S.I.A.R.E.D
SOCIETÀ ITALIANA DI ANESTESIA RIANIMAZIONE
EMERGENZA E DOLORE
ATTI
4º CONGRESSO NAZIONALE
Napoli, 19-20-21 giugno 2006
Centro Congressi
Città della Scienza
SOCIETÀ ITALIANA DI ANESTESIA RIANIMAZIONE EMERGENZA E DOLORE
PRESIDENTE
Giuseppe A. Marraro
VICE PRESIDENTE
Vincenzo Carpino
CONSIGLIERI
Tiziano Rosafio – Abruzzo
Marcello Ricciuti – Basilicata
Annibale Musitano – Calabria
Marco Ingrosso – Campania
Paolo Gregorini – Emilia Romagna
Luciano Silvestri – Friuli, Venezia Giulia
Nicola Pirozzi – Lazio
Salvatore Palermo – Liguria
Carlo Capra – Lombardia
Raffaella Pagni – Marche
Romeo Flocco – Molise
Gian Maria Bianchi – Piemonte, Valle D’Aosta
Gaetano Perchiazzi – Puglia
Giovanni Maria Pisanu – Sardegna
Emanuele Scarpuzza – Sicilia
Adriana Paolicchi – Toscana
Franco Auricchio – Provincia di Bolzano
Maurizio Azzolini – Provincia di Trento
Alcide Moroni – Umbria
Giampiero Giron – Veneto
SEGRETARIO
Umberto Vincenti
TESORIERE
Leonardo Masullo
S.I.A.R.E.D.
SOCIETÀ ITALIANA DI ANESTESIA RIANIMAZIONE EMERGENZA E DOLORE
4º CONGRESSO NAZIONALE
Napoli, 19-20-21 Giugno 2006
PRESIDENTE
Giuseppe A. Marraro
COMITATO SCIENTIFICO
Gian Battista Anguissola
Cesare Arienta
Vincenzo Carpino
Enrico Croce
Antonio Fantoni
Antonino Gullo
Pasquale Mastronardi
Alberto Pesci
Nicola Pirozzi
COMITATO ORGANIZZATORE
Elio Recchia
Benedetta Finelli
Giuseppe Galano
Mario Guariglia
Marco Ingrosso
Vittoriano L’Abbate
Roberto Mannella
COORDINAMENTO
Claudio Spada
DI
SEGRETERIA
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
S.I.A.R.E.D. – A.A.R.O.I.
Via XX Settembre, 98/E - 00187 Roma
Tel. 06 47825272 - Fax 06 47882016
e-mail: [email protected] - web: www.siared.it
INFORMAZIONI GENERALI
SEDE DEL CONGRESSO
+
Centro Congressi – Città della Scienza – Napoli
ISCRIZIONE
+
L’iscrizione al Congresso deve essere effettuata compilando in ogni sua parte la scheda allegata da inviare a: Segreteria Nazionale S.I.A.R.E.D.-A.A.R.O.I. – Via XX Settembre, 98/E –
00187 Roma, unitamente alla copia del relativo bonifico bancario.
Si ricorda che il 10 giugno 2006 scade il termine per la pre-iscrizione.
Dopo tale data sarà possibile iscriversi solo in sede congressuale.
QUOTE DI ISCRIZIONE
+
Entro il 30 aprile 2006
– Soci AAROI, Specializzandi ed Accompagnatori: 200,00 euro
– Soci SIARED: 300,00 euro
– Non Soci: 400,00 euro
Dopo il 30 aprile 2006
– Soci AAROI, Specializzandi ed Accompagnatori: 250,00 euro
– Soci SIARED: 350,00 euro
– Non Soci: 450,00 euro
L’ISCRIZIONE AL CONGRESSO DÀ DIRITTO A:
+
– Kit congressuale
– Partecipazione ai lavori scientifici
– Partecipazione agli eventi ECM e rilascio dei crediti formativi
– Atti del Congresso
– Attestato di partecipazione
– Coffee break durante i lavori
– Buffet di benvenuto di lunedì 19 giugno 2006
– Colazione di lavoro di martedì 20 giugno 2006
– Cena sociale e spettacolo di martedì 20 giugno 2006
– Parcheggio dell’auto nel piazzale antistante il Centro Congressi
Nell’Anfiteatro del Centro Congressi, sarà allestito un maxischermo per la visione
delle partite dei mondiali di calcio.
CANCELLAZIONE
+
In caso di rinuncia pervenuta per iscritto entro il 30 aprile 2006 sarà rimborsato il 50% della quota di iscrizione versata. Dopo tale data non si effettuerà alcun rimborso.
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INFORMAZIONI GENERALI
+
PRENOTAZIONE ALBERGHIERA
La prenotazione alberghiera si effettua compilando la scheda allegata da inviare a:
Maliga Organizzazione Eventi
Via Epomeo, 63b - 80126 Napoli
Tel. 081 7678468 - Tel. e fax 081 7282538
e-mail: [email protected]
+
AREA ESPOSITIVA
Per tutta la durata del Congresso sarà allestita un’area espositiva di circa 1.000 mq alla
quale parteciperanno Aziende Farmaceutiche, Aziende produttrici di Apparecchiature
Elettromedicali e Case Editrici Scientifiche.
+
COME RAGGIUNGERE NAPOLI
In auto
Da Nord: Autostrada A1 Milano-Roma-Napoli;
Da Est: Autostrada A16 Napoli-Bari;
Da Sud: Autostrada A3 Napoli-Reggio Calabria;
a Napoli seguire le indicazioni “Tangenziale”, prendere le uscite “Fuorigrotta” o “Agnano”
della Tangenziale di Napoli e seguire le indicazioni per Bagnoli e Città della Scienza.
In treno
Dalla Stazione Centrale FS di Napoli, con la Metropolitana: scendere alla fermata “Cavalleggeri d’Aosta”, quindi procedere per circa 1.500 metri o prendere il bus C10 (per ulteriori informazioni: Azienda Napoletana di Mobilità numero verde 800.639525).
In aereo
Dall’Aeroporto Internazionale di Napoli: L’aeroporto è collegato con la stazione di Piazza
Garibaldi (Stazione Centrale FS) con un bus-navetta Alibus ogni 30 minuti (feriale: 6:3023.39, sabato: 6:30-23:50; festivo: 6:30-23:50) oppure con la linea urbana di autobus ANM
sempre per Piazza Garibaldi (Stazione Centrale FS) Linea 3S, partenze ogni 10 minuti circa
(per ulteriori informazioni: Azienda Napoletana di Mobilità numero verde 800.639525).
5
INFORMAZIONI SCIENTIFICHE
ABSTRACT PER POSTER E COMUNICAZIONI LIBERE
+
Il Congresso prevede la presentazione di contributi scientifici riguardanti l’Anestesia, la Rianimazione, l’Emergenza, il Dolore, la Terapia Iperbarica e le Scienze affini.
Gli Abstract, per partecipare alla selezione dei lavori, da presentare oralmente, devono
giungere improrogabilmente entro il 30 aprile 2006 per motivi strettamente organizzativi
(richiesta al Ministero della Salute di validazione della Sessione).
Gli Abstract, sia per le Comunicazioni libere che per i Poster, dovranno essere trasmessi a
mezzo posta elettronica all’indirizzo: [email protected] redatti in modo conforme alle specifiche indicate nel modulo disponibile on-line nel sito www.siared.it.
I contributi accettati come Poster dovranno avere le dimensioni di cm 100 di base per cm
120 d’altezza e dovranno essere affissi, a cura degli Autori, negli appositi spazi numerati a
partire dalle ore 13:00 del 19 giugno e dovranno essere rimossi al termine del Congresso.
Saranno accettati solo Abstract presentati da Autori regolarmente iscritti al Congresso.
Sono previste visite guidate alla presenza degli Autori.
L’accesso all’area Poster sarà possibile durante tutta la durata del Congresso.
TRADUZIONE SIMULTANEA
+
È previsto un servizio di traduzione simultanea durante le sessioni con gli ospiti stranieri.
CREDITI ECM
+
Per i cinque eventi congressuali è stato richiesto al Ministero della Salute l’accreditamento
ECM per la figura professionale “Medico” disciplina di riferimento “Anestesia e Rianimazione”.
La scelta degli eventi ECM della corrispondente sessione a cui partecipare dovrà essere effettuata utilizzando la scheda di iscrizione allegata al programma e scaricabile
dai siti www.aaroi.it e www.siared.it.
Per accedere alle sale in cui si svolgono gli eventi ECM bisognerà utilizzare la Smart Card
AAROI.
Per i Colleghi non in possesso della Smart Card AAROI è previsto il rilascio di una card provvisoria da ritirare presso la Segreteria e da restituire al termine dei lavori congressuali.
CERTIFICAZIONE DEI CREDITI ECM
+
Poiché i Crediti possono essere assegnati solo dopo la correzione delle schede di apprendimento, la certificazione dei Crediti ottenuti dai singoli partecipanti sarà spedita dalla Segreteria Organizzativa entro tre mesi dalla fine del Congresso.
ATTESTATO DI PARTECIPAZIONE
+
L’attestato di partecipazione sarà rilasciato a tutti gli iscritti che ne faranno richiesta alla Segreteria, al termine dei lavori scientifici.
6
INFORMAZIONI SCIENTIFICHE
+
CENTRO PROIEZIONI
È possibile effettuare le presentazioni direttamente da computer con programma PowerPoint. Il materiale dovrà essere consegnato al Centro proiezioni almeno un’ora prima
dell’inizio della sessione per verificarne la corretta presentazione e dovrà essere ritirato al
termine della stessa.
+
ATTI DEL CONGRESSO
Tutti i contributi scientifici presentati al Congresso verranno pubblicati negli Atti che saranno distribuiti in sede congressuale.
+
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
S.I.A.R.E.D.
Via XX Settembre, 98/E - 00187 Roma
Tel. 06 47825272 - Fax 06 47882016
e-mail: [email protected]
+
SCADENZE DA RICORDARE
+
30 aprile 2006 - Invio abstract per Poster e Comunicazioni Libere.
+
30 aprile 2006 - Iscrizione al Congresso con quota ridotta.
+
15 maggio 2006 - Prenotazione alberghiera.
+
10 giugno 2006 - Scadenza del termine per la pre-iscrizione.
Informazioni e aggiornamenti relativi al Congresso sui siti : www.siared.it - www.aaroi.it
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4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D.
4° CONGRESSO NAZIONALE SIARED
NAPOLI - CITTA’ DELLA SCIENZA
19 – 20 – 21 giugno 2005
PROGRAMMA SCIENTIFICO–SCIENTIFIC PROGRAM
“IN PRIMA LINEA SEMPRE IN TUTTE LE EMERGENZE”
“ALWAYS IN THE FIRST LINE IN EVERY EMERGENCY”
LUNEDÌ 19 GIUGNO
10.00 - Apertura della Segreteria per accreditamento dei partecipanti
Evento ECM – A
LE GRANDI EMERGENZE E LE CATASTROFI / MAXIEMERGENCY AND CATASTROPHES
Crediti ECM richiesti per l’evento
14:30-14:45 - Registrazione dei Partecipanti
SESSIONE PLENARIA (Sala “Newton”) Moderatori: Giuseppe Nardi (Roma), Mario Landriscina (Como)
14:45-15:15
Lettura introduttiva David Lockey (Londra - UK)
Londra: 7 luglio 2005 – disastro umano / London: 7 July 2005 – human disaster
15:15-15:45
Lettura introduttiva Marta di Gennaro (Roma)
Asia: 26 dicembre 2004 lo tsunami – disastro naturale / Asia: 26 December 2004 tsunami – natural disaster
15:45-16:15
Lettura introduttiva Tom Jefferson (Roma)
Bufale, polli e SARS – disastro non controllabile / Red herrings, birds and SARS – uncontrollable disaster
16:15-16:30 - Pausa caffé
Sessione parallela 1 (Aula “Archimede”) – Sp-1A
16:30-19:30
Esperienze a confronto nell’organizzazione e gestione dell’emergenza in Italia / Comparative experiences in
organization and managing of emergency in Italy – 4 Crediti ECM – Coordinatore: Antonio Morra (Torino)
- Esperienza del 118 e dell’elisoccorso di Como / Como’s emergency call service and helicopter rescue
Mario Landriscina, Franco Foti (Como)
- Organizzazione e gestione del Soccorso Sanitario nei cantieri TAV e VAV dell’Appennino Tosco-Emiliano / Organization and
management of emergency rescue in high speed railway and new road building sites in the appenines
Giuseppe Grana e Marco Vigna (Bologna), Domenico De Luca (Firenze)
- Il registro interospedaliero dei traumi gravi / Inter-hospital register of severe trauma
Giuseppe Nardi (Roma), Stefano Di Bartolomeo (Udine)
- La risposta ospedaliera: anello debole della catena dei soccorsi? / The hospital response: weak link in the rescue chain?
Tiziano Rosafio (Chieti)
Sessione parallela 2 (Aula “Averroé”) – Sp-2A
16:30-19:30
La gestione del politrauma / Management of politrauma – Coordinatore: Giuseppe Citerio
- Il grande politraumatizzato / Severe politrauma patient
Giuseppe Citerio (Monza)
- La sindrome da schiacciamento / Crush syndrome
Romeo Flocco (Campobasso)
- Il trauma cranico / Brain trauma
Davide Galli (Monza)
- Il trauma midollare / Spinal trauma
Sergio Aito (Firenze)
- Il trauma toracico / Chest trauma
Carmelo Denaro (Catania)
- L’anestesia e la sedazione nell’emergenza extraospedaliera / Anesthesia and sedation in out of hospital emergency
Giovanni Maria Pisanu (Cagliari)
Sessione parallela 3 (Aula “Saffo”) – Sp-3A
In collaborazione con la Società di Anestesia Rianimazione Neonatale e Pediatrica (SARNePI)
16:30-19:30
Il politrauma in età pediatrica / Politrauma in pediatric age – 3 Crediti ECM – Coordinatore: Ida Salvo (Milano)
- Le peculiarità del trauma pediatrico / Specifics of pediatric trauma
Nicola Pirozzi (Roma)
- La gestione delle vie aeree nel bambino / Airway management in children
Simonetta Baroncini (Bologna)
- Il trauma toracico in età pediatrica: nuove possibilità terapeutiche / Chest trauma in children: new therapies
Antonio Cinquesanti (Foggia)
- L'anestesia e la sedazione nell'emergenza extraospedaliera / Anesthesia and sedation in out of hospital emergency
Andrea Messeri (Firenze)
1
4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D.
19:30-19:45 - Test verifica apprendimento e schede valutazione evento
20:00 – Cerimonia inaugurale
Gemellaggio tra SIARED/AAROI e SNPHAR
Saluto del Presidente del “Syndicat National des Praticiens Hospitaliers Anesthésistes-Réanimateurs - SNPHAR”
"Do anaesthetists need less sleep than others?"
Michel Dru (Paris, Francia)
“Ventilazione artificiale e monitoraggio in anestesia e rianimazione”
(Sala “Newton”)
Seminario organizzato in collaborazione con Maquet e Tyco
16:30-17:30
Moderatori: Elio Recchia, Alfonso Natale
- Volume di Supporto come tecnica di svezzamento avanzata: dati clinici / Volume Support as advance weaning technique:
clinical data (Maquet)
Tiziana Principi (Ancona)
- Il monitoraggio INVOS in Anestesia e Rianimazione / INVOS monitoring in Anaesthesia and Intensive Care (Tyco)
Fabio Daino (Product Manager Tyco)
COMUNICAZIONI LIBERE (Sala “Newton”)
17:30-19:00
Moderatori: Gian Maria Bianchi, Gaetano Perchiazzi
- Utilizzo del surfattante attraverso BAL nelle patologie polmonari intensive non convenzionali: nostra esperienza preliminare
Dante Lo Pardo (Salerno)
- Il tromboelastogramma in chirurgia cardiaca: quale valore predittivo?
Matteo De Martino (Salerno)
- Fascite necrotizzante ad esito letale
Marcello Difonzo (Bari)
- Influenza del management perioperatorio sulla Nausea e Vomito postoperatori. Studio in un Acute Pain Service
Daniele Amitrano (Pisa)
- Monitoraggio della profondità dell’anestesia generale: tre metodiche a confronto
Sonia Catarsi (Pisa)
- L’anestesia pediatrica ad Antigua, Guatemala: un’esperienza
Teresa Matarazzo (Bologna)
17:00 – Consiglio Direttivo S.I.A.R.E.D.
20:30 - Buffet di benvenuto
MARTEDÌ 20 GIUGNO MATTINA
Evento ECM – B
IL TRAPIANTO D’ORGANI / ORGAN TRANSPLANTATION
Crediti ECM richiesti per l’evento
08:15-08:30 - Registrazione dei partecipanti
SESSIONE PLENARIA (Sala “Newton”) Moderatori: Paolo Feltracco (Padova), Patrizio Vitulo (Palermo)
08:30-09:00 - Lettura introduttiva Francesco Gabbrielli (Roma)
Stato dell’arte alla luce dei reali dati epidemiologici / State of the art according to epidemiological data
09:00-09:30 - Lettura introduttiva Martin Langer (Milano)
Problemi anestesiologici nel paziente da trapiantare / Anesthesiological problems of patients requiring transplants
09:30-10:00 - Lettura introduttiva Patrizio Vitulo (Palermo)
Il post operatorio a breve e a lungo termine del trapiantato / Short and long term post operative care of post-transplants
patients
10:00-10:15 - Pausa caffé
Sessione parallela 1 (Aula “Archimede”) – Sp-1B
10:15-13:15
Il donatore d’organi / Organ donor – Coordinatore: Cristiano Martini (Lecco), Elena Galassini (Milano)
- Generalità sul donatore d’organi / A portrait of the organ donor
Paolo Pettinao (Cagliari)
- Il mantenimento del paziente in attesa del prelievo / Maintenance of the patient awaiting a transplant
Cristiano Martini (Lecco), Gabriella Tropea (Catania)
- Nuove prospettive nel mantenimento del polmone / New perspectives in lung maintenance
Sergio Pintaudi (Catania)
- Il donatore marginale: fin quando si può donare? / Marginal donor: until when is it possible to be a donor?
Serafina Berardi, Potenza
2
4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D.
Sessione parallela 2 (Aula “Averroé) – Sp-2B
10:15-13:15
Il trapianto d’organi / Organ transplantation – 3 Crediti ECM – Coordinatore: Paolo Feltracco (Padova)
- Insufficienza d’organo end-stage e trapianto di organo solido: problematiche anestesiologiche / End-stage organ failure and
transplantation of solid organ: anesthesiological problems
Paolo Feltracco (Padova)
- L’anestesia per chirurgia generale successiva al trapianto / Anesthesia for general surgery after transplant
Eugenio Serra (Padova)
- Il punto di vista chirurgico / The surgical point of view
Alessandro Bertani (Palermo)
- Ematologia, trasfusione e ruolo dei sostituti sintetici del sangue / Hematology, transfusion and role of the synthetic substitutes of the
blood - Paolo Marcianò (Reggio Calabria)
Sessione parallela 3 (Aula “Saffo”) – Sp-3B
10:15-13:15
Il trapianto in età pediatrica / Transplantion in pediatric age – Coordinatori: Marinella Astuto (Catania), Federica
Ferrero (Novara)
- Il trapianto di cuore / Heart transplantation
Roberto Picardo (Roma), Carmelita Varano (Roma)
- Il trapianto di fegato / Liver transplantation
Valter Sonzogni (Bergamo)
- Il trapianto di midollo / Bone marrow transplantation
Franco Locatelli (Pavia), Maria Ester Bernardo (Pavia)
- L’anestesia per chirurgia generale successiva al trapianto / Anesthesia for general surgery after transplant
Nicola Zadra (Padova)
13:15-13:30 - Test verifica apprendimento e schede valutazione evento
13:30-14:30 - Colazione di lavoro
PRESENTAZIONE ORALE POSTER (Sala “Newton”)
10:15-13:15
Moderatori: Annibale Musitano, Marcello Ricciuti
09:00 – Consiglio Direttivo A.A.R.O.I.
09:00 – Consiglio Direttivo S.I.C.D.
MARTEDÌ 20 GIUGNO POMERIGGIO
Evento ECM – C
L’ASSISTENZA ANESTESIOLOGICA AL PARTO / ANESTHESIOLOGICAL ASSISTANCE AT DELIVERY
In collaborazione con il Club Italiano di Anestesia in Ostetricia (CIAO)
Crediti ECM richiesti per l’evento
14:30-14:45 - Registrazione dei partecipanti
SESSIONE PLENARIA (Sala “Newton”) Moderatori: Pasquale Mastronardi (Napoli), Raffaella Pagni (Ancona)
14:45-15:15 - Lettura introduttiva Soonu Udani (Mumbai, India)
La condizione della gravida e del neonato in India / Perinatal healthcare in India
15:15-15:45 - Lettura introduttiva Danilo Celleno (Roma)
Anestesia generale ed anestesia locoregionale nel taglio cesareo a rischio materno e fetale / General and loco-regional
anesthesia for high risk maternal and fetal cesarean section
15:45-16:15 - Lettura introduttiva Pasquale Mastronardi (Napoli)
L’interruzione di gravidanza: il ruolo dell’anestesista / Pregnancy termination: the anesthetist’s role
16:15-16:30-Presentazione dell’indagine conoscitiva / Presentation of Italian survey on «Delivery-analgesia in Italy:
«La partoanalgesia in Italia: indagine conoscitiva per un programma “organizzato” ... superando le disuguaglianze»
National survey for the purposes of setting up an “organized” program ... getting over disparities»
Adriana Paolicchi (Pisa), Consiglio Direttivo SIARED
16:30-16:45 - Pausa Caffè
Sessione parallela 1 (Aula “Archimede”) – Sp-1C
16:45-19:30
L’anestesista e il parto / Anesthetist and the delivery – Coordinatore: Vincenzo Lanza (Palermo)
- L’anestesia generale in gravidanza (escluso il parto) / General anesthesia in pregnancy (delivery excluded)
Alberto Rutili (Firenze)
- Problematiche anestesiologiche in gravidanza: l’epilessia e la gravida obesa / Anesthesiological problems in pregnancy: epilepsia and
obesity
Vincenzo Lanza, Giuseppina Di Fiore (Palermo)
- La teratogenicità dei farmaci anestetici / Teratogenicy of anesthesia drugs
Antonio Clavenna (Milano)
- La parto-analgesia: un progetto regionale / Delivery-analgesia: a regional project
Enzo Valtancoli (Forlì)
3
4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D.
Sessione parallela 2 (Aula “Averroé”) – Sp-2C
16:45-19:30
La rianimazione materno-fetale / Maternal-fetal resuscitation – Coordinatore: Giuseppe Marraro (Milano)
- L’eclampsia / Eclampsia
Maria Grazia Frigo (Roma)
- La Sindrome di Mendelson / Mendelson syndrome
Roberto Wetzl (Aosta)
- L’arresto cardiaco e sue problematiche nella gravida / Cardiac arrest in pregnant women
Carlo Capra (Saronno, Va)
- Il neonato asfittico, il neonato high risk e il prematuro estremo / Asphyxiated newborn, high risk neonate and extreme prematurity
Giuseppe Marraro (Milano)
Sessione parallela 3 (Aula “Saffo”) – Sp-3C
16:45-19:30
Prevenzione e sicurezza nel blocco parto / Prevention and safety in delivery room – Coordinatore: Danilo
Celleno (Roma)
- Struttura, requisiti, ecc. secondo norme ministeriali / Structure, needs, etc. according to ministerial regulation
Vittoriano L’Abbate (Napoli)
- Problematica di chi rianima e che cosa fa / Who resuscitates the newborns and what they do
Elena Galassini (Milano)
- Il ruolo dell’anestesista-rianimatore negli ospedali con ostetricia ma senza neonatologia / The role of the anesthesist-intensivist in
hospitals with obstetric department without neonatology
Donata Ripamonti (Milano)
- Il triage della gravida dall’accettazione alla sala parto / Triage of pregnant women from admission to the delivery room
Danilo Celleno (Roma)
19:30-19:45 - Test verifica apprendimento e schede valutazione evento
Evento ECM – SEM
ALGOLOGIA: UNA SCIENZA IN EVOLUZIONE / ALGOLOGY: A SCIENCE IN EVOLUTION
Seminario in collaborazione con la Società Italiana Clinici del Dolore (SICD)
Crediti ECM richiesti per l’evento
Sessione parallela (Sala “Newton”) – Sp-SEM – Moderatori: Adriana Paolicchi, Maurizio Azzolini
16:45-17:15 - La diagnosi in medicina del dolore / Diagnosis in pain relief medicine
Sergio Mameli (Cagliari)
17:15-17:45 - Decisionalità e scelte terapeutiche nel trattamento del dolore / Therapeutical decision-making in pain treatment
Guido Orlandini (Tortona , Al)
17:45-18:15 - Metodiche terapeutiche in algologia / Therapeutical methodologies in algology
Luigi Follini (Parma)
18:15-18:45 - Cause di fallimento dell’analgesia postoperatoria / Failure of post-operative pharmacological therapy
Giovanni Maria Pisanu (Cagliari)
18:45-19:15 - Role playing su casi clinici guidati / Role playing on paradigmatic clinical cases
19:15-19:30 - Test verifica apprendimento e schede valutazione evento
21:30 - Cena sociale e spettacolo
MERCOLEDÌ 21 GIUGNO MATTINA
Evento ECM – D
IL PAZIENTE CON PROBLEMATICHE NEUROCHIRURGICHE E NEUROLOGICHE
THE PATIENT WITH NEUROSURGICAL AND NEUROLOGICAL PROBLEMS
Crediti ECM richiesti per l’evento
08:15-08:30 - Registrazione dei partecipanti
SESSIONE PLENARIA (Sala “Newton”) Moderatori: Antonino Gullo (Catania), Antonio Fantoni (Milano)
08:30-09:00 - Lettura introduttiva Vincenzo D’angelo (San Giovanni Rotondo, Fg)
Nuove frontiere in neurochirurgia / New frontiers in neurosurgery
09:00-09:30 - Lettura introduttiva Vincenzo Branca (Milano)
Le nuove possibilità diagnostiche e la neuroradiologia interventistica / New diagnostic procedures and interventional
neuroradiology
09:30-10:00 - Lettura introduttiva Antonino Gullo (Catania)
La medicina perioperatoria nel paziente neurochirugico / Perioperative medicine in neurosurgical patients
10:00-10:15 - Pausa caffé
Sessione parallela 1 (Aula “Archimede”) – Sp-1D
10:15-13:15
Problematiche perioperatorie nel paziente neurochirurgico / Perioperative management of neurosurgical
patient – 3 Crediti ECM – Coordinatore: Paolo De Vivo (San Giovanni Rotondo, Fg)
- Anestesia nel paziente neurochirurgico / Anesthesia in neurosurgical patients
Pierluigi Ciritella (San Giovanni Rotondo, Fg)
4
4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D.
- Ipotensione ed ipertensione intra e postoperatoria / Intra and postoperative hypotension and hypertension
Paolo De Vivo (San Giovanni Rotondo, Fg)
- La protezione cerebrale e la dialisi cerebrale / Brain protection and brain dialysis
Alfredo Del Gaudio (San Giovanni Rotondo, Fg)
- La ventilazione protettiva polmonare / Protective lung ventilation
Marco Luchetti (Milano)
Sessione parallela 2 (Aula “Averroé”) – Sp-2D
10:15-13:15
Assistenza al paziente neurologico e neurochirurgico / Care of neurological and neurosurgical patients – 3
Crediti ECM – Coordinatore: Paolo Gregorini (Bologna)
- L’assistenza respiratoria dalla terapia intensiva all’assistenza domiciliare / Respiratory care from intensive care unit to home care
assistance
Marco Ingrosso (Napoli)
- La rottura di trachea post-intubazione: etiologia e terapia / Post intubation tracheal rupture: etiology and therapy
Paolo Gregorini (Bologna)
- La tracheotomia e le sue indicazioni nella gestione del lungodegente / The tracheotomy and its indications in long term treatment
Antonio Fantoni (Milano)
- Problematiche anestesiologiche nel trattamento chirurgico dell’epilessia farmaco resistente nell’età evolutiva / Anesthesiological
problems in the surgical treatment of drug resistant epilepsy in evolutive age
Marco Caruselli (Ancona)
- Specificità anestesiologiche-rianimatorie nell'anziano / Anesthesiological and intensive care specificities in elderly patients
Alcide Moroni (Foligno, Pg)
Sessione parallela 3 (Aula “Saffo”) – Sp-3D
10:15-13:15
La riabilitazione del paziente neuroleso / Rehabilitation of neurologically compromised patients – 4 Crediti
ECM – Coordinatore: Luciano Silvestri (Gorizia)
- Il paziente con danno cerebrale non neurochirurgico (include la trombolisi nell’ospedale senza neurochirurgia) / Patients with brain
damage not connected with neurosurgery
Luciano Silvestri (Gorizia)
- La ventilazione non invasiva nel paziente neuroleso / Non-invasive ventilation in neuro-damaged patients
Cesare Gregoretti (Torino)
- I sistemi per la mobilizzazione delle secrezioni (tosse artificiale) / Systems to mobilize and remove secretions (artificial cough)
Vittorio Antonaglia (Trieste)
- La riabilitazione del grave neuroleso / Rehabilitation of severe neurologically-damaged patients
Enea Cominelli (Firenze)
13:15-13:30 - Test verifica apprendimento e schede valutazione evento
13:30 - Chiusura del Congresso
10:30 -Assemblea dei Soci S.I.A.R.E.D.
5
4° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D.
Redazione Atti a cura di Claudio Spada
6
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Indice
Valutazione clinica del danno neurologico
S. Aito ...................................................................................................................................... pag. 14
Riabilitazione del paziente neuroleso. I sistemi per la mobilizzazione delle secrezioni
V. Antonaglia, G. Buscema, A. Peratoner, V. Campanile, F. Piller, M. Umari ............................ » 14
Le grandi emergenze e le catastrofi. La gestione delle vie aeree nel bambino
S. Baroncini.................................................................................................................................... » 17
Il Donatore «marginale»
S. Berardi ....................................................................................................................................... » 18
L’arresto cardiaco e sue problematiche nella gravida
C. Capra, G. Meazza, C. Chiaradia, P. Roncoroni, M. Traversa, M. Saporiti, F. Frattini............. » 19
Problematiche anestesiologiche nel trattamento chirurgico dell'epilessia farmaco
resistente nell'età evolutiva
M. Caruselli, R. Giretti, N. Zamponi , A. Ferretti, G. Piattellini, G. Camilletti, M. Amici, ........
F. Santelli, F. Catani, R. Pallotto, R. Pagni.................................................................................... » 24
Il trauma toracico in età pediatrica: nuove possibilità terapeutiche
A. Cinquesanti................................................................................................................................ » 28
Anestesia nel paziente neurochirurgico
P. Ciritella, A. Del Gaudio, P. De Vivo ......................................................................................... » 31
La teratogenicità dei farmaci anestetici
A. Clavenna.................................................................................................................................... » 33
La riabilitazione precoce nel grave neuroleso midollare
E. Cominelli, M. Taddei ................................................................................................................ » 34
Nuove frontiere in neurochirurgia
V. A. D’Angelo.............................................................................................................................. » 42
Emergenza per le grandi opere: il modello toscano
D. De Luca ..................................................................................................................................... » 43
Il monitoraggio del metabolismo cerebrale
A. Del Gaudio, PL. Ciritella, P. De Vivo ...................................................................................... » 48
Ipotensione ed ipertensione intra e post operatoria
P. De Vivo...................................................................................................................................... » 55
Il registro intraospedaliero dei traumi gravi
S. Di Bartolomeo............................................................................................................................ » 56
7
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Problematiche anestesiologiche in gravidanza: la gravida obesa
S.Di Fiore .............................................................................................................................. pag. 57
Do anaesthetists need less sleep than the others?
M. Dru......................................................................................................................................... » 64
La tracheostomia e la sua gestione nel lungodegente
A. Fantoni ................................................................................................................................... » 68
Insufficienza d’organo end-stage e implicazioni cliniche della sindrome da ischemiariperfusione nel trapianto di organo solido
P. Feltracco, E. Michieletto, E. Serra, I Tiberio, S. Rizzi, F. Salvaterra, S. Barbieri, ...............
M. Furnari, L. Brezzi, C. Ori ...................................................................................................... » 73
Il grande politraumatizzato. La sindrome da schiacciamento
R. Flocco ..................................................................................................................................... » 90
Metodiche terapeutiche in algologia
L. Follini ..................................................................................................................................... » 91
Preeclampsia ed eclampsia
M.G. Frigo, D. Celleno, A. Veneziani ........................................................................................ » 93
“Il bel partorire”. Progetto di introduzione della analgesia del travaglio di parto
presso la sala parto dell’ospedale “Morgagni-Pierantoni dell’AUSL di Forlì”
G. Gambale, E. Valtancoli, M.R. Cosentino, R. Regoli, F. Rossi, G. Gori ................................ » 106
L’assistenza anestesiologica al parto: problematica di chi rianima e cosa fa
E.M. Galassini............................................................................................................................. » 109
Nodo ferroviario "Alta Velocità" di Bologna. L’organizzazione del soccorso sanitario
G. Grana e M. Vigna................................................................................................................... » 113
La ventilazione non invasiva nel paziente neuroleso
C. Gregoretti ............................................................................................................................... » 120
La rottura di trachea post-intubazione: etiologia e terapia
P. Gregorini, A. Bassani ............................................................................................................. » 121
L’assistenza respiratoria dalla Terapia Intensiva all’Assistenza Domiciliare
M. Ingrosso ................................................................................................................................. » 121
Polli, bufale e SARS
T. Jefferson.................................................................................................................................. » 123
Linee guida per la definizione degli standard di sicurezza e di igiene ambientale dei
reparti operatori
V. L’Abbate ................................................................................................................................ » 124
8
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Lessons learned from the pre-hospital medical response to the London bombings July 2005
D. Lockey.............................................................................................................................. pag.» 125
La ventilazione protettiva polmonare nel traumatizzato cranico
M. Luchetti.................................................................................................................................. » 127
La rianimazione del neonato asfittico e del prematuro estremo
G.A Marraro................................................................................................................................ » 129
Specificità anestesiologiche-rianimatorie nell’anziano
A Moroni..................................................................................................................................... » 136
Esperienze a confronto nell’organizzazione e gestione dell’emrgenza in italia
A. Morra, P. Bozzetto, S. Agostinis............................................................................................ » 139
Decisionalità e scelte terapeutiche nel trattamento del dolore
G. Orlandini ................................................................................................................................ » 147
La partoanalgesia in Italia: indagine conoscitiva per un programma organizzato…
superando le disuguaglianze
A. Paolicchi, con la collaborazione del Direttivo SIARED........................................................ » 156
Il trapianto d’organi. Il donatore d’organi: generalità
P. Pettinao ................................................................................................................................... » 163
Nuove prospettive nel mantenimento del polmone
S. Pintaudi ................................................................................................................................... » 166
L’anestesia e la sedazione nell’emergenza extraospedaliera
G.M. Pisanu ................................................................................................................................ » 167
Cause di fallimento dell’analgesia postoperatoria
G.M. Pisanu ................................................................................................................................ » 171
Il ruolo dell’anestesista-rianimatore negli ospedali con ostetricia ma senza neonatologia
D. Ripamonti............................................................................................................................... » 174
Esperienze a confronto nell’organizzazione e gestione dell’emergenza in Italia.
La risposta ospedaliera: anello debole della catena dei soccorsi?
T. Rosafio, C. Cichella................................................................................................................ » 181
L’anestesia e la sedazione nell’emergenza extraospedaliera
F. Rossetti, A. Messeri................................................................................................................ » 184
L'assistenza anestesiologica al parto. L'anestesia generale in gravidanza (escluso il parto)
A. Rutili....................................................................................................................................... » 187
Anestesia nei pazienti trapiantati
E. Serra, P. Feltracco, I. Tiberio, F. Bertamini e C. Ori ............................................................. » 187
9
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il trapianto di fegato in età pediatrica
V. Sonzogni, A. Benigni, D. Manzoni, A. Spotti, G. Starita ................................................ pag.» 198
A brief overview of the status of perinatal health care in India
S. Udani....................................................................................................................................... » 201
Organizzazione e gestione del soccorso sanitario nei cantieri TAV e VAV
dell’appennino tosco-emiliano: il modello emiliano
M. Vigna e G. Grana................................................................................................................... » 204
La rianimazione materno-fetale. La sindrome di Mendelson
R. Wetzl ...................................................................................................................................... » 213
L’anestesia per chirurgia generale successiva al trapianto
N. Zadra, F. Giusti ...................................................................................................................... » 214
Comunicazioni libere e poster
Influenza del management perioperatorio sulla Nausea e Vomito postoperatori. Studio
in un Acute Pain Service
D. Amitrano, A. Bardini, C. Maggini, N.Galleschi, S.Catarsi, A. Paolicchi.............................. » 218
Monitoraggio della profondità dell’anestesia generale: tre metodiche a confronto
S.Catarsi, G. De Durante, P. Chiarugi, A. Paolicchi, F. Giunta ................................................. » 219
Il tromboelastogramma in chirurgia cardiaca quale valore predittivo?
M. De Martino, I. Senese, C. D’Auria ........................................................................................ » 220
Fascite necrotizzante ad esito letale
M.Difonzo, G.Colagrande, T.Trotta, P.Altamura ....................................................................... » 220
Utilizzo del surfattante attraverso bal nelle patologie polmonari intensive non
convenzionali: nostra esperienza preliminare
D. LoPardo, E.Colasanti, F.Marra .............................................................................................. » 223
L’anestesia pediatrica ad Antigua, Guatemala: un’esperienza
T. Matarazzo, L. Droghetti, D. Battaglia, F. Zanotti, A. Zennaro, A. Franchella, A. Guberti ... » 224
Riflessi di un programma fast track sulla qualità del decorso postoperatorio
D. Amitrano, A. Bardini, C. Maggini, M. Marcaccini, C. Sbrana, A. Paolicchi ........................ » 225
Qualità: significato e implicazioni
A. Apicella, M. De Martino ........................................................................................................ » 225
10
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il progetto “Ospedale senza dolore”
S. Baroncini, E.Marri, T. Matarazzo..................................................................................... pag.» 226
La partoanalgesia nell’area vasta centro della Regione Toscana:organizzazione e
tipologia di utenza
G. Bertelli, G. Buti, L. Ferri, P. Martini, S. Razzi ...................................................................... » 227
Intossicazione volontaria con antipsicotici
F.Caputo, V.Caretto .................................................................................................................... » 227
Caso clinico: CSE per Taglio Cesareo in paz. Gestosica, obesa, diabetica ed
insufficienza venosa arti inferiori
D. Carbone, I. Odierna, D. Scarano, V. Stridacchio, S. Palmese, F. Di Marco, A. Natale ........ » 228
CSE e MAC: applicazioni ad una nuova tecnica chirurgica urologia HI-FU
D. Carbone, I. Odierna, V. Stridacchio, D. Scarano, S. Palmese, G. Lubrano, A. Natale.......... » 228
Monitoraggio bis ed incidenza di nausea e vomito postoperatorio in pazienti
sottoposti ad interventi di colecistectomia laparoscopica
P. Carnesecchi, A. Pecchioni, M. Baldesi, M. Guarguaglini, D. Di Pasquale, G. Marconcini,
N. Cioni, F. Marconcini .............................................................................................................. » 229
Sedazione controllata dal paziente (PCS) per interventi di ernioplastica inguinale:
confronto propofol/midazolam
P. Carnesecchi, M. Guarguaglini, E. Preziuso, C. Castiglioni, D. Di Pasquale, A. Pecchioni,..
M. Baldesi, N. Cioni, G. Marconcini e F. Marconcini ............................................................... » 230
Fast-track Anesthesia in Chirurgia Bariatrica Laparoscopica
S. Catarsi, C. Di Salvo, G. De Durante, D. A. Abramo, B. Arezzi, F. Giunta............................ » 230
La gestione delle vie aeree nel “Grande Obeso”
S. Catarsi, B. Pesetti, G. De Durante, C. Di Salvo, B. Arezzi, A. Paolicchi, F. Giunta ............. » 231
Risultati di un protocollo antalgico nella chirurgia bariatrica laparoscopica: tre
tecniche anestesiologiche a confronto
S. Catarsi, G. De Durante, M. Berrugi, G. Morelli, A. Paolicchi, F. Giunta .............................. » 232
Stabilità emodinamica durante Anestesia generale in pazienti con obesità patologica:
tecniche a confronto
S. Catarsi, C. Di Salvo, P. Chiarugi, E. Nicastro, S. Pardossi, F. Giunta ................................... » 232
Applicazione integrale della catena della sopravvivenza: un caso clinico
S. D’Angelo, G. Ugolini, U. Piccolo, S. Rana, M. Spagnoli, M. Carnelli, C. Buccino.............. » 233
Il bypass aortocoronarico off-pump riduce il rischio di stato confusionale
postoperatorio nei pazienti con severa aterosclerosi sistemica?
M. De Martino, I. Senese ............................................................................................................ » 233
11
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Dissociazione elettromeccanica (PEA): una drammatica presentazione di sindrome
di Schmidt
S. De Natali, S. Carrer, G. Venturella, S. Basilico, R. Dagani, GM. Vaghi........................ pag.» 234
Impianto di catetere venoso centrale (CVC) con il supporto di ECG intracavitario:
procedure e particolarità
L. De Simone, T. Biscioni, E. Geminiani, G. Morelli, P. Buonavolontà, G. Fonti .................... » 235
L’ECG intracavitario: metodica sicura per il posizionamento della punta dei
cateteri venosi centrali
L. De Simone, G. Morelli, P. Buonavolontà, T. Biscioni, E. Geminiani, G. Fonti .................... » 235
Onda P intracavitaria (IC) come guida nel posizionamento della punta di catetere
venoso centrale: descrizione della tecnica
L. De Simone, E. Geminiani, G. Morelli, T. Biscioni, P. Buonavolontà, G. Fonti
» 236
Encefalopatia iponatremica in paziente con polidipsia non psicogena
M. Difonzo, T. Trotta, G. Colagrande, G. Ancona ..................................................................... » 237
I.O.T. difficile e video-laringoscopio Glidescope®
S. Fabroni et al. A. Pinto et al. .................................................................................................... » 239
Miocardiopatia dilatativa diagnosticata in ii giornata dal TC. Evenienza inaspettata:
case report
T. Giusto, B. Baldi Santocchi, I. Pardelli, N. Baccellini ............................................................ » 239
Porpora trombotica trombocitopenica: “C’è plasmaferesi e plasmaferesi!!!”
M. Lattaro, F. De Meo, V. Landi, M. Riondino, V, Settembre, P. Zannetti............................... » 240
Gastroresezione di neoplasia stenosante dell’antro gastrico in una paziente ad alto
rischio con anestesia combinata spinale-epidurale (CSE)
N. Maratea................................................................................................................................... » 240
Terapia Nutrizionale: a case report
I. Odierna, D. Carbone, M. Loreto, M. Captano, S. Palese, V. Stridacchio ............................... » 241
Effetti del reclutamento manuale e peep post inflazione nel danno polmonare da
polmonite e contusione
S. Palmese, D. Carbone, F. Di Marco, I. Odierna, D. Scarano, A. C. Scibilia, A. Natale.......... » 242
Dinamica delle nascite e Partoanalgesia all’Ospedale Versilia di Viareggio
C.Panizzi ..................................................................................................................................... » 243
Anestesia bisand vs inalatoria bilanciata e TiVA: qualità del risveglio
G.M. Pisanu, A. Pedemonte, Z. Pusceddu, M.R. Melis, B. Mulas ............................................. » 243
TORAYMYXIN e CVVH nella sepsi addominale complicata da ARDS
F. Piscitiello, E. Ciardulli, A. Ferrari, P. Scarano, N. Della Cioppa, M. Mazzarella, ...............
O. Esposito .................................................................................................................................. » 244
12
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Autumn Emergency a Napoli – Ottobre 2005, Criticità e Considerazioni
A.E. Rossi, G. Buffardi, R.A. Prudente, R. De Caro ............................................................ pag.» 244
Pronti per eventuali emergenze NBCR? Lo stato dell’arte nella città di Napoli
A.E. Rossi, G. Buffardi, R.A. Prudente, R. De Caro .................................................................. » 245
Airway management:when more hospitals work toghether
M. Scoponi, E. Adrario, S. Ventrella.......................................................................................... » 245
Postoperative analgesia after major orthopedic surgery: Sufentanyl iv vs Morphine iv
M. Scoponi , B. Degl’Innocenti, E. Galiè., G. Di Serafino, S. Ventrella ................................... » 246
Esiti di un approccio riabilitativo multidisciplinare in pazienti con gravi cerebrolesioni
acquisite, precocemente trattati in una struttura di neuroriabilitazione con terapia intensiva
P. Verrienti, A. Gismondi, M. Corvino, M.A. Lagna, M. Alemfalaki, A. Gigli, F. Massari, ....
N. Corapi, L. Cioffi, P. Piscitelli................................................................................................. » 247
Le tecniche depurative continue extracorporee: davvero continue?
P. Zannetti, M. di Perma, A. Troiano, A. Maddalena, N. Foderini, M, Lattaro ......................... » 247
13
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Valutazione clinica del danno neurologico
S. AITO
Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze
La valutazione clinica neurologica del paziente medulloleso rappresenta un aspetto fondamentale
del corretto approccio nel trattamento globale di questa patologia. L’esame clinico deve essere
espletato con la massima accuratezza sia nella fase acuta che nelle fasi successive per definire
l’esatto danno neurologico, la più corretta prognosi e l’impostazione dell’iter terapeutico e
riabilitativo.
L’ISCOS (International Spinal Cord Society) e la SOMIPAR (società Medica Italiana di Paraplegia)
adottano lo standard di classificazione neurologica proposto dall’ASIA (American Spinal Injury
Association). Nel rispetto di questo standard si deve valutare il livello neurologico della lesione, il
tipo di lesione rispetto alla completezza o meno del coinvolgimento neurologico e i riflessi. Il
livello neurologico deve essere definitivo per entrambi gli emisomi sia per quanto riguarda l’attività
motoria ( valutazione della forza muscolare) sia per quanto riguarda la presenza di sensibilità tattile
superficiale e profonda nei vari metameri.
L’applicazione corretta di questo schema di valutazione, oltre a fornire una dettagliata valutazione
neurologica, è indispensabile per la migliore comprensione degli aspetti clinici dei medullolesi nella
comunicazione tra specialisti, sia a livello nazionale che internazionale.
Riabilitazione del paziente neuroleso. I sistemi per la mobilizzazione delle secrezioni
V. ANTONAGLIA, G. BUSCEMA, A. PERATONER, V. CAMPANILE, F. PILLER, M. UMARI
Laboratorio di bio-meccanica respiratoria, MPTIE, Ospedale Cattinara, Trieste
Parole chiave: tosse, clearance muco, umidificazione attiva, naso artificiale, circuiti riscaldati, high
frequency oscillation, high frequency percussive ventilation
Nei pazienti con compromissione neurologica acuta o neuromuscolare cronica l’insufficienza
respiratoria acuta post-evento o quella cronica con adattamento della pompa respiratoria al danno
neurologico permanente si complica a causa del potenziale danneggiamento del processo di
deglutizione e dei riflessi che preservano la pervietà delle vie aeree e della scarsa capacità di
espettorazione spontanea. Il rischio di ostruzione bronchiale incrementa soprattutto in caso di eventi
infiammatori con broncorrea ed è nota la tendenza alla colonizzazione batterica delle vie aeree e
alle infezioni.
Risulta preminente quindi in questi pazienti una strategia di assistenza che salvaguardi a) gli
scambi gassosi mediante supporto dell’ossigenazione, b) la ventilazione polmonare ricorrendo ad un
processo convettivo di rimozione della CO2 mediante ventilazione noninvasiva o invasiva, c)
l’affaticabilità dei muscoli respiratori con supporto pressorio inspiratorio ed eventuale PEEP per
ridurre il carico soglia dei muscoli in condizioni di iperinflazione dinamica, d) l’umidificazione dei
gas inspirati e e) la clearance del muco.
Questi ultimi due presidi sono necessari non solo nei pazienti in cui la pervietà delle vie aeree è
assicurata da una protesi, ma anche in quelli che ventilano spontaneamente in ossigeno terapia o che
sono assistiti in ventilazione non invasiva.
Nei primi, con by-pass delle vie aeree mediante protesi endotracheale o tracheostomica, sia che
venga praticato il supporto dell’ossigenazione tramite ossigenoterapia in ventilazione spontanea o
14
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
tramite CPAP con qualunque tipo di ventilazione, cioè spontanea o supportata o controllata,
risultano di fondamentale importanza le tecniche di umidificazione e di clearance del muco.
Umidificazione
Se vengono erogati gas medicali indipendentemente dal tipo di ventilazione, la presenza del
tubo tracheale o della cannula tracheostomica impedisce che il punto delle vie aeree dove i gas
inspiratori raggiungono la temperatura corporea di 37°, l’umidità assoluta (AH) di 44 mg/L e la
pressione di vapor acqueo di 47 mmmHg corrisponda alla carena tracheale come normalmente
avviene. A livello bronchiale arriva gas meno riscaldato con tasso di umidità minore, perché è
venuta meno la funzione delle vie aeree sopra la carena come scambiatori di calore e umidità.
Se gli effetti fisiologici relativi alla perdita di calore non sono preminenti, (se si ventila aria
ambiente a 15° e 50% di umidità relativa, RH, sono persi dal polmone ogni giorno 250 ml di H2O e
1500 Joule di calore), quelli tissutali dovuti alla perdita di umidità lo sono: danni epiteliali, perdita
dell’azione ciliare, danno alle ghiandole mucose, desquamazione cellulare, ulcerazioni, iperemia.
Anche gli effetti funzionali sul sistema respiratorio sono rilevanti: riduzione compliance, atelettasie,
diminuzione dell’attività del surfattante.
Molte differenti tecniche possono essere usate per provvedere all’umidificazione delle vie aeree,
dall’istillazione di soluzione salina nella trachea all’uso di nasi artificiali, di nebulizzatori e di
umidificatori riscaldati.
Secondo l’American National Standards Institute un umidificatore durante ventilazione
meccanica deve provvedere ad almeno 30 mg H2O/L di gas a 30°. E’ evidente che queste
prestazioni sono assicurate essenzialmente dagli umidificatori attivi anche se i vantaggi degli
scambiatori di calore ed umidità di tipo passivo non vanno disconosciuti. L’ultima generazione di
umidificatori attivi a circuito inspiratorio ed espiratorio riscaldato riduce i problemi di nursing
relativi allo svuotamento delle trappole di condensa, e dovrebbe essere usato nel malato critico in
caso di abbondanti secrezioni che possono occludere il tubo tracheale e rendere inutilizzabile un
naso artificiale, quando durante il processo di weaning dalla ventilazione meccanica anche laq
riduzione dello spazio morto del naso artificiale può essere importante, e quando la ventilazione
assistita necessita di bassi volumi correnti per la patologia del paziente.
Clearance del muco
I Meccanismi normali di clearance del muco sono la tosse e il movimento delle ciglia epiteliali.
Il muco viene mosso nel soggetto normale mediante 3 meccanismi: “slug flow”, il flusso anulare
laminare e il flusso misto con il muco in sospensione aerosol.
Se il paziente è intubato, tutti e tre i meccanismi sono alterati e la cuffia del tubo endotracheale
altera la clearance del muco bloccando il movimento delle ciglia. A tale problema si aggiunge la
capacità del fluido sottoglottico che si raccoglie sopra la cuffia di superare la barriera cuffia-parete
tracheale e favorire la contaminazione e colonizzazione batterica endo bronchiale. Oltre alla
compromissione dei meccanismi dell’eliminazione del muco nei pazienti neurologici in stato critico
si ha spesso debolezza muscoli espiratori, capacità vitale marcatamente ridotta e meccanismo della
tosse severamente compromesso. La tosse effettiva dipende dall’abilità di generare un flusso
espiratorio adeguato, stimato >160 L/min. Il flusso espiratorio è determinato dall’elasticità del
polmone e della gabbia toracica, dalla conduttanza delle vie aeree e dalla forza muscolare. La
funzione muscolare inspiratoria contribuisce all’adeguatezza della tosse generando una capacità
vitale adeguata (>2.5 L). Inoltre una tosse effettiva richiede una funzione glottica intatta che
permette un “esplosivo” rilascio di una pressione intratoracica che genera alti picchi espiratori di
flusso.
Strategie per assistere la tosse
Approcci per incrementare: il volume inspiratorio e il flusso espiratorio.
15
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
La manovra più semplice è assistere la tosse: manual assist or “quad” coughing. Corrisponde a
compressioni forti e veloci applicate all’addome e ritmate a coincidere con lo sforzo a tossire del
paziente. Questa tecnica può aiutare la forza espiratoria ma non aumenta il volume inspiratorio.
Insufflazione-desufflazione meccanica, il device rilascia una pressione positiva inspiratoria di 30-40
cmH2O attraverso una maschera facciale e quindi passa rapidamente ad una uguale pressione
negativa. La pressione positiva assicura il rilascio di un adeguato VT, mentre la pressione negativa
stimola flusso espiratorio rapido generato dalla tosse. Non vi sono trial controllati sulla valutazione
dell’efficacia del device sulla produzione della tosse.
Tecniche di clearance delle vie aeree
Vengono ritenute utili nei pazienti iperproduttori di muco (>15 ml die).
Sono tecniche di pertinenza del fisioterapista respiratoriocome il drenaggio posturale e la
percussione manuale, il drenaggio autogeno, la tecnica dei cicli attivi di respiro, i metodi a
pressione positiva espiratoria. Amplio consenso e molto studiate sono le tecniche ad alta frequenza
di vibrazione che sono state considerate ad alto potere di rimozione delle secrezioni. Esse
comprendono l’espirazione a pressione positiva mediante l’alta frequenza di occlusione delle vie
aeree (flutter), che si è visto riduce il weaning dei pazienti COPD ventilati in maniera non invasiva;
l’alta frequenza oscillatoria della gabbia toracica, che richiede però la sedazione del paziente; la
pressione negativa peritoracica ad alta frequenza vibratoria, usata efficacemente nel bambino con
malattia neuromuscolare; la ventilazione intrapolmonare percussiva ad alta frequenza, che abbina la
ventilazione convettiva della pressione di supporto a quella diffusiva oscillatoria che aumenta
l’ossigenazione e interagisce con il muco.
References
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heat-and-moisture exchangers and the risk of ventilator-associated pneumonia Crit Care Med
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chest physiotherapy. Chest 1994; 105:1789-1793
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ventilator to standard aerosol and chest physiotherapy in treatment of cystic fibrosis. Pediatr
Pulmonol 1995; 20:50-55
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on mucus clearance in Duchenne muscolar dystrophy patients: a preliminary report. Respir Care
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intrapulmonary percussive ventilation: a preliminary report. Pediatr Pulmonol 1996; 21:246-249
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conventional chest physiotherapy for the treatment of atelectasis in the pediatric patient 2002;
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- Bellone A, Spagnolatti L, Massobrio M et al: Short term effect of expiration under positive
pressure in patients with acute exacerbation of chronic obstructive pulmonary disease and mild
acidosis requiring non-invasive positive pressure ventilation. Int Care Med 2002; 28: 581-585
16
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Le grandi emergenze e le catastrofi. La gestione delle vie aeree nel bambino
S. BARONCINI
Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico S: Orsola-Malpighi. Bologna
I problemi respiratori rappresentano la causa principale di morbidità e mortalità nel bambino. l’A B C
dell’algoritmo del soccorso, deve tener presente che vi sono differenze evidenti tra bambino ed adulto
legate a condizioni anatomo-funzionali, diversa disponibilità di attrezzature ed alla inapplicabilità al
bambino di alcune procedure consigliate nell'adulto.
Sicuramente la descrizione delle “RACCOMANDAZIONI PER IL CONTROLLO DELLE VIE
AEREE E LA GESTIONE DELLE DIFFICOLTA’ IN ETA’ PEDIATRICA” svolta dal Gruppo di
Studio S.I.A.A.R.T.I “VIE AEREE DIFFICILI” in collaborazione con il Gruppo SARNePI, costituisce
un documento cui fare riferimento sia per poter prevedere sia per poter fronteggiare la gestione delle
vie aeree anche di fronte all’emergenza.
L’esperienza quotidiana sul campo dell’anestesista rianimatore risulta preziosa nella gestione in
condizioni di critiche ove la prevedibilità come il materiale più e meglio idoneo non sempre è
disponibile ed utilizzabile.
In tali condizioni, l’ obiettività clinica resta un elemento fondamentale che oltre a prevedere l’
esplorazione dell'orofaringe dello spazio mandibolare e sottomentoniero deve porre in atto la
limitazione del movimento temporo-mandibolare e della testa-collo.
Nell’approcciare la ventilazione e la protezione delle vie aeree, è stato definito un numero limitato di
tentativi intubazione di laringoscopia pari a tre, per evitare di determinare traumatismi, che possono
creare edema e sanguinamento e peggiorare sia la possibilità di ventilare che quella di realizzare la
procedura di intubazione stessa assicurando, comunque che tra un tentativo e l’altro, si possa
ossigenare il paziente, riportando la saturazione a livelli ottimali
La mancata collaborazione da parte del paziente cosciente in età pediatrica, rende impossibile attuare
un’intubazione tracheale senza ricorrere all’analgo-sedazione, considerando inoltre che l’anestesia
topica delle vie aeree con lidocaina 1-2% (3 mgKg-1 - max 5 mgKg-1) a volte può essere di aiuto perché
attenua la reattività delle vie aeree anche se questa può limitare o abolire il riflesso di protezione delle
vie aeree .
Il comportamento nella gestione della via aerea difficile è condizionato dal grado di ventilabilità con
maschera facciale. Se vi è difficoltà nella ventilazione con maschera facciale, nonostante l’impiego di
una appropriata cannula orofaringea, viene suggerita la manovra di sublussazione mandibolare/jaw
thrust e, il posizionamento di una cannula rinofaringea . Quando, nonostante tutto ciò non si riesce a
ventilare con maschera facciale, si far ricorso alla LMA, che consente, in assenza un ostacolo alla
glottide di ventilare il bambino. E’ consigliabile che la ventilazione con maschera laringea non sia
effettuata tardivamente e che i medici diventino esperti nel suo impiego non in condizioni di
emergenza. Il blocco neuromuscolare è sconsigliabile se la ventilazione con la maschera facciale è
impossibile o difficoltosa.
Il corretto posizionamento del capo e la manipolazione del laringe dall’esterno, in particolare a
laringoscopio inserito, rappresentano i passaggi iniziali obbligati, anche in presenza di condizioni
anatomiche normali. Quando la visione è limitata o se non è visibile nessuna struttura laringea,
l’intubazione diretta con fibrobronscopio, o attraverso una maschera laringea (con controllo
fibroscopico), rappresenta l’approccio di scelta.
L’impossibilità a ventilare ed ossigenare il bambino richiede l’accesso rapido tracheale (puntura cricotiroidea, cricotirotomia o alla tracheotomia chirurgica) e la ventilazione jet, eventualmente seguita da
intubazione tracheale retrograda, come percorso salvavita. La puntura cricotiroidea e la critotirotomia
percutanea nel bambino piccolo sono di difficile esecuzione per il ridotto diametro tracheale, per le
limitate dimensioni della membrana cricotiroidea che peraltro risulta non ben localizzabile, per la
estrema flaccidità e mobilità della trachea. Sono comunque disponibili kit per la cricotirotomia
percutanea anche di 2 mm.
La possibilità di eseguire una tracheotomia chirurgica non deve essere tralasciata.
17
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il Donatore «marginale»
S. BERARDI
U.O. Anestesia e Rianimazione, A.O. S. Carlo Potenza
L’evoluzione delle tecniche di trapianto e di trattamento rianimatorio ed intensivo del donatore e dei
pazienti trapiantati associato al crescente divario tra domanda e offerta ha indotto all’utilizzazione
di diverse strategie con l’obiettivo di espandere il pool dei donatori. Dalla metà degli anni ’90, alla
luce delle conoscenze scientifiche acquisite si è cercato di individuare quelle condizioni dell’organo
che, sebbene non ottimali, possono risultare compatibili con taluni tipi di trapianto o con
determinate caratteristiche del paziente ricevente. L’utilizzo di questi donatori, definiti anche
marginali, ha portato quindi alla formulazione di nuovi protocolli e ci ha indotto ad affinare la
capacità di valorizzare organi da donatori che in passato non venivano ritenuti ideali e pertanto non
venivano presi in considerazione.
Questo nuovo tipo di approccio ci ha portato da un lato a rivalutare i criteri di idoneità alla luce
delle linee guida approvate nella loro versione definitiva della Conferenza Stato-Regioni del
30/09/2003 e operativa dal 01/03/2005 e, dall’altro lato, a stabilire le modalità operative del
processo di valutazione del rischio stesso.
Se è vero che la valutazione dei singoli organi è fatta sui dati raccolti nelle Rianimazioni, la
valutazione di idoneità o non idoneità non è prerogativa del solo rianimatore ma è un processo
multifasico e multidisciplinare che coinvolge direttamente i Centro trapianti anche attraverso i suoi
esperti per eventuale “second opinion” ed ha come scopo quello di orientare la decisione sugli
organi che possono essere trapiantati, escludere la trasmissione di malattie oncologiche ed infettive
ed assicurare la ripresa funzionale degli organi trapiantati.
Il messaggio che ne deriva è quello di considerare potenziali donatori tutti i pazienti che si trovano
nelle condizioni di morte cerebrale e di avvalersi del CNT per eventuali dubbi. Da qui la necessità
di segnalare tutti i casi al proprio Centro Regionale di riferimento.
Entrando nel merito della valutazione dei singoli organi, vengono presi in considerazione i risultati
ottenuti con reni da donatore <anziano>, la definizione di “qualità biologica” del rene anziano e le
prospettive offerte dal doppio trapianto. E’ stato infatti documentato che i risultati ottenuti con reni
di donatori marginali sono inferiori a quelli ottenuti con reni “ottimali” se utilizzati in singolo, ma
sovrapponibili se utilizzati in doppio.
La scarsità di donatori di cuore ha indotto i clinici a ottimizzare l’utilizzo degli organi disponibili
aumentando i limiti di età per i donatori, accettando cuori dalla funzione non ottimale ma sufficiente
per garantire una buona qualità di vita e mettendo a punto metodiche di preservazione tali da
garantire prelievi a lunga distanza dalla sede di trapianto. Nello stesso tempo si sta cercando di
mettere a punto metodiche diagnostiche alternative alla coronarografia, spesso impraticabile per
cause logistiche, legali e cliniche, per un’affidabile valutazione dell’albero coronario. Tra queste si
sta proponendo uno studio osservazionale dei pazienti sottoposti a trapianto di cuore con organi
valutati mediante Eco-stress al dipiridamolo integrato al rapporto tra pressione e volume
telesistolico. Se il test verrà valicato l’applicazione di questa semplice metodica al letto del paziente
avrebbe l’enorme vantaggio di incrementare il numero di donazioni e di ridurre al minimo la
discrezionalità sull’idoneità del cuore.
Le nuove modalità di perfusione e preservazione d’organo hanno anche consentito l’espansione del
pool di donatori epatici facendo ricorso ai donatori marginali per statosi, ICU stay, ipernatremia. E’
stato poi dimostrato che utilizzando fegati da donatori anziani sia la percentuale di complicanze
post-operatorie, sia la sopravvivenza dell’organo e del paziente sono simili a quelle osservate con
donatori più giovani, quando viene effettuata un’attenta selezione dei donatori,
In conclusione si può affermare che l’utilizzo di donatori marginali può avere un grosso impatto
sull’outcome a breve e lungo termine dei programmi di trapianto.
18
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L’arresto cardiaco e sue problematiche nella gravida
C. CAPRA, G. MEAZZA, C. CHIARADIA, P. RONCORONI, M. TRAVERSA, M. SAPORITI, F.
FRATTINI
Terapia Intensiva Azienda Ospedaliera Ospedale di Circolo di Busto Arsizio – Presidio di saronno
La mortalità in corso di gravidanza è un evento fortunatamente raro, almeno nei paesi sviluppati. La
maggior parte delle morti in questo periodo sono legate a cause acute, più spesso dovute a patologie
mediche esacerbate dalle modificazioni fisiologiche indotte dalla gravidanza, oltre a condizioni
peculiari alla gravidanza stessa (1).
MODIFICAZIONI FISIOLOGICHE MATERNE INDOTTE DALLA GRAVIDANZA
Lo sviluppo del feto nel grembo materno induce una serie importante di cambiamenti anatomofisiologici nella madre, che possono aggravare la fisiopatologia e rendere più difficoltoso il
trattamento dell’arresto cardiaco in questo periodo della vita della donna (2,3).
A partire dalla sesta settimana e soprattutto durante il secondo trimestre e l’inizio del terzo, si
verifica un incremento significativo del volume plasmatico (circa 40-50 %); questo si associa ad
aumento di portata cardiaca e di consumo d’ossigeno ed a riduzione delle resistenze vascolari
sistemiche. Il conseguente aumento di flusso ematico si distribuisce prevalentemente a carico di
utero, rene e distretto cutaneo. Dal punto di vista circolatorio, soprattutto durante il terzo trimestre,
l’utero gravido può causare una compressione significativa sui vasi iliaci ed addominali, soprattutto
in posizione supina, ostacolando il ritorno venoso al cuore con riduzione importante della gittata
cardiaca.
A carico del sistema respiratorio, nonostante l’aumento del volume minuto, legato in maggior
misura ad aumento del volume corrente, in corso di gravidanza si osserva la progressiva riduzione
della capacità funzionale residua, a sua volta dovuta ad alterato ritorno elastico del polmone e della
gabbia toracica, oltre agli effetti gravitazionali dei contenuti intraaddominali. Le vie aeree superiori
presentano un aumento del contenuto dell’acqua extracellulare risultante in edema del faringe e
dell’aditus laringeo. Tutto questo risulterà in una scarsa riserva ossigenatoria, soprattutto nelle
pazienti in sovrappeso, associata a potenziali difficoltà di ventilazione in maschera, di gestione della
pervietà delle vie aeree e di intubazione tracheale.
Anche a livello del tratto gastroenterico si verificano modificazioni peculiari alla gravidanza che
possono interferire negativamente sulla sopravvivenza in caso di arresto cardiaco, quali
l’allungamento dei tempi di svuotamento gastrico, l’incompetenza dello sfintere cardiale e
l’aumento della pressione intragastrica, tutti fattori favorenti l’inalazione polmonare in caso di
riduzione e/o assenza dei riflessi di protezione delle vie aeree.
CAUSE
Alle possibili cause di arresto cardiaco che si possono comunque verificare in una donna della
stessa età non gravida si associano eventi scatenanti correlati direttamente allo stato gravidico, quali
l’emorragia, la tossicità da farmaci, l’aggravamento di patologia cardiovascolare preesistente, la
preeclampsia e l’eclampsia, l’embolia polmonare massiva e l’embolia amniotica.
Misure preventive generali
La maggior parte dei problemi cardio-vascolari nella donna gravida, soprattutto se sana, si
verificano in maniera acuta, solitamente dopo la 20a settimana di gestazione e sono legati a
fenomeni di compressione cavale da parte dell’utero, che compromette il ritorno venoso e la gittata
cardiaca, causando ipotensione e shock (2,4,5). Pertanto, qualora l’arresto cardiaco sia preceduto da
ipotensione, occorre posizionare la paziente in posizione laterale sinistra con un’angolazione di
almeno 15 gradi (6), o spostare manualmente l’utero verso sinistra con le mani dall’esterno,
assicurarsi un accesso venoso di grosse dimensioni e somministrare un carico volemico,
somministrare ossigeno e chiedere, ove possibile, l’intervento del collega più esperto in servizio (3).
19
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Contemporaneamente bisogna programmare le procedure diagnostiche necessarie ad identificare la
presenza di cause trattabili dell’ipotensione.
Emorragia
Le cause più frequenti di shock emorragico nella gravida sono la rottura tubarica da gravidanza
ectopica, il distacco di placenta, la placenta previa, la rottura d’utero e l’atonia uterina. Pertanto tale
evento si può verificare in qualsiasi momento della gravidanza, pur presentando una maggiore
frequenza nel primo e nel terzo trimestre, rispetto al secondo, oltre che presentarsi nella fase
postpartum. La presenza di un protocollo per l’approccio alle emorragie massive ed il ricovero delle
pazienti a rischio in strutture dotate di servizio trasfusionale autonomo, di Unità di Terapia
Intensiva e di equipes chirurgiche multidisiplinari favorisce il buon esito del trattamento dello shock
emorragico in gravidanza (3). L’arresto cardiaco conseguente ad emorragia massiva postpatum può
non rispondere al comune ALS, da cui la peculiarità della sua prevenzione e del suo trattamento che
devono essere aggressivi e prevedere:
accessi venosi multipli con cateteri di largo calibro e rapido carico volemico
emotrasfusione di globuli rossi concentrati (GRC) in emergenza da donatore universale, se
non ancora disponibile sangue compatibile e autoemorecupero (11)
somministrazione di plasma fresco congelato (PFC)
considerare l’eventuale utilizzo di fattore VII attivato per emorragie inarrestabili (12)
somministrazione di ossitocina e prostaglandine per trattare l’atonia uterina (13)
suture compressive uterine (14)
embolizzazione radiologica (15)
isterectomia
clampaggio aortico per emorragie massive indominabili (16)
supporto circolatorio meccanico, tipo circolazione extracorporea (ECMO), in casi di grave
insufficienza circolatoria ed arresto cardiaco potenzialmente reversibili, refrattaria a
trattamento convenzionale (17).
Tossicità da farmaci
Le cause più comuni di tossicità farmacologia nella gravida sono da ricondurre a iatrogenicità nel
corso di trattamento dell’eclampsia (2, 3) o di blocco epidurale (2, 3, 18, 19).
Un sovradosaggio da magnesio in corso di terapia di eclampsia è un evento possibile, soprattutto in
presenza di oliguria, e, qualora questo sia la causa dell’arresto cardiaco, la terapia prevede la
somministrazione di calcio cloruro 10% 10-40 ml per antagonizzarne la tossicità (2, 3).
L’arresto cardiaco da blocco neurassiale è la causa più frequente di morte o danno cerebrale
permanente conseguente ad anestesia loco-regionale sia in ambito ostetrico che non (19). Tale
evento, in gravidanza, è gravato da un alta percentuale di prognosi infausta, pari circa al 90% (19)
ed è correlato nell’84% dei casi a blocco subarcnoideo intenzionale o non (19). Fattori che possono
influire negativamente sulla prognosi in ambito ostetrico rispetto ad altri ambiti chirurgici, sono
dovuti al fatto che spesso l’arresto cardiaco da blocco neurassiale si verifica al di fuori della sala
operatoria (84% vs 10%), con riconoscimento ritardato (55% vs 10%) e ritardato trattamento (91%
vs 45%) (19). Inoltre non bisogna dimenticare che la bradicardia/asistolia dovute a blocco
neurassiale hanno un’insorgenza improvvisa senza essere precedute da desaturazione arteriosa e
senza lasciare il tempo di instaurare un’adeguato trattamento prima che si verifichi l’arresto
cardiaco completo (20, 21)Un altro evento peculiare al blocco epidurale nella gravida come causa di
arresto cardiaco è l’iniezione intravascolare accidentale (19). L’arresto cardiaco da tossicità di
anestetico locale può essere refrattario al trattamento convenzionale per l’intenso blocco del sistema
simpatico e per la deficitaria risposta neuroendocrina indotta (18, 22, 23). Alcuni autori
suggeriscono di trattare le tachiaritmie dovute a tossicità da bupivacaina con cardioversione elettrica
o bretilio, al posto della lidocaina (2).
20
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Patologia cardiovascolare preesistente
Le modificazioni fisiologiche indotte dalla gravidanza possono precipitare una patologia
cardiovascolare preesistente. In caso di malattia congenita cardiaca la causa di morte più frequente è
l’instaurarsi di ipertensione polmonare. Tra gli eventi più facilmente coinvolti nel periodo periparto
ricordiamo l’infarto miocardio acuto e la rottura di aneurisma o la dissecazione aortiche (24, 25).
Senza dubbio l’evento più frequente è l’insorgenza di ischemia miocardia acuta in pazienti
coronaropatiche, che, pertanto, vanno seguite in centri dotati di servizi di emodinamica, in quanto il
trattamento d’elezione di riperfusione in caso di infarto miocardio acuto è l’angoiplastica
percutanea, considerato anche il fatto che la gravidanza è una controindicazione relativa al
trattamento fibrinolitico (3).
Preclampsia ed eclampsia
La preeclampsia è una patologia multisistemica che si verifica circa nell’8% delle gravidanze, a
partire dalla ventesima settimane, manifestandosi con ipertensione, proteinuria ed edemi (26) e che
può evolvere in una patologia più severa, denominata eclampsia, a sua volta caratterizzata
dall’insorgenza di convulsioni e/o coma in pazienti con segni e sintomi di preeclampsia (3).
L’utilizzo del solfato di magnesio nella prevenzione e nel trattamento dell’eclampsia periparto è
ormai un dato assodato (3, 27, 28).
Embolia polmonare massiva
L’embolia polmonare massiva correlata alla gravidanza è un evento che si verifica soprattutto
nell’imediato postpartum, con una frequenza maggiore dopo taglio cesareo, rispetto al parto
vaginale (29). Oltre all’utilizzo dei fibrinolitici (30), è stata raccomandata, ove possibile eseguire
l’intervento, l’esecuzione di prolungato ALS sino ad esecuzione di embolectomia (29).
Embolia amniotica
L’embolia amniotica è una patologia della gravidanza che si manifesta con sintomi aspecifici, quali
dispnea, cianosi, aritmie, ipotensione e coagulopatia intravascolare disseminata (31). In un recente
studio epidemiologico condotto nel Regno Unito è stata dimostrata una mortalità materna totale del
37% ed un’elevata percentuale di esiti neurologici gravi sia per le donne che per i bambini
sopravvissuti (32). Il trattamento prevede il supporto intensivo dell’insufficienza organo (3).
BASIC LIFE SUPPORT (BLS): CONSIDERAZIONI nella GRAVIDA
E’ al di là dello scopo di questo scritto considerare in dettaglio i passaggi del BLS, per i quali si
rimanda alle sedi opportune (7). Passeremo, però, in rassegna rapidamente ciò che ci sembra
peculiare nel trattamento dell’arresto cardiaco che potrebbe verificarsi in corso di gravidanza.
Ovviamente, vista l’aumentata richiesta d’ossigeno nella paziente gravida, è indispensabile istituire
prontamente la ventilazione. Una volta liberate le vie aeree da materiale ostruente (es. vomito,
protesi odontoiatriche, ecc.) è mandatoria la ventilazione in maschera con pallone ed ossigeno a
frazione inspiratoria (FiO2) pari a 1, eseguendo contemporaneamente la compressione cricoidea (2).
Essendo questa paziente, come già spiegato, ad elevato rischio di inalazione di materiale gastrico e
potendo essere difficoltosa la ventilazione manuale per ostruzione delle vie aeree da edema tissutale
e ridotta compliance del sistema respiratorio, è essenziale ricorrere all’intubazione tracheale prima
possibile (vedi ALS) (3).
Premesso il posizionamento in decubito laterale sinistro di 15 gradi o lo spostamento manuale a
sinistra dell’utero dall’esterno, non esiste un’evidenza su dove posizionare le mani per l’esecuzione
del massaggio cardiaco esterno (MCE) (3). Fattori che possono influenzare negativamente tale
manovra nella gravida sono la ridotta compliance della gabbia toracica e l’aumento di volume del
seno, soprattutto nelle pazienti obese (2). Viene suggerito di situare le mani per l’esecuzione del
MCE in posizione più craniale rispetto al normale, per compensare lo spostamento craniale del
21
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
mediastino, causato dall’innalzamento del diaframma a sua volta dovuto all’aumento di volume del
contenuto intraaddominale (3).
In caso di fibrillazione ventricolare si devono somministrare shock elettrici di livello standard (8),
preferibilmente utilizzando placche adesive, perché la posizione laterale sinistra e l’ipertrofia
mammaria possono interferire con il corretto posizionamento soprattutto della placca apicale (2, 3).
ADVANCED LIFE SUPPORT (ALS): CONSIDERAZIONI nella GRAVIDA
E’ al di là dello scopo di questo scritto considerare in dettaglio i passaggi dell’ ALS, per i quali si
rimanda alle sedi opportune (9).
Come già detto in precedenza, è essenziale provvedere ad intubazione tracheale al più presto,
continuando la manovra di compressione cricoidea sino a che le vie aeree non siano state protette
(3). La ventilazione meccanica invasiva permetterà di ventilare più correttamente la paziente, anche
in presenza di ridotta compliance toracica ed aumentata pressione addominale (2,3). E’ ben nota la
possibilità di trovarsi di fronte a vie aeree di calibro ridotto, per edema. Pertanto è consigliabile
utilizzare un tubo tracheale di 0.5-1 mm di diametro interno inferiore rispetto a quello utilizzabile
per una donna pari non gravida, soprattutto considerando le possibilità di intubazione difficoltosa,
sempre presenti in gravidanza (10). L’aiuto del collega più esperto in servizio, l’utilizzo del
mandrino ed il ricorso a dispositivi alternativi per la gestione delle vie aeree, quali la maschera
laringea, il Combitube, ecc. (9) devono essere sempre previsti in caso di mancata intubazione (3).
TAGLIO CESAREO d’EMERGENZA
Sebbene il pronto ripristino di un ritmo cardiaco efficace sia in grado di far portare a termine la
gravidanza, soprattutto se l’arresto cardiaco si verifica nelle prime settimane, anche l’ALS condotto
al massimo degli standard può non essere sufficiente a far ripartire l’attività cardiaca, soprattutto a
causa della compressione aortocavale esercitata dall’utero gravido a partire dalla ventesima
settimana in poi. Pertanto, il taglio cesareo (TC) d’emergenza deve essere preso immediatamente in
considerazione nella donna gravida in arresto cardiaco, mentre si continuano le manovre di ALS.
Una recente review indica che la letteratura supporta, anche se non prova definitivamente, che la
percentuale migliore di sopravvivenza materno-fetale in corso di TC “perimortem”, per feti di età
gestazionale superiore alla 24a-25a settimana, si ha per isterotomie condotte entro 4 minuti
dall’insorgenza dell’arresto cardiaco (33), perché ciò permette di eliminare la compressione
aortocavale materna e di avere accesso al neonato per iniziarvi le manovre rianimatorie (3), oltre a
facilitare l’esecuzione del MCE materno per riduzione della pressione gravitazionale addominale
sul torace (2). Ovviamente gli obbiettivi dell’intervento saranno differenti a seconda dell’età
gestazionale del feto :
< 20 settimane: TC d’emergenza non indicato perché l’utero non ha ancora raggiunto
dimensioni tali da poter interferire con la gittata cardiaca ed il feto non è ancora vitale, se
reso autonomo;
20-23 settimane: TC d’emergenza per garantire un’efficace trattamento rianimatorio della
madre; la sopravvivenza del feto è inverosimile a questa età gestazionale;
> 24-25 settimane: TC d’emergenza per cercare di salvare madre e figlio (3).
CONCLUSIONI
L’arresto cardiaco che si verifica in gravidanza è gravato da un’elevata mortalità materno-fetale,
soprattutto per le modificazioni indotte nella fisiologia della donna da questo stato. Tutti gli sforzi
devono essere rivolti alla diagnosi e al trattamento precoci delle patologie che possono evolvere in
un tale evento catastrofico. Inoltre deve essere attivata immediatamente un’equipe multidisciplinare
che coinvolga, come minimo l’anestesista, il rianimatore il ginecologo, l’ostetrica ed il personale
del servizio trasfusionale insieme alla possibilità di provvedere ad un taglio cesareo d’emergenza da
effettuarsi entro 4 minuti dall’insorgenza dell’arresto cardiaco. Occorre, pertanto, che esistano
22
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
all’interno dell’ospedale, dei protocolli condivisi e conosciuti, oltre a periodici momenti di training
e retraining del personale addetto.
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Problematiche anestesiologiche nel trattamento chirurgico dell'epilessia farmaco resistente
nell'età evolutiva
M. CARUSELLI, R. GIRETTI, N. ZAMPONI *, A. FERRETTI, G. PIATTELLINI, G.
CAMILLETTI, M. AMICI, F. SANTELLI, F. CATANI, R. PALLOTTO, R.PAGNIS.C. di Anestesia e
Rianimazione, *S.C. di Neuropsichiatria Infantile Ospedali Riuniti di Ancona Presidio Materno-Infantile “G. Salesi” Ancona
La terapia dell’epilessia farmacoresistente può essere medica o chirurgica. Quella medica è basata
essenzialmente sulla dieta chetogenica, mentre quella chirurgica è basata su diversi interventi che
possono avere carattere ablativo o palliativo.
Le principali terapie chirurgiche ablative sono:
• Emisferectomia funzionale
• Corticectomia
• Lobectomia (spesso temporale)
Quelle palliative sono:
• Callosotomia
• Impianto di stimolatore vagale
L’epilessia cronica nel bambino può avere a lungo andare effetti molto gravi che vanno dalla
difficoltà nell’apprendimento al ritardo psicomotorio; le cause sono essenzialmente da riferire sia
alle crisi ipossiche e all’acidosi metabolica che si verificano durante le crisi sia all’uso intensivo di
anticonvulsivanti.
Il bambino da sottoporre a intervento chirurgico deve essere accuratamente selezionato in base alla
responsività alla farmacoterapia antiepilettica, alla qualità di vita data dalla malattia e alla
localizzabilità del focus epilettogeno.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Se è presente una epilessia farmacoresistente, se la qualità di vita del bambino è negativamente
influenzata dalla malattia e se è localizzabile una zona di displasia corticale (di solito presente dalla
nascita) si decide per l’intervento chirurgico.
Le patologie che più frequentemente causano epilessia farmacoresistente sono:
• Displasia corticale
• Emimegaloencefalia – quando uno dei due emisferi è displasico e maggiore dell’altro
• Sclerosi tuberosa – malattia genetica caratterizzata dalla triade adenoma sebaceo, ritardo
mentale ed epilessia
• Sindrome di Sturge-Weber – alterazioni venose di un emiencefalo. E’ caratterizzata da
ritardo mentale, angioma emifacciale, glaucoma, paresi con emianopsia controlaterale ed
epilessia
• Sindrome di West o spasmo infantile – caratterizzata da spasmi infantili in flessione e
arresto dello sviluppo mentale. Riconosce principalmente tre cause:
- criptogenetica, insorge in bambini sani
- postvaccinica
- sintomatica, avviene in bambini già encefalopatici
• Sindrome di Lennox-Gastaut – ad esordio di solito tra i 2 e i 6 anni, può essere conseguenza
di una S. di West. E’ caratterizzata da epilessia grave con ritardo psicomotorio
Tipi di chirurgia
ABLATIVA Emisferectomia funzionale – rimozione della porzione centrale e temporale di un
emisfero. E’ indicata nell’epilessia intrattabile, nell’emimegaloencefalia, nella displasia
corticale estesa, negli esiti di ipossia perinatale; viene preferita all’ emisferectomia
anatomica in quanto meno demolitiva e meno gravata da complicanze.Lobectomia –
rimozione di un lobo temporale; indicata nell’epilessia unilaterale del lobo
temporale.Corticectomia – indicata nell’epilessia extra-temporale.Lesionectomia – indicata
quando è identificabile precisamente una lesione corticale. Può essere effettuata sia a
paziente sveglio che in anestesia generale.
La lesionectomia viene realizzata in alcuni casi a paziente sveglio (awake craniotomy) utilizzando
il monitoraggio elettrocorticografico intraoperatorio (ECoG), quando per resecare il focolaio
epilettogeno è necessario intervenire vicino ad aree cerebrali nobili (solitamente area di Wernicke).
PALLIATIVA Callosotomia – indicata nell’epilessia intrattabile con “drop attacks” quando non è
identificabile un focus epilettogeno. In genere viene eseguita l’ exeresi dei due terzi
anteriori; quella della parte posteriore viene eseguita solo se non ci sono deficit
funzionali e cognitivi postoperatori e le crisi non si sono attenuate in maniera
soddisfacente
• Impianto di stimolatore vagale – indicato nell’epilessia intrattabile quando la
demolizione chirurgica sia controindicata (epilettogenicità multifocale). Viene
impiantato nella regione medio-cervicale del nervo vago sx un elettrodo che,
tunnellizzato nella regione infraclavicolare, viene collegato ad un apparecchio
generatore di impulsi programmabile a mezzo radiofrequenze.
Possibili complicanze chirurgiche
EMISFERECTOMIA Minori quando è funzionale e non anatomicaInfezione
- Emorragia
- Idrocefalo
CALLOSOTOMIA Ipostenia transitoria
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
-
Aprassia
Mutismo
Emorragia
STIMOLATORE VAGALE Paralisi corda vocale
- Paresi facciale
- Infezione
Problematiche anestesiologiche
Un paziente in terapia farmacologia per epilessia cronica che deve essere sottoposto ad intervento
chirurgico può presentare alcune condizioni più o meno gravi che devono essere valutate
dall’anestesista nella visita preoperatoria.
Spesso la funzionalità epatica è alterata ed è presente una leucopenia. Inoltre in certi casi possono
essere presenti una iperplasia gengivale e una dentaura irregolare che devono essere valutate poiché
possono complicare le manovre di intubazione.
Nei casi più gravi il bambino è affetto da tetraparesi spastica e ha vizi di postura degli arti, del
tronco e del collo che possono rendere più difficili anche in questo caso le manovre di intubazione.
Il monitoraggio da prevedere è in funzione del tipo di intervento a cui deve essere sottoposto il
paziente.
Per gli interventi demolitivi sarà consigliabile monitorare oltre all’ECG,alla NIBP, alla
pulsossimetria e all’ETCO2 anche il monitoraggio della pressione arteriosa cruenta.
Inoltre durante l’intervento di lesionectomia bisogna prevedere l’uso dell’elettrocorticografia
intraoperatoria.
Questo esame consiste nella registrazione di segnali elettrici con speciali elettrodi posizionati
direttamente sulla superficie corticale.
I segnali registrati hanno un’ampiezza maggiore rispetto al tradizionale EEG e danno la possibilità
di controllare gli effetti della stimolazione corticale diretta intraoperatoria.
La metodica viene utilizzata quando il focus epilettogeno da resecare è molto vicino ad aree nobili
del cervello per cui tramite stimolazione corticale si registrano le reazioni del paziente e le risposte
elettrocorticografiche e si procede a una resezione il più possibile precisa senza conseguenze.
Per realizzare questa procedura è necessario in alcuni casi (quando la fascia d’ età e la
collaborazione psicologica del paziente lo consentono) tenere il paziente sveglio durante la
stimolazione.
Questo risultato viene ottenuto sedando il paziente profondamente con infusione di varie
combinazioni di ipnotico e oppiaceo (in letteratura si trovano principalmente descritte esperienze
con associazione propofol/ remifentanil, propofol/fentanyl, propofol/alfentanil) durante la
craniotomia associando sempre una anestesia locale per le procedure più dolorose; una volta arrivati
alla corteccia cerebrale e applicati gli elettrodi dell’ ECoG, l’infusione di ipnotico/oppiaceo viene
interrotta o ridotta al minimo fino a che il paziente è in grado di rispondere alle domande in maniera
appropriata.
In alcuni casi, per identificare ancora meglio il focus epilettogeno, può essere richiesto
all’anestesista di somministrare appositamente un farmaco proconvulsivante. E’ citato in letteratura
a questo proposto l’uso degli oppiacei con successo sia in anestesia generale che in sedazione.
La scelta dei farmaci per eseguire un’ anestesia per la chirurgia dell’epilessia deve tenere conto
quindi delle loro proprietà pro- o anticonvulsivanti. Citiamo un elenco di farmaci di ambedue le
categorie.
PROCONVULSIVANTI
Enflurane ( a concentrazioni superiori a 2.5 %)
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Sevorane
Fentanyl
Remifentanil - Alfentanil
Ketamina
Antistaminici
Propofol
NON CONVULSIVANTI
Tiopentale sodico
Isoflurano
Alotano
Midazolam
Propofol
Alfentanil
Sevorane
Come si noterà alcuni farmaci compaiono nell’una e nell’altra categoria. Questo è dovuto al fatto
che riguardo ad essi la letteratura è discordante: in alcuni lavori sono segnalate reazioni
neuroeccitatorie evocate da questi farmaci tanto da essere utilizzati appositamente per facilitare la
localizzazione tramite ECoG del focus epilettogeno, in altri invece non sono segnalate alcune
reazioni.
TERAPIA MEDICA
Dieta Chetogenica
Conosciuta già dagli anni ’20, consiste nel realizzare una dieta ad alto contenuto di acidi grassi in
modo da ottenere un effetto anticonvulsivante per stimolazione indiretta del nervo vago.
Infatti gli acidi grassi e in particolare l’oleoiletanolamide riducono l’appetito attraverso un
meccanismo mediato dall' attivazione del PPARα (functional peroxisome proliferator activated
receptor α), presente a livello del fegato e dell’intestino in cellule adiacenti agli afferenti del nervo
vago. E’ stato dimostrato che l'attivazione del PPARa ha un effetto anticonvulsivante
I pazienti che effettuano dieta chetogenica e devono essere sottoposti ad una anestesia generale
hanno un maggior rischio rispetto alla popolazione standard di sviluppare:1)acidosi metabolica
2)alterazioni severe della glicemia
3)sindrome da propofol (in particolare nei pazienti pediatrici).
Per questi motivi per eseguire l’anestesia generale in questi pazienti bisogna monitorare nel periodo
intra e postoperatorio la glicemia e lo stato metabolico tramite emogasanalisi seriate e scegliere
accuratamente i farmaci da somministrare.
Elenchiamo di seguito quelli che sono stati utilizzati senza conseguenze e quindi considerati sicuri:
•Alogenati
(alotano,isoflurano
e
sevorane)•Tiopentale
sodico•Benzodiazepine
(midazolam)•Oppiacei (fentanyl e morfina) •Curari (vecuronio , mivacurium, pancuronio e
succinilcolina)
Tra le soluzioni infusionali:•Soluzione Fisiologica•Ringer Lattato •Albumina
BIBLIOGRAFIA
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Il trauma toracico in età pediatrica: nuove possibilità terapeutiche
A. CINQUESANTI
S.S. Rianimazione Pediatrica Azienda Ospedaliera "Ospedali Riuniti" di Foggia
Il politrauma è responsabile della metà dei decessi in età pediatrica. Nei 2/3 dei casi è conseguente a
caduta od incidente d’auto. Ruolo importante nella prognosi del politrauma è rappresentato dalla
presenza di un trauma toracico.Quando al trauma toracico si associa il trauma addominale e/o
cranico la mortalità cresce notevolmente. Le cause di morte per trauma toracico più frequenti sono
l’emotorace ed il pneumotorace ipertensivo, quest’ultimo in grado, per la elevata compliance del
mediastino nel bambino, di determinare spostamenti tali da dare immediate gravi ripercussioni
emodinamiche.
Il trauma toracico chiuso, più frequente di quello penetrante (85% vs. 15%), è dovuto ad improvvisa
trasmissione di energia cinetica (contatto diretto con superficie o trasmissione di onda d’urto in
un’esplosione) sulla parere toracica, la cui elasticità può far sì che tutta l’energia si trasmetta ai
visceri intratoracici, senza che vi siano lesioni ossee della gabbia.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
La contusione di uno od entrambi i polmoni è quindi una della evenienze che possono verificarsi in
caso di trauma chiuso del torace.
Anatomopatologicamente la lesione da trauma toracico si configura in una rottura alveolocapillare
con edema perilesionale, successiva infiltrazione emorragica alveolare ed interstiziale con un
quadro di vera e propria alveolite necrotico-emorragica. A ciò si aggiunge un passaggio di fluido ad
alto contenuto proteico nell’alveolo, per un aumento della permeabilità della membrana alveolocapillare, conseguente ad un danno sia dell’endotelio sia dell’epitelio alveolare. Quindi passaggio di
liquido e di cellule dal capillare all’interstizio e da questi nell’alveolo, formazione nell’alveolo di
membrane ialine, liberazione da parte dei macrofagi di citokine (Il 1-6-8-10) e di fattore di necrosi
tumorale alfa (TNFa) stimolanti la chemiotassi e l’attivazione dei neutrofili che a loro volta migrano
e liberano proteasi, leucotrieni, sostanze ossidanti, fattore di attivazione delle piastrine (PAF) ed
altre sostanze ad azione proinfiammatoria.
A questa situazione si aggiunge spesso il danno da ventilazione meccanica tradizionale, in
situazioni in cui è richiesto un aumento della FiO2 e si verifica un incremento delle pressioni di
picco inspiratorio.
Clinicamente il danno polmonare acuto si manifesta con aree di atelettasia e soprattutto con
riduzione dell’ossigenazione ematica.
Sono state proposte varie modalità di trattamento. Tra queste ruolo predominante è rivestito da una
ventilazione polmonare di tipo protettivo in cui i polmoni, reclutati con manovra opportuna,
vengono mantenuti aperti con una PEEP di almeno 8 cmH2O e con un volume corrente ridotto tale
da evitare un volutrauma.
Alla ventilazione protettiva si associano manovre di pronosupinazione ed il BAL con surfattante.
Il surfattante è una sostanza lipoproteica, prodotta soprattutto da pneumociti di II tipo, in grado di
ridurre la tensione superficiale all’interfaccia aria-acqua nell’alveolo, senza interferire con gli
scambi gassosi e prevenendo il collasso alveolare in fase espiratoria. E’per gran parte costituito da
lipidi ( tra i fosfolipidi è abbondantissima la DIPALMITOILFOSFATIDILCOLINA, la sostanza
più direttamente responsabile della funzione tensioattiva del surfattante) mentre la quota proteica
sembra essere più direttamente interessata alle funzioni antibatteriche e di difesa che pure ha il
surfattante.
Tra le principali funzioni del surfattante, alcune delle quali direttamente interessate a contrastare il
meccanismo fisiopatologico dell’ARDS, particolare importanza riveste la funzione di
stabilizzazione della pervietà delle vie aeree più piccole. Da ricordare anche l’attività diretta ed
indiretta contro agenti patogeni, legata soprattutto alla componente proteica.
Nella contusione polmonare le funzioni del surfattante sono compromesse, non tanto per una sua
minore produzione o per una riduzione del suo turnover conseguenti a danno cellulare alveolare,
quanto perché si verificano modificazioni chimico-fisiche del surfattante presente o prodotto, tali da
renderlo inefficace o inattivo (azione anche delle proteine plasmatiche fuoriuscite nell’alveolo e dei
mediatori dell’infiammazione provenienti dai neutrofili)
Nella pratica clinica esistono vari tipi di surfattante: naturali (modificati) e sintetici.
Nella nostra pratica clinica abbiamo impiegato surfattante naturale modificato, di origine suina,
(Curosurf®), privo di quella componente proteica che ha funzione di difesa contro agenti patogeni.
Diverse sono le modalità di somministrazione del surfattante.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L’instillazione tracheale viene eseguita mediante un sondino che superi di poco l’estremità distale
della sonda tracheale.
In genere viene eseguita dopo un BAL, dopo aver reclutato il polmone, per mantenerlo aperto
(insieme con la PEEP)
L’instillazione selettiva viene eseguita (con vario strumentario) per trattare specificamente una
circoscritta regione polmonare atelettasica.
L’aerosolizzazione del surfattante è la metodica che dà risultati meno soddisfacenti (solo il 5%
raggiunge gli alveoli e spesso il surfattante viene denaturato dal processo di aerosolizzazione)
Il BAL è la metodica utilizzata per i nostri casi clinici: consente di rimuovere mediante lavaggio
con soluzione tensioattiva materiale necrotico e comunque estraneo, consente di rimuovere i fattori
di flogosi inibenti ed inattivanti e, con il bolo suppletivo finale, consente di mantenere pervio il
polmone reclutato prevenendone l’atelettasia.
La metodica prevede il recupero della maggior quantità possibile di liquido instillato, una
ventilazione con O2 al 100%, l’esecuzione di manovre posturali per favorire la diffusione del
surfattante.
I risultati attesi e raggiunti stabilmente riguardarono il miglioramento degli scambi gassosi, la
riduzione della PIP con aumento della compliance, risultati che verosimilmente hanno ridotto i
tempi di ventilazione e di conseguenza i tempi di ricovero in TI.
1.
Bambino di 2 anni. Giunge intubato da un ospedale della provincia di Bari (Barletta)
Trauma chiuso del torace con contusione basale dx ed atelettasia lobo superiore sn (muco?)
Sottoposto subito a BAL : a 3 ore netto miglioramento con minima disventilazione del segmento
dorsale lobo superiore dx
Il bambino viene ventilata per un solo giorno e subito dopo dimessa dalla TI (in Pediatria dopo 3
gg.)
2.
Bimba di 3 anni ricoverata per trauma chiuso del torace con contusioni polmonari basali bilaterali e
frattura di femore sn.
BAL e miglioramento del quadro emogasanalitico
L’Rx torace a distanza di 3 h mostra completa risoluzione delle contusioni
Estubata dopo 1 giorno. Esito positivo
3.
Vittima di incidente stradale. 14 anni trauma chiuso del torace e trauma cranico
La TAC torace evidenzia una contusione polmonare apicale dx, basale dx e minima a sn
Il BAL fu eseguito immediatamente ed altrettanto immediati furono i risultati clinici. La TAC a 3
ore dimostra la risoluzione
Per il BAL rimangono ancora una serie di problemi ancora aperti, riguardanti la modalità di
esecuzione, il volume da somministrare, la diluizione ottimale, il tipo di surfattante da usare, il
timing (la somministrazione deve essere sicuramente precoce ma si discute se eseguirla
profilatticamente, prima che si verifichi l’atelettasia, o alla comparsa del quadro clinico.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
E’ comunque di estrema importanza, a nostro parere, la scelta della patologia da trattare.
Per quella che è la nostra esperienza, il BAL è efficacissimo quando c’è un danno polmonare
primitivo caratterizzato dalla presenza di materiale necrotico o comunque estraneo nel polmone,
efficace in altre patologie primitive polmonari quali le polmoniti, le bronchioliti.
Molto meno efficace quando la patologia polmonare è secondaria ad una malattia sistemica:
mucoviscidosi, grave sindrome respiratoria secondaria ad un trattamento antiblastico, nelle
cardiopatie congenite non correggibili, nella MOF.
Anestesia nel paziente neurochirurgico
P. CIRITELLA, A. DEL GAUDIO, P. DE VIVO
SC Anestesia e Rianimazione Il Ospedale "casa Sollievo della Sofferenza" IRCCS - San Giovanni Rotondo (Fg)
“Based general anestesia increased the amount of brain swelling and worsened the outcome of
neurosurgical procedures when compared to local anesthesia ...".
Così scriveva H. Cushing, uno dei padri della neurochirurgia, il 23.02.1918.
Nonostante questa affermazione, in particolare negli ultimi 20 anni, le tecniche di neuroanestesia hanno contribuito notevolmente allo sviluppo della neurochirurgia. In particolare dalla
fine degli anni '80 in poi l'impiego degli anestetici endovenosi (propofol) si è dimostrato più
vantaggioso rispetto agli agenti inalatori, negli interventi neurochirurgici, anche se studi clinici
definitivi in tal senso non sono stati ancora pubblicati. In neuroanestesia va posta particolare
attenzione all'azione dei farmaci sul flusso ematico cerebrale (cerebral blood flow = CBF).
Il CBF, infatti, provvede a fornire al cervello sia il necessario substrato energetico, e rientra
nel meccanismo di controllo, sia pur indirettamente, della pressione intracranica (intracranial
pressure = ICP).
L’anestesia per la neurochirurgia presenta, quindi, delle problematiche diverse rispetto
all’anestesia per altre branche chirurgiche; deve infatti, tenere in considerazione i suoi effetti i sull'
ICP e sulla pressione arteriosa sistemica il cui controllo è di estrema importanza nella chirurgia di
alcune neoplasie intracraniche, nel clipping di aneurismi e nell' asportazione di malformazioni
artero-venose (MAV). Inoltre non è da sottovalutare l' azione di protezione cerebrale svolta dagli
anestetici generali endovenosi, in particolare tiopentone sodico e propofol.
Gli anestetici endovenosi garantiscono un' induzione più pronta ed il superamento della fase
eccitatoria con un rapido approfondimento dell'anestesia che si accompagna a riduzione dell'attività
simpatica. Sebbene i boli di ipnotici e particolarmente del propofol posssono determinare brusche
riduzioni della pressione arteriosa e quindi della pressione di perfusione cerebrale, questo effetto è
generalmente predicibile e dose dipendente. Inoltre piego di tecniche più avanzate di
somministrazione del farmaco e cioè la Target Controlled Infusion (TCI) riesce a fronteggiare
meglio questo problema.
Gli anestetici endovenosi offrono una maggiore stabilità dell'omeostasi intracranica ed un maggior
controllo del metabolismo cerebrale rispetto agli anestetici inalatori. Sono vasocostrittori cerebrali e
deprimono il metabolismo cerebrale sia del glucosio che dell' ossigeno. Svolgono azione
antiepilettica e l'accoppiamento flusso/metabolismo, la reattività alla CO2, e l'autoregolazione
cerebrale restano immodificati durante il loro utilizzo. La nocicezione e l'attivazione simpatica
aumentano la richiesta metabolica del sistema nervoso centrale e contribuiscono, attraverso
meccanismi di tipo biochimico (rilascio di aminoacidi eccitatori ed attivazione dei pathways
dell’ossido nitrico) e neuroplastico, ad attivare la cascata di eventi innescata dall'ischemia cerebrale.
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Per questi motivi un più adeguato controllo del dolore è un altro riconosciuto vantaggio dell
'anestesia totale endovenosa. In considerazione delle caratteristiche della nocicezione in
neurochirurgia (molto alta in alcune fasi come IOT, posizionamento testiera di Mayfield, apertura
lembo osteo-durale, chiusura osteo-durale, chiusura tegumenti, estubazione, ma pressocchè assente
nelle fasi centrali dell'intervento e cioè durante le manipolazioni del parenchima) e delle
vantaggiose caratteristiche farmacologiche del remifentanil, questo è l'oppiaceo di scelta nella
neurochirurgia delle lesioni intracraniche.
Il remifentanil è un agonista dei recettori μ le cui più significative caratteristiche
farmacocinetiche consistono in un rapido onset ed in un altrettanto rapido context sensitive halftime. Infatti il metabolismo del remifentanil non segue le usuali tappe di degradazione e di
eliminazione epato-renali ma utilizza l’azione e di esterasi plasmatiche che ne scindono
direttamente e rapidamente la molecola, inattivandola. Queste caratteristiche ben si addicono ad un
farmaco da utilizzare in neurochirurgia in quanto esso consente:
1) di modulare il piano di anestesia "titolandolo" secondo le necessità del momento
chirurgico e delle necessità del paziente;
2) di programmare un risveglio molto rapido e senza code, nel caso in cui l'intervento
chirurgico e le condizioni pre-operatorie ed attuali del paziente lo consentano;
3) di instaurare un regime di analgo-sedazione in terapia intensiva, continuando la
somministrazione degli stessi farmaci utilizzati durante l'anestesia, riducendo le dosi di propofol
utilizzate ed assicurando un risveglio molto rapido, senza accumulo di farmaco, alla fine del più o
meno lungo periodo di sedazione.
Riassumendo: il remifentanil è farmaco di scelta per coprire le fasi a maggior componente
nocicettiva sia in schemi di anestesia endovenosa, che inalatoria con alogenati, vanno esercitate
precauzioni per evitare depressione di circolo e di respiro sia in induzione che al risveglio, permette
di realizzare tutti gli schemi e tipi di analgosedazione, anestesia generale e anestesia "da sveglio",
permette di passare dall'anestesia all'analgosedazione in T.I., va prevista e contrastata l'insorgenza
di dolore alla sua sospensione.
In conclusione riteniamo che al momento attuale la disponibilità di farmaci per la TIVA
come il propofol ed il remifentanil, soprattutto se impiegati in TCI, costituisca la migliore risposta
alle richieste della moderna neurochirurgia. Non ultima la neurochirurgia di aree eloquenti in cui è
raccomandata la craniotomia a paziente sveglio.
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La teratogenicità dei farmaci anestetici
A. CLAVENNA
Centro di Informazione sul Farmaco e la Salute, Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, Milano
La prescrizione e l’impiego di farmaci in gravidanza rappresenta una scelta delicata: alle
considerazioni riguardanti l’efficacia e sicurezza dei medicinali si aggiungono, infatti, quelle sui
possibili effetti indesiderati a carico del feto. A complicare ulteriormente le decisioni terapeutiche
c’è la scarsità di studi e ancor più di disponibilità di informazioni nel momento decisionale sulla
sicurezza di impiego dei farmaci nel corso di un evento (gravidanza, parto) che è nella maggioranza
dei casi fisiologico.
Il 2-3% delle gravidanze ha come esito la nascita di un neonato con una malformazione; nella
maggior parte dei casi la causa è sconosciuta, e solo il 10% dei difetti congeniti sarebbe associato a
fattori ambientali (malattie materne, esposizione materna a sostanze tossiche, radiazioni o farmaci).
Tutti i farmaci sono in grado di attraversare la placenta, ad eccezione di alcune molecole di grosse
dimensioni (insulina, eparina). Il passaggio dei farmaci attraverso la placenta avviene
prevalentemente attraverso un meccanismo di diffusione passiva, e il gradiente di concentrazione
del farmaco che si instaura tra il plasma materno e quello fetale è il principale fattore che determina
il passaggio transplacentare. Ciò implica che per farmaci a breve emivita o scarsamente assorbiti
(farmaci ad uso topico) la quantità che attraversa la placenta è trascurabile.
Il passaggio transplacentare dei farmaci dipende inoltre dalle caratteristiche fisico-chimiche del
farmaco (peso molecolare, liposolubilità; grado di ionizzazione, legame proteico); dallo spessore e
superficie della placenta che variano con il progredire della gravidanza; dal flusso plasmatico uteroplacentare.
Il fatto che un farmaco passi la placenta non significa necessariamente che causi malformazioni in
tutti i feti esposti in utero. Tra i fattori che possono determinare l’effetto di un farmaco sul prodotto
del concepimento, i principali, oltre alla teratogenicità “intrinseca”, sono: la dose, la durata della
terapia e il periodo in cui il farmaco è stato assunto.
Dose: per quanto siano poco conosciuti i meccanismi alla base degli effetti teratogeni, per molti dei
medicinali in grado di interferire con il normale sviluppo del feto sembra esistere una dosedipendenza. Per alcuni medicinali sembra esistere una soglia al di sotto della quale non compaiono
gli effetti sul feto; spesso però non è possibile determinare con precisione quale possa essere tale
soglia di “non tossicità”. In ogni caso, maggiore è la dose di farmaco assunto e più elevati saranno i
livelli plasmatici; una quota maggiore di farmaco sarà quindi in grado di attraversare la placenta e di
raggiungere il compartimento embrionale.
33
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Durata della terapia: l’assunzione occasionale di un farmaco è raramente in grado di causare
malformazioni o danni funzionali. Maggiore è la durata dell’esposizione al farmaco e maggiore è il
rischio di comparsa di malformazioni o di altri effetti avversi sullo sviluppo fetale.
Periodo gestazionale: La possibilità di causare effetti sullo sviluppo del feto e il tipo di effetti
dipende dal periodo della gravidanza in cui il farmaco viene assunto.
Periodo preconcezionale. Ci sono farmaci (p.es. alcuni antiblastici) che possono alterare il corredo
cromosomico della linea germinale maschile e femminile. La loro assunzione prima del
concepimento può comportare un aumento del rischio di malformazioni. Anche l’assunzione
preconcezionale di teratogeni dotati di un’emivita molto lunga può causare malformazioni.
In alcuni casi l’assunzione di farmaci prima del concepimento è in grado di ridurre il rischio di
comparsa di malformazioni. È il caso dell’acido folico: l’efficacia della supplementazione con
questa vitamina nel ridurre l’incidenza dei difetti del tubo neurale è ampiamente documentata.
Concepimento-impianto. I primi 21 giorni dopo il concepimento rappresentano il periodo in cui
l’effetto del farmaco è definito “tutto o nulla”. In questo periodo, infatti, il farmaco o causa un
aborto spontaneo, oppure la gravidanza procede normalmente.
Periodo dell’organogenesi. III-VIII settimana di gravidanza. Rappresenta il periodo di maggiore
sensibilità per eventuali malformazioni. Dal momento che la formazione e differenziazione degli
organi avviene in tempi differenti, la sensibilità ad un teratogeno in un determinato periodo
gestazionale varia a seconda degli organi e apparati.
Periodo dello sviluppo fetale (II-III trimestre). Terminata l’organogenesi, i possibili effetti
indesiderati di un farmaco sono rappresentati soprattutto da difetti funzionali, rallentamento della
crescita intrauterina, rischio di aborto spontaneo/morte fetale.
Travaglio e parto. Alcuni farmaci possono aumentare o ridurre la contrattilità uterina e sono perciò
in grado di allungare o diminuire la durata del travaglio. Alcuni farmaci se assunti in prossimità del
parto possono causare effetti indesiderati nel neonato. Questi effetti possono essere dovuti alla
sospensione dell’esposizione al farmaco (sindrome di astinenza neonatale), oppure all’azione del
farmaco stesso.
Per quanto riguarda gli anestetici, gli studi epidemiologici riguardanti l’uso in gravidanza non
hanno osservato un’associazione con un aumento del rischio teratogeno.
L’impiego di anestetici durante il parto può, invece, causare effetti indesiderati fetali (p.es.
alterazioni della frequenza cardiaca) e/o neonatali (p.es. depressione respiratoria).
Alcuni studi epidemiologici hanno, infine, osservato un aumento del rischio di aborto spontaneo in
seguito a esposizione occupazionale a gas anestetici. È stato segnalato anche un aumento del rischio
di malformazioni, ma un’associazione causale con l’esposizione a gas anestetici non è ad oggi
documentata. In ogni caso, al primo sospetto di gravidanza le lavoratrici addette alla sala operatoria
devono essere adibite ad altre mansioni.
La riabilitazione precoce nel grave neuroleso midollare
E. COMINELLI, M. TADDEI*
Responsabile della degenza, *Terapista della riabilitazione Unità Spinale di Careggi - Firenze
La lesione midollare è un evento talmente drammatico ed invalidante da porre il problema
degli esiti funzionali ancora prima che sia sciolta la prognosi sulla vita. In effetti nel giro di pochi
giorni si possono instaurare meccanismi autonomi di compenso che richiederanno un grande
impegno sia al paziente che all’ équipe riabilitativa per essere superati e neutralizzati, quando si sia
ancora in tempo.
34
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Nella fase dell’emergenza si può non avere un inquadramento clinico definitivo quoad
valetudinem, ed in effetti per molti soggetti si riesce ad avere una valutazione del recupero
neurologico ben approssimata solo all’uscita dalla fase di shock (dopo 1 / 2 settimane dal trauma).
In questo caso l’esperienza specifica del clinico che esegue la prima valutazione al Pronto
Soccorso può fare la differenza, ma l’esame principale su cui si base la diagnosi, cioè l’ASIA,
richiede un paziente cosciente, non alterato, capace di collaborazione ; quando queste caratteristiche
non sono presenti aumenta il rischio di attribuire residui funzionali in realtà assenti o, peggio,
sottostimare il danno. E’ quindi una misura prudenziale trattare ogni neurologico midollare grave in
prospettiva di una lesione non reversibile.
Tradizionalmente il paziente midollare ha una decubito supino obbligato, almeno fino
all’intervento di stabilizzazione, ma spesso anche oltre.
Anche se l’impiego di letti e materassi altamente protettivi ha drasticamente ridotto la
necessità del posizionamento alternato, ha comunque ridotto anche i benefici legati ai cambi di
posizione, soprattutto per la cura della cute e per la ventilazione polmonare.
La prima prevenzione per le lesioni da decubito è rappresentata dalla:
Cura posturale
Strettamente legata al livello di lesione sarà la posizione spontanea che il paziente tenderà ad
assumere (fig.1).
In particolare l’innervazione residua dei muscoli trapezio,scaleni, sternocleidomastoideo, romboide,
spleni del capo e del collo imporranno un avvicinamento rigido ed obbligato del torace alla testa
con perdita della lunghezza del collo. Questa postura non verrà contrastata da alcuna struttura
muscolare per la paralisi dei muscoli addominali e del gran dentato. Oltre ad essere un pericolo per
la deformità del cingolo scapolare e per l’atteggiamento della testa , in questo modo il paziente
escluderà l’unico movimento di compenso all’eventuale insufficienza ventilatoria e cioè il
reclutamento degli apici polmonari mediante l’elevazione attiva del cingolo.
Il tronco deve essere ben allineato, evitando che l’angolo tronco coscia superi i 30° , con una
postura stabile che non permetta alcun tipo di scivolamento sul sacro. Peraltro ricordiamo che la
posizione semiseduta svantaggia notevolmente la ventilazione in questi soggetti e si deve limitare
agli intervalli dei pasti.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Fig. 1
Posizionamento Semifowler 30°
Gli arti inferiori dovrebbero essere in lieve elevazione rispetto al tronco e comunque mai
declivi, il ginocchio mantenuto in lieve flessione per non bloccare il cavo popliteo e l’anca allineata
per evitare l’extrarotazione. L’angolo della caviglia va mantenuto a 90°. Ovviamente la mancanza
di sensibilità sia proprio che esterocettiva impone un controllo costante del posizionamento da parte
del personale e un riposizionamento immediato in caso di postura scorretta (il cingolo scapolare può
necessitare di un aggiustamento praticamente orario).
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Preparazione della mano automatica
Gran parte dell’autonomia futura di un tetraplegico passa dall’impostazione di un efficiente
effetto tenodesico delle mani. Inoltre la presenza di un livello C5 integro a fronte di una mano
denervata impone un atteggiamento di flessione del gomito e supinazione dell’avambraccio che non
viene contrastata dagli antagonisti , con una postura dell’arto superiore non funzionale che si istaura
nel giro di pochi giorni ( fig!) Per quanto riguarda il gomito, se il paziente non riuscirà ad avere un
appoggio sul gomito esteso, anche solo passivamente, le sue possibilità di trasferirsi in modo
autonomo saranno ridotte a zero. Sulla mano automatica il problema è ancora più complesso. Infatti
l’effetto tenodesico si realizza solo se la loggia flessoria conseguirà un effettivo accorciamento delle
strutture tendineoligamentose, il che si realizza nelle prime settimane dal trauma o mai più; inoltre
presuppone che durante l’iter terapeutico le mani vengano salvaguardate in modo particolare,
evitando l’edema da posizione declive, o peggio, da terapia infusiva, evitando lo stiramento a mano
piatta durante le manovre di nursing e pulizia, controllando accuratamente le zone di contatto e
macerazione della pelle. In linea di massima la posizione consigliata è il “key grip”, cioè quella
della mano che usa una chiave per aprire la porta; si può realizzare con semplici bendaggi a T o
anche con fasce morbide o cerotto di carta, a patto di controllare la cute ogni due ore ed eseguire
una mobilizzazione accurata di tutte le articolazioni almeno due volte al giorno.
Prevenzione dell’insufficienza ventilatoria
Presupponendo che il soggetto al momento del trauma non avesse patologie respiratorie
conclamate, si può affermare che l’insufficienza respiratoria derivi da un esclusivo deficit di
volume, eventualmente complicato da deficit di scambio in caso di compromissione diretta del
parenchima polmonare; nelle lesioni dorsali alte e medie in particolare l’associazione con emo37
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
pneumotorace, o necessità di intervento sui grossi vasi o sul mediastino fanno lievitare la gravità del
quadro iniziale. A ciò va aggiunto il trauma chirurgico specifico con accesso per via toracotomica.
Nelle lesioni dorsali basse o della cerniera dorsolombare in genere si ha un andamento
migliore perché la muscolatura è in gran parte conservata, sia per gli intercostali che per gli
addominali.
Nel tetraplegico e nel dorsale alto la ventilazione è quasi esclusivamente diaframmatica ( se
C4 è conservato). Secondo le linee guida AHRQ del 2000 ( vedi bibl.) circa il 35 % dei tetraplegici
richiederà una ventilazione meccanica nella fase acuta, e viene sottolineato come il ricorso alla
ventilazione invasiva possa tradursi in un ritardo notevole dell’inizio della riabilitazione estensiva
dati i tempi di weaning dilatati.
La paralisi muscolare che si stabilisce in modo improvviso e massivo induce una modalità
ventilatoria faticosa e svantaggiosa che si chiama “discinesia da denervazione” , meglio conosciuta
come “ respiro paradosso “ . Durante l’inspirazione il piano sternale si abbassa : dal punto di vista
meccanico questa “aspirazione” dello sterno verso la colonna è dovuta alla paralisi dei muscoli
parasternali ed alla pressione negativa intratoracica esercitata dal movimento inspiratorio del
diagramma. Il deficit che ne risulta è un basso volume inspirato a fronte di un impegno energetico
notevole perché il diaframma, perdendo la zona apposizionale per paralisi dei muscoli addominali
lavora con una lunghezza tensione svantaggiosa ( legge di Laplace) ; dal punto di vista clinico si
traduce in ipossiemia ed in stato di fatica.
Perdita della zona apposizionale del diaframma
38
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il basso volume di aria comporta zone disventilate e microatelectasie che a loro volta
innescheranno l’iperproduzione di muco e l’ingombro bronchiale ( desaturazione, ipercapnia).
Alcuni centri francesi stanno promuovendo il posizionamento prono per tre ore consecutive due
volte al giorno per contrastare la disventilazione delle basi, sembra con buoni risultati, ma al
momento non ci sono studi pubblicati.
Il diaframma posteriore per la sua collocazione anatomica con una larga inserzione su
strutture fisse paravertebrali è di norma in grado di assicurare un volume corrente stabile, ma a
fronte di richieste energetiche aumentate ( per ingombro o febbre) non possono essere reclutati che
piccoli volumi di riserva dal momento che il diaframma anteriore, con una inserzione mobile su
strutture senza controllo nervoso, non può contrarsi in modo efficace. A fronte di una richiesta di
alti volumi il deficit si evidenzia, soprattutto quando si richiede la massima forza espulsiva per
tossire. Dal momento che la tosse fisiologica avviene ad alti volumi e con cocontrazione delle
strutture toraciche e addominali, è ovvio che con volumi minimi e muscoli paralizzati la tosse non
sarà realizzabile.
Nel trattamento di questa fase si cerca di contrastare gli effetti meccanici della paralisi con la
stabilizzazione della parete addominale e della parte bassa del torace ( contenimento dei visceri con
pancera e/o fascia toracica per avvantaggiare la parte apposizionale del diaframma) , con un
posizionamento adeguato che mantenga le spalle protratte e depresse, con la somministrazione di
boli di aria e manovre di accompagnamento toracico per mimare la tosse, eventuale uso di inexufflator a scopo di drenaggio bronchiale, con trattamenti di riespansione periferica e contrasto del
gap disventilatorio ( cambi di posizione, freno espiratorio alla bocca, insufflazione con apparecchi
specifici- bipap, IPV2 percussionaire).
Con il passare delle settimane il tono sottolesionale crescerà (de Troyer sostiene che
l’ipertono sarà proporzionale alla gravità della instabilità precedente ) stabilizzando la gabbia e
minimizzando il paradosso. Ma anche questo compenso è destinato a diventare svantaggioso perché
ne conseguirà il grado di restrittività effettivo della fase cronica. Nell’AHRQ si trovano riferimenti
all’utilità di iniziare manovre di riespansione meccanica a scopo di stretching toracico per
contrastare questa tendenza.
Prevenzione delle complicanze vascolari : trombosi venosa profonda e embolia polmonare
Contendono all’insufficienza respiratoria il primato di causa di morte in fase precoce dopo
danno midollare. Ammontano ad una percentuale stimata di 25-30% in fase acuta ( in letteratura dal
5 al 100 % a seconda dei metodi di indagine e del campione di pazienti indagati ).
La frequenza di TVP non mostra significative differenze fra lesioni complete e incomplete.
Il trattamento preventivo comprende :
- uso di calze lunghe a basso livello di compressione nelle 24 ore
- posizionamento degli arti inferiori in lieve scarico e mai in posizione declive
- mobilizzazione attiva assistita o passiva di tutti i distretti con particolare attenzione alla
suola venosa coinvolta dalla dorsiflessione della caviglia
- pressoterapia pneumatica alternata per almeno tre ore al giorno nei primi trenta giorni dal
trauma
- terapia farmacologia con eparina a basso peso molecolare
- controlli seriati con ecocolordoppler.
Al momento che la TVP fosse instaurata il suo trattamento contempla l’ uso di farmaci quali la
Eparina sodica e.v, dicumarolici, filtro cavale ( se trombo flottante ), oltre che l’immobilizzazione.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Prevenzione delle lesioni da pressione
L’incidenza delle piaghe da decubito varia dal 50% all’80% della popolazione mielolesa con
un’incidenza del 32-40% durante il primo ricovero. Peraltro il dato più sconfortante riguarda le
recidive, che interessano il 60 -80 % dei pazienti già colpiti. ( fonti del Model System USA ).
La pressione diretta su una sporgenza ossea è il primo fattore riconosciuto e per ogni tessuto è
prevedibile una soglia pressione/tempo: in linea di massima una pressione minore per un tempo
prolungato è più dannosa di una pressione elevata mantenuta per breve tempo. La soglia di
ischemizzazione è strettamente legata alla pressione arteriosa: in un paziente fortemente ipoteso
come il tetraplegico si raggiunge in tempi molto ridotti ( in decubito supino la compressione
sull’osso sacro può raggiungere i 100 – 150 mmHg , in posizione seduta la pressione sulle
tuberosità ischiatiche arriva a 300 mmHg).
Al fattore pressione tempo si aggiungono le forze di taglio, da scivolamento, che determinano
microtrombosi locali, ostruzione e ressi dei piccoli vasi con conseguente infarcimento ematico,
ipossia e necrosi tissutale profonda.
Possiamo aggiungere aggravanti come l’attrito o frizione (spostamenti nel letto) e macerazione (
incontinenza urinaria o fecale).
Va da sè che la mancanza di sensibilità, l’immobilità e fattori metabolici legati allo stato di
autonomic impairment giocano a loro volta un ruolo fondamentale.
In conclusione si può definire riabilitazione precoce nel paziente con lesione midollare la attenta
cura delle condizioni del paziente che impediscano lo svilupparsi di quelle complicanze della fase
acuta che rappresentano il danno terziario della mielolesione.
Il midollo spinale di un paziente traumatizzato midollare può mantenere delle chances di ripresa
neurologica che devono essere potenziate e non ridotte dal trattamento intensivo spesso necessario
per mantenere in vita il paziente stesso.
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Nuove frontiere in neurochirurgia
V. A. D’ANGELO
U.O. Neurochirurgia,Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”IRCCS,San Giovanni Rotondo
I progressi degli ultimo 30 anni nel campo dell’informatica,della fisica e delle scienze biomediche
insieme all’introduzione del microscopio operatorio hanno creato i presupposti per una”nuova”
neurochirurgia caratterizzata dalla precisione nell’orientamento anatomico e nelle manipolazioni
delle strutture nervose fino al raggiungimento di un progressivo “minimalismo” chirurgico.Gli
sviluppi dell’imaging e una più raffinata conoscenza dell’anatomia chirurgica sono stati coniugati
attraverso avanzati sistemi computerizzaticon le componenti anatomiche e funzionali dell’atto
chirurgico. (neuronavigazione,neurofisiologia intraoperatoria).Nuovi concetti di Stereotassi si
stanno delineando con l’utilizzo del controllo vocale,dell’olografia real-time,della robotica e della
telerobotica.Nel campo della Neurochirugia Funzionale la radiochirugia stereotassica ha visto
l’estensione di applicazioni ,oltre che alle patologie neoplastiche e malformative vascolari, al
trattamento dei disordini del movimento,del dolore,dell’epilessia e dei disturbi psichici.La
neurostimolazione di target profondi è divenuta popolare per il trattamento del m.di Parkinson e di
altri disrordini del movimento.Sono in studio applicazioni per l’epilessia,i disturbi ossessivicompulsivi e per la neuroriparazione .
La Neuroendoscopia si sta mostrando un utile strumento chirurgico per il trattamento
dell’idrocefalo e di patologie intraventricolari e spinali.La possibilità di utilizzare unità di
simulazioni per l’endoscopia virtuale offre promesse di applicazioni cliniche.
La Chirurgia Endovascolare sta attraversando un periodo di grande espansione e sta sempre più
validamente sostituendo la chirurgia a cielo aperto nel trattamento delle lesioni cerebrovascolari
steno-occlusive e malformative.
Le nuove frontiere della neurochirurgia sono fortemente condizionate dallo sviluppo nel campo
delle scienze informatiche,dell’imaging,della biologia molecolare,della bioingegneria e della
farmacologia anestesiologica e rianimatoria.I rapidi cambiamenti caleidoscopici degli ultimi anni
stanno reinventando quei concetti fondamentali della neurochirurgia acquisiti solo poche decadi fa
Il futuro vede l’emergere dei concetti di neurochirugia molecolare e ellulare (Nanoneurochirurgia)
(trasferimento di informazioni genetiche, di cellule staminali,etc.) .Grazie all’utilizzo di
nanotecnologie questa metodica potrà avere un ruolo significativo sia nella terapia delle patologie
neoplastiche e neurodegenerative che nei recuperi funzionali di aree cerebrali o midollari
lese. (Neurochirurgia Riparatrice)
42
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Emergenza per le grandi opere: il modello toscano
D. DE LUCA
Azienda Sanitaria di Firenze, UFMA Emergenza Grandi Opere
LE FINALITA’ DEL PROGETTO
Nei primi mesi del 1996 la Regione Toscana convocò la società Treno Alta Velocità (TAV), il
Consorzio Alta velocità Emilia Toscana (CAVET), l’Azienda Sanitaria 10 – Firenze, l’Azienda
Ospedaliera Careggi facendosi promotrice di un accordo che consentisse la realizzazione della linea
ferroviaria ad alta velocità Firenze-Bologna in condizioni di massima sicurezza.
La realizzazione di questa opera suscitava viva preoccupazione in quanto la statistica relativa agli
infortuni in opere analoghe (8 Km di galleria in località Incisa durante la realizzazione della tratta
Roma-Firenze) faceva prevedere un incidente mortale per ogni Km di scavo oltre a decine di
infortuni sul lavoro di rilevante gravità.
L’Azienda Sanitaria 10 di Firenze ed il Consorzio CAVET furono invitati a stipulare una apposita
convenzione con la finalità di:
1. prevenire gli infortuni sul lavoro e limitarne la gravità garantendo il soccorso sanitario,
superando la normativa prevista dal D.P.R. 320/56, secondo i criteri previsti dalla Regione
Toscana, anche nei luoghi di lavoro comprese le gallerie.
2. garantire ai lavoratori i servizi e le prestazioni sanitarie fruibili dai cittadini residenti nel
territorio della ASL 10.
3. garantire e possibilmente migliorare la qualità e la fruibilità dei servizi sanitari per i
cittadini residenti, nonostante l’aumento della popolazione conseguente all’insediamento
dei lavoratori impegnati nella realizzazione dell’opera.
L’accordo fu raggiunto per la disponibilità dei soggetti interessati, non era obbligatorio né previsto
da alcuna normativa.
Per la tipologia dei lavori la realizzazione del progetto ha richiesto da parte della ASL 10 di Firenze
la costituzione di una struttura che potesse far fronte alle richieste del committente (Consorzio
CAVET) con tempestività, flessibilità ed efficacia. I costi relativi alla realizzazione del progetto
sono stati sostenuti dal datore di lavoro.
Al 31/12/2005 sul versante toscano sono stati realizzati 60564 mt di linea ferroviaria previsti dal
progetto.
IL SISTEMA DEI SOCCORSI
Le modalità con le quali l’Azienda Sanitaria 10 ha operato per la realizzazione di tali obbiettivi
consistono in primo luogo nell’organizzazione di un sistema di soccorso sanitario dedicato ai
cantieri dell’alta velocità adeguato alla elevata pericolosità delle lavorazioni, tenendo conto del fatto
che:
● ogni sistema di soccorso sanitario per quanto complesso ed efficace non deve ingenerare nei
lavoratori il convincimento che si possa abbassare la guardia sulla scrupolosa osservanza delle
norme di prevenzione degli infortuni.
● che tale sistema dedicato nei luoghi di lavoro non doveva essere finalizzato solo alla gestione
delle emergenze ma doveva far fronte anche alle comuni richieste di prestazioni sanitarie da
parte dei lavoratori.
La scelta del sistema dedicato è stata motivata dalle seguenti ragioni:
43
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
● la dislocazione dei cantieri in zone decentrate, orograficamente complesse, con viabilità
critica non raggiungibili in tempi accettabili dal sistema 118
● la necessità di disporre di mezzi ed attrezzature idonee per il soccorso nei cantieri e nelle
gallerie comprese quelle grisoutose, non comunemente in possesso della rete di soccorso 118.
● la necessità di poter contare su personale sanitario specificamente addestrato all’intervento nei
luoghi di lavoro e in gallerie.
● l’opportunità di assicurare ai lavoratori direttamente nei campi base una struttura in grado di
fornire l’assistenza sanitaria di base.
LE RISORSE DEL SISTEMA DEI SOCCORSI
Il sistema di soccorso sanitario nei cantieri CAVET è costituito da:
1. sicuristi preparati da CAVET e dalla Azienda Sanitaria di Firenze alla gestione delle
emergenze.
2. personale sanitario della Azienda Sanitaria – Firenze.
3. strutture e mezzi dedicati al soccorso nei cantieri CAVET
4. personale medico impegnato nell’organizzazione del soccorso, preparato dall’Università
degli Studi di Firenze – Scuola di specializzazione in Anestesia e Rianimazione
5. sistema di emergenza sanitaria territoriale gestito dalla centrale operativa del 118 – Firenze
soccorso
6. personale volontario delle associazioni di volontariato della zona.
Il sistema di soccorso sanitario si avvale:
1. della collaborazione del servizio di prevenzione del CAVET
2. della collaborazione del servizio di prevenzione e protezione della ASL di Firenze
La responsabilità del coordinamento del sistema compete alla direzione sanitaria aziendale per l’alta
velocità nell’ambito della direzione sanitaria della ASL 10.
LE COMPONENTI DEL SISTEMA DEI SOCCORSI
Il sistema di soccorso dedicato interno ai cantieri è costituito da:
• il CIS (coordinamento interno dei soccorsi) gestito da medici che sono a conoscenza della
dislocazione dei cantieri della viabilità di soccorso, dei punti di chiamata di soccorso, dei punti
di incontro con il sistema 118. Sono responsabili della attivazione in caso di emergenza delle
strutture del 118, dei Vigili del Fuoco, della Protezione Civile
• 4 infermerie situate nei campi base ed attrezzate per il primo soccorso. Nell’infermeria situata
nel CBT5 – Firenzuola e sede del CIS è presente un medico h 24/24
• 1 infermeria in sotterraneo attualmente situata nella galleria Vaglia
• personale sanitario (50 medici e 50 infermieri) formato ed addestrato al soccorso sanitario in
condizioni critiche al rispetto delle norme di sicurezza all’uso delle protezioni individuali e non,
alla conoscenza dei luoghi di lavoro, della planimetria dei cantieri e della relativa viabilità di
soccorso
• un sistema di collegamenti telefonici in doppia linea e via radio che collegano tra loro i luoghi
di lavoro, le infermerie, il CIS, il 118, i VVF ed i mezzi di soccorso interno ai cantieri.
• 4 mezzi mobili di soccorso diesel, idonei al soccorso in galleria collegati via radio ed attrezzati
per il primo intervento.
44
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
•
•
2 mezzi mobili di soccorso in assetto antideflagrante per l’intervento di soccorso nelle gallerie
grisoutose.
4 elisuperfici situate in prossimità dei cantieri di lavoro e presso l’ospedale di Borgo S. Lorenzo
di cui quella situata nel campo base più decentrato (CBT5) e quella presso l’Ospedale
predisposte per l’atterraggio notturno.
LE MODALITA’ OPERATIVE DEL SISTEMA
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Il sicurista (operatore CAVET che ha ricevuto apposita formazione) attiva il sistema dei
soccorsi chiamando con un numero di telefono codificato o via radio il CIS e compie il primo
intervento sull’infortunato mettendolo in sicurezza.
Attraverso un linguaggio codificato con chi effettua la chiamata il medico del CIS identifica il
cantiere, il luogo dell’evento, la sua gravità, il numero e le condizioni dei lavoratori coinvolti.
Il CIS allerta l’infermiere dell’infermeria di riferimento per il luogo di lavoro interessato, che si
reca sul luogo dell’evento con il mezzo di soccorso attrezzato.
Il CIS allerta il 118 comunicando il luogo dell’incontro tra l’equipe dell’unità mobili di
soccorso del 118 e quella del soccorso interno ai cantieri.
Il CIS allerta gli altri soggetti coinvolti (VVF, protezione civile) oltre al responsabile della
sicurezza del CAVET e l'Unità Operativa PISLL (Prevenzione Infortuni Sui Luoghi di Lavoro).
Se l’infortunio si verifica nei cantieri afferenti al CBT5, dove l’intervento del 118 è più
problematico per la scarsità delle postazioni sul territorio, il medico del CIS si reca sul luogo
dell’evento con l’infermiere e dispone di locali ed attrezzature idonee al controllo delle
condizioni del ferito fino all’arrivo dei mezzi di soccorso del 118 o dell’eliambulanza.
I mezzi di soccorso 118 non entrano in galleria ma si arrestano al punto di incontro concordato
ove esistano le condizioni di sicurezza per i soccorritori.
Si compone così una equipe formata dall’infermiere del sistema interno di soccorso, dal medico
e dai volontari del 118.
In relazione all’informazione avuta dal medico del CIS, il 118 decide l’invio di ambulanze
medicalizzate, ordinarie o dell’elisoccorso e provvede all’ospedalizzazione nella struttura
ospedaliera più idonea.
A causa del maggiore impegno nel sistema di emergenza dei cantieri il sistema di emergenza
sanitaria territoriale è stato potenziato con 24 ore aggiuntive di presenza medica sui mezzi di
soccorso.
LE DIFFICOLTA’ INCONTRATE
•
•
•
Addestrare il personale CAVET presente all’evento ad effettuare correttamente la chiamata di
soccorso. Ad oggi sono stati effettuati dalla ASL 10 FIRENZE 60 corsi di formazione per
scuristi (54 per CAVET e 6 per la Società Autostrade), nei quali sono stati insegnati elementi di
primo soccorso. Il colloquio dei sicuristi con il personale sanitario per attivare il sistema si
svolge secondo protocolli conosciuti e condivisi anche dai lavoratori CAVET.
Far conoscere i luoghi di lavoro e la viabilità di soccorso al personale sanitario. Svolgendosi il
soccorso in luoghi decentrati e spesso non conosciuti da parte del personale sanitario, i medici,
gli infermieri, il personale del 118 e delle associazioni di volontariato hanno effettuato
sopralluoghi dei cantieri, sono stati dotati di documentazione relativa alla planimetria dei
cantieri ed alla viabilità di soccorso.
Organizzare il soccorso nelle gallerie grisoutose. Si è intervenuti tenendo conto della direttiva
interregionale in materia. L’accesso alle gallerie grisoutose prevede l’utilizzo di appositi mezzi
di soccorso antideflagranti e di una attrezzatura sanitaria idonea a non provocare lo scoppio o
45
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
•
•
l’incendio del gas eventualmente presente. Il personale sanitario ed il personale CAVET sono
tenuti a rispettare per i soccorsi in tali gallerie un apposito protocollo.
La formazione del personale. I medici hanno effettuato anche corsi di BLSD, ACLS, PHTLS e
addestramento con stazioni di simulazione attraverso l’utilizzo del manichino robotizzato
SimMan della ditta Laerdal. Gli infermieri hanno frequentato corsi di BLSD. Dall’inizio dei
lavori sono stati effettuati n° 9 corsi per medici e n°22 corsi per infermieri. Particolare riguardo
si è avuto nella formazione inerente la sicurezza personale. Tutto il personale sanitario è stato
messo in grado di conoscere i dispositivi di protezione individuale e non, compreso l’uso degli
autorespiratori, autosalvatori ed attrezzature anticaduta. Tale formazione è stata effettuata dal
servizio di prevenzione e protezione dell’ASL 10, che ha inoltre verificato l’idoneità delle
strutture sanitarie e dei mezzi di soccorso, con la collaborazione del servizio di prevenzione del
CAVET.
Garantire la costante comunicazione tra i soggetti coinvolti nel soccorso. Per rendere possibile
la costante possibilità di comunicare tra le strutture ed il personale interessato attraverso un
sistema radiotelefonico sono stati installati ripetitori necessari per coprire in UHF l’intera area
dell’azienda sanitaria 10 utilizzando il finanziamento CAVET e Società Autostrade. Tutte le
infermerie sono collegate tra loro e con il CIS per radio e attraverso 2 linee telefoniche.
Tuttavia un decisivo salto di qualità nelle comunicazioni per quanto attiene all’allertamento del
sistema si è verificato nel corso del 2002, quando ogni postazione di soccorso, posizionata ad
ogni 500 mt di scavo delle gallerie, è stata collegata al CIS con una specifica linea telefonica ed
un numero di rete identificativo della postazione che compare sul display del centralino che
riceve la chiamata, riducendo notevolmente le possibilità di errore nell’identificare il luogo
dell’infortunio.
IL COORDINAMENTO DEI SOCCORSI
L’allestimento del CIS è stato possibile grazie ad una specifica convenzione tra la ASL 10 e la
Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Firenze ed in particolare la Scuola di
Specializzazione in Anestesia e Rianimazione. Tale convenzione è stata progettata nell’intento di
potenziare l’attività di formazione degli specializzandi per quanto concerne le funzioni di
organizzazione della Emergenza Sanitaria Territoriale. A questo scopo la Scuola di
Specializzazione ha previsto un percorso formativo che comprende la frequenza ai corsi di
Rianimazione Cardiopolmonare e di Prehospital Trauma Care, oltre a garantire una specifica
conoscenza del Sistema di Soccorso interno ai cantieri dell’Alta Velocità (effettuata anche con
periodiche riunioni e sopralluoghi), delle norme per la prevenzione degli infortuni in ambiente di
lavoro e dell’uso dei dispositivi di protezione individuali. La convenzione raggiunta ha permesso,
oltre al pagamento di numero 6 borse di studio in più alla Scuola di Specializzazione, anche
l’acquisto di un manichino particolarmente studiato per poter effettuare stazioni di simulazione in
anestesia-emergenza . La stazione di simulazione permette di raggiungere obiettivi didattici e di
ricerca attraverso l’introduzione di un laboratorio di simulazione modulare basato sull’allestimento
di una postazione robotizzata connessa ad un apparecchio di anestesia. Il manichino SimMan della
ditta Laerdal riproduce fedelmente l’anatomia esterna ed alcune funzioni vitali di base di un
individuo adulto. Il simulatore, attraverso il controllo di tutte le variabili da parte di un istruttore
tramite di un terminale indipendente, permette di simulare vari quadri, quali la gestione delle vie
aeree, manovre rianimatorie avanzate, fibrobroncoscopie, risposta all’iniezione di farmaci. Il
compito degli specializzandi, inerente agli aspetti organizzativi del Soccorso Sanitario, viene svolto
sia secondo le direttive impartite dal tutore indicato dalla Scuola di Specializzazione, sia attraverso
l’applicazione di Protocolli Operativi discussi e condivisi dagli stessi medici.
Secondo quanto previsto dal Piano elaborato dalla ASL 10, tutte le richieste di soccorso sono
convogliate presso il CIS e il medico specializzando presente svolge la funzione di coordinamento
46
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
operativo interno ai cantieri, valutando ciascuna richiesta pervenuta e attivando, conseguentemente,
il personale infermieristico in servizio presso gli altri campi. Indica inoltre quali mezzi e
attrezzature devono essere utilizzate nella specifica situazione, eventualmente attivando il “118” e
garantendo con quest’ultimo il “triage”.
Per gli interventi sanitari non inerenti all’organizzazione dei soccorsi che si possono verificare
presso i cantieri, i medici in formazione specialistica, in quanto abilitati all’esercizio della
professione medica, svolgono attività assistenziali in coordinamento con gli infermieri
specificamente formati.
I RISULTATI
Nel corso degli anni il sistema di soccorso è stato testato più volte attraverso il metodo della
simulazione. Sono state effettuate complessivamente n° 14 esercitazioni durante le quali si è
verificata la possibilità di raggiungere i luoghi di lavoro, fronti scavo delle gallerie comprese, entro
il limite di 20 minuti che costituisce il nostro obbiettivo.
Nel corso di questi anni la statistica ufficiale, fino al 31 dicembre 2005 compreso, evidenzia 5482
infortuni ripartiti per gravità in base alla prognosi tra cui, purtroppo, sul versante toscano 3 mortali.
Classificando gli infortuni secondo il luogo di lavoro in cui si sono verificati, si evidenzia che circa
il 70% degli infortuni sono avvenuti in galleria.
In conclusione, per quanto concerne il primo obbiettivo, considerata la pericolosità delle
lavorazioni, possiamo dire che il numero degli infortuni è stato largamente inferiore a quanto
previsto all’inizio dell’opera e che quando un infortunio si è verificato il sistema di soccorso è stato
in grado di garantire il massimo delle possibilità di sopravvivenza e di recupero.
L’ASSISTENZA SANITARIA DI BASE
Per quanto concerne il secondo obbiettivo le infermerie di cantiere hanno funzionato anche come
terminali dei distretti sanitari portando a conoscenza dei lavoratori la possibilità di ottenere il
medico di medicina generale anche nel comune nel cui territorio è situato il campo base di
appartenenza senza dover rinunciare al medico di medicina generale nel comune di residenza. Tale
possibilità è stata resa possibile da un accordo con i medici di medicina generale, recepito dalla
regione toscana a fronte di un finanziamento della TAV. I lavoratori presso l’infermeria di cantiere
possono effettuare la scelta di tale medico presentando la fotocopia del loro libretto sanitario; a
seguito di tale richiesta il distretto sanitario predispone il documento sanitario che consente di
accedere ad ogni prestazione di medicina generale presso il medico prescelto.
Il personale sanitario delle infermerie di cantiere e del CIS ha rappresentato inoltre per gli operai
residenti nei campi base il punto di riferimento primario per ogni bisogno sanitario; pertanto la
scelta del sistema dedicato ha consentito al personale sanitario di non essere impegnato soltanto
nell’emergenza sanitaria ma anche di svolgere una rilevante attività sanitaria di base nei confronti di
persone che hanno comprensibili difficoltà di accesso alle strutture sanitarie, in parte direttamente,
in parte favorendone l’accesso ai servizi sanitari, specialistici ed ospedalieri, effettuando
prenotazioni, attivando quando necessario i medici di medicina generale.
Il sistema dedicato ha consentito, coordinando le attività del personale sanitario con gli operatori dei
servizi di prevenzione, di rilevare attraverso le attività sanitarie la presenza di situazioni di rischio
sui luoghi di lavoro.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L’IMPATTO SANITARIO SUI SERVIZI DELL’ASL 10 FIRENZE
Il terzo obbiettivo, mitigare l’impatto sanitario sui servizi dedicati ai cittadini residenti, è stato
raggiunto:
• Potenziando le strutture sanitarie dell’Ospedale di Borgo S. Lorenzo
• Incrementando di 24 h giornaliere la presenza di medici nel sistema 118
• Risolvendo, nell’ambito del sistema interno, i problemi sanitari dei lavoratori addetti alla
realizzazione dell’opera, infatti sono stati trattati nelle infermerie di cantiere 30365 casi, di cui
27784 sono stati risolti senza ricorrere a strutture esterne.
Nel corso di questa esperienza un quarto obbiettivo di grande importanza è stato raggiunto. Infatti al
termine dei lavori all’Azienda Sanitaria di Firenze, e dunque ai cittadini residenti, resteranno non
soltanto un patrimonio di attrezzature consistenti in apparecchiature, mezzi di soccorso, sistemi di
comunicazione radiotelefonici come previsto dalla convenzione con il consorzio CAVET, ma
soprattutto resterà un patrimonio di conoscenze e di personale sanitario adeguatamente formato al
soccorso in condizioni critiche che potrà proficuamente essere impiegato nella rete di soccorso
sanitario territoriale nell’ambito del sistema 118. Per quanto riguarda gli infermieri che hanno
operato ed operano nei cantieri dell’Alta Velocità già alcuni di essi prestano servizio sulle
ambulanze del 118. Per quanto riguarda i medici, che nel corso di questi anni hanno acquisito
competenze e professionalità in questo settore, sarebbe opportuno prevedere un loro impiego sulle
Unità mobili di soccorso medicalizzate e presso la centrale operativa del 118, anche in
considerazione della difficoltà di reclutamento di personale medico nel settore dell’emergenza
sanitaria.
Il monitoraggio del metabolismo cerebrale
A. DEL GAUDIO, PL. CIRITELLA, P. DE VIVO
II U.O. Anestesia e Rianimazione IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”
Introduzione
I primi tentativi di monitoraggio del metabolismo cerebrale risalgono alla fine degli anni settanta ed
agli inizi degli anni ottanta ad opera di Ungerstedt e si sono incrementati nei tempo grazie all’opera
di ricercatori svedesi dei gruppi di Lund e Stoccolma. (1,2) Oggi la microdialisi cerebrale è una
tecnica di monitoraggio cerebrale diffusa in tutto il mondo, la sua rappresentatività nel mondo
scientifico è ampiamente dimostrata da più di 8000 pubblicazioni, anche se ancora molti dubbi
sorgono sulla attendibilità dei dati raccolti e sulla loro interpretazione nella pratica clinica. A questo
proposito del tutto recentemente è stata organizzata una “consensus conference” (3) che ha cercato
di tracciare delle linee guida nell’uso di questa tecnica nel monitoraggio del paziente neurologico
critico.
Principio della Microdialisi cerebrale
Un catetere di microdialisi, inserito nel parenchima cerebrale, monitorizza il metabolismo
dell’interstizio cerebrale mimando la funzione di un capillare (Fig.1). Le sostanze chimiche
dell’interstizio diffondono attraverso la membrana dializzatrice nel liquido di perfusione, che viene
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
spinto all’interno del catetere da una pompa di infusione a velocità regolabile, finchè non viene
raggiunto l’equilibrio tra il compartimento interstiziale e lo spazio endoluminale. I campioni
vengono raccolti in micropipette ed analizzati al letto del paziente con uno spettrofotometro che
consente di monitorizzare una serie di markers (glucosio, piruvato, lattato, glutammato,
glicerolo,urea) ogni volta che lo si ritenga necessario, generalmente ogni ora.(2,4)
La concentrazione dei markers nel dializzato dipende dalla lunghezza del catetere, dal flusso e dalla
qualità del liquido di perfusione, dalla qualità della membrana dializzatrice e dal coefficiente di
diffusione del tessuto. La lunghezza della membrana nella pratica clinica varia da 4 a 30 mm. Una
pompa infusionale collegata al catetere consente l’infusione del liquido di perfusione , generalmente
Ringer Lattato.In determinate circostanze può essere utilizzata la soluzione salina allo 0.9%.La
velocità di flusso può variare da 0.3 μl/m a 2 μl/m. Una seconda linea consente il recupero del
liquido in equilibrio con l’interstizio cerebrale nelle micropipette. (Fig.2). Una volta recuperato il
campione viene analizzato al letto del paziente con uno spettrofotometro che attraverso la reazione
di ciascun analita con il corrispettivo reagente ne consente di valutare la concentrazione nel liquido
di recupero che si presume in equilibrio con l’interstizio cerebrale. (Fig.3)
Il recupero di ciascuna sostanza viene definito come la concentrazione nel dializzato rapportata in
termini percentuali alla concentrazione nell’interstizio cerebrale.Si parla in questo caso di recupero
relativo che viene espresso dalla formula:
Cmd/Cecf= 1-exp-K0 A/F
dove Cmd è la concentrazione nel microdialisato, Cecf, quella nell’interstizio,K0 il coefficiente di
trasferimento A l’area di superficie di membrana ed F il flusso. Quanto più è lunga la membrana e
quanto più lento è il flusso più il recupero sarà vicino al 100%.Quanto più il recupero è vicino al
100% tanto più il liquido di raccolta è in equilibrio con l’interstizio cerebrale. Un recupero inferiore
al 100% può essere anche determinato da un aumento della sostanza in esame nel liquido di
infusione o da un aumento dell’uptake cellulare di quella stessa sostanza rispetto all’interstizio.(5)
Il metabolismo del glucosio: la glicolisi aerobica ed anaerobica
Per meglio comprendere ed utilizzare i dati provenienti dal metabolismo cerebrale è utile ricordare
brevemente le vie del metabolismo del glucosio. In condizioni di aerobiosi una molecola di glucosio
viene degradata a CO2 ed acqua con la produzione di 36 molecole di ATP, un ruolo centrale in
questa degradazione è assunto dall’acido piruvico che in presenza di ossigeno entra nel ciclo
dell’acido citrico e garantisce appunto la produzione di composti ad alto contenuto
energetico.(Fig.4)
In assenza di ossigeno la glicolisi vira verso la fase anaerobica con produzione di acido lattico e di
sole 2 molecole di ATP.(Fig. 5)
Si riduce in questo modo drasticamente l’enegia disponibile per la funzionalità delle pompe ATP
dipendenti. Con queste viene meno la possibilità di mantenere l’equilibrio del glutammato nello
spazio intersinaptico, nel citoplasma ed all’interno delle vescicole citoplasmatiche, aumenta di fatto
il glutammato intersinaptico che interferisce con i recettori NMDA, consente l’apertura dei canali
del calcio ed ,attraverso la penetrazione di questo all’interno del neurone, dà inizio all’attivazione
enzimatica che porta alla necrosi neuronale. (6)
Ischemia cerebrale e danno secondario
L’ischemia cerebrale è la prima causa di danno secondario nel trauma cranico severo ed influenza
pesantemente l’outcome.Il metabolismo ossidativo cerebrale generalmente rimane depresso per le
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
prime due settimane che seguono un trauma cranico severo ed il grado di questa riduzione è stato
dimostrato essere strettamente correlato con outcome negativo. Come già detto il momento
patogenetico centrale è la riduzione della delivery di O2 al di sotto della soglia critica con aumento
della sintesi di acido lattico e riduzione della produzione di energia, aumento del glutammato
intersinaptico che è il primum movens per la penetrazione intracellulare del calcio con l’attivazione
dei processi enzimatici con danno di membrana e necrosi neuronale da un lato e digestione ad opera
delle endonucleasi con viraggio verso l’apoptosi cerebrale.(7)
Il rapido riconoscimento di queste alterazioni consente di individuare una terapia mirata alla
prevenzione del danno ischemico nei pazienti a rischio. La proposta di utilizzare la microdialisi in
questo campo significa rendere possibile il rapido riconoscimento a livello metabolico di questi
danni, riconoscimento impossibile con altre tecniche di monitoraggio.
Le modificazioni biochimiche che si accompagnano all’ischemia cerebrale sono ben conosciute in
seguito ad innumerevoli studi sugli animali. Di particolare importanza è la variazione dello stato
ossido-reduttivo che induce un aumento del rapporto lattato/piruvato. In pazienti con trauma cranico
severo c’è una correlazione certa tra un rapporto lattato/piruvato alto ed un cattivo outcome.
In questo caso il monitoraggio del metabolismo cerebrale consente di fatto di precedere aumenti
della PIC e riduzioni della PPC.(7)
L’ischemia cerebrale attraverso la lisi delle membrane cellulari comporta anche la scissione dei
fosfolipidi di membrana in acidi grassi e glicerolo, l’aumento di quest’ultimo può essere considerato
un indice più tardivo ma certamente affidabile del danno cerebrale in pazienti con traumi cranici
severi.
Infine è da stressare nuovamente il ruolo del glutammato nel determinismo del danno ischemico
cerebrale. E’ di fatto l’aumento del glutammato indotto dalla riduzione della produzione dell’ATP
ad innescare come abbiamo visto il danno biologico che porta da una parte alla necrosi neuronale e
dall’altra alla degenerazione apoptotica.(7)
La localizzazione del catetere di microdialisi
Con la microdialisi quindi è possibile monitorizzare il metabolismo di una area di tessuto cerebrale,
area che ha un volume cilindrico grossolanamente equivalente alla lunghezza della membrana di
dialisi e con un diametro di pochi millimetri. L’estensione distale di questo cilindro è visibile alla
TAC grazie alla punta dorata del catetere.(Fig. 6)
La caratteristica principale di questo tipo di monitoraggio è che esso rappresenta una valutazione
focale del metabolismo cerebrale; questa condizione determina vantaggi e svantaggi. Il catetere si
può inserire nel tessuto a rischio, nella zona di penombra ischemica dove il tessuto è più vulnerabile
e più facilmente si determina il danno ischemico secondario: questo ci permette di riconoscere
l’evoluzione dell’ischemia e guidare la terapia. Di contro, le indicazioni sono strettamente legate al
danno focale e quindi circoscritte alla zona di impianto del catetere ed un catetere mal posizionato
può dare indicazioni falsamente negative ed indirizzare la terapia sulla base di dati non pertinenti.
Un modo per risolvere questo problema è il posizionamento di un secondo catetere di riferimento
nel tessuto cerebrale sano in modo da poter comparare i dati provenienti dalle zone più a rischio di
ischemia con quelli provenienti da aree meglio perfuse, questo secondo catetere viene di solito
posizionato nel lobo frontale in una zona di parenchima adiacente al catetere intraventricolare per il
monitoraggio della pressione intracranica. Non ha senso, ovviamente il posizionare il catetere
all’interno del focolaio contusivo nella zona di necrosi, area in cui il danno si è irreversibilmente
compiuto.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Interpretazione dei dati
L’ interpretazione dei dati è molto complessa e nel corso degli anni ha ricevuto diverse critiche. In
linea di massima esiste un range di normalità per tutti i metaboliti utilizzati, elaborato
monitorizzando il parenchima cerebrale in soggetti sottoposti ad interventi chirurgici per
asportazione di processi espansivi in fossa cranica posteriore (tab.1). Nello studio gli autori partono
dal convincimento che la zona analizzata fosse dal punto di vista fisiologico indenne . Questi dati
fanno, però, riferimento a pazienti trattati con cateteri della lunghezza di 10 mm e perfusi con una
velocità di flusso di 0.3 μl/min, e non tengono conto delle variazioni eventualmente indotte dai
farmaci dell’anestesia.(8)
Un altro aspetto da molti considerato un limite della metodica è il danno determinato al parenchima
cerebrale dall’introduzione del catetere,tanto che alcuni ironizzano sul dubbio che la metodica serva
a controllare i danni da essa stessa determinati. Questi timori sono stati superati grazie a lavori di
istopatologia sull’animale che hanno dimostrato che le reazioni locali all’introduzione del catetere
non alterano significativamente i livelli dei metaboliti se non nella primissima fase dell’impianto,
dal momento che la gliosi e la crescita di cellule epiteliali intorno al catetere non alterano la sua
funzionalità.(9)
Artefatti legati alla metodica (problemi all’analizzatore, malfunzionamento del catetere o della
pompa, errori umani), sono facilmente riconoscibili ed identificabili ma comportano un enorme
dispersione dei dati (50%). Questo tipo di dispersione è tanto maggiore durante gli spostamenti del
malato come può accadere per effettuare procedure diagnostiche o chirurgiche.(5)
E’ invece un limite della metodica la difficoltà di assemblare i dati e valutarli in funzione di medie
statistiche. Il monitoraggio del metabolismo cerebrale è infatti assolutamente individuale e le cause
di questo fenomeno vanno ricercate nella fisiopatologia del trauma cranico che include diversi tipi
di lesione con diverse localizzazioni e differenti patterns di danno cellulare. Inoltre per esempio i
livelli di glucosio ematico possono alterare il valore nel liquido interstiziale ed interferire sui dati
globali. Ciononostante in numerosi studi sembra evidente una buona correlazione tra aumento del
rapporto lattato piruvato, diminuzione del glucosio, aumento di glutammato e glicerolo e
l’outcome.(10)
Conclusioni
La microdialisi può essere utile nei pazienti con trauma cranico severo. In questi pazienti in
associazione con altre tecniche di monitoraggio può assistere e guidare la terapia per la prevenzione
del danno ischemico secondario.
E’ un monitoraggio focale e come tale testimonianza di quello che accade in un area molto limitata
di parenchima cerebrale, necessita di un buon livello di conoscenza del metabolismo basale e
cerebrale e della biochimica della fase ischemica ma consente a sua volta di migliorare la
comprensione dei meccanismi fisiopatologici che sono alla base dell’evoluzione dei focolai lacero
contusivi. In definitiva se la fisiologia e la patologia del cervello umano sono funzione della sua
biochimica, l’uso del monitoraggio biochimico sembra una logica ed inevitabile conseguenza nello
sviluppo del trattamento neurointensivo.(10) Resta dubbio quanto questa conoscenza possa
influenzare e modificare la terapia.
E’ allo stato dell’arte più ragionevole pensare che il monitoraggio del metabolismo cerebrale vada
inserito nel monitoraggio integrato del trauma cranico severo e ne possa guidare la terapia in
armonia con le altre variazioni migliorando il livello di attenzione quando indica modifiche in
evoluzione e non ancora manifestatesi con alterazioni della pressione intracranica e della pressione
di perfusione cerebrale
51
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Bibliografia
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10. Nelson W. Cerebral microdialysis of patients with severe traumatic brain injury exhibits
highly individualistic patterns as visualized by cluster analysis with self organizing maps.
CCM 32,12,2428-.2436, 2004
Analyte
Glucose
Lactate
Pyruvate
Lactate/pyruvate
Glycerol
Glutamate
Approx. Value
2 mM
2 mM
120 µM
15-20
20-50 µM
10 µM
Tab. 1: Valori normali dei principali analiti valutati
Fig. 1: Il catetere di microdialisi si comporta come un capillare cerebrale, la membrane
semipermeabile posta alla sua estremità distale mima l’attività dell’endotelio capillare e cosente il
raggiungimento dell’equilibrio tra liquido di perfusione ed interstizio cerebrale.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Fig 2: Il liquido di recupero viene raccolto in micropipette ed analizzato al letto del paziente da uno
spettrofotometro.
Fig 3: Lo spettrofotometro ha in dotazione una serie di reagenti che consentono di analizzare una
serie di metabolici e darne la concentrazione nel liquido in esame che si presuppone in equilibrio
con l’interstizio cerebrale.
53
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Fig. 4: La glicolisi aerobica consente a partire da una molecola di glucosio la produzione di acqua
ed anidride carbonica e di 36 molecole di ATP.
Fig.5: La glicolisi anaerobica consente a partire da una molecola di glucosio la produzione di acido
lattico e soltanto 2 molecole di ATP. In questa condizione aumenta la produzione di lattato e sale il
rapporto lattato/piruvato.
Fig. 6: Il catetere viene posizionato nella zona di penombra ischemica ed è visibile alla TAC.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Ipotensione ed ipertensione intra e post operatoria
P. DE VIVO
IRCCS “Casa Sollievo Della Sofferenza” Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” IRCCS S. Giovanni Rotondo - FG
In neurochirurgia ed in generale in tutte le patologie acute cerebrali, l’interpretazione diagnostica, la
conoscenza delle possibili conseguenze e l’eventuale trattamento di alterazioni della pressione
arteriosa sistemica, non possono prescindere dalla conoscenza delle specificità anatomo-fisiologiche
del cervello.
Quest’organo rappresenta solo il 2% della massa corporea, tuttavia, essendo sede di un metabolismo
molto vivace è responsabile di circa il 20% del consumo totale di Ossigeno e non avendo forme di
deposito di questo essenziale metabolita, non può mantenere la sua integrità anatomo-funzionale se
non attraverso un metabolismo aerobio. E’ fondamentale dunque il mantenimento di un flusso
ematico cerebrale (FEC) importante ( rappresenta normalmente circa il 15% della Portata Cardiaca),
ma soprattutto costante ed adeguatamente correlato al metabolismo.
CONSIDERAZIONI ANATOMICHE
Il FEC è assicurato per l’80% dalle arterie carotidi interne e per il 20% dalle arterie vertebrali. Tra
questi due sistemi esistono collegamenti ( Comunicante Anteriore e Comunicanti posteriori) che
realizzano un unico distributore e cioè il poligono di Willis che può mantenere il FEC anche in
presenza di occlusione di un ramo affluente. Benché il circolo di Willis sia il maggior sistema
“collaterale” di apporto ematico al cervello, va annotato che altri sistemi di compenso sono
rappresentati dalla arteria oftalmica che collega circolo carotideo interno ed esterno e numerose
anastomosi pio-piali o leptomeningee che proteggono le zone di confine tra i territori di irrorazione
delle maggiori arterie cerebrali. Tali connessioni di superficie tra le arterie piali di “confine”
costituiscono collegamenti tra territori vascolari ad uguale regime pressorio e pertanto non sono di
norma attivi; lo divengono se il regime pressorio in un territorio prevale su quello del territorio
adiacente. Va ricordato che l’assenza di un adeguato circolo collaterale costituisce una normale
variante anatomica e questo di per sé già spiega perché cali di flusso o variazione della pressione di
perfusione possono dare o non dare segno di sé.
CONSIDERAZIONI FISIOLOGICHE
Oltre ad una adeguatezza strutturale il FEC, perché sia funzionalmente efficace deve potersi
mantenere costante a fronte di variazioni della pressione di perfusione cerebrale (PPC) che è la
risultante della pressione arteriosa media (PAM) diminuita della pressione intracranica (PIC).
E’questo il concetto di Autoregolazione Cerebrale che sostanzialmente consiste in una dilatazione o
costrizione arterio-arteriolare in risposta a diminuzioni od aumenti della PPC al fine di mantenere
costante il FEC.
Il meccanismo che governa questa risposta ancora oggi non è del tutto chiaro e probabilmente è un
insieme di meccanismi sequenziali con componenti miogeniche, endoteliali, metaboliche, e
neurovegetative. Generalmente la rappresentazione diagrammatica del fenomeno mostra come vi
sia una risposta vasale attiva capace di mantenere stabile il FEC tra 50 e 150 mmHg di PPC e come
vi sia un rapido declino di FEC al di sotto di 50 ed un brusco progressivo aumento oltre i 150
mmHg. Per la verità questa è una semplificazione forse eccessiva di una risposta fisiologica che si
sviluppa in pochi secondi, ma si può completare nel giro di alcuni minuti ( Autoregolazione
Dinamica e Statica). I limiti della curva devono essere mobili così come deve essere un efficiente
meccanismo”omeostatico”: esso deve avere nella flessibilità la sua dote caratteristica. La curva con
i suoi limiti della risposta deve potersi rapidamente spostare verso destra o verso sinistra, cioè verso
PPC più alta o più bassa ad esempio con il variare del tono simpatico.
55
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Alla stessa maniera deve potersi spostare più in alto o in basso cioè su valori di FEC più alti o più
bassi con il variare in più o in meno dei valori di PaCO2 o dopo l’uso di farmaci vasodilatatori o
costrittori cerebrali come gli anestetici alogenati o quelli endovenosi (Barbiturico, Propofol).
Tra i meccanismi omeostatici cerebrali, che tutto sommato, sono meccanismi di difesa di organo
rispetto a perturbazioni sistemiche possibili, relativamente a variazioni della PPC va considerata
anche la Barriera Emato-Encefalica (BEE)
La sua spiccata “impermeabilità” è fondamentale per la regolazione dello scambio di acqua tra
plasma ed interstizio che avviene principalmente per gradiente osmotico.
L’integrità anatomica e funzionale della BEE può essere più o meno gravemente alterata da regimi
pressori di perfusione troppo alti che superando i limiti dell’autoregolazione determinano aumenti
eccessivi di flusso e passaggio indiscriminato trans endoteliare di acqua e soluti .
E’ questo il caso dell’edema vasogenico da crisi ipertensiva.
Anatomia vascolare cerebrale, autoregolazione del FEC , BEE e livello di PIC integri o
potenzialmente alterati sono dunque le guide alla valutazione ed alla ricerca della adeguatezza della
pressione arteriosa sistemica nelle varie patologie acute cerebrali.
Naturalmente per ciascuna patologia e all’interno di questa per ciascun ammalato esisterà il
prevalere di considerazioni ed attenzioni su uno o più dei meccanismi anatomo-funzionali citati e
sarà quindi opportuno mantenere o correggere i valori della pressione arteriosa in più o in meno. In
generale si può dire che normovolemia e normotensione sono sempre da perseguire, che in rarissimi
casi si può ricercare una modesta ipotensione controllata (sanguinamento intraoperatorio da
aneurisma rotto e da MAV), che in alcune condizioni intraoperatorie e post operatorie è addirittura
consigliabile innalzare la pressione arteriosa (clip temporanee, verifica tenuta clip definitiva,
vasospasmo, aumenti PIC). Comunque sempre è da ricercare stabilità emodinamica contrastando sia
crisi ipertensive ( se non dovute a riflesso di Cushing)
che ipotensione (trauma cranico!!!).
Bibliografia
Gelb A.W. ASA R.C. 2005
P. De Vivo. Minerva Anestesiologica 1999;65:115-24
Il registro intraospedaliero dei traumi gravi
S. DI BARTOLOMEO
Istituto di Igiene ed Epidemiologia – DPMSC – Università di Udine
Nella Regione Europea ottocentomila persone all’anno muoiono per lesioni traumatiche, la cui
grande maggioranza è causata da incidenti stradali. I traumi sono la prima causa di morte nella
popolazione giovane tra i 15 e 34 anni. Per ogni decesso, almeno 30 persone subiscono delle lesioni
che richiedono un ricovero in ospedale e 3 restano invalide per tutta la vita. La necessità di
aumentare le informazioni sulla patologia traumatica viene enfatizzata da tutte le organizzazioni
sanitarie internazionali. Già nel lontano 1966 l’Accademia Americana delle Scienze aveva definito
il trauma “un’epidemia tragica e trascurata e questo grido di allarme era stato accompagnato da
precise indicazioni sulle priorità da perseguire per ridurne la mortalità e gli esiti invalidanti. Su
queste indicazioni, che comprendevano anche l’istituzione dei Registri Ospedalieri dei Traumi, si è
basato negli anni successivi lo sviluppo negli Stati Uniti dei “Trauma System” che tanta importanza
hanno avuto nell’abbassare la mortalità e morbilità da trauma. Il progetto di ricerca finalizzata
intitolato “Creazione di un Registro Intraospedaliero dei Traumi Gravi Multiregionale, finanziato
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
dal ministero della Salute, ha l’obiettivo di costruire in tre importanti ospedali italiani un sistema di
raccolta dati sui pazienti con trauma grave. Questi dati possono essere utilizzati per verifica e
miglioramento della qualità dei processi assistenziali, ricerca, sorveglianza epidemiologica. Tale
progetto è iniziato nell’Aprile 2004 e terminato nel Febbraio 2006 e costituisce una novità per
l’Italia. Sono stati arruolati circa 850 pazienti nel periodo 1° Luglio 2004-Luglio 2005. Verranno
mostrate le caratteristiche del sistema costruito ed i risultati di alcune analisi sui dati raccolti, in
particolare quelli che potrebbero portare all’identificazione degli aspetti migliorabili nelle strutture
partecipanti.
Problematiche anestesiologiche in gravidanza: la gravida obesa
G. DI FIORE
U.O.S. Anestesia in Ostetricia Ospedale Buccheri la Ferla FBF - Palermo
Introduzione
L’obesità complica dall’8 al 10 % di tutte le gravidanze, L’incidenza di obesità in gravidanza è in
aumento, parallelamente all’aumento registrato nella popolazione generale (figura 1)
Figura 1 – Il grafico mostra l’incremento dell’incidenza dell’obesità (BMI >30) negli
ultimi anni
L'obesità in gravidanza è associata ad un aumento significativo delle complicanze materne e fetali:
35 % delle donne che muoiono in gravidanza sono obese, il 50% in più rispetto alla popolazione
generale.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Definizione
L’obesità è una condizione in cui si ha un aumento del grasso corporeo causata generalmente da un
aumento del numero di calorie assunte rispetto al consumo. Soltanto in una piccola percentuale di
pazienti l’obesità è causata da alcune malattie neurologiche o endocrine (tabella 1).
Tabella 1
Obesità: diagnosi differenziale (<1% dei casi)
Ipotiroismo
Distrofia adiposogenitale
Lesioni ipotalamiche Parziale lipodistrofia
Craniofaringioma
Ovaio policistico
Ipogonadismo
Cushing syndrome
Insulinoma
Comunemente il BMI (Body Mass Index cioè l’Indice di Massa Corporea) viene utilizzato per
definire l’obesità. Il Body Mass Index (BMI) e' un indice dello stato corporeo in termini
antropometrici che correla l'altezza con il peso del soggetto.
Si misura dividendo il peso, espresso in kg, all'altezza, espressa in metri, elevata al quadrato:
Calcolo Indice Massa Corporea - BMI = peso (Kg) / altezza2(metri)
L'indice di massa corporea è semplice da calcolare ma non da un'indicazione precisa circa la
quantità di massa grassa del soggetto, che può essere ottenuta solamente con una analisi
plicometrica, eseguita con una bilancia impedenzometrica, con una plicometria o con una pesata
idrostatica.
Il calcolo del BMI risulta valido soprattutto per definire le situazioni di rischio cardiovascolare,
poichè viene introdotto in formule o tabelle, oppure per calcolare il valore del peso ideale nei
soggetti con una muscolatura "normale", per i quali il calcolo del peso ideale con il BMI consente
un errore non superiore a ± 2 kg
Fisiopatologia
L'obesità in gravidanza è associata ad un aumento significativo delle complicanze materne e fetali
(tabella 2)
L'obesità amplifica, in proporzione all'aumento di peso, le modificazioni fisiologiche a carico del
sistema respiratorio (tabella 3) e cardiovascolare (tabella 4) determinando un aumento del consumo
di ossigeno in una condizione in cui questi apparati sono già sotto stress. A differenza della
gravidanza fisiologica, l'ipertensione polmonare è frequente nelle pazienti obese, dovuta alla
cronica ipossiemia. L'obesità inoltre aumenta il rischio di ipertensione di almeno 3 volte con
conseguente ipertrofia ventricolare sinistra ed alterazione della funzione diastolica.
Nelle pazienti obese si ha una significativa alterazione della fisiologia respiratoria. Infatti le pazienti
obese mostrano una riduzione della capacità funzionale residua, e tranne il volume polmonare
residuo, tutti i volumi polmonari (capacità vitale, capacità polmonare totale) sono ridotti.. Inoltre in
proporzione all'obesità, si ha una riduzione della paO2 e della compliance della parete toracica e del
polmone. La compliance totale nell'obesità è diminuita in media del 50%. Le modificazioni
respiratorie nelle pazienti obese, in gravidanza, determinano un aumento del lavoro respiratorio
anche di tre volte. L'incremento della massa corporea causa un aumento del consumo di ossigeno e
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
della produzione di CO2 che richiederebbe un aumento delle ventilazione minuto che non è sempre
sostenibile data la massa corporea. L'aumento di volume dell'addome riduce i movimenti del
diaframma, soprattutto nella posizione supina e Trendeleburg, ostacolando ulteriormente la
ventilazione.
Le modificazioni della funzione cardiopolmonare nell'obesa sono schematizzate nella tabella 5.
Tabella 2
Outcome materno e fetale nelle gravidanze di pazienti obese
OUTCOME MATERNO
Complicanza
Odds Ratio
Preeclampsia
4,82
Diabete gestazionale
4,00
Macrosomia fetale
3,82
Morte neonatale
3,41
Ipertensione gestazionale
3,2
Distocia di spalla
3,14
Aspirazione di meconio
2,85
Morte intrauterina fetale (MIF)
2,79
Taglio cesareo
2,69
Distress Fetale
2,52
Parto strumentale
1,34
OUTCOME FETALE
Complicanza
>Mortalità perinatale
Basso punteggio Apgar
IUGR
Macrosomia
Distocia di spalla
Asfissia alla nascita
> NICU
Tabella 3
Modificazioni del sistema respiratorio in gravidanza, nell’obesa e nella gravida obesa
Parametro
Gravidanza
Obesità
Gravidanza+Obesità
Progesterone
↑
Sensibilità alla CO2
↑
↓
↑
Tidal Volume
↑
↓
↑
Frequenza Respiratoria
↑
o↑
↑
Volume minuto
↑
↓o
↑
Capacità inspiratoria
↑
↓
↑
Volume di riserva inspiratoria
↑
↓
↑
Volume di riserva espiratoria
↓
↓↓
↓
Volume residuo
↓
Capacità funzionale residua
↓↓
Capacità vitale
FEV1
↑
↓o
↑
↓↓↓
↓↓
↓
↓
↓o
FEV1/VC
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
↓
Capacitàà totale polmonare
Compliance
↓↓
↓
↓↓
↓
Lavoro respiratorio
↑
↑↑
↑
Resistenze
↓
↑
↓
Alterazione del rapporto
ventilazione/perfusione (V/Q)
↑
↑
↑↑
Capacità di diffusione polmonare
del monossido di carbonio (DLco)
↑ or
Pao2
↓
↓↓
↓
Paco2
↓
↑
↓
Tabella 4
Modificazioni cardiovascolari
Parametri
Gravidanza
Obesità
Gravidanza+Obesità
Frequenza cardiaca
↑
↑↑
↑↑
Volume d'eiezione
↑↑
↑
↑
Gittata cardiaca
↑↑
↑↑
↑↑↑
Indice cardiaco
or ↓
↑ or
Ematocrito
↓↓
↑
↓
Volume plasmatico
↑↑
↑
↑
Resistenze vascolari sistemiche
↓↓
↑
or ↓
Pressione arteriosa media
↑
↑↑
↑↑
Ipotensione in posizione supina
Presente
Presente
↑↑
Morfologia ventricolo sn
ipertrofia
Tono adrenergico
↑
ipertrofia e dilatazione ipertrofia e dilatazione
↑↑
↑↑↑
Funzione sistolica
or ↓
or ↓
Funzione diastolica
↓
↓
Pressione venosa centrale
↑
↑↑
Pressione capillare polmonare di incuneamento
↑↑
↑↑
può essere presente
può essere presente
n/a
↑↑
Ipertensione polmonare
Pre-eclampsia
60
assente
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Tabella 5
Obesità e funzione cardiopolmonare
Riduzione dei volumi polmonari
Riduzione della compliance polmone-parete toracica
Riduzione efficacia scambi gassosi
Ipossia relativa
Shunt polmonare
Iniziale compenso cardiaco
Aumento del volume plasmatico
(obesità, gravidanza)
Aumento lavoro cardiaco
riduzione efficienza
Ischemia/infarto
INSUFFICIENZA
CARDIORESPIRATORIA
Cuore polmonare
Ipertensione polmonare
Obesità / sindrome da ipoventilazione
Sistema gastrointestinale
Nelle pazienti obese si ha una maggiore prevalenza di ernia iatale con un ritardo dello svuotamento
gastrico. A stomaco pieno il contenuto gastrico è di almeno 25ml con un pH inferiore a 2,5. Per tale
motivo le pazienti gravide obese dovrebbero essere sempre considerate a stomaco pieno, con un
rischio di ab ingestis molto alto. A tal fine in caso di inetrvento chirurgico andrebbe sempre
somministrato un 'antiacido e un anti H2.
GESTIONE ANESTESIOLOGICA
Nelle pazienti obese la mancanza di una pianificazione delle procedure può comportare
conseguenze disastrose.
L'obesa deve essere a tutti gli effetti considerata come una potenziale paziente con malattia
multiorgano . Le possibilità di intervento chirurgico urgente od in emergenza, in una gravida con un
peso superiore a 120Kg, sono maggiori del 30%.
Un piano anestesiologico è essenziale per ottimizzare il management della paziente obesa in
gravidanza, compresa la consultazione anestesiologica preoperatoria. Durante la valutazione
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
preoperatoria particolare attenzione va posta all'approccio alle vie aeree ed alla funzione
cardiorespiratoria (anamnesi, esame obbiettivo e strumentale).
Inoltre la paziente dovrebbe essere adeguatamente informata sulla tecnica anestesiologica, con
particolare riguardo all'anestesia locoregionale, sottolineando gli innumerevoli vantaggi di questa
tecnica rispetto all'anestesia generale, ma anche preparando la paziente alle possibili difficoltà di
esecuzione dell'anestesia locoregionale. Un'adeguata preparazione preoperatoria contribuisce a
ridurre l'ansia preoperatoria, aumenta la compliance della paziente durante l'esecuzione
dell'anestesia regionale ed in ultima analisi aumenta la percentuale di successo della tecnica.
Posizione
La posizione semiseduta o laterale in travaglio di parto e durante il parto migliora la compliance
polmonare e minimizza lo stress cardiovascolare. In questa posizione il pannicolo adiposo è posto al
di fuori della cavità addominale, riducendo così la pressione intraaddominale con una maggiore
escursione diaframmatica. Utile anche l'apporto di ossigeno in travaglio di parto e durante il parto
per aumentare il margine di sicurezza. La posizione supina va assolutamente proscritta, anche
durante l'esecuzione di un taglio cesareo; il taglio cesareo può essere tranquillamente effettuato
sollevando le spalle della paziente di almeno 40-45° attraverso il posizionamento di un comune
cuscino sotto le spalle della paziente.
Attrezzature
Il monitoraggio della paziente obesa può essere più difficoltoso per le condizioni obbiettive della
paziente (difficile approccio venoso) e per la mancanza di attrezzature adeguate alle dimensioni
della paziente (ad es. bracciale per monitorizzare la pressione arteriosa incruenta) . In commercio
esistono bracciali per misurare la pressione arteriosa incruenta di diverse misure: queste attrezzature
deveno essere sempre disponibili nel complesso operatorio della sala parto.
In ogni caso la pressione arteriosa deve essere sempre monitorizzata ed in ultima analisi, in caso di
difficoltà, può essere incannulata l'arteria radiale per il monitoraggio della pressione arteriosa
cruenta. Questo tipo di monitoraggio deve essere sempre disponibile in sala parto per essere
prontamente utilizzato in caso di complicanze quali l'emorragia, l'insufficienza cardiaca o
respiratoria.
Anestesia epidurale in travaglio di parto
L’anestesia regionale (epidurale, spino-epidurale) è indubbiamente il trattamento analgesico più
efficace.
Il blocco centrale neuroassiale, correttamente eseguito, riduce significativamente la risposta
neuroendocrina simpatico-adrenergica al dolore, determina una maggiore stabilità dei parametri
emodinamici , migliora il flusso utero-placentare e di conseguenza migliora l’outcome fetale.
Inoltre previene l’iperventilazione e la conseguente ipocapnia che può determinare vasocostrizione
e riduzione del flusso ematico utero-placentare. La riduzione del lavoro respiratorio e del consumo
di ossigeno previene l’acidosi lattica materna..
Un vantaggio addizionale, in termini di sicurezza delle tecniche anestesiologiche applicate alla
popolazione ostetrica, è rappresentato dal minore ricorso all’anestesia generale in caso di taglio
cesareo urgente, in pazienti con catetere epidurale posizionato per l’analgesia in travaglio di parto.
Infatti in pazienti ad alto rischio, quali le obese o le preeclamptiche, il catetere epidurale andrebbe
posizionato precocemente riducendo così la possibilità di dovere ricorrere ad un'anestesia generale
in urgenza in queste pazienti a così alto rischio operatorio.
Riguardo la tecnica, va considerato che il repertamento dello spazio epidurale così come per lo
spazio subaracnoideo può risultare più difficoltoso nelle pazienti obese. La maggiore distanza tra la
62
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
cute e lo spazio epidurale contribuisce ad un maggior numeri di insuccessi della tecnica in caso di
minimi errori di direzione dell'ago.
Anestesia spinale per il taglio cesareo
L'esecuzione dell'anestesia spinale per il taglio cesareo nella paziente obesa spesso è più indaginosa
rispetto alla norma.Qualche accorgimento tecnico e l'utilizzazione corretta del materiale può, in
questi casi, facilitare l'esecuzione dell'anestesia spinale:
1. Posizione della paziente: in questo caso può essere più conveniente posizionare la
paziente seduta per effettuare l'anestesia spinale rispetto alla posizione in decubito laterale. Questa
posizione, infatti, nella maggior parte dei casi, consente, più facilmente, di apprezzare i processi
spinosi delle vertebre lombari e quindi facilita il raggiungimento dello spazio subaracnoideo
2. Scelta dello spazio: I processi spinosi delle ultime vertebre lombari (L4-5) generalmente
si apprezzano peggio dei processi spinosi delle vertebre immediatamente superiori (L2-3 ; L3-4)
3. Calibro dell'ago: l'utilizzazione di un ago da spinale con un calibro molto sottile (25G od
addirittura 27G) riduce la sensibilità dell'operatore nell'apprezzare la diversa resistenza opposta dai
tessuti attraversati (sottocute - legamenti interspinosi) riducendo in tal modo la percentuale di
successo della tecnica. Inoltre il deflusso di liquor con un ago da spinale 25-27G sarà ovviamente
molto più lento rispetto a quello che si realizza con un ago 22G. Quindi in questi casi utilizzerei un
ago spinale con un calibro 22G, ovviamente sempre con punta atraumatica (Withacre o Sprotte).
4. Lunghezza dell'ago da spinale: la lunghezza dell'ago da spinale comunemente utilizzata è
di 90mm. Esistono però in commercio degli aghi da spinale un pò più lunghi (120mm), sempre con
punta atraumatica (Whitacre-Sprotte) che nella nostra esperienza sono risultati molto utili per
raggiungere lo spazio subaracnoideo in pazienti obese.
Dopo aver effettuato l'anestesia spinale particolare cura dovrà essere posta al posizionamento dedlla
paziente al fine di ridurre i fenomeni di compressione aorto-cavale e minimizzare l'interferenza
negativa della pressione endoaddominale sull'escursione toracica (posizione semiseduta)
Anestesia generale
Nelle pazienti obese, così come in tutte le pazienti gravide, l'anestesia generale andrebbe riservata
laddove l'anestesia locoregionale è controindicata. Nelle pazienti obese l'incidenza di intubazione
difficile è del 33% in caso di taglio cesareo, rispetto ad un'incidenza del 13% nelle obese per la
chirurgia generale. Ove possibile, in considerazione dell'alta percentuale di difficoltà
all'intubazione, sarebbe auspicabile la presenza di un 2° anestesista almeno durante l'induzione
dell'anestesia generale. A causa della riduzione della capacità funzionale residua , la gravida, ed in
maggior misura la paziente obesa, è maggiormente esposta a gravi episodi di ipossiemia che
congiuntamente all'ipercapnia possono scatenare improvvise ipertensioni polmonari ed aritmie
cardiache.
Vista l'alta incidenza di ab ingestis, 30 minuti prima della chirurgia andrebbe somministrato
un'antiacido (30ml) per os ed un anti H2 per via sistemica (cimetidina o ranitidina) . La
preossigenazione è altamente raccomandata per almeno 3 minuti prima dell'induzione dell'anestesia
generale. Imperativa è l'utilizzazione del capnografo e del pulsoossimetro in sala operatoria, oltre al
routinario monitoraggio della traccia ECG e della pressione arteriosa incruenta. Infine è necessario
trattare efficacemente il dolore postoperatorio al fine di minimizzare l'ipoventilazione dovuta al
dolore.
Letture consigliate
Foley Strong: Obstetric Intensive Care - Ed. Saunders 1997
M. C. Norris Handbook of Obstetric Anesthesia - Ed. Lippincott Williams & Wilkins 2000
63
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Carrol et al. Vaginal birth after cesarean section versus elective repeat cesarean delivery:Weightbased outcomes Am J Obstet GynecolVolume 188, Number 6 2003
Isaacs JD, Magann EF, Martin RW, Chauhan SP, Morrison JC. Obstetric challenges of massive
obesity complicating pregnancy. J Perinatol 1994;14:10-4.
Chauhan SP, Magann EF, Carroll CS, Barrilleaux PS, Scardo JA, Martin JN. Mode of delivery for
the morbidly obese with prior cesarean: vaginal versus repeat cesarean section. Am J Obstet
Gynecol 2001;185:349-5
Thomas D. Myles et al.: Obesity as an Independent Risk Factor for Infectious Morbidity in Patients
Who Undergo Cesarean Delivery VOL. 100, NO. 5, PART 1, NOVEMBER 2002 © 2002 by The
American College of Obstetricians and Gynecologists. Published by Elsevier Science Inc
Perlow JH, Morgan MA. Massive maternal obesity and perioperative cesarean morbidity. Am J
Obstet Gynecol 1994;170:560 –5.
Do anaesthetists need less sleep than the others?
M. DRU
Presidente Nazionale “Syndicat National des Praticiens Hospitaliers Anesthésistes-Réanimateurs –
Let us sleep and we may save
Our patients from early grave
R. A. J. Asher (1)
Why such a question? Rumour has it that anaesthetists don’t need much sleep since they
often perform overnight duty. Considering various aspects of sleep it just appears the opposite.
There is a chronic sleep deprivation which is never recovered. Moreover, acute lack of sleep clearly
impacts on professional activity.
Night work is a widespread demand of modern societies. In Western countries it is estimated
that up to 20% of the working population is involved. Activities requiring a high degree of
concentration and alertness have replaced physical duties in a period normally dedicated to sleep.
Ability to adapt to this pattern is very different from one individual to another and is generally good
until the age of 35–40.
Sleep is an essential daily physiological need for our survival. At the age of 50, a healthy
individual has slept for nearly 16.5 years. Set like clockwork, sleep regularly occurs in two time
frames: by night-time and between 1pm and 3pm. Ageing brings about a gradual disruption of the
wake and sleep pattern. Sleeping in one go, followed by a period of time with no sleepiness, is
replaced by a more fragmented pattern. Thus, short periods of sleep alternate periods of arousals
with a need for naps. Human body wake and sleep pattern is linked to natural day and night cycle.
Other parameters such as hormonal patterns, temperature variations, noise, and situation-related
factors also interfere. Synchronization dysfunctions can depend on both extrinsic (time lag, work
shift) and intrinsic factors (blindness, neurological pathologies). For any given individual, poor
quality sleep implies a fatigue that shows in various ways the day after. After a sleepless night,
some people do feel very tired in the morning but do not however feel like going to bed. Such a
phenomenon is known as “the circadian effect”.
Many studies have been carried out in different professional fields about the effects of sleep
deprivation, sometimes leading to amend the regulation. Disruptions in the quality of awakeness
64
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
associated with sleeping difficulties have frequently been recorded for a few days after a time
difference of several time zones (≥ 3 hours). According to where the flight is heading to, the
wake/sleep pattern runs ahead or late due to synchronizing factors. In this case, we talk about
external desynchronization. Various biological patterns adjust more or less quickly to make up for
an internal desynchronization.
Referring to the existing literature on air travel, nuclear power, haulage and sport, A. Heins
and B. Euerle have come up with identical conclusions: lack of sleep and night work result in
performance indices deterioration (2). A study on pilots flying across 6 time zones revealed that
ability to perform simple tasks is recovered within 3 days while more complex tasks can need more
than 5 days (3). Studies carried out in the car industry showed that most accidents occur during or
right after a night shift (4). The minimum amount of sleep required to maintain alertness and
adequate cognitive functions is estimated to 5 hours (5). In a less recent article, Smith-Coggins et
al. highlighted an increased time needed to perform an intubation on dummies after a 24 hour oncall among experienced emergency physicians (6). According to Harrison’s team, physicians’
ability to think is altered after a 36 hour period without sleep (7). These outcomes fit in with the
study led by Taffindor (8) showing that surgeons who have been awake all night make more
mistakes and perform more slowly than those who have had a full night of sleep. This study was
corroborated by the late prospective work by T. P. Grantcharov (9).
Some works have been carried out as well in anaesthesiology. It has been demonstrated that
the more complex the anaesthetic task is, the more impaired memory becomes and the more
oversights and lacks of concentration occur (10). About 41% of anaesthetists undergoing training
admitted making fatigue related mistakes (11). A New Zealander study, performed amongst
anaesthetist physicians both at junior and senior levels, has reported an increasing number of
medical mistakes being linked to fatigue as soon as the person concerned had gone beyond his/her
own safety limit. This may vary from one individual to another, as far as the number of hours
worked are concerned (12). On the other hand, Dawson and Reid surprisingly concluded that the
psychomotor performances of an individual after a 24 hour period of wake were the same as those
of someone with a blood alcohol level of 1 g/l (13). Theses results have been matched by those of a
more recent study which compared the effect of sleep deprivation on the performance of various
tasks: thought process and memory. Thirty-nine volunteers were tested both after a 28 hour period
of wake and after taking an increasing volume of alcohol. Similar behaviour could be found again
amongst volunteers when they had not slept for 17 to 19 hours and when they reached a blood
alcohol level of 0.5 g/l and after a 18 to 20 hour period of wake and whilst being under the
influence of a blood alcohol level of 1 g/l (14).
We studied the repercussions of on-call on sleep and on daytime activities, over a fortnight
period which included at least 3 on-calls. Objective assessment was achieved using an actimeter
(15). This is a small monitor designed to be carried on the non dominant wrist and continuously
detecting accelerations linked to movements through piezo-electrical sensors, then digitally stored.
Actigraphy, as an approved method for identifying wake/sleep periods (16) offers a great
correlation with electroencephalogram for finding out the subject is sleeping/awake and what the
duration of sleep has been (17). Along with this recording, physicians filled out on a daily basis a
wake-sleep diary in which they assessed the quality of their days and nights. During the on-call,
results demonstrated a considerable decrease in sleep, which one could expect, with a mean
duration of 4 hours and 37 minutes (68%) but most of all with poor quality of sleep both objectively
and subjectively. Like Gaba and his colleagues, it was reported that during an on-call, even when
sleep was not disrupted by the service, it seemed often limited and most of all fragmented (18).
Increase in sleep during the night following on-call is limited to 20 minutes on average in
comparison with a normal (control) night, without any obvious improvement in its quality. When
the day following on-call is a normal working day, motor activity is only reduced in the evening,
probably owing to the fact that fatigue and sleepiness are hidden during the day by work demand.
65
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
The results of Stepanski’s study have shown that fragmentation of sleep has a bearing on daytime
sleepiness, even when there is no shortening of the overall sleep time (19). A given level of
alertness can be maintained, if required, in spite of a state of sleepiness but it is a high “price to
pay” as Clodoré and his colleagues suggest (20). The phenomenon needs to be compared with top
athletes who draw energy from their personal reserves to reach the required level, even when
exhausted… On the other hand, when on-call is followed by a rest period, sleepiness and fatigue
show; there are longer and more frequent episodes of motor hypoactivity and lower level of
activities from midday onwards, in accordance with M. M. Mitler’s research (21). From a
chronobiological perspective, being awake and active by night interferes with 2 processes of
regulation of wake/sleep cycle amongst on-call physicians: increase in waking period and decrease
in sleeping period on one hand, the bedtime being delayed on the other. Results show that their restactivity cycle remains synchronized with light-darkness cycle like in normal control subjects.
Repeated disruption of night-day cycle (work-sleep) seems to have an effect on stability of
activity-rest pattern without desynchronizing it altogether. For D. F. Dinges (22), it has been proved
that many people do not biologically adapt to night work and that, even amongst those who cope
well with it, strips of overnight periods of work in a daytime work require up to a 3 day adaptation
period. For Minors and Waterhouse (23), a four hour sleeping period at night, called «anchor sleep»
is sufficient to maintain 24 hour synchronization of the body heat. From a subjective point of view,
all the parameters (daytime quality, irritability, sleepiness, concentration, fatigue and mood) are
being altered on the day following on-call. Poor quality of overnight on-call, as shown in wakesleep diary, correlates with data collected amongst engineers on stand-by who expected to be woken
up (24). On the second post on-call day, despite a night of sleep recovery, fatigue is still present and
mood as well as concentration is still deteriorated. Those persistent negative effects suggest that
recovery has been incomplete as demonstrated above. Return to normal cognitive functions only
occurs after 2 nights of rest recovery.
This study stresses out the role played by a sufficient post on-call rest in order to protect
patients’ safety as well as physicians’ health. The introduction of this rest requires the
implementation of a restructuring within hospital units.
All these studies point out that medical on-calls impact on sleep and next day activities.
Anaesthetists therefore need as much sleep as any other medical doctors or patients. As far as
overnight duty is concerned it would be appropriate to assess the need for on-calls and to check if
the required number of practitioners to set up an on-call schedule is met within a hospital. Six to
eight physicians are necessary for adequate monthly on-calls schedule as well as appropriate level
of activities in hospital where on-calls take place. Everyone must watch out for the next revision of
the European working time directive especially in respect of adequate rest, maximum weekly
working time (48 hours including on-calls).
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
La tracheostomia e la sua gestione nel lungodegente
A. FANTONI
Primario Emerito Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera “San Carlo Borromeo” di Milano
Importanza di una scelta oculata
La tracheotomia non è un atto medico di importanza minore. Può essere decisiva nel risolvere molti
problemi assistenziali ma può anche incidere fortemente sul buon esito di un trattamento se diventa
fonte di serie complicanze.
Appare evidente come la scelta della tecnica più sicura costituisca una premessa indispensabile per
assicurare al paziente il migliore livello assistenziale, specialmente nel caso di trattamenti
prolungati.
E’ doveroso ammettere, tuttavia, che i criteri attuali di valutazione di una tecnica sono irrazionali e
contradditori. Di conseguenza anche la comparazione di tecniche diventa del tutto inaffidabile e
fuorviante.
Da tempo mi sono dedicato all’analisi di questo problema (1). Recentemente ho esposto in un
congresso internazionale sulla tracheostomia, la necessità di nuovi criteri di confronto quale
argomento prioritario, trovando unanime consenso sull’opportunità di riunire un comitato di esperti
per studiare con maggiore razionalità il problema.
Nel mio intervento venivano elencate le assurdità rilevate in letteratura in questo particolare settore
(2), che qui riporto.
Inaffidabilità degli attuali criteri di valutazione e comparazione delle tecniche
1. Negli studi che finora sono stati pubblicati sull’argomento non si fa alcun cenno ai dati
anatomici del collo, i soli che possono definire le difficoltà che l’operatore deve affrontare durante
la tracheostomia. Indispensabili alla creazione di una valutazione delle difficoltà di ogni singolo
paziente, e dell’intera casistica nel suo complesso, risultano essere la circonferenza del collo e la
distanza cricosternale, rapportate all’altezza ed al peso del paziente.
2. Le condizioni respiratorie. Anche questo è un dato completamente trascurato, pur essendo noto
che ben diverse sono le difficoltà che si prospettano in un paziente con ARDS ed in un paziente con
normale situazione respiratoria.
3. Nessuna menzione viene fatta delle difficoltà di accesso alle vie aeree che possono condizionare
sensibilmente i cambi di tubi e la ventilazione del paziente.
4. Non vengono segnalate le condizioni della trachea prima della tracheostomia, molto più
significative della durata dell’intubazione stessa. Eventuali decubiti, membrane, edema della
mucosa e deposizioni organizzate di fibrina possono creare complicanze sia durante la procedura
che nel decorso post-intervento.
5. Non si riscontra omogeneità nella valutazione delle complicanze, in particolare delle emorragie
e delle lesioni della parete posteriore della trachea, per le quali vi è una generale tendenza alla
sottostima.
6. Tutte le comparazioni tra tecniche sono state fatte su casistiche dalle quali sono stati esclusi i
pazienti più impegnativi, quelli che per generale consenso vengono controindicati alle percutanee
basate sulla forzatura di strumenti, dilatatori vari e cannule tracheostomiche, dall’esterno del collo
all’interno della trachea, da noi raggruppate sotto l’acronimo OIT (Outside /Inside Tracheostomy).
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
La selezione può essere accettata quando il confronto viene effettuato tra tecniche OIT che hanno le
stesse controindicazioni, ma non nel confronto tra tecniche OIT e tracheostomia chirurgica (ST) o
translaringea (TLT) che queste controindicazioni non hanno. La selezione in quest’ultimo caso è un
autentico nonsenso in quanto viene a privilegiare le tecniche con maggiori controindicazioni, le
OIT, perché risultano esclusi quei pazienti che creerebbero, con queste tecniche, più frequenti e
severe complicanze.
7. Nessuna attenzione è stata mai posta sul fatto che il numero delle controindicazioni può essere
assunto quale indice di pericolosità intrinseca di una tecnica. Le controindicazioni nascono
dall’osservazione della ripetizione di gravi complicanze occorse in un determinato tipo di paziente
con un determinato tipo di tecnica, anche con operatori esperti. L’introduzione forzata degli
strumenti dall’esterno all’interno della trachea, è decisamente pericolosa e non sempre, specie in
presenza di spiccata rigidità della parete tracheale, l’abilità dell’operatore è in grado di evitare le
complicanze che ne possono derivare.
Complicanze di questo tipo, non operatore dipendenti, sono quelle che obbediscono alla legge di
Murphy, “se qualcosa può accadere, prima o poi accade”.
Esiste quindi, nelle OIT, una pericolosità intrinseca che condiziona l’aleatorietà dei risultati.
Considerevole è infatti il numero di lavori che segnalano lesioni della parete posteriore anche in
centri qualificati e con il sistematico impiego del controllo endoscopico, ma ancora più consistente
si calcola sia il numero degli incidenti non pubblicati (3). Nel loro insieme queste complicanze
hanno portato le OIT a notevoli limitazioni, in pratica all’accettazione dei soli malati che presentano
una normalità anatomica. E come rimedio estremo, l’abolizione dei dilatatori rigidi, preconizzata da
Ciaglia (4) perché giudicati troppo pericolosi, specialmente quando si incontrano resistenze elevale.
Se si considera che tutte le OIT utilizzano necessariamente dilatatori rigidi,sia pur di varia forma e
funzione, (la stessa Blue Rhino li prevede per l’inserimento della cannula), appare evidente come la
dichiarazione di Ciaglia, nonostante l’autorevolezza della fonte, sia stata rapidamente accantonata
onde evitare sconvolgimenti a livello clinico e commerciale.
La TLT in questa classificazione ha una collocazione di assoluto vantaggio, dal momento che la
manovra di dilatazione è completamente priva di rischi. Il cono–cannula passa attraverso le corde
vocali entra in trachea, si fa strada tra i tessuti e affiora alla superficie del collo senza poter
provocare danni, qualsiasi siano le resistenze incontrate.
Questa fase è talmente sicura da poter essere effettuata da chiunque sia in grado di esercitare una
manovra di trazione. La sua pericolosità intrinseca è uguale a zero, un dato difficilmente
riscontrabile in un atto medico.
8. Un fattore che indubbiamente contribuisce a rendere poco significative le comparazioni è il
riportare la semplice elencazione delle varie complicanze senza alcun dettaglio di riferimento e
caratterizzazione.
Da questa constatazione è nata l’idea che sarebbe stato necessario poter effettuare un’analisi più
dettagliata dei vari metodi.
Dall’osservazione che tutte le tecniche tracheostomiche possono essere frazionate in tre distinti
momenti, abbiamo creato una tabella che riporta la suddivisione in fasi delle metodiche di cui
abbiamo maggiore esperienza, ST (300 adulti e 50 bambini), PDT (56 adulti), TLT (400 adulti e 26
bambini).
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Tabella I
Suddivisione in fasi delle tracheostomie
ST
dissezione apertura inserimento
pretracheale trachea
cannula
PDT inserimento dilatazione inserimento
ago
cannula
TLT inserimento dilatazione inversione
ago
cannula
Oltre a permettere lo studio circostanziato di una tecnica, questa suddivisione si è rivelata utile
anche nelle comparazioni perchè dà la possibilità di confrontare, fase per fase, le manovre più
significative di ogni singola tecnica e di valutarne i rispettivi pregi e difetti.
9. La tecnica e la sua dipendenza dall’operatore è un altro punto che non viene debitamente
considerato.
La ST, ad esempio, è il metodo in assoluto più operatore-dipendente: se viene eseguita da un abile
chirurgo non ha controindicazioni, non dà luogo a complicanze (5). Anche i fenomeni infiammatori
a carico dello stoma possono essere ridotti a livelli insignificanti mediante la creazione di piccole
fenestrature della parete e lo scarso traumatismo dei tessuti.
Al contrario, operatori inesperti ipossono creare gravissime complicanze, come si verificava in
passato quando la tracheostomia era considerata un intervento di secondaria importanza ed era
affidata ai giovani medici, quasi come apprendistato per compiti di maggiore impegno.
La definizione di questa caratteristica è importante perchè riveste anche un interesse medico-legale
da non sottovalutare, in quanto oggigiorno, in caso di grave incidente nel corso di ST, un
intensivista di estrazione non chirurgica potrebbe risultare non pienamente difendibile.
Tra le percutanee, la tecnica di Griggs ha una componente chirurgica rilevante (la dissezione dei
tessuti pretracheali, l’uso di forcipi divaricatori, la maggior invasività che si traduce in emorragie
più frequenti ed importanti rispetto alle altre percutanee) e per tale ragione viene ad occupare una
posizione intermedia tra ST e PDT nella scala di dipendenza dall’operatore.
La PDT Ha una parte chirurgica minore, anche se non trascurabile (la dissezione dei tessuti
pretracheali viene considerata indispensabile per ridurre le resistenze all’introduzione di dilatatori e
cannule). Non sono pochi coloro che auspicano la pronta reperibilità di un chirurgo quando si debba
effettuare una percutanea. Nella TLT non esistono manovre chirurgiche.
10. Non deve essere confuso il concetto di manovra nuova, non tradizionale e quello di manovra
difficile e pericolosa. Nella TLT, il raddrizzamento ed il cambio di direzione cranio-caudale della
parte interna della cannula (fase 3) richiede delle manovre che solo apparentemente sembrano
complesse perché appartengono ad una tecnica totalmente innovativa, ma che in pratica si sono
rivelate di rapido apprendimento e, soprattutto, sicure. Infatti, il massimo rischio in cui si può
incorrere, è quello di una decannulazione accidentale che può essere facilmente corretta dalla
reintroduzione di un nuovo cono-cannula con l’aiuto del filo di sicurezza lasciato in situ a questo
scopo. Possiamo concludere che la fase 3 in minima parte è dipendente dall’operatore, in quanto
rare sono state decannulazioni da noi riscontrate e tutte avvenute nel periodo di training, ed una
pericolosità intrinseca, molto esigua in quanto la decannulazione non espone il paziente a rischi
aggiuntivi in quanto la ventilazione tramite l’apposito catetere non viene interrotta. Si può quindi
affermare che la decannulazione può essere tranquillamente derubricata da complicanza a semplice
inconveniente tecnico.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Le conseguenze degli attuali criteri di valutazione
La sommazione di difetti e incongruenze che abbiamo sopra elencato, ha creato l’assoluta
inaffidabilità delle attuali comparazioni. Ognuno è in grado oggi di affermare che la sua tecnica è
più sicura e più facile di un’altra. Dove possa portare una situazione di questo genere, lo si può
facilmente dedurre dal caso Ciaglia, sopra ricordato, una ricusa di un metodo dopo ben 14 anni di
generale incensamento della tecnica da parte di decine di pubblicazioni che ne evidenziavano la
sicurezza e la superiorità sulla ST.
Problemi del periodo post-procedurale
Sulla comparsa di complicanze tardive il tipo di tecnica tracheostomica svolge certamente un ruolo
primario.
Le tracheostomie OIT provocano notevoli danni all’impalcatura cartilaginea, come si può dedurre
dalla frequente presenza di monconi aggettanti nel lume e di fenomeni emorragici intraluminali
dovuti all’effetto introflettente o volvente della manovra di dilatazione.
La percentuale della rottura di anelli può essere considerata un’importante e specifico indice della
lesività di una tecnica sulla parete tracheale anteriore, la cui integrità dovrebbe essere salvaguardata
in quanto costituisce la migliore prevenzione dell’inquinamento batterico, proveniente dal lume
tracheale, dei tessuti peritracheali.
Tuttavia va ricordato che la gestione di una tracheostomia viene condizionata anche, e forse in pari
misura rispetto alla tecnica, da una serie numerosa di altri fattori non direttamente correlabili con la
procedura per se stessa, fattori che troviamo elencati qui sotto.
1.
Le cannule rigide dovrebbero essere abolite, talmente elevato è il pericolo di decubiti della
parete posteriore da spostamento in avanti del tratto esterno, la più frequente causa di fistola
tracheo-esofagea e,con lo stesso meccanismo di impegno dell’estremità della cannula sulla parete
posteriore della trachea, di improvvise ostruzioni respiratorie. Preferibili quelle armate flessibili che
si allineano spontaneamente con l’asse tracheale, non risentono delle trazioni e delle inclinazioni
esercitate sul segmento esterno e quindi prevengono le complicanze sopra ricordate. La presenza di
controcannule non è indispensabile in un reparto intensivo, dove frequenti aspirazioni e gas
fisiologicamente umidificati eliminano il pericolo di ostruzioni. La cannula rigida con
controcannula è invece d’obbligo se il paziente viene trasferito in reparti a basso livello
assistenziale.
2.
Dopo una percutanea, il cambio cannula non dovrebbe essere effettuato prima di 2-3
settimane. Per lo stoma di recente formazione questo provvedimento rappresenta sempre un trauma
ed un momento di rischio inutile. In caso di necessità, la sostituzione di una cannula deve essere
attuata in clima di assoluta sicurezza, con tutte le precauzioni suggerite dalle linee guida vigenti.
3.
L’inalazione di gas non fisiologicamente umidificati è una delle cause più frequenti di
lesioni tracheali sia per l’aumentato attrito delle vie aeree artificiali sulla mucosa, sia per i depositi
di secrezioni disidratate che tendono precocemente ad organizzarsi e trasformarsi in restringimenti
cicatriziali. Nei lunghi trattamenti respiratori, gli umidificatori a riscaldamento sono
apparecchiature che non hanno valide alternative.
4.
Le prolungate trazioni sulla cannula tendono ad allargare lo stoma ed a trasformarlo in una
ferita saniosa ed infetta. E’ buona norma adottare un doppio raccordo girevole nel circuito
respiratorio e cannule flessibili in modo da ammortizzare le sollecitazioni.
5.
Paralisi muscolare, sedazione, disturbi della deglutizione da presenza di cannula sono
condizioni che favoriscono l’accumulo di secrezioni nel retrofaringe e il loro passaggio in trachea.
Per ovviare a questo inconveniente, responsabile di processi infettivi polmonari, abbiamo iniziato a
71
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
praticare, molti anni addietro, l’aspirazione intermittente faringea per mezzo di sonde poste in
faringe in prossimità delle corde vocali ed apparecchi adattati per questa funzione.
Questo metodo è molto più razionale di quello più recentemente messo in commercio che si basa
sull’impiego di cannule tracheostomiche con una porta situata prossimalmente alla cuffia e perciò
destinata all’aspirazione di materiale che ha già superato una prima barriera fisiologica di sicurezza,
la glottide , ed è più difficile da eliminare.
6.
I drenaggi posturali, supino-prono, rappresentano un altro valido ed insostituibile mezzo per
rimuovere le secrezioni nel paziente in ventilazione meccanica. Nonostante la crescente produzione
di lavori a favore di questo provvedimento, sono ancora pochi i centri in cui viene applicato.
7.
Per quanto riguarda la decannulazione accidentale, il grande vantaggio della ST rispetto alle
percutanee è la maggior facilità di reintroduzione della cannula. L’ancoraggio cute–parete tracheale,
la breccia più ampia e rigida, ed eventuali ponti di scivolamento eliminano i problemi del
reinserimento. Deve essere ricordato che questi vantaggi hanno il loro prezzo: la ST causa un
trauma non trascurabile dei tessuti, espone a complicanze infiammatorie più rilevanti e, non ultimo,
evidenzia maggiori difficoltà di chiusura.
Le percutanee richiedono attenzioni particolari da parte del personale, soprattutto nei primi giorni,
quando lo stoma tende a restringersi rapidamente. Con il passare del tempo le differenze tra
percutanee e ST si attenuano progressivamente, fino a scomparire del tutto dopo una quindicina di
giorni. Per tale ragione, l’affermazione fatta da alcuni, che la previsione di un trattamento
domiciliare debba imporre la ST non sembra avere una giustificazione plausibile.
8.
Si afferma che il passaggio dalla ST alle percutanee abbia ridimensionato il problema della
chiusura definitiva dello stoma.Va ricordato tuttavia che se una ST è praticata da mani esperte con
piccola fenestratura, le difficoltà di chiusura vengono notevolmente ridotte. Comunque, a mio
avviso, la forte riduzione dei casi che richiedono una plastica di chiusura dello stoma che si è notata
in questi ultimi anni, deve essere attribuita in massima parte alla marcata riduzione del calibro delle
cannule tracheostomiche rispetto al passato, quando misure di 11-12 mm I.D. rientravano negli
standard comunemente adottati.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Insufficienza d’organo end-stage e implicazioni cliniche della sindrome da ischemiariperfusione nel trapianto di organo solido
P. FELTRACCO, E. MICHIELETTO, E. SERRA, I TIBERIO, S. RIZZI, F. SALVATERRA, S.
BARBIERI, M. FURNARI, L. BREZZI, C. ORI
Dipartimento di Farmacologia e Anestesia, Sezione di Anestesia, Università di Padova
Key-words: sindrome da ischemia-riperfusione, post-reimplantion injury, end-stage organ failure.
Il trapianto d’organo rappresenta oggi una realtà terapeutica ben codificata sul piano delle
indicazioni e della procedura. I risultati ottenuti negli anni recenti in termini di sopravvivenza e
qualità di vita confermano l’appropriatezza e l’efficacia della sostituzione d’organo quando
l’insufficienza dello stesso sia arrivata alla sua fase irreversibile e terminale.
L’idea di un trapianto, inteso come la mera sostituzione di un organo ormai non più funzionante con
un altro, è francamente restrittiva e non contempla invece un’ottica più allargata che comprende la
scelta delle indicazioni, le controindicazioni, i risultati, le complicanze, i fallimenti ecc.
La complessità delle manifestazioni cliniche e delle relative implicazioni anestesiologicorianimative dei riceventi sfugge per lo più all’interesse dei non operatori; le problematiche
fisiopatologiche dei vari organi in end-stage dovrebbero tuttavia stimolare all’approfondimento, se
non altro per i molteplici risvolti di una potenziale chirurgia di elezione o di urgenza su questo tipo
di pazienti.
Di seguito riportiamo succintamente alcune note sugli aspetti clinici più significativi delle
insufficienze dei comuni organi solidi suscettibili di trapianto.
END-STAGE LIVER DISEASE
L’epatite fulminante e lo stadio terminale della cirrosi sono le condizioni di grave insufficienza
epatica che, in quanto tali o per le conseguenze a carico di organi ed apparati, necessitano di
intervento di trapianto.
L’epatite fulminante determina un quadro di encefalopatia associato a grave insufficienza
parenchimale che s’instaura entro 8 settimane dall'esordio di una patologia epatica acuta in assenza
di precedenti malattie a carico del fegato.
Il quadro di insufficienza epatica acuta è conseguenza della necrosi epatocellulare massiva, con
distruzione del parenchima e perdita pressoché totale degli epatociti. A questo consegue
l’insufficienza delle funzioni di sintesi, deposito, trasformazione, detossificazione e secrezione
normalmente svolte dagli epatociti, con ripercussioni sistemiche.
La classica presentazione è caratterizzata da alterazione dello stato di coscienza a cui si sommano
variazioni brusche dei parametri ematici: iperbilirubinemia, alterazione dei parametri coagulativi,
elevazione delle transaminasi che, in un secondo stadio, dopo la necrosi massiva, si riducono
rapidamente [1].
Ai dati laboratoristici si aggiungono la comparsa di edema cerebrale, squilibri emodinamici e
respiratori, alterazione della funzione renale e dell’emostasi. Aumenta, inoltre, l’incidenza di
complicanze infettive.
La cirrosi epatica costituisce di gran lunga la causa più frequente di malattia epatica cronica che
può portare a insufficienza acuta. Al danno epatocitario iniziale e/o al perdurare dello stimolo
tossico segue rigenerazione e degenerazione fibrotica, con aumento del tessuto connettivo,
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
sovvertimento delle strutture vascolari da parte del tessuto nodulare rigenerativo ed aumento delle
resistenze intraepatiche. L'aumento compensatorio del flusso epatico determina un ulteriore
incremento della pressione portale e lo sviluppo di circoli collaterali. Un aumento eccessivo della
pressione nei circoli collaterali esofageo ed emorroidario provoca il sanguinamento spontaneo a
livello del tratto gastroenterico (rottura di varici). L'aumento del flusso linfatico intraepatico
concorre alla produzione di ascite.
Le manifestazioni patologiche sono legate sia al danno epatocellulare che alla condizione di
ipertensione portale. La necrosi epatocitaria determina la perdita delle capacità sintetiche,
metaboliche, di deposito e di depurazione ed è associata a ittero, alterazioni della coagulazione,
ipoalbuminemia [2].
Le principali modificazioni indotte dall’insufficienza epatica terminale sono:
•
Encefalopatia epatica;
•
Alterazioni del profilo cardiovascolare;
•
Sindrome epatorenale;
•
Complicanze a carico dell'apparato respiratorio ed alterazione degli scambi gassosi;
•
Modificazioni dell’emostasi e della coagulazione;
•
Alterazioni del profilo metabolico;
•
Ipertensione portale;
•
Infezioni.
L’encefalopatia epatica
L’encefalopatia epatica è caratterizzata da disturbi del comportamento ed alterazioni dello stato di
coscienza legati alla insufficienza dell’epatocita. Essa si osserva obbligatoriamente nell’epatite
fulminante mentre è una complicanza possibile della cirrosi di grado avanzato, dove prende il nome
di encefalopatia portosistemica.
Sebbene i meccanismi patogenetici siano molto complessi e poco noti, la possibile e completa
reversibilità depone per una sindrome metabolica sostenuta da:
•
ammonio e sostanze a formazione gastroenterica non rimosse o inattivate dal fegato con
azione sul sistema nervoso;
•
GABA;
•
endozepine;
•
falsi mediatori;
•
alterazioni dell’equilibrio degli aminoacidi.
Il fattore patogenetico più importante è rappresentato dalla grave alterazione della funzionalità
epatocellulare e dalla presenza degli shunt tra circolo venoso portale e circolo sistemico (nel
cirrotico) che escludono ampiamente il fegato. Ne risulta che varie sostanze tossiche assorbite
dall’intestino non vengono detossificate dal fegato, determinando alterazioni metaboliche nel
sistema nervoso centrale.
L’ammoniaca è la sostanza più frequentemente coinvolta; in molti casi, ma non in tutti, i livelli
ematici di ammoniaca sono elevati, per ridursi dopo la risoluzione dell’episodio encefalopatico.
Dal punto di vista clinico, l’encefalopatia epatica può presentarsi con qualsiasi alterazione
neurologica, sistemica o focale. Nell’encefalopatia acuta, i deficit neurologico regrediscono con la
correzione dei fattori scatenanti mentre nell’ecefalopatia cronica le alterazioni neurologiche
possono essere ingravescenti ed irreversibili. Caratteristica di questa forma di encefalopatia è la
presenza all’elettroencefalogramma di aspecifiche onde lente (2-5 al secondo), simmetriche e ad
alto voltaggio [3].
Nella seguente tabella sono riportati i vari stadi dell’encefalopatia epatica:
74
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
stadio 1
Stadio 2
Stadio 3
Stadio 4
Stadio 5
Moderato stato confusionale; alterazioni comportamentali
Stordimento e stato confusionale; alterazioni comportamentali
Sopore e sonnolenza; stato irritativo corticale
Depressione rilevante con risposta mantenuta allo stimolo doloroso
Stato di coma profondo → formazione di edema cerebrale → aumento della pressione
intracranica
Alterazioni del profilo cardiovascolare
Il profilo cardiocircolatorio del paziente con insufficienza epatica acuta è caratterizzato da sindrome
ipercinetica, con elevato indice cardiaco, pressione arteriosa media ai limiti inferiori di norma, basse
resistenze vascolari sistemiche e polmonari, pressioni di riempimento medio-basse. L'aumento di
portata è sostenuto sia da un aumento del volume sistolico che da un aumento della frequenza
cardiaca, quest’ultima non sempre presente. Nella insufficienza epatica avanzata si osserva
un’imponente vasodilatazione sistemica che determina ipovolemia relativa e sindrome ipercinetica;
essa è sostenuta da elevati livelli di endotossine circolanti, prostaglandine, peptidi intestinali ad
azione vasoattiva, ferritina e glucagone (per mancata inattivazione da parte del fegato). Nonostante
l’indice cardiaco elevato e la buona disponibilità di O2, si verifica una ridotta estrazione di ossigeno
in periferia per la anomala vasodilatazione e la maldistribuzione del flusso ematico, con
conseguente ipossia tessutale [4].
Sindrome epatorenale
L’insufficienza epatica è frequentemente accompagnata dalla compromissione della funzione renale
(sindrome epatorenale) [5]. Il meccanismo patogenetico di questo fenomeno è correlato alle
modificazioni emodinamiche sistemiche e splancniche (vasodilatazione) e allo stato di ipovolemia
relativa a cui si oppone una vasocostrizione renale compensatoria mediata sia da un aumento del
tono ortosimpatico che da un aumento della attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone
[6][7].
Complicanze a carico dell'apparato respiratorio ed alterazione degli scambi gassosi
Il paziente epatopatico terminale può presentare un quadro di ipossia dovuto a ipoventilazione
alveolare. Questa può essere la conseguenza di versamenti pleurici e ascitici addominali con
sopraelevazione del diaframma. Deve essere ricordato che il soggetto cirrotico tende ad una
moderata iperventilazione con associata alcalosi respiratoria (con o senza ipossia). La perdita del
riflesso di vasocostrizione ipossica dei vasi polmonari in presenza di ipossia alveolare determina un
aumento della perfusione nelle zone malventilate. A contribuire all’alterazione del rapporto
ventilazione-perfusione contribuisce l’aumento del volume di chiusura e la ridotta differenza tra
Capacità Funzionale Residua (FRC) e Capacità di Chiusura (CC) [8]. Anche la presenza di shunts
arterovenosi (intrapolmonari, portopolmonari) destro-sinistri si traduce in una riduzione di PaO2.
E' infine da ricordare come, in una percentuale inferiore all'1%, alla cirrosi si associ ipertensione
polmonare, istologicamente caratterizzata da proliferazione endoteliale e fibrosi intimale. A questi
meccanismi si affiancano la perdita dei riflessi di difesa delle vie aeree, il rischio di inalazione di
contenuto gastrico ed il conseguente sviluppo di patologia respiratoria con quadri di edema alveolointerstiziale tipo ARDS ed aumento del gradiente alveolo-arterioso di O2 [9].
Sporadicamente condizioni di grave ipossia in assenza di infezioni o edema sono state riportate
anche in corso di epatite fulminante. Una possibile spiegazione potrebbe risiedere nella apertura di
shunt polmonari arterovenosi in analogia a quanto osservabile nella epatopatia cronica.
Modificazioni della emostasi e della coagulazione
Il fegato svolge un ruolo centrale nel mantenimento della bilancia emostatica. La maggior parte dei
fattori coagulativi (fibrinogeno, i fattori II, V, VII, IX, X, XI, XII della famiglia delle serinproteasi),
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
gli anticoagulanti fisiologici (Antitrombina III, Proteina C e Proteina S), il plasminogeno
(precursore della plasmina, enzima fibrinolitico) e la a2antiplasmina (inattivatore della plasmina
circolante, antifibrinolitico) sono di sintesi epatica [10][11].
Il sistema reticoloendoteliale del fegato gioca inoltre un ruolo fondamentale nella clearance di
fattori procoagulanti attivati e delle sostanze profibrinolitiche [12].
Nel portatore di insufficienza epatica terminale si possono riscontrare alterazioni di tutte le fasi
della emostasi:
•
Alterazione della fase vascolare per vasocostrizione inefficace;
•
Alterazione della fase piastrinica per disordini del numero e della funzione piastrinica
(raramente presenti nella epatite fulminante);
•
Deficit coagulativo per ridotta sintesi fattori procoagulanti (vit.K dipendenti), ridotta clearance
fattori attivati, aumentato consumo di fattori procoagulanti, riduzione di sintesi di procoagulanti
e di anticoagulanti fisiologici (ATIII, PC, PS);
•
tendenza alla iperfibrinolisi per aumento attivatori (ridotta clearance plasminogeno, aumentati
livelli di tPA, aumento attività proteasica), ridotta sintesi inibitori (a2 antiplasmina – PAI).
Alterazioni del profilo metabolico
I pazienti con insufficienza epatica spesso presentano ipoglicemia per un aumento dei livelli
circolanti di insulina, ridotta gluconeogenesi e ridotti depositi di glicogeno.
In alcuni casi può essere osservata alcalosi metabolica, correlata a perdita di potassio e a ridotta
sintesi di urea. L’acidosi metabolica è associata ad acidosi lattica, la cui origine è dovuta sia ad
aumento di produzione per deficit di perfusione periferica che a ridotta capacità di clearance epatica
[13].
Ipertensione portale
Nel cirrotico, l’ipertensione portale consegue all’aumento delle resistenze vascolari a livello dei
sinusoidi epatici. Poiché il sistema venoso portale è privo di valvole, lo sviluppo di resistenze a
qualsiasi livello tra il cuore e i vasi spalncnici dà luogo alla trasmissione retrograda di una pressione
elevata. Le principali manifestazioni dell’ipertensione portale sono l’emorragia da varici
gastroesofagee, l’ipersplenismo, la formazione di ascite e l’encefalopatia epatica da shunt.
L’ipertensione portale svolge un ruolo importante nello sviluppo di ascite; essa infatti determina un
aumento della pressione idrostatica nel circolo splancnico. Nel cirrotico al mantenimento dell’ascite
contribuiscono anche fattori renali. Questi pazienti presentano un elevato grado di riassorbimento
renale di sodio e non sono in grado di eliminare normalmente un carico idrico [14].
Infezioni
Infezioni e sepsi sono frequenti complicanze associate alla epatite fulminante, e peggiorano il
quadro della epatopatia cronica.
Sono sostenute per il 30-40% da germi Gram negativi, probabilmente di derivazione intestinale e
responsabili di parte delle batteriemie primarie, e per il 60-70% da microorganismi Gram positivi
[15].
Nel paziente con cirrosi terminale, le più comuni infezioni sono a carico delle vie urinarie o si
presentano come peritoniti batteriche spontanee. Le infezioni delle vie aeree non sono un evento
particolarmente frequente. Nel 20% dei casi è presente diffusione ematica. I batteri maggiormente
rappresentati sono Gram negativi (origine enterica o comunque esogena), la cui diffusione sistemica
appare facilitata sia dal fenomeno della traslocazione batterica, legata a fenomeni ischemici
viscerali in grado di aumentare la permeabilità di parete (vasocostrizione, ipovolemia) che dalla
ridotta clearance operata dalle cellule di Kupffer e dal sistema RI (la cui capacità fagocitica è ridotta
sia per difetti intrinseci di fagocitosi che per presenza di shunt porto-sistemici o intraepatici).
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
END-STAGE RENAL DISEASE
L’insufficenza renale cronica (IRC) è una complessa condizione clinico-metabolica conseguente
alla progressiva distruzione della massa nefronica. A seconda dell’entità della compromissione
funzionale renale possono schematicamente distinguersi tre fasi dell’IRC:
1. IRC in fase di compenso: la funzione renale è ridotta sotto al 50-60%. Questa fase è
caratterizzata dall’assenza di alterazioni biochimiche e cliniche importanti, essendo i nefroni
residui in relativa ipertrofia compensatoria.
2. IRC in fase di scompenso funzionale con funzione residua del 40-10%. Si sviluppano
progressivamente alterazioni biochimiche (iperazotemia, iperuricemia, alterazioni idricoelettrolitiche) e sintomi clinici a carico di vari organi e sistemi (anemia, ipertensione, sintomi
gastro-intestinali, neurologici).
3. IRC in fase uremica (o terminale): la funzione renale residua è inferiore al 10%. Si aggravano
tutte le alterazioni biochimiche e sono presenti segni e sintomi che possono interessare tutti gli
organi e apparati (cardio-circolatorio, respiratorio, emopoietico, osteoarticolare, nervoso,
cutaneo, endocrino).
Quando la funzione renale residua diviene inferiore al 20%, le manifestazioni cliniche e le
alterazioni biochimiche che inizialmente differenziavano la diversa eziologia del danno renale,
divengono similari [16].
In questo modo, l’aumento dell’urea plasmatica diviene relativamente indipendente dall’apporto
esogeno e ulteriori decrementi della funzione renale si accompagnano ad aumenti importanti della
concentrazione plasmatici di urea [17].
Nella IRC in fase uremica o terminale (VFG inferiore al 15-10%) tutti i segni e sintomi si
aggravano ulteriormente [18] e tutti gli apparati possono essere interessati con:
•
ipertensione arteriosa;
•
anemia;
•
aumento della creatinina plasmatici;
•
alterazioni biochimiche e cliniche legate al deficit delle funzioni renali escretoria ed endocrina;
•
coma uremico.
Alterazioni idro-elettrolitiche e dei cataboliti azotati nell’IRC
L’adattamento del rene ad un’ipofunzione dei nefroni determina ipertrofia e iperplasia dei nefroni
funzionanti. Tuttavia questo si realizza con un diminuito riassorbimento di acqua, che si manifesta
con una diminuzione della capacità di concentrazione o ipostenuria e poliuria. E’ in un secondo
tempo che compare l’incapacità del rene a diluire l’urina, incapacità che si rende manifesta con
l’escrezione di urina con osmolarità relativamente costante o isotenuria. Il bilancio idrico
dell’organismo, tuttavia può essere mantenuto normale fino a valori di VFG residuo di 10-15
ml/min [19].
Sodio: nella maggior parte dei pazienti con IRC stabile possono essere documentati modesti
aumenti del sodio e dell’acqua totale corporea. Negli stadi più avanzati dell’IRC vi è una
limitata capacità ad aumentare l’escrezione di sodio al punto che un aumento dell’apporto di
sodio con la dieta può essere sufficiente a determinare un’insufficienza cardiaca o un
sovraccarico idrico.
Potassio: l’escrezione di potassio è di solito normale fino agli stadi tardivi dall’IRC. La capacità di
compenso del bilancio del potassio è dovuta a meccanismi di adattamento del tubulo distale e
del colon, in risposta all’aldosterone. Ciò spiega come l’oliguruia o la rottura di questi
importanti meccanismi di adattamento possano indurre iperkaliemia con effetti sfavorevoli sulla
funzione cardiaca. L’iperkaliemia nel paziente con IRC può essere anche la conseguenza di
acidosi.
Calcio e del fosforo: l’iperfosfatemia è secondaria alla ritenzione di fosfati. Con il progredire della
malattia la quantità totale di fosfato filtrato dai nefroni residui si riduce progressivamente
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
elevando in modo persistente il livello di ormone paratiroideo; quest’ultimo aumenta
l’escrezione del fosfato inibendo il processo di riassorbimento mentre, contemporaneamente,
provoca un aumento della concentrazione sierica del calcio.
Equilibrio acido-base: man mano che va riducendosi l’escrezione di acidi si rende manifesta
un’acidosi metabolica. La produzione di tamponi urinari e la disponibilità dell’ammoniaca
cadono al di sotto dei livelli necessari per fronteggiare un improvviso carico acido esogeno o
endogeno.
Manifestazioni gastro-intestinali
Anoressia, nausea e vomito e singhiozzo sono estremamente frequenti e determinano malnutrizione
e alterazioni idrico-elettrolitiche. Ulcerazioni, spesso multiple, possono insorgere in qualunque
parte del tubo gastro-intestinale.
Sintomi neurologici
Le alterazioni neurologiche dell’uremia interessano sia il sistema nervoso centrale (encefalopatia
uremica) che il sistema nervoso periferico (neuropatia uremica). L’encefalopatia uremica, causata
da alterazioni metaboliche proprie dell’uremia, si manifesta con incapacità a concentrarsi,
ottundimento, insonnia notturna e sonnolenza diurna, alterazioni della personalità, depressione,
irritabilità, ansia. Possono manifestarsi segni di irritabilità neuromuscolare con tremori, crampi,
fascicolazioni. In fase terminale sono comuni asterissi, mioclonie, stato stuporoso, clonie, coma
[20].
La neuropatia periferica compare clinicamente nelle fasi più avanzate dell’IRC; si tratta di una
neuropatia distale, generalmente simmetrica, di tipo mista, motoria e sensitiva (specie agli arti
inferiori).
Manifestazioni cardio-vascolari e polmonari
L’ipertensione arteriosa è la complicanza più frequente nei pazienti con IRC avanzata e rappresenta
a sua volta un fattore di aggravamento della nefropatia.
I meccanismi responsabili dell’ipertensione sono l’espansione del volume extracellulare causata
dalla ritenzione di sodio e l’ipersecrezione di renina da parte dei nefroni residui.
La ritenzione di liquidi nei pazienti uremici porta spesso a scompenso cardiaco congestizio e ad
edema polmonare. Sono frequenti le alterazioni miocardiche aterosclerotiche, verosimilmente in
rapporto alle alterazioni metaboliche (iperlipidemia, iperuricemia) proprie dell’uremia cronica [21].
Alterazioni ematologiche
Nell’insufficienza renale cronica avanzata vi è regolarmente una anemia di tipo ipoproliferativo,
normocitica, normocromica L’eritropoiesi è depressa sia per effetto delle tossine uremiche sul
midollo sia per la diminuita sintesi di eritropoietina da parte del rene malato [22].
Altri fattori che contribuiscono all’anemia sono la ridotta sopravvivenza dei globuli rossi,
l’inibizione dell’eritropoiesi da parte dei metabolici tossici, l’osteite fibrosa associata
al’iperparatiroidismo, il deficit di ferro e di folati [23].
Le alterazioni della coagulazione compaiono in genere nella fase terminale, quando la funzione
renale residua è inferiore al 10%, e sono caratterizzate da un’anormale tendenza al sanguinamento e
da fragilità vascolare. L’allungamento del tempo di sanguinamento, la diminuita funzionalità
piastrinica e il diminuito consumo di protrombina costituiscono i meccanismi del disordine
emocoagulativo in questi pazienti.
Le alterazioni dei globuli bianchi possono essere a carico sia delle cellule linfoidi che dei
granulociti. È presente una riduzione della chemiotassi e dell’attività fagocitarla mentre le
alterazioni linfocitarie sono caratterizzate da linfopenia, ridotta risposta blastogenica, riduzione
delle reazioni cutanee di ipersensibilità ritardata. Anche la risposta anticorpale primaria nei
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
confronti di antigeni nuovi risulta depressa. Queste alterazioni, clinicamente, possono manifestarsi
con un aumentato rischio di infezioni.
La retinopatia
Il paziente con insufficienza renale uremica spesso presenta un quadro di retinopatia sovrapponibile
a quella che si riscontra nell’ipertensione arteriosa.
Le manifestazioni dermatologiche
La cute del paziente uremico mostra numerose alterazioni; spesso ha un peculiare colorito giallo
pallido, che deriva dalla combinazione dell’anemia con l’accumulo di pigmenti urocromici.
Le manifestazioni a carico dell’apparato respiratorio
Nell’uremia sono variabili; spesso dipendono dall’acidosi che può portare all’iperpnea o anche al
respiro di Kussmaul. La polmonite uremica viene di solito descritta come una radiopacita ilare che
si estende verso l’esterno come una nube con l’aspetto di "farfalla" o di "ala di pipistrello".
Alterazioni ossee: osteodistrofia renale
È un’alterazione ossea conseguenza della ridotta produzione dell’attivatore della produzione della
vitamina D e della presenza di iperparatiroidismo. Le alterazioni ossee della osteodistrofia renale
comprendono: osteite fibrosa, osteomalacia, osteosclerosi, osteoporosi.
Alterazioni del metabolismo glucidico
In oltre il 50% dei pazienti con uremia è presente un’intolleranza ai carboidrati caratterizzata da una
riduzione della velocità con la quale la glicemia ritorna ai valori normali dopo la somministrazione
di un carico glucidico. Poiché l’insulina viene in larga misura degradata dal rene, i livelli plasmatici
di questo ormone tendono ad accumularsi e, in risposta ad un carico di glucosio, vi è un notevole
rilascio di insulina in circolo.
Metabolismo protidico e lipidico
Nell’insufficienza renale avanzata la capacità di eliminare i prodotti azotati derivanti dal
catabolismo proteico è fortemente ridotta [24].
L’alterazione del metabolismo proteico porta ad un bilancio azotato negativo e perdita di massa
magra corporea (soprattutto muscolare).
END-STAGE HEART DISEASE
Tra le patologie cardiovascolari, senza dubbio la cardiopatia ischemica rappresenta la causa più
comune di scompenso cardiaco evolutivo e ingravescente. I meccanismi patogenetici con cui la
cardiopatia ischemica può determinare insufficienza cardiaca terminale sono essenzialmente tre:
l’ischemia miocardica, i danni anatomici postinfartuali e la disfunzione cronica.
Oltre alle forme ischemiche l’insufficienza cardiaca può comparire nelle cardiopatie congenite e
nelle cardiopatie acquisite di lunga durata quali la stenosi mitralica con ipertensione polmonare o la
stenosi aortica calcifica; nella maggior parte delle altre cardiopatie, la comparsa dello scompenso
cardiaco appare legata alla disfunzione ventricolare sinistra.
Fisiopatologia
Quasi tutte le forme di insufficienza cardiaca sono precedute da un periodo più o meno lungo di
adattamento del muscolo cardiaco alla malattia del cuore. Questa fase è caratterizzata dalla
comparsa di disfunzione ventricolare e di vari tipi di ipertrofia. Nella disfunzione ventricolare
vengono alterati contrattilità, postcarico, precarico e compliance del ventricolo sinistro [25].
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
La causa generale della comparsa dell’insufficienza cardiaca, della sua gravità, evoluzione e clinica,
risiede nella depressione della funzione ventricolare sistolica. Una grave depressione della
contrattilità è presente nella maggior parte delle cardiopatie in scompenso, specie se avanzato
mentre altri casi sono caratterizzati da un inappropriato rapporto tra postcarico e precarico
(afterload mismatch).
Quanto alla fase diastolica, le alterazioni proprie dell’insufficienza cardiaca possono essere
classificate in alterazioni del rilasciamento e alterazioni della distensibilità.
Fattori scatenanti lo scompenso
• non osservanza della terapia;
• assunzione di dieta inappropriata;
• attività fisica eccessiva;
• stress psicologici;
• situazioni ambientali non idonee;
• embolia polmonare;
• infezioni;
• anemia;
• tireotossicosi e gravidanza;
• aritmie;
• miocarditi reumatiche e di altra eziologia;
• patologia respiratoria;
• malattie generali ricorrenti;
• nuova cardiopatia,
Segni clinici maggiori
Dispnea: l’insufficienza respiratoria è il sintomo più comune di scompenso cardiaco. Inizialmente
la dispnea è osservabile solo durante lo sforzo fisico ma con il progredire dell’insufficienza
arriva a comparire anche a riposo. Il meccanismo di questo tipo di dispnea è legato soprattutto
all’ipertensione venosa polmonare, dipendente a sua volta dall’ipertensione diastolica
ventricolare sinistra e dall’ipertensione atriale sinistra [26].
Ortopnea: è in parte secondaria alla ridistribuzione di liquidi dall’addome e dalle estremità
inferiori verso il torace che determina un aumento della pressione idrostatica nei capillari
polmonari.
Dispnea parossistica notturna: è collegata alla depressione dei centri respiratori durante il sonno;
questo fenomeno riduce la ventilazione ad un livello tale da diminuire la tensione arteriosa di
ossigeno e ridurre ulteriormente la compliance polmonare.
Edema polmonare acuto: è la manifestazione più importante dello scompenso cardiaco; è
tipicamente notturno, quando non associato a fattori scatenanti. La trasudazione di liquidi
all’interno degli alveoli è il risultato di un brusco incremento della pressione capillare
polmonare [27].
Sintomi urinari: la nicturia è una frequente manifestazione dell’insufficienza cardiaca; durante il
giorno, infatti, l’attività muscolare richiama gran parte della gittata cardiaca, limitando il flusso
renale [28][29].
Sintomi digestivi: sono la conseguenza della stasi portale, mesenterica e dell’ischemia splancnica,
pertanto sono sintomi tradivi, salvo l’eptalgia da sforzo. Il dolore da attività fisica legato alla
distensione della glissoniana è particolarmente frequente nei bambini e adolescenti.
Sintomi cerebrali: vertigini, confusione, sonnolenza, insonnia si osservano più spesso negli
anziani.
Segni e sintomi generali: affaticabilità, sudorazioni, edema periferico, turgore giugulare, idrotorace
e ascite, ittero, cachessia cardiaca, iponatremia [30].
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
END-STAGE LUNG DISEASE
Con il termine di “insufficienza respiratoria cronica end-stage” si definisce una condizione
caratterizzata da una progressiva e costante alterazione della pressione parziale dei gas (riduzione
dell’ossigenazione e ritenzione di CO2) associata a ingravescente fatica ed esaurimento della pompa
muscolare.
A livello dei vari organi essa comporta alterazioni metaboliche per mancanza di un adeguato
apporto di ossigeno ai mitocondri (metabolismo anaerobico, produzione acido lattico e acidosi
metabolica).
L’insufficienza respiratoria cronica terminale determina conseguenze emodinamiche che
interessano dapprima le sezioni destre del cuore, quale effetto della vasocostrizione arteriolare
polmonare innescata dall’ipossiemia cronica (rimodellamento vascolare, ipertensione polmonare
pre-capillare, cuore polmonare cronico) ma in un secondo tempo anche delle sezioni sinistre.
L’insufficienza respiratoria ipossiemica è caratterizzata da una PaO2 inferiore a 60 mmHg con
una PaCO2 normale o bassa. È la forma più frequente e si osserva in molte patologie che
comportano alterazioni del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q).
L’insufficienza respiratoria ipercapnica è invece caratterizzata da una PaCO2 maggiore di 50
mmHg; l’ipossiema è comune in questi pazienti se non vengono sottoposti ad ossigenoterapia. Il
valore di pH dipende dai livelli di bicarbonati che, a loro volta, dipendono dalla durata
dell’ipercapnia.
Se esula da questa trattazione il considerare le innumerevoli cause di insufficienza respiratoria vale
tuttavia la pena di sottolineare come dal punto di vista funzionale esse realizzino fondamentalmente
tre condizioni:
a) pattern respiratorio di tipo ostruttivo (ad es. enfisema, asma, deficit di alfa1-antitripsina,
ecc);
b) pattern di tipo restrittivo (es. fibrosi primitive e secondarie, sarcoidosi, pneomoconiosi,
ecc.);
c) pattern misto (fibrosi cistica, bronchiectasie, ecc.).
Clinica
Segni e sintomi di ipossia cronica:
desaturazione ossiemoglobinica;
ridotto apporto di O2 agli organi periferici;
meccanismi di compenso (es. poliglobulia);
concomitante alterazione del livello di CO2 (sia ipocapnia per iperventilazione secondaria
all’ipossiemia, che ipercapnia per il sovrapporsi di un deficit di pompa all’insufficienza
polmonare).
Dispnea : condizione di limitazione funzionale;
• Cianosi (Centrale): colorazione bluastra dei tegumenti (labbra, lingua, congiuntive) per
aumento della concentrazione di Hb ridotta.
Ippocratismo digitale
Alterazioni neuropsichiche
Segni emodinamici:
• ↑ FC, PAS e della portata cardiaca (per stimolazione adrenergica);
• vasocostrizione viscerale, vasodilatazione coronarica e cerebrale;
ipertensione polmonare e CPC
• turgore giugulari, edemi declivi, epatomegalia dolente;
• facile stancabilità, palpitazioni, dolore toracico similanginoso;
• tosse ed emoftoe.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Segni e sintomi di ipercapnia cronica:
L’ipercapnia da ipoventilazione si sovrappone invariabilmente ad una condizione di ipossiemia
preesistente (es. BPCO, fase terminale delle interstiziopatie).
Sintomi neuropsichici:
• movimenti involontari ipertono muscolare;
• Obnubilamento del sensorio;
• Alterazioni della ritmicità del respiro;
• “Cianosi calda” per effetto complessivo dell’ipossiemia e della vasodilatazione cutanea;
• fasi di scompenso con progressiva depressione dello stato di coscienza (carbonarcosi) fino
al coma.
Emodinamici:
• Vasocostrizione viscerale su base simpatica;
• Vasodilatazione cerebrale con cefalea frontale, al risveglio mattutino.
• Nausea e vomito (per ipertensione endocranica)
Sindrome da ischemia-riperfusione e rilevanza clinica in corso di trapianto di organo solido
L’ischemia è uno stato di deprivazione tissutale di ossigeno associata ad un contemporaneo ridotto
washout dei metaboliti cellulari stessi. Nell'ipossia la produzione di energia può continuare, seppure
in modo modesto, attraverso la glicolisi mentre, nell’ischemia, viene meno la disponibilità dei
substrati energetici (portati dal flusso sanguigno) compreso il glucosio. In questo modo, la
produzione di energia per via aerobica si ferma dopo che i substrati per la glicolisi sono esauriti e
dopo che la funzione glicolitica è inibita dall'accumulo di cataboliti, che in condizioni normali
sarebbero rimossi dal flusso sanguigno.
Entro un periodo di tempo variabile da un tipo cellulare all'altro, il danno può essere riparato e le
cellule colpite possono tornare ad uno stato di normalità se i substrati metabolici sono nuovamente
resi disponibili dal ripristino della circolazione sanguigna.
Si definisce danno ischemico reversibile un danno ischemico che permette alla cellula di ripristinare
una condizione normale qualora gliene venga data l'opportunità.
Nel caso in cui l'ischemia sia invece prolungata nel tempo, i danni cellulari si rilevano irreparabili.
E' questo il caso del danno ischemico irreversibile.
La riperfusione comporta il ripristino del flusso ematico in tessuti ischemici. Nonostante
l’inequivocabile effetto benefico costituito dalla ripresa del flusso sanguigno, la stessa riperfusione
può scatenare una serie di reazioni avverse che il più delle volte danneggiano il tessuto. Danni da
riperfusione sono stati ampiamente descritti in letteratura quali causa di lesioni d’organo a livello
cerebrale, cardiaco, polmonare, epatico, renale e muscolare. La suscettibilità di un singolo tessuto al
danno da ischemia-riperfusione costituisce il principale ostacolo al successo della
rivascolarizzazione coronarica e dei trapianti di organi.
Meccanismo
Il meccanismo fisiopatologico del danno da ischemia-riperfusione (Ischemia reperfusion injury,
IRI) è complesso e comprende l’interessamento di componenti cellulari e umorali. Alla base del
danno tessutale mediato da leucociti, sono stati ipotizzati vari meccanismi: occlusioni
microvascolari, rilascio di radicali liberi dell’ossigeno, rilascio di enzimi citotossici, aumento della
permeabilità vascolare, rilascio di citochine [31].
A seguito della diminuzione dell’ossigeno all'interno della cellula si verifica anzitutto una riduzione
della fosforilazione ossidativa mitocondriale e la produzione di ATP si riduce con importanti effetti
su molti sistemi enzimatici:
1. alterazione dell'attività della pompa Na+/K+ ATP-dipendente. Nel settore intracellulare si
accumula sodio mentre il potassio passa all’esterno della cellula. L'entrata netta di soluti è
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accompagnata da acquisto di acqua per osmosi: la cellula si rigonfia e si dilata il reticolo
endoplasmatico;
2. alterazione del metabolismo cellulare energetico: termina la fosforilazione ossidativa e la cellula
inizia la glicolisi anaerobia per la produzione energetica. Questo comporta che i depositi di
glicogeno intracellulari vengano rapidamente esauriti. La glicolisi determina inoltre accumulo di
acido lattico e fosfati inorganici con riduzione del pH intracellulare;
3. distruzione dell'apparato di sintesi delle proteine che si manifesta sotto forma di distacco dei
ribosomi dal reticolo endoplasmatico rugoso e nella dissociazione dei polisomi a monosomi,
con conseguente riduzione della sintesi proteica.
Se si ripristina l'afflusso di ossigeno, tutte queste alterazioni sono reversibili; se invece l'ischemia
persiste, si arriva al danno irreversibile.
Vengono associati al danno irreversibile un rigonfiamento mitocondriale, un danno esteso alla
membrana plasmatica, un rigonfiamento dei lisosomi. Si verifica una continua perdita di proteine,
enzimi, coenzimi e acidi ribonucleici attraverso la membrana oramai eccessivamente permeabile. In
questo modo la cellula perde metaboliti importanti per la sintesi di ATP. Se la zona ischemica viene
riperfusa, si verifica un massiccio ingresso di calcio all'interno della cellula conseguente sia
all'elevata permeabilità della membrana plasmatica sia al rilascio dello stesso da parte dei
mitocondri e dal reticolo endoplasmatico. L’aumento della concentrazione di calcio citosolico causa
danno a livello delle membrane lisosomiali seguito da fuoriuscita dei loro enzimi nel citoplasma e
attivazione delle idrolasi acide.
I lisosomi contengono RNasi, DNasi, proteasi, fosfatasi, glucosidasi e catepsine, la cui attivazione
da parte del calcio provoca la digestione enzimatica delle componenti cellulari.
Con la morte della cellula e la progressiva degradazione dei suoi componenti, gli enzimi vengono
liberati nello spazio extracellulare mentre, contemporaneamente, all'interno della cellula morente
entrano macromolecole dallo spazio interstiziale. La cellula morta viene successivamente sostituita
da grandi masse di fosfolipidi che verranno poi fagocitate da altre cellule o ulteriormente degradate
ad acidi grassi.
Le alterazioni cellulari che rendono il danno irreversibile e che sono alla base della morte cellulare
sono principalmente due: l'impossibilità di ripristinare la disfunzione mitocondriale causata dalla
marcata perdita di ATP e le gravi alterazioni nel funzionamento della membrana plasmatica.
I maggiori danni a livello del funzionamento della membrana plasmatica sono riscontrabili con:
− Perdita di fosfolipidi di membrana;
− Alterazioni del citoscheletro;
− Formazione di radicali dell'ossigeno (ROS);
− Prodotti della degradazione dei lipidi;
− Perdita di aminoacidi intracellulari.
DANNO DA RIPERFUSIONE
Il ripristino del flusso sanguigno all’atto della riperfusione può determinare il recupero delle cellule
soltanto se queste sono state danneggiate in modo reversibile o, al contrario, aggravare il danno
tissutale se si è verificata una lesione irreversibile.
Il tipo di danno che si instaura include l’insufficienza del microcircolo e la produzione di citochine.
Queste molecole reclutano leucociti polimorfonucleati dalla circolazione verso il tessuto riperfuso e
l'infiammazione che ne deriva propaga ulteriormente i danni tessutali [32].
Nei tessuti riperfusi possono essere prodotti anioni superossido (O2⎯) per l'incompleta riduzione
dell'ossigeno ad opera dei mitocondri danneggiati.
Come conseguenza all’insulto ischemico, le cellule possono andare incontro a morte secondo due
meccanismi: l’apoptosi e la necrosi classicamente intesa. L’apoptosi (o morte cellulare
programmata) è un meccanismo fisiologico per la rimozione di cellule senescenti, danneggiate o
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anomali. Le cellule apoptotiche vengono rimosse dai macrofagi senza rilascio di enzimi proteolitici
o radicali dell’ossigeno e, in questo modo, il processo non si accompagna ad infiammazione.
Contrariamente, la necrosi è un processo patologico che evoca una reazione infiammatoria locale in
quanto la cellula morente riversa al suo esterno i prodotti della degradazione intracellulare [33].
Mediatori del danno da riperfusione
1) Radicali liberi (RL): includono il radicale idrossilico (OH), il perossido di idrogeno (H2O2) e il
radicale superossido (O2). Le fonti principali di RL sono i polimorfonucleati attivati e la xantina
ossidasi. L'ipoxantina deriva dal metabolismo dell'ATP che viene degradato in AMP e rappresenta
il substrato naturale della xantina ossidasi. In presenza di ipossia o ischemia la xantina ossidasi
aumenta a spese della xantina deidrogenasi ed è responsabile della formazione di ac. urico e di RL
dell'O2: superossido anione, acqua ossigenata, radicale idrossilico, radicale perossilico e alcossilico,
ossigeno singoletto.
Nella fase di riperfusione dopo un'ischemia, il contatto dell'O2 molecolare con ipoxantina e xantina
ossidasi stimola l'attività dell'enzima con abnorme produzione di RL [32].
2) Ossido nitrico (NO): esplica azione protettiva regolando il tono vascolare, inibendo
l’aggregazione piastrinica, e attenuando l’aderenza dei leucociti all’endotelio. Funzionando da
scavenger nei confronti dei RL, mantiene la normale permeabilità vascolare e stimola la
rigenerazione delle cellule endoteliali. E’ noto che il danno da ischemia-riperfusione è caratterizzato
da una grave disfunzione a carico dell’endotelio, associata ad un ridotto rilascio di NO [34][35].
3) Interazione tra leucociti e cellule endoteliali: il richiamo di leucociti ai tessuti costituisce un
punto chiave nello sviluppo del danno da ischemia-riperfusione [36]. L’adesione di alcune molecole
della superficie dei leucociti con i ligandi delle cellule endoteliali da inizio ad una serie di eventi
che porta al passaggio dei leucociti all’interstizio [34][37][38].
4) Sistema del complemento: può essere rapidamente attivato da aggregati di immuno-globuline,
prodotti di tessuti traumatizzati, lipopolisaccaridi (LPS) e altri complessi polisaccaridi [39][40].
5) Sistema callicreina-chinine: i LPS attivano il Fattore XII e la via intrinseca della coagulazione; il
fattore di Hagemann attivato è capace di convertire la precallicreina in callicreina, un enzima
proteolitico che agisce sul chininogeno formando bradichinina; essa provoca vasodilatazione ed
aumento della permebilità microvascolare.
6) Prostanoidi: sono mediatori infiammatori derivati dall'ac. arachidonico attraverso l'enzima
ciclossigenasi. I trombossano TxA2 causa aggregazione piastrinica e attivazione neutrofila,
vasocostrizione, broncocostrizione, e aumenta la permeabilità capillare. La prostaciclina (PGI2)
causa disaggregazione piastrinica e vasodilatazione. I leucotrieni (C-4, D-4, E-4) causano
vasocostrizione, broncocostrizione, aumento della permeabilità microvascolare.
7) Il fattore attivante le piastrine (PAF): sintetizzato principalmente da piastrine, neutrofili,
monociti, macrofagi e cellule endoteliali, provoca aggregazione piastrinica, attivazione dei
neutrofili, broncocostrizione, cambiamenti della permeabilità vascolare, vasocostrizione coronarica,
ipotensione, danno polmonare, depressione miocardica, insufficienza renale acuta.
8) Citochine: sono piccole proteine secrete dalle cellule immuni quali mediatori del sistema
infiammatorio: TNFα (tumor necrosis factor), IL-1 ed IL-6. E’ stato osservato che il livello di IL-10
dopo la riperfusione è correlato inversamente con l’età del donatore; questo può spiegare il motivo
per cui organi di donatori di età più avanzata sono più suscettibili al danno da ischemia-riperfusione
[41].
NOTE CLINICHE DELLA SINDROME DA I-R IN CORSO DI TRAPIANTO
TRAPIANTO DI RENE
La lesione ischemica nel trapianto renale può portare ad una necrosi tubulare acuta, chiaramente
associata ad un’aumentata incidenza di rigetto acuto così come a precoce perdita della funzione del
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graft. I reni che subiscono una ischemia calda o fredda solitamente presentano un infiltrato cellulare
di grado moderato, soprattutto con polimorfonucleati ma anche con monociti. Dati recenti,
dimostrano anche l’attivazione di una risposta immune mediata dai linfociti T [42].
Nel rene, la lesione ischemica conseguente all’ipossia si localizza principalmente nella parte interna
della midollare, anche se si verifica solitamente una distribuzione eterogenea del danno apoptotico e
necrotico. La sequela di eventi dopo l’evento ischemico e la successiva riperfusione renale
comprende una risposta infiammatoria precoce e una tardiva (tra il 3° e il 5° giorno dopo il
trapianto); in entrambi i casi vi è l’espressione tissutale di antigeni MCH di classe I e II, tipicamente
associati al rigetto [43].
Dal punto di vista clinico la riperfusione renale non comporta generalmente manifestazioni
emodinamiche di rilievo, in qualche caso tuttavia possono manifestarsi segni e sintomi da
iperkaliemia derivanti dalla liberazione dello stesso ione dalle cellule del graft (effetti da
preservazione + ischemia fredda); il fenomeno è più evidente se concomita una preesistente
iperpotassiemia e acidosi metabolica. Il mantenimento di un adeguato volume intravascolare
nell’intraoperatorio, oltre a favorire una precoce ripresa del graft appare proteggere dalle
ripercussioni circolatorie post-riperfusive. L’incapacità del rene trapiantato di regolare il bilancio
dei fluidi e del sodio predispone a situazioni di ipovolemia e di disionia con conseguente
ipotensione e disidratazione, L’ipotensione post-riperfusione è tra le cause primarie di ritardata
ripresa del graft.
Il rigetto iperacuto è una grave complicanza che può manifestarsi immediatamente dopo la
riperfusione, ed è inevitabilmente accompagnato da perdita irreversibile della funzione primaria.
Tra le cause soprattutto l’incompatibilità ABO o la presenza di preesistenti anticorpi citotossici.
Più frequenti e conclamate le ripercussioni emodinamiche osservate dopo riperfusione di trapianto
combinato rene-pancreas. L’instabilità emodinamica trova ragione non soltanto nella massiva
liberazione di mediatori vasoattivi dal pancreas conservato ma anche dalla scarsa risposta
compensatoria messa in atto da questi riceventi, di solito cardiopatici e vasculopatici a seguito del
diabete prolungato.
TRAPIANTO DI CUORE
Il danno da ischemia-riperfusione sul cuore non è limitato soltanto ai miocardiociti ma si estende
anche alle cellule endoteliali coronariche [44]. Queste alterazioni sono associate ad una ridotta
produzione di NO da parte delle cellule endoteliali e ad un aumento dei RL dell’ossigeno [45].
Dall’osservazione dell’endotelio con la microscopia elettronica, si può evidenziare la vasta
estensione delle lesioni, con adesione di piastrine e leucociti.
Le conseguenze del danno endoteliale a livello cardiaco dipendono dal calibro e dalla
localizzazione dell’arteria. A livello delle arterie ad alta resistenza, la vasocostrizione associata alla
disfunzione endoteliale può portare al cosiddetto “no-reflow phenomenon”, ossia all’insufficiente
perfusione di alcuni territori miocardici nonostante la corretta riapertura dei loro vasi tributari.
A livello microcircolatorio la disfunzione endoteliale favorisce la vasocostrizione e l’aggregazione
piastrinica, con rischi di vasospasmo e trombosi.
La clinica della riperfusione miocardica è prevalentemente caratterizzata da segni di insufficiente
adattamento del ventricolo destro alle nuove dinamiche della circolazione polmonare. Gli effetti
combinati della sindrome da I-R, la chirurgia, i fenomeni di “stunning”, la denervazione miocardica
ecc, deprimono consistentemente la funzione ventricolare. Nelle forme più gravi si assiste in un
primo tempo ad una disfunzione del ventricolo destro, seguita da una disfunzione biventricolare e
poi da un’insufficienza prevalente del ventricolo sinistro [46]. L’ipertensione polmonare che
complica la cardiopatia cronica terminale viene ulteriormente aggravata dal by-pass
cardiopolmonare; questa evenienza può non essere sopportata dal “nuovo” ventricolo destro,
ovviamente non ipertrofico. Si assiste infatti ad una dilatazione acuta dello stesso, con conseguente
insufficienza tricuspidale. Lo scompenso destro provoca ipoemia nell’albero arterioso polmonare,
ridotto riempimento diastolico sinistro e ipotensione. Generalmente un appropriato trattamento
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cronotropo e inotropo positivo, in associazione con la vasodilatazione polmonare (ad es.
isoproterenolo + NO) riescono a favorire il recupero funzionale post-circolazione extracorporea
(CEC); nel caso di bassa risposta ai farmaci è soltanto l’assistenza meccanica che riesce a sostenere
un adeguato “coupling” ventricolodestro-circolo polmonare-ventricolo sinistro [47].
TRAPIANTO DI FEGATO
Nelle prime fasi della riperfusione epatica, il rigonfiamento delle cellule endoteliali, la
vasocostrizione, il richiamo di leucociti e l’aggregazione piastrinica a livello dei sinusoidi portano a
danno del microcircolo. Questi meccanismi comportano diminuzione della velocità dei leucociti e
di conseguenza il contatto tra leucociti e cellule endoteliali aumenta e i leucociti stessi tendono ad
impilarsi. Ne consegue che la circolazione intraparenchimale continua ad essere deficitaria, con aree
epatiche che rimangono ischemiche anche dopo la riperfusione dell’organo [48][49].
Tra i fattori che possono contribuire alla gravità del danno da ischemia-riperfusione, senza dubbio
la qualità dell’organo; la riperfusione di un fegato steatosico è certamente più gravata da mal
irrorazione rispetto a quella di un fegato sano [50].
Altri fattori negativi sono ad esempio la riduzione del flusso portale o arterioso, la lunga durata dei
tempi di ischemia fredda e calda, la durata della procedura, gli episodi ipotensivi e l’entità
dell’ischemia splancinca.
Un altro fenomeno del danno post-riperfusione è il danno a carico dei globuli rossi. I globuli rossi
sono molto suscettibili all’azione dei radicali liberi che ne comportano deformazione e
aggregazione, aumentando la viscosità e la resistenza al flusso nei sinusoidi [51][52].
Clinicamente la ripefusione epatica è un evento emodinamicamente rilevante. L’arrivo in circolo di
prodotti tossici accumulati durante il prelievo e la conservazione (acido lattico, potassio, chinine,
elementi del disfacimento cellulare ecc.) associato al flush del liquido freddo di preservazione e ad
eventuali emboli aerei presenti nella cava inferiore, comporta una depressione più o meno
transitoria della gittata cardiaca ed un innalzamento temporaneo delle resistenze polmonari.
Bradicardia e ipotensione, ma talora anche arresto sinusale complicano molto frequentemente la
fase riperfusiva. Se il graft è adeguato, il recupero emodinamico avviene di solito in 15-20 min.; se
invece la rivascolarizzazione è anomala, o la vitalità del graft è depressa l’equilibrio circolatorio
rimane instabile e il sostegno con amine cardiovasoattive diventa obbligatorio. Una cattiva
riperfusione comporta quasi sempre l’aggravamento della funzione coagulativa con perdite
ematiche persistenti e ulteriore instabilità circolatoria [53]. Altri segni peculiari di danno da IR sono
l’aumento dell’acido lattico (ridotta o assente riconversione dell’acido piruvico), l’iperglicemia
refrattaria (ridotta captazione epatocitaria del glucosio circolante) e la bassa estrazione di ossigeno
nonostante l’aumento della disponibilità periferica (ridotta utilizzazione da parte dell’epatocita per
ritardato recupero del metabolismo aerobio intracellulare). La persistenza di ipotermia è un’altra
espressione di alterato recupero funzionale del graft; molteplici sono tuttavia i fattori che
contribuiscono alla sua genesi: perdite abbondanti, durata delle procedure, ampia superficie di
esposizione, ridotta massa muscolare e adiposa, prolungata ventilazione con gas freddi, ecc [54].
TRAPIANTO DI POLMONE
Il danno da IR a livello del polmone è caratterizzato da lesioni alveolari non specifiche, edema
polmonare e alterazioni significative della membrana alveolo-capillare [41].
Dopo una fase di ischemia fredda di 6-12 ore le cellule epiteliali polmonari vanno incontro a morte
per apoptosi; l’entità del danno apoptotico aumenta quando la qualità dell’organo donato è
insufficiente, quando l’ischemia fredda e calda sono protratte, e quando la rivascolarizzazione è
deficitaria [55]. Il danno ischemico parenchimale sembra essere indipendente dalla tipologia della
soluzione di conservazione e dalla durata della ventilazione meccanica prima del prelievo. Una
rallentata ripresa del graft sembra associarsi all’entità della necrosi cellulare e non a quella della
apoptosi [56]. Questo fenomeno si spiega con l’elevato numero di mediatori infiammatori che si
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attivano con la necrosi cellulare e che invece sono assenti nel caso dell’apoptosi. Le cellule
apoptotiche vengono infatti fagocitate dai macrofagi limitando notevolmente tale fenomeno [35].
La presentazione clinica può variare da una ipossia moderata con deboli effetti circolatori ad un
quadro di massivo edema con scompenso totale cuore-polmonare. Il danno di barriera può
promuovere la fuoriuscita nell’interstizio e successivamente all’interno dell’alveolo di liquido
plasmatico a ricca componente proteica e cellulare; questo fenomeno talora determina la comparsa
di materiale schiumoso rosaceo che arriva ad innondare completamente le vie aeree (edema da
riperfusione). La reattività arteriolare polmonare può accentuarsi con fenomeni vasocostrittivi ad
alto impatto sulle resistenze al flusso. Se l’ipossia da diffusione è marcata le resistenze polmonari si
aggravano ulteriormente con notevole sovraccarico per il ventricolo destro (già insufficiente per la
pneumopatia cronica). I riflessi locali di vasocostrizione polmonare ipossica (HPV), di
broncodilatazione ipossica e di broncocostrizione ipocapnica sono in genere insufficienti nelle
prime fasi dopo la rivascolarizzazione. L’accumulo di liquidi, di proteine e di cellule nell’interstizio
tende a persistere in ragione del fatto che il trapianto di polmone prevede l’interruzione definitiva
della circolazione linfatica intraparenchimale (che normalmente è deputata alla rimozione di queste
componenenti). La cellularità interstiziale stimola processi infiammatori locali che contribuiscono
ad “ispessire” la membrana alveolo-capillare e a rallentare i processi diffusivi dei gas [57].
Conclusioni
Il paziente sottoposto a trapianto per malattia d’organo irreversibile e terminale rappresenta tutt’ora
una sfida dal punto di vista gestionale anche per l’anestesista più esperto. Le tematiche peculiari di
ciascuna insufficienza end-stage costringono a processi di approfondimento fisiopatologico e
terapeutico che diventano obbligatoriamente propedeutici per un corretto e specifico “management”
intra e post-operatorio. Va ancora sottolineato come le malattie epatiche, renali, cardiache e
polmonari rappresentino nella loro fase avanzata non soltanto l’espressione di una funzione
d’organo esaurita ma piuttosto una situazione di insufficienza di molti sistemi correlati; questo
comporta ripercussioni di solito imprevedibili e negative sulle risposte di adattamento alle manovre
farmacologiche e anestesiologiche.
L’induzione dell’anestesia e la chirurgia possono essere momenti precipitanti di un equilibrio
instabile dal punto di vista metabolico, neurovegetativo, endocrino, cardiovascolare o respiratorio;
questi eventi invariabilmente determinano maggiori difficoltà nel mantenimento e predispongono a
pesanti complicanze durante e dopo la fase riperfusiva.
L’aumento dell’utilizzo di donatori marginali comporta un impegno assistenziale di alta esperienza
nella fase intraoperatoria e una maggiore e prolungata assiduità di cure nel postoperatorio.
L’aggiornamento continuo delle conoscenze e una pratica di lunga durata consentono di gestire le
varie manifestazioni della sindrome da I-R, anche nelle sue forme più complicate. Vi sono tuttavia
malati in end stage le cui riserve funzionali non consentono di sostenere il carico di stress fisico
derivante dall’impianto di un nuovo graft. In questa tipologia di pazienti l’incidenza di scompensi è
molto alta e costringe all’adozione delle più avanzate procedure di sostegno.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il grande politraumatizzato. La sindrome da schiacciamento
R. FLOCCO
S.S. Neurorianimazione Ospedale “Cardarelli” di Campobasso
La sindrome da schiacciamento o crush syndrome è una condizione critica caratterizzata da shock e
compromissione renale successiva ad una danno da schiacciamento del tessuto muscolare (1). In
termini di definizione si possono distinguere le seguenti situazioni (2):
• Crush Injury: danno diretto provocato dallo schiacciamento di estese masse muscolari
• Crush Sindrome: insieme delle manifestazioni sistemiche derivanti dal danno cellulare
muscolare risultante dalla pressione dello schiacciamento. (Consensus Meeting on Crush
Injury and Crush Syndrome, Faculty of Pre-Hospital Care of the Royal College of Surgeons
of Edimburg, May 2001).
L’associazione tra trauma da schiacciamento, mioglobinuria ed insufficienza renale acuta venne
descritta per la prima volta da Eric Bywaters in occasione del Bliz dei bombardieri tedeschi su
Londra nel 1941 (3). Le cause della crush syndrome sono grossi traumatismi in occasione di
terremoti (4-5-6), eventi bellici o terroristici, incidenti stradali o ferroviari, adunate di grandi masse
(7); ma anche compressione muscolare prolungata per il solo peso corporeo in soggetti privi di
coscienza per effetto di alcool o sostanze stupefacenti. La riperfusione dei tessuti compressi
determina il passaggio in circolo di prodotti tossici per il rene. Laboratorio: CK > 10.000-100.000
U/L, ipocalcemia, iperkaliemia, iperfosfatemia, mioglobinuria. I meccanismi fisiopatologici sono:
mioglobinuria con compromissione renale, iperkaliemia e ipocalcemia con effetti cardiotossici,
acidosi metabolica da iperfosfatemia, ipovolemia da perdita di plasma, coagulopatia. Il trattamento
consiste nel prevenire o curare la necrosi tubulare acuta e nel correggere l’equilibrio idroelettrolitico, acido-base e la coagulopatia.
Iperidratazione sulla scena (8)
Diuresi forzata alcalina
Dialisi
Start 1000 ml soluzione salina (I ora)
Successivamente 400-500 ml/h
1000 ml SF 0,9 % (1 ora)
successivamente 400ml/h
NaHCO3 1,4 %: 50-100 ml/h
Furosemide 20-40 mg
Indications: Refractory hyperkalemia, Metabolic acidosis,
Volume overload, Mental status changes
Fasciotomia (9-10)
Ossigeno Terapia Iperbarica (11-12)
Analgesia
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Metodiche terapeutiche in algologia
L. FOLLINI
Medicina del Dolore Parma
Una diagnosi algologica correttamente condotta ci permette di identificare la tipologia del dolore
attraverso il suo inquadramento patogenetico e di stabilire le metodiche terapeutiche da utilizzare
secondo una strategia che tenga in debita considerazione il contesto in cui si opera.
L’artificiosa distinzione tra dolore oncologico e dolore non oncologico va superata anche se per
convenzione possiamo tenere distinti i due ambiti in considerazione di alcuni trattamenti neurolesivi
che trovano elettiva applicazione nel paziente oncologico e del fatto che proprio in tali pazienti il
contesto in cui si opera assume caratteristiche di fondamentale importanza.
Il trattamento farmacologico ben condotto rappresenta il cardine di ogni intervento algologico.
Non ribadiremo mai a sufficienza che esso va impostato sulla base di un preciso inquadramento
patogenetico e non su una generica sequenza di potenza analgesica del farmaco stesso.
Per quanto riguarda il dolore nel paziente oncologico, le linee guida dell’Oms e la famosa scala
paiono finalmente lasciare il posto, dopo oltre un decennio di positivo ruolo per una maggiore
conoscenza di base ed utilizzo delle sostanze analgesiche, a strategie terapeutiche differenziate e
complementari superando il concetto assolutamente teorico che riconosceva al trattamento
farmacologico sistemico la capacita’ di controllare qualunque tipo di sintomatologia dolorosa.
91
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il dolore nel paziente non oncologico va distinto in acuto, persistente o cronico.
Metodiche infiltrative temporanee o definitive alcune di chiara derivazione anestesiologica , anche
se modificate sostanzialmente nella tecnica, sono utilizzabili in situazioni caratterizzate da dolore
infiammatorio-degenerativo a piu’ livelli:blocco delle faccette, blocco selettivo peridurale singolo o
con catetere temporaneo per radicolopatie, blocchi periferici perineurali, intrarticolari o
periarticolari etc.
Rispetto al dolore persistente o cronico non vi dovrebbero essere limiti all’utilizzo continuativo di
farmaci analgesici in assenza di alternative ne’ pregiudizi all’utilizzo degli oppioidi che attualmente
e finalmente anche in Italia sono caratterizzati da una discreta scelta di sostanze base e di
formulazioni oltre che da una maggiore facilita’ di ricettazione.
Blocchi temporanei o definitivi sul sistema neurovegetativo sono effettuati in dolori mantenuti da
una componente simpatica.
Nuove modalita’ di intervento sul disco intervertebrale quali la coblazione e l’IDET sono indicati
nel low-back pain e nelle radicolopatie e fanno ormai parte del bagaglio tecnico di molti Algologi.
La recente introduzione di nuovi devices quali il catetere di Pasha e metodiche come
l’epiduroscopia anche in radiofrequenza hanno aperto nuovi orizzonti con indicazioni e risultati al
momento ancora da definire con certezza.
Identifichiamo poi come APT (Advanced Pain Therapies) metodiche quali la stimolazione elettrica
midollare (SCS) e periferica nervosa (PNS) e la somministrazione spinale di farmaci analgesici ed
antispastici attraverso l’impianto di devices infusionali sempre piu’ sofisticati ed efficienti.
Le metodiche di stimolazione hanno la loro indicazione precipua nel dolore neuropatico periferico
come nelle lesioni di nervo, radice o plesso da intrappolamento, trauma accidentale e lesioni postchirurgiche, nelle radicolopatie croniche cervicali e lombosacrali dovute ad ischemia,
compressione, nelle sindromi dolorose miste da interventi chirurgici, nella neuropatia post-herpetica
nella plessopatia post-attinica e nelle sindromi complesse quali le CRPS type 1 e 2.
Ulteriori indicazioni sono rapppresentate dal dolore anginoso e di origine vascolare periferica .
Le somministrazioni spinali trovano indicazione elettiva nel momento in cui un dolore nocicettivo
non risponde piu’ ai farmaci oppioidi per via sistemica oppure il dosaggio efficace e’ tale da
determinare effetti collaterali insopportabili.
Il razionale e’ di veicolare l’oppioide direttamente a contatto con il recettore by-passando tutta una
serie di passaggi metabolici e di barriere anatomiche con il risultato finale di un rapporto di
efficacia pari a 1:200, 1:300 rispetto alla somministrazione orale.
Ma non solo, perche’ attraverso la somministrazione spinale possiamo utilizzare in associazione o
in alternativa tutta una serie di altre sostanze analgesiche la categoria piu’ importante delle quali e’
rappresentata dagli anestetici locali.
Ovviamente la somministrazione spinale trova indicazione sia nel dolore nel paziente oncologico
che non oncologico.
Sara’,come accennato all’inizio, il contesto in cui si opera, a porre la scelta tra sistemi semplici di
infusione o sistemi totalmente impiantabili.
La prognosi potra’ essere un elemento dirimente ma non assoluto, considerando che ad una
maggiore complessita’ di impianto e di devices si accompagna sempre una migliore qualita’ di
gestione e quindi di vita del paziente stesso.
Le neurolesioni, tranne quella trigeminale, sono essenzialmente finalizzate al trattamento del dolore
nei pazienti oncologici.
Abbandonate per fugacia ed incostanza di risultati nonche’ per l’elevata percentuale di complicanze
le lesioni chimiche spinali, ancora oggi puo’ avere una indicazione il ricorso alla neurolisi fenolica
L5-S1 per trattare dolori perineali, altrimenti non controllati, a patto che l’evoluzione della malattia
oncologica sia tale da aver gia’ minato la funzione vescicale e quella rettale.
Per controllare dolori nocicettivi profondi viscerali dell’alto addome da neoplasie epatiche,
gastriche, ma soprattutto pancreatiche, la neurolisi celiaca e splancnica possono rappresentare una
tecnica di scelta adeguata in mani esperte.
92
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Citiamo anche il blocco del plesso ipogastrico e del ganglio impari di Walther per il controllo di
dolori addominali dei quadranti inferiori e del perineo anche se la letteratura in proposito non risulta
particolarmente numerosa.
La cordotomia percutanea con radiofrequenza infine o trattotomia spino-talamica ha indicazione per
tutti quei dolori controllati in modo insufficiente con farmaci antinocicettivi o in presenza di effetti
collaterali indesiderati intollerabili.
Il dolore deve avere caratteristiche di monolateralita’ anche se in determinate situazioni puo’ essere
prevista l’esecuzione della lesione bilateralmente.
La loro irreversibilita’ ha in passato ingenerato storiche ma infondate polemiche e la convinzione
che dovessero avere una indicazione esclusivamente ultimativa.
In effetti, anche se in una percentuale che alcuni Autori identificano in un 3-5% ma che altri non
temono di considerare il 10% dei pazienti, vi sono dolori con tali importanti caratteristiche incident
da essere controllati solamente con tali manovre.
In questi casi solamente un intervento precoce puo’ riconsegnare al paziente una qualita’ di vita
eccellente e per un lungo periodo di tempo.
Sarebbe pertanto auspicabile un maggior recupero di considerazione di tali metodiche ed in
particolare della Cordotomia poste naturalmente e con rigore, come forse in modo non sufficiente e’
stato fatto in passato, le corrette indicazioni basate sulla corretta diagnosi algologica.
Queste manovre, definite di terzo livello, andrebbero eseguite in pochi Centri specializzati ai quali
far afferire pazienti gia’ selezionati.
Tutto il campo applicativo poi della radiofrequenza con correnti pulsate secondo Sluijter, che oggi
sta conoscendo un momento di auge, deve ancora essere sottoposto ad una seria revisione dei
benefici ottenibili ma potrebbe aprire il campo ad una serie di interventi sui pazienti anche non
oncologici e divenire una strategia aggiunta non indifferente nel bagaglio terapeutico dell’Algologo.
Preeclampsia ed eclampsia
M.G. FRIGO, D. CELLENO, A. VENEZIANI*
Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina Roma, *Ospedale Nuovo San Giovanni di Dio ASL Firenze
La preeclampsia è una sindrome esclusiva della gravidanza caratterizzata da uno stato ipertensivo
con un aumento delle resistenze sistemiche e del tono venoso a livello degli arti inferiori. La
vasocostrizione generalizzata che la contraddistingue, aggravata da una aumentata reattività
vascolare uterina ai vasocostrittori (catecolamine, angiotensina II)1 trasforma la rete vascolare
utero-placentare in un sistema ad alte resistenze e a basso flusso: ne consegue una ipoperfusione che
compromette l’ossigenazione fetale e rappresenta l’espressione fondamentale della malattia2.
Sulla base della relazione PA = CO x SVR, l’ipertensione arteriosa risulta da uno squilibrio tra
gittata e resistenze sistemiche. L’emodinamica è tuttavia controversa, anche per la difficoltà
metodologica del condurre studi su casistiche ampie. In genere, la preeclampsia è caratterizzata da
una riduzione del volume plasmatico e da una gittata leggermente ridotta rispetto alla gravidanza
normale, con resistenze vascolari sistemiche (SVR) moderatamente elevate e normale pressione
capillare polmonare (CPWP) 3, 4, ma lo stato emodinamico può presentare ampia variabilità, basata
sulla severità della malattia, sulla somministrazione di fluidi o farmaci anti ipertensivi, e dalla
concomitanza di altri fattori come ad esempio la presenza di una cardiomiopatia. Yang, in chiave
più attuale rispetto ai primi studi , identifica in base alla tipologia delle pazienti due gruppi: uno, a
cosiddetto basso rischio, di cui fan parte circa il 75% delle pazienti, caratterizzato da un CO
aumentato, SVR ai limiti superiori o moderatamente elevate e con il volume plasmatico lievemente
93
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
ridotto,l’altro, comprendente, circa un terzo delle pazienti, presenta invece un basso CO con alte
SVR ed in tale sottogruppo l’incidenza dei parti d’emergenza si è dimostrata assai più elevata
rispetto ai gruppi con basse SVR 5 a causa di una perfusione placentare compromessa e con riserve
minime. Tale interpretazione trova conferma nei dati di una indagine ecocardiografica su un gruppo
di pazienti preeclamptiche, in cui il riscontro di una alterata geometria del ventricolo sinistro
(geometria concentrica) è più frequentemente associato ad un successivo sviluppo di complicanze
materne e/o fetali6.
La perfusione globale e regionale nelle pazienti eclamptiche è deficitaria per la vasocostrizione e il
danno endoteliale con conseguente ridotta estrazione d’ossigeno. Va inoltre considerato che,
essendo l’utero privo di autoregolazione, il flusso uterino ed il flusso intervilloso variano e
dipendono in modo direttamente proporzionale alla pressione di perfusione (pressione arteriosa
uterina – pressione venosa uterina)7. Perciò per il feto di madre preeclamptica, che dispone
cronicamente di una riserva di ossigeno ridotta, diviene particolarmente importante che non si
determino eccessive cadute pressorie e/o aumenti del tono adrenergico che possono essere indotti
anche dalla terapia8, 9 o dallo stress materno10.
L’analgesia o l’anestesia epidurale ostetrica possono influenzare il flusso mediante un cambiamento
della pressione di perfusione, o per un’azione diretta, variando le resistenze vascolari uterine con
modifiche del loro tono, o indirettamente alterando la contrattilità o il tono muscolare uterino8. In
uno studio sugli effetti emodinamici dell’epidurale nelle pazienti preeclamptiche, l’epidurale sia
usata per l’analgesia del travaglio che per la anestesia per taglio cesareo riduce significativamente la
pressione arteriosa media, le resistenze vascolari polmonari, la pressione venosa centrale o la
PCWP con una riduzione modesta ma statisticamente significativa delle resistenze vascolari
periferiche, senza alterare l’indice cardiaco11.
Queste basi fisiopatologiche costituiscono il razionale dei numerosi studi che hanno valutato gli
effetti e l’applicabilità clinica dell’epidurale in questa popolazione di pazienti, sia per l’analgesia
che per l’anestesia del parto ma anche, sebbene sporadicamente, per un possibile impiego
terapeutico di questa tecnica nella preeclampsia. In questa ottica, sicuramente affascinante, si è
dimostrato il possibile effetto benefico della somministrazione perimidollare di oppiacei (fentanile e
morfina) sul controllo dei valori pressori, realizzata con iniezioni singole. L’autore lamentava la
difficoltà di una erogazione programmabile oppure a demand irrealizzabile negli anni ’80 con le
pompe elettroniche d’infusione di cui oggi disponiamo12. Più recentemente, un gruppo di autori
giapponesi ha dimostrato che con un blocco epidurale mantenuto per una settimana si riscontravano,
rispetto al gruppo di controllo, significativi abbassamenti della pressione arteriosa media e della
proteinuria ed un aumento delle piastrinemia e delle proteine totali13. Sebbene lo studio mostri
risultati più che incoraggianti, obiettivamente il mantenimento a lungo termine di un catetere
peridurale può creare problemi di gestione e non mancano commenti negativi su tali iniziative
dubitando della loro reale efficacia e mettendo in guardia contro i loro potenziali rischi14.
ANALGESIA NEL TRAVAGLIO
La analgesia epidurale (AE) nel travaglio permette di ridurre la concentrazione materna di
catecolamine abnormemente elevate nelle pazienti preeclamptiche10, probabilmente eliminando lo
stress psicofisico associato con le contrazioni dolorose o denervando la midollare surrenale15.
Inoltre l’AE agisce sui recettori α2 adrenergici piastrinici che riflettono la popolazione di questi
recettori presente nei tessuti periferici, specialmente nella muscolatura liscia vasale e che sono
responsabili dell’aumentata responsività vascolare tipica di questa malattia: il blocco epidurale
riduce la loro densità riportandola a valori identici a quelle di pazienti normotese di controllo16. La
riduzione del dolore e dell’attività del sistema simpatico indotta dalla AE aumenta
significativamente il flusso ematico uterino nelle pazienti preeclamptiche. Ciò è stato dapprima
dimostrato con studi di perfusione utero-placentare con xenon-13317, e confermato successivamente
con uno studio non invasivo mediante velocimetria Doppler, che mostra una caduta del rapporto
sisto-diastolico nell’arteria uterina ai livelli di donne normotese dopo l’applicazione di un blocco
94
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
epidurale. Da ciò si deduce che il blocco simpatico indotto dall’epidurale è in grado di ridurre la
vasocostrizione utero-placentare, perché tali cambiamenti non si osservano né in gravidanza
normale né in donne ipertese cronicamente, ove probabilmente il danno vascolare ormai
permanente è legato a lesioni organiche e vi è una minor responsività alle variazioni del tono
simpatico. Le donne preeclamptiche mostrano dopo epidurale una significativa caduta della
pressione arteriosa media MAP, che potrebbe riflettere il blocco simpatico lombare e la riduzione
dei livelli circolanti di catecolamine18. Sul versante fetale la velocimetria Doppler, non mostra
variazioni sull’arteria ombelicale indotte dall’AE né nelle donne preeclamptiche, né in quelle
cronicamente ipertese o normali dei gruppi di controllo, come anche dimostrato da studi clinici
nella gravidanza normale19.
Le implicazioni cliniche che si ricavano sono che un blocco epidurale ben eseguito e controllato
può avere un duplice beneficio sia verso la madre che il feto: riducendo il vasospasmo arterioso
materno può migliorare la perfusione utero-placentare, e quindi l’ossigenazione e l’equilibrio acidobase fetale e può essere ridotta l’ipertensione materna riducendo il rischio di accidenti vascolari e di
danno d’organo oltre che provvedere una analgesia del travaglio sicura. Nonostante ciò la scelta
dell’analgesia del travaglio nella paziente preeclamptica è controversa20: il volume intravascolare
ridotto di queste pazienti potrebbe renderle più suscettibili ai cambiamenti emodinamici associati
alla AE risultando in una più frequente ipotensione materna da blocco simpatico o in anomalie del
battito21 o entrambe, con una risultante di una maggior incidenza di TC. In aggiunta l’AE potrebbe
aumentare il tasso di TC per mancata progressione fetale. In uno studio retrospettivo22 volto a
verificare queste ipotesi, non sono state riscontrate differenze nell’incidenza di TC per fetal distress
o mancata progressione fra chi riceveva o meno l’AE. Anche l’incidenza di edema polmonare fu
simile e non vi furono influenze negative della peridurale sull’outcome fetale. Questi dati sono
confermati da uno studio prospettico randomizzato recente che confronta, in donne con
preeclampsia severa l’ analgesia in travaglio con oppioidi parenterali con quella ottenuta con AE23.
Non vi sono stati risultati differenti nel tasso di TC nella popolazione studiata fra i 2 gruppi
nemmeno per quel che concerne la causa. Il 9% delle pazienti con AE richiesero efedrina ma in
questo gruppo il controllo del dolore era migliore e maggiore era la soddisfazione materna. Le
complicanze materne furono rare; (un edema polmonare in entrambi i gruppi), gli outcome
neonatali simili come pure gli Indici di Apgar. Unica differenza un maggior ricorso al Naloxone per
i neonati del gruppo trattato con oppiacei. Quindi dallo studio l’AE oltre che fornire una migliore
analgesia di quella ottenuta con oppiacei, risulta una tecnica sicura, essendo oltretutto il tasso
risultante di TC del 15% contenuto rispetto alle previsioni in questo tipo di popolazione pur
ammettendo gli autori che il gruppo di studio avrebbe dovuto essere più numeroso. Un altro studio,
precedente, metteva a confronto nel travaglio di donne affette da ipertensione gravidica l’AE con la
infusione endovenosa di meperidina mediante PCA: si evidenziano risultati simili circa incidenza di
TC, outcome neonatale, controllo del dolore e soddisfazione materna, ma viene evidenziato che la
peridurale era associata a uno secondo stadio del travaglio significativamente più lungo, a una
maggior frequenza di parti strumentali e corioamniotiti24. Secondo l’American College of
Obstetricians and Gynaecologists le tecniche locoregionali sia per l’analgesia di parto che per il
parto cesareo sono da preferirsi nelle pazienti preeclamptiche a meno che non esistano
controindicazioni alla loro esecuzione25.
TAGLIO CESAREO
L’anestesia generale per il taglio cesareo è controindicata ogni qualvolta sia possibile realizzare una
anestesia locoregionale. Questa decisa affermazione di Barbara Morgan 26, che ha trovato consensi
sempre maggiori è forse ancor più valida nelle pazienti preeclamptiche. Questa tipologia di paziente
è esposta durante anestesia generale ad un rischio particolarmente elevato di un aumento brusco dei
valori pressori da risposta all’intubazione tracheale che il labetalolo si è dimostrato efficace nel
minimizzare, ma che incide pesantemente sulle cause di mortalità da accidente vascolare cerebrale .
Inoltre l’edema del faringe e della laringe può sovvertire l’aspetto anatomico e rendere
95
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
problematiche le manovre di intubazione; né vanno dimenticati i possibili problemi legati ad
eventuali lacerazioni della lingua dopo crisi convulsive che possono rendere difficoltosa la
laringoscopia. . Anche l’estubazione, quando fa seguito ad una intubazione particolarmente
difficile, va fatta con estrema cautela e spesso va posticipata 24 ore almeno dopo il parto ponendo
attenzione sia alla riduzione del picco ipertensivo dell’intubazione che all’eventuale edema residuo
del viso e delle vie aeree al momento dell’estubazione 27, 28.
I vantaggi dell’anestesia locoregionale (peridurale, spinale o combinata peridurale-spinale) nel TC
sono legati ad una minor risposta emodinamica e neuroendocrina da stress, all’assenza di una
stimolazione ipertensiva legata alle manovre di intubazione e alla possibilità di monitorare durante
l’intervento lo stato neurologico delle pazienti. L’anestesia locoregionale, tuttavia può provocare
nelle pazienti preeclamptiche un’ipotensione talora accentuata. Nel primo studio sulla per fusione
placentare anestesia peridurale per TC realizzato con la metodica dello xenon-133, si evidenziava
che il flusso tendeva a diminuire leggermente dopo l’esecuzione del blocco con una riduzione
media di circa il 13% non statisticamente significativa29. Solo nelle donne che mostrarono anche la
maggior depressione del flusso intervilloso, si verificò un calo importante della PA media anche se
privo di conseguenze in tutti i neonati. Gli autori confermano che il flusso intervilloso dipende
principalmente dalla pressione arteriosa di perfusione7 e che con misure profilattiche adeguate a
contenere il calo pressorio nelle pazienti preeclamptiche, non vi sono modificazioni del circolo
utero-placentare. L’aggiunta dell’adrenalina all’anestetico locale AL per l’epidurale è controversa30
e non si può escludere una sua possibile interferenza sul flusso ematico intervilloso29. Se in pazienti
normotese, senza problemi di asfissia fetale, non si riscontrano marcati cambiamenti sul circolo
utero-placentare e fetale 31, 32, nelle pazienti preeclamptiche mediante color Doppler è stato
evidenziato che l’adrenalina aggiunta alla bupivacaina aumenta significativamente gli indici di
velocità di flusso delle arterie uterine e placentari e diminuisce quelli delle arterie renali e medio
cerebrali fetali, segno evidente di resistenze vascolari utero-placentari aumentate e quindi di
un’alterazione della perfusione. Sebbene l’outcome neonatale valutato con l’indice di Apgar e il pH
fetale fosse simile nei due gruppi l’epinefrina addizionata ad AL per il TC non è raccomandabile
per le pazienti preeclamptiche33. Un blocco epidurale che si estenda sino a T4 confrontato
all’anestesia generale AG per il TC nelle donne con preeclampsia severa, attenua la risposta
emodinamica e la secrezione neuroendocrina da stress (ACTH, beta endorfine, catecolamine) senza
modificare la risposta neuroendocrina neonatale alla nascita20. I neonati dopo TC con un indice di
Apgar >7 erano più numerosi nel gruppo ANE anche se tale differenza era riferita solo al solo al 1°
minuto, mentre pH ombelicale, PO2 e PCO2 erano simili nei due gruppi. Un’attenta valutazione, un
buon monitoraggio, una induzione lenta e una gestione accorta del blocco epidurale contribuiscono
alla stabilità pressoria dell’ANE in contrasto ad una risposta esagerata con rialzo della MAP ed
incremento ormonale sollecitate dall’intubazione seguita dalla stimolazione chirurgica sotto AG
leggera. In uno studio randomizzato, che metteva a confronto varie tecniche ALR compresa anche
l’anestesia combinata epidurale-spinale CSE con l’AG per il TC in donne con severa preeclampsia,
tutte le tecniche risultarono accettabili provvedendo ad un approccio attento con ogni metodo34.
L’esecuzione e l’estensione graduale di un blocco peridurale continuo può conferire alcuni
vantaggi: minor sbilanciamento emodinamico, vasodilatazione nell’area del blocco, un certo grado
di protezione vascolare renale, ridotta probabilità di crisi convulsive, e un miglior controllo della
pressione vascolare sistemica unita a una migliore perfusione utero-placentare e periferica 35. Per
tale motivo l’ANE spesso diviene di scelta per pazienti preeclamptiche20,22,36, anche se negli ultimi
anni anche l’anestesia spinale AS ha guadagnato ampi consensi per il TC37 . Sebbene sia stato
evidenziato che anche questa tecnica sia associata con una relativa stabilità emodinamica,
sovrapponibile a quella ottenibile con la peridurale e con un ricorso simile in termini quantitativi
all’efedrina per ridurne gli effetti38, le considerazioni precedenti assieme all’osservazione che
l’acidosi fetale possa essere più frequente dopo AS che dopo AE per la rapidità con cui si instaura il
blocco spinale39, dovrebbero indurre ad una prudenza maggiore. Sarebbe preferibile per questo tipo
di pazienti utilizzare di scelta per il TC la AE, riservando l’AS per situazioni in cui l’epidurale sia
96
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
controindicata o di grave urgenza in alternativa ad una AG40. Questo concetto trovare conferma in
un recente lavoro in cui due gruppi di pazienti con preeclampsia grave definite sulla base di una
valutazione ecocardiografica in eucinetiche e ipocinetiche sono state sottoposte a TC con anestesia
peridurale o spinale. Mentre l’anestesia peridurale era in grado di ridurre l’afterload delle pazienti e
di aumentare il cardiac output (sia il cardiac index CI che il sistolic index SI) e la perfusione fetoplacentare indipendentemente dal gruppo emodinamico di appartenenza, l’anestesia spinale era in
grado di diminuire la vasocostrizione ma non provoca un aumento del preload e l’incremento
dell’indice cardiaco avviene in entrambi i gruppi solo a spese di un aumento della frequenza
cardiaca. Quindi solo l’anestesia epidurale si dimostra adeguata nelle pazienti con insufficienza
placentare scompensata o decompensata indipendentemente dal gruppo emodinamico di
appartenenza41.
Se l’anestesia epidurale diviene probabilmente la scelta migliore per il TC delle pazienti
preeclamptiche, è però importante avere con il resto dell’equipe un ottimo livello di comunicazione:
il catetere epidurale andrebbe inserito tempestivamente, specie nelle pazienti obese o
particolarmente edematose, dopo un’attenta valutazione dei parametri emocoagulativi. Il blocco
dovrebbe essere esteso lentamente modulandone gli effetti con un accorto regime infusivo.
L’anestesia spinale dovrebbe essere riservata in situazioni di grave urgenza in alternativa alla
anestesia generale che va riservata a situazioni di emergenza specie in caso di coagulopatia e nei
casi di rifiuto materno. Per quel che concerne la scelta anestesiologica per il TC in corso di HELLP
nel caso di scelta di un blocco di conduzione per un parto con taglio cesareo si dovrà tenere conto
del numero ma anche della ridotta funzionalità piastrinica. L’anestesia generale, nonostante il
potenziale rischio in pazienti con funzione epatica alterata che non è in grado di metabolizzare gli
agenti anestetici, rimane di scelta nelle classi 1 e 2 di malattia42.
Per quel che riguarda la scelta migliore per l’anestesia in corso di eclampsia, questo costituisce
ancora un dibattito. La maggior parte degli anestesisti considera l’ALR una scelta inappropriata
quando c’è una aumentata possibilità di perdita di controllo delle vie aeree e dove vi è un ulteriore
rischio di crisi convulsive eclamptiche. Non di meno le donne eclamptiche hanno una variabilità
clinica considerevole, da quelle emodinamicamente stabili e coscienti perfettamente a quelle
comatose con un’ipertensione incontrollabile, anuria e coagulopatia. D’altronde l‘ALR nella
paziente eclamptica stabile potrebbe ovviare ai noti pericoli dell’AG. La scelta quindi deve essere
valutata da caso a caso, basandola sui rischi di una intubazione problematica, sulla conta piastrinica,
sulla compromissione fetale. In uno studio retrospettivo viene confrontato l’outcome dei TC in AE
e in AG in donne cooperanti con eclampsia stabile, (GCS >14, PLT > 100.000, PVC >5, battito
fetale normale in assenza di complicazioni fetali o materne aggiuntive). L’AE non era associata con
eventi avversi maggiori ed era accettabile e sicura come la AG in pazienti selezionate come anche
riportano altri autori34, 38. I neonati che richiesero una rianimazione immediata (basso I di Apgar al
1’) erano più numerosi nel gruppo AG. Pur essendo modesto il campione studiato, in un gruppo di
pazienti preeclamptiche selezionate, l’AE, associata con una bassa incidenza di ipotensione, peraltro
moderata, e con l’assenza di complicanze maggiori, oltre che ovviare ai consueti rischi di una AG,
si è rivelata vantaggiosa per il neonato nell’immediato periodo dopo la nascita tanto da renderla
giustificata in tali circostanze per il TC43.
In conclusione, nessuna tecnica loco-regionale o di AG è completamente sicura nella paziente
preeclamptica da sottoporre a TC. Sicuramente una preparazione perioperatoria esperta e aggressiva
della donna con preeclampsia severa , con un adeguato monitoraggio è in definitiva ciò che
condiziona maggiormente l’outcome intra e postoperatorio della donna e l’outcome neonatale.
TERAPIA DELLE CRISI IPERTENSIVE
La terapia anti ipertensiva è il caposaldo delle misure di supporto 44, 45. Essa ha lo scopo di
prevenire la morbilità che deriva dall’ipertensione, mantenendo al contempo la perfusione utero97
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
placentare e degli organi vitali. Il target è di mantenere una PA diastolica <110 mmHg , ovvero al di
sotto di 150 mmHg di PA media, valore a cui si perde l’autoregolazione cerebrale ed aumentano i
rischi di encefalopatia ipertensiva e di emorragia cerebrale ma anche di distacco di placenta e
d’ischemia miocardica. Per una somministrazione acuta in genere si preferisce l’idralazina,
vasodilatatore diretto sulla muscolatura vasale che riduce l’afterload e migliora il CO; è il farmaco
di scelta (il solo suo effetto collaterale che può limitarne l'impiego è la tachicardia materna) ma il
suo utilizzo deve essere fatto con cautela monitorando le dosi iniziali e procedendo ad un adeguato
riempimento infusivo per non provocare episodi ipotensivi in pazienti con ridotta volemia, che
farebbero precipitare la perfusione placentare già compromessa. Dovrebbe essere impiegata a dosi
di 5 mg i.v ripetibili o aumentabili fino a 10 mg ogni 20-30 min . Ha una lunga durata d’azione che
fa sì che non sia previsto l’utilizzo in infusione continua. Anche il labetalolo, agente beta bloccante
non selettivo con alcune proprietà alfa è in grado di ridurre la pressione materna senza influire
negativamente sulla perfusione placentare anche se la risposta individuale è variabile. La nifedipina
ha una valida azione vasodilatante e per os ha rapida insorgenza. di effetti cui si unisce la semplicità
d’uso. Inoltre, rispetto al labetalolo è in grado di incrementare l’indice cardiaco delle pazienti46 , ma
va ricordata una interazione farmacologica fra calcioantagonisti e solfato di magnesio che può
limitare l’impiego di questo farmaco. Tuttavia il farmaco ha guadagnato grossa popolarità per il
fatto che è possibile impiegarlo sia per somministrazioni acute che croniche utilizzando in questo
caso le compresse a lento rilascio. Il calo pressorio nella donna avviene senza apparenti riduzioni
del flusso utero-placentare, riducendo le SVR ed aumentando la frequenza cardiaca, il CO e lo
stroke volume. Altri farmaci assai potenti come il nitroprussiato di sodio o i nitroderivati sono
raramente necessari, mentre gli ACE inibitori sono controindicati per le possibili controindicazioni
fetali (oligodramnios, ritardo di crescita)47, 48. Un approccio razionale della terapia antipertensiva
nelle fasi acute di malattia potrebbe essere fatto, dal momento che non esistono studi controllati
sulla maggiore efficacia di un farmaco rispetto ad un altro, sulla base delle considerazioni
emodinamiche precedentemente esposte. Nelle donne con CO ridotto, SVR elevate, volume
plasmatico marcatamente ridotto, l’Idralazina rappresenta la prima scelta, va titrata sulla risposta a
meno che la paziente non sia tachicardica (>120bt/min): 20 mg seguiti ogni 10’ da 40-80 mg fino a
una dose complessiva di 300 mg. Andrà monitorata la dose iniziale garantendo al tempo stesso un
adeguato riempimento volemico. Il Labetalolo in bolo 50 mg o i.c 20-160 mg/h ma anche 200 mg
per os, controindicato in pazienti asmatiche, in caso di oliguria e di bradicardia neonatale, può
essere una valida alternativa . La Nifedipina, a rapida insorgenza di effetti e semplicità d’uso, 5 mg
sublinguale o 10 mg per os è diventata per la sua praticità d’uso, uno dei farmaci più impiegati.
Nel Gruppo di pazienti con CO aumentato , SVR ai limiti superiori o poco elevate e con un Volume
Plasmatico lievemente ridotto il labetalolo è il farmaco di scelta per le sue proprietà sui recettori α e
β. I nitroderivati , combinabili con Dopamina a basse dosi nelle pazienti oliguriche, possiedono
un’azione vasodilatante usata per generare NO, e rappresentano una scelta razionale nella diffusa
disfunzione endoteliale e vasospasmo.
Il solfato di magnesio riduce sia la pressione arteriosa che le resistenze vascolari sistemiche
incrementando il CO ma gli effetti con le dosi basse comunemente impiegate sono transitori.
Punti chiave della terapia antipertensiva sono il fatto che c’è una enorme variabilità individuale
nella risposta ai farmaci, i cui effetti non sono predittivi, perciò un abbassamento eccessivo o troppo
brusco può provocare distress fetale. L’anestesia epidurale abbassa i valori pressori di circa un 15%
rende spesso non necessario l’uso di agenti antipertensivi. Va inoltre tenuto conto che la gravida
con insufficienza renale cronica è molto più problematica per la maggior espansione plasmatica.
Un’ipertensione severa in assenza di proteinuria deve far sospettare l’uso di cocaina. In caso di
perdita di coscienza prolungata , papilledema, convulsioni sotto terapia con solfato di magnesio o
crisi convulsiva oltre 48 ore dal parto, va eseguita una TAC cerebrale48.
98
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
TERAPIA DELLA CRISI CONVULSIVA
Le convulsioni sono la variante più comune delle complicanze neurologiche (0.056% di tutte le
gravidanze). Il solfato di magnesio è il caposaldo riconosciuto da numerosi trials della terapia e
della profilassi anticonvulsivante. Il Collaborative Eclampsia Trial aveva valutato la sua efficacia
dimostrando un rischio ridotto rispetto al Diazepam di sviluppare crisi (13,2% vs 27,9%) ed un
rischio più basso di episodi ricorrenti (5,7 vs 17,1%)49 . Il recente studio multicentrico per la
prevenzione dell’ eclampsia che ha studiato gli effetti del solfato di magnesio versus placebo in
10.141 pazienti preeclamptiche, ha definitivamente dimostrato l’importanza di questo farmaco
come trattamento di scelta nella prevenzione e trattamento delle convulsioni nella eclampsia. Con
esso si riduce il rischio di sviluppare l’eclampsia del 58% (0,8 vs 1,9%) indipendentemente dalla
gravità della malattia, e si riduce la mortalità materna (0,2 vs 0,47%) e il rischio di distacco
placentare (2 vs 3,7%) con effetti collaterali nel 24% delle pazienti ma in genere modesti. Il suo uso
va continuato per 24 ore ed ai dosaggi consigliati non si rende necessario un monitoraggio delle
concentrazioni plasmatiche il che rende fruibile tale terapia anche per ospedali di modeste
dimensioni. La dose carico consigliata è di 4 g (2 fiale al 20% =20 ml ) i.v. in 10-15’ seguite da un
mantenimento di 1 g/h. Se subentrano convulsioni vanno eseguiti boli addizionali di 2-4 g in 10’ o
boli di TPS di 50 mg. Per evitare il ricorso al laboratorio vanno monitorati ogni 30’ il riflesso
patellare (la sua perdita costituisce il 1° segno di tossicità), la frequenza respiratoria (> 16 atti /min)
e la diuresi (> 25 ml/h) . Il suo uso, esclusivamente per infusione endovenosa, deve essere
continuato fino a 24 ore dopo il parto 50. Il solfato di magnesio sembra agire sui recettori dell’Nmetl-d-aspartato51 e riduce l’ischemia cerebrale annullando la vasocostrizione con un effetto sui
canali del calcio52. Da tener presente che l’infusione troppo rapida può condurre ad arresto cardiorespiratorio (antagonista il calcio gluconato). Particolari cautele inoltre vanno prese se impiegato in
associazione con altri Ca-antagonisti, nella paziente emorragica poiché riduce l’adesività piastrinica
e aumenta il tempo di sanguinamento per una riduzione del rapporto Ca/Mg, ed infine nel blocco
neuromuscolare con curari non depolarizzanti, poiché ne aumenta la sensibilità (raro a
concentrazioni > 5 mmo/l). Infine va ricordato che nel post partum può avere un’azione
miorilassante sull’ utero che può incrementare il rischio di sanguinamento53. E’ importante
prevedere nella crisi eclamptica la protezione delle vie aeree, l’arresto e la prevenzione dell’attività
convulsiva (eventualmente con boli di TPS o Diazepam) che genera ipossia ed acidosi. Il controllo
della pressione arteriosa che può ulteriormente aumentare flusso e pressione intracerebrali durante
le crisi e la rimozione urgente di feto e placenta costituiscono la terapia risolutiva. L’intubazione
endotracheale va attuata nelle pazienti semi coscienti e protratta per 24 ore almeno dopo il parto
ponendo attenzione sia alla riduzione del picco ipertensivo dell’intubazione che all’eventuale edema
residuo del viso e delle vie aeree al momento dell’estubazione 53, 54.
CONSIDERAZIONI SUL POSTPARTUM
Il periodo di osservazione della paziente preeclamptica deve estendersi almeno alle prime 24 ore del
postpartum. In questo periodo si verifica il nadir della pressione colloido-osmotica. In questa fase
aumenta il volume centrale come si risolve il blocco simpatico e ritorna il tono vascolare al termine
dell’anestesia locoregionale per il TC. Inoltre le perdite ematiche e la somministrazione peripartum
di cristalloidi, contribuiscono ad una ulteriore riduzione della pressione colloido-osmotica e questa
associata, al danno delle membrane capillari alveolari rende particolarmente elevato il rischio di
edema polmonare che è tra le cause più temute di complicanze talora mortali36.
Sebbene non sia stata dimostrata una buona correlazione tra i valori di pressione venosa centrale
CVP e pressione d’incuneamento capillare polmonare CPWP specie per valori di CVP superiori a 6
mmHg55 il valore della CVP preso in assoluto può essere utile per il monitoraggio di queste pazienti
e fornisce nella maggior parte delle situazioni delle utili informazioni se si ha l’accortezza di
posizionare accuratamente il trasduttore (5 cm sotto il margine sternale a livello del quarto spazio
intercostale)56. L’obiettivo è mantenere la CVP al massimo attorno a 6-8 mmHg, eventualmente
facendo ricorso a diuretici. Il monitoraggio emodinamico invasivo può trovare indicazione nei casi
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
d’ipertensione arteriosa irresponsiva o refrattaria, in caso di edema polmonare in cui sia difficile
dirimere tra una desaturazione arteriosa persistente di origine cardiaca o non cardiaca, in caso di
oliguria che non risponde a modesti carichi fluidici57. Non vi è però al momento letteratura
sufficiente per stabilire se tale metodica possa o meno migliorare l’outcome materno e fetale e
sicuramente il suo uso non va considerato per un impiego routinario58, 59.
L’edema polmonare nella paziente preeclamptica potrebbe sembrare paradossale dato che in queste
pazienti il volume plasmatico è in genere ridotto. Nelle preeclamptiche lievi il volume plasmatico è
circa il 9% al di sotto delle gravidanze normali, ma nella preeclampsia severa è ulteriormente
ridotto fino ad un 30-40% con valori quindi di ematocrito ed emoglobina elevati. L’edema
polmonare è’ causato sia da una aumentata perdita da parte dei capillari polmonari che da
sovraccarichi fluidici che aumentano ulteriormente la pressione idrostatico diminuendo al contempo
la pressione colloido-osmotica. Ha un’incidenza del 3% ed è responsabile del 40% delle morti di
tali pazienti36. Può essere sia cardiogenico (da alterata funzionalità sistolica o diastolica del
ventricolo sinistro con basso CO, elevata CPWP ed alte SVR) che non cardiogenico . Quest’ultimo,
dovuto ad una combinazione di fattori come una aumentata permeabilità capillare, un sovraccarico
fluidica iatrogeno, uno squilibrio tra pressione colloidoosmotica e pressione idrostatica o di
entrambe, è il più frequente, ed è caratterizzato emodinamicamente da una CPWP normale o ridotta.
Sono sufficienti minimi carichi fluidici per provocarlo per cui norma generale nella terapia
infusionale è di non superare nel rimpiazzo gli 80 ml/h . L’acume clinico può essere utile sia nel
prevenire questa complicanza che nel monitorizzare la paziente: la saturimetria venosa può essere il
miglior aiuto strumentale per seguire l’evoluzione di una paziente che potrebbe presentare come
unico sintomo la richiesta di una venti-mask per respirare meglio.
Nel trattamento dell’edema polmonare, qualora si rendesse il ricorso ad una assistenza ventilatoria
della paziente, debbono essere prese in considerazione anche tecniche non invasive come la CPAP
o BiPAP. Queste consentono di minimizzare il danno polmonare da volo e baro trauma che
comporta la ventilazione controllata a pressione positiva intermittente IPPV specialmente nelle
pazienti che manifestano un edema polmonare dopo una politrasfusione in cui la possibilità di
sviluppare una ARDS ( maggior causa di morte negli anni ’94-’96) è particolarmente alta60.
Quanto all’oliguria nel postpartum, è un fenomeno che interessa circa il 30% delle pazienti
preeclamptiche. Generalmente le pazienti recuperano spontaneamente una diuresi efficace ma può
rendersi necessario controllare l’osmolarità urinaria e se l’oliguria persiste monitorare la CVP e nei
casi refrattari la CPWP. Secondo Clark si possono distinguere tre tipologie emodinamiche
caratterizzate da oliguria. Nel primo gruppo vi sono i caratteristici segni della ipovolemia come
evidenziato da basse pressioni di riempimento, SVR elevate e una funzione cardiaca iperdinamica.
Queste pazienti rispondono bene ad una terapia infusiva. Il secondo gruppo è caratterizzato da
pazienti oliguriche con pressioni di riempimento normali o elevate, CO elevato ed alte SVR. Tali
pazienti vanno trattate con vasodilatatori e restrizione fluidica. Il terzo gruppo , il più esiguo è
caratterizzato da SVR elevate e funzionalità cardiaca marcatamente depressa: tale gruppo risponde
bene ad una riduzione dell’afterload57.
TERAPIA FLUIDICA
L’idratazione endovenosa prima di una anestesia locoregionale è una pratica routinaria atta a
minimizzare gli effetti dell’ipotensione causata dal blocco simpatico ed è prudenziale somministrare
liquidi prima di ogni anestesia ma ci son pochi dati sulla quantità e sul tipo di fluidi da
somministrare. Nella paziente preeclamptica vi è una contrazione del volume plasmatico variabile
dal 9% fino al 40% nei casi gravi, che causa emoconcentrazione e ipovolemia relativa, ma le
pressioni di riempimento del ventricolo sinistro rimangono adeguate probabilmente sulla base di
una capacitanza venosa ridotta I primi studi emodinamici riscontrarono una bassa CPWP e PVC che
furono attribuite alla contrazione di volume tipica della preeclampsia. Gli studi successivi
chiarirono che le pressioni di riempimento erano normali. Quindi sebbene sia vero il fatto che nella
preeclampsia il volume ematico è contratto, la venocostrizione mantiene normali le pressioni di
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
riempimento poiché il 70 % del sangue è nel sistema venoso (compartimento di capacitanza
distensibile) e solo il 30 % nelle arterie ed arteriole e nei capillari. Solo agli estremi della volemia,
in situazioni come lo shock emorragico o la ritenzione acuta di sodio ed acqua nelle
glomerulonefriti, il volume ematico può influenzare la pressione ematica. Nella maggior parte delle
situazioni tuttavia non è il volume ematico a determinare direttamente il CO o la PA, ma
l’elevazione delle SVR che riflette l’azione di molteplici meccanismi che modificano le
caratteristiche ed il lume del vaso61.
In genere, le pazienti con preeclampsia lieve non necessitano di un monitoraggio particolare e
tollerano bene la preidratazione profilattica prima di un blocco centrale. Nella maggior parte dei
casi anche le pazienti con preeclampsia severa possono essere trattate similmente, specie se hanno
un output urinario adeguato. Se la diuresi è inadeguata, va eseguito un challenge fluidico di 250-500
ml di cristalloidi in 20’. Se la paziente risponde con un incremento della diuresi si possono
somministrare con cautela carichi fluidici successivi prima del blocco locoregionale. Se non vi è
risposta al bolo iniziale andranno monitorizzate CVP o CPWP62. Anche se correntemente una
espansione di volume fino a raggiungere 6-8 mmHg viene considerata sicura, va tenuto conto che le
misurazioni della PVC si correlano poco con le pressioni di riempimento del ventricolo sinistro
specie quando la PVC è > 6 mmHg. Il gradiente CVP-CPWP nella preeclampsia potrebbe essere
anche di 8-10 mmHg per cui una CVP di 8 mmHg corrisponde in realtà ad una PCWP di 18 mmHg
e quindi probabilmente, qualora si disponga del solo monitoraggio della CVP, è sufficiente con la
terapia fluidica raggiungere una CVP di 4 mmHg59. Nei casi più gravi l’uso di un catetere di Swan
Ganz potrebbe essere indicato per ottimizzare il cardiac output assieme all’uso di un monitoraggio
arterioso invasivo e nella guida della fluido terapia specie quando vi siano compromissioni cardio
polmonari63 anche se non vi è una evidenza di dati a supporto di un migliore outcome con tale
metodo58. La terapia fluidica può essere particolarmente impegnativa e non esistono dati della
letteratura da cui ricavare un razionale 64. Il razionale della espansione plasmatica si basa sulla
contrazione del volume plasmatico che è stata ben documentata in queste donne. Contro un
routinario impiego della espansione plasmatica c’è il rischio di edema polmonare che insorge nel
puerperio specie nelle pazienti trattate con un regime infusivo aggressivo sia con colloidi che con
cristalloidi per via di una ritardata mobilizzazione dei fluidi extravascolari nel postpartum. Va poi
tenuto presente che gli effetti dell’infusione di liquidi son solo transitori, e che l’espansione
plasmatica rende questi pazienti più refrattari ai vasodilatatori che debbono essere impiegati a
dosaggi maggiori. Sono state proposte sia una restrizione fluidica (60-150 ml/h di cristalloidi o 1
litro di cristalloidi più l’output urinario nel travaglio e nelle prime 24 ore dopo il parto senza
ricorrere all’uso di un monitoraggio invasivo sia un trattamento più aggressivo con colloidi in modo
da ottimizzare la CPWP ma probabilmente entrambe le strategie possono ritenersi valide secondo la
clinica: la restrizione fluidica è particolarmente indicata nei casi di necrosi tubolare ed edema
polmonare acuto mentre l’espansione plasmatica diviene necessaria nei casi di oliguria da
insufficienza renale pre-renale 65, 66.
Un rimpiazzo volemico con colloidi sembra la scelta più appropriata anche se l'uso dell'albumina
non migliora il flusso placentare nelle pazienti con severa preeclampsia e non è stata dimostrata la
superiorità dei colloidi verso i cristalloidi in queto tipo di pazienti55 . Uno schema esemplificativo
del management fluidico in corso di preeclampsia è riportato nella tabella soprastante.
Tab. Modello di un corretto regime fluidico nella paziente preeclamptica
Ringer L 85 ml/h per 12 h al fine di mantenere un diuresi > 100 ml/4h .Altrimenti valutare la
CVP
Se CVP è compresa tra 5 e 10 attendere: se la diuresi è > 100 ml/4 h tornar alla infusione di
Ringer a 85 ml/h; se è < 100 ml/4h challenge con soluzione contenente albumina 200 ml in 5'.
Se CVP< 4 infondere 500 ml di soluzione contenente Albumina in 5' e valutare l'output
urinario. Se si mantiene > 100 ml/4h tornare alla infusione di Ringer a 85 ml/h altrimenti
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ripetere il challenge
Se PVC > 10 con segni di edema polmonare iniziale e SaO2<92% ---> Rx torace ed
eventualmente furosemide 20 mg ripetibili. Se non si ha ripresa della diuresi considerare di
introdurre un catetere di Swan Ganz
Se persiste oliguria valutare azotemia e creatinina e potassio. Valutare Dopamina 1mcg/kg
Se vi è un rapido incremento della creatinina e del K+ > 6 mmol/l persistendo l'oliguria,
restringere l'apporto fluidico e contattare tempestivamente i nefrologi
CONCLUSIONI
Le indagini triennali sulla casistica delle morti materne nel Regno Unito dimostrano che vi è stata
una progressiva diminuzione della mortalità causata dalla preeclampsia: si è passati da 9,5 decessi
per milione di maternità del triennio 1994-9667 ai 7, 5 del triennio 1997-9968. Dal confronto con i
report precedenti si evince che sicuramente uno dei successi è dovuto ad una miglior controllo del
regime pressorio ottenuto con la terapia che ha ridotto considerevolmente il numero delle
complicanze in questo tipo di pazienti. Ciò nonostante una attenta analisi dimostra che all’origine di
12 dei 15 decessi dell’ultimo triennio, vi è quella che gli inglesi chiamano substandard care, ovvero
una inadeguatezza di cure sia per quel concerne il tipo di trattamento che l’inappropriata gestione
delle risorse umane con una insufficiente livello di comunicazione interdisciplinare. Nell’edizione
precedente del report sulla mortalità venivano enunciate una serie di raccomandazioni chiave basate
su quest’ultimo aspetto, come ad esempio l’opportunità di stilare e aggiornare protocolli specifici
con training dello staff per aumentarne le competenze, assicurare sempre la disponibilità di un
medico esperto, seguire la politica di trasferire al momento opportuno le pazienti preecalmptiche a
centri di riferimento, migliorare l’educazione sanitaria delle gravide sull’imprevedibilità e rapida
ingravescenza dei sintomi. Nell’ultimo report tra le raccomandazioni chiave ne vengono aggiunte
altre, come alcune attenzioni preliminari quali misurare la PA e controllare la proteinuria ad ogni
donna gravida che manifesti cefalea di una certa entità o un dolore epigastrico. Viene segnalata la
possibile sottostima nella misurazione della PA dei sistemi automatici . Viene ribadito il concetto di
trattare efficacemente le crisi ipertensive severe, e viene introdotto il solfato di magnesio come
trattamento di scelta dell’eclampsia. Ma soprattutto in questa catena della comunicazione
interdisciplinare, viene sottolineata l’importanza di un coinvolgimento precoce degli intensivisti nei
casi di preeclampsia severa risultato del sempre più emergente ruolo della cosiddetta near miss
mortality ovvero situazioni ad alto rischio che possono compromettere la vita della donna nel
determinare la morbilità materna peripartum69. In quest’ottica viene ribadito che dovrebbero esistere
criteri di accordo locali per il trasferimento delle pazienti in Terapia Intensiva considerata non come
un luogo ma come un Servizio, in modo che dal momento che la tempestività può essere un fattore
determinante vengano adottati criteri d'ingresso meno restrittivi non esclusivamente orientati al
sostegno d'organo ma volti a trattare non solo le condizioni obiettivamente critiche delle pazienti
ma anche quelle in rapido deterioramento.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
“Il bel partorire”. Progetto di introduzione della analgesia del travaglio di parto presso la sala
parto dell’ospedale “Morgagni-Pierantoni dell’AUSL di Forlì”
G. GAMBALE, E. VALTANCOLI, M.R. COSENTINO, R. REGOLI, F. ROSSI, *G. GORI
U. O. Anestesia e Rianimazione; *U.O. Ostetricia e Ginecologia, A.S.L. Forlì
INTRODUZIONE
Negli ultimi anni si è sviluppato un crescente interesse nella donna ad affrontare il parto senza
dolore, grazie a maggiore informazione e conoscenza sulle tecniche applicate ed all’esperienza di
altri paesi europei ed extraeuropei.
Il servizio sanitario pubblico è stato stimolato nel trovare una risposta adeguata a tale esigenza ed
anche l’azienda di Forlì vuole porsi su questa lunghezza d’onda considerando prioritaria l’equità
di accesso per tutte le donne, quindi non basata prevalentemente sul censo.
Attualmente l’analgesia peridurale è la metodica considerata più efficace nel ridurre il dolore da
travaglio e parto.
Le più recenti acquisizioni scientifiche, dimostrano i vantaggi dell'analgesia epidurale nel travaglio
di parto che, riducendo il dolore, diminuisce le richieste metaboliche, migliora la perfusione
placentare con benefici conseguenti sull'omeostasi materno-fetale (1).
Se da un lato però l'analgesia epidurale assicura un migliore controllo del dolore rispetto a forme
alternative di terapia, dall’altro può prolungare la durata del travaglio, determinare un maggiore
ricorso all’infusione ossitocica e comportare una maggiore frequenza di parti operativi vaginali, ma
non di tagli cesarei (2).
In Italia la diffusione di tali metodiche purtroppo ha limiti imposti da fattori socio-culturali e
soprattutto da difficoltà economico-organizzative.
Anche riguardo le tecniche di anestesia in corso di parto cesareo, la scelta di anestesia regionale non
è così frequente come accade invece in altre nazioni (3, 4).
L'esperienza di riferimento è quella anglosassone, dove all'anestesia in ostetricia viene riconosciuta
da tempo un ruolo di primaria importanza.
OBIETTIVI
L’Ospedale “Morgagni-Pierantoni” dell’AUSL di Forlì vuole poter garantire, quando
richiesto, un parto con riduzione della componente dolorosa a tutte le donne che lo
richiedano.
L’azienda, per la sua dimensione, si propone come soggetto sperimentatore per un modello di
fattibilità esportabile ad altre aziende, ove questo non avvenga.
L’Azienda coadiuvata dai professionisti interessati, principalmente anestesisti, ginecologi,
personale ostetrico ed infermieristico, è concorde nella scelta di mettere in atto al più presto una
strategia atta a portare la struttura suddetta nelle condizioni di poter fornire tale supporto h24
quando necessario.
Si rammenta che tale risposta non si limiterà alla mera procedura anestesiologica, ma vorrà essere
articolata all’interno di una visione globale del momento della nascita, evitando quindi il porsi come
evento isolato, “scarsamente informato”, nella sola sala parto.
MODALITA’ ATTUATIVE
L’esigenza di poter fornire quanto suddetto deve prevedere un’adeguata formazione dei sanitari
coinvolti (Anestesisti, Ginecologi, Ostetriche, Infermieri) interna ed esterna all’Ospedale con un
programma a medio termine che anticiperà l’avvio delle attività.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il personale sanitario sarà coinvolto in un progetto obiettivo aziendale che prevederà oltre al
percorso formativo anticipatorio, il supporto all’analgesia al parto svolta durante la normale attività
istituzionale con ridefinizione dei carichi di lavoro, dell’organizzazione interna, in rapporto
all’attività svolta.
In sintesi il progetto consentirà la disponibilità h 24 su chiamata di 1 Medico Anestesista assistito
da 1 Infermiere di Anestesia od 1 Ostetrica per le manovre di cateterizzazione peridurale, per il
tempo necessario, come da requisiti di accreditamento regionale per il Servizio di Parto Indolore (5).
Le indicazioni regionali prevedono la presenza di un servizio di parto indolore attuato secondo
procedure e protocolli condivisi tra le diverse professionalità coinvolte, basati su Linee Guida
validate dalle società scientifiche di riferimento. In particolare devono esistere protocolli/procedure
per il consenso informato, per l’identificazione della madre e del neonato,per le tecniche
anestesiologiche ed per le attività in urgenza. Il processo va monitorato per valutare il numero delle
procedure attuate e per verificarne gli esiti.
La sua fattibilità con l’équipes già presenti (grazie ad una soluzione organizzativa complessa) e
l’equità di accesso per le partorienti rappresentano i punti di forza per questo progetto.
Tempi di attuazione
1a Fase
Avvio formativo del Personale coinvolto (Anestesisti, Ostetriche, Ginecologi) entro i primi sei mesi
del 2006.
Vi è l’intenzione di partire con un gruppo ristretto di partorienti a cui fornire tale servizio proprio
per poter permettere lo sviluppo formativo ed organizzativo degli operatori.
Il progetto dovrebbe coinvolgere inizialmente circa 120-150 donne/anno (10-15 % dei parti).
Si è pensato, sentito il parere dei Direttori delle U.O. di Anestesia e Rianimazione e di Ostetricia e
Ginecologia, di definire degli iniziali criteri di inclusione ristretti quali:
-
Travaglio proteatto e doloroso che configura il rischio di parto cesareo
Ipertensione gestazionale medio-grave
Malattie sistemiche materne (diabete, asma, epilessia, ecc.)
Condizioni psicosociali a rischio (età particolarmente giovane od anziana, gravidanza
“preziosa”, assenza del partner, etc)
Ovviamente ogni situazione clinica che si potrebbe prestare all’applicazione dall’analgesia dovrà
essere valutata, discussa e validata dagli specialisti (Medico Anestesista e Ginecologo in accordo
con l’Ostetrica che sta seguendo il travaglio) presenti, tenendo conto ovviamente delle
controindicazioni relative ed assolute alla procedura.
Tali criteri ristretti di inclusione alla partoanalgesia saranno mantenuti per tutto il periodo
necessario a formare (secondo i criteri enunciati dalle LG dell’ OAA (6)) tutto il personale che poi
possa garantire il servizio a chiunque lo richieda h24.
Tale periodo può essere stimato in 8-12 mesi necessari per la formazione progressiva degli
operatori, a partire dal febbraio 2006.
Durante il medesimo periodo verrà costituito un gruppo multidisciplinare (Ostetriche, Ginecologi,
Anestesisti e neonatologi) per valutare l’introduzione anche di metodi complementari o alternativi
per il controllo del dolore in travaglio.
La presente proposta vuole quindi da un lato evitare che una partenza troppo precoce del servizio,
esteso invece che ad un gruppo ristretto a tutte le donne che lo richiedano, possa non riuscire a
garantire una risposta a tutto tondo rischiando di fallire pertanto il suo obiettivo primario e dall’altro
ad esplorare tutte le conoscenze disponibili in una visione solistica e multidisciplinare
dell’assistenza.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
2a Fase
Allargamento verso la fine del 2006, dei criteri di inclusione, a tutte le primipare che lo richiedano,
con estensione della visita anestesiologica ed informativa sulla partoanalgesia a tutte le donne
gravide rispondenti ai criteri di inclusione.
3a Fase
Per i primi 6 mesi del 2007, se non vi saranno intoppi organizzativi imprevisti, si stima si possa
liberalizzare la procedura a tutte le donne gravide richiedenti (circa 300-350 donne su circa 900
parti non cesarei, basandosi sulle percentuali desunte da letteratura medica).
Si ricorda come sia importante sostenere, da Parte delle Istituzioni coinvolte (Regione, AUSL,
Comune di FO), in maniera visibile il progetto nel tempo, anche un pronunciamento esplicito a
supporto, che accompagni gli Operatori nella loro impegnativa attività sostenendo, secondo
competenze, la loro ‘forte componente motivazionale con opportuno sistema incentivante
qualificante l’impegno profuso.
Conlusioni
L agravidanza è un viaggio lungo e speciale per la donna.
E’ un viaggio che comporta un cambiamento fisico, psicologico e sociale.
Generazioni di donne hanno fatto la stessa esperienza ma ogni viaggio è unico.
La donna dovrebbe avere la possibilità di essere inserita al centro dell’assistenza e di essere
coinvolta nel monitoraggio e nella programmazione dei servizi sanitari per assicurarsi che
rispondano ai bisogni di una società che cambia.
I centri nascita garantiranno non solo il diritto alla salute delle donna e del bambino, ma anche la
libera scelta del “ BEL PARTORIRE “.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L’assistenza anestesiologica al parto: problematica di chi rianima e cosa fa
E.M. GALASSINI
S.C. Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliera “Fatebenefratelli e Oftalmico” di Milano
Dimensione del problema
Nonostante negli ultimi anni si siano notevolmente affinate le tecniche per lo screening di fattori di
rischio ostetrico, l’ecografia, la diagnosi perinatale ed il monitoraggio intrapartum, la necessità di
rianimazione neonatale è attualmente stimata dall’1al 6% dei nati vivi e, nello specifico, nel 5,4%
dei nati TC vs 3,4% da parto vaginale. In un’indagine retrospettiva di qualche anno fa, relativa al
periodo 1995-1999 sulla possibilità di prevenzione delle morti in età pediatrica, basata sull’esame
delle cartelle cliniche e diagnosi di dimissione in Arizona, (Arizona Child fatality review teams CFRTs), erano state individuate 29% morti (1416/4806) prevenibili, ma di esse solo il 5%
(81/1781) erano morti neonatali, ove le cause erano riconducibili a prematurità (1036), anomalie
congenite (470) o 263 SIDS.
Un approccio multidisciplinare e un’ottima comunicazione sono fondamentali tra ostetrica,
ginecologo, anestesista e neonatologo.
Prima della nascita
Il pediatra consulente in ostetricia raccoglie informazioni per pianificare l’intervento dopo la nascita
e ragguaglia ostetrico sulle possibilità assistenziali in NICU. E’ opportuno che in questa fase la
presenza di gravidanze patologiche (quando esiste una elevata probabilità di morbilità e/o mortalità
per la madre e/o il feto, con un’incidenza maggiore di quella esistente nella popolazione generale di
gestanti), sia resa nota il più velocemente possibile all’anestesista. La valutazione della possibilità
di assistenza in loco o di trasferimento presso un centro di assistenza di terzo livello, in
considerazione dei rischi specifici della madre o del feto, necessita di tempi e confronti
interdisciplinari sereni e non pressati dall’emergenza. Nel caso infatti siano evidenziabili carenze
della struttura, incombe l'obbligo del medico, specie se esiste un rapporto di tipo privatistico, di
informare la partoriente, in quanto non può essere considerato meno responsabile per i danni subiti
dal neonato, per difetto di assistenza nelle varie fasi del parto (Sentenza N°11316 del 21 luglio
2003).
Compiti dell’èquipe ostetrica e del pediatra neonatologo in sala parto
In sala parto l’attività deve essere integrata con una chiara divisione dei compiti. All’équipe
ostetrica è affidato l’immediato controllo delle condizioni alla nascita, una sommaria toilette naso
faringea, la recisione del cordone (precoce in caso di asfissia o isoimmunizzazione) e manovre atte
ad evitare raffreddamento e contaminazione. Nei neonati depressi e di basso peso l’ instabilità
termica consiglia di rimandare bagno; in casi selezionati (rottura prematura delle membrane,
amnioite o piodermite) agenti disinfettanti possono essere usati localmente per ridurre la
contaminazione batterica. La legge prevede l’esecuzione e relativa annotazione della profilassi
congiuntivale antiblenorragica con nitrato d’Ag 1% e la somministrazione di vitamina K. Ostetrico
e/o ginecologo presente in sala parto devono assumere la completa responsabilità della cura del
neonato nell’immediato periodo postnatale, fino a che non sia affidato al pediatra.
Alla recisione del funicolo il neonato passa al pediatra neonatologo, cui viene normalmente delegata
la gestione dell’isola neonatale; egli completa disostruzione delle vie aeree e attribuisce il punteggio
di vitalità. La visita medica e manovre assistenziali sono ridotte al minimo indispensabile, evitando
eccessive stimolazioni e per procedere in caso di necessità alle manovre di rianimazione. Nel caso il
pediatra non sia sufficientemente preparato, è previsto l’intervento dell’anestesista, lasciando al
primo la rianimazione metabolica e/o farmacologica.
109
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L’alta percentuale di parti cesarei, le cui cause sono ampiamente discusse in letteratura, porterà
inevitabilmente ad un aumento nei prossimi anni della necessità anestesiologica al momento del
parto. Già nel 1999 Halliday segnalava un aumentato rischio, considerati la necessità di
rianimazione in sala parto, il tasso di ricovero in terapia intensiva e lo sviluppo di RDS in neonati a
termine nati da taglio cesareo elettivo (Morrison et al 1995; Madar et al.1999). Il tentativo di
stabilire un timing appropriato per l’esecuzione dei tagli cesarei elettivi, stabilendo come
prevedibile, l’optimum intorno alla 38°5 giorni, non ha ancora mostrato effetti sulla riduzione
dell’incidenza di necessità di manovre rianimatorie in sala parto.
Non è detto inoltre che l’anestesista sia in assoluto il professionista più esperto di intubazione
neonatale; in un recente studio sulle performance dei tentativi intubazione, posti 20” come tempo
limite per l’intubazione tracheale, i risultati su 122 registrazioni erano 62% tentativi corretti, ed in
dettaglio:
• Resident (24% di successo) = 49”
• Fellows (78% di successo) = 32”
• Consultants (86% di successo) = 25”
L’accordo tra le professionalità deve essere definito a priori, nulla deve essere lasciato al caso,
soprattutto in caso di decisione di sospensione delle manovre.
La recente revisione (2005) delle linee guida dell’ European Resuscitation Council riviste
dall’ILCOR ha apportato alcune modifiche riguardo all’utilizzo di ossigeno al 100% nella
rianimazione primaria, il trattamento dell’aspirazione da meconio, le strategie ventilatorie, i
dispositivi per la verifica della corretta intubazione, l’uso della maschera laringea, farmaci, il
mantenimento della temperatura corporea e considerazioni per l’inizio/sospensione delle manovre
di rianimazione.
In particolare per l’ultimo aspetto si raccomanda che:
• in caso di anomalie congenite associate ad altissima probabilità di morte precoce o alta
morbidità (età gestazionale < 23 settimane o peso < 400gr; anencefalia o trisomia 13 o 18)
non sia indicato intraprendere la rianimazione
• In condizioni associate ad un’alta possibilità di sopravvivenza e morbidità accettabile, sia
opportuno procedere quasi sempre alla rianimazione
• Nelle condizioni associate a prognosi incerta, con probabilità di sopravvivenza borderline
ed alta morbidità , debba essere preso in considerazione anche il punto di vista dei
famigliari.
Se corrette manovre rianimatorie avanzate non producono effetti dopo 10’, è considerato
giustificabile sospenderle definitivamente.
CONSIDERAZIONI
MEDICO-LEGALI
IN
TEMA
DI
RESPONSABILITA'
PROFESSIONALE IN OSTETRICIA E GINECOLOGIA
L'ostetricia e la Ginecologia costituiscono, fra le diverse specializzazioni della Medicina, due settori
di particolare e delicato interesse medico-legale, etico e giuridico.
La nostra Costituzione, all'art. 31 sancisce che "La Repubblica agevola con misure economiche e
altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare
riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli
istituti necessari a tale scopo". Viene, recepito pertanto come garantito non solo il diritto di nascere
- e di nascere sano - ma anche di ricevere adeguate cure pre e post-natali, senza perdere di vista la
tutela della stessa madre e della maternità.
Dal punto di vista normativo, la letteratura riporta una ampia serie di sentenze a riguardo: ogni sala
parto (in ospedale o casa di cura) prevede ad ogni parto la presenza indispensabile di personale
medico cui sia affidato il compito specifico di prestare le prime cure al neonato. Si raccomanda
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anche la disponibilità di un’ostetrica o di una vigilatrice d’infanzia o di una infermiera esperta in
rianimazione che assista il medico, secondo quanto previsto dal D.M. del Ministero della sanità 17
gennaio 1997.
Si evince quindi l’importanza dell’insegnamento e dell’addestramento nella rianimazione primaria
di tutto il personale della sala parto.
Prendendo in esame i vari momenti dell'assistenza dello specialista in Ginecologia ed Ostetricia
alla gestante ed al parto, la condotta censurabile si può riconoscere in una errata assistenza al
momento del parto e si delinea:
• per inadeguato monitoraggio nelle ultime fasi di gravidanza protratta
• per mancato, o intempestivo, ricorso al taglio cesareo
• per mancato riconoscimento di lesioni o di perforazioni uterine
• per inadeguato trattamento di complicanze infettive.
Affrontando in maniera specifica il problema della responsabilità professionale dell'ostetrico, si
deve tener presente che l'imperizia, l'imprudenza, la negligenza o l'inosservanza di precise norme
devono costituire la causa diretta della morte o del danno alla gestante o al neonato. In tale
evenienza l'ostetrico risponde da solo e direttamente del proprio operato in regime di attività liberoprofessionale.
Il D.M. 14/9/1994 al punto 1 dell'art. 1 precisa che: "l'ostetrico è l'operatore sanitario che conduce
e porta a termine parti eutocici con propria responsabilità e presta assistenza al neonato"; e
ribadisce all'art. 5 che: "l'ostetrico è in grado di individuare situazioni potenzialmente patologiche
che richiedono intervento medico e di praticare, ove occorra, le relative misure di particolare
emergenza".
La Corte di Cassazione ha stabilito che l'esercizio dell'attività di ostetrico implica l'obbligo di
rilevare con diligenza l'andamento del parto o di sollecitare l'intervento del medico ogni qualvolta
nel corso del parto e successivamente ad esso si manifestino fatti non riferibili ad un regolare
svolgimento del parto stesso. Quando un'ostetrica che assiste ad un parto rilevi l'esistenza di fattori
di rischio per la madre o per il feto, deve richiedere l'ausilio del medico, con assoluto divieto di
praticare interventi manuali o strumentali, fatta eccezione per quelli consentiti dalle istruzioni
tecniche sull'esercizio professionale delle ostetriche, emanate dal Ministero della Sanità. Quando si
registri una collaborazione con il medico, l'ostetrico è soggetto al vincolo della subordinazione,
rispondendo in merito al danno solo per quello che compete alla sua partecipazione all'evento, pur
mantenendo sempre un'autonomia intrinseca alla prestazione di un'attività intellettuale che gli viene
riconosciuta.
Importante è il ruolo ricoperto dall'ecografista: gli può venire attribuito un errore di tipo
diagnostico nell'interpretazione e nell'elaborazione dei dati obiettivi, o anche un errore dovuto
all'incompletezza o all'imprecisione nella stesura del referto, o per mancata trasmissione dei dati
alla paziente. Si configura così una responsabilità civile diretta per mancata diagnosi di
malformazione fetale, che avrebbe potuto portare la donna a decidere di interrompere la gravidanza,
soprattutto se in presenza di una condizione di grave pericolo per la sua salute psico-fisica.
Anche al medico anestesista competono delle responsabilità legali durante l'esercizio della propria
professione, le quali possono estrinsecarsi:
• nel trattamento anestetico-rianimatorio
• nell'omessa vigilanza dopo anestesia
• nell'errato posizionamento della paziente sul letto operatorio
• nell'omesso controllo delle apparecchiature
tutte sostenute da sentenze della Cassazione.
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In tale contesto si possono determinare due situazioni: l'anestesista opera in autonomia con un altro
medico di diversa specializzazione, ma di uguale professionalità, oppure l'anestesista entra in un
rapporto gerarchico in funzione dei compiti di direzione che esercita sul personale infermieristico.
Nel primo caso, ogni problema può essere superato con il riconoscimento di un principio di fiducia
in virtù del quale le prestazioni fra colleghi specialisti, che partecipano ad un trattamento comune,
siano corrispondenti all'arte medica. Nel secondo caso, invece, si ha l'obbligo di evitare il danno e
l'anestesista deve impartire al personale infermieristico in modo dettagliato tutte le istruzioni del
caso, per non rispondere successivamente di condotta imprudente e negligente.
In occasione di intervento chirurgico in cui esista un contratto diretto fra anestesista e paziente, ed il
chirurgo si trovi ad operare con un anestesista diverso da quello che di solito opera alle dipendenze
di una casa di cura, nell'eventualità che si verifichi un danno, si tende ad escludere la responsabilità
solidale del chirurgo, in base al principio dell'affidamento.
In merito all'assistenza alla nascita ed ai rischi per il neonato, il neonatologo esplica il suo
intervento in tre fasi:
• sola collaborazione con l'ostetrico
• collaborazione in equipe con l'ostetrico e l'anestesista
• assistenza sul neonato.
Nel caso dell'attività collegiale, in sala parto, possono riscontrarsi diverse ipotesi di responsabilità
professionale: la responsabilità è unica e singolare, per il neonatologo, ogni qualvolta il suo parere è
autonomo rispetto al contributo degli altri specialisti, tenendo invece conto del fatto che diventa
responsabile tutta l'equipe in caso di errori professionali grossolani e non inerenti alle competenze
strettamente ed altamente specialistiche del neonatologo.
Tenendo conto della complessità dei trattamenti medici in ambito ginecologico ed ostetrico, e la
conseguente necessità del lavoro di équipe, risulta palese la difficoltà di individuare il momento
causativo dell'atto illecito tale da ascriverlo ad un unico responsabile.
BIBLIOGRAFIA CONSIGLIATA
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5. Loebel G, Zelop CM, Egan JF, Wax J: Maternal and neonatal morbidity after elective repeat
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teaching hospital. J Matern Fetal Neonatal Med. 2004 Apr;15(4):243-6.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Nodo ferroviario "Alta Velocità" di Bologna. L’organizzazione del soccorso sanitario
G. GRANA* e M. VIGNA**
* Coordinatore Area dipartimentale Spoke e Direttore UO Anestesia Bazzano - 118 Sud Bologna; ** Responsabile
Servizio Assistenziale Tecnico e Riabilitativo (SATeR) Azienda USL di Bologna - Dipartimento di Emergenza
A. CENNI SUL PROGETTO, SUI CANTIERI E SULLE MODALITÀ DI LAVORO
Non è compito degli operatori sanitari parlare della progettazione del nodo, dei cantieri e delle
modalità di lavoro. Qui se ne fa un brevissimo cenno finalizzato esclusivamente a meglio
comprendere la relazione con il Servizio di Soccorso Sanitario 118.
Il nodo ferroviario "Alta Velocità" (AV) di Bologna
La lunghezza complessiva del nodo ferroviario AV di Bologna è di circa 17,8 km: si sviluppa per
circa 7 km allo scoperto, per 9,3 km in galleria (naturale e artificiale) e per 1,6 km in viadotto.
Partendo dal quartiere Savena-San Ruffillo, punto in cui ha inizio la tratta AV Bologna - Firenze, il
tracciato attraversa il ponte sul fiume Savena e dopo un breve tragitto in superficie, si immette in
galleria fino a raggiungere la futura stazione sotterranea per le nuove linee veloci a 23 m di
profondità rispetto al piano di campagna.
I binari, seguendo approssimativamente il percorso della linea esistente posta in superficie,
proseguono fino al camerone di Fascio Salesiani (zona di manutenzione dei treni a est della
stazione), passando sotto le vie: Corelli, degli Orti, Emilia Levante, Fossolo, Rimesse, Massarenti,
Libia e Stalingrado. Da qui il tracciato continua per circa 1 km fino alla stazione sotterranea per le
linee veloci.
Dalla stazione, con un tratto in galleria a doppio binario, si prosegue in direzione Milano,
sottopassando il torrente Navile e via Zanardi, per poi risalire e allacciarsi alla tratta AV Bologna Milano nel comune di Anzola Emilia.
Ad Anzola e San Ruffillo sono previste due interconnessioni tra linea veloce e linea storica:
l'interconnessione di San Ruffillo è costituita da due gallerie situate nel territorio dei
comuni di Pianoro e San Lazzaro di Savena;
l’interconnessione di Lavino si sviluppa interamente nel territorio del comune di Anzola ed
è costituita da due rami che collegano la nuova linea veloce alla linea di Cintura e alla linea
esistente, in corrispondenza della stazione di Lavino.
All'interno del Nodo di Bologna, in prossimità del deposito locomotive (situato tra l'ospedale
Maggiore e via Agucchi) sono previste altre due interconnessioni: l’interconnessione con la linea
per Padova-Venezia e l’interconnessione con la linea per Verona.
I cantieri del nodo di Bologna
Per limitare al massimo l'impatto ambientale causato dai cantieri, in un territorio fortemente
urbanizzato come Bologna, il consorzio TAV (Treno Alta Velocità) si è impegnata a trasportare su
ferrovia, ove possibile, i materiali in ingresso ed uscita dai cantieri.
Sono stati predisposti tre cantieri principali (Stazione Centrale/Stazione Arcoveggio, San Ruffillo,
Deposito locomotive) e sei cantieri ausiliari (Fascio Salesiani, Ponte sul Reno, Poste, Lavino,
Intermodale di Anzola, Innesto Bologna - Padova).
I cantieri principali comprendono, oltre all'area dove vengono effettuati i lavori, un campo base
totalmente attrezzato ed autosufficiente destinato ad alloggiare il personale; i cantieri ausiliari
possono essere invece adibiti esclusivamente alla produzione. Il personale impegnato mensilmente
nel corso del 2005 è stato in media di 800 unità.
Alla fine dei lavori in tutte le zone interessate dai cantieri verrà effettuata una completa opera di
ripristino ambientale per riportare il territorio alle condizioni iniziali.
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La stazione del Nodo di Bologna
La stazione per le nuove linee veloci, posta a 23 metri sotto il piano stradale, è la chiave di volta di
tutto il progetto di potenziamento del Nodo di Bologna. Sarà riservata ai treni a media/lunga
percorrenza e sarà situata in corrispondenza dell'attuale piazzale della Stazione Centrale nell'area
occupata dagli ultimi cinque binari, dal lato di via Carracci. La nuova struttura sarà in grado di
sostenere un significativo incremento giornaliero del traffico passeggeri e merci.
Le modalità di lavoro
Per interferire al minimo con la vita della città e causare il minor disagio possibile alla popolazione,
lo scavo delle gallerie viene realizzato con gigantesche frese e il trasporto del materiale di
scavo/costruzione avviene prevalentemente attraverso ferrovia.
B. L’ORGANIZZAZIONE DEL SOCCORSO SANITARIO
Sono state previste due postazioni di soccorso sanitario dedicate al nodo ferroviario di Bologna.
Il servizio è stato affidato all’Unità Operativa Anestesia Bazzano - 118 Sud Bologna che ha
maturato un’esperienza pluriennale di soccorso in galleria durante la realizzazione della tratta
appenninica AV Bologna - Firenze.
Delle due postazioni, quella infermierizzata, ubicata presso il cantiere di S. Ruffillo è operativa sin
dall’ottobre 2003, quella medicalizzata, sarà operativa entro il 2006 e sarà ubicata presso il cantiere
di Via Carracci (Stazione Centrale). L’attivazione in tempi diversi è dovuta alla diversa tempistica
di inizio dei lavori.
Possiamo perciò distinguere 2 fasi:
– nella prima fase, che volge ormai al termine, è stata operativa una sola postazione
“infermierizzata”, dedicata prevalentemente al cantiere “S. Ruffillo”. L’attivazione della
postazione è coincisa con l’avvio dell’attività delle frese. Questa è tuttora l’unica postazione
dedicata prevalentemente ai cantieri del nodo;
– nella seconda fase, il cui inizio è previsto per la fine del 2006, alla postazione di S. Ruffillo
si aggiungerà la postazione medicalizzata della Stazione che sarà operativa fino al termine
dei lavori, presumibilmente insieme a quella di S. Ruffillo.
Qui di seguito viene descritto nel dettaglio l’operatività delle due postazioni che, non va
dimenticato, si avvalgono del coordinamento della Centrale Operativa 118 di Bologna e, in caso di
necessità, operano in rete con tutti i mezzi del Sistema 118 che è in grado di schierare, entro un’ora,
4 elicotteri con rianimatore a bordo e circa 100 ambulanze di cui alcune con capacità operativa
specifica per il soccorso nelle gallerie in costruzione (ambienti con possibile carenza di aria
respirabile).
L’accesso degli operatori sanitari alle gallerie di San Ruffillo
Gli imbocchi delle 2 gallerie che da San Ruffillo si dirigono verso la Stazione di Bologna sono
ubicati all’interno di uno spazio ipogeo denominato camerone frese.
I mezzi di soccorso sanitari su gomma entrano nel camerone frese tramite la rampa di accesso alle
frese. Nei pressi della rampa è presente anche una scalinata di sicurezza che permette di raggiungere
a piedi gli imbocchi delle gallerie.
La galleria di sinistra è denominata Binario Pari (TBM Emilia), mentre quella di destra è
denominata Binario Dispari (TBM Felsinea). La sigla TBM è l'acronimo di "Tunnel Boring
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Machine": il nome tecnico delle grandi frese che eseguono lo scavo delle gallerie. All’imbocco di
ogni galleria è stato posizionato un cartello identificativo della galleria e due cartelli che si
illuminano al bisogno: uno per l’allarme incendio e uno per le emergenze sanitarie in corso.
Un sistema di semafori a due colori (verde e rosso) ha la funzione di regolamentare la viabilità dei
treni sui due binari di ogni galleria, al fine di lasciare sempre libero un binario in caso di emergenza.
Per poter, infatti, entrare in galleria ogni qualvolta si manifesti un evento che richiede l’intervento
del 118 o del 115 è necessario utilizzare un mezzo specifico denominato treno d’emergenza.
Il treno d’emergenza
Questo mezzo è posto all’interno del camerone frese, in prossimità degli imbocchi delle gallerie. Il
treno riservato alle emergenze sanitarie, utilizzabile anche dai vigili del fuoco, è dotato di un
locomotore dedicato e di una telecamera ad infrarossi. Un sistema ad aria compressa (4 bombole)
può generare una sovrapressione che impedisce l’ingresso dei fumi nell’abitacolo. Il vagone ha due
porte scorrevoli ad apertura manuale. La velocità massima è di circa 40 km/h.
Il treno è condotto da un locomotorista, sempre presente all’imbocco delle gallerie o nei pressi del
centro di betonaggio. Il locomotorista è immediatamente identificabile dal caschetto di colore blu.
Il sistema di Emergenza Sanitaria della fase 1
Nel Campo Base “S. Ruffillo” è stata allestita un’infermeria per le esigenze delle maestranze ed è
sempre presente un mezzo di soccorso sanitario denominato Stilo 1, con un solo operatore che, fino
all’ autunno 2005, interveniva su tutte le emergenze sanitarie dei seguenti cantieri TAV versante
Nord:
cantiere E4 Rio Laurenziano,
cantiere E3 Rio Munazzano,
cantiere E2 Rio Pecore,
cantiere E1 Pianoro Nord,
cantiere E0 Interconnessione binario pari e dispari,
campo base e cantiere S. Ruffillo, incluso soccorso nelle 2 TBM.
Con il crescere della lunghezza delle gallerie (12/04/2006: poco più di 4.500 metri per entrambe le
TBM) e conseguentemente del tempo necessario al treno d’emergenza per raggiungere il fronte di
scavo, la zona di competenza della Stilo 1 è stata limitata all’area del cantiere S. Ruffillo, per
ottimizzare i tempi di intervento.
Il modello è assolutamente innovativo: la
Stilo 1 è un’automobile, guidata e gestita da
un unico infermiere, equipaggiata con
monitor defibrillatore semiautomatico, zaino
infermieristico, aspiratore per secreti,
autorespiratore a ciclo aperto1. La Stilo 1
osserva gli stessi orari delle frese: al
momento è operativa 24h/24h, in
precedenza (ottobre 2003 - maggio 2005)
era operativa dalle ore 6.00 del lunedì fino
alle ore 8.00 della domenica.
Figura 1 - Cantieri TAV, versante Nord
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Il sistema che utilizza i mezzi con un unico operatore è stato pensato per ottimizzare i costi pur
garantendo, grazie alla “rete”, una risposta immediata e qualificata sul territorio di competenza. Il
modello operativo dell’infermiere stilo è basato sulla capacità di:
raggiungere velocemente il target;
fornire indicazioni precise all’infermiere capoturno (alla Centrale Operativa 118 se il
capoturno è già impegnato in un servizio di soccorso) che provvederà ad inviare uno o più
mezzi presenti in zona;
iniziare il trattamento del paziente o dei pazienti, in attesa dell’arrivo dei rinforzi.
I mezzi di soccorso con capacità di intervento in galleria (gli equipaggi sono addestrati al soccorso
in ambienti confinati con possibile carenza di aria respirabile), in grado di intervenire in tempo utile
nei cantieri di pertinenza della Stilo 1 sono:
1. innanzitutto l’ambulanza GECAV 1 (infermieri USL a servizio esclusivo dei cantieri), in
postazione presso il CBE 1 di Pianoro;
2. l’ambulanza Setta 1 (infermieri USL a servizio esclusivo dei cantieri), in postazione presso la
postazione di Lama di Setta;
3. Auto medica Echo 34 (un medico e un infermiere dipendenti USL a supporto delle ambulanze
per la popolazione e per i cantieri), in postazione a Barbarolo;
4. Ambulanza Loiano 40 (infermieri USL a servizio esclusivo dei cantieri), in postazione presso il
cantiere E 8, località “La Fiumana” (Monghidoro);
5. Ambulanza Loiano 34 (infermieri USL a servizio prevalente della popolazione, ma addestrati ad
operare in galleria), in postazione presso l’Ospedale di Loiano.
Figura 2 - Mezzi di soccorso con capacità di intervento nelle gallerie in costruzione
Gli altri mezzi di soccorso non hanno equipaggi
addestrati al soccorso in ambienti confinati e possono
intervenire nei cantieri all’aperto ma non in galleria.
Ci riferiamo a:
– Ambulanza Mike 5 (autista soccorritore +
infermiere convenzionati USL a servizio
prevalente della popolazione), in postazione
presso il campo base di San Ruffillo.
– Ambulanza
Pianoro
47
(volontari
convenzionati USL a servizio prevalente della
popolazione), in postazione a Pianoro;
– Ambulanza Monterenzio 41 (volontari
convenzionati USL a servizio prevalente della
popolazione), in postazione a Monterenzio;
– Ambulanze e auto medicalizzate cittadine;
L’operatore della Stilo 1, con la logica del Sistema in
rete, può richiedere, se necessario, supporti più o
meno, avanzati, come:
l’intervento di un’ambulanza BLSD (in grado
di effettuare il soccorso di base fino alla defibrillazione cardiaca con apparecchi
semiautomatici);
il supporto di un auto medicalizzata (interviene su richiesta delle ambulanze che operano in
zona e ritorna subito in postazione se la patologia è di lieve entità. In caso di patologie
importanti, il medico diventa un componente dell’ambulanza che ha richiesto l’appoggio,
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
fino al ricovero del paziente, mentre l’infermiere rimasto solo sull’auto medica continua a
presidiare il territorio che non rimane mai completamente scoperto);
l’intervento dell’Elisoccorso (equipe di rianimazione a bordo).
Le modalità operative della Stilo 1 sono regolamentate da una istruzione operativa specifica per il
cantiere S. Rufillo (TBM).
Oltre all’attività di soccorso, l’infermiere della Stilo 1, quotidianamente controlla la viabilità e gli
ingressi in galleria di tutta l’area di competenza del mezzo. Tale attività, procedurata mediante la
Scheda Rilevazione Dati Percorribilità Cantiere S.Ruffillo - Talpa (procedura MO 0221 042 SVF),
è fondamentale per conoscere le diverse trasformazioni che quotidianamente si verificano
all’interno dell’area cantieristica e delle gallerie, come ad esempio, tratti di pista chiusi, nuove
lavorazioni, profondità di scavo delle gallerie ecc.).
Modalità operative dell’auto infermieristica Stilo 1
1- L’istruzione operativa IO 0221 007 MOS in sintesi
In caso di chiamata, l’infermiere si reca, con l’auto Stilo 1, sul luogo dell’evento, valuta le
condizioni cliniche del paziente e comunica il “Confermato” o il “Negativo” sia all’ambulanza
GECAV 1 (o Setta 1, se GECAV 1 è già impegnata) sia all’auto medica Echo 34 (o Echo 2 se Echo
34 è già impegnata).
Nel caso venga richiesto un intervento in galleria, l’infermiere della Stilo 1 si reca sul luogo
dell’evento munito di:
zaino di soccorso;
aspiratore;
defibrillatore semiautomatico;
barella a cucchiaio;
autorespiratore Dräger PA 90 Plus;
DPI (casco protettivo, gilet alta visibilità, guanti, stivali e mascherina per le polveri);
radio portatile.
Nel caso in cui venga richiesto un intervento all’interno della talpa, l’infermiere della Stilo 1:
accede al camerone fresa tramite la rampa, in alternativa utilizzerà la scala di sicurezza;
si accerta che sia stata attivata l’ambulanza GECAV 1 (o Setta 1, se GECAV 1 è già
impegnata);
si reca all’imbocco del tunnel;
se la GECAV 1 ha uno stimato di arrivo uguale o superiore a 8 minuti:
comunica che sta entrando in galleria e quindi inizia il silenzio radio;
si reca sul luogo dell’evento;
valuta le condizioni cliniche del paziente e conferma o annulla l’intervento di ulteriori
mezzi.
Attualmente l’unico sistema per comunicare con l’esterno della galleria è rappresentato dal telefono
(colonnine SOS posizionate ogni 250 metri circa).
Nel caso che la GECAV 1 abbia uno stimato inferiore ad 8 minuti, l’infermiere attende
l’equipaggio della GECAV 1 all’imbocco della galleria, predispone e coordina, insieme al
locomotorista, il treno di soccorso per l’ingresso in galleria;
Dopo l’arrivo della GECAV 1, un infermiere deve comunque rimanere all’imbocco, mentre gli altri
due operatori (un infermiere + l’autista soccorritore) entrano con tutto l’occorrente, raggiungono il
target e iniziano la prestazione sanitaria.
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2- La scheda sui dati di percorribilità del Cantiere S. Ruffillo - Talpa (MO 0221 042 SVF):
Viene compilata quotidianamente dall’operatore della Stilo 1 in collaborazione con l’equipaggio
della GECAV 1 che ha sede a Pianoro, presso il CBE 1. L’operatore Stilo o l’equipaggio GECAV 1,
a turno, attraversano in lungo e in largo il cantiere S. Ruffillo (ponte Baily, spazio intermodale, pista
officina-magazzino, cantiere distaccato Escrivà, scale sicurezza, imbocco talpa ecc.) e annotano
sulla scheda i tempi, gli ostacoli, il fondo stradale, le condizioni meteo ecc. In tal modo gli operatori
sono sempre a conoscenza delle nuove lavorazioni, della profondità di scavo delle gallerie, delle
variazioni stradali e di quanto altro possa essere utile per ottimizzare i tempi e le modalità del
soccorso.
3- La newsletter periodica di aggiornamento
Periodicamente tutti i medici, gli infermieri e gli autisti ricevono una e-mail di aggiornamento,
corredata da numerose fotografie, su:
• viabilità (chiusura strade, percorsi alternativi, tempi di percorrenza);
• tipologia delle lavorazioni;
• profondità di scavo, nuovi by-pass tra le due gallerie, iperbarismo ecc.
In tal modo, il personale di altre postazioni è in grado di operare in sicurezza se chiamato ad
intervenire in questo cantiere, anche quando è richiesto il rimpiazzo improvviso per assenze non
programmabili.
Un cenno sull’iperbarismo
L’art. 4 dell'accordo del 21/10/2003 fra l'Azienda USL e la S. Ruffillo S.c.r.l. (Sistema integrato di
pronto soccorso e trasporto infermi - Campo base e cantiere industriale S. Ruffillo), prevede la
sottoscrizione, tra S. Ruffillo S.c.r.l. e Azienda USL, di uno specifico accordo per disciplinare il
servizio di soccorso in iperbarismo.
Le TBM sono in grado di lavorare in sovrapressione, al fine di garantire lo scavo anche in presenza
di acqua. Ogni TBM è dotata di 2 camere iperbariche per il passaggio del personale dalla testa
fresante (per eseguire eventuali manutenzioni in sovrapressione) alla parte della fresa non in
sovrapressione.
Va qui precisato che non è previsto l’utilizzo di pressioni superiori a 1,5 bar.
Attualmente (02/04/2006) ambedue le TBM stanno lavorando in ambiente normobarico ma, una
parte del personale sanitario è già selezionato per operare anche in iperbarismo qualora le frese
dovessero raggiungere un sottosuolo particolarmente ricco di acqua.
La formazione del personale del 118 (25 operatori), destinato ad operate in ambiente iperbarico,
prevede un corso teorico-pratico che ha lo scopo di fornire le necessarie nozioni di fisiopatologia
dell’iperbarismo per l’autotutela del personale del 118 e per la corretta gestione del soggetto
infortunato in ambiente iperbarico. Oltre alla parte teorica, il corso comprende esercitazioni pratiche
e test psico-attitudinali in ambiente iperbarico confinato.
Il personale 118 individuato per il lavoro in iperbarismo, in conformità all’art. 34 D.P.R. 321/56
viene sottoposto a valutazione di idoneità iniziale, propedeutica alle esercitazioni pratiche in camera
iperbarica e ai test psico-attitudinali.
Il sistema di Emergenza Sanitaria della fase 2
Entro l’anno verrà attivata la “Postazione auto medicalizzata e Punto di Primo intervento” in corso
di realizzazione presso l’area di cantiere della Nuova Stazione AV di Bologna Centrale finalizzata a
garantire il servizio di emergenza e il soccorso sanitario nelle aree interne ed esterne dei cantieri
relativi ai lotti del Nodo di Bologna individuati con i numeri 5, 8a, 11-50.
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Il servizio verrà assicurato dal Sistema 118 con i mezzi di soccorso attrezzati presenti all’interno del
Campo Base di Via Corelli e con il mezzo di soccorso attrezzato (auto medicalizzata) da attivare
presso il cantiere di Via Carracci.
Nella postazione di Via Carracci, il personale del 118 adibito alla specifica attività di soccorso
territoriale presso i cantieri sarà lo stesso che erogherà i servizi di “infermeria” e l’assistenza
propria del medico di medicina generale per le maestranze del nodo.
Figura 3 - Le postazioni di soccorso del nodo ferroviario AV di Bologna
La postazione della Stazione e la postazione
S. Ruffillo saranno coordinate stabilmente da
un infermiere. Tale operatore gestirà gli orari
del personale, i rifornimenti del materiale e
altre attività tipiche della funzione del Capo
Sala. Quando presente presso la postazione,
effettuerà anche prestazioni infermieristiche
ambulatoriali.
In accordo con le imprese appaltatrici dei lotti
5, 8 e 11-50, qualora le lavorazioni nei
cantieri S. Ruffillo, E0 ed E1 vengano ad
esaurirsi prima dei lavori della stazione, si
potrebbe concordare il trasferimento in
stazione dell’ambulanza infermierizzata là
presente. In tal caso è stata prevista anche la
possibilità che l’auto medica e l’ambulanza
infermierizzata possano essere trasformate in un'unica ambulanza medicalizzata, con conseguente
contenimento dei costi senza pregiudizio per l’efficienza del servizio.
Concludiamo con qualche dato di attività
Attività Infermeria San
Ruffillo
Traumi
Sul lavoro
Extra
Sul lavoro
Extra
Non
traumi
Totale
Di cui dimessi
Ospedale S. Orsola
Di cui
trasporta Istituto Ortopedico Rizzoli
ti
Altro ospedale
2003 (da
ottobre)
72
0
61
114
247
231
10
6
2004
20052
72
29
388
319
1157
1023
78
49
5
296
69
158
433
956
812
106
33
5
130
di cui 26 da
TBM e 104
da infermeria
14
Trasporti con ambulanza (da net 118)
39
108
Trasporti con mezzi propri
nc
nc
Note
119
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
1
Autorespiratore a ciclo aperto – E’ un DPI (Dispositivo di Protezione Individuale) per la
protezione delle vie aeree. L’operatore che lo utilizza è isolato dall’aria ambiente in cui opera. Gli
operatori del Servizio 118 GECAV hanno in dotazione l’autorespiratore Dräger PA 90 Plus,
composto da una bombola in acciaio di 7 litri contenente aria compressa a 200 bar (1400 litri
d’aria a disposizione). Il contenuto della bombola (aria) è riconoscibile dall’ogiva di colore bianco
e nero. La bombola è sistemata su di uno schienale che può essere indossato come uno zaino. Il
peso complessivo dell’autorespiratore carico è di circa 14 kg. L’autorespiratore PA 90 plus è
composto da un primo stadio di riduzione, che porta la pressione da 200 bar a 6-9 bar. Tali valori
sono ancora molto elevati per l’apparato respiratorio, ma indispensabili per superare lo “spazio
morto”, vale a dire la lunghezza del tubo che dal primo stadio di riduzione porta alla maschera. Al
primo stadio di riduzione, prima della caduta di pressione da 200 a 6-9 bar, è collegato il
manometro che indica il contenuto d’aria della bombola. Nel secondo stadio di riduzione (situato
all’interno dell’erogatore) la pressione passa da 6-9 bar a 3,5 mb, pressione compatibile con la
respirazione. L’erogatore utilizzato dall’operatore è a “sovrapressione” (di colore rosso), vale a
dire che all’interno della maschera continua ad essere erogata una pressione di 3.5 mb superiore
rispetto a quella atmosferica. In tal modo si evita l’ingresso di gas tossici, anche se la maschera
non aderisce perfettamente al volto dell’utente. Nel caso in cui la pressione all’interno della
maschera superi i 5 mb, una valvola di sicurezza posizionata sulla maschera interviene facendo
disperdere nell’ambiente la pressione in eccesso. Inoltre, i PA 90 plus, sono dotati di doppia utenza
che consente di erogare aria ad una seconda persona (collega o vittima in difficoltà).
2
Il cantiere è rimasto praticamente chiuso dal novembre 2004 al maggio 2005
Bibliografia
1. DPR 20/03/1956, n. 321 - Norme per la prevenzione degli infortuni e l'igiene del lavoro nei
cassoni ad aria compressa. G.U. 5 maggio 1956, n. 109, supplemento ordinario;
2. Massimiliano Bringiotti - Guida al tunnelling, l’arte e la tecnica. Edizioni PEI, Parma, 1996;
3. GECAV118 - Istruzione Operativa IO 0221 007 MOS: Modalità operative auto infermieristica
“Stilo1” in postazione Corelli, quartiere S. Ruffillo Bologna. Revisione 01 del 01/11/2004;
4. GECAV118 - Istruzione Operativa MO 0221 042 SVF: Scheda Rilevazione Dati Percorribilità
Cantiere S. Ruffillo / Necso – Talpa. Revisione 00 del 20/01/2004;
5. GECAV118 - Procedura P-009-GECAV – Postazione CBE2-GECAV: Gestione ambulanze e
auto medica. Revisione 01 del 20/03/2003;
6. GECAV118 - Procedura MOD01P00205050, Check-list materiale zaino BLSD e presidi.
Revisione 02 del 01/06/2005;
7. Le notizie relative al progetto del nodo di Bologna sono state tratte dal sito Internet www.tav.it
La ventilazione non invasiva nel paziente neuroleso
C. GREGORETTI
Dipartimento Emergenza Accettazione, Azienda Ospedaliera CTO CRF M. Adelaide – Torino
La ventilazione non invasiva (VNI) del paziente neuroleso si identifica nella maggioranza dei casi
nel trattamento delle lesioni traumatiche e non del midollo spinalo del tratto cervico –dorsale.(paratetraplegie). A questa popolazione si aggiungono le patologie neuro-muscolari insorte in età
120
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
infantile o adulta (ie.distrofoe muscolari , sclerosi laterale amiotrofica etc). La VNI ha dimostrato in
sudi prospettici randomizzati e non di essere in grado da sola o in associazione a presidi di ausilio
alla espettorazione bronchiale di ridurre lo sforzo muscolare e ripristinare gli scambi gassosi.
Le interfacce impiegate sono dipendenti dalla gravità della patologia trattata, dall’anatomia del viso
e del naso e dall’adattamento elettivo da parte del paziente.
La rottura di trachea post-intubazione: etiologia e terapia
P. GREGORINI, A. BASSANI
U. O. Anestesia e Terapia Intensiva – A.U.S.L. Bologna – Ospedale Maggiore – Bologna
La rottura iatrogena della trachea e’ una complicanza rara ma potenzialmente mortale
dell’intubazione tracheale. In letteratura vengono riportati casi di rottura sia in caso di intubazioni
difficili che in caso di intubazioni avvenute senza difficoltà. Tra i fattori anatomici predisponenti vi
e’ una maggiore lassità della mucosa, come si osserva spesso nel sesso femminile. I meccanismi
della lesione sono legati piu’ frequentemente a una iperinsufflazione della cuffia del tubo tracheale
e/o a una “aratura” della punta sulla mucosa della pars membranacea della trachea. I sintomi clinici
comprendono la dispnea e la comparsa di enfisema sottocutaneo. La terapia puo’ essere sia medica
che chirurgica in funzione del tipo di lesione. Nel nostro centro sono afferiti negli ultimi anni alcuni
casi di rottura tracheale postintubazione. I tipi di lesione riscontrata ci inducono a ritenere che il
meccanismo piu’ frequentemente implicato e’ legato all’azione lesiva diretta sulla mucosa tracheale
della punta del tubo utilizzato.
L’assistenza respiratoria dalla Terapia Intensiva all’Assistenza Domiciliare
M. INGROSSO
S.C. Anestesia e Rianimazione, A.S.L. Salerno 2 di Salerno
ASL SA2 U.O. Anestesia e Rianimazione Osp. S.Maria della Speranza Battipaglia
Il paziente con danno cerebrale acuto medio severo, di qualunque origine, nel quale si instaura una
compromissione dello stato di coscienza dalla letargia al coma severo necessita del controllo delle
vie aeree e, successivamente di ventilazione meccanica che, spesso, acquista i caratteri di un vero e
proprio trattamento terapeutico. Infatti se in prima istanza il controllo delle vie aeree ha il suo target
nel contrastare l'ipossia, l'ipercapnia ed i rischi di inalazione del contenuto gastrico, conseguenti alla
compromissione dello stato di coscienza e dei meccanismi di difesa connessi alla deglutizione,
successivamente la ventilazione meccanica è adoperata per proteggere l'omeostasi intracerebrale
intervenendo sui meccanismi correlati ai livelli di PaO2 e PaCO2 i quali a loro volta intervengono
nella autoregolazione del tono vascolare cerebrale e sui livelli di perfusone cerebrale. Come è noto
la pressione di perfusione cerebrale (PPC) è strettamente correlata alla Pressione Arteriosa media
(PAM) ed alla Pressione Intracranica (PIC) se quest'ultima aumenta come in tutte le situazioni nelle
quali aumenta il volume contenuto all'interno della scatola cranica, si determinano le situazioni per
una riduzione della PPC e, di conseguenza crescono i rischi di danno cerebrale secondario. Studi
clinici ormai consolidati assegnano alla PaCO2 in particolare la capacità di intervenire utilmente su
questi meccanismi quando il suo valore si mantiene intorno ai 30-35 mmhg; valori superiori
121
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
provocano vasodilatazione e accrescono l'edema cerebrale valori inferiori innescano vasocostrizione
e accentuano i rischi di ischemia cerebrale, il limite inferiore da non superare è di 25mmHg.
L'efficacia di questo trattamento è massima per 48 ore poi intervengono meccanismi di compenso
renali che ne vanificano gli effetti. L'iperventilazione mantenuta per 48 ore non dovrebbe essere
interrotta bruscamente per evitare effetti rebound. Parimenti va accuratamente evitata ogni forma di
ipoventilazione, in quanto gli incrementi di flusso ematico e la vasodilatazione ad essa correlata
possono indurre rapidamente aumenti della PIC a valori potenzialmente letali. Nelle prime 72 ore
dovrebbero essere evitate interruzioni della iperventilazione se non per brevi momenti; anche i test
di valutazione della ventilazione spontanea in questi pz. mediante sospensioni prolungate della
VAM andrebbero evitate i questo ambito temporale. Altro parametro che deve essere attentamente
valutato è l'applicazione o meno della PEEP che notoriamente interferisce con il ritorno venoso che,
a sua volta impedisce un adeguato drenaggio del sangue refluo dal circolo cerebrale. E' evidente che
specie in soggetti quali i politraumatizzati, nei quali concomitano frequentemente danni toracici che
rendono imprescindibile una ventilazione aggressiva, quali problematiche si pongano agli
intensivisti. A seconda dell'evoluzione clinica il supporto ventilatorio può protrarsi per un tempo
più o meno lungo, di qui la necessità di procedere nei tempi previsti alla tracheotomia percutanea
per le note indicazioni. La Letteratura internazionale nulla dice sulla tipologia di ventilazione
applicata, volumetrica o pressometrica, limitandosi a indicare le indicazioni, i target terapeutici e gli
effetti collaterali da evitare. L'evoluzione clinica è anche la determinante del destino di questi
pazienti; nei casi più favorevoli ove il recupero delle funzioni superiori consente una autonomia
respiratoria indipendente dal ventilatore si può giungere anche rapidamente alla decannulazione ed
al ripristino della pervietà delle vie aeree naturali. I casi meno fortunati, ove gli esiti del danno
cerebrale determinano una compromissione più o meno grave del livello di coscienza e/o delle
funzioni respiratorie definitivi, il persistere della necessità di protezione delle vie aeree e di
supporto respiratorio può non essere più evitato, per far fronte alle condizioni di ipossiemia che
fanno seguito all'accumulo di secrezioni, aggravato dalla depressione del riflesso della tosse, con
conseguente atelettasia e ricorrenti infezioni broncopneumoniche. Il destino di questi pazienti,
proprio in virtù della loro dipendenza dal ventilatore più o meno costante, è di sostare per un
periodo anche molto lungo in un reparto di terapia intensiva stante la scarsità sul territorio nazionale
di strutture sanitarie sia pubbliche sia private che se ne facciano carico. Reparti di lungodegenza in
grado di assicurare un' adeguata assistenza al pz trachestomizzato non auto sufficiente non
suscettibile di miglioramento sono pochissimi e con liste d'attesa enormi; l'unica alternativa
praticabile, in presenza di un nucleo familiare in grado di farsene carico sia in termini economici sia
psicologici, è avviare questi pazienti al proprio domicilio istruendo i familiari nella gestione del
ventilatore domiciliare e degli altri presidi sanitari necessari, con l'indispensabile supporto del
distretto territoriale di competenza.
Riassunto: Nel paziente con danno cerebrale acuto assume un ruolo centrale la ventilazione
meccanica. Le indicazioni alla sua implementazione sono, come è noto, un valore di GCS ≤ 8, la
necessità di ottenere una moderata ipocapnia per contrastare l'edema cerebrale, e proteggere la
pressione di perfusione cerebrale. Le modalità di ventilazione applicate in questa fase sono la CMV,
volumetrica o pressometrica, con la dovuta attenzione a non provocare ostacolo al ritorno venoso.
Se il decorso lo richiede c'è indicazione alla tracheotomia percutanea. Nelle fasi successive il
supporto ventilatorio viene progressivamente ridotto e, ove possibile, si giunge allo svezzamento ed
al ritorno alla ventilazione spontanea. In una percentuale di casi che varia da reparto a reparto, lo
svezzamento dal ventilatore fallisce ed il paziente ne resta dipendente. Il destino di questi ammalati,
in assenza di strutture di lungo degenza, è di restare a vegetare in un centro di rianimazione o, nel
migliore dei casi, essere avviati all domiciliazione protetta e successivamente alla assistenza
domiciliare integrata. L'industria biomedicale ha messo a disposizione modelli di ventilatori
domiciliari con software e modalità di ventilazione molto flessibili che ben si adattano a questo
genere di pazienti.
122
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Bibliografia
1. Marini JJ Wheeler A Critical Care Medicine the essential, chapter 35 2nd Edition William &
Wilkins ed. 1997
2. Oh's Intensive care manual Elsevier ed. 2004
3. The American Thoracic Society and the Canadian Thoracic Society clinical practice guidelines.
Chest. 2006;129:1-25
4. Guentner K., Hoffman L.A. Preferences for Mechanical Ventilation Among Survivors of
Prolonged Mechanical Ventilation and Tracheostomy Am J Crit Care. 2006;15(1):65-77
Polli, bufale e SARS
T. JEFFERSON
Collaborazione Cochrane
[email protected] – www.attentiallebufale.it
La vita, questo meraviglioso dono di Dio, ci riserva delle interessanti sorprese. Una di queste per
me è stata la comprensione che spesso ciò che appare è diverso da ciò che è. Non vi è branca
dell’esperienza umana a cui questo aforisma si applichi meglio della ricerca scientifica in campo
biomedico. La scienza ha sempre avuto un’immagine a metà fra l’ammirazione e la venerazione da
parte dei non addetti ai lavori e non solo. La comunicazione radiotelevisiva ed elettronica della
scienza ha reso possibile ritrovarci degli esperti nel nostro salotto o nel nostro studio di casa ad
offrirci suggerimenti e spiegazioni. Ciò ha reso queste figure, e tutti coloro che lavorano in contesti
scientifici, ancora più capaci di suggestionare le coscienze e indurre cambiamenti di costume,
abitudini e, qui casca l’asino, di mercato.
Da un po’ di tempo, chi, come me, lavora alla sintesi delle prove scientifiche si è reso conto (fatti
alla mano) che la stragrande maggioranza di ciò che si legge e si dice nella scienza biomedica è di
dubbia qualità. A questa pattuglia di strani personaggi se ne è aggiunta un’altra ben più potente e
(agli occhi del pubblico) più qualificata: i direttori delle più grandi riviste scientifiche
internazionali. Gli editor dei principali periodici biomedici, figure mistiche a metà fra giornalisti e
ricercatori, sono sinceramente preoccupati della qualità di ciò che pubblicano ed è per questo che le
loro riviste sono “autorevoli”. Si sono anche accorti che i sistemi di controllo della qualità sono
fallibili, nella migliore delle ipotesi.
Un esempio recentissimo di questa divario fra ciò che è e ciò che sembra è la recente pandemia di
disinformazione sull’impatto dell’influenza aviaria, la sua confusione con una possibile ma incerta
pandemia influenzale e la “volgare” influenza stagionale. Questa pandemia, che ha agitato e
continua ad agitare i cittadini del globo si regge su alcuni regole per creare o gonfiare le storie:
1. Esagera la minaccia. Il tono allarmistico - catastrofico delle comunicazioni di cosiddetti esperti e
media cozza con la realtà di meno di 200 morti su scala mondiale tutti concentrati in situazioni di
alta promiscuità fra uomini ed animali.
2. Esagera i benefici di farmaci e vaccini. I vaccini antinfluenzali contro l’influenza stagionale
hanno un beneficio modesto. Ciò è stato visto da revisioni sistematiche di trial clinici ed enormi
studi di coorte. Gli antivirali o non funzionano (come nel caso dei “vecchi” amantadina e
rimantadina) o hanno benefici imprevedibili contro una possibile pandemia. Anche a questa
123
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
conclusione si è giunti tramite revisioni sistematiche Cochrane di trial clinici pubblicate su riviste
come Lancet.
3. Confondi le acque. Questo è successo soprattutto con la confusione fra influenza stagionale e
pandemia influenzale (data comunque per certa). Le due sono cose diverse per natura e per
espressione clinica oltrechè per caratteristiche epidemiologiche. La confusione è servita soprattutto
per fare passare messaggi errati come la protezione parziale conferita da vaccini antinfluenzali
contro una possibile influenza aviaria.
E’necessario dare suggerimenti utili per tutti coloro che leggono articoli scientifici o ascoltano
oratori scientifici o leggono notizie sui giornali per limitare il rischio di farsi manipolare. Le ricette
che propongo per minimizzare il rischio di bufale non sono infallibili, ma si basano sulla mia
esperienza pratica maturata leggendo e valutando migliaia di lavori in tutte le lingue e provenienti
da ogni contrada del mondo e soprattutto su quella che è l’essenza della cosiddetta medicina basata
sulle prove (o EBM, sigla di Evidence Based Medicine): un atteggiamento critico. La EBM, da
modeste origini, è assurta al rango di scienza occulta praticata da una ristretta cerchia di stregoni,
osannati da governi e potentati vari. In questa sua evoluzione (ma forse si dovrebbe parlare di
involuzione) sta probabilmente il germe della sua disfatta. Più l’EBM diventerà incomprensibile e
arcana e meno servirà all’operatore sanitario comune mortale. Diventerà cioè un altro modo per
guadagnarsi onorificenze e orpelli e perderà la sua anima rivoluzionaria con lontane radici storiche
e culturali al servizio della salute. Offro quindi una serie di strumenti pratici e semplici da usare (la
cui applicazione non dovrebbe richiedere più di uno o due minuti), insieme a strumenti più
complessi per chi ha più tempo e, soprattutto, più voglia. Gli strumenti rapidi e quelli complessi che
presenterò sono pubblicati sul mio libro Attenti alle Bufale (Il Pensiero Scientifico Editore).
Linee guida per la definizione degli standard di sicurezza e di igiene ambientale dei reparti
operatori
V. L’ABBATE
S. C. Anestesia e Rianimazione, A. O. “S.Gennaro” di Napoli
Questo argomento è il frutto di un lavoro intenso di una Commissione Permanente paritetica
istituita con decreto ministeriale presso l’ISPESL di Roma per la definizione dei requisiti normativi
standard assistenziali nel blocco parto e comprende le caratteristiche strutturali tecnologiche
generali, quelle strutturali specifiche, quelle tecnologiche specifiche, le igienico ambientali e
comportamentali e le caratteristiche organizzative gestionali.
Il testo completo delle Linee Guida è disponibile on-line al sito
http://www.ispesl.it/linee_guida/soggetto/saleop.htm
124
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Lessons learned from the pre-hospital medical response to the London bombings July 2005
D. LOCKEY
London Helicopter Emergency Service – [email protected]
On July 7th 2005 a series of terrorist bombs exploded in London. The transport system was targeted
and 57 passengers were killed and around 700 injured. This lecture describes the immediate prehospital medical response to the four scenes. From the perspective of the London Helicopter
Emergency Medical Service the deployment, difficulties on scene and the initial lessons learned are
discussed.
London has had a long history of terrorist attacks and major incidents. Some have involved
considerable loss of life and many have not. The recent bombings have sharply focussed the
emergency services on the latest threat – the suicide bomber. The events in New York in 2001 were
a dramatic illustration of the new threat and it was considered by many inevitable that the UK
would also be a target at some point. After 2001 preparations were rapidly made for the possibility
of suicide bomb and chemical attacks. It was recognised that the security arrangements for the city
were designed for a more conventional threat and changes were made quickly. Further warnings of
the type of attack to expect came with a number of bomb attacks in Europe. They occurred in
Istanbul in November 2003 (1) and Madrid in March 2004 (2) and were very relevant to the London
attacks. All three attacks involved bombs detonated in multiple locations in major cities. The new
plans were tested with several large emergency service exercises with both conventional and
chemical threats in mind. As in Madrid, the London bombings targeted the transport system. Every
morning in London approximately 370,000 passengers use the underground train service and a
further 325,000 passengers use buses (3).
In the UK the pre-hospital ambulance response is provided predominantly by ambulance
paramedics and technicians. In London a helicopter and fast response cars are available to deliver a
senior doctor and flight paramedic to the scene of trauma and major incidents when required. The
same group provide a 365 day response to major trauma in the city and see an average 3-4 cases per
day. All doctors are capable of the full range of trauma procedures and are capable of acting as
MIOs (Medical Incident Officers). London also has a pool of doctors who take on the role of MIO
and who work alongside senior ambulance officers at the scene of major incidents. The medical
response to major incidents in the UK is based mainly on the MIMMS (Major Incident Medical
Management and Support) course which originated in the UK but is now taught in many other
countries. We deployed doctors and flight paramedics to all of the incidents. These teams provided
the formal medical presence at some incidents and worked with other doctors from the London
MIO pool at others. A large number of self responding doctors also provided basic care.
Three bombs exploded on underground trains at approximately 08.50. Initial reports suggested that
there were multiple incidents, possibly due to an electrical power surge. Casualties with smoke
inhalation were reported and a few minutes later fatalities were confirmed at Aldgate Underground
Station. Major incidents were declared at this point. Although three bombs were detonated almost
simultaneously confirmation of casualties and declaration of major incident was delayed in two of
the incidents. This delay seemed to be due to a lack of accurate information coming from the scenes
and occurred before the severe technical communication problems that occurred later.
Doctor – paramedic teams were immediately mobilised to the incidents. At around 09.47 another
bomb exploded on a bus. Two doctors and one paramedic attended this incident by car.
Communications were difficult between the scenes and ambulance control because all but one
mobile telephone network failed and radio communications were also very difficult. Two members
of the Medical Incident Officer pool were dispatched to the control room at central ambulance
control and played a strategic role addressing the wider healthcare needs of London. They also dealt
125
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
with offers of mutual aid from doctors around the country. There were severe difficulties in radio
and telephone communications which isolated the control room from on scene teams. The
individual scenes will be described.
Every major incident is unique and provides lessons for the emergency services. Like the recent
incidents in Madrid and Istanbul, the London bombings were complicated because multiple
incidents occurred simultaneously. Despite this the seriously injured were rescued relatively
quickly, provided with critical interventions on-scene where necessary and transported to
appropriate hospitals. The local medical infrastructure was well able to cope with the sudden influx
of patients and a number of centres rapidly set up minor injury assessment areas to treat the large
numbers of patients with minor injuries. This ensured that the seriously injured had the full
attention of the emergency departments. Initially 56 were confirmed dead out of an estimated 700
casualties (7.7%). Approximately 350 were treated on scene and 350 transported to hospital (4).
This compares with 191 deaths and 2062 casualties (9.2%) in Madrid (2).
For our service the following points were emphasised:
• Multiple scenes create difficult command and communication problems.
• Rapid removal of the seriously injured with minimal medical intervention from potentially unsafe
scenes is a priority and senior doctors are in a good position to direct and support these difficult
tasks.
• Our helicopter was essential to deploy staff and equipment (but not patients) to the various scenes.
• Full personal protective equipment and familiarity with the pre-hospital environment was essential
for effective underground work.
• Scene safety is a major concern for rescuers. Any of these scenes may have contained secondary
explosive devices. This is a well recognised risk at terrorist incidents. In addition, risk of structural
collapse, inhalation of airborne particulate matter and contamination were also issues of concern.
A recent article published in the US literature discusses the use of evidence based planning for
disasters (5). The author makes the point that many assumptions made about major incidents (e.g.
that casualties will be triaged on scene and the most serious sent to hospital first) are simply not
true. Many of the ‘assumptions’ were also shown to be incorrect at this incident.
Self dispatch (rather than dispatch by control centres) by some of the emergency services (including
ourselves) occurred after communications became unreliable.
Initial triage, first medical response and search was often carried out by survivors and passing
professionals rather than by members of the formal medical response who were on scene later.
Facilities must be available to deal with victims bypassing the on-scene infrastructure and
presenting to hospitals distant from the scenes. This is particularly important for those who are
potentially contaminated. Although these incidents were entirely due to conventional explosives the
possibility of chemical agent use was initially of concern.
Casualties may not necessarily be triaged equally to receiving hospitals. This is particularly true
after communications fail. Self referral and actions by medical staff outside the formal response will
lead to unpredictable referral patterns. An example of this in this incident was the admission of
some adult patients to a paediatric hospital.
‘Reverse Triage’. Triage at scene is often assumed to lead to the most severely injured patients
being transported to hospital first. In fact the opposite may be true and this was the case in some of
these incidents. Those that can walk are, by definition, in the lowest triage category and will remove
themselves first from the scene. This is particularly true when there is a perception of ongoing
danger. Those that are trapped may have severe injuries and may be removed from the scene last.
There are two important points which arise from this. Firstly the receiving hospitals must have a
system which effectively separates the less severely injured from the resuscitation areas which may
be required later. Secondly, severely injured patients may spend a long time outside hospital. Prehospital physicians with critical care skills are required to treat patients in this period.
We know that there are countries that deal with similar atrocities on an almost weekly basis and
incidents like this help us to recognise the hard work and efficiency of their emergency personnel
126
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
and the suffering of their populations. This incident was dreadful for those affected by it but we
recognise that the number of casualties could have been much higher and recognise that our future
plans need to reflect this.
References
- Rodoplu U, Arnold JL, Tokyay R, Ersoy G, Cetiner S & Yucel T. Mass-casualty terrorist
bombings in Istanbul, Turkey, November 2003: report of the events and the prehospital
emergency response. Prehospital Disaster Med. 2004 Apr-Jun;19(2):133-45.
- Gutierrez de Ceballos JP, Turegano Fuentes F, Perez Diaz D, Sanz Sanchez M, Martin Llorente
C & Guerrero Sanz JE. Casualties treated at the closest hospital in the Madrid, March 11,
terrorist bombings. Crit Care Med. 2005 Jan;33(1 Suppl):S107-12.
- Transport for London Website: http://www.tfl.gov.uk/tfl/
- Metropolitan Police Press release 8th July 2005.
- Auf der Heide E. The importance of evidence based disaster planning. Ann Emerg Med
2006;47:34-49.
La ventilazione protettiva polmonare nel traumatizzato cranico
M. LUCHETTI
S.C. Anestesia e Rianimazione I Ospedale “A. Manzoni” – Lecco
L’Acute Lung Injury (ALI) e l’Acute Respiratory Distress Sindrome (ARDS) rappresentano
complicazioni note dopo trauma cranico severo. Studi autoptici hanno dimostrato la presenza di
edema polmonare nell’85% dei casi di pazienti deceduti per trauma cranico isolato. La presenza di
ALI/ARDS è associata ad un aumentato rischio di morte e ad esiti neurologici a lungo termine
peggiori.
D’altra parte, è ormai ampiamente accettato che la ventilazione meccanica può essa stessa iniziare e
propagare un danno polmonare istologicamente indistinguibile da quello derivante da altre cause
(Ventilator-Induced Lung Injury – VILI). Alla patogenesi di questo danno concorrono diversi
meccanismi:
• barotrauma (danno da elevate pressioni transpolmonari)
• volutrauma (danno da sovradistensione)
• atelectrauma (danno da collasso ciclico)
• biotrauma (danno da mediatori chimici)
• tossicità dell’ossigeno (danno da radicali liberi).
Il concetto di danno polmonare indotto dal ventilatore ha rivoluzionato il nostro approccio alla
ventilazione dei pazienti con ALI e ARDS negli ultimi 10 anni, dando impulso allo sviluppo della
cosiddetta ventilazione protettiva. Questa, in sintesi, utilizza:
• ridotti volumi correnti (6-8 ml/kg), in modo da evitare la sovradistensione e minimizzare il
volutrauma
• livelli di PEEP relativamente elevati, in modo da assicurare un adeguato volume di fineespirazione ed evitare il collasso ciclico che conduce all’atelectrauma
• concentrazioni di ossigeno inspirato più basse possibili.
L’estensione di questi principi ai pazienti con danno cerebrale rappresenta una sfida impegnativa, in
quanto alcuni di essi contrastano apparentemente con l’usuale trattamento protettivo cerebrale,
ponendoci a volte davanti al dilemma se prediligere la protezione polmonare o quella cerebrale.
127
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Infatti, volumi correnti ridotti possono determinare ipercapnia e aumento del flusso ematico
cerebrale, mentre elevati livelli di PEEP possono provocare aumento delle pressioni intratoraciche
che si ripercuotono sulla perfusione cerebrale, concorrendo entrambi nel causare aumento della
pressione intracranica.
Tuttavia, le conoscenze attuali ci consentono di trattare con sicurezza molti pazienti con ALI/ARDS
e danno cerebrale acuto, entro i margini di una strategia di ventilazione protettiva polmonare.
L’ipercapnia moderata (45-55 mmHg), se necessaria, può essere usata, tenendo sotto controllo la
pressione intracranica e lo stato clinico del paziente.
Livelli medio-elevati di PEEP sembrano essere sicuri in pazienti con trauma cranico e ALI/ARDS,
particolarmente quando il livello è impostato al di sotto di quello della pressione intracranica,
quando i pazienti hanno una bassa compliance respiratoria o quando la PEEP determina un
significativo reclutamento polmonare.
Le manovre di reclutamento dovrebbero essere effettuate con estrema cautela, monitorando
pressioni respiratorie e intracraniche, ed essere applicate per un breve periodo di tempo.
In pazienti con ipertensione endocranica refrattaria l’equilibrio ottimale tra cervello e polmone non
è ancora ben definito. In questi casi sembra preferibile privilegiare la protezione cerebrale a scapito
di quella polmonare.
Sono in corso numerose ricerche su altre strategie di protezione polmonare nella popolazione dei
pazienti neurotraumatizzati. Queste includono l’uso della posizione prona oppure di tecniche
ventilatorie diverse, quali la ventilazione ad alta frequenza o l’insufflazione tracheale.
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La rianimazione del neonato asfittico e del prematuro estremo
G.A. MARRARO, MD
g. Direttore S.C. Anestesia e Rianimazione Terapia Intensiva Pediatrica, A. O. Fatebenefratelli ed Oftalmico, Milano E-Mail: [email protected]
Generalità
Si definisce neonato prematuro il feto che nasce prima della 37. settimana di età gestazionale
mentre si definisce neonato prematuro ad alto rischio quello che nasce prima della 30. settimana e
con peso inferiore ai 1000 g. Il neonato che nasce al di sotto della 25. settimana di età gestazionale è
considerato neonato estremo.
La maggior parte dei neonati con età gestazionale superiore alla 32. settimana non presenta
alla nascita particolari problemi che richiedano manovre rianimatorie immediate atte a favorire
l’adattamento alla vita extra-uterina. I neonati di età inferiore alla 32. rappresentano l’1% dei nati e
il 45% della mortalità perinatale è segnalata in questa categoria di piccoli. Questi neonati richiedono
spesso un'assistenza rianimatoria immediata e qualificata.
La rianimazione del neonato prematuro, al di sotto di 30 settimane di età gestazionale e di 1000
g di peso, è gravata da maggiori rischi e elevate complicanze rispetto al neonato a termine perché
questi prematuri:
129
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
1. sviluppano con maggiore facilità l’insufficienza respiratoria per incompleto sviluppo
anatomico del polmone nel quale prevalgono i sacculi terminali rispetto agli alveoli;
2. sono predisposti all’ipotermia per la presenza di cute molto sottile, di strato corneo non
completamente sviluppato e per la scarsa presenza e scarsa capacità di accumulo nel
sottocute di grasso bruno;
3. l'encefalo presenta una notevole fragilità vascolare della matrice germinale subependimale
per cui è più facile il sanguinamento a seguito dell’ipossia, della rapida variazione
dell’osmolarità plasmatici, della pressione arteriosa, e risulta particolarmente fragile rispetto
a manovre rianimatorie invasive e di nursing.
La rianimazione del prematuro estremo diviene controversa man mano che si riduce l’età
gestazionale ed il peso del feto. La sopravvivenza aneddotica in neonati di 450 g o meno senza esiti
neurologici è stata segnalata da tempo. Spesso, però; il basso peso alla nascita non è correlato all'età
gestazionale. Questo tipo di neonato è chiamato piccolo per l’età gestazionale; “small for date”, e
presenta una sopravvivenza migliore rispetto a quello con età gestazionale inferiore. La corretta
valutazione dell’età gestazionale, piuttosto che del peso, permette di fornire una migliore prognosi
sulla possibilità di sopravvivenza del neonato prematuro.
Molti autori segnalano per i neonati al di sotto della 23. settimana di gestazione una
sopravvivenza inferiore al 25%, con un aumento della sopravvivenza al 66% quando il feto ha
superato la 25. settimana. Altri ritengono che al di sotto di 23 settimane di età gestazionale è bene
non intraprendere manovre rianimatorie primarie, specialmente se il neonato nasce non vitale, in
quanto l’esito finale del trattamento sarà presumibilmente negativo, sia quod vitam sia quod
valetudinem.
Diverso deve essere l'atteggiamento terapeutico nel caso in cui la stima dell’età gestazionale può
non essere corretta per irregolarità del ciclo mestruale materno. In questo caso, il neonato deve
essere considerato nella sua vitalità e il trattamento deve essere intrapreso in ogni caso di dubbio.
L'astensione o la sospensione del trattamento rianimatorio alla nascita del neonato asfittico o
prematuro deve tenere conto delle seguenti situazioni cliniche in cui la rianimazione può assumere
le caratteristiche dell’accanimento terapeutico:
1. neonati in cui l'attesa di vita è molto breve, a prescindere dal trattamento intensivo applicato;
2. neonati in cui il trattamento impone gravi sofferenze che vanno oltre il beneficio ottenibile.
Caratteristiche essenziali anatomo-fisiologiche del neonato prematuro
I prematuri, e in modo particolare i prematuri estremi differiscono quasi completamente dai
neonati a termine e dai prematuri di età gestazionale più avanzata per i seguenti fattori:
1. I polmoni presentano una scarsa quantità di alveoli ed al loro posto prevalgono i bronchioli
terminali ed i sacculi. Queste strutture anatomiche polmonari non permettono un adeguato
scambio gassoso, con facilità si collassano, risultano difficili da aprire e mantenere
continuativamente aperte e conseguentemente la ventilazione in queste condizioni cliniche
risulta molto difficoltosa e gravata da gravi effetti indesiderati;
2. Il mancato o l'incompleto sviluppo degli pneumociti di tipo II (cellule epiteliali alveolari)
provoca una riduzione della produzione del surfattante per cui il bronchiolo terminale e i
sacculi alveolari risultano altamente da un lato estremamente instabili e difficili da
mantenere aperti e dall’altro possono permettere la migrazione dall’interstizio di liquido
ricco in proteine verso l'alveolo (edemizzazione del polmone e formazione di membrane
ialine);
130
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
3. La cute è molto sottile e altamente permeabile per la ridotta presenza dello strato corneo
protettivo. La mancanza di questo strato favorisce la perdita di calore e di liquidi e lo
sviluppo di lesioni cutanee;
4. I capillari dell'encefalo (specialmente per quanto riguarda la matrice germinale) sono molto
fragili e facilmente vanno incontro al sanguinamento (emorragia intraventricolare) quando il
neonato è sottoposto a manipolazioni molto vigorose o se la testa viene mantenuta a lungo in
posizione declive. I capillari, inoltre, sono poco resistenti alla rapida espansione del volume
vascolare e agli aumenti di pressione;
5. Presenza di infezioni in atto alla nascita e facilità del loro sviluppo nei primi giorni di vita.
Preparazione al parto
La conoscenza in anticipo della possibile nascita di un neonato a rischio permette di allertare
tempestivamente personale altamente qualificato, capace di assistere il parto e di rianimare il
piccolo appena nato. L’asfissia, che deve essere evitata il più possibile, predispone alla insufficienza
respiratoria idiopatica, all’emorragia periventricolare e all’enterocolite necrotizzante. Spesso fa
aumentare il rischio della mortalità e della comparsa di gravi esiti neurologici.
Anche la valutazione alla nascita di tutti i neonati, anche del neonato estremo; è fatta
mediante l’Indice di Apgar. Se questo è inferiore a 4 al 1. minuto dalla nascita, l’incidenza della
mortalità nel grave prematuro è di circa il 60%. Nei neonati al di sotto dei 1500 g se l’indice alla
nascita è tra 4 e 10 la mortalità si riduce al 15%.
La sala parto deve essere attrezzata adeguatamente al fine di far fronte a tutte le emergenze e
deve disporre di un'area a temperatura controllata per evitare la perdita di calore del neonato.
Il materiale deve essere stato attentamente controllato e scelto in rapporto al peso e all’età
gestazionale del neonato da trattare. In modo particolare deve essere posta attenzione nella scelta
della lama del laringoscopio, dei tubi endotracheali e della pinza che favorisce l'intubazione. La
ristrettezza della bocca può condizionare la scelta dell'intubazione nasotracheale rispetto a quella
oro tracheale in quanto, il posizionamento del tubo dal naso, permette una migliore visione
dell'accesso laringeo rispetto a quanto è possibile qualora il tubo sia posizionato dalla bocca.
L’intubazione nasale necessita l'impiego di tubi morbidi e di ridotto calibro (da evitare i tubi
termolabili che all'inizio presentano una certa rigidità) che facilmente attraversano le vie aeree
superiori senza provocare lesioni.
L'impiego di tubi molto grossi, introdotti in trachea forzando l'accesso laringeo, possono
provocare lesioni gravi alle corde vocali, al laringe e alla trachea che potranno complicare il decorso
clinico (comparsa di stenosi e di tracheomalacia) e rendere difficile e problematica l'estubazione.
Per una migliore visione laringoscopia ed un corretto posizionamento, è preferibile
accompagnare il tubo attraverso le corde vocali facendo uso di una pinza a baionetta piccola o della
pinza di Magill pediatrica, evitando di usare presidi che possono risultare inadatti ed ingombranti.
I sondini d'aspirazione devono essere di due differenti tipi e in stretto rispetto al loro
impiego: per liberare le vie aeree superiori e il cavo orale è necessario un maggiore diametro,
mentre per l'aspirazione endobronchiale è indispensabile l’uso di un diametro più piccolo. La scelta
del calibro del sondino endotracheale è di fondamentale importanza in quanto un sondino di troppo
piccolo non permette un’efficace aspirazione delle secrezioni entotracheali mentre uno di grosso
calibro occlude in larga parte il lume del tubo e favorisce il collasso del polmone per l’effetto della
pressione negativa applicata durante l’aspirazione.
131
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Rianimazione alla nascita
Esistono delle raccomandazioni per la rianimazione del neonato che si basano in larga parte
su opinioni di esperti clinici o su limitati studi clinici controllati. Spesso alcune indicazioni o
proposte terapeutiche possono risultare estremamente personali e nel breve volgere di tempo non
essere più applicate. Nonostante gli sforzi negli ultimi anni per realizzare linee guida sicure e
accettate da tutti, non si dispone ad oggi di protocolli basati sull'evidenza.
Il neonato gravemente prematuro si adatta alla vita extrauterina con difficoltà per cui spesso
richiede iniziali supporti rianimatori anche se il parto è avvenuto nelle migliori condizioni. Più
immaturo è il neonato e più probabile sarà la necessità di un intervento rianimatorio invasivo e
complesso alla nascita.
L’Indice di Apgar non è impiegato per porre la necessità di un intervento rianimatorio
primario in quanto, nelle situazioni più gravi, il trattamento del neonato avviene prima del suo
rilevamento. In modo particolare non ha valore significativo nel neonato pretermine in cui
l’evoluzione dell’insufficienza respiratoria è a rapida ed imprevedibile, per cui l’attesa nell’inizio di
un adeguato trattamento può risultare fatale per la sopravvivenza e per il futuro neurologico del
piccolo.
Attualmente c’è la tendenza ad intubare e a ventilare immediatamente alla nascita tutti i
neonati al di sotto della 28. settimana di età gestazionale per favorire un’adeguata espansione dei
polmoni, per ridurre l’incidenza della sindrome respiratoria idiomatica (RDS o malattia a membrane
ialine) e per favorire l’adattamento cardiocircolatorio senza eccessiva fatica da parte del neonato. E’
stato dimostrato un miglioramento della sopravvivenza dal 51 al 77% dei neonati con peso inferiore
ai 1500 g quando erano stati elettivamente intubati alla nascita.
Nel prematuro vitale il trattamento invasivo è più modulato nel tempo e solo qualora non si
instaura rapidamente un’adeguata ventilazione si suggerisce la ventilazione manuale con maschera.
In ogni caso, i prematuri che non instaurano un’efficace respirazione entro 1 minuto di vita, devono
essere intubati immediatamente e ventilati manualmente per favorire l'adattamento respiratorio alla
vita extrauterina (espansione del polmone, riassetto della circolazione).
La ventilazione manuale con maschera è difficile nel neonato a termine e si rende ancora più
difficile nel neonato prematuro. La sua reale efficacia appare spesso molto discutibile. La
ventilazione manuale con maschera può avere un valore terapeutico nell’assistenza del respiro
spontaneo, qualora questo sia presente ma non completamente sufficiente.
L’impiego di un tubo di 2 mm di diametro è controverso e le linee guida internazionali lo
sconsigliano per le resistenze che lui offre alla ventilazione, per la facilità della sua ostruzione e per
la difficoltà dell’aspirazione delle secrezioni. Il suo uso può essere necessario per mancanza di
valide alternative, ma deve far tenere conto delle resistenze offerte e della difficoltà all’espansione
del polmone se non si usano pressioni d'insufflazione adeguate. Le resistenze e la ventilabilità
possono essere migliorate accorciando in lunghezza il tubo.
Alcuni prematuri hanno polmoni molto elastici e necessitano di basse pressioni di
insufflazione per la loro espansione. L'elevata elasticità della gabbia toracica gioca un ruolo
sfavorevole nella stabilizzazione della ventilazione in quanto per un mancato adeguato tono della
gabbia toracica necessario per la distensione e deflazione del polmone. Alcuni prematuri
necessitano di pressioni di insufflazione elevate per favorire la rimozione del liquido fetale
132
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
intrapolmonare ancora esistente e per espandere adeguatamente i polmoni. Anche in questi piccoli
possono essere necessarie, nei primi atti respiratori, pressioni di apertura che superano i 40 cm di
H2O.
In tutti questi piccoli, e in generale nel neonato con difficoltà respiratorie alla nascita,
l'impiego della PEEP in respiro spontaneo (CPAP) risulta fondamentale per mantenere un'adeguata
capacità residua funzionale e migliorare lo scambio gassoso.
In molti neonati prematuri, e in particolare in quelli al di sotto di 28 settimane di età
gestazionale, è consigliabile procedere all’immediata somministrazione di surfattante esogeno al
fine di permettere un migliore stabilità dell’alveolo e del bronchiolo e quindi migliorare lo scambio
gassoso e ridurre le pressioni necessarie per la ventilazione. Esistono chiare evidenze che una
terapia precoce con surfattante migliora la sopravvivenza del grave prematuro. Il momento della
somministrazione rimane ancora controverso per il rischio di trattare piccoli che potrebbero
sopravvivere anche senza la supplementazione del surfattante.
Durante le manovre di rianimazione, deve essere posta particolare attenzione all’impiego
non strettamente controllato dell’ossigeno. Concentrazione di ossigeno superiori al 40% possono
risultare altamente tossici. E’ bene ricordare che in molti casi l'ipo-ossigenazione, legata a problemi
ventilatori, si corregge ventilando adeguatamente il piccolo in aria ambiente. I prematuri sono
altamente sensibili alle elevate tensioni di ossigeno che possono creare lesioni sia a livello
polmonare, dove le cellule alveolari possono essere direttamente danneggiate e/o possono favorire
la formazione di radicali liberi. La retinopatia del prematuro chiama in causa un eccessivo impiego
di ossigeno.
E’ stato dimostrato che non esiste la necessità assoluta di impiegare l'ossigeno al 100% nella
rianimazione primaria. Alcuni autori hanno segnalato da vari anni di non aver riscontrato differenze
sia negli esiti neurologici sia nella sopravvivenza, nei neonati asfittici rianimati con FiO2 0.21
invece dell’ossigeno al 100% . La quantità di ossigeno da impiegare alla nascita resta ancora
irrisolta anche se si suggerisce un suo ridotto impiego sia in concentrazione sia in durata.
Lo pneumotorace e l’enfisema interstiziale sono facili e frequenti complicanze della
ventilazione del prematuro per cui viene suggerito di iniziare la ventilazione d’apertura del polmone
con pressioni tra 20 e 25 cmH2O e di aumentarle progressivamente sino ad ottenere la distensione
controllata della gabbia toracica e un adeguato ingresso d’aria nel polmone.
L’arresto cardiaco nel neonato, e nel prematuro in particolare, è conseguente all’ipossia o
all’anossia e si risolve nella maggior parte dei casi spontaneamente dopo un’adeguata ventilazione.
In caso di persistenza dell’arresto cardiaco, il massaggio cardiaco segue le stesse linee guida usate
per il nato a termine. In caso di non ripresa dell’attività cardiaca, una volta instaurata la corretta
ventilazione, si può fare uso dell’adrenalina, alla dose di 0.01 – 0.03 mg/kg. In caso di insuccesso
della prima dose, la seconda dose deve essere aumentata di 10 volte.
In caso di rianimazione primaria, l'infusione rapida di elevate quantità di liquidi al fine di
normalizzare il circolo, può favorire l’emorragia intraventricolare per cui corre l'obbligo di
somministrare lentamente sia i liquidi sia i farmaci e in dosi controllate per evitare i rapidi
cambiamenti del volume circolante e dell’osmolarità plasmatica.
Il prematuro che ha presentato problemi gravi alla nascita è ad alto rischio dell’enterocolite
necrotizzante. In questi piccoli l’alimentazione deve essere iniziata con estrema cautela e
133
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
immediatamente sospesa nel caso in cui compaia vomito, distensione addominale e feci striate di
sangue.
Mantenimento
Una rianimazione che ha dato risultati positivi deve prevedere il controllo continuo della
funzione cardiopolmonare nel tempo. La sospensione troppo rapida dell'intervento rianimatorio può
far correre il rischio di perdere i benefici ottenuti. La strategia ventilatoria deve mirare a provvedere
un adeguato apporto di ossigeno e a ridurre la CO2 tenendo contro di non creare barotrauma o
volutrauma. La normocapnia è da ricercare per evitare gli effetti negativi sull'encefalo sia
dell'ipercapnia sia dell'ipocapnia. L'ipercapnia permissiva è da sconsigliare perché espone il neonato
al rischio di complicanze emorragiche così come può avvenire per il rapido passaggio
dall'ipercapnia all'ipocapnia.
Nella fase successiva all’arresto cardiaco, può persistere una ridotta gittata cardiaca per cui
può essere necessario somministrare farmaci inotropi. L’ipoglicemia e l’ipocalcemia sono di facile
e frequente riscontro nel neonato asfittico per cui devono essere indagate e prontamente trattate.
La correzione dell’acidosi metabolica deve essere fatta solo quando la ventilazione è
divenuta efficace e la CO2 si è normalizzata. L’acidosi, in buona parte, si corregge con
l’instaurazione di efficienti scambi gassosi e con l’eliminazione della CO2.
In un neonato che ha avuto una rianimazione alla nascita importante e prolungata è
necessario il controllo del danno cerebrale e delle convulsioni in quanto il persistere dello stato
convulsivo determina un ulteriore danneggiamento cerebrale.
E’ stata impiegata una moderata ipotermia che ha sortito lusinghieri risultati dopo ischemia
cerebrale focale o generale sull’animale. Poche segnalazioni sono state fatte nell’uomo per cui il
trattamento ipotermico non è ancora confermato nella sua reale validità clinica.
Il preciso meccanismo per cui la modesta ipotermia che viene impiegata possa fornire una
neuroprotezione rimane poco chiaro e non può essere spiegato con la modesta riduzione del
consumo di ossigeno che si osserva riducendo la temperatura corporea a 34 °C. Probabilmente
l’effetto neuroprotettivo è legato alla riduzione del rilascio di aminoacidi eccitatori, della sintesi
proteica, del consumo di risorse energetiche e della formazione di radicali liberi.
Spesso i bambini rianimati, dopo arresto cardiaco prolungato, muoiono nelle ore o nei gironi
successivi alla rianimazione per insufficienza multiorgano grave. La validità della rianimazione
deve essere confermata non solo dalla sopravvivenza del neonato ma anche dal limitato numero di
esiti neurologici. Segni quali le convulsioni, anomalie del ritmo respiratorio e le apnee, ipertonia o
ipotonia mono o bilaterale, movimenti scoordinati del corpo, ipotonia generalizzata e la presenza di
fontanelle rigonfie a seguito dell'aumento della pressione intracranica, devono far sospettare un
esito neurologico sfavorevole. Il danno ipossico-ischemico può evolvere nel tempo provocando
gravi handicap neurologici, convulsività accentuata, paralisi cerebrale e ritardo mentale.
Il neonato ad alto rischio ed il grave prematuro devono essere trattati in ambiente altamente
qualificato. La centralizzazione delle gravidanze a rischio risulta fondamentale per ridurre la
morbilità e la mortalità materna e neonatale.
Nel caso in cui il parto avvenga in sale parto di I° o di II° livello, il trasporto del neonato
deve avvenire quando si sono stabilizzati i parametri vitali e quando il trasferimento neonato non
134
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
arreca un deterioramento delle funzioni riattivate. Per le brevi distanze è preferibile l'uso
dell'ambulanza, mentre per le lunghe distanze è preferibile l'uso dell'elicottero. Ne limitano il suo
impiego l’operatività rispetto alle ore di luce, alle condizioni atmosferiche e gli alti costi.
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Specificità anestesiologiche-rianimatorie nell’anziano
A. MORONI
Direttore Servizio Anestesiologia Ospedale di Foligno – Perugia
Tutti noi abbiamo ben evidente l’importanza demografica dell’invecchiamento nella popolazione
sottoposta ad anestesia. Qui di seguito si rappresenta graficamente la distribuzione per classi di età
nell’Unione Europea, ma problematiche simili si ritrovano ovunque, tanto per dire negli Stati Uniti
il 12% dell’intera popolazione è ultrasessantacinquenne e rende conto di più del 35% degli
interventi chirurgici totali. In questo momento nel ns. Paese l’aspettativa di vita è di 77 aa. per
l’uomo e di 81 per la donna.
Nella letteratura medica internazionale si fa riferimento ad una definizione di invecchiamento come
di “progressivo, globale fenomeno fisiologico clinicamente caratterizzato da modificazioni
degenerative nella struttura e riserva funzionale di organi e tessuti”; in questo continuum si suole
distinguere gli “elderly” fino a 74 aa., gli “old” fino a 84 aa., i “very old” oltre gli 85.
Vi sono quindi aspetti:
- fisiologici
- biochimici
- nutrizionali
- genetici
- patologie intercorrenti
Il concetto che ne deriva con forza è quello, di “riserva funzionale” (a sua volta cardiopolmonare,
epatorenale, immunologia, neurologica, metabolico-nutrizionale), che fa parlare di una distinzione
non anagrafica ma tra “physiologically young/old”.
La motivazione ultrastrutturale di quest’ambito si ritrova nelle seguenti alterazioni cellulari:
- Alterazioni sintesi proteica (proteine modificate, difettose)
- Trascrizione di acidi nucleici difettosi (modificati)
- Alterazioni di nDNA
- Alterazioni di mtDNA
- Aumento dei radicali liberi / riduzione degli “scavengers” – S.O.D.
- “Stress ossidativo” / deficit energetico mitocondriale
In ambito perioperatorio le problematiche più peculiari sono, seguendo la terminologia
anglosassone:
- Persistent POCD
- Poor wound healing
- Impaired immune responsiveness
Esaminando più da vicino le problematiche dei vari organi ed apparati, si evidenzia nel sistema
neuromuscolare:
- Intelligenza/memoria (persistent POCD)
- Atrofia cerebro/cerebellare (sostanza grigia)
- Riduzione dei neuroni (talamo, locus coeruleus, nuclei della base)
- Riduzione dei neurotrasmettitori (serotonina – catecolamine – acetilcolina)
- Riduzione fibre motorie / sensitive / autonomiche
- Termoregolazione
- Riduzione della massa muscolare scheletrica
136
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Quanto al sistema ormonale, gli aspetti più evidenti sono:
- Diminuzione Growth Hormone
- Diminuzione Insulin Like Growth Factor 1
- Diminuzione ormoni androgeni
- Aumento del tono simpatico
- Disidratazione intracellulare
- Atrofia muscoloscheletrica
- Aumento frazione lipidica
Di ovvia rilevanza perioperatoria sono le modificazioni cardiovascolari:
- Resting C.I.
- Diminuzione possibilita’ di aumento frequenza cardiaca
- Aumento del precarico sin. (LVEDV) (Frank Starling)
- Tendenza a disfunzioni ventricolari diastoliche
- Riduzione elasticità grosse arterie (aumento PAOS)
- Diminuzione effetto beta-adrenergici (beta down regulation)
A livello respiratorio le problematiche sono le più varie, ma parlando in via puramente generale
predominano:
- Enfisema (riduzione tessuto elastico)
- COPD (fumo di sigaretta)
- CV diminuita CFR aumentata
- PAO2/SaO2 diminuita
- PaCO2 senza sostanziali modifiche
- FEV1 diminuzione del 12% ogni 10 anni
Il sistema metabolico, ed in particolare quello epato-renale, riconosce le seguenti modificazioni:
- Diminuzione clearance creatinina
- Diminuzione flusso plasmatico renale efficace
- Diminuzione filtrazione glomerulare
- Ridotta capacità di concentrazione urinaria (perdita di acqua libera)
- Diminuzione massa epatica funzionante
- Ridotto flusso epato-splancnico
- Diminuzione sintesi colinesterasi plasmatiche
Andando più da vicino ad esaminare il periodo perioperatorio, di ovvia importanza sono le
interazioni farmacologiche (pazienti in multiterapia) così come le variazioni farmacocinetiche e
farmacodinamiche:
- TBW diminuita
- VDss diminuita
- MAC/MEAC ridotta anche del 25-35%
In termini d’organizzazione del perioperatorio geriatrico, sarebbe necessario implementare strategie
volte alla dimissione domiciliare più precoce possibile, con ovvie ripercussioni sull’organizzazione
dell’ospedale in un’ottica di “day surgery”.
Per ciò che concerne la valutazione preoperatoria:
- Anamnesi ed E.O. (importanza di malattie preesistenti e relative terapie)
- Analisi di laboratorio (emocromo, funzionalità renale, glicemia, coagulazione, ionogramma
plasmatici)
- ECG (12derivazioni), ecocardiografia doppler (DDVS)
137
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
-
RX torace
Una complicanza che si segnala come particolarmente rilevante è il Declino Cognitivo PostOperatorio (POCD) dopo chirurgia ed anestesia apparentemente senza complicanze, che può
riflettere la complessa interazione tra modificazioni neuroendocrine da stress, danni preesistenti
ippocampali ed alterazioni evolutive più generali cerebrali propria di questa classe d’età. Tale
disturbo, che può interessare fino al 15% degli anziani operati (a fronte del 10 – 65% degli anziani
ospedalizzati), ha un’interessante evoluzione temporale, in quanto avviene in 1° giornata nel 36%
dei paz. anziani, in 7° nel 26%, ed a 3 mesi dall’intervento residua nel 10% dei paz. anziani.
Una forma di prevenzione può essere l’attenzione a:
- Farmaci anticolinergici (polifarmacologia)
- Malnutrizione (disidratazione)
- Limitazioni fisiche
- Cateteri vescicali /sonde SNG / drenaggi.
Per quanto concerne il tipo d’anestesia, generale, centroassiale, o tronculare periferica, in questa
classe d’età ovviamente è ancora più valido il concetto dell’individualizzazione del trattamento
farmacologico perioperatorio, evitando la ipossia/ipercapnia e con un adeguato controllo del dolore.
E’ quindi opportuno utilizzare farmaci a rapida cinetica ed eliminazione, per minimizzare gli effetti
residui.
Le complicanze cardiache postoperatorie in età geriatrica non riguardano tanto la funzione sistolica
a riposo, mantenuta anche in età avanzata in assenza di patologie, ma la disfunzione diastolica
ventricolare sinistra, con una ridotta capacità di rilasciamento del ventricolo sinistro ed un aumento
della pressione atriale e ventricolare.
In sede intraoperatoria, accanto ad un monitoraggio cardiaco avanzato (CVP, PCWP), è quindi
importante:
- Ritmo sinusale /volume adeguato
- Evitare tachicardia ed ipertensione
- Diagnosi e trattamento ischemia miocardica
E’ quindi ovvio che l’ipotensione può essere meglio tollerata, purché non prolungata ed in assenza
di occlusione carotidea e stenosi aortica/mitralica.
Le complicanze polmonari sono ovviamente correlate agli usuali fattori di rischio, quali il fumo di
sigaretta, l’obesità, le pneumopatie preesistenti (COPD, asma).
Infine, è forse più interessante riassumere il tutto considerando che non è l’invecchiamento, ma le
malattie correlate all’invecchiamento che occupano tanta parte della nostra attività quotidiana.
Bibliografia
- Barash P.G., Cullen B.F., Stoelting R.K. “Clinical Anestesia”4th edition 2001, p. 1205-1216
- ASA Refresher Courses in Anesthesiology vol. 29, 2001, p.175-188
- ASA Refresher Courses in Anesthesiology vol. 31, 2003, p.139-150
- Atti Congresso APICE 2000, p.555-588
- Atti Congresso APICE 2001, p.873-902
- Minerva Anestesiologica vol. 70, n.5, 2004, p.273-278
- Minerva Anestesiologica vol. 70 Suppl. 1 n.9, 2004, p.151-160
- Minerva Anestesiologica vol. 71 Suppl.1 n.10, 2005, p.451-453
- Minerva Anestesiologica vol. 71 Suppl.1 n.10, 2005, p.687-696
138
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Esperienze a confronto nell’organizzazione e gestione dell’emrgenza in italia
A. MORRA1; P. BOZZETTO2; S. AGOSTINIS3
1 Direttore S..S..I. “Gestione dell’Emergenza” Dipartimento Emergenza e Accettazione Ospedale Martini, Torino,
Italia, 2 I.P. S.S.I. “Gestione dell’Emergenza” Ospedale Martini, Torino, 3 I.P. Centrale Operativa 118, D.E.A. ASO
C.T.O. Torino, Italia
L’introduzione ricalca il testo della relazione inserita nel 59° Congresso S.I.A.A.R.T.I. del 2005.
Per Grande Emergenza si intendono due scenari complessi.
• Disastro o Catastrofe: in cui i sistemi di soccorso sono danneggiati
• Maxiemergenza: in cui i sistemi di soccorso inclusi gli Ospedali sono intatti.
Nel corso della relazione ci riferiremo sopratutto a questo secondo scenario, per una
semplificazione degli aspetti organizzativi.
Principi fondamentali della Medicina delle Catastrofi
La Medicina delle Catastrofi ha lo scopo di fornire la risposta sanitaria corretta quando le risorse
sono insufficienti rispetto alle necessità dell’evento; si basa sull’integrazione delle varie componenti
dei soccorsi.
Vanno considerati due aspetti basilari:
1. l’integrazione tra le istituzioni dei soccorsi ossia la condizione per giungere ad una sinergia
operativa finalizzata ad un obiettivo comune.
2. il concetto di vittima esteso nella sua globalità, ossia non soltanto morti e feriti ma tutti
coloro che sono stati colpiti negli affetti e nella psiche.
Strumenti della Medicina delle Catastrofi
La medicina delle catastrofi rappresenta in realtà l’insieme di vari tipi di discipline rivolte al
raggiungimento di obiettivi comuni cioè alla limitazione delle sequele e della perdita di vite umane.
L’ambiente ostile dove si svolgono le operazioni necessita di una capacità di adattamento tipica
della medicina da campo, l’identificazione delle priorità caratterizza la medicina d’urgenza, la presa
in carico sanitaria di un gran numero di vittime deve tenere conto della medicina di massa ed il
concetto di vittima inteso nella sua globalità è peculiare della medicina globale. Occorre partire da
una pianificazione preventiva applicabile sul campo tipica della medicina di dottrina mantenendo
una gerarchia dei compiti ed una essenzialità dei trattamenti caratteristici della medicina di guerra.
L’aspetto peculiare di ogni disciplina scientifica è l’utilizzo di strumenti operativi; quelli che
caratterizzano la medicina delle catastrofi sono tre:
1. la strategia, ossia l’arte di ideare i piani di emergenza
2. la logistica, con cui s'intende l’insieme di personale, mezzi e materiali finalizzato alla
realizzazione dei piani.
3. la tattica, in altre parole l’applicazione dei piani con lo svolgimento della catena dei
soccorsi.
1. Strategia
La strategia è l’arte di ideare i piani di emergenza e tre capisaldi ne rappresentano il cardine:
• Top Management
I piani di emergenza devono essere predisposti dagli operatori più esperti ideando situazioni
realisticamente possibili
• Piani di Emergenza
139
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
La stesura dei piani di emergenza ha come punto di partenza l’analisi dei rischi presenti nel
contesto territoriale; è bene sottolineare che la realizzazione di una risposta deve basarsi sulla
previsione degli eventi relativa alle conseguenze degli stessi.
• Preparazione degli Operatori
La formazione degli operatori è un requisito imprescindibile
2. Logistica
La logistica è tutto quanto permetterà al sistema di sopravvivere, è letteralmente definibile come
l’arte del provvedere e di permettere un equo e razionale dispiegamento sul campo di uomini
materiali e mezzi.
Occorre stabilire a priori alcuni criteri di valutazione:
• La tipologia dell’evento: il crollo di una struttura abitativa in ambiente urbano determinerà
una risposta diversa rispetto al deragliamento ferroviario.
• L’ambiente operativo: le condizioni ambientali influenzano pesantemente la risposta del
sistema. L’azione che si svolge su luoghi impervi, la presenza di possibili ulteriori rischi, le
difficoltà legate all’accesso delle vittime, le condizioni climatiche e la possibilità di
convogliare le risorse sul teatro dell’evento, rappresentano aspetti vincolanti che devono
essere considerati.
• La durata delle operazioni: l’autonomia dei soccorritori è un’importante variabile ai fini
logistici
3. Tattica
La tattica è l’applicazione dei piani di soccorso attraverso procedure operative consequenziali
finalizzate alla creazione della catena dei soccorsi.
Questa sequenza è applicabile in ogni evento, indipendentemente dal tipo di catastrofe e deve essere
considerata il modello operativo a cui riferirsi.
Gli aspetti peculiari della catena dei soccorsi devono rispondere a determinati requisiti:
a) Un unico ente di ricezione dell’allarme che dimensioni l’evento e fornisca prontamente una
risposta
b) La medicalizzazione costituisce il fulcro della medicina delle catastrofi, benché i problemi
riscontrabili nelle emergenze ordinarie risultino amplificati, l’errore più comune è il
pensiero di affrontarli aumentando disordinatamente lo spiegamento di forze in campo.
L’approccio più corretto sarà stabilire la priorità di evacuazione verso i luoghi di cura
definitivi per le vittime. La medicalizzazione sarà condotta a diversi livelli e nello specifico
all’interno del Posto Medico Avanzato ossia una struttura interposta tra il sito dell’evento e
gli ospedali dove le vittime potranno essere messe in condizioni di affrontare la successiva
evacuazione.
c) L’evacuazione è il circuito ininterrotto dei mezzi dal posto medico avanzato ai luoghi di
cura definitivi. L’evacuazione può svolgersi con l’ausilio di mezzi usati nella quotidianità o
di mezzi speciali.
d) L’ospedalizzazione è l’ultimo anello della catena dei soccorsi; i nosocomi dovranno
predisporre piani di emergenza per un gran numero di vittime.
Analizzeremo seguito ciascuna fase temporale insita nella Tattica:
a.
Fase di allarme
L’ente preposto alla ricezione dell’allarme di pertinenza sanitaria è la Centrale Operativa (C.O.) del
sistema 118.
È compito della C.O. stilare procedure operative conosciute da tutti coloro che verranno inviati sul
campo, dimensionare l’evento attraverso una mirata raccolta di informazioni e modulare la risposta
sulla base delle necessità.
140
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
b.
Zona dei Soccorsi sanitari
La zona dei soccorsi deve essere allestita in prossimità dell’area colpita, possibilmente al riparo da
rischi evolutivi. Nelle prime fasi dell’evento lo stress e la confusione raggiungeranno livelli
elevatissimi. Il primo equipaggio ad intervenire deve essere indottrinato, perché avrà il compito di
confermare e trasmettere le informazioni necessarie per fornire una risposta adeguata all’evento.
Aspetti e compiti della zona dei soccorsi:
• L’improvvisazione: è la prima fase osservabile sull’area colpita; è caratterizzata da tensioni
emotive e risposte psichiche di vario tipo. La soluzione proponibile rimane l’educazione
sanitaria che attraverso l’informazione, il coinvolgimento e la partecipazione attiva ad
esercitazioni e momenti formativi simulati deve identificare il suo primo bersaglio nella
popolazione.
• La ricognizione preliminare: fornisce gli elementi per modulare una risposta adeguata
all’evento, è effettuata dall’alto tramite mezzo aereo oppure dal primo mezzo terrestre che
giunge sul luogo. Si tratta di un insieme di operazioni importanti che devono essere svolte
da personale addestrato poiché l’obiettivo non è il soccorso immediato alle vittime bensì la
trasmissione di una descrizione della scena ed in particolare la tipologia del sinistro, il
numero presunto delle vittime e la patologia prevalente.
La ricognizione è finalizzata a rilevare inoltre a valutare l’estensione del sinistro rilevandone i limiti
topografici, la persistenza di zone a rischio e la presenza di pericoli, le conseguenze sull’ambiente
con valutazione di danni a strutture, identificazione di aree di atterraggio, valutazione del sito ove
impiantare il PMA e le aree di parcheggio per i mezzi in arrivo.
• La settorializzazione: si intende la ripartizione in aree funzionali di lavoro allo scopo di
razionalizzare le risorse disponibili. Questa fase obbligatoriamente condotta con le forze di
polizia e con i vigili del fuoco presuppone un approccio tecnico che raramente è in possesso
delle squadre sanitarie. È necessaria la conoscenza dei perimetri di sicurezza e la corretta
distribuzione delle equipes. Ciascuna area deve essere frazionata localmente allo scopo di
convogliare equamente le risorse di soccorso, e si avranno rispettivamente zone a loro volta
suddivise in cantieri di lavoro.
• L’integrazione: è la condizione finalizzata all’esecuzione dei compiti istituzionali delle
componenti dei soccorsi. Questo concetto assolutamente semplice a livello teorico risulta
anche nelle emergenze ordinarie assai difficile da realizzare. In mancanza di un linguaggio
comune e di procedure condivise le Squadre sanitarie, i Vigili del Fuoco, le Forze
dell’Ordine e personale volontario si troveranno ad operare in condizioni estreme
perseguendo ciascuno il suo obiettivo.
• Il Recupero e la Raccolta delle vittime
Suddiviso in:
1. il salvataggio ossia l’insieme delle operazioni finalizzate allo spostamento della vittima in
luogo sicuro; può essere svolto da personale tecnico.
2. il soccorso, in alcuni casi, il recupero di una vittima deve essere preceduto dall’esecuzione
di rapide manovre salvavita. La lunga durata delle operazioni di recupero, la potenzialità
evolutiva delle lesioni e la necessità di manovre cruente per una disincarcerazione
complicata (amputazione di arti) sono situazioni che frequentemente richiedono
l’intervento sanitario sul punto di ritrovamento.
La soluzione migliore è a nostro giudizio la creazione di equipes tecnico sanitarie specializzate
nella ricerca e nel soccorso in aree urbane ed extraurbane.
c.
Medicalizzazione
Essa comprende tutte le operazioni sanitarie necessarie a stabilizzare le vittime e va distinta in due
ambiti separati:
141
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
•
•
intervento di prima linea, cioè nel “cantiere”, dove verranno compiuti pochi gesti
terapeutici essenziali, con la finalità unica di far sopravvivere i feriti fino all’accesso del
Posto Medico Avanzato.
intervento al Posto Medico Avanzato (P.M.A.), in questa struttura verranno convogliate
TUTTE le vittime recuperate dai cantieri e sottoposte al Triage. Il posto medico avanzato è
una struttura sanitaria dove le vittime verranno stabilizzate ed evacuate verso luoghi di cura
definitivi secondo ordini di priorità stabiliti dal triage.
Posto Medico Avanzato (P.M.A.)
Il P.M.A. viene definito nella G.U. del 12 maggio 2001 come un “dispositivo funzionale di
selezione e trattamento sanitario delle vittime, localizzato ai margini esterni dell'area di sicurezza o
in una zona centrale rispetto al fronte dell'evento…” che “...può essere sia una struttura che un’area
funzionale dove radunare le vittime, concentrare le risorse di primo trattamento, effettuare il triage
ed organizzare l’evacuazione sanitaria dei feriti nei centri ospedalieri più idonei”.
Il luogo idoneo di installazione verrà deciso dal Coordinatore dei Soccorsi Sanitari di concerto con
il Direttore tecnico dei soccorsi. Sono da prediligere strutture preesistenti in muratura quali Hangar,
magazzini, palestre, scuole; o in alternativa moduli di attendamento gonfiabili inviati dalla Centrale
Operativa 118 di competenza.
Il Posto Medico Avanzato deve possedere alcuni requisiti:
• collocazione in area sicura, al riparo da rischi evolutivi.
• collocazione agevole rispetto alle vie di comunicazione
• adeguata segnalazione con accesso e deflusso separati
• caratteristiche ottimali di temperatura, luminosità e climatizzazione.
La struttura è geograficamente interposta tra il sito della catastrofe e gli ospedali
Personale e struttura
All’interno del PMA operano medici ed infermieri; ma possono trovarvi collocazione anche
soccorritori non sanitari che espleteranno funzioni logistiche.
Il triage
Il triage è un processo decisionale finalizzato alla selezione delle vittime e nel contesto
extraospedaliero verrà applicato in due momenti:
1. direttamente sullo scenario con l’obiettivo di stabilire una priorità d’accesso al Posto Medico
avanzato.
2. al PMA con l’obiettivo di stabilire un ordine di evacuazione verso gli ospedali o strutture
alternative.
d.
Azione di Comando e coordinamento
La normativa vigente (Decreto 116 G.U. n.81/2001) prevede che sul luogo dell’evento il
responsabile della C.O.118 o il responsabile del DEA o un Medico delegato dal responsabile
medico del 118 svolga il ruolo di Direttore dei soccorsi sanitari (DSS) , rapportandosi con
referenti analoghi di altre Istituzioni deputate alla gestione dell’emergenza. Egli si assumerà la
responsabilità di ogni dispositivo di intervento sanitario nella zona delle operazioni, mantenendo un
collegamento costante con la CO118.
Sul sito è previsto un posto di comando avanzato (P.C.A.), in cui operano il Direttore Tecnico dei
soccorsi e il DSS.
In riferimento al ruolo statunitense dell'Incident Commander, l’Associazione Italiana di Medicina
delle Catastrofi ha proposto una nuova denominazione per il Direttore dei Soccorsi Sanitari cioè il
Medical Disaster Manager identificandolo come colui che, sotto il profilo sanitario, è in grado di
coordinare tutte le fasi sequenziali dell'evento. Sotto il profilo formativo l’obiettivo didattico del
corso Medical Disaster Manager è la creazione di una catena di comando ove figure legate da una
142
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
gerarchia funzionale opereranno in autonomia ciascuno nel proprio settore di competenza. La
direzione dei soccorsi spetterà ad un sovra coordinatore il quale avrà il compito di stabilire un punto
di comando avanzato, ottimizzare le risorse a disposizione, garantire collegamenti comunicazioni e
rifornimenti alle aree funzionali di lavoro ed ultimo, ma non in ordine di importanza, verificare che
sussistano le condizioni di sicurezza per gli operatori.
Team di gestione della Maxiemergenza:
la filosofia proposta nel sistema MDM è sicuramente innovativa perché scardina la figura di
comando che accentra su di sé gli oneri che il ruolo comporta. Una gestione di questo tipo è
destinata a fallire per l’enorme carico di lavoro e richieste che in breve tempo giungeranno. La
soluzione proposta è affidare il coordinamento ad un team di figure esperte schierate nelle aree
decisionali della catena dei soccorsi. Ciascun leader è legato al coordinatore da una gerarchia
funzionale, mantiene cioè un’autonomia quasi assoluta all’interno della propria area di competenza.
L’identificazione dei ruoli:
Uno degli aspetti cruciali relativi al coordinamento è l’identificazione dei ruoli sul campo.
Il soccorso sanitario incontra questa problematica anche nella quotidianità degli interventi di
emergenza routinaria ma è indispensabile utilizzare casacche colorate per evidenziare i compiti dei
coordinatori.
Tabella riassuntiva dei Ruoli nel Sistema di Coordinamento Medical Disaster Management:
143
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
MDM
Coordinatore
Responsabile
INFORMAZIONI
MDM
Info
Settore
COLLEGAMENTI
Settore
LOGISTICA
Settore
MORGUE
MDM
LOGISTICA
Settore
RIFORNIMENTI
Settore
SERVIZI
Team di
SUPPORTO PSICOLOGICO
MDM
Recupero
Settore
SICUREZZA
Settore
RECUPERO VITTIME 1
MDM
PMA
Settore
RECUPERO VITTIME n..
MDM
Evacuazione
Settore
TRIAGE
AREA ATTESA
MEZZI
Settore
TRATTAMENTO
MDM
AREA ROSSI
AREA
GIALLI
AREA
VERDI
AREA
CONTAMINATI
AREA ROSSI
e.
Trasporto delle vittime (Evacuazione)
L’evacuazione, ossia il trasferimento verso le strutture ospedaliere è coordinata dalla Centrale
Operativa 118, avviene in genere via terra (ambulanze normali o attrezzate per la rianimazione) o
con elicotteri, non va tuttavia escluso l’utilizzo di autobus preventivamente attrezzati per il trasporto
protetto, o di mezzi speciali per disastri di grande entità.
Il circuito ininterrotto tra il Posto Medico Avanzato e le strutture di ricovero come già esposto
precedentemente prende il nome di Noria.
f.
Piani di Emergenza Ospedalieri
In caso di catena dei soccorsi sanitari per catastrofi limitate, il trasporto termina in uno o più
ospedali della zona, che dovranno predisporre i piani relativi ad un afflusso massiccio di feriti come
da normativa vigente. La trattazione delle problematiche legate alla gestione della maxiemergenza
ospedaliera esula dai contenuti di questo testo, tuttavia vogliamo specificare che il concetto della
catena di comando rimane valido anche nell’ambito ospedaliero; a tal fine l’Associazione Italiana di
Medicina delle Catastrofi ha messo a punto la figura dell’Hospital Disaster Manager (H.D.M.) che
pur movendosi in un contesto operativo diverso mantiene inalterata la filosofia proposta.
144
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Gli ospedali rappresentano l’ultimo anello della Catena dei Soccorsi, iniziata con l’attivazione
dell’allarme alla C.O.118.
Esperienze a confronto
In Italia l’organizzazione dei soccorsi in caso di Grande Emergenza non ha ancora una
connotazione uniforme.
Molti Sistemi 118 hanno adottato una politica gestionale che si basa sull’adozione di procedure
importate da Paesi stranieri, con la convinzione che ciò che funziona all’Estero, possa funzionare da
noi; in fondo perché no! Ma la cultura di Paesi diversi dal nostro si basa su sistemi operativi
sperimentati, che si avvalgono di criteri categorici di formazione e rispetto dei ruoli , inseriti in una
Catena di Comando tipicamente militare (mi riferisco al Sistema anglosassone MIMMS che
contempla un grande numero di Comandanti sul campo improponibile da noi), dove non è
concepibile l’iniziativa personale tanto cara nelle nostre latitudini. Non è ragionevole pensare che
un sistema “copiato ed importato” equivalga ad un sistema efficace.
Altri Sistemi utilizzano come strumento operativo la Formazione degli Operatori, senza farla
seguire da procedure conosciute, e per conosciute intendo che l’operatore le apprende e gestisce
veramente. Questa modalità spesso applica sistemi di apprendimento teorici: mi riferisco al fatto
che negli ultimi anni molti Atenei o Enti privati hanno attivato Master in Medicina delle Catastrofi,
i cui programmi di studio comprendono ore dedicate al BLS, alla suture chirurgiche nei campi
profughi cambogiani o alle malattie infettive, che per quanto interessanti non rientrano tra le
competenze dei medici che devono affrontare i soccorsi in caso di incidente ferroviario.
Molti operatori dei Sistemi di Emergenza si sono ammantati di un’aura di autoreferenzialità nel
campo della Medicina dei Disastri. Mi riferisco a nomine a sfondo “politico” che nulla hanno da
spartire con chi si è costruito un’esperienza operativa o culturale, maturata negli anni, condivisa con
Colleghi stranieri e convalidata da confronti in campo manageriale e organizzativo, che raramente è
possibile ottenere in Italia.
Per ciò che attiene alle problematiche della gestione della Grande Emergenza intraospedaliera, il
discorso non muta di molto.
Da almeno 8 anni il metodo esiste, è stato proposto dall’Associazione Italiana di medicina delle
Catastrofi, analizzato e trasformato in Linee Guida dal Dipartimento Nazionale della Protezione
Civile, e confermato dal Ministero della Salute in un recente lavoro di Pianificazione attuato in
favore della Regione Calabria, ma i cui contenuti sono estrapolabili ed utilizzabili da ciascuno dei
circa 2.000 ospedali italiani.
La pianificazione della risposta ospedaliera si basa su una “piramide” procedurale e dottrinale che
analizza i punti che devono essere attivati per ottenere un Piano di Emergenza efficace ed attuabile
nella nostra realtà:
I gradini di questa piramide sono:
• Formazione e Progetto
• Analisi del rischio
• Verifica delle risorse
• Scenari possibili
• Management
• Piani
• Verifica del Sistema
• Operatività
Rispettando e attivando questi steps si otterrà un Piano efficace e gestibile, simile nei criteri di
dottrina al sistema dei soccorsi sul campo.
145
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L’abitudine di importare ed utilizzare sistemi di pianificazione stranieri, come è stato fatto di
recente con il Sistema H-MIMMS, appare quanto meno ridicola, visto che si copiano procedure non
applicabili in Italia che sfruttano sistemi operativi tipici degli ospedali anglossassoni.
Risulta altrettanto poco credibile l’idea, visto gli “importatori” di tale dottrina sono Ufficiali delle
Forze Armate che non dispongono di quell’esperienza intraospedaliera necessaria per adattare tali
metodiche di pianificazione alla nostra realtà quotidiana.
In conclusione credo occorra considerare con attenzione queste critiche e ricordare che si migliora
attraverso la valutazione degli errori ed il coraggio di attuare dei cambiamenti necessari.
Vorrei però dire che la “colpa” è non è tutta a carico degli operatori (responsabili in testa).
Una parte di colpa morale è sicuramente da ascrivere agli Enti e agli Organi Istituzionali che
devono vigilare e indirizzare i Sistemi operativi verso una reale capacità di intervento, non solo
basata sui numeri ma soprattutto sulla qualità.
La Grande Emergenza non può essere affrontata come un’emergenza ordinaria, ma necessita di una
mentalità specifica che si acquisisce con l’applicazione della dottrina, l’adattabilità delle
componenti operative e la verifica dei risultati (verifica vera che spesso richiede coscienza, coraggio
e umiltà, almeno in senso culturale).
Il Dipartimento della Protezione Civile, le Regioni e le Aziende Sanitarie, e marginalmente il
Ministero della Salute, devono uscire dal limbo in cui hanno lasciato i Sistemi 118 e gli stessi
ospedali per confrontare i risultati ottenuti, attuare le verifiche e promuovere la cultura necessaria
per consentire il raggiungimento di quegli standards così scontati ed evidenti all’estero.
Il panorama non mi sembra confortante, ma spesso i miglioramenti si hanno dopo molti anni di
confronti con Sistemi che funzionano o che comunque garantiscono la corretta applicazione di quei
criteri di dottrina già esistenti, che se applicati nel modo giusto contribuiscono a rendere più
efficace la qualità del nostro lavoro ed a mitigare i danni che gli eventi arrecano alla collettività, di
cui noi facciamo parte a pieno titolo.
Schöpenauer ci ricorda l’ovvietà e la ripetitività della vita umana:
“Ogni problema riconosciuto attraversa tre stadi:
Nel primo viene deriso, nel secondo combattuto, nel terzo è considerato ovvio!”
Bibliografia
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ed il mantenimento delle funzioni strategiche in situazioni di emergenza”- Roma – Ministero
Salute
Decisionalità e scelte terapeutiche nel trattamento del dolore
G. ORLANDINI
Medicina del Dolore, Ospedale di Tortona - Tortona (AL)
INTRODUZIONE
Come le altre specialità mediche, la pratica clinica della medicina del dolore prevede tre fasi
che, in successione, sono la diagnosi, la decisione terapeutica e l’esecuzione della terapia. La fase
della decisione terapeutica consiste nel ragionamento che consente di scegliere fra tutti i mezzi
terapeutici disponibili (farmacologici, infiltrativi e chirurgici) quelli più adatti (perché più efficaci)
e più convenienti (perché gravati da minori effetti collaterali) per contrastare i meccanismi
patogenetici del dolore individuati con la diagnosi (Tabella 1). Per comprendere l’importanza e la
complessità della decisione terapeutica occorre sfatare l’opinione comune, purtroppo ancora diffusa,
che considera il dolore un semplice sintomo che, come un’unica entità che cambia solo per la sua
importanza, risponde sempre a quella categoria di farmaci appositamente studiati per esso: gli
analgesici. Se fosse così, basterebbe scegliere l’analgesico sulla base dell’intensità del dolore
[WHO 1986 e 1996] e non vi sarebbe bisogno di una specializzazione per curare il dolore.
Classificazione patogenetica del dolore
Cutaneo
Superficiale
Mucoso
Tessutale
Viscerale
Profondo
Muscoloscheletrico
Somatico
Nerve trunk pain
Periferico
Neuropatico
Da persistente ipereccitabilità dei nocicettori
Da dismielinosi-neuroma
Da deafferentazione
Centrale
Psicogeno
Cronico
147
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Figura 1 – Il dolore normale, fisiologico, tessutale nocicettivo
Dall’errata convinzione che il dolore sia un’unica entità deriva che quando gli analgesici classici
(FANS e oppiacei) non lo controllano molti operatori sanitari si sentono autorizzati a dubitare che il
paziente l’abbia davvero o a sospettare che esso sia d’origine psichica. Per comprendere perché gli
analgesici a volte funzionano e a volte no, occorre premettere un concetto fondamentale: ben
lontano dall’essere un’unica entità, esiste un dolore normale o fisiologico ed un dolore anormale o
patologico (Figure 1 e 2). In particolare, se c’è lo stimolo nocicettivo è normale che vi sia il dolore
(che è, in questo caso, il fisiologico dolore tessutale, nocicettivo), viceversa se c’è il dolore ma non
c’è lo stimolo nocicettivo qualcosa non funziona come dovrebbe. Il dolore in una certa sede come
se lì vi fosse una lesione tessutale che non c’è può significare che la lesione non è dove il dolore è
avvertito ma da un’altra parte (dolore tessutale secondario) oppure che la lesione non c’è affatto, nè
nella sede del dolore, né altrove. In questo caso si tratta di un dolore anormale (patologico), non
nocicettivo che configura la malattia dolore e che può essere dovuto ad un danno del dispositivo di
segnalazione del dolore (dolore neuropatico), ad un fenomeno d’apprendimento (dolore cronico) o
ad un disturbo nell’elaborazione delle emozioni (dolore psicogeno).
Figura 2 – Il dolore anormale, patologico, non nocicettivo
Se si tiene presente quanto sopra, non deve stupire che gli analgesici possano funzionare o no.
Essi, infatti, sono stati progettati per contrastare la nocicezione e funzionano solo se il dolore è
148
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
dovuto ad essa. Quindi, gli analgesici funzionano nel normale dolore nocicettivo (Figura 1) e non
funzionano in quello anormale non nocicettivo (Figura 2). Ne deriva che la maggior parte dei
farmaci utili nel dolore nocicettivo non lo sono nel dolore neuropatico e che molti farmaci utili nel
dolore neuropatico non lo sono nel dolore nocicettivo.
Fatte queste premesse generali, cerchiamo ora di illustrare il ragionamento che sostiene la
razionale scelta della terapia antalgica sulla base della diagnosi patogenetica del dolore.
SCELTE TERAPEUTICHE NEL DOLORE TESSUTALE
Se abbiamo riconosciuto che quel che abbiamo da curare è un normale dolore tessutale,
nocicettivo, sappiamo che il meccanismo patogenetico che lo sostiene è attivato da una lesione
algogena flogistica o simil-flogostica e che, dal punto di vista molecolare, è riconducibile ad
un’aumentata disponibilità ad aprirsi dei canali del Na presenti nella membrana dei nocicettori. La
disponibilità ad aprirsi dei canali del Na è, a sua volta, aumentata dalle sostanze prodotte dai tessuti
in flogosi fra le quali le prostaglandine che fanno sì che stimoli d’intensità relativamente debole
siano in grado di produrre il potenziale transmembrana d’azione (PTA) in un recettore che in
condizioni normali richiederebbe uno stimolo d’intensità più elevata. Una volta prodotto, il PTA è
trasportato elettrotonicamente lungo la fibra nervosa e trasferito da un neurone a quello successivo
attraverso la corrispondente sinapsi: in altre parole, si ha la conduzione dell’informazione
nocicettiva. In queste circostanze, la terapia analgesica appropriata è una delle misure in grado di
contrastare la nocicezione con uno dei seguenti meccanismi d’azione:
1. prevenzione della produzione del PTA e quindi dell’attivazione dei nocicettori con farmaci che
agiscono chiudendo i canali del Na (come fanno gli anestetici locali depositati in vicinanza dei
nocicettori mediante l’infiltrazione del tessuto) o limitando l’apertura dei canali del Na (come
fanno i FANS che bloccano la sintesi delle prostaglandine e quindi prevengono l’aumento della
disponibilità ad aprirsi dei canali del Na indotto da queste sostanze);
2. blocco della conduzione elettrotonica del PTA nelle fibre nervose con gli anestetici locali
depositati sulle fibre stesse mediante le tecniche di blocco nervoso;
3. blocco della conduzione elettrotonica del PTA nelle fibre nervose mediante l’interruzione della
loro continuità con le tecniche neurolesive;
4. blocco del trasferimento sinaptico del PTA da un neurone a quello successivo con gli oppiacei.
La scelta della terapia antinocicettiva che sfrutta l’uno o l’altro meccanismo d’azione è
subordinata ad una serie di ulteriori valutazioni cliniche, tra le quali le principali concernono la
precisazione se il dolore è acuto, persistente o cronico, se è non incident o incident, qual è il suo
sottotipo patogenetico e qual è la sede anatomica della nocicezione.
Per quanto riguarda il dolore acuto, persistente o cronico [Orlandini 2005], si tenga presente che
se il dolore è acuto è sufficiente scegliere un metodo la cui principale caratteristica sia d’essere
prontamente efficace mentre se è persistente occorre sceglierne uno in grado d’essere efficace a
lungo. In particolare, se si decide di usare i FANS occorre scegliere quelli che hanno una più lunga
durata d’azione ed una migliore tollerabilità, se si decide di usare gli oppiacei occorre ottimizzarne
il dosaggio e scegliere la via di somministrazione più opportuna e se si decide di impiegare il blocco
nervoso conviene scegliere una sede di blocco che consenta d’inserirvi un dispositivo di
somministrazione per attuare una protratta infusione di anestetico locale: gli spazi peridurale e
subaracnoideo rispondono bene a quest’esigenza. Infine, se il dolore è cronico, si consideri che di
solito le misure antinocicettive non sono indicate.
A proposito del carattere non incident o incident del dolore, si ricorda che è non incident il
dolore che non cambia col movimento, il carico e la postura ed è incident quello prodotto da uno
stimolo meccanico-termico improvviso che raggiunge rapidamente un'elevata intensità e diminuisce
in poco tempo se il soggetto, allertato dal dolore, interrompe l'attività che l'ha prodotto [Bonezzi e
Orlandini 1992]. Si ricorda, inoltre, che il dolore incident è dovuto a boli d’impulsi che
improvvisamente ed in massa raggiungono il SNC (Figura 3) e non sono sufficientemente frenati
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
dalle manovre antinocicettive che non prevedono il blocco completo della conduzione nervosa. In
altre parole, nel dolore incident sono inefficaci gli oppiacei, parzialmente efficaci i FANS e
totalmente efficaci soltanto le tecniche di blocco nervoso e quelle neurolesive. Ai fini della
decisione terapeutica, la constatazione che il dolore è incident dev’essere correlata con quella che
concerne il tipo acuto o persistente del dolore, tenendo presente che nel dolore incident acuto è
appropriato il blocco nervoso con anestetico locale mentre nel dolore incident persistente la
tachifilassi nei confronti degli anestetici locali (che sono farmaci nati per l’anestesia e destinati ad
un uso limitato nel tempo e non per l’uso protratto) può limitare l’efficacia del blocco nervoso e
richiedere un intervento neurolesivo.
Figura 3 La diga. A = la diga è in grado di controllare il transito di un corso d’acqua che scorre
con un flusso costante (dolore non incident). B = se la massa idrica aumenta oltre un valore soglia,
l’eccesso travalica la diga (dolore incident). [da Orlandini, Manuale di chirurgia per cutanea del
dolore, Edimes, Pavia 1996, p.8]
Circa il sottotipo patogenetico del dolore, si tenga presente che il dolore superficiale ha spesso
carattere incident (per cui per esso valgono le considerazioni già fatte) e che il dolore profondo è
condotto dalle afferenze viscerali se è viscerale e dalla afferenze somatiche se è muscoloscheletrico:
è ovvia l’importanza di questa precisazione per la scelta del blocco nervoso o della tecnica
neurolesiva.
Infine, l’accertamento della sede anatomica della nocicezione (localizzazione della lesione
algogena) consente di decidere razionalmente l’indicazione al blocco peridurale selettivo (che è
utile soltanto se la nocicezione consiste nella flogosi di una radice nervosa ed il dolore è radicolare),
all’infiltrazione di una articolazione (che ha significato solo se la nocicezione proviene da essa),
all’infiltrazione di un trigger point miofasciale (che dev’essere esattamente individuato come sede
da cui la nocicezione origina e riferisce il dolore a specifiche target areas) o ad una tecnica
neurolesiva (per decidere quale area somatica va resa analgesica).
- il dolore ha distribuzione metamerica (se la lesione algogena è in una radice dorsale, in un ganglio o in un nervo
radicolare), periferica (se la lesione algogena è in un plesso o in un nervo periferico), cordonale (se la lesione
algogena è in un fascio midollare o troncale) o somatotopica centrale (se la lesione algogena è nel talamo, nella
proiezione talamocorticale o nella corteccia)
- il dolore è avvertito superficialmente o profondamente ed è a medio grado di localizzazione;
- il dolore ha carattere uniforme (urente, aching o disestesico) o parossistico (folgorante o a pugnalata).
- il dolore ha carattere qualitativo disestesico il dolore (il paziente afferma che il dolore è strano, che assomiglia a
“spilli sotto la pelle” o ad un senso di “stiramento”, di “intorpidimento fastidioso”, di “insopportabile prurito” e
spesso che non assomiglia a nessuna sensazione provata prima);
- la cute è integra o presenta una soluzione di continuo o una cicatrice sopra un tronco nervoso o, addirittura,
corrispondere all’amputazione di un segmento corporeo;
- in loco dolente possono aversi disturbi sensitivi ed eventualmente deficit motori ed alterazioni dei riflessi
osteotendinei;
- c’è allodinia superficiale (di vario tipo) con cute integra;
150
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
- il dolore interferisce col sonno provocando difficoltà d’addormentamento più che risveglio precoce
- il dolore è esordito dopo un trauma che ha provocato un danno nervoso dimostrabile ed anatomicamente correlato;
- l’esame obiettivo e gli accertamenti strumentali non hanno evidenziato la lesione algogena nella sede del dolore:
un’appropriata indagine strumentale può però evidenziare la patologia della radice, del ganglio, del nervo radicolare,
del plesso, del nervo periferico o delle strutture centrali correlati con la sede del dolore.
Tabella 2 - Criteri per riconoscere il dolore neuropatico [Orlandini 2005b]
SCELTE TERAPEUTICHE NEL DOLORE NEUROPATICO
Posto che gli analgesici classici sono quasi sempre inefficaci nel dolore neuropatico, la decisione
terapeutica concerne la scelta fra alcune altre categorie di farmaci (antidepressivi triciclici,
anticonvulsivi, antiaritmici ed anestetici locali), le tecniche di neuromodulazione elettrica e le
procedure neurolesive.
Il dolore neuropatico e la terapia farmacologica
Mentre, ancorché complesso, è abbastanza definito il ragionamento che guida la decisione
terapeutica nel dolore tessutale, non lo è altrettanto quello che la guida nel dolore neuropatico. Dal
punto di vista pratico, se sulla base dei criteri elencati nella Tabella 2, abbiamo riconosciuto che il
dolore è neuropatico, si deve capire dov’è la lesione nervosa per individuare il sottotipo
patogenetico del dolore ed il meccanismo molecolare che lo sostiene. Il primo obiettivo è più
semplice e porta ad una delle diagnosi elencate nella Tabella 1 che, però, sono di poco aiuto nella
decisione terapeutica. Al contrario, la definizione del meccanismo molecolare è assai più utile allo
scopo ma è molto più complessa ed è praticamente impossibile con la semeiotica clinica. Questa
difficoltà comporta un grosso limite alla decisione terapeutica nel dolore neuropatico, la cui cura,
ancora oggi, continua ad essere pianificata per tentativi impiegando in successione ed
eventualmente in associazione i pochi farmaci che si sono rivelati efficaci. Per superare questo
grave ostacolo alla razionale e consapevole scelta terapeutica, la ricerca ha proceduto testando i
farmaci che agiscono sui diversi meccanismi molecolari (Tabella 3) e valutando quali espressioni
cliniche (o sintomi) del dolore neuropatico vengono modificati [Jensen e Baron 2003].
FARMACI
LIDOCAINA (1,5-5 mg/Kg/pc)
MEXILETINA (>600 mg/die)
CARBAMAZEPINA (<1800 mg/die)
DIFENILIDANTOINA (300 mg/die)
OXACARBAZEPINA (900 – 2400 mg/die)
LAMOTRIGINA (200 mg/die)
AMITRIPTILINA (50-75 mg/die)
GABAPENTIN (1800-2400 mg/die)
PREGABALIN (150-300 mg/die)
TOPIRAMATO (400 mg/die)
ZICONOTIDE (intratecale…)
CLONIDINA
BACLOFENE
KETAMINA
Azione sui meccanismi molecolari
Blocco
Blocco
Rinforzo
Rinforzo
canali del canali
inibizione inibiz.da
Na
del Ca
da
sist.discen
GABA
d. Sorot.noradr.
+++
+++
+++
+++
+++
+++
+++
+++
+-+++
+++
+++
+++
+++
+++
Inibizione
facilitaz.da
Glutammat
o (NMDA)
Alfa 2
recettori
+++
+++
+++
+++
+++
Tabella 3 – Su quali meccanismi molecolari agiscono i diversi farmaci per il dolore neuropatico
151
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Questo studio ha consentito di cominciare a comprendere da quale meccanismo molecolare
dipendono i diversi sintomi e questa correlazione dovrebbe consentire nella pratica clinica di risalire
al meccanismo molecolare a partire dall’espressione clinica. Purtroppo siamo appena agli albori di
questo percorso che è particolarmente complesso perchè le varie espressioni cliniche possono
dipendere da uno o più meccanismi molecolari e i diversi farmaci possono agire su uno o più
meccanismi molecolari. Siamo quindi ancora lontani dal poter correlare tutte le espressioni del
dolore neuropatico con il rispettivo meccanismo molecolare e col farmaco adatto: credo che al
momento un tentativo di correlazione possa esser fatto soltanto per il dolore spontaneo con grave
deficit sensitivo (stimulus-independent pain) che risponde al trattamento con l’amitriptilina e per il
dolore provocato con lieve deficit sensitivo (stimulus-evoked pain o dolore allodinico) che risponde
al trattamento con la lidocaina e i suoi analoghi (mexiletina) nonché con alcuni anticonvulsivi come
la carbamazepina, la difenilidantoina, l’oxacarbazepina e la lamotrigina [Rowbotham e Fields 1989,
Rowbotham et al.1998, Baumgartner et al.[2002].
Il dolore neuropatico e la neuromodulazione elettrica
Per la ridotta invasività della procedura e la reversibilità dell’effetto terapeutico, l’impiego della
neuromodulazione elettrica, specie la Spinal Cord Stimulation (SCS) e, più recentemente la Motor
Cortex Stimulation, ha guadagnato largo consenso nel trattamento di alcuni dolori neuropatici. Il
successo della SCS è subordinato all’evocazione di parestesie dov’è il dolore e, quindi, all'integrità
delle afferenze provenienti da quella regione. La procedura non è efficace se lo stimolo è portato
distalmente alla lesione e nel dolore deafferentazione. A questo proposito, Sindou [1997] fece
osservare che in alcuni pazienti con dolore neuropatico le fibre lemniscali provenienti dall’area del
dolore non possono essere stimolate perché non esistono più. Questo si verifica quando la lesione
nervosa consiste nella completa interruzione dell’afferente primario fra il ganglio e il midollo
spinale (dolore da deafferentazione) o nella sezione delle fibre lemniscali distalmente al livello
dell’elettrocatetere (dolore centrale di origine midollare). In questi casi non si possono avere
parestesie nell’area del dolore e non si ha pain relief. Da questo si deduce che la SCS è indicata nel
dolore neuropatico periferico (Tabella 4).
Sindromi da lesione di radici spinali
Failed back surgery syndrome
Radicolopatia cervicobrachiale
Radicolopatia toracica
Post-thoracotomy pain syndrome
Radicolopatia lombosacrale
Nevralgia post-herpetica del I – II tipo [Orlandini 2005a]
Sindromi da lesione di nervi periferici
Sindrome da avulsione del plesso brachiale
Sindrome da avulsione del plesso lombosacrale
Distrofia simpatica riflessa (CRPS I)
Causalgia (CRPS II)
Dolore da amputazione (phantom limb pain e stump pain)
Neuropatia diabetica
Tabella 4 - Indicazioni della SCS nel dolore neuropatico
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il dolore neuropatico e le tecniche neurolesive
Spesso si afferma che le tecniche neurolesive non sono indicate nel dolore neuropatico: in realtà,
è più corretto dire che esse sono indicate solo in alcuni dolori neuropatici. Non si scordi, infatti, che
la nevralgia del trigemino è un dolore neuropatico e in essa è efficace la termorizotomia. Altri
dolori neuropatici dove l’esperienza clinica insegna che c’è indicazione alle procedure neurolesive
sono alcuni dolori da neuroma nei quali è efficace l’exeresi del neuroma (che a tutti gli effetti è una
neurotomia) purchè questo si riformi in una sede meno soggetta a stimoli esogeni o endogeni ed il
dolore da invasione neoplastica dei plessi lombosacrale o brachiale che risponde alla cordotomia.
Per contro non v’è indicazione alla termorizotomia nella neuropatia trigeminale e nella nevralgia
post-herpetica e non v’è indicazione a nessuna tecnica neurolesiva nel dolore centrale. Poiché vi
sono idee piuttosto confuse ed è ancora diffusa la convinzione che, come extrema ratio,
l’interruzione dell’afferenza nervosa debba in ogni caso rimuovere il dolore, credo sia opportuno
discutere brevemente le indicazioni alle procedure chirurgiche neurolesive nel dolore neuropatico.
Per comprendere le indicazioni di queste procedure e capire come esse agiscono quando sono
indicate e perché non agiscono quando non lo sono, esamineremo una serie di diagnosi
sindromiche. Si consideri che come nel caso della terapia farmacologica si sta tentando di correlare
l’espressività clinica con il meccanismo patogenetico grazie alla conoscenza del target dei diversi
farmaci, lo stesso si può fare con le tecniche neurolesive delle quali si conosce esattamente il target
anatomico. Per esempio, sapendo che una procedura neurolesiva agisce ad un certo livello delle vie
afferenti e su una particolare classe di fibre nervose, il funzionamento della procedura significa che
il meccanismo che sostiene il dolore dipende da quelle fibre e il suo fallimento significa che non
dipende da esse.
Nevralgia del trigemino
Nella nevralgia del trigemino il dolore è dovuto all’attivazione dei terminali centrali delle fibre C
(indenni) da parte delle Aβ demielinizzate col meccanismo dell’eccessiva depolarizzazione
presinaptica. Interrompendo le fibre C, la termorizotomia controlla il dolore della nevralgia del
trigemino perchè blocca le afferenze nocicettive anormali.
L’esperienza clinica insegna che anche la neurotomia periferica (dalla neurolisi chimica
all’avulsione dei rami periferici del trigemino) può controllare il dolore della nevralgia del
trigemino. Questa procedura è efficace perché produce la degenerazione retrograda delle fibre C,
attuando, in definitiva, una lesione nervosa analoga a quella da rizotomia. Nonostante questo, a mio
parere, la neurotomia dovrebbe essere abbandonata perché invariabilmente avvia i meccanismi che
possono condurre al dolore da neuroma. Si tenga presente, infatti, che le lesioni chirurgiche delle
radici dei nervi spinali o cranici non coinvolgono il nevrasse mentre quelle distali al ganglio
avviano i processi riparativi che producono il neuroma, la degenerazione dei terminali centrali delle
fibre C, lo sprounting delle Aβ e l’anormale connessione di queste fibre col secondo neurone
nocicettivo non più raggiunto dalle fibre C.
In definitiva, per quanto concerne il rischio dell’anestesia dolorosa, la rizotomia è più sicura
della neurotomia. Quando, la termorizotomia trigeminale provoca l’anestesia dolorosa, si può
ipotizzare che la lesione chirurgica abbia coinvolto oltre alla radice trigeminale anche il ganglio di
Gasser e con esso la parte prossimale dell’assone, producendo così un’indesiderata neurotomia e
l’avvio degli eventi che portano al dolore da neuroma.
Neuropatia trigeminale ed altre neuropatie periferiche dolorose
Nelle neuropatie periferiche dolorose e in particolare nella neuropatia trigeminale (da trauma
facciale, estrazione dentale, interventi sui turbinati ed altre cause) il danno nervoso è distale al
ganglio. Questo danno causa distalmente al ganglio la produzione del neuroma e prossimalmente ad
esso la degenerazione delle fibre C e la proliferazione delle Aβ. Si determina così un’importante
modifica morfofunzionale della REZ (Root Entry Zone) dove i neuroni nocicettivi sono attivati non
153
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
più dalle fibre C ma dalle Aβ, sia isosegmentali, sia provenienti dai segmenti indenni sopra e
sottostanti. In queste condizioni una termolesione della radice retrogasseriana che interessi solo le
fibre C, diretta ad ottenere analgesia con minima riduzione della sensibilità tattile, qual è quella
indicata nella cura della nevralgia del trigemino, è inefficace perché quelle fibre sono già non
funzionanti e l’attivazione degli WDR-n non dipende da esse. Per contro, da una termolesione più
profonda, tale da coinvolgere anche le fibre Aβ e procurare riduzione della sensiblità tattile, ci si
può attendere il blocco dell’attivazione dei neuroni nocicettivi da parte delle afferenze Aβ
isosegmentali ma non di quelle che provengono dai segmenti sopra e sottostanti. E’ verosimile
quindi che l’intervento non modifichi il dolore o lo trasferisca sulle zone di confine fra la cute
ipoestesica e quella normoestesica. Inoltre, la termolesione più profonda determina la
deafferentazione del II neurone e quindi potenzialmente il dolore da deafferentazione. A questo
proposito va precisato che mentre in condizioni normali la lesione prossimale al ganglio provoca la
deafferentazione ma raramente il dolore da deafferentazione, è possibile che la stessa lesione, sulla
base di un precedente dolore da neuroma, con conseguente sovvertimento morfofunzionale della
REZ abbia più probabilità di avviare il dolore da deafferentazione. Quindi, nel dolore da neuroma la
rizotomia è controindicata: essa o non produce alcun risultato o produce un pain relief che dura
finchè s’instaura il dolore da deafferentazione.
Nevralgia post-herpetica
Nella nevralgia post-herpetica il danno nervoso è in corrispondenza dell’ingresso della radice nel
nevrasse e il dolore origina da queste sedi centrali prossimali al target della termorizotomia che
quindi non può essere efficace.
Radicoloplessopatia lombosacrale e brachiale
Trattati con la Cordotomia Cervicale Percutanea, i pazienti con radicoloplessopatia lombosacrale
o brachiale ottengono un completo controllo del dolore che può essere definitivo o durare per un
certo tempo (di solito mesi) e poi recidivare. Cerchiamo di comprendere perché si ha il controllo del
dolore e perché a volte esso recidiva.
Nella radicoloplessopatia lombosacrale o brachiale il dolore può essere dovuto alla lesione
nervosa distale al ganglio o prossimale al ganglio. Quando è dovuto ad una lesione distale al
ganglio (dolore da dismielinosi-neuroma) la Cordotomia controlla il dolore perché agisce
interrompendo le afferenze nocicettive nel II neurone ed è ininfluente che esso sia attivato dalle
fibre C, come si ha nel dolore nocicettivo, o dalle Aβ come si ha nel dolore da neuroma. Quando il
dolore è dovuto ad una lesione prossimale al ganglio (dolore da deafferentazione), la cordotomia
può essere efficace finchè la sede della produzione ectopica degli impulsi nervosi è a livello della
DREZ perché l’interruzione del fascio spinotalamico è prossimale a quella sede.
Pur mantenendosi la completa insensibilità agli stimoli nocicettivi esogeni (analgesia) nel
territorio trattato, un certo tempo dopo la Cordotomia il dolore può recidivare per l’instaurarsi di
un’elettrogenesi ectopica ad un livello prossimale alla DREZ, nel III o nel IV neurone.
Probabilmente è corretto intendere il dolore neuropatico non come un evento stabile ma come un
processo in divenire che porta ad una progressiva centralizzazione del meccanismo patogenetico
responsabile della nocicezione ectopica. Si ha quindi che quando la nocicezione ectopica origina dal
I-II neurone le procedure neurolesive sul I e sul II neurone sono efficaci mentre quando origina dal
III-IV neurone non lo sono più.
CONCLUSIONI
Non sarà sfuggito al lettore che i meccanismi patogenetici fondamentali o molecolari (per lo
meno quelli noti) sono riconducibili a pochi modelli essenziali che concerno lo stato di apertura o
chiusura dei canali ionici, specialmente quelli del Na, del Ca, del Cl e del K, che determina la
154
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
depolarizzazione della membrana della cellula nervosa e quindi l’avvio di un treno di PTA e con
esso l’informazione nocicettiva. Quel che cambia da un tipo patogenetico di dolore all’altro sono il
tipo e la sede della lesione che sostiene le modifiche dello stato di apertura-chiusura dei canali
ionici. Si può dedurre da questo che alcuni farmaci dovrebbero agire su tutti i tipi patogenetici di
dolore: per esempio, la somministrazione e.v. di lidocaina (che blocca i canali del Na) dovrebbe
essere efficace sia nel dolore neuropatico, sia nel dolore tessutale. Di fatto, già molti anni fa è stato
dimostrato che questo farmaco è efficace nel dolore post-operatorio [Bartlett e Hutaserani 1961] che
è chiaramente tessutale e nocicettivo ma le dosi di farmaco necessarie espongono a probabili effetti
tossici: per questa indicazione è preferibile che il mezzo per contrastare la nocicezione sia scelto fra
quelli che agiscono prima dell’apertura dei canali del Na. Quindi gli inibitori della sintesi delle
prostaglandine (i FANS) sono più convenienti della lidocaina.
Per finire, è stata mia intenzione cercare d’illustrare il metodo di ragionamento per decidere la
scelta terapeutica nel trattamento del dolore: è chiaro che questa breve nota è ben lontana
dall’essere una trattazione sistematica sull’argomento. Molte situazioni sono state soltanto
accennate ed altre non sono state affrontate per niente: per esempio, non s’è discusso quando
scegliere l’una o l’altra via di somministrazione dei farmaci, non si sono affrontate le scelte
terapeutiche nel dolore da patologia primaria vascolare, non s’è parlato dell’uso della morfina nel
dolore neuropatico e tanti altri importanti argomenti non sono state affatto discussi.
Quel che più mi premeva era di sottolineare che la maggior parte dei farmaci utili nel dolore
nocicettivo non sono indicati nel dolore neuropatico (per esempio sono inutili i FANS e la morfina
nella nevralgia del trigemino), che viceversa quelli utili per il dolore neuropatico non sono indicati
per il dolore nocicettivo (per esempio, è discutibile l’uso del gabapentin nella sciatica in fase acuta
dove il meccanismo patogenetico è riconducibile al nerve trunk pain) e che le procedure neurolesive
sono più utili nel dolore tessutale nocicettivo ma non possono essere scartate a priori in tutti i dolori
neuropatici (ricordiamoci della nevralgia del trigemino e delle radicoloplessopatie lombosacrali e
brachiali dei pazienti neoplastici).
BIBLIOGRAFIA
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A.Delfino Editore, Roma, 2005 (b), pp.443-453
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edition. WHO, Geneva 1996
155
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
La partoanalgesia in Italia: indagine conoscitiva per un programma organizzato…superando
le disuguaglianze
A. PAOLICCHI CON LA COLLABORAZIONE DEL CONSIGLIO DIRETTIVO S.I.A.R.E.D.
IV UO Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana
Un particolare ringraziamento al Presidente Prof. G. Marrano e al prezioso collaboratore Dott. C.
Spada
Il parto e il travaglio pur essendo eventi fisiologici, rappresentano un’esperienza dolorosa di elevata
entità, alla quale non è legato alcun beneficio per il feto e la madre. Questo dolore può essere
controllato. Studi dimostrano, oltretutto, che l’analgesia nel travaglio di parto determina riduzione
delle richieste metaboliche ed aumento della perfusione placentare con ovvi benefici sull’omeostasi
materno fetale. Nel nostro paese, il diritto delle donne a poter scegliere come partorire, pur essendo
varato da alcuni anni “L’ospedale senza dolore”, è un obiettivo ancora non completamente
realizzato, incontrando ostacoli di varia natura. Resistenze culturali, scarsa conoscenza della
metodica, timore d’interferenze della dinamica fisiologica del parto con conseguenze sul benessere
materno fetale, tendenza a sottovalutare le richieste della donna, difficoltà organizzative ed
economiche costituiscono limiti alla diffusione della analgesia del parto.
In Italia si registra, inoltre, un grosso problema: l’incidenza di tagli cesarei rappresenta circa il 35%
sul totale dei parti, con punte in alcune regioni del 50% ed oltre. Siamo ben lontani dalla soglia del
15%, proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche se ormai è condivisa la sua non
applicabilità agli standard occidentali. Indagini effettuate negli ultimi anni evidenziano, anzi, nel
nostro paese, un trend in aumento ed oggi siamo al primo posto in Europa per parti cesarei. Nel
2003 un gruppo di studio istituito dal Ministero delle Pari Opportunità d’intesa con il Ministero
della Salute evidenziò la necessità di un cambiamento di rotta per “Troppi cesarei e troppo pochi
parti indolore” nelle nostre ostetricie. E’ proprio di questi giorni la pubblicazione di un’indagine
indagine multiscopo Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, a cura dell'Istat che evidenzia
come l’evento nascita sia sempre più medicalmente assistito nel nostro Paese, una scelta non
sempre motivata dalle condizioni di salute di madre e feto. L’indagine rivela, inoltre, una serie di
diversità tra le regioni, che diventano, in certi casi, ingiustizie.
Per contrastare il ricorso “eccessivo” al parto cesareo, è necessario un “sostegno al parto sicuro,
senza dolore e naturale” ha dichiarato il Ministro della Sanità, Livia Turco, aggiungendo inoltre che
“ridurre l’inappropriatezza vuol dire anche eliminare spese sbagliate che tolgono risorse alla buona
sanità”.
La diffusione del parto senza dolore può contribuire ad invertire la tendenza al parto cesareo?
Inoltre, il diritto delle donne a partorire senza dolore è veramente applicato ed esteso a tutto il
territorio nazionale o è un optional offerto ad un limitato numero di partorienti in alcune aree
geografiche o in alcune strutture? Sicuramente siamo lontani anni luce dagli Usa dove sono
utilizzati sistemi che permettono alla paziente di dosare autonomamente l’intensità dell’analgesia
durante il travaglio.
Senza dubbio, la mancanza di codifica con un DRG specifico per la partoanalgesia condiziona la
distribuzione delle risorse in questo campo, con possibilità di differente sviluppo tra le strutture
sanitarie. L’epidurale fino ad oggi non rientra nell’elenco delle prestazioni gratuite che “devono”
essere garantite per legge in tutti i centri maternità pubblici.
Un ulteriore ostacolo alla diffusione più ampia di programmi organizzati per la partoanalgesia è
costituito dalla carenza di anestesisti negli ospedali italiani e dalla difficoltà della loro assunzione; il
Piano Sanitario Nazionale ed il progetto obiettivo Materno Infantile (1998-2000) sono stati
largamente disattesi su gran parte del territorio nazionale. In conseguenza di questa situazione solo
in alcuni centri si rileva la presenza di anestesisti cosiddetti «dedicati », cioè assegnati
esclusivamente a quel servizio 24 ore su 24 ed i modelli organizzativi, consolidati in termini di
156
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
efficacia ed efficienza, non sono così diffusi in ambito nazionale, determinando disomogeneità e
rischio di utilizzo non ottimale delle risorse.
Il risultato di tutto questo è il non soddisfacimento delle richieste della donna ed una profonda
difformità di trattamento.
Per le considerazioni sopraesposte, per il coinvolgimento, come professionisti, all’evento nascita,
nelle scelte della donna di come partorire, per il ruolo primario nel trattamento del dolore, anche
quello del parto, pur consapevoli che l’analgesia epidurale costituisce una delle offerte possibili
all’interno di un ventaglio di proposte, abbiamo sentito la necessità effettuare un’indagine
conoscitiva sullo stato dell’analgesia del parto, attraverso il coinvolgimento degli anestesisti che
quotidianamente lavorano nell’area ostetrica.
La Società Italiana Anestesia, Rianimazione, Emergenza, Dolore (S.I.A.R.E.D.) è stata il motore
trainante dell’indagine-studio che ha preso avvio agli inizi del 2006, attraverso l’elaborazione di un
questionario che successivamente è stato somministrato a cura delle Sedi Regionali S.I.A.R.E.D. –
A.A.R.O.I., con la collaborazione attiva dei Delegati Scientifici, che hanno garantito un contributo
decisivo alla diffusione e raccolta del questionario. Il lavoro è stato impegnativo; grazie ad
un’azione capillare ed alla collaborazione degli anestesisti che lavorano nelle ostetricie degli
ospedali italiani, si è effettuata una mappa della situazione nel nostro paese, attraverso la
compilazione di un questionario per ogni ospedale
Questo studio, del quale si presentano i dati preliminari, non entra in merito all’appropriatezza
clinica della partoanalgesia, per la quale si rimanda a linee guida e raccomandazioni, ma ha
l’obiettivo di fotografare la situazione attuale con il fine di portare un contributo alla promozione
della partoanalgesia, affinché un progetto per il parto senza dolore si sviluppi in maniera uniforme
su tutto il territorio nazionale.
Materiali e Metodi
L’indagine è stata effettuata attraverso un questionario, diffuso nelle realtà regionali, da parte dei
Delegati Scientifici, rappresentanti della S.I.A.R.E.D. nelle singole regioni. In alcune regioni il
contributo dei Presidenti Regionali A.A.R.O.I. ha supportato in maniera determinante l’iniziativa.
Il questionario (in allegato), include una parte per la presentazione del progetto, uno spazio per i
dati personali dell’anestesista responsabile della compilazione (campo facoltativo), l’identificazione
e le caratteristiche dell’Ospedale oggetto dell’indagine. Inoltre presenta 19 domande (15 a risposta
multipla e 4 numeriche libere) che hanno lo scopo di conoscere le caratteristiche della struttura: il
numero dei parti, la percentuale di cesarei effettuati, l’eventuale introduzione di metodiche di
umanizzazione, compresa la partoanalgesia, con specifiche sull’organizzazione del servizio ed i
risultati conseguiti. Completa il quadro delle informazioni richieste la conoscenza del valore
economico della propria regione di alcune tipologie di prestazioni collegate al parto (DRG
specifici).
I questionari pervenuti, suddivisi per regione, sono archiviati ed elaborati tramite Microsoft Excel di
Windows.
Risultati
Sono pervenuti, al 31 Maggio 2006, 384 questionari regolarmente compilati, corrispondenti ad un
numero equivalente di Ospedali italiani. Questi provengono da tutte le regioni (ad eccezione della
regione Lazio) e rappresentano 127 Ospedali del Nord Italia (Piemonte -Valle d’Aosta 48 Ospedali,
Lombardia 17, Trentino Alto Adige 11, Friuli Venezia Giulia 18, Veneto 27, Liguria 6 Ospedali),
106 Ospedali del Centro Italia (Emilia Romagna 24 Ospedali, Toscana 27, Umbria 16, Marche 16,
Abruzzo 21, Molise 2 Ospedali) e 151 Ospedali del Sud Italia e delle Isole (Campania 32 Ospedali,
Basilicata 13, Puglia 14, Calabria 3, Sardegna 46, Sicilia 43 Ospedali ).
157
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L’analisi dei dati pervenuti evidenzia come l’indagine coinvolga differenti tipologie di Ospedali, in
base numero di posti letto: meno di 300 posti letto nel 61% del totale, tra 300 e 600 posti letto nel
24%, tra 600 e 1000 nel 10% e Ospedali con oltre 1000 posti letto nel 5%.
La distribuzione geografica dei piccoli Ospedali (meno di 300 posti letto) prevale nel Sud Italia con
il 44%, mentre nelle regioni del Nord e del Centro la percentuale si aggira tra il 30% ed il 25%.
L’indagine è effettuata prevalentemente presso strutture pubbliche, appartenenti ad Aziende
Sanitarie Locali (66%), Aziende Ospedaliere (20%) e Aziende miste Ospedaliere – Universitarie
(7%); il privato convenzionato rappresenta il 6% del nostro campione, altre strutture costituiscono
dati esigui.
Dei 384 questionari analizzati, l’82% corrisponde ad Ospedali con punto nascita, pari a 318 punti
nascita, rappresentando quindi un’ampia indagine conoscitiva.
Distribuzione geografica dei 318 punti nascita: 101 Nord Italia, 95 Centro Italia, 122 Sud Italia ed
Isole.
Numero dei parti effettuati nei punti nascita dell’indagine (domanda a risposta multipla): meno di
500 parti per anno nel 29% delle strutture, tra 500 e 1000 parti per anno nel 36%, la quota sale tra
1000 e 1500 nel 20%, oltre 1500 parti per anno nel 15%.
Il maggior numero dei punti nascita dell’indagine garantisce tra 500 e 1000 parti anno.
Minor numero di parti per anno (<500) avviene frequentemente in Ospedali di più piccole
dimensioni: 55% dei punti nascita con meno di 500 parti anno si trova in ospedali con meno di 300
posti letto.
Percentuale di parti cesarei rispetto al numero dei parti per anno (domanda a risposta multipla):
maggiore del 30% nel 59,5% delle ostetricie, il 27,5% delle quali effettua oltre il 40% dei parti
cesarei.
Solamente il 6% delle strutture riferisce il ricorso al cesareo in meno del 20% dei parti, mentre il
34,5% ricorre al cesareo tra il 20 ed il 30% rispetto al numero dei parti.
Da notare che il ricorso al cesareo sale al diminuire del numero dei parti effettuati dalla struttura
(Tabella 1)
Numero
Parti Cesarei >40%
Anno
<500
39%
500-1000
23,5%
1000-1500
21,5%
>1500
22%
Tabella 1
Cesarei tra 30 e Totale
40%
>30%
38%
77%
34%
57,5%
27,5%
49%
20%
42%
Cesarei
Sono soprattutto le donne del sud a ricorrere al cesareo, infatti, dei 122 punti nascita del sud ed isole
74 denunciano una percentuale superiore al 40% di parti cesarei, pari al 60%, (con il picchi in
Campania e Basilicata) mentre il nord ed il centro si comportano in maniera più virtuosa (3% e 9%
rispettivamente).
Organizzazione dell’attività anestesiologica nei punti nascita; dall’indagine emerge come il 64%
degli ospedali faccia fronte all’attività notturna e festiva con la guardia anestesiologica per tutta
l’area chirurgica, compresa l’ostetricia. La guardia dedicata esclusivamente all’ostetricia è attiva in
30 punti nascita (9%), e si effettua in 18 ospedali con più di 1500 parti anno, in 7 ospedali tra 1000
e 1500 e 5 tra 500-1000 parti anno. La presenza del punto nascita non ha comportato l’attivazione
della guardia in 75 ospedali dell’indagine pari al 24%; se molto è stato fatto, ancora non abbiamo
messo in sicurezza tutti i punti nascita.
Metodiche di umanizzazione del parto sono completamente assenti nel 44% degli Ospedali oggetto
dell’indagine. La partoanalgesia costituisce la metodica di umanizzazione più introdotta (42%),
seguita da parto dolce e parto in acqua (23%), il parto extraospedaliero è un evento raro.
158
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Effettuare la partoanalgesia non significa, però, essere in grado di offrirla sempre, molto spesso
questa metodica è sottoposta a limiti; infatti meno della metà degli ospedali che la promuovono,
riescono a garantirla 24 ore su 24. Più spesso limiti organizzativi ostacolano l’offerta (43 ospedali),
o questa avviene solo saltuariamente, forse quando è presente l’anestesista esperto (39 ospedali), o
il parto senza dolore viene effettuato esclusivamente di giorno (5 ospedali) o su patologia accertata
dal ginecologo(13 ospedali). Dall’indagine comunque emerge che se, l’offerta della partoanalgesia,
in teoria, avviene in meno della metà dei punti nascita, di fatto, solo il 19% delle ostetricie italiane
riescono a garantirla sempre.
La distribuzione geografica dell’erogazione del servizio 24 ore su 24 risulta notevolmente
concentrata al nord con il 30% (30 su 101 punti nascita), segue il centro con il 15% (14 su 95 punti
nascita) al sud, pur presentando il maggior numero di punti nascita, il servizio è effettuato nel 12%
(15 ospedali su 122).
Sulla percentuale media d’effettuazione della metodica partoanalgesia, rispetto al numero dei parti
naturali del 14,9% grava una notevole deviazione standard, tanto da rendere il dato non significativo
ai fini dell’indagine.
Analizzando in dettaglio i diversi modelli organizzativi, possiamo comprendere meglio la realtà
italiana.
- Quando la partoanalgesia è garantita come servizio “24 ore su 24”, assicura il 28% di parti rispetto
al numero totale dei parti naturali, soddisfacendo ovviamente la domanda.
- Quando la partoanalgesia è effettuata “saltuariamente” garantisce il 4,7 % dei parti naturali, non
soddisfacendo la domanda.
- La partoanalgesia sottoposta a “limiti organizzativi” riscontra un’applicazione in meno del 10%
dei parti naturali; anche in questo caso il rapporto tra domanda ed offerta non risulta completamente
soddisfatto (nell’88% dei casi).
- La possibilità d’offerta “esclusivamente diurna” (solo 5 Ospedali del campione) migliora in parte
il servizio, rilevando una percentuale d’applicazione del 21,4%, con maggiori opportunità
d’erogazione.
- L’applicazione della metodica su “patologia accertata dal ginecologo” è un evento raro, 2,8%.
L’offerta della partoanalgesia 24 h è soprattutto a vantaggio dei centri che garantiscono un maggior
numero di prestazioni (19 dei 45 punti nascita con oltre 1500 parti anno), ma dobbiamo considerare
che il sevizio attualmente non è attivo in oltre la metà dei centri caratterizzati da elevata attività.
Parallelamente al diminuire del numero dei parti diminuisce l’offerta (26%, 15% 7%,
rispettivamente nei punti nascita con 1500-1000, 500-1000 e meno di 500 parti per anno).
La modalità di erogazione avviene principalmente in regime istituzionale o convenzione senza
alcun costo per l’utenza (59%), mentre il 30% delle ostetricie effettua la prestazione esclusivamente
a pagamento individuale o in equipe. Raramente esistono progetti aziendali specifici senza costo per
l’utenza.
Alla miglior organizzazione del servizio (24 ore su 24) corrisponde il sistema istituzionalizzato
(73%), senza costo per l’utenza, più raramente il sistema libero professionale (17%).
All’occasionalità dell’offerta il rapporto si inverte (56% con un costo per l’utenza, mentre nel 31%
è garantita istituzionalmente).
E’ scarsamente sperimentata una attività incentivante per la partoanalgesia, riferita dal 16%, di
solito elusivamente a favore dell’anestesista, ancor più raramente per l’ostetrica o il team
Quando si effettua la partoanalgesia, l’anestesista non è impegnabile in altre attività, talvolta è
supportato anche dall’ostetrica o raramente è l’ostetrica da sola a controllare la donna in analgesia.
(18%).
Qual è il nostro rapporto con la donna da sottoporre a partoanalgesia? E’ sempre effettuata una
visita preventiva ed è redatta cartella per verificare l’idoneità alla procedura? Al 63% di risposte
affermative, fa riscontro, il 26 % in cui la valutazione prima della procedura viene raramente
effettuata e l' 11% in cui non viene mai effettuata, suggerendo la necessità di migliorare qualità e
sicurezza del nostro lavoro.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Soprattutto quando il servizio è offerto 24 ore su 24, la sua erogazione è organizzata secondo criteri
di qualità e sicurezza (nel 79% di questo modello si effettuano visite preventive).
Il valore economico del DRG del parto varia da regione a regione; a partire dai 729 Euro della
regione Emilia Romagna ai 1517 Euro della regione Piemonte, fino ai 2844 Euro della regione
Puglia previsti per il parto vaginale senza complicanze. La situazione è analoga per i codici che
prevedono parti vaginali complicati o parti cesarei. In un panorama nazionale veramente difforme
nelle diverse regioni si registra scarsa conoscenza della problematica da parte degli anestesisti.
Conclusioni:
L’evento nascita è ancora in gran parte affidato ad ostetricie che non superano i 500 parti anno,
limite che diminuisce le garanzie di sicurezza per la minor esperienza degli operatori, per gli
organici scarsi; tale situazione si presenta nel 29% dei punti nascita dell’indagine. Spesso si tratta di
ospedali di piccole dimensioni come confermato dal rapporto posti letto e numero di parti (infatti il
55% dei punti nascita con meno di 500 parti anno si trova in ospedali con meno di 300 posti letto).
Conforta il fatto che maggior numero di parti avviene in strutture che garantiscono un’attività
ostetrica compresa tra 500 e 1000 parti anno (36% del campione).
Purtroppo la nostra indagine conferma quanto evidenziato dalle recenti ricerche in termini di ricorso
a cesarei: la percentuale più alta di cesarei (>30%) si ha nel 60% delle ostetricie italiane, delle quali
27,5% ne effettua oltre il 40%. Siamo ben lontani dalla quota 15% proposta dall’OMS.
L’estrema parcellizzazione dei punti nascita che si verifica nel nostro territorio, facilita il numero
dei tagli cesarei, infatti, l’incidenza maggiore di parti cesarei si ha nell’77% dei punti nascita con
ridotto numero di parti anno, evidenziando la più alta percentuale di cesarei nel 39% di questi,
contro il 50% della media degli altri ospedali.
Nella recente indagine Istat Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari, (già citata) rivela un
ricorso al parto cesareo pari al 35,2% nell'anno 2004-2005 rispetto ad una media nazionale che si
attestava sul 29,9% nell'anno 1999-2000. Il numero dei cesarei è altissimo non solo oltre i 40 anni
(52,2%), ma già intorno ai 30 (36,6%).
Sono soprattutto le donne del sud a ricorrere al cesareo, ben il 45,4%, secondo l’indagine Istat
confermata dai risultati della nostra indagine: nei 122 punti nascita del sud ed isole, il 60%
denunciano una percentuale superiore al 40% di parti cesarei (con i picchi massimi in Campania e
Basilicata) mentre al nord ed al centro la situazione è migliore.
L’umanizzazione delle nascite è interesse sociale, ma questo obiettivo ancora non si è realizzato nel
nostro paese. L’indagine conferma come l’analgesia epidurale sia la metodica più introdotta per
l’umanizzazione del parto (42% dei punti nascita), ma di fatto ristretta ad un limitato numero di
ospedali italiani (19% dei punti nascita) e riguarda la minoranza delle nascite spontanee. Dall’
indagine emerge che solo una donna su quattro sceglie l’ epidurale per il parto, nei centri dove il
servizio di partoanalgesia è presente 24 ore su 24, confermando l’esistenza di problemi ideologici
sia da parte della partoriente che delle altre figure professionali che partecipano all’ evento nascita.
Oltre alla ridotta domanda si riscontra una difformità di offerta conseguenza dei diversi modelli
organizzativi di partoanalgesia che, di fatto, sono “attivi”più sulla carta che come reale servizio
offerto alle partorienti. Il servizio di partoanalgesia deve essere istituzionale, gratuito, con copertura
24 ore su 24, rivolto a tutte le donne che afferiscono alla struttura. La dispersione territoriale dei
parti è uno dei motivi che giustificano la scarsa diffusione della partoanalgesia.
Necessità di una codifica nazionale della metodica ed inserimento dell’epidurale nei Livelli
Essenziali di Assistenza possono favorire la sua implementazione.
160
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Gentile Collega,
il questionario di seguito proposto, ha l’obiettivo di conoscere lo stato dell’analgesia del parto in Italia, attraverso una
indagine rivolta agli anestesisti. Il tema è quanto mai attuale dal momento che anche dal punto di vista legislativo si
registra una concreta risposta alla domanda di umanizzazione del percorso nascita prevedendo il diritto delle donne a
partorire senza dolore (Pdl: Norme per la tutela dei diritti della partoriente, la promozione del parto fisiologico e la
salvaguardia della salute del neonato” A.C. 193 XII Commissione 20/01/2005).
Nel nostro paese questo diritto è esteso a tutto il territorio nazionale o ci stiamo organizzando per diffondere l’offerta di
analgesia nel parto o piuttosto costituisce un optional offerto ad un numero limitato di partorienti di alcune aree
geografiche?
La problematica presenta alcuni punti critici su cui riflettere:
- la mancanza di codifica con un DRG specifico per tale metodica, condiziona la distribuzione delle risorse trovando
poco spazio in tale settore,
- la carenza di anestesisti negli ospedali: ostacolo alla diffusione più ampia della partoanalgesia
- la difficoltà alla diffusione di modelli organizzativi consolidati in termini di efficacia, ed efficienza, la disomogeneità
sul territorio nazionale di percorsi programmati per rispondere alla domanda
- l’esperienza e l’addestramento del personale a tale tematica
- la limitata richiesta di partoanalgesia per scarsa informazione dell’utenza, in alternativa al cesareo
La situazione è diversa tra strutture pubbliche e private?
Nel 2003 un gruppo di studio istituito dal Ministero delle Pari Opportunità, d'intesa col Ministero della Salute, in
seguito ad una indagine nei punti nascita italiani, ha evidenziato la necessità di un cambiamento di rotta per “troppi parti
cesarei, troppo pochi parti indolori”. A fronte di una richiesta di umanizzazione del percorso nascita c'e' il dilagare dei
parti cesarei, che in Italia rappresentano il 30%, con punte, in alcune regioni del 50 e del 60%.
La compilazione del questionario richiederà solo pochi minuti; scopo di questa indagine, oltre a fotografare la
situazione attuale, è promuovere la diffusione della partoanalgesia in tutto il territorio italiano, per rispondere al diritto
di ogni donna di partorire senza dolore. Ringraziamo fin d’ora del tuo contributo a rendere più efficace l’iniziativa.
La diffusione e la raccolta del questionario avviene a cura del Delegato Scientifico della tua regione, grazie della
collaborazione
Consiglio Direttivo SIARED – Commissione AAROI Partoanalgesia
Regione di appartenenza……………………………..
Ospedale/ Casa di cura…………………………………………………Prov…………
1.
Numero posti letto del tuo Ospedale:
□ < 300
□ 300-600
□ 600-1000
□ >1000
2.
Tipologia di Ospedale:
□ Azienda ospedaliera
□ Azienda sanitaria locale
□ Azienda Ospedaliero –Universitaria
□ Istituto ricerca
□ Privato convenzionato
□ Privato non convenzionato
□ Altro
3.
Punto nascita
□ Si
□ No (se no non procedere oltre col questionario)
4.
Numero parti anno nel tuo Ospedale:
□ < 500
□ 500-1000
□ 1000- 1500
□ >1500
5.
Percentuale parti cesarei sul numero totale parti anno nel tuo Ospedale:
□ < 20%
□ 20-30%
□ 30- 40%
□ > 40%
161
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
6.
Nel tuo Ospedale esiste:
□ Guardia anestesiologica dedicata esclusivamente all’ostetricia
□ Reperibilità anestesiologica esclusiva per ostetricia
□ Guardia anestesiologica attiva per tutta l’area chirurgica compresa l’ostetricia
□ Reperibilità anestesiologica con esperto per tutta l’area chirurgica compresa l’ostetricia
7.
Nel tuo Ospedale sono state introdotte metodiche di umanizzazione del parto:
□ No
□ Parto dolce e/o Parto in acqua
□ Parto extraospedaliero ( a casa o casa-parto)
□ Partoanalgesia
□ Altro
8.
Nel tuo ospedale è assicurata la presenza del Mediatore Interculturale che svolge un ruolo educativo-sociale e
collabora con l’equipe per favorire l’umanizzazione del parto?
□ Si, in seguito a questioni legali (richiesta del reparto o della paziente)
□ Si a richiesta della paziente a titolo informativo
□ Si sempre
□ No
9.
Nel tuo Ospedale viene offerta la partoanalgesia?
□ Si sempre (24h)
□ Si sempre esclusivamente di giorno (12h)
□ Si con previsti limiti organizzativi
□ Si saltuariamente
□ Su patologia accertata dal ginecologo
□ No(se no non procedere oltre col questionario)
10. Indica la percentuale in cui viene effettuata la partoanalgesia rispetto al numero dei parti naturali nel tuo Ospedale?
…………………………………………………..
11. La domanda di partoanalgesia viene soddisfatta nel tuo ospedale?
□ Si sempre
□ Si in parte
□ No
12. Principale modalità di erogazione del servizio:
□ Istituzionale o convenzione senza alcun costo per l’utenza
□ Regime libero professionale individuale
□ Regime libero professionale intramoenia d’equipe dedicata
□ Regime libero professionale intramoenia d’equipe
□ Progetto specifico aziendale di attività incentivata senza alcun costo per l’utenza
□
Altro
13. Se esiste il un progetto incentivato per la partoanalgesia questo coinvolge?
□ esclusivamente il Medico Anestesista
□ esclusivamente l’Ostetrica ed il ginecologo
□ coinvolge tutto il team
14. Chi controlla la partoriente in analgesia nel tuo Ospedale?
□ Anestesista non impegnabile in altre attività
□ Medico ostetrico-ginecologo
□ Ostetrica
□ Altro
15. Nel tuo ospedale l’anestesista effettua, ad adeguata distanza dal travaglio, una visita preventiva con redazione di
cartella atta alla verifica dell’idoneità della gestante ed all’illustrazione della tecnica della analgesia peridurale ?
□ Mai
□ Raramente
□ Circa nella metà delle pazienti
□ Sempre
16. Valore economico DRG del parto vaginale senza complicanze nella tua regione: € ………………
17. Valore economico DRG del parto vaginale complicato nella tua regione : € ………………
18. Valore economico DRG del parto cesareo nella tua regione: € ………………….
19. Nella tua regione è previsto un incremento del DRG per la partanalgesia con tecnica peridurale?
□ No
□ Si (specificare…………………………)
□ Non so
Dati personali (facoltativo )Nome Cognome ………………………………………………………….. Età……………
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il trapianto d’organi. Il donatore d’organi: generalità
P. PETTINAO
Azienda Ospedaliera “G. Brotzu”, Cagliari
Premessa
Il trapianto d’organi a scopo terapeutico è una pratica ormai consolidata, fondata su basi
scientifiche assolutamente certe e sicure. Esso rappresenta il terminale di un processo integrato,
complesso, multidisciplinare, che si definisce come “Processo di Donazione-Trapianto”.
Come si sa la donazione d’organi –o di tessuti- può provenire da due tipi di donatori: donatore
vivente e donatore cadavere. A sua volta il donatore cadavere può appartenere a due categorie:
cadavere a cuore fermo e cadavere a cuore battente. In questa breve relazione si farà riferimento
esclusivamente al donatore cadavere a cuore battente.
La Morte
La premessa indispensabile perché si possa parlare di prelievo d’organi a scopo di trapianto è
rappresentata dalla identificazione puntuale e dalla comprensione concettuale e scientifica, nonché
dall’accettazione etica, della Morte Encefalica (ME), anche se, in realtà, si deve parlare solo di
Morte, e basta, ossia senza alcuna aggettivazione, che in qualche modo ne alteri il significato, in
quanto la morte è uno stato, per così dire, assoluto ed immodificabile, e che, in quanto tale, non
ammette limitazioni o modulazioni di alcun genere. Esiste pertanto una sola morte, anche se essa
può verificarsi con diverse modalità.
E’ del tutto evidente a questo punto come sia necessario rispondere alla domanda: “ che cosa
è la morte?” Nel tempo la risposta a tale domanda ha subito varie evoluzioni, partendo dalla
definizione di coma depasseè, coniata da Mollaret e Goulon nel 1959, per finire all’accezione
moderna, di whole brain death, ossia morte totale dell’encefalo, tronco incluso. Al riguardo è
interessante ricordare la definizione che in merito hanno dato, circa 30 anni fa, due neurologi, Plum
e Posner, i quali , in una loro mirabile pubblicazione, così si esprimono: “La morte encefalica è la
conseguenza di una lesione encefalica irreversibile e di gravità tale che l’organo non è più in
grado di mantenere l’omeostasi interna, vale a dire le funzioni respiratoria, cardiocircolatoria,
renale, metabolica, ecc”. E per quanto quest’ultima sia certamente una definizione datata, essa
purtuttavia può essere ancora ritenuta valida, se è vero che la legge 578 del 1993, che disciplina
giuridicamente la materia, così recita all’art. 1 (definizione di morte): “La morte si identifica con la
cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”, ribadendo in questo modo il già citato
concetto di whole brain death (encefalo = cervello + tronco, ossia tutto il contenuto della scatola
cranica).
La base anatomo-patologica della morte encefalica è la necrosi colliquativa appunto di tutto il
contenuto della scatola cranica. La base fisiopatologia è a sua volta rappresentata dall’azzeramento
della Pressione di Perfusione Cerebrale (PPC), secondo la seguente espressione:
PPC = PAM – PIC
In cui PAM = Pressione Arteriosa Media e PIC = Pressione Intra-Cranica
Normalmente il valore della PPC è uguale a 60-90 mmHg; quando tale valore, per cause varie
(trauma cranico, ictus, ascessi, tumori, ecc.) si abbassa fino ad avvicinarsi allo 0, si assiste ad una
conseguente riduzione del Flusso Ematico Cerebrale (FEC). L’encefalo risponde infatti in maniera
abbastanza stereotipata alle varie noxae patogene sopra elencate: esso infatti tende a rigonfiarsi –
sviluppando cioè edema- e quindi ad aumentare di volume; e siccome tale rigonfiamento si verifica
in un ambiente rigido (la scatola cranica), per una elementare legge fisica, tale aumento di volume si
traduce in un aumento di pressione, ossia in un aumento della PIC, e di conseguenza, in base
all’espressione precedente, in una riduzione del FEC. In ultima analisi si manifesta un quadro di
163
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
ischemia cerebrale; quando tale ischemia interessa il tronco, il che avviene dopo un periodo
variabile dai 20 ai 30 m’ dall’inizio del processo, compaiono delle manifestazioni fisiopatologiche
caratteristiche, definite “tempesta vegetativa” o “autonomic storm” . Tali manifestazioni, che sono
comunque un fenomeno pre-mortale, sono caratterizzate fondamentalmente da una imponente
attivazione dell’asse ipofisi-surrene, con conseguente massiva increzione di catecolamine, alla quale
fa seguito una fase di esaurimento.
Il Processo Donazione-Trapianto rappresenta, come è stato detto poco fa, un processo
integrato, complesso e multidisciplinare, che vede impegnati numerosi specialisti, tra i quali un
ruolo preponderante è svolto dall’anestesista-rianimatore. Tale processo parte dalla società in
quanto il donatore, paziente venuto a morte, è stato sottratto alla società, e ad essa ritorna in quanto
il ricevente, guarito dopo il trapianto, viene restituito alla sua dignità personale, esistenziale,
familiare, in una parola sociale.
Il donatore-cadavere
Chi è il potenziale donatore? La risposta è semplice: è ogni soggetto in cui sia stata fatta
diagnosi di morte encefalica a seguito di lesioni primitive o secondarie a carico dell’encefalo,
secondo quanto previsto dalla normativa vigente, esclusi i soggetti nei quali vi siano delle
controindicazioni assolute alla donazione
La diagnosi di ME rappresenta, per le strutture ospedaliere pubbliche, un compito clinico, ha
un valore etico intrinseco e costituisce un obbligo legale.
Il compito clinico è riassunto in un concetto semplice ma allo stesso tempo perentorio:
l’obbligo di effettuare la diagnosi clinica e strumentale di morte, secondo quanto previsto e
analiticamente indicato dalla normativa vigente, segnatamente la L 578/93 ed il DL 583/94,
ricordando che tale diagnosi deve seguire un metodo rigoroso, puntuale, ripetibile ed immutabile.
L’aspetto etico rappresenta un campo difficile, dalle molte sfaccettature, considerando che
siamo di fronte ad una situazione estremamente drammatica, quale è la morte, in cui prevalgono
momenti di irrazionalità, incredulità, rabbia, frustrazione, angoscia e quant’altro; in cui assume un
valore fondamentale il momento della comunicazione, campo di difficile approccio, ma in cui, con
impegno, umiltà e disponibilità da parte del personale dedito all’assistenza, è possibile instaurare,
con i parenti del morto, una sorta di alleanza terapeutica, cementata proprio dalla richiesta della
donazione.
L’obbligo legale scaturisce direttamente, come già detto, dalla legislazione vigente la quale,
nelle sue varie articolazioni, impone, in maniera perentoria, inderogabile ed indiscutibile che, in
presenza di un individuo che si trovi nello stato di ME, vengano messe in atto tutte le procedure
dirette ad accertare la morte. A seguito di tale accertamento, e solo a seguito di ciò, si possono
predisporre gli aspetti organizzativi atti a valutare la possibilità di innescare il già citato processo
donazione-trapianto.
Per concludere quest’ultimo aspetto, occorre ricordare che il momento della morte coincide
con l’inizio dell’esistenza simultanea delle condizioni previste dal comma 1, art 2, legge 578/93,
ossia:
- mancanza della coscienza,
- assenza dei riflessi del tronco e del respiro spontaneo,
- silenzio elettrico cerebrale all’EEG.
Sono proprio queste le condizioni che impongono l’attivazione delle procedure poco prima
elencate.
Processo donazione-trapianto
L’identificazione del potenziale donatore rappresenta una delle più difficili ma allo stesso
tempo più esaltanti sfide cliniche che una struttura ospedaliera possa affrontare, e ciò è vero
164
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
soprattutto per l’anestesista-rianimatore e per il coordinatore locale ai prelievi ed ai trapianti. Perchè
tale attività possa procedere in maniera corretta, è necessario innanzi tutto monitorizzare tutti i
pazienti ricoverati nelle terapie intensive, che presentino una lesione cerebrale severa, sia essa
primitiva (trauma cranico, emorragia cerebrale, tumori primitivi, ecc.) o secondaria (coma postanossico).
Una volta che si verifichi uno stato di ME, va attivato il già citato processo di donazionetrapianto, il quale, sommariamente prevede le seguenti tappe:
- diagnosi di morte,
- accertamento della stessa secondo le norme di legge,
- comunicazione della morte ai parenti,
- richiesta della donazione,
- valutazione dell’idoneità del soggetto deceduto in quanto donatore e dell’idoneità dei
singoli organi,
- mantenimento del donatore,
- espletamento delle procedure medico legali ed organizzative,
- prelievo degli organi ed eventualmente dei tessuti
- trapianto.
Fattori di rischio
Tra i compiti da assolvere, certamente uno dei più sensibili è rappresentato dalla
identificazione degli eventuali fattori di rischio, secondo la classificazione proposta dal Centro
Nazionale Trapianti, proposta che prevede cinque livelli di rischio:
-1°. Rischio standard, in cui non sono emersi, nel donatore, fattori di rischio per patologie
trasmissibili.
-2°. Rischio calcolato, quando sono stati evidenziati agenti specifici o stati sierologici, nel
donatore, ed in cui i riceventi presentino lo stesso pattern, es. donatore HBsAg + e riceventi
con lo stesso quadro sierologico.
-3°. Rischio aumentato ma accettabile, in cui la valutazione evidenzia la presenza di agenti
patogeni trasmissibili, non presenti nel ricevente, ma in cui l’utilizzo degli organi è
giustificato dalla gravità delle condizioni cliniche dei riceventi.
-4°. Rischio inaccettabile, quando il processo di valutazione evidenzia la presenza di fattori di
rischio inaccettabili, es. neoplasie maligne metastatizzanti in atto, infezioni provocate da
germi multiresistenti, infezioni da HIV, epatite HBsAg + e Delta + contemporaneamente,
malattie da prioni accertate.
-5°. Rischio non valutabile, in cui, per es., non sia possibile effettuare l’anamnesi.
Conclusioni
In conclusione, il Processo di Donazione-Trapianto rappresenta una delle attività cliniche più
difficili ma contemporaneamente più cariche di significato, connotata com’è di risvolti, oltre che
clinici, peraltro assai impegnativi, anche etici, umani e sociali. Il Donatore d’organi è un soggetto
affatto particolare, considerando che le cure, le attenzioni, l’impegno assiduo da parte di tutti i
professionisti coinvolti, ad esso riservati, in realtà non sono tesi ad ottenere risultati immediati sul
soggetto sottoposto a tali procedure, ma sono finalizzati alla cura, al benessere, alla salute di altri
pazienti, generalmente sconosciuti a coloro che sono impegnati in questo processo.
E si tratta di una bella sfida!
Bibliografia
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manuale TPM V ed: 47
Nuove prospettive nel mantenimento del polmone
S. PINTAUDI
S.C. Anestesia e Rianimazione, A. O. “Garibaldi” di Catania
E’ noto come al successo della metodica terapeutica del trapianto di cuore, reni e fegato, non sia
seguito un risultato altrettanto entusiasmante per il trapianto del polmone.
Tutti gli studiosi impegnati nella tematica trapiantologia di questo organo, stanno oggi tentando
di comprendere le cause che portano ad una minore riuscita di detta tipologia di trapianto e quasi
tutti concordano nel ritenere come siano molteplici gli elementi di rischio che possono condurre ad
un fallimento del trapianto di polmone.
Si può certamente concordare nel ritenere che il successo del polmone trapiantato sia
intimamente correlato alle condizioni del polmone-donatore; in effetti la selezione del polmone
donatore consta di un processo molto complesso che si basa sulla valutazione di numerosi elementi
che possono influire in maniera determinante sulla ripresa funzionale del polmone trapiantato.
Non può però sottacersi come nel periodo 1.1.2002/31.12.2004, in Italia su 6024 donatori di
organi: 5201 polmoni non sono stati neanche offerti dalle rianimazioni, 448 sono stati offerti e non
prelevati perché non ritenuti idonei, 42 prelevati e successivamente non ritenuti idonei al trapianto.
Da una analisi dei criteri seguiti per la selezione del polmone-donatore non sempre è risultato
agevole rilevare criteri di cut-off basati su evidenze scientifiche; sono stati piuttosto messi in
evidenza criteri soggettivi legati per lo più alle esperienze dei singoli centri trapianto.
Inoltre la scarsità dei potenziali donatori, in uno con il consistente aumento dei pazienti in lista di
attesa, impongono una revisione attenta sia dei criteri di selezione del donatore cadavere sia dei
sistemi di mantenimento e di gestione del polmone-donatore.
In via preliminare, è da considerare come per il passato la metodologia di mantenimento del
potenziale donatore abbia mirato principalmente ad adeguare l’idratazione per assicurare
un’ottimale funzione renale ed epatica senza però apportare i correttivi necessari a scongiurare un
aumento abnorme della permeabilità dell’endotelio e dell’epitelio polmonare, causa prima della
disfunzione polmonare acuta e progressiva.
Nel trapiantato di polmone possiamo distinguere due momenti di eventi negativi: precoci (che si
manifestano entro i primi 6 mesi dal trapianto) e tardivi (tab I).
EVENTI PRECOCI
Tecnica Chirurgica
Infezioni
Rigetto
166
EVENTI TARDIVI
Sindrome da Bronchiolite Obliterante
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
La revisione della bibliografia internazionale insieme alla revisione critica della casistica di
donatori e potenziali donatori di organi, ci porta a ritenere che la gestione ottimizzata del donatore,
principalmente dopo che si è realizzata la morte encefalica, può concorrere in maniera determinante
alla riduzione drastica sia dei donatori giudicati non idonei per il prelievo di polmoni sia degli
eventi negativi quali le infezioni, il rigetto e la sindrome bronchiolare obliterante.
È da ritenere infatti, che le motivazioni della non idoneità del donatore di polmone quali:
FATTORI INTRINSECI
Contusione Polmonare
Polmonite Chimica
Polmonite Batterica, Virale, Micotica
MODALITA’ TERAPEUTICHE
Errata Ventilazione
Pneumotorace iatrogeno
Biotrauma
Volutrauma
Prolungata Ventilazione
se trattate mediante una strategia che miri a rimuovere le cause della disfunzione polmonare ed a
reclutare il parenchima polmonare in maniera tale da riportare gli indicatori di funzionalità
polmonare a livelli accettabili, potrebbe indursi una revisione dei criteri di selezione del potenziale
donatore di polmoni. Tale strategia deve avvalersi di metodiche di ventilazione adeguatamente
conservative e sostituzione e/o implementazione di fattori fisiologicamente presenti nel polmone,
quale il surfattante, che per eventi patologici sono stati resi inattivi.
L’autore riferisce casistica di notevole miglioramento degli indici di funzionalità di polmoni
contusi o affetti da polmonite chimica; oltre ad un caso di polmone contuso, trattato e prelevato a
scopo di trapianto con attuale ottima funzionalità dello stesso nel paziente trapiantato.
Polmone-donatore Contusione
Polmone-ricevente ante trapianto
Polmone-donatore in Trapiantato
L’anestesia e la sedazione nell’emergenza extraospedaliera
G.M. PISANU
Servizio Anestesia, P.O. San Giovanni di Dio – Cagliari
Introduzione
Solo pazienti con grave stato di shock ed in profonda ipotensione o in arresto cardiaco possono
essere intubati senza l’uso di agenti induttori. Tutti gli altri pazienti soccorsi in emergenza che
167
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
necessitano di un’intubazione tracheale trarranno beneficio da un’adeguata anestesia, che precede la
curarizzazione e l’intubazione. Per le intubazioni eseguite in emergenza senza l’associazione di
sedazione e paralisi è descritto il 20% di fallimenti (1). I pazienti con grave trauma cranico che
possono essere intubati senza farmaci induttori o miorilassanti (p. es. con GCS 3, privi di riflessi)
hanno di solito una prognosi infausta (2). Allo stesso tempo, la laringoscopia e l’intubazione senza
anestesia possono produrre un innalzamento della pressione intracranica con il rischio di
un’erniazione cerebrale. Verranno analizzate e illustrate le varie situazioni che nell’emergenza
extraospedaliera richiedono un opportuno intervento farmacologico di natura anestesiologica.
Induzione a Sequenza Rapida (RSI)
L’Induzione a Sequenza Rapida è una procedura finalizzata all’intubazione tracheale in
emergenza comprendente specifiche fasi ed azioni che determinano una sedazione e paralisi rapide,
senza (idealmente) ventilazione a pressione positiva. La RSI, proposta da Stept e Safar (3) nel 1970,
determina le condizioni più favorevoli per l’intubazione oro-tracheale (IOT) in emergenza, in
quanto previene il rischio di inalazione del contenuto gastrico. In tali circostanze, infatti, i pz sono
sempre considerati a stomaco pieno (per pasto recente; per ritardato svuotamento gastrico, legato a
trauma, addome acuto, morfinici; per incontinenza dello sfintere esofageo inferiore, legata ad
obesità, gravidanza, ernia iatale) (4).
Le indicazioni principali per la RSI sono:
1. Incapacità a proteggere o a tenere pervie le vie aeree
2. Insufficienza ventilatoria
3. Insufficiente ossigenazione
4. Prevedibile deterioramento clinico (ematoma espansivo del collo)
5. Lesioni craniche gravi (GCS <9)
6. Stati di overdose o di male epilettico
7. Traumatizzati agitati e combattivi
8. Probabili fratture cervicali, con pazienti in delirio non immobilizzabili.
Monitoraggio. Il monitoraggio cardiovascolare e respiratorio sono essenziali per la procedura di
RSI: monitoraggio cardiaco, pulsossimetria, rilevazione automatica della pressione e capnometria,
attualmente, sono presidi indispensabili per una corretta esecuzione di questo atto medico vitale.
Aspirazione. Un sistema di aspirazione ben funzionante, con cannula rigida (Yankauer tip) o
con sondino flessibile di grosso calibro, messo in azione e posto alla destra dell’operatore, è
obbligatorio prima di procedere alla RSI.
Preossigenazione. Dev’essere somministrato O2 al 100% ad alti flussi per ottenere la
denitrogenazione completa, con 8 respiri profondi in 30-60 sec., o con 3 min. in respiro normale (5).
Il paziente va posizionato in “sniffing position”, sollevando la testa con un cuscino, in modo che il
meato uditivo sia allineato con il processo xifoideo. La laringoscopia è una manovra molto dolorosa
e altamente reflessogena, che può far aumentare la pressione arteriosa (PA) di 25-58 mmHg, così
come la pressione intraoculare, intragastrica e la PIC di oltre 20 mmHg. Dopo la sequenza di RSI si
può avere una disastrosa caduta della PA. E’ imperativo ridurre al minimo tali eventi pericolosi
nell’anestesia in emergenza. La Lidocaina e.v. in bolo 1,5-2mg/kg data 2-3 min prima dell’IOT
riduce il rialzo della PIC e le aritmie da stimolazione laringea. Alternativo è l’uso di Esmololo in
bolo a 1-2 mg/kg dato sempre 2-3 min prima (6): ad esso è attribuito un effetto additivo se usato in
combinazione con la lidocaina o con il fentanil. Il Fentanil a 2-3 mcg/kg dato 2-3 min prima è
altrettanto efficace nel ridurre il rialzo della PIC post-intubazione.
Induzione. L’induzione produce sedazione e anestesia, per effetto di vari farmaci scelti in base
al quadro clinico, alla stabilità emodinamica ed alle patologie pregresse del paziente (7). Questi sono
somministrati sotto forma di bolo rapido e la loro azione deve raggiungere il massimo effetto in
meno di 1 minuto. Il Midazolam a 0,02-0,05 mg/kg ha solo un effetto sedativo, oltre che un effetto
168
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
neuroprotettivo; utilizzato come induttore, (0,1-0,2 mg/kg), ha un onset-time troppo lento per la
sequenza di RSI e può risultare ipotensivo in pazienti ipovolemici, per cui va sostituito da altri
farmaci. Il Tiopentone Sodico è un gabaergico analogo delle benzodiazepine, a 3-5 mg/kg fa
perdere coscienza in 30-45 sec. L’azione neuroprotettiva lo rende ideale nei traumi cranici, ma non
nei pazienti ipovolemici, in cui può determinare gravi cali pressori. In tali pazienti è ottimale
l’Etomidate (non in commercio in Italia, ma diffuso e molto usato in emergenza in molti Stati
Occidentali), un imidazol-carbossilato che, a 0,2-0,3 mg/kg , produce un’induzione con profilo
emodinamico stabile e buona neuroprotezione (8). La Ketamina, oltre che un ottimo sedativoanalgesico specie nei bambini, può essere un agente induttore ad 1-2 mg/kg. Per le sue proprietà
simpaticomimetiche è utile in pazienti ipotesi o in shock emorragico, ed in pazienti in stato di male
asmatico; è stato, peraltro, dimostrato che non provoca aumento della PIC se si assiste la
ventilazione o si associa il midazolam (9). Va sempre preceduta da una benzodiazepina a bassi
dosaggi (per ridurre gli effetti allucinatori) e dall’atropina (per contrastare l’azione scialagoga). Il
Propofol, infine, è il più diffuso induttore in sala operatoria; riduce il metabolismo cerebrale (come
TPS ed etomidate), ha azione broncodilatatrice (come la ketamina) e, utilmente per l’IOT, rilascia la
muscolatura faringo-laringea: tuttavia, alle dosi d’induzione di 2-2,5 mg/kg, riduce
significativamente la PA in modo dose-dipendente.
Analgesia. I farmaci più diffusi per l’analgesia in emergenza sono due oppiacei: il Fentanil,
impiegato per il rapido onset e la breve durata d’azione, alle dosi di 2-3 mcg/kg, con effetti di rapida
analgesia e buona stabilità emodinamica, che può essere titolato fino al raggiungimento dell’effetto
desiderato; l’altro farmaco analgesico molto diffuso, a lunga durata d’azione, è la morfina alla dose
di 0,1mg/kg, destinata, tuttavia, non tanto alla RSI ma, elettivamente, ai casi di dolore toracico da
infarto miocardico acuto.
Miorisoluzione. Due farmaci sono raccomandabili per la curarizzazione nella RSI: uno più
diffusamente usato, la succinilcolina, curaro depolarizzante, che a dosi di 1,5-2 mg/kg ha un onset
time di 30-40 sec per una durata di 7-10 min, gravato peraltro da notevoli effetti collaterali
(aumento di PIC, pressione intragastrica ed endoculare, bradi-aritmie, Iperpotassiemia, Ipertermia
Maligna,) (10); l’altro, il rocuronio, curaro non depolarizzante, che, a 0,3-0,6 mg/kg, è attivo in 6090 secondi per una durata media di 30-45 minuti e che possiede il più rapido onset-time della sua
classe, con minimi effetti collaterali. In entrambi i casi occorre essere esperti non solo nella usuale
gestione delle vie aere, ma anche nel presidio transcutaneo della glottide, per ovviare a situazioni di
pazienti non intubabili e non ventilabili a seguito della loro somministrazione: il maggior rischio
della RSI è, infatti, l’incapacità di controllare le vie aeree di un paziente paralizzato, che può portare
ad esiti molto gravi, quali lesioni cerebrali ischemiche fino al decesso.
Procedura di RSI. Dopo accurata preossigenazione del paziente, in O2 100% con maschera
facciale ben adesa, mentre viene applicata la manovra di Sellick, si procede alla somministrazione
in 20”dell’induttore, seguito in rapida sequenza dal curaro. Senza ventilare il paziente, si prosegue
con la laringoscopia e l’IOT. Se questa viene conseguita regolarmente, si verifica con capnometria
(ETCO2) e si assicura il fissaggio del tubo tracheale. Se la manovra fallisce, dopo il 3° tentativo, si
posiziona LMA o Combitube, sempre sotto compressione cricoidea. Se anche tale tentativo è vano,
si procede ad accesso tracheale rapido transcutaneo, mediante cricotireotomia (11).
Scenari clinici
La scelta dei farmaci induttori per la Rapid Sequence Induction (RSI) dev’essere mirata per quel
singolo paziente, in quel dato scenario clinico (12). Non esiste un unico farmaco induttore adeguato
a tutte le circostanze, per cui occorre fare alcune considerazioni, da tenere presenti nel momento
delle scelte terapeutiche applicative.
1.
I pazienti con trauma cranico dovrebbero ricevere un pretrattamento con lidocaina per ridurre
gli aumenti della PIC conseguente all’intubazione; diverse fonti raccomandano anche l’uso di
169
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
2.
3.
4.
5.
fentanil, ma questo è controverso perchè gli oppioidi potrebbero indurre un iniziale aumento
della PIC. Nei pazienti con solo trauma cranico, il tiopentone è un’ottima scelta per i suoi
effetti neuroprotettivi; tuttavia, poiché molti traumatizzati sono ipotesi e ipovolemici, qualora
siano sospettate altre gravi lesioni, dovrebbe essere impiegato l’etomidate.
Per i pazienti che non tollerano gli stimoli adrenergici della RSI, dovrebbe essere considerata
la premedicazione con fentanil o esmololo. Questo include pazienti con crisi ipertensive
sintomatiche, con aneurisma dissecante aortico toraco-addominale, malattia coronarica
instabile e possibile incremento della pressione intracranica.
Sebbene molti agenti siano sicuri per l’uso nello stato di male asmatico, l’istamino-liberazione
indotta dal TPS può esacerbare il broncospasmo. Esiste un’evidenza riconosciuta per gli
effetti benefici broncodilatatori indotti dalla ketamina. Quando si usa questo farmaco, occorre
associare una sedazione con una benzodiazepina per ottundere gli stimoli simpatici e le
reazioni disforiche viste al risveglio.
L’etomidate sta diventando rapidamente l’agente di scelta nei pazienti con ipotensione,
causata sia da trauma, sepsi o qualsiasi altra causa (13). Questo agente induttore ha il profilo
emodinamico più stabile di qualsiasi altro agente ed il profilo degli effetti collaterali è
minimo. La ketamina può essere usata nei pazienti ipotesi per quanto possano tollerare gli
effetti simpatici.
Il medico che attua una RSI dev’essere esperto nell’uso di diversi farmaci per i vari scenari
che si possono presentare. Poiché la gestione critica delle vie aeree è contemplata nella sfera
della pratica della medicina dell’emergenza, la conoscenza di tali farmaci è essenziale. La
selezione corretta può essere vitale in situazioni oltremodo potenzialmente disastrose.
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Cause di fallimento dell’analgesia postoperatoria
G.M. PISANU
Servizio Anestesia, P.O. San Giovanni di Dio – Cagliari
Definizione del dolore postoperatorio (p.o.)
Il dolore postoperatorio è stato definito dall’American Society of Anesthesiology (1) come: “un
dolore acuto persistente del paziente chirurgico causato dalla malattia preesistente, dall’atto
chirurgico o dalla combinazione tra malattia preesistente e procedura chirurgica”. Da questa
definizione si ricava il carattere di ineluttabilità e di prevedibilità del dolore postoperatorio: è un
tipo di dolore che certamente comparirà al termine degli effetti dell’anestesia, con caratteristiche
variabili legate alla sede, all’intensità ed alla durata, ma che chi gestisce l’anestesia ha il compito e
l’obbligo di contrastare nei modi opportuni. Nel 2004 Cousins (2), su Pain, sostiene che il fallimento
nel trattamento del dolore acuto denota una medicina di bassa qualità (“substandard”), gravata da
notevoli effetti collaterali, non etica e che conduce a contenziosi di tipo medico-legale.
Strategia anestesiologica
L’anestesista, nell’impostazione della strategia perioperatoria, deve pertanto prevedere un’analgesia
che sia del tutto efficace, anche in considerazione del fatto che l’attuale uso intraoperatorio di
oppiacei e di alogenati caratterizzati da cinetiche rapide, modifica radicalmente la tempistica del
riscontro di un’analgesia p.o. insufficiente. Già pochi minuti dopo il risveglio, infatti, cessano gli
effetti dei farmaci anestetici e, conseguentemente, viene svelato l’inadeguato intervento antalgico
p.o. Come nella favola di Hans Christian Andersen, già dalla sala operatoria si scopre che “il re è
nudo”: l’analgesia p.o. è stata mal condotta e il pz soffre e si lamenta (3).
Sottostima del dolore p.o.
Questa affermazione ha riscontro oggettivo e quotidiano nella visione di pz sofferenti e spesso
abbandonati alla loro sorte che tuttora si vedono nelle corsie dei reparti. Se, conseguentemente,
come entità responsabile della scarsa “educazione degli operatori sanitari” è facile tirare in ballo le
istituzioni, altre ragioni trovano una connotazione individuale di responsabilità propria degli
operatori: la scarsa conoscenza della farmacologia degli analgesici a disposizione pregiudica la
combinazione tra loro e l’aggiustamento posologico che andrebbe fatto sul singolo pz; altrettanto
vale per la scarsa padronanza delle tecniche antalgiche (blocchi periferici; cateteri a permanenza;
etc) e per la scarsa capacità di gestire le complicanze p.o. in reparto.
Trattamento del dolore p.o. per via sistemica (4)
I farmaci in uso nel trattamento antalgico sono ormai ritenuti classici (Paracetamolo, FANS,
Tramadolo e Oppioidi), combinati variamente tra loro e supportati dai cosiddetti adiuvanti (N2O,
ketamina, gabapentin, lidocaina, clonidina, cannabinoidi, MgSO4). Il massimo rendimento si ottiene
con l’analgesia multimodale che ottimizza in modo massimale l’azione sinergica di farmaci con
differente meccanismo d’azione.
Pre-emptive o preventive analgesia
171
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il concetto di pre-emptive analgesia (trattamento antalgico che, precedendo l’incisione o l’atto
chirurgico, previene la sensibilizzazione centrale causata dall’incisione e dalla risposta
infiammatoria), che ha dominato la ricerca anestesiologica degli anni ’90, attualmente ha lasciato il
posto a quello di preventive analgesia (trattamento antalgico che può essere o meno iniziato prima
dell’intervento, ma la cui efficacia è tale che l’effetto è osservato per un periodo che eccede la
durata d’azione attesa per l’analgesico principale): se la pre-emptive analgesia non ha effetto clinico
significativo sulla riduzione del dolore p.o., tranne che per i farmaci antagonisti dei recettori
NMDA (5), la preventive analgesia (o “protective”, dato che previene l’ipersensibilità al dolore, o
dolore patologico) ha effetto clinico sulla riduzione del dolore p.o. e sul consumo di analgesici (6).
L’analgesia p.o. è sempre efficace?
Sappiamo bene che ancora oggi il dolore p.o. è inadeguatamente trattato. Una review condotta nel
2002 (7) su 165 lavori degli 800 esaminati (dal 1985 al 2001), con interventi di Chirurgia
Addominale, Toracica, Ginecologica, Ortopedica, per un totale di 19900 pz, tesa a valutare
l’incidenza di dolore p.o. moderato (VAS >30/100) o severo (VAS > 70/100), a seguito di 3 diverse
tecniche antalgiche (IM, PCA, Epidurale), ha mostrato che in media veniva riscontrata un’incidenza
di dolore moderato del 29,7% e di dolore severo del 10,9%. Questo dato dimostra che si è ben
lontani dagli standard suggeriti dalla UK Audit Commission nel 1997 (8), la quale propugnava che,
entro il 1977, meno del 20% degli operati avesse dolore severo e che tale valore si dovesse
idealmente ridurre a meno del 5% per la fine del 2002.
Quali ragioni determinano l’insuccesso dell’analgesia p.o.?
Esaminiamo, a questo punto, alcune situazioni responsabili del fallimento dell’analgesia p.o.
1. Interazioni farmacologiche (9)
Diverse interazioni tra i farmaci impiegati in corso di anestesia risultano potenzialmente dannose
per il pz. Tra i meccanismi alla base di tali effetti negativi consideriamo: a) Le Interazioni
Farmaceutiche, intese come combinazione chimica diretta tra i farmaci stessi o con il materiale
delle linee d’infusione. P.es. Tramadolo, Ketorolac e Propacetamolo in Soluzione Fisiologica
provocano un precipitato inattivo ed ostruente le linee d’infusione. b) Le Interazioni
Farmacocinetiche. Nel processo di biotrasformazione epatica dei farmaci, il Citocromo P450 può
subire un’induzione enzimatica: la Rifampicina attiva il metabolismo del Metadone (Del Fentanyl?
Di altri oppioidi?), dimezzandone le concentrazioni plasmatiche; così pure Carbamazepina,
Fenitoina e Barbiturici accrescono il metabolismo degli oppioidi. Altri farmaci, al contrario,
producono inibizione enzimatica: l’Eritromicina, può ridurre l’eliminazione di Alfentanil e
Midazolam, con rischio di depressione respiratoria, fino all’apnea.
2. Effetto “Placebo” o “Ansiebo”
Nel dolore p.o., non è valutato appieno il ruolo dello stress psicologico legato all’atto chirurgico. Il
contesto terapeutico sviluppa in alcuni pz un’influenza antalgica (Effetto Placebo), in altri algica
(Effetto Ansiebo), non ancora ben studiate (10): la relazione terapista/paziente svolge, certamente,
un ruolo centrale. Il pz “Placebo Responder” ha un’incondizionata fiducia nel personale e nella
struttura in cui è assistito, mostra fiducia in sé stesso (autostima), che si traduce in ridotta
percezione e progressiva attenuazione del dolore, fino alla scomparsa. Il pz “Ansiebo Responder”
evidenzia sfiducia verso i curanti e l’intero ambiente che lo circonda, palesa convinzione di non
poter ottenere nulla di positivo (disistima), ha spiccata paura degli eventi che sta per affrontare (atto
chirurgico ed anestesiologico indistintamente), fatto che predispone ad una marcata percezione del
dolore ad andamento crescente, con scarsa risposta ai farmaci (compresi gli oppioidi), quasi del
tutto inefficaci. In costoro, spesso, si ottengono risultati sorprendenti trattando la componente
ansiogena.
172
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
3. Farmacogenomica
La farmacogenetica è lo studio della variabilità individuale nella risposta ai farmaci, che include
l’identità e la sequenza dei geni che codificano per enzimi coinvolti nell’attività e nella tossicità dei
farmaci; la farmacogenomica è lo studio non limitato ad un numero definito di geni noti, ma esteso
all’intero genoma umano. Conoscendo i geni responsabili dell'efficacia e della tossicità dei farmaci,
si potrebbe predire la dose appropriata e/o il farmaco giusto per ciascun individuo, riducendo il
rischio di effetti collaterali o di mancanza di effetto: si costruirebbe, in tal modo, il “Profilo genetico
di risposta al farmaco”. Che cosa s’intende per polimorfismo genetico? Sono le variazioni
monogeniche che esistono nella popolazione in almeno 2 fenotipi; spesso basta un Single
Nucleotide Polymorphism o SNP (snip) per avere la mutazione di una singola base, nel DNA a
doppia elica, che sostituisce un nucleotide con un altro (11). Il CYP2D6 (Citocromo P 4502D6) è un
enzima epatico che metabolizza diversi farmaci: Metoprololo, Alprenololo, Propafenone,
Droperidolo, Ondansetron, Codeina e Tramadolo. Il suo difetto enzimatico può originare da una
mutazione che dà un’alterata espressività dell’enzima: gli scarsi metabolizzatori hanno una
delezione completa o la sostituzione di un singolo nucleotide del gene CYP2D6 che conduce ad
un’aberrante codifica del gene. Conseguenze cliniche: la Codeina è un profarmaco che il CYP2D6
trasforma in morfina: nei pz con difetto enzimatico (metabolizzatori lenti) la codeina dà una quota
di morfina scarsamente rilevabile, con effetto ridotto. In alcune popolazioni caucasiche o africane,
che sono dei metabolizzatori ultrarapidi (URM), la codeina produce alti livelli di morfina, con rischi
di gravi effetti collaterali. Il Tramadolo è trasformato dal CYP2D6 in O-Desmethyltramadolo, 2
volte più potente sui recettori μ: nei metabolizzatori lenti c’è una significativa caduta degli effetti
analgesici del farmaco; nei metabolizzatori rapidi ci può essere un rischio di sovradosaggio. Altre
variazioni genetiche sono state associate con ambiti strategici connessi all’anestesia. Bond et Al (12)
hanno trovato nel 10% della popolazione un polimorfismo della posizione 118 del gene del
recettore μ-oppioide: la proteina variante correlata risultava 3 volte più potente nell’interazione con
le beta endorfine rispetto al suo allele normale. Befort et Al (13) hanno documentato la mutazione
S268P che determina una perdita di funzione del recettore μ-oppioide umano. Questi fatti indicano
come le variazioni genomiche possano svolgere un ruolo molto importante nel determinare la
risposta dei pazienti agli analgesici oppioidi.
Accorgimenti atti a ridurre i fallimenti della terapia antalgica
Nell’ambito di una maggior attenzione per l’efficacia dell’analgesia p.o. è essenziale inquadrare
psicologicamente i pz nei gruppi placebo o ansiebo, procedere ad un’attenta valutazione delle
terapie in uso e delle combinazioni farmacologiche nel perioperatorio, perseguire la soppressione
del dolore p.o. con trattamento antalgico preventivo, intensivo e multimodale, con particolare enfasi
sulla condotta “mirata” a quel pz ed in quel contesto, unico ed irripetibile. Accanto a un nuovo
modus operandi, va data debita considerazione alla prevenzione ed al controllo degli effetti
collaterali legati ai farmaci analgesici, tenendo sempre a mente l’assunto che “il controllo del dolore
p.o. è un diritto universale di ogni pz” (2).
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Il ruolo dell’anestesista-rianimatore negli ospedali con ostetricia ma senza neonatologia
D. RIPAMONTI
U.O. Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera Ospedale San Carlo Borromeo - Milano
Introduzione
L’assistenza e l’eventuale rianimazione del neonato alla nascita sono state particolarmente
valorizzazione nelle Riforme Sanitarie e nei Piani Sanitari Nazionali.
Da un esame dei decreti, degli ordinamenti e dei progetti obiettivi, riguardanti il neonato, che si
sono succeduti dal 1969 ad oggi, si evince una parallela ed esclusiva valorizzazione delle figure del
neonatologo e del pediatra.
Infatti, l’Ordinamento dei Servizi Ospedalieri definito dalla Riforma Sanitaria pubblicata con
decreto del Presidente della Repubblica n.128 del 27 marzo 1969 (1) e, per la Regione Lombardia,
il Piano Ospedaliero Lombardo, L.R. 3 settembre 1975, n.55 (2), definivano l’assoluta competenza
del Neonatologo nell’assistenza globale del neonato alla nascita.
A distanza di circa trenta anni, il Piano Sanitario Nazionale per il triennio 1998-2000 ha previsto,
tra i suoi obiettivi prioritari la tutela della salute in ambito materno-infantile e, conseguentemente,
con il D.M. 24 aprile 2000 (3) è stato decretato di adottare il Progetto Obiettivo Materno Infantile.
Al punto 2, di tale Progetto, intitolato “Il percorso Nascita” è scritto che:
“ La gravidanza ed il parto sono eventi fisiologici che possono talora complicarsi in modo non
prevedibile e con conseguenze gravi per la donna, per il nascituro e per il neonato”
“E’ necessario che ad ogni parto venga garantito un livello essenziale ed appropriato di assistenza
ostetrica e pediatrico-neonatologica”
“L’offerta dei servizi ospedalieri ostetrici e pediatrici/neonatologici non può prescindere da
un’organizzazione a rete su base regionale o interregionale articolata in tre livelli, con differenti
caratteristiche strutturali e competenze professionali, in modo da garantire la massima
corrispondenza tra necessità assistenziali della singola persona e appropriatezza ed efficacia delle
cure erogate”
174
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
“In tale contesto deve essere posta particolare attenzione, in sede di programmazione regionale,
affinché si consegua una uniformità di livello assistenziale tra U.O. ostetriche e U.O.
neonatologiche-pediatriche. Nelle rare realtà caratterizzate dell’esistenza in una Azienda di U.O di
Neonatologia (U.O.N.) dotata di U.O. di Terapia Intensiva Neonatale (U.T.I.N.), ma non di U.O.
ostetriche o viceversa, i contratti interaziendali ex D.Lgs.n.502/1992 e D.Lgs.n517/1993
garantiscono un’integrazione funzionale interaziendale che permette di superare gli effetti negativi
dell’anomalia strutturale aziendale”
“L’assistenza al neonato è affidata, a seconda del livello considerato, all’Unità Operativa di
Neonatologia e Patologia Neonatale (U.O.N. – P.N.) (con o senza U.T.I.N.) o all’ Unità Operativa
di Pediatria e Assistenza Neonatale (U.O.P. – A. N.) ed è soddisfatta da personale specializzato
(pediatra, neonatologo) dei ruoli laureati delle suddette U.O. e da personale dei ruoli infermieristici
e tecnici, anch’esso con competenze specifiche pediatrico-neonatologiche..”
“Uno degli obiettivi del PSN è proprio quello della uniformità dell’assistenza alla nascita nelle varie
aree del Paese”.
Nello stesso decreto, al punto 2.1 “Trasporto materno e neonatale” si legge che:
“Il trasporto della gravida e del neonato deve essere considerato una componente essenziale di un
piano di regionalizzazione delle cure perinatali”
“Anche in presenza di una corretta organizzazione assistenziale che preveda il trasferimento della
gravidanza a rischio, circa l’1% dei nati vivi può avere la necessità di essere trasferito”
“Il trasporto neonatale rappresenta la cerniera di collegamento tra punto nascita periferico e centro
di riferimento di II livello e quindi deve provvedere ad un rapido, efficace e sicuro trasporto dei
neonati che hanno bisogno di un livello assistenziale superiore a quello offerto dall’ospedale di
nascita”
”L’attività di trasporto del neonato deve essere espletata da personale con provata esperienza in
Terapia Intensiva Neonatale e non dovrebbe, di norma, essere effettuata a cura del punto nascita che
generalmente dispone di minori risorse quantitative e qualitative di personale e di attrezzature”.
Nel Piano Sanitario Nazionale per il triennio 2003-2005 (4), viene affermata la validità
dell’Obiettivo Materno Infantile del PSN 1998-2000 ma parallelamente ne viene sottolineata la non
totale applicazione. Vale la pena di citare alcuni passi significativi:
“Esistono.. molte disuguaglianze sul piano organizzativo e gestionale nelle strutture dove avviene la
nascita e questo pesa negativamente sulla mortalità perinatale e sugli esiti a distanza (handicap)”
“La rete ospedaliera pediatrica….appare ancora decisamente ipertrofica rispetto ad altri Paesi
europei….mentre la presenza del pediatra dove nasce e si ricovera un bambino è garantita nel 50%
degli Ospedali, l’attività di pronto soccorso pediatrico è presente solo nel 30% degli Ospedali”
“La guardia medico-ostetrica 24 ore su 24 nelle strutture dove avviene il parto è garantita solo nel
45% dei reparti”
“Malgrado la forte diminuzione della natalità, il numero dei punti nascita è ancora molto elevato,
605 in strutture pubbliche o private accreditate; tra queste poco meno della metà ha meno di 500
parti all’anno, soprattutto nelle Regioni del Sud del Paese”
“Obiettivi strategici:……..attivare in ogni Regione il Servizio di trasporto di emergenza dei neonati
e delle gestanti a rischio”.
Il Pdl del 29 aprile 2004: ”Norme per la tutela dei diritti della partoriente, la promozione del parto
fisiologico e la salvaguardia della salute del neonato” Nuovo testo unificato C.193 ed abbinate XII
Commissione Permanente (Affari Sociali), stabilisce tra le finalità della legge quella di perseguire il
benessere del nascituro (5).
“ I criteri di riconoscimento delle gravidanze, dei parti e delle condizioni neonatali a rischio al fine
del tempestivo riconoscimento nei punti nascita sono quelli individuati dalla OMS”
“In caso di particolare gravità, il trasporto assistito del neonato deve essere effettuato da personale
con competenze specifiche afferente, attraverso il servizio di trasporto d’emergenza neonatale, a
175
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
strutture assistenziali di III livello, utilizzando una unità mobile per le cure intensive da prestare in
corso di trasferimento”
“Tutti gli Ospedali pubblici e privati accreditati dotati di punto nascita, anche se privi di U.O.
autonome di neonatologia e di terapia intensiva neonatale, devono disporre di posti letto per le cure
minime ed intermedie, nell’ambito di U.O. di pediatria o neonatologia”
“Presso ogni presidio sanitario pubblico o privato accreditato sono garantiti i servizi di rianimazione
primaria neonatale. A tal fine, nell’ambito della sala parto…. deve essere predisposta una zona per
le prime cure e l’eventuale intervento rianimatorio sul neonato, denominata “isola neonatale”,
provvista di spazio ed attrezzature adeguate allo scopo”
“Responsabile dell’assistenza nell’isola neonatale…. è un neonatologo o un pediatra con
competenze neonatologiche. Nelle strutture in cui è prevista la guardia attiva 24 ore su 24 del
neonatologo o del pediatra con competenze neonatologiche, questi devono garantire l’assistenza al
neonato in sala parto”.
Ruolo dell’Anestesista-Rianimatore
Nei vari paragrafi sopra citati, si fa riferimento esclusivamente a Pediatri e Neonatologi mentre non
vengono assolutamente nominati gli Anestesisti-Rianimatori che invece risultano altamente
coinvolti nella rianimazione primaria, nella stabilizzazione e nel trasporto del neonato non solo
nelle strutture con U.O. di Ostetricia e prive di Neonatologia, ma anche in quelle con Neonatologia.
A conferma di questa affermazione vi sono sia i dati di una indagine effettuata nel 1991 dal gruppo
di Studio di Anestesia, Rianimazione e Terapia Antalgica in Campo Ostetrico, Neonatale e
Pediatrico A.A.R.O.I. Sezione Lombardia, coordinato dal Dott. Giuseppe Marrano, che quelli della
“Indagine Conoscitiva Nazionale sulla Rianimazione Neonatale - A.A.R.O.I. - S.I.A.R.E.D. 2005“
presentati da Marrano e Ripamonti, al 3° Congresso Nazionale S.I.A.R.E.D. Napoli 9-11 dicembre
2005.
Scopo dell’indagine A.A.R.O.I. Sezione Lombardia, cui hanno partecipato in qualità di referenti e
collaboratori il Servizio di Epidemiologia dell’Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia e il
C.E.R.G.A.S. S.D.A. Università Bocconi Milano, è stato quello di valutare quanto era stato
realizzato a seguito della Riforma Sanitaria del 1969 in merito alle competenze rianimatorie in
campo neonatale e pediatrico e di valutare chi rianimava effettivamente il neonato asfittico in sala
parto e in camera operatoria.
Per la raccolta dati è stato utilizzato un questionario rivolto ai Responsabili dei Servizi di Anestesia
e Rianimazione dei 91 Ospedali Lombardi dotati di Divisione di Ostetricia. Il questionario poneva
un solo quesito: “Chi esegue la rianimazione primaria del neonato, intesa come manovre di
intubazione, ventilazione artificiale, massaggio cardiaco, controllo dei parametri vitali”.
I risultati dell’indagine pubblicati da Marraro, su A.A.R.O.I. Notizie n.9 – dicembre 1991(6) hanno
evidenziato che:
- il neonatologo effettuava tutte le manovre rianimatorie sul neonato solo in 5 Ospedali (5.5%)
mentre l’Anestesista-Rianimatore in 51 (56%). In 35 Ospedali (38.5%), l’Anestesista –
Rianimatore veniva ancora chiamato in causa per supportare l’intervento del Neonatologo o del
Pediatra nel caso in cui fosse necessario intubare o ventilare il neonato.
- negli Ospedali Provinciali (48) e in quelli di zona (33), l’intervento dell’AnestesistaRianimatore era pari al 97.5% .
Nelle considerazioni conclusive si sottolineava che la Riforma Sanitaria, in quel preciso ambito,
non era stata applicata e si auspicava una collaborazione tra Pediatri, Neonatologi ed AnestesistiRianimatori, nei parti a rischio sia per problemi materni che fetali, allo scopo di evitare che
l’intervento dell’Anestesista-Rianimatore avvenisse troppo tardi, quando i danni ipossico-ischemici
erano tali da influire negativamente sia sulla sopravvivenza che sugli esiti neurologici.
176
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L’ “Indagine Conoscitiva Nazionale sulla Rianimazione Neonatale” è stata svolta, mediante un
questionario articolato, comprendente 20 domande relative alla rianimazione neonatale e pediatrica,
distribuito durante i Corsi, itineranti, ECM A.A.R.O.I.-S.I.A.R.E.D. 2004-2005, cui hanno risposto
circa 1000 Anestesisti-Rianimatori.
L’analisi dei dati raccolti evidenzia, chiaramente, l’apporto fondamentale dell’AnestesistaRianimatore nella rianimazione del neonato, nella stabilizzazione e nel trasporto non solo nelle
strutture con U.O. di Ostetricia e prive di Neonatologia, ma anche in quelle con Neonatologia.
Dalle risposte si evince che:
- le Aziende Polispecialistiche rappresentano il 40.65%, i Presidi Ospedalieri il 58.22% e gli
Ospedali Pediatrici il 2,83%
- l’84.85% di Aziende/Presidi Ospedalieri hanno U.O. di Ostetricia (Figura 1), mentre le U.O. di
Neonatologia sono presenti nel 51.52% (Figura 2)
- le guardie attive di Neonatologia sono presenti nel 35.42%, quelle di Pediatria nel 45.83% e
quelle di Anestesia-Rianimazione nell’82.58% di Aziende/Presidi Ospedalieri (Figura 3)
- l’Anestesista-Rianimatore è coinvolto nella gravidanza a rischio, nel parto a rischio e nella
rianimazione del neonato sia in fase precoce che tardiva, con una partecipazione pari al 65.15%
(Figura 4)
- il primo intervento sul neonato patologico è effettato dal Neonatologo nel 40.15% dei casi, dal
Pediatra nel 34.28% e dall’Anestesista-Rianimatore nel 34.85% dei casi (Figura 5), ma una
attività di supporto, viene richiesta all’Anestesista-Rianimatore nel 71.59% dei casi in cui la
rianimazione primaria venga effettuata da Neonatologi e/o Pediatri (Figura 6)
- i protocolli di trattamento alla nascita del neonato patologico, risultano presenti nel 31.82%
degli Ospedali (figura 7)
- il neonato patologico viene ricoverato in U.T.I.N. nel 53,41% dei casi, in Terapia Intensiva
Pediatrica nel 10.80% dei casi e in Terapia intensiva Generale nel 14.02% dei casi (Figura 8)
- in assenza di guardia attiva 24/24 ore, l’intubazione e i problemi ventilatori del neonato
ricoverato in U.T.I.N. e/o in P.I.C.U. sono gestiti dall’Anestesista-Rianimatore nel 33% dei casi
(Figura 9)
- la stabilizzazione e il trasporto del neonato sottoposto a rianimazione vengono eseguiti
dall’Anestesista-Rianimatore nel 50% dei casi (Figura 10)
- la distanza media tra Ospedale di partenza e Ospedale di arrivo in più della metà dei casi
(52.65%) supera i 26 chilometri (Figura 11).
E’ presente una Unità
Unità Operativa
di Ostetricia e Ginecologia?
E’ presente una Unità
Unità Operativa
di Neonatologia?
Neonatologia?
2.1 Si
84,85%
3.1 Si
51,52%
2.2 No
15,72%
3.2 No
47,73%
1
1
2
2
Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD.
Figura 1
Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD.
Figura 2
177
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Esiste una guardia attiva
L’anestesista è coinvolto nella
4.1 Neonatologia
35,42%
4.2 Anestesia / Rianimazione
82,58%
4.3 Pediatria
45,83%
4.3 Altro – Specificare
5,00%
5.1 Gravidanza a rischio
33,33%
5.2 Parto a rischio
52,84%
5.3 Rianimazione del neonato
65,15%
1
2
1
3
2
4
3
-
-
Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD.
Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD.
Figura 3
Figura 4
Il primo intervento sul neonato
patologico è effettuato da
6.1 Neonatologo
40,15%
6.2 Pediatra
34,28%
6.3 Anestesista
34,85%
Un trattamento di supporto è
richiesto a
7.1 Anestesista rianimazione
71,59%
7.2 Neonatologo
14,20%
7.3 Pediatra
12,69%
1
1
2
2
3
3
-
Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD.
Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD.
Figura 5
Figura 6
Esiste un protocollo di trattamento
del neonato patologico in sala parto?
9.1 Si
31,82%
9.2 No
50,57%
1
2
Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD.
Figura 7
178
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il neonato patologico viene trattato
8.1 Terapia intensiva neonatale
53,41%
8.2 Terapia intensiva pediatrica
10,80%
8.3 Terapia intensiva generale
14,02%
In assenza di guardia attiva 24/24
24/24 h, l’
l’intubazione
e i problemi ventilatori del neonato ricoverato
in T.I. Neonatale e/o Pediatrica sono gestiti da
16.1 Neonatologo
21,40%
16.2 Pediatra
8,33%
16.3 Anestesista
32,95%
1
1
2
2
3
3
-
-
Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD.
Giuseppe A. Marraro, MD
Figura 8
Figura 9
In caso di necessità
necessità di trasferimento del neonato rianimato
e immediatamente dopo la nascita,
chi gestisce la stabilizzazione e il trasporto?
10.1 Neonatologo
36,93%
10.2 Pediatra
24,05%
10.3 Anestesista
49,81%
Quale è la distanza media del
trasporto del neonato?
14.1 <10km
14.2 tra 11 e 25 km
14.3 >26km
1
1
2
2
3
3
Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD.
Figura 10
14.77%
14.58%
52.65%
Giuseppe A. Marraro, MD. Donata Ripamonti, MD.
Figura 11
Considerazioni conclusive
I progressi dell’ostetricia, dell’anestesia ostetrica, della rianimazione, della neonatologia e della
pediatria neonatale associati ai paralleli cambiamenti organizzativi nell’ambito delle cure perinatali
hanno sicuramente modificato e migliorato la gestione del neonato alla nascita (7).
Il 5-10% dei neonati richiede semplici manovre rianimatorie, mentre l’asfissia perinatale definita da
un indice di Apgar a 5 minuti < 5 ha un incidenza, negli USA, di 1-1.5 0/ 00.
Numerose situazioni cliniche a rischio vengono diagnosticate e previste prima della nascita ma vale
la pena di sottolineare che vi è ancora una quota elevata di neonati critici che nascono da gravidanze
regolari e questo evento inaspettato può essere problematico specie quando si presenta in realtà
ospedaliere non adeguatamente organizzate quali quelle dotate di U.O. di Ostetricia ma prive di
Neonatologia.
I dati contenuti nel PSN 2003-2005 (4), evidenziano che “la presenza del pediatra dove nasce e si
ricovera un bambino è garantita nel 50% degli Ospedali… e che la guardia medico-ostetrica 24 ore
su 24 nelle strutture dove avviene il parto è garantita solo nel 45% dei reparti”.
179
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Tali dati sono in linea con quelli rilevati dall’Indagine Conoscitiva Nazionale - A.A.R.O.I.S.I.A.R.E.D. 2005 - sulla Rianimazione Neonatale, dove però viene parallelamente evidenziata la
centralità della figura dell’Anestesista-Rianimatore nella rianimazione, nella stabilizzazione e nel
trasporto del neonato.
E’ quindi sorprendente il fatto che i legislatori, a fronte di un riscontro di gravi carenze assistenziali
da parte delle figure preposte per legge alla cura del neonato, vale a dire Neonatologi e Pediatri (15), non abbiano prospettato soluzioni alternative e soprattutto non abbiano preso in considerazione
il ruolo dell’Anestesista-Rianimatore.
Sarebbero quindi necessari ed auspicabili da un lato un riconoscimento, a tutti gli effetti, a livello di
Piano Sanitario Nazionale, del ruolo dell’Anestesista-Rianimatore e dall’altro una migliore
collaborazione dell’Anestesista-Rianimatore, con Pediatri e/o Neonatologi oltre che con gli
Ostetrici, in tutti i tipi di struttura ospedaliera.
Questo secondo obiettivo dovrebbe essere raggiunto grazie alla stesura e all’applicazione di
Percorsi Diagnostico-Terapeutici condivisi, che prevedano un coinvolgimento precoce
dell’Anestesista Rianimatore nelle gravidanze e nei parti a rischio in modo da rendere il suo
intervento più efficace e mirato, evitando che tale coinvolgimento, in quanto tardivo, avvenga,
frequentemente, su neonati con compromissioni gravi o peggio con danni irreversibili.
Dai dati dell’Indagine A.A.R.O.I.-S.I.A.R.E.D. 2005 si evince che protocolli di trattamento del
neonato patologico sono presenti solo nel 31% delle strutture ospedaliere e questo risultato è
piuttosto allarmante perché sottintende, soprattutto a livello di Punti Nascita con meno di 500
parti/anno, un problema non solo organizzativo ma culturale in senso lato specie per quanto
concerne l’acquisizione di competenze specifiche su cui incide significativamente la numerosità.
Le competenze e le procedure della rianimazione neonatale dovrebbero invece essere normate in
modo preciso, questo anche per gli aspetti medico-legali, e costantemente aggiornate in base a linee
guida Nazionali ed Internazionali (8,9,10). Andrebbe inoltre previsto un programma di formazione,
teorico-pratica, sulla rianimazione in sala parto, di tutti gli operatori, comprensivo di certificazione
di idoneità e ricertificazione periodica.
Un altro aspetto che meriterebbe una più precisa valutazione/valorizzazione è quello relativo
all’attività di trasporto del neonato che sempre secondo la legislazione vigente “ deve essere
espletata da personale con provata esperienza in Terapia Intensiva Neonatale e non dovrebbe, di
norma, essere effettuata a cura del punto nascita che generalmente dispone di minori risorse
quantitative e qualitative di personale e di attrezzature” (4).
I dati dell’Indagine A.A.R.O.I.-S.I.A.R.E.D. 2005, indicano, invece, un importante coinvolgimento
(50%) dell’Anestesista-Rianimatore nel trasferimento e nella stabilizzazione delle funzioni vitali
maggiori, non solo quando l’Anestesista-Rianimatore deve effettuare in prima persona
rianimazione, stabilizzazione e trasporto ma spesso anche nell’ attesa dell’Unità Mobile di
Trasporto Neonatale il cui arrivo non sempre è tempestivo.
La stabilizzazione e il trasporto del neonato possono presentare criticità e, in analogia con quanto
affermato in merito alla rianimazione, richiedono formazione teorico-pratica, esperienza e
competenze specifiche oltre a una precisa definizione dei ruoli e delle responsabilità di ogni singolo
operatore.
Bibliografia
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2. L.R.n.55 3 settembre 1975
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Care Science with Treatment Recommendations. Resuscitation 2005;67:293-303
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Support. Resuscitation 2005; 67S1, S97-S133.
Esperienze a confronto nell’organizzazione e gestione dell’emergenza in Italia. La risposta
ospedaliera: anello debole della catena dei soccorsi?
T. ROSAFIO1, C. CICHELLA2
1 Resp. Centro Formazione Emergenze, Elisoccorso 118 Pescara, Servizio di Anestesia e Rianimazione, P.O.SS.ma
Annunziata ASL Chieti; 2 U.O.C. di Anestesia, Rianimazione, Terapia del Dolore, O.C. Spirito Santo ASL Pescara
Dati epidemiologici rivelano un incremento nell’incidenza dei disastri: catastrofi naturali,
incidenti da trasporto, malattie contagiose emergenti, disastri “complessi” (governi instabili,
collasso della macroeconomia, violenza civile-militare, come scenari NBCR-E soprattutto
terrorismo-correlati, esodo di popolazioni).
La risposta ai disastri con elevato numero di vittime rappresenta la principale sfida per i
sistemi di risposta alle emergenze della comunità.
Appare evidente che un moderno modello di organizzazione del sistema sanitario deve garantire
non solo l’intervento di soccorso, ma anche la continuità dello stesso, dal luogo dell’evento (fase
territoriale) ai presidi ospedalieri idonei e logisticamente interessati.
L’ospedale rappresenta l’ultimo anello della catena dei soccorsi, iniziata con l’attivazione
dell’allarme alla CO 118. Dovrebbe essere, ed è ritenuto tale, nell’immaginario collettivo di
cittadini e operatori sanitari “ottimisti”, l’anello più efficiente e risolutivo, in virtù: del complesso
sistema organizzativo che lo caratterizza e della disponibilità di risorse. Nella realtà, spesso,
rappresenta l’anello più debole della catena, perché deve trattare un numero elevato di vittime in
scenari caratterizzati da disorganizzazione, comunicazioni inadeguate, disinformazione, limitate
risorse, infrastrutture danneggiate e notevole rischio per gli operatori. Solo recentemente, la
preparazione e l’addestramento a eventi catastrofici di massa hanno ricevuto un aumento
dell’attenzione a livello ospedaliero, con modelli di approccio matematico, creando, in tal modo, un
qualche grado di ordine nel caos, col risultato di una riduzione nella mortalità, morbilità e disabilità
tra le vittime di una maxiemergenza. E’ inevitabile che il disastro sia seguito da una fase caotica; ed
anche nella realtà in cui la risposta è organizzata nel modo migliore, è necessario un certo lasso di
tempo prima che la macchina dei soccorsi possa mettersi in moto speditamente.
Ciò che differenzia un sistema organizzato da una risposta disordinata è la capacità di ridurre
o annullare, nel minor tempo possibile, le conseguenze provocate dallo sbilanciamento tra risorse
necessarie e disponibili. Mentre in molte nazioni già da tempo si organizzano corsi di formazione
per creare esperti in grado di affrontare i diversi problemi scatenati da un disastro, fornendo loro
soluzioni organizzative efficaci, in Italia questo problema è stato affrontato da pochi anni attraverso
la collaborazione tra Protezione Civile (PC) e AIMC (Associazione Italiana Medicina delle
181
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Catastrofi). Nella gestione della maxiemergenza ospedaliera è di fondamentale importanza, come
sul territorio, il concetto della catena di comando. Personale addestrato e capace di prendere
decisioni in relazione a come si modifica uno scenario è la sola risposta efficace in caso di disastro.
L’AIMC ha proposto la creazione di due figure professionali: il Medical Disaster Manager (MDM)
che si occupa del problema catastrofe in sede extraospedaliera, e l’Hospital Disaster Manager
(HDM) che ha invece il compito di preparare l’ospedale a sopportare l’impatto generato da un
disastro, dovuto sia ad un evento esterno sia ad un incidente interno alla struttura; sul modello
californiano dell’ Hospital Emergency Incident Command System (HEICS) che provvede una
formale struttura di comando indipendente da individui specifici, flessibile e graduabile,
corrispondente alla struttura di comando dei Vigili del Fuoco, delle Forze dell’Ordine e Militare,
rendendo, in questo modo, più facile la comunicazione durante la gestione dell’evento. Non esiste
un sistema complesso che possa funzionare adeguatamente in una maxiemergenza senza un’azione
di coordinamento (unità di crisi). Il sistema HDM prevede la presenza di personale addestrato per
il coordinamento generale (HDM coordinatore), delle informazioni e comunicazioni, triage,
stabilizzazione dei feriti critici, gestione dei vari codici e logistica.
Come accennato, l’Ospedale può essere interessato da emergenze di massa che mettono in
crisi la funzionalità a causa di eventi esterni (arrivo di un gran numero di feriti) o problemi interni
(incendi, evacuazioni forzate per attentato, eventi alluvionali, crolli etc…).
Ogni struttura ospedaliera dovrebbe disporre di strumenti operativi, attivi h 24, rappresentati dai
piani di emergenza, come da normativa vigente:
1- Piano di Emergenza per Massiccio Afflusso di Feriti – PEIMAF
2- Piano di Emergenza Interna o antincendio – PEI
3- Piano di Evacuazione della struttura – PEVAC
Questa triade di piani permette agli operatori una risposta organica e coordinata che garantisce
un notevole grado di efficienza nella fase operativa, altrimenti non possibile in mancanza di piani
che indichino le procedure standard da adottare e la metodologia di lavoro. Il PEIMAF deve
indicare le modalità organizzative e cliniche per il trattamento dei pz che provengono dal luogo del
disastro, ed è normato da linee guida del Dipartimento della PC; il PEI deve riportare le procedure
per fronteggiare un’eventuale incendio di un reparto, tramite squadre di primo intervento (SPI),
come evidenziato nel DLgs 626/94; il PEVAC deve contenere le fasi operative, i compiti di tutto il
personale e le modalità di fuga da attuare in caso di evacuazione totale o parziale del nosocomio,
sempre come da DLgs 626/94. I tre piani, seppur differenti tra loro per scopi e modalità di utilizzo,
sono da considerarsi assolutamente complementari. Ogni piano dovrà essere predisposto per
affrontare la peggiore situazione prevedibile con una massima efficace risposta operativa. Pur
tuttavia devono essere previsti piani con una risposta graduata e modulare per rispondere all’evento
con il minimo dispiegamento di risorse.
Ma come si costruisce un piano di emergenza?
Un elemento base della pianificazione è l’analisi del rischio, individuando i siti sensibili
nell’orbita ospedaliera (aeroporto, porto turistico e commerciale, depositi di carburanti, ferrovia,
nodo autostradale, zona industriale) e gli scenari possibili, così da preventivare procedure
specifiche per l’arrivo di molti feriti per un incidente ferroviario o l’esplosione di un deposito
carburanti, l’arrivo di feriti contaminati o pz intossicati (incendio, rilascio di sostanze chimiche o
biologiche), come anche i degenti intossicati e/o ustionati da un incendio sviluppatosi in un reparto
dell’ospedale. Quest’ultima non è una possibilità remota, visto la media annuale italiana di circa
100 incendi/anno nei 2000 ospedali esistenti, e la media statunitense di circa 2630 incendi/anno con
morti e feriti, 100 incendi dei quali solo in sala operatoria (JCAHO, FDA, ECRI). Inoltre, per
quanto riguarda lo scenario NBCR, poco è stato fatto per proteggere le strutture ospedaliere, vero
bersaglio dell’azione terroristica e punto di riferimento per eventuali pz contaminati. Infatti sul
territorio nazionale, a parte alcune strutture specifiche per scenari biologici, pochi nosocomi sono
dotati di strutture di contenimento per pz contaminati da sostanze chimiche e di aree di
182
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
decontaminazione. Pertanto l’unica alternativa è quella di trattare le persone esposte sulla scena
incidentale con l’impiego di sistemi di decontaminazione campale.
A dispetto della convinzione comune, l’ospedale ha risorse limitate; è indispensabile, quindi,
la valutazione delle risorse a disposizione, che devono essere conosciute, contate e disponibili;
intendendo per risorse le disponibilità umane (operatori in servizio durante l’evento, e quelli
reperibili e rintracciabili con modalità ben definite e conosciute); tecniche, tecnologiche e
strumentali (di particolare interesse i sistemi di comunicazioni e la gestione degli spazi, come la
disponibilità di “aree virtuali” di trattamento come un Pronto soccorso o una Terapia intensiva
attivabili in un’altra area del nosocomio, nel caso di danneggiamento o saturazione di quelli “reali”,
oltre la gestione appropriata dei materiali a disposizione, predisposti ad hoc). Particolare attenzione
va riservata all’organizzazione preventiva degli accessi nei cosiddetti “colli di bottiglia” delle aree
diagnostiche-terapeutiche (radiologia, sala operatoria), con un’accurata programmazione della
turnazione e dei tempi di attesa.
Ma costruire un piano di emergenza, anche ben strutturato, non è sufficiente a migliorare la
risposta ospedaliera alla maxiemergenza se la pianificazione non è improntata sul rispetto di quattro
capisaldi fondamentali: legittimità, conoscenza, familiarità e, come già detto, coordinamento. La
formazione degli operatori ha un ruolo centrale nell’evitare ciò che più frequentemente si verifica
sul nostro territorio nazionale (soprattutto per motivi economici oltre che per motivi culturali), una
pianificazione basata esclusivamente sul documento cartaceo (paper plan sindrome, causa
principale della debolezza dell’anello ospedaliero); non solo insufficiente per la corretta gestione
del disastro, ma pericolosa, in quanto tende a creare la convinzione errata di essere in grado di
affrontare l’evento semplicemente consultando il documento. Esistono due livelli di formazione:
quello base per tutti gli operatori, e quello avanzato per i gestori di risorse critiche (coordinatori).
La verifica del sistema misura l’efficacia della pianificazione, e si può ottenere con la simulazione
in scala reale (scenari realistici, ma organizzazione complessa e costosa) o simulazioni a tavolini
(costi contenuti, visione d’insieme, ma scenari scarsamente coinvolgenti).
Il tipo di organizzazione sopra descritta non deve essere solo ad appannaggio degli ospedali
sede di dipartimenti di II livello, ma di tutti gli ospedali in attività sul territorio nazionale (zonali,
DEA di I e II livello). Infatti, soprattutto gli ospedali vicini ad un evento indotto da un attacco
terroristico (con esplosivo) occupano un ruolo di primo piano nel trattamento dei pz traumatizzati in
modo lieve, permettendo il trattamento dei gravi politraumi nei centri più idonei.
Una complementarietà tra ospedali, e tra ospedali e CO 118 che conduca alla realizzazione
di linee guida locali e di piani operativi specifici, conosciuti e condivisi, garantirà un certo grado di
ordine nel caos proprio delle maxiemergenze, consentendo, a livello ospedaliero, una significativa
diminuzione nel ritardo delle cure tramite una migliore distribuzione dei carichi di lavoro e
l’appropriatezza dei ricoveri, oltre ad un più razionale utilizzo e coordinamento delle risorse
disponibili.
E’ fortemente raccomandabile che tutti gli ospedali si dotino, in tempi di pace, di un’unità di
crisi prontamente attivabile nelle maxiemergenze e, predispongano inoltre, dei piani di emergenza
costantemente aggiornati, conosciuti e verificati; piani in dotazione anche della CO 118 di
riferimento che deve integrarli col piano interno per meglio affrontare eventi disastrosi.
Una corretta analisi del rischio connesso con i vari scenari possibili per una determinata
area, integrata con procedure di addestramento e formazione specifica, rappresenta il punto di forza
per una risposta ospedaliera che deve trovare la capacità di formulare una propria strategia,
uniforme e condivisa, almeno come fondamenta sulle quali costruire un anello forte.
Bibliografia
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L’anestesia e la sedazione nell’emergenza extraospedaliera
F. ROSSETTI, A. MESSERI
Servizio Terapia del dolore e Cure Palliative Osp. A.Meyer – Firenze
Qualunque condizione patologica acuta con compromissione delle funzioni vitali è in genere
associata a stress e dolore. Queste spiacevoli sensazioni portano il bambino ad essere spaventato,
agitato e quindi non collaborante, rendendo difficili le manovre di supporto e di stabilizzazione del
paziente; inoltre la reazione fisiologica allo stress determina ripercussioni negative sull’omeostasi
dell’organismo con incremento del consumo di ossigeno, vasocostrizione splancnica e periferica,
incremento della pic, etc.
Per questi motivi l’impiego di analgesia e sedazione può diventare determinante nella gestione e nel
trasporto di un bambino in condizioni critiche.
Le situazioni di emergenza in cui è indicato l’impiego di tecniche di sedo-analgesia sono:
1. Procedure invasive nel paziente cosciente (es. venipuntura, posizionamento di drenaggi
toracici, riduzione di fratture, intubazione orotracheale, etc.)
2. Politraumatizzato, traumatizzato cranico (dopo valutazione primaria e stabilizzazione di vie
aeree e circolo) per la gestione del dolore o la necessità di intubazione orotracheale in caso
di GCS<8
3. Necessità di riduzione della mobilità spontanea (es. stabilizzazione cervico-spinale)
4. Trasporto del bambino in condizioni critiche
E’ necessario ovviamente adeguare l’analgesia-sedazione alle condizioni cliniche del paziente e al
tipo di procedura da eseguire, decidendo caso per caso la strategia da impiegare.
Esistono diversi livelli di sedazione che si possono ottenere:
- Sedazione vigile (in cui la coscienza è conservata e il piccolo presenta una risposta
appropriata allo stimolo verbale es.”apri gli occhi”)
184
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
-
Sedazione profonda (in cui il paziente non risponde allo stimolo verbale e può non essere in
grado di mantenere i riflessi protettivi e la pervietà delle vie aeree)
- Anestesia generale (in cui non c’è mantenimento della coscienza, dei riflessi e della pervietà
delle vie aeree)
Una sedazione “ideale” dovrebbe essere un compromesso tra una sedazione efficace e la
comparsa di effetti indesiderati come la depressione respiratoria e cardiocircolatoria o la perdita
dei riflessi protettivi delle vie aeree; purtroppo questo non sempre è ottenibile perché la risposta
dei piccoli pazienti ai farmaci è strettamente individuale potendo manifestarsi, a parità di dose,
livelli variabili di sedazione e perché non esiste un preciso confine tra un livello di sedazione ed
il successivo, potendo verificarsi il passaggio da uno stato all’altro senza che questo sia previsto
o voluto (modificazione delle condizioni cliniche, accumulo dei farmaci, modificazioni
cardiocircolatorie, etc).
Per tali motivi è sempre necessario, prima di procedere ad una sedazione, eseguire una corretta
valutazione del bambino (anamnesi, esame obiettivo testa-piedi) e predisporre anticipatamente il
materiale per il controllo delle vie aeree e del respiro, nonché di un adeguato monitoraggio delle
funzioni vitali e del circolo. A tal proposito possiamo dire che il pulsossimetro può essere
sufficiente sul territorio o in condizioni di emergenza, è tuttavia auspicabile un monitoraggio
completo con ECG e pressione arteriosa.
I farmaci a nostra disposizione per la sedazione-analgesia-anestesia sono:
1. ANALGESICI OPPIODI (morfina, fentanyl, codeina, tramadolo) E NON
(paracetamolo, ketorolac)
2. IPNOTICI (benzodiazepine: midazolam, diazepam, lorazepam)
3. ANESTETICI (propofol, tiopentale, ketamina) a cui possono essere eventualmente
associati miorilassanti depolarizzanti (succinilcolina) e non (vecuronio, atracurio)
4. ANESTETICI LOCALI (lidocaina, bupivacaina, ropivacaina)
Tra gli analgesici oppioidi i più impiegati sono morfina e fentanyl, somministrati per via ev e titolati
fino alla dose minima efficace. Il fentanyl, per il suo più rapido tempo di onset e offset, può essere
impiegato per il dolore associato a procedure di breve durata (es. riduzione di fratture) e per
l’analgesia nella sequenza rapida di intubazione. Da ricordare tra le possibili complicanze
l’insorgenza di rigidità toracica che può rendere difficile l’assistenza ventilatoria, più frequente con
l’impiego di dosaggi elevati e la somministrazione in bolo rapido. Tutti gli effetti avversi sono
comunque antagonizzabili con l’impiego di naloxone.
Tra gli oppioidi deboli trova largo impiego la codeina, da sola o, più frequentemente, associata a
paracetamolo, di cui ne potenzia l’effetto. Può essere somministrata per os o per via rettale e risulta
molto utile nella gestione del dolore di media entità.
Tutti i fans possono essere associati agli oppioidi nei casi di dolore intenso, essi ne potenziano
l’effetto in quanto agiscono con meccanismo d’azione diverso. L’esistenza di formulazioni
somministrabili per via ev (paracetamolo, ketorolac) ne permette l’impiego anche in condizioni di
emergenza.
L’effetto sedativo e ipnotico può essere garantito dall’impiego di benzodiazepine, che possiedono
inoltre attività amnesica, anticonvulsivante e miorilassante, a fronte di scarse interferenze
sull’emodinamica e sull’attività respiratoria. Da considerare per l’impiego in emergenza sono quelle
somministrabili per via ev o rettale, come diazepam, lorazepam e midazolam. Quest’ultimo trova
largo impiego per il suo rapido onset e la breve durata e per la possibilità di utilizzo anche in
infusione continua titolandone la dose in base alla clinica (es. ansiolisi durante il trasporto del
paziente al più vicino centro di assistenza, stato di male epilettico, etc.). Un suo peculiare effetto
avverso è la comparsa di bradicardia e ipotensione, convulsioni e talora movimenti extrapiramidali
quando somministrato in bolo rapido nei neonati.
I farmaci anestetici dovrebbero essere impiegati solo da personale esperto, a conoscenza delle
possibili complicanze ed effetti avversi legati alla loro somministrazione.
185
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il tiopentone ed il propofol possono essere entrambi impiegati per l’intubazione tracheale rapida e
per la gestione dello stato di male epilettico, tenendo sempre a mente gli importanti effetti
sull’emodinamica
(ipotensione,
depressione
miocardica,
bradicardia),
sul
respiro
(apnea,laringospasmo, broncospasmo) e sul circolo cerebrale (vasocostrizione con riduzione del
flusso ematico distrettuale, della pic e del consumo di ossigeno cerebrale). Sconsigliabili nel
bambino emodinamicamente instabile.
La ketamina, da sola o associata al midazolam, è il farmaco di scelta nel paziente ipoteso o in stato
di shock. Dato che mantiene l’autonomia respiratoria e i riflessi di protezione può essere indicata
nel caso di pazienti a stomaco pieno o di difficoltà prevista all’intubazione. Agisce come
broncodilatatore, antagonizzano l’istamina, può quindi risultare utile nello stato asmatico. Gli effetti
sul circolo cerebrale (aumento del flusso ematico, del consumo di ossigeno e della pic)
rappresentano una controindicazione relativa al suo utilizzo nel traumatizzato cranico. Una accurata
valutazione costo-beneficio è però necessaria nel caso in cui siano presenti ipotensione marcata o
una prevista difficoltà di gestione delle vie aeree dato che in questi pazienti la prognosi è
pesantemente condizionata dall’insorgenza di ipotensione, ipossia e ipercapnia. La sua associazione
con midazolam è ideale per la sedo-analgesia dei pazienti ustionati. Può essere somministrata per
via ev (a bolo o in infusione continua) e endorettale. Gli effetti avversi più importanti da ricordare
sono la comparsa di ipertensione e tachicardia, movimenti tonico-clonici e l’aumento di secrezioni
nelle vie aeree.
L’anestesia locale è un’ottima tecnica di integrazione per il controllo del dolore e ci permette di
ridurre grandemente la dose di analgesici impiegati. Lidocaina, bupivacaina e ropivacaina possono
essere impiegate per l’infiltrazione dei margini delle ferite o il blocco dei nervi periferici (es. blocco
del nervo femorale in caso di frattura del femore).
Una considerazione a parte nell’approccio al paziente pediatrico riguarda i mezzi non farmacologici
per la prevenzione del dolore e la gestione dell’ansia. Immobilizzare quanto più precocemente
possibile un arto fratturato, limitare le procedure invasive a quelle strettamente necessarie e un
trattamento non doloroso delle ferite cutanee con steri strip o colle di cianoacrilato riduce
grandemente lo stress del bambino e accresce la fiducia nel suo soccorritore. Parlare e spiegare al
bambino, anche se piccolo, le procedure che dovranno essere eseguite, prima e durante la loro
esecuzione, riduce l’ansia anticipatoria e, nei bambini più grandi, aiuta a generare collaborazione.
Inoltre, quando possibile, sarebbe sempre bene permettere ai genitori di stare vicino al piccolo per
rassicurarlo e tranquillizzarlo, cercando a nostra volta di tranquillizzare il bambino e i suoi familiari.
Bibliografia
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management of paediatric patients during and after sedation for diagnostic and therapeutic
procedures. Pediatrics 1992; 89: 110-1115
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186
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L'assistenza anestesiologica al parto. L'anestesia generale in gravidanza (escluso il parto)
A. RUTILI
U.O. Anestesia e Rianimazione Apuane, ASL 1 Toscana
In gravidanza, l’1.5-2% di donne viene sottoposto ad anestesia per interventi chirurgici direttamente
(es. cerchaggi) o indirettamente correlati alla gravidanza (es. patologia ovarica), o non correlati alla
gestazione (es. neucrochirugia, chirurgia addominale, traumi, ecc.).
La donna gravida presenta una situazione clinica unica (due “pazienti” contemporaneamente, con
importanti cambiamenti fisiologici), e richiede una valutazione rischio-beneficio molto attenta.
È fondamentale quindi garantire la sicurezza materna, evitare l’asfissia fetale intrauterina e cercare
di prevenire il parto pretermine.
Nelle fasi avanzate è necessario prevenire l’ipotensione da compressione cavale, ponendo se
possibile, in decubito laterale sx per qualsiasi tipo di intervento chirurgico.
È necessario anche ricordare la maggiore sensibilità ai farmaci, per cui è consigliabile una generale
riduzione dei dosaggi degli anestetici, sia generali che locali.
Tutti gli studi indicano che la chirurgia e l’anestesia durante la gravidanza non sono accompagnate
da un aumento dell’incidenza di malformazioni congenite, ma è dimostrata una maggiore abortività,
soprattutto correlata alla sede chirurgica (> addome e apparato genitale).
Le principali indicazioni per l’equipe sono: se possibile rimandare l’intervento, cercare di essere
“mini-invasivi” (es. laparoscopia, indicata nel I-II trimestre) e ricorrere all’Anestesia LocoRegionale.
È importante seguire nel postoperatorio il monitoraggio CTG e somministrare tocolitici soltanto se
necessario.
Riferimenti bibliografici
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Obstet Gynecol Surv. 2004
- Goodman S. Anesthesia for nonobstetric surgery in the pregnant patient. Semin Perinatol 2002
- Levinson G, Shnider SM. “ Anestesia nella pratica ostetrica“
- Fatum M. Laparoscopic Surgery during pregnancy. Obstet Gynecol Surv 2001
Anestesia nei pazienti trapiantati
E. SERRA, P. FELTRACCO, I. TIBERIO, F. BERTAMINI E C. ORI
Clinica di Anestesia e Terapia Intensiva, Ospedale-Università di Padova
E-mail [email protected]
Riassunto
L’aumento del numero di trapianti di organi solidi registrato negli ultimi anni, legato al maggior
numero di centri trapianti attivi e alla crescita delle donazioni, associato alla maggiore
sopravvivenza dei pazienti trapiantati, ha reso la popolazione dei trapiantati numericamente
considerevole. La probabilità che anche un anestesista che non lavora presso un centro trapianti
venga chiamato a confrontarsi con un paziente trapiantato è consistente. E’ utile pertanto conoscere
le problematiche peculiari di ogni categoria di trapiantati al fine di evitare, in caso di richiesta di
anestesia per una qualsiasi patologia da sala operatoria, danni al graft con deterioramento della
funzione dopo l’intervento chirurgico. Un gruppo di notevole interesse anestesiologico sono le
pazienti con trapianto di organo solido che vanno incontro ad una gravidanza dopo il trapianto.
187
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Molto interessanti le interazioni e i potenziamenti dei farmaci dell’anestesia con i farmaci
immunosoppressori assunti dai pazienti oppure le variazioni farmacocinetiche o farmacodinamiche
per la funzione non ottimale dell’organo trapiantato. Importante la diagnosi differenziale di
eventuale rigetto o infezione in atto al fine di evitare una improprio aumento
dell’immunosoppressione in un paziente con infezione o un trattamento antibiotico di un rigetto.
Utile al riguardo, quando logisticamente non è possibile trasferire il paziente, il confronto anche
telefonico con i medici del centro trapianto di riferimento.
Introduzione
I trapianti di organi solidi sono diventati delle valide opzioni terapeutche per pazienti affetti da
malattie polmonari, renali, epatiche e cardiache in fase terminale. Il miglioramento delle tecniche
chirurgiche, della condotta anestesiologica e rianimatoria, unitamente alla scoperta di nuovi e più
efficaci immunosoppressori, hanno consentito un decisivo incremento della sopravvivenza anche a
lungo termine con un miglioramento della qualità di vita, al punto che alcuni dei trapiantati tornano
a svolgere una normale attività lavorativa e alcune pazienti hanno potuto portare a termine una o più
gravidanze.
L’incremento della sopravvivenza insieme all’incremento del numero di trapianti effettuati ha
condotto negli ultimi anni ad un cospicuo aumento della popolazione dei trapiantati. E’, pertanto,
sempre più frequente ritrovare pazienti portatori di un organo trapiantato in lista operatoria, talora in
ospedali lontani dai Centri trapianto di riferimento, per interventi chirurgici di elezione o d’urgenza
e non solo correlati al trapianto stesso, o addirittura in sala parto. (1)
Condotta anestesiologica nei pazienti trapiantati
La scelta del tipo di anestesia (locale, loco-regionale e generale) va fatta in base al tipo di intervento
chirurgico ed alle condizioni cliniche del paziente (soprattutto cardio-respiratorie), considerando la
situazione fisiopatologica dell’organo trapiantato e le problematiche legate all’addizionale carico
farmacologico.(2)
La prolungata intubazione tracheale per il rischio particolarmente elevato in tali pazienti di infezioni
respiratorie va evitata e tutti gli sforzi devono essere tesi ad un rapido weaning e ad una precoce
estubazione postoperatoria. Quando possibile sono da privilegiare le tecniche di anestesia locoregionale in tali pazienti, anche se la stessa anestesia generale, adottando opportuni accorgimenti,
può essere condotta in tutta sicurezza.
Anestesia nel paziente con trapianto di polmone
L’anestesia subaracnoidea e l’anestesia epidurale qualora possibili e sufficienti per l’intervento
chirurgico proposto, devono essere preferite all’anestesia generale in questi pazienti. I blocchi
centrali possono infatti evitare l’intubazione endotracheale e la ventilazione meccanica con
conseguenti minori rischi di aspirazione, atelettasie e polmoniti post-operatorie. Con tali procedure,
ma soprattutto con l’anestesia epidurale toracica, va adottata cautela in quanto possono determinare
una riduzione della forza sviluppata dai muscoli intercostali, funzione talora necessaria in pazienti
trapiantati di polmone con prove di funzionalità “borderline”.
Il pre-riempimento volemico è da evitare laddove non strettamente necessario, soprattutto nei
pazienti che hanno ricevuto un trapianto polmonare doppio sequenziale (DSSLTx). Gli anestetici
locali possono essere usati in sicurezza in tali pazienti. (3)
In caso di blocco del plesso brachiale per via sovraclaveare, sottoclaveare o anche interscalenica va
attentamente considerata la possibilità di pneumotorace, mentre va evitata la paralisi del nervo
frenico (con relativa compromissione della funzione dell’emidiaframma omolaterale) in seguito a
blocco del plesso cervicale profondo e/o interscalenico.
Anestesia generale. Per l’induzione dell’anestesia generale vanno scelti anestetici a breve durata
d’azione (propofol, tiopentale sodico) e la loro somministrazione deve essere fatta in modo da
ridurre lo stato di coscienza molto dolcemente e senza grosse ripercussioni emodinamiche. Tra gli
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
agenti ipnoinducenti va scartato il diazepam, per la lunga emivita e le possibili ripercussioni sul
recupero ventilatorio post-intervento, mentre utili possono essere le benzodiazepine a breve emivita
(midazolam), soprattutto se usate nella coinduzione con altri agenti. Da evitare anche alte dosi di
oppiacei a lunga e media emivita sia per l’induzione che per il mantenimento (rischio di
ipoventilazione e depressione respiratoria postoperatoria) mentre con favore vengono visti, per il
mantenimento dell’analgesia, i più recenti oppiacei a breve emivita somministrabili sia in bolo
endovenoso (alfentanil) che in infusione continua (remifentanil). Il mantenimento dell’anestesia può
avvenire sia con tecniche endovenose continue (TIVA) che con agenti inalatori. A tal proposito tutti
gli agenti inalatori appaiono ben tollerati, anzi il loro utilizzo sarebbe preferibile in quanto
permetterebbe una riduzione delle dosi di miorilassanti e di analgesici oppiacei con un più pronto
ripristino della ventilazione spontanea. Il protossido d’azoto va sicuramente evitato in caso di
enfisema bolloso del polmone nativo (e di trapianto polmonare singolo, SLTx). (4)
La scelta del miorilassante deve tener conto dell’interazione con la terapia immunosoppressiva
(ciclosporina A e azatioprina) e dell’insufficienza d’organo (fegato, rene) eventualmente presente.
Per procedure chirurgiche di breve durata può essere suggerito il mivacurium in bolo. Per interventi
chirurgici di più lunga durata possono essere utilizzati, con gli accorgimenti visti sopra, sia il
vecuronio, sia il rocuronio che il cisatracurio. Appare utile evitare agenti a più lunga durata
d’azione (pancuronio, doxacurio) per le loro eventuali influenze sul recupero della ventilazione
spontanea e per la frequente coesistenza di insufficienza renale indotta dagli immunosoppressori.
Per brevi interventi chirurgici può essere indicata una sedazione profonda con mantenimento del
respiro spontaneo ed arricchimento dell’aria inspirata con ossigeno. Va osservato che talune
posizioni sul letto operatorio (ad es. Trendelemburg) possono essere mal tollerate da pazienti sedati
e con funzionalità respiratoria già al limite. Data la scarsa capacità di proteggere le vie aeree
dall’inalazione è sconsigliabile applicare tecniche di ventilazione assistita in maschera con
sedazione più o meno profonda. L’utilizzo della maschera laringea (LMA) va considerato con molta
cautela, soprattutto se l’intervento chirurgico avviene in fase precoce post-trapianto quando una
discreta percentuale di pazienti presenta atonia gastrica e rischio di rigurgito. In questi ed in tutti gli
altri casi l’intubazione endotracheale risulta preferibile. La cuffia del tubo endotracheale va
posizionata come in tutti gli altri pazienti: eccetto nei casi di trapianto en-bloque, infatti, le
anastomosi delle vie aeree sono sui bronchi e non sulla trachea. Se è necessario l’introduzione di
tubi a doppio lume, bisogna aiutarsi con un broncoscopio flessibile. Quando possibile, è sono da
preferire tubi endotracheali di diametro più grande, relativamente alla taglia del paziente, in quanto
questi offrono minor resistenza al flusso aereo in- ed espiratorio e permettono una migliore gestione
delle secrezioni. (5)
In casi particolari, come ad esempio nei SLTx per enfisema, la differenza di compliance tra il
polmone nativo ed il graft può richiedere l’utilizzo intraoperatorio della ventilazione polmonare
differenziata (DLV) attraverso un tubo endotracheale a doppio lume con ventilazione erogata da
due differenti apparecchi. I pazienti sottoposti a DSSLTx o a trapianto cuore-polmoni non
presentano solitamente marcate differenze di compliance tra i due polmoni e sono, in genere, ben
ventilabili.
Per quanto riguarda i parametri ventilatori, lasciando da parte specifiche situazioni della DLV, è
generalmente desiderabile ottenere basse pressioni inspiratorie di picco con minor stress da tensione
sull’anastomosi tracheale o bronchiale, soprattutto nel periodo precoce post-trapianto. La
ventilazione-minuto dovrebbe essere aggiustata al fine di mantenere un livello di PaCO2 simile a
quello preoperatorio ed evitare eccessi di ventilazione con rischio di volo- o baro-trauma ed evitare
bassi valori di CO2 in pazienti con tendenza all’ipercapnia cronica compensata (clinicamente stabili
ed asintomatici). Un uso giudizioso della PEEP può essere accettato nei pazienti sottoposti a
DSSLTx, mentre è da evitare nei pazienti sottoposti a SLTx per malattia enfisematosa. In questi
ultimi pazienti la posizione laterale sul letto operatorio può migliorare l’ossigenazione: utile,
quando possibile, porre il polmone nativo in posizione dipendente (miglior rapporto V/Q). Qualora
l’ipossiemia è refrattaria agli aggiustamenti della ventilazione, all’utilizzo di FiO2 del 100% e alle
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
manovre posturali, 10-80 ppm di ossido nitrico (NO) per via inalatoria talora (responders)
migliorano l’ossigenazione.
A fine intervento, condotto con monitoraggio neuromuscolare, è necessaria una completa
reversibilizzazione della curarizzazione: una sia pur minima azione residua del miorilassante
potrebbe influire negativamente sulla capacità inspiratoria, sul lavoro respiratorio e quindi sulla
autonomia ventilatoria del paziente.
Per la frequente compromissione dei riflessi delle vie aeree, l’estubazione va attuata solo a paziente
sveglio, in grado di respirare autonomamente ed in grado di tossire, e con il polmone
funzionalmente più compromesso in posizione dipendente (declive) al fine di proteggere l’altro
polmone dal rischio di aspirazione.
Anestesia nel paziente con trapianto di cuore
La sopravvivenza nei pazienti con trapianto di cuore è dell’80% ad un anno, del 78% a 5 anni e
maggiore del 70% a 10 anni. Come anche per i trapiantati di altri organi solidi, un sempre maggior
numero di cardiotrapiantati ha bisogno di chirurgia cardiaca o non cardiaca.
Le tipologie di intervento maggiormente richiesti sono:
- procedure chirurgiche necessarie a risolvere patologie connesse al trapianto: broncoscopie
ripetute, chirurgia dell’anca o del ginocchio (osteoporosi da steroidi o osteodistrofia renale),
infezioni atipiche da immunosoppressione (micosi oculari o del sistema nervoso centrale). (6)
- Chirurgia per la progressione della patologia originaria (aneurismi aortici, endoarterectomia,
malattia ateromatosa e vasculopatia diffusa).(7)
- Chirurgia ordinaria.(8)
Nel preoperatorio l’anestesista deve valutare la funzionalità del cuore trapiantato (mediante
ecocardiografia, ECG, visita cardiologica, risultati delle biopsie miocardiche, controllo di un
eventuale pace-maker), l’Rx torace, gli esami ematochimici (emocromo, funzione renale, epatica,
elettroliti, prove di funzionalità respiratoria, assetto coagulativo), la terapia preoperatoria e ricercare
eventuali coronaropatie, vasculopatie o segni di rigetto.
In caso di rigetto acuto del graft l’intervento, se non strettamente necessario, deve essere
procrastinato.
Il paziente trapiantato di cuore deve costantemente assumere una grande quantità di farmaci,
immunosoppresivi e non, che l’anestesista deve tenere in adeguata considerazione per la gestione di
una corretta anestesia. Per avere adeguate informazioni riguardo alla terapia immunosoppressiva, è
utile mettersi in contatto con il centro trapianti di riferimento.
L’immunosoppressione deve continuare anche nel periodo perioperatorio e la dose di steroidi
dev’essere aumentata per sopperire alla insufficienza corticosurrenalica da steroidoterapia cronica.
Gli steroidi sono inoltre causa di diabete, psicosi, ulcera peptica, osteoporosi, ritardata guarigione
delle ferite, sindrome tipo Cushing.
L’azatioprina, inibitore delle fosfodiesterasi, inibisce il blocco neuromuscolare. E’ sia epatotossica
(causa danno epatocitario e favorisce la colestasi) che mielotossica, provocando leucopenia, anemia
e trombocitopenia.
La ciclosporina ed il tacrolimus, infine, sopprimono l’immunità umorale e cellulare, e quindi
favoriscono le infezioni nel postoperatorio, provocano vasocostrizione generalizzata, nefrotossicità
ed ipertensione, aumentano il rischio trombotico. Intraoperatorio. L’intervento va condotto in
modo da ridurre al minimo il rischio di infezione, utilizzando un monitoraggio invasivo solo se
strettamente necessario e, nel caso, utilizzando tecniche rigorosamente asettiche al momento
dell’incannulazione di vene, arterie o dell’esecuzione di un’anestesia locoregionale. Un eventuale
CVC va posizionato in giugulare interna sinistra, essendo la destra utilizzata per eseguire biopsie
miocardiche. Se il paziente dev’essere sottoposto ad un intervento di chirurgia maggiore si può
valutare l’utilizzo di una sonda ecografica transesofagea e di un monitoraggio volumetrico con il
sistema PiCCO.
190
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il paziente trapiantato di cuore è spesso iperteso, talora già da prima del trapianto (ipertensione
essenziale), a causa dell’assunzione cronica di steroidi ed immunosoppressori. Calcioantagonisti e
ACE inibitori sono i farmaci di scelta. Da evitare i ß-bloccanti per il rischio di severe bradiaritmie:
il cuore denervato è strettamente dipendente dalle catecolamine circolanti.
La funzione renale è spesso compromessa a causa dell’utilizzo della ciclosporina o del tacrolimus, e
deve essere salvaguardata, evitanto farmaci nefrotossici diretti o che potenziano l’attività degli
immunosoppressori. E’ importante evitare disidratazione, ipovolemia e vasodilatazione,
mantenendo un precarico adeguato.
L’induzione dell’anestesia generale deve essere lenta, sì da evitare una rapida riduzione delle
resistenza vascolari periferiche: utile a tal fine la ketamina, ma anche, con cautela, il tiopentale
sodico o il propofol. Per il mantenimento si può adottare una tecnica standard (endovenosa o
inalatoria associata ad un oppioide e ad un bloccante neuromuscolare).(9)
Qualora sia possibile un’anestesia locoregionale si deve garantire un adeguato riempimento
preventivo mediante colloidi o cristalloidi, preferire gli oppiacei agli anestetici locali, prestando
sempre grande attenzione ad eventuali ipotensioni severe.
Nel caso si verifichino bradicardia o ipotensione severe i farmaci di scelta sono:
- isoprenalina (aumenta la frequenza, la gittata cardiaca e la pressione sistolica con effetto ßadrenergico);
- efedrina (aumenta la pressione sistolica e diastolica, la frequenza cardiaca e la gittata sistolica,
aumenta inoltre il ritorno venoso e la gittata cardiaca con effetto α- e β-adrenergico).
Anestesia nel paziente con trapanto di rene
Il rene è l’organo più frequentemente trapiantato: trapianto di rene singolo da vivente, di rene
doppio, rene-pancreas, rene-fegato, rene-cuore, rene-polmone, da cadavere.(10)
Nell’approccio al nefrotrapiantato, prima di qualsiasi tipo di intervento, deve essere ben valutata la
funzionalità renale, di solito diminuita del 20% in questi pazienti sia per l’effetto nefrotossico
diretto della ciclosporina, sia per il rigetto cronico del graft. Segni di rigetto sono: urea e creatinina
in aumento, proteinuria, ipertensione, aumento dell’edema e quindi del peso.
Patologie come ipertensione arteriosa, diabete e vasculopatie generalizzate sono spesso presenti fin
da prima del trapianto e sono causa sia dell’insufficienza renale che ha portato al trapianto, sia del
danno al graft dopo il trapianto.(11)
L’ipertensione fa la sua comparsa nel 50% dei pazienti ad un anno dal trapianto ed il 100% dei
pazienti assume antipertensivi a 5 anni dall’intervento. La causa dell’ipertensione può essere la
stessa malattia di base del (es.: diabete mellito) oppure la stenosi dell’arteria renale del rene
trapiantato, la terapia cronica con steroidi e ciclosporina o il rigetto cronico.
Di frequente riscontro in tali pazienti gli squilibri idro-elettrolitici come iperkaliemia, ipercalcemia
(da iperparatiroidismo secondario), ipofosfatemia ed ipomagnesemia (da ciclosporina).
L’acidosi tubulare renale prossimale (da perdita di bicarbonati) o distale, l’iperglicemia e la
glicosuria (da steroidi) sono pure frequenti.(12)
E’ imperativo, per una gestione corretta dell’anestesia in un paziente trapiantato di rene, evitare
farmaci nefrotossici, tra cui alcuni antibiotici (aminoglicosidi, vancomicina, amfotericina B, etc..) e
i FANS. La morfina, in caso di insufficienza renale, può dare accumulo del suo metabolita morfina6-glucuronide. (13)
Per evitare ipotensioni severe è utile il preriempimento.
L’induzione dell’anestesia generale non richiede misure particolari (utili propofol, ketamina o
tiopentale sodico) eccetto il non utilizzo della di succinilcolina, per il rischio di peggiorare
un’iperkaliemia eventualmente presente.
Il mantenimento può essere totalmente endovenoso (TIVA) o con neuroleptoanalgesia, in entrambi i
casi in associazione con curari come il cis-atracurio o il vecuronio. Gli alogenati (il sevoflurano ad
esempio) possono invece dare tossicità renale, provocando un danno a livello tubulare. (14-16)
191
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Anestesia nel paziente con trapianto di fegato
I miglioramenti nella tecnica chirurgica e nella terapia immunosoppressiva hanno contribuito
all’aumento della sopravvivenza anche dei pazienti sottoposti a trapianto di fegato con notevole
incremento del numero di interventi chirurgici richiesti dopo il trapianto.(17,18)
Come per i pazienti trapiantati di rene, polmone o cuore, anche in questa categoria di pazienti è
necessaria un’attenta valutazione preoperatoria ponendo particolare attenzione alla funzionalità
epatica. Oltre all’Rx torace, e all’ECG, alcuni esami ematochimici (emocromo, urea, creatinina,
AST, ALT, γGT, bilirubina totale e diretta, ALP, LAD, PT, PTT, ATIII) hanno particolare valore
nella valutazione preoperatoria. L’ecotomografia e l’ecodoppler dei vasi del fegato sono utili per
una completa valutazione morfo-funzionale.
Se il fegato trapiantato è in buone condizioni, in assenza di segni di insufficienza epatica o renale, si
può sottoporre il paziente ad anestesia generale e/o locoregionale senza particolari accorgimenti,
come fosse un normale paziente durante un intervento di routine.(19,20)
Se invece si evidenzia un certo grado di insufficienza epato-renale, come già detto per quanto
riguarda altri tipi di trapianto d’organo, l’anestesista deve seguire alcuni accorgimenti. Il 47% dei
pazienti trapiantati di fegato (soprattutto quelli con già una pregressa alterazione di urea e creatinina
prima dell’impianto del nuovo organo) sviluppa un’insufficienza renale e diabete nei 3 anni
successivi al trapianto.(19,21)
La valutazione dell’assetto emo-coagulativo, in particolare, è importante per decidere l’esecuzione
di un’eventuale anestesia locoregionale.(21)
Nel caso sia necessaria l’anestesia generale l’anestesista deve considerare che fentanyl, sufentanil
ed alfentanil sono normalmente metabolizzati a livello epatico. Il metabolismo extraepatico, in
preponderanza da enzimi renali, assume maggior importanza in presenza di una grave insufficienza
epatica. La farmacocinetica di una singola dose di fentanyl e sufentanil non cambia in caso di
insufficienza epatorenale, tuttavia in caso di infusione continua si osserva un fenomeno di accumulo
e quindi di potenziamento degli effetti da oppioidi. In caso di insufficienza epatica si sconsiglia
l’utilizzo di alfentanil: la clearance plasmatica e l’eliminazione ne sono notevolmente diminuiti,
cosa che invece non accade in caso di sola insufficienza renale. Il remifentanil è l’oppioide di scelta
per un paziente con insufficienza epatica e renale. Per quanto riguarda la morfina, si è visto che il
suo metabolismo è ridotto nel caso di insufficienza epatica e si ha un accumulo di metaboliti attivi
nel caso di insufficienza renale.(22)
Gestione anestesiologica della paziente ostetrica trapiantata
La gravidanza dopo un trapianto d’organo viene sconsigliata. La fertilità non è invece compromessa
dalla terapia immunosoppressiva e, per scelta o per caso, le gravidanza dopo trapianto sono
tutt’altro che rare. Sempre più spesso quindi il ginecologo e l’anestesista di sala parto si troveranno
a fronteggiare gravidanze, travagli e cesarei di pazienti trapiantate. L’imunosoppressione ha un
basso effetto teratogeno sull’embrione.
L’organo trapiantato si adatta in genere molto bene ai numerosi cambiamenti fisiologici della
gravidanza e l’incidenza di rigetto durante il periodo di gestazione non appare aumentata rispetto
agli altri pazienti.(23,24)
Se l’organo trapiantato risultasse deteriorato, l’anestesista deve saper gestire questa eventuale
insufficienza d’organo durante l’intervento chirurgico o l’analgesia in travaglio di parto. La terapia
immunosoppressiva deve continuare durante tutto il travaglio, eventualmente diminuendo i volumi
dei liquidi necessari al fine di ridurre i rischi di inalazione.
Da uno studio recente su 193 donne in età riproduttiva sottoposte a trapianto di rene, 41 hanno poi
intrapreso una gravidanza nei successivi 3-5 anni (21,2%).
Le complicanze più frequenti sono state: diabete gestazionale (5.7%), infezioni (13.4%), gestosi
(19.2 %), rottura precoce delle membrane (17.3%), parto pretermine (40.9%), malformazioni
congenite (5.7%; minori: 2 ernie inguinali ed un caso di ipotonia congenita), insufficienza
192
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
dell’organo trapiantato (30.7%), uropatia ostruttiva (9.6%), nessun caso dirigetto dell’organo
trapiantato. (25)
Dopo il parto pretermine quindi, la complicanza più frequente per una gravidanza in una paziente
che ha ricevuto un trapianto è la gestosi, che secondo alcuni Autori si presenta addirittura nel 30%
dei casi contro il normale 2-3% della popolazione non trapiantata. In realtà risulta spesso difficile
porre diagnosi differenziale fra gestosi vera e propria e una condizione di proteinuria ed
ipertensione dovuta all’assunzione di ciclosporina, associata al normale edema presente in quasi
tutte le gravidanze a termine.
Nelle gravide trapiantate, durante tutta la gravidanza devono essere periodicamente e attentamente
controllati gli esami ematochimici (emocromo, coagulazione, funzionalità epatica e renale, ioni), la
situazione clinica della gestante e del feto.
L’edema generalizzato, ed in particolare delle prime vie aeree, spesso presente nelle gravide, può
rendere difficile il controllo delle vie aeree.
Un eventuale taglio cesareo richiede un monitoraggio invasivo della pressione arteriosa e la misura
della diuresi, controllando la presenza di un’eventuale oliguria refrattaria al riempimento e una
compromissione respiratoria della gestante.
L’indicazione più frequente per il taglio cesareo è l’insufficienza d’organo trapiantato (50%) ed in
secondo luogo la mancata progressione del travaglio (25%).
L’anestesia per il taglio cesareo emergente può essere generale o subaracnoidea. Nel caso invece di
un cesareo d’elezione vengono preferite l’anestesia subaracnoidea o la peridurale.
Per le pazienti trapiantate di rene, polmone e fegato non ci sono problemi nell’utilizzo dei comuni
farmaci vasoattivi come efedrina, atropina, fenilefrina, dopamina, nifedipina, diltiazem, magnesio,
nitroprussiato o nitroglicerina.(26,27)
Nelle trapiantate di cuore invece occorre un’attenzione particolare: la contrattilità cardiaca risulta
spesso conservata, come anche il meccanismo di Frank-Starling, ma può essere presente una
coronaropatia nel 30% dei casi a 3 anni dal trapianto, possibile causa di ischemia di non sempre
facile diagnosi. E’ richiesto pertanto un attento monitoraggio di ECG, esami ematochimici (enzimi
cardiaci) e possibilmente un’ecocardiografia recente.(28)
In queste pazienti l’anestesia subaracnoidea o peridurale alta raramente provocano bradicardia. Nel
caso di un overdose di anestetici locali tuttavia si può ricorrere alla somministrazione di
simpaticomimetici diretti come l’isoproterenolo, l’efedrina, la dopamina e la noradrenalina.(29)
Nel caso invece si presentasse un episodio di tachicardia si possono utilizzare esmololo o
verapamile.
Per risolvere l’ipotensione è di prima scelta l’efedrina perché aumenta le resistenze sistemiche
preservando il flusso ematico uterino, senza apportare grandi modificazioni alla frequenza cardiaca.
Tra i farmaci tocolitici, i più sicuri per tutte le pazienti trapiantate sono il magnesio e la
nifedipina.(30)
La ritodrina e la terbutalina (tocolitici ß-agonisti) sono sconsigliate nelle trapiantate di cuore, ma
possono essere utilizzate nelle trapiantate di polmone, rene e fegato.
Nelle pazienti trapiantate di rene il tasso di filtrazione glomerulare è aumentato, con un’ampia
variabilità dei valori di clearance della creatinina. Queste presentano spesso una proteinuria di base
e, a partire dalla 16a settimana di gestazione, un aumento della pressione media (che rende difficile
la diagnosi differenziale con la gestosi). (31-33)
In linea teorica il rene trapiantato può interferire con il parto vaginale trovandosi in fossa iliaca, il
cesareo viene dunque più frequentemente consigliato in questi casi.(34)
Tra i farmaci tocolitici, nelle nefrotrapiantate è da evitare l’indometacina per il potenziamento della
nefrotossicità da ciclosporina.(35)
Nelle pazienti trapiantate di rene e pancreas si è notata un’alta incidenza di ipertensione,
prematurità e basso peso alla nascita del bimbo.(36)
Per le trapiantate di polmone c’è da tener conto che la ventilazione/minuto ed il volume corrente
aumentano del 40% durante la gravidanza e, come in tutte le gravide, l’aumento di volume
193
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
dell’addome ostacola la ventilazione polmonare, soprattutto in posizione supina. L’eventuale
congestione delle mucose respiratorie verso il termine della gravidanza può contribuire all’aumento
della dispnea o precipitare una severa compromissione respiratoria, soprattutto se associata a
sovraccarico di fluidi o ad infezione polmonare o delle prime vie aeree.
Nelle gravide trapiantate di fegato è ridotta l’attività delle colinesterasi sieriche e gli enzimi epatici
sono sempre aumentati; i livelli bassi di albumina rendono difficile, anche in questo caso, la
diagnosi differenziale con la gestosi vera e propria e interferiscono con il livello plasmatici dei
farmaci immunosoppressori.(37-42)
In linea generale, per tutte le gravide trapiantate si deve tenere presente che, essendo soppressa
l’immunità umorale e cellulare, esse sono più soggette ad infezioni quindi, come si è visto anche per
gli altri pazienti sottoposti a trapianto, si deve prestare particolare attenzione alla sterilità nelle
tecniche utilizzate per l’accesso venoso, arterioso, alle vie aeree o per l’ anestesia locoregionale.
Gli steroidi assunti cronicamente per l’immunosoppressione possono portare a:
- osteodistrofia della pelvi, rendendo difficile un parto per via vaginale;
- parti prematuri, per precoce rottura delle membrane e per indebolimento del tessuto connettivo;
- aspetto cushingoide, con difficile gestione delle vie aeree;
- ulcere, gastriti, reflusso gastroesofageo, con possibile rigurgito ed aspirazione;
- soppresione della corticale del surrene, per cui è necessaria una dose supplementare di steroidi
all’atto di un taglio cesareo;
- iperglicemia, con possibile ipoglicemia del neonato (effetto rebound).
Prima dell’anestesia subaracnoidea per il taglio cesareo, come per tutte le altre normali gestanti, è
bene eseguire un riempimento volemico (500ml di colloidi o 1500ml di cristalloidi) per aumentare
il precarico, la gittata cardiaca e la pressione arteriosa. Il preriempimento è da evitare tuttavia nelle
trapiantate di polmone. Come sempre è bene osservare il decubito laterale sinistro per tutte le
pazienti, per evitare la compressione della vena cava.
Pazienti
Nel periodo 2000-2005 sono stati eseguiti presso l’Azienda Ospedaliera-Università di Padova 121
trapianti di cuore, 82 trapianti di polmone, 410 trapianti di rene e rene-pancreas e 286 trapianti di
fegato. Fra i trapiantati di cuore il 10% ha necessitato di un intervento chirurgico successivo al
trapianto e si sono verificate 3 gravidanza portate a termine e il parto espletato mediante taglio
cesareo. Fra i trapiantati di polmone il 17% ha richiesto un intervento chirurgico dopo il trapianto e
non ci sono state gravidanze. Fra i riceventi di rene e rene-pancreas il 26% ha subito un intervento
chirurgico dopo il trapianto e in questo gruppo si sono verificate 3 gravidanze. Infine, fra i
trapiantati di fegato il 24,1% ha avuto bisogno di un intervento chirurgico e 3 pazienti hanno portato
a termine una gravidanza.
Conclusioni
Il trapianto di organi solidi costituisce sempre più una reale opzione terapeutica per pazienti affetti
da malattie polmonari, renali, epatiche e cardiache allo stadio terminale che non traggono
giovamento dalla terapia medica e che fino a qualche decennio fa non avevano molte speranze di
sopravvivenza.
Il continuo evolversi e perfezionarsi delle tecniche chirurgiche ed anestesiologiche, la successiva
assistenza in una terapia intensiva altamente specializzata ed il continuo monitoraggio del paziente
nel periodo successivo al trapianto hanno permesso un deciso incremento della sopravvivenza anche
a lungo termine ed un miglioramento della qualità di vita, tanto che alcuni pazienti sono riusciti a
tornare a svolgere un’attività lavorativa, mentre alcune pazienti sono addirittura riuscite a portare a
termine una o più gravidanze.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Anestesisti e chirurghi hanno visto crescere sempre più il numero di pazienti trapiantati d’organo
bisognosi di interventi chirurgici e quindi di anestesia per molteplici condizioni non
obbligatoriamente legate alla situazione del loro graft, sia in elezione che d’urgenza, in sedi
ospedaliere talvolta lontane dal Centro Trapianti di riferimento.
In relazione alle cause che portano all’intervento chirurgico in fase successiva al trapianto,
possiamo distinguere:
- interventi per complicanze (precoci o tardive) legate direttamente al trapianto effettuato;
- interventi chirurgici per condizioni non direttamente correlate al trapianto e/o all’evoluzione
della malattia di base.
Dai dati raccolti presso i diversi Centri Trapianti d’organo dell’Azienda Ospedaliera di Padova si
può notare come siano frequenti gli interventi chirurgici eseguiti nel periodo post-trapianto (tra il 10
ed il 26% dei pazienti sottoposti a trapianto tra gli anni 2000 e 2005). Si sono avute anche 9
gravidanze, tutte condotte a termine con taglio cesareo. Una di queste pazienti ha avuto due
gravidanze consecutive.
In linea generale, per interventi svolti in elezione o anche d’urgenza, se il graft risulta avere una
buona funzionalità, tali pazienti non presentano grossi problemi in corso di anestesia (sia locale,
locoregionale o generale). E’ però necessario che l’anestesista tenga in considerazione alcune
differenze tra questi particolari pazienti e i pazienti mai sottoposti a trapianto d’organo, a parità di
patologie da affrontare chirurgicamente.
Bisogna quindi che si comprendano bene la fisiopatologia dell’organo trapiantato, i problemi
inerenti la gestione perioperatoria dell’immunosoppressione, le potenziali complicanze intra- e postoperatorie legate ad un’inadeguata gestione delle vie aeree e della ventilazione e che si adotti un
atteggiamento aggressivo nei confronti della prevenzione delle infezioni.
Il ricovero in Terapia Intensiva non è strettamente indispensabile, se non in presenza di un
inadeguato recupero dell’autonomia respiratoria, per motivi chirurgici o in presenza di rigetto od
infezione già in atto preoperatoriamente. Comunque, anche se inviati in reparto di degenza, tali
pazienti dovrebbero comunque ricevere un monitoraggio di minima (saturimetria, pressione
arteriosa non invasiva, frequenza cardiaca, temperatura e diuresi) per le prime 24-48 ore del
postoperatorio. E’ anche obbligatoria una sorveglianza continua ed attenta per rilevare
precocemente i segni clinici, radiologici o di laboratorio di un’eventuale infezione o rigetto ed un
trattamento tempestivo ed aggressivo di tali condizioni con il supporto ed i suggerimenti del Centro
Trapianti in cui viene seguito periodicamente il paziente.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il trapianto di fegato in età pediatrica
V. SONZOGNI, A. BENIGNI, D. MANZONI, A. SPOTTI, G. STARITA
U.S.C. Anestesia e Rianimazione I, A.O. Ospedali Riuniti di Bergamo
RIASSUNTO
L’ultimo decennio ha visto un netto miglioramento del percorso perioperatorio e
conseguentemente della sopravvivenza in pazienti pediatrici sottoposti a trapianto di fegato; questo
per l’integrazione tra disponibilità e preservazione degli organi, tecniche chirurgiche e
anestesiologiche, terapia intensiva e immunosoppressione. In Italia la richiesta di organi a fini
pediatrici è completamente soddisfatta anche per l'uso di tecniche “split” e “living liver”.
L’indicazione più frequente al trapianto rimane l’atresia delle vie biliari, seguita dalle patologie
metaboliche, infettive e tumorali. Condizioni importanti che influenzano il management
perioperatorio sono l’alterata funzione metabolica e di sintesi, il sovvertimento emodinamico e delle
resistenze, l’ipertensione portale; ipossia, shunt intra ed extracardiaci, danno renale e cerebrale,
sono condizioni che possono precludere o condizionare un trapianto. Benzodiazepine, fentanil o
morfinosimili, vapori anestetici, curari non depolarizzanti, sono abitualmente usati per l’induzione e
il mantenimento. La gestione di un trapianto pediatrico risulta più agevole rispetto a quello
dell’adulto; il by pass veno-venoso non è mai utilizzato. Le competenze anestesiologiche nel
postrapianto sono richieste per il reperimento o la cura di un catetere venoso centrale a permanenza,
per la diagnostica e l’interventistica radiologica, per necessità chirurgiche alla comparsa di
patologie iatrogene.
INTRODUZIONE
L’epatopatia ad evoluzione cirrogena ha avuto un radicale cambiamento a seguito
dell’introduzione nella pratica clinica del trapianto di fegato (OLTx), terapia spesso risolutiva anche
per situazioni cliniche irreversibili e talvolta terminali. Le migliorate e consolidate tecniche
chirurgiche ed anestesiologiche hanno permesso di rivolgere l’attenzione alla ricerca di nuovi agenti
immunosoppressori e alla sorveglianza dei rischi secondari alla stessa (patologie neoplastiche,
insufficienza renale cronica) nonché all’attuazione di tecniche chirurgiche per sopperire al ridotto
numero di donatori e alla mortalità dei pazienti in lista d’attesa.
L’accettazione di organi marginali, la donazione da vivente, ma soprattutto la tecnica di
“split-liver” hanno consentito di raggiungere in Italia l’autosufficienza; si calcola infatti che il
fabbisogno di trapianti epatici in età pediatrica si attesti tra le 100 e le 120 unità. La definizione del
momento ideale (timing) per effettuare un OLTx è cruciale per il buon esito dell’intervento e per la
gestione del post-trapianto; se risulta corretto non sottoporre ad intervento un bambino con buon
compenso e buona funzionalità epatica, questo dovrebbe essere attuato quando le condizioni
cliniche sono sufficienti ad assicurare un recupero ottimale delle funzioni. Nella scelta del timing va
distinta la malattia acuta dalla cronica; i buoni risultati ottenuti nell’ insufficienza epatica
fulminante hanno permesso di formulare indici prognostici (bilirubinemia, PT INR, encefalopatia)
utili alla individuazione del momento con maggiori garanzie di riuscita. Per tutte le patologie
croniche oltre agli indici bioumorali e clinici viene data notevole rilevanza alla rapidità del
peggioramento.
INDICAZIONI AL TRAPIANTO
Vi è indicazioni al trapianto di fegato in età pediatrica, anche in ordine alla frequenza di
comparsa, in presenza di colestasi intra ed extraepatiche, disordini metabolici, epatiti acute e
croniche e da una miscellanea in cui fibrosi cistica e tumori epatici primitivi sono le manifestazioni
maggiormente rappresentate. L’atresia delle vie biliari intra ed extraepatiche è l’indicazione più
198
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
comune al trapianto (50% dei trapianti effettuati); l’approccio primario a questa patologia è
rappresentato dalla precoce portoenteroanastomosi secondo Kasai (sostituzione del tratto atresico
con un’ansa digiunale defunzionalizzata e abboccata alla porta hepatis). L’intervento permette di
differire l’intervento in età successive a causa del migliorato drenaggio biliare.
La sindrome di Alagille è caratterizzata da ipoplasia dei dotti biliari interlobulari e colestasi
cronica; è variamente associata ad anomalie cardiache, scheletriche, renali, oculari, dimorfismo
facciale e alterazioni del sistema nervoso centrale.
I bambini con malattie metaboliche rappresentano, per frequenza, il secondo gruppo più
numeroso; di queste il deficit di α1-antitripsina è prevalente seguito dalla tirosinemia e dal morbo di
Wilson. Non meno importanti sono le indicazioni al trapianto in caso di insufficienza epatica acuta
fulminante virale, metabolica, autoimmune, farmacologica e da intossicazione alimentare. Il quarto
gruppo di patologie che beneficia di OLTx è variegato e comprende tumori epatici primitivi, la
fibrosi cistica, la malattia di Caroli e il ritrapianto.
VALUTAZIONE PRE-OPERATORIA
Le cause che sostengono le alterazioni polmonari, cardiache, neurologiche, ematologiche,
renali e gastrointestinali derivano dalla failure della funzione di sintesi e metabolica, dal ridotto
flusso epatico e relativa ipertensione portale e dal conseguente aggiustamento della gettata cardiaca.
Delle condizioni polmonari vanno indagata la riduzione dei volumi polmonari (per ascite,
versamento pleurico, epatosplenomegalia), l’alterazione funzionale dei vasi polmonari per la
presenza di shunt dx-sn intrapolmonari, l’edema polmonare (per ipoalbuminemia, sovraccarico di
liquidi) tutte condizioni che possono portare a severa ipossiemia.
L’apparato cardiocircolatorio si caratterizza per lo stato iperdinamico sostenuto dalla caduta delle
resistenze sistemiche per insufficiente clearance dei mediatori vasoattivi, dall’ipossia tissutale,
dall’apertura di shunt a-v, dall’iperattività simpatica. Questo si traduce in minore estrazione di
ossigeno da parte dei tessuti e da una ridistribuzione dei flussi a scapito di fegato e reni. Un’
indagine ecocardiografica servirà ad escludere cardiopatie congenite (spesso presenti nella S. di
Alagille), per valutare la presenza di ipertensione polmonare, la disfunzione ventricolare, la
presenza di shunt intracardiaci.
L’encefalopatia è frequentemente associata alle cause fulminanti; le manifestazioni vanno
dalla sonnolenza al coma epatico. Un attento regime alimentare e terapeutico, il bilancio idroelettrolitico, il monitoraggio strumentale, l’assistenza ventilatoria devono prevenire il danno
neurologico grave o irreversibile che poi controindica il trapianto.
La valutazione preoperatoria indagherà le condizioni gastroenteriche in particolare
l’ipersplenismo, il sanguinamento da varici, la peritonite e la colangite recidivante. La funzione
renale, immatura nei primi anni di vita, può essere peggiorata da farmaci nefrotossici e
dall’ipovolemia secondaria al trattamento diuretico e al sanguinamento; temibile (ma rara) risulta la
sindrome epato-renale per riduzione del flusso ematico e del filtrato glomerulare. Il quadro
ematologico è caratterizzato da trombocitopenia, anemia e riduzione dei fattori coagulanti secondari
a ipersplenismo, alterata sintesi, malnutrizione, sanguinamento e fattori diluizionali. Il quadro
metabolico si caratterizza per una neoglucogenesi meno efficiente, riduzione dei depositi epatici di
glucosio, ridotto catabolismo dell’insulina con elevato rischio d’ipoglicemia.
MANAGEMENT INTRAOPERATORIO
Il team anestesiologico si preoccupa della verifica della check list di sala operatoria: farmaci,
apparecchiature, presidi, riscaldamento della sala, sistemi infusori e di riscaldamento, disponibilità
di emoderivati. L’induzione anestetica avviene dopo monitorizzazione e adeguata preossigenazione;
normalmente non si pratica premedicazione. Tutti i bambini dovrebbero essere considerati come
avessero lo stomaco pieno (pericolo di reflusso e aspirazione nelle vie aeree) per ingrandimento
199
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
degli organi addominali, ascite, assunzione recente di cibo) e pertanto l’induzione prevede la
compressione cricoidea e l’intubazione in rapida sequenza. La cannulazione di una seconda vena
periferica, della vena centrale, dell’arteria radiale, il cateterismo vescicale, le sonde termiche
completano il monitoraggio ventilatorio e respiratorio. L’induzione viene eseguita con propofol o
midazolam, fentanil o remifentanil e vecuronio, mentre nel mantenimento si possono associare
vapori anestetici. Il tubo endotracheale è tradizionalmente non cuffiato anche se non sono da
escludersi quelli con cuffia purchè a bassa pressione. Gli accessi vascolari devono essere sufficienti
alla somministrazione di liquidi, emoderivati, catecolamine. Grande attenzione è posta ad evitare la
somministrazione di bolle dalle linee infusorie. L’ipotermia è minimizzata dal riscaldamento
ambientale, dalla copertura delle estremità, dalla presenza di materassini riscaldanti, dal
riscaldamento di tutte le infusioni.
L’instabilità emodinamica è comune a tutte le fasi del trapianto (anche se in misura inferiore
rispetto all’adulto) sia per l’immaturità cardiaca, che per effetto della riperfusione, per le alterazioni
elettrolitiche ed acido-base, per l’ipotermia, per il sanguinamento e le manipolazioni chirurgiche. Le
maggiori variazioni avvengono subito dopo la riperfusione con ipotensione, bradicardia, aritmie
fino all’arresto; l’embolia gassosa può complicare il quadro. L’uso di catecolamine può essere
indicato in questa fase.
L’anemia, la piastrinopenia, la carenza di fattori coagulanti sono correlati alla malattia,
all’ipersplenismo, alla depressione midollare, a carenze alimentari. Il sanguinamento correla
strettamente con l’instabilità emodinamica; questo può già verificarsi nella fase preanepatica. Con
parametri coagulatori fortemente alterati è giustificata la somministrazione di globuli rossi, plasma,
piastrine già in questa fase. L’ematocrito viene normalmente mantenuto a valori inferiori al 30%. La
fase anepatica e la prima parte della post-anepatica peggiora ulteriormente la coagulazione; è pure
presente fibrinolisi. L’infusione continua di acido tranexanico, l’infusione di plasma, piastrine e
globuli rossi non deve mai tendere alla normalizzazione dei parametri coagulatori per evitare rischi
di trombosi dei vasi epatici. La chiusura dell’addome a fine intervento può essere difficile a causa
delle dimensioni dell’organo trapiantato, dell’imbibizione dei tessuti e della distensione delle anse
intestinali; la ventilazione può risultare compromessa per cui si deve ricorrere alla chiusura della
parete i due tempi. Al termine dell’intervento con paziente emodinamicamente stabile e in
compenso metabolico, si può procedere all’alleggerimento del piano anestetico e instaurazione di
una ventilazione assistita; il risveglio avviene spontaneamente senza l’ausilio di antidoti. Un
decorso intraoperatorio complicato o condizioni preoperatorie critiche controindicano qualunque
procedura di svezzamento in sala operatoria.
BIBLIOGRAFIA
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200
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
A brief overview of the status of perinatal health care in India
S. UDANI, MD
Ass. Prof of Pediatrics. Mumbia, India
P. D. Hinduja National Hospital & Medical Research Centre” Mumbai, India
As a unified nation, India is only 59 years old, having been browbeaten into submission by 200
years of British imperialism and a conglomerate of small warring states ruled by feudal and
decadent kings before that. In spite of that we are the world’s largest democracy and today boast
one of the fastest growing economies of the region. But how does all this translate into the way we
look after the most vulnerable and newest members of our population? How do we allocate
resources to our perinatal programs? Who is responsible for health care delivery? Do we work
together with other disciplines to achieve our goals? How do we educate our young doctors in the
area of perinatal care? Finally, what does the future hold for the Indian newborn in the next half of
this decade? These are some of the questions that I will try to discuss.
India has an excellent infrastructure layout for the delivery of MCH(Maternal & Child Health)
services in the community through a network of sub-centers, primary health centers, community
health centers, district hospitals, state medical college hospitals, and other hospitals in the public
and private sectors. However, the health pyramid does not function effectively because of limited
resources, communication delays, sub-optimal commitment on the part of health professionals, and,
above all, a lack of managerial skills, supervision, and political will. The allocation of financial
resources for the delivery of health care continues to be meager. Nevertheless, in spite of obvious
constraints, the country has made laudable progress in reducing post-neonatal mortality in recent
years from 170/100 in the 1970s to 73/1000 in the 1990s.(1)
The Government of India spends only 0.9% of its GDP on health care. With its population of
over a billion, it leaves less than one Euro per person per year. Hence the vast majority of the
population is either left out of the health care net or has to rely on its own or other private (nongovernmental) resources. There are two parallel systems of health care. One is run by the State,
which provides care free of cost or at highly subsided rates to anyone who wishes to avail of it. The
other is run by individuals, non-profit organisations or corporations and the cost varies depending
on the quality of care and the type of organisation that runs the institution. The quality of care is
highly variably in both types of institutions and dependant on the skills, training, commitment and
integrity of the personnel involved. Regulations exist on paper but enforcement is mainly selfregulatory. Within this system a newborn may be conceived and born in a village hut without
adequate assistance, or in a plush, state of the art hospital in a large city with all manner of help and
equipment available.
Perinatal care begins with good care of the mother
India has the dubious distinction of having the 3rd highest maternal mortality in South East Asia.
407/100,000 births(as opposed to 40/100,000 even in Sri Lanka) and 25% of all global deaths.
Mothers die of preventable illnesses. Severe anemia, post partum bleeding, unassisted labour,
infection, malnutrition are common causes. If a mother dies in childbirth, the newly born has a very
low chance of survival into his/her first birthday. The quality of life for the rest of the children also
deteriorates, especially for any surviving girl child who will be called upon to become a surrogate
caretaker to the family.
The Federation of Obstetricians and Gynecological Societies of India (FOGSI) have undertaken
an awareness program through the most underdeveloped part of the country from the delta of the
river Ganges to its origins in the Himalayas across hundreds of villages with the aim of reducing
201
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
maternal mortality. The 3 Es: Education, Empowerment and Emphasis for the woman over her own
body and her own children, is vital for her survival and well-being.
Magsaysay Award winners, Drs Abhay and Rani Bang, showed that maternal and neonatal
morbidity and mortality could be drastically reduced by simple inexpensive measures in rural India.
This project was undertaken with minimal resources in an area called Gadchiroli. (2) In the 83
villages they targeted, they showed that:
• 85% of rurals births are at home
• 42% <1800 gms
• 9/10 deaths are in LBWs
• 52% of these LBWs need care
• 2.6% get it
• 0.6% go to hospital
The surrounding villages were used as controls, having the same demographic and
socioeconomic conditions. Using simple inexpensive methods enumerated below a 62%
reduction in mortality was achieved. Mortality due to neonatal sepsis declined from 16% to
2.8%.
These rather spectacular results were achieved by teaching local rural health workers:
• Clean delivery practices
• Cleaning secretions with mucous traps
• Bag and mask resuscitation on room air
• Warming babies with skin to skin contact and warm rooms
• Feeding practices of breast feeding, clean substitutes
Several other models have reproduced similar results with some success. Interestingly local
women have acted as facilitators between the doctors and the population, rather than outsiders.
The Urban Story
As in every walk of life in India, the field of Medicine is not free of its contrasts. In urban India,
the pregnant mother can get access to the best of monitoring and prenatal care. Diagnosis of genetic
disorders by chorionic villous sampling and amniocentesis, high-level ultrasonogrphy & fetal
echocardiograms for congenital anomalies, growth monitoring of the fetus, uterine blood flow
studies, are all available in most cities. A few fetal interventions are also done in some specialized
centers. Many hospitals are offering comfortable birthing suites with birthing chairs to make labour
and delivery as natural and comfortable for the mother without compromising safety. This can cost
upwards of 200 euros a day.
The major metropolises have hospitals that are equipped and staffed for all manner of medical
interventions for newborns and children. There are >100 level 3 NICUs with US/European
equipment, UK/Australia/US trained staff, capable of extended and full life support. Currently there
are 5 Units with NO capabilities but no ECMO units. These are almost all part of large private
institutions. There are 3 centres doing exclusively neonatal cardiac surgery and several more
routinely operate on complex congenital heart disease. Pediatric surgery is a well-advanced field
and about a dozen liver transplants have been done in the country. The mortality and outcome
figures for these units compares well with comparable units in developed countries.
More than 1000 small stand-alone units with 1-2 ventilators, basic monitoring equipment exist
and form the backbone of the network of health care in small towns. It is the villages that have
nothing. To seek even the most rudimentary care, a villager may have to go 5-10 kilometers or
more. The currently fragmented infant care must extend from prenatal through postnatal periods
through a 3-tiered system. 80-85% of all infants need care at Level I; 15-20% require Level II care;
202
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
and 1-5% need Level III care.(3) However, young doctors are reluctant to return to their roots in the
rural areas citing poor growth opportunities and every year more than 2000 medical graduates
emigrate out of India. Medical education is heavily subsidized by the Government and unlike
China, there is no enforcement of rural or social commitment for the trained graduate.
Perinatal outcomes serve as markers of quality of care. Just as the maternal and infant mortality
rates reflect on the health care delivery system of a nation, the neurological outcome of nursery
graduates reflects on the quality of perinatal care delivered. In our own series on infantile
hydrocephalus, we found that unrecognized or partially treated meningitis/ventriculitis was the most
common cause of hydrocephalus in the first 3 months of life(4) as opposed to intraventricular
hemorrhage as seen in western studies.
In a study on etiology of epilepsy in early childhood, hypoglycemic brain injury sustained in the
neonatal period was found to be a very prominent cause.(5)
The news is not all bad though. In another study from New Delhi, there was a clear
improvement in outcome in nursery graduates from 1981 to 1988 due to improved facilities and
funding in a semi-Government teaching hospital.(6)
Guidelines and Education
Legally, the curriculum for all medical education comes under the purview of the Indian
Medical Council, which is the approved national body. However, various disciplines have chosen to
enhance the standards set in order to keep up with international trends. The National Neonatology
Forum was formed in 1980 with the aim of reducing perinatal mortality in India through education
at every level. The forum has been actively working with Governmental and non-Governmental
agencies as well as with WHO and UNICEF in training more than 15,000 rural health workers. It
has also formulated a national level curriculum for training medical graduates at every level.
Ethical considerations
Religious beliefs run deep through the entire population. An acceptance of their fate as being
their “Karma” or the “will of Allah” helps parents in the most trying times. While doctors work on
the most intricate aspects of life support, the parents will bring in priests, magicians and
practitioners of alternative medicine to chant prayers and administer potions, all of which is allowed
within reason.
There are no clear guidelines on the smallest baby to be resuscitated. Considering the variable
facilities and expertise available, it is left to the institution to decide on what can be handled or
transported out safely. Often critical ethical decisions like withdrawing care for severely braindamaged infants or those with severe congenital anomalies are taken without recourse to published
guidelines.
Future considerations
Every medical graduate will now be trained in neonatal care and resuscitation. There will be a joint
effort to reduce neonatal mortality to 28/1000 by 2015 and maternal mortality to less than
28/100,000 births. The theme for the Indian Academy of Pediatrics for the year 2006-2007is “Every
Child Counts” and we hope to make that a reality.
Bibliography
1 Singh M, Paul VK. Maternal and child health services in India with special focus on perinatal
services. Jour Perinatology 1997 Jan-Feb;17(1):65-69.
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2 Bang AT, Reddy HM, Bang RA, Deshmukh MD. Why do neonates die in rural Gadchiroli,
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3 Indian Pediatrics 1991 Dec;28(12):1429-36. Current status of neonatal care and alternate
strategies for reduction of neonatal mortality in the decade of nineties. Bhargava SK, Ramji S,
Sachdev HP
4 Udani V, Udani S, Merani R, Bavdekar M. Unrecognised ventriculitis/meningitis presenting as
hydrocephalus in infancy. Indian Pediatrics2003 Sep;40(9):870-3
5 Udani VP, Munot P, Ursekar M, Gupta M. Risk factors and clinical features for Neonatal
Hypoglycemic Brain Injury - the commonest cause of infantile remote symptomatic epilepsy.
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6 Kumari S, Sharma M, Yadav M, Saraf A, Kabra M, Mehra R. Trends in neonatal outcome with
low Apgar scores. Trends in neonatal outcome with low Apgar scores. Indian J Pediatrics 1993
May-Jun;60(3):415-22.
Organizzazione e gestione del soccorso sanitario nei cantieri TAV e VAV dell’appennino
tosco-emiliano: il modello emiliano
M. VIGNA* e G. GRANA**
* Responsabile Servizio Assistenziale Tecnico e Riabilitativo (SATeR); ** Coordinatore Area dipartimentale Spoke e
Direttore UO Anestesia Bazzano - 118 Sud Bologna, AUSL Bologna – Dipartimento di Emergenza
L’Alta Velocità ferroviaria
La costruzione della linea ad Alta Velocità della tratta Bologna-Firenze presenta peculiari
aspetti di tipo strutturale (opera prevalentemente costituita da percorsi in galleria realizzati in
terreno altamente instabile, con notevole probabilità di crolli e cedimenti, presenza di grisou) e
organizzativo con presenza di 3.000 lavoratori.
La tratta Bologna-Firenze è costituita da 73 Km di galleria. L’effettivo scavo è stato però di
ben 101.393 Km per l’aggiunta di varianti in corso d’opera a seguito di modifiche del progetto, per
la realizzazione di “interconnessioni” (gallerie monobinario di collegamento della rete ferroviaria
esistente con la nuova rete ad alta velocità), di “by-pass” (gallerie di collegamento della galleria di
Pianoro con punti di attacco intermedio per la realizzazione delle interconnessioni) e di
“discenderie” (gallerie di servizio, utilizzate per raggiungere la diretta e aumentare i fronti di
scavo).
Si tratta sicuramente della più grande opera civile realizzata in Italia nel dopoguerra e ciò ha
dato modo di sperimentare un nuovo modello per la gestione dell'emergenza sanitaria.
Circa metà dell’opera interessa il territorio montano dell’Azienda USL di Bologna che ha
dovuto adeguare il proprio sistema di soccorso territoriale per far fronte non solo alle emergenze
generate dai lavori in galleria, ma anche ai problemi collaterali dello scavo come, ad esempio, lo
smaltimento dei circa 6.230.000 m3 di materiale di riporto che vengono trasferiti tramite veicoli
pesanti sulla viabilità ordinaria: strade statali e provinciali con carreggiate di ampiezza limitata.
Per garantire l’adeguamento del servizio di emergenza è stata sottoscritta nel 1996 una
specifica convenzione tra la ditta esecutrice dell’opera, CAVET (Consorzio Alta Velocità Emilia
Toscana), e l’allora Azienda USL Bologna Sud attualmente confluita nell’Azienda USL di Bologna.
La convenzione prevede la realizzazione di uno specifico e articolato piano volto ad
assicurare il soccorso sanitario in maniera adeguata, oltre che alla popolazione residente, alle
seguenti categorie di persone:
• lavoratori presenti in forma continua od occasionale presso i campi base ed i cantieri del
CAVET;
204
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
• visitatori dei campi base e dei cantieri;
• fornitori di materiali e di servizi;
• tecnici, collaboratori e consulenti occasionali.
Il piano è articolato avendo a base:
• la normativa specifica per le lavorazioni in sotterraneo (DPR 20/03/56 n. 320);
• i livelli assistenziali previsti nell’Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la
determinazione dei livelli di assistenza sanitaria di emergenza (DPR 27/03/92);
• il Comunicato PCM relativo al decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992,
recante Atto di indirizzo e coordinamento alle regioni per la determinazione dei livelli di
assistenza sanitaria di emergenza (Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 126 del 30/06/92,
pp. 61 - 63).
• le Linee guida sul sistema di emergenza sanitaria in applicazione del DPR 27/03/92
(Conferenza Stato-Regioni, seduta dell’11/04/96).
L’arrivo dei soccorsi viene garantito, in un periodo di tempo di norma non superiore ai 20 minuti
dal ricevimento della chiamata, mediante il Servizio "Bologna Soccorso" che:
• convoglia le richieste di soccorso su una unica centrale operativa attivabile con il numero
telefonico “118” da tutto il territorio provinciale;
• effettua la valutazione delle richieste al fine di dare risposte differenziate in base alle
caratteristiche delle chiamate;
• gestisce tutti i mezzi di soccorso, dall'assegnazione del servizio fino alla ospedalizzazione;
• garantisce già sul posto dell'evento un'affidabile triage che permette, poi, un trattamento
adeguato sia sul luogo del sinistro che in itinere;
• concorre all'identificazione della struttura ospedaliera più idonea al ricovero.
Lo strumento fondamentale attraverso il quale viene gestito il soccorso preospedaliero è la Centrale
Operativa che rappresenta il punto di governo del sistema territoriale. Questi i compiti:
• accentrare tutte le comunicazioni;
• gestire tutti i mezzi di soccorso sanitario indipendentemente dall'ente di appartenenza (USL,
Croce Rossa Italiana - CRI, Associazioni di Volontariato, Cooperative e Istituzioni private);
definire e applicare i protocolli di attivazione e operatività dei mezzi di
soccorso e individuazione delle strutture ospedaliere di riferimento;
• garantire la rete di comunicazioni dedicata all'emergenza sanitaria che gestisce e coordina
tutte le risorse presenti sul territorio, attraverso vie afferenti radiotelefoniche dirette e
privilegiate, tra cui il numero telefonico 118, e vie efferenti radiotelefoniche, anch'esse
dirette e privilegiate;
• gestire i mezzi di soccorso che dipendono dal GECAV (Gestione Emergenza Cantieri Alta
Velocità – AUSL Bologna) con competenze differenziate in funzione delle diverse
caratteristiche strutturali e della specializzazione del personale.
La Variante di Valico
Dal maggio 2002 ha aperto il primo cantiere Variante Autostradale Valico: 58 Km di
sviluppo (di cui 43 in Emilia Romagna); 29 Km di gallerie tutte a doppia canna, insistenti sulla
tratta emiliana; 5 lotti attualmente insediati sugli 11 previsti sulla tratta emiliana, 7 gallerie iniziate,
una conclusa e 4 in fase di avvio; 4 imprese appaltatrici principali, circa 100 subappaltatrici e circa
1000 lavoratori finora coinvolti (compresi i subappalti).
I lavori per la realizzazione della Variante di Valico coinvolgono, per la parte emiliana, 6
Comuni tutti dislocati nell'area sud dell'Azienda USL di Bologna: Casalecchio di Reno, Sasso
Marconi, Monzuno, Marzabotto, Castiglione dei Pepoli, San Benedetto Val di Sambro.
Sulla base dell’esperienza maturata nell’Alta Velocità è stato sottoscritto un accordo tra Autostrade
per l’Italia SPA e la Regione Emilia-Romagna per garantire l’assistenza sanitaria e sociale durante i
205
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
lavori della Variante di Valico. L’Azienda USL di Bologna fornisce tutte le conoscenze
professionali e tecniche. L’accordo prevede l’impegno di Autostrade S.p.A. per 12.400.000 Euro in
5 anni per contribuire agli oneri aggiuntivi per la Regione, dovuti alla maggiore domanda di
assistenza sanitaria durante la fase di realizzazione dei lavori.
In base a quanto contenuto nel citato accordo si è progettato e realizzato il complessivo
riordino della rete territoriale 118 dei comuni interessati evitando interventi isolati, con l’obiettivo
di garantire tempestività, omogeneità e qualità a tutti gli interventi comunque richiesti.
Il sistema di emergenza e costituita da 4 maglie principali:
1. Castiglione dei Pepoli – Esiste un Punto di Primo Soccorso presso la Casa di Cura Nobili
dove, per 24 ore al giorno, sono operativi: un medico, un infermiere e un autista
soccorritore. Il medico non abbandona mai il Punto di Primo Soccorso, mentre l’infermiere
e l’autista garantiscono il servizio di soccorso territoriale a mezzo ambulanza, con capacità
di intervento anche in galleria, come i dipendenti USL. Il Punto di Primo Soccorso è a
disposizione anche della popolazione residente;
2. Lama di Setta - La postazione è dotata:
• di un Punto di Primo Soccorso a servizio prevalente delle maestranze VAV che
garantisce anche le prestazioni di medicina di base;
• di un’auto medicalizzata a servizio del territorio e dei lavoratori dei cantieri;
• di un ambulanza infermierizzata a prevalente servizio dei lavoratori dei cantieri. Presso
questa postazione è ubicato il Centro di Formazione per il personale sanitario;
3. Piano del Voglio – È stata attivata un’auto medicalizzata a servizio sia del territorio sia dei
lavoratori dei cantieri ed è operativo un Punto di Primo Soccorso a servizio delle maestranze
VAV e, occasionalmente, della popolazione;
4. Roncobilaccio – E’ stata attivata una postazione di soccorso dotata di ambulanza con
infermiere a servizio dei cantieri VAV di Badia e Poggiolino. Gli operatori saranno
specializzati nel soccorso in galleria.
Il GECAV
Il GECAV (Gestione Emergenza Cantieri Alta Velocità e Variante di Valico) è il gruppo
operativo deputato alla gestione dell’Emergenza nei cantieri dell’Alta Velocità e della Variante di
Valico. Il GECAV dipende dall'Unità Operativa di Emergenza Territoriale Sud dell’AUSL di
Bologna (118 Sud Bologna) e opera sotto la direzione del Dr. Giuseppe Grana.
Il GECAV nasce nell’estate del 1996 come potenziamento del Servizio di EmergenzaUrgenza Preospedaliera dell'ex AUSL Bologna Sud nei comuni di Loiano, Monghidoro,
Monterenzio e Pianoro per affrontare la nuova esigenza di garantire il soccorso sanitario sia ai
residenti sia ai lavoratori addetti alla costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità BolognaFirenze.
Il GECAV si è adattato nel tempo alle necessità del CAVET, iniziando la propria attività
con solo 6 operatori fino agli oltre 150 attuali, man mano che aumentavano i cantieri TAV
dapprima, TAV e VAV oggi.
La cessazione del servizio o perlomeno il suo ridimensionamento a copertura della sola
Emergenza Territoriale dovrebbe avvenire alla conclusione dei lavori per l’alta velocità e quindi il
31 dicembre 2008.
Dal 2002, il GECAV si occupa anche della Gestione dell’Emergenza dei Cantieri della
Variante di Valico.
Da quell’anno anno si sta progressivamente spostando il personale GECAV presso le
206
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
postazioni VAV (le esigenze TAV diminuiscono grazie al completamento di alcuni tratti di Alta
Velocità, in coincidenza con un forte incremento delle esigenze VAV dettato dall’apertura di nuovi
cantieri). Secondo le previsioni progettuali, il completamento dell' opera non è previsto prima di 6
anni.
Oltre al soccorso per i lavoratori dell’Alta Velocità, che si concretizza in un bacino di utenza
di circa 3000 lavoratori, distribuiti su 5 campi base e 10 cantieri composti da 13 fronti di scavo (fra
discenderie e gallerie), il GECAV si fa carico dell’emergenza nei comuni di Loiano, Monghidoro,
Monterenzio, Monzuno, Pianoro, per una popolazione di oltre 30.000 persone.
Inoltre dal 2002, il GECAV dovendosi occupare della gestione dell’emergenza nei cantieri
della Variante di Valico ha altresì assunto la competenza anche sulla popolazione residente nel
territorio dei comuni di Sasso Marconi, Monzuno, Castiglione dei Pepoli, San Benedetto Val di
Sambro, Marzabotto, oltre che di un tratto consistente dell’autostrada A1 tra Bologna e Firenze.
Dotazione di Personale
La gestione della dotazione del personale presente al GECAV, è sempre stata attenta a
quelle che sono le reali esigenze dei cantieri.
Ricordiamo che la scelta del GECAV è stata quella di utilizzare personale proveniente da
più realtà operative (Consorzio Ambulanze Trasporto Infermi e Soccorso (oggi Fondazione
CATIS), AUSL di Bologna area Sud, AUSL di Bologna area Città e CRI). Tale scelta è stata dettata
dalla vastità delle lavorazioni in atto (l’Alta Velocità presenta cantieri dislocati da Bologna Centro
fino al confine Toscano; i cantieri della Variante di Valico di nostra competenza iniziano nei pressi
di Sasso Marconi e arrivano fino a Poggiolino in territorio Toscano), a garanzia di flessibilità ed
eventuale riassorbimento di personale quando cesseranno tutte le attività.
Attualmente la dotazione di personale è la seguente:
• 26 MEDICI con rapporto di dipendenza o di convenzione (6 unità fornite da CRI Firenze);
• 57 INFERMIERI (di cui 2 AFD e 3 Coordinatori), con rapporto di dipendenza o di
convenzione (4 unità fornite da CATIS) ai quali si aggiungono circa 40 gettonisti dipendenti
AUSL di Bologna (infermieri dei reparti di area critica di Bologna che prestano servizio a
“gettone” presso i cantieri);
• 6 AUTISTI, 1 con rapporto di dipendenza e 5 in convenzione (CATIS) ai quali si
aggiungono circa 40 “gettonisti” dipendenti USL, con funzione di autista.
Il modello operativo
Il sistema di soccorso sanitario è graduato in funzione dell’attivazione dei singoli lotti, delle
caratteristiche delle lavorazioni e dell’orario in cui si effettuano le lavorazioni ed è organizzato
secondo la logica delle reti integrate dei servizi che prevede risposte differenziate a seconda della
gravità dell’evento che ha generato la richiesta di soccorso sanitario. Il coordinamento operativo è
affidato alla Centrale Operativa 118 di Bologna (Bologna Soccorso). La responsabilità
organizzativa è affidata all' Unità Operativa 118 dell'area Sud di Bologna.
Il sistema di soccorso sanitario è costituito da 5 sottosistemi:
1. sottosistema “Emergenza territoriale”
2. sottosistema “Pronto Soccorso e Punti di Primo Intervento ospedalieri”
3. sottosistema “Punti di Primo Intervento Territoriali”
4. sottosistema “Servizio medico di medicina generale”
5. sottosistema “Infermerie”
1. L’emergenza territoriale
Modalità di attivazione del servizio di emergenza - Chiunque (lavoratori dei cantieri, visitatori
occasionali, fornitori, operatori di Autostrade ecc.) si trova sul luogo di un’emergenza (sia in
cantiere che nelle strade o nelle residenze) o ha notizia di un’emergenza può richiedere il
207
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
soccorso componendo il 118. La centrale operativa provvede ad inviare sul posto uno o più
mezzi di soccorso in ragione delle dimensioni e della gravità dell’evento; nei casi più gravi
potrà disporre l’invio di un mezzo medicalizzato e dell’elisoccorso.
Oltre ai mezzi di soccorso dedicati alla popolazione, la riorganizzazione delle rete 118 prevede
altri 2 livelli:
• mezzi prevalentemente dedicati ai cantieri;
• mezzi prevalentemente dedicati al soccorso alla popolazione ma con capacità ad
intervenire nei cantieri;
Postazioni con mezzi di soccorso prevalentemente dedicati ai cantieri
• postazione ambulanza di Osteria, denominata Loiano 40, gestita da personale
infermieristico GECAV USL di Bologna con copertura limitata ai cantieri CAVET della
zona di Monghidoro, Loiano e Castelvecchio;
• postazione ambulanza di Pianoro, denominata GECAV 1, gestita da personale GECAV e
CATIS con copertura limitata ai cantieri CAVET della Zona di Pianoro e San Lazzaro;
• postazione ambulanza in località “Lama di Setta” (Marzabotto), denominata Setta 1,
gestita da personale GECAV e da personale in libera professione funzione Autista
proveniente dalla USL di Bologna, con copertura limitata ai cantieri VAV della zona di
Sasso Marconi;
• postazione ambulanza in località “Roncobilaccio”, denominata Ronco 22 , gestita da
personale GECAV e da personale della CRI di Firenze con copertura limitata ai Cantieri
VAV della zona di Castiglione dei Pepoli.
Postazioni con mezzi prevalentemente dedicati al soccorso per la popolazione ma con
capacità di intervento nei cantieri
• postazione di Castiglione dei Pepoli, gestita in convenzione dalla locale Casa di Cura
Prof. Nobili;
• postazione di Loiano (comprende ambulanza con infermiere, denominata Loiano 34),
gestita da personale del CATIS (in convenzione con USL di Bologna) integrato da
volontari della CRI e personale in libera professione (funzione Autista) proveniente
dall'AUSL di Bologna;
• postazione medicalizzata, con sigla operativa Echo 22, attiva 24 ore su 24 in postazione
a Pian del Voglio, gestita da personale della CRI di Firenze;
• postazione medicalizzata, con sigla operativa Echo 57, attiva 24 ore su 24 in località
“Lama di Setta” , gestita da personale GECAV;
• postazione medicalizzata, con sigla operativa Echo 34, attiva 24 ore su 24 in postazione
presso il Campo Base CBE 2 di Barbarolo, gestita da personale del GECAV.
Le auto infermieristiche
Progetto assolutamente innovativo costituito da automobili denominate STILO, equipaggiate
con monitor defibrillatore, zaino infermieristico, aspiratore per secreti, autorespiratore. Ogni
stilo è guidata e gestita da un coordinatore (infermiere con mansioni organizzative), che in
casi particolari si auto attiva seguendo una procedura precisa.
Il territorio di competenza e l’orario di utilizzo di questo mezzo è quindi limitato all’attività
dell’infermiere coordinatore che lo gestisce.
Questo sistema a fronte di una “spesa” di personale limitata (il coordinatore sarebbe
comunque in servizio), garantisce una risposta immediata nel territorio in cui è operativo.
E’ uno strumento che si integra alle strutture presenti in zona (E34, E35, E22, P47, L40,
L34, M41 ecc.), in grado di raggiungere velocemente il target e fornire indicazioni precise
sull’evento in questione.
Indicazioni, che dovranno orientare il proseguimento dell’intervento in sincronia con le
208
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
risorse in zona:
• trattamento autonomo dell’evento;
• intervento dell’ambulanza BLS;
• intervento aggiuntivo dell’auto medicalizzata;
• intervento aggiuntivo dell’Elisoccorso.
Le 5 auto Infermierizzate “Stilo” sono così ubicate:
• 1 Auto infermierizzata, con sigla operativa Stilo 2, presso il Campo Base CBE 2 di
Barbarolo;
• 1 Auto infermierizzata, con sigla operativa Stilo 3, in località Lama di Setta;
• 1 Auto infermierizzata, con sigla operativa Stilo 4, in località Pian del Voglio, gestita
dal coordinatore appartenente alla CRI di Firenze;
• 1 Auto infermierizzata, con sigla operativa Stilo 5, presso la postazione di Marano;
• 1 Auto infermierizzata, con sigla operativa Stilo 6, presso Ospedale di Loiano.
Infine è previsto l’utilizzo dell’Elisoccorso che proviene dall’Ospedale Maggiore di
Bologna in grado di raggiungere in tempi brevi zone lontane, fornire una risposta
altamente specializzata (infermiere + anestesista) e trasportare velocemente all’Ospedale
più idoneo (Cesena, Bellaria, Maggiore ecc.).
2. Pronto Soccorso e Punti di Primo Intervento ospedalieri
Per le patologie a minor complessità sono disponibili 5 Punti di Primo Intervento o Pronto
Soccorso.
I 5 ospedali in cui è possibile usufruire di prestazioni di Primo Soccorso o Pronto Soccorso
sono: Porretta, Vergato, Loiano, Bazzano e Castiglion dei Pepoli.
Tali strutture sono dotate di risorse mediche ed infermieristiche che garantiscono continuità
assistenziale h 24.
3. Punti di Primo Intervento territoriali
Sempre per le patologie a minor complessità sono disponibili 2 Punti di Primo Intervento
territoriali localizzati presso le postazione di automedica “Lama di Setta” e “Pian del Voglio”.
Tali postazioni sono prevalentemente dedicate a precise esigenze dell’utente VAV. In assenza
del medico (impegnato su un servizio), il personale eventualmente presente nel PPI può
comunque eseguire prestazioni di tipo infermieristico.
4. Servizio medico di "medicina generale”
Le maestranze TAV e VAV ricevono le prestazioni di "medicina generale” in deroga alle attuali
norme regionali riguardanti l’obbligo di domicilio sul territorio dell’Azienda USL.
Le prestazioni ambulatoriali vengono erogate dai medici presenti nei Punti di Primo Intervento
Territoriale (limitatamente al tempo in cui gli stessi non sono impegnati in attività di soccorso
territoriale o addestramento), nei Punti di Primo Intervento Ospedaliero 24 ore al giorno, 365
giorni all’anno. Tali prestazioni, in quanto sostitutive di quelle del “medico di medicina
generale”, non sono soggette a pagamento di ticket anche se erogate dai PPI.
Le visite domiciliari sono garantite dai medici di Guardia Medica ai soli lavoratori alloggiati nei
campi basi o nelle abitazioni site nel territorio dell’Azienda USL di Bologna. Tali prestazioni
sono limitate al periodo di apertura del servizio (notturno, prefestivo e festivo).
5. Le infermerie
Nei campi base dove è presente la postazione di ambulanza è stata realizzata anche una
infermeria. In totale sono state realizzate 5 infermerie dislocate come segue:
• Pianoro presso il CBE 1 (Campo Base Emilia 1) a servizio delle maestranze TAV - Zona
Nord;
• Barbarolo presso il CBE 2 (Campo Base Emilia 2) a servizio delle maestranze TAV - Zona
209
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
•
•
•
Sud;
Osteria presso E8 (Cantiere Industriale Osteria) a servizio delle maestranze TAV - Zona
Sud;
Bologna presso Campo Base San Ruffillo a servizio delle maestranze TAV del Nodo di
Bologna - Lotto 5;
Roncobilaccio presso ex centro civico a servizio delle maestranze dei cantieri VAV Sud.
La formazione
Il carattere totalmente innovativo dell’attività del GECAV ha imposto un percorso formativo
specifico. Per superare le difficoltà di intervento è stato necessario intraprendere un percorso
formativo volto a ottimizzare tutte le fasi del soccorso. Oltre al classico corso di BLSD e allo stage
di 15 giorni sulle ambulanze del 118 di Bologna, gli Infermieri GECAV hanno realizzato gli
stradari delle zone di competenza GECAV, hanno realizzato le procedure operative per le varie
postazioni.
Sono stati quindi messi a punto meccanismi di affiancamento, corsi di conoscenza del territorio,
corsi di conoscenza dei mezzi di soccorso, corsi di guida e altro.
Man mano che si procedeva su questa strada, le figure impegnate nell’affrontare e nel risolvere uno
specifico problema si sono andate delineando con precisione. Sono nati, così, i responsabili di
settore, il cui compito non è solo quello di ricercare la soluzione di un problema, ma anche di
mettere a punto il metodo di insegnamento, per la trasmissione ai colleghi.
Alla fine di questo percorso, sfruttando le capacità e le esperienze dei singoli infermieri, che di volta
in volta sono diventati docenti o discenti, sono nati i corsi di autoprotezione e salvataggio per il
personale sanitario.
Obiettivo dichiarato di tali corsi è quello di illustrare al personale infermieristico non solo le
tecniche e i materiali di soccorso ma anche come intervenire sui disagevoli terreni montani o negli
spazi confinati, in carenza di aria respirabile.
I responsabili di settore
Il responsabile dell'autoprotezione - Si occupa di autoprotezione. In collaborazione con i VVF
insegna l’uso e la gestione degli autorespiratori (strumenti in grado di fornire aria respirabile,
isolando l’operatore dall’ambiente esterno). Svolta fondamentale in questo settore, è stato l’acquisto
da parte della USL di Bologna della Camera Fumi, struttura a norma in grado di addestrare tutto il
personale GECAV sulle problematiche relative all’autoprotezione in ambienti con carenza di aria
respirabile.
Il percorso pieno di ostacoli, il buio e il fumo, estremizzano la prova in modo da formare
l’operatore all’utilizzo degli strumenti di autoprotezione in condizioni particolari quali possono
essere un ambiente saturo di fumo e/o costrittivo.
Nella prova si misura il tempo impiegato ed il consumo di aria, in modo da rendere consapevole
l’allievo dell’esigua riserva d’aria che un autorespiratore garantisce e dell’alterato consumo in
condizioni disagevoli, impara quindi a gestire al meglio le proprie risorse, intese come riserva d’aria
e di energia.
L’allievo, tramite la rilevazione del proprio consumo d’aria per ogni minuto di utilizzo dello
autorespiratore, ottiene una utilissima informazione: la propria autonomia di aria utilizzando un
autoprotettore in condizioni disagiate.
Lo stesso responsabile dell' autoprotezione insegna, altresì, le tecniche di salvataggio su terreni
scoscesi con profondità non superiore ai 50 - 60 metri.
Il Soccorso in Ambiente Montano serve per conoscere i DPI (Dispositivi di Protezione Individuale)
di terza Categoria a disposizione come l'imbracatura Falcon ed accessori (Bretella Secur, Longe,
210
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Discensore Assicuratore Autofrenante, Bloccante Ventrale Croll, Maniglia Bloccante, Piastrina GiGI)
Garantisce la conoscenza delle metodiche per costruire nodi quali otto, otto infilato, asola della
guida con frizione, mezzo barcaiolo, barcaiolo, inglese, marchand, asola e contro asola.
Il castello di manovra, struttura alta 16 metri, costruita con tubi “Innocenti”, ad utilizzo
esclusivamente formativo consente di addestrare il personale GECAV al corretto utilizzo dei DPI da
impiegare per il soccorso in terreni in pendenza e alla gestione della sosta per calata e risalita del
soccorritore in corda doppia/singola e alla gestione della sosta per la calata di materiale necessario
alla esecuzione dell’emergenza.
Nello specifico l’addestramento prevede:
• costruzione della sosta su 2 punti con fettuccia o corda;
• calata del collega con mezzo barcaiolo;
• calata del collega con discensore assicuratore autofrenanate;
• calata con piastrina Gi-Gi e autobloccante.
Ogni scenario è stato studiato per ottenere gradualmente la prestazione formativa attesa, passando
essenzialmente da:
• un primo approccio per sensibilizzare l’operatore al problema da affrontare,
• un confronto diretto con le potenzialità offerte dall’attrezzatura,
• una gestione autonoma della attrezzatura in dotazione,
• un confronto diretto con le variabili che ogni scenario può offrire.
Il responsabile delle simulazioni - Organizza simulazioni congiunte con personale CAVET /
VAV.
Le simulazioni in galleria vengono eseguite all’interno delle gallerie in costruzione in modo da
familiarizzare con l’ambiente galleria e con i suoi rischi. Più in particolare servono per:
• fornire informazioni sulle gallerie (differenziazione fra finestre, metodi di lavorazione,
grisou ecc.),
• testare l’efficienza di materiali in dotazione al 118 e alla ditta che gestisce i lavori di scavo,
• individuare le strategie operative e tecnologiche in grado di garantire efficacia/sicurezza nei
servizi di soccorso e salvataggio in galleria (Sicurezza & Leader),
• divulgare le informazioni e l’esperienza acquisiti agli operatori che a vario titolo possono
essere coinvolti in un intervento reale,
• accrescere il livello di collaborazione e coordinamento fra il 118, sicuristi (addetti
all’emergenza delle imprese costruttrici) e personale impegnato nell’attuazione del Piano di
Emergenza TAV (addetto alla sicurezza, addetto al monitoraggio gas ecc.
Il responsabile dell'emergenza in sicurezza - Organizza i corsi teorico-pratici di Emergenza in
Sicurezza.
Le lezioni teoriche vengono effettuate in aula. Le esercitazioni pratiche di “Emergenza in
Sicurezza” si svolgono nell’area di addestramento Ca' di Moschino (area boschiva di proprietà USL
a 500 metri dall’ospedale di Loiano), riproducono interventi reali in modo da addestrare il personale
GECAV ad affrontare tutti i possibili scenari che possono verificarsi nella nostra realtà operativa,
con particolare attenzione alla individuazione dei rischi e alle conseguenti contromisure.
Per dare risposta alle maxiemergenze, eventi per fortuna rari, la simulazione diventa elemento
essenziale nella formazione operativa delle squadre d'intervento.
I punti salienti della prova sono :
• la valutazione dello scenario e dei conseguenti rischi;
• la conoscenza dei materiali e delle tecniche da impiegare;
• il coordinamento della/e squadra/e e i ruoli dei singoli componenti (Leader Sicurezza);
• il trasporto del materiale sul luogo dell’evento (si intende dalle autoambulanze
all’infortunato).
211
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
I responsabili dei briefing mensili - coordinano le riunioni mensili a carattere organizzativo per:
• discutere casi clinici complessi. Un forte momento di crescita del gruppo di lavoro è la
discussione dei casi: discutere un errore o un evento complesso ed articolato, ha lo scopo di
condividere con i colleghi un proprio vissuto personale, carico di dettagli ed emozioni,. La
discussione di casi clinici può persino portare alla modifica delle procedure in atto, qualora
comportino errori o rallentamenti della macchina del soccorso;
• fornire chiarimenti organizzativi. In una realtà complessa ed articolata come quella dei
cantieri in continua evoluzione, il GECAV è costantemente costretto ad adeguare le proprie
procedure di soccorso;
• proporre modifiche organizzative scaturite dalle schede GECO (GEstione Criticità
Organizzative). Le schede GECO sono lo strumento per rilevare, identificare, catalogare
eventuali irregolarità (criticità organizzative) riscontrate nell’effettuazione delle operazioni
di soccorso. E’ la base delle azioni correttive;
• amalgamare un gruppo sempre più ampio e vario (personale 118 USL, personale CATIS,
gettonisti, convenzionati CRI Firenze, convenzionati Casa di Cura Nobili);
• programmare nuove attività formative.
Ogni riunione è totalmente organizzata (ordine del giorno, reclutamento docenti, preparazione
materiale didattico ecc.), dai coordinatori GECAV che, a rotazione, assumono questo impegno a
garanzia di coinvolgimento di tutte le figure che lavorano nell'Unità Operativa: medici,
infermieri, autisti soccorritori.
Il responsabile delle formazione "sicuristi" - Si occupa della formazione delle squadre di pronto
soccorso aziendale ai sensi del D. L.vo 626. Vengono chiamati sicuristi gli operatori dei cantieri che
hanno il compito di allertare il 118 e prestare i primi soccorsi, fino all’arrivo dell’ambulanza,
qualora si verifichi un infortunio o un malore durante il lavoro. Per diventare sicurista è necessario
partecipare alle lezioni di primo soccorso appositamente organizzate dal 118 GECAV.
Sul modello del BLSD, è stato messo a punto un corso teorico-pratico adattato alle esigenze di
cantiere.
L'iter formativo dell' operatore 118 GECAV
Oggi, tutti gli operatori del 118 GECAV seguono questo iter formativo:
• 15 giorni di affiancamento a Bologna Soccorso sulle ambulanze cittadine ed in Centrale
Operativa (formazione per il neoassunto);
• 15 giorni di affiancamento nei vari Punti di Primo Intervento distribuiti sul territorio
dell'area Sud di Bologna (Loiano, Vergato, Porretta), in modo da approfondire la
conoscenza delle risorse che ogni struttura è in grado di erogare (formazione per il
neoassunto);
• affiancamento di almeno 3 giorni in ogni realtà operativa GECAV (Coordinamento di
Loiano, postazione di Osteria, postazione di Pianoro, postazione di Lama di Setta formazione per il neoassunto), indipendentemente dalla destinazione definitiva;
• BLSD (Basic Life Support Defibrillation) e successivi retraining
• PBLS (Paediatric Life Support) e successivi retraining
• PTC di base (Prehospital Trauma Care) e successivi retraining
• ICLS (Intermediate Cardiac Life Support)
• GEM (Gestione Extraospedaliera Maxiemergenze)
• TES (Tecniche Salvavita in Emergenza)
• Conoscenza delle ambulanze in dotazione
• Lezioni di guida
212
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
•
•
•
•
•
•
Autoprotezione e Salvataggio
Accesso in Galleria
Simulazione in Galleria
Soccorso in ambiente montano (con utilizzo di imbragature, verricello ecc.).
Emergenza in Sicurezza
Riunioni Mensili a carattere Organizzativo
Il modello attuato per strutturare i corsi è il problem solving. Per ogni settore, il tutor (responsabile
di settore), imposta i test, atti ad individuare il livello di conoscenza dell’allievo. In base ai problemi
rilevati, imposta un iter formativo specifico, personalizzato. L’intervento del tutor esperto del
territorio, ad es., può risolversi in una banale chiacchierata oppure in una vera e propria visita
guidata nelle principali vie dei comuni di pertinenza GECAV, per rendere autonomo e sicuro il
discente nella ricerca delle vie, utilizzando lo stradario. In seguito, durante le frequenti
esercitazioni/simulazioni e durante gli incontri di formazione mensili che coinvolgono
alternativamente la metà del personale, il tutor avrà modo di verificare se il proprio lavoro ha
portato i risultati sperati.
Conclusioni
La provincia di Bologna è interessata fin dal 1996 dalla realizzazione delle più grandi opere civile
del dopoguerra italiano. I volumi di gallerie che verranno realizzate si avvicinano a quelli del
Tunnel della Manica.
Le precedenti esperienze di realizzazione di lavori in sotterraneo prevedevano l’attivazione dei
relativi servizi di emergenza sanitaria e soccorso da parte delle stesse imprese costruttici.
La Regione Emilia-Romagna è invece riuscita a gestire direttamente, sulla base di specifiche
convenzioni con le imprese costruttrici, i servizi di emergenza sanitaria e soccorso previsti dalla
normativa sulle lavorazioni in sotterraneo.
L'Unità Operativa 118 Sud di Bologna ha provveduto a implementare la preesistente rete di
postazioni in funzione delle nuove necessità.
La specificità del modello emiliano è appunto quello di avere ampliato il sistema esistente evitando
quindi di creare un servizio ad hoc.
La scelta di implementare la rete esistente, unito alla estrema complessità del soccorso ai cantieri,
ha consentito di creare sinergie tra l’uno e l’altro settore arrivando a realizzare un unico servizio di
emergenza oggi estremamente qualificato e professionalizzato.
Oggi il GECAV (Gestione Emergenza cantieri Alta Velocità e variante di Valico) garantisce ai
lavoratori impegnati nello scavo delle galleria, alla popolazione residente e agli utenti
dell’Autostrada una capacità di intervento tecnico e assistenziale praticamente unico sullo scenario
nazionale.
La rianimazione materno-fetale. La sindrome di Mendelson
R. G WETZL
S.S. Anestesia, Ospedale “Beauregard” di Aosta
Riassunto
Pur diminuiti in valore assoluto, i problemi a carico delle vie aeree e la polmonite ab ingestis
in caso di impiego di anestesia generale nel parto cesareo continuano a rappresentare una causa
213
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
importante di mortalità materna anche nel mondo occidentale avanzato. Nell’ultimo rapporto
triennale inglese sulla mortalità materna (2000-2002), 5 casi mortali su 6 attribuiti all’anestesia (pari
a 3 casi mortali per milione di maternità, 1 per 100.000 parti cesarei) furono legati a problemi a
carico delle vie aeree ab ingestis. Questo dato preoccupante è dovuto alla concomitanza di vari
fattori, tra cui:
a) limitazione del ricorso all’anestesia generale nel parto cesareo alle sole emergenze ostetriche
catastrofiche (rottura utero, prolasso funicolo, distacco massivo di placenta);
b) diminuita pratica dell’anestesia generale nel cesareo (e conseguenti problemi di addestramento al
trattamento delle difficoltà di accesso alle vie aeree in tale contesto);
c) crescente prevalenza dell’obesità nelle popolazioni ostetriche del mondo occidentale avanzato.
C’è accordo unanime che, per scongiurare il rischio di ab ingestis, nel cesareo elettivo la
profilassi farmacologica preoperatoria debba comprendere, fin dalla sera prima dell’intervento, la
somministrazione di antiH2 o inibitori di pompa protonica, in aggiunta a procinetici
(metoclopramide).
In caso di cesareo urgente, utile anche la somministrazione di antiacidi “chiari” (per evitare
l’aspirazione polmonare di antiacidi particolati). In caso di cesareo elettivo, la donna deve essere a
digiuno di cibi solidi secondo le usuali indicazioni, mentre in caso di parto vaginale la gravida può
assumere liquidi “chiari” senza incrementare il rischio di ab ingestis in caso di cesareo urgente. In
caso di cesareo in anestesia generale viene raccomandata l’induzione rapida, dopo denitrogenazione
tramite 4 respiri forzati in ossigeno puro, se possibile senza ventilare manualmente la paziente
prima del controllo delle vie aeree e attuando la manovra di Sellick. In caso di ab ingestis
conclamata, può essere necessario rimuovere con broncoscopio rigido particelle di cibo che possono
ostruire i bronchi. L’ipossiemia, più o meno grave, segnala il danno polmonare da polmonite
chimica, il cui trattamento può richiedere ventilazione meccanica con PEEP più o meno prolungata.
L’anestesia per chirurgia generale successiva al trapianto
N. ZADRA, F. GIUSTI
U.O. di Anestesia e Rianimazione Azienda Ospedaliera Padova E-Mail [email protected]
L’espansione dei programmi di trapianto d’organo in età pediatrica fa si che non sia affatto
raro dover gestire un’anestesia in un bambino trapiantato che deve sottoporsi ad altro intervento
chirurgico.
Il rigetto è la prima causa di morte a distanza dopo un trapianto e l’esecuzione di un
intervento chirurgico durante la fase di rigetto espone il paziente ad un aumentato rischio di
complicanze (1).
La terapia immunosoppressiva ha effetti a lungo termine sul bambino che non sono ancora
completamente noti. Ciclosporina A, azatioprina, cortisone, tacrolimus (FK506) e mofetil
micofenolato sono i farmaci più utilizzati in pediatria nei protocolli di immunosoppressione post
trapianto.
La ciclosporina può indurre ipertensione arteriosa (vasospasmo renale), diabete, neuro e
nefrotossicità (acidosi tubulare renale); l’azatioprina anemia, trombocitopenia e leucopenia; il
tacrolimus insufficienza renale, diabete, ipertensione, neurotossicità e più raramente una
miocardiopatia ipertrofica ostruttiva; gli steroidi ipertensione, anomalie elettrolitiche e diabete.
Tutti i pazienti trapiantati sono a rischio per infezioni e possono sviluppare con maggior
frequenza linfomi.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Tutti i comuni farmaci dell’anestesia possono essere usati nei bambini trapiantati. L’unica
interazione degna di nota è quella tra ciclosporina e miorilassanti non depolarizzanti, che può
comportare una maggior durata d’azione di questi ultimi (2).
Valutazione preoperatoria e preparazione all’intervento
E’ importante conoscere la funzionalità dell’organo trapiantato, lo stato della terapia
immunosoppressiva, la funzionalità renale e l’eventuale presenza di rigetto o di infezioni. Uno
sguardo alla cartella anestesiologica compilata in occasione del trapianto può dare utili informazioni
sulle più comuni problematiche anestesiologiche affrontate in precedenza.
I bambini pluriospedalizzati sono spesso ansiosi, spaventati e difficili da gestire dal punto di
vista emotivo per cui una premedicazione farmacologia, l’uso della pomata EMLA per la
venipuntura e la presenza costante dei genitori fino all’induzione dell’anestesia sono strategie utili
per ridurre lo stress preoperatorio.
Non deve essere sospesa l’assunzione perioperatoria della terapia immunosoppressiva. In
qualche caso dovrà essere cambiata la via di somministrazione, da orale a endovenosa, ricordando
che l’azatioprina ha lo stesso dosaggio per le due vie e che il prednisone orale ha lo stesso dosaggio
del metilprednisolone endovenoso (3).
Una supplementazione preoperatoria di steroidi a copertura dello “stress chirurgico” non è
giustificata a meno che la terapia cronica steroidea sia stata sospesa da pochi giorni (4).
La profilassi antibiotica della chirurgia dev’essere quella standard per qualsiasi paziente, ma
molto rigorose devono essere tutte le misure di asepsi legate alle manovre invasive (incannulazioni,
manipolazioni di linee venose e arteriose…) al fine di prevenire infezioni perioperatorie.
Prevenzione del dolore postoperatorio
Paracetamolo e oppioidi (minori e maggiori a seconda del dolore atteso) sono i farmaci di
scelta. L’uso dei FANS è meno indicato in quanto nefrotossici, soprattutto in associazione con
ciclosporina e tacrolimus (5)
Le tecniche di anestesia locoregionale vanno incoraggiate, quando indicate, perché
consentono il risparmio di farmaci analgesici per via sistemica e forniscono eccellente analgesia.
Anestesia nel bambino trapiantato di rene
Anche con funzionalità renale normale la creatinina plasmatica può essere leggermente
elevata. Intuitivamente andranno evitati tutti i farmaci nefrotossici come gentamicina e FANS (1).
Il riempimento volemico del paziente è importante per garantire un adeguato flusso ematico
renale; l’ipotensione va evitata. Se è necessario incannulare una vena centrale, la prima scelta deve
cadere sulla vena giugulare interna. Vene succlavie e femorali devono essere risparmiate: nel primo
caso per non interferire con il funzionamento di un’eventuale fistola arterovenosa per emodialisi
(6), nel secondo caso per evitare trombosi venose del distretto inferiore presso cui sono
anastomizzate le vene renali.
Anestesia nel bambino trapiantato di fegato
Il rigetto acuto si manifesta con ittero colostatico, aumento degli enzimi epatici, eosinofilia e
linfocitosi e la diagnosi è confermata dalla biopsia epatica. Il rischio di trombosi dell’arteria epatica
è piuttosto elevato nei lattanti e va quindi evitata l’emoconcentrazione e l’ipotensione
perioperatoria.
Anestesia nel bambino trapiantato di cuore
Il cuore trapiantato è denervato, per cui non sono presenti le risposte vagali e di solito non
c’è nessuna risposta all’intubazione. La frequenza è inferiore alla norma e all’ECG compare una
doppia onda P dovuta alle due contrazioni striali. Il cuore trapiantato può incrementare la gittata
solo aumentando i volumi ventricolari (legge di Starling) e questi cambiamenti sono mediati dalle
215
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
catecolamine circolanti. La gittata cardiaca in questi pazienti dipende soprattutto dal pre-carico e
quindi il mantenimento di volemie adeguate è fondamentale. D’altro canto, la mancanza di
controllo nervoso rende difficile la diagnosi di ipovolemia, che deve basarsi di più sulla diuresi e
altri parametri indiretti (emoconcentrazione, variazioni elettrolitiche…) (1).
Il cuore trapiantato non risponde all’atropina e l’isoproterenolo è il farmaco di scelta per un
effetto cronotropo. La neostigmina può dare bradicardia e tutte le amine mantengono i loro effetti
anche sul cuore denervato.
Un’ipertensione post-trapianto non è rara (ciclosporina). Il rigetto si manifesta con aritmie e
riduzione della gettata, ritenzione idrica e riduzione dei voltaggi all’ECG.
La valutazione preoperatoria deve tener conto dell’ECG, dell’ecocardio, dell’emocromo e
degli elettroliti plasmatici, ma fondamentale è l’esame obiettivo generale (dispnea, epatomegalia,
edemi…) e la valutazione della tolleranza allo sforzo.
Se è necessario un monitoraggio emodinamico invasivo la tecnica di prima scelta è il
PICCO, ma anche l’ecocardiografia transesofagea è utilissima nella valutazione della performance
cardiaca (7,8).
Anestesia nel bambino trapiantato di polmone o cuore-polmone
Nella valutazione preoperatoria di questi pazienti non può mancare una spirometria. Va
ricordato che il riflesso della tosse non è presente sotto l’anastomosi tracheale e anche nel
postoperatorio la capacità di espettorazione può essere ridotta. Un programma di FKT respiratoria
postoperatoria è importante. A volte questi trapianti si complicano con stenosi tracheali o bronchiali
e con broncomalacia, nonché con bronchioliti obliteranti, più frequenti nei bambini che negli adulti.
Anestesia nel bambino trapiantato di midollo
Il trapianto di midollo è oggi parte di protocolli di trattamento per molte condizioni
patologiche pediatriche: neoplasie, malattie ematologiche, malattie immunitarie, malattie
metaboliche. La complicanza più frequente associata a questo trapianto è la graft versus host
disease, con effetti sistemici importanti (9).
Questi pazienti devono essere valutati dal punto di vista ematolgico, perché possono essere
anemici, leucopenici e piastrinopenici. La radioterapia a cui sono sottoposti può portare a
miocardiopatia restrittiva, per cui anche una valutazione ecocardiografica non può mancare prima
dell’intervento programmato (9).
Tutti questi bambini sono portatori di catetere venoso centrale a lunga permanenza, che può
essere utile durante l’anestesia ma che va maneggiato con la massima cura onde evitare
contaminazioni o ostruzioni meccaniche; a tale scopo può essere più prudente utilizzare un accesso
periferico (quando possibile) per l’iniezione di farmaci durante l’anestesia.
Conclusioni
Se il trapianto ha avuto successo e non vi sono complicanze, l’anestesia sarà la stessa che su
qualsiasi altro paziente. Anche le manovre rianimatorie in caso di gravi traumi rispondono alle
stesse regole applicate a tutta la popolazione pediatrica. E’ però rilevante per l’anestesista la
conoscenza delle possibili complicanze che un trapianto d’organo e soprattutto la terapia
immunosoppressiva possono causare.
Bibliografia
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pulmonary venous obstruction induced by sternotomy closure during infant heart
transplantation. Br J Anaesth 2002; 88: 590-592.
9. Stein RA, Massimo MJ, Hessel EA. Anesthetic implications for bone marrow transplant
recipients. Can J anaesth 1990; 37:571-578.
217
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Comunicazioni libere e poster
Influenza del management perioperatorio sulla Nausea e Vomito postoperatori. Studio in un
Acute Pain Service
D. AMITRANO*, A. BARDINI*, C. MAGGINI*, N.GALLESCHI*, S.CATARSI, A.
PAOLICCHI
Azienda Ospedaliero–Universitaria Pisana U.O. Anestesia e Rianimazione IV Universitaria, *Scuola di
Specializzazione Anestesia e Rianimazione Università degli Studi di Pisa
Introduzione: la presenza di nausea e vomito dopo intervento chirurgico, oltre a costituire
discomfort, rappresenta un ostacolo al recupero del paziente. Ridurre il discomfort è un obiettivo
del servizio del dolore acuto attivo presso il nostro istituto (Acute Pain Service-APS). La recente
introduzione, inoltre, di metodiche atte a garantire una più rapida ripresa funzionale, come il
programma fast track, ha reso ancor più necessari monitoraggio e controllo della PONV. Il
programma fast track include: anestesia epidurale o regionale, approccio chirurgico mini-invasivo,
controllo ottimale del dolore mediante analgesia multimodale e precoci nutrizione orale e
mobilizzazione.
Scopo dello studio: valutare l’incidenza di nausea e vomito postoperatori (PONV) in un APS,
confrontando tre modelli di management perioperatorio.
Materiali e metodi: pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia addominale ed urologica maggiore
nel periodo febbraio-aprile 2006 suddivisi in base al trattamento anestesiologico–antalgico e
all’adesione al programma fast track nei gruppi: Fast Track (GFT), Epidurale (GE), Endovenoso
(GPCA).
GFT: profilassi PONV intraoperatoria (PP) (dolasetron 12.5 mg e desametasone 8 mg) analgesia
postoperatoria con infusione PCEA (levobupivacaina 0.1%, sufentanil 0.5 mcg/ml; v:5ml/h bolo
4ml), paracetamolo 1g x os/6 ore, alimentazione: liquidi 6 ore dopo l’intervento, dieta semiliquida o
solida in I giornata.
GE: profilassi PONV se anamnesi positiva, analgesia postoperatoria con infusione PCEA
(levobupivacaina o ropivacaina 0.1%, sufentanil 0.5 mcg/ml; velocità 5 ml/h bolo 4 ml) e ketorolac
30 mg e.v. ogni 8 ore; alla ripresa della peristalsi dieta liquida e poi solida.
GPCA: profilassi PONV se anamnesi positiva, analgesia postoperatoria con PCA e.v. (morfina bolo
1 mg, lockout 8min) e ketorolac 30 mg e.v. ogni 8 ore; alla ripresa della peristalsi dieta liquida e poi
solida .
L’analgesia postoperatoria viene somministrata per 48h. Si valuta la nausea occasionale (N), la
nausea persistente (NP) ed il vomito (V) ogni 8 ore, considerando il peggior valore giornaliero
riferito nelle prime quattro giornate postoperatorie.
Risultati: numero totale di pz 80: 28 GFT, 29 GE, 23 GPCA. Percentuale di pazienti che ha
lamentato N, NP, V nei giorni 0,1,2,3 postoperatori. N: 17.8% 25% 25% 14%(GFT); 7.1% 7.1%
14.3% 14.3%(GE); 30.4% 26.1% 17.4% 4.3%(GPCA). NP: 0% 7.1% 0% 3.6%(GFT); 0% 0% 3.6%
0%(GE); 13% 0% 0% 0%(GPCA); V: 3.6% 7.1% 7.1% 3.6%(GFT); 3.6% 3.6% 3.6% 0%(GE);
4.3% 8.7% 4.3% 13%(GPCA). Nessuna significatività statistica raggiunta.
Conclusioni: come riportato in letteratura, l’analgesia peridurale garantisce minore incidenza di
PONV rispetto all’infusione endovenosa; la precoce alimentazione nel GFT potrebbe influenzare
negativamente questo beneficio. Tale osservazione necessita di uno studio mirato.
218
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Monitoraggio della profondità dell’anestesia generale: tre metodiche a confronto
S.CATARSI, G. DE DURANTE, P. CHIARUGI, A. PAOLICCHI, F. GIUNTA
U.O. Anestesia e Rianimazione IV° Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana
Oggi esistono metodiche strumentali di misurazione del “livello di coscienza” in maniera oggettiva
e lineare. La via uditiva è il più recettivo canale sensitivo attivo durante l’anestesia generale ed è la
via più attiva metabolicamente fra le parti “coscienti” del SNC tanto da essere l’ultima a venir
soppressa dagli anestetici.
L’apparecchio da noi utilizzato è Alaris AEP Monitor. Il BIS è un parametro di derivazione
elettroencefalografica espresso da una scala di valori numerici da 0 (assenza di attività cerebrale,
ossia EEG isoelettrico) a 100 (paziente completamente sveglio). Recentemente un monitor che
utilizza l’entropia spettrale per misurare la profondità dell’anestesia è diventato disponibile in
commercio ed è il Datex-Ohmeda S/5 Entropy Module che genera due indici, l’entropia di stato SE
e l’entropia di risposta RE.
Il seguente studio si propone di rilevare l’efficacia clinica dei diversi tipi di monitoraggio
strumentale (BIS, AEP, ENTROPIA) in pazienti sottoposti ad anestesia generale totalmente
endovenosa con propofol al 2% grazie all’utilizzo di un device che consente di infondere l’ipnotico
con tecnica TCI programmando la concentrazione direttamente al sito effettore secondo un modello
di farmacodinamica e farmacocinetica descritto da Schnider; il valore target da raggiungere varia da
5 a 8 mcg/ml per l’induzione, TIVA per il remifentanil.
30 pazienti ASA I-II, età > 18 < 60 sottoposti ad intervento di tiroidectomia totale: gruppo 1 AEP,
gruppo 2 BIS, gruppo 3 entropia.
I 3 sistemi di monitoraggio si sono dimostrati validi nella valutazione della profondità dell’ipnosi.
Al momento dell’intubazione orotracheale PEA, RE, SE e BIS si riducono dopo l’induzione
dell’anestesia in maniera consensuale per raggiungere i valori di profondità (20-40) consigliati per
l’inizio della chirurgia.
Durante il mantenimento i tre strumenti utilizzati sembrano registrare in modo univoco valori
compresi tra 20 e 40 compatibili con piano di anestesia chirurgica.
L’entropia si dimostra lo strumento maggiormente in grado di indicare la ripresa di attività elettrica
cerebrale del paziente e in particolare nella derivazione RE che tiene conto dell’attività elettrica dei
muscoli frontali. PEA rilevano in maniera attendibile con una variabilità di valori tra 75 e 100, la
superficiale ripresa dello stato di coscienza. Anche in questa fase il monitoraggio BIS sembra non
rilevare in tempi reali lo stato di veglia; in particolare si evidenzia un tempo di latenza tra 5 e 10
minuti dopo l’estubazione per tornare a registrare un valore superiore a 90. Di conseguenza
possiamo affermare che il BIS, al momento dell’estubazione, si rileva essere inferiore, in termini di
predicibilità di ripresa della coscienza statisticamente rispetto all’entropia ( P<0.005).
- Kreuer S, Bruhn J, Larsen R, Hoepstein M, Wilhelm W. Comparison of Alaris AEP index and
bispectral index during propofol-remifentanil anaesthesia.Br J Anaesth. 2003 Sep;91(3):336-40.
- Soto R, Nguyen TC, Smith RA. A comparison of bispectral index and entropy, or how to
misinterpret both. Anesth Analg. 2005 Apr;100(4):1059-6
219
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Il tromboelastogramma in chirurgia cardiaca quale valore predittivo?
M. DE MARTINO, I. SENESE, C. D’AURIA
Cardioanestesia A.O.R.N. “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” Salerno
Introduzione
L’indagine tromboelastografica rappresenta un metodo di esplorazione globale
dell’emocoagulazione e della fibrinolisi. Il principio su cui si fonda è molto semplice: per mezzo di
un apposito apparecchio viene registrato il movimento di un pistone immerso in una vaschetta
termostatata a 37°C contenente del sangue in toto.
La misurazione della forza viscoelastica del coagulo può guidare le modalità trasfusionali dopo
intervento cardiochirurgico. I parametri angolo alfa (ALPHA che riflette la percentuale di sviluppo
della forza del coagulo) e l’ampiezza massima (MA che riflette la forza del coagulo) sono correlati
all’ipofibrinogenemia e alla disfunzione piastrinica. I vantaggi della tromboelastografia sono anche
quelli di consentire a colpo d’occhio di distingure delle morfologie tipiche del tracciato come
nell’iperfibrinolisi, trombofilia, piastrinopenia.
Metodi
Su 43 campioni di sangue perioperatori è stato effettuato l’INR, l’APTT, fibrinogenemia, conta PLT
e tromboelastogramma. Successivamente è stato effettuato un prelievo alla fine dell’intervento ed è
stato valutato l’entità del sanguinamento.
Discussione
L’utilizzo del tromboelastogramma rappresenta un valido ausilio per il monitoraggio dello stato
emocoagulativo, soprattutto negli interventi cardiochirurgici in cui numerosi fattori e soprattutto la
circolazione extracorporea possono influire sulla coagulazione. In accordo con i dati della
letteratura abbiamo trovato una significativa correlazione tra la riduzione dell’MA e l’incidenza di
sanguinamento postoperatorio.
Bibliografia
1. Shore-Lesserson L et al. Anesthesia & Analgesia 1999; 88: 312-9
2. Ereth MH et al. Anesthesia & Analgesia 1997; 85: 259-64
Fascite necrotizzante ad esito letale
M.DIFONZO1, G.COLAGRANDE1, T.TROTTA1, P.ALTAMURA2
1 U.O.C. di Anestesia e Rianimazione, 2 U.O.C. di Chirurgia Vascolare, Ospedale Di Venere, AUSL BARI 4, Bari
Introduzione
La fascite necrotizzante è un rara patologia caratterizzata da un’infezione grave dei tessuti molli con
necrosi della fascia e del grasso sottocutaneo, che in un primo momento risparmia cute e muscoli.
Le zone più frequentemente colpite sono l’inguine, l’addome e l’estremità, più raramente la faccia e
il collo.
La malattia fu descritta per la prima volta nel 1871 durante la guerra civile negli Stati Uniti
d’America da Jones che la chiamò ‘gangrena ospedaliera’1. In precedenza Baurienne2 nel 1764
descrisse una gangrena dei genitali, a decorso fulminante, che colpiva in prevalenza giovani adulti.
La patologia prese il nome da Jean Alfred Fournier3 che nel 1883 riportò cinque casi di gangrena
genitale fulminante idiopatica in cinque giovani adulti, la ‘gangrena di Fournier’. Wilson4 nel 1952
usò il termine di ‘fascite necrotizzante’ per descrivere la stessa infezione nelle altre parti del corpo.
Schwartz5 in relazione all’eziologia distingue tre principali sindromi di fascite necrotizzante: tipo I,
polimicrobica, spesso dopo trauma o chirurgia; tipo II, da streptococchi β-emolitici gruppo A; tipo
III, gas gangrena o mionecrosi da clostridi. La mortalità è elevata, Maynor riporta una morbilità e
mortalità totale del 70-80%, per la gangrena di Fournier una mortalità del 75%. La malattia colpisce
220
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
più i maschi rispetto alle femmine, rapporto 2-3:1, l’età media dei pazienti sopravvissuti è di 35
anni, dei non sopravvissuti è di 49 anni, raramente sono colpiti i bambini6.
La fascite necrotizzante può svilupparsi dopo una biopsia cutanea, un congelamento, una frattura
ossea esposta, un morso d’insetto, una ferita chirurgica, un ascesso cutaneo, dopo una puntura d’ago
in soggetti che fanno uso di droghe, in caso di ulcere venose croniche delle gambe. Può insorgere in
pazienti con diabete mellito, traumi, dopo chirurgia o processi infettivi5. Tuttavia in molti casi non è
riscontrabile alcuna associazione con i precedenti fattori di rischio.
L’andamento della patologia è progressivo, rapido, con trombosi dei vasi sottocutanei, necrosi
secondaria della cute e dei muscoli. Gli streptococchi β-emolitici di gruppo A e lo Staphylococcus
aureus sono spesso i primi batteri responsabili del processo infettivo. In seguito si possono
riscontrare altri patogeni, sia aerobi sia anaerobi: Bacteroides, Clostridium, Peptostreptococcus,
Enterobacteriaceae, Coli, Proteus, Pseudomonas, Klebsiella6. Lo streptococco β-emolitico di gruppo
A può essere responsabile di uno shock settico a rapida evoluzione verso il decesso7,8.
Caso clinico
Una paziente di 39 anni, casalinga, nella mattinata veniva accompagnata presso il Pronto Soccorso
di un ospedale periferico, riferendo da circa 6 giorni dolore all’arto inferiore sinistro e febbre alta
regredita con la somministrazione di analgesici. Da due giorni aveva iniziato ad accusare dolore
molto intenso con tumefazione della coscia e dispnea a riposo. Obbiettivamente la coscia sinistra
era tumefatta, dolente alla palpazione, la cute calda. All’ECG si rilevava tachicardia sinusale, nel
sospetto clinico di embolia polmonare si eseguiva un'angio-TC del polmone che dava esito
negativo. All’emogasanalisi si aveva pH 7,4, PaO2 61 mmHg, PaCO2 31,5 mmHg, HCO3- 21,5
mmol/l, basi excess - 4,6 mmol/l. Gli esami ematochimici: azotemia 34 mg/dl, LDH 854 U/l, C.K.
5180 U/l, C.K. MB 100 U/l, transaminasi GOT 157 U/I, GPT 67 U/I, profilo della coagulazione
nella norma, eccetto D-dimeri 7117 ng/l, all’emocromo leucociti 2.340/mm3. Si sospettava una
tromboflebite dell’arto inferiore sinistro e s'inviava la donna presso il nostro ospedale per una
consulenza del chirurgo vascolare. La paziente giungeva dopo circa tre ore ed era ricoverata in
UTIC. L’ecodoppler dell’arto inferiore rilevava una trombosi venosa iliaca-femorale sinistra non
occludente, l’arto era edematoso, dolente, con cianosi periferica. La paziente presentava tachipnea,
polso piccolo e frequente, pressione arteriosa 80-40 mmHg. La scintigrafia perfusionale polmonare
evidenziava piccoli, multipli difetti perfusivi con un quadro di probabilità intermedia per embolia
polmonare. L’emogasanalisi eseguita alle ore 12 non mostrava grandi differenze rispetto all’esame
eseguito alcune ore prima. I markers cardiaci erano: troponina 0,21 ng/ml, mioglobina 10.832
ng/ml, CK-MB 236 ng/ml. Nel pomeriggio l’emogasanalisi rilevava: pH 7,35, PaO2 109 mmHg,
PaCO2 25,6 mmHg, HCO3- 16,6 mmol/l, basi excess -12 mmol/l, sodio 134,7 mEq/l, potassio 4,8
mEq/l, cloro 102 mEq/l. La paziente presentava ipovolemia, cute fredda e sudata, iniziale oliguria.
Dopo la terapia di riempimento volemico con colloidi e la correzione dell’acidosi metabolica, la
paziente era ricoverata in Terapia Intensiva. Il quadro clinico era quello di uno shock settico grave,
pressione arteriosa invasiva 70-45 mmHg, PVC 2 mmHg, f. cardiaca 95 b/min, ventilazione
meccanica controllata con rapporto PaO2/FiO2 < 100, leucociti 3.700/mm3, piastrine 76.000/mm3,
oliguria marcata (diuresi < 0,5 ml/kg/h), quadro di acidosi metabolica con pH < 7,3, iniziale
disfunzione epatica: GOT 350 UI/l, GPT 91 UI/l. Si eseguiva una TC dell’addome e dell’arto
inferiore sinistro che rilevava marcato ispessimento dei tessuti molli della coscia. Si richiedeva la
consulenza dei chirurghi vascolari e ortopedici e si concordava, sia sulla base dell’obbiettività
clinica, sia della TC, sulla diagnosi di fascite necrotizzante. Pertanto si allertava la sala operatoria
per l’intervento urgente di fasciotomia, necessario allo sbrigliamento e alla rimozione dei tessuti
necrotici. Nonostante il supporto inotropo ed emodinamico con catecolamine ad alte dosi, il
riempimento volemico e i tentativi di correzione dell’acidosi metabolica, la paziente, dopo circa 17
ore dalla prima visita in pronto soccorso, andava incontro a decesso prima ancora di poter effettuare
l’intervento chirurgico.
Discussione
221
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
La fascite necrotizzante è un processo necrotico che coinvolge il grasso sottocutaneo, la fascia
superficiale e la fascia profonda al di sotto della cute. Successivamente per la trombosi dei vasi
sottocutanei, può comparire necrosi della cute e mionecrosi. L’aria sottocutanea, classico segno
clinico della fascite, è legata alla presenza di microrganismi produttori di gas. Il decorso clinico può
essere ad andamento progressivo, rapido e in molti casi fatale.
La patologia riconosce numerosi fattori eziologici causali e predisponenti che possono favorire il
passaggio dei patogeni nel sottocutaneo, tuttavia in molti casi non si riesce a rilevare alcuna causa
nota, né fattori di rischio. Si parla di fascite necrotizzante idiopatica per indicare la patologia che
insorge in soggetti giovani e in buona salute. In questi casi l’eziologia più frequente è rappresentata
da ceppi di streptococchi β-emolitici di gruppo A. Green1 riportò una frequenza di cause idiopatiche
variabile tra il 13 e il 31% dei pazienti affetti. Le zone più colpite sono le estremità del corpo, il
germe responsabile è lo Streptococcus pyogenes, l’esordio clinico è spesso rappresentato dalla
sindrome da shock tossico da streptococco.
La mortalità globale della fascite necrotizzante è molto elevata, le cause principali sono l’embolia
polmonare e lo shock settico9. Rea e Wyrick8 in una revisione di 44 casi di fascite necrotizzante
rilevarono che il tempo medio tra l’insorgenza della malattia e l’ammissione in ospedale era di 5,7
giorni, tra l’esordio della malattia e la diagnosi e il trattamento 5 giorni, nei pazienti sopravvissuti 4
giorni, nei pazienti deceduti 7 giorni. La sopravvivenza era maggiore dopo una diagnosi precoce, tra
l’inizio dei sintomi e la morte l’intervallo era di 5-12 giorni7. Catena e coll.10 valutarono 11 casi di
fascite necrotizzante, età media dei pazienti tra 33 e 80 anni, osservando una mortalità del 63,6%
(sette decessi, due casi di embolia polmonare, cinque di shock settico). L’intervallo medio tra
insorgenza dei sintomi e ricovero ospedaliero era di 5,4 giorni, 7,3 giorni nei pazienti deceduti, 2
giorni nei sopravvissuti. Quest’ultimi erano significativamente più giovani dei deceduti. La
mortalità della patologia era correlata all’età avanzata e al ritardo diagnostico.
Donaldson7 riportò cinque casi di fascite necrotizzante a decorso rapidamente fatale causati da
un’infezione da Streptococcus pyogenes e dalla sindrome da shock tossico (Toxic Shock Syndrome
TSS). Si tratta di una sindrome da risposta infiammatoria sistemica legata all’azione di endotossine
prodotte dallo Staphylococcus aureus e dallo Streptococcus pyogenes. Le endotossine attivano la
produzione di citochine responsabili della sintomatologia clinica con ipotensione, disfunzione
d’organo respiratoria e cardiovascolare fino alla shock settico refrattario e al decesso.
Nel caso clinico descritto la scintigrafia perfusionale polmonare evidenziava un quadro di embolia
polmonare definito di intermedia probabilità, quindi non diagnostico. La scintigrafia polmonare può
identificare tre categorie: scintigrafia ad alta probabilità: presenza di embolia polmonare (uno o più
difetti di perfusione con ventilazione normale, probabilità superiore al 85%); scintigrafia a
bassa/intermedia probabilità: non conclusiva, malattia non esclusa, non confermata; scintigrafia
normale/quasi normale: assenza di embolia polmonare (normali valori di perfusione). La sensibilità
dell’esame è 95% (bassa percentuale di falsi negativi per scintigrafia negativa e assenza di embolia
polmonare), la specificità è 78% (alta percentuale di falsi positivi per scintigrafia positiva e
presenza di embolia polmonare)11. L’embolia polmonare, non confermata dalla scintigrafia, e la
trombosi femoro-iliaca sinistra erano complicanze della patologia di base e indussero inizialmente
un diverso sospetto diagnostico.
Nel caso clinico descritto non furono individuati né fattori causali, né fattori di rischio per la
patologia. L’unico dato di laboratorio non concordante era la leucopenia infatti, in corso di fascite
necrotizzante spesso avremo leucocitosi >14.000/mm3. Tra l’insorgenza dei sintomi e il ricovero
l’intervallo fu di 6 giorni, tra il ricovero e il decesso l’intervallo fu di 17 ore. La fascite
necrotizzante ad andamento rapidamente fatale della giovane paziente fu con molta probabilità
provocata da un’infezione da Streptococcus pyogenes e dalla sindrome da shock tossico, condizione
di tossicità sistemica responsabile dell’esito fatale. Le uniche terapie possibili sono rappresentate
dalla terapia chirurgica di sbrigliamento della lesione necrotica, dalla poliantibioticoterapia e
dall'ossigenoterapia iperbarica post-intervento.
222
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Bibliografia
1. Green RJ, Dafoe DC, Raffin TA. Necrotizing fasciitis. Chest 1996;110(1):219-229.
2. Baurienne H. Sur une plaie contuse qui s’est terminée par le sphacele de le scrotum. J Med Chir
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3. Jean-Alfred Fournier 1832-1914. Gangrène foudroyante de la verge (overwhelming gangrene).
Sem Med 1883. Dis Colon Rectum 1988 Dec; 31(12): 984-8.
4. Wilson B. Necrotizing fasciitis. Am Surg 1952; 18:416-431.
5. Schwartz R A. Necrotizing fasciitis. Emedicine May 12, 2005. Available at:
www.emedicine.com/DERM/topic743.htm
6. Maynor M. Necrotizing fasciitis. Emedicine January 12, 2005. Available at:
www.emedicine.com/EMERG/topic332.htm.
7. Donaldson PMW, Naylor B, Lowe JW et al. Rapidly fatal necrotising fasciitis caused by
Streptococcus pyogenes. J Clinic Pathol 1993; 46:617-620.
8. Rea WJ, Wyrick WJ. Necrotizing fasciitis. Ann Surg. 1970; 172:957-62.
9. Barillo DJ, McManus AT, Cancio LC et al. Burn center management of necrotizing fasciitis. J
Burn Care Rehabil 2003 May-Jun; 24(3):127-32.
10. Catena F, La Donna M, Ansaloni L et al. Necrotizing fasciitis: a dramatic surgical emergency.
Eur J Emer Med 2004 Feb; 11(1):44-8.
11. Favretto G. A proposito di scintigrafia polmonare nella diagnosi di embolia polmonare.Ital
Heart J Suppl 2002; 3(1):95- 99.
Utilizzo del surfattante attraverso bal nelle patologie polmonari intensive non convenzionali:
nostra esperienza preliminare
D. LOPARDO, E.COLASANTI, F.MARRA
U.O.C. Anestesia Rianimazione Terapia Intensiva ed Iperbarica A.O.R.N.”S.Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”
Salerno
SCOPO DELLO STUDIO
L’uso del Surfattante suino nelle patologie da prematurita’ polmonare neonatale,ha visto negli
anni,il consolidarsi di una terapia che ormai oggi appare universalmente accettata.
Non lo stesso dicasi per il suo uso nelle patologie intensive dell’adulto,vuoi nelle indicazioni,vuoi
nei dosaggi,vuoi nel “timing”corretto.
Gli Autori,quindi,rifacendosi ad una seppur limitata letteratura internazionale,ritengono di dover
segnalare tre “case report” in adulti giunti alla loro osservazione,in cui, l’evoluzione verosimilmente
infausta del quadro clinico, è stata risolta favorevolmente utilizzando,attraverso BAL (Lavaggio
bronco-alveolare) Surfattante esogeno suino secondo schemi e modalita’ descritte nel testo.
MATERIALI e METODI
Trattasi di tre patologie polmonari su base etiopatogenetica certamente diversa ma che, avendo
verosimilmente in comune il danno alveolo capillare,si perpetuano fino all’ARDS probabilmente
attraverso una drastica modificazione qualitativa e/o quantitativa
del fattore surfattante da parte dei pneumociti di II tipo:
- La sindrome da pre-annegamento
- La sindrome da inalazione di succhi gastrici (S.di Mendelson)
- Il trauma contusivo chiuso del torace.
RISULTATI e CONCLUSIONI
Il risultato, clinicamente significativo ottenuto nei tre casi descritti,con dovizia di dati clinicolaboratoristici,viene anche suffragato da immagini TAC che inequivocabilmente sembrerebbero
evidenziare il ruolo del fattore surfattante esogeno non solo nella pronta risposta migliorativa sugli
223
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
scambi gassosi alveolo capillari,ma anche e soprattutto nel ridurre le complicanze dovute alla
invasivita’della ventilazione meccanica in relazione certamente al minor tempo di esposizione al
volu-barotrauma.
L’anestesia pediatrica ad Antigua, Guatemala: un’esperienza
T. MATARAZZO*, L. DROGHETTI*, D. BATTAGLIA*, F. ZANOTTI*, A. ZENNARO*, A.
FRANCHELLA**, A. GUBERTI*
*Servizio Anestesia e Rianimazione,**Chirurgia Pediatrica Azienda Ospedaliero-Universitaria S.Anna di Ferrara
Scopo:Una missione umanitaria e sanitaria ad Antigua in Guatemala, in un paese per il 54%
“povero”, con un tasso di analfabetizzazione del 31%,.
Ospiti di una struttura l’Ombras sociales Hermano Pedro Padres Franciscanos,con 250 dipendenti e
450 posti letto.
Metodi:Un lavoro di équipe finemente pianificato con lo stretto obbiettivo di ridurre al massimo
l’impegno economico della struttura che accoglie, ottimizzando i risultati,in assoluta sicurezza per i
piccoli pazienti e per gli operatori sanitari coinvolti.
L’équipe :2 anestesisti,2 chirurghi pediatrici,1 infermiere.
La pianificazione :l’audit periodico con il team operativo, sul percorso strategico attuato negli anni
,ha permesso di rilevare e superare le criticità ,e di razionalizzare il sistema di approvvigionamento
dei materiali necessari per incidere positivamente sull’azzeramento dei costi per la struttura
d’accoglienza.
L’utilizzo di prescrizioni comportamentali e terapeutiche condivise,in lingua spagnola,hanno
snellito e omogeneizzato i percorsi riducendo le devianze in termini di risultati e di soddisfazione
per i bimbi,per i genitori e per la struttura di accoglienza,in Guatemala.
Risultati: Nel corso di 4 anni per un periodo di 15 giorni circa per anno, sono stati operati 126
bambini, prevalentemente di sesso maschile,con un tempo anestesiologico medio di 68 minuti.Le
patologie trattate sono riassunte in tabella I,l’età media in mesi dei piccoli pazienti trattati negli anni
è riportata in tabella 2
numero pazienti
100
80
60
76,4
60,5
57,9
47,6
40
20
0
anno
Tabella I
Tabella 2
Conclusioni: La corretta pianificazione, attraverso un percorso dinamico con protocolli validati, la
collaborazione con i medici, il personale di sala operatoria e di reparto di Antigua (il pediatra, il
laboratorista,la capo sala,gli infermieri), con gli amministrativi , con i responsabili di salute,unita
alla formazione del personale,alla collaborazione, all’integrazione, al lavoro in team ottimizza
l’utilizzo delle risorse, migliora la qualità dell’assistenza e riduce i rischi anche in un ambiente
sanitario precario.
224
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Riflessi di un programma fast track sulla qualità del decorso postoperatorio
D. AMITRANO*, A. BARDINI*, C. MAGGINI*, M. MARCACCINI*, C. SBRANA*, A.
PAOLICCHI
Azienda Ospedaliero–Universitaria Pisana U.O. Anestesia e Rianimazione IV Universitaria, *Scuola di
Specializzazione Anestesia e Rianimazione Università degli Studi di Pisa
Presso il nostro istituto è attivo un servizio del dolore acuto (Acute Pain Service-APS) con l’obiettivo di garantire un
adeguato trattamento del dolore e del discomfort postoperatori. La necessità di perseguire un rapido recupero ed un
miglior outcome, ha favorito l’introduzione di metodiche volte a tale scopo, come il programma fast track. Tale
programma, rivolto ai pazienti destinati ad interventi in elezione, include: anestesia epidurale o regionale, approccio
chirurgico mini-invasivo, controllo ottimale del dolore mediante analgesia multimodale e precoci nutrizione orale e
mobilizzazione.
Scopo dello studio: valutare la qualità del postoperatorio con l’introduzione di un programma fast track in confronto al
modello tradizionale consolidato nel nostro ospedale.
Materiali e metodi: pazienti sottoposti ad intervento di chirurgia addominale maggiore (resezione colon/sigma/retto
senza confezionamento stomia) nel periodo febbraio–aprile 2006 (analisi retrospettiva), suddivisi in base al trattamento
anestesiologico–antalgico e all’adesione al programma fast track nei seguenti gruppi: Gruppo Fast Track (GFT),
Gruppo Epidurale (GE), Gruppo Endovenoso (GPCA).
GFT: anestesia integrata, analgesia postoperatoria con PCEA (levobupivacaina 0.1%, sufentanil 0.5 mcg/ml; v:5ml/h
bolo 4ml), paracetamolo 1g x os/6 ore, alimentazione: liquidi 6 ore dopo l’intervento, dieta semiliquida o solida in I
giornata. GE: anestesia integrata, analgesia postoperatoria con PCEA (levobupivacaina o ropivacaina 0.1%, sufentanil
0.5 mcg/ml; velocità 5 ml/h bolo 4 ml) e ketorolac 30 mg e.v. ogni 8 ore; GPCA: anestesia bilanciata
(sevoflurano+fentanest), analgesia postoperatoria con PCA e.v. (morfina bolo 1 mg, lockout 8min) e ketorolac 30 mg
e.v. ogni 8 ore. Indicatori di qualità del postoperatorio considerati: dolore alla mobilizzazione (VAS al
movimento:VASm≥4), nausea e vomito (PONV), prurito (P) e parestesie (PP). Tali parametri vengono rilevati ogni 8
ore nelle prime quattro giornate postoperatorie. Si considera, inoltre, la durata della degenza.
Risultati: numero di pz: 73 di cui 28 GFT, 22 GE, 23 GPCA; i valori riferiti sono calcolati rispetto al numero totale di
rilevazioni nei giorni 0,1,2,3 postoperatori: VASm ≥4: 7.6%, 15.5%,13.6%,10.6% (GFT);18.7%,22%,18%,0%(GE);
25%,34.9%,22%, 9%(GPCA);
PONV: 8.3%,14.3%,11.9%,4.8%(GFT); 4.7%,6%,7.6%,12% (GE); 12.5%, 12%,9.1%,
13.6% (GPCA); P: 4.8%,7.1%,0%,0% (GFT); 6.3%,1.5%,0%,0% (GE); 3.1%,4.6%,
1.5%,0% (GPCA); PP: 10.7%,7.1%,1.2%,1.2% (GFT); 7.8%,6.1%, 1.5%,0%(GE); non riferite(GPCA). Degenza
media: giorni 5.78 (GFT) vs 8.5 (GPCA e GE). Nessuna significatività statistica raggiunta. Conclusioni: si rileva un
miglior outcome nel GFT (durata minore della degenza e miglior controllo del dolore); PONV meglio controllata nel
GE, presumibilmente da riferirsi ad assenza di alimentazione e mobilizzazione precoci. Prurito e parestesie, considerati
disturbi minori, presenti in GFT e GE necessitano, comunque, di interventi mirati.
Qualità: significato e implicazioni
A. APICELLA, M. DE MARTINO
A.O.R.N. “ San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona”
IntroduzioneL’art. 1 del D.L. n° 502/92 prevede che, allo scopo di garantire la qualità dell’assistenza nei confronti
della generalità dei cittadini, venga adottato in via ordinaria il metodo della verifica e revisione della qualità delle
prestazioni (VRQ). L’art. 14, il dettato legislativo prevede che il Ministero della Sanità stabilisca i contenuti e le
modalità di utilizzo degli indicatori di efficienza e di qualità Spetta comunque, alle Regioni di verificare l’efficacia delle
prestazioni prevedendo nei loro piani sanitari strumenti e modalità di valutazione dei risultati conseguiti. La stesso art.
14 prevede ‘obbligo da parte delle ASL di informare i cittadini sulle prestazioni erogate, le sedi e le tariffe (Carta dei
Servizi pubblici sanitari). Si comprende che la problematica della qualità assume un valore essenziale in questo periodo,
ancorché la struttura pubblica risulta, almeno da un punto di vista normativo, competitivo con la struttura privata.
DiscussioneEsistono due approcci nell’affrontare la discussione:Qualità Totale (Total Qualità Management) sviluppata
in un contesto squisitamente manageriale.Assicurazione della Qualità (Qualità Assurance) da intendersi come approccio
tipico della componente professionale che tende a migliorare la qualità con la coordinazione di attività di valutazione
degli interventi sanitari e successive attività di revisione degli stessi (Indicatori di qualità, Verifica e Revisione della
Qualità).Visto che la “Qualità Totale” copre i problemi organizzativi (management delle AA.SS.LL.) e l’”Assicurazione
della qualità” considera principalmente il coinvolgimento di competenze specifiche degli operatoti interessati a elevare
225
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
la qualità delle loro prestazioni, entrambi i sistemi, ciascuno collocato al giusto livello nella struttura sanitaria, risultano
necessari. Esistono tre condizioni che portano a raggiungere il miglioramento della qualità dell’assistenza:Soddisfazione
(per i pazienti);Accettabilità (per le società tutte);Coerenza (con le conseguenze scientifiche). La assicurazione della
qualità non può prescindere da una valutazione sulla situazione esistente e definire i problemi sui quali bisogna tentare
di porre rimedio.Valutare la qualità dell’assistenza significa giudicare se interventi effettuati in un contesto operativo
non modificato da particolari eventi contingenti un cambiamento organizzativo, l’acquisto di una nuova apparecchiatura
ecc… sono efficaci, efficienti, soddisfacenti per chi li riceve e per chi li eroga.In recenti studi epidemiologici si evince
che:i settori specialistici e gli ospedali maggiori erogano assistenza di qualità superiore;i pazienti anziani e poveri si
accontentano di una assistenza di bassa qualità, rispetto ai ricchi e si rivolgono di più alle unità di emergenza;E’
prioritario perseguire e stimolare un nuovo atteggiamento culturale da parte di ogni operatore sanitario orientato a
considerare la valutazione come componente costante e qualificante della propria attività ed ogni attività sanitaria
valutabile e da valutare per migliorare i risultati.
Bibliografia
Callahan A, (2002), La medicina impossibile, Milano, Baldini e Castaldi
Cipolla C,. ( a cura di ) (2005), Manuale di sociologia sanitaria, I vol., Milano, Franco Angeli
Il progetto “Ospedale senza dolore”
S. BARONCINI*, E.MARRI**,T. MATARAZZO***
*Responsabile COSD dell’Azienda Ospedaliero Universitaria S.Orsola Malpigli di Bologna, **Direzione Generale
Sanità e Politiche Sociali, Regione Emilia-Romagna, ***Responsabile COSD dell’Azienda Ospedaliero Universitaria
S.Anna di Ferrara
Scopo: il piano regionale ha integrato il progetto “Ospedale senza dolore” nel programma di Rete Cure
Palliative/Hospice. Il progetto, ampio, intende favorire un cambiamento delle attitudini e dei comportamenti degli
operatori sanitari e dei cittadini, per migliorare i processi assistenziali rivolti alla gestione del dolore di qualsiasi origine.
Materiali e metodi: in ogni Azienda Sanitaria dell’Emilia-Romagna è stato istituito il Comitato “Ospedale senza
dolore” (COSD) al fine di assicurare un osservatorio specifico del dolore nelle strutture ospedaliere, coordinare la
formazione continua del personale medico e infermieristico, promuovere interventi idonei ad assicurare la disponibilità
dei farmaci antalgici, in particolare degli oppioidi, dare impulso all’applicazione di protocolli di trattamento delle
differenti sindromi dolorose. I comitati multidisciplinari e interprofessionali sono composti complessivamente da oltre
260 operatori, un terzo dei quali infermieri. L’attività dei COSD é pianificata e coordinata a livello regionale per
promuovere la formazione continua e favorire l’applicazione delle linee guida del progetto. L’applicazione dei principi
della terapia del dolore all’ambito pediatrico rappresenta un’importante evoluzione del progetto regionale: l’obiettivo è
quello di curare il bambino, colpito da dolore di qualsiasi origine, minimizzare lo stress e la paura, migliorare la sua
qualità di vita e quella dei familiari.
Risultati: nel 2005 è stato programmato ed effettuato un corso di formazione regionale, in collaborazione con due
Aziende Ospedaliero Universitarie, articolato in 4 moduli, dedicato a “Il sollievo dal dolore in età pediatrica”.Il corso di
formazione rivolto agli operatori dei COSD aziendali, ha approfondito il tema del trattamento farmacologico e non
farmacologico del dolore, della valutazione del dolore del bambino e dell’applicazione di raccomandazioni/linee Guida.
Il gruppo di lavoro regionale, inoltre, ha elaborato un documento di raccomandazioni per il controllo del dolore da
procedure medico-invasive in oncoematologia pediatrica. L’inutile dolore delle pratiche diagnostiche-terapeutiche, si
somma alla patologia di base, aumentando il peso della malattia. L’adeguato trattamento antalgico migliora la qualità di
vita del piccolo paziente e dell’intero nucleo familiare. Le indicazioni regionali intendono dare impulso alla diffusione
di comportamenti e procedure corrette, ispirate ai principi della medicina basata sull’evidenza, e a garantire un’adeguata
analgesia con ampi margini di sicurezza.
Conclusioni: per il futuro è necessario mantenere attenzione e moltiplicare l’impegno perché la lotta al dolore
rappresenta un aspetto essenziale della cura, un impegno etico e caratterizza la qualità dei sistemi sanitari.
Bibliografia: Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e
Bolzano” (G.U. n.ro° 149 del 29/06/2001).
226
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
La partoanalgesia nell’area vasta centro della Regione Toscana:organizzazione e tipologia di
utenza
G.BERTELLI* G. BUTI* L. FERRI* P. MARTINI** S.RAZZI**
*U.O.Anestesia e Rianimazione AUSL 11; **U.O.Ginecologia e Ostetricia AUSL 11
La partoanalgesia, in Italia, a differenza di molti paesi nordeuropei, è una metodica di assistenza al parto
tradizionalmente poco diffusa, non sussistono modalità organizzative standardizzate per la sua realizzazione,
conseguentemente si registra una disparita’ nella possibilità, da parte delle utenti, di usufruire di questa tecnica. Inoltre,
per vari motivi, la partoanalgesia non viene utilizzata dalle gestanti extracomunitarie. Scopo dello studio: conoscere la
situazione attuale in un’area della regione toscana (area vasta centro: numero abitanti:1.431.417) di cui la nostra
azienda fa parte.
Materiali e metodi. Della popolazione totale dell’area vasta centro, costituita da: AUSL 3 (H PT,Pescia), AUSL 4 (H
PO) , AUSL 10 (H FI Torregalli-Ponte a Niccheri), AUSL 11 (H Empoli), Azienda Ospedaliera Careggi (H FI),
abbiamo preso in considerazione la popolazione femminile pari a 743.947, il numero totale di parti, il numero di parti
per ospedale, il numero delle partoanalgesie totali e la percentuale sui parti in ogni ospedale. Inoltre abbiamo esaminato
alcune caratteristiche delle utenti che usufruiscono del sevizio di partoanalgesia: la cittadinanza ed il numero di
gravidanze.
Risultati. Numero totale parti 12.548, suddivisi percentualmente: 9,3% H. Empoli, 9,4% H. Pistoia, 7,1% H. Pescia,
13,5% H. Fi-Torregalli, 14% H. Fi-Ponte a Niccheri, 25% A. Careggi, 20% H. Prato. Partoanalgesie : 632 con le
seguenti percentuali: 2,5% H. Empoli, 2% H. Pistoia, 15%H.Pescia, 22% H.Fi-Torregalli, 4% H.Fi-Ponte a Niccheri,
H.Prato e Azienda Careggi 0%. Della partoanalgesia si sono avvalse più le nullipare (68,4%) rispetto alle pluripare
(31,6%). Le italiane sono state 89% , le straniere 11% (albanesi, cinesi, marocchine, rumene).
Conclusioni. Dall’indagine emerge notevole disomogeneita’ nella erogazione della partoanalgesia. La mancanza di
offerta negli ospedali con elevato numero di parti (>2000 parti annui), potrebbe essere risolta con un adeguamento di
organico dedicato. Negli ospedali con numero di parti compreso tra 1000 e 2000 si riesce a far fronte alla richiesta,
probabilmente grazie a percorsi virtuosi. .Necessita’ comunque di percorsi organizzati e procedure condivise, per
ridurre la disomogeneità tra le diverse realtà. Si rende necessario fornire alla popolazione un adeguato programma
informativo tenendo conto anche della presenza di persone extracomunitarie.
Intossicazione volontaria con antipsicotici
F.CAPUTO – V.CARETTO
Servizio Anestesia-Rianimazione P.O.”A.Perrino” Brindisi
Nel caso riportato è descritto un quadro di intossicazione acuta per assunzione di olanzapina, ac. valproico e lorazepam.
Nel Dicembre 2005 una giovane di 25 anni è ricoverata in T.I., in stato d’incoscienza, per aver ingerito due ore prima
del ricovero, 30 cp di Depakin chrono 500 mg, 30 cp di Depakin chrono 300 mg, 56 cp di Zeprexa 10 mg, 7 cp di Tavor
2,5 mg.
Esame neurologico:GCS= 7(O:1-M:5-V:1). Pupille isocoriche, miotiche, iporeagenti al fotostimolo; riflessi corneali
conservati.Discreta ipotonia muscolare.E.O toracico: meccanica respiratoria conservata, assenza di rumori patologici.
Toni cardiaci ritmici, pause libere, non edemi declivi. PA 120/50, FC 110/min, SpO2 98%. L’ECG: tachicardia
sinusale. EGA: pH 7.37, pCO2 44.0, pO2 99.6, HCO3 25.4, BE 0.0, COHb 1.8, Met Hb 0.8. L’addome era trattabile.
T.C. 36,5°C. Venne posizionata una V-mask FiO2 50% a 12 l/min ed iniziato monitoraggio continuo di
PAS,PAD,PAM,ECG,FC, SpO2, diuresi oraria.
Si eseguirono i prelievi per es. di routine e screening tossicologico, venne incannulata una vena periferica ed iniziata
infusione con cristalloidi. Messo un SNG si effettuò gastrolusi con soluz. fisiol. ed iniziata terapia con carbone attivato
1 g/kg ogni 3 ore e catarsi con solfato di magnesio.In prima giornata la paz. era sonnolenta, risvegliabile; le condizioni
respiratorie ed emodinamiche rimanevano stabili, la diuresi conservata. ECG e RX torace non evidenziarono alterazioni
d’organo. Risultarono alterati: ammoniemia 70µml/L, CPK 490 UI/l, MB-CPK 5,9 ng/ml, ac. Valproico > 150 fg/ml
(50-100), Olanzapina non dosata per assenza di laboratorio attrezzato, BDZ urinarie presenti ma inferiori al valore cut
off. In seconda giornata la ragazza era sveglia, vigile, collaborante, respiro spontaneo sufficiente, emodinamica stabile,
EGA nella norma; normalizzazione del tono muscolare. Si sospesero l’O2 ed il carbone attivato e rimosso il SNG. In
terza giornata i valori di ammoniemia ed ac. Valproico rientrarono nel range di negatività con CPK e MB-CPK ancora
elevati. In quarta giornata la paziente in ottime condizioni, dopo colloquio con lo psichiatra, venne dimessa e affidata ai
genitori.
CONCLUSIONI:La concentrazione delle sostanze nell’organismo,oltre che da assorbimento, distribuzione,
metabolismo ed eliminazione, è largamente influenzata dalla dose assunta, dalla presenza di più sostanze, dal tempo
intercorso tra ingestione e trattamento.I farmaci antipsicotici presentano un ristretto margine terapeutico.L’overdose di
227
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
queste sostanze induce quadri clinici a rischio di vita per i pazienti.A causa dell’alto volume di distribuzione, spiccata
tendenza alla diffusione nei tessuti, forte affinità alle proteine plasmatiche, non vi sono dati che raccomandano l’uso di
emodialisi, emoperfusione, diuresi forzata ed alcalinizzazione urinaria. In mancanza di antitodi specifici la terapia è
basata sul monitoraggio e supporto intensivo delle funzioni vitali, ma soprattutto su una precoce gastrolusi,
decontaminazione gastrointestinale con carbone attivato e catarsi salina.
Caso clinico: CSE per Taglio Cesareo in paz. Gestosica, obesa, diabetica ed insufficienza
venosa arti inferiori
D. CARBONE, I. ODIERNA, D. SCARANO, V. STRIDACCHIO, S. PALMESE, F. DI MARCO,
A. NATALE
U.O. Anestesia e Rianimazione “Umberto I” Nocera inferiore-SA
Caso Clinico: donna di anni 31, massa corporea 118 kg, altezza 155 cm, 3 a gravida, due TC pregressi entrambi
complicati da gestosi. Si presentava con gestosi EPH, obesità grave, diabete in gravidanza, insufficienza venosa arti
inferiori (C2A EP AS PR).
Introduzione: un’ adeguata anestesia per TC necessita di un blocco sensitivo da D4 a S5 limitando i rischi di effetti
collaterali (ipotensione, tossicità da anestetici locali). Nella paziente gestosica la precaria stabilità emodinamica
(ipertesa, ipovolemica) richiede oltre ad un adeguato riempimento volemico anche di minimizzare gli effetti α litici
legati al blocco centrale, la concomitante presenza di varici impone inoltre una precoce mobilizzazione degli arti
inferiori.
A tale scopo si è scelta come tecnica anestesiologica la CSE.
Materiali e metodi: Clexane 4000U/I 12h prima, Angiocat14G, elettr. reid.500ml (1/2 prima)
Monitoraggio continuo SpO2, FC, ECG, NIBP (ogni 5 min) bendaggio elastico arti inferiori.
CSE tecnica Ago nell’Ago, ESPOCAN-Braun (Tuohy 18G Whitacre 27G), spazio L3-L4 tecnica del mandrino liquido
cateterino 20 G fatto risalire per 3 cm, mono puntura, assenza di sanguinamento. In Subaracnoidea si iniettano 4ml di
soluzione contenente Levobupivacaina 5mg(0,125%)+ Sufentanil 5μg. In Peridurale: Levobupivacaina 5 mg (0,16%)
FC
NIBP
SpO2
9:20
9:25
9.30
9:35
9:40
9:45
9:50
9.55
10.00
82
150/90
99
88
155/90
100
92
160/98
100
110
138/88
99
86
116/72
100
82
135/80
100
74
140/80
100
74
140/80
100
74
140/80
99
h9:30: CSE; h9:38: estrazione feto; h 9:40: voluven 500ml, levobup. 5mg; h 9:50: fine TC.
Totale liquidi infusi intraoperatorio 1700ml; diuresi a fine intervento 200ml.
Nascituro: ♀, massa corporea 3830 g, APGAR 8-9-10
Conclusioni: con la tecnica utilizzata si è avuta una buona stabilità emodinamica, conservati i movimenti antigravitari,
buon confort per la paz., buona operabilità chirurgica. Il blocco sensitivo ha interessato i metameri da D4 a S5. Gli
effetti collaterali verificatisi sono stati:
sensazione di trazione in corso di uterorraffia( levobup. 3ml 0,16%), brivido di lieve entità e breve durata a fine
intervento. La presenza del catetere peridurale ha permesso una analgesia postoperatoria della durata di 20h con pompa
elastomerica 5 ml/h levobup. 0,150%+ Sufentanil 0,50 μg/ml, con VAS da 0 a 3. Clexane 4000UI reintrodotta a 12 h
dalla CSE
CSE e MAC: applicazioni ad una nuova tecnica chirurgica urologia HI-FU
D. CARBONE, I. ODIERNA, V. STRIDACCHIO, D. SCARANO, S. PALMESE, G. LUBRANO,
A. NATALE
U.O.C. Anestesia e Rianimazione “Umberto I” ASL SA1 Nocera Inferiore (Sa)
Scopo dello studio: HI-FU (High Intensive Focalizated Ultrasound) è una nuova tecnica chirurgica urologia per il
trattamento dell’adenocarcinoma prostatico localizzato. Inizialmente si pratica una TURP; successivamente,
introducendo una sonda ad ultrasuoni endorettale, si valuta la massa prostatica residua e la si tratta con gli ultrasuoni ad
228
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
alta intensità. La durata dell’HIFU varia in base al volume prostatico residuo; nella nostra esperienza la media è stata di
138 minuti (min) (122-156 min).
Durante il trattamento il paziente (pz) deve rimanere immobile, altrimenti la sonda bloccherà l’emissione di ultrasuoni,
per evitare di ledere tessuti adiacenti sani. L’elevata durata dell’atto chirurgico e la posizione da fare assumere al pz, ci
ha indotto ad aggiungere alla CSE la MAC, metodica quest’ultima frequentemente usata nel nostro ospedale.
Materiali e metodi: abbiamo arruolato sei pz da sottoporre ad HIFU, di età compresa tra i 64 ed i 72 anni, di altezza
variabile tra i 165 ed i 172 cm, ASA II-III, dal settembre al dicembre 2005. Monitorizzati i parametri vitali: ECG, FC,
SpO2, NIBP, TC.
Preriempiti con cristalloidi 500 ml 30’ prima dell’esecuzione della CSE; premedicati con midazolam 0.03mg/kg ev;
4ml/kg/h erano i cristalloidi infusi durante l’intervento chirurgico, preriscaldati con HOT-line 42°C. La CSE veniva
praticata in posizione seduta, con tecnica ago nell’ago, mandrino liquido, ago di Tuohy 18G e Whitacre 27G, cateterino
20G fatto risalire per 3 cm, livello L3-L4, in tutti i pz. Procedura agevole e senza complicanze.
In spinale si iniettava Levobupivacaina (Levo) 0.5% 8mg + sufentanyl 8μg; in perdurale, Levo 0.5% 5ml. Dopo i primi
90 minuti venivano infusi in perdurale 5ml di Levo 0.5%.
Risultati: la TURP della durata media di 46 min (38-56min) risultava scevra da complicanze emodinamiche; sempre
valido il blocco sensitivo. Successivamente il pz veniva posizionato sul lettino per l’HIFU; qui iniziava la MAC, con
Diprivan in TCI 0.5-1.0 μg/ml al sito cerebrale + Ultiva 0.02-0.04 μg/ml.
La scala di sedazione usata era la Ramsey con uno sedation score di 3-4.
Conclusioni: un intervento chirurgico di lunga durata (>3h) per una corretta gestione necessita del catetere perdurale.
Nell’esperienza descritta, in due casi abbiamo infuso in perdurale un ulteriore carico di Levo 0.5% 5ml, per il protrarsi
dell’atto chirurgico.
La subaracnoidea è stata utile per il rapido on set time e per l’adeguata copertura del blocco metamerico per la TURP.
La MAC associata alla CSE ci ha consentito di offrire al pz un elevato comfort, con notevole tolleranza ai tempi
chirurgici, assenza di stress intraoperatorio e movimenti impropri. I chirurghi hanno giudicato ottimo la copertura
anestetica durante la TURP, ed in nessun caso si è dovuto interrompere l’HIFU per movimento improvviso del paziente
né per altre complicanze.
Monitoraggio bis ed incidenza di nausea e vomito postoperatorio in pazienti sottoposti ad
interventi di colecistectomia laparoscopica
CARNESECCHI P, PECCHIONI A, BALDESI M, GUARGUAGLINI M, DI PASQUALE D,
MARCONCINI G, CIONI N, MARCONCINI F.
U.O. Anestesia e Rianimazione- Presidio Ospedaliero “F.Lotti”- Pontedera-Az.USL5 Pisa
Scopo: osservare un possibile decremento dell’incidenza di nausea e vomito postoperatorio
(PONV) grazie all’utilizzo del monitoraggio BIS durante l’intervento chirurgico.
Materiali e metodi: previo consenso informato sono stati arruolati 27 pazienti, sottoposti ad
intervento di colecistectomia per via laparoscopica, randomizzati in 3 gruppi.
Gruppo A: non è stato utilizzato monitoraggio BIS, né adottata profilassi con antiemetici; Gruppo
B: non è stato adottato monitoraggio BIS, ma fatta profilassi con antiemetici (ondasetron cloridrato
0,05-0,06 mg/kg).
Gruppo C: è stata adottato monitoraggio BIS e nessuna profilassi antiemetica.
Prima delliinduzione anestesiologica veniva applicato monitoraggio BIS con valori range 40-60. In
tutti i gruppi di studio è stata impiegata la tecnica anestesiologica Total IntraVenous Anaesthesia
(TIVA). Nel gruppo A e B: Propofol 2 mg/kg all’induzione e mantenimento 2-4 mg/kg/min;
Remifentanil 0,5-1 γ/kg/min all’induzione, mantenimento 0,25-0,5 γ/kg/min). Nel gruppo C: il
dosaggio di mantenimento è stato dalla valutazione dei valori BIS e dei parametri vitali. Il controllo dell’incidenza del
PONV è stato valutato al risveglio, alla 3°, alla 6° ed alla 12° ora postoperatoria. In tutti i pazienti è stata impostata
terapia antalgica con tramadolo 200 mg e ketoralac 60 mg nelle 24 ore postoperatorie.
Risultati : Gruppo A: 3 pazienti su 9, hanno presentato vomito al risveglio e nausea al successivo controllo dopo 3 ore;
5 pazienti hanno avuto solo nausea al risveglio e nelle successive tre ore, mentre uno non ha presentato nessun sintomo
di discomfort.
Gruppo B: soltanto 1 paziente su 9 ha presentato vomito al risveglio, e nausea nelle sei ore successive, mentre 6 hanno
presentato nausea nelle tre ore successive, e solamente 2 nausea persistente nelle 6 ore postoperatorie.
Gruppo C: 3 pazienti su 9 hanno presentato nausea nelle tre ore successive all’intervento, 5 nessun sintomo di
disconfort, mentre solamente un paziente ha presentato vomito alla terza ora, e nausea nelle ore successive.
229
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Conclusioni: il monitoraggio BIS, oltre ad offrire discreti vantaggi in termini di sicurezza ed efficacia, consente un
miglior decorso post-operatorio, riducendo l’incidenza di PONV.
Sedazione controllata dal paziente (PCS) per interventi di ernioplastica inguinale: confronto
propofol/midazolam
P.CARNESECCHI, M.GUARGUAGLINI, E.PREZIUSO, C.CASTIGLIONI, D.DI PASQUALE,
A.PECCHIONI, M.BALDESI, N.CIONI, G.MARCONCINI & F.MARCONCINI
U.O. Anestesia e Rianimazione-Presidio Ospedaliero-“F.Lotti” Pontedera
Scopo dello studio: ridurre l’eventuale dolore residuo e minimizzare il discomfort e dei pazienti sottoposti ad interventi
di ernioplastica inguinale monolaterale condotti in anestesia locale.
Materiali e metodi: l’anestesia locale veniva eseguita dall’operatore tramite infiltrazione con ropivacaina 7,5% 150 mg
e lidocaina 2% 20 mg. I pazienti, quindi, venivano randomizzati in due gruppi.
Gruppo M: 5 minuti prima dell’inizio dell’intervento, i pazienti ricevevano un bolo di fentanyl 0,5γ/kg e midazolam
0,03 mg/kg e quindi, connessa la pompa infusionale PCS (patient controlled sedation) programmata con bolo di
midazolam 1mg + fentanyl 2γ (lock out: 5 minuti; dose limite in 1 ora: midazolam 8 mg / fentanyl 100γ)
Gruppo P: 5 minuti prima dell’inizio dell’intervento, i pazienti ricevevano un bolo di propofol 0,5 mg/kg e fentanyl
0,05 γ/kg e quindi, connessa la pompa infusionale PCS, programmata con bolo di propofol 20mg + fentanyl 2γ (lock
out: 5 minuti; dose limite in 1 ora: propofol 200mg / fentanyl 100γ).
Durante l’intervento chirurgico, ogni 5 minuti, venivano registrati i parametri vitali (pressione arteriosa, frequenza
cardiaca, sedazione e saturazione arteriosa di ossigeno), il dolore secondo la scala analogica visiva (VAS) e l’eventuale
presenza di sintomi da discomfort. Il target VAS prefissato è stato ≤ 4.
Risultati: lo studio ha analizzato 50 pazienti di età compresa tra 30 e 70 anni. Non differenze significative nella durata
dell’intervento chirurgico, nell’età media e nel peso medio si sono riscontrate tra i due gruppi di studio. L’analisi del
dolore non ha evidenziato differenze significative tra i due gruppi di pazienti con il raggiungimento del target prefissato
nel 94% dei pazienti del gruppo P e nel 92% dei pazienti del gruppo M (P>0,5). La pressione arteriosa media si è
sempre mantenuta al di sotto di quella basale in entrambi i gruppi. Non si sono presentate variazioni significative sulla
sedazione fino al 20° minuto, al 25° minuto il 100% dei pazienti del gruppo P si presentava orientato e tranquillo,
mentre il 17,4% dei pazienti rispondeva solo ai comandi verbali o al lieve stimolo gabellare (P=0,024). Non si sono
manifestate desaturazioni clinicamente significative in nessun paziente. Non si sono manifestati in nessun gruppo
sintomi da discomfort.
Conclusioni: la PCS si è dimostrata efficace nel ridurre il dolore intraoperatorio e il discomfort dei pazienti sottoposti ad
interventi di ernioplastica inguinale condotta in anestesia locale migliorando, così, anche la compliance del paziente.
L’utilizzo di midazolam ha determinato un lieve aumento dello stato di sedazione dei pazienti dal 20° minuto
intraoperatorio.
Fast-track Anesthesia in Chirurgia Bariatrica Laparoscopica
S.CATARSI, C. DI SALVO, G. DE DURANTE, D. A. ABRAMO, B. AREZZI, F. GIUNTA
U.O. Anestesia e Rianimazione IV° Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana
La chirurgia bariatrica laparoscopica rappresenta oggi una nuova frontiera in anestesiologia. Le esperienze attuali ci
hanno condotto a nuovi risultati che confermeranno o smentiranno le conoscenze finora acquisite per il trattamento
anestesiologico ed intensivistico dei pazienti con obesità clinica severa. Il pz obeso più di quello normopeso richiede
l’impiego di anestetici che siano in grado di riportarlo rapidamente alle condizioni preoperatorie. Il nostro obiettivo è
dunque quello di utilizzare farmaci che siano in grado di produrre rapide modificazioni del piano anestetico durante
l’atto chirurgico e rapidi tempi di risveglio.
42 pz (BMI≥30) sottoposti a chirurgia addominale laparoscopica in elezione (Bypass gastrodigiunale e Bendaggio
gastrico).
1. Total intravenous anesthesia con tecnica TCI per propofol (Schnider al sito effettore Alaris Asena TCI & TIVA
PK MK III), remifentanil 0,50-0,25 γ/kg/min;
2. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso in una miscela di O 2/aria 1/1, remifentanil 0,50-0,25 γ/kg/min;
3. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso O in una miscela di O 2/aria 1/1, fentanyl 2-3γ/kg induzione segue 1
γ/kg ogni ∼40 min.
230
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Per la miorisoluzione abbiamo scelto il cisatracurium, ed il monitoraggio comprendeva: ECG a 5 derivazioni, IBP
cruenta e non cruenta, saturimetria, capnometria, diuresi. Per analisi effetti ipnotici dei farmaci tutti i pazienti erano
monitorizzati con Potenziali Evocati Acustici (PEA). Al termine dell’intervento chirurgico sono stati registrati i minuti
che intercorrono tra la sospensione della somministrazione dei farmaci ed il momento della ripresa dell’attività
respiratoria spontanea valida e quindi dell’estubazione, assicurando normotermia, analgesia adeguata, decurarizzazione
completa, posizione semiseduta e completa ripresa dello stato di coscienza, anche per minimizzare l’aumento del
consumo di O2 viste le scarse capacità di adattamento del pz obeso.
Grazie all’utilizzo della tecnica TCI al sito effettore con monitoraggio della profondità dell’anestesia, è possibile
mantenere un livello adeguato di ipnosi con una ridotta somministrazione di farmaci e quindi un rapido risveglio con un
immediato recupero della coscienza e dell’attività respiratoria valida. Nella nostra esperienza compare una differenza
statisticamente significativa in termini di minuti intercorsi tra l’interruzione della somministrazione e l’estubazione nel
gruppo 1 rispetto al gruppo 3; il primo infatti dimostra una maggiore rapidità nei tempi di estubazione.
- AO Alvarez, A Cascando SA Menendez et al: Total Intravenous Anestesia with midazolam, Remifentanil, propofol
and cisatracurium in morbid obesità; Obesità Surg, 10, 353-60, 2000
- Kreuer S, Bruhn J, Larsen R, Hoepstein M, Wilhelm W. Comparison of Alaris AEP index and bispectral index during
propofol-remifentanil anaesthesia.Br J Anaesth. 2003 Sep;91(3):336-40.
La gestione delle vie aeree nel “Grande Obeso”
S.CATARSI, B. PESETTI, G. DE DURANTE, C. DI SALVO, B. AREZZI, A. PAOLICCHI, F.
GIUNTA
U.O. Anestesia e Rianimazione IV° Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana
La difficoltà di intubazione tracheale incide in maniera significativa sulla morbilità e mortalità correlate all’anestesia.
Numerose reviews affermano che l’intubazione endotracheale risulta essere più difficile nel paziente obeso rispetto al
normopeso. Nel nostro studio abbiamo considerato una popolazione di 42 pz con BMI≥30 valutati per essere sottoposti
ad anestesia generale con intubazione orotracheale. Sono stati analizzati: parametri predittivi di intubazione difficile
(classe di Mallampati), difficoltà alla ventilazione in maschera (necessità di un secondo operatore) e difficoltà di
intubazione (uno tre tentativi). I dati ottenuti dimostrano che la distribuzione della Classe di Mallampati nel paziente
obeso è sovrapponibile a quella della popolazione normopeso, mentre la ventilazione in maschera più facilmente
richiede la presenza di un secondo operatore. L’intubazione invece non ricalca la distribuzione della Classe di
Mallampati in quanto nel 99% dei casi i pz sono stati intubati alla prima laringoscopia.
L’algoritmo decisionale del SIAARTI definisce a priori il pz obeso “difficile da intubare” e da ventilare in maschera.
Nella più recente letteratura si dimostra oggettivamente la maggiore difficoltà alla ventilazione rispetto al normopeso.
È quindi consigliabile che due anestesisti esperti siano presenti durante le manovre di induzione dell’anestesia.
Mallampati - Distribuzione
intubazione
50
5
40
30
20
Serie1
22
14
10
0
S1
1 tentativo
3 tentativi
malla 1
malla 2
malla 3
ventilazione in maschera
35
30
25
20
15
Serie1
10
5
0
S1
1 operatore
2 operatori
231
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Anesthesiology 2006; 104:617 American Society of Anesthesiologists, Inc. Lippincott Williams & Wilkins, Inc.Obesity
and Difficult Intubation: Where Is the Evidence?
Risultati di un protocollo antalgico nella chirurgia bariatrica laparoscopica: tre tecniche
anestesiologiche a confronto
S.CATARSI, G. DE DURANTE, M. BERRUGI, G. MORELLI, A. PAOLICCHI, F. GIUNTA
U.O. Anestesia e Rianimazione IV° Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana
Nell’obesità patologica un controllo ottimale del dolore post-operatorio è di considerevole importanza in quanto
l’obesità stessa costituisce un fattore di rischio indipendente per le complicanze cardiovascolari e respiratorie postchirurgiche.
Nel nostro studio valutiamo l’efficacia e la sicurezza dell’utilizzo di terapia multimodale con PCA morfina (bolo 1 mg,
lock-out 8 min, limite in 4 h 15 mg) iv e FANS (ketorolac 30mg/8h) iv in pazienti obesi sottoposti a chirurgia bariatrica
laparoscopica e l’incidenza di complicanze post-operatorie.
I pz studiati sono stati randomizzati per essere sottoposti a diverse tecniche anestesiologiche:
1. Total intravenous anesthesia con tecnica TCI per propofol (Schnider al sito effettore), remifentanil 0,50-0,25
γ/kg/min;
2. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso in una miscela di O 2/aria 1/1, remifentanil 0,50-0,25 γ/kg/min;
3. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso in una miscela di O 2/aria 1/1, fentanyl 2-3γ/kg induzione segue 1 γ/kg
ogni ∼40 min.
Quaranta minuti prima della fine dell’atto chirurgico sono stati somministrati iv: morfina 0,1 mg/kg calcolato sul peso
ideale, ketorolac 30 mg, paracetamolo 1 g. Target VAS ≤3.
Il controllo del dolore postoperatorio è stato soddisfacente in tutti i pz e l’andamento della Scala Analogica Visiva
(VAS), al risveglio e dopo tre ore, sovrapponibile in tutti i gruppi. La durata media del ricovero in terapia subintensiva è
stata di 4 gg; abbiamo riportato due casi di insufficienza respiratoria ( un pz ha necessitato di IOT e trasferimento in
UTI).
Un controllo adeguato del dolore postoperatorio ci sembra indispensabile per la prevenzione delle eventuali
complicanze cardiocircolatorie e respiratorie.
Box & Whisker Plot: VASRIS
Box & Whisker Plot: VAS2R
5.5
4
4.5
3.4
3.5
2.5
VAS2R
VASRIS
2.8
2.2
1.5
1.6
0.5
1
-0.5
0.4
1
2
ANESTES
3
±1.96*Std. Err.
±1.00*Std. Err.
Mean
-1.5
1
2
3
±1.96*Std. Err.
±1.00*Std. Err.
Mean
ANESTES
Schuman R, Jones S, Ortz V, :Best practice raccommendations for anesthetic perioperativecare and pain managementin
weight loss surgery.Obesity research vol 13 n2 February 2005.
Stabilità emodinamica durante Anestesia generale in pazienti con obesità patologica: tecniche
a confronto
S.CATARSI, C. DI SALVO, P. CHIARUGI, E. NICASTRO, S. PARDOSSI, F. GIUNTA
U.O. Anestesia e Rianimazione IV° Universitaria, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana
L’obesità è una patologia cronica e multifattoriale la cui prevalenza è in aumento; è definita quando l’indice di massa
corporea (BMI) è superiore a 30 Kg/m2; è associata a patologie che interessano il sistema cardiorespiratorio, il fegato, il
metabolismo glucidico e l’apparato gastrointestinale. Per tale motivo la strategia anestesiologica deve essere
accuratamente pianificata, anche per minimizzare le complicanze legate all’instabilità emodinamica.
Descriviamo la gestione anestesiologica di 42 pz con BMI≥ 30, sottoposti a chirurgia addominale laparoscopica in
elezione (Bypass gastrodigiunale e Bendaggio gastrico).
232
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Total intravenous anesthesia con tecnica TCI per propofol (Schnider al sito effettore), remifentanil 0,50-0,25
γ/kg/min;
2. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso in una miscela di O 2/aria 1/1, remifentanil 0,50-0,25 γ/kg/min;
3. Sevorane (1,8-1,6 Et) in circuito chiuso in una miscela di O 2/aria 1/1, fentanyl 2-3γ/kg induzione segue 1 γ/kg
ogni ∼40 min.
Miorisoluzione: cisatracurium 2mg/kg. Monitoraggio: ECG a 5 derivazioni, IBP cruenta e a bracciale, saturimetria,
capnometria, diuresi oraria. Gli effetti ipnotici dei farmaci erano monitorizzati con Potenziali Evocati Acustici (PEA).
Risultati: all’IOT e durante il mantenimento dell’anestesia la PAM mantiene in tutte le tecniche un range di variabilità
all’interno del ± 20% rispetto al basale.
Box & Whisker Plot: PAMRISV
145
Al risveglio la stabilità emodinamica è maggiormente garantita per il
gruppo 1; infatti si osserva una differenza statisticamente significativa
135
(P< 0.05) tra il gruppo 3 e il gruppo 1, il primo manifesta valori di
125
PAM maggiori pur essendo garantita allo stesso modo la terapia
antalgica postoperatoria.
115
PAM R ISV
1.
Schuman R, Jones S, Ortz V, :Best practice raccommendations for
anesthetic perioperativecare and pain managementin weight loss
surgery.Obesity research vol 13 n2 February 2005.
Ogunnaike BO, Jones SB, Jones DB, Anesthetic consideration for
bariatric surgery. Anesth Analg 2002 ;95:1793-805
105
95
85
1
2
3
±1.96*Std. Err.
±1.00*Std. Err.
Mean
ANESTES
Applicazione integrale della catena della sopravvivenza: un caso clinico
S. D’ANGELO,¹ G. UGOLINI,¹ U. PICCOLO,¹ S. RANA,¹ M. SPAGNOLI,¹
M.CARNELLI*C.BUCCINO*
1 Dipartimento di Emergenza-Urgenza, *Resident students
U.O. Anestesia e Rianimazione II Servizio Sanitario Urgenza-Emergenza 118-Elisoccorso-Como Presidio Ospedaliero
Sant’Anna (CO)
Nell’attivazione della catena della sopravvivenza particolare enfasi è stata posta nel ribadire l’importanza dei quattro
momenti fondamentali intrinseci a questo concetto.
La precocità nell’attivazione dei soccorsi, nella rianimazione precoce(RCP), nella defibrillazione(DAE) e nel
trattamento farmacologico(ALS) costituisce il
“gold standard” per un positivo esito dell’intervento d’emergenza per arresto cardiaco. Le direttive ILCOR negli ultimi
anni si sono focalizzate soprattutto nel miglioramento dei due momenti centrali della catena costituiti dall’RCP precoce
e dalla defibrillazione precoce.
Di recente sono comparsi alcuni lavori scientifici che testimoniano la rianimazione precoce praticata da astanti. Tuttavia
è assai difficile poterne trarre indicazioni significative per la mancanza di una completa ed esauriente documentazione.
Per questo motivo abbiamo ritenuto utile poter dare il nostro contributo descrivendo un caso documentato di arresto
cardiaco in uomo di 47 anni in cui la rianimazione precoce è stata iniziata dai colleghi di lavoro su istruzioni telefoniche
impartite dalla Centrale Operativa.
Veniva poi defibrillato per cinque volte dall’equipaggio del Bls sopraggiunto, a bordo del quale era presente uno fra i
400 volontari da noi addestrati all’uso del defibrillatore semiautomatico nel nostro territorio.
Infine il medico dell’Als iniziava, dopo altre due defibrillazioni per FV recidivante, il trattamento farmacologico
secondo protocolli ACLS con pronto ripristino di un ritmo cardiaco spontaneo. Il paziente veniva ricoverato nel nostro
reparto e quindi sottoposto a coronarografia la quale evidenziava una coronaropatia trivasale con ipocinesia inferiore
medio-basale trattata con rivascolarizzazione chirurgica. Da segnalare è la totale mancanza di deficit o esiti neurologici
invalidanti.
A nostro avviso questo ed altri casi analoghi documentati confermano in maniera eclatante quanto sia vero il seguente
fondamentale concetto dell’emergenza: come la principale determinante per la sopravvivenza del paziente,
massimamente nell’arresto cardiaco, sia costituita dall’organizzazione generale sul territorio dei Servizi d’Emergenza.
Il bypass aortocoronarico off-pump riduce il rischio di stato confusionale postoperatorio nei
pazienti con severa aterosclerosi sistemica?
233
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
M. DE MARTINO, I. SENESE
Cardioanestesia A.O.R.N. “ San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” Salerno
Introduzione I recenti progressi nel trattamento delle lesioni coronariche con l’angioplastica percutanea hanno
notevolmente incrementato l’età media dei pazienti che giungono alla rivascolarizzazione miocardica chirurgica.
Purtuttavia nella popolazione anziana aumenta l’incidenza di aterosclerosi aortica e sistemica con conseguente
maggiore vulnerabilità al danno ischemico inducibile dalla circolazione extracorporea. Uno dei benefici percepiti dalla
tecnica off-pump del CABG è proprio quello della riduzione della percentuale di danno neurologico rispetto all’onpump CABG. Abbiamo pertanto deciso di confrontare l’incidenza di danno neuropsicologico nei pazienti anziani
sottoposti a rivascolarizzazione miocardica con circolazione extracorporea e senza (on-pump CABG versus off-pump
CABG).
Materiali e metodiAbbiamo analizzato 93 pazienti anziani (età > 65 anni) sottoposti a rivascola rizzazione chirurgica
di elezione con circolazione extracorporea (on-pump n= 31) e senza circolazione extracorporea (off-pump n= 62). La
valuatazione cerebrovascolare preoperatoria prevedeva ecodoppler dei TSA e TC cranio. Venne successivamente
valutata l’incidenza di eventi cerebrovascolari acuti e di stato confusionale postoperatorio nei pazienti on-pump e offpump CABG.
Risultati Il gruppo di pazienti off-pump comprendeva più pazienti con malattie cerebrovascolari, arteriopatie
periferiche, tabagismo, ateroscerosi aortica severa e lesioni ischemiche cerebrali. Nessun paziente off-pump e solo 1
paziente on-pump ebbe uno stroke intraoperatorio. In accordo con i dati della letteratura internazionale l’incidenza dello
stato confusionale postoperatorio fu del 1,5% nei pazienti on-pump e del 1.1% in quelli off-pump.
Conclusioni Dalla nostra esperienza emerge sicuramente una migliore compliance dell’intervento off-pump sull’esito
neuropsicologico. Va però sottolineato come una adeguata valutazione preoperatoria debba considerare sia le condizioni
cliniche ma anche la necessità di ottenere una adeguata rivascolarizzazione.
Bibliografia
1.
JAMA 2002;287:1405-12.
2.
Ann Thorac Surg 2003; 76: 18-26.
3.
Ann Thorac Surg 2003; 75: 1912-8.
Dissociazione elettromeccanica (PEA): una drammatica presentazione di sindrome di schmidt
DE NATALI S.; CARRER S.; VENTURELLA G.; BASILICO S.; DAGANI R.*;VAGHI GM.
Servizio di Anestesia e Rianimazione, - Responsabile Dott. G. M. Vaghi; *U.O. Medicina II Presidio Ospedaliero di Rho (Mi) - Azienda Ospedaliera
“G. Salvini” Garbagnate Mi
Introduzione. La sindrome di Schmidt rappresenta il II tipo delle cosiddette “Sindromi Polighiandolari Autoimmuni”,
con evidenza di familiarità. La diagnosi si basa solitamente su una clinica ad insorgenza graduale, rappresentando
l’insufficienza cardiovascolare solo l’evento terminale di una malattia misconosciuta.
Caso clinico. Femmina di 26aa, presentazione in PS in stato di coma (GCS=3), midriasi bilaterale, bradicardia spiccata
con assenza di polsi centrali e periferici (PEA); ACLS con ripresa di polso carotideo dopo 5’. Agli esami ematochimici
presenza di iposodiemia (126mEq/l) e iperkaliemia (6,9mEq/l). Negative le sostanze d’abuso; TC cerebrale normale.
Evidenza di colorito bronzeo diffuso più importante alle estremità. A due ore dal ROSC insufficienza cerebrale
(GCS=4). LCR negativo.
In anamnesi episodi lipotimici ricorrenti negli ultimi mesi, oligo-amenorrea, calo ponderale del 30%, astenia
ingravescente fino all’allettamento attribuito a sindrome depressiva (iniziato da 5 giorni trattamento con paroxetina). In
UTI ipotensione refrattaria alle amine ad alto dosaggio, persistenza di squilibrio idroelettrolitico, Ht/Na=0,22, VAM per
36h ed estubazione in III giornata a recupero neurologico (GCS=14); agli esami importante ipotiroidismo primitivo.
Nell’ipotesi di un quadro di ipocorticosurrenalismo inizia terapia sostitutiva con idrocortisone e repentina
normalizzazione del quadro clinico. Gli esami ormonali confermano tale diagnosi (ipocortisolemia, incremento ACTH,
presenza di anticorpi anti-surrene). In IV giornata viene trasferita in Medicina e dimessa a domicilio in XXII giornata
con diagnosi di Sindrome Polighiandolare Autoimmune di tipo II (Sindrome di Schmidt) caratterizzata da insufficienza
surrenalica e tiroidea (eco tiroide suggestiva per tiroidite, RMN encefalo e ipofisi negativa, presenza di anticorpi antisurrene e anti-tiroide) e posta in terapia con tiroxina e cortisone. Nello screening familiare emerge inoltre un IDDM
misconosciuto nel fratello.
Conclusioni. L’insufficienza circolatoria viene descritta nella clinica sia del morbo di Addison che dell’ipotiroidismo,
correlata al deficit sia degli ormoni surrenalici che di quelli tiroidei. Riteniamo che il drammatico quadro di
presentazione di questa sindrome e la difficoltà al trattamento iniziale possano essere determinate dalla concomitanza
sinergica delle due patologie autoimmuni.
234
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Impianto di catetere venoso centrale (CVC) con il supporto di ECG intracavitario: procedure
e particolarità
L. DE SIMONE, T. BISCIONI, E. GEMINIANI, G. MORELLI, P. BUONAVOLONTÀ, G.
FONTI
Istituto U.O. Anestesia e Rianimazione IV Univ. Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana
Scopo dello studio: utilizzo della registrazione dell’ECG intracavitario per l’immediata valutazione della posizione della
punta nel posizionamento di CVC sia a breve che a medio-lungo termine. Innovazione della tecnica generalmente in uso
che prevede la designazione del punto su basi antropometriche, l’inserimento alla cieca e la conferma della giusta
posizione mediante RX torace.
Materiali: set da cateterismo venoso centrale a breve e medio-lunga permanenza con scala centimetrica, un cavo di
derivazione con clip da collegare al filo guida metallico, un adattatore universale (Certodyn®) con interruttore per lo
switching dall’ECG di superficie all’ECG intracavitario.
Metodi: repertata ed incannulata la vena di scelta, si procede al posizionamento del catetere sulla guida metallica sino
alla fuoriuscita del J dalla punta distale, quindi si collega la guida metallica con l’adattatore universale e questo con
l’elettrodo di superficie. Le differenze di segnale, registrate all’avanzamento del catetere attraverso la vena cava
superiore verso l’atrio dx, sono rappresentate dalle variazioni di ampiezza dell’onda P. Da un’onda P ampia quanto il
QRS ad indicare che la punta è in atrio, si retrocede sino ad un’ampiezza dell’onda P pari alla metà del QRS che si ha in
corrispondenza della giunzione atrio-cava.
Per i CVC a lungo termine la metodica è concettualmente identica ma necessita di alcuni accorgimenti legati alla
tipologia del catetere (materiale, morbidezza, diametro, punta chiusa) ed alla tunnellizzazione. Utilizziamo un catetere
monolume temporaneo inserendolo nel peel-away con la guida metallica posizionata come descritta per i temporanei.
Posizionata la punta con la metodica descritta registriamo la lunghezza del catetere all’ingresso in vena, quindi
rimuoviamo il CVC temporaneo e passiamo a posizionare il CVC a permanenza inserendolo in vena per la lunghezza
ricavata con la metodica dell’ECG intracavitario.
Conclusioni: sono stati posizionati 2257 CVC (530 a breve termine e 338/1389 a media/lunga permanenza). La
percentuale di successo è stata elevata (98%), senza differenze statisticamente significative tra le differenti categorie di
cateteri. E’ una tecnica di semplice esecuzione con risultato in tempo reale che permette l’utilizzo immediato e sicuro
del catetere. Questo aspetto risulta particolarmente apprezzabile nei CVC a lunga permanenza poiché evitando il
malposizionamento della punta si previene la necessità di reintervenire nonché le eventuali e possibili complicanze.
L’impossibilità o l’inopportunità di applicare la metodica su alcuni CVC a lunga permanenza può essere superata con
l’utilizzo di un CVC temporaneo che permette di reperire la distanza punta-cute da rispettare nel successivo
posizionamento del CVC a lunga permanenza.
L’ECG intracavitario: metodica sicura per il posizionamento della punta dei cateteri venosi
centrali
L. DE SIMONE, *G. MORELLI, *P. BUONAVOLONTÀ, *T. BISCIONI, *E. GEMINIANI, G.
FONTI
Azienda Ospedaliero–Universitaria Pisana U.O. Anestesia e Rianimazione IV Universitaria; *Scuola di
Specializzazione Anestesia e Rianimazione Università degli Studi di Pisa
Introduzione: La tecnica mediante la registrazione dell’ECG intracavitario, permette un’immediata valutazione della
posizione della punta del CVC durante l’intervento di impianto senza necessità di disporre della fluoroscopia o di dover
ricorrere alle regole delle misure anatomiche per posizionare correttamente il CVC.
Esperienza: dal gennaio 1998 al dicembre 2005, impianto di 2257 cateteri venosi centrali con la tecnica ECG
intracavitario su 2011 pazienti (uomini 1001, donne 1010) con età compresa tra 18-95 anni, età media 66 anni.
Reparti di afferenza: Oncologia Medica nel 39%, Oncoematologia nel 34%, Nefrologia nel 17%, Medicina nel 5% altri
nel 1%.
Tipologia dei cateteri impiantati: 23 % cvc temporanei, 15% cvc a media permanenza, 20% CVC valvolati esterni, 27%
CVC con port e 15% CVC per dialisi (3% temporanei e 97% definitivi).
235
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Motivo dell’impianto: 66% chemioterapia, 15% insufficienza renale o chiusura fistola artero/venosa o sostituzione di
catetere non ben funzionante, 12 % supporto o nutrizione parenterale e somministrazione di farmaci endovena, 7 %
esaurimento del patrimonio venoso superficiale.
Metodo: Il posizionamento dei CVC con tecnica ECG intracavitaria è stato, successivamente all’impianto, valutato con
radiografia standard del torace in due proiezioni e con paziente in piedi ed in espirazione.
Risultati: su 2257 CVC impiantati con tale metodica, si è avuto un corretto posizionamento in 2212 CVC che
corrisponde ad una percentuale di successo del 98%.
Un posizionamento non corretto si è avuto in 45 CVC quindi una percentuale di insuccesso del 2%. Nell’ambito dei casi
di insuccesso abbiamo avuto una reale malposizione in 10 CVC (0,47%), per 18 CVC (0,74%) non siamo riusciti ad
registrare una chiara transizione dell’onda P, in 9 (0,42%) CVC si è verificata una fibrillazione atriale, in 8 (0,37%)
CVC non si è registrata una onda P ampia.
Conclusioni: possiamo affermare che l’impianto dei cateteri venosi centrali con ECG-IC per il posizionamento della
punta è una tecnica di semplice esecuzione, veloce (circa 2-3 minuti), previene il malposizionamento e quindi la
necessità di reintervenire e le possibili complicanze, non richiede l’esposizione a raggi X o la somministrazione di
mezzo di contrasto, riduce tempi e costi dell’impianto.
Limiti della metodica sono la presenza di una attività atriale e il fatto che l’ECG IC non riesca a distinguere se il CVC è
posizionato in vena o in arteria.
Onda P intracavitaria (IC) come guida nel posizionamento della punta di catetere venoso
centrale: descrizione della tecnica
LUIGI DE SIMONE, *ELEONORA GEMINIANI, *GIACOMO MORELLI, *TAMARA
BISCIONI, *PIETRO BUONAVOLONTÀ, GIOVANNI FONTI
Istituto U.O. Anestesia e Rianimazione IV Univ. Azienda Ospedaliera-Universitaria Pisana,
*Scuola di Specializzazione in Anestesia e Rianimazione Università degli Studi di Pisa
Repertata ed incannulata la vena di scelta con il set per cateterismo venoso centrale idoneo, si procede al
posizionamento del catetere sulla guida metallica sino a posizionare il repere nero di tale guida a
livello dell’ingresso prossimale del lume distale; ciò determina la fuoriuscita del “J” dalla punta
e consente la registrazione del potenziale elettrico intracavitario. Quindi si
collega la guida metallica tramite il cavo di collegamento con l’adattatore
universale (Certodyn®) con interruttore per lo switching dall’ECG di
superficie all’ECG intracavitario. La clip del cavo rosso del monitor viene connessa all’ adattatore e
questo con il suo cavo all’elettrodo posizionato sulla spalla destra. Il segnale può essere così
registrato sul monitor o cardiografo e mediante il pulsante per lo
switching passare dall’ECG di superficie all’ECG intracavitario. La derivazione da
utilizzare è DII. Le differenze di segnale, registrate all’avanzamento del catetere attraverso
la vena cava superiore verso l’atrio dx, sono rappresentate dalle variazioni di ampiezza
dell’onda P. Con il catetere in vena giugulare interna si
registra un’onda P IC simile a quella di superficie che
aumenta di ampiezza quando la punta procede distalmente. Muovendo all’unisono
catetere e guida metallica ci si posiziona fino a registrare un’onda P di grande
ampiezza che indica di essere con la punta in atrio, quindi si inizia a retrocedere
guida e catetere ottenendo una graduale riduzione dell’ampiezza dell’onda P sino
ad un ampiezza che è 1/2 dell’ampiezza del QRS intracavitario la punta del CVC è
cosi posizionata a livello della giunzione atrio dx/vena cava sup.
In Germania e in Belgio il tracciato cartaceo della transizione dell’onda P allegata in cartella è considerata ai fini
medico-legali valida per dimostrare il corretto posizionamento della punta.
236
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Encefalopatia iponatremica in paziente con polidipsia non psicogena
M. DIFONZO, T. TROTTA, G. COLAGRANDE, G. ANCONA
U.O.C di Anestesia e Rianimazione Ospedale Di Venere, AUSL BARI 4, Bari
Introduzione
L’encefalopatia iponatremica è una sindrome clinica espressione di un disordine del bilancio idrico-salino. La
riduzione della concentrazione di sodio, principale catione extracellulare osmoticamente attivo, assume un’importanza
clinica quando riduce l’osmolalità plasmatica (osmolalità < 280 mOsm/kg)1. L’iponatremia, definita come
concentrazione plasmatica di sodio < 135 mEq/l, può rappresentare un’emergenza clinica riguardo ai sintomi
neurologici2. La gravità dei disturbi dipende sia dal livello della sodiemia sia dalla rapidità del suo sviluppo. Nausea e
malessere generale compaiono per valori di sodio compresi tra 125 e 130 mEq/l. Cefalea, letargia, ottundimento, fino al
coma e all’arresto respiratorio compaiono per valori di sodio tra 115 e 120 mEq/l3. I pazienti con iponatremia acuta
(insorta entro 48 ore o meno) possono andare incontro ad edema cerebrale. L’iponatremia cronica (insorta dopo più di
48 ore), molto più comune rispetto alla forma acuta, può dare sintomi clinici con minor frequenza. Infatti, una riduzione
della sodiemia in un periodo di settimane o mesi può portare a livelli plasmatici di sodio di 110 mEq/l con disturbi
neurologici minimi4.
L’iponatremia può essere associata ad un’osmolalità plasmatica alta, normale o bassa: iponatremia ipertonica,
normotonica ed ipotonica1. L’iponatremia ipertonica (osmolalità plasmatica > 300 mOsm/kg) è l’espressione
dell’aumento di sostanze osmoticamente attive, glucosio e mannitolo, che richiamano acqua dalle cellule e diluiscono il
sodio sierico. L’iponatremia normotonica (osmolalità plasmatica = 280-300 mOsm/kg) è legata alla presenza di
sostanze come lipidi e proteine che riducono la frazione d’acqua e sodio plasmatici. L’iponatremia ipertonica e
normotonica sono definite anche pseudoiponatremia.
L’iponatremia ipotonica (osmolalità plasmatica < 280 mOsm/kg) è la forma più comune, rappresenta un eccesso
d’acqua rispetto al sodio esistente. Normalmente l’organismo umano è in grado di mantenere un normale livello
plasmatico di sodio, 135-145 mEq/l, ed una normale osmolalità per mezzo di sistemi di controllo che coinvolgono la
sete, l’ormone antidiuretico ADH e la funzione renale di regolazione del bilancio del sodio. L’iponatremia ipotonica
(definita anche diluizionale) è legata ad un eccesso di acqua rispetto al sodio. Le cause più comuni sono l’incapacità del
rene ad una normale escrezione di acqua (alterato output idrico) e l’eccessiva introduzione di acqua (aumentato intake)5.
La polidipsia con iponatremia, indicata con termini vari ‘autointossicazione da acqua, polidipsia psicogena, polidipsia
primaria’, è una sindrome relativamente frequente6. Conosciuta fin dagli anni ’307, uno studio del 1996 rilevava la
presenza di polidipsia nel 26% dei pazienti schizofrenici ospedalizzati8. La polidipsia non psicogena con iponatremia
(pazienti senza patologie psichiatriche, neurologiche o endocrine rilevabili) è al contrario una sindrome clinica molto
rara6.
Si descrive il caso clinico di un paziente che, in seguito all’ingestione volontaria di acqua, ha manifestato una
condizione clinica di encefalopatia da iponatremia severa acuta.
Caso clinico
Un paziente di 43 anni era soccorso dal 118, avvisato dai parenti che lo avevano trovato in coma con presenza
di vomito abbondante. Accompagnato in Ospedale era trasferito in Neurologia e subito dopo in Terapia Intensiva.
All’ingresso la Glasgow Coma Scale aveva uno score di 9 (eye 2, motor 5, verbal 2), il paziente presentava letargia
profonda da coma lieve. La TC encefalo non mostrava alterazioni densitometriche del parenchima dell’encefalo, i
ventricoli apparivano in asse. I parametri emodinamici erano nella norma, pressione arteriosa invasiva 130-70 mmHg,
FC 85 b/min, PVC 14 mmHg, l’Ecg mostrava solo segni aspecifici. L’emogasanalisi mostrava pH 7,42, paCO2 33
mmHg, paO2 70 mmHg, HCO3- 22,4 mEq/l, basi excess - 2,5 Na+ 117 mEql/l, K+ 3,46 mEq/l, Cl- 89 mEq/l, glicemia
131 mg/dl. Si provvedeva a sedazione e si poneva una ventilazione non invasiva. La diuresi raccolta in un’ora era 1100
ml. I parenti riferivano che il congiunto alcuni mesi prima era stato in cura per una forma di depressione e di precedenti
episodi d’ingestione di grandi quantità di acqua senza sintomatologia. L’osmolalità plasmatica calcolata (2 x sodio +
glucosio/18) era 243 mOsm/kg, eravamo in presenza di una sindrome da iponatremia ipotonica legata a sovraccarico
idrico. Si trattava di un’iponatremia acuta, pertanto si effettuò la restrizione idrica (soluzioni di cristalloidi 1500 ml/die)
con utilizzo di soluzioni saline ipertoniche 3% (513 mEq/l di sodio). Il sodio plasmatico era incrementato di 1-2 mEq/l
nelle prime 3-4 ore fino alla regressione dello stato di coma. Si sostituivano quindi le soluzioni saline ipertoniche con
soluzioni fisiologiche. Nel corso delle prime 24 ore la concentrazione di sodio plasmatico passava da 117 a 136 mEq/l.
Il paziente si presentava sveglio, confuso ma collaborante. La diuresi della seconda giornata era 5850 ml. In terza
giornata si trasferiva il paziente presso l’U.O. di Nefrologia per completare l’approfondimento diagnostico con una
RMN e indagini di laboratorio. I parenti però richiedevano la dimissione anticipata del paziente, contro il parere dei
sanitari, per proseguire le cure presso lo specialista psichiatra che in precedenza aveva curato l’ammalato.
Discussione
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L’encefalopatia iponatremica da intossicazione da acqua fu descritta per la prima volta nel 19239. Rowntree
indagò gli effetti dell’eccessiva assunzione di acqua nell’uomo e negli animali, introducendo il trattamento
dell’iponatremia con la somministrazione di soluzioni saline ipertoniche come terapia razionale. Le manifestazioni
cliniche dell’iponatremia sono legate alla disfunzione del sistema nervoso centrale. I sintomi sono espressione della
riduzione dell’osmolalità plasmatica che comporta una diminuzione della pressione osmotica, lo spostamento di acqua
dallo spazio extracellulare a quello intracellulare con la possibilità di sviluppo di edema cerebrale e l’insorgenza di
segni clinici di irritazione del sistema nervoso.
Possiamo distinguere un’iponatremia lieve (sodio plasmatico tra 125 e 129 mEq/l), moderata (sodio tra 120 e 124
mEq/l) e severa (sodio < 120 mEq/l)10. La gravità della sintomatologia dipende sia dal livello della sodiemia, sia dalla
rapidità del suo sviluppo. Nell’ iponatremia acuta i pazienti possono andare incontro ad edema cerebrale. La mortalità è
legata alla compressione sul tronco encefalico, in questi casi è necessario correggere rapidamente la sodiemia.
Nell’iponatremia cronica l’edema cerebrale è un evento meno frequente. Le principali cause di mortalità sono lo stato
epilettico (per sodiemia < 110 mEq/l) e la mielolisi cerebrale pontina da correzione troppo rapida della sodiemia4.
La polidipsia, eccessiva introduzione di acqua nell’organismo, associata ad iponatremia è stata descritta fin dagli anni
‘30 nei pazienti psichiatrici cronici7. La sindrome definita polidipsia non psicogena con iponatremia, che colpisce
pazienti senza patologie psichiatriche, neurologiche o endocrine identificabili, è al contrario una patologia più rara.
Weiss6 ha raccolto 27 casi clinici concernenti il periodo 1954-2004, distinguendo varie categorie: pazienti con
introduzione eccessiva di soluti a bassa concentrazione di ioni (6 casi), eccessiva introduzione d’acqua su consiglio
medico (6 casi), pazienti che si preparano ad un esame medico o radiologico (7 casi), pazienti con autointossicazione (3
casi), pazienti con polidipsia associata ad assunzione di farmaci (5 casi).
L’eziopatogenesi della polidipsia è legata ad anomalie funzionali dell’ipotalamo e dell’ippocampo. L’eccessiva
introduzione di acqua normalmente è regolata dal rene, la riduzione dell’osmolalità plasmatica riduce la liberazione di
ADH permettendo l’escrezione di urine diluite. La capacità renale d’escrezione d'acqua libera è di circa 25 litri/die di
urine, pertanto un’iponatremia non può svilupparsi solo per eccessiva introduzione di acqua. Nella polidipsia
l’eccessiva introduzione di acqua è accompagnata da un’alterazione nella secrezione di ADH (non completamente
soppressa), da difetti nella diluizione urinaria (urine non diluite al massimo) e da disturbi nella regolazione
dell’assunzione di acqua11.
La polidipsia dal punto di vista clinico può indurre sintomi quali la poliuria e l’intossicazione da acqua12. La poliuria
corrisponde all’eliminazione di una quantità di urine giornaliere superiore a 2000 ml. L’intossicazione da acqua avviene
quando la quantità di liquidi introdotti supera la capacità di eliminazione renale.
Dal punto di vista terapeutico nei casi con iponatremia acuta sintomatica è necessario la restrizione idrica e la
somministrazione di soluzioni saline ipertoniche fino alla scomparsa dei sintomi neurologici. La concentrazione di
sodio plasmatico deve essere incrementata non oltre i 12 mEq/l nelle 24 ore e 18-20 mEq/l nei primi due giorni. Una
correzione rapida dell’iponatremia, in presenza di fattori predisponenti2, può portare alla mielolisi centrale pontina,
sindrome espressione della demielinizzazione della porzione centrale basale del ponte.
Conclusione
Nel caso clinico presentato un’eccessiva introduzione di acqua ha indotto un’iponatremia acuta sintomatica
responsabile di un’encefalopatia. L’impossibilità di eseguire la misura dell’ADH non ha permesso di escludere una
correlazione con la secrezione non osmotica di ADH o SIADH (sindrome da inappropriata secrezione di ADH). Infatti,
la tendenza alla potomania si può riscontrare in pazienti con SIADH da assunzione di antidepressivi, farmaci di cui il
paziente aveva fatto uso fino ad alcuni mesi prima. Tuttavia dall’anamnesi si rilevava l’abitudine del paziente ad
ingerire grandi quantità d'acqua, fino a 12-14 litri al giorno. Inoltre la riduzione dell’apporto idrico associata al reintegro
della sodiemia aveva normalizzato l’omeostasi permettendo la regressione della sintomatologia neurologica. L’episodio
era pertanto inquadrato come una rara forma di polidispia non psicogena con iponatremia in accordo con la
classificazione di Weiss. L’elevata quantità d'acqua ingerita aveva indotto la poliuria ed una manifestazione acuta di
intossicazione da acqua, l’encefalopatia iponatremica.
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vol 8, 1
I.O.T. difficile e video-laringoscopio Glidescope®
S. FABRONI ET AL. * A. PINTO ET AL **
Osp. Civ: Palestrina A.S.L. RMG* Osp. Civ. Anzio-Nettuno A.S.L RMH.**
Scopo dello studio: dimostrazione estemporanea dell’utilità di GLIDESCOPE nel contesto di un’emergenza nel pronto
soccorso di un piccolo Ospedale.
Materiali e metodi: si usavano i normali presidi per la I.O.T., dopodiché veniva allertato il Chirurgo generale
(nell’ipotesi di tracheostomia d’urgenza) facendo preparare in prima istanza il GLIDESCOPE per facilitare la I.O.T.
Risultati: una Pz. Ultra- ottantenne con Insuff. respiratoria acuta febbrile d.n.d.d., con pregresso arresto cardiaco
risoltosi e CPAP in corso, non rispondente alle terapie mediche.
Praticate, con G.C.S. 5 e notevole agitazione psicomotoria, giunge all’osservazione dell’unico Anestesista Rianimatore
in orario serale. Dopo tentativi di laringoscopia tradizionale, resi impossibili dalla ridotta apertura della bocca e dalla
presenza di tessuto mammellonato e sanguinante nell’orofaringe e nelle strutture sottostanti (con rapporti anatomici
alterati che in prima istanza facevano pensare a neoformazione ) , si procedeva all’inserzione delicata della lama del
GLIDESCOPE , riuscendo ad individuare senza eccessivi traumi l’epiglottide estremamente edematosa , che veniva
caricata in un secondo tempo tramite inserzione di laringoscopio con lama retta lunga tradizionale, permettendo la
parziale visione dell’aditus ad laringem ristretto ed edematoso a cui faceva seguito l’I.O.T . La Pz veniva sedata e
ventilata meccanicamente in P.s. e solo dopo diverse ore, diveniva possibile il trasferimento presso la rianimazione
dell’Ospedale di Anzio-Nettuno (unica rianimazione disponibile ), con parametri vitali stabili. I colleghi rianimatori,
dopo accurato studio della situazione clinica e ventilazione meccanica dela Pz , decidevano di far praticare dagli otorini
laringoiatri tracheostomia chirurgica che permetteva dopo alcuni giorni il trasferimento in reparto O.R.L. per
perfezionare la diagnosi e attuare le terapie del caso. La Pz veniva poi trasferita in reparto di medicina in attesa di
dimissione con diagnosi anatomo patologica di intensa flogosi acuta e iper-reattiva delle prime vie aeree.
Conclusioni: si può affermare che il laringoscopio a fibre ottiche con visione a colori GLIDESCOPE ( usato in
precedenza anche in S. Operatoria), abbia permesso la I.O.T diminuendo il trauma relativo e l’eccessivo sanguinamento
dei tessuti iperplasici cosa che avrebbe potuto creare una situazione anche letale.
Miocardiopatia dilatativa diagnosticata in ii giornata dal TC. Evenienza inaspettata:case
report
T.GIUSTO,B.BALDI SANTOCCHI,I.PARDELLI,N.BACCELLINI
III U.O.Anestesia e Rianimazione A.O.U.Osp.S.Chiara Pisa
Introduzione. La cardiomiopatia peripartum è una rara patologia cardiaca ad eziologia sconosciuta caratterizzata da
insufficienza cardiaca congestizia che si sviluppa nella fase avanzata della gravidanza o nei primi sei mesi dopo il parto
ed è associata ad un alto rischio di mortalità materna. Può presentarsi in donne di età compresa tra i 18-41 anni con
maggior incidenza dopo i 30 anni. L’incidenza di questa malattia varia in base alla localizzazione geografica (Nigeria
1%) con una frequenza che oscilla da 1:1500 a 1:15000 casi di gravidanze fisiologiche.La genesi non è ancora nota.Tra
i fattori di rischio possibili si riscontrano:gravidanza multipla,storia di preeclampsia,ipertensione arteriosa cronica,abuso
di farmaci e cocaina,obesità,alcoolismo,fumo,storia familiare di cardiomiopatia peripartum,miocardite.
Caso clinico.Una donna primipara di 32 anni alla 40ªsett.di una gravidanza insorta spontaneamente con decorso
fisiologico giunge c/o reparto di ostetricia e ginecologia riferendo comparsa di dispnea,sudorazione profusa e
tachicardia dalla sera precedente. L’Holter pressorio riscontra un aumento di PA con valori di 145/105 mmHg ed una
FC di 110 bpm. EGA eseguita dimostra una SpO2 di 93%,pCO2 27.6,pH 7.43,pO2 non calibrato. Il cardiologo
contattato riferisce la sintomatologia su base funzionale legata alla gravidanza con ECG con RS tachicardico (FC 120
bpm),assenza di soffi patologici ed un EOP normale lievemente ridotto alla base dx. L’eco-addome ed il monitoraggio
CTG assicurano la salute del feto e la sua maturità. In vista della situazione clinica rapidamente in evoluzione è stata
presa la decisione insieme ai ginecologi di procedere immediatamente a TC che viene eseguito in anestesia
subaracnoidea con Bupivacaina iperbarica 12 mg associata a Morfina 0.15 mg.La donna si presenta sempre dispnoica
con una SpO2 di 90% con 5 l/min di O2 erogati mediante cannula nasale:per il disconfort presentato durante l’incisione
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
chirurgica si somministra Propofol 200 mg ev a piccoli boli e viene assistita la ventilazione in maschera con O2 al
100% .La SpO2 sale al 100%.A fine intervento le condizioni della donna migliorano lievemente:la dispnea si attenua,la
FC è di 90 bpm,la PA è110/80 mmHg,SpO2 è di 96% in aria.In II giornata dal TC le condizioni della donna peggiorano
manifestando dispnea intensa:viene contattato il cardiologo e con il sospetto di embolia polmonare viene trasferita in
MCV. L’ecocardio eseguito dimostra una cariomiopatia dilatativa con FE di 25% e gli esami di laboratorio di
pertinenza cardiologia (Troponina,CPK-MB,Mioglobina) sono lievemente mossi .La tp.medica prevede
diuretici,digitale,ace-inibitori e nitrati ev.La paziente viene dimessa asintomatica dopo 10 gg con FE 38%.
Conclusioni.Lo scopo di questo case report è quello di far comprendere le reali difficoltà ed i rischi che l’anestesista in
ostetricia può incontrare difronte a patologie rare e a scelte anestesiologiche in caso di TC urgente.
Porpora trombotica trombocitopenica: “C’è plasmaferesi e plasmaferesi!!!”
M. LATTARO, F. DE MEO, V. LANDI, M. RIONDINO, V, SETTEMBRE, P. ZANNETTI
U.O. C. Anestesia e Rianimazione P.O. San Paolo ASL Napoli 1
La porpora trombotica trombocitopenica (PTT) o sindrome di Moschkovitz, è una anemia emoliticaa microangiopatica
con lesioni diffuse delle arteriole e dei capillari, ispessimento dell’endotelio, deposizione sotto-endoteliale di sostanze
fibrinoidi e trombosi. Sulla base della eziopatogenesi distinguiamo due forme di PTT: familiare e sporadica.
In entrambi i casi la comparsa della PTT sarebbe legata alla carenza plasmatica di una metalloproteasi deputata a
scindere i multimeri del fattore von Willebrand in olecole di minori dimensioni. L’accumulo di tali multimeri ad alto
peso molecolare induce la formazione di trombi piastrinici.
Mentre nella forma familiare il difetto enzimatico sembra essere genetico, nella forma sporadica è legato alla presenza
di un inibitore di natura anticorpale.
La diagnosi di PTT è posta in presenza di:
1.
Anemia emolitica
2.
Trombocitopenia
3.
Febbre
4.
Turbe neurologiche
5.
Insufficienza renale
La mortalità della PTT è passata dall’80% al 20% con l’introduzione della PLASMAFERESI.
Nell’U.O. dell’Ospedale San Paolo di Napoli abbiamo trattato due casi di PTT con due metodiche diverse:
1. Plasma Exchange “artigianale” con 5 sedute quotidiane (per 10 giorni) di salasso di 400 ml di sangue intero, seguito
dalla centrifugazione con rimozione di plasmae successiva reinfusione delle emazie deplasmate ottenute e di plasma
fresco eterologo.
2. TPE (Total Plasma Exchange) con device per CRRT (Aquarius Edwards-Life-Sciences) per 1,5 volumi di plasma al
giorno (per 7 giorni, seguito da 3 sedute a settimana per altri 10 giorni (Protocollo GIPPT).
Entrambi i casi si sono conclusi con la guarigione delle pazienti e la totale restitutio ad integrum, ma il trattamento con
TPE appar meglio tollerato sotto il profilo emodinamico e con rischio minore di eventi evversi.
Gastroresezione di neoplasia stenosante dell’antro gastrico in una paziente ad alto rischio con
anestesia combinata spinale-epidurale (CSE)
N. MARATEA
Azienda USL N°5 – Ospedale Civile di Policoro (MT)
L’anestesia spinale epidurale combinata (CSE) non è stata riportata come la tecnica principale per paziente ad alto
rischio chirurgico con neoplasia stenosante dell’antro gastrico. Poiché questa era una paziente con malattia polmonare
ostruttiva cronica severa (COPD), l’anestesia CSE era la tecnica anestetica preferita per questo caso (1).
Una donna di 85 anni , del peso di 60 kg e 170 cm di altezza , aveva una neoplasia stenosante dell’antro gastrico. La
dimensione della neoplasia si presentava di un diametro massimo longitudinale di circa 4 cm in direzione craniocaudale. La paziente soffriva di malattia polmonare cronica ostruttiva severa (COPD) di tipo misto (ostruttiva e
restrittiva).In seguito alla consulenza cardiologia gli veniva diagnosticata una cardiopatia ischemica con (la frazione di
eiezione del 30%) con un 21% di rischio secondo l’indice di Goldman. L’anestesia CSE sequenziale veniva eseguita
nella posizione rigorosamente da seduto con la tecnica di minor resistenza tramite mandrino liquido, 5 mg di
Levobupivacaina isobarica e 5 μg di sufentanil venivano somministrati intratecalmente con ago pencil-point 26G . Il
catetere epidurale veniva posizionato nello stesso interspazio L1-L2 intervertebrale lombare con ago di Tuohy 16G.
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Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Questo era seguito da 25 mg di levobupivacaina isobarica 0,25% e 10 μg di sufentanil attraverso il catetere epidurale .
Quando il blocco sensitivo raggiungeva il livello toracico T4, l’intervento veniva iniziato. Quando richiesta veniva
somministrato , 6-10 ml allo 0,25% di bupivacaina e 25µg di sufentanil attraverso il catetere epidurale in modo
intermittente. Durante l’intervento, i parametri emodinamici (frequenza cardiaca, pressione arteriosa media e pressione
venosa centrale) erano stabili. L’intervento chirurgico durava 2 ore e 39 minuti. Un totale di 100 mg di levobupivacaina
isobarica e 50 μg di sufentanil venivano somministrati in boli intermittenti. La sedazione intraoperatoria con 2 mg di
midazolam endovenoso. Nel periodo postoperatorio , era emodinamicamente stabile.
Questa tecnica anestetica può ridurre o eliminare alcuni degli svantaggi dell’anestesia spinale e epidurale , mentre
preserva i loro vantaggi. Il blocco CSE sequenziale offre alta velocità di inizio, efficacia e tossicità minima del blocco
spinale combinato con la possibilità di migliorare un blocco inadeguato o di prolungare la durata dell’anestesia con
supplementi epidurali, ed estendere l’analgesia al periodo postoperatorio. Questi vantaggi rendono i blocchi CSE
sempre più frequenti in ostetricia (3,4) , ortopedia (5-7) e nella chirurgia vascolare maggiore (8). L’anestesia generale
ha effetti sul sistema respiratorio , come sul sistema cardiaco e sul tratto gastrointestinale. La presenza di grave
insufficienza respiratoria ha un impatto favorevole sulla nostra decisione di usare l’anestesia CSE sequenziale senza
anestesia generale. Noi crediamo che la CSE sia una tecnica di anestesia sicura per i pazienti ad alto rischio chirurgico
che si presentano con neoplasia dello stomaco.
Terapia Nutrizionale: a case report
I. ODIERNA, D. CARBONE, M. LORETO, M. CAPTANO, S. PALESE, V. STRIDACCHIO
UOC di Anestesia e Rianimazione PO “Umberto I”Nocera Inferiore ASL SA1-Direttore A. Natale
Scopo dello studio
Scopo del lavoro è presentare il caso clinico di una giovane donna affetta da disturbo dell’alimentazione (anoressia)
particolarmente complicato per la mancata collaborazione tra l’attività del rianimatore e quella degli altri specialisti
(endocrinologo e psichiatra) della stessa paziente ritardando l’adeguata terapia.
Case Report
Giovane donna di anni 19, razza caucasica, nubile. Si presentava alla visita ambulatoriale accompagnata dalla madre,
peso 38 Kg., altezza 160 cm, BMI: 14,8 Kg/m2.
In anamnesi patologica remota: nulla da rilevare; all’anamnesi patologica prossima: da circa 1 anno calo ponderale di
20 Kg ed amenorrea, riferibili a fallimento scolastico, ma associato a regolare alimentazione secondo quanto riferito
dalla madre. L’alimentazione consisteva in
1 fetta di crackers al mattino
1 cucchiaio di pasta condita a pranzo o alternativamente 1-2 bocconi di carne o pesce
1 panino di circa 30 gr con prosciutto cotto o crudo a cena
Quadro ematochimico di ipoalbuminemia 1,8g/dl, linfocitopenia 0.9 K/uL, Hct 53% Na 136 mmol/l, K 3 mmol/L, Ca 8
mg/dl, P 2,7 mg/dl.
Assenza di edemi declivi e/o di versamento pleurico; ecocardio nei limiti.
La paziente era già in trattamento con nutrizione parenterale integrativa con sacca precostituita per vena periferica
presso il DH endocrinologico con prescrizione di terapia psichiatrica domiciliare e non era stata data indicazione al
ricovero in struttura ospedaliera.
Alla visita presso il nostro ambulatorio viene posta l’indicazione al ricovero in reparto sub-intensivo per il riequilibrio
idro-elettrolitco e metabolico, che la paziente supportata dalla madre rifiuta in maniera categorica. Lo psichiatra non
pone indicazione al ricovero coatto.
La paziente continua la terapia domiciliare già in corso, per il subentrare di un importante flebite all’arto superiore
destro si rivolge nuovamente alla struttura ospedaliera e viene ricoverata in reparto sub-intensivo. Qui inizia terapia
reidratante e supporto nutrizionale parenterale (arricchito di potassio, fosforo e complessi vitaminici) ed albumina per
via periferica dal momento che la paziente rifiutava in maniera categorica l’apposizione del sondino nasogastrico, non
aderiva alle regole alimentari impostele e rifiutava un accesso venoso centrale.
In terza giornata dal ricovero compare flebite all’arto superiore controlaterale e rifiutando categoricamente di nutrirsi
per os, rifutando l’apposizione del SNG e l’accesso venoso periferico agli arti inferiori acconsente al posizionamento di
un accesso venoso centrale.
In settima giornata si assiste ad una progressiva stabilizzazione dei parametri ematochimici senza aumento del peso
corporeo e finalmente lo psichiatra pone indicazione al ricovero in dipartimento di igiene mentale per disturbi
dell’alimentazione.
Discussione e Conclusioni
Il corretto trattamento della patologia di cui era affetta la paziente avrebbe richiesto:
ricovero immediato presso un centro per i disturbi dell’alimentazione con controllo continuo dell’equilibrio idroelettrolitico e metabolico;
241
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
integrazione dell’alimentazione per os o per via entrale con SNG.
La gestione della paziente, anche se in maniera non corretta, ha imposto il ricorso ad una nutrizione per via parenterale,
che in un primo tempo è stata eseguita per via periferica, compromettendo ulteriormente lo stato vascolare periferico e
in seguito ha imposto il ricorso ad un accesso venoso centrale con tutti i rischi ad esso connessi.
La cattiva gestione della paziente l’ha esposta alla sindrome da “refeeding”, che può essere mortale per complicanze
cardiache, metaboliche, convulsioni e coma.
Questo caso clinico ci mostra come l’anoressia nervosa è ancora oggi un disturbo sottovalutato e la mancanza della
collaborazione interdisciplinare ritarda se non addirittura rende impossibile il corretto trattamento.
Bibliografia
Linee guida SINPE per la Nutrizione Artificiale Ospedaliera 2002. Nutrizione Artificiale nel paziente con disturbi del
comportamento alimentare. RINPE 2002: 20-21
Effetti del reclutamento manuale e peep post inflazione nel danno polmonare da polmonite e
contusione
S. PALMESE, D. CARBONE, F. DI MARCO, I. ODIERNA, D. SCARANO, A. C. SCIBILIA, A.
NATALE
U.O.C. Anestesia e Rianimazione, Ospedale “Umberto I” Nocera Inferiore (SA)
Obiettivo
Abbiamo valutato la risposta alle manovre di reclutamento manuali e l’impostazione della PEEP post inflazione, nel
danno polmonare dovuto a polmonite e a contusione polmonare traumatica.
Metodo
Sono stati arruolati 10 pazienti con danno polmonare (polmonite n = 5, contusione polmonare = 5). Per entrambi i
gruppi sono stati utilizzati gli stessi parametri ventilatori: tidal volume 7 ml/Kg, frequenza respiratoria/min. 12 – 15, I:
E ratio 1:2.
Le manovre di reclutamento manuali sono state effettuate con insufflazioni sostenute, con pallone da 2 litri, per circa 2
minuti. La PEEP post reclutamento, partendo dal valore di 12 cmH2O, era progressivamente ridotta, fino a raggiungere
il valore di best – PEEP. Se la Pressione Max respiratoria superava il valore di 45 cmH2O con 12 cmH2O di PEEP,
questa veniva gradatamente ridotta di 1 cmH2O. Emogasanalisi arteriosi erano effettuati al tempo 0, dopo 5 minuti e
dopo 6 ore dalla manovra di reclutamento.
Risultati
I dati demografici sono rappresentati nella tabella 1. I livelli di PEEP post reclutamento sono stati rispettivamente 8,8 ±
1,09 cmH2O nel gruppo polmonite e 9,2 ± 1,09 cmH2O nel gruppo contusione (two-sample t test. P = 0,580). Dopo le
manovre di reclutamento manuali si ottenne un miglioramento della PaO2 (Tabella 2).
Tab. 1
Polmonite
Contusione
Mann – Whitney U
APACHE II
18,2 ± 8,5
20 ± 2,7
0,596
LIS
2
2,4 ± 0,5
0,134
MODS
3 ± 1,4
5,2 ± 1,6
0,08
Conclusioni
Le manovre di reclutamento manuali con alti livelli di PEEP post inflazione, hanno aumentato in maniera
statisticamente significativa l’ossigenazione sia nel gruppo contusione, che nel gruppo polmonite.
Tab. 2
PaO2 cmH2O
PaO2 cmH2O
Test t dati appaiati
Tempo 0
post 6 ore
Polmonite
51,6 ± 4,2
78,2 ± 19,5
P = 0,029*
Contusione
58,8 ± 11,5
121,4 ± 51,2
P = 0,025*
*P < 0,05
242
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Dinamica delle nascite e Partoanalgesia all’Ospedale Versilia di Viareggio
C. PANIZZI
U.O.C. di Anestesia e Rianimazione - Az . U.S.L. 12 di Viareggio
SCOPO: Valutazione dell’impatto sull’andamento delle nascite a seguito dell’introduzione di un gruppo di Anestesisti
dedicati all’area Materno- infantile.
MATERIALI E METODI: si analizza il periodo che va dall’inizio dell’anno 1996 fino alla fine dell’anno 2005. Nel
periodo 1996 – 2001 il gruppo di medici che si occupava dell’area materno- infantile era coinvolto anche nella gestione
delle sale operatorie di chirurgia e nelle consulenze ad altre U.O. (Pronto soccorso, medicina, nefrologia, dialisi, ecc.).
Dall’anno 2002 al 2005 tale gruppo si è dedicato, impegnando tutte le proprie risorse, alla sola gestione, sul versante
Anestesiologico, del Dipartimento Materno- Infantile.
RISULTATI: i dati dimostrano in maniera particolarmente eloquente come applicarsi a fondo in un’attività, oltretutto
delicata e complessa come quella della Sala Parto, porti dei frutti straordinari.
Nel primo periodo (1996 – 2001) la percentuale delle Partoanalgesia ha altalenato fra l’8 e il 10% dei parti vaginali,
mentre il numero delle nascite (1197 nell’anno ’96) è andato diminuendo (valore minimo toccato 1030) in accordo con
il trend generale. Nel secondo periodo la percentuale delle Partoanalgesie è andata via, via crescendo per toccare, a fine
2005, il 56,48% dei parti vaginali. Il numero delle nascite ha avuto, altresì, un’impennata superando, sempre a fine
2005, le 1500 unità.
CONCLUSIONI: In un’epoca in cui il numero delle nascite è particolarmente basso in tutto l’Occidente ma,
soprattutto in Italia, ottenere risultati così eclatanti è indubbiamente la dimostrazione della bontà del lavoro svolto ma
anche, secondo me, la riprova che una migliore attenzione e una maggiore cura portata alla maternità potrebbero aiutare
a risolvere il grave problema della denatalità.
Anestesia bisand vs inalatoria bilanciata e TiVA: qualità del risveglio
G.M. PISANU, *A. PEDEMONTE, °Z. PUSCEDDU,^M.R. MELIS, #B. MULAS
Serv. Anestesia - PO S. Giovanni di Dio; *Serv. Anestesia e Rianimazione PO Marino; °Clinica ORL; ^Dipart.
Neuroscienze; #Dipart. Psicologia -Università CAGLIARI
INTRODUZIONE. Permane radicato in molti addetti ai lavori il pregiudizio che la narcosi sia uno “stato di coma
farmacologico reversibile”, condizione che attiene alla patologia dello stato di coscienza, con connotazioni negative,
quali l’assenza di manifestazioni oniriche e il riscontro di risvegli torpidi e protratti. Noi riteniamo che le nuove
tecniche anestesiologiche consentano una riproduzione molto vicina del sonno fisiologico, con le prerogative positive
che questo comporta1: manifestazioni oniriche2, sensazioni piacevoli al risveglio e senso di ristoro propri della classica
“buona dormita”. Per verificare questo principio, abbiamo messo a confronto 3 moderne tecniche di anestesia generale:
l’inalatoria bilanciata (AIBil), con sevoflurano (S.) e remifentanil (R.), la Total Intravenous Anhaestesia (TIVA), con
propofol (P.) e (R.) e la Bilanciata Sandwich, (BiSand), con (S.), (P.) e (R.).
MATERIALI E METODI. Presso il reparto ORL di Cagliari sono stati studiati 174 pz, [112 F (64,4%) e 62 M
(35,6%); età compresa tra 8 e 75 aa] suddivisi in tre gruppi: BiSand 76 pz; AIBil 49 pz; TIVA 49 pz. E’ stato valutato il
tempo di risveglio del pz ed il tempo di risposta orientata. Ai pazienti è stato proposto, inoltre, un questionario con il
metodo del “faccia a faccia” che riguardava l’eventuale esperienza onirica del pz in corso di anestesia [opzioni di
risposta a = si, b = no]. Le tre differenti anestesie, sono state valutate mediante Test non parametrici, il Chi Quadro, e
test parametrici, quali l’Anova ed il Post Hoc Test di Bonferroni. Per l’elaborazione dei dati è stato usato il programma
di statistica SPSS.
RISULTATI. Tempo di risveglio: nel Gruppo (Gr.) Bisand ha oscillato tra 2’ e 10’ (5,48±1,50); nel Gr. AIBil tra 10’ e
15’ (11,28±1,70); nel Gr. TIVA tra 5’ e 25’ (12,77±3,36). Tempo di risposta orientata: nel Gr. Bisand tra 1’ e 4’
(2,01±0,94); nel Gr. AIBil, tra 3’ e 11’ (5,69 ±1,48); nel Gr. TIVA tra 1’ e 11’ (5,32±1,73). Ricorda di aver sognato
durante l’anestesia: nel Gr. Bisand 61 pz su 76 (80,3%); nel Gr. AIBil 13 pz su 49 (26,5%); nel Gr. TIVA 10 pz su 49
(20,4%).
CONCLUSIONI. Le moderne anestesie generali sono molto sicure e gravate da bassa incidenza di effetti collaterali.
La ricerca da noi condotta conferma, tuttavia, che il risveglio dall’anestesia senza complicanze post operatorie,
l’immediata interrelazione dei pz con l’ambiente circostante, l’elevata incidenza dei sogni, sono i fattori che
determinano un notevole apprezzamento per l’anestesia BiSand. Con questa metodica, che utilizza farmaci a cinetiche
rapide con una dose minima di anestetici, si sta arrivando a riprodurre le caratteristiche fisiologiche del sonno3.
243
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
L’atteggiamento osservato in alcuni pazienti, al momento del risveglio dall’anestesia, è analogo al risveglio da un sonno
normale. Sarebbe opportuno tentare di studiare meglio gli effetti di questa metodica anestesiologica, valutandone i pregi
e gli eventuali difetti, in modo tale da condurre l’anestesia generale in un terreno sempre più prossimo a quello sicuro e
garantito del sonno fisiologico.
BIBLIOGRAFIA. 1. G.M. Pisanu, A. Pedemonte*, F. Cossu Anestesia BiSand: variante strategica dell’anestesia
generale. SMART P33, 2003 2. Kasmacher H, Petermeyer M, Decker C. Incidence and quality of dreaming during
anesthesia with propofol in comparison with enflurane Anaesthesist. 45(2):146-531996. 3. G. M. Pisanu Il sogno in
anestesia: un vantaggio o un problema. Atti V Congresso Regionale AAROI- Cagliari 9-12 Giu 2004:64-66
TORAYMYXIN e CVVH nella sepsi addominale complicata da ARDS
PISCITIELLO F.,CIARDULLI E.,FERRARI A.,SCARANO P.,DELLA CIOPPA
N.,MAZZARELLA M.,ESPOSITO O.
ASL Na 1 - Ospedale “S. Giovanni Bosco”. U.O.C. di TERAPIA INTENSIVA.
SCOPO: L’utilizzo di metodiche di emoperfusione per neutralizzare le endotossine ed emofiltrazione per rimuovere
mediatori della sepsi inducono un rapido miglioramento delle condizioni cliniche nel pz settico.
MATERIALI E METODO: Studio osservazionale di due casi clinici.CASO 1Pz M, aa 35,obeso, peritonite
stercoracea per perforazione intestinale; severa dispnea a due giorni dall’intervento chirurgico, FC 122 bpm ,PA 90/60
mmHg sostenuta da espansione volemica, FR 35 a/m, sensorio obnubilato, TC 38.4 C°, SpO2 92%, FiO2 60%, PO2 71,
P/F 118, PaCO2 46, Lattati 2.5, PCR 36.8, Pct >10, ATIII 47% CR 1.6, Btot 2.1, GB 9.8. La valutazione degli indici
impone ricovero in UTI per ARDS secondaria a sepsi, ove si posiziona Helmet per CPAP, si incannula vena femorale
con catetere a doppio lume da 11.5 F ed inizia emoperfusione su colonna di Polimixina B HP-PMX con pompa sangue
80 ml/h per 120’ ripetuto a 24 h. Segue CVVH (pompa sangue 180 ml/h, flusso UF 3000 ml,Eparina 300 U/h,
sottrazione 50 ml/h) per altri tre giorni. CASO 2 Pz M, aa 20, politrauma (scoppio colon dx con secondaria peritonite
stercoracea). A due giorni dall’intervento chirurgico:severa dispnea, FC 120 bpm, PA 100/60 mmHg sostenuta da
espansione volemica, FR 35 a/m, sensorio obnubilato, TC 38.7°C, SpO2 86%, FiO2 35%, PO2 51, P/F 145, PaCO2 28,
Lattati 1.1, PCR 28, Pct >10, AT III 59%, CR 1.8, Btot 2.6, GB 10.1.Si dispone ricovero in UTI ove si posiziona
Helmet per CPAP, si incannula vena femorale con catetere a doppio lume da 11.5 F ed inizia emoperfusione su colonna
di Polimixina B HP-PMX con pompa sangue 80 ml/h per 120’. ripetuto a 24 h. Segue CVVH (pompa sangue 180 ml/h,
flusso UF 3000 ml, Eparina 300 U/h, sottrazione 50 ml/h) per altri tre giorni.
RISULTATI (CASO 1) Al quarto giorno di ricovero in UTI: respiro spontaneo con MdV FiO2 40%, P/F 375, TC 370
C, lattati 0.8, PCR 1.2, PCT < 0.5, ATIII 102%, CR 0.8, BT 1.0,GB 10.1, PA 150/80 mmHg, FC 80 bpm; (CASO 2) Al
quarto giorno di ricovero in UTI: respiro spontaneo con MdV 40%, PO2131 ,P/F 327,TC 36.7° C, lattati 0.6, PCR3.97,
PCT>0.5,ATIII 104%, CR 0.7, BT 0.9, GB 11.00, PA 120/70 mmHg, FC 85 bpm CONCLUSIONI:L’ARDS
secondaria a sepsi è associata ad elevata morbilità e mortalità con lunga degenza in UTI. In questi due casi l’utilizzo di
metodiche di depurazione extracorporea (CVVH) associata ad emoperfusione con Toraymyxin, ha indotto una
risoluzione dello stato settico e dell’ARDS per di più senza necessità di IOT e con
precoce
dimissione.BIBLIOGRAFIA:Blood purification, 2004, n.22, pp. 256-260
Intensive Care Med, 2004, n.30, pp. 1838-1841
Autumn Emergency a Napoli – Ottobre 2005, Criticità e Considerazioni
A.E.ROSSI**, G. BUFFARDI*, R.A. PRUDENTE, R. DE CARO
Direzione Sanitaria ASL NA 1- **Resp. Servizio SIRES ASL NA 1, *Resp. Cot AORN Cardarelli
Gli attentati terroristici dello scorso luglio a Londra hanno provocato una rapida accelerazione dei programmi di
prevenzione approntati allo scopo. Si sono succedute in Italia nelle città più grandi specifiche esercitazioni per testare la
macchina organizzativa per detti eventi. Gli autori descrivono la prima esercitazione antiterroristica svoltasi a Napoli il
22 ottobre 2005. Sono descritti i dettagli operativi del piano predisposto dalla Prefettura in collaborazione con le diverse
forze dell’ordine. Il sistema SIRES 118 e l’UCR sono intervenuti secondo quanto predisposto minuziosamente dalla
Prefettura.
In dettaglio l’esercitazione comprendeva quattro scenari di cui solo tre interessavano la parte sanitaria
dell’organizzazione:
I Evento: Esplosione a bordo di un autobus della linea 140, in transito in Via Partenope, all’altezza dell’hotel Excelsior
con il coinvolgimento di 2 autovetture e 5 passanti. con un bilancio di 7 deceduti, 15 codici rossi, 5 gialli, 15 verdi
244
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
II Evento Esplosione di un ordigno al Varco Immacolatella (porto) con un bilancio di 3 Deceduti, 5codici rossi , 11
codici verdi.
III Evento Esplosione di un ordigno all’interno di un vagone della circumvesuviana, alla fermata del Centro Direzionale
con il coinvolgimento di 5 viaggiatori in attesa, con un bilancio di 16 deceduti, 31 codici rossi, 8 codici gialli 50 codici
verdi
I tre interventi si sono succeduti in un arco temporale che è andato dalle ore 8.15 alle ore 9.35. Sono stati allestiti un
PMA mobile sullo scenario del I evento ed è stato individuato un PMA nelle strutture esistenti sullo scenario del III
evento.
Alle ore 11.00 tutte le vittime erano state processate, stabilizzate ed inviate nei PP.OO.. Sono state impiegate in tutto n.
25 mezzi di soccorso n 40 infermieri 30 medici e 30 autisti.
Criticità:Le comunicazioni radio e telefoniche sono state difficili.Tra le 9.00 e le 11.00 vi sono stati 51 gruppi assenti.
In particolare nel I evento la telefonata di allertamento della centrale è giunta prima alle ambulanze e successivamente
ai vigili del fuoco. Nel III evento non è mai giunta in centrale la telefonata di allertamento in centrale operativa. Alcuni
pazienti sono stati prelevati e trasportati dalle forze dell’ordine senza passare per il PMA.
Considerazioni: E’ necessario che l’UCR Regionale sia coinvolta maggiormente nell’organizzazione e nella
preparazione di questi eventi e che questa coinvolga direttamente la centrale operativa e la ASL che che mette a
disposizione le risorse. Hanno funzionato contemporaneamente, non avendo perfettamente chiari quali fossero i propri
compiti, troppe centrali operative (118, polizia, prefettura e protezione civile).
Rapido e professionale l’allestimento dei PMA nonchè la processazione, la stabilizzazione e il trasporto delle vittime
negli ospedali.
Pronti per eventuali emergenze NBCR? Lo stato dell’arte nella città di Napoli
A.E.ROSSI**, G. BUFFARDI*, R.A. PRUDENTE, R. DE CARO
Direzione Sanitaria ASL NA 1- **Resp. Servizio Emergenza Territoriale ASL NA 1, *Resp. COT AORN Cardarelli
Successivamente ai recenti eventi terroristici che hanno evidenziato i gravi rischi per la pubblica e privata incolumità il
Presidente del Consiglio dei Ministri, in data 28/03/2003, ha emanato un’ordinanza con cui vengono disposte misure
per tutelare la cittadinanza dalle conseguenze di possibili attacchi terroristici. In particolare si richiede di pedisporre
piani di emergenza recanti l’individuazione di interventi medico-sanitari specifici per il rischio nucleare biologico
chimico e radiologico (NBCR).
La Regione Campania con delibera n. 495 del 25/03/04 ha istituito l’Unità di Crisi Regionale (U.C.R.) che assume, in
caso di emergenza, la funzione F2 prevista dalla legge Guzzanti. La U.C.R. assume la gestione della funzione 2
attraverso due suoi “componenti”; il primo opera presso la Sala Operativa Unificata Regionale il secondo opera presso
la Sala Operativa attivata presso la Prefettura entrambe in diretto contatto con la COT. L’UCR ha elaborato procedure
di difesa civile con il coinvolgimento dei DEA cittadini e regionali che, a loro volta, hanno studiato specifici piani legati
ad un eventuale massiccio afflusso di pazienti. In particolare per i DEA della città di Napoli, al fine di verificare
l’eventuale disponibilità di posti letto nei primi 60’ successivi all’evento, sono state fatte indagini a campione sui
pazienti dimissibili. Il primo PMA realizzato in una tenda fornita dalla protezione Civile del Comune di Napoli, in cui
opererebbero 4 medici e 4 infermieri, è attivabile in 30/60 minuti A supporto del PMA saranno disponibili una
ambulanza ed una autovettura. Nella città di Napoli sono presenti presidi di “primo soccorso” (PSAUT) ubicati in aree
strategiche della città; in tali circostanze questi possono essere impiegati come PMA Le sedi sono: Stazione Centrale di
Piazza Garibaldi (h. 24), Aeroporto Civile (h.24), Palazzo di Giustizia del Centro Direzionale (h.12), ex Pretura (h.6),
Castel Capuano (h.6), Tribunale di Pace (h.6). E’ in avanzata fase di allestimento, in accordo con il Ministero della
Salute, l’attivazione di un ulteriore PSAUT nel Porto di Napoli. La ASL NA 1, inoltre, ha in dotazione una stazione
mobile di decontaminazione e i dispositivi per organizzare 12 squadre di decontaminazione anche per le AASSLL
regionali e così divise: sei squadre di decontaminazione per Napoli e provincia, due per Salerno e provincia, due per
Caserta e provincia, una per Avellino e provincia, una per Benevento e provincia. Allo stato attuale si stanno
approntando, in collaborazione con i VV.F, corsi specifici di formazione per il personale del Servizio 118. La
formazione sarà fatta a cascata e riguarderà sia gli aspetti sanitari che quelli tecnico-comportamentali in caso di attacco
terroristico NBCR. La parte sanitaria sarà curata dai 9 responsabile delle C.O.T. 118 della Regione abilitati grazie a
corsi specifici; la parte tecnico comportamentale (uso dei DPI) sarà effettuata dai Comandi Provinciali dei VV.FF
mediante una apposita convenzione stipulata con la Regione Campania.
245
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Airway management: when more hospitals work together
SCOPONI M.1, ADRARIO E.2, VENTRELLA S.1
1
Hospital “A. Murri” ASUR 11, Fermo 2Department of Anaesthesia University of Ancona
Difficult airway management is a critical skill for every anaesthetist. Inadaguate ventilation and difficult tracheal
intubation are very common in anaesthesia practise1, despite the development of new devices and strategies to manage
and secure the difficult airway. The incidences of difficult laryngoscopy (1,5-13%), difficult intubation (1,2-3,8%), and
difficult mask ventilation (0,01-0,5%) are not well defined and are subject to physician variability. Preoperative
evaluation is important to screen patients with high risk for difficult airway management but at the moment there is not
concordance on variables chosen for evaluation. Some anaesthesiological scientific society (SIAARTI, ASA, DAS,
EAMS, ESA and others) proposed guidelines2 to lower the risk of unexpected airway difficulties.
The purpose of this project was to determine whether anesthesiology residents (from 5 Hospitals of Marche) are
receiving specialized instruction in the various techniques and mechanical devices currently recommended for airway
management in patients with anticipated or unanticipated difficult airways.
Although there is not a sctrictly correlation between operator and anatomic clinical predictive score, a routinary use of
the assesment form was useful to sensibilize young and senior anesthetists , not only for the preoperative evaluation but
also for improving the knowledge of guidelines and for a correct management of predictable or unpredictable difficult
airways, nevertheless to prevent and to collect in a systematic way possible adverse events. Debriefing of all critical
airway management shortly after the event might be ideal and may well happen on occasion in individual departments
to focus attention to problems with airway management3.
1. Anesth Anal 2004; 99:1774-9
2. S.I.A.A.R.T.I Difficult Airways Task Force Minerva Anestesiol.2005 in press
3. Anaesthesia 2004, 59:631-635
Postoperative analgesia after major orthopedic surgery: Sufentanyl iv vs Morphine iv
SCOPONI M., DEGL’INNOCENTI B., GALIÈ E., DI SERAFINO G., VENTRELLA S.
Hospital “A. Murri” ASUR 11, Fermo
The aim of this study was to compare sufentanyl vs morphine to control pain after elective major orthopedic surgery.
Methods: case-controlled, prospective, randomized study. 50 patients (20 male, 30 female), age 72,35 + 8,58, weight
73,57 + 12,46, ASA II-III. Patients were allocated in two groups: Gr S (sufentanyl 0,1 γ/kg/h), Gr M (morphine 0,01
mg/kg/h). In each group were associated ketorolac (3mg/h) and ondansetron (0,2 mg/h). Duration 35 hours with
continuous infusion at 2ml/h. Blood pressure, heart rate, respiratory rate, SpO2, VAS at rest, VAS incident, Ramsey
Scale, Bromage Scale, pruritus, nausea, vomiting were registered three times: discharge of recovery room, after 12 and
24 hours. Data were analyzed with t-test (p<0,05).
Results: no statistically differences were found with regard to pain scores, hemodinamics differences and side effects.
Conclusion: we concluded that the postoperative analgesia is effective and safe for both groups with patients
satisfaction.
Patients
Discarge Recovery Room
VAS at rest
VAS incident
Respiratory Rate
Heart Rate
Mean Blood Pressure
Pruritus
PONV
Valutation after 12 hours
VAS at rest
VAS incident
Respiratory Rate
Heart Rate
Mean Blood Pressure
Pruritus
PONV
Valutation after 24 hours
VAS at rest
VAS incident
Respiratory Rate
Heart Rate
Mean Blood Pressure
Pruritus
PONV
246
SUFENTANYL GROUP
25
MORPHINE GROUP
25
4,78 + 7,30
12,61 + 13,89
14 + 2
74 + 8,5
100,00 + 11,7
5
11,30 + 19,37
20,00 + 23,93
14 + 2
75 + 7,5
93,7 + 14,2
5
10,87 + 16,21
27,39 + 19,12
15 + 2
76 + 7
103,00 + 16,2
6
17,39 + 17,89
30,43 + 20,77
15 + 2
77 + 12
92,7 + 11,5
2
3
10,02 + 11,68
21,30 + 17,40
15 + 1
83 + 9,8
101,08 + 12,7
1
4
12,17 + 12,78
21,3 + 13,59
15 + 2
79 + 15
90,00 + 10
2
5
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Esiti di un approccio riabilitativo multidisciplinare in pazienti con gravi cerebrolesioni
acquisite, precocemente trattati in una struttura di neuroriabilitazione con terapia intensiva
VERRIENTI P.1, GISMONDI A.1, CORVINO M.1, LAGNA M.A.1, ALEMFALAKI M. 1,GIGLI
A.1, MASSARI F.1, CORAPI N.1 , CIOFFI L2., PISCITELLI P.2
1
Casa di Cura Villa Verde, Lecce - 2LUM, Bari
Obiettivi. Valutare gli esiti di un approccio riabilitativo multidisciplinare in pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite,
precocemente trattati in una struttura di neuroriabilitazione con terapia intensiva ad alta specialità.
Materiali e metodi. Abbiamo esaminato un totale di 196 pazienti provenienti da rianimazioni con sequele di lesioni
neurologiche acute: gravi compromissioni dello stato di coscienza, del controllo motorio e delle funzioni vegetative,
trattati dal 1999 al 2004 in una struttura di neuroriabilitazione con terapia intensiva secondo un approccio
multidiscipli- nare, con la presenza costante di rianimatori, neurologi, infermieri qualificati in T.I., fisioterapisti,
logopedisti e psicologi, oltre alla disponibilità di vari servizi diagnostici. All’ingresso, i pazienti si presentavano in
coma a seguito di trauma cranico (n=79), anossia da varie cause (n=10), ischemia (n=46) o emorragia cerebrale (n=61)
e necessitavano di assistenza infermieristica e medica continua, monitoraggio costante dei parametri vitali, eventuale
protesi respiratoria e nutrizione parenterale o con PEG/SNG. All’ingresso, 147 soggetti analizzati - dei quali 32 ancora
collegati a ventilatore meccanico - mostravano incapacità ad utilizzare le normali vie aeree senza tracheotomia. I
pazienti sono stati valutati all’inizio e alla fine di un periodo riabilitativo di 3-6 mesi in base al grado di disabilità ed
agli esiti (outcomes) raggiunti per la funzione respiratoria, piaghe da decubito e disfagia.
Risultati. Per quanto riguarda la valutazione del grado medio di disabilità (scala DRS) si registravano i seguenti
esiti, rispettivamente all’ingresso (i) e alla dimissione (d):
- trauma cranico (n=79)
DRS = 3 (i)
DRS = 5 (d)
- ischemie cerebrali (n=46)
DRS = 3 (i)
DRS = 4 (d)
- emorragie cerebrali (n=61)
DRS = 3 (i)
DRS = 4 (d)
- anossie da varie cause (n=10)
DRS = 1 (i)
DRS = 2 (d)
*DRS 3=disabilità estremamente severa DRS 5 = disabilità moderatamente severa
Per quanto riguarda funzione respiratoria, piaghe e disfagia, tra i 196 pazienti considerati si registravano i seguenti
esiti, rispettivamente all’ingresso (i) e alla dimissione (d):
- portatori di tracheostomia:
147 (i)
42 (d)
(-71,4%)
- in ventilazione meccanica:
32 (i)
1 (d)
(- 96,8%)
- presenza piaghe da decubito: 74 (i)
7 (d)
(-90,5%)
- riscontro di disfagia:
180 (i)
59 (d)
(-67,2 %)
Conclusioni. I risultati ottenuti dimostrano la validità di un trattamento precoce dei soggetti con gravi cerebrolesioni
acquisite in una neuroriabilitazione provvista di terapia intensiva.
Le tecniche depurative continue extracorporee: davvero continue?
P. ZANNETTI, M. DI PERMA, A. TROIANO, A. MADDALENA, N. FODERINI, M, LATTARO
U.O. C. Anestesia e Rianimazione P.O. San Paolo ASL Napoli 1
Il ricorso alle tecniche depurative extracorporee è sempre più frequente, specie in ambito intensivistico. E’ oggi indicata
in molteplici condizioni: dalla insufficienza renale a quella epatica, dallo scompenso cardiaco alle intossicazionim alla
sepsi.
Nei pazienti critici le tecniche continue vanno considerate di prima scelta: in tal modo è possibile ottenere una efficace
attività depurante con impatto emodinamico ridotto.
Purtroppo il concetto di “continuo” è puramente filosofico e descrittivo della metodica: studi non controllati hanno
evidenziato una sospensione del trattamento che può arrivare al 30%!
Tali sospensioni possono essere divise in INEVITALBILI (esecuzione di esami fuori dalla sala di Terapia Intensiva,
manovre di RCP, sostituzione di circuiti esausti...) ed EVITABILI.
Queste ultime (gestione degli allarmi, ottimizzazione dei materiali e della metodica, prevenzione dei problemi di
circuito, riduzione dei tempi di sostituzione delle sacche, ecc.) sono state individuate, valutate e “trattate” presso la
nostra U.O.
La conoscenza dei materiali utilizzati, del tipo di circuito, delle problematiche emocoagulative del paziente, della
patologia di base e soprattutto un costante addestramento del personale dedicato alla metodica ha consentito di ridurre
in maniera significativa le sospensioni evitabili.
In questa comunicazione mettiamo a disposizione oltre 6 anni di esperienza con centinaia di trattamenti e i vari
“trucchi” e precauzioni per ridurre i tempi di mancata funzionalità depurativa.
247
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Indice degli autori
Camilletti G., 24
Abramo D.A., 230
Campanile V., 14
Adrario E., 245
Capra C., 19
Agostinis S., 139
Captano M., 241
Aito S., 14
Caputo F., 227
Alemfalaki M., 247
Carbone D., 228, 228, 241, 242
Altamura P., 220
Caretto V., 227
Amici M., 24
Carnelli M., 233
Amitrano D., 218, 225
Carnesecchi P., 229, 230
Ancona G., 237
Carrer S., 234
Antonaglia V., 14
Caruselli M., 24
Apicella A., 225
Castiglioni C., 230
Arezzi B., 230, 231
Catani F., 24
Catarsi S., 218, 219, 230, 231, 232, 232
Baccellini N., 239
Celleno D., 93
Baldesi M., 229, 230
Chiaradia C., 19
Baldi Santocchi B., 239
Chiarugi P., 219, 232
Barbieri S., 73
Ciardulli E., 244
Bardini A., 218, 225
Cichella C., 181
Baroncini S., 17, 226
Cinquesanti A., 28
Basilico S., 234
Cioffi L., 247
Bassani A., 121
Cioni N., 229, 230
Battaglia D., 224
Ciritella P., 31
Benigni A., 198
Ciritella PL, 48
Berardi S., 18
Clavenna A., 33
Berrugi M., 232
Colagrande G., 220, 237
Bertamini F., 187
Colasanti E., 223
Bertelli G., 227
Cominelli E., 34
Biscioni T., 235, 235, 236
Corapi N., 247
Bozzetto P., 139
Corvino M., 247
Brezzi, L., 73
Cosentino M.R., 106
Buccino C., 233
Buffardi G., 244, 245
D’Angelo S., 233
Buonavolontà P., 235, 235, 236
D’Angelo V. A., 42
Buscema G., 14
D’Auria C., 220
Buti G., 227
Dagani R., 234
De Caro R., 244, 245
248
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
De Durante G., 219, 230, 231, 232
Galleschi N., 218
Degl’Innocenti B., 246
Gambale G., 106
De Luca D., 43
Geminiani E., 235, 235, 236
De Martino M., 220, 225, 233
Gigli A., 247
De Meo F., 240
Giretti R., 24
De Natali S., 234
Gismondi A., 247
De Simone L., 235, 235, 236
Giunta F., 219, 230, 231, 232, 232
De Vivo P., 31, 48, 55
Giusti F., 214
Del Gaudio A., 31, 48
Giusto T., 239
Della Cioppa N., 244
Gori G., 106
Di Bartolomeo S., 56
Grana G., 113, 204
Di Fiore S., 57
Gregoretti C., 120
Di Marco F., 228, 242
Gregorini P., 121
Di Pasquale D., 229, 230
Guarguaglini M., 229, 230
di Perma M., 247
Guberti A., 224
Di Salvo C., 230, 231, 232
Di Serafino G., 246
Ingrosso M., 121
Difonzo M., 220, 237
Direttivo SIARED, 156
Jefferson T., 123
Droghetti L., 224
Dru M., 64
L’Abbate V., 124
Lagna M.A., 247
Esposito O., 244
Landi V., 240
Lattaro M., 240, 247
Fabroni S., 239
Lockey D., 125
Fantoni A., 68
LoPardo D., 223
Feltracco P., 73, 187
Loreto M., 241
Ferrari A., 244
Lubrano G., 228
Ferretti A., 24
Luchetti M., 127
Ferri L., 227
Flocco R., 90
Maddalena A., 247
Foderini N., 247
Maggini C., 218, 225
Follini L., 91
Manzoni D., 198
Fonti G., 235, 235, 236
Maratea N., 240
Franchella A., 224
Marcaccini M., 225
Frattini F., 19
Marconcini F., 229, 230
Frigo M.G., 93
Marconcini G., 229, 230
Furnari M., 73
Marra F., 223
Galassini E.M., 109
Marraro G.A., 129
Galiè E., 246
Marri E., 226
249
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Martini P.. 227
Preziuso E., 230
Massari F., 247
Prudente R.A., 244, 245
Matarazzo T., 224, 226
Prudente R.A.
Mazzarella M., 244
Pusceddu Z., 243
Meazza G., 19
Melis M.R., 243
Rana S., 233
Messeri A., 184
Razzi S., 227
Michieletto E., 73
Regoli R., 106
Morelli G., 232, 235, 235, 236
Riondino M., 240
Moroni A., 136
Ripamonti D., 174
Morra A., 139
Rizzi S., 73
Mulas B., 243
Roncoroni P., 19
Rosafio T., 181
Natale A., 228, 228, 242
Rossetti F., 184
Nicastro E., 232
Rossi A.E., 244, 245
Rossi F., 106
Odierna I., 228, 228, 241, 242
Rutili A., 187
Ori C., 73, 187
Orlandini G., 147
Salvaterra F., 73
Santelli F., 24
Pagni R., 24
Saporiti M., 19
Palese S., 241
Sbrana C., 225
Pallotto R., 24
Scarano D., 228, 228, 242
Palmese S., 228, 228, 242
Scarano P., 244
Panizzi C., 243
Scibilia A.C., 242
Paolicchi A., 156, 218, 219, 225, 231, 232
Scoponi M., 245, 246
Pardelli I., 239
Senese I., 220, 233
Pardossi S., 232
Serra E., 73, 187
Pecchioni A., 229, 230
Settembre V., 240
Pedemonte A., 243
Sonzogni V., 198
Peratoner A., 14
Spagnoli M., 233
Pesetti B., 231
Spotti A., 198
Pettinao P., 163
Starita G., 198
Piattellini G., 24
Stridacchio V., 228, 228, 241
Piccolo U., 233
Piller F., 14
Taddei M.. 34
Pintaudi S., 166
Tiberio I., 73, 187
Pinto A., 239
Traversa M., 19
Pisanu G.M., 167, 171, 243
Troiano A., 247
Piscitelli P., 247
Trotta T., 220, 237
Piscitiello F., 244
Udani S., 201
250
Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Napoli 2006
Ugolini G., 233
Vigna M., 113, 204
Umari M., 14
Wetzl R., 213
Vaghi GM., 234
Valtancoli E., 106
Zadra N., 214
Veneziani A., 93
Zamponi N., 24
Ventrella S., 245, 246
Zannetti P., 240, 247
Venturella G., 234
Zanotti F., 224
Verrienti P., 247
Zennaro A., 224
251
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