DEL POPOLO il pentagramma De penitentia quaresimalis et de gustibus provincialis di Patrizia Venucci Merdžo Carissimi lettori, dopo “La Gioconda” carnascialesca e le sue ben cinque! repliche – dato che i centovent’anni del Teatro di Fiume sono tutto sommato un avvenimento di relativa importanza, dato che l’Opera è il meno numeroso e meno significativo dei segmenti dell’ente teatrale, dato che la tradizione lirica da queste parti è sempre stata trascurabile ed è per questo che una premiere lirica a stagione è più che sufficiente, e dato infine il costo e l’impegno molto modesti del progetto, cinque repliche bastavano e avanzavano – eccoci a Quaresima. In piena Quaresima. Penitenza, digiuno, preghiera, opere di carità, meditazione sulla nostra caducità terrrena (“polvere eri e polvere sarai!”), sulla vanità delle cose (“Vanitas vanitatis”), sul nostro vero senso esistenziale e Destino Ultimo, sulla conversione del cuore, sulla riaffermazione del giusto rapporto tra Umano e Trascendente, tra materiale e spirituale. Ovviamente per la rinascita spirituale sono necessarie la meditazione, l’introspezione e perciò il “Silentium!” (vi immaginate Giovanni Battista che medita sul come “spianare le vie al Signore” durante un concerto rock, o nel bel mezzo de “La Traviata”?). In questo senso un apporto veramente decisivo ci viene dalla nostra inclita municipalità alla quale il nostro rinnovo spirituale sta particolarmente a cuore. Zac! Un bel taglio alla vil pecunia destinata alle “rumorecce” e “caserecce” abitudini culturali, e in particolare musicali, ed eccoti il “silentio silentiorum” e la conversione del cuore! Non un frivolo concerto sinfonico, non una triviale serata da camera. Gli unici antri peccaminosi sono la chiesa – dove si canta! – e il “Circolo Italiano di Cultura” dove si danno delle abominevoli serate mozartiane. Buuuu! Ah!, ma stiamo dicendo il falso! Perché improvvisamente è …”rombata” come un tuono a ciel sereno la celebrazione solenne per il centenario della fondazione della “Società di Concerti” di Fiume con la premiere dell’opera tzigana “Carmen a lieto fine” di Goro Brego e la sua “Or- musica ce vo /la .hr dit w.e ww & chestra tzigana (di fiati e tamburi) per matrimoni e funerali”. In realtà, dietro a questa celebrazione c’è stato un retroscena di battaglia molto sofferto, in quanto i potentati non intendenvano sganciare i dobloni necessari per omaggiare in maniera confacente il fausto anniversario. Senonché la nostra carismatica, magnetica, ipnotica e ieratica first lady del Teatro, è volata in municipio a gran carriera intavolando un discorso del genere:” Come? Non ci permettete di festeggiare il centenario dell’augusta Società di Concerti con il Brego Brego che fa sempre sbrego? E’ una vergogna!”. E dopo averli fissati intensamente, come un’Azucena infuriata ha esclamato:”Abracadabra!”. Al che i nostri Padri putativi, fortemente impressionati, hanno aperto le cateratte! Centocinquantamila, “stopedesettisucie” 150.000 fliche, carantani, dobloni, kune, martore e visoni! Non che questa storiella tzigana ingenua, sboccata, schietta, un po’ demente e fracassona - NEL SUO GENERE - sia male. (Speriamo non sia l’inizio di una tetralogia). La cartomante Kleopatra mi ha quasi fatto tenerezza. Solo che l’avrei gustata di più sotto un tendone da circo blu a stelle rosse (con tutto il rispetto, s’intende) e con un cartoccio di cevapcici-ajvar-cipolla sotto il naso. Perché è il suo ambiente naturale. Con tutti quei putti e ori barocchi del Teatro ‘sta Carmen invece, sembrava un pesce fuor d’acqua. Un’aragosta al Polo Nord. E poi non è colpa di Brego se ha dovuto rifare tutta la “Carmen” di Bizet. Ci è stato “costretto”. Quelli dell’Orchestra di matrimoni e funerali gli hanno detto “Bre, Brego, senti un po’. Siamo stufi di musica da funerale. Noi vogliamo, bre, suonare musica da matrimonio. Questo matrimonio s’ha da fare. Accasiamo la Carmen, che diventa finalmente una donna per bene, e Don Josè - Fuad - Bakia non ammazza nessuno. E non facciamo la figura dei ‘balkanci’. Cioè, Fuad non fa fuori il poliziotto cattivo che aveva ammazzato la Carmen ma poi si spara in bocca (non fateci caso, sono dettagli della trama), ma alla fine Bakia, lo spazzino (pardon “l’operatore ecologico”), sposa An no II • n. 3 6 200 • Mercoledì, 29 marzo Kleopatra, la cartomante, (cioè, l’operatrice avveniristica), e non Nena, la ‘striptizeta’. E vissero felici e contenti”. Brego il Saggio, che ha studiato filosofia e sociologia, (l’invito ai giornalisti recava ripetutamente la scritta “dottor Bregović”. Una tremarella! Mi sembrava quasi di andare ad una visita medica invece che allo spettacolo), in posa da “Il pensatore” di Rodin, ragionò in siffatta maniera: ” La ‘tesi’ l’ha fatta Bizet; ‘l’antitesi’ la vogliono i miei professori d’orchestra, e io faccio la ‘sintesi’. Magari alla fine ne avrò le tasche piene... però, ‘majka ti fijumanska’, se non avrò ‘le tasche piene!’”. E così l’allegra brigata ha strombonato, “cupkato” e sproloquiato per una buona oretta e mezza. (Accidenti! Ma perché ho dimenticato a casa le “scarpette bianche”; volevo dire le “opančice”!). Scommetto che né a Rubinstein, né a Michelangeli, né a Casals, nel fiumano “Tempio di Talia”, ai tempi d’Italia, riuscì di creare uno “štimung” così! E a fine spettacolo ci sentimmo tutti sublimati, elevati e (spiritati) spirituali, come si addice ai tempi quaresimali! Penitenzialmente Vostra 2 musica Mercoledì, 29 marzo 2006 CAOS NEL MELODRAMMA - Il mito della versione originale È un «tradimento» tradurre l’Opera? di Fabio Vidali S e la progressiva riduzione delle sovvenzioni di Stato per il Teatro d’Opera rappresenta la minaccia oggi più sentita ed enfatizzata per la sopravvivenza dei Teatri che producono la Lirica, un altro tarlo endogeno ne rosicchia le vetuste strutture: la feroce diatriba riassumibile nell’irrisolto interrogativo sul “come te la canto, l’Opera?”. Ignorato nell’Ottocento, progressivamente prorompente nella seconda metà del Novecento, con punte addirittura “talebane” in questo nuovo Secolo, il problema delle “traduzioni ritmiche” dei Libretti d’Opera sembra orientato a risolversi con la draconiana eliminazione di queste “versioni” a favore dell’indiscriminata adozione dell’uso delle “versioni originali” nelle lingue in cui i compositori d’ogni Nazione sposarono le parole alla loro musica. A pro di tale scelta figurano indiscutibili motivi di ordine filologi- Wagner, che non era certamente uno sprovveduto, prescriveva tassativamente che le sue Opere “fossero tradotte nella lingua del Paese in cui si rappresentavano”, giungendo fino ad affermare: “Avrei potuto morire di voluttà ascoltando il ‘Tristan und Isolde’ cantato in italiano” (sic). Rossini, che pure stese originariamente in francese il suo “Guillaume Tell”, si disse ben felice della sua versione italiana in “Guglielmo Tell”, anche perché tale versione italiana superava di gran lunga, in numero d’esecuzioni, quelle del grand-opéra originale. E tale supremazia dura ancora oggi. Verdi, che compose il suo “Don Carlos” su testo francese, approvò la sua versione in italiano (1884) e se ne dichiarò felice. L’originale francese è praticamente scomparso dalle scene. Sempre Verdi, infallibile nell’istinto teatrale, in altre opere (p. es. “Il trovatore”) dove trovava certe sequenze del libretto partico- Una scena dal “Tristano e Isotta”. Wagner in italiano? co, intellettuale (più spesso snobisticamente “intellettualistico”) che però trascurano l’insopprimibile “duplicità” del Teatro in Musica, dove la parola non è solo “suono” o “accento” ma anche significativo “motore” dell’azione drammatica la cui “comprensione” - se non avviene tempestivamente con lo svolgersi dell’azione e dei movimenti teatrali - ne inceppa penosamente il meccanismo rendendolo goffo quando non bloccandolo del tutto. Teatro in Musica è soprattutto “comunicazione completa”. Una “comprensibilità” che, nella Prosa, per esempio, è assicurata dalla traduzione nella lingua del “luogo” nel quale si svolge la rappresentazione. Prova ne è che la Tragedia Greca non viene rappresentata in alcun Paese in “greco antico” ma nella traduzione nella lingua “parlata” del luogo dov’è rappresentata. Già, si dirà, ma nell’Opera c’è la Musica a “tappare” questi buchi. Ma la Musica non può da sola risolvere la Babele delle lingue. L’opinione dei Maestri I fautori delle “versioni in lingua originale” dimenticano (o nemmeno conoscono) cosa ne pensavano al proposito grandi Maestri quali Wagner, Rossini, Verdi, R. Strauss, Shönberg, Puccini, Offenbach e cosa ne pensano, ancor oggi, compositori come Menotti, Hans Werner Henze, tanto per fare soltanto alcuni nomi. larmente “infelici”, provvedeva con la strumentazione a “coprirle”. Richard Strauss patrocinava apertamente la traduzione in altre lingue delle sue opere, per esempio “Capriccio”. Shönberg volle espressamente che il suo “Pierrot Lunaire” fosse tradotto dal tedesco in inglese. Giacomo Puccini pure chiedeva espressamente che le sue opere fossero tradotte nella lingua del luogo d’esecuzione Offenbach si compiaceva vivamente che le sue operette fossero tradotte in altre lingue. Giancarlo Menotti, l’italoamericano che componeva sempre sui testi inglesi, ne richiedeva sempre la traduzione in italiano a quell’autentico luminare del genere che fu il compianto Fedele D’Amico. Hans Werner Henze si è detto sempre radicalmente convinto dell’utilità delle traduzioni dei suoi lavori teatrali. Altri compositori contemporanei italiani quali Sciarrino, Vacchi e Corghi, più eseguiti all’estero che in Italia, predispongono personalmente versioni diverse dei loro testi nelle lingue dei Paesi di rappresentazione. Il direttore Elihau Inbal cercò di far rappresentare la “Tetralogia” di Wagner alla RAI di Torino in lingua italiana. Non vi riuscì solo perché, nel frattempo, la “scuola italiana” di cantanti wagneriani s’era estinta. Quella stessa “scuola” che invece Toscanini (a New York) utilizzava largamente per il suo Wagner in italiano, con artisti che si chiamavano Nazzareno De Angelis, Cesira Ferrani, Giuseppe Borgatti e Maria Callas. Di parere contrario Charles Gounod che lamentava, per la versione italiana delle sue opere, “lo stravolgimento degli accenti originari”. Di contro, per obiettività di cronaca, non va sottaciuto che, ad esempio, “Carmen” di Bizet, per moltissimi anni e non soltanto in Italia, fu eseguita sempre non nell’originale francese ma in italiano. E ciò in Spagna, Sudamerica, Germania, ecc., senza che alcuno trovasse nulla da obiettare. I filologhi “talebani” non avevamo fatto ancora la loro comparsa. Esempio estremo ed “integralista” delle traduzioni “ad ogni costo” è l’illustre English National Opera che rappresenta Opere d’ogni provenienza esclusivamente in lingua inglese. Un’esperienza personale Ho avuto la fortunata occasione di sperimentare di persona la differenza di impatto presso il pubblico di un’Opera straniera e “sconosciuta”, se presentata in traduzione ritmica italiana o nella “versione originale” in lingua non conosciuta. L’Ente Lirico Teatro Verdi di Trieste aveva, anni or sono, messa in cartellone l’Opera “Rusalka” di Antonín Dvoøák (testo di J. Kvapil) e scritturato i relativi interpreti (tutti cantanti italiani). Qualche mese dopo le scritture, in teatro si accorsero con sgomento che di tale Opera non esisteva alcuna “versione ritmica” in italiano. Donde si pensò di togliere tale titolo dal cartellone già annunciato e di sostituirlo con un’Opera del grande repertorio italiano che “coprisse” i cantanti scritturati. Appreso ciò, nel corso d’un’occasionale conversazione in Teatro, espresso il mio rincrescimento per la soppressione di tale splendido titolo, soggiungendo: “L’avessi saputo prima, ve l’avrei fatta io”. “Falla!” mi risposero. Mi informai sui tempi di consegna. Erano ristrettissimi, perché lo spartito con le striscette della traduzione italiana doveva al più presto essere disponibile ai cantanti per il necessario studio. Mi si dava al massimo un mese per la consegna dell’Opera tradotta. Con l’incoscienza, che talvolta mi prende la mano, accettai e firmai l’impegno. Da quel momento convissi giorno e notte con “Rusalka” (ondina) cui subito aggiungi una “s” per uniformarla alla pronuncia italiana. Quindi fu “Russalka”. Avendo sempre mal sopportato la faciloneria dei traduttori di Libretti d’Opera nell’aggiungere o togliere note al canto per riuscire a tradurre le parole tronche, mi proposi di non modificare nemmeno una nota dell’originale e di farlo in rima. Inoltre mi sforzai di mantenere gli accenti e la sonorità consonantica o vocalica dell’originale, specie nelle “note di volta”. Fu un lavoro massacrante, ma l’esito mi ricompensò. I cantanti si trovarono a loro pieno agio, curarono la dizione e si entusiasmarono. Entusiasta anche il pubblico che applaudiva come alla “Bohéme”, ottima la critica. Ma soprattutto mi commosse l’approvazione dei connazionali di Dvoøák e Kvapil, pochi ma presenti in città, che vollero, per riconoscenza, donarmi pubblicazioni e francobolli del loro Paese d’origine. Dissero d’aver ritrovato “i suoni” della loro lingua Regina Berner come Rusalka anche se le parole erano ovviamente diverse. Qualche anno dopo, ero spettatore, in un altro teatro italiano, della “Rusalka” con una compagnia slovacca ed in lingua originale. Pubblico scarsissimo ed annoiato. Io stesso dovevo richiamarmi in mente la mia versione per capirci qualcosa, date anche le scene e la regia a dir poco aberranti. L’Opera è naufragata, ma la filologia ha trionfato. Esilaranti «soprattitoli» Al problema principale delle “traduzioni” e delle contrapposte “versioni integrali”, in quest’ultimo scorcio d’anni se ne è aggiunto un altro, ancora più penoso e pericoloso per l’Opera: quello delle versioni in “soprattitoli”. Assunta come “il meglio” la “versione integrale” dei testi, si è pensato di risolvere l’esigenza della “comprensibilità” con delle didascalie nella lingua del luogo, proiettate in bella vista per gli spettatori “non poliglotti”. A parte il fatto che queste “traduzioni” occasionali sono ancora più bolse del peggiore degli “adattamenti ritmici”, resta il fatto inconfutabile che non “arrivano” mai nel momento appropriato, distolgono dalla parte “visuale” dello spettacolo e spesso producono effetti esilaranti inopinati nel pubblico. È accaduto recentemente in un grande teatro degli USA, durante una “Tosca” cantata in italiano con “soprattitoli” inglesi, che l’invito della protagonista a Cavaradossi di dipingere di bruno gli occhi della sua Maddalena fosse tradotto letteralmente in inglese “falle gli occhi neri”, cioè... “prendila a pugni”. Immancabile, a questo punto, un boato di risate in sala. A Vienna, nel corso di un “Nabucco” con cantanti italiani, al “Va’ pensiero” ci furono altrettante risate perché i “soprattitoli” in tedesco riferivano: “togliti questo affanno”. A San Francisco, sempre con cantanti italiani e “soprattitoli” in inglese, altre risate per “Adriana Lecouvreur” alla frase “bella tu sei, come la mia bandiera” che in inglese suonava: “sei una vecchia bandiera”. “Vecchia bandiera”, usualmente, lo si dice alle tardone “navigate”. E si potrebbe continuare con altri esempi analoghi. Intanto la moda dei “soprattitoli” dilaga prepotentemente anche nei teatri italiani, pure per le opere italiane cantate in italiano (tanto i cantanti non si capiscono più): Comunale di Firenze, Opera di Roma, Comunale di Bologna, Massimo di Palermo, Verdi di Trieste, San Car- lo di Napoli, Fenice di Venezia, Regio di Torino, Carlo Felice di Genova, Comunale di Cagliari, Santa Cecilia, Scala di Milano, Arena di Verona, dove si arrivò a proiettare “soprattitoli” in tedesco... per la “Vedova allegra” cantata in italiano. Un’autentica invasione. A monte di ciò un doppio movente economico: 1) le compagnie straniere “chiavi in mano” (specie se vengono dall’Est) costano molto meno di quelle nazionali (e ciò vale per tutte le Nazioni); 2) i cantanti nazionali non se la sentono di studiare un’Opera “tradotta” nella loro lingua, per cantarla una sola volta, data la tendenza generalizzata di chiamare stranieri per le Opere straniere. In più s’è creato un importante “business” fra chi produce le apparecchiature per i “soprattitoli”, sempre più sofisticate, ed i “potenti” dei Teatri. Manca l’equilibrio Eppure una soluzione equilibrata ci sarebbe. Basterebbe distinguere fra Opera ed Opera. Quelle ormai di consolidato “repertorio popolare” e quindi ben note, si potrebbero rappresentare in “lingua originale” e senza “soprattitoli” senza che ne scapitasse la comprensione. Quelle “nuove” o di comprensione linguistica più problematica per gli spettatori d’altro idioma (per esempio quelle del grande mondo slavo) dovrebbero giovarsi di accurate “versioni ritmiche” nelle rispettive lingue degli altri vari Paesi. Naturalmente dovrebbe venir eliminata la piaga dei “soprattitoli” che stanno trasformando l’Opera Lirica in una sorta di “Cinema Muto” con sommarie “didascalie” e quindi snaturandola dalle fondamenta. Ci sarebbe anche una soluzione intermedia, che salverebbe capra e cavoli: inserire, prima d’ogni Atto, un sommario “riassunto” dello stesso, redatto nella lingua del luogo, “salvando” così sia l’indispensabile comprensione di quanto accade sul palcoscenico, sia il “business” dei “soprattitolatori”. Una soluzione di “compromesso”, anch’essa, però, da vagliarsi caso per caso, perché non ogni tipo d’Opera lo sopporterebbe senza gravi inconvenienti. Da eliminarsi, comunque, il disturbante ed indiscriminato uso dei “soprattitoli” durante lo svolgimento dello spettacolo. Che la pronta comprensione dei testi cantati sia irrinunciabile per l’Opera lo testimonia la singolare ascesa del numero delle rappresentazioni delle Opere “inglesi” di Britten. Una crescita esponenziale, parallela alla crescita dell’uso della lingua inglese su scala internazionale. Resta comunque incontrovertibile il fatto che sono assai più pericolose per la sopravvivenza stessa dell’Opera, le mistificanti regie e scenografie, nonché le “trasposizioni” temporali ed ambientali oggi di moda, che stravolgono ogni “valore storico” degli spettacoli che li subiscono, in uno con le velleitarie manie diffuse fra i “direttori d’orchestra” che amano trasformare in “propria originale creazione” quanto già mirabilmente “creato” dai veri autori. “Intromissioni” più dannose e pericolose per l’Opera di quanto non lo siano anche le peggiori, le più bolse, le più raffazzonate “versioni ritmiche” mai partorite dal più imbelle dei traduttori a braccio. musica 3 Mercoledì, 29 marzo 2006 A LA RECHERCHE DE LA MEMOIRE PERDUE - «Veni dulcis Jesu...» L’alta tradizione musicale chiesastica di Fiume attraverso i secoli di Patrizia Venucci Merdžo FIUME - Non è senza emozione che mi capita tra le mani - riemerso dai meandri di un archivio privato – un antico quadernetto irradiante il fascino della vetustà ed insieme della cura meticolosa con cui è stato gelosamente conservato. E’ un volumetto “fai da te” (segno di un’epoca in cui la carta era un lusso e i quadernetti non si acquistavano nella più vicina cartoleria). Un plico di fogli piegati a metà, protetti da un foglio “ocraceo” di carta d’impacco, meticolosamente uniti a mano da un filo di cotone bianco: “Chronikon.I. 22.IX 1914 – 31 X 1917”. “Custodia” di quasi quattro anni di storia musicale ecclesiale fiumana che riaffiora da un tempo lontano. Un sublime viaggio a ritroso Riaprire e scorrere queste pagine è come compiere un repentino viaggio a ritroso nel tempo ritrovandoci immersi nell’eco di un mondo pervaso di studio conventuale e solitario, di preghiera, di “silentium”, di elevata e spirituale cultura musicale, di certosina (o meglio, in questo caso di cappuccina ) pazienza ... La scrittura minuta e ordinata, i titoli ad asta e filetto, la dicitura ricamata del “Deo gratias”, alla fine di ogni anno del Signore, scandiscono domenica per domenica, mese per mese, anno per anno, le quasi quattro stagioni di continuata vita musicale accaduta nella Chiesa di nostra Signora di Lourdes – nota come la Chiesa dei Cappuccini – al tempo della Grande Guerra, nella Fiume austroungarica e mitteleuropea. “Kronološka bilježnica – crkvenih skladbi, što ih izvodi zbor klerika i otaca kapucina (i dječački zbor) u Krypti. Bilježi: Fr. Anzelmo, klerik.” Riporta la prima pagina della cronaca. Il giovanissimo chierico Fra Anzelmo, autore della cronaca e maestro del coro, tanto per intenderci, è quello stesso fra Anselmo Canjuga compositore ed organista, che assieme a Franjo Dugan e Kamilo Kolb, sarà una delle personalità più feconde e originali del Movimento Ceciliano in Croazia. Vogliamo ricordare che il Movimento Ceciliano (da S.Cecilia, patrona della musica sacra), nato in Germania a Ratisbona),e diffusosi in molti paesi d’Europa si prefiggeva di riportare in chiesa un tipo di canto spirituale a cappella, polifonico del tipo palestriniano, contrastando la prassi musicale sacra dell’epoca che attingeva allo stile operistico con tanto di organico orchestrale. Il massimo esponente di tale movimento musicale fu, in Italia il grande Lorenzo Perosi, compositore e maestro di cappella pontificio, le cui solenni polifonie delle sue Messe Pontificalis risuonarono spesso nelle chiese fiumane. “Tantum ergo” a cappella di Orlando di Lasso,“Cantantibus organis” motetto a tre voci di Oreste Ravanello, tra l’altro, in occasione della festa di S. Cecilia...”Veni o Sapientia” antico corale tedesco a quattro voci,... messa “Te Deum laudamus”, messa “In honorem C. Caroli” del Perosi, “Parvulus filius”, “Messa tertia” di Haller, “Panis angelicus” di Kolb, “Veni dulcis Jesu” di Odak, “Ave verum” di Mozart... messe, graduali, communio, offer- Fra Anselmo Canjuga con il coro di voci bianche dei Cappuccini intorno al 1915 tori, corali di autori ceciliani tedeschi (Stehle, Haller, Griesbacher, Mitterer, Foerster, Singenberger), croati (Odak, Dugan, Kolb, Novak), italiani (Perosi, Ravanello...) dei grandi Palestrina, di Lasso... Proviamo ad immaginare per un momento con un piccolo sforzo di fantasia, come doveva risuonare l’intreccio delle melodie polifoniche che si rincorrevano ed echeggiavano con effetti mirabolanti tra le volte e le colonne della Cripta dei Cappuccini nell’eseuzione spirituale ed educata delle voci dei chierici che si amalgamavano con i timbri puri delle voci bianche ... o quale effetto solenne dovevano aver sortito le maestose ondate contrappuntistiche della “Messa Papae Marcelli” del Sommo Prencip musicae Palestrina - all’inaugurazione della Chiesa superiore nel settembre 1929 - che scendendo in volute dall’altissima cantoria si spandevano per i volumi neogotici delimitati dal gioco dei costoni, abbracciando le immense colonne marmoree le quali facevano riverberare le sonorità in un gioco musicale evocante il panorama acustico delle messe (fino a trentasei voci) degli antichi Maestri Fiamminghi. Suggestoni che oggi solo eccezionalmente ci è dato di udire. Una di queste rare opportunità è stata offerta in occasione della visita di Benedetto XVI nella Cattedrale di Colonia – uno dei più antichi e mirabolanti esempi di architettura gotica - in occasione della Giornata mondiale della Gioventù nel 2005, quando la diretta televisiva ci rimandò le immagini spettacolari delle migliori Schole Cantorum della Germania riunite (composte da voci virili e voci bianche) nell’eccelsa esecuzione in latino di maestri rinascimentali e ceciliani sorretta dal suono ieratico e maestoso degli organi della Cattedrale. Un tripudio mozzafiato. Scommettiamo che il Pontefice, da musicista raffinato qual è avrà apprezzato l’accoglienza? Pure accadimenti come questi testimoniano la cultura, la tradizione e la civiltà di un popolo. La storia che attende di essere rivelata e valorizzata Riguardo la pratica musicale sacra di Fiume nel corso dei secoli se si eccettua qualche manciata di notizie o qualche segmento trattato a parte – manca una ricerca approfondita e sistematica che illustri in maniera continuativa ed anche comparativa la storia della musica sacra nella città di San Vito ; storia che comunque, a giudicare dagli stralci di informazioni pervenuteci finora, si presenta notevolissima. Intanto è stato appurato che a metà Quattrocento – sono queste le notizie più antiche – presso la Scuola che operava in seno al DuoLa Cronaca musicale di Canjuga mo, s’insegnava pure, nell’ambito del programma gati dalla Cassa pubblica, doveva d’istruzione, il Corale Gregoriano, sopperire alle esigenze del Culto mentre al livello medio superiore Divino nelle occasioni solenni (con della medesima istituzione (Qua- dieci stromenti, tre cantanti, l’ordrivium) si apprendevano le ma- ganista ed il Maestro di Cappella), terie musicali. Grande importan- meno solenni (organo, cantante e tre za avevano l’istruzione musicale “stromenti”) e feste ordinarie (orgapure presso la scuola cittadina, no e cantanti). in quanto gli alunni, i chierici ed i Con la fondazione della Scuola sacerdoti rappresentavano il “cor- di Musica nel 1820 gli insegnanpus” corale portante in tutte le fun- ti Venceslao Wenzel, Johann Zaytz zioni religiose. senior, Giovani Zaytz junior avevaEd è appunto in questo ambien- no, tra l’altro l’obbligo di espletare te ricco di fermenti musicali, proba- il compito di organisti, maestri di bilmente vicini, o comunque sulle cappella e di istruire gli alunni cantracce, della musica sacra del tem- tanti e musicisti per le esigenze del po, si sviluppò ed emerse la perso- Culto sacro. Inoltre è noto che Gionalità di levatura europea del com- vanni de Zaytz compose parecchi positore fiumano Vinko (Vincen- brani sacri e due Messe Solenni per zo?) Jelich, (1596 –1636), uno dei coro, orchestra, organo e voci solirappresentanti più significativi del- ste proprio per i bisogni musicali la musica del tardo Rinascimento del Duomo. e del primo barocco, il quale, dopo L’archivio del Duomo è un augli studi a Graz, operò in Alsazia ar- tentico tesoro di informazioni con ricchendo con il suo fecondo opera- la sua biblioteca ricca di autografi to la musica sacra della sua epoca inediti di maestri, principalmente (Parnassia Militia, Vesperae Bea- italiani, che nella seconda dell’Ottae Mariae Virginis, Arion primus, tocento, operarono e composero in Arion secundus). seno alla detta chiesa; autografi che Ci è altrettanto noto che l’Or- solo in parte e di recente sono stati chestra del Teatro Adamich per la oggetto di studio da parte di musisomma di 800 fiorini annui, ero- cologi. 4 musica Mercoledì, 29 marzo 2006 Mercoledì, 29 marzo 2006 5 IL SAGGIO - L’invidiabile e capillare organizzazione delle attività musicali nell’Istria a cavallo tra Ottocento e Novecento Società filarmoniche e corpi musicali della vecchia Istria una realtà di rilievo e di ampia diffusione di Mirella Malusà L ’Istria vanta da sempre una ricca tradizione musicale. Infatti, in tutti i centri della penisola fiorivano bande cittadine, società filarmoniche e corpi corali e musicali. La cultura musicale, largamente diffusa, vide nascere una banda civica a Buie nel 1841, una Società filarmonica a Parenzo nel 1842, una scuola di musica a Pirano nel 1846, una banda civica ad Albona nel 1856, una filarmonica a Montona nel 1860, una filarmonica a Portole nel 1867. A cavallo tra il 1800 e il 1900 le società filarmoniche erano presenti un po’ dovunque in Istria: a Cittanova, Cherso, Dignano, Orsera, Pisino, Rovigno, Sanvincenti, Umago, Verteneglio, Visignano, Visinada, Castelvenere, Pisino, ecc. Accanto ai complessi bandistici di più antica costituzione ce n’erano alcuni di formazione più recente, come quelli di Portorose e Veglia. Isola si distinse per un’intensa attività di canto corale: nel 1896 venne fondata la società “Besenghi”, nel 1875 la società di canto ecclesiastico ed accademico e nel 1909 la Società corale “Zamarin”. I volonterosi musici istriani La parte del leone spetta in ogni caso alle città di Pola, Capodistria, Lussingrande, Lussinpiccolo. Pola annoverava una banda cittadina, diretta dal maestro Jaschi, un coro cittadino, una società orchestrale, della quale era presidente il signor Ponis, il circolo musicale “Adria”, fondato nel 1905, una società corale di lingua tedesca”. A Capodistria venne fondata nel 1887 una Società filarmonica, nel 1894 il Corpo Musicale Capodistriano, e nel 1899 la Società “Corpo corale cittadino”. A Lussingrande e Lussinpiccolo una banda civica era mantenuta dalla locale società musicale; il direttore era Giorgieri; esistevano inoltre la Società dell’orchestra (presidente Vittorio Craglietto), la Società filarmonica, il coro del circolo popolare, il teatro Bonetti. Altri teatri si trovavano ad Albona, Parenzo e Rovigno”. Dopo questa panoramica generale della “situazione musicale” in Istria, presentiamo l’attività delle singole cittadine per conoscere meglio quella che era la vita musicale nelle stesse. Bande e cori di Pinguente, Draguccio, Piemonte, Verteneglio, Cittanova, Albona e Parenzo L’antico Duomo di Isola, sede di un’intensa attività corale ecclesiastica Nel 1907 a Pinguente esisteva già un Corpo musicale. Era composto da trentacinque suonatori di trombe, clarini e tromboni e da tre suonatori con strumenti a percussione. A Draguccio nel 1909 esisteva un Corpo musicale formato da suonatori di trombe, clarini, tamburo, ecc. La banda comprendeva membri di tutte le fasce d’età. Piemonte aveva la sua banda con relativo coro ed era molto richiesta anche dai paesi vicini. Verteneglio vantava una banda che si era costituita già nei primi anni del ‘900. La passione musicale veniva tramandata da padre in figlio, da fratello a fratello, da famiglia a famiglia cosicche’ negli anni Trenta quasi ogni nucleo familiare annoverava uno o più suonatori o cantori. Tra il 1933 e il 1937 il Maestro Guglielmo Museni trasformò la modesta banda paesana nel primo complesso della provincia di Pola. Cittanova ebbe una banda molto prima del 1930, che per anni continuò la sua attività e precisamente fino al 1935 quando cominciò a perdere parte della sua importanza. Ad Albona, oltre ai filodrammatici, i capocomici, gli impresari, c’erano pure i maestri di musica, valenti e stimati, come ad esempio Ignazio Laube e Felice De Giuli con i loro bandisti. Infatti, la banda comunale era sempre efficacemente presente nelle grandi e nelle piccole ricorrenze. Oltre alla Società filarmonica, istituita nel 1842, a Parenzo esisteva una banda musicale composta da cittadini appartenenti a tutte le classi sociali: operai, agricoltori, artigiani, impiegati, meccanici, muratori, negozianti, laureati, ecc. La musica allietava e accomunava tutti. La banda parentina era completa di strumenti musicali, compreso il contrabbasso a corde, il tam-tam e il pianoforte. Nel 1923 il Corpo musicale di Parenzo si sciolse. Nel 1926 grazie ai fratelli Antonio e Francesco Dapretto si costituì il nuovo Corpo musicale che raggiunse la cifra di 50 musicanti. Nel periodo 1926-1930 ebbe al suo attivo, tra feste nazionali, concerti ed altre uscite, ben 70 interventi. L’intensa vita musicale di Isola Nel 1875 si costituì a Isola la Banda Cittadina, dedicata a Giuseppe Verdi, sovvenzionata dal Comune. Il suo statuto, composto da 18 pagine, venne compilato nel luglio del 1878. Il 28 marzo 1889, V.Delise, prestò al Comune il denaro per l’acquisto degli strumenti per questa banda. La società filarmonica “Halietum” operò dal 2 agosto 1887 al 5 febbraio 1893. La vita culturale s’intensificò tanto da vedere la nascita, accanto alla Biblioteca civica, di 5 società musicali e canore. Tra queste la “Società di canto ecclesiastico e accademico”, la “Società corale Besenghi” e la Società corale “Zamarin”. L’alto livello della pratica musicale sacra La “Società di canto ecclesiastico ed accademico”, il cui statuto venne compilato il 6 aprile 1875 e approvato il 16 maggio dello stesso anno, venne fondata con lo scopo di assistere la Chiesa in tutte le sue funzioni ordinarie e di offrire al pubblico “piacevole trattenimento mediante produzione di scelti pezzi di opera e cori staccati”. Ogni socio versava mensilmente 20 soldi che servivano per l’acquisto e la copiatura della musica. In caso di mancato pagamento (protratto oltre i sei mesi), il socio veniva espulso dalla Società. L’espulsione avveniva anche se il socio mancava, senza giustificazioni, per 5 volte consecutive. La chiesa contribuiva con 60 fiorini annui, provvedeva al locale per le prove, nonché alle spese d’illuminazione. Il numero dei soci era fissato a 50 membri esclusi il maestro o il direttore. Chi desiderava far parte della Società inoltrava la richiesta, a voce o per iscritto, al Direttore o a uno dei Consiglieri. L’amministrazione della Chiesa dava l’assenso e i soci, quindi, votavano l’accettazione o meno del richiedente. I ragazzi che venivano scelti dal Direttore o dal Maestro, non potevano considerarsi soci ed erano esonerati dal pagamento. Dopo un periodo d’istruzione nel canto i soci potevano essere eletti alle cariche di consigliere, La Banda di Lussinpiccolo nel 1910 Cittanova segretario e cassiere e a concorrere alle produzioni sociali sia in Chiesa che altrove, partecipare alle adunanze della società con piena libertà d’esporre i propri pareri e dare il proprio voto deliberativo, partecipare ai proventi della Società e prender parte a tutti i trattenimenti sociali preparati con altri fondi. Avevano l’obbligo d’essere sempre presenti alle funzioni religiose e alle produzioni accademiche, nonché apprendere ed eseguire una o più composizioni sia sacre che accademiche all’anno. Inoltre, la Società prevedeva l’inclusione di soci onorari che venivano proposti da un membro della Direzione. I loro diritti erano limitati e consistevano nell’intervenire ai trattenimenti accademici della Società con un contributo mensile. Lo statuto prevedeva anche sanzioni da prendere contro i soci che si comportavano immoralmente, irreligiosamente e in modo disonorevole. Il socio che veniva eletto in qualche carica sociale doveva assumerla ed esercitarla per almeno un anno, dopo di che aveva diritto a un riposo. La Direzione era composta da un direttore e da due consiglieri; se il numero dei soci era maggiore di 30, il numero dei consiglieri aumentava a quattro. Il direttore della Società faceva da maestro e da istruttore. Insegnava il canto, gratuitamente, ai soci e ai ragazzi, dirigeva le prove e gli esercizi, l’esecuzione delle produzioni in Chiesa e altrove, convocava e scioglieva le adunanze della Società e della Direzione, firmava gli atti e fissava gli orari delle prove. L’Amministrazione della Chiesa decideva sulla sua nomina o rimozione e sul suo onorario. Il direttore e i consiglieri avevano il diritto di proporre nuovi soci; decidevano sulla scelta dei pezzi e delle composizioni da acquistare, da studiare e da eseguire. La mancanza di rispetto da parte di un socio veniva punita con la sua espulsione. I consiglieri rimanevano in carica per circa un anno e potevano essere rieletti. La Società aveva pure un Segretario e un Cassiere. Il primo, nominato dalla Direzione, possibilmente dai membri della Società, aveva il compito di compilare sotto la dipendenza della Direzione gli ordini del giorno delle adunanze e il loro verbale, di stendere gli atti, di tenere i registri della Società. Il suo mandato durava un anno con possibilità di riconferma. Il Cassiere conservava il denaro della Società, sotto sua responsabilità, giustificava i versamenti mediante le rispettive quietanze, controfirmate dal Direttore, rilasciava le ricevute e faceva un resoconto mensile, sulla sua gestione alla Direzione e annualmente alla Società. Veniva nominato dalla Direzione e il suo mandato durava un anno con la possibilità di rielezione. I consiglieri, il segretario e il cassiere lavorava- Rovigno - il Maestro Carlo Fabretto con gli alunni della sua Scuola di violino no volontariamente. L’adunanza generale aveva luogo ogni anno nel mese di dicembre. La musica sacra acquistata restava proprietà della Chiesa, alla quale sarebbe appartenuto tutto in caso di scioglimento della Società. La minuziosa normativa della Società corale “Besenghi” La Società corale “Besenghi” aveva lo scopo di educare un determinato numero di soci nel canto accademico, organizzare un corpo corale per trattenimenti sociali, tenere pubblici concerti ed eventuali gite di piacere fuori città. Lo statuto della Società, redatto il 30 marzo 1896, suddivideva i soci in cantori, contribuenti e onorari. Venivano scelti dalla Direzione e sottoposti a una prova d’idoneità nella scuola sociale di canto. Dopo essere stati accettati ne assumevano i diritti, gli obblighi e i doveri. Il numero dei soci cantori era fissato a 50 membri al massimo e 20 al minimo. La società si riteneva costituita all’adesione di 40 soci. Venivano considerati soci tutti quelli che senza prendere parte attiva al corpo corale in fatto di canto, acquistavano tutti i diritti dei soci in generale e sottostavano agli obblighi e ai doveri sociali, versando la quota di partecipazione di 50 soldi. L’assemblea generale decideva sulla nomina dei soci onorari, i quali potevano essere riconosciuti per meriti distinti nell’arte musicale o che s’erano resi benemeriti nella Società per qualche nobile azione. I soci cantori dovevano frequentare la scuola di canto, intervenire alle prove, prendere parte ai concerti e ai trattenimenti. Ogni socio aveva il diritto di eleggere e di essere eletto alle cariche sociali, prendere parte ai divertimenti, assistere ai concerti, intervenire ai congressi generali, proporre nuove interpellanze, ispezionare i protocolli e controllare l’impiego del capitale sociale. Venivano esclusi i soci che si comportavano immoralmente, che disonoravano la Società o che in qualche modo ne compromettevano la sua legale esistenza. Venivano esclusi pure quelli che non intervenivano regolarmente alle lezioni, alle prove o alle festività musicali. La Società veniva amministrata e rappresentata da una direzione, composta da un presidente, un vice presidente, tre consiglieri, un segretario, un cassiere e due esattori, eletti a maggioranza assoluta di voti dal congresso dei soci. Il Presidente aveva il compito di convocare e presiedere le sedute della Direzione e della Società, proporre l’ammissione di nuovi soci (la cui nomina veniva sanzionata dalla Direzione), provvedere alle discipline interne della scuola, formulare in accordo con il maestro i programmi dei concerti, trattenimenti interni o pubblici ed eventuali gite. La Direzione aveva l’incarico di nominare il maestro di canto. Se un membro della Direzione non interveniva alle sedute della stessa per tre volte consecutive senza giustificazioni le sue mansioni venivano affidate ad altri. I soci non dovevano cantare in pubblico cori sociali, eccetto se la Presidenza non ne dava l’autorizzazione. Le rendite sociali erano costituite dalla tassa d’ammissione, dal contributo mensile, da eventuali proventi per trattenimenti sociali a pagamento, da eventuali offerte in genere. Tali rendite venivano impiegate per l’onorario del maestro, per l’affitto dei locali di scuola, per far fronte alle spese di gestione e per costruire un eventuale fondo di riserva. In caso di scioglimento, si prevedeva d’assegnare la società a un’altra società di canto che si fosse legalmente costituita entro un triennio dall’epoca dello scioglimento della medesima. Spirato questo termine il suddetto patrimonio doveva essere devoluto al locale Fondo dei poveri. MOZARTANDO - «Dato che al momento non ho neanche una sinfonia, ne scrivo una nuova a rotta di collo». (Mozart quattro giorni prima di una premiere) Mozart bambino prodigio Papà Leopold insegnò ai suoi figli “Wolferl” e “Nannerl” a suonare il cembalo, l’organo e il violino. A cinque anni il piccolo genio scriveva la sua prima composizione. Leopold Mozart dimostrlò di essere un ottimo manager per i propri figli: nel corso di un soggiorno a Vienna di vari mesi, nel 1762, i piccoli Mozart hanno l’occasione di suonare davanti all’imperatrice Maria Teresa nella sala degli specchi del Castello di Schönbrunn. Finito il concerto Wolferl, per nulla intimidito, balza in grembo alla sovrana, l’abbraccia e le dà un bacio. Da questo momento in poi il bambino prodigio, un ometto dalla parrucca incipriata con una spada in miniatura, è sulla bocca La Hofburg di tutta Vienna. Nel 1768, quando la famiglia Mozart visita per la seconda volta la città imperiale, Maria Teresa concede al dodicenne un’udienza di due ore nella Hofburg, residenza degli Asburgo per oltre 600 anni. Wolfgang, nel frattempo, ha già visto il mondo: conosce Londra, Parigi, Bruxelles e molte città della Germania. Ha suonato già dappertutto, sia in saloni principeschi che (quando la cassa di viaggio era mezzo vuota) in sale da ballo per il popolo comune. Nell’autunno del 1781 Mozart dà alla Hofburg un concerto in onore del duca del Württemberg. Lo stesso anno trascorre la notte di Natale insieme con l’imperatore Giuseppe II, figlio di Maria Teresa, negli appartamenti imperiali. La Mozarthaus a Vienna Nella Domgasse n. 5 si trova l’unico appartamento, della dozzina in cui Mozart abiterà a Vienna, rimasto in piedi fino ad oggi. Nell’edificio detto oggi Casa di Mozart il compositore ci viss dal 1784 al 1787. Il suo domicilio, al primo piano, è decisamente signorile: quattro camere, due camere più piccole e cucina. Si deve sapere, infatti, che Mozart ebbe sempre un debole per le apparenze. Non rinunciava, per esempio, ai vestiti chic e alle scarpe con la fibbia. La sala concerti Wolfgang Amain Casa Mozart deus trascorse in questa casa i suoi anni probabilmente più felici. In ogni caso non rimase in nessun altro appartamento così a lungo come in questo. Durante questo periodo Mozart era un artista acclamato, aveva un giro di amici illustri e veniva invitato a numerosi concerti nelle case dei nobili. È proprio qui nella Domgasse che scrisse alcune delle sue composizioni migliori fra cui la sua opera forse più interessante: „Le nozze di Figaro“. A partire dal 2006, dopo ampi lavori di restauro, l’edificio è stato riaperto al pubblico con il nome di Casa di Mozart. Il museo comprende ben sei piani per una superficie complessiva di 1.000 metri quadrati. Il visitatore può La misteriosa malattia e morte di Mozart La malattia e la morte di Mozart sono stati e sono tuttora un difficile argomento di studio, oscurato da leggende romantiche e farcito di teorie contrastanti. la Mozarthaus addentrarsi nel mondo di Mozart rendendosi conto della sua enorme genialità e creatività, conoscendo virtualmente la sua famiglia, i suoi amici e i suoi nemici nella Vienna del tardo barocco. Antonio Salieri Gli studiosi sono in disaccordo sul corso del declino della salute di Mozart, in particolare sul momento in cui Mozart divenne conscio della sua morte imminente e se questa consapevolezza influenzò i suoi ultimi lavori. L’ idea romantica sostiene che il declino di Mozart fu graduale e che la sua prospettiva e le sue composizioni declinarono anch’esse in ugual misura. Al contrario qualche erudito suo contemporaneo sottolineò come Mozart nell’ ultimo anno fosse di buon umore e che la sua morte fosse inattesa al punto da scioccare la sua famiglia e i suoi amici. La tomba di Mozart rimane ignota; la sua musica è il suo monumento. Anche l’effettiva causa del decesso di Mozart è materia di congettura. Il suo certificato di morte riporta “hitziges Frieselfieber” (“febbre miliare acuta” o “esantema febbrile”), una definizione insufficiente ad identificare la corrispettiva diagnosi nella medicina odierna. Sono state avanzate diverse ipotesi, dalla trichinosi all’avvelenamento da mercurio, alla febbre reumatica o, più recentemente, la sifilide. La pratica terapeutica del salasso, all’epoca diffusa, è menzionata come concausa della morte. Secondo alcuni fonti sarebbe stato Salieri ad vvelenare Mozart. Ciò si desume anche dalle presunte testimonianze di due infermie- re, le quali sostenevano che prima di spirare Salieri si fosse autoaccusato per la morte di Mozart. Amadeus spirò nella notte del 5 dicembre 1791, poco prima dell’una, mentre stava lavorando alla sua ultima composizione: il Requiem. Al giovane compositore Franz Xaver Süssmayr, allievo e amico di Mozart, fu affidato il compito di completare il Requiem. Non fu il solo compositore al quale fu affidato tale incarico, ma è collegato ad esso più di altri a causa del suo rilevante contributo. Secondo la leggenda, Mozart morì squattrinato e dimenticato da tutti e fu seppellito in una tomba per poveri. In realtà, sebbene a Vienna non fosse ormai più “sulla cresta dell’onda”, continuò a ricevere consistenti commissioni dalle più disparate parti d’Europa, soprattutto da Praga. Restano molte sue lettere in cui richiede aiuto economico che testimoniano non tanto della sua indigenza quanto della sua inclinazione a spendere più di quel che guadagnasse. Secondo alcuni fu seppellito in una fossa comune; altri studiosi sostengono invece che fu tumulato in una normale tomba comunale conformemente alla normativa del 1783. Anche se al cimitero di St. Marx la tomba originaria è andata perduta, in corrispondenza della Costanza Mozart supposta sepoltura e nel Zentralfriedhof sono state collocate lapidi commemorative. Nel 1809 Costanza sposò il diplomatico danese Georg Nikolaus von Nissen (1761– 1826), il quale, essendo un fanatico ammiratore di Mozart, pubblicò diversi brani – dal tenore scurrile – da lettere del compositore e scrisse una sua biografia. 6 musica Mercoledì, 29 marzo 2006 MUSICA SACRA - «Nun ist der Herr zur Ruh’ gebracht» Matthias-Passion, monumentale «summa» del genio bachiano a cura di Patrizia Venucci Merdžo P ure all’epoca di Johann Sebastian Bach, le cerimonie liturgiche della Quaresima avevano il loro culmine nei riti religiosi del Venerdì Santo, il giorno in cui venivano rievocate la Passione e la Morte di Cristo. Era invalso l’uso di musicare brani evangelici relativi appunto a queste fasi della vicenda terrena di Gesù: il genere delle Passioni si era sviluppato a partire dal XV secolo: all’inizio si trattava di un’opera che prevedeva l’azione di tre personaggi, i quali impersonavano Cristo, un Diacono e un Evangelista; con il coro si intendeva rappresentare “il popolo”, e i suoi interventi si avvalevano talvolta di spunti polifonici. In Germania questo genere, dopo la Riforma, assunse caratteristiche peculiari: venne abbandonato l’uso del latino in favore del tedesco, e le opere si arricchirono progressivamente di arie, recitativi, sinfonie derivate dalle forme teatrali... Fu Bach con la sua “Matthias-Passion” a restituire a questo genere musicale lo spirito sacro primigenio. Più che una Via Crucis drammaticamente descritta, la Matthias-Passion, una delle grandi pietre miliari dell’arte religiosa e l’opera bachiana più monumentale, è una coinvolgente meditazione sul Calvario e morte di Cristo, profondamente vissuta e sofferta da Bach in prima persona. Vi hanno parte l’orchestra, l’organo, il cembalo, due cori ora isolati, ora uniti in una massa unica. Il testo biblico è affidato a dieci voci soliste: l’Evangelista, Gesù, Pietro Giuda, il Sommo sacerdote, il primo e secondo sacerdote, Ponzio Pilato, le due Maddalene e la moglie di Pilato. La Matthias- Passion è divisa in due parti , delle quali una consta di trentacinque pezzi e l’altra di quarantatrè. L’opera costituisce una mirabile “summa” bachiana , nella quale è raccolta la potenza dell’ispirazione e dell’ espressione e quasi tutta la varia ricchezza degli elementi formali, tecnici, vocali e strueteali, sparsa nelle altre sue opere. Il racconto di Matteo, il più “vivente” dei racconti evangelici conquistò l’immaginazione, la sensibilità artistica e la fede di Bach. Artista geniale e fecondo vi partecipa appassionatamente profondendo ad ogni momento della Passione del Cristo un sofferto, interiorizzato lirismo e forza drammatica. Quasi un Simone di Cirene che segue il suo Signore portando la Croce, contandogli i passi e le piaghe, il sudore ed il sangue. Bach, il grande credente brichst e Andern hat er geholfen: i due cori dialogano aspramente, quindi concludono, nel primo brano, in modo derisorio, invitando Cristo a scendere dalla Croce, se egli è davvero Figlio di Dio; nel secondo, in un terribile unisono, tacciandolo di si considera che tutto l’organico era raddoppiato). I tredici veri e propri Corali contenuti nell’opera sono di fatto movimenti a un solo, grande coro, in quanto realizzati tutti con i due cori fusi nell’esecuzione delle quattro parti corali. Le voci e il loro accompagnamento orchestrale si diramavano da punti differenti della chiesa, confluendo e creando un effetto acustico ed impatto nei fedeli di grandissima intensità, ricchezza e Johann Sebastian Bach Autografo bachiano della Passione secondo Matteo Via Crucis segue passo per passo i dolori divini e vi spiega con vigore inaudito, l’essenza della Sacra Scrittura. Nella Matthias-Passion Bach impiega i doppi cori. Il primo coro, a volte, rappresentava Sion (gli ebrei e i sacerdoti del Sinedrio); il secondo coro, i fedeli, seguaci di Cristo spiegano i sentimenti della cristianità; dolore, affanno, lacrime, sconvolgimento alla vista dellumiliante Via Dolorosa del loro mansueto Maestro. Bach fece dialogare i cori quando intese ottenere il massimo effetto drammaturgico, per es. l’intervento dei cori nei due brani del n. 67, Der du den Tempel Gottes zer- bestemmiatore per avere egli osato proclamarsi Figlio di Dio. I fedeli accorsi alla Thomaskirche di Lipsia, dove la Passione secondo Matteo venne eseguita per la prima volta, probabilmente il venerdì santo, 11 aprile 1727, videro i due cori posti a destra e a sinistra della tribuna, distanti tra loro circa quindici metri, e un organo. Ma nella esecuzione del 1736, alle estremità est e ovest della Thomaskirche vi erano certamente due organi; ciascun coro era dunque accompagnato da un organo, da un complesso strumentale, e disponeva di un quartetto di cantanti solisti (otto, quindi, se suggestione (simile ad un effetto sterofonico). Grandioso il Corale che conclude la prima parte della Passione secondo Matteo come un solenne inno di riconoscenza al Figlio di Dio che, con il suo sacrificio sulla Croce, riscatta l’intera umanità dalle sue colpe. I timbri strumentali corrispondono agli stati d’animo dei personaggi o alle sensazioni che essi suscitano. Anche l’armonia concorre efficacemente a creare atmosfere cariche di emozione, come ad esempio nel brano n. 73, Wahrlich, dieser ist Gottes Sohn, nel quale viene rappresentata, dopo il terremoto seguito alla morte di Cristo, la folla sconvolta che riconosce, stupefatta, che l’uomo crocifisso è realmente il figlio di Dio. Le toccanti Arie sono tra i brani più suggestivi della Passione secondo Matteo: affidate alternativamente a ciascuno dei cantanti solisti, sono spesso veri e propri duetti tra lo stesso solista e gli strumenti. Arie sono quasi sempre precedute dagli splendidi Recitativi ariosi, geniali invenzioni bachiane che riflettono ogni accento, ogni stato d’animo e non avranno eguali fino al tempo di Wagner. Nell’Aria n. 9, Du lieber Heiland du, per esempio, nella quale il personaggio femminile interpretato dal contralto implora il suo Maestro e Signore perché le “lasci versare il fiume di lacrime che sgorga dal suo cuore”, i flauti traversi evocano efficacemente i singhiozzi della donna. Altamente suggestivo è pure il penultimo brano della Passione secondo Matteo, n. 77, Nun ist der Herr zur Ruh’ gebracht, nel quale ciascuna delle quattro voci soliste porge lo struggente saluto estremo a Gesù; tra l’uno e l’altro degli interventi solistici, il coro alterna alcune brevi e commoventi battute, che paiono rafforzare l’angosciosa e mesta atmosfera nella quale si esprimono gli addii estremi. La Passione secondo Matteo fu riscoperta e riportata alla luce da Mendelssohn nel 1829 e solo allora il genio di Bach fu apprezzatoo in tutta la sua grandezza. Nel 1850 fu fondata la Società bachiana (Bach Gesellscahft) che intraprese la pubblicazione completa delle opere del Cantore di Lipsia. Un oratorio multimediale dedicato a Giovanni Paolo II PESARO - Si terrà domenica 2 aprile, nell’ambito della 46° stagione concertistica del Teatro Rossini di Pesaro la prima esecuzione assoluta di “Papa Wojtyla”, oratorio per soli, coro, narratore e orchestra di Roberto Molinelli e testi originali di Paolo Peretti. L’esecuzione sarà affidata all’Istituzione Sinfonica Abruzzese diretta dall’autore. Sono gli stessi autori del progetto, Paolo Peretti e Roberto Molinelli, a voler raccontare le motivazioni di un oratorio moderno, che prende lo spunto da una delle figure più significative di tutto l’ultimo secolo. “Papa Wojtyla è stato un eroe del nostro tempo: un personaggio straordinario che ha segnato profondamente la storia del XX secolo, un gigante saldamente ancorato nel Novecento ma proteso verso il Duemila, che ha saputo traghettare la Chiesa cattoli- ca dal secondo al terzo millennio con il suo personale carisma, con la trascinante forza del suo esempio e l’altissima autorità morale del suo magistero. In uno dei pontificati più lunghi della storia, la sua figura, la sua voce, i suoi insegnamenti si sono affermati dovunque. Innumerevoli incontri ed udienze e, soprattutto, viaggi pastorali nei vari continenti lo hanno portato a contatto con i potenti della terra e, contemporaneamente, con i più umili e i diseredati: a tutti ha saputo dire una parola illuminante, regalare un sorriso e gesti di bontà, dimostrare solidarietà umana. Ha umilmente pregato con i cristiani e gli esponenti delle altre religioni per la pace nel mondo, ha sofferto con i poveri, gli emarginati e i malati, ha ammaestrato ed entusiasmato i giovani con la sua giovinezza interiore, ed essi lo hanno amato di un amore speciale. Non preten- diamo di dire tutto quello che si potrebbe dire su di lui, né di raccontarne ordinatamente la storia (cominceremo, invece, dalla fine): ci basterà ricordarlo protagonista di alcuni significativi momenti che faranno riflettere gli spettatori, attraverso i temi e gli insegnamenti proposti nei vari quadri in cui è divisa l’opera. Per questo, oltre a musiche e testi originali, saranno usati anche “frammenti” concreti (la sua immagine, la sua voce, le sue parole) inseriti come reperti documentari all’interno di un Oratorio che, qualificato dall’aggettivo “multimediale”, vuole utilmente impiegare in una forma tradizionale, ma quanto mai adatta al contenuto spirituale e religioso, le moderne tecniche di comunicazione. E non potrebbe essere altrimenti, per un papa che è stato e rimarrà perennemente moderno come Karol Wojtyla”. musica 7 Mercoledì, 29 marzo 2006 MUSICA ROCK - I Pink Floyd sono di nuovo insieme? Della serie: non è vero, ma ci credo! N el 2005 Roger Waters, ha fatto pace con i suoi compagni di vecchia data, ossia i Pink Floyd. Il gruppo, dopo quindici anni di litigi ha finalmente sotterrato l’ascia di guerra e si è rimesso al tavolo di lavoro. Per il momento nessun disco nuovo (nessuna notizia è trapelata, però restiamo nell’attesa di qualche nuova creazione da parte del gruppo), ma solo concerti e tour mondiali con i quattro al gran completo. Vale a dire Roger Waters, frontman e bassista; David Gilmour, la storica voce (nasale) dei PF e chitarrista; Richard Wright, il tastierista del gruppo; Nick Mason, batterista del gruppo. Questa introduzione è simile a tante notizie che nel corso dell’anno (2005) davano i PF di nuovo insieme. Però, pazienza per i fan, sembra che sia tutto falso! Secondo il sito ufficiale dei PF (www.pinkfloyd.com) è tutta una montatura; non ci saranno né tour mondiali, né album nuovi da parte del gruppo nel suo insieme. I fan dovranno accontentarsi di album realizzati individualmente, alcuni dei quali “riletti” in chiave rockettara, come ad es.l’ultima fatica di David Gilmour, oppure dell’ultima realizzazione discografica di Roger Waters che consiste in un’opera lirica contemporanea. Ma vediamo di andare per ordine. I Pink Floyd devono periodicamente smentire i frequenti falsi giornalistici, che vogliono i PF di nuovo in concerto e con un album in fase di preparazione. In un’intervista esclusiva concessa a “Repubblica” da David Gilmour, l’artista dichiara: “La band? It’s over!” Dunque la notizia è più che ufficiale e attendibile. Il gruppo si è sciolto, è finito, kaputt, rotto, pace all’anima sua e amen. I quattro pezzi che hanno proposto al concerto mondiale di “Live 8”, (concerto per cancellare i debiti dell’Africa, organizzato da Bob Geldof nel luglio 2005) sono stati l’ultimo atto della loro vicenda musicale. Gilmour, nell’intervista a “Repubblica”, ha dichiarato: “Penso di averne avuto abbastanza. Ho 60 anni. Non voglio più lavorare tanto. È un’importante parte della mia memoria, ho avuto enormi soddisfazioni, ma adesso basta. È molto più confortevole lavorare per conto mio”. “Roger ha lavorato in questi ultimi vent’anni in modo assolutamente autocratico e avrebbe grandi difficoltà a far parte di un’unità democratica”, sostiene il chitarrista sulla questione di un possibile desiderio di Roger Waters di tornare a far parte del gruppo. E continua:”La questione di Roger è irrilevante, perché anche senza di lui non ho voglia di andare avanti come Pink Floyd. Sono felice della mia vita, fare cose come Pink Floyd, è un affare troppo grande per me, ora. Quando ti muovi come gruppo è tutto gigantesco, le attese sono enormi, le pressioni altissime. Vorrebbero farci fare cento concerti. Io sto bene così. È stato fantastico, ma adesso non ne ho più voglia”. Una delle rare occasioni dove era presente anche Syd Barret, il quale a causa di diIn occasione del concerto “Live 8”, (te- sturbi psichici finì in manicomio. Al centro David Gilmour. Da sinistra a destra: Nick nutosi contemporaneamente in otto città Mason, Syd Barret, Roger Waters e Richard Wright mondiali con lo scopo di chiedere la cancelL’altro cantante dei PF, Roger Waters, lazione totale del debito dei paesi del Ter- zo Mondo) si erano visti i PF al completo, e da quel momento sono iniziate a circolare in combutta con il gruppo fino a poco temle voci di un possibile tour mondiale e di un po fa, ha pubblicato un nuovo album. Non album in fase di preparazione. Alla doman- di carattere rock, ma un Cd dove suonada perché avesse fatto la reunion per “Live no 82 elementi di un’orchestra sinfoni8”, Gilmour ha risposto: “Per molte ragioni. ca, con tre formazioni corali e un grupLa prima era ovviamente aiutare la causa. po d’interpreti lirici. Dunque l’autore de La seconda è che io e Roger abbiamo avu- “The Wall”, si è dato all’opera. Il titolo to pessime relazioni e questo è uno spreco del melodramma è “Ça Ira” (2006). Dobd’energia e anche una brutta cosa da porta- biamo sottolineare che nell’album non c’è re nel cuore, per cui avevamo voglia di fare neanche ombra di rock. Waters, da quando qualcosa per scacciare tutta quella spazzatu- ha litigato con i compagni, agli inizi dera. La terza è che se non l’avessi fatto forse gli anni ’80, si è praticamente rifiutato di scrivere canzoni “normali”, anzi si è iml’avrei rimpianto per sempre”. Gilmour ha aspettato vent’anni per il pegnato in progetti mastodontici la magsuo terzo album da solista intitolato “On a gior parte dei quali (con delle eccezioni, Island”. Nell’album, che è uscito il 6 marzo come ovunque) non sono stati “compresi” di quest’anno, sono molte le presenze e col- dal pubblico. In conclusione, anche noi come la maglaborazioni di valore. Tra le quali Richard Wright, il tastierista dei Pink Floyd e Phil gior parte dei fan dei PF ci siamo emozioManzanera, il chitarrista dei Roxy Music, nati la sera del Live 8, e subito abbiamo inianche musicista e co-produttore di ‘On An ziato a sognare un grande ritorno del grupDopo quindici anni di litigi i Pink Floyd di nuovo insieme, ma solamente per Live 8 po. Peccato. Titta Poli Island’. Pubblico in delirio per i Depeche mode Depeche Mode A cura di Helena Labus ZAGABRIA - Il 22 marzo 2006 è stata una data importante per tutti i fans dei Depeche Mode in Croazia, ma anche fuori dai confini del Paese, che quel giorno si sono dati appuntamento al Palazzetto dello sport di Zagabria per assistere al tanto atteso concerto dei propri beniamini, che in questo momento stanno facendo il giro dell’Europa per promuovere il loro nuovo album “Playing the Angel”. Secondo quanto riportato dalla stampa internazionale, e da quanto si è visto durante il concerto che ha attirato un folto pubblico, la tournèe sta andando a gonfie vele, registrando il tutto esaurito. Come all’ultima puintata della band in Croazia, quattro anni fa, il successo non è mancato e i tre inglesi hanno portato in delirio la platea che in due ore non ha smesso di cantare all’unisono tutti i più grandi successi e di seguire in trans l’esecuzione dei brani scelti dal nuovo album della band. In fin dei conti, parliamo di uno dei gruppi più importanti dell’elettropop, che si trova al vertice della produzione musicale mondiale da più di due decenni. Tra i pionieri del synth-pop agli albori degli Anni ’80, i Depeche Mode hanno creato un suono che ha fatto scuola, sopravvivendo alla crisi dei loro compagni di strada e al tentato suicidio del cantante Dave Gahan. Formatisi a Basildon in Inghilterra, sono stati esponenti di spicco dell’elettropop assieme agli Ultravox, agli Eurythmics e ai Soft Cell, ma la loro carriera ha visto anche l’evoluzione da un suono morbido e scanzonato ad atmosfere cupe e angosciate con la svolta dei primi Anni ’90. La storia del complesso inizia nel 1977, quando Andrew Fletcher e Vince Clark incontrano Martin Gore, ai quali si unisce più tardi Dave Gahan, che diventerà il leader del gruppo. La band inizia a sperimentare esclusivamente con i sintetizzatori e con la musica elettronica, traendo ispirazione dall’opera dei Kraftwerk, un altro gruppo essenziale per lo sviluppo del suono sintetico. Inizia negli anni’80 l’asce- sa e l’affermazione della band sulla scena musicale internazionale. Danno alla luce i dischi “Broken Frame (1982) e “Construction Time Again” (1983), mentre con la raccolta di singoli pubblicata nel 1985 superano la fase dell’elettropop e si dedicano alla ricerca di nuove espressioni musicali. Con il disco “Black Celebration” (1986) la band crea una svolta nella propria musica, che diventa più cupa e angosciata, come lo è anche l’interpretazione di Gahan. L’atmosfera cupa e “dark” si mantiene anche nel disco del 1987, “Music for the masses”. Il gruppo è ormai uno dei più acclamati al mondo e dimostra una particolare attitudine alle esecuzioni dal vivo con il disco doppio “101”. Purtroppo, la sempre più grande popolarità porta con sé anche seri problemi. Infatti, il cantante Dave Gahan lotta con la droga e la depressione. Un fase difficile durante la quale viene pubblicato quello che è considerato il loro disco più bello – il “Violator” (1990) – che contiene i loro maggiori successi come “Personal Jesus”, “Enjoy the silence” e tanti altri. Nel 1993 esce “Songs of faith e devotion”, un’altra perla musicale, ma contemporaneamente peggiorano le condizioni psicologiche di Gahan, che nel 1986 tenta il suicidio, salvandosi per miracolo. Nel frattempo, uno dei membri del gruppo decide di andarsene, ma i Depeche Mode continuano la loro avventura in tre, sfornando un altro album di successo – “Ultra” (1997) – carico di nuovi hit come la fantastica “Useless”, o la delicata “Home”. La serenità è ritornata nel gruppo e i Depeche Mode continuano sulla loro strada con successo. Nel 2001 è la volta di “Exiter”, un altro album che dimostra la maturità che la musica della band ha raggiunto nel corso degli anni. I Depeche Mode sono inossidabili, ma ancora volti verso la ricerca di nuove sonorità anche con il loro ultimo disco, “Playing the Angel”, che nasconde ancora molti segreti. 8 musica Mercoledì, 29 marzo 2006 MUSICA LIRICA - Anna Moffo non c’è più SCARPETTE BIANCHE - Sala Tripcovich Una diva dalla voce di velluto Le scuole fanno danza TRIESTE - Un’ondata di ottimismo ha dissolto la consueta stagnazione delle acque teatrali triestine: “Leggere... per Ballare”. Questo il titolo di un inconsueto spettacolo coreutico, offerto per tre serate consecutive ad un pubblico straripante, composto da giovanissimi (ma anche da adulti e... non più giovani) in Sala Tripcovich. Auspici la Federazione Nazionale Associazioni Scuole di Danza, la Walt Disney International e la Fondazione Teatro Verdi. Nove Scuole di Danza del Friuli-Venezia Giulia, ben distanti territorialmente fra loro (Ronchi, Pordenone, Maniago, Latisana, Tarvisio, Tolmezzo, Maniago e Trieste) si sono coalizzate per inscenare una produzione ispirata alla disneyana “Cenerentola”. Una produzione di alto livello, che chiamare “Saggio” sarebbe riduttivo, allineante ben ottanta ballerini, dai dieci anni in sù, per festeggiare il 55.esimo anniversario del celeberrimo Film disneyano. Appare sorprendente che tali Scuole di Danza di sì distante collocazione siano riuscite, grazie alle loro dirette insegnanti, al coordinamento artistico di Arturo Cannistrà, con la coreografa Viviana Palucci, il taglio drammaturgico di Tinin Montegazza, l’assistenza musicale di Alessandro Baldrani e la voce recitante di Enrico Vagnini, ad inscenare uno spetta- colo tanto gradevole e “professionale”, inquadrato in una scenografia efficace quanto essenziale, con luci e costumi così felici ed eleganti. Disciplinatissime le “file”, appaganti i giovani solisti, spiritose le semplici “trovate” sceniche, un po’ gracchiante solo la resa sonora delle musiche registrate, ovviamente tratte dallo storico Cartoon disneyano. Di tutta questa folla di giovanissimi danzatori e danzatrici, forse solo pochi faranno della Danza la loro professione. Ma la lezione di euritmia, disciplina ed entusiasmo resterà comunque, per tutti loro, un’esperienza importante, forse fondamentale negli anni futuri. È emersa la fresca musicalità istintiva della nostra gente, supportata da uno studio spesso severo ed esigente. Per gli spettatoti d’ogni età (e, perché no, per gli organizzatori teatrali) è emersa la confortante certezza che non con i soldi si fanno Teatro e Danza. Talvolta bastano la fede, la dedizione e l’entusiasmo. Questo affascinante spettacolo è stato infatti, praticamente, a “costo zero” per il Teatro triestino. Forse, con tale “risparmio”, si potrà dotare la Sala Tripcovich di un impianto di riproduzione sonora almeno decente. Chi vive sperando... Fabio Vidali QUIZ - Chissà chi lo sa? 1.Il liuto, strumento a corde che conobbe maggior fortuna nel periodo del Rinascimento (XV secolo), è di origine: a) araba b) francese c) cinese Il liuto 2. La raccolta di canti goliardici medievali, intitolata “Carmina Burana”, ispirò quale compositore a scrivere l’omonima cantata scenica? a) Alban Berg b) Carl Orff c) Max Reger 3. S’intitola “The wall” l’album programmatico composto nel 1979 da uno dei gruppi inglesi più famosi della storia del rock, i... a) Rolling Stones b) The Verve c) Pink Floyd 4. A quale compositore fu chiesto di comporre un concerto per la mano sinistra per il pianista Paul Wittgenstein, che perse l’uso del braccio destro in seguito ad un’amputazione dovuta a una ferita di guerra? a) Claude Debussy b) Maurice Ravel c) Gabriel Fauré 5. L’interpretazione della canzone popolare irlandese “Whiskey in the jar” fu uno dei grandi successi dei... a) The Dubliners b) U2 c) The Corrs 6. Oltre ad essere una cantante dotata di una voce splendida e di grandi doti interpretative che l’hanno vista interprete di musica pop e di musicals, tra cui il grande successo “Woman in love”, si è cimentata anche come attrice e regista di film (tra cui “Funny girl” e “Yentl”). I suoi concerti hanno lo status di evento esclusivo. Lei è: a) Céline Dion b) Laurie Anderson c) Barbra Streisand 7. Il grande amore di Tosca, la protagonista dell’omonima opera di Giacomo Puccini si chiama... a) Uberto b) Mario Cavaradossi c) il Duca di Mantova 8. Scritta dal compositore americano George Gershwin, è una delle rapsodie più “colorate” della storia della musica. Parliamo della Rapsodia in... a) verde b) giallo c) blu 9. Nel famoso film di fantascienza “2001. Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, un’astronave volteggia nello spazio al suono di: a) Il bel Danubio blu di Johann Strauss b) La danza delle ore di Amilcare Ponchielli c) Il Bolero di Maurice Ravel 10. Uno dei geni della musica contemporanea americana, Frank Zappa, oltre ad esser stato autore di un opus enorme che ha spaziato dalla musica rock a quella sperimentale, caratteristica per l’umorismo e la parodia, è stato anche un eccezionale... a) clarinettista b) sassofonista c) chitarrista NEW YORK - Lutto nel mondo della lirica. E’ venuta a mancare nella notte del 10 marzo scorso a New York il soprano Anna Moffo, 73 anni, famosa in tutto il mondo per la sua voce di velluto e la bellezza del suo viso incorniciato da lunghi capelli neri. Occhi da cerbiatta, silhouette da ninfa, voce di grande estensione, la cantante italo americana era nata a Wayne, in Pennsylvania, il 27 giugno del 1932. La sua carriera si sviluppò soprattutto tra Italia e Stati Uniti. Vincitrice del concorso “Fullbright”, competizione istituita negli Usa che prevedeva un periodo di studio e di perfezionamento in Italia, fece il suo debutto nel ‘55 come Norina, protagonista del “Don Pasquale” di Gaetano Donizetti, sul palcoscenico del Teatro lirico sperimentale di Spoleto. Fortunata interprete di alcune produzioni televisive (diretta dal futuro marito Mario Lanfranchi fu, tra l’altro, Cho-cho San nella pucciniana “Madama Butterfly”), brucio’ le tappe della sua carriera italiana esordendo ancora giovane al San Carlo di Napoli e alla Scala di Milano e partecipando a numerosi, prestigiosi festival europei, da Aix en Provence a Salisburgo, con un repertorio assai ricco comprendente pure Carmen, Turandot, Manon. Il debutto oltreoceano risale al ‘57, quando interpretò Mimi’ nella “Boheme” di Puccini alla Liryc Opera di Chicago, ma la sua fama si legò soprattutto a Violetta nella “Traviata” di Verdi, rappresentata al Metropolitan di New York e poi replicata un’infinità di vol- Anna Moffo come Traviata te. Costretta ad abbandonare prematuramente le scene da problemi alla voce, apparve anche in diversi film, fra i quali “Napoleone ad Austerlitz” (1960) di Abel Glance, “Menage all’italiana” di Franco Indovina (1965), “La Traviata” (1967) di Mario Lanfranchi e “Il divorzio” (1970) di Romolo Guerrieri. Dopo il divorzio da Lanfranchi, sposo’ nel 74 il direttore televisivo Robert Sarnoff, a capo della Bbc tra gli anni ‘50 e ‘60. girotondo quando canta e suona il mondo vic. In programma il concerto n.1 per pianoforte, tromba e archi e la Sinfonia n.8. Orchestra di Santa Cecilia, Mikhail Rudy pianoforte, Andrea Lucchi tromba Grigory Sokolov in recital (3 marzo). Primo appuntamento con la rassegna “Il pianoforte a 5 stelle”. In programma la Suite francese n.3 di Bach, la Sonata op.31 n.2 di Beethoven e la Sonata n.1 di Schumann. Da Mozart a Liszt con Lang Lang (10 marzo) Secondo appuntamento della rassegna “pianoforte a cinque stelle” con Lang Lang, star mondiale a soli 24 anni. In programma cinque diversi autori: Mozart, Chopin Schumann, Rachmaninoff, Liszt. La Carnegie Hall New York Carnegie Hall (marzo) Jerusaleme Chamber Music Festival - musiche di Mozart, Schoemberg, Olivero. Vienna Philarmonic Orchestra diretta da Riccardo Muti - musiche di Hindemith e Schubert Boston Symphony Orchestra diretta da James Levine - musiche di Schoemberg e Beethoven Jean - Yves Thibaudet (pianoforte) - musiche di Schumann e Ravel dell’anniversario della nascita di Mozart , 27/I. Le tre ultime sinfonie di Mozart (Apertura del festival OsterKlang Wien): 7, 8/4/2006 Cecilia Bartioli e i Filarmonici di Vienna: 4/5/2006 La Betulia liberata: 27, 28/ 5/2006 Sonata per violino con AnneSophie Mutter: 15, 16, 17/10/ 2006 Messa in Do minore: 9, 10, 11/12/2005 e 5/12/2006 Vienna Roma Musikverein Dopo l’esecuzione della Messa in Do minore (“Messa d’Incoronazione”) nel giorno Accademia di S. Cecilia Rostropovic dirige Sciostakovic, 4/7/8 marzo. Concerto dedicato al centenario della nascita di Sciostako- Lang Lang Anno 2 / n. 3 29 marzo 2006 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Frank Zappa Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Željka Malec Collaboratori: Helena Labus, Mirella Malusà, Gianfranco Miksa e Fabio Vidali Soluzioni: 1. a), 2. b), 3. c), 4. b), 5. a), 6. c), 7. b), 8. c), 9. a), 10. c).