7). Il solo possibile dialogo, reciproco ascolto, è Amore nella Verità (= Caritas in Veritate). “Tutto è Grazia!” Maieutica, auto-progetto, rapporto empatico con l’alterità: attualità della proposta pedagogico-sociale di Antonino Mangano di ANTONIA ROSETTO AJELLO* Riassunto Antonino Mangano ha dedicato la maggior parte dei suoi studi ai marginali, alle relazioni tra diversità, al ruolo che la pedagogia e l’educazione giocano nel costruire una società più giusta ed inclusive, capace di promuovere in tutti i suoi membri una crescita continua. Negli ultimi dieci anni della sua carriera, egli ha sviluppato la sua proposta pedagogica confrontandosi con l’epistemologia della complessità e la maieutica di Danilo Dolci. Egli ha messo in relazione la libertà con la responsabilità: la libertà comporta un impegno ad assicurarsi che l’altro sia libero. In tal modo, egli appartiene alla corrente della pedagogia emancipatoria, di cui Freire e Dolci sono rappresentanti. I risultati della sua ricerca sono ancora molto significativi e pieni di spunti per la costruzione di una pedagogia sociale attenta allo sviluppo delle comunità. sive society, able to promote in all its members a continuous growth. In the last ten years of his career, he developed his pedagogical proposal by comparing it with the epistemology of complexity and the “maieutica” of Danilo Dolci. He related the freedom with responsibility: freedom involves a commitment to ensure that the other is free. He thus belongs to the emancipatory pedagogy of which Freire and Dolci are representatives. The results of his research are still highly topical and full of ideas for the construction of a social pedagogy attentive to the development of communities. Abstract Antonino Mangano devoted the most part of his studies at the marginal people, the relationship between the diversity, the role of pedagogy and education in building a more equitable and inclu- Questo importante momento di celebrazione mi offre l’occasione per ricordare a tutti noi il prof. Antonino Mangano1, scomparso nel 2010. Attento frequentatore degli appuntamenti dell’Associazione “Gianfrancesco Serio”, autore di saggi che hanno trovato spazio sulla rivista e sugli Atti di alcuni convegni, era un convinto sostenitore del suo progetto culturale, che ponendo al centro le tematiche della pace, dell’intercultura, della lotta alle marginalità incrociava in molti punti la sua sensibilità. Io stessa sono venuta in contat- * Pedagogista sociale - Messina. Antonino Mangano fu professore ordinario di Pedagogia Sociale presso l’Università di Messina. 1 QUALEDUCAZIONE • 69 to con questa realtà grazie alle sue sollecitazioni ed è una delle cose di cui gli sono grata. Ricordarlo in un testo che ha come tema di fondo il dialogo, inoltre, mi sembra quanto mai opportuno perché lui era un uomo di dialogo e anche nella sua ricerca (oltre che nel suo impegno di docente) questo aveva un ruolo di primissimo piano. Chi lo ha conosciuto sa bene che Mangano è stato, per le sue caratteristiche personali, un maieuta. Con gli studenti e con i suoi giovani collaboratori proponeva, sollecitava, coltivava le tendenze e le curiosità di ciascuno, con la mitezza e la sottile ironia che sapeva manifestare con le persone che sentiva vicine. In questo saggio ricorderemo soprattutto alcuni aspetti della riflessione degli ultimi anni della sua carriera di studioso, nei quali ha approfondito la maieutica di Danilo Dolci e l’epistemologia della complessità, individuandone e analizzandone i punti di intersezione. L’amicizia con Danilo è stata per lui soprattutto l’occasione per confrontarsi con una personalità stimolante e poliedrica, con cui condivideva l’amore con la natura, il senso di giustizia sociale, l’amore per la cultura contadina e il desiderio di promuovere la valorizzazione e lo sviluppo dall’interno di una cultura meridionale che entrambi ritenevano potesse dare un importante contributo ad una diversa impostazione delle relazioni tra uomini, tra uomo e natura, tra uomo e tecnologia2. 2 Il suo amore per questa cultura è testimoniato dall’ultimo testo da lui pubblicato, una raccolta di poesie popolari siciliane su cui ha lavorato negli ultimi anni della sua vita di studioso: A. Mangano, F. Lazzara, Poesia popolare siciliana, Armenio, Brolo (ME) 2010. 70 • QUALEDUCAZIONE In alcuni brani da lui scritti alla morte di Danilo si rileva chiaramente come si trattasse di un reciproco nutrirsi di spunti di riflessione, di un dialogo, spesso sorridente, tra due persone curiose del mondo e delle relazioni3. La pedagogia maieutica di Antonino Mangano non nasce infatti al momento dell’incontro con Danilo Dolci, avvenuto a metà degli anni ’80. La si coglie nel modo di interrogare la realtà sociale, nella scelta dei problemi da trattare (si veda il suo porsi dalla parte degli alunni dispersi nella ricerca da lui pubblicata nel 1976 e la sua difesa della cultura di partenza di questi ultimi4), nel suo affermare l’importanza di un atteggiamento costante di ricerca sia da parte degli insegnanti5 che di ogni uomo6. In età giovanile alcune esperienze lo hanno orientato verso quell’atteggiamento verso la cultura e l’educazione che poi hanno caratterizzato la sua proposta pedagogica7. Conclusi gli studi superio- 3 http://www.centrostudialeph.it/archivio/ dolci/web_site/dda/mangano.html 4 A. Mangano, S. Cambareri, I processi selettivi nella scuola elementare, Peloritana, Messina 1976. A. Mangano, L’assenteismo dei docenti e la democrazia formale nei processi educativi, Herder, Messina 1984. 5 6 A. Mangano, Danilo Dolci educatore, Edizioni Cultura della Pace, Firenze 1992; Id., Problemi e prospettive della pedagogia sociale, Bulzoni, Roma 1989; A. Mangano, A. Michelin Salomon (a cura di), La devianza dei minori come problema educativo, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 1996; A. Mangano-A.Michelin-Salomon (a cura di), La scienza sociale dell’educazione nel contesto della civiltà planetaria, Lacaita, Bari-Manduria 1998; A.Mangano, Dispersione scolastica e qualità della scuola, «Qualeducazione», 51, 1998. Per un racconto autobiografico del suo percorso di ricerca cfr. A. Mangano, La mia proposta 7 ri, in un periodo trascorso a stretto contatto con la natura durante il quale ha avuto modo di meditare sui propri bisogni profondi, ha appreso il piacere della ricerca come forma di autoeducazione, di crescita permanente della personalità. Ha maturato così l’idea che il vero apprendimento non è quello che avviene per effetto di un’induzione dall’esterno, ma quello che ha come molla la ricerca, che prende le mosse da una curiosità interna e da una volontà di innovare che egli vede come connaturate all’uomo, molla dell’evoluzione, della crescita permanente dell’uomo e della comunità umana. Questa convinzione lo ha indotto a caratterizzare la propria proposta socio-pedagogica “come teorizzazione, appunto, della ricerca, della progettualità creativa, nell’apprendimento, nei contesti relazionali, nella vita civile; come istanza di un’educazione non isolata ma contestualizzata nei più grandi problemi umani del momento presente: collegata ad es. ai bisogni micro e macro-sociali dell’era planetaria, alla nozione dell’interdipendenza in ambito culturale, biologico, cosmico”8. E questo atteggiamento di ricerca ha promosso anche negli altri, convinto che ciascuno possa accedere ad esso, anche se a livelli e in modi diversi. A partire dagli anni Ottanta Mangano ha cominciato ad approfondire la riflessione sul tipo di educazione necessario per affrontare le pressanti sfide che l’attuale situazione planetaria propone. Attribuisce, infatti, educaziosocio-pedagogica, in M. Borrelli (a cura di), La pedagogia italiana contemporanea. III volume, Pellegrini, Cosenza 1996, pp. 171-192. A. Mangano, Evoluzione e struttura maieutica in danilo Dolci, «Scuola e città», 5-6, 1996. 8 ne un ruolo cruciale: le chiede di svolgere una funzione maieutica rispetto ad una nuova società. Naturalmente non a quella educazione “che riproduce lo statu quo, ma ad un’altra, in grado di promuovere negli individui e nei gruppi la capacità del progetto, la realizzazione delle potenzialità di sviluppo presenti nell’uomo e nel mondo”9. Mangano vede in essa il lievito del cambiamento. Dice infatti: “una nuova etica (quella del rispetto, dell’apertura verso gli uomini, le culture, il mondo), una nuova economia (quella della valorizzazione e promozione cooperativa delle risorse umane e naturali – non dello sfruttamento competitivo e distruttivo di esse), una nuova politica (collegata ai bisogni umani e planetari, non al dominio e alla violenza sull’uomo e sulla natura), sono irrealizzabili senza una nuova educazione”10. Epistemologia della complessità e sapere pedagogico L’epistemologia della complessità ha fornito alla pedagogia spunti interessanti per una più articolata e dinamica lettura della realtà, ispirando nuovi modi di rapportarsi a se stessi, alla conoscenza, al proprio ruolo, agli altri, al mondo. Aiuta ad impostare in modo co-evolutivo i rapporti tra le culture e tra le diversità, rafforza una lettura autopoietica dei processi conoscitivi, enfatizza il senso di responsabilità di ciascuno rispetto ai propri atti conoscitivi e alle proprie azioni. In ambito educativo, richiede un pro- 9 A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit., p. 12. 10 Ibidem. QUALEDUCAZIONE • 71 liferare di sperimentazioni, di attività esplorative, di progetti di ricerca decentrati, che vedano come attori principali i soggetti impegnati in un modo o nell’altro in attività educative e coinvolgano le professionalità pedagogiche per perfezionare metodologie e quadri di riferimento. Una sperimentazione diffusa, che parta da micro-contesti educativi e si fondi sulla specificità di questi ultimi, potrebbe contribuire ad evitare che le spinte frenanti e omologanti tipiche delle istituzioni educative tradizionali incrementino forme di analfabetismo esperienziale che diventano facili strumenti di dominio, in quanto alimentano il disorientamento e potrebbero condurre – analogamente a quanto avvenuto nei primi decenni del XX secolo – a cercare rifugio in a-storici, paternalistici, semplificatori regimi dispotici. Pedagogicamente, l’indicazione di una direzione positiva per l’azione è fondamentale per arginare il rischio di passivizzazione connesso ad una fruizione acritica delle informazioni catastrofiche o drammatiche sui rischi e le emergenze. La critica diventa momento di emancipazione se associata alla alternativa, alla possibilità 11. Se è giu11 Così Mangano, dopo aver indicato alcuni dei principali elementi di crisi dei nostri tempi sottolinea: “Ma accanto ai segni del disfacimento ci sono pure i segni della ricostruzione. Il nostro è anche il secolo che sta elaborando un «nuovo modo di pensare» in grado, forse, di rivedere l’atteggiamento suicida della segmentazione frammentatrice. Il «nuovo modo di pensare» – di cui Einstein avvertiva la mancanza ad era atomica avviata – è appunto quello relazionale e sistemico, attento alle diversità, al pluralismo, alle parti di un sistema (che sono anch’essi dei sistemi), ma attento anche a non assolutizzare le parti, a non concepire l’insieme come aggregazione meccanica di elementi cosificati, irrelati, 72 • QUALEDUCAZIONE sto comprendere ciò che opprime l’uomo, è poi egualmente necessario lavorare alla costruzione di alternative. Per sostenere l’affermarsi di questa pluralità di modelli Mangano curò la pubblicazione di un testo, Frammenti della «città futura»12, nel quale accoglieva il racconto di esperienze maturate sul territorio siciliano per contrastare varie forme di marginalità. L’educazione deve fornire agli uomini del XXI secolo gli strumenti per gestire l’ipercomplessità. Strumenti flessibili, frutto di negoziazione e di riflessione, per individuare i quali occorre tornare a cercare la sapienza, superando – integrandola – la mera conoscenza; recuperare la meditazione come spazio mentale autonomo, tanto più in un mondo in cui lo spazio fisico pro capite appare inesorabilmente destinato a ridursi; recuperare la capacità di entrare in relazione con l’altro (uomo, natura) vivendo questa relazione come relazione-reciproca, in ottica comunicativa. L’epistemologia della complessità offre una intrinsecamente dialogica della realtà, nella quale la cooperazione e l’interdipendenza svolgono sull’evoluzione un ruolo perfino superiore a quello svolto dalla competizione e dalla selezione del più debole13. Dallo studio dei sistemi staccati dal contesto”: A. Mangano, Interculturalità e azione educativa nonviolenta nell’ottica della complessità, in V. Bolognari, C. Sirna (a cura), Razzismo e frantumazione etnica. Politiche sociali e interventi educativi, Quaderni dei «Nuovi Annali della Facoltà di Magistero dell’Università di Messina», Herder, Roma, 1995. 12 A. Mangano, Frammenti della «città» futura, Lacaita, Manduria-Bari-Roma, 1990. 13 cfr. A. Mangano, La scienza sociale dell’educazione nel contesto socio-politico e scientifico contemporaneo, «Qualeducazione», 53, 1998, p. 46. autopoietici14 Mangano trae elementi a supporto di quella visione del rapporto con la realtà e con la conoscenza sostenuta anche dalla psicologia piagetiana e post-piagetiana, per la quale noi conosciamo la realtà sulla base non tanto delle sollecitazioni che questa ci offre quanto delle domande che le rivolgiamo15, e dopo cerchiamo il confronto con le osservazioni e le interpretazioni degli altri (dimensione intersoggettiva della conoscenza). Sulla base di questi elementi egli concepisce come compito dell’educazione e dell’istruzione la “crescita reale, continua, della personalità vista come «sistema aperto»”16 sostanziandola nelle seguenti capacità: “capacità di ricerca e analisi critica, di autoapprendimento e di autoconduzione o autoprogetto, di apertura cooperativoprogettuale ai problemi della comunità, da quella locale a quella massima o planetaria”17. L’interdipendenza è un altro dei concetti chiave che egli assume dal pensiero complesso: nei rapporti tra uomo e ambiente; come interdipendenza e cofecondazione tra le culture e nei processi di apprendimento; come influenza reciproca tra contesto sociale ed educazione. Da esso prende elementi a supporto di una “concezione permanentemente evolutiva, non riduttiva, della realtà e 14 Cfr. H. Maturana-F. Varela, Autopoesi e cognizione. La realizzazione del vivente, Marsilio, Venezia 1985; H. Maturana-F. Varela, L’albero della conoscenza, Garzanti, Milano 1992. Cfr. A Mangano, Dispersione scolastica e qualità della scuola, cit., p. 40. 15 16 A. Mangano, Presentazione del convegno, in A.Mangano-A.Michelin-Salomon (a cura di), La scienza sociale dell’educazione,cit., p. 44. 17 Ibidem. della persona, in corrispondenza con i bisogni profondi e le prospettive antropologiche del nostro tempo”18. Nella maieutica dolciana egli vede una modalità educativa consonante con le più recenti acquisizioni scientifiche maturate nell’alveo dell’epistemologica della complessità e uno strumento idoneo ai bisogni di crescita autopoietica dei singoli e delle comunità, ispirata ad un approccio filosofico e metodologico nonviolento. Il metodo maieutico come ambito esperienziale complesso Mangano mette in relazione l’emergere, nel XX secolo, del paradigma della complessità e la nascita di un “movimento etico-religioso e socio-politico a carattere nonviolento (Gandhi, Capitini, Dolci, per limitarci ad alcuni più recenti) che si organizza grosso modo attorno a due poli: il polo della diversità, della irripetibilità, della singolarità e il polo dell’unità organica dei diversi, all’insegna della verità e della trasparenza. Ogni entità esistente sulla terra (individuo, specie vegetale o animale, bioregione, cultura locale o nazionale o continentale) – continua Mangano – ha diritto ad essere se stessa, ad esprimere pienamente le sue potenzialità a beneficio di se stessa e del contesto cui è inscindibilmente connessa. Questo processo di «auto-organizzazione» non esclude, ma richiede i rapporti di interazione dei diversi tra loro e con l’insieme, a diversi livelli di «eco-organizzazione». 18 A. Mangano, Introduzione, in A. ManganoA.Michelin-Salomon (a cura di), La scienza sociale dell’educazione, cit., p. 11. QUALEDUCAZIONE • 73 In tal modo, movimento nonviolento e scienza della complessità – conclude – sostanzialmente coincidono. In Danilo le due fondamentali istanze risultano fuse: sia l’azione nonviolenta che la costruzione della complessità risultano per lui un programma”19. In questo programma di costruzione della complessità, la maieutica attribuisce all’uomo un ruolo attivo, propositivo, etico. Si propone come metodo rigoroso di ricerca e sperimentazione di nuovi modi di rapportarsi alla conoscenza, alla verità, nonché come strumento di costruzione di modalità relazionali flessibili, creative, cooperative, nonviolente, rispettose della diversità. Tale metodo, in Danilo Dolci, nasce fin dall’inizio come un metodo comunitario, con finalità di trasformazione progettuale e dall’interno di una realtà sociale, pur valorizzando la soggettività personale. È questo aspetto che appare così interessante al pedagogista sociale Mangano. «Liberazione educativa» e «maturazione di un nuovo spirito comunitario» Mangano identifica il benessere “con la capacità di crescita aperta e permanente, con l’autoaffermazione creativa nel lavoro, nel tempo libero e nella vita associata, con l’autoespansione culturale nei settori congeniali all’individuo (arte, scienza, tecnica, hobbies), con l’autostima o percezione positiva di sé, fiducia nei propri poteri non provenienti deterministicamente dal solo potenzia- A. Mangano, L’impegno educativo di Danilo Dolci, «Scuola e Città», 2, 1994, p. 72. 19 74 • QUALEDUCAZIONE le genetico dell’individuo, ma costruiti mediante l’impegno, l’educazione”20 e propugna un’educazione liberatoria ed emancipatrice. L’educazione, egli scrive, è rivoluzionaria “nella misura in cui aiuta la crescita dal di dentro degli individui e della comunità: la crescita autentica, liberatrice, nella quale individui e comunità prendono coscienza dei loro bisogni, in un contesto locale organicamente raccordato con quello planetario, e progettano la soluzione dei relativi problemi. […] L’educazione può così divenire il nuovo principio dinamico motore della storia, il nuovo legame di interdipendenza paritaria tra gli uomini”21. Il tema della liberazione educativa era presente anche nella ricerca sull’assenteismo degli insegnanti22, dove la capacità di problematizzare e l’atteggiamento di ricerca erano ritenuti strumenti chiave per superare quell’alienazione che poi si traduce in insuccesso scolastico e formativo per gli alunni. In questo senso egli fa riferimento alle “«libertà positive» (Fromm) come poteri di progettualità e di scelta che nessuna organizzazione politica e sociale può elargire, ma solo aiutare a conquistare (tramite le sue «agenzie» educative)”23. Libertà dunque non innate, bensì presenti nell’individuo sotto forma di elementi potenziali24, la cui conquista richiede un 20 Ivi, p. 68. 21 Ivi, pp. 38-39. 22 A. Mangano, L’assenteismo dei docent, cit. A. Mangano, Introduzione, in A. Mangano, A. Michelin-Salomon (a cura), La devianza dei minori, cit., p. 44. 23 24 Cfr. Id. Introduzione, in A. Mangano, A. Michelin-Salomon (a cura), La scienza sociale dell’educazione, cit., p. 53. intervento educativo e condizioni facilitanti. Libertà legate all’acquisizione di “capacità e competenze di tipo innovativo e progettuale, sensibilità comunitarie e cooperative, superamento del fatalismo e dell’individualismo egoisticofamilistico, acquisizione di un senso civico che va oltre la chiusura tradizionale nella cerchia dello Stato-nazione. Le une e le altre, tali capacità, sensibilità e competenze presuppongono in qualche modo un atteggiamento problematizzante, richiedono la dimensione del futuro nella vita individuale e collettiva, come modi di pensare e di essere da parte di individui e gruppi umani impegnati ad esercitare la responsabilità connessa al potere democratico”25. Libertà strettamente connesse alle “dimensioni creativo-produttive e progettuali della vita umana concepite come diritto, ma anche come responsabilità dell’individuo e del gruppo”26 e che possono essere rese effettive solo attraverso un’educazione liberatrice che assuma la forma “della conquista dei poteri di libertà, tramite l’esercizio del pensiero indipendente, della capacità di documentazione, dell’apprendimento collegato all’intuizione, all’ipotesi e alla verifica, ossia alla crescita tradotta in capacità di ricerca e di autopoiesi”27. Sono evidenti forti legami con la responsabilità e la solidarietà, con la «maturazione di un nuovo spirito comunitario»28 che deve diventare anche “impegno responsabile per la libera- 25 Ivi, pp. 53-54. A. Mangano, Presentazione del convegno, cit., p. 45. 26 27 Ivi, p. 47. 28 Ivi, p. 57. zione degli Altri e il rispetto dei diritti dell’Alterità (non solo umana)”29. La pedagogia sociale di Mangano è dunque incentrata sulla difesa di un ruolo attivo della soggettività progettante, sia nella dimensione individuale sia in quella comunitaria. Il concetto autopoietico di autoeducazione fonda la possibilità di ricostruire su basi nuove la vita culturale e sociale. “Una cultura e una vita sociale fondata sui due principi circolarmente interagenti dell’identità (creativa) e della connessione (cooperativa) – scrive Mangano – richiedono un’educazione consapevole perché la vita sociale possa essere ricostruita su quelle basi”30. E ancora: “Gli individui, le comunità a diversi livelli crescono non isolatamente, come di solito si pensa, ma nella logica dell’interdipendenza, la quale coinvolge sia le parti che l’insieme. Crescono per impulso interno, secondo i bisogni (sia di ciascuna delle parti che dell’insieme), non per pressione o trasmissione esterna […]. Crescere, sviluppandosi nella comunicazione, significa identificarsi (non omologarsi) nella ricerca/valorizzazione: ricerca di sé (espressione, autoascolto) e ricerca dell’altro (ascolto rispettoso, interesse anche per la natura non umana, interpretazione decentrata dell’alterità)”31. Una grande influenza ha avuto su Mangano la lettura degli studi di Maturana e Varela sui sistemi autopoietici. Anche le persone, le comunità, le culture, devono avere la possibilità di 29 Ivi , p. 60. 30 A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit., p. 57. A. Mangano, Evoluzione e struttura maieutica in Danilo Dolci, cit., p. 262. 31 QUALEDUCAZIONE • 75 crescere dall’interno, in base ad un autoprogetto, coltivando un auto-ascolto, un’autorappresentazione. È questa capacità di auto-ascolto e auto-comprensione che può costituire la base per il cambiamento. “Se l’evoluzione si avvale di processi intimi – mette in luce Mangano – se vi concorre «la volontà degli organismi», essa non è un fatto, ma uno sviluppo creativo: non il risultato di violenza distruttrice, ma bisogno e volontà di co-adattamento, di co-operazione: non spreco ma convergenza, co-valorizzazione di energie”32. Questa attività ricostruttiva richiede un primo momento di critica dell’esistente: è in reazione alla logica del dominio che questo modello educativo elabora le proprie strategie, che investono i diversi ambiti vitali. Scrive infatti ancora Mangano: “L’assuefazione alla violenza depersonalizzante della vita scolastica spiana […] il terreno alle forme di spersonalizzazione, di massificazione extrascolastica: quelle subite nel lavoro e nel tempo libero appunto. […] Quale alternativa? Se il dominio, la repressione, la colonizzazione si verificano perché il lavoro, il tempo libero, la città, il territorio vengono progettati e organizzati da altri, da persone e gruppi diversi rispetto a coloro che lavorano, trascorrono il tempo libero, vivono la città e il territorio, l’alternativa sta nel restituire il protagonismo, la capacità di progettazione/organizzazione ai diretti interessati”33. Ancora una volta, ciò è possibile solo facendo esperire costantemente l’auto- 32 Ivi, p. 260. A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit., pp. 64-65. 33 76 • QUALEDUCAZIONE progetto, senza abdicare al ruolo di guida (facilitazione?) che ci si richiede in quanto educatori, ma ampliando gradualmente le aree di autonomia di ciascuno. In tutti i casi, se ci si comporta in maniera adeguata rispetto alle esigenze di progettazione degli individui e dei gruppi, sarà sempre dopo l’ideazione del progetto che dovranno intervenire gli esperti per discutere, insieme ai diretti interessati, le modalità migliori per il raggiungimento degli obiettivi. Anche per questi aspetti, la pedagogia sociale di Mangano è oggi di grande attualità: essa consente di inquadrare entro coordinate squisitamente pedagogiche pratiche in corso di evoluzione, quali la pedagogia di comunità, la progettazione partecipata o la ricerca-azione, considerate sempre più importanti ma talvolta messe a rischio da tecnicismi. «Aprire prospettive alternative al mondo del dominio» (D. Dolci) Mangano ha elaborato una lettura dell’interculturalità strettamente collegata all’epistemologia della complessità e contemporaneamente molto attenta rispetto a quella dimensione fondamentale delle relazioni inter-umane e inter-specifiche che è la dimensione del potere. L’interculturalità reale è la condizione ordinaria del rapporto tra le culture, benchè “implicita, come condizione di fatto” 34: essa comporta lo scambio di 34 A. Mangano, Elementi introduttivi. Dossier: Società multiculturale e risposte educative, «Nuova Paideia», 2, 1992, p. 20; cfr. anche Mangano A., Urgenze planetarie e risposte educative interculturali, in V.A. Baldassarre (a cura di), Le tecniche, usi, linguaggi che poi vengono riadattati creativamente35, e costituisce “un elemento di dinamizzazione e di progresso, di creatività individuale e collettiva” per ciascuna cultura36. A questo si è contrapposto in quasi tutte le società storiche il “monoculturalismo esplicito”, come affermazione di una superiorità culturale enfatizzata fondandola su una presunta superiorità genetica. Questo monoculturalismo, di cui la scuola “per la sua origine storica”, è portatrice, insieme ad una strutturale difficoltà a fare i conti col cambiamento – nella sua ricchezza e nei suoi limiti37 –, è alla radice di una buona parte dei processi di selezione scolastica anche ai danni di autoctoni appartenenti a subculture dialettali38, e/o, aggiungerei, portatrici di una qualsiasi forma di diversità, nonostante il formale riconoscimento dei diritti. Gli attuali «tagli» economici ai danni della scuola pubblica sembrano un rinvigorimento di un’idea di darwinismo sociale che sembrava ormai consegnata al passato, ma che purtroppo ritrova vigore nell’ideologia neoliberista. La tutela dell’identità culturale di origine, lungi dall’essere strumento di conservazione, è essenziale allo sviluppo della “creatività individuale scienza della formazione. Prospettive di ricerca nell’area del Mediterraneo. Atti del seminario internazionale 14-16 aprile 1994, Edizioni dal Sud, Modugno, 1996, pp. 221-232. e comunitaria”39, dal momento che “la creatività e il senso critico esigono una prospettiva”40. Contemporaneamente la possibilità di attingere alla diversità culturale e linguistica, di apprendere codici e culture diverse, la capacità di lettura moltiprospettica della realtà, non solo forniscono le competenze oggi necessarie per vivere nelle nostre società, ma “arricchiscono di per sé l’esistenza individuale”41. Tuttavia conoscere non significa semplicemente incamerare dati, non è sufficiente neanche saperli inserire entro gli opportuni schemi concettuali (come sostiene una parte del cognitivismo). La conoscenza diventa cultura nel momento in cui interagisce con l’esistenza del soggetto, modificandolo. E, reciprocamente, una cultura è viva quando è possibile ad ogni individuo modificarla adeguandola ai propri bisogni profondi. In questo contesto è possibile leggere quella critica alle istituzioni educative – in quanto prevalentemente finalizzate al mantenimento dello statu quo e poco propense a mettere al centro la ricerca e la curiosità – che è stata una costante del lavoro di ricerca di Mangano. Nell’ambito di una pedagogia maieutica, “l’istruzione che privilegia la ghettizzazione e l’esclusione, oppure persegue la repressione dell’originalità, della diversità e creatività, si riduce ad indottrinamento passivizzante, massificante”42 è anti-educativa. Al contrario, un miglioramento delle opportu- 35 cfr., A. Mangano, Elementi introduttivi, cit., p. 20. 36 Ibidem. cfr. A. Mangano, Dispersione scolastica e qualità della scuola, «Qualeducazione», 51, 1998, p. 41. 37 38 Cfr., Ivi, p. 39. 39 Ivi, p. 22. 40 Ibidem. 41 Ivi, p. 23. A. Mangano, Evoluzione e struttura maieutica in Danilo Dolci, cit., p. 261. 42 QUALEDUCAZIONE • 77 nità di crescita permanente della personalità può prendere le mosse da punti diversi del sistema formativo. Mangano sottolinea l’interdipendenza tra il rinnovamento della scuola, dell’organizzazione del lavoro e del tempo libero. “Il rinnovamento della scuola, dell’organizzazione del lavoro e del tempo libero si influenzano a vicenda. Lo sviluppo nella scuola delle attività espressive, della esplorazione della natura, della cultura locale, dell’attività di ricerca, dell’uso attivo-produttivo delle tecnologie dell’educazione, etc. creano tutte le premesse creativo-progettuali (ma non solo queste) per l’umanizzazione degli altri due settori. Di contro, l’impegno degli emarginati per affrontare i loro problemi […], documentare i bisogni, esaminare le difficoltà, etc., da un lato è il miglior impiego non alienante del tempo libero […], ma da un altro lato produce una maggiore attenzione delle comunità alle istituzioni formative di cui queste hanno bisogno”43. Dato il legame esistente tra promozione dei legami cooperativi e comunicativi e sviluppo socio-culturale, “anche la mancata organizzazione o correlazione dei singoli nel gruppo creativo è una piaga cancerosa”, o “quanto meno uno spreco su vastissima scala che l’umanità deve imparare ad evitare”44. Maieutica e cambiamento L’obiettivo di un’educazione autenticamente democratica è fornire a tutti gli 43 p. 68. A. Mangano, Danilo Dolci educatore, cit., A. Mangano, L’impegno educativo di Danilo Dolci, cit., p. 74. 44 78 • QUALEDUCAZIONE individui gli strumenti per apprezzare l’eredità culturale, criticandola e dove è il caso modificandola per renderla sempre più idonea a costituire l’ambiente ideale per la crescita di tutte le creature. Questo processo educativo-evolutivo è possibile solo attraverso un autentico e diffuso processo comunicativo. Comunicare è rielaborare esperienza, chiarirsi attraverso l’ascolto attivo di chi sa di essere chiamato a comprendere per verificare la vicinanza o la lontananza reciproca dei pensieri, senza che si istituisca una gerarchia tra le opinioni. Ci si confronta attivamente con l’evoluzione del pensiero proprio e altrui, sapendo di potere esprimere la propria opinione, la quale a sua volta sarà vagliata dagli altri partendo da un atteggiamento positivo. Ogni opinione è pertinente, anche se da ciascuna è possibile prendere le distanze. Ogni domanda è fatta a tutti e a ciascuno, ed ognuno cerca in sé la risposta perché nessuno si pensa del tutto “incompetente”. A questo modo di concepire la comunicazione corrisponde una precisa visione del processo educativo come processo comunicativo, bene illustrato da Mangano. “Se la comunicazione (da cum e munus) – egli dice – è il dono reciproco che gli esseri si fanno nel loro rapporto simbiotico, sistemico, la struttura maieutica implica la matura consapevolezza (dopo oltre duemila anni da Socrate) che, a livello educativo, lo sviluppo ha alle sue origini la ricerca, la domanda che l’essere umano pone a se stesso e agli altri, alla natura e alla cultura: la consapevolezza, inoltre, che nel rapporto reticolare, interattivo - il luogo ove maturano i problemi, gli interrogativi, ma non solo essi – non ci si aiuta reciprocamente soltanto nel partorire ri- sposte, soluzioni, progetti, ma pure ci si insemina e ci si aiuta nel concepirli”45. Essa dunque può modificare l’educazione scolastica ed extrascolastica, la formazione dei docenti e degli educatori limitando il momento trasmissivo a quando questo risponde ad un bisogno di informazione da parte del soggettoin-ricerca46, e coltivando come momento formativo fondamentale il fare emergere i bisogni per trasformarli in problemi, “consentire che nell’incontro e nello scontro nonviolento fra opinioni diverse matur[i] la prassi, l’innovazione e l’autostrutturazione cooperante”47. La maieutica richiede dunque anche un’educazione al conflitto, che le è essenziale come la diversità. “In mancanza di una diversità di esperienza, di una divergenza (più o meno provvisoria) di pensiero e di opinione, la pluridirezionalità di un problema non potrebbe essere scorta né esplorata. Né ci sarebbe, in tali casi, reciprocità di azione maieutica e crescita reale dei membri del rapporto. Possiamo dire che la divergenza è lievito del pensiero critico e dell’evoluzione (individuale, comunitaria), mentre il conformismo, l’uniformità acritica, procedono invece in direzione della stasi, come sanno bene i dominatori di tutti i tempi”48. Il tipo di conflitto che caratterizza la struttura maieutica è il conflitto nonviolento, la cui soluzione richiede che le differenze si cofecondino e producano una nuova realtà, fonte di ben-essere per tutti. Il dialogo, lo scambio, l’empatia, l’entropatia (di cui parla la pedagogia fenomenologica) sono strumenti fondamentali per trasformarlo in momento di crescita. Nessuno nega le difficoltà, ma quella della co-evoluzione è una strada che va perseguita con convinzione, perché un approccio approssimativo e semplicistico al problema crea frustrazione, danneggia a volte gravemente la comunicazione e la relazione, può giungere a frenare il processo di sviluppo della personalità. Va perseguita con convinzione anche per contrastare il continuo prevalere di interessi ristretti sui diritti alla vita, alla salute e alla crescita permanente della personalità di tutti e per dare nuova speranza ai futuri abitanti del pianeta. Una speranza che si pone in azione: “Cultura di pace non è assenza di conflitti, ma azione ricostruttiva che l’uomo rivolge a se stesso e all’ambiente in cui vive, per rendere quest’ultimo ospitale […] nel rispetto delle diversitàoriginalità dei luoghi, delle culture, delle personalità individuali: cioé del mondo concepito come complessa «creatura di creature»”49. La ricerca pedagogica di Antonino Mangano si è costantemente svolta in questa direzione, cercando di indicare piste di riflessione e di azione agli educatori e agli uomini dei nostri tempi: senz’altro merita di essere conosciuta per la sua profondità e per la sua straordinaria attualità. 45 A. Mangano, Evoluzione e struttura maieutica in Danilo Dolci, cit. 46 cfr. Mangano, L’impegno educativo di Danilo Dolci, cit., p. 75. 47 Ivi, p .78. A. Mangano, Evoluzione e struttura maieutica in Danilo Dolci, cit., pp. 263-264. 48 49 p. 31. A Mangano, Danilo Dolci educatore, cit., QUALEDUCAZIONE • 79 Quale dialogo per la costruzione del bene comune di CONCETTA SIRNA* Riassunto I complessi problemi che l’umanità deve affrontare su scala planetaria non sono più risolvibili con le teorie liberalindividualistiche e neo-contrattualistiche nè con quelle ispirate ai tanti comunitarismi fondamentalistici: esse, pur veicolando alcuni principi accettabili, risultano nel complesso riduttive e dagli effetti perversi. Per realizzare contesti globalizzati meno precari e drammatici non basta la disponibilità di nuove strumentazioni tecnologiche facilitanti la comunicazione, perchè l’accresciuta vicinanza e interdipendenza degli individui e dei popoli spesso è foriera soltanto di incomprensioni e conflittualità. Occorre, invece, impegnarsi a costruire una comunità umana che, riconoscendosi come un’unica famiglia, riesca a corresponsabilizzarsi ed a cooperare per la realizzazione del “bene comune”, mettendo a frutto il contributo di tutti i suoi membri. Non è facile far sì che l’attuale organizzazione socio-economica e politica, governata dalla legge del profitto e della concorrenza ma indifferente rispetto ai costi in termini di emarginazione e sofferenza umana, venga orientata verso una nuova logica etico-solidale, più comprensiva ed equa, capace di avviare processi di sviluppo inclusivo anche per i tanti soggetti tuttora ai margini. L’articolo precisa a quali possibili equivoci si * Università di Messina. 80 • QUALEDUCAZIONE presta il discorso sul “bene comune” e in che misura le attuali democrazie in crisi possano e debbano farsi carico di questo compito, insieme educativo e politico, di ricostruzione di comunità etiche e civiche, rinunciando alla tentazione di tante pericolose scorciatoie (tecnicismi giuridici, neutralità valoriale, ideologismi dottrinari, ecc.). Le attuali società postdemocratiche eticamente indifferenti, infatti, si limitano a negoziare interessi individuali e non riescono più a vedere nel dialogo tra diversi lo strumento principe per interpretare concretamente e correttamente il compito ed il destino dell’uomo, né a guardare ai valori come a impegnativi e condivisi “fini da raggiungere”. Nell’educazione, come nella politica, il dialogo come ricerca critica della verità rimane il vero canale del cambiamento epocale, quello capace di dar voce ai bisogni di tutti, soprattutto di quegli ultimi e poveri che costituiscono non “uno scarto” ma una risorsa, anzi, il motore stesso dei processi di umanizzazione e di autentico sviluppo. Abstract The availability of new technological equipment is not sufficient to achieve less precarious and dramatic globalized contexts. Efforts should be made to build a human community, which recognize itself as one unique family, and is able to cooperate in the implementation of the “common good”, with the contribution of all its members. The text spe- cifies how many misunderstandings the discourse on the “common good” leds and how ‘’ in crisis ‘’ democracies should take responsibility for this educational and political task. Democracies have the task of reconstructing ethical and civic community, but they must renounce to many dangerous shortcuts (legal technicalities, neutral values, doctrinaire ideologies, etc.). In Education, as in Politics, critical dialogue remains the true channel of the change, that can express the needs of all, especially of those who are poor but must be considered a “resource” and the engine of both: the ‘ humanization process’ and the ‘genuine development’ process Democrazie in crisi e bisogno di comunità Le democrazie occidentali, che per lungo tempo si sono proposte come ancoraggio etico per il mondo intero, vedono oggi il loro universalismo confliggere con altri universalismi. L’Occidente, che ha preteso di farsi mondo, si trova ormai alla prova della grande crisi, perché non riesce a garantire le sue promesse di pace, ordine, benessere e libertà. Di fronte alle fratture geopolitiche, alle guerre, al malessere sociale, alle crisi di sovranità che umiliano gli stati e delegittimano la politica, ci si chiede perfino a cosa serva questo modello offuscato di democrazia che non riesce a gestire la propria impotenza1. 1 Cfr., tra l’altro, su questi problemi il numero n. 2 del 2012 di “Limes. Rivista Italiana di geopolitica” dedicato al tema “A che serve la democrazia? Finanza über alles – L’Occidente che volle farsi mondo – Alla prova della grande crisi”. Cadute le grandi ideologie, attivate in tanti paesi nuove primavere rivoluzionarie dagli esiti ancora confusi e contraddittori, è diventato a tutti evidente quanto numerosi siano ormai gli elementi di fragilità del sistema economico-finanziario e politico complessivo che governa il pianeta. Subdoli dinamismi attivati da poteri anonimi, pericolosamente fluidi e ingestibili, rischiano continuamente di portare al collasso interi paesi e di innescare un effetto domino capace di influenzare negativamente le scelte ed il futuro di gran parte della popolazione mondiale. Sono tanti i motivi di incertezza e di ansia che offuscano ormai l’orizzonte di questo XXI secolo, aperto con alte prospettive ma divenuto troppo denso di minacce e di pericoli. E, se è vero che la scienza annuncia quotidianamente in tutti i campi scoperte che aprono nuove possibilità, fornendo soluzioni tecniche strabilianti, è altrettanto vero che lo spettro della catastrofe eco-sistemica rimane sempre incombente, a motivo della estrema complessità delle problematiche da affrontare e governare su scala planetaria. Le maggiori difficoltà e preoccupazioni provengono soprattutto dall’incapacità delle persone di relazionarsi in modo positivo e significativo, di trovare cioè quella unità di intenti indispensabile all’organizzazione di una convivenza più equa, previdente e solidale per tutti, l’unica capace di affrontare i tanti problemi che assillano l’umanità nel suo complesso e ne minacciano la stessa sopravvivenza sul pianeta. In contesti globalizzati come quelli attuali, estremamente variegati ma sempre più interdipendenti, siamo tutti consapevoli infatti che per governare QUALEDUCAZIONE • 81 e per superare le tante conflittualità e fratture non basti la semplice vicinanza. Occorre, come da più parti si auspica, riuscire a dar vita a nuove comunità umane capaci di coordinare e comporre i diversi interessi, quelli individuali e quelli delle singole realtà etniche, religiose, culturali e politiche, in nome di un “bene comune”, quello dell’umanità intera. Si sente il bisogno cioè di costruire un nuovo universalismo etico, non più monocratico ed imposto unilateralmente, ma frutto di un dialogo di civiltà rispettoso delle diversità. Lo esigerebbe anche, e soprattutto, la necessità di risolvere con logiche più comprensive ed olistiche i gravi rischi derivanti dagli squilibri dell’ecosistema, divenuti incommensurabili e incontrollabili per dimensione e complessità. Non sembrano orientati, invece, in questa direzione i contesti attuali delle società capitalistiche avanzate occidentali, dove lo sviluppo si ispira ancora in gran parte a logiche settoriali o di mercato e dove è prevalsa la cultura dell’individualismo solipsistico e del frammentarismo etico2. Innalzata a criterio veritativo l’autonomia del singolo e legittimato come diritto l’interesse soggettivo, si è prodotta una società di individui solitari, reciprocamente indifferenti, incapaci di vera attività dialogica e politica. Senza riferimenti ad un ordine valoriale oggettivo e condiviso, i soggetti risultano infatti Il riferimento riguarda le teorie liberalindividualistica (Nozick, Hayek) e neo-contrattualistica (Rawls, Gauthier, Buchnan) che riconoscono valore primario esclusivo agli interessi individuali dei cittadini ed assegnano allo Stato, laico e neutrale, il ruolo tecnico di garanzia di sicurezza e di equilibrio tra le parti. 2 82 • QUALEDUCAZIONE slegati da qualsiasi vincolo sociale stabile di tipo comunitario e non si sentono responsabilizzati rispetto ai contesti (territori, modelli, relazioni, valori, persone, ecc.). Riconoscono come unica forma di appartenenza e di partecipazione rassicurante, non quella di membro di un gruppo o di una comunità, ma lo stare all’interno dello “sciame inquieto dei consumatori” - come dice efficacemente Bauman3. L’homo consumens della postmodernità accetta di far parte soltanto di raggruppamenti temporanei, orizzontali e senza gerarchia fissa, all’interno dei quali condivide la prossimità fisica con altri soggetti, provvisoriamente ed in funzione di obiettivi mobili. Preoccupato molto di più di mantenere la propria autonomia e sicurezza, fugge da Z. Bauman, Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erickson 2007. L’Autore spiega che la sostituzione del “gruppo”, con i suoi leader e le sue gerarchie, con gli “sciami”, raggruppamenti mobili e provvisori che sorgono e scompaiono in funzione di obiettivi momentanei e mutevoli, risponde al bisogno dell’homo consumens di sfuggire ad ogni vincolo. Gli sciami non hanno bisogno di una forma definita ma solo di “una direzione di fuga che in se stessa determina la posizione dei leader e dei seguaci per la durata di quella traiettoria, o almeno per una sua parte”. Nello sciame non esiste né divisione del lavoro, né la presenza di specialisti o di persone dotate di particolari capacità da insegnare ad altri: non c’è “né scambio, né cooperazione, né complementarietà, solo prossimità fisica e una generale direzione di movimento”. La sicurezza sulla direzione del volo non dipende dall’autorevolezza del leader, ma dal numero e dalla certezza delle altre persone partecipanti che, proprio perché tante, si pensa che “non potrebbero essere ingannate”. Chi si allontana dallo sciame non è un ribelle o un eretico ma, probabilmente, soltanto un pasticcione che, una volta uscito dal perimetro dello sciame, si sente perduto o smarrito. 3 ogni vincolo stabile per rifugiarsi in un surrogato di comunità nel quale ripone le proprie certezze, che consistono nel seguire la massa di individui che si muovono nello sciame. Soddisfa così in modo distorto la sua voglia di comunità4, rinunciando però alle forme più significative ed impegnative di legame prosociale, quelle di cooperazione e di complementarità. In questo modo, non soltanto impoverisce di senso e di relazioni significative la sua esistenza individuale, ma rende anche evanescente ed improbabile la sua maturazione di un’etica della responsabilità sociale ed indebolisce la sua capacità di dialogo e di partecipazione democratica, fondamento e metodo della vita etica e della vera dialettica politica. Con la sua pretesa di essere autosufficiente, il soggetto di fatto precipita in un processo di chiusura monadistica che lo fa illudere di essere assolutamente libero da vincoli mentre, di fatto, diventa osservatore isolato ed inerme della realtà, in balia di forze incontrollabili e succube di subdoli processi manipolatori che lo rendono irresponsabilmente delegante. Per usare la metafora5 di una nota canzone di Samuele 4 Cfr. a riguardo anche Z. Bauman, Voglia di comunità, Laterza, Bari 2001; T. Nagel, La possibilità dell’altruismo, Il Mulino, Bologna 1994; E. De Bono, La rivoluzione positiva, Sperling & Kupfer, Milano 2000 (1991); De Beni M., Sviluppo della prosocialità e apprendimento-servizio, Introduzione a M. N. Tapia, Educazione e solidarietà. La pedagogia dell’apprendimento-servizio, Città Nuova, Roma 2006. 5 Sull’importanza e l’utilità delle metafore per rappresentare realtà e processi in campo pedagogico si veda, tra l’altro, C. Sirna, Metafore di libertà, nel volume E. Colicchi (a cura di), Edu- Bersani, si comporta come uno “scrutatore non votante”6, figura emblematica del soggetto postmoderno, strutturalmente apolitico e trasgressivo, che interpreta la propria libertà in modo individualistico e soddisfa il proprio ineludibile bisogno di comunità con surrogati inefficaci e comportamenti contraddittori: sta sempre collegato nella realtà virtuale ma non conosce i suoi vicini di casa, apparecchia la tavola ma non invita mai nessuno, conosce la bellezza e fragilità dell’ambiente ma distrugge le foreste, non sopporta la vista del sangue ma auspica la pena di morte, ecc. . È, questa, la rappresentazione di cazione e libertà nel tempo presente, A. Siciliano, Messina - Civitanova Marche, 2008, pp. 313-336. 6 Riportiamo il testo della canzone di Samuele Bersani dal titolo “Lo scrutatore non votante”. “Lo scrutatore non votante è indifferente alla politica. Ci tiene assai a dire “ohissa!” ma poi non scende dalla macchina. È come un ateo praticante seduto in chiesa alla domenica; si mette apposta un po in disparte per dissentire dalla predica. Lo scrutatore non votante è solo un titolo o un immagine per cui sarebbe interessante verificarlo in un indagine. Intervistate quel cantante che non ascolta mai la musica oltre alla sua, in ogni istante sentiamo come si giustifica. Lo scrutatore non votante è come un sasso che non rotola, tiene le mani nelle tasche e i pugni stretti quando nevica. Prepara un viaggio ma non parte, pulisce casa ma non ospita, conosce i nomi delle piante che taglia con la sega elettrica. Lo scrutatore non votante conserva intatta la sua etica e dalle droghe si rinfresca con una bibita analcolica. Ha collegato la stampante ma non spedisce mai una lettera, si è comperato un mangia-carte per sbarazzarsi della verità. Lo scrutatore non votante è sempre stato un uomo fragile: poteva essere farfalla ed è rimasto una crisalide. Telefonate al cartomante che non contatta neanche l’aldiquà. Siccome è calvo usa il turbante e quando è freddo anche la coppola. Lo scrutatore non votante con un sapone che non scivola si fa la doccia 10 volte e ha le formiche sulla tavola Lo fa svenire un po’ di sangue ma poi è per la sedia elettrica.”. QUALEDUCAZIONE • 83 una mentalità ormai molto diffusa nel XXI secolo, soprattutto in quelle realtà urbane e metropolitane dove prevale l’anomia e dove la “folla solitaria” cerca nuovi spazi di comunicazione, apparentemente più sicuri e soddisfacenti, nei quali può mantenere il contatto nel quasi anonimato di relazioni fluide e funzionali (le strade, i mercati, luoghi affollati, il mondo di internet). Non è un caso che sia aumentato in modo esponenziale il tasso di rifiuto della politica e che la partecipazione alla vita pubblica spesso sia ridotta a settoriali forme di protesta o a mero commento e chiacchiera virtuale. D’altronde, alle relazioni interpersonali dirette dei contesti familiari, sociali, esistenziali e civici ormai si tende a preferire la vita di single, con scarsi legami di coppia, fluidi e temporanei, ed un operare confinato prevalentemente nella sfera della virtualità, dove ciascuno può celebrare il proprio delirio di onnipotenza sentendosi finalmente padrone assoluto del tempo, dello spazio e delle relazioni, liberato dallo sforzo incerto e faticoso del rapporto col volto dell’altro (Levinas7). Per quanto illusoria, è ancora forte la tentazione di salvarsi da soli, al di fuori dei vincoli imposti dall’appartenenza alla comunità umana con la quale di fatto si condividono gli effetti apocalittici dei processi e degli eventi planetari. E mentre l’ideologia individualistica continua a promettere ai singoli tanti spazi di libertà che si rivelano falsi, vuoti e densi di incubi, si registra intanto l’aumento del disagio e la nascita di diverse nuove patologie relazionali collegate E. Levinas, Totalità e infinito, trad. di A. dell’Asta, Jaca Book, Milano, 1980. 7 84 • QUALEDUCAZIONE all’uso distorto della cyber cultura: il bisogno inevaso di comunità, mal diretto, trova nuovi pericolosi surrogati in comportamenti massificati, spesso maniacali, ossessivi e canalizzati verso nuove dipendenze (new addiction)8. Il progressivo sfaldamento del tessuto sociale e il diffuso crescente disagio dimostrano, a nostro avviso, come le disponibilità tecnologiche e comunicative, di cui oggi si dispone, non possano da sole garantire soluzioni efficaci in assenza di una chiara e decisa linea di intervento di una comunità umana, plurale ma coesa, che sappia rappacificarsi per riuscire a governare le forze e i processi in atto. Si sente il bisogno, soprattutto, di una chiara e condivisa riflessione etico-politica che affronti anche i drammatici bisogni di sopravvivenza di larghissime fasce della popolazione mondiale ed i notevoli costi in termini di emarginazione e sofferenza umana dell’attuale organizzazione socio-economia e politico-culturale. Senza l’adesione ad una nuova logica etico-solidale, più comprensiva ed equa, non è possibile realizzare comunità umane accoglienti, orientate a realizzare il bene comune, capaci di attivare processi di scambio cooperativo e di sviluppo inclusivo per tutti. Urge quindi apprestare contesti culturali e sociali che aiutino la nascita e l’affermazione di queste nuove comunità, eticamente esigenti ma democraticamente aperte e dialoganti, all’interno delle quali sia possibile sperimentare quella sicurezza e libertà, che sono necessarie al sog8 Confronta su questi temi il testo di R.G. Romano, Virtualità e relazionalità nella cybercultura. Percorsi pedagogici tra ludos e patìa, Pensa Multimedia, Lecce, 2012. getto per costruirsi come persona attiva e responsabile, capace di progettare e costruire nuove realtà più fraterne e libere. Le democrazie, per quanto grave sia la crisi in cui versano e i limiti da cui sono afflitte, non possono rimanere inerti. Come scrive Eric Weil, la democrazia ha “limiti storici, limiti costituiti dalle condizioni sociali, limiti ideologici. Nessuno di questi limiti è definitivo, nessuno è insuperabile dagli uomini di buona volontà e – va da sé- di sana ragione; ma non si supereranno se non si prende la briga di riconoscere e smascherare, sotto il travestimento delle buone intenzioni, la mancanza di chiarezza e la pigrizia del cuore e del cervello. L’uomo è capace di creare un mondo umano; è questo il credo della democrazia, ed è questo credo che distingue il democratico. Bisogna che impari a volerlo ragionevolmente, nelle condizioni che la realtà storica gli offre come solo campo della sua azione”9 . Spetta ad esse, quindi, farsi carico di questo compito, insieme educativo e politico, di ricostruzione di comunità etiche e civiche impegnate nella definizione e nel perseguimento di ciò che può essere da tutti considerato come bene comune, di quel bene cioè che non coincide soltanto con la sommatoria dei beni individuali ma che si riverbera sul benessere di tutti e può essere intenzionalmente perseguito e conseguito soltanto con il contributo di tutti. Per riuscire in questo percorso occorre, tuttavia, che esse rinuncino alla tentazione di percorrere tre pericolose scorciatoie: – la imposizione di ideologismi monocratici dottrinari di varia natura (politica, religiosa, etnica, ecc.), – l’adozione di sofisticati tecnicismi giuridici, tesi a bilanciare gli interessi individuali attraverso regole formali generali, – il vincolo alle istituzioni pubbliche della neutralità valoriale e dell’indifferenza etica rispetto ai vari orientamenti presenti nella realtà sociale e testimoniati dai vari gruppi di cittadini. Si tratta infatti di scorciatoie pericolose perché, sebbene possano a volte far conseguire qualche risultato positivo, tuttavia non sono in grado di offrire garanzia di sicurezza e libertà per tutti 10. La prima ipotesi, infatti, proponendo vecchi e nuovi fondamentalismi (etnici, religiosi, politici, ideologici, ecc.), confida in comunità forti ma assillanti e totalizzanti, che precludono i necessari spazi di libera decisionalità, vitali per la crescita della persona: risulta, quindi, coercitiva e illiberale, incapace di garantire il dialogo tra diversi. Analogamente, anche le altre due posizioni, apparentemente più liberali, 9 Eric Weil, Limiti della democrazia, traduzione e presentazione di Marco Filoni in “Limes. Rivista Italiana di geopolitica” n. 2-2012 “A che serve la democrazia? Finanza über alles – L’Occidente che volle farsi mondo – Alla prova della grande crisi, p. 111. 10 Già J. J. Maritain aveva denunciato le pericolose derive presenti nella politica del ’900 ed aveva individuato la soluzione nella ricostruzione di quel tessuto culturale, etico e spirituale che poteva rappresentare il fondamento di una reale convivenza democratica . Società democratiche tra neutralità e valori QUALEDUCAZIONE • 85 di fatto non garantiscono una effettiva e piena partecipazione ed un aperto ed efficace confronto. Infatti entrambe propongono diversi artifici giuridici (norme, leggi) ed etici (neutralità, indifferenza) per evitare il confronto delle idee dimostrando, così, di considerare irrilevanti quegli orientamenti di senso che dovrebbero, invece, essere posti al centro dell’attenzione. Questi orientamenti di senso sono, invece, fondamentali sia per riuscire a riconoscersi ed accettarsi come interlocutori, sia per potersi confrontare apertamente e in modo approfondito sui temi essenziali lungo il cammino verso la definizione insieme di una agenda comune. In realtà sono molte le società multiculturali, attraversate da diversità e conflittualità, che ancora preferiscono dichiararsi eticamente indifferenti e neutre11 proprio per paura di dover affrontare conflitti difficili da gestire. Questo non risolve i problemi, anzi li Esempi di questa contraddittoria e paradossale difesa del “bene comune” della laicità dello Stato neutrale è la sentenza che in Francia ha imposto il divieto di indossare abiti o segni religiosi in pubblico, perché considerati una esibizione identitaria . Il velo delle musulmane o la croce cristiana, cioè, che potrebbero essere accettabili e legittimi come espressione di futili mode estetiche, sono vietati soltanto perché sono carichi di significati simbolici condivisi da una comunità di credenti, che bisogna occultare nell’agorà quotidiana per non evidenziare le diversità esistenti!! Cfr. su questi temi anche i testi C. Sirna, Oltre la neutralizzazione delle culture e la mimetizzazione delle differenze, in A. Portera e P. Dusi (a cura di), Gestione dei conflitti e mediazione interculturale, Franco Angeli, Milano 2005, pp. 102-119 e C. Sirna, Dalla neutralizzazione delle diversità alla pedagogia del conflitto, in A. M. Di Vita e E. Giambalvo ( a cura di), Figure della differenza. Corpi, generi, culture, CISU, Palermo 2005, pp. 9-30. 11 86 • QUALEDUCAZIONE aggrava perché scoraggia lo sforzo del dialogo, strumento principe per interpretare concretamente e correttamente il compito ed il destino dell’uomo. C’è il rischio che si continui a guardare ai valori, propri e degli altri, come a vessilli da difendere ad ogni costo e non, come dovrebbe essere, come impegnativi “fini da raggiungere”, su cui discutere e ritrovarsi in un percorso condiviso. Non è facile realizzare comunità ed istituzioni che sappiano garantire a tutti i membri la sicurezza mantenendo, allo stesso tempo, un clima di libertà: c’è sempre il rischio che, prima o poi, da case accoglienti queste si tramutino in gabbie e ghetti pericolosi (es. gli Stati etici, totalitari ed invasivi; i movimenti fondamentalisti, le sette religiose, le lobbies occulte, ecc.) oppure, al contrario, che la asettica neutralità delle istituzioni democratiche scoraggi la partecipazione popolare alla vita pubblica ed all’impegno sociale. Quando manca un contenuto etico da difendere, lo Stato rischia di cadere preda delle lobbies, cui garantirà interessi e privilegi, la politica diventa soltanto una tecnica amorale di gestione del potere, ed il “bene comune” si riduce ad una astratta e vaga formula dietro la quale si contrabbandano pressioni di gruppi e logiche partitiche. È quello che sta accadendo oggi, con una globalizzazione attuata all’ombra esclusiva della legge del mercato che ha accelerato i processi di secolarizzazione e di materializzazione e, di fatto, ha diffuso ed imposto la religione unica del consumismo e l’ideologia dell’indifferenza reciproca12, contrabbandate 12 G. Savagnone, I cattolici e la politica oggi. come doverosa “neutralità” dello Stato liberale nei confronti delle religioni positive. Se manca una comunità etica e civile in cui riconoscersi, ognuno cercherà soltanto di difendere e legittimare le proprie pretese e l’azione politica si ridurrà a mediazione degli interessi per la conservazione del consenso. Ha origine così la “prassi equivoca o addirittura disonesta del potere”13 accompagnata dal declino intellettuale e morale della classe politica. Per uscire dalla palude occorre quindi un nuovo progetto culturale e sociale animato di spiritualità e supportato da una efficace azione politica. Deve essere un progetto capace di motivare, mobilitare e responsabilizzare tutti i cittadini, facendoli uscire dall’indifferenza verso la politica ma, anche, aiutandoli a non soggiacere alle tante forme di coinvolgimento emozionale di tipo demagogico, che circolano nei contesti attuali. È tempo di un rinnovato protagonismo positivo, capace di costruire intese finalizzate all’impegno sociale attraverso la sperimentazione di esperienze comunitarie e di pratiche cooperative. Premessa necessaria è la rinuncia ai lobbismi e la ricostruzione di una visione della democrazia che rinunci a fungere da strumento puramente formale di spericolate negoziazioni e di offerte politiche contraddittorie e si impegni, invece, a ritrovare la sua carica ideale nelle originarie aspettative etiche legate alle promesse di libertà, uguaglianza e solidarietà. Sette nodi da sciogliere, Cittadella Editrice, Assisi 2012, p. 38. 13 G. Savagnone, Op. cit., p. 69. Bene comune come giustizia e gratuità Una democrazia che voglia recuperare il senso più profondo della propria essenza non può rinunciare al riconoscimento del valore fondante del dialogo come procedura di convincimento razionale . Esso costituisce quel confronto non superficiale mediante il quale, entrando nel merito delle diverse legittime prospettive in campo, si può sperare di definire, al di là del fisiologico quanto inevitabile conflitto, sia gli elementi che possono costituire il “bene comune”, cioè quei fini e quelle proposte che sono più importanti da raggiungere, sia il modo più opportuno per realizzarli prima possibile, o almeno in parte, con accordi condivisi. Tuttavia un vero dialogo non può affidarsi soltanto all’ottica della legalità e della negoziazione degli interessi in campo: potrebbe produrre anche leggi ingiuste e legittimare privilegi. Quello a cui il dialogo deve mirare è una legalità che va sempre integrata con la ricerca etica di ciò che va oltre la somma degli interessi individuali, quel patrimonio ideale avvertito come senso, destino e direzione comune dell’umanità. Soltanto questo, infatti, merita un impegno comune e cooperativo per la sua realizzazione, un gioco di squadra capace di valorizzare tutti i componenti nella loro diversità nell’ottica del raggiungimento del fine scelto, il superamento di individualismi e frammentazione che diventi cammino assieme per guadagnare tutti di più. Come ricorda Benedetto XVI nella sua “Caritas in veritate”, è la stessa interdipendenza su scala globale che oggi, di fatto, diventa una categoria morale e QUALEDUCAZIONE • 87 politica di fondamentale importanza, il punto di forza da cui partire per cogliere e valorizzare tutte le potenzialità insite nel processo di globalizzazione e finalizzarle alla costruzione di una vera comunità mondiale unitaria. Soltanto se ci riconosciamo come una sola famiglia, infatti, sapremo anche capovolgere l’attuale sviluppo squilibrato e le tante situazioni di ingiustizia e di esclusione che tuttora costituiscono condizioni di vita non buone per i tanti poveri, esclusi ed emarginati. Cogliere il punto di vista dell’etica del “bene comune” non può significare soltanto affermare la ricerca di regole etiche mutuate dalle norme giuridiche (giusnaturalismo positivistico), né può limitarsi alla semplice contrattazione degli interessi individuali in nome della giustizia, ma comporta soprattutto la difesa della comune dignità della natura umana che esige per la persona la libertà, l’uguaglianza dei diritti e soprattutto la fraternità. Il bene comune – precisa il cardinal Bertone, “non va confuso né col bene privato, né col bene pubblico: Nel bene comune, il vantaggio che ciascuno trae per il fatto di far parte di una certa comunità non può essere scisso dal vantaggio che altri pure ne traggono. Come a dire che l’interesse di ognuno si realizza assieme a quello degli altri, non già contro (come accade nel bene privato) né a prescindere dall’interesse degli altri (come succede con il bene pubblico) . In tal senso ‘comune’ si oppone a ‘proprio’, così come ‘pubblico’ si oppone a ‘privato’. È comune ciò che non è solo proprio, né ciò che è di tutti indistintamente”14. 14 I. Bertone, L’etica del bene comune nella 88 • QUALEDUCAZIONE Muoversi nella logica del bene comune, quindi, significa ispirarsi al principio di reciprocità che esclude le varie forme di opportunismo (di chi attende solo di essere assistito) ma supera anche l’atteggiamento puramente filantropico ( concessione unilaterale) ed il semplice scambio tra equivalenti (do ut des). Nella interpretazione della dottrina sociale della Chiesa cattolica, ad esempio, l’idea di bene comune non si riduce all’idea di società giusta e solidale, diretta soltanto “a rendere uguale i diversi” e a soddisfare i diritti dei cittadini ai beni di giustizia. Il vero “bene comune” per il cristiano è qualcosa di più ricco ed impegnativo: é realizzare una società “fraterna” che “consente agli eguali di affermare la propria diversità” e promuovere, accanto ai beni di giustizia, anche quei “beni di gratuità”15 e di sovrabbondanza (come l’amicizia, la compassione, il perdono, ecc.), fondamentali per il bisogno di felicità perché fondati sul riconoscimento di “un’obbligazione” che deriva dallo speciale legame che ci unisce come persone. Una società è capace di sviluppo e di futuro soltanto se, accanto allo scambio contrattuale ed alla redistribuzione giusta della ricchezza, sa testimoniare anche la reciprocità fraterna e la forza dirompente del legame gratuito e libero che anima la vita di comunità. Gradottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, 2007, p. 31. 15 Sull’importanza del principio di gratuità in economia si veda S. Zamagni, L’economia del bene comune, Citta Nuova 2004; ma anche i volumi di L. Bruni, Reciprocità. Dinamiche di cooperazione, economia e società civile, Mondadori 2006; Il prezzo della gratuità, Citta Nuova, 2008; La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, Il Margine, 2007. tuità, dono e perdono sono le attività etiche e simboliche che rendono possibile e rafforzano il senso di appartenenza alla comunità ed arricchiscono l’esistenza umana16. Indubbiamente, spetta alle società democratiche utilizzare il diritto per tutelare il principio della libertà e dell’uguaglianza, assicurare rispetto esteriore, protezione dei beni materiali e ripartizione secondo regole stabilite. Se tutto questo è sicuramente necessario, non sempre però risulta sufficiente a garantire una convivenza umana veramente arricchente e soddisfacente come è quella che promuove anche l’amicizia civile e la fraternità, ispira disinteresse, distacco dai beni materiali, atteggiamenti di gratuità , disponibilità nei confronti dell’altro e reciprocità17. La storia ci ricorda che tanti si sono cimentati nella difficile definizione del bene comune ma gli esiti non sono stati sempre positivi: tante ideologie comunitariste e tanti movimenti politici e religiosi, pur mossi da buone intenzioni, paradossalmente hanno suscitato anche guerre lunghe e sanguinose per affermarlo. Bisogna riconoscere, tuttavia, che molti sono stati anche i contributi che le varie realtà comunitarie hanno apportato nelle varie epoche ai processi di pacificazione e di positivo rinnovamento della civiltà umana. Ad esempio, proprio nell’Occidente rissoso ed impe- 16 Sulla valenza educativa della gratuità e del perdono v. anche il mio contributo: C. Sirna, Educazione alla libertà come educazione al perdono, in C. Sirna (a cura di), Tempo formativo e creatività. Scritti in onore di Leone Agnello, Pensa Multimedia, Lecce 2007, I tomo pp. 231-239. Cfr. il Compendio della dottrina sociale della Chiesa. 17 rialista, ispirate dal mondo spirituale cristiano, sono nate anche le maggiori conquiste civili, politiche, economiche e sociali. Sono tante soprattutto le proposte e le innovazioni economico-giuridicofinanziarie introdotte dalle comunità religiose (benedettini, francescani, gesuiti, ecc.) che hanno segnato la nascita e lo sviluppo del moderno stato sociale e della stessa economia di mercato: iniziative sorte tutte per migliorare e rispettare la dignità delle persone, cercando soluzioni razionali originali (es. nella organizzazione del lavoro e degli scambi – nella diffusione del prestito per produrre il miglioramento delle condizioni dei non abbienti – nella realizzazione di attività di sviluppo cooperativo, ecc.) non limitate esclusivamente a forme di elemosina e di assistenza18 . La società occidentale ha potuto sviluppare la democrazia e le stesse idee di libertà, uguaglianza e fraternità proprio perché si è alimentata della idealità e della spiritualità delle comunità religiose, cristiane e non, che hanno interpretato la fede non come un fatto privato, individuale e interioristico, ma come una forza operativa ed unitiva, un legame fondante testimoniato fattivamente nella sua carica vitale all’interno della vita sociale. Anche oggi la dottrina sociale della Chiesa, mentre rispetta l’esigenza di laicità delle istituzioni pubbliche, contribuisce al dialogo democratico sul bene comune proponendo, in controtendenza rispetto alle teorie dominanti, di guardare ai poveri come “risorse” e non come problemi. Accogliendo la 18 L. Bruni, A. Smerilli, Benedetta economia. Benedetto di Norcia e Francesco d’Assisi nella storia economica europea, Citta Nuova, 2008. QUALEDUCAZIONE • 89 sfida della globalizzazione che caratterizza il XXI secolo, trova in essi la vera opportunità di rinnovamento per la comunità mondiale. Nell’enciclica “Deus caritas est” Benedetto XVI indica infatti la gratuità e la fraternità come punto di riferimento della condizione umana e considera l’esercizio del dono come il presupposto indispensabile affinché Stato e mercato possano funzionare avendo di mira il bene comune. Senza pratiche estese di dono si potrà anche avere un mercato efficiente ed uno Stato autorevole (e perfino giusto), ma di certo le persone non saranno aiutate a realizzare la gioia di vivere. Perchè efficienza e giustizia, anche se unite, e insieme, non bastano ad assicurare la felicità pubblica.”19 È rivoluzionario pensare che lo spirito del dono non debba essere relegato soltanto nella sfera privata ma possa trovare spazio anche nella sfera pubblica, valere per l’economia e rinnovare la politica. Abbiamo tanto bisogno oggi di una politica e di una economia laiche ma eticamente attente, che sappiano cogliere l’invito religioso a riconoscere A questo tema è dedicato nell’enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, (2009), tutto il cap. III dal titolo “Fraternità, sviluppo economico e società civile” (pp. 52-70) nel quale si precisa che, “Mentre ieri si poteva ritenere che prima bisognasse perseguire la giustizia e che la gratuità intervenisse dopo come un complemento, oggi bisogna dire che senza la gratuità non si riesce a realizzare nemmeno la giustizia [….] Carità nella verità significa che bisogna dare forma e organizzazione a quelle iniziative economiche che, pur senza negare il profitto, intendono andare oltre la logica dello scambio degli equivalenti e del profitto fine a se stesso” (p.60-61) , cioè alle organizzazioni produttive che perseguono fini mutualistici e sociali attuando una sorta di economia della gratuità. . 19 90 • QUALEDUCAZIONE il “primato della relazione, del legame intersoggettivo sul bene donato, dell’identità personale sull’utile”20 . Educazione e politica in “dialogo” per il “bene comune” È evidente che la costruzione di questo tipo di bene comune non é mai del tutto realizzabile, perché legato soprattutto ai complessi e lenti processi che regolano la maturazione culturale e spirituale dell’umanità. Ancor più difficile diventa oggi in una realtà in cui prevale una cultura egoprotettiva ed autocentrata, che confonde il bene col benessere, che esalta la fuga dall’impegno dei sentimenti, che preferisce l’estetica all’etica. Si è andata profilando ormai l’affermazione di un tipo di comunità molto fragile e poco coesa, fondata sull’apparenza e sullo spettacolo: sembra quasi una comunità che ha deciso di disfarsi di se stessa perché è diventata una comunità di individui “soli” che non cercano più un “pensare condiviso” ed uno “star bene insieme”. Sembra che il potere dell’educazione ed il governo della politica, che di questo stare insieme dovrebbero essere i costruttori e garanti, siano progressivamente venuti meno. Sono stati sostituiti sia dalla forza seduttiva di illusorie forme di comunicazione mediatica e telematica, sia dai vincoli di modelli di propaganda captativi, tesi ad enfatizzare le differenze e le divisioni. Entrambi non aiutano a maturare la consapevolezza dei grandi problemi comuni, né contribuiscono a far crescere la sensi- 20 T. Bertone, op.cit., p. 55. bilità all’apertura verso forme più ricche di vita comunitaria e neppure stimolano forme di impegno trasformativo e creativo di tipo cooperativo. Tende a crescere, piuttosto, la paura del confronto e del conflitto e, conseguentemente, prevale il disperante bisogno di difendersi dagli altri, un bisogno che impoverisce tutti perchè li imprigiona in una spirale perversa. È ancora possibile recuperare e riproporre un concetto di comunità diverso, dove la conoscenza non sia finalizzata soltanto allo sviluppo di una cultura personale ma trovi il suo senso più profondo nel diventare strumento di servizio agli altri? C’è spazio per una educazione ed una politica che, in modo coordinato ed integrato, non siano più un sottoprodotto dell’attuale degrado sociale, ma recuperino il ruolo di “motori” del cambiamento e della ricostruzione di una comunità capace di un pensare condiviso? Senza questa visione prospettica – dice De Beni – educazione e politica negherebbero la loro stessa funzione, quella che le fa essere, in primo luogo, strumenti per costruire fiducia nel futuro e garanzie contro le forme peggiori di disunità, distruzione, sopraffazione e miseria. Ad esse, pertanto, spetta il compito di riuscire a far maturare persone capaci di condividere responsabilmente i problemi e di porre limiti alla propria avidità, collaborando con saggezza alla prevenzione di tante situazioni disastrose e trovando modi più intelligenti e più sicuri di coesistenza. L’esito, mai scontato, dipende in primo luogo dal modo in cui la politica riuscirà a promuovere ed apprestare contesti socio-economici e giuridici rispettosi della dignità delle persone, muovendosi all’interno dei quali sia possibile canalizzare, favorire e garantire la formazione e la partecipazione comunitaria. Accanto al compito politico, non meno importante ed urgente risulta anche il lavoro educativo, tanto più efficace quanto più mirato a sviluppare il senso di comunità e la corresponsabilizzazione. Va in questa direzione la proposta educativa dell’apprendimento servizio21, che si fa promotrice di una cultura rispettosa dell’altro, aperta al dialogo ed orientata alla cooperazione attraverso l’esercizio di un comportamento prosociale-altruistico22. In questo tipo di percorso, infatti, i processi di apprendimento non vengono attivati in modo formale ed astratto, ma vengono presentati come intimamente correlati con le esigenze di servizio alla comunità, emergenti dai bisogni e collegati alla risoluzione dei problemi. 21 La proposta dell’apprendimento-servizio (ApS), di cui Maria Nieves Tapia delinea i contorni nel volume Educazione e solidarietà. La pedagogia dell’apprendimento-servizio, Città Nuova, Roma 2006), è già operativa in molti paesi nel mondo, soprattutto in America latina dove è applicata sia in ambiente scolastico che extrascolastico e risponde all’esigenza di responsabilizzare gli apprendenti relativamente alle numerose e gravi problematiche delle comunità in cui vivono, attivando un loro pieno ed attivo protagonismo. 22 M. De Beni, Sviluppo della prosocialità e apprendimento-servizio, Introduzione a M. N. Tapia, Educazione e solidarietà. La pedagogia dell’apprendimento-servizio, Città Nuova, Roma 2006, pp.7-19. “Con prosocialità si indicano quei comportamenti finalizzati ad aiutare un’altra persona o gruppo, senza che esista previamente alcuna forma di ricompensa esterna. Si tratta di modi di pensare e di comportamenti socialmente positivi, che spesso richiedono un costo personale, un ‘sacrificio’ da parte di un individuo o di un gruppo a beneficio di altri, un’intenzione anche esplicita di ridurre disagi, disuguaglianze, ingiustizie, violenza, ecc.” (p. 12). QUALEDUCAZIONE • 91 Si tratta di una proposta educativa efficace proprio perché il suo fondamento poggia essenzialmente sul lavoro cooperativo di una comunità degli educatori, capaci di creare un clima positivo di accoglienza con il loro comportamento coerente e dialogante, prima ancora che con le esortazioni morali. Si preoccupano di insegnare agli apprendenti soprattutto ad essere persone in comunione con altre persone, a riconoscere gli altri punti di vista, ad avvicinarsi al sapere non in modo individualistico o solo cognitivo ma procedendo insieme, nell’interdipendenza degli uni verso gli altri. La diffusione sempre maggiore in tanti paesi di queste esperienze di apprendimento-servizio conferma che, laddove esiste un contesto di tipo comunitario pro-sociale, esso è in grado di sprigionare quella forza educativa che riesce a dare solidità e durata alle trasformazioni perché diventa capace di attivare, orientare e coordinare le tante energie soggettive, motivandole e supportandole nel loro sviluppo verso forme sublimate e continuative di dialogo e di gratuità. Niente, invece, cambia in senso positivo se manca una comunità di persone che, credendo, scommettano e si impegnino in quella che si configura come l’unica autentica rivoluzione positiva, quella contro la disperante frammentazione ed insensatezza di una realtà ogni giorno più drammaticamente complessa ed ingovernabile. Queste esperienze di apprendimento-servizio si affiancano, in verità, a tante altre forme di impegno educativo attualmente presenti e funzionanti nei più vari contesti, tutte nate da gruppi altamente motivati, spiritualmente molto ricchi e idealmente coerenti. Sono queste realtà che oggi ci aiutano 92 • QUALEDUCAZIONE a sperare nella possibilità di un miglioramento ed a scommettere sulla forza che si sprigiona da una comunità che crede nell’educazione e nella potenza trasformativa e costruttiva del dialogo. Esse ci indicano la via che funziona in ogni continente e sotto ogni cielo, e che può valere quindi anche per le nostre imperfette democrazie, dove quotidianamente dobbiamo fare i conti con forme di strapotere, mercanteggiamenti utilitaristici, ricatti e logiche clientelari. Vale sempre la pena lottare per evitare che prevalga la mentalità impersonale dell’opinione pubblica, la cultura dell’ovvio, la voglia di illudersi che esistano soluzioni facili e miracolose ai problemi complessi, il desiderio di assicurarsi privilegi personali, l’indifferenza per il saccheggio delle risorse comuni, il disimpegno e la mancanza di iniziativa. Certamente occorrono democrazie che siano rianimate dalla forza delle comunità che vivono al loro interno, rivitalizzate dalla partecipazione di cittadini impegnati nella difesa della dignità di tutti e che non si affidino soltanto a leggi e cavilli giuridici formali, preoccupati soltanto di difendere i propri privilegi o le disparità esistenti! Un dialogo corretto e fraterno tra persone responsabili rappresenta lo spazio più adatto per un cammino di promozione di una cultura comunitaria e di fraternità che politica ed educazione, in modo integrato, sono chiamate a costruire: spetta ad entrambe proporre ed attuare provvedimenti sia di tipo politico-amministrativo sia di ordine socio-pedagogico, tesi al rafforzamento dei contesti istituzionali ed alla formazione e supporto di persone capaci di libertà di pensiero e di azione, e quindi di vero dialogo. L’impegno educativo, spesso sottovalutato, rappresenta, a nostro avviso, la vera sostanza del processo dialogico perché va alla radice dei problemi, avviando quei necessari processi di coscientizzazione che alimentano la sostanza della vita democratica. Un compito educativo siffatto, coerentemente supportato dall’impegno politico di governo delle cornici istituzionali e dei processi operativi che consentono la libera partecipazione di tutti, rappresenta, oggi come ieri, il vero motore della storia. Non sempre questo compito educativo, di cui si alimenta il benessere e la vita stessa delle società, viene oggi bene interpretato e realizzato all’interno delle varie realtà sociali. Troppo spesso di esso si continua a disconoscere la dimensione etico-valoriale fondante, considerata superflua ed esornativa, e si tende invece a relegarlo nella fascia di una operatività finalizzata esclusivamente all’utilità. È riduttivo limitarsi a rispondere soltanto alla preoccupazione, sicuramente seria ma non esaustiva, di offrire a tutti i soggetti quegli strumenti operativi e quelle risposte tecniche che sono indispensabili a ciascuno per operare e sopravvivere, attuando i propri progetti di vita. Competenza ed eticità non vanno contrapposte nel processo formativo, perché costituiscono entrambe fattori ineludibili del progresso umano. È pericoloso sottovalutare il peso e l’indispensabile apporto che ciascuna di esse garantisce. La tentazione di ridurre lo scambio intergenerazionale al semplice scambio di competenze tecno-scientifiche ed operative, che aiutano il soggetto a tutelare il proprio interesse, se apparentemente può sembrare libera- toria di energie positive in ogni attività, sia essa economica, politica, scientifica, artistica o tecnica, nel lungo periodo rischia inevitabilmente di impoverire e distruggere il benessere comune e la stessa esistenza collettiva ed espone a pericolosi squilibri. Se manca il fondamentale e primario rispetto della persona che si apre al bene comune in un atteggiamento dialogico e solidale, se si pensa di poter fare a meno della dimensione etica e valoriale preoccupandosi esclusivamente degli effetti a breve termine, prima o poi gli esiti saranno inevitabilmente negativi per tutti ed a tutti i livelli. Come scriveva Don Luigi Sturzo, l’assenza di ideali superiori ha come esito che “tutto si deturpa: la politica diviene mezzo di arricchimento, l’economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, l’arte decade nel meretricio”23. Oggi si continua a chiedere alle agenzie educative formali ed alle istituzioni politiche di provvedere a migliorare la formazione dei cittadini, giovani e non, in tutti i campi del sapere ma in modo frammentato. (educazione alimentare, sanitaria, tecnologica, economico-finanziaria, civico-istituzionale, ecc.). Quello che è veramente urgente per il nostro tempo, a nostro avviso, è recuperare il compito primario dell’educazione che consiste nel coltivare in ogni uomo la capacità di superare l’ottica angusta che lo tiene legato, esclusivamente ed in modo miope, ad aspetti settoriali e a bisogni soggettivi, per 23 Cfr. L. Sturzo, Coscienza e politica (1953), Zanichelli, Bologna 1972 (a), in Opera Omnia di Luigi Sturzo, a cura dell’Istituto Luigi Sturzo, I serie (Opere), voll. V e VI. QUALEDUCAZIONE • 93 aprirsi a scelte di ampio respiro24, impegnate a difendere e potenziare l’intera comunità umana e l’ecosistema del pianeta di cui si alimenta. La rivista “Qualeducazione” da un trentennio valorosamente porta avanti questo progetto educativo in modo egregio, contribuendo alla sensibilizzazione sui temi cruciali del nostro tempo con l’apporto della riflessione approfondita di studiosi italiani e stranieri di grande caratura scientifica oltre che di grande umanità. Siamo grati a tutti loro e in modo particolare al suo fondatore, Giuseppe Serio, il quale nel difficile contesto calabrese è stato, e continua ad essere, testimone attivo e grande animatore di un dialogo aperto, coinvolgente e costruttivo che contribuisce alla reale ricostruzione educativa del vivere civile. Bibliografia Baroni E., Rivolta G., Libertà personale e bene comune. Cinque rivoluzioni per cambiare se stessi e il mondo, prefazione di G. Sapelli, IPOC Milano 2011. Bauman Z., Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erickson, 2007. Benedetto XVI, Deus caritas est, Libreria editrice Vaticana, Roma 2005. Benedetto XVI, Caritas in veritate, Libreria editrice Vaticana, Roma 2009. Bertone I., L’etica del bene comune nella dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice vaticana, Roma 2007. Bruni L., Smerilli A., Benedetta economia. Benedetto di Norcia e Francesco d’Assisi nella storia economica europea, Citta Nuova, 2008. 24 T. Nagel, La possibilità dell’altruismo, Il Mulino, Bologna 1994; E. De Bono, La rivoluzione positiva, Sperling & Kupfer, Milano 2000 (1991). 94 • QUALEDUCAZIONE Bruni L. , Reciprocità. Dinamiche di cooperazione, economia e società civile, Mondadori 2006. Bruni L., Il prezzo della gratuità, Cittanuova, 2008. De Beni M., Sviluppo della prosocialità e apprendimento-servizio, Introduzione a Tapia M. N., Educazione e solidarietà. La pedagogia dell’apprendimento-servizio, Città Nuova, Roma 2006, pp.7-19. De Bono E., La rivoluzione positiva, Sperling & Kupfer, Milano 2000 (1991). Fiorin I., Se la scuola non fa politica, che cosa fa? in “Tuttoscuola”, n. 496 nov. 2009 pp. 44-45. Levinas E., Totalità e infinito, trad. di A. dell’Asta, Jaca Book, Milano, 1980. “Limes” Rivista italiana di Geopolitica n.2, 2012 - A che serve la democrazia? Finanza über alles. L’Occidente che volle farsi mondo. Alla prova della grande crisi. Nagel T., La possibilità dell’altruismo, Il Mulino, Bologna 1994. Romano R. G., Virtualità e relazionalità nella cybercultura. Percorsi pedagogici tra ludos e patìa, Pensa Multimedia, Lecce, 2012. Savagnone G., I cattolici e la politica oggi. Sette nodi da sciogliere, Cittadella Editrice, Assisi 2012. Santerini M., Antisemitismo senza memoria. Insegnare la shoah nelle società multiculturali, Carocci, Milano 2005. Sirna C., Interculturalità come neo-colonialismo culturale?Appunti per una pedagogia post-coloniale, post-ideologica ma non neutrale in Hamburger F., Sirna C., Interculturalità come progetto politico e come pratica pedagogica, Pensa Multimedia, Lecce 2008, pp. 31-46. Sirna C., Oltre la neutralizzazione delle culture e la mimetizzazione delle differenze, in A. Portera e P. Dusi (a cura di) Gestione dei conflitti e mediazione interculturale, Franco Angeli, Milano 2005, pp. 102-119. Sirna C., Dalla neutralizzazione delle diversità alla pedagogia del conflitto, in A. M. Di Vita e E. Giambalvo ( a cura di), Figu- re della differenza. Corpi, generi, culture, CISU, Palermo 2005, pp. 9-30. Sirna C., Emergenza come bisogno di relazione, in “Studium educationis” vol. 1, n. 3, dicembre 2008, Erickson, pp. 85-98. Sirna C., Educazione alla libertà come educazione al per-dono, in Sirna C. (a cura di) Tempo formativo e creatività. Scritti in onore di Leone Agnello, Pensa Multimedia, Lecce 2007, I tomo pp. 231-239. Sirna C., Metafore di libertà, nel volume E. Colicchi (a cura di), Educazione e libertà nel tempo presente, A. Siciliano, Messina-Civitanova Marche, 2008, pp. 313-336. Sirna C., Nuovi volti della cittadinanza nell’era postnazionale in A. Portera, P. Dusi, B. Guidetti, (a cura di), L’educazione interculturale alla cittadinanza. La scuola come laboratorio, Carocci 2010, pp. 45-55. Sturzo L., Coscienza e politica (1953), Zanichelli, Bologna 1972 (a), in Opera Omnia di Luigi Sturzo, a cura dell’Istituto Luigi Sturzo, I serie (Opere), voll.V e VI. Viola F., La crisi della politica come comunità di vita, in “Dialoghi” 1, 2001. Zamagni S., Dottrina sociale della Chiesa e bene comune, Mimeo, Bologna 2007. Zamagni S., L’economia del bene comune, Città nuova, Roma 2007. Zamagni S., Beni comuni e bene comune, in www.WPAICCON, gennaio 2012. Weil E., Limiti della democrazia, traduzione e presentazione di Marco Filoni in “Limes. Rivista Italiana di geopolitica” n. 2-2012 “A che serve la democrazia? Finanza über alles – L’Occidente che volle farsi mondo – Alla prova della grande crisi, pp. 103-111). ACTA PAEDAGOGICA Collana diretta da Giuseppe Serio 1 – aa.vv. EDUCAZIONE ALLA PACE. UN PROGETTO PER LA SCUOLA DEGLI ANNI ’80. (1981) Roma, Città nuova (esaurito) 2 – aa.vv. I VALORI SOCIO-POLITICI NELLA VITA GIOVANILE E NELLE ISTITUZIONI EDUCATIVE DEL NOSTRO TEMPO. A cura di Filomena Serio. (1983) 272 p. £. 25.000 (esaurito) 3 – aa.vv. EDUCAZIONE ALLA GIUSTIZIA. A cura di F. Fusca, E. Esposito, F. Serio. (1984) 219 p. £. 22.000 (esaurito) 4 – aa.vv. I DIRITTI UMANI. PRESENTE E FUTURO DELL’UOMO. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1986) 291 p. £. 25.000 (10 copie) 5 – aa.vv. EDUCAZIONE E DEMOCRAZIA TRA CRISI E INNOVAZIONE. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1988) 192 p. £. 25.000 (30 copie) 6 – aa.vv. DOVE VA LA SCIENZA? EDUCAZIONE ALLA CONOSCENZA E ALLA RESPONSABILITÀ. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1990) 236 p. £. 25.000 (200 copie) 7 – aa.vv. EDUCAZIONE ALLA SALUTE TRA PREVENZIONE E ORIENTAMENTO. A cura di L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1992) 184 p. £. 20.000 (esaurito) 8 – aa.vv. EDUCAZIONE AL LAVORO NELL’EUROPA DEGLI ANNI ’90. A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio. (1992) 172 p. £. 20.000 (esaurito) 9 – aa.vv. POPOLI CULTURE STATI A cura di M. Borrelli, L. Corradini, A. Pieretti, G. Serio (1994) 330 p. £. 35.000 (25 copie) 10 – aa.vv. L’UOMO NOMADE. UNA METAFORA DEL NOSTRO TEMPO A cura di A. Pieretti (90 copie) 11 – aa.vv. LA NONVIOLENZA. UNA PROPOSTA EDUCATIVA PER IL TERZO MILLENNIO A cura di G. Serio-V. Pucci (1998) 296 p. £. 40.000 (poche copie) 12 – aa.vv. PEDAGOGIA E CULTURA PER EDUCARE Saggi in onore di Giuseppe Serio A cura di L. Corradini (2006) 320 p. E 25,00 13 – aa.vv. EDUCARE ALL’ONESTÀ, OGGI, NELLA FAMIGLIA, NELLA SCUOLA, NELLE ISTITUZIONI A cura di M. Borrelli-G. Serio ⌛ QUALEDUCAZIONE • 95 La mediazione culturale come strategia per facilitare il dialogo di FATANE HASSANI JAFARI* Riassunto I flussi migratori sono determinati da motivazioni diverse tra loro, ma sono uno dei fenomeni dominanti la nostra epoca. Tuttavia, troppo spesso ancora agli immigrati viene chiesto di abbandonare la propria cultura d’origine e assumere senza troppi discostamenti quella del paese di accoglienza. Questo comporta un impoverimento sia per i migranti che per i paesi ospiti. L’autrice racconta la propria esperienza di migrante e da lì parte per analizzare le difficoltà che incontrano soprattutto i bambini migranti e le loro famiglie. Difficoltà che almeno in parte possono essere alleviate con il supporto del mediatore culturale, che può aiutare gli stranieri (soprattutto le donne, i bambini) ad inserirsi nel nuovo paese, nel modo in cui questo è organizzato, ma può anche favorire l’incontro tra il modo in cui lo straniero vede se stesso e il proprio modo di vivere nel mondo e le stesse rappresentazioni negli autoctoni, anche in vista di un dialogo che sarebbe in grado di arricchire entrambi. Abstract Migratory streams are caused by different reasons, however they are one of the dominant phenomenon in our society. Nevertheless, immigrants are very often asked to abandon their own original culture and adopt that of the host country without too many divergences. * Patame Shahr ray, Department of educational of Sciences University Payam Noor di Tehran - Iran. 96 • QUALEDUCAZIONE This means an impoverishment for migrant people and for host countries as well. The author tells her own experience as a migrant and goes on analyzing the difficulties especially encountered by migrant children and their families. Such difficulties can be partly solved thanks to the help of cultural mediators who are able to help foreigners (especially women and children) to integrate within the host society The cultural mediator acts as a point of encounter between the foreigner’s perception of him/herself and the way of living in the world, as well as the same representations done by autochtones, in such a way that a common dialogue is established. Globalizzazione e migrazioni La storia dell’umanità è storia di flussi migratori. Fin dai tempi più antichi, dalla preistoria, individui, piccoli gruppi o interi popoli sono migrati attraverso il pianeta alla ricerca di sicurezza, di migliore benessere o per cercare di realizzare le proprie aspirazioni. Lo stesso popolamento dei continenti è stato determinato da questo spostamento di ingenti masse di uomini o di piccoli gruppi alla ricerca di migliori possibilità di vita e di sviluppo. Allora come oggi si poteva fuggire da avverse condizioni climatiche (carestie, catastrofi naturali), dalla fame, dalla guerra, dalla miseria o dalla schiavitù; oppure si lasciava il luogo di nascita per cercare condi- zioni di vita migliori, per creare nuove realtà e nuovi paesi, per cercare di realizzare il sogno di una vita migliore per se stessi e per i propri figli. Gli studiosi hanno suddiviso i fattori che stanno alla base della scelta migratoria come fattori di espulsione (push factors) e fattori di attrazione (pull factors): i primi sono quelli che spingono le persone a lasciare il paese d’origine, i secondi quelli che inducono a raggiungere un altro paese o un’altra città.Oggi la situazione è in parte analoga a quella del passato, in parte è amplificata dalle diverse condizioni del pianeta. Molti paesi oggi sono contemporaneamente meta di flussi migratori e luoghi di partenza di migranti, in quanto attraggono gli appartenenti a paesi più poveri pur non avendo condizioni di grande prosperità. La popolazione mondiale negli ultimi anni è aumentata con un ritmo sconosciuto alle epoche passate e questo, unito ad una ingiusta suddivisione delle risorse su scala planetaria, produce nelle generazioni più giovani il bisogno di cercare di sfuggire ad un destino di miseria o di mediocrità per cercare condizioni di vita migliori in quei paesi che presentano livelli di qualità della vita più elevati. Detto altrimenti, lascia il proprio paese chi ritiene di non potere in alcun modo trovare al suo interno le risorse per raggiungere un tenore di vita accettabile o un adeguato aumento delle proprie condizioni di benessere ed ha delle risorse personali da tentare di investire in una nuova realtà1. 1 Cfr. G. Carlini, Note sulle migrazioni contemporanee, in D. Barra, W. Bereta Podini (a cura di), Le migrazioni. Educazione interculturale e contesti interdisciplinari, Roma, CRES/Edizioni Lavoro, 1995, p. 24. La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e dei cosiddetti new media, inoltre, rende sempre più possibile venire a conoscenza di modelli di vita diversi, anche se spesso ne fornisce rappresentazioni semplificate, quando non falsate e spettacolari. Questa apertura di orizzonti spinge, soprattutto le giovani generazioni, a desiderare di sperimentare altri modelli di vita, a cercare vie di fuga da condizioni di vita considerate impossibili, inaccettabili o più semplicemente indesiderabili. A questo si aggiunga il flusso dei cosiddetti migratori temporanei, di tutti quei giovani che si recano all’estero per motivi di studio o di lavoro per periodi brevi o mediolunghi, ma avendo in mente di tornare in patria. Nel considerare la realtà delle migrazioni sarebbe sbagliato e miope considerare soltanto l’aspetto di miglioramento legato al cambiamento. Migrare, abbandonare il proprio paese d’origine per studiare, lavorare o vivere fuori, è faticoso, spesso porta sofferenze cui non si pensa e che gravano su coloro che vivono questa esperienza: l’ampliamento delle proprie conoscenze e competenze è legato anche ad una perdita o al rischio di una perdita: la perdita delle proprie radici, del senso del valore della propria appartenenza culturale precedente. Spesso è difficile sia comprendere la cultura del paese d’arrivo che farsi capire dai suoi abitanti, soprattutto quando ci si trova in condizioni di debolezza o di bisogno: si pensi ai bisogni legati alla salute o alla tutela dei diritti rispetto alla propria posizione di lavoratore. Tali sofferenze sono però ancora maggiori per i nuclei familiari, in cui i genitori sono spesso combattuti tra la volontà di vedere i propri figli vivere serenamente il loro inserimento nel nuovo paese, senQUALEDUCAZIONE • 97 za dover affrontare pesanti esperienze di esclusione o di derisione per la loro diversità, e il desiderio che essi non dimentichino la cultura, la lingua, le usanze, i valori del paese da cui loro stessi provengono. Magari l’ambiente di vita dei ragazzi sarà senz’altro il nuovo paese, ma i genitori desiderano che non tutto il bagaglio culturale che ha costituito il terreno più significativo della loro crescita venga ignorato dai figli. È fin troppo frequente che agli immigrati il paese di accoglienza chieda proprio questo: di dimenticare la propria cultura precedente, le proprie tradizioni, le modalità di affrontare la vita e i problemi, e di accogliere senza discuterle quelle del nuovo paese. La scuola, ad esempio, fin troppo spesso si limita a cercare di inculcare nei nuovi arrivati la lingua e la cultura del paese ospite senza far alcuno sforzo per tenere conto del fatto che i bambini o i ragazzi sono portatori di una propria cultura, che è quella che vivono all’interno della loro famiglia o che hanno sperimentato nel paese che hanno lasciato per seguire i genitori. La cultura d’origine è ignorata o fraintesa e trasformata in uno strumento di discriminazione, quasi fosse solo un folclore che è bene sia abbandonato il più presto possibile, o il retaggio di una forma di incultura o barbarie che va superata attraverso un atteggiamento rigoroso o discriminatorio. Chi fatica ad apprendere i nuovi codici, i nuovi usi o si attarda nel rispetto dei propri, viene considerato ingrato, pigro o stupido e raramente ci si chiede se ci siano motivazioni più profonde che lo tengono legato alle sue radici. Il peso di conservare il legame con la cultura di origine, quando non è espressamente ostacolato in un’ottica assimi98 • QUALEDUCAZIONE latrice, viene lasciato per intero sulle spalle dei genitori, che non sempre hanno gli strumenti per farlo. Io stessa, nella mia esperienza di migrante in Italia, dove ho vissuto per numerosi anni per motivi di studio e di lavoro, ho potuto conservare il rapporto tra i miei figli e la mia cultura d’origine solo al prezzo molto alto di uno sforzo personale continuo e intenso. Ho seguito personalmente e con perseveranza i miei figli nello studio della lingua e della cultura persiana, nella loro formazione personale e religiosa, ho cercato con determinazione i contatti per fare in modo che la loro formazione culturale e professionale consentisse loro di mantenere aperta la possibilità di realizzarsi nella società iraniana come in quella italiana, senza trasformare la loro doppia appartenenza in un rischio di impoverimento. Ho costantemente mediato tra le due culture, per consentire loro di non confondersi e non perdersi. In questo sono stata aiutata però anche dagli studi che andavo facendo e da una consapevolezza profonda del progetto di vita che avevo per loro. Non tutti i migranti hanno le stesse caratteristiche e la maggior parte di loro ha bisogno di essere aiutata per poter perseguire questi obiettivi. Sono convinta, d’altra parte, che perseguirli sia utile anche nell’interesse della società che ospita i migranti, perchè trascurare la cultura d’origine porta ad un impoverimento non solo delle persone, ma anche della qualità delle risorse umane che in quel paese si recano contribuendo allo sviluppo economico e produttivo. Occorre inoltre tener presente che, come si è visto già nei paesi di più antica immigrazione, il riconoscimento della diversità culturale all’interno di una società multiculturale rappresenta il modo più efficace per evitare l’insorgere di forme di violenza legate alla tutela di identità d’origine spesso trasformate in miti e distorte rispetto alla realtà. I bambini stranieri a scuola Ovunque nel mondo, i migranti vengono visti dalla legislazione del paese ospite solo come lavoratori: forza lavoro che temporaneamente o in maniera più stabile si inserisce nel tessuto produttivo del Paese producendo ricchezza. È in funzione di questo che la loro presenza viene regolata sia negli aspetti formali (permessi di soggiorno, riconoscimento di diritti civili) che sociali (riconoscimento di diritti sociali, come la tutela sanitaria e le condizioni abitative). Molte volte, anche a livello umano, lo straniero, colui che presenta una diversità culturale o somatica, viene guardato con sospetto o sufficienza, come potenziale nemico o come peso, soprattutto se si sposta dal suo paese spinto dal bisogno. Una problematica particolare presenta l’incontro tra il bambino o il ragazzo e la cultura del paese ospite attraverso la scuola. Questi minori emigrano soprattutto al seguito delle famiglie, anche se nelle società occidentali non è raro il fenomeno dell’arrivo di minori stranieri adottati all’estero o di quelli non accompagnati, casi che producono ulteriori problemi per la loro tutela fisica e psicologica2. Col passare degli anni aumenta poi la presenza dei figli di stranieri nati nel paese accogliente, 2 Cfr. D. Demetrio-G. Favaro, Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1997, pp. 39 segg. ma che non per questo possono essere considerati sradicati dal contesto socio-culturale delle famiglie di appartenenza. Questo, invece, è quello che generalmente accade. La lingua materna viene completamente ignorata, anche perchè all’interno della scuola non vi sono figure professionali che la parlino e gli insegnanti sono tutti formati nella lingua nazionale, frequentemente associata alla loro lingua regionale e a qualche lingua straniera tra quelle considerate importanti. In genere, il bambino (o anche il ragazzo o la ragazza) che frequenta una scuola in un dato paese viene istruito e socializzato esclusivamente nella lingua e nella cultura di quel paese e nella lingua straniera che in quel dato momento storico viene considerata utile a farne un lavoratore efficiente per il sistema economico del paese ospite. I rapporti tra docente e studente riproducono i codici e i rapporti di ruolo dominanti nella società ospite e a questo si adeguano anche le aspettative riguardanti il comportamento dei ragazzi. Questo può dar luogo a fraintendimenti culturali significativi, che intimidiscono lo studente o ne ostacolano l’inserimento scolastico e il profitto negli studi. Ma può anche verificarsi che l’assoluta indifferenza della scuola rispetto alle conoscenze pregresse degli studenti porti ad una graduale perdita di queste conoscenze insieme all’indebolimento dell’autostima del giovane e alla perdita di stima nei confronti della cultura e della lingua dei genitori. Non è infrequente vedere tra i migranti la tendenza ad abbandonare la lingua d’origine nel dialogo con i figli per adottare la lingua del paese ospite, anche se la si conosce poco. In questo modo si ha la sensaQUALEDUCAZIONE • 99 zione di aiutare l’inserimento scolastico e sociale del bambino, ma in effetti si producono fenomeni di deprivazione linguistica e culturale che si traducono poi anche in deprivazione affettiva ed emozionale, a scapito dello sviluppo armonico della personalità3. In Italia è a partire dalla C.M. n. 205 del 26 luglio 1990 che le istituzioni segnalano l’importanza di prestare particolare attenzione alla presenza di bambini stranieri a scuola, per trasformarla in una risorsa per l’intera comunità scolastica attraverso lo sviluppo di una pedagogia specificamente interculturale. Questo approccio interculturale comprende la necessità di un approfondimento della conoscenza reciproca delle culture di cui sono portatori gli studenti, con la convinzione che tale conoscenza reciproca possa favorire la crescita di tutti. La stessa circolare ministeriale sollecita la scuola, o, nel caso in cui ciò non sia possibile, gli enti locali, a promuovere, “in presenza di richieste”, “corsi specifici di lingua e di cultura del Paese d’origine e in carenza di apporti delle competenti rappresentanze diplomatiche, a favorire le iniziative degli Enti locali e lo svolgimento di questi corsi da parte delle comunità interessate, raccomandando la massima collaborazione della scuola sia per la disponibilità delle attrezzature e sia per quanto riguarda il coordinamento tra gli Enti e le comunità interessate, da realizzarsi possibilmente nell’ambito della programmazione scolastica”4. In questa stessa Circolare ministeriale è richiamata la possibilità di utilizzare mediatori linguistico-culturali per agevolare la comunicazione sia all’interno della scuola, sia tra questa e la famiglia. Tali figure professionali possono essere utilizzate anche per realizzare iniziative di valorizzazione della cultura d’origine dei ragazzi5. Il ruolo del mediatore culturale come facilitatore del dialogo La prima legge che in Italia definisce l’utilizzo dei mediatori culturali è la legge 40/98, divenuta poi «Testo Unico sull’Immigrazione» (d.p.r. 286/98)6. Da quel momento sono nati molti corsi professionali volti a preparare queste nuove figure di operatori destinate a lavorare soprattutto nel sociale (nei servizi alla persona, nei servizi sanitari, nel segretariato sociale) e, soprattutto al centro-nord del paese, sono fiorite numerose esperienze che hanno avuto anche funzione di sperimentazione rispetto ad un approccio che non aveva precedenti. Queste figure hanno operato prevalentemente come mediatori socio-culturali, favorendo l’incontro e la comprensione reciproca tra stranieri e servizi e mediando sia rispetto agli aspetti del funzionamento e della fruizione dei servizi sia con riferimento all’ambito delicato delle differenze culturali. Questo è particolarmente importante quando ad avere bisogno dei servizi sono le donne, 5 Cfr. C. Sirna, Lingua e apprendimento in prospettiva interculturale, EDAS, 1992; Id. Pedagogia interculturale. Concetti, problemi, proposte, Guerini, 2003. 3 4 Cfr. C.M. n. 205 del 26 luglio 1990. 100 • QUALEDUCAZIONE Cfr. ibidem. Cfr. U. Melchionda, Modello e metamodello della mediazione linguistico-culturale nell’esperienza italiana, in M. Andolfi (a cura di), La mediazione culturale. Tra l’estraneo e il familiare, Angeli, Milano, 2003, p. 101. 6 le quali, in molti paesi, sono abituate – a differenza di quanto avviene nei paesi occidentali – a confrontarsi e a sviluppare una maggiore confidenza soprattutto , se non esclusivamente, con altre donne. La mediazione culturale passa quasi sempre attraverso la mediazione linguistica, ossia l’affiancamento di persone della stessa cultura o in grado di parlare la stessa lingua che svolgono un’opera di traduzione dei bisogni e delle richieste dello straniero agli operatori dei servizi, o viceversa. Attraverso la mediazione linguistica è possibile promuovere l’incontro tra le due culture, ossia tra i due insiemi di valori, usi, costumi, tecniche e modi di confrontarsi con la realtà, di cui sono espressione lo straniero e l’operatore dei servizi (o l’insegnante). Attraverso questo primo passo è possibile che vengano riconosciuti anche i modi in cui lo straniero vede se stesso, il proprio rapporto con la società e con il suo gruppo di appartenenza, il sistema di ruoli all’interno della famiglia e nella società, il rapporto con la malattia o con la morte, ecc.7 Nel mondo umano, infatti, non sono le cose in sè a produrre i maggiori effetti sulla vita degli uomini, quanto i significati che gli uomini danno alle cose: e a questi significati è possibile accedere solo mediante il linguaggio8. La mediazione linguistico-culturale può aiutare a definire meglio la situazione tra stranieri e autoctoni in relazione alla realtà sociale che essi condividono, creando le condizioni per cui le 7 M. Fiorucci, La mediazione culturale. Strategie per l’incontro, Armando, Roma 2007, Ivi, p. 103. Cfr. R.M. Farre-S. Moscovici (a cura di), Rappresentazioni sociali, Il Mulino, Bologna, 1989. 8 visioni contrastanti vengano negoziate e tale negoziazione porti ad una definizione valida per entrambi: questo può valere, ad esempio, in relazione alle diverse aspettative riguardo a ciò che un servizio offre, oppure nel caso in cui ciascun gruppo ritenga valide esclusivamente le norme e i valori elaborati al proprio interno, anche se contrastano con quelle dell’altro gruppo. In questi casi, l’assenza di una valida attività di mediazione può portare ad un conflitto, laddove invece la sua presenza può portare ad un arricchimento reciproco, attraverso un nuovo sistema di rappresentazioni che comprende quelle di entrambi i gruppi. Questo, però, comporta anche un lavoro educativo sul paese ospite affinchè non consideri culturalmente inferiori gli stranieri, ma li riconosca come interlocutori su un piano paritario. È a queste condizioni che il lavoro del mediatore può assumere la forma attribuitagli da Melchionda: «Il mediatore culturale lavora nell’ambito delle scelte che compiono i soggetti coinvolti, fornendo loro le informazioni, gli strumenti, il counseling per effettuare le scelte migliori, ma lasciando a coloro che vivono la situazione nuova di cambiamento e di transizione la responsabilità della scelta»9. Ciò significa non ignorare che le parti coinvolte nel rapporto si trovano in posizioni di potere differente che sono di ostacolo ad un reale dialogo. Riconoscere che il ruolo del mediatore interculturale consiste nel ristabilire le condizioni per una comunicazione 9 U. Melchionda, Modello e metamodello della mediazione linguistico-culturale nell’esperienza italiana, cit., p. 109. QUALEDUCAZIONE • 101 tra pari diventa, quindi, la via per aumentare la possibilità e la capacità dello straniero di far conoscere e comprendere il suo punto di vista e, al contempo, per avviare un reale costruttivo dialogo interculturale arricchente per entrambi gli interlocutori10. A questo punto appare evidente che questa mediazione diventa particolarmente significativa soprattutto quando l’asimmetria è ancora più forte, come nel caso del rapporto tra insegnante e studente all’interno della scuola. Qui è più facile che altrove che l’identità culturale del minore straniero venga ignorata, deformata o svalorizzata e che in tal modo venga messa in discussione anche la relazione tra il minore e i suoi genitori, la sua famiglia d’origine. L’insegnante poco sensibile a queste problematiche, che si preoccupi soltanto dei processi di alfabetizzazione, mentre trasmette il proprio modo di pensare impone anche la propria visione del mondo attraverso i propri comportamenti, oltre che attraverso il proprio linguaggio. La presenza di strumenti e competenze adeguate facilita l’adozione di un atteggiamento interculturale intenzionale nella relazione tra docente e studente, favorendo una migliore conoscenza reciproca tra studenti di culture diverse, con arricchimento di entrambi. Ecco perchè diventa importante l’inserimento anche nelle scuole della figura del mediatore culturale, come “colui o colei che, in quanto membri delle comunità di appartenenza dei bambini, hanno il compito di tutelare che queste non vengano del tut10 Cfr. C. Baraldi, Il significato della mediazione con bambini e adolescenti, in C.Baraldi-G. Maggioni (a cura di), La mediazione con bambini e adolescenti, Donzelli, Roma 2009, p. 5. 102 • QUALEDUCAZIONE to disperse e di farle conoscere ai bambini” del paese ospite11. Personalmente ho vissuto questa esperienza di comunicazione durante il mio percorso formativo in Italia in numerose scuole e ho potuto constatare l’interesse e la curiosità dei ragazzi, la loro apertura verso un’esperienza di confronto che, oltre a rafforzare la stima di sè degli stranieri, che in tal modo non sviluppano più alcun senso di inferiorità, arricchisce anche loro e li abitua al dialogo rispettoso con l’altro. Bibliografia Andolfi M. (a cura di), La mediazione culturale. Tra l’estraneo e il familiare, Angeli, Milano, 2003. Baraldi C.-Maggioni G. (a cura di), La mediazione con bambini e adolescenti, Donzelli, Roma 2009. Barra D., Bereta Podini W. (a cura di), Le migrazioni. Educazione interculturale e contesti interdisciplinari, Roma, CRES/ Edizioni Lavoro, 1995. Demetrio D.-Favaro G., Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell’infanzia e nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1997. Farre R.M.-Moscovici S. (a cura di), Rappresentazioni sociali, Il Mulino, Bologna, 1989. Fiorucci M., La mediazione culturale, Strategie per l’incontro, Armando, Roma 2007. Sirna C., Pedagogia interculturale. Concetti, problemi, proposte, Guerini, 2003. Sirna C., Lingua e apprendimento in prospettiva interculturale, EDAS, 1992. Cfr. D. Demetrio-G. Favaro, Bambini stranieri a scuola, cit., p. 5. 11 Il dialogo elemento portante del Vaticano II di GIOVANNI MAZZILLO* Riasssunto Col Vaticano II la Chiesa si rinnova ad intra e ad extra. Una rinnovata autocomprensione della Chiesa procede di pari passo a una rivoluzionaria comprensione del «mondo». Effettiva ecumenicità, caratterizzazione pastorale, missione come testimonianza (μαρτυρία) che può arrivare anche al martirio. Gli elementi dell’autocomprensione sono:a) il primato di Dio e della sua Parola… che dialoga con gli uomini; b) la riscoperta dell’ecclesialità come realtà dialogante in quanto comunione e conciliarità; c) la Chiesa “popolo di Dio in cammino verso la parusìa…in dialogo con la storia… Gli elementi portanti della Chiesa ad extra sono: a) la dimensione storica del popolo di Dio; b) la dimensione dialogica della Chiesa (il vero ecumenismo); c) la proposta di una rinnovata prassi pedagogica e di una prassi ministeriale evangelica, ispirata dalla teologia della comunione e del dialogo. Abstract With the Second Vatican Council, the Church is renewed ad intra(self understanding) and ad extra (understanding the “world”). The fundamental elements of the Church (ad intra) are: effective ecumenism, pastoral characterization, mission of witness.The fundamental * Docente di Teologia nel seminario S. Pio X, Catanzaro. elements of the Church (ad extra) are: the historical dimension of God’s people, the dialogical dimension of the Church, the proposal of a new pedagogical practice and a ministerial practice of Gospel (theology of communion and dialogue). Annotiamo brevemente gli elementi caratterizzanti il Vaticano II. Innanzi tutto su due versanti principali: quello dell’autocomprensione (Chiesa che cosa dici di te stessa?) e quello del suo rapporto con la realtà esterna da sé, ma nella quale e per la quale la Chiesa esiste (Chiesa che cosa dici del “mondo” e soprattutto del tuo rapporto con esso? Che cosa dici dell’uomo e del suo futuro?). Il dialogo non solo innerva entrambi gli aspetti, ma ne è il fondamento costitutivo. Sul piano dell’autocomprensione (sguardo ad intra) avviene il passaggio dalla Chiesa come società perfetta alla Chiesa come comunità: come partecipazione al Mistero di Dio e come comunione con gli uomini e tra gli uomini (koinonìa). Sul piano della comprensione della realtà storica e sociale (del mondo) (sguardo ad extra) si può schematicamente annotare che da un nuovo modo di capirsi la Chiesa passa felicemente a un diverso e più attento e dialogante modo di capire l’altro, gli altri. È stato detto che la Chiesa conciliare è passata dall’anatema al dialogo. È sostanzialmente vero, ma non nel senso puramente formale e canonico dell’eQUALEDUCAZIONE • 103 spressione, bensì nel diverso modo di porsi davanti al suo interlocutore: “il mondo”, spesso identificato con il mondo anticlericale, laicista, nemico della Chiesa e, in buona sostanza, della religione. Con il Vaticano II la Chiesa ha invece cominciato a guardare il mondo esterno con un atteggiamento nuovo, non più difensivo, né di contrapposizione, e nemmeno di condanna. Ciò è immediatamente visibile nel mutato approccio alle altre confessioni religiose, non considerate più espressioni demoniache o pure e semplici credenze erronee. Ma si evince anche da come il Concilio guarda all’uomo e al suo futuro, ai suoi problemi e alle sue legittime aspirazioni. Ed ancora da come la Chiesa conciliare si rivolge al mondo contemporaneo, guardando con fiducia alla stessa modernità, alle forme di partecipazione democratica e alla stessa emancipazione del pensiero umano. Per capire il carattere rivoluzionario di tutto ciò, basti solo ricordare che le realtà qui menzionate erano precedentemente considerate, soprattutto da Pio IX in poi, con molta diffidenza e non di rado espressamente condannate. Il Sillabo docet. Una rinnovata autocomprensione della Chiesa procede di pari passo a una rivoluzionaria comprensione del «mondo». Il mondo degli uomini diventa per la Chiesa anche il “proprio” mondo, perché mondo degli uomini che Dio ama. Di conseguenza ciò che ne contraddistingue l’atteggiamento si può indicare con quello del dialogo che scorga dalla simpatia, nel senso originario del synpathein1: sentirsi una sola cosa con il mondo che gioisce e che cerca, che soffre e che lotta. Se la conferma letteraria di quest’assunto viene dal titolo stesso della costituzione pastorale sulla Chiesa Gaudium et spes, l’humus spirituale e metodologico che ne è alla base è già presente nei primi testi approvati dal concilio. Sicuramente è presente nella costituzione Sacrosanctum concilium, sul rinnovamento liturgico. In verità è presente nella stessa aula conciliare: «Si potrebbe affermare che i primi convertiti al Concilio sono stati i vescovi stessi … proprio nell’assecondare lo Spirito creatore»2. Chiarendo il contesto in cui avviene questa “conversione”, Mons. Luigi Bettazzi indica l’effettiva ecumenicità geografica, a motivo della provenienza dei vescovi da ogni parte del mondo (con il conseguente scambio interculturale che ne deriva), la caratterizzazione “pastorale” del Concilio, per espressa volontà di colui che l’aveva indetto, Giovanni XXIII, la particolare concezione della missione della Chiesa cattolica nei termini di una testimonianza, tesa ad «aiutare tutte le religioni e tutti i popo- Grundmethode des Konzils und die Erneuerung christlicher Gemeindepraxis in Italien», in: Brixner Theologisches Forum 116 (2-3/2005) 111121: relazione tenuta alla Katholische Akademie in Bayern, reperibile in www.puntopace.net/ Mazzillo/konzil-Wue-07-10-05.htm. Le idee portanti di quest’intervento sono reperibili anche in un contributo in italiano: G. Mazzillo, «Le gioie e le speranze degli uomini di oggi…» in: www.puntopace.net/Mazzillo/GioieSperanze-Orsomarso21-01-06.htm; e in «Profezia e simpatia: due valori fondamentali per la Chiesa del Vaticano II», in Horeb 49 [1/2008] 75-81, leggibile anche da questo link: www.puntopace.net/ Mazzillo/ProfeziaSimpatia-Horeb.pdf. L. Bettazzi, «Memorie del Concilio», in Brixner …, cit., 107-110, qui 107. 2 1 Cf. G. Mazzillo, «Dialog und Sympathie. Die 104 • QUALEDUCAZIONE li ad aprirsi all’accoglienza di Dio, alla solidarietà umana e alla pace, come un fermento che sollecita tutti a corrispondere sempre più al piano di Dio, cioè al “regno di Dio”»3. Lo stesso Mons. Bettazzi raccomanda altrove e ripetutamente la fedeltà alla lettera e allo spirito del Vaticano II, come, ad esempio, nel breve e intenso testo, già chiaro nel titolo: Non spegnere lo Spirito. Continuità e discontinuità del Concilio Vaticano II (Queriniana, Brescia 2006). In questo testo richiama il proclama di Benedetto XVI alla continuità (cf. Discorso alla curia romana del 22/12/2006), ma anche le problematiche, tipiche di questi ultimi anni, relative alla discontinuità e alle sue forme: da una “discontinuità moderata” ad una “continuità moderata”, che significa la continuità nei principi e negli orientamenti di fondo, distanziandosi da quelli che sembrano gli “eccessi”. L’argomento di alcune serpeggianti ostilità al Vaticano II era già apparso in un suo precedente scritto dal titolo Difendo il Concilio, divenuto successivamente Il Concilio Vaticano II Pentecoste del nostro tempo (Queriniana, Brescia 2000). Pertanto Bettazzi, che è ancora uno dei pochi dei padri conciliari viventi, può concludere: «Credo che la novità – o meglio, la forza – del Concilio, sia consistita proprio in questo puntare sulla coscienza e sull’amore, e che a questo debbano orientarsi l’approfondimento e l’impegno dei cristiani, delle comunità e dei pastori»4. La Chiesa si sente frut3 Ivi, 108. Ivi, 110. Sulle tappe che avrebbe attraversato la Chiesa dopo il Vaticano II ad oggi, cf. anche la prima parte del nostro «Dialog und Sympathie…». 4 to e creatura di un Dio che dialoga con gli uomini perché animato dall’amore, anzi è l’Amore stesso, e acquisisce consapevolezza di dover continuamente trasmettere lo stesso amore agli uomini di ogni tempo. È a questa continuità sostanziale che occorre sempre riferirsi, pur senza nascondersi i processi che recentemente hanno fatto parlare di una discontinuità in orientamenti e scelte ecclesiali particolari5. 5 Sulla discontinuità, che anche a noi sembra non sia sulle idee di fondo del Concilio, ma sulle tendenze e i processi da esso messi in atto, potremmo dire che oggi in una certa teologia ufficiale e in alcuni degli orientamenti che ne scaturiscono, più che un ritorno all’epoca pre-conciliare, sembra ci sia qualcosa di simile a ciò che è stato registrato a proposito del documento conclusivo di Aparecida, sulla V Conferenza dell’episcopato latinoamericano, chiusasi il 31 maggio 2007: «È una teologia che si allontana da quella conciliare e soprattutto post-conciliare. Senza voler affermare che c’è un ritorno al pre-conciliare, si percepisce comunque un desiderio di equilibrare tendenze e neutralizzare correnti più audaci che, nel corso degli ultimi decenni, volevano dare alla Chiesa latinoamericana un volto e un pensiero propri, diversi da quelli prodotti dal continente europeo» (M. C. L. Bingemer, «La V Conferenza dell’episcopato latinoamericano. La sfida della fede e il lavoro dell’ermeneutica», in Concilium 43 [4/2007] 683-696, qui 688). L’osservazione vale anche e soprattutto per la teologia del popolo di Dio: «… quest’ecclesiologia del popolo di Dio fu cruciale per la elaborazione della cristologia latinoamericana degli anni post-conciliari e appare ben chiara – anche se non è l’unica – nei documenti di Medellín e di Puebla. Dopo il regresso registrato a Santo Domingo, l’ecclesiologia cresce di nuovo, ma in un’altra direzione, che percepisce la Chiesa come comunione tra diversi carismi e stati di vita, nella linea di Rm 12. Si tratta di una comunione nella quale la gerarchia dei segmenti ecclesiali è ben chiara e dove viene enfatizzata la funzione predominante dei pastori nella conduzione del processo ecclesiale» (ivi, 687-688). Alle stesse conclusioni si giunge in maniera ancora più stringente in J. Comblin, Il popolo di Dio, Servitium, S. Egidio di Fontanella di Sotto il Monte (Bergamo) 2007. QUALEDUCAZIONE • 105 A conclusioni simili si perviene anche da un’altra strada: quella che correttamente vuole interpretare il Vaticano II a partire dall’intenzione del legislatore, con le sue componenti di fondo, tra le quali la pastoralità, l’aggiornamento e la centralità dello stesso Concilio. A questi criteri ermeneutici si accompagna quello di cercare di leggere sia nel Concilio stesso sia nei suoi documenti le dinamiche oscillanti tra “compromesso” e ricerca dell’unanimità6. Ma lasciando tutto ciò agli approfondimenti specialistici, ritorniamo ai principi cardini del Concilio riconducibili al dialogo. Intanto sull’autocomprensione della Chiesa sembrano essere stati determinanti questi elementi: a) il primato di Dio e della Sua Parola, che crea le fondamenta del dialogo e dialoga con gli uomini, dialogando soprattutto con la Chiesa, in quanto valore fondamentale della Chiesa come mistero7; b) la riscoperta dell’ecclesialità come realtà dialogante in quanto comunione e conciliarità: due aspetti della medesima realtà teologica che vede la Chiesa inserita nella dinamica salvifica della Trinità8; 6 Cf. G. Alberigo, «Fedeltà e creatività nella ricezione del Concilio Vaticano Secondo», in Brixner …, cit., 65-83. 7 Cf. soprattutto la Sacrosanctum concilium, costituzione sulla liturgia, e la Lumen gentium, costituzione dogmatica sulla Chiesa. 8 Sebbene la conciliarità non sia stata sviluppata pienamente, non è altro che la naturale evoluzione dell’acquisizione della Chiesa come comunione pur nella differenza dei diversi carismi. Cf. soprattutto: Lumen gentium; Apostolicam actuositatem, sui laici; Christus Dominus, sui vescovi; Presbyterorum ordinis, sui presbiteri; Perfectae caritatis, sui religiosi. Ma cf. anche 106 • QUALEDUCAZIONE c) la natura escatologica e peregrinante della Chiesa, che riscopre la sua indole di popolo di Dio in cammino verso la parusìa e pertanto si sente in dialogo con la storia e con gli uomini di ogni provenienza, riconsiderando la sua presenza nel mondo come missione d’amore e di servizio tra gli uomini e tra i popoli9. Il Dialogo appare così come il valore sorgivo e fondante della Parola di Dio, declinata come conciliarità e come dimensione escatologica della Chiesa. Tutto ciò dice molto di più, anche nelle sue formulazioni teologiche, di quanto non dica il termine «mistero», sebbene queste dimensioni rimandino continuamente ad esso. Nella categoria del popolo di Dio esse sono ancora più evidenti: sono evocate dalla stessa entità storica di un popolo che viene e dipende da Dio, ma vive e cammina nel tempo. Se la Chiesa è mistero (1° capitolo della Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium), lo è per il legame a Cristo, luce delle genti, che svela il mistero di Dio e il mistero dell’uomo (Gaudium et spes 22: «In mysterio Verbi incarnati mysterium hominis vere clarescit» (nel mistero del Verbo incarnato si chiarisce realmente il mistero dell’uomo). Ciò porta a vedere la realtà ad intra della Chiesa in diretto riferimento alla Chiesa come realtà ad extra. Gli elementi portanti della Chiesa ad extra, cioè rispetto all’uomo e al mondo sono: a) la dimensione storica del popolo di Dio, che vive senza soluzione di con- Y. Congar, Diversità e comunione, Cittadella, Assisi 1984. Cf. sulla missione: Ad gentes; e sull’indole escatologica cap. VII della Lumen gentium. 9 tinuità l’antico e il nuovo Patto, come fasi di un’unica storia della salvezza10; b) la dimensione dialogica della Chiesa, che seguendo la metodologia di Dio, s’intrattiene con l’umanità come si parla ad amici, ad essa si relaziona11 e ad essa propone una ricchezza non sua e il tesoro di un messaggio d’amore che viene da lontano12. Per questa ragione la Chiesa vuole praticare il dialogo e rivedere i criteri della comunicazione ai più vari livelli in cui si pone la sua azione13: rispetto al mondo orientale e al suo patrimonio spirituale14; rispetto alle confessioni cristiane acattoliche15, alle religioni non cristiane16, e alla religiosità in genere17; c) la proposta di una rinnovata pras10 Cf. cap. II della Lumen gentium. Cf. G. Mazzillo, Dio sulle tracce dell’uomo. Saggio di teologia della rivelazione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2012, per una sintesi cf. http://puntopace.net/Mazzillo/DioSuTracceUomo/ Prefazione%20di%20Piero%20Coda.pdf. 11 12 Cf. la Dei Verbum, costituzione dogmatica sulla rivelazione e la più recente Verbum Domini. Cf. la Gaudium et spes, costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, che si può considerare la magna charta dell’agire della Chiesa, e il decreto sui mezzi di comunicazione sociale Inter mirifica, che fissa alcuni criteri fondamentali per una comunicazione corretta, cioè fedele alla vocazione trascendente dell’uomo e ai suoi irrinunciabili ed universali valori di verità, giustizia e carità (cf. in particolare il n. 5). 13 14 Cf. Orientalium ecclesiarum, decreto sulle chiese orientali cattoliche. 15 Cf. Unitatis redintegratio, decreto sull’ecumenismo. Cf. anche L. Sartori, L’unità della Chiesa - Un dibattito e un progetto, Queriniana, Brescia 1989. 16 Cf. Nostra aetate, dichiarazione sulle relazioni della Chiesa cattolica con le religioni non cristiane. Dignitatis humanae, dichiarazione sulla libertà religiosa. 17 si pedagogica e gli indirizzi pastorali per una prassi ministeriale più evangelica, ispirata dalla teologia della comunione e del dialogo tanto per i laici18 quanto per la formazione dei presbiteri19, ma anche per il rinnovamento della vita religiosa20 e per il ministero dei vescovi21. Sono tutti elementi che hanno una particolare consistenza teologica e pastorale e che qualificano ulteriormente la sottolineatura del popolo di Dio» come comunità frutto del dialogo e portatrice di dialogo. Sono princìpi e corollari di un’ecclesiologia che approfondisce il dato «misterico» del popolo di Dio, spingendosi fino alla sua ultima e sempre primaria radice, quella della vita Triunitaria di Dio, il cui protendersi verso la storia umana diventa norma di ogni agire della Chiesa. Sono anche le linee portanti di un rinnovamento non solo strutturale, ma anche personale all’interno dello stesso popolo di Dio22, con l’appello a saper mettere in discussione le modalità storiche e pratiche dell’agire della Chiesa e del singolo cristiano. 18 Cf. la dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis e il decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam actuositatem 19 Cf. il decreto sulla formazione sacerdotale Optatam totius. Cf. il decreto sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis. 20 21 Cf. il decreto sull’ufficio pastorale dei vescovi Christus Dominus. Una corretta ecclesiologia del popolo di Dio porta infatti a un rinnovamento spirituale della Chiesa, che sa rimettersi continuamente in stato di conversione. Una conversione oggi tanto più necessaria, perché nel confronto con la «modernità», la Chiesa attraversa passaggi e difficoltà che rievocano quelli dell’attraversamento del deserto. 22 QUALEDUCAZIONE • 107 Dialogare e testimoniare per educare in una società in crisi di GIOVANNI VILLAROSSA* Riassunto Il dialogo educativo va impostato secondo percorsi euristici adeguati alle nuove esigenze degli educandi. I giovani hanno bisogno di esempi e di testimonianze. È ritenuto ancora vero maestro chi testimonia con la vita le proprie idee. I giovani chiedono le regole che gli adulti non rispettano più. Essi segnalano un grande bisogno di affetto e di sostegno spirituale proprio col disincanto, la provocazione, l’aggressività. Don Bosco è sempre più vivo. La gioventù vorrebbe volare alto, non vuole una vita banale . In questa fase, difficile e lunga, di transizione, chiedono speranza. Bisogna raccordare passato e futuro attraverso un attivo presente. Duc in altum…schola! Abstract The educational dialogue must be adapted to the new needs of young people. They need examples and testimonies. It’s true master who bears witness to life their ideas. Youth ask for the rules that adults no longer respect. They need to fly up, not like a banal life. Young people demand with disenchantment, with the challenge, to become hopeful. È necessario favorire un dialogo idoneo a sostenere la componente testimoniale nel rapporto educativo e a stabili- * Redattore di Qualeducazione - Presidente emerito dell’UCIIM. 108 • QUALEDUCAZIONE re alleanze con la famiglia, con la chiesa e con altre agenzie educative, così come indicano i Vescovi negli Orientamenti pastorali “Educare alla vita buona del Vangelo” per il decennio 2010/2020. La componente dialogica, in ambito educativo, necessita del sostegno di una valida dimensione culturale, utile per potersi esprimere adeguatamente attraverso la testimonianza. Questa produce nei giovani coinvolgimento, accettazione, rispetto e favorisce, a sua volta, la ricerca della dimensione culturale. Il dialogo educativo, pertanto, va impostato secondo percorsi da adeguare alla nuove esigenze che esprimono gli educandi. Di fatto, bisogna cercare, individuare, conoscere ed utilizzare alcuni mezzi prevalenti nell’uso quotidiano dei nostri giovani digitalizzati. Di conseguenza sorgono spontanee le seguenti domande: i giovani hanno ancora bisogno di esempi e di testimonianze? È ritenuto ancora vero maestro chi testimonia con la vita le proprie idee? Ritengo di dover rispondere “si” ad entrambe. Perché i news media non hanno reso più forti le nuove generazioni, ma più indifese e fragili. I giovani che gli educatori incontrano fanno loro da specchio e riflettono un mondo adulto allo sbaraglio, una società violenta dove ci si scontra per futili motivi, dove gli stessi adulti non hanno più regole. Regole, che i giovani richiedono! Amarli e mostrare loro di farlo, scriveva don Bosco, è la sintesi meravigliosa dell’educare! Parlare in questi termini di educazione può sembrare patetico in questa società, ma, alla luce della esperienza e del sentire di molti educatori, si può dedurre che è necessario recuperare il valore e il senso dell’amore inteso come esserci, come servizio per la promozione umana, oggi più che mai, di fronte alle ultime generazioni che spesso manifestano disincanto, provocazione e aggressività. Se, però, i giovani comprendono che l’educatore è presente, che li coinvolge e dà prova di credere in quello che dice, si rendono disponibili a farsi guidare e si pongono in rispettoso ascolto. L’educatore diventa testimone vero quando tutto ciò che comunica passa in prima istanza attraverso se stesso e finalizza la propria azione per aprire l’anima dei giovani verso un corretto flusso vitale. Una simile azione educativo-testimoniale è impresa ardua e faticosa: richiede equilibrio, pazienza, motivazione, disponibilità a mettersi in gioco, oltre alla capacità di cogliere i sentimenti dei giovani anche al di là dei loro atteggiamenti. Tale azione va sostenuta da un impegno gratuito, significativo e liberante, che non manifesta effetti immediati, ma nel tempo dà frutti, ossia concorre a formare persone libere e forti. Persone che si fidano della vita e, soprattutto, del Dio della vita. Il riscontro di questa azione, quindi, è collegato a coloro che con la propria vita mettono in pratica ciò che dicono e che sanno pagare di persona le proprie scelte di onestà, di coerenza e fedeltà. I giovani, alunni o figli, non si possono ingannare. Spesso gli educatori, nel proporre loro alti ideali e di vivere per essi, considerando i propri limiti, si sentono inadatti, incapaci e scoraggiati nell’assumere responsabilità. Si domandano: come facciamo a dire ai nostri alunni o ai nostri figli che bisogna comportarsi in un certo modo se non riusciamo mai, per le nostre debolezze, ad essere coerenti? Nasce così la tentazione di ridurre la verità, di offrire ai giovani solo quello che della vita si riesce a realizzare. Così si riducono gli ideali, si offre un esempio di vita banale. Non si può ridurre quel che si propone ai giovani solo a quello che vivono gli educatori in crisi. Bisogna sempre proporre alti ideali, a cui ci si orienta anche per tentativi. Assieme, educatori ed educandi, potranno essere capaci di pensare una vita migliore. Tante volte gli stessi giovani riescono a ridare fiducia alle stanche perdite di speranza degli adulti se hanno visto in loro l’umiltà e la tenacia della ricerca, non tanto la brillantezza del risultato. L’educazione, attraverso il dialogo e la testimonianza, si concretizza nel fornire continuamente ai giovani i punti di riferimento di cui essi hanno bisogno per capire il mondo che li circonda e per comportarsi in maniera responsabile e giusta. Ciò che conta sono la relazione, il confronto, il guardarsi in faccia, l’incontrarsi e principalmente sapere dove siamo e dove vogliamo andare in questo periodo storico ricco di complessità culturali e civili, oltre che di vicende materiali ed economiche molto intense, che lo caratterizzano fino al limite della drammaticità. Lo schema più rappresentativo di questo periodo è quello di un tempo marcato da instabilità politica, da incertezze economiche e da forme evidenti di impoverimento sociale e culturale. QUALEDUCAZIONE • 109 Siamo, infatti, in una fase di passaggio, lunga, importante, impegnativa, faticosa, che interessa persone, istituzioni, contesti socio-economici e politici; è una fase di crisi profonda, aperta ad un futuro per molti aspetti ancora indecifrabile, tutto da esplorare come persone e come comunità, in una dimensione nella quale dobbiamo continuare ad impegnare il meglio di noi, i riferimenti essenziali a valori condivisi, ribaditi, riproposti. Dobbiamo, infatti, batterci per soluzioni che favoriscano lo sviluppo delle risorse dei giovani attraverso il potenziamento dei grandi valori della libertà e della giustizia, in chiave di solidarietà e di cooperazione. È necessario considerare ed approfondire le proposte socio-educative emergenti, che si differenziano dalle nostre idee, al fine di formulare e/o ribadire proposte alternative valide o sintesi dialogiche. Il nostro impegno non può rimanere ripiegato sul passato né proiettato unicamente sul futuro. Bisogna raccordare passato e futuro attraverso un attivo presente, capace di sostenere sia un significativo processo di apprendimento che un armonico sviluppo delle capacità critiche, entrambi necessari nella società della conoscenza. L’azione educativa deve creare le condizioni affinché l’acquisizione di nuove conoscenze sostenga il cammino attraverso una società nuova, che, a sua 110 • QUALEDUCAZIONE volta, deve essere aiutata ed illuminata nell’avvalersi delle proprie scoperte e delle proprie risorse tecnologiche per non lasciarsi catturare all’interno di un sistema di negazione dei valori umanistici, che invece devono essere ulteriormente vissuti e affermati. Va effettuata la scelta della cultura della solidarietà per contenere l’idea che il mercato sia inevitabilmente la misura di tutte le relazioni, per mettere in discussione il primato del profitto e della sua logica sui bisogni di condivisione e di fratellanza. È necessaria una maggiore e consapevole attenzione verso la scuola, luogo educativo, mediante il riconoscimento di un’effettiva autonomia, indispensabile per esercitare con autorevolezza la propria funzione per il risanamento della complessa situazione di degrado in cui è precipitato il nostro Paese. Ho ragionato anche al futuro, un futuro difficile ma possibile, andando verso il quale bisogna continuare a produrre idee per discuterle, per approfondirle, per trovare accezioni consolidate e nuove e cercarne insieme un senso autentico: è il caso dei concetti di legalità, trasparenza, sobrietà, solidarietà, rispetto, pace e coerenti stili di vita. Sono convinto che oltre le risposte di breve periodo servano idee strategiche da ripensare e condividere, ricostruendo anche un linguaggio comune, di senso, all’altezza dei compiti straordinari che si prospettano. Il dialogo formativo interculturale per la scuola democratica* di GIUSEPPE SPADAFORA** Riassunto Il dialogo formativo interculturale serve a promuove nella scuola uno stile di vita democratica; perciò è necessario focalizzare il concetto di dialogo formativo, dal punto di vista pedagogico, per evidenziarne la centralità al fine di contribuire alla definizione e costruzione di una scuola autenticamente democratica. Il dialogo formativo, infine, viene esaminato anche dal punto di vista dell’intersoggettività come problema filosofico molto attento al pensiero del Dewey. Abstract Intercultural educational dialogue for democratic school Intercultural educational dialogue is needed to promote a democratic lifestyle in school; therefore, it is necessary to concentrate on the concept of educational dialogue, in pedagogical terms, to emphasize its centrality in order to contribute to the definition and to the construction of an authentically democratic school. Educational dialogue, finally, is also analysed intersubjectively, as a philosophical problem very strongly focused on Dewey’s thought. La pedagogia interculturale negli ultimi decenni come oggetto di studio specifico ha avuto e continua ad avere una notevole attenzione da parte della cultura filosofica e pedagogica. In effetti, la vasta letteratura specialista non ha sufficientemente approfondito da un punto di vista epistemologico il significato della relazione intersoggettiva pedagogicamente intesa come dialogo interculturale, soprattutto in relazione alle applicazioni scolastiche e, in particolare, alla attività dell’insegnante che è il vero protagonista della possibile realizzazione dei processi interculturali educativi della classe e della scuola. In questo scritto cercherò di focalizzare il concetto di dialogo formativo interculturale da un punto di vista pedagogico per evidenziarne la centralità al fine di contribuire alla definizione e alla costruzione di una scuola democratica1. Per sviluppare questa tematica esaminerò alcuni aspetti del processo formativo al fine di riflettere sul problema specifico del dialogo come questione interculturale. Queste annotazioni saranno le basi per analizzare il significato del concetto di dialogo formativo interculturale. * Questo articolo riprende e sviluppa tematiche già trattate in altri due articoli sul tema della comunicazione interculturale. ** Ordinario di Pedagogia - Presidente del corso di laurea in Scienze della Formazione, Università della Calabria. 1 Cfr R. Fornet Betancourt, Trasformazione interculturale della filosofia, Edizioni Dehoniane, Roma 2006. QUALEDUCAZIONE • 111 La letteratura pedagogica dominante, specialmente nel nostro paese, ha evidenziato la centralità del concetto di formazione all’interno del discorso pedagogico, in ragione del suo essere elemento di sintesi interdisciplinare e, al tempo stesso, una possibile esplicazione, ma anche un problema aperto, di un sapere come la pedagogia, posto tra costituzione e regolazione di senso, tra teorizzazione e applicazione. Il concetto di formazione, sebbene sia stato variamente e lungamente esplorato dalla cultura e dalle tradizioni filosofiche e pedagogiche che si sono incrociate e sovrapposte al riguardo (basti pensare nella cultura occidentale ai concetti di paideia greca, di humanitas latina e cristiana e di Bildung romantica che, in effetti, sancivano la perfettibilità dell’individuo verso un modello valoriale espressione del paradigma storico-culturale del tempo), necessita di continui approfondimenti rispetto alle trasformazioni epistemologiche e tecnologiche della società digitale e globale2. La formazione esprime una “famiglia di processi”, che si manifestano nello stesso momento e con modalità differenziate, in modo autonomo e dipendente. Ci si forma perché si cresce nel tempo secondo una dimensione ontologico-biologica – la crescita involontaria –, ma ci si forma in modo più significativo attraverso un’attività intenzionale e non intenzionale nei confronti dell’ambiente di vita e degli altri soggetti, e ci si forma, altresì, indipendentemente da qualsia- si scelta e azione in virtù di accadimenti, di eventi positivi e negativi (si pensi alla nascita e alla crescita, ma anche al trauma, agli stati patologici congeniti o che si manifestano improvvisamente e progressivamente e, ovviamente, al misterioso evento della morte) che caratterizzano la vita umana. Il prendere forma, infatti, determina diversi fenomeni che si sviluppano contestualmente e in modo plurale e sistemicamente sinergico e che, quindi, sfuggono in un certo senso alla matrice aristotelica del rapporto potenza-atto, sfuggono cioè ad una specifica finalità naturale dell’azione umana, soprattutto per la complessità della vita interiore del soggetto in relazione alla sua intenzionalità e all’azione nelle situazioni. Il processo formativo non solo è vario e plurale ma si connette più o meno direttamente a quei processi sociali, culturali, politici ed economici che caratterizzano una data realtà antropologica e sociale in uno specifico e determinato tempo storico. In questo processo che si sviluppa tra la crescita, l’azione noetico- pratica, l’intenzionalità, la comunicazione, l’azione e l’evento, diversi sono i fenomeni che ne caratterizzano la complessità3. Innanzitutto, la formazione è espressione di una crescita e di uno sviluppo involontario, ontologico-biologico del soggetto. Ci si forma, trasformando la propria persona nel corso degli anni. Le trasformazioni dello sviluppo biologico, neuronale, fisiologico, psicologico del soggetto, nonché le sue trasformazioni patologiche determinano cambiamenti spesso Cfr. P. Ferri, Nativi digitali, Bruno Mondadori, Milano 2011. Cfr. G. Spadafora, a cura di, Verso l’emancipazione, Carocci, Roma. Il processo formativo. 2 112 • QUALEDUCAZIONE 3 inavvertiti dalla coscienza del soggetto e indipendenti dalla sua volontà. Ci si trasforma dall’infanzia all’adolescenza, dall’adolescenza alla età matura e ancora di più, dall’età matura alla senescenza; e l’essere trasformati rappresenta il vissuto del soggetto, che diviene, prende forma e si autodefinisce nel tempo e nello spazio4. Probabilmente la crescita non presenta mai una sua specifica spontaneità in quanto il biologico e, in senso più complessivo, l’ontologico sono determinati da programmazioni “genetiche” che derivano sempre dall’azione biologica e culturale e da azioni eteronome impreviste. È indubbio, però, che il quadro della crescita biologica-ontologica risulta il momento fondamentale del “vissuto” del soggetto, un mondo “prelogico” e “precategoriale” che si sviluppa indipendentemente dall’azione cosciente del soggetto. È altresì chiaro che la crescita biologica-ontologica si sviluppa, comunque, indipendentemente dalla coscienza razionale e dalla volontà del soggetto. Accanto alla dimensione della formazione determinata dalla crescita e dallo sviluppo del soggetto esiste anche una dimensione pulsionale-motivazionale all’ azione che, studiata da varie correnti psicologiche e psicoanalitiche, è un fattore centrale per determinare l’agire formativo5. È il vasto e vago territorio della “vita interiore”, della vita presente e non rivelata. La “vita interiore” 4 Cfr. E. Colicchi, Dell’intenzione in educazione. Materiali per una teoria dell’agire educativo, Loffredo, Napoli 2011. è un fenomeno complesso che può spiegare le ragioni e le azioni umane attraverso l’interpretazione filosofica, le rappresentazioni psicoanalitiche predominanti (l’inconscio freudiano e l’archetipo junghiano), le vie religiose alla fede (l’interiorità della preghiera, della meditazione, della illuminazione ascetica). È indubbio che la “vita interiore” rappresenta un elemento condizionante per la coscienza e per l’attività umana teorico-pratica. Questo aspetto è fondamentale per comprendere il significato della relazione tra la vita interiore e le azioni umane. Quando, ad esempio, la struttura istintuale e la motivazione del soggetto, per varie ragioni, sono limitate o addirittura negate, si possono insinuare nel soggetto elementi di frustrazione, di apatia, di malinconia, o addirittura di depressione, che caratterizzano un rapporto negativo con la realtà6. Un approfondimento della complessa questione della vita interiore è sicuramente dato dalle recenti scoperte delle neuroscienze che forniscono ulteriori spiegazioni al problema dell’apprendimento umano. Senza una chiara consapevolezza dei rapporti tra la vita interiore e le azioni umane difficilmente si possono comprendere le possibilità formative del soggetto, le sue scelte, le sue decisioni e le sue specifiche realizzazioni pratiche. Il processo formativo è caratterizzato anche da altri aspetti, uno dei quali può essere sintetizzato dai complessi fenomeni legati al pensare, al comunicare e all’agire e si afferma attraverso la connessione organica tra il momento noetico, la comunicazione intersog- 5 Cfr. A. Gaston, Genealogia dell’alienazione, Feltrinelli, Milano 1998. I. Matte Blanco, Preludi della bi-logica. I, Metabolismo psichico e logica dell’inconscio; II. Riflessioni sulla psicodinamica, Liguori, Napoli 2002-2003. 6 Cfr. Rita Fadda, Sentieri della formazione. La formatività umana tra azione e evento, Armando, Roma 2002. QUALEDUCAZIONE • 113 gettiva e il momento pratico-applicativo secondo una connessione “animacorpo” che era stata già intravista dal giovane Dewey7. Il momento noetico è forse l’elemento più complesso legato al rapporto mente-corpo che ha presentato una vastissima letteratura epistemologica negli ultimi decenni, di carattere psicoanalitico e psichiatrico o legato al fondamentale sviluppo delle neuroscienze8 . Quello che in maniera chiara traspare dal rapporto tra la dimensione noetica e la realtà è la complessità di questo rapporto. Si manifesta con chiarezza una problematicità del pensare (basti fare un riferimento anche se molto generico alla bi-logicità dell’attività del pensiero o ai disturbi psicologici e psichiatrici della personalità che determinano il complesso rapporto tra mente e corpo) legata alla complessità del comunicare e dell’agire. È fondamentale questa connessione noetico-comunicativapratica che caratterizza il senso centrale del processo formativo. La crescita biologica, la motivazione e la pulsione fondamenti della “vita interiore” e la dimensione noetico-comunicativo-pratica coesistono nell’attività soggettiva in modo integrato e continuo ed esprimono il processo formativo che non potrebbe essere compreso fino in fondo se non si considera il significato dell’agire nei confronti degli eventi, degli accadimenti che sono indipendenti dall’attività umana. Un incontro occasionale, il caso, un 7 Cfr. T. Pezzano, Il giovane Dewey. Individuo educazione assoluto, Armando, Roma 2007. 8 Cfr. John T. Cacioppo, W. Patrick, Solitudine. L’essere umano e il bisogno dell’altro (2008), Il Saggiatore, Milano 2009. 114 • QUALEDUCAZIONE evento tragico, un trauma, una malattia improvvisa, un lutto, la morte percepita nell’altro ma anche vissuta come aspettativa, “essere per” l’evento finale nichilisticamente inteso, esprimono situazioni che determinano, inevitabilmente, una reazione negativa o positiva del soggetto, un segnale evidente di frustrazione, uno sforzo di rielaborazione, un momento, comunque, di trasformazione cognitiva, affettiva e relazionale del soggetto. L’evento esterno all’attività del soggetto è espressione dei più significativi cambiamenti nella formazione della soggettività. Il processo formativo esprime, quindi, situazioni di crescita, di sviluppo, di cura e di coltivazione autoformative e eteroformative in una soggettività unica e irripetibile, che si sviluppa nel tempo e nello spazio attraverso relazioni di spontanea formazione, di consapevole autoformazione e di etero-formazione; ma nelle sue trasformazioni è condizionata soprattutto dall’occasionalità dell’evento. In questa particolare accezione, il processo formativo è da intendersi come sviluppantesi in modo oscillante tra diversi contesti: i processi di condizionamento e di indottrinamento, le regole della competizione sociale, le suggestioni del mondo mediatico, i processi di conformazione, le possibilità di emancipazione salvifica che conducono il soggetto-persona alla possibile realizzazione del suo potenziale umano e del suo rapporto con il sé, con le altre persone in forma empatica e dialogica. In siffatta oscillazione ambivalente tra la conformazione e l’emancipazione, che ha sempre caratterizzato l’educabilità umana, due sono le categorie ulteriori di analisi delle problematiche del- la persona: il riconoscimento dell’identità, in altri termini il punto di arrivo del processo formativo, che dalla soggettività in formazione è vissuto come una perenne tensione ideale e l’impossibilità di fare a meno di un vincolo, di un punto fermo, necessario a determinare lo sviluppo della potenzialità umana. Il soggetto, che è un soggetto-persona nella situazione specifica, si definisce progressivamente attraverso un complesso processo formativo che è insieme conformativo, emancipativo, legato al riconoscimento e al vincolo. Un insieme di processi che disvela e costituisce il soggetto-persona nel mondo ma che, nel contempo, propone un complessivo ripensamento del concetto di libertà. La libertà del soggetto-persona non è mai tanto “libera” né nelle sue potenzialità, come “assoluto” biologico, né tantomeno nella sua capacità emancipativa e progressiva di trasformazione del mondo9. La formazione della soggettività della persona unica e irripetibile trova un suo elemento decisivo nella relazione intersoggettiva, di cui il dialogo formativo interculturale è l’elemento fondante. Le varie dimensioni del dialogo formativo interculturale pensiero di matrice platonico-aristotelica. In particolare su uno sfondo religioso sono stati variamente trattati i temi del riconoscimento dell’altro (Lévinas), del dialogo comunicativo (Buber), ma soprattutto della comunicazione linguistico-dialogica (Ebner)10. Ma, accanto a questa impostazione della filosofia intersoggettiva, è stata decisiva la “secolarizzazione” del processo intersoggettivo e comunicativo che lega l’impianto della filosofia intersoggettiva alla ricerca della democrazia dal basso (Habermas e Apel)11. E, accanto a questa impostazione filosofica, non bisogna dimenticare il tema centrale della ricerca delle neuroscienze sul tema dei “neuroni a specchio” che può costituire un ulteriore contributo alle problematiche culturali che analizzano il tema della intersoggettività12. In base a questa impostazione il dibattito interculturale contemporaneo ha assunto una sua centralità pedagogica, legata a quelle che sono le politiche sociali sulla immigrazione. Come ho cercato di dimostrare, il processo formativo individua le trasformazioni del soggetto-persona in tutta la sua complessità nella crescita, nella vita interiore, nella intenzionalità, nella comunicazione intersoggettiva, nell’azione e nell’evento. La cultura filosofica contemporanea ha investito molto nella riflessione sulla intersoggettività come problema filosofico. La dimensione intersoggettiva è espressione di una lunga trasformazione della filosofia con le radici salde nella struttura dialogica e confutativa del 10 Cfr. tra i numerosissimi interventi i recenti: F. Ebner, Proviamo a guardare al futuro, Morcelliana, Brescia 2009; E. Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano 2010; M. Buber, Il principio dialogico e altri saggi, Feltrinelli, Milano 2011. 9 Cfr. Cfr. R. Laporta, L’assoluto pedagogico. Saggio sulla libertà in educazione, La Nuova Italia, Firenze 1996. 12 C. Rizzolati e G. Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni a specchio, Raffaello Cortina Milano 2006. 11 Cfr. K. Otto Apel, Etica della comunicazione, Jaca Book, Milano 1992; J. Habermas, L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano 2002. QUALEDUCAZIONE • 115 Un aspetto fondamentale del processo formativo è dato dal legame intersoggettivo che, inevitabilmente, approfondisce il complesso rapporto tra l’identità e la relazione del soggetto-persona con se stesso e con l’alterità e, per quanto concerne il processo interculturale, la relazione intersoggettiva diventa fondamentale per analizzare le problematiche pedagogiche che ne derivano e, in particolare, il concetto fondante di integrazione interculturale13. L’intersoggettività, dal punto di vista interculturale, si pone come incontro di due processi formativi dei soggetti-persona che tendono a svilupparsi tra l’appartenenza e l’emancipazione, tra la ricerca dell’identità e la possibilità di trasformazione formativa, tra il vincolo della tradizione etnico-culturale-religiosa e la possibilità del cambiamento formativo in relazione all’alterità. In altri termini, i processi formativi dei soggetti-persona si relazionano in modo complesso tenendo conto della chiara oscillazione di ognuno tra il vincolo della tradizione etnico-culturale-religiosa e le possibilità di trasformazione identitaria. La relazione intersoggettiva, che si sviluppa nel complesso rapporto Io-Tu, è determinata da un incontro problematico tra valori di cui sono portatori i soggetti-persona che, relazionandosi, esprimono un complesso incontro valoriale. Il nodo della questione della relazione intersoggettiva è determinato dal concetto di dialogo intersoggettivo secondo una prospettiva pedagogica. In effetti, senza un confronto con il concetto di dialogo intersoggettivo pe13 A. Portera, P. Dusi, B. Guidetti, L’educazione interculturB.ale alla cittadinanza. La scuola come laboratorio, Carocci, Roma 2010 116 • QUALEDUCAZIONE dagogicamente fondato, intendendo con questo termine un dialogo che determina trasformazioni educative nei soggetti-persona coinvolti, è difficile approfondire la dimensione dell’intersoggettività. Il dialogo intersoggettivo è, dunque, il luogo di teorizzazione e di applicazione delle problematiche della intersoggettività pedagogicamente intesa. Questa si rivela come una teorizzazione e, al tempo stesso, una pratica dell’agire che nella dimensione interculturale si esprime in modo significativo. Per tentare di chiarire il problema complessivo della dialogicità interculturale dal punto di vista pedagogico, si potrebbero definire dal punto di vista interculturale tre possibilità di dialogicità interculturale tra i soggetti-persona nella classe scolastica e, in senso più generale, nei rapporti umani nei differenti contesti sociali e politici. Una prima possibilità è determinata dalla difficoltà dell’incontro stesso, dalla complessità della comunicazione intersoggettiva e, dunque, dalle possibilità limitate del dialogo. Tra due soggettipersona si può ipotizzare una difficoltà di dialogo interculturale, ad esempio, tra un cristiano e un musulmano chiaramente fondamentalisti. Quello che rappresenta, da un punto di vista pedagogico, una siffatta dialogictà interculturale è determinato dalla difficoltà dell’incontro e dalla difficile integrazione empatica e valoriale. Il risultato positivo di una simile situazione nella scuola, nella famiglia e nel mondo esterno non può che essere rappresentata dalla tolleranza dell’altro intesa come reciproco rispetto valoriale. In genere, un rapporto interculturale inteso come tolleranza, come accettazione ma soprattutto rispetto dell’altro, non è pienamente considerato in quanto il tema della tolleranza, secondo la tradizione illuministica e massonica14, (K. Popper, 2003) dovrebbe essere superato dal concetto di integrazione e, nel recente dibattitico culturale e politico della formazione, dell’inclusione sociale. La tolleranza è espressione del rispetto dell’alterità di fede, di culto, di razza, del soggetto-persona in nome dei princìpi della ragione che permette, in quanto ragione, di superare l’atteggiamento di intolleranza tipico dello scontro tra le ideologie e le fedi religiose contrapposte. Eppure, nel caso-limite dell’incontro tra due appartenze etnico-religiose fondamentaliste e intolleranti è necessario da un punto di vista pedagogico sforzarsi, in ogni modo, con le adeguate strategie metodologiche e didattiche per cercare il dialogo, l’incontro, l’integrazione, in altri termini la più completa comunicazione interculturale. Ma il principio pedagogico che sorregge questa tipologia di dialogo interculturale è la possibilità di realizzare il rispetto reciproco pur mantenendo le diversità molto accentuate. Un rispetto tollerante, in questo caso, determina non la sopportazione dell’alterità, ma la consapevolezza che l’alterità può sviluppare la sua specifica formazione in relazione alla sua appartenenza etnico-culturale-religiosa. Si tratta di un caso-limite di dialogicità interculturale, ma è estremamente significativo. La tolleranza come nodo centrale della cultura illuminista e liberale può diventare una conquista della comprensione dell’alterità se la si considera come limite inviolabile e invalicabile nel rapporto Cfr. K. Popper, In Search of a Better World, Routledge, London- New York 1994. 14 intersoggettivo. L’atteggiamento di tolleranza inteso come reciproco rispetto è, comunque, fondamentale per definire il senso del rispetto dell’altro, la considerazione che l’altro debba esprimere un limite ad ogni azione culturale ed eticopolitica che possa violare la sua unicità e la sua irripetibilità. La tolleranza è da intendersi, in questo senso, come la presa di coscienza del rispetto culturale e etico dell’altro senza promuovere un processo costruttivo di integrazione. È un riconoscimento che già definisce una possibile integrazione. Una seconda possibilità di dialogicità interculturale è data dalla capacità di costruire “piattaforme” valoriali comuni tra i due soggetti-persona. È, quest’ultima, la dimensione pedagogica più ricorrente nelle possibili relazioni interculturali. Si tratta nell’ambito di un’aula scolastica, ad esempio, della modalità di incontro-dialogo più diffusa. La dialogicità interculturale di due soggettipersona che presentano diversi processi formativi può esprimere una piattaforma valoriale comune, “transazionale”, di reciproco compromesso tra i due processi formativi. Non si tratta di una vera e propria integrazione, intesa come costruzione di nuova cultura, di nuovi valori in seguito all’incontro-dialogo tra i soggettipersona. Si tratta di un reciproco compromesso di valori culturali tra i due processi formativi, un punto intermedio valoriale basato, specialmente dal punto di vista delle strategie didattiche, sulla conoscenza delle tradizioni culturali, politiche e religiose dell’altro e, quindi, sulla riformulazione dei contenuti dell’insegnamento e di alcune metodologie didattiche. QUALEDUCAZIONE • 117 In effetti, il concetto di integrazione, che è stato sviluppato principalmente nell’ambito della pedagogia speciale per i soggetti-persona diversamente abili con modalità differenziate, diventa il paradigma centrale del dialogo formativo interculturale “transazionale” tra un Io e un Tu. Dal punto di vista della intersoggettività non vi è soltanto un “riconoscimento” dell’altro o una specifica comunicazione linguistica, un “agire comunicativo” che pone la centralità dell’intersoggettività come dimensione fondante dell’agire umano, ma c’è dal punto di vista pedagogico qualcosa in più rispetto alle tradizionali definizioni filosofiche della intersoggettività. L’integrazione Io-Tu in questa prospettiva interculturale è un incontro-dialogo, stimolato dal rapporto insegnamento-apprendimento, una reciproca concessione di valori, una privazione e un accrescimento che potrebbe determinare un reale incontro tra due soggetti-persona in un momento specifico della loro esistenza, nell’infanzia e nella preadolescenza. La terza possibilità della dialogicità interculturale pedagogicamente fondata si può definire quella della integrazione “realizzata come nuova costruzione di valori”. L’integrazione interculturale è un processo pedagogico-didattico che determina una trasformazione completa dei processi formativi rispetto alle appartenenze originarie. Il processo formativo interpersonale tra due soggettipersona con nette differenziazioni delle tradizioni etnico-religiose-culturali, costruisce nuovi valori culturali, cognitivi, metacognitivi affettivi e sociali Si può raggiungere, in un certo senso, una completa dialogicità interculturale, che può riproporre una importante riflessio118 • QUALEDUCAZIONE ne sul significato nella contemporaneità della scuola come “nuovo laboratorio di democrazia” e come nuova coscienza empatica nel mondo contemporaneo15. In effetti la dialogictà interculturale diventa “empatica” nel momento in cui si realizza la possibilità di costruire nuovi valori, nuove possibilità culturali comuni. L’ibridismo interculturale può attivare in modo specifico una comunicazione dialogica che permetta, ad esempio, un nuovo insegnamento della storia che tenga conto delle diverse tradizioni culturali (musulmana, cinese, indiana, ecc.) per riproporre un nuovo insegnamento della storia non più e non solo italiano o eurocentrico ma addirittura globale, e che permetta, quindi, una formazione specifica più adeguata alle varie dimensioni interculturali della società contemporanea. Questi tre paradigmi possono definire uno specifico modello di dialogicità formativa interculturale unitaria e differenziata al tempo stesso da applicare alla scuola dell’autonomia contemporanea. In questo senso è fondamentale da parte dell’insegnante che il lavoro pedagogico e didattico fondamentale nella scuola dell’autonomia è quello di promuovere la costruzione intersoggettiva di valori, tenendo in debita considerazione queste tre possibilità di comunicazione interculturale anche per ripensare la classica distinzione tra assimilazione e multiculturalismo che è centrale nelle analisi culturali contemporanee16. Questa dimensione interculturale 15 Cfr. J. Rifkin, La civiltà dell’empatia. La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi, Mondadori, Milano 2010. Cfr. V. Cotesto, Sociologia dello straniero, Carocci, Roma 2012. 16 può dare un contributo essenziale ad una pedagogia della democrazia per la trasformazione della società contemporanea, in quanto la “naturalità” della democrazia, intesa come “way of life”, modo di vivere secondo l’accezione deweyana, non può che fondarsi su un modello pedagogico interculturale. Il dialogo interculturale nella sua dimensione scolastica Le complessità del processo formativo del soggetto-persona e del dialogo formativo interculturale pongono con chiarezza un maggiore approfondimento del concetto di scuola democratica nel mondo contemporaneo. Facendo riferimento a questo problema ritengo che il ruolo culturale e la funzione politica dell’insegnante risulti fondamentale. Il processo pratico-applicativo non può che essere mediato, come già intuiva Dewey nel testo del 1929 The Sources of a Science of Education, dal docente, dalla “mente dell’insegnante” che applica consapevolmente o inconsapevolmente i modelli delle scienze dell’educazione alle situazioni formative17. Il tema sviluppato dalle ricerche di storia della scuola nel nostro paese negli ultimi decenni secondo cui “tanto vale la scuola quanto vale l’insegnante” deve essere rielaborato in una prospettiva europea nell’ambito del concetto di risorsa umana legata al discorso sulla “società della conoscenza”. “Il capitale umano” nella scuola, (concetto probabilmente da rivedere anche alla luce dei gravi pro17 Cfr. L. Hickman G. Spadafora, edited by, John Dewey’s Educational Philosophy in International Perspective, SIUP, tr. 2009. blemi economici che la cosiddetta “società della conoscenza” ha determinato per l’economia europea ), è rappresentato dall’insegnante e da chi agisce educativamente nella scuola. Nell’ambito della letteratura scientifica internazionale sull’argomento è abbastanza chiaro che la formazione dell’insegnante e la sua azione pedagogico-didattica sono fondamentali per riaffermare la centralità della scuola come centro per la realizzazione dei processi formativi e per la promozione culturale e politica della democrazia delle comunità. L’insegnante, come è stato già detto con riferimento all’intuizione deweyana, è un “medium” che determina l’applicazione alle situazioni scolastico-educative dei princìpi culturali e pedagogico-didattici. È indubbio che l’insegnante ha bisogno di una preparazione “plurale” per definire la sua formazione e la sua azione (vi può essere una distinzione temporale e non epistemologica tra i due momenti) nell’ambito della classe e della realtà complessiva della scuola. In effetti, l’insegnante deve conoscere i contenuti del suo ambito disciplinare, i principi della didattica e della metodologia e, soprattutto le scienze dell’educazione. Questa rete di conoscenze e di saperi teorico-pratici deve essere applicata e contestualizzata alle specifiche situazioni educative per migliorare la qualità dell’apprendimento e della formazione dello studente nelle sue varie fasi di sviluppo biopsichico. Questo significa che l’azione dell’insegnante, al pari dell’educatore professionale, si pone come il nodo specifico dell’incrocio tra la teorizzazione e l’applicazione, il momento in cui si definisce nei risultati concreti la complessità QUALEDUCAZIONE • 119 del rapporto tra il sapere pedagogico e l’agire educativo. Proprio per questo l’insegnante, che nella recente normativa italiana riguardo la scuola dell’infanzia e la scuola primaria non è stato valorizzato adeguatamente rispettando le sue specifiche e plurali competenze, ha un ruolo fondamentale per la costruzione di una scuola democratica. È abbastanza evidente che l’insegnante deve preliminarmente mettere in discussione la sua specifica identità culturale e professionale proprio per eliminare quei pregiudizi, inevitabili nell’approccio con l’altro, o in senso più complessivo, per mettere in discussione da un punto di vista culturale e professionale il proprio approccio critico e per favorire quel pensiero “decentrato” che può ascoltare le ragioni dell’altro e rendersi conto delle diversità culturali e sociali18. È in questa prospettiva che il dialogo formativo interculturale diventa un momento determinante come applicazione del processo formativo. In altri termini si determina e si sviluppa una doppia comunicazione formativa nella situazione scolastica: quella dell’insegnante nei confronti dell’allievo o degli allievi (le due relazioni sono molto diverse) da una parte, e il dialogo formativo intersoggettivo tra gli studenti mediato soprattutto, ma non esclusivamente, dall’insegnante19. Un altro aspetto fondamentale da approfondire è la riorganizzazione del curricolo secondo una prospettiva interculturale. La “rivisitazione” interculturale del curricolo è centrale per orientare le scelte interculturali complessive della scuola. L’ampliamento alla prospettiva di altre culture dell’insegnamento, sia nelle discipline di carattere linguistico-umanistico (in particolare il settore storico-linguistico), sia nelle discipline di carattere scientifico (in particolare il settore logico-matematico e naturalistico) determina la possibilità di formare gli studenti a competenze critiche più dinamiche e flessibili, adatte alle specifiche dimensioni interculturali della scuola contemporanea. Il dialogo, tenendo conto di questi due presupposti, diventa una particolare dimensione della trasformazione della situazione specifica. Il dialogo formativo interculturale, infatti, rappresenta il momento applicativo centrale di un modello pedagogico in una specifica classe della scuola contemporanea per favorire l’educazione alla cittadinanza e, quindi, la democrazia20. Il senso dell’applicazione che avviene da parte dell’insegnante è determinato dalla possibile trasformazione dell’esistente, dal passaggio da un modello “tollerante” di dialogo formativo ad un modello di “nuova costruzione” di valori, di cui la tensione verso la democrazia e la giustizia etico-sociale è fondamentale21 La complessità del fenomeno educativo, legata ai criteri etico-pedagogici di 18 Cfr. A. Santoni Rugiu, S. Santamaita, Il professore nella scuola italiana dall’Ottocento a oggi, Laterza, Roma 2011. 20 Cfr. L. Corradini, Cittadinanza e Costituzione, Tecnodid, Napoli 2009; S. Chistolini, a cura di, Cittadinanza e convivenza civile nella scuola europea. Saggi in onore di Luciano Corradini, Armando, Roma 2006. Cfr. R. Guolo, Identità e paura. Gli italiani e l’immigrazione, Forum Edizioni, Udine 2011. K. Amartya Sen, L’idea di giustizia, Mondadori, Milano 2010. 19 120 • QUALEDUCAZIONE 21 riferimento, si basa sulle effettive e possibili trasformazioni che i vari modelli di dialogo formativo interculturale determinano nell’ambito della situazione educativa. Il risultato specifico della applicazione può essere orientato da una scienza educativa della possibilità trasformativa (SEPT),(ovviamente da fondare e la cui esplicitazione dell’acronimo serve solo per definire alcune possibilità di orientamento pedagogico), che adatta, secondo criteri di previsione e controllo, quelli che sono le specificità del modello teorico-empirico del dialogo formativo interculturale. Le conseguenze fondamentali della applicazione scolastica del dialogo formativo interculturale sono determinate dall’orientamento delle possibilità di trasformazione delle situazioni educative specifiche e, ovviamente, dalla possibilità di favorire la democrazia nella scuola. Il modello pedagogico del dialogo formativo interculturale non può che favorire i due aspetti fondamentali di una pedagogia della democrazia: la valorizzazione del soggetto-persona e il miglioramento del dialogo formativo interculturale. Una pedagogia della democrazia deve orientare verso possibili trasformazioni il soggetto-persona nella complessità delle varie fasi della sua formazione e questo può avvenire solo grazie all’azione culturale e pedagogico-didattica dell’insegnante. La soggettività della persona è unica, irripetibile, irrinunciabile ed è molto legata alla imprevedibilità e al possibile insuccesso del progetto di vita di ogni soggetto-persona e del suo agire formativo. L’altro compito dell’azione dell’insegnante per costruire una possibile scuola democratica è favorire il processo della relazione empatica inter- soggettiva specialmente, ma non solo o esclusivamente, da un punto di vista del dialogo formativo interculturale. Il progetto formativo della persona pone l’insegnante come un “progettista della formazione” unica e irripetibile del soggetto-persona nella sua complessità. L’insegnante, nello spostare il baricentro della sua azione dalla trasmissione del sapere alla valorizzazione della formazione del soggetto- persona esprime la possibilità di analizzare e orientare una possibile trasformazione del progetto di vita del soggetto-persona. In questa forma di orientamento alle scelte consapevoli il docente non può che orientare le possibili trasformazioni educative verso la responsabilità e l’autonomia del soggetto-persona. Questi concetti non possono non considerare il rapporto con gli altri come un momento fondamentale della crescita e dello sviluppo di ogni soggetto-persona nelle situazioni specifiche. Non si è mai responsabili se non in relazione all’altro e per l’altro, non si è mai autonomi senza uno specifico processo di dipendenza da vincoli esterni e, in particolare, da vincoli intersoggettivi di varia natura e di vario genere. Il dialogo formativo interculturale, in questo senso, è una delle azioni più significative dell’azione del docente. La relazione intersoggettiva trova proprio nell’interculturalità una sua dimensione fondamentale. L’intercultura è la chiave di lettura per l’insegnante per favorire il processo intersoggettivo di una cultura democratica. L’insegnante riesce a formare la soggettività della persona solo se coglie l’importanza del dialogo formativo interculturale. Non può sussistere la soggettività della persona se non in relazione all’alQUALEDUCAZIONE • 121 tro e la relazione intersoggettiva si pone e si propone come dialogo formativo che diventa il nodo centrale della responsabilità umana. Si è responsabili non solo se si interiorizzano le norme e le regole e si operano le scelte e le azioni che determinano le conseguenze più opportune, ma soprattutto se questo complesso processo che è stato variamente trattato dalle teorie etiche si relaziona con l’alterità. Si è responsabili solo se si riesce ad accettare e a costruire una rete valoriale con l’alterità, ritenuta un vincolo importante per autodeterminare la responsabilità del soggetto-persona. L’insegnante, nel promuovere il dialogo formativo interculturale nelle sue varie dimensioni, favorisce i processi democratici nell’ambito della classe e della scuola. Ci si è resi conto come il dibattito complessivo sulle tematiche della democrazia approfondisca soprattutto la ricerca di tecniche politiche per la migliore organizzazione delle istituzioni democratiche per migliorare la governabilità dei sistemi democratici determinati, soprattutto, dal criterio della rappresentanza, dal potere delle élites spesso distanti dai bisogni concreti dall’opinione pubblica. Questa fenomenologia del potere non permette la partecipazione dei cittadini ai processi di deliberazione pubblica, in quanto non sviluppa specifici processi formativi e comunitari dal basso22 Proprio per questo, in relazione al dibattito contemporaneo, la vera novità del discorso sulla e per la democrazia rimane la centralità della scuola e, quindi, principalmente dell’insegnan- P. Ginsborg, La democrazia che non c’è, Einaudi, Torino 2006. 22 122 • QUALEDUCAZIONE te all’interno del processo scolastico. E in questa prospettiva si deve cogliere il legame profondo tra il concetto di dialogo formativo interculturale e l’azione culturale, pedagogica e didattica degli insegnanti. L’insegnante, che favorisce il dialogo formativo interculturale, di fatto contribuisce a costruire una nuova scuola come “laboratorio di democrazia”. L’intercultura è la chiave di lettura della contemporaneità per comprendere e favorire i processi democratici, e l’insegnante in questa prospettiva rappresenta la condizione necessaria ma non sufficiente per costruire il processo democratico nella scuola della contemporaneità. Il dilemma politico assimilazionemulticulturalismo, che sembra essere di difficile soluzione, può essere superato dall’ipotesi complessiva di questo scritto: l’equilibrio tra il modello assimilazionista e quello multiculturale è quello di promuovere la costruzione della democrazia. In effetti non può e non deve esistere una contrapposizione tra l’assimilazione e il multiculturalismo, in quanto l’assimilazione ai valori culturali, religiosi e etici della terra ospitante dell’immigrazione non può essere una conformazione da imporre, ma deve legarsi alla possibilità della costruzione democratica di una società multiculturale e questo può avvenire soltanto all’interno della fondazione di un dialogo formativo interculturale, condizione indispensabile per ridefinire e rifondare il concetto di scuola democratica. FONDAZIONE CULTURALE GIANFRANCESCO SERIO Breve storia Alla Fondazione Gianfrancesco Serio [34 anni di promozione della cultura di pace, fondamento della Legalità] si riconosce una ricchezza di idee per la vita onesta e solidale. Nata nel 1977, ha assunto la veste giuridica di fondazione nel 1980 (con riconoscimento della personalità giuridica); dall’1.04.06 ha assunto la veste attuale di Associazione culturale di volontariato avente le stesse finalità della fondazione. Infatti, continua a svolgere attività di prevenzione della violenza, della corruzione, della cultura di morte diffondendo i valori della vita. Ha assegnato l’Impegno per la pace a Madre Teresa di Calcutta (1980), al vescovo anticamorra, Don Antonio Riboldi (1981), al prof. Antonino Zichichi (1984), ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, alla memoria (1994), a Nicola Gratteri (2009) e a personalità del mondo della politica (Mandela, Scalfaro, Prodi) oltre che a Il delfino di Cosenza, il Progetto Abele di Torino, il S. Egidio di Roma, l’Unicef . Per altre informazioni sulle attività svolte dal 1979 ad oggi, è possibile consultare le pagine del sito (www.associazionegianfrancescoserio.it L’Associazione è un Centro studi per la promozione della cultura di pace e del dialogo fra le culture europee. All’uopo ha organizzato eventi regionale, nazionali e internazionali; pubblica le riviste Qualeducazione (a partire dal1982) e Vivere la nonviolenza (1994) rivolte a università, biblioteche, fondazioni, associazioni, scuole e al mondo dell’associazionismo. Cura la collana editoriale Acta Paedagogica dell’Editrice Pellegrini di Cosenza i cui testi, adottati dalle università affrontano temi di cultura generale (Nonviolenza, Diritti umani, Giustizia, Pace, Legalità, Salute, Onestà). Le si riconosce il merito di aver fondato una Comunità scientifica internazionale per la cultura di pace che si propone di promuovere il clima di giustizia mediante la realizzazione di appositi progetti, messaggi, incontri culturali coniugando la cultura dell’etica con la politica intesa come servizio alla persona. Progetti recenti: 2006 Giornata della legalità: Pace e Giustizia nei cuori -Cetraro (Cs), Colonia San Benedetto. Relatori: Don Ennio Stamile, direttore della Caritas regionale; Giancarlo Maria Brigantini, vescovo di Locri; Don Giovanni Mazzillo, teologo; Maria Grazia Laganà, vedova Fortugno; Antonella Bruno Ganeri, senatrice; Giuseppe Aieta, sindaco della città; Giuseppe Serio, presidente del Centro di promozione della cultura di pace. Concerto di Agnese Ginocchio, cantautrice per la pace. Fiaccolata per il borgo marinaio della città tirrenica. 2007 Formazione di volontari per la cittadinanza attiva in collaborazione con il Comune di Praia a Mare, Assessorato alle Politiche sociali e giovanili. Assistenza ad ammalati soli e inabili (in collaborazione con il Comune di Praia a Mare e l’ Assessorato alle attività di promozione assistenziali); promozione della legalità e stili di vita democratici; promozione d’incontri culturali sul tema Promuovi un clima di giustizia. 2008 Convegno nazionale, n collaborazione con la presidenza nazionale dell’ Associazione Pedagogica Italiana sul tema: Futuro dei giovani e media education. Relatori: Giuseppe Spadafora, Giovannella Greco, Mario Caligiuri (Unical); S. Serenella Macchietti, Sergio Angori (univ di Siena); Luciano Corradini, unv. di Roma3; Giuseppe Serio, direttore della rivista Qualeducazione. 2010 Progetto Cittadinanza attiva - Promozione della legalità (finanziato con fondi protocollo d’intesa Fondazioni bancarie e volontariato) che si è svolto nel territorio dell’alto Tirreno cosentino. Con l’Associazione Gianfrancesco Serio, responsabile della partnership, partecipano i comuni di Praia a Mare e Tortora, in qualità di Enti erogatori di spazi per la logistica degli interventi. Inoltre, aderiscono le Direzioni didattiche di Praia a Mare e Tortora, l’Istituto tecnico per il Turismo di Tortora in qualità di partner nello svolgimento autonomo di attività didattiche nella scuola sul tema della legalità; il Centro di Accoglienza L’Ulivo di Tortora, Cooperativa sociale per la realizzazione delle attività di rieducazione alla legalità, attraverso la Rassegna stampa e i Racconti di vita vissuta elaborati dagli ospiti dell’Ulivo; l’Associazione di volontariato Arianna di Tortora in qualità di partner per la realizzazione delle attività didattiche nella scuola, sul tema della legalità, riguardanti la tematica “Costituzione e cittadinanza”; il Centro studi Aldo Nicodemo collaboratore nella gestione del Centro Permanente del Volontariato locale. Alle attività, interne ed esterne, previste dal Progetto, hanno collaborato il Centro Permanente per il Volontariato della fondazione Serio di Praia a Mare; il Centro d’accoglienza l’Ulivo di Tortora; l’associazione di volontariato Arianna di Tortora; il Centro di Aggregazione Giovanile di Praia a Mare e l’Osservatorio su “criminalità, illegalità”, in via Piave, 4 Praia a Mare, curato dall’associazione di volontariato Gianfrancesco Serio. Nel progetto era previsto il “Servizio di vigilanza presso le scuole”, svolto dai volontari al fine di prevenire lo spaccio di droghe. Ha funzionato il sito Web (www.proettolegalita.con) in cui sono state pubblicate le fasi progettuali, la rassegna stampa, le news del progetto dotato del blog su cui i giova- QUALEDUCAZIONE • 123 ni si sono confrontati e raccontati. Oltre al sito, il progetto è stato anche sui social network (con un gruppo su facebook) che ha realizzato le “Giornate di sensibilizzazione e orientamento” per migranti regolari finalizzate alla conoscenza della lingua italiana, della normativa concernente il mondo del lavoro e la conoscenza della prima parte della Costituzione italiana. La Rassegna stampa, a cura dell’Ulivo, periodicamente è stata pubblicata sul sito web, con registrazione di eventi di particolare rilievo (criminalità, tossico-dipendenza, alcolismo, devianza). Sono state eseguite delle esercitazioni simulate di cittadinanza attiva (nei comuni di Praia a Mare e Tortora) anche su strada con i volontari e i Vigili. Per ciò che concerne l’attività didattica nelle scuole aderenti, autonomamente, i docenti hanno illustrato gli articoli della Costituzione italiana inerenti all’ Educazione alla cittadinanza con temi e disegni elaborati dagli alunni delle classi IV di scuola primaria e dagli studenti nella quotidianità ordinaria dell’attività scolastica. A gennaio del 2012 è stato pubblicato un libro avente lo stesso titolo del progetto in cui figurano anche gli elaborati degli alunni, mentre, nel corso di svolgimento del progetto sono state presentate al pubblico le esperienze di vita raccontate dagli “ospiti” dell’Ulivo, per una riflessione sui loro percorsi esistenziali “sbagliati” e la diffusione di esse per una prevenzione indiretta dell’uso di sostanze tossiche ed alcoliche. I convegni dell’Associazione CONVEGNI INTERNAZIONALI Si riportano i nomi degli studiosi che collaborano alle attività della Fondazione con l’indicazione, soltanto per la prima volta, della sede dell’università o di lavoro oppure nel caso siano passati ad altra sede Praia a Mare 2-4 ottobre 1980, Educazione alla pace. Un progetto per la scuola degli anni ‘80. Relatori i proff. Aldo Agazzi (università cattolica di Milano), Angelo Broccoli (univ. La sapienza di Roma), Serafino Cambareri (univ. di Catania), Pasquale Cammarota (univ. di Salerno), Giuseppe Catalfamo (univ. di Messina), Luciano Corradini (univ. di Milano), Benedetto D’Amore (direttore del centro internazionale di relazioni culturali, Roma), Francesco Fusca (dir. did. di Corigliano Calabro), Guido Giugni, (Univ. di Perugia), Gaetano Mollo (univ. di Perugia), Antonio Pieretti (Univ. di Perugia), Fabrizio Ravaglioli (univ La Sapienza di Roma), Giuseppe Serio (liceo cl. di Praia a Mare), Giuseppe Spadafora (univ. della Calabria), Giuseppe Trebisacce (univ. della Calabria), Matteo Venza (univ. di Messina). Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Editrice Città Nuova 1981. Praia a Mare 18-21 ottobre 1981: I valori sociopolitici nella vita giovanile e nelle istituzioni educative del nostro tempo. Relatori proff. Italo Bertoni (univ. di Genova), Giuseppe. Catalfamo, Luciano 124 • QUALEDUCAZIONE Corradini, Francesco Fusca, Guido Giugni, Francesco Inzodda (univ. di Messina), Gaetano Mollo, Antonio Pieretti, Fabrizio Ravaglioli, Armando Rigobello (univ. di Roma Tor Vergata), Giuseppe Serio, Vittorio Telmon (univ. di Bologna), Giuseppe Trebisacce, Matteo Venza. Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Luigi Pellegrini, Cosenza 1982. Praia a Mare, 12-15 settembre 1982: Educazione alla Giustizia. Relatori: proff. Giuseppe Acone (univ. di Salerno), Aldo Agazzi, Italo Bertoni, Giuseppe Catalfamo, Luciano Corradini, Benedetto D’Amore, Michele Famiglietti (Univ della Calabria), Francesco Fusca, Guido Giugni, Antonio Marchesiello (Suprema corte di Cassazione), Antonio Pieretti, Fabrizio Ravaglioli, Armando Rigobello, Giuseppe Serio, Giuseppe Trebisacce. Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1983. Praia a Mare 18-21 maggio 1984: I diritti umani. Presente e futuro dell’uomo e dell’umanità. Relatori: proff. Giuseppe Acone, Aldo Agazzi, Adriano Bausola (Rettore dell’univ. cattolica, Milano), Enrico Berti (univ. di Padova), Italo Bertoni, Angelo Broccoli, Vittorio Buscemi, Pasquale Cammarota, Serafino Cambareri, Giuseppe Catalfamo, Luciano Corradini, Vito D’Armento (univ. di Lecce),Guido Giugni, Francesco Inzodda, Louis Massarenti (univ. di Ginevra), Jacques Muhlethaler (univ. di Ginevra), Anna M. Murdaca (univ di Messina), Antonio Papisca (univ. di Padova, direttore dell’ufficio europeo dei diritti dell’uomo), Louis P. Pettiti, Antonio Pieretti, Armando Rigobello, Aurelio Rizzacasa (univ. di Perugia), Giuseppe Serio, Jhon Toth (univ. di Ginevra), Matteo Venza. Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1985. Praia a Mare 15-18 ottobre 1986: Educazione e democrazia tra crisi e innovazione. Relatori: Silvana Aggugini Matano (docente di SM, Milano) Enrico Berti, Italo Bertoni, Angelo Broccoli, Piero Bucci, Pasquale Cammarota, Giuseppe Catalfamo, Hervè Cavallera (univ. di Lecce), Giacomo Cives (univ di Roma, La Sapienza), Luciano Corradini, Giuseppe Flores D’Arcais (univ di Padova), P. De Biase Gaiotti (deputato europeo), Franco Frabboni (univ. di Bologna), Otto Filtzinger, Francesco Fusca, Anthony Lumley (univ. di Londra), Mario Manno (univ. di Palermo), Antonio Pieretti, Franca Pinto Minerva, Alvaro Pollice, Armando Rigobello, Giuseppe Serio, Claudio Volpi (univ. di Roma La Sapienza). Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1988. Praia a Mare 1-4 maggio 1988: Dove va la scienza? Educazione alla conoscenza e alla responsabilità. Relatori: proff. Giuseppe Acone, Luigi Alici (univ. di Perugia), Massimo Baldini (univ. di Perugia), Franco Blezza (univ. di Trieste), Michele Borrelli, Giovanni Brianda (univ. di Cagliari) Wilheln Büttemeyer (univ. di Olldenburg), Pasquale Cammarota, Giuseppe Catalfamo, Giuseppe Cavallini (univ. di Milano), Luciano Corradini, Maria E. Koutlouka (univ. di Salonicco), Italo Mancini (univ. di Urbino), Mario Manno, Pasquale Mascheretti (univ. di Pavia), Riccardo Massa (univ. di Milano), Antonio Pieretti, Louis Prieto (univ. di Ginevra), Mi- chele Riverso (univ. di Cassino), Giuseppe Serio, Bernardino Stamino (univ. di Cassino), Barbara Skarga (univ. di Varsavia), Antonino Zichichi, Centro di ricerche nucleari, Ginevra; univ. di Bologna). Gli Atti sono stati pubblicati dall’Ed. L. Pellegrini 1990. Praia a Mare 28-31 ottobre 1990: Educazione alla salute e al lavaro nell’Europa degli anni ‘90. Relatori: proff. Giuseppe Acone, Franco Blezza, Cado Borgomeo, Giovanni Brianda, Michele Borrelli, Luciano Corradini, Renato Di Nubilo (Sole 24ore), Giorgio Ferrazzi (univ. di Milano), KG. Fischer, Lutz Gotz (univ. Wuppertal), Georg Groth (univ di Berlino), Francesco Latella (univ di Messina), Sira Serenella Macchietti (Univ. di Siena), Adele Gioia Pellicciari (preside nei licei), Antonio Pieretti, Gustavo Pietropolli Charmet (univ. di Milano), Giovanni Maria Pinna (univ. di Cagliari), Michele Riversa, Graziella Scuderi (univ. di Catania), Giuseppe Serio, Axel Schulte (univ Norimberga), Bernardino , Maria E. Koutllouka, Giuseppe Zanniello (univ. di Palermo). Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini, 1992 due volumi. Praia a Mare 28-30 ottobre 1992: Popoli, culture, stati. Relatori: proff. Bernardo Bernardi (univ. di Roma 3), Italo Bertoni, Franco Blezza, Michele Borrelli, Luciano Corradini (univ. di Roma 3), Maria Luisa De Natale (univ. cattolica di Milano), Paolo De Stefani (univ. di Padova), Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti, Antonino Mangano (univ. di Messina), Giuliana Martirani (univ. Federico II di Napoli), Maria Teresa Moscato, (univ. di Catania), Anselmo Roberto Paolone (MPI, Roma), Antonio Pieretti, Antonio Pisanti (dir. did. Napoli), Michele Riverso, Antonia Roseto Alello (univ. di Messina), Giuseppe Serio, Franco Severini Giordano (dir. did. Crotone), Graziella Scuderi, Vittorio Telmon, Giuseppe Trebisacce, Giorgio Vuoso (univ. di Roma 3). Gli Atti sono stati pubblicati dall’ Ed. Pellegrini 1994. Praia a Mare 28-31 ottobre 1994: L’uomo nomade. Una metafora del nostro tempo. Relatori: prof F. Giuseppe Acone, Lucia Baldassa (univ. di Trieste), Italo Bertoni, Franco Biancardi (dir. did. Napoli), Franco Blezza, Francesco Brancato (univ. di Palermo), Luciano Corradini, Guido Giugni, Giuseppe Guzzo (Isp. Tec. della PI Catanzaro), J. Lapassade (univ. di Parigi), Sira Serenella Macchietti, Antonio Pieretti, Vincenzo Pucci (docente di SM), Aurelio Rizzacasa, Marina Santinello (docente,Treviso), Giuseppe Serio, Maria Veronese (docente, Trieste). Gli Atti sano stati pubblicati dall’Ed. Pellegrini 1996. Praia a Mare 24-28 1995: Progetto di cooperazione scientifica tra 14 università italiane e le università albanesi. La formazione docente nell’università: aspetti psicopedagogici e didattici. Relatori: proff. Sezai Bazai, Vasil A. Bici, Ilir Syri Bzgo, Mehmet Celiku, Adem F. Dalipi, Fatmir J. Dibra, Mira Latif Gjata, Arnaldo P. Hadimaj, Adem Jakilari, Adriatik I. Kalluli, Gjovalin Kolombi, Jetmir Korini, Blenm A. Metani, Gjergi X. Pendarinji, Liliana H. Recka, Dhimitraq i. Sckende, Vladimir M. Spahu, Ismaul A. Stafa, Sali Tabaku, Rexhep Y. Vagan, AvduI Handi Veyzi, Fatmir Vadhai, Genc V. Vincani, Semi M. Vorpsi, Vasillaq Zoto (delle università albanesi, compresi i rettori). Italia: proff. Francesco Altimari (Dir. del dip. di lingue, UNICAL), Franco Blezza, Hervè Cavallera, don Giuseppe Colavero (liceo cl. di Otranto), Armando Curatola (univ. di Messina), Elio Damiano (univ. di Parma), Mario Ferracuti (univ. di Potenza), Giuseppe Spadafora, Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti, Nicola Paparella (univ. di Lecce), Angela Perucca (univ. di Lecce), Antonio Pieretti, Michele Riverso, Vittorio Telmon, Giuseppe Serio, Giuseppe Trebisacce, Simon Villani (univ. di Catania), Giuseppe Zanniello (univ di Palermo). Praia a Mare 15-17 settembre 1996: La non- violenza. Una proposta educativa per il terzo Millennio. Relatori: proff. Giuseppe Acone, Franco Blezza, Michele Borrelli, Rita Borsellino (vice presidente di LIBERA), Enza Colicchi Lapresa, Luciano Corradini, Armando Curatola, Elio Damiano, Marcella Farina (Pontificia univ. di Scienze dell’ Educazione, Roma), Franco Frabboni, Francesco Lo Giudice (Ispett. Tec. della PI), Bruno Segre (Presidente dell’ Associazione italiana Amici del Newé Shalon, wahat As Salam), Rachele Lanfranchi (Pontificia univ. di Scienze dell’Educazione, Roma), Anna Madeo (preside SMS Rossano), Sira Serenella Macchietti, Antonino Mangano, Antonio Pieretti, Giuseppe Serio, Enzo Srangati (Comunità Baha’i), Giovanni Villarossa (preside nei licei, Caserta). Praia a Mare-San Nicola Arcella 29-31.X.1998: Europa: Economia, Etica, Educazione. Quale futuro? Relatori: Proff: Luciano Amatucci, Gennaro Baccile (Ingegnere informatico, Roma), Michele Borrelli, Luciano Corradini, Elio Damiano, Giuseppe Frega, Agostino Giovagnoli (univ di Milano), Auxilia Ghang Hiang Chu (Pontificia univ di Scienze dell’Educazione, Roma), Sira Serenella Macchietti, Giuliana Martirani, Anna Paschero (Assessore alle politiche finanziarie, Tivoli-Torino), Franco Pezzotti (ex generale della GG. FF., Scalea), Giuseppe Richiedei (presidente dell’Age), Paola Tantucci (presidente dell’E.I.P., Roma), Rudholf Jorg (univ di Wuppertal), Gian Cesare Romagnoli (univ di Roma), Bruno Rossi (univ di Arezzo), Graziella Scuderi e Giuseppe Serio. Praia a Mare - San Nicola Arcella 28-31.X.2000: POLITICA, ETICA E PEDAGOGIA DELLA PERSONA OGGI. E DOMANI? Giuseppe Acone, Luigi Alici, (univ di Macerata), Sergio Angori (univ di Arezzo), Michele Bartelli (dirigente scolastico), Franco Blezza, Michele Borrelli, Enza Colicchi (univ di Messina), Luciano Corradini, Franco Crispini (preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, univ della Calabria), Armando Curatola, Giuseppe Dall’Asta (Pontificia università delle Marche), Elio Damiano, Roberto Gatti, Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti Anna Madeo (preside), Marco Milella (univ di Perugia),Gaetano Mollo, Antonio Pieretti, S.E. Mons Riboldi, Giuseppe Spadafora, Vittorio Telmon, Giuseppina Vetri (membro della QUALEDUCAZIONE • 125 Giunta dell’As Pe.I.), Giovanni Villarossa. Nel corso del convegno si sono svolte tre tavole rotonde: Mutamenti sociali e crescita della persona; Mutamenti politici e crescita della libertà; Mutamenti culturali e crescita della fede. Ajeta - Palazzo dei Principi - 28.X.03 nel, presidenza del prof. Luciano Corradini . Interventi di saluto del dott. Gennaro Marsiglia, Sindaco della città, del prof. R. Mandarano, segretario dell’ Associazione culturale Ajeta; di Don Cono Araugio, Vicario per la Pastorale della Cultura della Diocesi di S. Marco Argentano.- Scalea e del prof. B. Praticò, sindaco di Praia a Mare. Nella Sessione inaugurale sono intervenuti i proff. Giuseppe Serio, Giuseppe Acone; Francesco Rennis, pro-Rettore dell’Unical; Pantaleone Sergi, Redattore di Repubblica, docente dell’Unical. Al termine si è svolto un ricco Rinfresco con prodotti locali offerti dall’Associazione Ajeta. Successivamente, i partecipanti provenienti da varie città italiane, in corriera hanno raggiunto l’ Hotel Villa del Mare di Maratea dove si sono svolte le altre sessioni nei giorni 29, 30 e 31 ottobre. Maratea - Hotel Villa del Mare - 29-30-31/x/2003 alla Seconda sessione hanno partecipato i proff: Sira Serenella Macchietti; Presidente onorario dell’As. Pe. I.; Luciano Corradini (Cittadinanza plurima e convivenza civile); Sergio Angori (Università di Siena), Rachele Lanfranchi (Pontificia Università di Scienze dell’Educazione, Roma), Giuseppe Spadafora (Direttore del Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’ Unical). Si sono svolti i Gruppi di lavoro su Globalizzazione e Scuola (Coordinatrice dott.ssa Bianca Strangis, Dirigente scolastico, Segretaria Nazionale dell’As. Pe. I.. e comandata presso la Direzione Scolastica Regionale di Catanzaro), Relatori: proff. Giovanni Villarossa (Dirigente scolastico e Vicepresidente dell’UCIIM), Francesco Nacci (Ispettore del MIUR); su Globalizzazione e fede (Coor-dinatore: Don Cono Araugio, Vicario per la pastorale della Cultura (Diocesi di San Marco A.Scalea), Relatori: proff. Antonio Staglianò (Direttore dell’Istituto Calabro di Teologia, Consulente del Servi-zio Naz. del Progetto Culturale della C.E.I.), Giovanni Mazzillo (Pax Christi, docente di Teologia nel Seminario S. Pio X di Catanzaro); su Globalizzazione ed educazione (Relatori: proff. Gianni Balduzzi, Università di Bologna), Emilio Lastrucci (Università di Matera). Alla Terza Sessione sul tema Globale e locale hanno partecipato i proff. Giuseppe Zanniello, Presidente dell’As. Pe. I.; On.le prof. Paolo Danuvola (Consigliere Regiona-le della Lombardia, Dirigente scolastico), Franco Blezza (ordinario di Pedagogia, Università G. D’Annunzio, Chieti). Alla Quarta sessione sul tema Globalizzazione ed educazione alla mondialità sono intervenu-ti i proff. Michhele Borrelli e Dietrich Benner (Università di Berlino), Maria Luisa De Natale (Pro-rettore dell’Università cattolica, Milano). Alla Quinta Sessione sul tema Globalizzazione e 126 • QUALEDUCAZIONE Politica hanno partecipato i proff. Chang Hang-chu (Pontificia Università di Scienze dell’Educazione, Roma), prof.ssa Giuliana Martirani e Nello Venturelli (Libera università di Bari). Il convegno si è concluso con la Tavola rotonda coordinata dal prof. Antonio Pieretti, Presidente dei convegni internazionale della fondazione, ordinario di Filosofia del linguaggio nell’Università di Perugina, sul tema Globalizzazione e Politica Vi hanno partecipato i suoi allievi, proff. Antonio Capecci, Gaetano Mollo, Carlo Vinti (dell’Università di Perugia). Praia a Mare 22, 23, 24 Maggio 2009, Educare all’onestà, oggi, nella famiglia, nella scuola, nelle istituzioni. Hanno partecipato: Antonio Pieretti Pro-Rettore Università di Perugia, On.le Giorgio Napolitano, dott. Carlo Lomonaco sindaco di Praia a Mare, dott. Gianni Malgieri direttore del CSV Cosenza, Giuseppe Serio Direttore della rivista Qualeducazione, Luciano Corradini Università Roma tre, Sira Serenella Macchietti Università di Siena, Giovanni Villarossa Coordinatore di Master Università europea Roma, prof. Franco E.Carlino Presidente Provinciale UCIIM Cosenza, dott. Antonio Fazio giornalista, Giuseppe Spadafora Università della Calabria, dott. Mario Russo sindaco di Scalea, Concetta Sirna Presidente Nazionale dell’Associazione Pedagogica Italiana, Giovanni Mazzillo Seminario S.Pio X Catanzaro, Marcello Cozzi Responsabile nazionale della Formazione di Libera, Michele Borrelli Università della Calabria, Sergio Angori Università di Siena, Dietrich Benner Università di Berlino, Vincenzo Pucci docente Scuola Media Statale Tortora, Gaetano Mollo Università di Perugia, Agostino Fortunato Patrocinante in Cassazione, Giuseppe Trebisacce Università della Calabria, Gianni Novello Pax Christi, Graziella Scuderi Università di Catania, Teobaldo Guzzo Dirigente scolastico, Simon Villani Università di Catania, dott. Egidio Lorito Giurispubblicista, Pietro De Paola Assessore alla Cultura Praia a Mare, Marcello D’Amico Assessore alla P.I. Scalea, Maria Carmela Aragona Azione Cattolica Diocesi S. Marco Argentano, Maria Grazia Cianciulli Dirigente Scolastico, Annamaria Depresbiteris Assessore alle politiche giovanili Praia a Mare, Antonia Palladino Docente, Filomena Serio Docente. CONVEGNI NAZIONALI E REGIONALI (rivolti principalmente alla formazione e all’aggiornamento di docenti e dirigenti delle scuole di ogni ordine e grado): Praia a Mare 14.03.1979: Migliorare l’uomo. Relatore: prof. Letterio Smeriglio, univ. di Messina. Praia a Mare 9.05.1979: I diritti del bambino. Considerazioni storiche e pedagogiche. Relatore: prof. Giuseppe Trebisacce (università della Calabria). Praia a Mare 17.05.1979: La personalità del bambino. Fattori di sviluppo. Relatore: Guido Giugni (università di Perugia). Praia a Mare 12.04.1982: La continuità educativa nella scuola dell’obbligo. Relatore: prof Guido Giugni Fuscaldo 27,28,29.10.1982: Scuola di cultura generale Relatori: proff. Franco Frabboni (univ. di Bologna), Guido Giugni, Mario Mencarelli (univ. di Siena), Giuseppe Serio (presidente della sezione As.Pe.I. di Praia a Mare) Tortora 26,27,31.05.1983: Linee innovative nei nuovi programmi della scuola elementare. Problemi e prospettive. Relatori: prof. Franco Frabboni (univ. di Bologna), Guido Giugni, Mario Mencarelli, (univ. di Siena), Giuseppe Serio (componente della giunta nazionale dell’As.Pe.l.). Cosenza: 22.02.1985: I nuovi programmi della scuola elementare. Problemi e prospettive. Relatori: proff. Mario Mencarelli, Giuseppe Serio, Giuseppe Trebisacce, Mario Valentini (Isp. Tec. della P.I., direttore di Scuola e vita). Maratea 26.27.04.1985:La competenza pedagogica in un paese che cambia. Relatore: prof. Mario Mencarelli; (partecipano 18 direttori di riviste di pedagogia e didattica). Tortora 11,12,13.04.1986: La continuità educativa nella scuola di base. Relatori: proff. Angelo Broccoli (univ. di Roma La Sapienza), Franco Frabboni, Mano Mencarelli, Giovanni Garreffa (Provveditore agli studi di Cosenza), Franco Nacci (Isp. Tec. della P.I. della Basilicata), Marcello Maiorana (preside della SMS), Francesco Fusca, Pasquale Cavaliere (dir. did.), Giuseppe Serio (direttore di Qualeducazione). Tortora 18.04.1986: I nuovi programmi. Una sfida per gli insegnanti. Relatori: prof. Pasquale Cavalieri (direttore. didattico Tortora), Antonio Pieretti, Giuseppe Serio. Diamante 7.04.1987: Valutazione e teorie dell’apprendimento. Relatrice: prof.ssa Maria Antonietta Ruggiero (univ di Roma La Sapienza) Diamante 8.04.1987: La valutazione dell’alunno. Come e perché. Relatori: proff. Francesca Cozzi (direttore. didattico.), Claudio Volpi (univ. La Sapienza, Roma). Rende 8.04.1987: Educazione alla convivenza democratica nella scuola. Relatori: proff. Giovanni Garreffa (provveditore agli studi, Cosenza), Mario Valentini, Claudio Volpi. Scalea 8.04.1987: Teoria dell’apprendimento per l’uso di tecnologie informatiche. Relatrice: prof.ssa Maria Antonietta Ruggiero. Scalea 9.04.1987: Programmazione dell’apprendimento e sistemi di valutazione. Relatori: Maria Antonietta Ruggiero, Franco Lo Giudice (Isp. Tec. della PI, Paola). Scalea 10.04.1987: Programmazione dell’apprendimento e sistemi di valutazione. Relatori: Maria Antonietta Ruggiero, Franco Lo Giudice. Praia a Mare 11.04.1987: Educazione linguistica e nuovi linguaggi. Relatore: prof. Claudio Volpi. Tortora 30.31.10.1988: Processi decisionali e capa cità manageriali nella funzione direttiva, Relatori: proff. Luciano Corradini (univ. di Milano), Rosa Colafranceschi Tobarelli (preside di SM, Milano), Giu- seppe Guzzo (dir. did. Catanzaro), Francesco Fusca (dir. did. Corigliano), Francesco Nacci, Vincenzo Lo Coco (preside di SMS Palermo),Giuseppe Repaci (preside di SMS, Palmi). Maratea 6,7,8.05.1989: Quarant’anni di cultura democratica nella prospettiva dell’Europa Relatori: Luciano Corradini, Francesco Inzodda (univ. di Messina), Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti (univ. di Siena), Antonio Ibanez Martin (univ. di Madrid), Antonio Pieretti (univ. di Perugia), Giuseppe Serio (Consiglio Naz. dell’As.Pe.I.). Cosenza 20,21.12.91: Giovani, educazione, mafia. Relatori: Salvatore Di Bella (univ. di Messina), Luigi Maria Lombardi (univ. di Roma, La Sapienza), Antonio Pieretti, Giuseppe Serio, Mons. Dino Trabalzini (arcivescovo di Cosenza Bisignano). Cetraro 30.03.1993: I giovani e la salute tra prevenzione ed orientamento nella scuola. Relatori: proff. Michele Borrelli (Unical), Giuseppe Serio (coordinatore della Consulta nazionale delle riviste di Pedagogia). Praia a Mare 5,6.06.1993: L’impegno degli intelletlettuali cattolici nel rinnovamento della cultura politica per l’Italia e l’Europa. Relatori: Domenico Nunnari (RAI-TV, Cosenza) Antonio Pieretti, Giuseppe Serio, Sua Eminenza Card. Paul Poupard (già rettore dell’univ. Cattolica di Parigi,presidente della Pontificia commissione della cultura). Praia a Mare 6,7,8.04.1994: Seminario per genitori e figli nella scuola. L’educazione sessuale nel rapporto con se stessi e gli altri. Relatori: Paola Castellucci (collaboratrice del Brutium di Rende), Mario Pedranghelu (direttore del COSP di Cosenza), Giuseppe Serio, don C. Spitelli (sacerdote). Praia a Mare 23,24.05.1994: Ama, lavora, vivi l’Europa in Calabria (I conferenza regionale degli studenti calabresi). Relatori: Luciano Corradini, Giovanni Garreffa, Giuseppe Serio ed un gruppo di studenti di istituti secondari superiori. Praia a Mare 1.06.1994: Educazione alla salute e i giovani tra scuola, famiglia, società. Relatori: Pina Boggi Cavallo (univ. di Salerno), Giovanni Garreffa, Mario Managò (dir. did. Tortora), Mario Pedranghelu, Giuseppe Serio. Praia a Mare 1995: Camminare eretti. Relatori: proff. Rocco Donnici (univ. di Urbino), Mario Managò, Giuseppe Serio. Lamezia Terme 28,29,30.01.1996: Ecologia scolastica ed educazione alla salute. Relatori: proff. Luciano Corradini, Armando Curatola (univ. di Messina), Sira Serenella Macchietti, Mario Pedranghelu, Giuseppe Serio, Bianca Strangis (dir. did. Lamezia), Giuseppe Trebisacce. Scalea 27,28.02.1996: Quale carta dei servizi, quale autonomia per la scuola calabrese. Relatori proff: Michele Borrelli (Unical), Antonio Cosentino (liceo sc. di Cetraro), Mario Managò, Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa (preside nei licei), Osvaldo Ziccarelli (presidente della sez. dell’UCIIM dell’alto Tirreno cosentino). Scalea 10,11 .04.1996: Educazione e continuità nella scuola dell’obbligo. Relatori proff: Amelia QUALEDUCAZIONE • 127 Amatucci (Isp. Tec. del MPI, Roma), Guido Giugni, Sira Serenella Macchietti. Catanzaro 13,14,15.02.1997: Quale autonomia per la scuola cattolica in Calabria. Relatori: proff. S.E. Antonio Cantisani (Arcivescovo di Catanzaro), Teobaldo Guzzo (dir. did. di Catanzaro, vice presidente dell’IRRSAE della Cal.), Giuseppe Serio, don Nicola Scriniti, Giovanni Villarossa. Tiriolo 7,8,9.04,1997: La scuola della continuità per la persona in evoluzione. Relatori: proff. Teobaldo Guzzo, Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa. Tortora 20,21,22.10.1997: La scuola della continuità per la persona in evoluzione nella scuola di base. Relatori: proff. Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa. Rende 8,9.10.1997: La Scienza, oggi: educazione alla conoscenza e alla responsabilità. Relatori: proff. Franco Blezza, Michele Borrelli, Gilda De Caro (preside nei licei), Donatella Laudadio (Assessore provinciale alla P.I) Catanzaro: 18,19.11.1997: Il centro di informazione e consulenza negli istituti secondari superiori. Relatori: proff. Luciano Corradini, Anna Maria Jembo (vice provveditore agli studi di Catanzaro), Giuseppe Serio. Paola: 20,21.11.1997: Educazione alla salute, CIC e il progetto giovani 2000. Relatori: prof. Michele Bartelli (preside nei licei), Antonella Ganeri Bruno (sindaco di Paola, senatrice della Repubblica, Isp. Tec. della PI), Luciano Corradini, Giuseppe Serio. Tortora 25,26.11.1997 2,3.12.1997; 27.02.1998: Ridefinizione della professionalità nella scuola dell’autonomia. Relatori:prof. Francesco Lo Giudice, Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa. Tortora: 2-4.04.1998: Autonomia, come? Relatori: proff. Gianni Balduzzi (Isp. Tec. della PI, Bologna), Antonella Ganeri Bruno, Michele Borrelli, Cesarina Checcacci (Presidente del C:N.P.I. , Roma), Elio Damiano, Antonio De Angelis (Provveditore agli studi di Isernia), Francesco Lo Giudice, Sira Serenella Macchietti, Eduardo Martinelli (ex alunno di don Lorenzo Milani a Barbiana), Francesco Nacci (Isp. Tec. della PI, Basilicata), Antonio Santagata (vice- provveditore agli studi di Cosenza), Giuseppe Serio, Giovanni Villarossa San Nicola Arcella 9.06.99, Hotel Bridge: Giubileo ed educazione alla speranza in Calabria Relatori: S. E. Mons Giusuppe Agostino, S. E. Mons Antonio Cantisani, S. E. Mons Domenico Crusco. S.E. Mons Vincenzo Rimedio; proff. don Cono Araugio (Direttore dell’I. S. R. di Belvedere Marittimo), Luigi Intrieri (Segretario della Commissione Cultura del- la C. E. C.), Renato Serpa (docente nell’ I. S. R.), Giuseppe Serio ( id. ) Cetraro (Cosenza), 18. XII.2005: PACE GIUSTIZIA LEGALITA’ NEI CUORI, Colonia S. Benedetto– Cetraro. Con Agnese Ginocchio in Concerto, cantautrice per la pace e i diritti umani, e MARIA GRAZIA LAGANA’, vedova FORTUGNO Relatori: Mons Giancarlo Maria Bregantini, Vescovo di Locri - Gerace; prof. Don Giovanni Mazzillo, Seminario S. Pio X, Catanzaro. Interventi: Don Ennio Stamile, Direttore della Caritas diocesana; dott. ssa Maria Grazia Laganà, ved Fortugno; senatrice pof. ssa Antonella Ganeri Bruno; prof. Giuseppe Serio; dott. Giuseppe Ajeta, sindaco di Cetraro. Aieta (Cs) 2 luglio 2006 - Palazzo dei Principi Pedagogia e cultura per educare Relatori (Saluti del Sindaco dott. Eugenio Marsiglia): proff. Franco Blezza, Michele Borrelli, Luciano Corradini, Sira Serenella Macchietti, Graziella Scuderi, Giuseppe Serio e Giovanni Villarossa. Praia a Mare 15.12.07, La fondazione Serio compie 30 al servizio della cultura di pace nella società disorientata. Relatori: prof. Michele Borrelli, Università della Calabria; dott. Maria Rosalba Lupia, dirigente scolastico, Segretaria Nazionale dell’ As. Pe. I.; prof. Giuseppe Serio, presidente dell’Associazione culturale Gianfrancesco Serio. Tortora: 16.05.08, Persona Persone Povertà nella società disorientata. Relatori: dott. Mario Daniele Managò, dirigente scolastico; Don Giovanni Mazzillo, teologo; prof. Giuseppe Serio Lauria, 18.10.2008, patrocinio del Consiglio Provinciale fo Potenza: “Scienza e fede: quale dialogo?” Relatori: Michele Borrelli, Università della Calabria; Giuseppe Serio, direttore della rivista Qualeducazione. Polistena 30 gennaio 2010: “Giustizia e legalità in Calabria”. Saluti: dott. P. Cullari, Assessore alla Legalità del comune. Relatori:Don Pino De Masi, Libera Calabria; Michele Borrelli (Unical); Giuseppe Serio (direttore della rivista Qualeducazione); Maria Grazia Laganà (deputato al Parlamento). Tortora 19 giugno 2010: “E’ possibile sconfiggere la ‘ndrangheta?” Saluti: Ing. P. Lamboglia sindaco della città e Maria. Lamboglia, assessore alla cultura Relatori: Michele Borrelli, Luciano Corradini (emerito nell’univ di Romatre), Giuseppe Serio …ed ora la storia della fondazione la continuano a scrivere Filomena e Angelo Serio in collaborazione con i volontari e gli amici di sempre e quelli futuri… 128 • QUALEDUCAZIONE