DEL POPOLO
il pentagramma
De penitentia quaresimalis
et de gustibus provincialis
di Patrizia Venucci Merdžo
Carissimi lettori,
dopo “La Gioconda” carnascialesca e le sue ben cinque! repliche – dato che i centovent’anni del Teatro di Fiume sono tutto sommato un avvenimento di relativa importanza, dato che l’Opera è il meno numeroso e meno significativo dei segmenti dell’ente teatrale, dato che la tradizione
lirica da queste parti è sempre stata trascurabile ed è per
questo che una premiere lirica a stagione è più che sufficiente, e dato infine il costo e l’impegno molto modesti del
progetto, cinque repliche bastavano e avanzavano – eccoci a Quaresima. In piena Quaresima. Penitenza, digiuno,
preghiera, opere di carità, meditazione sulla nostra caducità terrrena (“polvere eri e polvere sarai!”), sulla vanità delle cose (“Vanitas vanitatis”), sul nostro vero senso esistenziale e Destino Ultimo, sulla conversione del cuore, sulla
riaffermazione del giusto rapporto tra Umano e Trascendente, tra materiale e spirituale. Ovviamente per la rinascita spirituale sono necessarie la meditazione, l’introspezione e perciò il “Silentium!” (vi immaginate Giovanni Battista che medita sul come “spianare le vie al Signore” durante un concerto rock, o nel bel mezzo de “La Traviata”?). In
questo senso un apporto veramente decisivo ci viene dalla
nostra inclita municipalità alla quale il nostro rinnovo spirituale sta particolarmente a cuore.
Zac! Un bel taglio alla vil pecunia destinata alle “rumorecce” e “caserecce” abitudini culturali, e in particolare musicali, ed eccoti il “silentio silentiorum” e la conversione del cuore! Non un frivolo concerto sinfonico, non
una triviale serata da camera. Gli unici antri peccaminosi
sono la chiesa – dove si canta! – e il “Circolo Italiano di
Cultura” dove si danno delle abominevoli serate mozartiane. Buuuu!
Ah!, ma stiamo dicendo il falso! Perché improvvisamente è …”rombata” come un tuono a ciel sereno la celebrazione solenne per il centenario della fondazione della
“Società di Concerti” di Fiume con la premiere dell’opera
tzigana “Carmen a lieto fine” di Goro Brego e la sua “Or-
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chestra tzigana (di fiati e tamburi) per matrimoni e funerali”. In realtà, dietro a questa celebrazione c’è stato un retroscena di battaglia molto sofferto, in quanto i potentati non
intendenvano sganciare i dobloni necessari per omaggiare
in maniera confacente il fausto anniversario. Senonché la
nostra carismatica, magnetica, ipnotica e ieratica first lady
del Teatro, è volata in municipio a gran carriera intavolando un discorso del genere:” Come? Non ci permettete di festeggiare il centenario dell’augusta Società di Concerti con
il Brego Brego che fa sempre sbrego? E’ una vergogna!”.
E dopo averli fissati intensamente, come un’Azucena infuriata ha esclamato:”Abracadabra!”. Al che i nostri Padri
putativi, fortemente impressionati, hanno aperto le cateratte! Centocinquantamila, “stopedesettisucie” 150.000 fliche, carantani, dobloni, kune, martore e visoni!
Non che questa storiella tzigana ingenua, sboccata,
schietta, un po’ demente e fracassona - NEL SUO GENERE - sia male. (Speriamo non sia l’inizio di una tetralogia).
La cartomante Kleopatra mi ha quasi fatto tenerezza. Solo
che l’avrei gustata di più sotto un tendone da circo blu a
stelle rosse (con tutto il rispetto, s’intende) e con un cartoccio di cevapcici-ajvar-cipolla sotto il naso. Perché è il suo
ambiente naturale. Con tutti quei putti e ori barocchi del
Teatro ‘sta Carmen invece, sembrava un pesce fuor d’acqua. Un’aragosta al Polo Nord.
E poi non è colpa di Brego se ha dovuto rifare tutta la
“Carmen” di Bizet. Ci è stato “costretto”. Quelli dell’Orchestra di matrimoni e funerali gli hanno detto “Bre, Brego, senti un po’. Siamo stufi di musica da funerale. Noi
vogliamo, bre, suonare musica da matrimonio. Questo
matrimonio s’ha da fare. Accasiamo la Carmen, che diventa finalmente una donna per bene, e Don Josè - Fuad
- Bakia non ammazza nessuno. E non facciamo la figura
dei ‘balkanci’. Cioè, Fuad non fa fuori il poliziotto cattivo
che aveva ammazzato la Carmen ma poi si spara in bocca
(non fateci caso, sono dettagli della trama), ma alla fine
Bakia, lo spazzino (pardon “l’operatore ecologico”), sposa
An
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• Mercoledì, 29 marzo
Kleopatra, la cartomante, (cioè, l’operatrice avveniristica),
e non Nena, la ‘striptizeta’. E vissero felici e contenti”.
Brego il Saggio, che ha studiato filosofia e sociologia,
(l’invito ai giornalisti recava ripetutamente la scritta “dottor Bregović”. Una tremarella! Mi sembrava quasi di andare ad una visita medica invece che allo spettacolo), in
posa da “Il pensatore” di Rodin, ragionò in siffatta maniera: ” La ‘tesi’ l’ha fatta Bizet; ‘l’antitesi’ la vogliono i miei
professori d’orchestra, e io faccio la ‘sintesi’. Magari alla
fine ne avrò le tasche piene... però, ‘majka ti fijumanska’,
se non avrò ‘le tasche piene!’”.
E così l’allegra brigata ha strombonato, “cupkato” e
sproloquiato per una buona oretta e mezza. (Accidenti! Ma
perché ho dimenticato a casa le “scarpette bianche”; volevo dire le “opančice”!). Scommetto che né a Rubinstein,
né a Michelangeli, né a Casals, nel fiumano “Tempio di
Talia”, ai tempi d’Italia, riuscì di creare uno “štimung”
così!
E a fine spettacolo ci sentimmo tutti sublimati, elevati e
(spiritati) spirituali, come si addice ai tempi quaresimali!
Penitenzialmente Vostra
2 musica
Mercoledì, 29 marzo 2006
CAOS NEL MELODRAMMA - Il mito della versione originale
È un «tradimento» tradurre l’Opera?
di Fabio Vidali
S
e la progressiva riduzione delle sovvenzioni di Stato per il
Teatro d’Opera rappresenta
la minaccia oggi più sentita ed enfatizzata per la sopravvivenza dei
Teatri che producono la Lirica, un
altro tarlo endogeno ne rosicchia
le vetuste strutture: la feroce diatriba riassumibile nell’irrisolto interrogativo sul “come te la canto,
l’Opera?”.
Ignorato nell’Ottocento, progressivamente prorompente nella seconda metà del Novecento,
con punte addirittura “talebane”
in questo nuovo Secolo, il problema delle “traduzioni ritmiche” dei
Libretti d’Opera sembra orientato
a risolversi con la draconiana eliminazione di queste “versioni” a
favore dell’indiscriminata adozione dell’uso delle “versioni originali” nelle lingue in cui i compositori
d’ogni Nazione sposarono le parole
alla loro musica.
A pro di tale scelta figurano indiscutibili motivi di ordine filologi-
Wagner, che non era certamente
uno sprovveduto, prescriveva tassativamente che le sue Opere “fossero tradotte nella lingua del Paese
in cui si rappresentavano”, giungendo fino ad affermare: “Avrei potuto morire di voluttà ascoltando il
‘Tristan und Isolde’ cantato in italiano” (sic).
Rossini, che pure stese originariamente in francese il suo “Guillaume Tell”, si disse ben felice della sua versione italiana in “Guglielmo Tell”, anche perché tale versione italiana superava di gran lunga,
in numero d’esecuzioni, quelle del
grand-opéra originale. E tale supremazia dura ancora oggi.
Verdi, che compose il suo “Don
Carlos” su testo francese, approvò
la sua versione in italiano (1884)
e se ne dichiarò felice. L’originale
francese è praticamente scomparso
dalle scene. Sempre Verdi, infallibile nell’istinto teatrale, in altre opere
(p. es. “Il trovatore”) dove trovava
certe sequenze del libretto partico-
Una scena dal “Tristano e Isotta”. Wagner in italiano?
co, intellettuale (più spesso snobisticamente “intellettualistico”) che
però trascurano l’insopprimibile
“duplicità” del Teatro in Musica,
dove la parola non è solo “suono”
o “accento” ma anche significativo
“motore” dell’azione drammatica
la cui “comprensione” - se non avviene tempestivamente con lo svolgersi dell’azione e dei movimenti
teatrali - ne inceppa penosamente
il meccanismo rendendolo goffo
quando non bloccandolo del tutto.
Teatro in Musica è soprattutto
“comunicazione completa”. Una
“comprensibilità” che, nella Prosa, per esempio, è assicurata dalla
traduzione nella lingua del “luogo”
nel quale si svolge la rappresentazione. Prova ne è che la Tragedia
Greca non viene rappresentata in
alcun Paese in “greco antico” ma
nella traduzione nella lingua “parlata” del luogo dov’è rappresentata.
Già, si dirà, ma nell’Opera c’è
la Musica a “tappare” questi buchi.
Ma la Musica non può da sola risolvere la Babele delle lingue.
L’opinione
dei Maestri
I fautori delle “versioni in lingua originale” dimenticano (o nemmeno conoscono) cosa ne pensavano al proposito grandi Maestri quali
Wagner, Rossini, Verdi, R. Strauss,
Shönberg, Puccini, Offenbach e
cosa ne pensano, ancor oggi, compositori come Menotti, Hans Werner Henze, tanto per fare soltanto
alcuni nomi.
larmente “infelici”, provvedeva con
la strumentazione a “coprirle”.
Richard Strauss patrocinava
apertamente la traduzione in altre
lingue delle sue opere, per esempio “Capriccio”. Shönberg volle
espressamente che il suo “Pierrot
Lunaire” fosse tradotto dal tedesco
in inglese. Giacomo Puccini pure
chiedeva espressamente che le sue
opere fossero tradotte nella lingua
del luogo d’esecuzione Offenbach
si compiaceva vivamente che le
sue operette fossero tradotte in altre
lingue. Giancarlo Menotti, l’italoamericano che componeva sempre
sui testi inglesi, ne richiedeva sempre la traduzione in italiano a quell’autentico luminare del genere che
fu il compianto Fedele D’Amico.
Hans Werner Henze si è detto
sempre radicalmente convinto dell’utilità delle traduzioni dei suoi lavori teatrali. Altri compositori contemporanei italiani quali Sciarrino,
Vacchi e Corghi, più eseguiti all’estero che in Italia, predispongono personalmente versioni diverse
dei loro testi nelle lingue dei Paesi di rappresentazione. Il direttore
Elihau Inbal cercò di far rappresentare la “Tetralogia” di Wagner alla
RAI di Torino in lingua italiana.
Non vi riuscì solo perché, nel frattempo, la “scuola italiana” di cantanti wagneriani s’era estinta. Quella stessa “scuola” che invece Toscanini (a New York) utilizzava largamente per il suo Wagner in italiano,
con artisti che si chiamavano Nazzareno De Angelis, Cesira Ferrani,
Giuseppe Borgatti e Maria Callas.
Di parere contrario Charles
Gounod che lamentava, per la versione italiana delle sue opere, “lo
stravolgimento degli accenti originari”.
Di contro, per obiettività di
cronaca, non va sottaciuto che, ad
esempio, “Carmen” di Bizet, per
moltissimi anni e non soltanto in
Italia, fu eseguita sempre non nell’originale francese ma in italiano.
E ciò in Spagna, Sudamerica, Germania, ecc., senza che alcuno trovasse nulla da obiettare. I filologhi
“talebani” non avevamo fatto ancora la loro comparsa.
Esempio estremo ed “integralista” delle traduzioni “ad ogni
costo” è l’illustre English National Opera che rappresenta Opere
d’ogni provenienza esclusivamente
in lingua inglese.
Un’esperienza
personale
Ho avuto la fortunata occasione
di sperimentare di persona la differenza di impatto presso il pubblico
di un’Opera straniera e “sconosciuta”, se presentata in traduzione ritmica italiana o nella “versione originale” in lingua non conosciuta.
L’Ente Lirico Teatro Verdi di
Trieste aveva, anni or sono, messa
in cartellone l’Opera “Rusalka” di
Antonín Dvoøák (testo di J. Kvapil) e scritturato i relativi interpreti (tutti cantanti italiani). Qualche
mese dopo le scritture, in teatro si
accorsero con sgomento che di tale
Opera non esisteva alcuna “versione ritmica” in italiano. Donde
si pensò di togliere tale titolo dal
cartellone già annunciato e di sostituirlo con un’Opera del grande
repertorio italiano che “coprisse”
i cantanti scritturati. Appreso ciò,
nel corso d’un’occasionale conversazione in Teatro, espresso il mio
rincrescimento per la soppressione
di tale splendido titolo, soggiungendo: “L’avessi saputo prima, ve
l’avrei fatta io”. “Falla!” mi risposero. Mi informai sui tempi di consegna. Erano ristrettissimi, perché
lo spartito con le striscette della traduzione italiana doveva al più presto essere disponibile ai cantanti per
il necessario studio. Mi si dava al
massimo un mese per la consegna
dell’Opera tradotta.
Con l’incoscienza, che talvolta
mi prende la mano, accettai e firmai
l’impegno. Da quel momento convissi giorno e notte con “Rusalka”
(ondina) cui subito aggiungi una
“s” per uniformarla alla pronuncia italiana. Quindi fu “Russalka”.
Avendo sempre mal sopportato la
faciloneria dei traduttori di Libretti
d’Opera nell’aggiungere o togliere
note al canto per riuscire a tradurre
le parole tronche, mi proposi di non
modificare nemmeno una nota dell’originale e di farlo in rima. Inoltre
mi sforzai di mantenere gli accenti
e la sonorità consonantica o vocalica dell’originale, specie nelle “note
di volta”.
Fu un lavoro massacrante, ma
l’esito mi ricompensò. I cantanti
si trovarono a loro pieno agio, curarono la dizione e si entusiasmarono. Entusiasta anche il pubblico
che applaudiva come alla “Bohéme”, ottima la critica. Ma soprattutto mi commosse l’approvazione
dei connazionali di Dvoøák e Kvapil, pochi ma presenti in città, che
vollero, per riconoscenza, donarmi
pubblicazioni e francobolli del loro
Paese d’origine. Dissero d’aver ritrovato “i suoni” della loro lingua
Regina Berner come Rusalka
anche se le parole erano ovviamente diverse.
Qualche anno dopo, ero spettatore, in un altro teatro italiano, della
“Rusalka” con una compagnia slovacca ed in lingua originale. Pubblico scarsissimo ed annoiato. Io
stesso dovevo richiamarmi in mente la mia versione per capirci qualcosa, date anche le scene e la regia
a dir poco aberranti. L’Opera è naufragata, ma la filologia ha trionfato.
Esilaranti
«soprattitoli»
Al problema principale delle
“traduzioni” e delle contrapposte
“versioni integrali”, in quest’ultimo scorcio d’anni se ne è aggiunto un altro, ancora più penoso e pericoloso per l’Opera: quello delle
versioni in “soprattitoli”. Assunta
come “il meglio” la “versione integrale” dei testi, si è pensato di risolvere l’esigenza della “comprensibilità” con delle didascalie nella
lingua del luogo, proiettate in bella vista per gli spettatori “non poliglotti”.
A parte il fatto che queste “traduzioni” occasionali sono ancora
più bolse del peggiore degli “adattamenti ritmici”, resta il fatto inconfutabile che non “arrivano” mai
nel momento appropriato, distolgono dalla parte “visuale” dello spettacolo e spesso producono effetti
esilaranti inopinati nel pubblico.
È accaduto recentemente in un
grande teatro degli USA, durante
una “Tosca” cantata in italiano con
“soprattitoli” inglesi, che l’invito
della protagonista a Cavaradossi di
dipingere di bruno gli occhi della
sua Maddalena fosse tradotto letteralmente in inglese “falle gli occhi neri”, cioè... “prendila a pugni”.
Immancabile, a questo punto, un
boato di risate in sala.
A Vienna, nel corso di un “Nabucco” con cantanti italiani, al “Va’
pensiero” ci furono altrettante risate perché i “soprattitoli” in tedesco riferivano: “togliti questo affanno”.
A San Francisco, sempre con
cantanti italiani e “soprattitoli” in
inglese, altre risate per “Adriana
Lecouvreur” alla frase “bella tu sei,
come la mia bandiera” che in inglese suonava: “sei una vecchia bandiera”. “Vecchia bandiera”, usualmente, lo si dice alle tardone “navigate”. E si potrebbe continuare con
altri esempi analoghi.
Intanto la moda dei “soprattitoli” dilaga prepotentemente anche
nei teatri italiani, pure per le opere
italiane cantate in italiano (tanto i
cantanti non si capiscono più): Comunale di Firenze, Opera di Roma,
Comunale di Bologna, Massimo di
Palermo, Verdi di Trieste, San Car-
lo di Napoli, Fenice di Venezia, Regio di Torino, Carlo Felice di Genova, Comunale di Cagliari, Santa
Cecilia, Scala di Milano, Arena di
Verona, dove si arrivò a proiettare “soprattitoli” in tedesco... per la
“Vedova allegra” cantata in italiano. Un’autentica invasione.
A monte di ciò un doppio movente economico: 1) le compagnie
straniere “chiavi in mano” (specie
se vengono dall’Est) costano molto meno di quelle nazionali (e ciò
vale per tutte le Nazioni); 2) i cantanti nazionali non se la sentono di
studiare un’Opera “tradotta” nella
loro lingua, per cantarla una sola
volta, data la tendenza generalizzata di chiamare stranieri per le Opere straniere. In più s’è creato un importante “business” fra chi produce
le apparecchiature per i “soprattitoli”, sempre più sofisticate, ed i “potenti” dei Teatri.
Manca l’equilibrio
Eppure una soluzione equilibrata ci sarebbe. Basterebbe distinguere fra Opera ed Opera. Quelle ormai
di consolidato “repertorio popolare” e quindi ben note, si potrebbero
rappresentare in “lingua originale”
e senza “soprattitoli” senza che ne
scapitasse la comprensione. Quelle
“nuove” o di comprensione linguistica più problematica per gli spettatori d’altro idioma (per esempio
quelle del grande mondo slavo) dovrebbero giovarsi di accurate “versioni ritmiche” nelle rispettive lingue degli altri vari Paesi. Naturalmente dovrebbe venir eliminata la
piaga dei “soprattitoli” che stanno
trasformando l’Opera Lirica in una
sorta di “Cinema Muto” con sommarie “didascalie” e quindi snaturandola dalle fondamenta.
Ci sarebbe anche una soluzione intermedia, che salverebbe capra e cavoli: inserire, prima d’ogni
Atto, un sommario “riassunto” dello stesso, redatto nella lingua del
luogo, “salvando” così sia l’indispensabile comprensione di quanto
accade sul palcoscenico, sia il “business” dei “soprattitolatori”. Una
soluzione di “compromesso”, anch’essa, però, da vagliarsi caso per
caso, perché non ogni tipo d’Opera lo sopporterebbe senza gravi inconvenienti.
Da eliminarsi, comunque, il
disturbante ed indiscriminato uso
dei “soprattitoli” durante lo svolgimento dello spettacolo.
Che la pronta comprensione dei
testi cantati sia irrinunciabile per
l’Opera lo testimonia la singolare
ascesa del numero delle rappresentazioni delle Opere “inglesi” di
Britten. Una crescita esponenziale,
parallela alla crescita dell’uso della lingua inglese su scala internazionale.
Resta comunque incontrovertibile il fatto che sono assai più pericolose per la sopravvivenza stessa dell’Opera, le mistificanti regie
e scenografie, nonché le “trasposizioni” temporali ed ambientali
oggi di moda, che stravolgono ogni
“valore storico” degli spettacoli
che li subiscono, in uno con le velleitarie manie diffuse fra i “direttori
d’orchestra” che amano trasformare in “propria originale creazione”
quanto già mirabilmente “creato”
dai veri autori.
“Intromissioni” più dannose e
pericolose per l’Opera di quanto
non lo siano anche le peggiori, le
più bolse, le più raffazzonate “versioni ritmiche” mai partorite dal
più imbelle dei traduttori a braccio.
musica 3
Mercoledì, 29 marzo 2006
A LA RECHERCHE DE LA MEMOIRE PERDUE - «Veni dulcis Jesu...»
L’alta tradizione musicale chiesastica
di Fiume attraverso i secoli
di Patrizia Venucci Merdžo
FIUME - Non è senza emozione
che mi capita tra le mani - riemerso
dai meandri di un archivio privato
– un antico quadernetto irradiante
il fascino della vetustà ed insieme
della cura meticolosa con cui è stato
gelosamente conservato.
E’ un volumetto “fai da te” (segno di un’epoca in cui la carta era
un lusso e i quadernetti non si acquistavano nella più vicina cartoleria).
Un plico di fogli piegati a metà, protetti da un foglio “ocraceo” di carta
d’impacco, meticolosamente uniti
a mano da un filo di cotone bianco: “Chronikon.I. 22.IX 1914 – 31
X 1917”. “Custodia” di quasi quattro anni di storia musicale ecclesiale fiumana che riaffiora da un tempo
lontano.
Un sublime viaggio
a ritroso
Riaprire e scorrere queste pagine
è come compiere un repentino viaggio a ritroso nel tempo ritrovandoci
immersi nell’eco di un mondo pervaso di studio conventuale e solitario, di preghiera, di “silentium”, di
elevata e spirituale cultura musicale, di certosina (o meglio, in questo
caso di cappuccina ) pazienza ... La
scrittura minuta e ordinata, i titoli ad
asta e filetto, la dicitura ricamata del
“Deo gratias”, alla fine di ogni anno
del Signore, scandiscono domenica
per domenica, mese per mese, anno
per anno, le quasi quattro stagioni
di continuata vita musicale accaduta nella Chiesa di nostra Signora di
Lourdes – nota come la Chiesa dei
Cappuccini – al tempo della Grande
Guerra, nella Fiume austroungarica
e mitteleuropea.
“Kronološka bilježnica – crkvenih skladbi, što ih izvodi zbor klerika i otaca kapucina (i dječački
zbor) u Krypti. Bilježi: Fr. Anzelmo, klerik.” Riporta la prima pagina
della cronaca. Il giovanissimo chierico Fra Anzelmo, autore della cronaca e maestro del coro, tanto per
intenderci, è quello stesso fra Anselmo Canjuga compositore ed organista, che assieme a Franjo Dugan
e Kamilo Kolb, sarà una delle personalità più feconde e originali del
Movimento Ceciliano in Croazia.
Vogliamo ricordare che il Movimento Ceciliano (da S.Cecilia,
patrona della musica sacra), nato
in Germania a Ratisbona),e diffusosi in molti paesi d’Europa si prefiggeva di riportare in chiesa un tipo
di canto spirituale a cappella, polifonico del tipo palestriniano, contrastando la prassi musicale sacra
dell’epoca che attingeva allo stile
operistico con tanto di organico orchestrale. Il massimo esponente di
tale movimento musicale fu, in Italia il grande Lorenzo Perosi, compositore e maestro di cappella pontificio, le cui solenni polifonie delle
sue Messe Pontificalis risuonarono
spesso nelle chiese fiumane.
“Tantum ergo” a cappella di
Orlando di Lasso,“Cantantibus organis” motetto a tre voci di Oreste
Ravanello, tra l’altro, in occasione della festa di S. Cecilia...”Veni
o Sapientia” antico corale tedesco
a quattro voci,... messa “Te Deum
laudamus”, messa “In honorem C.
Caroli” del Perosi, “Parvulus filius”,
“Messa tertia” di Haller, “Panis angelicus” di Kolb, “Veni dulcis Jesu”
di Odak, “Ave verum” di Mozart...
messe, graduali, communio, offer-
Fra Anselmo Canjuga con il coro di voci bianche dei Cappuccini intorno al 1915
tori, corali di autori ceciliani tedeschi (Stehle, Haller, Griesbacher,
Mitterer, Foerster, Singenberger),
croati (Odak, Dugan, Kolb, Novak),
italiani (Perosi, Ravanello...) dei
grandi Palestrina, di Lasso...
Proviamo ad immaginare per
un momento con un piccolo sforzo
di fantasia, come doveva risuonare
l’intreccio delle melodie polifoniche che si rincorrevano ed echeggiavano con effetti mirabolanti tra
le volte e le colonne della Cripta
dei Cappuccini nell’eseuzione spirituale ed educata delle voci dei
chierici che si amalgamavano con
i timbri puri delle voci bianche ...
o quale effetto solenne dovevano
aver sortito le maestose ondate contrappuntistiche della “Messa Papae
Marcelli” del Sommo Prencip musicae Palestrina - all’inaugurazione
della Chiesa superiore nel settembre 1929 - che scendendo in volute
dall’altissima cantoria si spandevano per i volumi neogotici delimitati
dal gioco dei costoni, abbracciando
le immense colonne marmoree le
quali facevano riverberare le sonorità in un gioco musicale evocante il
panorama acustico delle messe (fino
a trentasei voci) degli antichi Maestri Fiamminghi.
Suggestoni che oggi solo eccezionalmente ci è dato di udire. Una
di queste rare opportunità è stata offerta in occasione della visita
di Benedetto XVI nella Cattedrale
di Colonia – uno dei più antichi e
mirabolanti esempi di architettura gotica - in occasione della Giornata mondiale della Gioventù nel
2005, quando la diretta televisiva
ci rimandò le immagini spettacolari
delle migliori Schole Cantorum della Germania riunite (composte da
voci virili e voci bianche) nell’eccelsa esecuzione in latino di maestri
rinascimentali e ceciliani sorretta
dal suono ieratico e maestoso degli
organi della Cattedrale. Un tripudio
mozzafiato.
Scommettiamo che il Pontefice,
da musicista raffinato qual è avrà
apprezzato l’accoglienza? Pure accadimenti come questi testimoniano
la cultura, la tradizione e la civiltà di
un popolo.
La storia che
attende di essere
rivelata e valorizzata
Riguardo la pratica musicale sacra di Fiume nel corso dei secoli se si eccettua qualche manciata di
notizie o qualche segmento trattato a parte
– manca una ricerca
approfondita e sistematica che illustri in
maniera continuativa
ed anche comparativa
la storia della musica
sacra nella città di San
Vito ; storia che comunque, a giudicare
dagli stralci di informazioni pervenuteci
finora, si presenta notevolissima.
Intanto è stato
appurato che a metà
Quattrocento – sono
queste le notizie più
antiche – presso la
Scuola che operava in seno al DuoLa Cronaca musicale di Canjuga
mo,
s’insegnava
pure, nell’ambito del programma gati dalla Cassa pubblica, doveva
d’istruzione, il Corale Gregoriano, sopperire alle esigenze del Culto
mentre al livello medio superiore Divino nelle occasioni solenni (con
della medesima istituzione (Qua- dieci stromenti, tre cantanti, l’ordrivium) si apprendevano le ma- ganista ed il Maestro di Cappella),
terie musicali. Grande importan- meno solenni (organo, cantante e tre
za avevano l’istruzione musicale “stromenti”) e feste ordinarie (orgapure presso la scuola cittadina, no e cantanti).
in quanto gli alunni, i chierici ed i
Con la fondazione della Scuola
sacerdoti rappresentavano il “cor- di Musica nel 1820 gli insegnanpus” corale portante in tutte le fun- ti Venceslao Wenzel, Johann Zaytz
zioni religiose.
senior, Giovani Zaytz junior avevaEd è appunto in questo ambien- no, tra l’altro l’obbligo di espletare
te ricco di fermenti musicali, proba- il compito di organisti, maestri di
bilmente vicini, o comunque sulle cappella e di istruire gli alunni cantracce, della musica sacra del tem- tanti e musicisti per le esigenze del
po, si sviluppò ed emerse la perso- Culto sacro. Inoltre è noto che Gionalità di levatura europea del com- vanni de Zaytz compose parecchi
positore fiumano Vinko (Vincen- brani sacri e due Messe Solenni per
zo?) Jelich, (1596 –1636), uno dei coro, orchestra, organo e voci solirappresentanti più significativi del- ste proprio per i bisogni musicali
la musica del tardo Rinascimento del Duomo.
e del primo barocco, il quale, dopo
L’archivio del Duomo è un augli studi a Graz, operò in Alsazia ar- tentico tesoro di informazioni con
ricchendo con il suo fecondo opera- la sua biblioteca ricca di autografi
to la musica sacra della sua epoca inediti di maestri, principalmente
(Parnassia Militia, Vesperae Bea- italiani, che nella seconda dell’Ottae Mariae Virginis, Arion primus, tocento, operarono e composero in
Arion secundus).
seno alla detta chiesa; autografi che
Ci è altrettanto noto che l’Or- solo in parte e di recente sono stati
chestra del Teatro Adamich per la oggetto di studio da parte di musisomma di 800 fiorini annui, ero- cologi.
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musica
Mercoledì, 29 marzo 2006
Mercoledì, 29 marzo 2006
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IL SAGGIO - L’invidiabile e capillare organizzazione delle attività musicali nell’Istria a cavallo tra Ottocento e Novecento
Società filarmoniche e corpi musicali della vecchia Istria
una realtà di rilievo e di ampia diffusione
di Mirella Malusà
L
’Istria vanta da sempre una ricca tradizione musicale. Infatti, in tutti i centri della penisola fiorivano bande cittadine, società filarmoniche e corpi
corali e musicali. La cultura musicale, largamente diffusa, vide nascere una banda civica a Buie nel 1841, una
Società filarmonica a Parenzo nel 1842, una scuola di
musica a Pirano nel 1846, una banda civica ad Albona
nel 1856, una filarmonica a Montona nel 1860, una filarmonica a Portole nel 1867.
A cavallo tra il 1800 e il 1900 le società filarmoniche erano presenti un po’ dovunque in Istria: a Cittanova, Cherso, Dignano, Orsera, Pisino, Rovigno, Sanvincenti, Umago, Verteneglio, Visignano, Visinada, Castelvenere, Pisino, ecc. Accanto ai complessi bandistici
di più antica costituzione ce n’erano alcuni di formazione più recente, come quelli di Portorose e Veglia. Isola si distinse per un’intensa attività di canto corale: nel
1896 venne fondata la società “Besenghi”, nel 1875 la
società di canto ecclesiastico ed accademico e nel 1909
la Società corale “Zamarin”.
I volonterosi musici istriani
La parte del leone spetta in ogni caso alle città di
Pola, Capodistria, Lussingrande, Lussinpiccolo. Pola
annoverava una banda cittadina, diretta dal maestro
Jaschi, un coro cittadino, una società orchestrale, della
quale era presidente il signor Ponis, il circolo musicale
“Adria”, fondato nel 1905, una società corale di lingua
tedesca”. A Capodistria venne fondata nel 1887 una Società filarmonica, nel 1894 il Corpo Musicale Capodistriano, e nel 1899 la Società “Corpo corale cittadino”.
A Lussingrande e Lussinpiccolo una banda civica
era mantenuta dalla locale società musicale; il direttore
era Giorgieri; esistevano inoltre la Società dell’orchestra (presidente Vittorio Craglietto), la Società filarmonica, il coro del circolo popolare, il teatro Bonetti. Altri
teatri si trovavano ad Albona, Parenzo e Rovigno”.
Dopo questa panoramica generale della “situazione
musicale” in Istria, presentiamo l’attività delle singole cittadine per conoscere meglio quella che era la vita
musicale nelle stesse.
Bande e cori di Pinguente,
Draguccio, Piemonte,
Verteneglio, Cittanova,
Albona e Parenzo
L’antico Duomo di Isola, sede di un’intensa attività corale ecclesiastica
Nel 1907 a Pinguente esisteva già un Corpo musicale. Era composto da trentacinque suonatori di trombe, clarini e tromboni e da tre suonatori con strumenti
a percussione. A Draguccio nel 1909 esisteva un Corpo
musicale formato da suonatori di trombe, clarini, tamburo, ecc. La banda comprendeva membri di tutte le
fasce d’età.
Piemonte aveva la sua banda con relativo coro ed
era molto richiesta anche dai paesi vicini.
Verteneglio vantava una banda che si era costituita
già nei primi anni del ‘900. La passione musicale veniva tramandata da padre in figlio, da fratello a fratello,
da famiglia a famiglia cosicche’ negli anni Trenta quasi ogni nucleo familiare annoverava uno o più suonatori o cantori. Tra il 1933 e il 1937 il Maestro Guglielmo
Museni trasformò la modesta banda paesana nel primo
complesso della provincia di Pola.
Cittanova ebbe una banda molto prima del 1930,
che per anni continuò la sua attività e precisamente fino
al 1935 quando cominciò a perdere parte della sua importanza.
Ad Albona, oltre ai filodrammatici, i capocomici,
gli impresari, c’erano pure i maestri di musica, valenti
e stimati, come ad esempio Ignazio Laube e Felice De
Giuli con i loro bandisti. Infatti, la banda comunale era
sempre efficacemente presente nelle grandi e nelle piccole ricorrenze.
Oltre alla Società filarmonica, istituita nel 1842, a
Parenzo esisteva una banda musicale composta da cittadini appartenenti a tutte le classi sociali: operai, agricoltori, artigiani, impiegati, meccanici, muratori, negozianti, laureati, ecc. La musica allietava e accomunava
tutti. La banda parentina era completa di strumenti musicali, compreso il contrabbasso a corde, il tam-tam e il
pianoforte. Nel 1923 il Corpo musicale di Parenzo si
sciolse. Nel 1926 grazie ai fratelli Antonio e Francesco
Dapretto si costituì il nuovo Corpo musicale che raggiunse la cifra di 50 musicanti. Nel periodo 1926-1930
ebbe al suo attivo, tra feste nazionali, concerti ed altre
uscite, ben 70 interventi.
L’intensa vita musicale di Isola
Nel 1875 si costituì a Isola la Banda Cittadina, dedicata a Giuseppe Verdi, sovvenzionata dal Comune. Il
suo statuto, composto da 18 pagine, venne compilato
nel luglio del 1878. Il 28 marzo 1889, V.Delise, prestò
al Comune il denaro per l’acquisto degli strumenti per
questa banda. La società filarmonica “Halietum” operò dal 2 agosto 1887 al 5 febbraio 1893. La vita culturale s’intensificò tanto da vedere la nascita, accanto
alla Biblioteca civica, di 5 società musicali e canore.
Tra queste la “Società di canto ecclesiastico e accademico”, la “Società corale Besenghi” e la Società corale
“Zamarin”.
L’alto livello della pratica
musicale sacra
La “Società di canto ecclesiastico ed accademico”,
il cui statuto venne compilato il 6 aprile 1875 e approvato il 16 maggio dello stesso anno, venne fondata con
lo scopo di assistere la Chiesa in tutte le sue funzioni ordinarie e di offrire al pubblico “piacevole trattenimento mediante produzione di scelti pezzi di opera e cori
staccati”. Ogni socio versava mensilmente 20 soldi che
servivano per l’acquisto e la copiatura della musica. In
caso di mancato pagamento (protratto oltre i sei mesi),
il socio veniva espulso dalla Società. L’espulsione avveniva anche se il socio mancava, senza giustificazioni,
per 5 volte consecutive. La chiesa contribuiva con 60
fiorini annui, provvedeva al locale per le prove, nonché
alle spese d’illuminazione. Il numero dei soci era fissato a 50 membri esclusi il maestro o il direttore. Chi desiderava far parte della Società inoltrava la richiesta, a
voce o per iscritto, al Direttore o a uno dei Consiglieri.
L’amministrazione della Chiesa dava l’assenso e i soci,
quindi, votavano l’accettazione o meno del richiedente.
I ragazzi che venivano scelti dal Direttore o dal Maestro, non potevano considerarsi soci ed erano esonerati
dal pagamento. Dopo un periodo d’istruzione nel canto
i soci potevano essere eletti alle cariche di consigliere,
La Banda di Lussinpiccolo nel 1910 Cittanova
segretario e cassiere e a concorrere alle produzioni sociali sia in Chiesa che altrove, partecipare alle adunanze
della società con piena libertà d’esporre i propri pareri e
dare il proprio voto deliberativo, partecipare ai proventi
della Società e prender parte a tutti i trattenimenti sociali preparati con altri fondi. Avevano l’obbligo d’essere
sempre presenti alle funzioni religiose e alle produzioni accademiche, nonché apprendere ed eseguire una o
più composizioni sia sacre che accademiche all’anno.
Inoltre, la Società prevedeva l’inclusione di soci onorari che venivano proposti da un membro della Direzione. I loro diritti erano limitati e consistevano nell’intervenire ai trattenimenti accademici della Società
con un contributo mensile. Lo statuto prevedeva anche
sanzioni da prendere contro i soci che si comportavano
immoralmente, irreligiosamente e in modo disonorevole. Il socio che veniva eletto in qualche carica sociale
doveva assumerla ed esercitarla per almeno un anno,
dopo di che aveva diritto a un riposo. La Direzione era
composta da un direttore e da due consiglieri; se il numero dei soci era maggiore di 30, il numero dei consiglieri aumentava a quattro. Il direttore della Società faceva da maestro e da istruttore. Insegnava il canto, gratuitamente, ai soci e ai ragazzi, dirigeva le prove e gli
esercizi, l’esecuzione delle produzioni in Chiesa e altrove, convocava e scioglieva le adunanze della Società e
della Direzione, firmava gli atti e fissava gli orari delle
prove. L’Amministrazione della Chiesa decideva sulla
sua nomina o rimozione e sul suo onorario. Il direttore
e i consiglieri avevano il diritto di proporre nuovi soci;
decidevano sulla scelta dei pezzi e delle composizioni
da acquistare, da studiare e da eseguire. La mancanza
di rispetto da parte di un socio veniva punita con la sua
espulsione. I consiglieri rimanevano in carica per circa un anno e potevano essere rieletti. La Società aveva
pure un Segretario e un Cassiere. Il primo, nominato
dalla Direzione, possibilmente dai membri della Società, aveva il compito di compilare sotto la dipendenza
della Direzione gli ordini del giorno delle adunanze e il
loro verbale, di stendere gli atti, di tenere i registri della
Società. Il suo mandato durava un anno con possibilità di riconferma. Il Cassiere conservava il denaro della Società, sotto sua responsabilità, giustificava i versamenti mediante le rispettive quietanze, controfirmate
dal Direttore, rilasciava le ricevute e faceva un resoconto mensile, sulla sua gestione alla Direzione e annualmente alla Società. Veniva nominato dalla Direzione e
il suo mandato durava un anno con la possibilità di rielezione. I consiglieri, il segretario e il cassiere lavorava-
Rovigno - il Maestro Carlo Fabretto con gli alunni della sua Scuola di violino
no volontariamente. L’adunanza generale aveva luogo
ogni anno nel mese di dicembre. La musica sacra acquistata restava proprietà della Chiesa, alla quale sarebbe
appartenuto tutto in caso di scioglimento della Società.
La minuziosa normativa
della Società corale “Besenghi”
La Società corale “Besenghi” aveva lo scopo di educare un determinato numero di soci nel canto accademico, organizzare un corpo corale per trattenimenti sociali, tenere pubblici concerti ed eventuali gite di piacere
fuori città. Lo statuto della Società, redatto il 30 marzo
1896, suddivideva i soci in cantori, contribuenti e onorari. Venivano scelti dalla Direzione e sottoposti a una
prova d’idoneità nella scuola sociale di canto. Dopo essere stati accettati ne assumevano i diritti, gli obblighi
e i doveri. Il numero dei soci cantori era fissato a 50
membri al massimo e 20 al minimo. La società si riteneva costituita all’adesione di 40 soci. Venivano considerati soci tutti quelli che senza prendere parte attiva al
corpo corale in fatto di canto, acquistavano tutti i diritti
dei soci in generale e sottostavano agli obblighi e ai doveri sociali, versando la quota di partecipazione di 50
soldi. L’assemblea generale decideva sulla nomina dei
soci onorari, i quali potevano essere riconosciuti per
meriti distinti nell’arte musicale o che s’erano resi benemeriti nella Società per qualche nobile azione. I soci
cantori dovevano frequentare la scuola di canto, intervenire alle prove, prendere parte ai concerti e ai trattenimenti. Ogni socio aveva il diritto di eleggere e di essere
eletto alle cariche sociali, prendere parte ai divertimenti, assistere ai concerti, intervenire ai congressi generali, proporre nuove interpellanze, ispezionare i protocolli
e controllare l’impiego del capitale sociale. Venivano
esclusi i soci che si comportavano immoralmente, che
disonoravano la Società o che in qualche modo ne compromettevano la sua legale esistenza. Venivano esclusi pure quelli che non intervenivano regolarmente alle
lezioni, alle prove o alle festività musicali. La Società
veniva amministrata e rappresentata da una direzione,
composta da un presidente, un vice presidente, tre consiglieri, un segretario, un cassiere e due esattori, eletti
a maggioranza assoluta di voti dal congresso dei soci.
Il Presidente aveva il compito di convocare e presiedere le sedute della Direzione e della Società, proporre
l’ammissione di nuovi soci (la cui nomina veniva sanzionata dalla Direzione), provvedere alle discipline interne della scuola, formulare in accordo con il maestro
i programmi dei concerti, trattenimenti interni o pubblici ed eventuali gite. La Direzione aveva l’incarico di
nominare il maestro di canto. Se un membro della Direzione non interveniva alle sedute della stessa per tre
volte consecutive senza giustificazioni le sue mansioni
venivano affidate ad altri. I soci non dovevano cantare
in pubblico cori sociali, eccetto se la Presidenza non ne
dava l’autorizzazione. Le rendite sociali erano costituite dalla tassa d’ammissione, dal contributo mensile, da
eventuali proventi per trattenimenti sociali a pagamento, da eventuali offerte in genere. Tali rendite venivano
impiegate per l’onorario del maestro, per l’affitto dei locali di scuola, per far fronte alle spese di gestione e per
costruire un eventuale fondo di riserva. In caso di scioglimento, si prevedeva d’assegnare la società a un’altra
società di canto che si fosse legalmente costituita entro
un triennio dall’epoca dello scioglimento della medesima. Spirato questo termine il suddetto patrimonio doveva essere devoluto al locale Fondo dei poveri.
MOZARTANDO - «Dato che al momento non ho neanche una sinfonia, ne scrivo una nuova a rotta di collo». (Mozart quattro giorni prima di una premiere)
Mozart bambino prodigio
Papà Leopold insegnò ai suoi figli “Wolferl” e “Nannerl” a suonare il cembalo, l’organo e il violino. A cinque anni il piccolo genio
scriveva la sua prima composizione.
Leopold Mozart dimostrlò di essere un ottimo manager per i propri figli: nel corso di un
soggiorno a Vienna di vari mesi, nel 1762, i
piccoli Mozart hanno l’occasione di suonare
davanti all’imperatrice Maria Teresa nella sala
degli specchi del Castello di Schönbrunn. Finito il concerto Wolferl, per nulla intimidito, balza in grembo alla sovrana, l’abbraccia e le dà
un bacio. Da questo momento in poi il bambino prodigio, un ometto dalla parrucca incipriata con una spada in miniatura, è sulla bocca
La Hofburg
di tutta Vienna. Nel 1768, quando la famiglia
Mozart visita per la seconda volta la città imperiale, Maria Teresa concede al dodicenne
un’udienza di due ore nella Hofburg, residenza
degli Asburgo per oltre 600 anni. Wolfgang, nel
frattempo, ha già visto il mondo: conosce Londra, Parigi, Bruxelles e molte città della Germania. Ha suonato già dappertutto, sia in saloni principeschi che (quando la cassa di viaggio
era mezzo vuota) in sale da ballo per il popolo comune. Nell’autunno del 1781 Mozart dà
alla Hofburg un concerto in onore del duca del
Württemberg. Lo stesso anno trascorre la notte di Natale insieme con l’imperatore Giuseppe II, figlio di Maria Teresa, negli appartamenti
imperiali.
La Mozarthaus
a Vienna
Nella Domgasse n.
5 si trova l’unico appartamento, della dozzina
in cui Mozart abiterà a
Vienna, rimasto in piedi
fino ad oggi. Nell’edificio detto oggi Casa di
Mozart il compositore ci
viss dal 1784 al 1787. Il
suo domicilio, al
primo piano, è
decisamente signorile: quattro
camere, due camere più piccole
e cucina. Si deve
sapere, infatti,
che Mozart ebbe
sempre un debole
per le apparenze.
Non rinunciava,
per esempio, ai
vestiti chic e alle
scarpe con la fibbia.
La sala concerti
Wolfgang Amain Casa Mozart
deus trascorse in
questa casa i suoi anni probabilmente più felici.
In ogni caso non rimase in nessun altro appartamento così a lungo come in questo.
Durante questo periodo Mozart era un artista acclamato, aveva un giro di amici illustri
e veniva invitato a numerosi concerti nelle case
dei nobili. È proprio qui nella Domgasse che
scrisse alcune delle sue composizioni migliori
fra cui la sua opera forse più interessante: „Le
nozze di Figaro“.
A partire dal 2006, dopo ampi lavori di restauro, l’edificio è stato riaperto al pubblico con
il nome di Casa di Mozart. Il museo comprende ben sei piani per una superficie complessiva di 1.000 metri quadrati. Il visitatore può
La misteriosa malattia e morte di Mozart
La malattia e la morte di Mozart sono stati
e sono tuttora un difficile argomento di studio,
oscurato da leggende romantiche e farcito di
teorie contrastanti.
la Mozarthaus
addentrarsi nel mondo di Mozart rendendosi conto della sua enorme genialità e creatività, conoscendo virtualmente la sua famiglia, i
suoi amici e i suoi nemici nella Vienna del tardo barocco.
Antonio Salieri
Gli studiosi sono in disaccordo sul corso
del declino della salute di Mozart, in particolare sul momento in cui Mozart divenne conscio
della sua morte imminente e se questa consapevolezza influenzò i suoi ultimi lavori.
L’ idea romantica sostiene che il declino di
Mozart fu graduale e che la sua prospettiva e
le sue composizioni declinarono anch’esse in
ugual misura. Al contrario qualche erudito suo
contemporaneo sottolineò come Mozart nell’
ultimo anno fosse di buon umore e che la sua
morte fosse inattesa al punto da scioccare la
sua famiglia e i suoi amici.
La tomba di Mozart rimane ignota; la sua
musica è il suo monumento.
Anche l’effettiva causa del decesso di
Mozart è materia di congettura. Il suo certificato di morte riporta “hitziges Frieselfieber” (“febbre miliare acuta” o “esantema
febbrile”), una definizione insufficiente ad
identificare la corrispettiva diagnosi nella
medicina odierna. Sono state avanzate diverse ipotesi, dalla trichinosi all’avvelenamento da mercurio, alla febbre reumatica
o, più recentemente, la sifilide. La pratica
terapeutica del salasso, all’epoca diffusa, è
menzionata come concausa della morte. Secondo alcuni fonti sarebbe stato Salieri ad
vvelenare Mozart. Ciò si desume anche dalle presunte testimonianze di due infermie-
re, le quali sostenevano che prima di spirare Salieri si fosse autoaccusato per la morte
di Mozart.
Amadeus spirò nella notte del 5 dicembre
1791, poco prima dell’una, mentre stava lavorando alla sua ultima composizione: il Requiem.
Al giovane compositore Franz Xaver Süssmayr, allievo e amico di Mozart, fu affidato
il compito di completare il Requiem. Non fu il
solo compositore al quale fu affidato tale incarico, ma è collegato ad esso più di altri a causa
del suo rilevante contributo.
Secondo la leggenda, Mozart morì squattrinato e dimenticato da tutti e fu seppellito
in una tomba per poveri. In realtà, sebbene a
Vienna non fosse ormai più “sulla cresta dell’onda”, continuò a ricevere consistenti commissioni dalle più disparate parti d’Europa,
soprattutto da Praga. Restano molte sue lettere in cui richiede aiuto economico che testimoniano non tanto della sua indigenza quanto
della sua inclinazione a spendere più di quel
che guadagnasse.
Secondo alcuni fu seppellito in una fossa
comune; altri studiosi sostengono invece che
fu tumulato in una normale tomba comunale
conformemente alla normativa del 1783. Anche se al cimitero di St. Marx la tomba originaria è andata perduta, in corrispondenza della
Costanza Mozart
supposta sepoltura e nel Zentralfriedhof sono
state collocate lapidi commemorative.
Nel 1809 Costanza sposò il diplomatico
danese Georg Nikolaus von Nissen (1761–
1826), il quale, essendo un fanatico ammiratore di Mozart, pubblicò diversi brani – dal
tenore scurrile – da lettere del compositore e
scrisse una sua biografia.
6 musica
Mercoledì, 29 marzo 2006
MUSICA SACRA - «Nun ist der Herr zur Ruh’ gebracht»
Matthias-Passion, monumentale
«summa» del genio bachiano
a cura di Patrizia Venucci Merdžo
P
ure all’epoca di Johann Sebastian Bach, le cerimonie
liturgiche della Quaresima
avevano il loro culmine nei riti religiosi del Venerdì Santo, il giorno
in cui venivano rievocate la Passione e la Morte di Cristo. Era invalso
l’uso di musicare brani evangelici
relativi appunto a queste fasi della
vicenda terrena di Gesù: il genere
delle Passioni si era sviluppato a
partire dal XV secolo: all’inizio si
trattava di un’opera che prevedeva
l’azione di tre personaggi, i quali
impersonavano Cristo, un Diacono e un Evangelista; con il coro si
intendeva rappresentare “il popolo”, e i suoi interventi si avvalevano talvolta di spunti polifonici.
In Germania questo genere, dopo
la Riforma, assunse caratteristiche peculiari: venne abbandonato
l’uso del latino in favore del tedesco, e le opere si arricchirono progressivamente di arie, recitativi,
sinfonie derivate dalle forme teatrali... Fu Bach con la sua “Matthias-Passion” a restituire a questo
genere musicale lo spirito sacro
primigenio.
Più che una Via Crucis drammaticamente descritta, la Matthias-Passion, una delle grandi pietre miliari
dell’arte religiosa e l’opera bachiana
più monumentale, è una coinvolgente meditazione sul Calvario e morte
di Cristo, profondamente vissuta e
sofferta da Bach in prima persona.
Vi hanno parte l’orchestra, l’organo, il cembalo, due cori ora isolati,
ora uniti in una massa unica. Il testo
biblico è affidato a dieci voci soliste:
l’Evangelista, Gesù, Pietro Giuda,
il Sommo sacerdote, il primo e secondo sacerdote, Ponzio Pilato, le
due Maddalene e la moglie di Pilato.
La Matthias- Passion è divisa in due
parti , delle quali una consta di trentacinque pezzi e l’altra di quarantatrè. L’opera costituisce una mirabile
“summa” bachiana , nella quale è
raccolta la potenza dell’ispirazione e
dell’ espressione e quasi tutta la varia ricchezza degli elementi formali, tecnici, vocali e strueteali, sparsa
nelle altre sue opere.
Il racconto di Matteo, il più “vivente” dei racconti evangelici conquistò l’immaginazione, la sensibilità artistica e la fede di Bach. Artista geniale e fecondo vi partecipa
appassionatamente profondendo ad
ogni momento della Passione del
Cristo un sofferto, interiorizzato lirismo e forza drammatica. Quasi un
Simone di Cirene che segue il suo
Signore portando la Croce, contandogli i passi e le piaghe, il sudore ed
il sangue. Bach, il grande credente
brichst e Andern hat er geholfen:
i due cori dialogano aspramente,
quindi concludono, nel primo brano,
in modo derisorio, invitando Cristo
a scendere dalla Croce, se egli è davvero Figlio di Dio; nel secondo, in
un terribile unisono, tacciandolo di
si considera che tutto l’organico era
raddoppiato). I tredici veri e propri
Corali contenuti nell’opera sono di
fatto movimenti a un solo, grande
coro, in quanto realizzati tutti con i
due cori fusi nell’esecuzione delle
quattro parti corali. Le voci e il loro
accompagnamento orchestrale si diramavano da punti differenti della
chiesa, confluendo e creando un effetto acustico ed impatto nei fedeli
di grandissima intensità, ricchezza e
Johann Sebastian Bach
Autografo bachiano della Passione secondo Matteo
Via Crucis
segue passo per passo i dolori divini
e vi spiega con vigore inaudito, l’essenza della Sacra Scrittura.
Nella Matthias-Passion Bach
impiega i doppi cori. Il primo coro,
a volte, rappresentava Sion (gli ebrei
e i sacerdoti del Sinedrio); il secondo coro, i fedeli, seguaci di Cristo
spiegano i sentimenti della cristianità; dolore, affanno, lacrime, sconvolgimento alla vista dellumiliante Via Dolorosa del loro mansueto
Maestro. Bach fece dialogare i cori
quando intese ottenere il massimo
effetto drammaturgico, per es. l’intervento dei cori nei due brani del n.
67, Der du den Tempel Gottes zer-
bestemmiatore per avere egli osato
proclamarsi Figlio di Dio.
I fedeli accorsi alla Thomaskirche di Lipsia, dove la Passione secondo Matteo venne eseguita per la
prima volta, probabilmente il venerdì santo, 11 aprile 1727, videro i due
cori posti a destra e a sinistra della
tribuna, distanti tra loro circa quindici metri, e un organo. Ma nella esecuzione del 1736, alle estremità est
e ovest della Thomaskirche vi erano certamente due organi; ciascun
coro era dunque accompagnato da
un organo, da un complesso strumentale, e disponeva di un quartetto di cantanti solisti (otto, quindi, se
suggestione (simile ad un effetto sterofonico). Grandioso il Corale che
conclude la prima parte della Passione secondo Matteo come un solenne inno di riconoscenza al Figlio
di Dio che, con il suo sacrificio sulla
Croce, riscatta l’intera umanità dalle
sue colpe.
I timbri strumentali corrispondono agli stati d’animo dei personaggi
o alle sensazioni che essi suscitano.
Anche l’armonia concorre efficacemente a creare atmosfere cariche di
emozione, come ad esempio nel brano n. 73, Wahrlich, dieser ist Gottes
Sohn, nel quale viene rappresentata,
dopo il terremoto seguito alla morte
di Cristo, la folla sconvolta che riconosce, stupefatta, che l’uomo crocifisso è realmente il figlio di Dio.
Le toccanti Arie sono tra i brani più
suggestivi della Passione secondo
Matteo: affidate alternativamente a
ciascuno dei cantanti solisti, sono
spesso veri e propri duetti tra lo stesso solista e gli strumenti. Arie sono
quasi sempre precedute dagli splendidi Recitativi ariosi, geniali invenzioni bachiane che riflettono ogni
accento, ogni stato d’animo e non
avranno eguali fino al tempo di Wagner. Nell’Aria n. 9, Du lieber Heiland du, per esempio, nella quale il
personaggio femminile interpretato
dal contralto implora il suo Maestro
e Signore perché le “lasci versare il
fiume di lacrime che sgorga dal suo
cuore”, i flauti traversi evocano efficacemente i singhiozzi della donna.
Altamente suggestivo è pure il
penultimo brano della Passione secondo Matteo, n. 77, Nun ist der
Herr zur Ruh’ gebracht, nel quale
ciascuna delle quattro voci soliste
porge lo struggente saluto estremo
a Gesù; tra l’uno e l’altro degli interventi solistici, il coro alterna alcune brevi e commoventi battute,
che paiono rafforzare l’angosciosa e
mesta atmosfera nella quale si esprimono gli addii estremi. La Passione
secondo Matteo fu riscoperta e riportata alla luce da Mendelssohn nel
1829 e solo allora il genio di Bach
fu apprezzatoo in tutta la sua grandezza. Nel 1850 fu fondata la Società bachiana (Bach Gesellscahft) che
intraprese la pubblicazione completa delle opere del Cantore di Lipsia.
Un oratorio multimediale dedicato a Giovanni Paolo II
PESARO - Si terrà domenica 2 aprile,
nell’ambito della 46° stagione concertistica
del Teatro Rossini di Pesaro la prima esecuzione assoluta di “Papa Wojtyla”, oratorio per soli, coro, narratore e orchestra di
Roberto Molinelli e testi originali di Paolo
Peretti. L’esecuzione sarà affidata all’Istituzione Sinfonica Abruzzese diretta dall’autore.
Sono gli stessi autori del progetto, Paolo Peretti e Roberto Molinelli, a voler raccontare le motivazioni di un oratorio moderno, che prende lo spunto da una delle figure più significative di tutto l’ultimo secolo. “Papa Wojtyla è stato un eroe del nostro
tempo: un personaggio straordinario che ha
segnato profondamente la storia del XX secolo, un gigante saldamente ancorato nel
Novecento ma proteso verso il Duemila,
che ha saputo traghettare la Chiesa cattoli-
ca dal secondo al terzo millennio con il suo
personale carisma, con la trascinante forza
del suo esempio e l’altissima autorità morale del suo magistero. In uno dei pontificati più lunghi della storia, la sua figura, la
sua voce, i suoi insegnamenti si sono affermati dovunque. Innumerevoli incontri ed
udienze e, soprattutto, viaggi pastorali nei
vari continenti lo hanno portato a contatto
con i potenti della terra e, contemporaneamente, con i più umili e i diseredati: a tutti
ha saputo dire una parola illuminante, regalare un sorriso e gesti di bontà, dimostrare solidarietà umana. Ha umilmente pregato con i cristiani e gli esponenti delle altre
religioni per la pace nel mondo, ha sofferto con i poveri, gli emarginati e i malati, ha
ammaestrato ed entusiasmato i giovani con
la sua giovinezza interiore, ed essi lo hanno amato di un amore speciale. Non preten-
diamo di dire tutto quello che si potrebbe
dire su di lui, né di raccontarne ordinatamente la storia (cominceremo, invece, dalla fine): ci basterà ricordarlo protagonista
di alcuni significativi momenti che faranno riflettere gli spettatori, attraverso i temi
e gli insegnamenti proposti nei vari quadri
in cui è divisa l’opera. Per questo, oltre a
musiche e testi originali, saranno usati anche “frammenti” concreti (la sua immagine, la sua voce, le sue parole) inseriti come
reperti documentari all’interno di un Oratorio che, qualificato dall’aggettivo “multimediale”, vuole utilmente impiegare in una
forma tradizionale, ma quanto mai adatta al
contenuto spirituale e religioso, le moderne
tecniche di comunicazione. E non potrebbe
essere altrimenti, per un papa che è stato e
rimarrà perennemente moderno come Karol Wojtyla”.
musica 7
Mercoledì, 29 marzo 2006
MUSICA ROCK - I Pink Floyd sono di nuovo insieme?
Della serie: non è vero, ma ci credo!
N
el 2005 Roger Waters, ha fatto pace
con i suoi compagni di vecchia
data, ossia i Pink Floyd. Il gruppo,
dopo quindici anni di litigi ha finalmente
sotterrato l’ascia di guerra e si è rimesso
al tavolo di lavoro. Per il momento nessun
disco nuovo (nessuna notizia è trapelata,
però restiamo nell’attesa di qualche nuova creazione da parte del gruppo), ma solo
concerti e tour mondiali con i quattro al
gran completo. Vale a dire Roger Waters,
frontman e bassista; David Gilmour, la
storica voce (nasale) dei PF e chitarrista;
Richard Wright, il tastierista del gruppo;
Nick Mason, batterista del gruppo.
Questa introduzione è simile a tante notizie che nel corso dell’anno (2005) davano
i PF di nuovo insieme. Però, pazienza per i
fan, sembra che sia tutto falso! Secondo il
sito ufficiale dei PF (www.pinkfloyd.com)
è tutta una montatura; non ci saranno né
tour mondiali, né album nuovi da parte del
gruppo nel suo insieme. I fan dovranno accontentarsi di album realizzati individualmente, alcuni dei quali “riletti” in chiave
rockettara, come ad es.l’ultima fatica di
David Gilmour, oppure dell’ultima realizzazione discografica di Roger Waters che
consiste in un’opera lirica contemporanea.
Ma vediamo di andare per ordine.
I Pink Floyd devono periodicamente
smentire i frequenti falsi giornalistici, che
vogliono i PF di nuovo in concerto e con
un album in fase di preparazione. In un’intervista esclusiva concessa a “Repubblica”
da David Gilmour, l’artista dichiara: “La
band? It’s over!”
Dunque la notizia è più che ufficiale e
attendibile. Il gruppo si è sciolto, è finito,
kaputt, rotto, pace all’anima sua e amen. I
quattro pezzi che hanno proposto al concerto mondiale di “Live 8”, (concerto per
cancellare i debiti dell’Africa, organizzato da Bob Geldof nel luglio 2005) sono
stati l’ultimo atto della loro vicenda musicale.
Gilmour, nell’intervista a “Repubblica”, ha dichiarato: “Penso di averne
avuto abbastanza. Ho 60 anni. Non voglio più lavorare tanto. È un’importante
parte della mia memoria, ho avuto enormi soddisfazioni, ma adesso basta. È molto più confortevole lavorare per conto
mio”. “Roger ha lavorato in questi ultimi vent’anni in modo assolutamente autocratico e avrebbe grandi difficoltà a far
parte di un’unità democratica”, sostiene il
chitarrista sulla questione di un possibile
desiderio di Roger Waters di tornare a far
parte del gruppo. E continua:”La questione di Roger è irrilevante, perché anche
senza di lui non ho voglia di andare avanti come Pink Floyd. Sono felice della mia
vita, fare cose come Pink Floyd, è un affare troppo grande per me, ora. Quando ti
muovi come gruppo è tutto gigantesco, le
attese sono enormi, le pressioni altissime.
Vorrebbero farci fare cento concerti. Io
sto bene così. È stato fantastico, ma adesso non ne ho più voglia”.
Una delle rare occasioni dove era presente anche Syd Barret, il quale a causa di diIn occasione del concerto “Live 8”, (te- sturbi psichici finì in manicomio. Al centro David Gilmour. Da sinistra a destra: Nick
nutosi contemporaneamente in otto città
Mason, Syd Barret, Roger Waters e Richard Wright
mondiali con lo scopo di chiedere la cancelL’altro cantante dei PF, Roger Waters,
lazione totale del debito dei paesi del Ter- zo Mondo) si erano visti i PF al completo,
e da quel momento sono iniziate a circolare in combutta con il gruppo fino a poco temle voci di un possibile tour mondiale e di un po fa, ha pubblicato un nuovo album. Non
album in fase di preparazione. Alla doman- di carattere rock, ma un Cd dove suonada perché avesse fatto la reunion per “Live no 82 elementi di un’orchestra sinfoni8”, Gilmour ha risposto: “Per molte ragioni. ca, con tre formazioni corali e un grupLa prima era ovviamente aiutare la causa. po d’interpreti lirici. Dunque l’autore de
La seconda è che io e Roger abbiamo avu- “The Wall”, si è dato all’opera. Il titolo
to pessime relazioni e questo è uno spreco del melodramma è “Ça Ira” (2006). Dobd’energia e anche una brutta cosa da porta- biamo sottolineare che nell’album non c’è
re nel cuore, per cui avevamo voglia di fare neanche ombra di rock. Waters, da quando
qualcosa per scacciare tutta quella spazzatu- ha litigato con i compagni, agli inizi dera. La terza è che se non l’avessi fatto forse gli anni ’80, si è praticamente rifiutato di
scrivere canzoni “normali”, anzi si è iml’avrei rimpianto per sempre”.
Gilmour ha aspettato vent’anni per il pegnato in progetti mastodontici la magsuo terzo album da solista intitolato “On a gior parte dei quali (con delle eccezioni,
Island”. Nell’album, che è uscito il 6 marzo come ovunque) non sono stati “compresi”
di quest’anno, sono molte le presenze e col- dal pubblico.
In conclusione, anche noi come la maglaborazioni di valore. Tra le quali Richard
Wright, il tastierista dei Pink Floyd e Phil gior parte dei fan dei PF ci siamo emozioManzanera, il chitarrista dei Roxy Music, nati la sera del Live 8, e subito abbiamo inianche musicista e co-produttore di ‘On An ziato a sognare un grande ritorno del grupDopo quindici anni di litigi i Pink Floyd di nuovo insieme, ma solamente per Live 8
po. Peccato.
Titta Poli
Island’.
Pubblico in delirio per i Depeche mode
Depeche Mode
A cura di Helena Labus
ZAGABRIA - Il 22 marzo 2006
è stata una data importante per tutti
i fans dei Depeche Mode in Croazia, ma anche fuori dai confini del
Paese, che quel giorno si sono dati
appuntamento al Palazzetto dello sport di Zagabria per assistere
al tanto atteso concerto dei propri
beniamini, che in questo momento
stanno facendo il giro dell’Europa
per promuovere il loro nuovo album “Playing the Angel”. Secondo
quanto riportato dalla stampa internazionale, e da quanto si è visto
durante il concerto che ha attirato
un folto pubblico, la tournèe sta
andando a gonfie vele, registrando il tutto esaurito. Come all’ultima puintata della band in Croazia,
quattro anni fa, il successo non è
mancato e i tre inglesi hanno portato in delirio la platea che in due ore
non ha smesso di cantare all’unisono tutti i più grandi successi e di
seguire in trans l’esecuzione dei
brani scelti dal nuovo album della
band. In fin dei conti, parliamo di
uno dei gruppi più importanti dell’elettropop, che si trova al vertice
della produzione musicale mondiale da più di due decenni.
Tra i pionieri del synth-pop
agli albori degli Anni ’80, i Depeche Mode hanno creato un suono
che ha fatto scuola, sopravvivendo
alla crisi dei loro compagni di strada e al tentato suicidio del cantante
Dave Gahan. Formatisi a Basildon
in Inghilterra, sono stati esponenti di spicco dell’elettropop assieme agli Ultravox, agli Eurythmics
e ai Soft Cell, ma la loro carriera
ha visto anche l’evoluzione da un
suono morbido e scanzonato ad atmosfere cupe e angosciate con la
svolta dei primi Anni ’90. La storia del complesso inizia nel 1977,
quando Andrew Fletcher e Vince Clark incontrano Martin Gore,
ai quali si unisce più tardi Dave
Gahan, che diventerà il leader del
gruppo. La band inizia a sperimentare esclusivamente con i sintetizzatori e con la musica elettronica,
traendo ispirazione dall’opera dei
Kraftwerk, un altro gruppo essenziale per lo sviluppo del suono sintetico. Inizia negli anni’80 l’asce-
sa e l’affermazione della band sulla scena musicale internazionale.
Danno alla luce i dischi “Broken
Frame (1982) e “Construction
Time Again” (1983), mentre con
la raccolta di singoli pubblicata
nel 1985 superano la fase dell’elettropop e si dedicano alla ricerca di
nuove espressioni musicali. Con il
disco “Black Celebration” (1986)
la band crea una svolta nella propria musica, che diventa più cupa
e angosciata, come lo è anche l’interpretazione di Gahan. L’atmosfera cupa e “dark” si mantiene
anche nel disco del 1987, “Music
for the masses”. Il gruppo è ormai
uno dei più acclamati al mondo e
dimostra una particolare attitudine alle esecuzioni dal vivo con il
disco doppio “101”. Purtroppo, la
sempre più grande popolarità porta con sé anche seri problemi. Infatti, il cantante Dave Gahan lotta
con la droga e la depressione. Un
fase difficile durante la quale viene
pubblicato quello che è considerato il loro disco più bello – il “Violator” (1990) – che contiene i loro
maggiori successi come “Personal
Jesus”, “Enjoy the silence” e tanti
altri. Nel 1993 esce “Songs of faith e devotion”, un’altra perla musicale, ma contemporaneamente
peggiorano le condizioni psicologiche di Gahan, che nel 1986 tenta
il suicidio, salvandosi per miracolo. Nel frattempo, uno dei membri
del gruppo decide di andarsene,
ma i Depeche Mode continuano
la loro avventura in tre, sfornando un altro album di successo –
“Ultra” (1997) – carico di nuovi
hit come la fantastica “Useless”,
o la delicata “Home”. La serenità
è ritornata nel gruppo e i Depeche
Mode continuano sulla loro strada
con successo. Nel 2001 è la volta
di “Exiter”, un altro album che dimostra la maturità che la musica
della band ha raggiunto nel corso
degli anni. I Depeche Mode sono
inossidabili, ma ancora volti verso
la ricerca di nuove sonorità anche
con il loro ultimo disco, “Playing
the Angel”, che nasconde ancora
molti segreti.
8 musica
Mercoledì, 29 marzo 2006
MUSICA LIRICA - Anna Moffo non c’è più
SCARPETTE BIANCHE - Sala Tripcovich
Una diva dalla voce di velluto
Le scuole fanno danza
TRIESTE - Un’ondata di ottimismo
ha dissolto la consueta stagnazione delle acque teatrali triestine: “Leggere... per
Ballare”. Questo il titolo di un inconsueto
spettacolo coreutico, offerto per tre serate consecutive ad un pubblico straripante, composto da giovanissimi (ma anche
da adulti e... non più giovani) in Sala
Tripcovich. Auspici la Federazione Nazionale Associazioni Scuole di Danza, la
Walt Disney International e la Fondazione Teatro Verdi. Nove Scuole di Danza
del Friuli-Venezia Giulia, ben distanti territorialmente fra loro (Ronchi, Pordenone, Maniago, Latisana, Tarvisio, Tolmezzo, Maniago e Trieste) si sono coalizzate
per inscenare una produzione ispirata alla
disneyana “Cenerentola”. Una produzione di alto livello, che chiamare “Saggio”
sarebbe riduttivo, allineante ben ottanta
ballerini, dai dieci anni in sù, per festeggiare il 55.esimo anniversario del celeberrimo Film disneyano.
Appare sorprendente che tali Scuole
di Danza di sì distante collocazione siano riuscite, grazie alle loro dirette insegnanti, al coordinamento artistico di Arturo Cannistrà, con la coreografa Viviana Palucci, il taglio drammaturgico di Tinin Montegazza, l’assistenza musicale di
Alessandro Baldrani e la voce recitante di
Enrico Vagnini, ad inscenare uno spetta-
colo tanto gradevole e “professionale”,
inquadrato in una scenografia efficace
quanto essenziale, con luci e costumi così
felici ed eleganti.
Disciplinatissime le “file”, appaganti i
giovani solisti, spiritose le semplici “trovate” sceniche, un po’ gracchiante solo la
resa sonora delle musiche registrate, ovviamente tratte dallo storico Cartoon disneyano.
Di tutta questa folla di giovanissimi
danzatori e danzatrici, forse solo pochi
faranno della Danza la loro professione.
Ma la lezione di euritmia, disciplina ed
entusiasmo resterà comunque, per tutti loro, un’esperienza importante, forse
fondamentale negli anni futuri.
È emersa la fresca musicalità istintiva
della nostra gente, supportata da uno studio spesso severo ed esigente.
Per gli spettatoti d’ogni età (e, perché
no, per gli organizzatori teatrali) è emersa
la confortante certezza che non con i soldi si fanno Teatro e Danza. Talvolta bastano la fede, la dedizione e l’entusiasmo.
Questo affascinante spettacolo è stato infatti, praticamente, a “costo zero” per il
Teatro triestino. Forse, con tale “risparmio”, si potrà dotare la Sala Tripcovich
di un impianto di riproduzione sonora almeno decente. Chi vive sperando...
Fabio Vidali
QUIZ - Chissà chi lo sa?
1.Il liuto, strumento a corde che
conobbe maggior fortuna nel
periodo del Rinascimento (XV
secolo), è di origine:
a) araba
b) francese
c) cinese
Il liuto
2. La raccolta di canti goliardici medievali, intitolata “Carmina Burana”, ispirò quale compositore a scrivere l’omonima cantata
scenica?
a) Alban Berg
b) Carl Orff
c) Max Reger
3. S’intitola “The wall” l’album programmatico composto nel
1979 da uno dei gruppi inglesi più
famosi della storia del rock, i...
a) Rolling Stones
b) The Verve
c) Pink Floyd
4. A quale compositore fu
chiesto di comporre un concerto
per la mano sinistra per il pianista
Paul Wittgenstein, che perse l’uso
del braccio destro in seguito ad
un’amputazione dovuta a una ferita di guerra?
a) Claude Debussy
b) Maurice Ravel
c) Gabriel Fauré
5. L’interpretazione della canzone popolare irlandese “Whiskey
in the jar” fu uno dei grandi successi dei...
a) The Dubliners
b) U2
c) The Corrs
6. Oltre ad essere una cantante dotata di una voce splendida e
di grandi doti interpretative che
l’hanno vista interprete di musica
pop e di musicals, tra cui il grande
successo “Woman in love”, si è cimentata anche come attrice e regista di film (tra cui “Funny girl” e
“Yentl”). I suoi concerti hanno lo
status di evento esclusivo. Lei è:
a) Céline Dion
b) Laurie Anderson
c) Barbra Streisand
7. Il grande amore di Tosca, la
protagonista dell’omonima opera
di Giacomo Puccini si chiama...
a) Uberto
b) Mario Cavaradossi
c) il Duca di Mantova
8. Scritta dal compositore
americano George Gershwin, è
una delle rapsodie più “colorate”
della storia della musica. Parliamo
della Rapsodia in...
a) verde
b) giallo
c) blu
9. Nel famoso film di fantascienza “2001. Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, un’astronave volteggia nello spazio al suono di:
a) Il bel Danubio blu di Johann
Strauss
b) La danza delle ore di Amilcare Ponchielli
c) Il Bolero di Maurice Ravel
10. Uno dei geni della musica contemporanea americana,
Frank Zappa, oltre ad esser stato
autore di un opus enorme che ha
spaziato dalla musica rock a quella sperimentale, caratteristica per
l’umorismo e la parodia, è stato
anche un eccezionale...
a) clarinettista
b) sassofonista
c) chitarrista
NEW YORK - Lutto nel mondo della lirica.
E’ venuta a mancare nella notte del 10 marzo
scorso a New York il soprano Anna Moffo, 73
anni, famosa in tutto il mondo per la sua voce
di velluto e la bellezza del suo viso incorniciato da lunghi capelli neri. Occhi da cerbiatta, silhouette da ninfa, voce di grande estensione, la cantante italo americana era nata
a Wayne, in Pennsylvania, il 27 giugno del
1932. La sua carriera si sviluppò soprattutto
tra Italia e Stati Uniti. Vincitrice del concorso
“Fullbright”, competizione istituita negli Usa
che prevedeva un periodo di studio e di perfezionamento in Italia, fece il suo debutto nel
‘55 come Norina, protagonista del “Don Pasquale” di Gaetano Donizetti, sul palcoscenico del Teatro lirico sperimentale di Spoleto.
Fortunata interprete di alcune produzioni televisive (diretta dal futuro marito Mario Lanfranchi fu, tra l’altro, Cho-cho San nella pucciniana “Madama Butterfly”), brucio’ le tappe della sua carriera italiana esordendo ancora giovane al San Carlo di Napoli e alla Scala
di Milano e partecipando a numerosi, prestigiosi festival europei, da Aix en Provence a
Salisburgo, con un repertorio assai ricco comprendente pure Carmen, Turandot, Manon.
Il debutto oltreoceano risale al ‘57, quando interpretò Mimi’ nella “Boheme” di Puccini alla Liryc Opera di Chicago, ma la sua
fama si legò soprattutto a Violetta nella “Traviata” di Verdi, rappresentata al Metropolitan
di New York e poi replicata un’infinità di vol-
Anna Moffo come Traviata
te. Costretta ad abbandonare prematuramente le scene da problemi alla voce, apparve anche in diversi film, fra i quali “Napoleone ad
Austerlitz” (1960) di Abel Glance, “Menage
all’italiana” di Franco Indovina (1965), “La
Traviata” (1967) di Mario Lanfranchi e “Il
divorzio” (1970) di Romolo Guerrieri. Dopo
il divorzio da Lanfranchi, sposo’ nel 74 il direttore televisivo Robert Sarnoff, a capo della
Bbc tra gli anni ‘50 e ‘60.
girotondo quando canta e suona il mondo
vic. In programma il concerto n.1 per pianoforte, tromba e
archi e la Sinfonia n.8. Orchestra di Santa Cecilia, Mikhail
Rudy pianoforte, Andrea Lucchi tromba
Grigory Sokolov in recital
(3 marzo).
Primo appuntamento con
la rassegna “Il pianoforte a 5
stelle”. In programma la Suite
francese n.3 di Bach, la Sonata
op.31 n.2 di Beethoven e la Sonata n.1 di Schumann.
Da Mozart a Liszt con Lang
Lang (10 marzo)
Secondo appuntamento della rassegna “pianoforte a cinque stelle” con Lang Lang, star
mondiale a soli 24 anni. In programma cinque diversi autori:
Mozart, Chopin Schumann, Rachmaninoff, Liszt.
La Carnegie Hall
New York
Carnegie Hall (marzo)
Jerusaleme Chamber Music
Festival - musiche di Mozart,
Schoemberg, Olivero.
Vienna Philarmonic Orchestra
diretta da Riccardo Muti - musiche di Hindemith e Schubert
Boston Symphony Orchestra
diretta da James Levine - musiche di Schoemberg e Beethoven
Jean - Yves Thibaudet (pianoforte) - musiche di Schumann
e Ravel
dell’anniversario della nascita di
Mozart , 27/I.
Le tre ultime sinfonie di Mozart (Apertura del festival OsterKlang Wien): 7, 8/4/2006
Cecilia Bartioli e i Filarmonici di Vienna: 4/5/2006
La Betulia liberata: 27, 28/
5/2006
Sonata per violino con AnneSophie Mutter: 15, 16, 17/10/
2006
Messa in Do minore: 9, 10,
11/12/2005 e 5/12/2006
Vienna
Roma
Musikverein
Dopo l’esecuzione della Messa in Do minore (“Messa d’Incoronazione”) nel giorno
Accademia di S. Cecilia
Rostropovic dirige Sciostakovic, 4/7/8 marzo.
Concerto dedicato al centenario della nascita di Sciostako-
Lang Lang
Anno 2 / n. 3 29 marzo 2006
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Frank Zappa
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Željka Malec
Collaboratori: Helena Labus, Mirella Malusà, Gianfranco Miksa e Fabio Vidali
Soluzioni: 1. a), 2. b), 3. c), 4. b), 5. a), 6. c), 7. b), 8. c), 9. a), 10. c).
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29. 3.2006 - EDIT Edizioni italiane