____ N° 28 ____________ PRIMAVERA 2005 ___ IL CANTIERE MUSICALE Rivista del Conservatorio Niccolò Paganini Genova - Anno V, Numero 28 Lidia Baldecchi Arcuri • Il pianismo, la sua storia, l’arte del suo insegnamento Il privilegio di conoscerlo Maurizio Pollini • “Chopin, un mistero ...” A nome mio personale e della Civica Amministrazione desidero partecipare al profondo cordoglio che ha colpito la Chiesa e il mondo della musica e della cultura genovese per la scomparsa del Maestro Luigi Porro. • Il “Paganini” in Vaticano • Weinberger al “Paganini” • Fortepiano in concerto • Trasferta tunisina ECUME • A Genova, le selezioni ESTA • Nel nome di Faber • Un “Arsenale” in conservatorio • IL CANTIERE RICORDA LUIGI PORRO Paolo Miccichè • Crisi del linguaggio e prospettive della regia lirica • La “Fanciulla del West” sui fili • Piccoli equivoci Francesco Denini • Una bottega per gli spazi del suono • Al via i tirocini al Carlo Felice • NOVITÀ LIBRI & DISCHI Emanuele Canepa • Un oggetto “semplice”: la canzone Genova ricorderà il Maestro Luigi Porro sia come compositore, sia come maestro di cappella Nell’anno di Genova Capitale Europea della nella cattedrale di San Lorenzo, sia Cultura, nel corso delle manifestazioni paganicome insegnante al Conservatorio, sia come niane del 12 ottobre, gli avevamo doverosadirettore di uno dei complessi polifonici più mente conferito il Grifo d’Argento. Un piccolo importanti e noti della città, sia come ricercariconoscimento in segno di sincera gratitudine tore di spartiti musicali rarissimi. per la instancabile attività didattica e artistica Sotto la sua guida il coro polifonico da lui da lui condotta nella nostra città. diretto per oltre quarant’anni ottenne prestigiosi Un riconoscimento che il Maestro aveva partiriconoscimenti nei massimi concorsi internacolarmente gradito, e che lo aveva un po’ rassezionali, tenendo alto nel mondo il nome della renato nel momento più difficile della sua vita. nostra città in questo ambito. SETTE PAGINE DI Genova ricorderà il Maestro Porro per le APPROFONDIMENTI elevatissime doti SULLA VITA E umane, morali, artistiche e professioL’OPERA nali, per l’impegno, DEL MAESTRO la dedizione, l’entuLUIGI PORRO siasmo, l’umiltà con cui seppe affiancare la missione sacerdotale all’attività didattica e artistica, iniziando all’amore per la musica e per il canto diverse generazioni di Genovesi. Il Maestro Porro lascia sicuramente un grande vuoto, ma anche, ne sono certo, uno straordinario patrimonio di umanità di arte e di cultura nel cuore di chi ha avuto il privilegio di conoscerlo. Giuseppe Pericu Lele Luzzati Messaggio di cordoglio del Sindaco di Genova Giuseppe Pericu per la scomparsa del Maestro Luigi Porro. Sommario Lidia Baldecchi Arcuri siero, al sentire e all’immaginare , potrà finalmente abbandonarsi all’amalgama finale. Di questo parlano i trattati fin dagl’inizi, pur mai trascurando la ragion d’essere della musica. Partiamo da Diruta e Sancta Maria per arrivare a Ortmann, Schulz e Kotchevitzky, l’ultimo dei quali introduce l’elemento della educazione psico - fisica. Ma il discorso viene sviluppato solo negli effetti e non nelle cause, che tuttora rimangono mistero. Il Corso viene arricchito dalla proiezione di Video e DVD e dall’ascolto di esecuzioni del passato e presente, spesso messi a confronto o fermati per meglio aggiungere o escludere ogni eventuale schema tecnico platealmente disdetto dalla realtà dei grandi esecutori. La profonda conoscenza di questo straordinario percorso, mi pare essere l’unica via per intraprendere una metodologia didattica aperta al futuro, ma cosciente e rispettosa del passato : una didattica che rispetti le leggi della meccanica fisica e fisiologica, ma che non escluda individuali divergenze da esse. La seconda parte degli incontri prevede la formulazione di una metodologia che gradualmente, cronologicamente e gerarchicamente introduca tutte le tecniche richieste per l’esecuzione del repertorio pianistico. Potrà sorprendere, che, una buona metodologia avrà risolto più di metà dei problemi meccanici entro i primi cinque anni - i più importanti anni nella vita strumentale di un allievo. Entro l’ottavo anno di studio saranno, sì, introdotte nuove tecniche, ma molte saranno solo raddoppi delle tecniche precedentemente apprese. Altri due a quattro anni dedicati alle coordinazioni più complesse contenute nel repertorio pianistico porterà a compimento un lavoro ben fatto da un insegnante cosciente e coscienzioso, amante della propria arte dell’insegnare . Durante gli incontri avvengono libere discussioni su ogni aspetto dell’apprendimento e dei problemi e scelte che confrontano chi a quest’arte si dedica. Deve essere, ed è un momento di scambio reciproco in cui, alla fine ci accorgiamo veramente che la musica siamo noi. Il pianismo, la sua storia, l’arte del suo insegnamento Dovendo riassumere i Corsi da me tenuti su questo tema nel passato e nel presente (cominciai in lontane terre trent’anni fa), debbo confessare che ho imparato insegnando. Ho dovuto spogliarmi di ogni pregiudizio, personale od acquisito, ricostruendo attraverso lo studio dei trattati (e di altro !), il miracoloso percorso di questa particolare disciplina umana. L’evoluzione della tecnica di tastiera fu dapprima lenta...lentissima, fino ad improvvisamente esplodere in invenzioni sonore tramite continui cambiamenti negli strumenti, i quali obbligavano gli esecutori a mutamenti di assetto fisico. Ma non solo, e soprattutto, furono gli stessi compositori a cambiare le loro visioni dell’universo sonoro ampliando o riducendone le dimensioni, le caratteristiche timbriche, ed attribuendole tutti i cangianti movimenti del loro pensiero e del loro spirito. Furono loro ad arrivare alla complessa, ma allo stesso tempo, semplice organizzazione della materia sonora. Abbiamo inoltre assistito al collasso di questo sistema, (come fosse il collasso di un sistema solare), e la conseguente ricerca da parte dei compositori contemporanei di una riorganizzazione della materia sonora, la quale riorganizzazione porterà a nuovi modi di ascoltare, di sentire (forse anche di udire), e perciò a nuovi schemi mentali, a nuove risposte fisiche. Non si contano i libri scritti sulla eterna domanda sul significato della Musica. Perché è da qui che inizia il problema dello strumentista. Io, personalmente, sono arrivata a pensare che il SUONO, mattone di costruzione della Musica, è il SILENZIO CHE VIVE. Questo silenzio, dunque, deve essere anche il punto di partenza fisico e psichico dello strumentista, se egli vuole essere interprete del profondo significato della musica : se ne desidera essere degno ed umile voce. Ma, più il fisico è debole, più comanda ; più è forte, più obbedisce : perciò, solo quando il fisico si troverà sufficientemente forte per obbedire al pen- Lidia Baldecchi Arcuri Maurizio Pollini: "Chopin, un mistero…" Maurizio Pollini a Genova, dopo sette anni. Ancora GOG, ancora successo strepitoso, il 14 marzo scorso, di fronte alla platea gremita. Dopo Beethoven (nel ‘98), una monografia su Chopin, autore di cui il celebre pianista milanese è fra gli esegeti che – fin dagli anni ’60 – ne ha segnato indelebilmente la storia dell’interpretazione. Incontriamo Pollini sul palcoscenico del "Carlo Felice", accanto ai due pianoforti a coda “di fiducia” che s’è fatto portare (ne sceglierà uno, quello più consono all’acustica). "Mi ritengo costantemente all’inizio, anche in questo momento. E non si tratta d’umiltà: semmai è la voglia di realizzare molte cose che me lo fa dire! Già sette anni che manco da Genova? No, non ci sono motivi particolari… Indirettamente, dipende dal fatto che faccio un numero limitato di concerti e quindi sono costretto spesso a dire di no. E’ un compromesso che mi permette di preparare i concerti con sufficiente calma interiore, lasciandomi più libero di studiare. Ad essere sinceri non amo la classica tournée in cui uno va in un paese e in 20 giorni fa 12 concerti… Un tipo di vita che non mi piace". Veniamo a Chopin… "E’ miracoloso. Naturalmente ha un potere di comunicazione così straordinario che piace a tutti, ma è tutt’altro che facile e scontato. Alle spalle c’è un grandissimo compositore con una sensibilità incredibile e che nasconde un vero mistero, che chiede una indagine perpetua". E’ noto che la sua curiosità intellettuale comporti un work-in-progress… Cosa accade quando ascolta le sue incisioni giovanili? "Il “riascoltarsi” è un’operazione delicata. In realtà PRIMAVERA 2005 bisogna tentare di valutare la registrazione come se a suonare fosse un altro, col distacco necessario per vederne difetti e pregi. La concezione dell’opera s’evolve costantemente. Quindi un’esecuzione rimane frutto del momento. Tutte lo sono, per fortuna". Forse per Chopin, di più? "In un certo senso… Pensiamo al problema del “rubato”. Le testimonianze di Liszt ci dicono che esisteva nell’esecuzione di Chopin stesso. Ma non c’è una legge che stabilisce la quantità di rubato ideale. Ecco il problema dell’interpretazione: queste libertà necessarie per la musica sono sempre personali. In realtà la personalità dell’interprete si sovrappone fatalmente a quella del compositore, e non può che essere altrimenti se vogliamo avere il risultato di un’esecuzione viva". Per un interprete lo studio della musica contemporanea a suo avviso arricchisce poi la capacità di approfondimento dei classici? "Non direttamente. Ma sono convinto che fare musica contemporanea possa aiutare, arricchire la nostra personalità d’una visione più ampia, che non 2 rifiuta quell’impatto della creatività di oggi. Senza la musica d’oggi in realtà c’è un certo pericolo di diventare mummie… Sia per i musicisti che per il pubblico!". Come si trova al Carlo Felice? "Bene. L’acustica è particolare, ma riuscita. Sto provando per cercare di capirla meglio". Sui giornali di questi giorni rimbalzano le scintille dei guai scaligeri… "Non voglio entrare in questa polemica, perché è un infernale pasticcio. Fanno dispiacere più cose… Una è che in tutto questo dibattere non si pensa abbastanza a ciò che viceversa è fondamentale: un futuro di programmazioni più interessanti, un’attività intelligente e aperta, che rinnovi il teatro e che ne faccia non un mausoleo di bei ricordi ma un organismo produttivo e interessante. Un’altra considerazione possibile è su questa ingratitudine da parte dell’orchestra del teatro scaligero verso Riccado Muti, che ha lavorato tanto, dopo tanti anni di dedizione… Francamente è un atteggiamento che lascia molto toccati". Il suo concerto avviene a poche ore dallo sciopero nazionale dei lavoratori dello spettacolo contro i previsti ulteriori tagli al F.U.S. (Fondo Unico per lo Spettacolo)… "Sono per le sovvenzioni statali, e già non ho visto con piacere la trasformazione degli enti lirici in fondazioni! I privati che danno fondi per gli spettacoli sono meritevoli e vanno ringraziati. Ma la cultura ha diritto di essere sovvenzionata perché rappresenta un bene universale. Si immagini come posso vedere questi tagli, in tale situazione italiana… Ho espresso già il mio disaccordo assoluto su questo governo, e in modo particolare sulla Riforma Costituzionale: un momento pericolosissimo per noi tutti. Se il governo ha bisogno di far quadrare i bilanci, tagli altrove, ma non tagli la cultura". gdm Il “Paganini” in Vaticano Si sa, quando si prova l’esperienza televisiva, è poi difficile tornare alla vita ed all’anonimato di tutti i giorni…ma che a tre mesi di distanza dal Concerto di Capodanno qualcuno di noi finisse in mondovisione non l’avevamo davvero programmato! Forse non tutti, infatti, sanno che alcuni musicisti (sei coristi ed un violista) del nostro Conservatorio hanno preso parte ad un importante evento musicale, nell’ambito dell’iniziativa “La Culturale Universitaria Europea incontra il Santo Padre”. Il concerto, avvenuto il 5 marzo in Aula Nervi (Città del Vaticano) è stato trasmesso in Mondovisione dal Centro Televisivo Vaticano, dalla Televisione della Conferenza Episcopale Italiana (SAT 2000) e dalla Radio Vaticana. Andrea Paoli, violista coinvolto, così descrive l’esperienza in questa mastodontica orchestra: “Venerdì pioveva, e l'appuntamento era dall'obelisco, sotto l'acqua. Ho trovato già lì due violisti toscani, dopo poco un è venuto un’addetto a prenderci e ci ha accompagnato in Vaticano, in sala Nervi. Bene, prova tutto il pomeriggio, con orari di inizio trattati elasticamente. Cena (con vaschette precotte tipiche da catering per grosse quantità) con anche pollo (carne in venerdì di quaresima??). Sera in albergo (a nanna). Sveglia al mattino del sabato alle 7.15 per far colazione con calma e riuscire a essere in Vaticano per le 9. Prova tutta la mattina solo orchestra, pausa pranzo (sempre con le vaschette), appello dei coristi in Piazza. Erano tantissimi. Ancora un po' di prova col coro, poi pausetta e poi inizio della celebrazione. Lunga, ma non pesante (almeno per me). Poi foto ricordo con i coristi, e si esce (sotto l'acqua). Cena all'Archivio di Stato, sempre a vaschette. Poi saluti, baci, abbracci e in albergo. Domenica ritorno. L’orchestra era composta da più di cento elementi ed il coro da più di duemila. Cosa capissero dal direttore e cosa poi cantassero quelli posizionati in fondo, Dio solo lo sa. C’erano un po’ di direttori ausiliari (forse abusivi) sparsi per la sala che si davano da fare, con risultati non ben valutabili, ma nel complesso credo che il risultato sia stato discreto. Sicuramente suonare in mezzo a tanta gente fa un certo effetto. Una bella esperienza, se me la riproponessero la rifarei…”. Per il mese di dicembre è in programma un altro appuntamento, questa volta in Santa Maria Maggiore ed in San Pietro, che prevede anche l’inserimento di un brano sinfonico la cui direzione sarà affidata al vincitore di un apposito concorso nazionale, riservato agli allievi di Direzione d’Orchestra iscritti all’anno accademico 2004-2005 presso i Conservatori e gli Istituti musicali pareggiati. Paola Siragna Il 30 marzo si esibirà sul "Dell’Orto & Lanzini", in occasione dell’inaugurazione del Festival Organistico Europeo Il 14 maggio sarà inaugurato il nuovo strumento "Restelli", copia da Ludwig Dulcken “il giovane” di fine ‘700 Gerhard Weinberger al "Paganini" Fortepiano in concerto La rassegna è uno dei fiori all’occhiello della Genova musicale. Giunti al XXVII° anno di attività, tornano i concerti degli Amici dell’Organo. L’omonima associazione, presieduta dal M° Emilio Traverso (docente presso il nostro Conservatorio) vara il Festival Organistico Europeo 2005. Un’iniziativa realizzata in collaborazione col Comune di Genova, la Provincia, la Regione e l’Istituto Diocesano di Musica Sacra. Anche il "Paganini" è parte in causa. Anzi. Proprio sullo splendido organo "Dell’Orto & Lanzini" che domina la Sala Concerti del conservatorio (strumento inaugurato lo scorso ottobre con un concerto tenuto da Michael Radulescu) si misurerà l’interprete del primo appuntamento del Festival: mercoledì 30 marzo alle 18, di scena l’organista Gerhard Weinberger, già allievo di Franz Lehrndorfer, oggi uno dei più accreditati studiosi delle opere organistiche di Bach (di cui sta incidendo l’integrale sui più importanti organi storici della Turingia e della Sassonia: già pubblicati 16 CD, per l’etichetta CPO). Nel concerto genovese (occasione preziosa, ad ingresso libero) Weinberger eseguirà la Fantasia e Fuga in sol minore BWV 542 ed i Sei Corali di Bach, il Preludio e Fuga sul nome B.A.C.H. di Liszt e la Fantasia e fuga in re minore op. 135b di Reger. Questo il programma del concerto inaugurale dello strumento, previsto per sabato 14 maggio alle ore 18 presso la Sala Concerti del conservatorio. Aprono l’esibizione una Sonata di Boccherini per violoncello e basso continuo (interpreti, Matteo Ronchini e Pinuccia Schicchi), tre Sonate di Cimarosa (Tiziana Canfori) e due arie di Mozart e Bellini (eseguite dalle studentesse Han-Na Oh e Elisabetta Isola accompagnate da Flavio Sironi e Federica Di Maio). Restituite anche una Sonata a quattro mani di J. Tours (Barbara Petrucci e Dorina Sciaccaluga), una Parthie di M.T. Agnesi (ancora Barbara Petrucci), delle Variazioni di Mozart per violino e pianoforte e una Sonata di J. Schobert (Donella Terenzio e Barbara Petrucci). La stagione proseguirà il 7 aprile alle 21 presso la Basilica dell’Immacolata con l’organista Jozef Sluys, il 14 (sempre alle 21) all’Oratorio San Filippo con Fabio Ciofini, il 21 presso l’Abbazia di San Matteo (Luigi Ferdinando Tagliavini) e infine il 28 nella chiesa di Sant’Anna, con un recital di Roberto Antonello. 3 PRIMAVERA 2005 Trasferta tunisina, nel segno di ECUME Ancora scambi culturali nel nome di ECUME Echanges Culturels en Méditerranée. Dopo la XIV° edizione degli Incontri Internazionali dei Conservatori di Musica, che Genova ha ospitato nel novembre scorso, il "Paganini" è stato nuovamente coinvolto in una bella iniziativa, questa volta in trasferta presso il Teatro Municipale di Tunisi e di Sfax, in Tunisia. La violinista Donella Terenzio ed il violista Alessandro Ghe, dal 13 al 19 marzo, hanno collaborato alla realizzazione di due momenti concertistici realizzati dall’Ensemble Ecume: un’orchestra d’archi multietnica, costituita da musicisti provenienti da ogni parte del Mediterraneo. La manifestazione è stata realizzata sotto l’egida del Ministero Tunisino per l’Educazione. Nella Sala Concerti del "Paganini", il 9 aprile, per accedere alla "Rassegna Nazionale per Giovani Strumenti ad Arco" A Genova, le selezioni "ESTA" Anche Genova, fra le sedi della selezione che porterà alla "Rassegna Nazionale per Giovani Strumentisti ad Arco" organizzata da "ESTA" (European String Teachers Association) in collaborazione con il Conservatorio Paganini, il "Verdi" di Milano, il "B. Marcello" di Venezia, il "Cherubini" di Firenze, il "Rossini" di Pesaro e l’Accademia dell’I.P.S. di Bari. Sabato 9 aprile alle 15.00, presso la Sala Concerti del "Paganini", il momento ligure degli "Incontri sul Palcoscenico", dove gli strumentisti partecipanti si confronteranno, suddivisi in sette categorie. I vincitori si misureranno coi loro colleghi delle selezioni avvenute nelle altre città, fra il 30 aprile ed il 1° maggio Giovani compositori cercasi, nel nome di Faber “Venite in Paradiso, là dove vado anch’io…” La Fondazione Fabrizio De Andrè bandisce un progetto dedicato agli studenti di Composizione, volto alla trascrizione musicale degli arrangiamenti delle canzoni di Fabrizio De Andrè. Lo scopo di questa interessante iniziativa è l’allestimento di un archivio contenente tutti gli arrangiamenti originali, con sede presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena, dove è stato costituito il Centro Studi Fabrizio De Andrè. Il progetto si avvale della supervisione di Luigi Viva (già autore di una biografia dedicata a Fabrizio De Andrè dal titolo “Non per un Dio, ma nemmeno per gioco”) e della supervisione di esperti e musicisti che hanno lavorato a fianco di Fabrizio nella sua lunga carriera: Mark Erris, Piero Milesi, Mauro Pagani, Nicola Piovani e Giampiero Reverberi. I Conservatori coinvolti sono quelli di Genova, Firenze, Parma, Mantova, Bologna e Verona. PRIMAVERA 2005 Ogni Conservatorio riceverà una borsa di studio destinata agli studenti. La Fondazione, fra l’altro, ha già stretto con il nostro Conservatorio un rapporto di collaborazione, attraverso una serie di borse di studio nell’ambito di un progetto quadriennale. Al nostro Istituto sono stati assegnati gli album: “Volume I”, “Tutti morimmo a stento”, “Volume III”. Tre album simbolo del cantautore genovese, contenenti successi quali “Via del Campo”, “Bocca di Rosa”, “La canzone di Marinella”, “La guerra di Piero” ed altri. Forse meno noto degli altri due (e forse più complesso musicalmente), “Tutti morimmo a stento” è invece una “cantata in si minore per solo, coro e orchestra” , come recita il sottotitolo del disco, i cui arrangiamenti originali furono curati, magistralmente, da Giampiero Reverberi. A lavorare alle trascrizioni saranno, per il nostro Conservatorio, le classi dei Prof. Giachino (Composizione) e Leveratto (Jazz). Un bel progetto, che rende giustizia all’opera del cantastorie genovese, disponibile fin’ora solo su canzonieri e traballanti arrangiamenti pianistici. Dispiace solo il fatto che l’idea di questo archivio provenga dall’Università di Siena e non dalla “culla” di Fabrizio, la sua Genova. Paola Siragna 4 presso la "Sala della Cassa di Risparmio" di Firenze. L’ESTA è una struttura internazionale con alle spalle una storia importante… Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale il modo di suonare degli artisti era ancora molto caratterizzato dalle diverse scuole nazionali. Nel 1972 grazie all’iniziativa della professoressa austriaca Marianne Kroemer è nata l’ESTA. Insieme a Max Rostal e Yehudi Menuhin, la Kroemer ha posto le basi per lo sviluppo dell’associazione, nata con lo scopo di venire incontro alle esigenze di aggiornamento pedagogico-culturale internazionale dei propri iscritti. Attualmente l’ESTA può contare 29 paesi associati, migliaia d’iscritti tra insegnanti, concertisti, studenti ed amatori ed è un ente riconosciuto dal Consiglio d’Europa. In Italia l’ESTA è nata nel 1976. Il primo presidente fu Arrigo Pelliccia, già assistente di Carl Flesch. Fra i presidenti che si sono succeduti, Piero Farulli, Renato Zanettovich… Oggi a capo dell’ESTA è Bruno Giuranna [foto], già presente tra i firmatari del primo comitato direttivo. Il 22 aprile battesimo del nuovo complesso genovese "L’arsenale del corno inglese", con un concerto in onore di Antonino Virtuoso. Un "Arsenale" in conservatorio Arsenale, ovvero "deposito". In questo caso non guerresco ma del sapere. Arsenale ovvero fucina, dove si costruisce, dove si inventa, dove si forma un prodotto: strumentisti educati all’esecuzione, all’interpretazione della musica, alle discipline artistiche, al palcoscenico. Fiocco azzurro al "Paganini" con la fondazione dell’Arsenale del Corno Francese, complesso di recente fondazione formato da soli cornisti, il cui numero – secondo le esigenze di programmazione – può raggiungere anche i sedici elementi. Il gruppo è costituito da studenti frequentanti i primi corsi di studio, corsi superiori e diplomati, tutti provenienti dalla classe del prof. Davide Passarino, titolare della Cattedra di Corno Francese presso il Conservatorio di Stato N. Paganini di Genova. Il complesso non nasce con finalità concertistiche, bensì con scopi prettamente didattici. Il repertorio spazia da quello tipicamente cornistico (Squilli, Cacce, molto in voga nel secolo scorso), alle opere scritte da compositori contemporanei appositamente per questo organico, dove vengono proposti e sfruttati degli effetti timbrici e coloristici estremamente innovativi. L’Arsenale si avvale inoltre delle trascrizioni di brani tratti dal grande repertorio liricosinfonico (Weber, Beethoven, etc). Prima esibizione del gruppo, venerdì 22 aprile alle 19 presso il Salone del Conservatorio. Il concerto sarà inoltre occasione per festeggiare un grande Maestro, il cornista Antonino Virtuoso, al quale i giovani musicisti dedicheranno le loro esibizioni. Il Cantiere Musicale ricorda Luigi Porro Ciao Maestro Se ne è andato il 1° febbraio, vinto da un male con cui combatteva da circa due anni e mezzo. Il "Don", il "Maestro", non c’è più: Luigi Porro, compositore, didatta, direttore di coro, sacerdote, si è spento all’età di ottantadue anni. Porro era stato insignito recentemente del Grifo d’Argento, in omaggio alla sua instancabile attività d’artista: già docente di conservatorio, compositore raffinato, insostituibile Maestro di Cappella in San Lorenzo… Ma Porro soprattutto è stato l’anima plasmante e portante, per oltre quarant’anni, del “Coro Polifonico Januensis”, ovvero d’una straordinaria palestra per almeno tre generazioni di musicisti e musicofili, che ha avuto numerosi momenti anche di celebrità internazionale, e che ha contagiato, nell’amore per la musica e per il canto, centinaia di musicisti. Nato in una famiglia di fabbri, Luigi Porro inizia a suonare l’organo e a cantare fin da bambino. In Seminario si avvicina alla direzione e subito dopo la guerra guida le parti cantate della liturgia della cattedrale di Genova. Al principio degli anni ’60 prende in mano un coro dedito al repertorio popolare, il “Campodonico” e lo plasma al punto da portarlo a vincere – dopo averlo rifondato e ribattezzato “Januensis” - prestigiose selezioni internazionali, quali il Concorso di Montreaux, nel 1983, ma anche il concorso di Tradate, di Stresa, il premio speciale “Casagrande” a Vittorio Veneto, il secondo premio (senza un primo assegnato) al concorso di Arezzo. Come compositore Luigi Porro ha scritto moltissime pagine sacre. Artista profondo e sensibile, che riverberava la propria spiritualità in pagine sacre di grande bellezza, Don Porro sapeva essere anche un amico affabile, ironico, sagace, pronto al motto di spirito da cui si arguiva lo sguardo sempre attento, concreto e saggio, sulle cose della vita. Adorato dai giovanissimi, Porro è stato negli anni ’80 docente al conservatorio Paganini. Per sette anni ha cresciuto i futuri musicisti, insegnando solfeggio e canto corale. E preparando le voci bianche per i titoli operistici in teatro. gdm Il caso ha voluto che non siano stati pochi quei momenti della mia vita che abbiano avuto il denominatore della sua presenza: da bambino frequentavo la Cattedrale e lo ascoltavo – e lo ammiravo – mentre suonava l’organo; da studente applaudivo i suoi concerti corali, al mio matrimonio era lui a sovrintendere la musica del rito. Infine, nel 2004 che ci ha coinvolto tutti sotto il segno della cultura, il piacere di condividere la celebrazione del suo instancabile lavoro (il Grifo d’Argento). Grande professionista, grande persona, carica di un’umanità che è infrequente poter ritrovare. Davide Viziano Abbiamo raccolto alcune testimonianze fra giovani e vecchi amici del sacerdote musicista « Diciassette volte grazie! » Caro maestro o più affettuosamente "Ciccio", ti chiamavo così insieme a qualche altro corista, da quando eri diventato molto più del maestro del coro; quel coro che è stato punto d'incontro per centinaia di ragazzi, dove sono nate amicizie, amori, ma soprattutto dove, grazie a te abbiamo imparato a conoscere e ad amare la musica. Eri severo ma allo stesso tempo paziente e alla fine della prova ci lasciavi sempre con tanta gioia e con la voglia di tornare a cantare. Anche fuori del tuo ruolo sei stato speciale. Non dimenticherò mai i pomeriggi passati a chiacchierare anche ora che eri malato, davanti a un piatto di farinata che amavi tanto, le ore passavano come attimi. Grazie, grazie di cuore Monica Arpino Ho conosciuto don Luigi Porro nel 1972 quando, giovane studente nell’ambito del direttivo degli “Incontri Musicali”, mi occupavo dell’organizzazione di concerti per le stagioni musicali dell’associazione. Mi colpirono subito in modo positivo la sua solida preparazione ed esperienza musicale, proprie del “musico prattico” quale era, e che si manifestava nelle esecuzioni a capo del coro Campodonico - poi Januensis - in concomitanza dei diversi concerti inseriti e tenuti nella nostra programmazione. Ricordo le luminose conversazioni e scambi di idee sul tema della 5 musica e dei concerti d’organo a Genova (il periodo fra gli anni ’70-’80 era difficile per questo genere di esecuzioni che, in pratica, erano state messe al bando). Degli organi antichi apprezzava la bellezza del suono; inoltre mi riferiva con entusiasmo situazioni ed episodi legati alle sue esperienze organistiche su alcuni strumenti posti nelle diverse località della Liguria ed a Genova. In particolar modo riviveva, raccontandole con divertita ironia, le sue prime “performances” organistiche nel servizio liturgico in qualità di seminarista all’organo Tagliafico – 1904, a due tastiere - allora esistente nella Cappella dei Chierici nella sede del vecchio Seminario. Assiduo frequentatore di manifestazioni concertistiche, riferite ai più diversi generi, stili ed epoche, era solito tenersi aggiornato su quanto venisse proposto in campo musicale. L’amicizia continuò approfondendosi in seguito nella nostra veste di colleghi docenti di Conservatorio, anche se in sedi e materie diverse. Negli ultimi anni, invitati dal cardinal Tettamanzi, ci si trovò fianco a fianco a confrontarci sull’annosa e mai risolta problematica del restauro-ricostruzione degli organi della Cattedrale genovese. A chi lo ha conosciuto penso che, senza dubbio, rimarrà indelebile l’immagine della sua bonomia, della sua schiettezza e del suo sorriso. Giancarlo Bertagna PRIMAVERA 2005 Cosa si può dire di più del nostro Maestro, che non sia già stato detto? Per quanto mi riguarda, posso dire che ha nutrito e fatto crescere la mia grande passione musicale, che mi ha insegnato a cantare e anche a vivere in un gruppo numeroso ed eterogeneo, in unità ed umiltà, grazie alla sua inimitabile capacità di conduzione, nascosta dietro un’ironia e un umorismo da cui non erano risparmiati neppure lui stesso e la sua attività. Sento che già mi mancano, e penso mancheranno a tutti, oltre al suo insegnamento, anche le sue battute e le sue risate, a volte aperte e a volte trattenute, che sono certa continuerà da lassù a riservare anche al nostro tentativo di portare avanti, con tutte le buone intenzioni, il suo Coro, che senza di lui non sarà più lo stesso. Paola Anna Calabrò La Lanterna, la luce diventa più fioca nel turbinio della neve... un mondo di considerazioni strane mi fanno collegare questo alla vita del coro; un coro bellissimo. Ne avevo sempre sentito parlare, per me era un sogno... chissà se il maestro mi avrebbe accettata. Bisognava conoscerlo, farsi sentire, provare un po'... Quando lo incontrai per la prima volta era nel negozio Ricordi, stava provando un organo e rideva, avevo deciso immediatamente: mi stava simpatico e l'amico a fianco mi propose "vieni, ti presento". Mi guardò mentre suonava e con la sua caratteristica semplicità mi disse "venga a provare" così la sera del martedì iniziò... la felicità. I miei, a casa, chiedevano cosa facessi ed io rispondevo che finalmente parlavo e cantavo di musiche belle e lontane nel tempo. Questo era ed è il coro: la condivisione. Questa era la proposta di "Don": stare insieme per fare musica, senza distinzioni di età, di preparazioni o di bravura, ma col gusto di contribuire tutti per un prodotto che è sempre risultato eccellente. Questo è il ricordo che resta di tutta una vita trascorsa al servizio del piacere della musica; una luce nel mondo musicale genovese, una luce che Claudio Tempo sottolineò in un memorabile concerto all'Oratorio San Filippo, scrivendo: "Vivaldi illuminato da un coro"... una luce a Genova... si potrà mai spegnere una luce così? Sara Calandra Si accende un desiderio e si mette in moto un ordigno e si impara a farlo funzionare, a tenerlo acceso e vitale sino al raggiungimento della meta. Sono parole che potrebbero raccontare ogni progetto umano di cui si ha notizia quotidianamente nel mondo, dalla idealità che lo fa nascere alle naturali scansioni con cui cresce: le incertezze, le battute d’arresto, le riprese, gli slanci dell’ultimo istante. Ecco, per noi, essere giunti a scrivere queste parole significa osservare un processo della natura, una trasformazione in atto da un “prima” a un “dopo”. “Prima” c’era don Porro, con la sua progettualità, l’entusiasmo contagioso e il severo biasimo, l’inesauribile energia del suo operare. Era un creatore. “Dopo”, per essere più precisi dalla scorsa estate, la consapevolezza che tutto ciò che un ingegno superlativo crea può brillare solo di luce riflessa. Non è apologia, ma con lui si chiude un capitolo della musica a Genova. A noi mancherà un padre. Non solo un amico e sebbene ottantenne neppure un nonno, quale per il timore di annoiare non sarebbe mai voluto apparire. La propria assoluta coerenza e un laconico interesse per il mondano hanno assicurato a lui e alle composizioni, che il suo pudore avrebbe riservato al privato, un’eterna adolescenza. Come qualcuno già disse di Schopenhauer: rideva e faceva ridere. Il Coro PRIMAVERA 2005 Parafrasando il Salmo 136 potremmo dire che lo scorso 3 febbraio, nella Cattedrale di S. Lorenzo “sedimus et flevimus”. Non un popolo che ricorda la propria terra, ma molte persone riunite assieme per salutare, con riconoscenza, il loro “Maestro”: riunite per cantare le Sue musiche e quelle che più amava …. e sembrava di vederlo ancora fra noi a dire: “ Attenti, figgieu …”. Il testo del “Super flumina”, musicato da Don Porro nel 1956 (quando non conosceva ancora il mottetto scritto dal grande Palestrina), frullava nella mia mente misto al senso di gratitudine verso il Padre Eterno che ci ha dato la possibilità di conoscere, frequentare, apprezzare, amare il “Don” come in molti lo chiamavamo. In quel momento era abbastanza scontato pensare alla parabola dei talenti: Lui, che di talenti ne aveva molti era riuscito, con la semplicità e l’umiltà tipica dei grandi, a metterli al servizio di tutti: della Chiesa, dei suoi coristi, dei giovani che con Lui hanno appreso le prime nozioni teoriche e anche di tutti coloro che in qualche modo hanno avuto la possibilità di frequentarLo, seppur per breve tempo. Sarà difficile (per me impossibile), non pensare a Lui quando si parlerà di musica corale, perché in molti abbiamo imparato e tenuto fra le mani il frutto del Suo genio ed in molti abbiamo appreso sotto la Sua guida le più belle pagine corali scritte dai compositori del passato. Mi piace pensare a Lui come di un grande albero che ha dato i suoi frutti: in tanti ci siamo cibati, tutti dovremo ricordare e onorare la Sua figura. Fabrizio Fancello Mi è difficile parlare di don Porro, perché ciò mi costringe a parlare di me stesso, cosa che non amo fare. Conobbi don Porro quando avevo 16 anni. Alla Guardia. Il 29 agosto, il giorno della festa grande. Cantava, per la messa, la Cantoria di Pontedecimo e don Porro (allora non sapevo si chiamasse così) era all’organo. Il pallino della musica l’avevo sempre avuto, fin da bambino, ma non avevo mai contemplato la possibilità di farne la mia professione. Andavo a lezione, ma vivevo la musica come un hobby. Da grande volevo fare il 6 medico. In quel periodo, però, ero affascinato dall’organo. Mi sarebbe piaciuto provare a studiarlo, ma dove trovare un organo a disposizione? Allora non esistevano ancora gli strumenti elettronici, o meglio, qualcosa c’era, ma a prezzi assolutamente proibitivi per le finanze della mia famiglia. Quel giorno, dunque, mi feci coraggio, mi avvicinai alla consolle e attaccai discorso con don Porro. Chiesi spiegazioni sullo strumento, gli dissi della mia voglia di imparare e, infine, gli chiesi come potevo fare per trovare uno strumento su cui esercitarmi. E il don, che non mi aveva mai visto prima, mi disse dove e da chi andare. Dopo poco tempo, entravo nell’allora “Coro Campodonico”, del quale don Porro era appena diventato direttore. Così il don diventò “il maestro”, o come spesso lo chiamavamo più familiarmente, o meistro. E fu davvero un Maestro nella musica corale: gran parte di quel poco che so, l’ho senz’altro imparato negli anni meravigliosi del Coro, provando e cantando con lui. Specialmente per quanto riguarda lo spirito con cui avvicinarsi alla musica, quello che era il suo stile, la gratuita ricerca del bello, senza alcun secondo fine, perché il bello è anche buono. E se riesci realizzare qualcosa di bello, forse hai fatto anche qualcosa di bene. Qualcuno potrà pensare che tutto questo è retorico, ma io credo che sia ormai un cliché (e anche abbastanza datato) tacciare di retorica tutto quello che in fondo è solo buon gusto. Con il don non avevo grandissima familiarità: lo vedevo alle prove, durante le trasferte per i concerti. Ogni tanto andavo da lui, per chiedergli qualche consiglio musicale o qualche partitura. Egli era sempre disponibile, in quelle occasioni si lasciava andare e allora parlavamo a lungo. Di musica, naturalmente. Io lo stimavo moltissimo e credo che il mio segreto desiderio, inconfessato anche a me stesso, fosse quello di emularlo. Quando cominciai a pensare di abbandonare medicina, che nel frattempo avevo quasi completata, a favore dell’insegnamento e della musica, che nel frattempo aveva cessato di essere un hobby, andai ancora da lui, per chiedergli consiglio. Temevo di sentirmi dire “sei matto!”. Invece mi incoraggiò. Ed è stata senz’altro una delle scelte della mia vita che non ho mai rimpianto. Così, mentre cantavo “con lui” l’ultima volta, il giorno del suo funerale, mi sono ritrovato a pensare a quanto egli abbia influito sulla mia esistenza, sulle mie scelte di vita. E a quanto sia strano, e anche un po’ triste, accorgersene solo quando egli non c’è più. Giuseppe Mario Faveto La notizia della morte di don Porro mi ha profondamente commosso; anche se non era inaspettata nessuno si sarebbe immaginato di perderlo così presto. Per me non era soltanto un musicista incomparabile il cui entusiasmo e la cui gioia di fare la musica mi hanno sempre affascinato , ma anche l’uomo e il prete che sapeva comunicare con tutti di qualsiasi cosa, senza mai compiacersi dei propri successi e del suo importante ruolo. Aveva sorrisi e una parola gioiosa per tutti , il suo buonumore era coinvolgente e bastava una telefonata per avere subito un consiglio giusto su come affrontare quel brano o quel passaggio frutto di una immensa esperienza. Posso affermare senza alcun dubbio convenzionale che il mondo corale genovese e non , con la sua morte , è divenuto più povero. Voglio attraverso questo breve ricordo ringraziarlo pubblicamente per essere stato per me un esempio da imitare e una guida in tutto il mio cammino musicale ed infine per avermi scelto come suo successore al ruolo di Maestro di Cappella della Cattedrale di Genova, grazie Maestro! Gianfranco Giolfo "Stelutis alpinis" ("Stelle alpine") Se tu vens cà sù ta' cretis / là che lor mi àn soterat / al è un splàz plen di stelutis: dal miò sanc l'è stat bagnat. // Par segnàl une crosute / jé scolpide lì tal cret: fra ches stelis nàs l'arbute, / sòt di lor jo duar cujèt ... Sono passati tanti anni. Era, forse, il 1953 quando conobbi don Porro, e lo conobbi proprio con questo canto: Stelutis alpinis. Lui, giovane sacerdote appassionatissimo del coro, faceva cantare le "Guide dell'Immacolata" (= Associazione Guide Italiane, oggi AGESCI); io, bambina, partecipavo al coro al seguito delle mie sorelle più grandi. Ho ricordato con lui tante volte quei momenti: per lui era stata una delle tante occasioni di far cantare; per me – anche se non l'unica – fu certo l'occasione che ha iniziato a farmi amare i canti di montagna. Credo che per me don Porro rimarrà sempre "quello di Stelutis alpinis": eppure tante altre cose ci hanno unito. Penso alle messe, ai mottetti, agli improperi e alle lamentazioni di autori rinascimentali che lui dirigeva nella cattedrale di S. Lorenzo e che io andavo ad ascoltare tutte le volte che potevo (forse è nato lì il mio interesse per la musica del Cinquecento-Seicento?); penso alle attività scoutistiche, all'essere stati colleghi nel Conservatorio N. Paganini e avere avuto così nuove occasioni per incontrarci e ricordare tante cose e tanti amici comuni; penso ancora al dono che mi ha fatto quando ha accettato di far cantare il suo coro alla presentazione di un mio libro sulla musica a Genova. Non si possono cancellare gli incontri di una vita. Per questo nel pensare a don Porro sento risuonare nelle mie orecchie tutte queste cose, ma soprattutto Se tu vens cà sù… Maria Rosa Moretti Nel lontano 1980 lo avevo invitato a casa mia, in quanto si trattava di scegliere un lied che Paolo, mio figlio, allora undicenne, avrebbe dovuto eseguire come voce bianca nel coro allora "Campodonico". Dopo aver ascoltato alcuni lieder di Schubert si sceglie "Heidenröslein"… Ma il testo cosa c’entra con il Natale? Ci chiediamo, e Lui, subito pronto, intanto di tedesco "nu capiscian ninte!" Alessandra Pani Don Luigi, Don Porro per tutti i suoi coristi, la musica come missione. Unione e comunione per giovani e meno giovani, lo conobbi da bimbo quando dopo un’audizione sommaria del suo orecchio attentissimo mi accolse nel Coro Campodonico in preparazione del concerto del Natale 1975 al cinema-teatro Margherita...Una vera vocazione la sua, seduto dietro all’organo a pedali che spostava al Quadrivium da una stanza all’altra per provare. Cantava tutte le voci, una per una le insegnava a noi bimbi che lo imitavamo volentieri imparando istintivamente a cantare insieme, e a cantar giusto. Le prove erano sempre un’evoluzione, uno sviluppo della propria musicalità, della propria cultura musicale e umana, i concerti delle esperienze indimenticabili. Per me il coro Januensis è sempre stato un riferimento, un luogo di ritrovo dove ho sempre incontrato degli amanti della polifonia vocale e del canto, una cultura tutta genovese e particolarmente ligure quella del coro Januensis. L’ultima volta che lo vidi, tre mesi fa era seduto sul suo lettino, nella penombra della sua stanza, non voleva disturbare nessuno. Ebbi l’impressione di far visita ad un santo, una suora ad ogni piano mi indicava il cammino da seguire per ritrovarlo. Disse : " L’unica mia preoccupazione sono i cartoni di musica che non so dove mettere, spero solo che non andranno perduti tanti anni di lavoro e ricerche... ". Modesto ma consapevole della sua cultura e della sua sensibilità musicale, umile ma sicuro del suo valore e fiero dei successi dei suoi coristi, anche se povero di riconoscimenti ufficiali. Un uomo integro, profondamente felice perché era al suo posto, un posto che si era costruito da solo con la forza della sua passione e il carisma del suo entusiasmo. Con affetto e stima, un ricordo sempre vivo del Maestro Porro. Paolo Pani "...NUTRE LA MENTE CIÒ CHE LA RALLEGRA" S.AGOSTINO Don Porro. Un grande Maestro. Il mio grande Maestro. A lui devo l’ “imprinting” musicale e professionale negli anni della formazione artistica: ha aperto il mio cuore alla musica perché lui stesso aveva la musica nel cuore, facendomi scoprire e amare la musica come ragione di vita e insegnandomi ad affrontarne lo studio con attitudine professionale, passione ed instancabile amore. Sono cresciuta con lui, prima nelle voci bianche e poi nel Coro Januensis. In quegli anni ci ha guidato in preziose esperienze di collaborazione con il Teatro dell’Opera, portandoci a contatto con importanti Direttori d’Orchestra come Zoltan Pesko e Bruno Bartoletti (Persephone di Strawinskij, Terza di Mahler,) oltre che in numerosi Concerti e Concorsi nazionali ed internazionali. Promotore e divulgatore entusiasta di molta musica contemporanea, accostava arditamente nei suoi programmi di concerto Palestrina a Petrassi, Kodaly e Bartok a Marenzio, Bach a Poulenc, Auric, Britten, Fauré ad Arcadelt, etc.: il respirare queste nuove armonie ha, nel mio caso personale, suscitato e consolidato una attitudine al repertorio del Novecento che è poi diventata parte importante nella mia professione di musicista. Ma il dono più prezioso che ci ha lasciato è stata la gioia autentica del fare musica e dell’imparare. Spesso, finite le prove del coro, ci si attardava nell’esplorazione e nella lettura estemporanea di nuove partiture come in un gioco infinito e irresistibile, ma di grande rigore didattico e formativo. 7 Per chi era pronto a seguirlo, contagiato dalla sua passione, qualsiasi momento poteva essere occasione di imparare divertendosi: anche durante i viaggi di trasferta che il Coro affrontava per i concerti o per i concorsi, poteva capitare di intonare sul pullman qualche fuga a tre o quattro voci del Clavicembalo ben Temperato di Bach.. Non di rado, armato del suo trascinante entusiasmo, riusciva a farsi accompagnare in viaggi improvvisi che organizzava nell’arco di una giornata, per raggiungere qualche fornito negozio di partiture d’oltralpe, nel quale entravamo come si entra in una pasticceria sopraffina, quasi seguendo il profumo dei libri negli scaffali per uscire sazi di musiche nuove e fragranti sottobraccio. Don Porro non scindeva mai questa prorompente gioia di “vivere” la musica con una preparazione estremamente esigente dal punto di vista della tensione espressiva e delle dinamiche: era capace di tenere 40 persone sospese su una armonia o su un semplice unisono per tempi interminabili fino a quando l’osmosi delle voci traduceva la partitura in un respiro comune dal giusto colore. Egli riusciva a rendere professionista anche coloro che la musica non sapevano neanche leggerla, perché chi ha avuto la fortuna di essere suo discepolo sa come fosse una sua ragione di vita tirare fuori il meglio da ognuno di noi per tradurre ogni partitura in una vibrante emozione sonora collettiva. Grazie Don Porro, Maestro, che quando lo si chiamava così sorrideva schivo e commentava sottovoce: ”Musicam docet Amor”, ossia , è l’Amore il Maestro di Musica. Ljuba Pastorino Moiz Quindici anni… dal mio piccolo Coro Parrocchiale vengo invitato ad unirmi ad un “faro musicale” della coralità Ligure: il Coro Campodonico… un “mito” cui tutti quelli che amavano “fare musica” puntavano. Trentatré anni dopo… chiesa di S. Donato… si festeggiano gli 80 anni del “Maestro”. Tanti, purtroppo non tutti poiché qualcuno ci ha già lasciato, ci ritroviamo “giovani di allora”! E giovani di oggi per un grande concerto dove le nostre voci si mettono al servizio della sua “musica” che tanto ha coltivato il nostro gusto ed il nostro orecchio. In mezzo la vita e l’opera di questo “piccolo-grande prete”, “Maestro” per tutti noi, che ha investito la sua vita nel servizio attraverso la musica. Ha fatto del Coro Campodonico, poi Coro Januensis, il luogo di incontro di culture, pensieri, modi di vivere diversi tra loro ma che condividono la passione ed il piacere, vezzosamente “non professionale” di fare, creare, diffondere la “Musica”. Ed allora scorrono nella memoria imprese più o meno riuscite, ma sempre vissute con gioia e dedizione: Arezzo, Montreaux, Vittorio Veneto, Tours, Fidenza, Venezia, Firenze… Paura, gioia, sorrisi, tristezza… tutti sentimenti condivisi con Lui e per Lui provati e ritrovati nei Suoi sguardi, nei Suoi gesti, nelle Sue sfuriate, nei Suoi complimenti. Ed in ultimo i ricordi della Sua vita; le “perle” che ci lanciava alla fine delle prove, facendoci intravedere una Italia diversa, il Seminario, gli scherzi ai professori, i rapporti con gli amici, la “passione” che tutto prende, con grande umanità e con l’indulgenza del “saggio” che benignamente perdona le proprie e le altrui debolezze. Grazie “Maestro”, la Tua passione, la Tua forza, il Tuo sorriso ci accompagneranno sempre nella vita e ci daranno, ne siamo certi, l’impulso di continuare, al meglio delle nostre potenzialità, a cantare e diffondere la “filosofia” che ci hai svelato con la “TUA MUSICA”. PRIMAVERA 2005 Giancarlo Pezzi So che non gli avrebbe fatto piacere che si parlasse tanto di lui. Schivo, modesto, si schermiva persino di fronte agli applausi del pubblico dopo un concerto. Non amava mettersi in evidenza, e nemmeno amava che si eseguissero le sue musiche, preferendo sempre dare spazio ad altri. Era geniale nella sua musicalità, innata, spontanea. Chi lo ha conosciuto non può non ricordare la sua straordinaria predisposizione naturale alla composizione e all’improvvisazione, così come la sua abilità nella preparazione e nella direzione del coro. Lui, che aveva una gradevolissima voce da tenore leggero, riusciva a cantare con eccezionale facilità tutte le parti corali, in tutti i vari registri, compreso quello di soprano. Quante volte, durante le prove, ricorreva a questo espediente per insegnarci la parte o per sostituire una sezione corale momentaneamente mancante o per rimediare a qualche errore. Ci preparava con infinita pazienza, con quel suo fare insieme professionale e ironico, spesso alleggerendo le inevitabili tensioni con una risata o incoraggiando con una battuta di spirito in dialetto, senza mai prendersi troppo sul serio, esigente e rigoroso ma al tempo stesso indulgente. Tutti sanno quanto amasse il suo coro, la sua creatura, che ha resistito per quarant’anni, tra difficoltà, naturali avvicendamenti e mutamenti. Centinaia di persone tra loro diverse per età, opinioni, credo politico o religioso, che grazie alla profonda umanità e all’entusiasmo, alla gioia che riusciva a trasmettere, è riuscito a coinvolgere e a tenere unite nel tempo, anche da lontano, nel segno della musica e dei valori dell’amicizia e della condivisione. Oggi, con l’animo gonfio di tristezza, vorrei potermi rivolgere a lui almeno per dirgli ancora una volta solo grazie. Grazie carissimo Maestro per il Tuo esempio di vita e di magistero, grazie per il dono della Tua allegria, grazie per avermi onorato della Tua amicizia, grazie per avermi dato il privilegio di condividere le emozioni, la passione e l’amore per la musica e per il canto, grazie per i preziosi insegnamenti spirituali, d’arte e di vita, grazie per i tanti ricordi che insieme con la Tua immagine e con il Tuo sorriso resteranno per sempre incancellabili nella mia memoria e nel mio cuore. Giulietta Picco Amore e passione per le vette. Quelle musicali, s’intende: Bach, Haydn, Mozart, ma accanto a queste prendevano forma, nei suoi racconti lievi e gioiosi, le cime impervie e innevate dello Jungfrau e del Pilatus, violate solo dall’ardire di quei trenini svizzeri che suscitavano sempre la sua ammirazione, alla stregua del fugato più arduo e del concertato più vorticoso. Francesca Pizzimenti La cultura musicale di Don Porro era molto più profonda di quel che il suo atteggiamento semplice inducesse a considerare; in ogni situazione era poi disponibile a mettere la propria preparazione a disposizione di tutti. Non è certo una caso che abbiano lavorato o collaborato con lui praticamente tutti coloro che a Genova si siano occupati in qualche modo di musica. Un buon carattere naturale ed una acquisita saggezza gli procuravano facili rapporti con chiunque. Accanto ai numerosi ricordi legati alle personali collaborazioni, che negli anni del coro Januensis dettero vita a esecuzioni della Grande Messa di Mozart, dell’Oratorio di Natale e della Messa in La bemolle di Schubert, ne affiorano altri curiosi, come le varie volte in cui lo si vedeva suonare o improvvisare all’organo e contemporaneamente conversare tranquillamente con chi gli stava accanto. L’impressionante riconosceza collettiva tributatagli nell’occasione della scomparsa è stata certamente sincera e sentita, dando la misura della sua importanza nel mondo musicale della nostra città. Tre anni fa, gli auguri del Cardinale Michele Trenti Con la morte del Don è scomparso per me un pezzetto di vita, la mia adolescenza che si è protratta per molto a dire il vero: sedici anni, accompagnati da quella musica ; ma direi soprattutto è scomparso un pezzo di genovesità, quella genovesità che ci aveva resi complici, io, lui e la mia famiglia. Spesso a tavola insieme, il dialetto era l'idioma comune che ci univa; si sa come un accento, un termine dialettale siano appropriati per indicare un atteggiamento, un'emozione un modus vivendi.....ecco con lui in questo senso noi eravamo un tutt'uno e così ci s'intendeva. Ricordo un particolare divertente raccontato dal Don: il mottetto di Bach "Ich lasse dich nicht" percepito in modo distorto da un canonico e diventato: "L'assu de picche, l'assu de picche…" …che risate! Alessandra Varbella Luigi Porro, Compositore di musica sacra La sua raffinata sensibilità artistica trae ispirazione sia dal Gregoriano che da forme musicali più moderne: a volte l’uso di armonie piuttosto ardite e di cambi di ritmo repentini e inaspettati crea effetti di rara intensità espressiva. Ad esempio, nella Messa in mi bemolle maggiore, il Sanctus, scritto in 4/4, ha un’evoluzione ritmica molto interessante: infatti nel Benedictus, di reminiscenza gregoriana, i soprani ed i contralti si inseguono in figurazioni ritmiche rapide e variate scritte nel tempo di 5/4, per poi tornare nelle ultime due battute al tempo originario. Nelle sue composizioni più brevi, come ad esempio nei Mottetti, è riuscito a condensare un’alta espressività attraverso una trama armonica fitta di impercettibili dissonanze e ritardi , che genera un sottile ma continuo brivido di tensione interiore. La sua predilezione per le armonie di Settima in tutte le sue specie si può, ad esempio, trovare nel “Resurrexi”in re maggiore, dove, l’uso della VII maggiore usata quasi ossessivamente all’unisono in successione ascendente, rende luminoso il canto dell’esultanza. Nel mirabile “Suscitabo mihi Sacerdotem”, in mi maggiore, le toccanti progressioni discendenti di settime, arricchite da ritardi interni, evocano un sentimento introspettivo dal colore quasi Brahmsiano. Anche nella straordinaria composizione “ O Salutaris Ostia “in do maggiore , il Tema quasi cullante è dato dal pulsare di settime che si aprono e si contraggono dolcemente in sottili dissonanze, creando un’atmosfera estremamente intima e struggente, come l’aprirsi di un’ emozione subito richiamata nella propria interiorità. Questo clima onirico culmina in un’armonia sospesa tra il maggiore ed il minore di sapore quasi bartokiano : un sereno accordo finale chiude questa pagina che forse svela il lato più intimista e profondo di Luigi Porro Compositore. Ljuba Pastorino Moiz PRIMAVERA 2005 8 Luigi Porro: Polifonia di linee musicali e di storie personali. “Addio Don Luigi Porro, cantore della gioiosità”, titolava un giornale genovese annunciando alla città la morte del grande Maestro. Proviamo a riflettere su questa immagine e cerchiamo di tradurla concretamente per chi (forse i più giovani) non hanno avuto la fortuna di conoscerlo e anche per coloro (tantissimi, davvero) che hanno invece avuto il piacere di fare questa esperienza, musicale ed umana. Ebbi già modo di parlare di lui da queste pagine, in occasione della festa-concerto per il suo ottantesimo compleanno; per questo dirò brevemente della decisiva influenza della sua figura sulla mia formazione di direttore di coro e, naturalmente, della sua innata capacità di tenere insieme un grande gruppo, fatto di persone di ogni età e provenienza, accomunato dall’amore per il canto corale (cioè per il canto fatto insieme) a cui solo il “Don” sapeva infondere un tratto esclusivo. Porro è riuscito a far questo nell’arco di quarant’anni e, se ci soffermiamo per un attimo a pensarci, capiremo che ciò è assolutamente straordinario. Vorrei perciò, ritornando all’immagine iniziale, sottolineare fortemente quelle due parole chiave: “canto” e “gioia”, come sintesi della sua vita di uomo, di formatore e didatta, di comunicatore e punto di riferimento di una città, di musicista ed artista. Ora che il tempo ci allontanerà gradatamente dall’evento luttuoso, ora che Il tempo s’è compiuto, come sembra suggerirci il titolo di una sua bella e antica composizione, le sue musiche potranno testimoniare con netta rilevanza tutto quello che le parole non riescono a fare compiutamente. L’episodio centrale del mottetto, tratto dal famoso salmo 136, che ispirò a Palestrina e Verdi musiche immortali. Per chi ha conosciuto Don Porro, ancora oggi, le parole di Canfori significano viva commozione, perché è straordinario vedere come una collega, di pur di grande sensibilità musicale, che non aveva tuttavia mai avuto modo di conoscerlo personalmente, abbia colto alcuni punti fondamentali della sua musica e li abbia così bene sintetizzati: il calore e l’intensità, la semplicità nobile di quel suono a cui tutti avevamo la fiera consapevolezza di partecipare, di quella Polifonia di linee musicali e di storie personali che ognuno, esecutore o ascoltatore poteva vivere come momento privilegiato ed irrepetibile. Posso affermare con tranquillità che le diciotto battute del “communio” O salutaris Ostia appartengono di diritto alla sfera dei capolavori senza tempo, avendo in sé la purezza delle linee mozartiane, la serena rassegnazione di Fauré e la sapiente solidità di scrittura della tradizione polifonica italiana. Frammento di O salutaris Ostia La “meravigliosa” falsa relazione dell’Amen. Perché così faceva il Maestro, sapendo riconoscere per istinto i “grandi”, lui che si avvicinò alla grande musica da autodidatta puro, toccando da bambino un tasto dell’armonium della sua parrocchia di Nervi e rimanendone affascinato, per poi scoprire che, toccandone due contemporaneamente, l’emozione era ancora più forte! Questo disincanto don Porro se lo porterà dietro tutta la vita e molto spesso lo vediamo riaffiorare nella sua musica, come una magia: durante gli anni del seminario trova un testo (nemmeno lui ne ricorderà poi la provenienza) e lo musica per una voce bianca solista e organo. Il brano si intitola Ave di grazia piena. La melodia è davvero dolcissima e l’armonizzazione ricca di chiaroscuri ma ciò che lascia davvero incantati è l’unico frammento a cappella dell’intera composizione, a tre voci pari: qui ritroviamo l’atmosfera sognante e magica dei fanciulli del Zauberflöte. È un attimo, ma è molto intenso e resta dentro quando si finisce di ascoltarlo. Frammento di Il tempo si è compiuto Un frammento del brano citato dove, incastonata come una gemma all’interno del canone di derivazione tematica, si distende come un cantus firmus la linea del contralto: la modalità conferisce al passaggio un tratto di arcaico fascino ma la scrittura è fresca e moderna. Diceva la collega Tiziana Canfori in occasione di una delle prove per la già citata festa-concerto: “Nel Super Flumina Babylonis che ascolto c’è un’idea nobile e intensa della voce umana, racchiusa in quel sapiente impasto sonoro che con tanta passione i suoi cantori stanno intrecciando sopra le teste di tutti noi.” [da Il Cantiere Musicale, anno II n°16, estate 2002] Frammento di Ave di grazia piena Pretendere qui di analizzare per intero l’opera corale di Porro è ovviamente impossibile. Occorre comunque ricordare l’ingente mole di musica liturgica, in particolare di messe, scritte per la Cattedrale di Genova, S. Lorenzo; nonché l’eccezionale lavoro di elaborazione di brani di tradizione popolare, anche non strettamente connessi con la liturgia e un continuo lavoro di trascrizione e adattamento allo strumento “coro” di tutto quello che gli suggeriva il suo istintivo e illuminato talento naturale. Vorrei chiudere, tuttavia, parlando brevemente di un brano che il Maestro portò, fresco di stampa, ad una delle ultime prove che fece nel 2004. Mi colpì subito e cercai poi di capirne le ragioni: Suscitabo mihi, per coro e organo sarà l’ultimo brano composto da Don Porro ed è un mottetto di grande bellezza. Duplice riflessione: intanto sulla scelta del testo (“Risveglierò in me il sacerdote fedele…”) e in secondo luogo sull’utilizzo di un incipit melodico Frammento di Suscitabo mihi che ha la stessa matrice del corale luterano che Bach utilizza nella famosa Cantata BWV 4 Christ lag in Todesbanden (Cristo giacque nelle bende della morte). Se sovrapponiamo i due elementi, testuale e musicale, tutto ciò assume un valore fortemente simbolico, che si comprende appieno ascoltando tutta la partitura, di un lirismo mai come qui intriso di composta rassegnazione e intima accettazione della fine vicina; e neppure la sezione centrale in maggiore, riesce a stemperare l’evidenza di questi tratti, con le quattro voci “costrette” in un registro medio, in una intensità che solo intimamente può esplodere, ma che non può trasformarsi in urlo. Marco Bettuzzi Frammento di Super Flumina Babylonis 9 PRIMAVERA 2005 Una eredità preziosa Da quanti anni conoscevo Don Luigi Porro? Se si intende “di persona”, da tanti, più di 25. Ho cantato nel coro Januensis (un tempo Campodonico) fin dal1980; certo, non con la continuità di altri cantori, che hanno fatto parte della formazione corale più in vista della città senza praticamente interruzione alcuna. Per chi, come me, ha intrapreso la carriera di musicista il contatto con il “Don” si è trasformato negli anni in una sorta di collaborazione, di piacevole consuetudine in occasione di eventi concertistici per i quali il maestro ci chiedeva un aiuto, un sostegno nei confronti delle voci più giovani. Ma se si intende da quanti anni lo conoscevo “di fama”, devo dire che non riesco a ricordare un periodo della mia storia di musicista (comprendendo ovviamente tutto il periodo degli studi) in cui il nome di Don Porro mi sia stato estraneo. Uno dei miei ricordi più “antichi”, infatti, è il tradizionale concerto natalizio al Teatro Margherita, allora teatro principale della città, il cui cartellone recitava: “Canti di Natale con le Voci Bianche di Don Porro”. Avevo 13 anni quando ho iniziato a studiare musica, tardi, in verità, ma nella mia famiglia non vi è mai stata una tradizione in tal senso; fu una mia decisione, presa quasi in sordina, senza minimamente illudermi, allora, di poter entrare “in conservatorio”, meta irraggiungibile agli occhi di un bambino. Cominciai a prendere lezioni presso una scuola privata, l’Apostolato Liturgico, che preparava organisti parrocchiali; fu proprio durante la preparazione di un concerto presso la scuola che arrivò Don Porro per sistemare la lettura di alcuni brani corali che dovevano essere eseguiti in concerto. Ricordo la deferenza con cui veniva trattato dal personale della scuola: “C’è Don Porro, ragazzi, fate una buona figura; state attenti perchè “lui” sente tutti gli errori; lo sapete che dirige il coro al teatro...”. E ovviamente agli occhi di noi giovanissimi questa figura di musicista “conosciuto” risultava qualcosa di irraggiungibile, di magico. Sorrido ora, ripensando a quanto era diverso, disponibile e divertente, ripensando alle risate che ci siamo sempre fatte in compagnia quando mi autoinvitavo a casa sua per cercare uno spartito nell’immensa biblioteca di brani corali che possedeva, per fargli sentire la registrazione del mio ultimo concerto o semplicemente perché passavo di lì e lo andavo a trovare. Un personaggio così lontano dall’immagine che di lui mi era stata data negli anni addietro. Allora non potevo immaginare che la mia carriera futura sarebbe stata influenzata dagli eventi che si verificarono di lì a poco: più volte il Don mi chiese di aiutarlo a preparare musicalmente proprio quelle voci bianche che tanto mi avevano colpito da bambino. All’epoca avevo appena lasciato la direzione di un vecchio coro, che avevo seguito per due anni, per formare quello che oggi è l’ensemble I Polifonici di Genova; l’idea iniziale era quella di un piccolo gruppo da camera, ma fu proprio ricordando il lavoro fatto con i bambini di Don Porro, così divertente e costruttivo, che decisi di proseguire quel lavoro di cura delle voci infantili che il Don aveva fatto per tanti anni (e che poi, purtroppo, aveva poi interrotto) costituendo una sezione di voci bianche. Dopo anni di esperienza comprendo anche il perché Don Porro lasciò il coro di voci bianche: insegnare il canto ai bambini e portarli ad un livello musicale degno di nota è un lavoro tanto entusiasmante quanto faticoso. Il Don era giustamente stanco e, a mia insaputa, aveva spinto me su quella strada, chia- Don Pensare che li evito, per quanto s’arrogano l’esclusiva della mistica, come se la Coca Cola comprasse il marchio del latte o del pane… Eppure, Don, non ti ho mai messo nel mucchio, e forse tu stesso – attraverso la musica – hai preso per tutta la vita la dovuta distanza (tutta non so, perlomeno quel quarto di secolo che conosco il tuo viso liscio come di donna, la risata acuta, la tua disingannata cortesia). Un quarto di secolo, si fa a tempo a fare un figlio e vederlo adulto: io sono stato capace solo ad invecchiare, mentre tu eri vecchio già quando mi accettasti nel coro. Adesso per caso mi vedi e mi dici: "oh bene perché non vieni a cantare, tu che hai una così bella voce?" e dovrei dirti Maestro, Don, ci ho messo vent’anni di cicche, sopra la voce, e tanto ho fatto che adesso (finalmente) non ho più promesse da mancare. Invece sorrido scrollando le spalle, e ti chiedo come stai, come PRIMAVERA 2005 mandomi ad affiancarlo nel suo lavoro che, in seguito, ho compreso essere così prezioso. Posso dire in tutta tranquillità di aver ereditato e proseguito una tradizione che, sebbene forse non iniziata da Don Porro, è stata da lui certamente alimentata con quella simpatia che poteva scaturire in ogni momento nel corso di una prova. Ho letto qualche articolo che è stato scritto su di lui in queste ultime settimane: dovunque si fa cenno in modo più o meno esplicito alla sua simpatia e alla sua umanità; si parla di lui come di chi si è sempre occupato di musica con gioia, divertendosi a praticare la stupenda arte del canto con chi gli stava intorno. Nel caso di Don Porro è difficile, credo, separare l’uomo dal musicista: l’uomo, ancor prima del musicista, sapeva giocare con le persone e le cose che aveva intorno con lo spirito di un bambino. A questo punto non posso non raccontare questo simpatico aneddoto. In occasione di una delle mie visite presso la sua abitazione, il Don mi venne incontro con un cacciavite in mano. “Che succede, Don, ha bisogno di aiuto per riparare qualcosa?” Risposta: “Veramente stavo cercando di far funzionare una locomotiva, perché il treno è già in ritardo... vieni un attimo su”. Dopo un attimo di smarrimento sono andato “su”. Per “su” si intendeva il secondo piano della casa, grande quanto il primo e comunicante con quest’ultimo tramite una regolare scala interna. Luogo che avevo sempre creduto destinato all’archivio, a sala da studio o comunque, essendo il Don un prete, a luogo di meditazione o di preghiera. La “stanza su” erano state in verità due stanze affiancate da un lungo corridoio; dico erano state in quanto ciò apparve ai miei increduli occhi fu una situazione da post-cataclisma tellurico! Due stanze di media grandezza, una volta separate da una tramezza di mattoni, erano diventate un’unica enorme stanza che mostrava ancora le ferite evidenti delle picconate con cui il Don aveva barbaramente demolito la tramezza. “Ma Don, che cosa ha combinato qui?” – “Beh, sai, il plastico non ci stava e allora ho buttato giù il muro...”. Nel centro, anzi, in tutta la stanza un ENORME plastico ferroviario sollevato da terra da una selva di cavalletti faceva bella mostra di sé: montagne, gallerie (una passava, tra l’altro, attraverso un altro muro, opportunamente semidemolito per la bisogna!), passaggi a livello, casette... Il più grande sogno di un bambino stava davanti a me, con sette o otto linee ferroviarie indipendenti, semafori, scambi, con il Don che mi diceva: “Sai, ho la mia tabella di marcia: i treni devono essere puntuali, c’è il locale delle 7,00, il diretto delle 9,45...”. Solo chi è bambino dentro può insegnare ai bambini facendoli divertire; e più volte ho pensato che la cosa possa essere utile anche per insegnare a molti adulti, non a tutti, purtroppo. La mia personale storia musicale conta tanti anni di studio con tutto ciò che ne è scaturito, diplomi, concerti, ma se lo studio della teoria si può e si deve giustamente fare a scuola, la pratica è veramente vita vissuta. La mia principale attività si svolge con i bambini, e non passa giorno che io non debba, per una ragione o per l’altra, ringraziare il Don per l’eredità che mi ha lasciato: non solo per avermi in qualche modo instradato verso questo lavoro, ma per avermi influenzato nel modo in cui farlo. La mia speranza è che queste fatiche portino qualcun altro a dire, un giorno, di aver amato la musica un po’ di più grazie al tempo trascorso a cantare in coro; allora potrò dire di aver fatto, anch’io, un buon lavoro. Fabio Macelloni va la salute. Maledizione, stai che addosso hai un cancro, e idiota che sono, forse qualcuno me l’aveva già detto, ma un conto è sentirlo distratto, un conto è vederti, colla morte scritta sul colore del viso. "Adesso un po’ meglio, sto facendo la chemio. Non lo sai? Che ho un cancro, e m’ha fatto uno scherzo, e dalla prostata è passato alle ossa. Ma adesso va meglio, a Natale non riuscivo ad alzarmi, ma adesso…" e ti alzi, per farmi vedere. Nel frattempo il coro si compone alla destra del padre, come ogni anno da sempre, e tu Don, torni al centro ancora una volta, a guardarci tutti colla bocca aperta, a guidare colle mani la colonna sonora d’un rito a cui mi chiedo se davvero ci credi. Lo spero, adesso che sei colle valigie già pronte, spero tu abbia dimenticato le molte cose che hai visto, che canzonavi da prete. Perché Don, se ti ricordo durante le prove, il bello era certo cantare, ma soprattutto alla fine riunirsi intorno all’harmonium, e pettegolare e sentire quella risata 10 acuta, cattivo com'eri, ma buono come il pane. Oggi in chiesa, mentre c’è una tv privata che filma, e chi parla dei giocatori del Brescia e del Genoa, spero che tu, Don, sia concentrato su quella fede che, senza, la tua scelta di vita sarebbe sfacelo. Del coro, che guardo (e nei due terzi che vedo stupito cosa ha fatto il tempo di ingrato, e mi sembra di esserne esente, naturalmente. Finché non trovo uno specchio), mi arriva dolce quella musica sacra che mi ha guidato ogni festa. È Pasqua ancora una volta, e c’è la stessa scaletta di suoni, gli stessi gesti di un quarto di secolo fa: si canta, e nella pausa, passa discreto (mentre continua la Messa) il Don con un pacco di buste che gli spuntano in tasca, e distribuisce il santino facendo finta di nulla. Allo stesso posto, nello stesso luogo, a cantare le stesse cose, fa girare la testa: vederti di schiena guidare quelle bocche aperte di vecchi uccellini affamati, vederci sotto il coperchio della stessa chiesa che di buono ha il profumo di incenso, fa girare la testa. Vederti camminare con fatica, perché la stampella la trovi umiliante, perché forse sei vanitoso come vanitosi sono i preti, perché non vuoi far vedere che è l’ultima Pasqua, mi fa venire una calma improvvisa. Tanto che qui, in chiesa, ospite provvisorio, mi fermerei a riposare per qualche ora in silenzio, dopo tutto questo trambusto. Mi concentrerei sugli anni, proverei ad ordinare le date, a ricordare quanto più posso, Don, a seguire i momenti passati insieme a cantare, di fronte ai tuoi occhi piccoli, ai tuoi gesti così chiari e così senza scuola. Ad ogni fine concerto, la cena, o il pullman, talvolta due lire, e i commenti, i rinfreschi dietro le quinte, e una bella o che sceglievo essere tale, fra contralti o soprani, un’innamorata da provare a accostare o con cui litigare. Con in bocca, al ritorno, ancora il sapore di quell’esercizio d’amore che era cantare insieme. Idiota, credevo che tutto mi potesse aspettare. Invece, mi tocca sentire con un nodo in gola l’Alleluja finale di Haendel, e vederti, Don, che dirigi colla sedia di dietro e un inginocchiatoio davanti ma in piedi, colle dita che dici "son quattro!" alle sezioni: le ultime battute, quattro volte alleluia, poi insieme nell’accordo finale, tenuto finché c'è fiato. E poi, come sempre gli applausi, anche se siamo in chiesa. E’ finita, Don, maledizione, non solo una messa o un concerto. Non c’è un’altra festa a cui darsi ritrovo. Questa è la vita, la cosa a cui il tuo vecchio mestiere forse sa dare un nome ed un senso. Io no, così non mi fermo. Anzi scappo, senza neppure darti la mano. Un concerto per ricordarlo Un concerto in memoria del Maestro Porro si terrà sabato 2 aprile alle ore 21 presso la Sala Concerti del Conservatorio Paganini. Di scena il Coro delle Voci Bianche de "I Polifonici di Genova" diretti da Fabio Macelloni. Organista, Silvia Derchi. In programma lo Stabat Mater di Pergolesi. Giorgio De Martino [aprile 2004] movimento. C’è un’articolazione dell’immagine in modalità comunicativa, ed un legame simbolico nell’utilizzo dei materiali". Dietro tutto ciò, la sua chiave di lettura di “Norma”… "E’ un’opera alla fine senza plot, quasi un esperimento a pannelli dove accadono degli eventi-pretesto. Bellini analizza molto i sentimenti umani basici. In Norma tutto parla un linguaggio primario e cosmico: foreste, luna… E’ tutto molto grande, non ci sono piccoli gesti. Sono trattati i sentimenti dell’amore, della violenza guerresca, del risentimento: vengono campionati e trattati da Bellini, senza un vero sviluppo psicologico. Se andiamo a cercare la storia, per farci trascinare avanti, prendiamo la strada sbagliata". Oltre alle immagini? "Poco altro. La scena è realizzata sostanzialmente da una situazione molto elementare di elementi di proiezione: tulle, che sono “Sceno” e che raccolgono la “Grafia”. Abbiamo sempre una enorme luna-gong dietro, e materia lunare, e un mantello gigantesco per il rito (“Casta diva”)". Il suo è un tipo di linguaggio applicabile a tutto il melodramma? "Sì, in modo più o meno calzante. Ho iniziato a sviluppare questo linguaggio all’aperto, con grandi spazi: nel ‘99 ho fatto una “Madama Butterly” per l’Arena di Verona con 9 macchine di proiezione. A 130 metri di distanza, non “racconto” più con gli sguardi e i movimenti dei cantanti, ma solo con una regia visiva, dove la proiezione è un personaggio, e mi da la possibilità di comunicare a distanza una parte della drammaturgia. Questa strada mi sembra inevitabile. Anche se non lo so se sia l’unica. La mia Butterfly dell’Arena conquistò tutti i giovani che la videro. Ma ebbe anche un buon riscontro nel vecchio pubblico, perché non c’è niente di eversivo: c’è un adeguamento tecnico visivo, ma non metto i jeans a Rigoletto! Bisogna saper stabilire un contatto anche con i giovani, bisogna parlare col nuovo pubblico nella sua stessa lingua. E’ una necessità … Mi chiedo cosa farebbe oggi un Puccini, uomo straordinario e pieno di curiosità". Ha dei riferimenti forti? "C’è un collega illustre che in passato ha portato avanti talvolta questo tipo di linguaggio, Pier’Alli. A livello dei grandi spazi è un linguaggio di cui credo avere l’unica paternità. Ma riesco a portarlo avanti solo parzialmente, perché per accoglierlo davvero ci vuole un cambio di sistema". Partendo da? "Ci vogliono nuove tecnologie, che portano poi a nuove professionalità. E ci vuole anche il coraggio di scommettere: mi chiedo perché, in un momento di crisi economica delle Fondazioni, non si possa fare almeno un’opera all’anno nello stadio della propria città. La mia esperienza di teatro in giro per l’Europa è che, usando questa tecnologia, quando proprio una produzione dal punto di vista economico “non decolla” è perché ha raggiunto la parità tra denari spesi e guadagnati". gdm A colloquio con Paolo Miccichè, autore dell’allestimento hi-tech di "Norma" al teatro Carlo Felice Crisi del linguaggio e nuove prospettive della regia lirica "La mia generazione ha vissuto pesantemente la crisi del linguaggio. Quando ho cominciato i nostri punti di riferimento potevano essere, a vari livelli, grandi maestri quali Strehler (che nell’opera rappresentava il latore di un linguaggio ancora vivo). Noi ci siamo trovati tutti ad essere necessariamente degli epigoni". Quarantacinque anni, romano, Paolo Miccichè è regista e visual director. Sua, la Norma hi-tech applaudita in marzo al Carlo Felice: un allestimento fatto di immagini virtuali in movimento. "Un tempo in una abitazione c’era pochissimo per l’Entertainment. Poi le persone uscivano, andavano a teatro, e la loro pellicola psicofisica era estremamente impressionabile. Ora, quando usciamo riusciamo a stare pochi secondi senza musica, senza sollecitazioni visive. Oggi siamo bombardati, ovunque. Il problema del linguaggio è forte. Questa mia è una strada dove cerco di trovare altre formule di presentazione, considerando che l’opera è in fondo un pacco di fogli, che viene rimesso in scena ogni volta". Ma lei crede ancora nella forza dell’opera… "Naturalmente, in quanto oggetto drammaturgico teatrale. Ho dei dubbi invece su come tutti noi la stiamo presentando. Sulla scarsa ricerca de nuovo pubblico. Trovo conforto leggendo le lettere di Verdi, dove il compositore è spesso occupato a lottare contro le abitudini della routine del suo tempo. Lo vedo costantemente cercare mezzi nuovi per impressionare il suo pubblico, nell’esigenza di stabilire un contatto… Quando lavoro non mi chiedo mai cosa voleva a suo tempo il musicista ma l’esatto opposto: mi chiedo cosa vorrebbe oggi!". Quali soluzioni propone? "Oggi l’opera ha assorbito quello che hanno dato i grandi maestri del cinema, ovvero una grande consapevolezza drammaturgica, da Visconti a Strehler. Ma l’opera ha bisogno anche d’altro. La mia strada permette la possibilità di avere, utilizzando una proiezione su film, non un contesto dato che costringe a una sua realtà fisica, bensì qualcosa che è in costante mutazione e che cerca di seguire il respiro musicale… Un altro canale, un’altra polifonia, in questo caso visiva". Quali strumenti utilizza? "Ogni proiettore ha due sistemi di rulli che permettono anche di scorrere in parallelo o ruotare di 360 gradi. Si tratta di mezzi tecnologicamente elaborati, soprattutto nella messa in scena dove bisogna calibrare l’intensità, il 11 PRIMAVERA 2005 Al “Montale” una nuova operina con marionette e cantanti. E con gli strumentisti del “Paganini” coordinati dal M° Bettuzzi La Fanciulla del West sui fili Un gruppo strumentale del "Paganini" ha preso parte a "La Fanciulla del West" andata in scena all’Auditorium Montale dal 16 al 24 marzo. Lo spettacolo, firmato dalla compagnia genovese "Teatro Appeso a un Filo", è una produzione firmata dal Conservatorio in collaborazione con "Bludigenova". Coinvolgendo burattini, cantanti e voci recitanti, si è voluto raccontare ad un pubblico di giovanissimi il celeberrimo titolo pucciniano. La musica di scena – che i giovani strumentisti, coordinati da Marco Bettuzzi, si sono prestati ad eseguire – è firmata da un giovane musicista laziale, Paolo Vivaldi. Testo e regia sono di Massimo Sgorbani. In scena il tenore Alessandro Fantoni ed il soprano Antonella Fontana. Fra l’angusto palco dell’auditorium e la prima fila di poltrone, i “nostri” musicisti Marco Mascia, Sara Calabria, Alessio Caprari, Pjetri Arven, Eleonora De Lapi, Nahel Al Halabi, Giampiero Lobello, Valerio Civano, Cristian Margaria, Matteo Rabolini e Simone Agosto. Ci siamo fatti raccontare qualcosa in più su questa Fanciulla direttamente dalle tre artiste che stanno dietro al "Teatro Appeso a un Filo", ovvero Paola Ratto, Valentina Delli Ponti e Rosa Sgorbani (quest’ultima, per dieci anni scenografa e marionettista al teatro di Gianni e Cosetta Colla). "E’ il nostro terzo spettacolo. Siamo una compagnia di marionette costituita circa tre anni fa. Il primo titolo era “Pinto Smalto”, ed anche allora il testo era di Massimo Sgorbani e la musica di Paolo Vivaldi… E’ nostra volontà proporre sempre spettacoli che abbiano una forte componente musicale. La seconda esperienza risale al gennaio 2004: un “Pierino e il Lupo” dedicato alle scuole materne e al primo ciclo delle elementari, con cui abbiamo girato molte scuole genovesi e partecipato a festival estivi. La struttura su cui lavoriamo e dalla quale animiamo le marionette è piutto- IL SOTTOSCRITTO, ELIA SAVINO, DOCENTE DI TROMBA PRESSO CODESTO CONSERVATORIO, DESIDERA CON LA PRESENTE PRECISARE CHE NELL’ARTICOLO APPARSO SULLA RIVISTA "IL CANTIERE MUSICALE" A PAGINA 4, IN MERITO ALLA TRASFERTA IN SIRIA, SONO STATE RIPORTATE VALUTAZIONI DI CARATTERE POLITICO, ATTRIBUITE ERRONEAMENTE AL SOTTOSCRITTO, E ASSOLUTAMENTE NON CONDIVISIBILI DALLO STESSO. QUESTA RETTIFICA, CHE PREGO CODESTA DIREZIONE DI VOLER INSERIRE NEL PROSSIMO NUMERO DELLA SUDDETTA RIVISTA, INTENDE TUTELARE IL FELICE ESITO DELLA TOURNÉE CHE HA AVUTO NEL SUO VOLGERSI IMPLICAZIONI E COINVOLGIMENTI SQUISITAMENTE DIDATTICI ED ARTISTICI. GENOVA, 8 FEBBRAIO 2005 Prof. Elia Savino Piccoli equivoci "Certo, anche se ospiti di riguardo, si coglie che quella siriana è una terra piena di tensioni e di lacerazioni. Ma il fatto arricchisce di valore l’incontro fra italiani e siriani, nel nome della musica". E’ stralcio (quello "incriminato") di un articolo che dava notizia – in termini persino entusiastici, e non senza motivo – della trasferta didattica di un gruppo di docenti del "Paganini" e di professori d’orchestra del teatro Carlo Felice: Stefano Ammannati, Piero Andreoli, Vladimiro Cainero, Luigi Giachino, Elia Savino e Giampiero De Santi e Marcella Lamberti. Insieme alla delegazione, anche la cantante Gloria Scalchi, moglie del M° Savino. Proprio a quest’ultimo la redazione (nella mia persona) aveva chiesto un contributo da pubblicare sul "Cantiere". Non disponibile a scriverne, si era però reso disponibile a parlarne. Nel rispetto del lavoro dei docenti e della funzione divulgativa del giornale, nonostante i tempi "stretti", avevo PRIMAVERA 2005 sto alta e complessa da trascinare, dunque la utilizziamo soprattutto nelle piazze e nei teatri (mentre nelle scuola impieghiamo supporti più agevoli). Lavoriamo con il “ponte” a vista, in modo che i trucchi di noi marionettiste sia sempre esplicito, svelato. “La fanciulla del West” non è necessariamente uno spettacolo per bambini: si parte da un’età di circa sei anni ma si può arrivare tranquillamente a novantanove!". All’autore e regista Massimo Sgorbani chiediamo ragguagli sul titolo. Un titolo di per sé impegnativo! "Nell’esigenza di fare la versione per marionette del cartellone per adulti, ci siamo inventati una formula in cui marionette e attori in carne ed ossa interagiscono. Abbiamo dunque Minnie e Johnson che recitano e cantano, mentre alcuni altri personaggi dell’opera pucciniana sono marionette. Il tutto, con musica dal vivo. La difficoltà maggiore dell’operina è proprio la sua peculiarità d’essere concepita a più livelli: c’è il canto, gli attori, la musica dal vivo, le intersezioni attoriali che abbiamo fatto incidere al bolognese Matteo Belli. Con l’aiuto di un bravo fonico, tutto sembra che avvenga dal vivo, ma in realtà dietro c’è un grosso lavoro di incastri". telefonicamente racconto notizie dalla viva voce di Savino, per poi riproporle non virgolettate o firmate dal docente di tromba (quindici anni di lavoro giornalistico mi hanno abituato ad essere prudente: se ci sono le virgolette deve esserci anche la tutela reciproca d’un registratore, a scanso di equivoci) bensì definendole, per correttezza, "sunto della conversazione". Così riassumendo ciò che onestamente ritenevo d’aver colto, e provando a metterlo – come si diceva un tempo e come sempre avviene – in "bell’italiano". Fra le altre riflessioni riportate, la frase che ha verosimilmente turbato Savino, il quale non ha riconosciuto in quella, una propria affermazione. Nell’ambito di un articolo finanche celebrativo, la "buona fede" del possibile equivoco mi auguro sia tributata d’ufficio. Ma ammetto – e me ne rincresce – di aver attribuito un termine ("lacerazioni") forse non d’uso sufficientemente comune, forse troppo ricercato, da me scelto nella volontà di cercare un sinonimo alle considerazioni telefoniche di cui sopra che credevo (errandomi) d’avere inteso. Perché che quella siriana sia una terra "lacerata", è affermazione che comporta "valutazioni di carattere politico (…) assolutamente non condivisibili" dallo strumentista. Ed ecco la precisazione, confesso, molto inattesa (anche perché, oltre al pezzo sul "Cantiere", avevo ritenuto – e ritengo – talmente bella l’iniziativa che di mia spontanea volontà m’ero adoprato per farle avere l’adeguato risalto sulla stampa cittadina) ma frutto di uno zelo ineccepibile. Dispiaciuto per questo equivoco piccolo piccolo, che ha tanto contrariato il Docente di tromba, lo ringrazio pubblicamente per la precisazione. E mi auguro di cuore che alla prossima master class siriana abbia tempo e voglia di prendere carta e penna per raccontare al "Cantiere" la sua nuova esperienza e tutti i "coinvolgimenti squisitamente didattici ed artistici" del caso. 12 Giorgio De Martino Comunicazione ai Signori Docenti ed agli Studenti IL CANTIERE MUSICALE, RIVISTA DEL CONSERVATORIO PAGANINI, È GIUNTO AL QUINTO ANNO DI VITA ED AL SUO VENTOTTESIMO NUMERO. COME NOTO LA RIVISTA, A DIFFUSIONE GRATUITA, VERTE PRINCIPALMENTE SULLA VITA MUSICALE DEL CONSERVATORIO STESSO, ED HA LA PROPRIA RAGION D’ESSERE QUALE PORTAVOCE MEDIATICA DELLE ATTIVITÀ DELL'ISTITUZIONE DIDATTICA E PRODUTTIVA GENOVESE. IN PROPOSITO, NELL'OTTICA DELL’OTTIMIZZAZIONE DEL SERVIZIO, CALDEGGIAMO LA COLLABORAZIONE DI TUTTI I DOCENTI E GLI STUDENTI INVITANDOLI A SEGNALARE LE PROPRIE INIZIATIVE ARTISTICHE (POSSIBILMENTE "PAGANINI" O GENOVA) O GLI ARGOMENTI ARTISTICI, DIDATTICI, ORGANIZZATIVI, CHE RITENGANO DI TRATTARE IN RAGIONE DI UN PUBBLICO INTERESSE. PREFERIBILMENTE SAREMMO FELICI DI RICEVERE INTERVENTI FIRMATI: UN PICATTINENTI AL COMUNQUE ALLA CITTÀ DI COLO SFORZO CHE PERÒ SGOMBRA IL CAMPO DA POSSIBILI FRAINTENDIMENTI NELLA REDAZIONE DEI TESTI. E’ POSSIBILE SEGNALARE LE PROPOSTE DI COLLA– E IN SEGUITO INVIARE GLI INTERVENTI – AI SEGUENTI INDIRIZZI MAIL: [email protected] [email protected] BORAZIONE CORDIALMENTE Il direttore del Conservatorio Il curatore del Cantiere Musicale La rivista “Suono Sonda” raccontata dal suo creatore: Francesco Denini Microtensioni, relativo a problemi recentissimi tra semiotica dell’udibile e creazione elettroacustica. Nel terzo numero, sui temi più vivi della teoria della composizione, abbiamo ospitato di RICCARDO DAPELO Per un approccio sistemico al fare musicale oggi. Per il quarto numero è in allestimento un secondo intervento, in qualche modo speculare e coordinato al primo, di ALESSIO AGENO relativo questa volta ai fronti più recenti dei rapporti fra musica e architettura. Più liberi interventi musicologici sulle composizioni presentate, sono a firma di: ROBERTA VACCA, MARCO BERISSO, PAOLO CAIROLI, MASSIMO PASTORELLI, VITTORIO BAGNOLI, LAURA E. PARODI, RAFFAELLO BISSO, ANDREA BASEVI GAMBARANA, ALESSANDRO MASTROPIETRO. Una bottega per gli spazi del suono Presentare Suono Sonda mentre ne stiamo ancora consolidando le basi è quasi come aprire al pubblico una bottega artigianale non ancora del tutto rifinita, al fine di comprendere, insieme ai primi più incoraggianti sostenitori, e qui ai lettori di Cantiere, gli spazi d’azione cui concretamente possiamo intervenire, cercando intanto d’approfondire la conoscenza dei mezzi tecnico-organizzativi richiesti, e fatti salvi alcuni inaugurali principi di riferimento comunque aperti ad ogni eventuale discussione. In concreto, Suono Sonda è un semestrale di ricerca musicale – attualmente al suo terzo numero e in procinto di pubblicarne un quarto – diffuso prevalentemente per abbonamento postale, valevole 2 anni (abbonamento cioè valevole per 4 numeri, 2 all’anno, distribuiti almeno per il primo biennio quasi solo per posta) dal formato non dissimile a quello di molte riviste letterarie, ma con all’interno un CD di 60’ di musica circa e con una partitura pocket di uno dei brani presentati nel CD. Tale semestrale intende rivolgersi in maniera trasversale ai più diversi ambiti del gusto musicale, con l’intento d’intercettare in essi quei diversi momenti singolari e possibilmente significativi della creazione e dell’elaborazione critica in cui all’efficacia e alla persuasione commerciale accada di preferire lo spirito d’avventura, la voglia d’inventare mondi nuovi, la spinta a descrivere il mondo da punti di vista sempre diversi e l’ostinato intendimento a cercare ulteriori modi con cui attraversare gli spazi del suono. All’interno della rivista sono presenti interviste di diverso genere, spazi dove ogni singolo compositore o interprete, tra quelli ospitati nel CD, possa illustrare liberamente il proprio intervento creativo o la propria interpretazione, e uno spazio più propriamente saggistico in cui presentiamo saggi attinenti, a vario titolo, al tema specifico di quel particolare numero della rivista. Ogni numero, infatti, ha un suo titolo, ovvero un tema inteso a indovinare possibili fili rossi che uniscano interventi tra loro anche diversi e disparati. E ovviamente, in questo senso, il tema proposto non implica alcun genere di trattazione esaustiva, ma vuole essere piuttosto una possibile e in qualche modo ‘porosa’ suggestione argomentante. Suono Sonda spera d’essere in questo modo, intanto, evidentemente uno spazio di suono, ovvero un ambito in cui la creazione musicale possa cogliere quale suo centro lo spazio uditivo tutto, inteso al di qua e al di là di qualsivoglia concezione dell’opera musicale e della musica stessa. Quindi, spera di diventare una sonda a tutti gli effetti capace, per quanto è possibile, di infiltrarsi là dove le creatività vada positivamente alla deriva rispetto a quelli che sono gli indotti principali del mercato e dove quindi ci sia più bisogno di preservarla nella sua preziosa fragilità sperimentale e radicale. Per certi versi, propone il tentativo di riprodurre in vitro l’intero ciclo dell’attività musicale, dall’ascolto, alla partitura, alla riflessione critica. In questo senso, ambirebbe a rivestire il ruolo immaginario di un’arca, ovvero di un piccolo spazio protetto, in cui il dibattito musicale possa sostenere e confrontare esigenze diverse e contrastanti, incontrare le sue ombre e le sue luci e trovare un poco di quell’humus culturale pluralista senza il quale anche l’idea migliore corre il rischio di avvizzire. I primi tre numeri presentano brani di ALBERTO COLLA, GOFFREDO PETRASSI, FRANCESCO PENNISI, ANDREA CECCON, ROBERTO PERATA, CARLA MAGNAN, ALESSANDRA BELLINO, HIDEHIKO HINOHARA, PIERRE BOULEZ, RICCARDO DAPELO, SIMONA BARBERA, SYLVANO BUSSOTTI, LEONARDO GENSINI, RAFFAELE CECCONI, PAOLO CAVALLONE, LUCIANO BERIO, ANDREA VALLE, RICCARDO MOMPOU, ISANG YUN, MAURO CARDI, NICOLA BAGNOLI, SONIA BO. Mentre il IV numero prevede, se non intervengono variazioni, brani di MORTON FELDMAN, ANATROFOBIA, ROBERTO TAGLIAMACCO, WENDY MORRISON, PAOLO BESAGNO, CARLA REBORA, GEORGY KURTAG. Sul fronte più propriamente musicologico, nei primi tre numeri della rivista sono presenti saggi tra loro diversi e, pure, collegati: il primo, nel primo numero, di ALESSIO AGENO e MAURA FRILLI, riguarda i rapporti tra pitagorismo, architettura e musica in Vitruvio e in Palladio, e s’intitola Il talismano musicale dell'Architettura. Per lo spazio dei primi tre numeri abbiamo poi seguito un ampio saggio di ANDREA VALLE, intitolato Inoltre, la rivista si apre sempre con un incontro (intervista) che cerca tra l’altro d’avvicinare i temi del singolo numero: nel primo, con la poetessa Lucetta Frisa e lo psichiatra e scrittore Marco Ercolani, l’intervista riguardava il tema degli stati iniziali e della creazione da un punto di vista ad un tempo letterario, musicale e psicologico; nel secondo l’incontro è con il filosofo e musicoterapeuta Luigi Gaggero, anche in relazione all’uscita recente della sua pubblicazione per la Mimesis Edizioni: Esperienza musicale e musicoterapia; nel terzo numero, l’intervista, relativa al suo recente libro Verso il Requiem, è con Ernesto Napolitano. Quello che, infine, è risultato essere l’aspetto più sorprendente, e di cui ci sentiamo grati, è la coraggiosa disponibilità di molti straordinari interpreti e strumentisti che hanno tra l’altro affrontato il progetto nella sua fase di avvio e quindi, naturalmente, con minori garanzie di buon esito: MAURO CASTELLANO, ROCCO PARISI, KATSUMI NAGAOKA , CLAUDIO LUGO e L’ORCHESTRA LABORATORIO DEL CONSERVATORIO DI ALESSANDRIA, VITTORIO CECCANTI, MAURIZIO BEN OMAR, le VOCI ATROCI, RICCARDO CROCILLA, il QUINTETTO ACHORD e STEFEN NEUGARTEN, LUCA SANZÒ, GIULIO BERNASCONI e L’ENSEMBLE EXNOVO, LORENA PORTALUPI, ALESSANDRA REGGIANI, FABIO DE ROSA, FRANCESCA DELLEA, DANIELA AIMALE, SIMONA BARBERA, IL QUARTETTO ALKMAN, ESTER FLÜCKIGER, FRANCO TRABUCCO, PIERO ANDREOLI e L’ENSEMBLE DEGLI OTTONI DEL CONSERVATORIO DI GENOVA. E, in particolare, per l’impegno profuso in questo primo biennio (che si concluderà con il IV numero), vorrei già ringraziare, in via del tutto personale, la redazione che mi ha supportato (e sopportato): l’intelligente, instancabile, sempre gentile Carla Magnan, i da subito indispensabili Raffaello Bisso e Laura E. Parodi, la dinamica Simona Barbera, i colti Alessio Ageno e Andrea Valle, i cordialissimi Bruno Meneghelli e Anna Santeramo, l’attento Marco Porsia, il solido Guido Caserza e, alla base di tutto il lavoro, l’accortissimo Paolo Valenti. Gli interessati possono scrivere o telefonare a: Suono Sonda - via Montallegro 28/d 6 - 16145 Genova - tel. 010 314766, e-mail: [email protected]; oppure presso la sala di registrazione: Loud Music via Bobbio 12/6 16137 Genova tel. 010 874443. Ogni singolo numero si può trovare anche presso Denini. Botteghina della Musica via Albaro 87r. Ulteriori chiarimenti e informazioni sono forniti dal sito web: www.suonosonda.org (da cui si spera quanto prima di trarre uno spazio web complementare, anche con sguardi sul mondo dell’elettroacustica, curati da Raffaello Bisso e Paolo Besagno). Francesco Denini Al via i tirocini al "Carlo Felice" Diventa operativa la "Convenzione di Tirocinio di Formazione e Orientamento" stipulata fra il "Paganini" e "Carlo Felice". Sei giovani musicisti sono stati coinvolti in quello che ci auguriamo essere il primo d’una fruttuosa serie di rapporti collaborativi fra teatro e studenti. Dedicato alla produzione della "Norma" di Bellini, il tirocinio realizzato da Desiré Brogli e Leonardo Ferretti. Prenderanno invece visione delle fasi operative e artistiche de "La fanciulla del West" di Puccini, dalle prove musicali alle prove di scena al piano, alle prove di regia e d’assieme, Cristina Mambilla e Francesca Rota. Impegnate infine con “Il Corsaro” di Verdi le studentesse Han-Na Oh ed Ekaterina Gaidanskaia. 13 PRIMAVERA 2005 Novità Libri & Dischi I complimenti ammirati da Piero Bellugi al lavoro realizzato dal M° N. Zanardi Doppio CD dei “Giovani Solisti” La lettera della grande bacchetta fiorentina (Piero Bellugi) rappresenta la testimonianza ideale per tornire della giusta prospettiva la notizia della realizzazione di questo ricchissimo doppio CD, realizzato dal conservatorio Paganini in occasione di “Genova Capitale Europea della Cultura” in collaborazione con il Rotary Club Genova Nord e con l’Associazione Amici del Monastero di S.Chiara. Di scena, sotto lo sguardo vigile del Maestro Nevio Zanardi, l’Orchestra dei "Giovani Solisti" ed il "Quartetto di Violoncelli Giorgio Lippi", entrambe "creature" del noto didatta (e direttore d’orchestra, e quotato pittore) genovese. Fiori all’occhiello del conservatorio, le formazioni strumentali di Zanardi proseguono la loro attività con ritmi incalzanti… Proprio i "Giovani Solisti" (insieme al Quartetto Aurea) sono stati protagonisti, l’11 marzo scorso, di una bella serata concertistica presso l’Oratorio di Santa Chiara, dove hanno eseguito "Le ultime sette parole di Cristo sulla croce" di Haydn, con una voce recitante d’eccezione, quella del cardinale Tarcisio Bertone. Carissimo Nevio, un grande applauso per te e per i tuoi giovani solisti, per le splendide esecuzioni nei due CD. In un paese come il nostro, abbastanza disastrato musicalmente e dove si fa poco per i giovani la tua opera è preziosa. Ho ammirato la bravura, l’intonazione, il bel fraseggio dei tuoi ragazzi. Merito del tuo entusiasmo e della tua dedizione alla musica (finalmente un Vivaldi con gli "Allegri" veramente pieni di gioia di vivere e di far musica!). Grazie di cuore per tutto quello che fai per la musica e per il futuro di questi giovani virtuosi. Auguri vivissimi per i tuoi ragazzi e un affettuoso abbraccio da Piero Bellugi Primo CD De Vega dedicato al melodramma "per pianoforte" Un CD multimediale sulla musica antica per "Philarmonia" Un canto (lirico) interiore: la Bohème di Battarino Multæ voces: Polifonie gregoriane "L’opera al pianoforte", uovo di Colombo, novità elementare, qualcosa di consimile a tanti spartiti che hanno riempito case e (meno di frequente) sale d’Ottocento e dei primi decenni del Novecento… Eppure, senza dubbio cosa nuova. Facilmente equivocabili – nulla di così vicino, prima d’averle intese – con prassi storicamente rodate se non svigorite (fantasie, parafrasi, riduzioni, ecc.), le trascrizioni di Giacomo Battarino percorrono le opere senza ridurre, elaborare, interpretare, manipolare le partiture: la forza sta nella purezza chirurgica (del procedimento e del risultato). Sulla tastiera, Giacomo Battarino dipana l’opera intera, trovando spazio – tutto lo spazio necessario – alle linee vocali con perentoria fedeltà all’originale. Ne emerge uno strano scorrere del melodramma, assolutamente inalterato eppure peculiare, altro da quanto inteso dalle molte modalità di rivisitazione, altro da quanto ha fino ad oggi esportato la lirica al di là della scena e della parola modulata. Così, questa Bohème interamente pianistica eppure a suo modo autentica ed integra, si segue, si offre in uno spettro di trasfigurazioni possibili: può essere, per chi come molti ama il titolo e ne conosce magari parecchi allestimenti (e, a memoria, il libretto) uno strano percorso affettivo, il filo della memoria, depurato da qualsivoglia inquinamento "del mestiere" o "della passione", da qualunque raffronto vocale… Sarà dunque una Bohème assoluta, che risponde al canto interiore di colui che ascolta: partitura riconoscibile fin nel minimo dettaglio (ascoltando, sembra di leggerla, di averla davanti agli occhi!), eppure frutto di una mutazione (e d’una sottrazione) che la rende più trascendente e più scabra. Può essere, ancora, per chi non conosce la partitura nei particolari, una compagnia discreta, mai invasiva, una Bohème sulla quale si può conversare senza farle torto, arte alta divulgata. gdm Il più grande sforzo della ricerca sulla musica della tarda antichità, del Medioevo e dell’Umanesimo consiste, oggi, nel ripulire questa musica dalle incrostazioni del tempo e restituire, per quel ch’è possibile, la freschezza di queste composizioni che risalgono a epoche ormai lontane. Questa raccolta si ripromette di fornire qualche esempio musicale capace di illustrare il percorso che dalla tarda antichità portò alla grande fioritura della musica polifonica medievale. (…) Diversi studiosi hanno poi formulato un’osservazione di grande peso per il senso complessivo di questa storia. Si era sempre dato per scontato che il canto gregoriano fosse eseguito ad una sola voce: che tutti i cantori, cioè, cantassero la stessa melodia. In realtà si è scoperto che era perfettamente normale cantare a più voci, fin da epoca antichissima. Già nella Roma papale del secolo VII si cantava a più voci, cioè alcuni cantori cantavano la voce principiale, altri accompagnavano con un "controcanto" che non possiamo sapere come venisse realizzato, ma che possiamo immaginare un po’ come il canto tipico di molte aree mediterranee (per esempio la Sardigna o la Liguria. (…) PRIMAVERA 2005 14 [dal libretto di sala a firma di Guido Milanese, direttore del complesso Ars Antiqua] Novità Libri & Dischi Tiziana Canfori firma un volume dedicato a Benedetto Marcello Il genio "Dilettante di contrappunto" nella Venezia del ‘700 Un libro concepito, potremmo dire, entro le mura del conservatorio di Genova. Un libro importante, che colma un vuoto, che mette a fuoco un colosso della musica, Benedetto Marcello. Autrice, Tiziana Canfori, clavicembalista, musicologa, docente al “Paganini”; editore, la firma più raffinata che Genova può vantare nel campo, quella di “San Marco dei Giustiniani”. Senz’altro approfondiremo – nel prossimo numero del Cantiere – il contenuto di questo libro che ha pochi giorni di vita (ma chi ha avuto il privilegio di leggerlo in anteprima ne parla in termini entusiastici) . Per adesso, ne proponiamo il gustoso incipit… luminosità , ammirando la potente luce pulsante di Sirio, ma riuscendo a provare la soddisfazione di “intuire” la galassia di Andromeda da una leggera nebulosità appesa nel cielo nero. Per vedere, in questo caso, bisogna sapere dove cercare, e bisogna anche utilizzare l’occhio in modo particolare: la messa a fuoco non è diretta, non è centrale, ma si avvale di uno sguardo più generale, fiorato, periferico. Insomma, più si cerca di isolare l’oggetto, più ci si allontana da lui. Nell’universo musicale, Benedetto Marcello è oggi per molti di noi qualcosa di simile: un Chi ama osservare il cielo notturno sa come guardarlo: sa puntare un telescopio tuffandosi nello spazio profondo e mettere a fuoco un particolare, che la lente dello strumento arricchisce di nuove forme luminose, ma sa anche soprattutto orientarsi a occhio nudo. È solo in questo modo che i corpi celesti riescono a tracciare una mappa significativa per noi, segnata da costellazioni e punti di riferimento capaci di regalarci un viaggio nello spazio e nel tempo. Il provetto osservatore sa anche valutare gli oggetti celesti al di là della loro E’ uscito il nuovo libro del cantante e regista mantovano Enzo Dara e i suoi "Personaggi in chiave": una lezione (di musica e umanità) oggetto che sfugge e che potremo cogliere meglio osservandolo con maggiore affetto e con la giusta distanza. Lo dobbiamo cogliere in una dimensione più complessa di quanto siamo abituati a fare: spesso ci sembra di conoscerlo (ci appare una stella fin troppo nota), mentre se tentiamo di dargli una forma più chiara ci accorgiamo che la sua essenza, e gran parte della sua produzione, ci sfuggono. Il suo inserimento nel Settecento veneziano è automatico per i musicisti e anche per gran parte del pubblico, così come in molti scatta l’associazione con la sua opera oggi più nota, Il Teatro alla moda, ma spingersi oltre non è facile, se non per l’esperienza degli strumentisti che hanno praticato il repertorio delle Sonate e dei cantanti che si sono impegnati in qualche aria o duetto. Verificare questa realtà non ha solo il senso di una critica alla nostra cultura musicale (bersaglio fin troppo facile in un Paese che ha nutrito grandissimi musicisti, ma che non ha mai attuato un progetto organico dell’educazione alla musica), ma assume un valore particolare proprio introno a Marcello, personaggio che grazie alla sua sfaccettatura ha creato disagi notevoli a chi ha cercato di inserirlo in un sistema semplice. Musicista o letterato? Aristocratico o popolare? Bacchettone o disinvolto? Religioso o libertino? “Dilettante” o musicista attento e innovatore? (…) (da Benedetto Marcello - Un "dilettante di contrappunto" nella Venezia del Settecento, Editore San Marco dei Giustiniani, Genova) E’ senza dubbio uno dei "bassi buffi" più noti ed amati del ‘900: Enzo Dara, cantante-attore, regista, scrittore (il suo "Anche il buffo nel suo piccolo" è un vero e proprio gioiello d’ironia e d’arguzia), si è esibito ancora di recente al teatro Carlo Felice, in occasione del "Viaggio a Reims" rossiniano (che l’artista mantovano aveva cantato già vent’anni fa, con Abbado e Ronconi). In occasione della sua breve residenza genovese, nel corso di un’intervista, aveva parlato fra l’altro della lunga gavetta, della sua indole di "pigro attivo", dell’importanza formativa di collaborazioni con personaggi del calibro di Bruscantini, Taddei, Ponnelle, delle molte regie che aveva firmato, anche insieme all’amico genovese Luzzati… E ci aveva anche confessato la sua passione per il giornalismo (da ragazzo il M° Dara lavorò al "Resto del Carlino", al tempo in cui direttore era Spadolini) e per la letteratura, giustamente fiero della sua biblioteca di oltre ottomila volumi. "Non ho perso il vizio di scrivere: sto giusto correggendo le bozze di un nuovo libro dedicato ai grandi incontri che ho avuto durante la carriera". Oggi finalmente quel libro è disponibile in libreria. Si intitola "Personaggi in chiave" ed è pubblicato da Azzali Editore, Parma. Duecentoventi pagine, quattordici personaggi, decine di splendide fotografie, per scoprire l’ultimo mezzo secolo di storia dell’interpretazione. Con sapiente dosaggio di spezie aneddotiche e indicazioni vocali, musicali, musicologiche (sempre con una sorridente concretezza), il libro accoglie ritratti di Del Monaco, Menotti, Siepi, 15 Gavazzeni, Gigli, Grassi, Schippers, Taddei, Callas, Protti, Pavarotti, Strehler, Abbado, Valentini Terrani. Un "cast allargato" dell’universo lirico davvero da capogiro. "Noterete, almeno lo spero, come più che sulle loro prodezze artistiche, mi soffermi sulle loro doti umane", scrive Enzo Dara. Proprio così. Un esempio forse chiarisce meglio d’ogni altra cosa come Dara ci porga (e con che penna pepata!) questi "Personaggi in chiave". Ecco le prime dieci righe del primo capitolo, dedicato a Mario Del Monaco: "Senti caro… io sono Sansone non Sandokan… questo duello non posso farlo mentre canto, altrimenti addio fiato… e poi non rompere le palle al ragazzo che ha una bella voce". Questa frase lapidaria segnò il mio primo incontro col tenore pesarese. Nel febbraio 1963, scritturato dal teatro Bellini di Catania, mi accingevo a iniziare le prove di Sansone e Dalila di Saint-Saëns nel ruolo di Abimelecco, direttore un certo Trik. Dalila Adriana Lazzarini, il Sommo Sacerdote Piero Francia, Sansone Mario del Monaco appunto. La frase da lui rivolta al regista dello spettacolo mi tolse da un bel pasticcio. Questi i fatti: dai primi giorni di prove, ancora assente il protagonista, il regista mi aveva mandato in crisi (…)". Avvincente. In più, vero. Una lezione (di storia della musica e d’umanità) per chiunque abbia a che fare – dalla platea o dal palcoscenico – col mondo del teatro musicale. gdm PRIMAVERA 2005 Emanuele Canepa Un oggetto “semplice”: la canzone Nonostante la varietà di forme musicali prodotte nel corso dei secoli - concerti, musica da camera e sinfonie, melodrammi e inni patriottici, musica liturgica, militare e per la danza - l’oggetto meglio depositato, per numero e profondità, nella memoria musicale ed affettiva di molti – ma si può dire di tutti - è quel semplice meccanismo che chiamiamo “canzone”, forma estremamente efficace nel trasmettere e rendere indelebili emozioni, in grado di evocare “automaticamente” atmosfere di intere epoche, vicine o lontane nel tempo, fino a diventare oggetto di studio del costume, delle idee e degli avvenimenti. Le canzoni, oltre ad esprimere gli stati dell’amore in tutte le sue declinazioni e sfumature, possono ispirare e sostenere la lotta politica, diffondere idee, supportare nuovi modi di intendere la realtà. E chiunque ascolti un’antologia della canzone italiana dovrà riconoscere l’alto livello di questa produzione, almeno nei suoi esiti più alti, sempre in bilico tra artigianato e arte, spettacolo e mercato. La canzone, com’è noto a tutti, è una forma breve, melodicamente ed armonicamente semplice, legata ad una forte riconoscibilità che sconfina talvolta in smaccata orecchiabilità. Il testo, nella lingua di tutti i giorni, può essere di una banalità sconcertante oppure avere aspirazioni di raffinatezza. Conta molto la performance vocale ma non è necessariamente rilevante la potenza vocale; l’intonazione, invece, dovrebbe essere ineccepibile. E’ auspicabile che il cantante abbia un timbro di voce originale, tale da renderlo facilmente individuabile, così come ha rilevanza una forte presenza scenica che lo possa trasformare da esecutore in “personaggio”; questo costituisce un valore aggiunto per i brani che interpreta. Pur tenendo conto della poetica, e al contempo veritiera, constatazione di Massimo Mila: Una canzone riuscita è una cosa fatta di niente, un batuffolo impalpabile che nel giro d’una rima, nella lusinga d’una cadenza melodica, cattura fortunosamente qualsiasi aspetto della vita: un soffio di primavera, il sorriso d’una ragazza, la pena d’un disgraziato, l’entusiasmo d’una grande IL CANTIERE MUSICALE presidente onorario Angelo Guaragna presidente Patrizia Conti [email protected] direttore Giorgio De Martino [email protected] redazione Tiziana Canfori, Roberto Iovino, Fabio Macelloni, Paola Siragna, Emilio Traverso Conservatorio Niccolò Paganini via Albaro, 38 - 16145 Genova tel. 010.3620747 - fax 010.3620819 [email protected] [email protected] PRIMAVERA 2005 idea [M.Mila sull’Espresso del 23/03/1958 n.12] Non va dimenticato che le canzoni sono un rilevante oggetto di consumo: muovono un vasto mercato di diritti d’autore, di produzione e vendite discografiche, di spettacoli; hanno parte importante nelle diffusioni radiotelevisive e nelle stagioni di concerti. Questo aspetto mercantile incide non poco sulla loro realizzazione. Un ambito particolarmente interessante della storia della canzone italiana si è sviluppato nei primi anni Sessanta con l’avvento dei cantautori, artisti decisamente innovativi e contrapposti al disimpegno canzonettistico degli anni Cinquanta. Le fonti d’ispirazione furono gli chansonnier francesi, il jazz, il rock’n’roll e, in proporzione minore, la musica folklorica italiana, ma anche il cinema riot statunitense e la letteratura. Quali sono i tratti distintivi del cantautore? Illuminante è la definizione che Gino Paoli fornì durante il convegno Generazioni a confronto, tenutosi a Genova nell’ottobre del 2003: Il cantautore è 100% di testo, 100% di musica; poi c’è la voce che deve essere aderente a quanto canta, e la resa scenica. Ma c’è un altro elemento: il cantautore deve essere ‘contro’. Quel “contro” una società ormai inadeguata a rappresentare un modello per i giovani, incapace ad elaborare e trasferire alle nuove generazioni valori, stili ed esperienze di vita, riguarderà in primis la ricerca di una nuova maniera di vivere e descrivere i rapporti con l’altro sesso. Questa tematica, per quanto circoscritta, non impediva al pubblico più conservatore di sentirsi infastidito dall’anticonformismo malinconico dei nuovi autori, così stridente nel contesto spensierato del boom economico. Del resto, il solo parlare dei rapporti tra i sessi in termini realistici aveva, allora, una valenza “politica” che andava oltre l’argomento privato: era questa la massima “eversione” possibile. Imprescindibile è il contributo dato alla nascita della canzone d’autore dalla cosiddetta “scuola genovese”, definizione di comodo, imprecisa e rifiutata anche dai diretti interessati, che indica un ristretto gruppo di giovani nati negli anni Trenta, che per insondabile casualità vivevano la loro amicizia intrisa (anche) di musica in un’area circoscritta del centro di Genova. Com’è noto, si tratta di Gino Paoli, Bruno Lauzi, Umberto Bindi (l’unico genovese di nascita, che comporrà sui testi di un altro genovese, Giorgio Calabrese), Luigi Tenco - e il livornese Piero Ciampi - ai quali si aggiungeranno, una volta trasferitisi a Milano, Sergio Endrigo, Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. Confermerà il mito della “scuola genovese” Fabrizio De André che traghetterà la produzione cantautorale fino a noi. Perché proprio Genova? Perché il trasferimento a Milano per produrre i primi dischi? Al di là delle molte ed ineludibili fascinazioni che Genova offre, dal porto al vastissimo centro storico, dalle riviere alle colline, alcuni fenomeni di tipo pragmatico non vanno sottovalutati: in questa città, ad esempio, stanziarono, anche dopo la guerra, le navi militari americane con le loro aggiornatissime orchestrine, e i marinai donavano ai giovani dischi di jazz e rock’n’roll, e romanzi. Nella zona dell’angiporto genovese altre orchestrine, spesso formate da abili professionisti, suonavano nei night per marinai, nottambuli, entraîneuse e malavitosi; a Genova era nato ed aveva lasciato traccia quel grande jazzista italiano che fu Natalino Otto. Ancora, in questa città erano vive le voci di altissimi poeti quali Montale, Caproni, Sbarbaro. E la Francia, con i suoi chansonnier, era molto vicina. Facevano poi parte del gruppo due musicisti che acquisiranno fondamentale importanza per i loro destini artistici: si tratta dei fratelli Gianfranco e Algraphy - Genova Gian Piero Reverberi, il primo all’epoca già autore di canzoni e di colonne sonore cinematografiche; il secondo si diplomerà brillantemente al Conservatorio e diverrà arrangiatore e direttore d’orchestra. I Reverberi saranno il collegamento tra Genova e Milano, dove nel frattempo era nata la Casa Discografica Ricordi, emanazione della storica casa editrice; lì un giovane e dinamico Nanni Ricordi si guardava attorno alla ricerca di nuovi autori, nuovi volti, nuove voci. Il clamoroso successo planetario di Nel blu dipinto di blu (1958, di Migliacci-Modugno, considerato lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo) aveva insegnato che il vento stava cambiando: il mercato non avrebbe più gravitato intorno a strapaesane produzioni sanremesi, delle quali vendere pochi dischi e pochi spartiti a cantanti e orchestrine, ma intorno a personaggi forti e innovativi, e alla vendita massiccia di quel nuovo supporto rappresentato dal disco a 45 giri - economico, leggero, facilmente trasportabile in tutto il mondo. Il piccolo gruppo era portatore di alcune caratteristiche che li contraddistingueva, sebbene ognuno di loro mantenesse differenze individuali. Era comune l’inconsapevolezza sia della svolta che avrebbero rappresentato per la canzone italiana, sia del peso di quelle prime composizioni nella loro vita privata e professionale. Tutti loro ponevano particolare attenzione ai testi dei loro brani come logica conseguenza del diverso atteggiamento nei confronti della forma canzone, intesa non come prodotto industriale, ma primariamente come genuino veicolo delle proprie urgenze d’espressione. Va notato, però, che ciò che davvero caratterizza le loro opere è l’equilibrato amalgama di parole e musica. Nessuno di loro curava particolarmente la perfezione esecutiva o l’eccezionalità nelle prestazioni canore e sceniche. Il loro modo di porsi, sul palco o in televisione, era semplice e sobrio: bastavano giacca e cravatta o “scandalosissimi” jeans e maglione. Nonostante le censure messe in atto e i giudizi negativi o imbarazzati, essi erano in qualche modo considerati parte dell’industria discografica, ed apparivano con discreta frequenza in televisione, tra i più “vendibili” Celentano, Mina, Cinquetti e Pavone; relativamente frequenti furono le loro apparizioni al Festival di Sanremo. La canzone d’autore finì con l’essere apprezzata dai più e contribuire ad abbattere un non piccolo novero di barriere dovute a mentalità passatiste e bigotte che via via andavano dissolvendosi per effetto di una graduale evoluzione e sprovincializzazione della società italiana. Ma la storia del mondo, le ideologie e le mentalità collettive (nonché i gusti dei giovani: si pensi al fenomeno del beat, si pensi al Sessantotto), mutarono velocemente nello svolgersi del decennio, sotto l’accelerazione di molti ed epocali eventi. La “scuola genovese” e gli artisti ad essa vicini non seppero o non vollero cavalcare questo new deal, emanatore di produzioni molto diverse dalle loro. Essi subiranno negli anni a venire un drastico declino, ma ciò non impedirà alle loro canzoni di assurgere all’olimpo dei grandi classici della musica leggera italiana e internazionale. Emanuele Canepa