LA FANCIULLEZZA Dino nacque il 16 Giugno del 1910, nel rione più alto di Tonara, e venne accolto festosamente. La sua famiglia era benestante e numerosa, i suoi genitori erano cattolici convinti, e dopo di lui ebbero altri 6 figli. Il padre era milanese, alto un metro ed ottanta centimetri, la madre era una sarda geneticamente pura, alta un metro e mezzo. Lui da adulto diventò 1.64, ma si comportò sempre come se fosse stato 1.85 Tonara è un paesetto alle pendici del Gennargentu, nella Barbagia, a 900 metri di altezza sul livello del mare. Il paese aveva 4 rioni. Nel 1921 si fece un censimento, e si trovarono 2081 abitanti ad Arasulè, 792 a Toneri, 294 a Taliseri, per un totale di 3167 anime. Ad Ilalà, un rione di due case, non si trovò più nessuno. Tonara, riproduzione di una foto del 1916 Tonara è antichissima. Nella vicina Pedras Lobadas si trovarono vestigia romane del periodo imperiale. I tonaresi erano una popolazione di pastori bellicosi, famosi per le lotte contro i pastori di Belvì, un altro paesetto posto a qualche chilometro verso ponente. E bisogna ricordare che Belvi è il nome che i romani dettero a quella popolazione perchè era particolarmente feroce. D' altro canto aggressività e forza sono scritte nei nomi e nella storia della Barbagia. Il Re dei Vandali, Genserico, vi spedì molti ladri mauretani, che dettero ovviamente la loro impronta caratteriale, ed alla fine gli abitanti, nel 534, vennero chiamati Barbaricini ed quella zona venne definita Barbagia. Ma Dino aveva un carattere abbastanza dolce e conciliante per essere figlio di quella terra. I suoi primi ricordi risalivano a quando la madre, come si usava ai primi del 900 in Sardegna, faceva il pane per la famiglia all' alba, aiutata dalle cameriere. Appena avevano finito il piccolo Dino era pronto, prima di tutti gli altri, a far colazione con quel pane fresco fatto a sfoglia, "la carta da musica", che ricordò con nostalgia per tutta la vita. Ma sopratutto lo attraevano i dolci, e per quelli avrebbe fatto qualunque cosa. Il massimo in questo campo, lo realizzò il giorno prima del matrimonio della maggiore delle sue sorelle: "Mia madre aveva preparato tutte le specialità della pasticceria sarda per il giorno successivo, e le aveva messe sul tavolo della cucina, poi aveva chiuso, per prudenza, la porta a chiave. Però mi aveva sottovalutato". Pensato e fatto: Dino scoprì che la madre aveva lasciato aperto un finestrino per arieggiare la stanza, e riuscì da quello ad intrufolarsi di misura nella cucina. Appena dentro cominciò la festa: "un dolce qua, uno la, uno sopra ed uno sotto", li assaggiò tutti. Però fu accorto, ne prese uno di ciascun tipo, e prima di andarsene ricostruì tutta la disposizione sulla tavola, allargando gli spazi tra i dolci per mascherare i vuoti. L' operazione rischiò di fallire perchè con la pancia piena non riusciva più a passare dal finestrino, ma la fortuna lo aiutò e ce la fece. Pare che nessuno si fosse accorto di nulla, e Lui lo rivelò solo quando si era ormai fatto vecchio. Appena fu in età scolare lo inviarono alle elementari, ad alcuni chilometri da casa, ed ovviamente lui ci andava a piedi tutti i giorni. Quella passeggiata era la parte che lo attraeva di più. La scuola gli piaceva un pò meno, perchè non sopportava le imposizioni, ma riuscì a fare a modo suo senza entrare in conflitto. In particolare non sopportava i controlli personali, come quelli sul "moccichino". In prima elementare la maestra pretendeva di controllare se gli alunni avevano sempre con se "il moccichino" (=fazzoletto), che dimostrava la loro capacità di essere ordinati. Dino non se lo portò mai dietro, e per tutto il tempo della scuola infinocchiò la "Signorina Maestra" mostrandole un lembo della camicia al posto del fazzoletto. Evidentemente riuscì ad infinocchiare anche i suoi compagni di scuola, perchè altrimenti qualcuno avrebbe fatto la spia. Sapeva mantenere il segreto su di se, e questo fu determinante per le sue scelte ed il suo destino. Un aspetto importante della prima parte della sua vita fu il rapporto con i libri . Non aveva mai studiato a tavolino, salvo che per avversità metereologiche. Altrimenti si arrampicava su qualunque albero avesse a portata (proprietà di suo padre o di altri, non metteva differenza, almeno dal suo punto di vista). A tracolla portava una specie di sacca, contenente il pane sardo, la "carta da musica", fatto a sfoglia sottile, che arrotolava intorno ad un pezzo di formaggio di Tonara, e qualche libro. Dino non amava il latino, ma lo conosceva bene istintivamente, come accade spesso ai sardi, che dovettero subire i romani, la loro pax e la loro lex. D' altro canto Tonara viene menzionata per la prima volta in un documento ufficiale redatto in un latino approssimativo, che sanziona la pace tra il re Don Giovanni D' Aragona ed Eleonora Giudicessa d' Arborea (24. Gennaio. 1388):<<Item a Bildosino de Sori Majore villae de Tonara, Arsoco de Lacon et Matthaeo de Querqui juratis ac Francesco Murgia Petro Marras Juliano Uras et Margiano Siche habitatoribus villae proxime dictae>>. Invece amava Geografia e storia. Sino agli ultimi momenti della sua vita fu una vera enciclopedia di informazioni in questo campo. Studiava e sognava paesi lontani, larghi orizzonti, novità impreviste, avventure. La Sardegna, che amò sempre profondamente, iniziava sin da allora a stargli stretta! Quando poteva Dino andava a guardare una casa di Arrasulè, dove una notte del 1829 aveva dormito il principe di Carignano, futuro Re Carlo Alberto. C' era una grande targa a ricordo dell' evento, ed una vecchia, che aveva quasi 100 anni, raccontava di avere cambiato le lenzuola del letto del Principe. Raccontava la storia da sempre, ma nessuno si era mai stufato di starla a sentire. Quelle lenzuola erano diventate, a Tonara, più famose della Sindone. Lo spirito avventuroso del piccolo Dino non si esauriva nelle fantasie. Ogni tanto, per spezzare la monotonia della vita del paese, organizzava una spedizione con gli altri monelli, per rubare la frutta dagli alberi. In Sardegna, terra povera, dalle forti passioni e gelosie, questo gioco può avere conseguenze pesanti, e Dino portò il segno di una di queste spedizioni per tutta la vita. Ovviamente il furto della frutta era solo un gioco. La famiglia di Dino era ricca. Il padre era un grossista proprietario di 5 empori, ed aveva bestiame, ed orti pieni di alberi, ma la frutta del vicino è sempre più buona. "Una volta andai nel campo di un contadino, che probabilmente aveva già ricevuto altre visite. Avevo esplorato il territorio, e non avevo visto nessuno, ed iniziai la scalata dell' albero. Appena iniziato, bum, arrivò una sventagliata di pallini da un fucile da caccia. Il terrore mi mise le ali ai piedi, e riuscii a fuggire, più veloce di un fulmine". Quando si fermò a constatare i danni scoprì di avere 2 pallini di piombo nella coscia destra, "ma avevo la coscienza sporca e sopportai in silenzio il dolore. Coprii le ferite di ingresso dei pallini con delle foglie, e feci finta di nulla." Il grosso problema fu quello di far scomparire i pantaloni bucati, perchè in quei tempi non si buttava mai nulla, e la madre contava regolarmente i capi di biancheria. Per fortuna il proprietario del terreno non lo riconobbe, e nessuno seppe mai nulla, in particolare il padre, di cui aveva un sacro terrore e rispetto. Quella esperienza evidentemente lo segnò profondamente, e Dino fu di una onestà cristallina per tutta la vita. Dino comunque cresceva robusto, ed amava la natura. Cavalcava senza sella e spesso si cacciava nei guai. Una volta volle montare un cavallo selvaggio, ovviamente senza sella. L' animale partì ad alta velocità, e non si fermava. Dino era attaccato alla criniera,e raccomandava l' anima al Padreterno. Alla fine il cavallo si bloccò davanti ad un ruscello e Dino ci finì dentro. Girovagò fino a sera per asciugarsi i vestiti, con le solite foglie appiccicate alle ferite. La notte non dormì per il dolore, e non disse nulla a nessuno per evitare la punizioni. E' continuò a crescere robusto e sano, e sempre più desideroso di avventure. 2 Nel paese si raccontava sempre della nevicata del Gennaio del 1793, quando la neve era arrivata a 10 metri di altezza. Dino aspettava tutti gli inverni per poter dimostrare il suo eroismo. Avrebbe salvato qualcuno in un casolare sperduto. Ma gli riuscì soltanto di aiutare i grandi a spalare la neve, o, se la nevicata era eccessiva, a scavare e puntellare gallerie di comunicazione tra le porte delle case, che si affacciavano in vicoli strettissimi. Lo affascinavano anche le feste del paese, sia perchè si mangiavano i dolci, sia perchè arrivava da fuori gente nuova. Il 13 ed il 14 Giugno, per la festa di S. Antonio da Padova, il cortile della chiesa si riempiva di mercanti. A Dino piaceva girovagare, guardare le merci, e domandare. Ogni tanto qualche pastore compiacente gli raccontava di viaggi, e lui, puntualmente, correva a casa e trascriveva tutto il racconto su un taccuino. La Confessione Dino fu sempre profondamente religioso, anche se viveva la fede in modo non ossessivo, facendola convivere con la sua concezione divertita della vita. A nove anni si confessò per la prima volta. "Un giorno venne al mio paese una missione per la predicazione quaresimale. I frati avevano tutti la barba. Io avevo nove anni, e mi andai a confessare. Il monaco doveva essere un po' sordo, ed avvicinò la faccia alla grata, ed i peli lunghi e folti si infilarono nei buchi. Doveva anche essere debole di vista, perchè pensò che fossi più grande della mia età, e cominciò a chiedermi dettagli della mia vita sentimentale. Io mi emozionai, e mentre cercavo di rispondergli, cominciai nervosamente ad annodare tra loro i ciuffi della barba che spuntavano dalla grata. Imbarazzatissimo gli dissi che mi ero innamorato di una compagna di scuola". Il monaco mi disse: "se ardi dal desiderio corri al matrimonio". "Io mi spaventai, balbettai qualcosa e scappai da mia madre per sapere che dovevo fare, mentre il prete, che aveva ritirato la faccia indietro, urlava e smoccolava per il dolore. Arrivato a casa dissi a mia madre che dovevo sposarmi. "Chi te lo ha detto? mi chiese Lei. Il confessore, risposi. Va bene, però lo farai a tempo e luogo, mi rassicurò la mamma. Ed io mi tranquillizzai". Nei primi anni della sua vita sopravviveva ancora la moda di pireddare: due uomini, i pireddadores, si nascondevano, nelle notti di estate, uno tra le rocce di "Su Toni", e l' altro tra i castagni di "Pizziri-masa", dall' altro lato del paese, ed uno domandava dei vizi delle donne, e l' altro gli rispondeva. Tutto il paese a tiro di voce stava a sentire. Ma Dino rivelò subito il suo carattere. Dopo un pò si stufò e non li ascoltò più. Non era pettegolo, e non lo fu mai in tutta la vita. Piuttosto gli piaceva inventare per gioco, come faceva con sua nonna. Dino amava imbottire la nonna di frottole, ma in fondo le faceva un gran bene, perchè la povera vecchia aveva 90 anni, non usciva più da casa e si annoiava da morire. Lui le imbastiva dei romanzi su tutti i personaggi del paese che lei conosceva, e lo portava avanti a puntate. Le raccontava di fatti misteriosi, di amori segreti, di atti di eroismo, e di gravi misfatti, facendo diventare buoni i cattivi e viceversa. La povera vecchia era credulona, si scandalizzava, e si faceva il segno della croce borbottando "mio Dio, mio Dio, in che mondo siamo ridotti". Il padre, che era un uomo retto, non era d' accordo, ma alla fine si metteva a ridere quando la vecchia gli riferiva ad esempio di aver saputo da Dino che una zitella sessantenne illibata era fuggita sui monti con un pastore più giovane di lei. E se qualcuno le diceva che non era vero rispondeva "voi mi dite così per non farmi addolorare, ma viviamo in tempi brutti". Per fortuna la nonna non vedeva nessuno al di fuori della sua famiglia, e queste boatte non superavano le mura domestiche! Del resto Dino alla fine riequilibrava le cose facendo ritornare buoni i buoni nelle puntate successive, e dei cattivi non si occupava più. Terminava la storia dicendo che Dio ci aveva messo le mani, e la nonna si tranquillizzava, tanto più che la sua memoria vacillante non le consentiva di ricordare quasi nulla. GLI ANNI DELLA GIOVINEZZA Dino frequentò il Ginnasio inferiore e superiore a Cagliari. Non spese, ne allora ne mai, nel corso degli studi successivi, molto tempo sui libri. Anzi, molte pagine dei suoi libri di Legge rimasero sempre unite, perchè evidentemente non usò mai il tagliacarte. Del resto non aveva molto bisogno di leggere, perchè capiva al volo e ricordava tutto quello che gli serviva. Di quegli anni ricordava sopratutto i viaggi in treno. Il treno era a scartamento ridotto, anzi ridottissimo (negli anni 60 la Walt Disney Production ne fece un documentario televisivo!), ed andava a vapore. Per percorrere un centinaio di chilometri impiegava 12 ore. Rallentava prima di tutte le stazioni, e cosi i paesani potevano allontanare le galline dai binari, mentre il capotreno scendeva a prendere il caffè che qualche amico gli preparava. Quando poi il treno iniziava ad affrontare le pendici del Gennargentu, molti dei 3 viaggiatori, Dino in testa, scendevano, ed attraverso una scorciatoia, andavano ad una osteria. Li ricevevano le informazioni preliminari su quello che era accaduto in paese. Poi raggiungevano il treno e risalivano per riprendere il lento viaggio. Qualche volta poi il trenino si trovava davanti un gregge di pecore, e gli uomini scendevano per aiutare il pastore ad allontanare le pecore. Dino in quel periodo era stato nominato, per riguardo verso il padre, che era Sindaco del paese, Membro del Comitato del Fiore (che si interessava dei festeggiamenti in onore del Santo Patrono). Questa onorificenza lo lusingava particolarmente, ed il fatto di tornare dalla città già informato (all' osteria lungo la scorciatoia) degli avvenimenti dei buoni paesani, lo faceva sentire importante. Anche collaborare ad allontanare le pecore dai binari era una espressione della sua magnanimità e democrazia, perchè si sentiva un notabile. Aveva quattordici anni. Dino visse per tutta la vita il contrasto tra le forti radici sarde ed il profondo rispetto per la cultura del suo paese, e la sua natura avventurosa, scanzonata, il modo beffardo e disincantato di guardare la vita, la autoironia. Conservò un ricordo reverenziale dei suoi genitori. Nella madre identificò la carità, la generosità, e fu tutta la vita generoso. Nel padre identificò la giustizia. "Mio Padre viveva col codice alla mano, sempre attento a non avere problemi legali. Una volta litigò con un vicino, che attraversava il suo terreno con il bestiame senza chiedere permesso. La questione fini in tribunale, e mio padre ebbe ragione. Quando fu letta la sentenza, chiamo la controparte e gli disse: adesso che ho avuto ragione, puoi passare". Dino raccontava anche che il padre era meticoloso ed ordinatissimo, si alzava la notte se temeva di aver lasciato una penna fuori posto (un carattere che oggi noi chiameremmo ossessivo), ma lui ne trasse la parte migliore. Lo emulò perchè fu sempre molto ordinato, ma non fu ossessivo. Però, forse, il carattere del padre fu un ulteriore motivo per fuggire dalla Sardegna. Dino aveva un carattere forte, ma certo non era il più forte della famiglia. Il fratello maggiore ebbe in donazione da una zia un bosco, ma gli altri parenti diseredati ricorsero, e vinsero la causa. Il fratello fu costretto ad abbandonare la proprietà, ma la notte prima di consegnarla, con una squadra di operai raccolta fortunosamente, tagliò e portò via tutti gli alberi. Dino raccontava questa storia con orgoglio, ma lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Per fortuna non era un uomo di principio sino a quel punto, e così non rovinò mai la vita a se stesso ed agli altri, e visse, tutto sommato, abbastanza in pace. LA FUGA A 17 anni Dino compì la sua grande impresa, che gli fruttò stima ed ammirazione in tutto il paese. Generalmente, una volta al mese, il padre lo mandava a Cagliari per le operazioni di banca. Durante uno di questi viaggi Dino venne a sapere che il giorno seguente ci sarebbe stato il volo inaugurale della linea aerea Cagliari-Roma. Diventò matto: aveva letto di aerei soltanto sui libri, ma non ne aveva mai visto uno, ne da vicino, ne in volo, nonostante lo avesse cercato spesso nel cielo. Volare era il suo mito, e spesso sognava di fare l' aviatore. Non perse tempo a riflettere, e prima di sera era riuscito a rimediare il biglietto di andata e ritorno. Il giorno dopo fece il volo inaugurale. L' aereo era un idrovolante Savoia-Marchetti, che faceva il volo di sola andata, e tornava il giorno dopo. Il volo durava tre ore, e si ammarava ad Ostia. Quando finalmente l' aereo arrivò era notte, e Dino trovò un alberghetto dove non dormi per l' emozione. Fu una lunghissima notte, con la mente fissa al sogno di fare l' aviatore, con la rivisitazione di ogni minuto di quel volo, ed il sogno di ripeterlo su un aereo dell' aviazione militare. Dino conservava con devozione i ritagli dei giornali, dei pochi che arrivavano sino a Tonara, in cui si parlava di aerei. Charles Lindberg, che fu sempre un suo idolo, aveva compiuto nel maggio di quell' anno, il 1917, il suo grande volo transatlantico solitario, e questa coincidenza per lui era esaltante. Finalmente venne l' alba, e poi l' ora del ritorno. Furono altre tre ore di volo mozzafiato, ma l' aereo ammarò a Cagliari senza difficoltà, e Dino rimise piede sul suolo della Sardegna stringendo il biglietto di andata e ritorno, fondamentale prova di eroismo, che lo avrebbe consegnato agli annali del paese. Sulla via del ritorno a Tonara lo prese la paura che il padre non sarebbe stato contento della faccenda, e per tutto il tempo del viaggio sul il trenino che lo riportava a casa fu tormentato dalla indecisione. Poi vinse la sindrome di Cristoforo Colombo, e passò tutto il mese successivo a raccontare la sua avventura a tutti. I paesani nella maggioranza lo ammiravano, ma le donne più anziane erano diffidenti, perchè pensavano che in quell' affare che volava doveva entrarci lo zampino del diavolo. Il prete non si pronunciò. Il padre rimase inizialmente interdetto, poi gli disse: "In fondo, figlio mio, sai quello che fai". La madre non disse nulla, ma recitò per molte sere delle novene di ringraziamento. E tutto sommato la brava donna ebbe più ragione di tutti, perchè quando Dino tornò a Cagliari il mese seguente, per sistemare i conti in banca, seppe che il volo successivo al suo era caduto in mare. 4 Finalmente arrivò il 16 Maggio del 1928, giorno del suo 18o compleanno. Dino studiava a Cagliari, ma tornò a casa il lunedi, due giorni in anticipo, e passò iml Martedì mattina al Comune, per avere l’ atto di nascita. Il segretaio comunale, nel momento in cui lo rilasciava, sentì il dovere di informarsi: <<a che ti serve>> Dino non esitò: <<è per fare gli esami>>. <<Ma non serve!>> <<è un regolamento nuovo>>, bleffò Dino con assoluta sicurezza. Il segretario si aggiustò gli occhiali, lo guardò con aria severa, e gli disse: <<non è che ti vuoi sposare?>>. <<Tio (=zio) Giovannino- scoppiò Dino, chiamando il segretario confidenzialmente al di fuori di tutte le regole della creanza- ma che, state scherzando?>>. L’ uomo rimase preso in contropiede, e non si sentì più di discutere, borbottò soltanto: <<mah, questi regolamenti scolastici, li cambiano ogni giorno!>>, poi infilò gli occhiali a pince-nez, firmò, e battè sopra il foglio un paio di timbri. Il Mercoledì ci fu la grande festa, ma Dino volle scappare via prima di sera, con la scusa di una interrogazione il giorno successivo, e ripartì con il trenino ansimante alla volta di Cagliari. La mattina del 17 era già al Comando Militare con il suo bravo Certificato di nascita, e la domanda redatta in bella calligrafia, per richiedere di essere accettato come volontario in Aviazione. Aveva a casa una collezione di vecchi giornali che parlavano delle imprese dei grandi aviatori, del Barone Rosso, ed un libro che mostrava gli schemi di tutti gli aeroplani. Per uno stridente contrasto, i suoi libri di greco avevano le pagine intonse, neppure toccate dal tagliacarte, ma quel libro era praticamente “consumato” dal grande sfogliare. Però purtroppo quel giorno ebbe anche la prima grande delusione della sua vita. L’ aviere che prese la domanda la guardo, la riguardò, poi gli chiese: <<dov’è la firma di tuo padre?>>. <<che c’ entra, devo volare io>>. L’ uomo non era in vena di scherzare, e gli disse seccamente: <<qui risulta che sei nato il 16.maggio del 1910, e quindi sei minorenne, ci vuole la firma di tuo padre!>>. Fu una mazzata: Dino sapeva che forse suo padre gliela avrebbe messa, ma la madre non lo avrebbe mai accettato, e Raimondo Tatti non era tipo da dare un dispiacere alla moglie. Dapprima pensò a falsificare la firma, poi ebbe paura e non lo fece. Andò la domenica successiva a Tonara, e provò a convincere la famiglia riunita, ma non ci fu verso. La madre era un angelo di donna, ma era sarda, e per smuoverla quando si metteva in testa una idea, non sarebbe bastato Socrate. Dino tornò a Tonara, ed il suo primo sogno, il più grande, venne miseramente infranto. Dino visse, peraltro allegramente, come era nel suo carattere, anche il contrasto tra la rigida tradizionalità della sua terra, ed una istintiva tendenza alla dissacrazione. Conservò pubblicamente il rispetto delle regole, anche quando divenne vecchio, ma quando era nella sua intimità i giudizi divenivano taglienti, e le sue opinioni molto più realistiche e disincantate. Indubbiamente venne limitato dalla cultura del suo tempo, ma siccome era molto intelligente, riuscì a mantenersi ideologicamente libero, senza che gli altri lo capissero, e ne fossero disturbati. Lo si sarebbe potuto definire un conservatore illuminato, con un grande fair play. Ma da giovane si tradì, e questo lo portò in rotta di collisione con una delle sue sorelle, e purtroppo ne pagò un prezzo moralmente alto. Una delle sue sorelle maggiori si doveva sposare, ed era rito del paese che la sposa comprasse o facesse comprare per il futuro marito una camicia nuziale in un paese vicino. Ma questa volta vi era una opportunità molto migliore di far bella figura. Dino studiava al Liceo a Cagliari, ed i parenti decisero che la camicia la avrebbe comprata lui. La madre gli mandò 50 lire (una somma esagerata per l' acquisto di una camicia), con molte raccomandazioni sulla qualità del capo . Dino inizialmente individuò una camicia da 15 lire, ma poi individuò anche una trattoria molto lussuosa dove i pasti costavano 10 lire. A questo punto scattò in lui la natura ribelle. "Una camicia non è un talismano che porta la felicità. Era stupido pensare che la felicità di una coppia dipendesse da una camicia, anzi da dove si comprava una camicia". Questo fu il background filosofico. Sul piano pratico decise che doveva investire quei soldi in modo più intelligente, e per 5 volte mangiò da gran signore nella trattoria di lusso che aveva individuata. Il guaio fu che al paese non capirono la sua motivazione ideologica, in particolare la sorella, che gli tolse la parola, e non gli volle più parlare per tutta la vita. Non rispose mai alle sue lettere, neppure a quelle, commoventi, che Lui le scrisse, ormai vecchio, e conscio che la morte stava per arrivare. Non tutti ovviamente si comportarono come la sorella: la madre perdonò, anche se non era d' accordo, ed il padre lo rimproverò, ma in fondo gli dette ragione, perchè probabilmente anche Lui trovava sciocca tutta la questione della camicia. Dino comunque in quel periodo non se la prese eccessivamente. In realtà quello che aveva fatto gli pareva giusto. Il padre, quasi per scusarsi dei rimproveri, gli regalò dei soldi, raccomandandogli di non dirlo a nessuno, e lui partì in vacanza premio per l' Abetone. Li seguì con profitto un corso di sci, e vinse una gara per la classificazione Nazionale. E questo gli fruttò una grande emozione. Sua Eccellenza Benito Mussolini 5 lo premiò nella Sala Del Mappamondo. Se la eccitazione gli venisse dalla personalità di chi lo premiava, o dal fatto di essere vincitore, Dino non lo disse esplicitamente a nessuno. E rimase anche questo un aspetto insoluto della sua personalità. Quel giorno fece anche un incontro che avrebbe determinato il destino di gran parte della sua vita. Mentre stava per uscire dalla Sala, al termine della premiazione, un federale lo bloccò, e gli disse, indicando un uomo di circa 40 anni, di altezza media, che era vicino al Duce: <<aspetta, camerata, il Dottor Marchetti ti vuole parlare>>. Non dovette attendere molto. Dopo qualche minuto il Dottor Marchetti si allontanò dal tavolo delle premiazioni, senza preoccuparsi delle formalità, lo raggiunse, e, sorvolando sulla pantomima del saluto al camerata, lo prese sottobraccio, e lo accompagnò nella sala vicina. Quando furono soli si presentò: <<Sono Luigi Marchetti, e dirigo la sezione politca del ministero per le Colonie. Ho apprezzato molto la tua esibizione-si interruppe, guardandosi intorno, poi riprese domandando-s ei sardo vero?>> <<Si, rispose Dino incuriosito-di Tonara, un paese del Gennargentu>>. <<Hai altri sei fratelli, vero?>>, domandò Marchetti distrattamente. <<Come lo sapete?>> <<Non è importante, ti lascio il mio indirizzo, perchè ti potrà servire in futuro-restò un attimo ancora in silenzio, poi riprese-comunque mi farò vivo io. Ti saluto, camerata>>. Alzò il braccio per fare il saluto romano, e ritornò nella Sala del Mappamondo, mentre Dino rimaneva perplesso a guardare il biglietto da visita. Poi si stufò di riflettere, si guardò la medaglia appuntata sulla giacca, e si allontanò pensando: <<boh, chi vivrà vedrà!>>. Era la sua filosofia, e per tutta la sua vita non fu mai particolarmente ansioso o curioso, ed amava fare i fatti suoi. Durante quella permanenza trovò modo di cacciarsi nei guai. Una sera Dino ed un suo amico fecero il pieno di alcol in un paese vicino. Poi decisero di tornare all' albergo con un Bob. I primi chilometri andarono bene, poi l' altro cominciò a scherzare, e Dino, al secondo posto prese a ridere. Il riso è contagioso, ed i due cominciarono a ridere come i matti, ed il Bob finì contro il portone di una abitazione. "Il padrone saltò fuori con lo schioppo, ed io, che avevo già avuto una esperienza del genere, anche se ero tramortito, mi misi a correre, anche perchè stavo dietro, e non avevo subito grandi danni". Al compare andò peggio, ed oltre ad avere il naso rotto, venne anche impallinato. Però anche lui riuscì a scappare, zoppicante. I due si ritrovarono a circa un chilometro dal luogo dell' incidente, e Dino dovette incollarsi l' amico e trascinarlo sino all' albergo marciando nella neve. Nonostante questo incidente tornò a casa felice e soddisfatto, e passò, come al solito, le fredde serate del Gennargentu, seduto davanti al camino, a mettere al corrente la famiglia e gli amici delle sue prodezze. Pare però che non avesse insistito gran che sulla storia del Bob! L' AFRICA Intanto gli anni passavano inesorabili, e Dino dovette partire per il servizio di leva. Andava a servire la Patria, ma siccome era lucido, la retorica del regime non lo convinse, e riuscì a farsi infilare in Sardegna, tra i radiotelegrafisti, che erano un corpo privilegiato .Quando venne il giorno della prima esercitazione, con due squadre, i Rossi ed i Neri. Dino si infilò a trasmettere in una vigna, e preso dalla bellezza di quel posto, dalla magia del tramonto, dei raggi del sole che si frangevano in mille rivoli di luce in mezzo ai filari delle viti, si addormentò, e venne preso prigioniero dalla squadra rivale che lo tenne rinchiuso per tre giorni in un pagliaio. Il resto del servizio militare fu molto meno movimentato. Lo passò a Cagliari, più spesso a casa dei parenti od a divertirsi, che in caserma. Poi venne il congedo, e terminò gli studi. In quel periodo, tra il 1933 ed il 35, la situazione politica internazionale si stava aggrovigliando. Il fascismo aveva delle difficoltà anche all' interno del paese. I disoccupati crescevano, la spinta emozionale sulle generazioni più giovani si stava esaurendo. La teoria del "posto al sole" e dell' "Impero", era stata ormai pompata, e doveva essere in qualche modo portata avanti. La espansione coloniale italiana, che il regime fascista presentava come scelta dettata dal "destino glorioso", era in realtà frutto di queste motivazioni, e veniva preparata proprio in quegli anni sia sui tavoli della diplomazia, che localmente in Etiopia, da una fitta rete di informatori ed agenti. Alcune agenzie commerciali italiane vennero trasformate in consolati, che divennero base di una intensa attività spionistica. Probabilmente la impresa militare contro l' Etiopia, già lungamente pensata dal Duce, slittò per via dei contrasti che esistevano tra Badoglio e gli altri capi militari, da un lato, ed il Generale De Bono, che aveva l' appoggio di Mussolini dall' altro. Il duce forse voleva vedere a capo di quell' impresa un uomo di pura fede fascista, e lo identificava in De Bono. Badoglio invece agiva non tanto per una visione strategica, quanto per una questione di prestigio personale, perchè era convinto che il 6 comando di quella missione andasse attribuito a lui. Stà di fatto che la storia gli dette ragione, perchè De Bono si rivelò in realtà poco capace. Comunque nessuno ha mai capito bene perchè il fascismo si fosse gettato in quell' impresa in un momento storico sbagliato, in cui si affermava piuttosto in tutto il mondo l' idea della indipendenza delle colonie. Il 22.11.34 accadde il famoso incidente di Ual-Ual. Quel giorno il governatore dell' Ogaden, regione appartenente all' Etiopia, ma in cui vi era stata una forte penetrazione italiana, tentò di farsi consegnare appunto il forte di Ual-Ual dai soldati irregolari somali che lo presidiavano. Il forte era stato eretto dagli italiani, ed aveva importanza strategica perchè permetteva, almeno in parte, il controllo di 359 pozzi d' acqua. Gli irregolari somali (i dubat) non si arresero, e chiesero aiuto agli italiani, che accorsero immediatamente. La situazione ristallò per alcuni giorni, durante i quali si susseguirono trattative e scaramucce tra gli Italo somali e gli Etiopici. Fallì anche il tentativo di mediazione Britannica, ed invece si ammassarono truppe da entrambe le parti. Il pomeriggio del 5.12.34 ci fù lo scontro, e gli irregolari somali, i dubat, supportati dagli Italiani, misero in fuga gli Etiopi. Negli anni precedenti gli italiani avevano giocato con l' Etiopia su due tavoli. Da un lato avevano tentato di fare una politica amichevole verso il governo di Addis Abeba, mentre con la rete di agenti fomentavano la tendenza alla ribellione dei capi delle tribù confinanti (la politica "periferica"). Il gioco rischiava però di saltare perchè il Ras Tafari, un progressista abile, riuscì a farsi nominare imperatore di Etiopia con il nome di Hailè Selassiè, e come prima mossa si riavvicinò, sul piano politico e militare, ai capi tribali. A quel punto era divenuto necessario uscire allo scoperto, e l' incidente di Ual-Ual offrì finalmente a Mussolini l' occasione che aspettava. Ignorò Badoglio e gli altri, e decise di inviare De Bono, il 07.01.1935,in Eritrea, perchè assumesse il comando delle truppe dell' Africa Orientale. In quei giorni Dino, terminati i suoi studi, era a casa, e stava pianificando una vacanza. Lo vennero a snidare i carabinieri, che gli consegnarono l' ordine di partire per l' Africa. Uno dei Carabinieri, un maresciallo, conobbe in quella occasione sua sorella e la sposò. Dino dovette rinunciare alla vacanza, e fare in fretta e furia le valigie. L' Italia aveva dichiarato guerra alla' Abbissinia. Faccetta Nera aspettava. Dino non amava la guerra, ed aveva un forte desiderio di riportare a casa la pelle. ma amava viaggiare, aveva sete di avventura, e partì senza troppi rimpianti. Durante la primavera e l' estate si ammassarono truppe in Somalia, e sopratutto in Eritrea. Alle 5:00 del mattino del 3 Ottobre le truppe italiane traversarono il fiume Mareb, senza dichiarazione di guerra, ed in sette mesi circa il Negus (Hailè Selassiè) venne sconfitto. Gli Italiani non si impegnarono gran che, dato che avevano mezzi tradizionali molto superiori, e tecniche più moderne (come armi chimiche, aviazione), che sembra siano state usate in modo estremamente spregiudicato. Dopo avere preso Adigrat, Adua, Axum, ed essere penetrati per circa 50 chilometri in territorio Eritreo, gli Italiani, l' otto Novembre, conquistarono Macallè. A quel punto Mussolini sostituì il tentennante De Bono con Pietro Badoglio, il mitico ufficiale che era stato membro del comando supremo durante la guerra vittoriosa del 15-18. Intanto però il Consiglio Delle Nazioni si era riunito, il 7 e l' 11 Ottobre, ed aveva comminato le Sanzioni Economiche all' Italia, definito Stato aggressore. Nella seconda fase della guerra si susseguirono i successi di Graziani, che aveva la sua base in Somalia, e quelli di Badoglio, in Eritrea, ed il 9 Maggio del 36 Mussolini proclamò la "Rinascita dell' Impero sui Colli Fatali di Roma", e Vittorio Emanuele II divenne imperatore di Etiopia. Così arrivò un altro colpo di grazia sui traballanti equilibri politici internazionali, e l' umanità fece un passo avanti verso la seconda guerra mondiale. Durante quella guerra lampo la fortuna aiutò Dino. Lo lasciarono sempre nelle retrovie, e non dovette mai combattere. Però l' Africa lasciò anche a Lui, come a molti altri, un segno indelebile. Raccontò sempre il fascino di quel paese, il sovrapporsi del freddo intenso della notte al caldo bruciante del giorno. I tramonti e le albe. Dino non si scordò mai di quel periodo: aveva preso il "mal d' Africa". Alle volte il destino è strano. Dino, e gli altri sardi in Abissinia ritornavano verso le origini. I semiti, molti secoli prima, avevano invaso la Sardegna, ed avevano lasciato le tracce del loro passaggio anche nella toponomastica. Ad esempio nell' Abissinia meridionale vi erano paesi come Allai e Baresa, ed in Sardegna ci sono Allai e Barèssa. In Abissinia c'è la montagna Hobodda, in Sardegna Ovodda. E come queste vi sono tante altre simiglianze. Dino, che era attento, e profondo amatore della storia, le annotò tutte in un suo taccuino, con la sua calligrafia piena di svolazzi, e conservò quei fogli ormai ingialliti tra i suoi ricordi. Scrisse in una nota "sembra di tornare indietro nel 7 tempo". Ed in Abissinia si sentì sempre a casa. Quando la guerra finì Dino si rese conto che non aveva gran voglia di tornare in Sardegna. Un po' perchè l' Africa lo affascinava, un po' perchè il suo paese natale era divenuto troppo piccolo, ed un po' perchè dove stava viveva benissimo. Lo scenario politico al termine della guerra era estremamente complesso, ma erano in pochi a saperlo. Gli italiani che vivevano nelle colonie stavano benissimo. Il Regime tentava di convincere sia gli Italiani che i governanti stranieri che la conquista era stata una necessità, ma che l' Italia voleva la pace. Il 24.10.36 il Duce fece a Bologna il famoso discorso dell' "Ulivo e delle baionette", in cui, in sintesi, diceva che l' Italia voleva la pace, ma che avrebbe difeso l' Impero con "otto milioni di baionette". Intanto era aperto il problema della gestione del territorio conquistato, in cui persistevano focolai di guerriglia autonomista. Il Vicerè, il violento Maresciallo Graziani, optò per la soluzione che aveva funzionato per millenni, la polizia segreta, e la realizzò con una serie di personaggi, i commissari ed i residenti, che erano formalmente una sorta di autorità locale di supporto alla popolazione. I compiti dei residenti erano apparentemente filantropici. Dovevano istruire ed aiutare i neri, perchè divenissero degni sudditi dell' Impero. Commissari e residenti vennero reclutati tra i combattenti della guerra d' Africa. Anche Dino venne reclutato, e lo mandarono in Eritrea, ad Asmara. Il rapporto con la popolazione indigena si presentò dall’ inizio piuttosto facile. Gli indigeni erano ben disposti, e piuttosto docili. Lui imparò immediatamente la loro lingua, l’ amarico, e si limitò a controllarli. Ogni due mesi doveva fare un noiosissmo rapporto sulla situazione dell’ ordine pubblico, che finiva regolarmente nel cassetto del Commissario, tale Regazzoni, un vero animale, rosso come un pomodoro,e con la camicia nera tesa su una enorme pancia, e costantemente sbrodolata di qualunque sostanza commestibile o alcolica, fosse in circolazione. Poi dal cassetto di Regazzoni i rapporti finivano nel cestino. Il lavoro era attraente, anche perchè veniva pagato discretamente e dava diritto ad entrare gratuitamente n tutti i locali, teatro, cinema, ovviamente per “controllare la situazione”. Sostanzialmente doveva andare nei villaggi indigeni, comprare qualcosa, e poi parlare con tutti, per avere notizie. Dopo qualche mese giunse dall’ Italia il suggerimento di andare ad insegnare nei villaggi indigeni, il che avrebbe facilitato l’ insrimento dei residenti nel tessuto sociale del paese, e lui andò ad insegnare l’ italiano ai bambini, ed agli adulti che non andavano nei campi a lavorare. Intanto comprò casa nel quartiere bianco separato dal quartiere nero dalla collina di Adda Sciaul, ed prese due cameriere, Rahma e Fatima. In Eritrea gli Italiani vivevano come in una eterna vacanza, senza dubbio meglio che in Italia. Le colonie, come diceva il Ministro Guarnieri, stavano dissanguando economicamente l' Italia, perchè i soldi necessari al loro mantenimento ed allo sviluppo, prima che si riuscisse a raggiungere una autonomia economica, dovevano venire dalla Madrepatria. Bisognava costruire tutto, iniziando dalle strade, e quindi si crearono enormi opportunità di tangenti e di lucro. Si arricchirono tutti, funzionari statali che grassavano, imprese edili che distribuivano tangenti. E' rimasto famoso l' arricchimento selvaggio dei "padroncini", ovvero i proprietari di camion che trasportavano materiale edilizio. La situazione era meno semplice nelle altre regioni, la Amhara, Galla e Sidama, Harar, e nella Somalia, dove gli indigeni erano in pessimi rapporti con i conquistatori, e vi era una situazione di continua rivolta in atto. Inoltre i Commissari ed i Residenti, raccattati in fretta e furia al termine della guerra, erano talvolta dei veri mascalzoni, esaltati e violenti. Quindi, la guerriglia veniva spesso innescata anche dalla loro prepotenza, oltre che dalla spinta nazionalistica delle popolazioni indigene. Inoltre, vi era stato un flusso di emarginati e delinquenti dall' Italia verso le colonie, un prezzo da pagare ogni volta che si crea una nuova frontiera, e costoro avevano ovviamente portato delinquenza e violenza. Erano arrivati anche i fascisti, con il mito della superiorità della razza inculcato nel cervello. Ad Asmara fortunatamente questo clima non si sentiva gran chè, anche perchè gli Eritrei godevano di uno status ,particolare e si viveva la vita di una ricca cittadina di provincia. La situazioe era ottimale, ma l’ equilibrio rischiò di interrompersi bruscamente dopo l' attentato a Graziani. Il Vicerè era sempre stato un uomo violento, rozzo e privo di scrupoli, ma quando, il 19 Febbraio del 1937, ad Addis Abeba, mentre assisteva alla distribuzione dei talleri ai poveri, gli tirarono addosso delle bombe a mano, e lo spedirono per 78 giorni all' Ospedale dell Italica Gens , diventò una belva. Quello che seguì fu un periodo di terrore. I servizi segreti scatenarono una repressione violentissima. Una mattina di Marzo, Dino, rientrò ad Asmara dal solito giro di lezioni, che lo aveva portato sino a Gondar, trovò una lettera scritta con la caligrafia semi illegibile di Regazzoni, in cui c’ era scritto “ Camerata, in quest’ ora drammatica, il destino ci ha chiamati tutti a raccolta nel nome del Duce e Del 8 Re Imperatore, e noi dovessimo essere presenti, quindinpertanto devi venire da me domani mattina alle oto del mattino”. Dino chiuse il foglio con un gesto di stizza. Anche una cambiale sarebbe stata meglio di una convocazione di Regazzoni. Si sedette, tirò fuori la matita rossa e blu che usava quando faceva lezione, e sottolineò gli errori, e decise che la mattina dopo gli avrebbe rimesso la lettera sotto il naso. Nulla avrebbe potuto far irritare di più il Federale, ma non averebbe potuto obbiettare nulla. La mattina successiva arrivò ostentatamente alle nove, e vide un altro residente che usciva dalla porta del federale a testa bassa, e non lo guardò neppure in faccia. Mentre si avvicinava alla porta, sentì arrivare dalla camera di Regazzoni un rumore protratto, liberatorio, a piccole esplosioni ripetute, una inequivocabile scorreggia, e d’ altro canto l’ uomo era noto per la sua abitudine di mangiare fagioli, che difficilmente digeriva. Chi lo conosceva bene sosteneva che iniziava a ruttare già alla fine della cena, e che la moglie aveva l’ abitudine di dormire nel bagno per non morire asfissiata. Quando entrò, senza sprecarsi a bussare, Regazzoni stava recuperando la posizione eretta, al termine di un goffo tentativo di imitare le flessioni del Duce, e stava emettendo un altra formidabile scorreggia. Dino guardò in direzione della finestra, e si sentì più tranquillo: era aperta. Il federale lo guardò, e diventò ancora più paonazzo del solito, poi si tirò su la cinghia dei pantaloni, si dette una poderosa grattata sulla zona dove approssimativamente doveva avere i genitali, e sbottò: <<ti avevo detto di venire alle otto e mezzo, e quando parlo io, FEDERALE REGAZZONI, bisogna scattareee!>>. Dino lo guardò con aria di sfida e disse: <<sono venuto quando ho potuto!>>. Regazzoni si gonfiò come un tacchino, e gli scoppiò un bottone della camicia, ma non se ne accorse neppure, e urlò: <<Tu, camerata, non fai un cazzo!! sei qui per far arrestare ed impiccare questi fottuti negri!>>.Dino perse le staffe: <<io faccio arrestare la gente che fa dei reati, non chi fa piacere a te, cappone!>>. Regazzoni portò la mano alla fondina della pistola per estrarla, ma Dino, che aveva venti anni meno di lui, e quaranta chili di meno, lo precedette, e gli tirò una violenta pedata sulla mano, prima che potessere arrivarci. La situazione stava diventando tragica, e Dino era spaventato che potesse entrare qualcuno, che avrebbe potuto prendere le difere del Federale. Gli tolse la pistola dalla fondina, gliela puntò contro, e gli disse: <<stai zitto, pezzo di maiale, se no ti faccio saltare il cervello>>. Arretrò e chiuse la porta, senza perdere di vista il Federale, poi girò la chiave nella toppa. Si rese conto che era andato troppo oltre, se pur era vero che non c’ erano stati testimoni, la sua parola valeva poco contro quella di Regazzoni. Si calmò, fissò l’ uomo, che era addossato al muro, ed ancora terrorizzato, e gli disse: <<adesso calmiamoci, se no finisce male. Non ti permettere mai più di aggredirmi in questo modo.>> Regazzoni fu prudente, recuperò la calma, e disse: <<va bene, calmiamoci, ridammi la pistola>>. Dino scaricò i proiettili e gliela rese. Regazzoni recuperò il suo solito colorito da pomodoro marcito, e si scostò dal muro. Dino sentì un odore nauseabondo, e vide che i pantaloni dell’ uomo, sul davanti, erano bagnati: si era pisciato sotto dalla paura! Nonostante la serieta della situazione gli venne da ridere. Il federale era incerto sul da farsi, e cominciò a parlare con tono di voce più calmo: <<da quando sei qui non hai mai dato informazioni che hanno portato ad una operazione di polizia. Io che dico a Roma, che non ci sono fottuti negri delinquenti qui?>>. <<i negri delinquenti li deve arrestare la polizia, io mi devo occupare di prevenire ed insegnare il rispetto per il Re ed il Regime, e lo faccio>>. <<Non fai un cazzo!>> sbraitò Regazzoni. Dino perse di nuovo la calma: <<prima di tutto tu non sai cosa faccio, perchè non hai mai letto le mie relazioni, ammesso che tu sia in grado di leggere, almeno a giudicare da come scrivi!>>. frugò furiosamente nelle tasche, trovò il foglietto che aveva ricevuto la sera prima, e che aveva corretto con il lapis rosso e blu e glielo gettò sul tavolo, poi fece dietro front ed uscì sbattendo la porta. Appena sceso in strada, sentì la voce di Regazzoni che si era sporto dal balcone, e strillava: <<comincia a contare le ore, che sei fottuto!>>. Alzò le spalle e proseguì la sua strada. All’ altezza della caserma della Milizia Volontaria aveva smaltito a sufficienza la rabbia, e cominciò a ragionare più lucidamente: certo era un guaio grosso. Regazzoni era un selvaggio molto facinoroso e vendicativo. Non era molto amato, ma per l’ età e la posizione che rivestiva, aveva un certo potere. Probabilmente avrebbe cercato di farlo rimpatriare, e magari si sarebbe vendicato su Fatima e Rahma, le cameriere. Bisognava pur trovare una via d’ uscita. Non aveva voglia di tornare a casa, e siccome quando era agitato gli veniva sempre fame, andò difilato al Ristorante Italia. Il ristorante era preferito dalla piccola e media borghesia di funzionari statali, e proprio in quei giorni aveva cambiato gestore. Partito il simpaticissimo Mario l’ Abbruzzese, un omino piccolo dell’ Aquila, che era tornato in patria per riprendere possesso dei poderi che gli avevano lasciato i genitori, la gestione era passata da pochi giorni ad Aldo, un uomo di media statura, molto grasso e laido, con una moglie ugualmente grassa. Avevano anche una figlia di 16 anni circa, brutta pure quella, e con un sedere ingombrantissimo che le 9 creava notevoli difficoltà nel passare tra i tavoli del locale, ed un maschio allampanato, probabilmente maggiore di età , che guardava con occhi libidinosi tutti i ragazzini che entravano con i genitori nel locale, e non perdeva occasione per toccarli. Fortunatamente c’ erano il cameriere e la cuoca di colore lasciati da Mario. Dino pranzò con molta calma, poi tornò a casa a cambiarsi. Le sue cameriere, Fatima e Rahma videro che il padrone era scuro in volto, ma non dissero nulla. Dino sedette in salotto a bere un Amaro del Carabiniere, e guardò l’ orologio: erano le diciannove, e decise di uscire a fare due passi. Arrivò sino al Bar Italia, entrò e chiese uno sciroppo di menta. Mentre aspettava si sentì battere una mano sulla spalla, e si girò. Rimase per qualche secondo interdetto: un uomo circa della sua età, vestito con raffinatezza, con i lineamenti marcati, ed una sigaretta accesa nella mano destra, lo guardava sorridendo, e gli disse, con un marcato accento sardo: << ti ricordi di me, Dino?>>. <<veramente..., forse ho presente la fisionomia, ma....>>. <<sono Giovannino Sulis, siamo stati insieme al Liceo, a Cagliari>>. Dino frugò nella memoria, e si ricordò di Giovannino Sulis, un ragazzo estroverso, che aveva un paio di anni più di lui, e che stava due anni avanti a lui con gli studi. Avevano avuto sempre una conoscenza molto superficiale. <<Si, mi ricordo, e tu cosa fai qui?>>. <<beh, io sono azionista e direttore di una impresa commerciale di Importazioni ed Esportazioni, ed ho anche un banco vendite al mercato, che sta andando bene. E tu, come te la cavi?>>. <<Io sono funzionario governativo, solo che le cose in questo momento, dopo l’ attentato al Vicerè, sono piuttosto complesse.>> <<Già- osservò Sulis- hai mai pensato di cambiar lavoro?>>. <<Non so...>>. Sulis lo interruppe: <<tu sei intraprendente ed in gamba. Sai Asmara è piccola, e mi hanno parlato di te. Se volessi cambiare lavoro, diciamo fare un lavoro più interessante, io ti potrei aiutare. Tu hai il vantaggio di conoscere molto bene l’ ambiente>>. Dino si chiese come facesse Sulis a sapere di lui, comunque mandò avanti il discorso: <<si, possiamo parlarne>>. <<Va bene, ti do l’ indirizzo, e domani mattina, alle nove, vieni da me. Il mio ufficio è in fondo a Viale De Bono, a sinistra, al numero 133, e lo vedrai perchè c’è un gruppo di palme intorno alla casa. Sali al secondo piano, e troverai anche un amico comune>>. Poi Sulis troncò quel discorso, e cominciò a parlare dei ricordi della scuola, dei professori, delle ragazze. Bevvero anche parecchio, e quando Dino tornò a casa era piuttosto alticcio. La mattina dopo si alzò presto, ed andò a piedi in centro. Alla fine di vilae Mussolini piegò a sinistra, davanti all’ Ufficio del Telefono e del Telgrafo, e prese viale De Bono. Camminò per circa 20 minuti, con il suo solito passo da bersagliere, impeccabile nei vestiti coloniali. Non faceva ancora molto caldo, e la giornata era serena. Ad un certo punto vide il gruppo di palme, ed il palazzetto a due piani, col numero 133. Entrò, salì al secondo piano, e vide la targa: UFFICIO DI IMPORTAZIONI ED ESPORTAZIONI DIRIGENTE DR. GIOVANNINO SULIS Bussò, e gli venne ad aprire una graziosa segretaria, probabilmente di Bologna, a giudicare dall’ accento, e lo portò subito da Sulis, che stava controllando una montagna di carte. <<Sono documenti di consegna dei materiali,- spiegò l’ uomo-accomodati, che finisco subito>>. Dopo 2 minuti Sulis si sbarazzò delle carte, che dette alla segretaria, chiuse la porta del corridoio, ed aprì la porta di comunicazione tra il suo studio ed un’ altra saletta interna, dove c’ erano tre poltrone ed un tavolino, e su questo la foto di una donna ed una bambina, presumibilmente moglie e figlia di Sulis. Dino aguzzò lo sguardo: la donna era una farmacista di Macomer, con cui era stato fidanzato molti anni prima, ma non battè ciglio. Poi vide una cartella poggiata sul tavolino, con scritto Dino Tatti, ma rimase ugualmente impassibile. I due uomini si sedettero, e Sulis iniziò a parlare: <<è bene che io sia chiaro sin dall’ inizio. L’ incontro di ieri sera non è stato casuale, ma è stato preparato da molto tempo. Io faccio parte di un gruppo di persone che segue la tua attività da molti anni, e ti stima. Il tuo nome ci è stato fatto, già molti anni fa, da Antonio Piras, il Professore di Storia e Filosofia che avevamo al Liceo, a Cagliari, lo stesso che ha fatto anche il mio nome. Nel corso di questi anni sei stato seguito con interesse, ed era previsto che io ti contattassi , per reclutarti. Di recente abbiamo saputo del diverbio che hai avuto con Regazzoni, ed il contatto è stato anticipato. Ora noi vorremmo aiutarti ad uscire da quella situazione>>. Dino lo interruppe: <<scusa, Giovannino, non mi hai detto a nome di chi stai parlando!>> <<hai ragione, devo essere più chiaro: io sono del controspionaggio italiano>>. In quel momento suonò un campanello, e Sulis si alzò dicendo: <<è arrivato il mio capo, che tu hai conosciuto, adesso te lo presento, scusami>>. Uscì dalla porta, e rientrò dopo un minuto con un uomo di circa 4550 anni, che Dino identificò quasi subito come la persona che gli aveva parlato il giorno della premiazione della gara di sci dell’ Abetone. <<Il Dottor Marchetti- annunciò Sulis-, il capo del Servizio Segreto. Vi lascio soli>>. Mentre l’ uomo usciva Marchetti e Dino si strinsero la mano, e si 10 sedettero uno davanti all’ altro. Iniziò Marchetti: <<ti ricordi di me, vero?>>. <<Si>>. <<Come avrai capito, ti seguiamo da anni. Non ti devi offendere, ma è la nostra prassi per essere certi della serietà e della affidabilità delle persone che lavorano per noi. In questo fascicolo- indicò la cartellina su tavoloc’è tutto il Know su di te, anche la questione della moglie di Sulis>>. Alzò le spalle come a dire “fesserie”, poi riprese: <<ti consideriamo la persona adatta a noi, cioè al controspionaggio. Il nostro lavoro è diviso in due branche, la attività di controllo sulla fuga di informazioni,in cui sono coinvolti prevalentemente traditori italiani, e quella di penetrazione, sobillazione, ed appoggio ai ribelli neri, che viene svolta da infiltrati Inglesi e Francesi. Qualche volta questi infiltrati sono italiani al soldo di potenze nemiche. Io penso che la tua conoscenza dell’ ambiente, ed in particolare dei neri, sviluppata in anni, può essere estremamente utile alla nostra counterintelligence>>. Dino notò che Marchetti aveva il vezzo delle parole inglesi. Era strano che potesse permetterselo nel contesto della cultura fascista. Si ricordò anche che quando lo aveva incontrato la prima volta, aveva notato che nel lasciare la Sala del Mappamondo per andargli incontro, il Direttore era stato estremamente disinvolto, addirittura non aveva salutato il Duce. Deve essere un uomo molto potente, pensò. Marchetti intanto, riprese a parlare: <<so anche che hai litigato con quella testa di rapa di Regazzoni, e che sei preoccupato per la sua vendetta. Io ti offro la mia protezione, ed un impiego come funzionario governativo. Sarai Ispettore Capo, e formalmente ti occuperai del controllo delle concessioni edilizie e del funzionamento degli impianti produttivi. Sul piano pratico dovrai mantenere i contatti che hai con la popolazione indigena, per controllare la esistenza di eventuali infiltrazioni di sobillatori, o il passaggio di forniture di armi>>. Dino aveva ascoltato senza parlare, ma capì che era arrivato il suo momento, ed intervenne: <<e’ una offerta affascinante, ma ho bisogno di sapere alcune cose. Primo, se rimango in Africa , chi mi salvaguarda dalla rappresaglia di Regazzoni, che è un violento e che comunque metterebbe a rischio eventuali operazioni fatte per voi solo per il gusto di vendicarsi di me. Secondo, vorrei sapere i limiti del lavoro che mi chiedete, cioè se....>> Marchetti lo interruppe: <<non c’è bisogno che tu mi chieda altro. Regazzoni va a farsi fottere, io non devo spiegargli nienete. Semplicemente domattina lo chiamerò e gli dirò di levarsi dai coglioni. Quell’ essere è un verme ributtante, e non ne sentirai più parlare. Per il secondo argomento, i limiti che hai, vedrò di essere molto chiaro. Tu devi occuparti di raccogliere informazioni su quello che accade tra la popolazione infùdigena, ma non ci saranno rappresaglie su di loro. Il mio e tuo compito è bloccare francesi ed inglesi che li sobillano, o che danno armi, e di fermare gli italiani che fanno questo lavoro per conto di potenze straniere. Io non faccio rappresaglie sulla popolazione indigena, non è il mio lavoro>>. Rimase qualche secondo sopprapensiero, poi disse: <<anzi, secondo me molti di questi neri sono dei patrioti>>. Poi tornò al filo del discorso: <<tu conosci l’ amarico, e conosci i neri, e puoi sapere facilmente tutto quello che accade. Se devi comprare qualcuno chiedi i soldi, e ti verranno dati. Se durante il lavoro scopri qualcosa che eccede i tuoi compiti, dovrai parlarne con me. Io sono tutte le mattine nel mio ufficio nel Palazzo del Governo, ma in quella sede parleremo solo del tuo lavoro ufficiale. Quando dovremo parlare di affari del controspionaggio ci vedremo qui o fuori. Se avrai bisogno di me vieni in Ufficio, e fammi un qualunque segno, senza parlare, e ed io ti ricercherò>>. Mentre il Direttore parlava, Dino guardava la parete di fronte, rivestita da una carta damascata rossa. La unica finestra di quella stanza aveva un controvetro e tende di un tessuto molto pesante. A giudicare dallo spessore delle pareti ci doveva essere un certo isolamento acustico. Davanti a lui c’ era uno specchio, e fissò a lungo la sua immagine riflessa. Faceva sempre così per concentrarsi, ed anche un po’ per narcisismo. Quando il Direttore ebbe finito di parlare, gli chiese a bruciapelo: <<ci sono zone oscure, o personaggi intoccabili?>>. Marchetti ebbe per un attimo una espressione di sorpresa, poi disse: <<francamente penso di si, ma non ne ho la sicurezza. Comunque ti ho già detto che sarà necessario che tu mi riferisca su ogin situazione che presenta lati oscuri>>. La conversazione si spostò successivamente sui dettagli della assunzione di Dino, che si sarebbe fatta il giorno successivo. Verso le 11:00 si salutarono, e per primo uscì Marchetti, dopo Sulis, e per ultimo Dino. Durante quel periodo, il Vicerè, ormai ristabilitosi, decise di andare in viaggio attraverso l' Impero, anche per dimostrare a tutti la sua capacità di recupero. Il 10 Agosto partì per Asmara, guidandosi da solo la macchina per migliaia di chilometri. E dimostrò ancora una volta la sua eccezionale intempestività, perchè nella metà di Agosto scoppiò la rivolta di Lasta, che lo bloccò sino a Settembre ad Asmara. Nel Dicembre del 37 Graziani finalmente venne rimosso. Quando la notizia venne ufficializzata per Dino, e non solo per lui, fu un gran giorno. Il 10 Gennaio del 38 graziani partì da 11 Addis Abeba. Dietro di se lasciava un vero e proprio genocidio, e gli stessi bianchi più spietati cominciavano a preoccuparsi della vendetta degli indigeni. Tutti sapevano che doveva essere sostituito dal Duca D'Aosta , un uomo senza dubbio di altro livello intellettuale e morale. Amedeo D' Aosta scese dall' incrociatore Zara la mattina del 22 Dicembre 1937, e trovò una situazione di grave turbolenza. Nel Goggiam la rivolta era assolutamente incontrollabile, e l' Impero non era tranquillo da nessuna parte. Gli Italiani tenevano in pugno le città, ma i territori extraurbani erano sostanzialmente in mano ai ribelli. Il Duca comunque non era Graziani! si appoggiò al Generale Nasi, una persona profondamente corretta, e negli anni che rimase al potere migliorò di molto i rapporti con gli indigeni e pose fine al genocidio. Purtroppo ci volle molto tempo per normalizzare la situazione, perchè tra governatori esaltati e funzionari ignoranti, o razzisti ed arroganti, non gli resero la vita facile. Giovedi dieci Marzo 1938 era una giornata tiepida, c’ erano solo le prime avvisaglie dell’ inverno che stava per cominciare, e, terminato il lavoro di ufficio, alle 14 Dino andò a pranzare, come faceva molto spesso, al Ristorante Italia. Sedette al tavolo più distante dalla porta per controllare la sala. Il Ristorante aveva avuto molti proprietari, e l’ ultimo, Aldo, era un vero “zozzone”, un uomo di circa 60 anni, di media statura, con i capelli perennemente grassi e lo sguardo libidinoso. Di recente aveva rispedito in Italia la moglie grassa e schifosa come lui insieme ai due petulantissimi figli, ed aveva preso in casa una giovane nera molto bella. C’ erano mille motivi per rispedirlo in patria, se non altro perchè i regolamenti non permettevano di convivere con donne di colore, ma veniva lasciato in pace perchè era un informatore. Venne a prendere l’ ordinazione una ragazza di colore. Era molto slanciata ed elegante nei movimenti, ed aveva lineamenti delicatissimi. Aldo la raggiunse per dirle qualcosa, e Dino sentì che si chiamava Zeaidita. Mentre passava controluce la vide bene: era realmente molto bella, piuttosto alta per la sua razza, e con la sagoma slanciata, ed attraverso i veli si intravvedevano i seni turgidi. La ragazza si chinò per prendere l’ ordinazione, e Dino notò che aveva un intenso profumo di fiori selvatici, ed un pensiero divertente gli traversò la mente: “si sarà messa il profumo per quel maiale di Aldo?”. Zeaidita disse: <<Aldo ti deve parlare>>, e Dino non battè ciglio ed ordinò il pranzo. Mentre la ragazza si allontanava la seguì con lo sguardo, e notò che era un po’ grossa dalla vita in giù, come moltissime donne di quella razza, ma che era anche molto sensuale nel muoversi: forse stava con Aldo, per soldi, o perchè qualcuno ce la aveva mandata. La Intelligence Britannica usava delle ragazze nere che si prestavano ai desideri sessuali di qualche gerarca per spiare, ma Aldo era un miserabile informatore, che avrebbe parlato per 2 lire. Aldo intanto si era avvicinato al tavolo, aveva preso una sedia, e ci si era messo a cavalcioni al contrario, con gli avambracci sullo schienale, domandando ad alta voce: <<come stai, Dino?>>. In realtà Dino stava benissimo, ma a guardare nel muso quel maiale gli dava il voltastomaco. <<Bene-rispose, poi abbassando il tono di voce- che sai?>>. <<Ho delle informazioni importanti. Sai, avrei potuto parlare con molta gente, ma ho aspettato te perchè sei un amico. Però passo un brutto periodo, pare che la gente non abbia più fame, e con il pericolo della guerra tutto costa più caro. Quei delinquenti degli autotrasportatori, poi.....>>. Dino lo interruppe, anche perchè non sopportava più l’ alito fetido di quell’ uomo: <<va bene, smettila di rompere le scatole, ti do 25 rupie, e neanche un soldo di più>>. <<Ma il governo ha un sacco di soldi!>>. <<Si, ma non ti darà lo stesso più di 25 rupie!, adesso parla>>. L’ uomo era untuoso, e faceva sempre la stessa solfa: piagnucolava, si lagnava, minacciava, poi alla fine parlava per una manciata di rupie, e come previsto dal copione Aldo ricominciò: <<io potrei vendere questa informazione per un prezzo molto maggiore, ma il fatto è che tu sei un amico e ti voglio aiutare nella carriera. Ho un altro offerente...>>. <<Aldo-Dino lo interruppe nuovamente, un po’ per zittirlo, ed un po’ per divertirsi a spaventarlo-sai che io ti proteggo come posso, ma in Ufficio hanno un rapporto su te e la ragazza. Ti potrebbero rimandare a casa da oggi a domani, ma io sino adesso sono riuscito a proteggerti>>. Aldo si agitò: <<la ragazza per me è una figlia, te lo giuro! La ho sempre aiutata perchè sono un uomo di cuore!>>. <<Io ti credo-replicò Dino, sforzandosi di non ridere davanti alla faccia angosciata del pancione-ma non ti credono in ufficio>>. Aldo sbuffò: <<va bene, facciamo 30 rupie>>. Dino annuì, e quello continuò: <<in città è arrivata una macchina grossa, sportiva, una Alfa Romeo 6 cavalli Super Sport, con due persone che girano per il villaggio Razza>>. <<Chi sono?>>. <<Non lo so, ma certamente uno è un funzionario del Governo di Addis Abeba, ed un altro è un militare di alto grado>> <<chi cercano?>>. Aldo guardò verso la cucina, dove si intravedeva la figura snella di Zeaidita intorno ai fornelli, e disse, comunque questa, tu lo sai, è una informazione che mi costa cara, tu sai che si rischia..., dammi altre 20 rupie>>. <<Te ne do 10, vai avanti>>. <<Hanno parlato con un uomo di Ras Tafari, e con un bianco, forse uno straniero, che gira con altri due 12 italiani>>. Dino era preoccupato: non era possibile che due ufficiali si permettessero sfacciatamente di andare a raccogliere informazioni, per di più con una macchina appariscente come la 6 cavalli Alfa Romeo, carrozzata Pininfarina, senza che l’ Intelligence italiana ne sapesse nulla. Comunque, pensò, non doveva essere difficile scoprire chi erano, ed i loro contatti. Scoprire invece chi era lo straniero sarebbe stato più difficile. Nel Servizio Segreto Italiano i rapporti erano rigidi, e Dino si sarebbe dovuto occupare solo degli affari interni che riguardavano la popolazione indigena, per controllare i rivoltosi. Se si interessava di altre cose, lo faceva a suo rischio e pericolo, e senza copertura. Finì di mangiare e pagò il conto, includendo i soldi per la informazione, e se ne andò. Lunedi quattordici Dino andò al mercato indigeno per raccogliere informazioni: comprò una pelle, poi andò a bere il thè sotto la tenda di Menelik, un nero che, oltre a vendere bevande, vendeva sporadicamente informazioni di scarso valore. Scostò la tenda e sbarrò gli occhi: accoccolata in terra c’ era Zeaidita. Quando la ragazza lo vide si alzò e disse: <<sono venuta perchè avevo bisogno di parlarti. Aldo non sa che sono qui>>. <<Cosa devi dirmi?>> <<Aldo sa delle cose più importanti di quelle che ti ha detto, ha saputo che un gruppo di Italiani, che ha dei potenti appoggi nelle sfere del Governatorato di Addis Abeba, stà fingendo di agevolare il passaggio di soldi ed armi provenienti dall’ Inghilterra, alla Resistenza indigena. In realtà il progetto di questi uomini è invece di impadronirsi dei soldi, e di spingere i miei compatrioti al massacro in qualche imboscata dell’ esercito Italiano. Il mio popolo deve liberarsi da solo, e pacificamente, magari trovando un modo di convivere con voi con maggiore dignità, e non deve essere truffato>>. Dino, come era nella sua natura, andò al sodo:<<Chi sono i traditori italiani?>>. <<non lo so, ma il penultimo giorno di questo mese andranno a casa di Mohamud Nur, un uomo di cui tu hai sicuramente sentito parlare. Li vedrai arrivare li verso le prime ombre della sera>>. <<Che macchina hanno?>>. <<una Alfa Romeo, con scritto dietro Pininfarina>>, rispose la ragazza, con una certa difficoltà per la pronuncia del nome. <<Chi è lo straniero di cui mi ha parlato Aldo, e che va in gir con i due uomini bianchi?>> <<non so chi è, ma so che è un inglese. Aldo conosce la storia, ed io l’ ho sentito mentre parlava con uno dei due uomini che accompagnano questo inglese>>. <<Perchè ci parlava?>>. << perchè l’ uomo è suo fratello. Ti racconto questa storia per chiederti di tentar di fermarli. Aldo ti ha raccontato una piccola parte di quello che sa perchè è avido e vuole ottenere dei soldi, ma sa anche che nessuno farà nulla a quegli uomini, perchè sono molto potenti. - Zeaidita si interruppe fissando a lungo Dino negli occhi, come per sottolineare la sua buona fede, poi riprese-Io adesso devo andar via e tornare al Ristorante. Sono venuta quì perchè conosco Menelik, e mi ha detto che vieni spesso da lui per prendere il thè>>. Dino le piantò gli occhi addosso: <<perchè dici proprio a me queste cose, che c’ entro io?>>. Zeaidita ammiccò e disse: <<io so chi sei e cosa fai realmente, -poi prevedendo la domanda, chiarì- me lo ha detto Aldo, e non solo lui>>. La ragazza si alzò in piedi, ed il velo le scivolò via dal viso bellissimo. Dino le domando istintivamente: <<perchè vivi con quell’ uomo?>> <<e’ schifoso, rispose evasivamente la ragazza rimettendo a posto il velo, ma è assolutamente innocuo >>. Poi Zeaidita si alzò, sollevò la tenda, e si allontanò rapidamente, senza girarsi indietro. Dino rimase perplesso a fissare la figura slanciata che si allontanava, poi si accoccolò sui cuscini. Dopo qualche minuto venne Menelik, che era un omino canuto e molto ossequiso, che gli servì il thè inchinandosi, e prima di uscire gli disse: <<spero che la giovane non ti abbia disturbato, padrone, ma ha molto insistito>>. <<No, no, non ti preoccupare, borbottò Dino>>, e soprappensiero mandò giù il thè bollente che gli fece vedere le stelle. La mattina dopo Dino fu bloccato per tutto l’ orario di ufficio nella sua stanza da un gruppo di persone che volevano un permesso edilizio, e non riuscì a muoversi. La mattina successiva, Mercoledì, andò in ufficio molto presto per cercar di stabilire un contatto con Marchetti, ma il Direttore non venne. Alle 14 si convense che era inutile aspettare ulteriormente, ed andò a pranzare, al Ristorante Italia, per cercare almeno di parlare con Zeaidita. Più ci rifletteva e più il comportamento della ragazza gli sembrava ambiguo: certo non si poteva accettare l’ accaduto acriticamente! Entrò nel ristorante che era piuttosto affollato di funzionari governativi, e vide Aldo che si agitava tra i tavoli, ma della ragazza non c’ era traccia. Aguzzò la vista e nel retrobottega vide distintamente che intorno ai fornelli c’ era una vecchia di colore. Aldo lo servì lentamente, probabilmente per smaltire gli altri clienti e cercar di parlargli. Puntualmente, quando tutti se ne furono andati, portò la frutta, e sedette vicino a Dino: <<ti avrei cercato io, sai che ho sempre qualche notizia per te, e per la tua carriera....>>. Dino lo bloccò:<<quanto vuoi?>> . <<beh, trenta....>>. <<20 rupie, vanno benissimo, e ti farò passare in commissione edilizia la pratica per costruire nel cortile del tuo fetente retrobottega>>. <<Non voglio che pensi male, io non sono veniale..>>. <<si, si, sei generoso, 13 lo so, ma vai avanti!>> <<c’ è una valigetta di soldi in arrivo per i guerriglieri. Ma sembra che sia interessato anche qualcun’ altro del controspionaggio, qualcuno che probabilmente si vuole fregare i soldi>>. <<Tutto quì, non mi dici altro?>>. <<beh, ci sarebbe qualcosa in più, ma sai, io ho delle spese..>>. <<Parla-disse Dino- sei già strapagato, ricordati sempre del fatto che tolleriamo la presenza della ragazza nera. A proposito, dov’è?>>. <<mercoledi Zeaidita va sempre al suo villaggio, ad una decina di chilometri da qui- Aldo fece una breve pausa e continuò, con aria inorgoglita- però la sera torna, preferisce dormire da me. Io adesso non sono più giovanissimo, ma prima le donne mi correvano dietro, non faccio per dire ma ne facevo anche sette in un giorno>>. Dino pensò: “se questo rifiuto umano riesce solo a penetrare la ragazza è un miracolo”,ma non disse nulla, e lo fissò con aria critica. Aldo, quasi per disperdere i dubbi, proseguì: <<io sono ancora un vero stallone, e Zeaidita è innamorata cotta, un pesce come il mio non lo trova in tutta Asmara!>>. <<va be- tagliò corto Dino spazientito- portami la frutta e chiudi la finestra, che c’è un rumore insopportabile>>. Più tardi, al caffè, tornarono sull’ argomento principale della conversazione, ed Aldo spiegò: <<è venuto da me Aleardi, quello che lavora nel tuo stesso ufficio. Voleva sapere se c’ erano movimenti di soldi. Stà cercando informazioni su un tizio che è arrivato in treno da Massaua, e che frequenta un bar dalle parti della Cattedrale. Voleva anche sapere se tu vieni a pranzare qui il Mercoledi>>. Dopo il pranzo Dino uscì per andare al mercato indigeno. Aveva deciso di parlare con Menelik, che forse, sapeva qualcosa di più di quanto volesse far credere. Mentre camminava pensò alla strana coincidenza. Perchè Aleardi voleva sapere che cosa faceva il Mercoledi ? che c’ era di particolare il Mercoledì? Marchetti mancava quasi tutti i Mercoledì, e forse Aleardi aveva pensato che si vedessero da qualche parte per complottare? Anche Zeaidita andava a casa nella stessa giornata. Probabilmente tutti questi fatti, apparentemente indipendenti, erano collegati tra loro, ed Aleardi stava cercando il filo comune. Al mercato Menelik non c’ era, e passò qualche ora a frugare nelle tende per cercare qualcosa da acquistare. Mentre tornava a casa, verso le 19, vide una automobile, con i fari accesi, che andava verso il centro, e che rallentò fermandosi vicino a lui. <<Dove stai andando?>> lo salutò Marchetti sporgendosi dal finestrino, <<sali!>>. fecero un pezzo di strada in silenzio, poi Dino pensò che era il caso di raccontare le informazioni che aveva avuto su Aleardi, ed accennò anche brevemente alle domande che l’ uomo aveva fatto su di lui. Marchetti fermò l’ automobile sul fianco della strada, e si fece ripeteredue volte la storia, mentre Dino si stava già rimproverando di aver parlato: perchè tutto quell’ interesse? Il direttore però non fece domande, pareva piuttosto che stesse ricollegando mentalmente qualche fatto, e non fece neppure apprezzamenti su Aleardi, tranne una smorfia di disprezzo semipercettibile. Verso le 20 e trenta i due uomini si salutarono. Quando Marchetti ripartì Dino osservò la targa della sua auto, e se la impresse in mente, poi attraversò il cortile di casa, ed entrò, attirato piacevolmente dall’ odore della cena che Fatima gli aveva preparato La settimana passòin fretta ,e venne il Mercoledì successivo. Dino si alzò all’ alba, si preparò rapidamente, e scese. Sotto casa l’ aspettava il suo ascaro, Gellafos, seduto a cassetta di un carro pieno di paglia. Parlarono per dieci minuti, poi Dino andò in ufficio ed il carro proseguì in direzione del Ristorante Italia. Alle sette generalmente Zeaidita partiva da li per andare a casa dei suoi. Dino passò la mattinata in ufficio, il pomeriggio in casa, a riordinare le sue carte, e verso le 21 andò a cena da Aldo. Qualche minuto dopo che si era seduto al tavolo entrò dalla porta del locale Zeaidita, con il viso quasi completamente coperto dallo scialle, traversò frettolosamene la sala da pranzo, lanciando uno sguardo stupito verso Dino, e si infilò nella porta interna, che conduceva alla abitazione vera e propria. Dino finì di cenare, ed uscì dirigendosi a passo veloce verso l’ incrocio tra via Locatelli e via Oriani. Ci arrivò verso le 21 e 30, e trovò Gellafos, che si affaccendava intorno alle ruote del suo carretto. L’ uomo lo salutò con reverenza: <<salve padrone, come stai?>> <<bene, sei andato a lavorare?>> <<tutto il giorno, come tutti i giorni, prima che il sole sia sorto e sino a quando non tramonta di nuovo, l’ uomo deve lavorare, padrone, altrimenti non vedrà molte albe>>. Dopo che Gellafos gli ebbe ripetuto ad alta voce, in modo che i pochi passanti sentissero, queste parole di saggezza imparate dai suoi avi, entrambi salirono a cassetta, e mentre gli asini trainavano il carro verso casa di Dino, iniziarono a parlare con tono più basso: <<hai visto dove è andata la ragazza?>> domandò Dino. <<Si, è andata con un carro che passava sino ad una casa di campagna a qualche chilometro da qui, e li una vecchia le ha aperto al porta. Dopo quasi un’ ora è arrivata un’ automobile, guidata da un uomo bianco, una di quelle che voi chiamate Alfa Romeo>>. <<La targa, hai letto la 14 targa?>>. <<Non so leggere, disse l’ uomo, ma posso disegnare quello che c’ era sulla piastra dietro la macchina>>. <<Beh, si, quella è la targa!>>. Fermarono il carro, e Dino gli dette la carta ed una matita, e Gella fos riprodusse, come meglio poteva, quello che aveva visto. Dino sbarrò gli occhi: era la targa dell’ auto di Marchetti. <<Com’ era l’ uomo che guidava?>>, chiese ansiosamente. <<Non ho visto molto bene, ma era più alto di te, un po’ più robusto, e doveva essere della mezza età. Aveva un vestito color dell’ erba in primavera>>. La descrizione corrispondeva. <<Quanto è rimasto?>> <<da quando il sole è stato nel centro del cielo a quando è rimasto uno spicchio perchè scomparisse sotto la terra>>. Dino calcolò che potevano essere circa quattro ore, dalle dodici alle diciotto. Gellafos proseguì: <<quando è uscito ho visto che si fermava sulla porta con Zeaidita, e si sono baciati a lungo>>. <<Sei certo di avere visto bene?>> <<sono certo. Non erano distanti più di venti solchi di aratro da me>>. <<Va bene, grazie Gellafos, riparti adesso>> borbottò Dino. <<Sembri sconvolto padrone, ti ho dato forse una brutta notizia?- chiese Gellafos, e poi, dopo un attimo prosegui- Zeaidita è la tua donna?>>. Dino sorrise divertito: <<no Gellafos, il punto è un’ altro: forse uno di loro fa il doppio gioco>>. <<Chiedimi quello che vuoi padrone, ed io ti aiuterò>>. <<Questo lo so, amico mio, non ne ho mai dubitato, ma ora riportami a casa>>. Quando furono arrivati si salutarono, e Dino gli raccomandò il silenzio su tutto quello che aveva visto e fatto quella mattina. Poi entrò in casa molto perplesso: perchè Zeaidita gli aveva fatto quella soffiata. Era molto più semplice raccontare tutto al suo amante. E poi quel fatto assurdo: Marchetti che divideva una donna così bella con quel maiale di Aldo! Boh, era meglio lasciar perdere, ci avrebbe pensato il giorno dopo! Durante la notte si risvegliò di soprassalto, con le idee molto più chiare. Comunque fosse la situazione tra Zeaidita e Marchetti, era molto probabile che quest’ ultimo sapesse del colloquio che la ragazza aveva avuto con Dino. Teoricamente era possibile che fosse stato proprio lui a suggerire quel contatto, magari per verificare la fedeltà di Dino, o forse.... ma certo! Se l’ informazione fosse venuta da un agente, Marchetti si sarebbe trovato un rapporto sul tavolo, ed avrebbe potuto agire immediatamente. Altrimenti avrebbe poi dovuto giustificare da quale fonte aveva avuto l’ informazione, e si sarebbe trovato in imbarazzo. Forse era una interpretazione semplicistica, ma non aveva scelta. Sedette al tavolo e scrisse una relazione su quanto Zeaidita gli aveva detto sotto la tenda di Menelik, ma omise il nome della ragazza. Rilesse lo scritto, lo corresse, barrando i passi che non gli piacevano con una sola riga secca. Lo riscrisse, e lo rilesse ancora, poi rifinì la bella copia aggiungendo degli svolazzi sulle T e F, sottolineandolo nei punti chiave. Quella calligrafia così ricercata era una sua caratteristica, sin dai banchi delle elementari. Poi distrusse con cura tutte le brutte copie, tagliandole a pezzetti, e poi le bruciò nel fuoco. Controllò anche la cenere, per essere sicuro che non restasse più nulla, poi mise al sicuro la bella copia ed andò a dormire per qualche ora. La mattina dopo non andò subito da Marchetti, per non farsi vedere eccessivamente interessato. Poco prima di pranzo andò dal direttore, ed in estremo silenzio gli passò la relazione. Marchetti la lesse, ed il suo sguardo divenne sempre più attento. Dino notò che le mani gli tremavano leggermente. Quando ebbe finito di leggere, rilesse, poi gli disse: <<bene, Dino, hai fatto un buon lavoro: oggi pranzeremo insieme- buttò uno sguardo disinteressato sull’ orologio- anzi è ora, andiamo>>. Dino avrebbe giurato che non aveva nemmeno visto le lancette. Quando furono per strada Marchetti si guardò intorno, poi gli piazzò gli occhi addosso, e gli chiese: <<chi ti ha dato queste informazioni?>>. <<Lei conosce le regole-replicò Dino un po’ seccamente- gli informatori vanno protetti>>. In fondo era Marchetti dalla parte del torto, era lui che doveva nascondere qualcosa. Il direttore era agitato, e perse la sua sicurezza abituale: << era un uomo od una donna?>>. <<Perchè dovrebbe essere una donna?>>. Marchetti capì di aver fatto un passo falso, ma si riprese subito: <<non è mica raro che una donna faccia queste spiate, e tu sei giovane. Quando hai saputo queste cose?>>. <<Martedi della scorsa settimana>>. <<E me le dici solo adesso, in fondo ci siamo visti quella sera in macchina?>>. Marchetti aveva ripreso il controllo di se stesso, e per reazione stava diventando aggressivo, Dino pensò di doverlo calmare con una nuova frecciata. <<Non c’ era urgenza, l’ incontro deve avvenire alla fine del mese a casa di questo Mohamid-Nur, e mancano ancora sette giorni. Intanto dovevo verificare la credibilità dell’ informatore>>. <<E la hai verificata?>> domandò Marchetti, con un tono che doveva sembrare distaccato, ma che tradiva l’ ansia. <<Si- rispose Dino laconicamente- altrimenti non avrei fatto quel rapporto>>. <<Il rapporto me lo dovevi fare lo stesso!>> <<si, ma in tono molto più dubitativo>>. Marchetti non disse nulla, ma si mordeva le labbra. Se non avesse saputo nulla della questione difficilmente avrebbe assunto quell’ atteggiamento. Forse aveva proibito alla ragazza di parlare con altri della faccenda, ed ora si sentiva tradito dalla sua amante. Ma in questo caso Zeaidita si sarebbe 15 raccomandata di mantenere il segreto, e non l’ aveva fatto. Comunque fosse, Dino decise che non toccava a lui mettere le carte in tavola, ci doveva pensare Marchetti se ne aveva voglia. Ed in effetti il Direttore sembrava in procinto di dire qualcosa. Esitò a lungo, in silenzio, poi disse: <<senti, devi saspere qualcosa d più. Io conosco questa storia da qualche tempo, ma è una storia molto brutta, e ci sono stati dei morti, ed altri ce ne saranno. Qualcuno vuole armare i ribelli, probabilmente gli inglesi, e quei soldi devono passare attraverso dei canali, tra cui funzionari governativi italiani, che verranno ricompensati per questo servizio. Sembra che uno di questi abbia preparato un piano sofisticato: poco prima che i soldi gli vengano consegnati, un terzo uomo li ruberà, e spartira in seguito con lui il bottino. Così il nostro amico sarà a posto, visto che gli inglesi non potranno incolparlo di aver fatto sparire dei soldi che non gli sono mai arrivati, e noi non potremmo accusarlo di tradimento, perchè non potremo dimostrare che ha fatto da tramite.>> <<e noi non possiamo far arrivare la notizia di questo piano agli inglesi, al traditore ci penserebbero loro?>>, replicò Dino. <<Si, ma così bruceremmo il traditore, ma non bloccheremmo i soldi, perchè gli inglesi cercherebbero un altro canale>>, replicò Marchetti. Poi, dopo un profondo sospiro continuò: <<vedi, la mia reazione ansiosa di poco fa dipende dal fatto che tu probabilmente hai avuto questa notizia da Zeaidita, la ragazza che stà al Ristorante Italia, che io conosco e che mi è molto cara. Io però le avevo raccomandato di non parlare, per non mettere a repentaglio la sua vita, e per non rischiare di far saltare tutto il piano. Ma Zeaidita è impulsiva e generosa, e non si controlla>>. Marchetti non disse altro, e Dino non chiese di più. Per lui che era un gentiluomo, la partita era chiusa. Nei giorni successivi tornò spesso con il pensiero alla faccenda, mentre andava con un geometra a rilevare la pianimetria della zona intorno alla casa di Mohamud-Nur. Aveva studiato la cartella custodita nell’ Ufficio di Import Export di Viale Mussolini, ed aveva scoperto che questo Mohamud-Nur era ufficialmente un carrettiere, ma nella realtà era molto legato al Ras Immirù, un capo della Resistenza che era stato confinato a Ponza. Martedi finirono il lavoro di rilevazione, e mentre andavano via sulla Fiat dell’ Ufficio, passarono molto vicino alla abitazione, e Dino rilevò la posizione delle porte e delle finestre. Il pomeriggio, dopo pranzo, Dino ripassò da casa, e trovò la cameriera, Fatima, molto agitata, che gli faceva segni strani indicando lo studio. Poi disse a bassa voce: <<c’ è qualcuno che ti vuole parlare>>, e lo accompagnò nello studio, dove, seduta sulla poltroncina, c’ era Zeaidita. Il sole che entrava dalla finestra illuminava in pieno il viso bellissimo e sensuale della ragazza, che sorrideva mostrando i denti bianchissimi e perfetti. Il primo pensiero che gli traverò la mente fu: “ecco perchè Marchetti ha perso la testa”. Zeaidita aveva una posa strana per una ragazza indigena. Viso eretto, volto scoperto, le spalle indietro, le gambe accavallate: <<che succede ?>>, domandò Dino. << ho pensato che fosse necessario darti altre spiegazioni>>. Dino sedette al suo posto, dietro la scrivania, ed istintivamente controllò che non ci fossero in giro documenti riservati, mentre la giovane proseguiva, in italiano pressochè perfetto <<dopo averti parlato sotto la tenda di Menelik, ho capito di aver fatto un errore, come pensavo, tu hai fatto un rapporto a Luigi Marchetti>>. <<Lo dovevo fare>>, interruppe Dino, <<però non ho fatto il tuo nome>>. <<Lo so, non avevi scelta, e comunque io non ti ho neppure chiesto di mantenere il riserbo. E’ stata una mia scelta>>. Fece una pausa guardandosi intorno, poi proseguì: <<ti dirò molte cose, perchè so che sei fedele a Luigi, ma ti prego di non insistere se mi rifiuterò di rispondere>>. Dino annuì e Zeaidita continuò: <<ho dovuto parlare perchè temo per la vita di Luigi, che si trova in una situazione molto pericolosa. Un militare di alto grado, un generale, vicino al Vicerè, è a capo di un complotto per agevolare l’ invio di fondi ed armi ai ribelli, e per facilitare l’ arrivo di sobillatori. Quest’ uomo è pagato da Londra, ed è molto potente. A Roma qualcuno continua a convincere Mussolini che è un uomo forte, in grado di controllare la politica incerta del Vicerè. Quest’ Ufficiale sta anche cercando di falsificare i dati sulle forze italiane disponibili, così riuscirà a mandarvi al macello>>. <<Come sai queste cose?>>, domandò Dino con atteggiamento cauto. <<Ti posso rispondere solo in parte. Io non sono una cameriera, ma sono stata educata a Londra, e li ho conosciuto Luigi>>. La ragazza scosse la massa di capelli che le scendevano sulle spalle, e si accomodò meglio sulla sedia. Doveva avere tra 28 e 30 anni, Marchetti ne aveva cinquanta. <<Quando sei stata a londra?>>. <<dal ‘30 al ‘34, e Luigi stava all’ Ambasciata Italiana>>, disse Zeaidita, quasi gli avesse letto nel pensiero. <<Stai dicendo che Marchetti ti da queste informazioni riservate?>>. <<Assolutamente no, ho le mie fonti>>. Dino cominciò a temere che la ragazza volesse tendergli una trappola, e si spazientì: <<insomma, non girare intorno alle cose, dì cosa vuoi, e sii chiara>>. Zeaidita gli lanciò uno sguardo 16 sensuale e triste, ed increspò le labbra, come fanno le donne quando vogliono bloccare la aggressività degli uomini. Dino lo percepì, ma non era tipo da farsi imbrogliare, e sostenne lo sguardo impassibile. Zeaidita riprese a parlare: << tu devi fermare un funzionario del Governo Italiano che stà cambiando le carte in tavola. Sta falsificando i dati sulle truppe in campo, e stà agevolando il passaggio dei soldi e delle armi ai ribelli, che purtroppo è in combutta con il generale di cui ti ho parlato.>> Dino rimase un secondo a guardarla, poi chiese: << primo, perchè non ne parli direttamente con Marchetti, secondo, perchè mi dovrei fidare di te, chi sei? >>. Zeaidita lo fissò con lo sguardo tagliente: << io l’ ho detto e ridetto a Luigi, ma lui, per una serie complessa di ragioni che non ti posso spiegare, per ora non può agire. In più la sua autonomia di recente è stata molto ridimensionata: per mettere sotto sorveglianza, o silurare questo personaggio per vie legali, deve essere autorizzato dal Vicerè, e deve rivelare le sue fonti di informazione, e comunque ad Addis Abeba qualcuno bloccherebbe la procedura prima che la richiesta arrivi dal vicerè. Alternativamente dovrebbe agire illegalmente, cioè eliminare o far eliminare fisicamente il traditore, e Luigi non è capace di commettere azioni illegali>>. Dino annuì, ed osservò: <<per questo non mi hai chiesto di tacere quando ci siamo incontrati sotto la tenda di Menelik. La mia relazione era un atto ufficiale, e Marchetti avrebbe potuto iniziare una indagine>>. << Si >> , rispose laconicamente Zeaidita. Dopo un attimo Dino riprese: << non so ancora chi sei! >>. La giovane gettò indietro i capelli, sorrise, e lo fissò con uno sguardo furbo << sai abbastanza di me per capire. Luigi, il Mercoledì, viene all’ appuntamento in macchina, e va veloce. Io viaggio con mezzi più lenti, un carro di buoi, una bicicletta, a piedi, ed ho tempo di osservare. E poi io sono nata qui, i “musi neri”, come ci chiamate, per voi sono tutti uguali, per me no. Io ho visto quel vecchio carrettiere, Gellafos, che ci spiava, e poi ho saputo che era tuo amico. All’ inizio mi ero spaventata, poi ho capito che non avevamo nulla da temere da te >> . Dino sospirò e domandò: << Marchetti lo sa? >>. << No, non gli ho detto nulla >>. << Chi sei? >>, insistette Dino. << Zeaidita, l’ amante nera di Marchetti, ma non ti dirò di più, era nei patti >>. << Tu non lavori per noi! >> << no >>. << che c’ entra Aldo in tutto questo? Marchetti non puo dividerti con quel verme! >>. La ragazza sorrise: << quel fetente raccoglie più informazioni dell’ MI 5, e mi serve. In quanto a dividermi, lascia perdere, è diabetico ed impotente. Si eccita a guardarmi, e mi spia dalla porta quando mi spoglio, ma non può andare oltre. E’ un povero mentecatto, ma è utilissimo, e non si avvicina nemmeno a me. D’ altro canto io posso vivere quì in città unicamente facendo la cameriera, perchè tu sai che non permetterebbero ad una donna della mia razza di vivere da sola ad Asmara>>. Dino non insistette più. La spiegazione lo soddisfaceva, e non gli piaceva ascoltare storie morbose. Provò ancora a chiedere: <<per chi lavori?>> <<Sostanzialmente per me stessa, ma non posso dirti di più>>. <<Chi è il traditore?>>. <<uno è il Dottor Aleardi, che lavora nel tuo stesso piano, ma probabilmente è il cretino, quello che sacrificheranno>>. <<Vuoi dire che gli uomini del Generale lo ammazzeranno?>>. <<penso di si>>. <<E l’ altro?>>. <<Non lo so, ma penso di poterlo scoprire. Da Aldo arrivano molte notizie. Comunque è un civile che lavora nell’ Ufficio del Vicerè ad Addis Abeba>>. Zeaidita assunse un atteggiamento duro, e un lampo di odio le passò negli occhi: <<forse tu non dovrai fare nulla, potrei bastare io>>. Si salutarono, e la ragazza si avviò verso la porta posteriore, ma prima di uscire disse: <<fai pure le ricerche che vuoi su di me, ma non mettere in imbarazzo Luigi, non fargli domande dirette su di me e lui>>. Dino sorrise, e disse: <<stai tranquilla>>. Come Zeaidita aveva previsto Dino si presentò la mattina successiva molto presto all’ Ufficio di Import-Export di Viale Mussolini, e ci trovò Giovanino Sulis. Fece due chiacchere, poi andò nella stanza degli schedari, sostenendo che aveva bisogno di dati su eventuali contatti di Menelik. Appena Giovannino fu uscito dalla camera cercò su e giù per lo schedario, ma come prevedeva, non c’ era nulla su Zeaidita. C’ erano tutti, anche la sua cameriera Fatima, ed un mare di gente, sospetta e non. Aldo occupava due cartelle, e si menzionavano sia la moglie che lo aveva lasciato, sia la cameriera nera che Dino aveva visto in cucina il Mercoledì. Alla fine si convinse che non c’ era nulla da fare, ed andò in ufficio a lavorare. Quella sera alle sette Gellafoo fermò il carro vicino alla casa di Mohamud-Nur, e dovette scaricare tutto il carico di fieno, perchè si era rotta una ruota, e non si poteva ripararla facilmente. Poi si rese conto che non ce la faceva, ed andò a cercare aiuto, mentre il ragazzino che aveva nascosto sotto le coperte rimaste sul carro, spiava dai buchi del legno. Gellafoo tornò verso Mezzanotte, e 17 lavorò alla luce della luna sino alle due, poi ripartì, e, con sei ore di ritardo riuscì a portare il fieno a destinazione. Dino invece passò la nottata negli uffici di Viale Mussolini, aiutato da Sulis, alla ricerca di notizie sui movimenti delle truppe italiane. Già quando era arrivato, verso le 21:00, Giovannino Sulis gli aveva fatto trovare tutto quello che aveva potuto rimediare dal Comando Generale di Addis Abeba. Le notizie erano raccolte in un libro verde, che somigliava stranamente ad un volume che Dino aveva visto qualche tempo prima sulla scrivania di Aleardi. Passò circa un’ ora ad esaminarli, poi si rivolse a Sulis: <<quante copie esistono di questo registro??>>. Sulis lo prese, lo soppesò, poi disse <<credo che ce ne siano in giro una decina: una viene inviata a Roma, una al Vicerè, una al Generale Presenzani, una ovviamente resta al Comando Superiore di Addis Abeba, e probabilmente le altre sei si aiutò nel conto con le dita- vengono inviate agli altri comandi>>. Dino gli riprese il libro dalle mani, e lo sfogliò commentando: <<esempio mirabile di segretezza!!>>. Giovannino sospirò: <<comunque è una barzelletta, perchè gli inglesi sanno benissimo quanti aerei abbiamo, e non perchè lo leggono su questo documento. Loro a questo libro ci credono con il cazzo!!>>. <<anchè tu pensi che questi numeri non siano veri>> <<ovvio, non coincide nulla. Sui giornali di due giorni fa si diceva che l’ Italia dispone di più di 180 aerei da combattimento pronti a levarsi in volo, ma se ne abbiamo cinquanta è grasso che cola>> <<e gli altri dove sono finiti?>> <<nei rapporti contano pure gli aerei del 15-18, che neanche volano più. Noi abbiamo i CR 32, che non volano quasi più, e vengono normalmente contati>>. <<Marchetti lo sa!>> << credo di si, ma non può provarlo>>. <<Non si può richiedere una verifica>> <<se vuoi fare un censimento degli aerei a terra non ci riuscirai mai. Lo stato maggiore non lo consentirà, e neanche Marchetti, con tutto che è un uomo potente, riuscirà mai ad ottenere una autorizzazione. Considera che comunque un provvedimento del genere deve passare dall’ Ufficio del Generale Pesenzani dove verrebbe bloccato. Un colpo di fortuna sarebbe trovare il cimitero degli aerei rottamati! A questo punto nessuno potrebbe spiegare perchè sono li, senza la fusoliera o le eliche, mentre risultano regolarmente registrati ed in volo>>. <<Uhm- annuì Dino- secondo te perchè li fanno sparire senza denunciare il disarmo?>>. <<boh, Marchetti pensa che sia un sistema dello spionaggio Inglese per spingerci a scelte tattiche sbagliate, ma probabilmente c’ entra anche il fatto che si fregano la benzina: in pratica l’ esercito si fa dare benzina per 30 o 40 aerei inesistenti, e poi qualcuno con una rete clandestina di distribuzione, la riversa sul mercato nero>>. <<Potrebbe esistere anche un piano per rivenderla agli Inglesi od ai francesi-osservò Dino- sopratutto se ci sarà una invasione >>. <<È molto probabile, confermò Sulis>>. Si avviarono verso la porta, e Dino si soffermò soprappensiero. <<Perchè dici che Marchetti non può ottenere che si faccia un censimento?>>. Sulis accese una delle sue fetenti Nazionali senza filtro, e disse: <<vedi, la situazione è complessa. Marchetti è tutt’ ora un uomo potente, ma certo ha perso molto in questi ultimi anni>>. Dino per sua natura non era curioso, ma sentì che era necessario capirne di più, e proseguì: <<che intendi?>>. sulis osservò l’ orologio: erano le due, ormai la notte era andata, tanto valeva fermarsi a parlare, e si sedette sulla sedia della segretaria, all’ entrata dell’ Ufficio. <<Vedi, Marchetti è stato un uomo potentissimo, vicino al Duce. Nel periodo in cui lo hai incontrato, all’ Abetone, era il vicecapo del servizio segreto, ma praticamente aveva in mano tutto. È sempre rimasto nell’ ombra, come era opportuno per un capo dei Servizi, e questo gli aveva fatto gioco. Quando comparve sulla scena il Generale Pesenzani, Marchetti, che non lo sopportava perchè aveva capito fin dall’ inizio che era un essere spregevole, gli rese la vita difficile, e vinse la partita. Per qualche motivo che non capisco però Pesenzani rimase sulla scena, anche se con ruoli minori. Ad un certo punto Marchetti fece uno scivolone>>. <<Quando?>>, incalzò Dino, che aveva capito che la notte favoriva le confidenze. <<Quando andò a Londra, sotto copertura, come funzionario dell’ ambasciata. In relatà doveva apprestare una rete di spie. Purtroppo però perse la testa per una giovane eritrea, figlia di un Ras...., però non mi ricordo il nome. La ragazza frequentava l’ Università, Marchetti la conobbe e per lei lasciò la moglie, che era imparentata con il Duce.>> Dino ovviamente ricollegò:: “Zeaidita”! Giovannino Sulis proseguì: <<la centralità di Marchetti per il nostro sistema di intelligence, ed anche la grande stima che il Duce aveva per lui, lo hanno salvato, ma ha dovuto rinunciare alla ragazza, ed è stato rimpatriato subito. Appena tornato in Italia è ricominciata la storia con Pesenzani, e siccome non si riusciva a risolvere la questione, li hanno spediti tutti e due qui in Eritrea. Solo che i rapporti di forze ora sono differenti, e Marchetti ha perso molto potere,e l’ altro lo ha acquistato, anche perchè lo hanno piazzato vicino al Vicerè>>. <<Da quanti anni conosci Marchetti?>> domandò Dino<<Credo da 20 anni, e ti posso giurare che è un uomo veramente onesto e 18 chiaro.- Sulis abbassò la voce e proseguì- vedi...., la sua fedeltà al Duce è assolutamente fuori discussione, ma è anche evidente che non condivide certi atteggiamenti del regime, che non gli piaciono la maggior parte dei grarchi, che non sopportava Graziani, che si sente un uomo libero. Questi suoi atteggiamenti sono noti pure a Londra. Insomma tutte queste cosei rendono molto difficile la sua situazione, e sull’ altro piatto della bilancia ci sono soltanto la certezza che nessuna potenza straniera potrà mai comprarlo, e la sua immensa abilità nei servizi segreti>>. <<Che intendi come abilità?>> <<voglio dire che conosce i servizi segreti di tutto il mondo, le loro vie di comunicazione, i loro equilibri di potere. Conosce perfettamente l’ inglese, il francese, il tedesco ed il russo, e la struttura e gli uomini dei loro servizi segreti, ed è stato per qualche anno in tutte queste nazioni. Proprio a Londra ha avuto l’ incidente che ti ho detto>>. Dino forzò ancora: <<chi era questa ragazza?>> <<non so molto, perchè l’ argomento è sempre stato tabu. Si dice che fosse molto bella e disinibita, ed anche molto ricca, e che si fosse legata a movimenti di Sinistra. Forse è una cattiveria, ma si dice che avesse dei legami anche con un servizio segreto di un’ altra Nazione>>. Sulis diventava sempre più sonnolento, e comunque Dino si rese conto che non aveva molto di più da tirargli fuori. Spostò l’ argomento su qualche cosa meno importante per qualche minuto, poi se ne andarono tutti e due. Dormì poche ore quella notte, perchè all’ alba sentì bussare, ed era Gellafoo, che faceva rapporto su quanto era successo la sera precedente davanti alla casa di Mohamud-Nur: verso le nove erano arrivati due uomini su una Alfa Romeo 6 cavalli, uno calvo, dell’ età di quasi 30 anni, alto quanto Dino, e con un incisivo dorato, ed uno dell’ età apparente di 40 anni, più alto, con i baffi ed un cappello. Alle undici era arrivato un uomo di colore, e dopo circa tre quarti d’ ora i tre erano andati via in macchina, ad alta velocità, dirigendosi fuori città. Dino domandò: <<sapresti riconoscerli, se teli facessi vedere in fotografia?>>. <<forse>>, rispose Gellafoo, e rimase in silenzio a guardarlo. Poi dopo un attimo di esitazione, proseguì: <<l’ uomo di colore aveva la corporatura del Negus, ma io ho visto Hailè Sellassiè una sola volta>>. Dino non fece commenti, ma lo guardò a lungo perplesso, per cercar di capire se veramente Gellafoo era incerto, o se non aveva il coraggio di parlare, ma non riuscì a capirlo. Poi Gellafoo gli fece vedere il disegno dei numeri di targa dell’ automobile che il ragazzino aveva tracciato come meglio poteva. Alle nove, praticamente senza aver dormito, ma impeccabile come al solito, con la cravatta scura, l’ abito grigio, e gli stivali, era nell’ Ufficio di Marchetti. Mentre parlava di pratiche gli fece il segnale convenuto, e la sera, all’ uscita dal Cinema, dove davano “Scipione L’ Africano”, i due uomini fecero una passeggiata lungo viale Mussolini. Il direttore era preoccupato, e lo nascondeva a stento, ma quando Dino gli riferì quello che Gellafoo aveva visto la sera precedente , diventò paonazzo. Dopo qualche secondo di riflessione, si rivolse a Dino, dicendo: <<hai già una idea su come andare avanti?>> <<si, io farei vedere a Gellafoo le foto che abbiamo in archivio>>. <<È una buona idea, ma io credo che sarebbe bene mostrargli le foto dei militari>>. Dino rimase colpito dal fatto che anche Zeaidita gli aveva parlato di militari coinvolti in faccende poco chiare, e domandò: <<lei pensa che i militari entrino in questa faccenda?>> <<si, sono potentissimi e venduti. Il problema è che le indagini su di loro, o semplicemente l’ accesso ai documenti militari, li deve autorizzare il Generale Pesenzani rimase un attimo in silenzio- forse però posso sapere se qualche ufficiale di alto grado si è allontanato da Addis Abeba in questi giorni>>. <<Perchè dovrebbe essere di Addis Abeba?>> <<perchè è li che stà lo Stato Maggiore.>>. Dino lo guardò fissamente: <<cioè lei pensa che ci sia un alto grado delle sfere militari che tradisce>>. <<Si, più di uno. Certo il capo di questa congiura non è un militare che sta sul campo, è un fottuto furfante che non ha mai visto un fucile dopo la scuola di guerra, ma che stà inguattato dietro qualche scrivania a fottersi la segretaria ed a vendere segreti al nemico per mantenere le sue puttane sessantenni>>. Poi si fermò e riprese il controllo di se stesso. <<Tu sei una persona in gamba, ed io non ti voglio mettere troppi limiti. Se hai delle tue fonti di informazione, vai avanti pure, ma ti raccomando di essere prudente, e non esporti. Se i militari capiscono che stai indagando su di loro sei fregato, e freghi tutto il servizio. Io cercherò di procurarmi le foto da mostrare al tuo uomo. Hai altro da dirmi?>>. <<beh, si. Gellafoo crede di aver letto un numero di targa su quella macchina , ma sfortunatamente quel poveraccio non sa ne leggere ne scrivere, ed ha disegnato come poteva quel che si ricordava>>. Dino estrasse dalla tasca della giacca un foglietto, su cui la mano incerta di Gellafoo aveva tracciato dei segni. Marchetti lo osservò attentamente, poi disse: <<non è mica facile, sembra 1104>>. Dino replicò <<gli ho fatto vedere i numeri per farglieli identificare, e credo che sia 19 1764>>. <<Va bene, proverò tutto, da 1100 a 1999>> replicò Marchetti. Intanto erano ritornati davanti all’ Ufficio di poste e telegrafi, si salutarono, e ciascuno riprese la sua strada verso casa. Passò una settimana senza che ci fossero novità importanti. Della Alfa Romeo non c’ era più nessuna traccia. Il sabato mattina Marchetti fece il segnale convenuto e si videro al cinema. All’ uscita Marchetti lo aggiornò: <<la macchina appartiene all’ esercito. Impossibile sapere chi la ha usata, ma comunque è assegnata all’ autoparco degli ufficiali che lavorano al palazzo del governo>> <<non ci conviene passare l’ informazione al servizio di sicurezza militare?>>, replicò Dino. <<No, sarebbe un errore tragico, perchè dovrebbe passare dal tavolo di quel fottuto Pesenzani. No, lascia perdere, tanto sono sicuro che faranno un passo falso.>>. Dino non disse nulla, sapeva che Marchetti avrebbe dato qualsiasi cosa per incastrare Pesenzani. L’ inverno fu molto rigido, ma ricco di eventi importanti sul piano internazionale. La stagione delle piogge rallentò la attività del gruppo, e Dino si dedicò al lavoro di ufficio. Marchetti era molto interessato all’ infittirsi dei rapporti tra Italia e Germania. Quando Dino entrava nel suo studio trovava dapertutto giornali, nei quali il Direttore sottolineava con la matita rossa tutti i passaggi che riguardavano i contatti tra le due nazioni. Inizialmente Dino aveva pensato che il direttore apprezzasse queste novità, ma quando la notizia dell’ annessione dell’ Austria da parte dei tedeschi rimbalzarò in Africa, notò che l’ umore di Marchetti era divenuto pessimo. Il Direttore passò tutte le mattine di Aprile e di Maggio a leggere i giornali, ed a guardare una carta della Mitteleuropa, aperta sul tavolo, in cui piantava e spostava continuamente spille. Poi si tuffava a scrivere fogli su fogli , che nascondeva gelosamente in una borsa, appena sentiva aprire la porta del suo studio. Alla fine Dino pensò di provocarlo, ed un giorno di Agosto, mentre passeggiavano per viale Mussolini, infagottati nei loro cappotti, provò a provocarlo sull’ argomento:z<< certo, speriamo che i legami con la Germania si rafforzino>>. Marchetti, che non era allegro, divenna ancora più scuro in volto, e borbottò: <<certo, così finiamo pure noi a fare la guerra con il mondo!!>>. Dino lo guardò con aria interrogativa, e Marchetti proseguì: <<io ho passato tutta la vita nei servizi, e conosco la storia di quel pazzo di Hitler sin da principio. Quell’uomo è figlio di una guardia di confine, uno che si è chiamato Alois Schicklgruber sino all’ età adulta, quando è riuscito a farsi riconoscere dal padre, Hitler, ed ha cambiato cognome. Ma tutta questa storia, dicono gli analisti dei servizi segreti britannici, gli ha sconvolto il cervello, e quando ha avuto un figlio, Adolf, gli ha scaricato addosso tutte le frustrazioni, ed una violenza morale e fisica veramente indicibile. Io ho tutto il rispetto per le sofferenze di quel bambino, ma il fatto è che ora Adolf ha in mano i destini del mondo>>. Dino rimase perplesso, poi osservò: <<non è detto che il figlio di un pazzo sia pazzo pure lui>>. Marchetti alzò le spalle: <<Quando Alois morì nel 1903, mi pare, Adolf, che allora aveva quattordici anni, impazzì di gioia. Lui e la madre fecero festa per giorni, ed anzi non si è mai capito bene che razza di rapporti siano intercorsi tra lui e la madre>> Dino sorvolo, come era suo costume, su queste ultima affermazione, ed invece ribbattè: <<è più che logico che abbiano festeggiato la morte di un gaglioffo del genere!>>. <<Certo, è ovvio, ma il problema, come viene visto dagli psichiatri che lavorano per i servizi segreti, è che Adolf è diventato uno squilibrato, sia perchè era predisposto geneticamente, che per i fatti che ti ho raccontato. Il suo stato mentale è peggiorato drammaticamente nel 1907, quando morì anche la madre. Non riuscì negli studi, ed allora lasciò l’ Austria ed andò a Vienna, sperando di entrare all’ accademia delle belle arti, e falli anche li. Il tipo di vita che condusse fino al 1913 è stato ricostruito da testimonianze di coetanei, ed è preoccupante: era un miserabile, depresso e pare che abbia fatto dei tentativi di suicidio. Ho letto un rapporto britannico, che fa drizzare i capelli. Per superare il suo stato d’ animo depresso torturava gli animali. Man mano si inculcò nella testa l’ idea che tutto il male del mondo veniva dalla razza ebrea. Io ti ripeto che non ho nulla contro di lui personalmente, anzi lo considero un povero disgraziato, a cui il mondo ha fatto del male, ma permetterai che sia terrorizzato al pensiero che questo individuo abbia in mano le sorti del mondo!>>. Dino era sconcertato. Nessuno gli aveva mai presentato Hitler in quella luce. Marchetti proseguì: <<Hitler ha trovato finalmente un ruolo nella vita quando è stato nel 16o reggimento Bavarese, nel 1914, ed in effetti si è comportato valorosamente: capisci, era un rifiuto della umanità sino allora, e poi è divenuto un guerriero vittorioso, ed il fatto di aver potuto finalmente trovare una sua dimensione lo ha esaltato sino alla follia, ed orae vive nel mito del guerriero, di Odino!>>. Dino non disse nulla, ma Marchetti percepì il silenzio come una accusa e disse: <<ti chiederai come so queste cose, ma ti ho 20 detto che io non ho visto solo l’ Italia. La mia fedeltà al paese è fuori discussione, ma io non sono un uomo di regime. Ovviamente conosco e stimo Mussolini, ma non stimo tutti quelli che gli ruotano intorno>>. Dino prese tempo, poi parlò: <<posso capire la sua posizione, comunque ognuno vede il mondo a modo suo! Alla fine conta solo quello che si è fatto, non quello che si è pensato>>. <<Già borbottò Marchetti- ed io non pretendo assolutamente che tu pensi ciò che penso io, in fondo, prescindendo dalla amicizia personale, noi due abbiamo in comune l’ interesse della patria>>. Si strinsero entrambi nei cappotti perchè il vento si era fatto più tagliente, poi gli occhi di entrambi caddero sulla insegna del bar “tricolore”, si guardarono negli occhi, si capirono al volo, ed entrarono a bere un bicchiere di Izna. Poi Dino guardò l’ orologio, e commentò: <<sono le 20, andiamo da Aldo, e ci facciamo preparare gli spaghetti alla bolognese>>. Marchetti sorrise, più disteso dopo lo sfogo che aveva fatto: <<no, andiamo in un posto che conosco io, e ci facciamo preparare uno Zighinì con Berberè, come non lo hai mai sentito in vita tua. Passerai la nottata a bere per spegnere il bruciore!>> Il resto dell’ inverno passò con i suoi rigori, e spuntò finalmente una tiepida primavera, smorzata dai venti freddi dell’ altipiano. Ai primi di Novembre Dino si spostò a Decamerè, ospite di un costruttore che aveva una casa in quella zona, sperando di avere notizie dai pastori del luogo su eventuali movimenti di ribelli, ma non raccolse alcuna informazione, e la sera del 13 ritornò ad Asmara. Il 14 Novembre, lunedi, andò a cena da Aldo. L’ uomo era piuttoto pallido e malmesso, e Dino gli domandò cosa avesse. <<Sono preoccupato per l’ aria che tira>>, borbottò l’ uomo. <<Cioè hai di nuovo giocato e perso >> <<si, ma non tanto, però abbiamo fatto tardi>> <<insomma, che ti è successo, ti hanno minacciato che ti caricheranno di botte se non paghi?>> <<si, ho giocato tutta la notte con dei tipacci, e sono anche sicuro che qualcuno ha barato, ma comunque erano dei malintenzionati, ed ho dovuto pagare subito!!>>. <<ah, ecco perchè sei stravolto>> disse Dino, cercando di non ridere. Stranamente non si vedeva Zeaidita, eppure non era mercoledì! Dino si incuriosì: <<dove è Zeaidita>>. Aldo scoppiò: <<quella puttana, se ne è andata, mi ha lasciato, capisci, e non so più a chi far cucinare. Non solo mi hanno spennato, ma ci mancava pure lei. Era così brava, e non voleva nenache soldi>>. A Dino scappò da ridere, con soddisfazione, ma Aldo era talmente sconvolto che non ci fece caso. <<Hai capito-continuò a sbuffare- le donne sono solo delle grandi zoccole!>>. Mentre parlavano entrò un uomo che Dino riconobbe immediatamente: era un sardo che aveva conosciuto durante gli anni del Liceo a Cagliari, e che aveva un nome orribile ”Leggittimo Porcu”, e portava la divisa di sottufficiale dell’ Aviazione. Già mentre si salutavano gli venne in mente che quella era l’ opportunità che stava cercando. Leggittimo si venne a sedere vicino a lui, ed iniziò a parlare: <come va, vecchio camerata?>>. <<Io sto bene, lavoro per il governo, anche se sai che il mio cruccio è rimasto quello di non poter volare>>. <<Già, già, mi ricordo -rispose Porcu- la faccenda di tuo padre>>. Infatti, quando stavano per finire la scuola, entrambi avevano presentato la domanda per entrare in aviazione, ma Raimondo Tatti, il padre di Dino, non aveva voluto controfirmarla. Aveva troppa paura per suo figlio, e suo figlio aveva accettato senza fiatare la volontà paterna, ma gli era rimasto l’ amaro in bocca. Poi Porcu, che lo era di nome e di fatto, passò il tempo del pranzo a raccontare spacconate sulle sue prodezze aeree e su quelle sessuali. A sentir lui aveva lasciato il seme del trasvolatore italico nei grembi femminili di mezzo mondo. Dino gli dette spago, mentre dentro di se pensava che se avevano preso in aviazione quel fanfarone, tutto sommato non era stato un male per lui non aver potuto fare la stessa carriera. Passarono insieme quel pomeriggio, ed il successivo, e la verità venne a galla poco a poco. Porcu era solo un povero diavolo, che pilatava unicamente la macchina del Comandante di una base militare, ed aveva raggiunto l’ apice della performance quando aveva accompagnato la famiglia di Italo Balbo all’ areoporto, per vedere il loro grande congiunto che decollava. Però scoprì anche alcune cose interessanti. Porcu era indebitato sino al collo, perchè giocava come un matto, e perdeva in continuazione, ed aveva un bisogno disperato di soldi. Dino lo portò a casa sua, e lo fece bere, e mentre quello era tra i fumi dell’ alcol, ammise di avere amici poco raccomandabili nell’ areoporto, gente che dava passaggi illeciti su aerei militari per soldi. Dino tentò anche di sapere qualcosa degli aerei distrutti che venivano spacciati per velivoli efficienti, ma quel poveraccio non sapeva nulla, al più poteva far da tramite, e Dino ne approfittò: <<senti, Leggittimo, io devo andare a Cheren, ed ho bisogno di qualcuno che mi porti, ovviamente pagherò>>. <<Va benedisse Porcu, che ormai era divento un tutt’ uno con la bottiglia di liquore- ti metto in contatto io, per poco, visto che sei un vecchio amico.ovviamente, lo faccio solo per amicizia>>. Dino storse impercettibilmente la bocca, ma non disse nulla. Vewrso l’ una del mattino, Leggittimo riuscì ad 21 arrivare alla porta, e se ne andò piuttosto sbilenco, promettendo di farsi vedere il giorno dopo al Ristorante Italia. All’ alba Dino partì, e restò tutto il giorno fuori da Asmara, ma la mattina di giovedi, alle nove, era nella stanza di Marchetti per concordare il solito incontro. Il Direttore era piuttosto distratto, aveva la barba mal rasata, e ci mise un pò per capire. Accennò un si piuttosto vago e si rimise subito a spulciare le sue scartoffie, e mentre Dino usciva si attaccò al telefono chiedendo ansiosamente di parlare con il Dottor Giovannino Sulis. Questo fatto era contro tutte le regole! Marchetti aveva sempre insistito che non bisognava assolutamente avere alcun contatto con gli uomini di Viale Mussolini durante le ore di ufficio, e se adesso violava ogni regola di sicurezza ci doveva essere un motivo molto grave. Mentre rientrava nella sua sua stanza gli venne in mente che il motivo poteva essere la scomparsa di Zeaidita. Si rimise a lavorare per il resto della mattinata, poi alle 14:00 andò al Ristorante Italia, dove Aldo, che stava pulendo nervosamente i tavoli, lo salutò appena. Lo servì un giovane di colore nuovo del locale, e mentre stava iniziando il primo piatto arrivarono Legittimo Porcu ed un sottoufficiale di aviazione, sulla trentina. I due si sedettero al suo tavolo, e Leggittimo, a bassa voce, presentò l’ altro: <<questo è il sottotenente Raimondini. Lui è disposto a portanti sul suo Aereo, un cargo che deve portare delle casse di vettovaglie sino alla base militare di Cheren. Li farete rifornimento e tornerete indietro. Ti darà una tuta militare, e passerai inosservato. Avrai 40 minuti di tempo per vedere quello che ti va, e poi tornerete. Se per un malaugurato motivo ti smascherano Raimondini non ti conosce. Il tutto ti costerà 100 rupie>>. Dino non resistette: <<certo è impenetrabile il sistema militare!>>. <<no, che c’ entra, lui lo fa perchè sei amico mio>>. Raimondini, che sino a quel momento non aveva fiatato, disse, con un marcato accento torinese: <<conto sulla sua parola d’ onore per quanto riguarda la segretezza di questo aiuto che le do>> <<certo, ci conti>>, borbottò Dino, poi lo fissò e gli chiese: <<quando si parte?>> <<Stanotte verso le due, ci vediamo a casa mia, al 150 di Viale De Bono, ed andiamo via insieme. Lei entra con me nella base, ed alle tre si parte>>. <<D’ accordo- concluse Dino, riponendo le posate nel piatto- a stanotte>>. Poi uscirono tutti dal Ristorante, e ciascuno andò per la sua strada. Alle 20 e 30 Dino si incontrò con Marchetti davanti alla chiesa Copta, e gli raccontò l’ accaduto. Il direttore era distratto, ma man mano si interessò alla cosa, ed alla fine del rapporto gli disse: <<va bene, la cosa migliore veramente sarebbe denunciare questi due mascalzoni con cui hai parlato, ma mi rendo anche conto che siamo in una situazione difficle e conviene non perdere questa occasione. Vai con questo delinquente, e cerca di vedere quanti aerei ci sono nel campo, quanti sono rottamati, insomma quello che puoi sapere. A proposito, se ti scoprono io ti posso coprire ben poco, al massimo posso riuscire a evitarti la fucilazione. Sappi che vai a tuo rischio e pericolo>>. Dino sapeva già che gli avrebbe fatto quel discorso, ma francamente aveva sperato in un incoraggiamento maggiore. Marhetti intuì il suo stato d’ animo e disse: <<ho capito, ti aspettavi di più, ma qui siamo in una situazione di conflitto, ed io non ho nessuna interazione con i militari, se mai ce l’ ho di segno contrario. Comunque cercherò di fare il massimo. Io penso che non ti scopriranno. In quel campo di aviazione devono essere tutti d’ accordo per rubare. In ogni caso per me sei libero, se non ci vuoi andare non ci andrai>>. Dino non amava fare l’ eroe, ma non era un vigliacco. Ormai era deciso, ci doveva andare. Mentre stavano per salutarsi Dino affrontò il problema che sentiva nell’ aria, e disse: <<senta dottore, parliamoci da amici, lei è sconvolto........, insomma, mi dica cosa è successo a Zeaidita!>>. Marchetti sospirò: <<non lo so, è scomparsa circa una settimana fa, mercoledi nove novembre. Si sa che è uscita verso le otto del mattino dal ristorante, e si è allontanata in bicicletta. E’ stata vista verso le nove mentre usciva di città, ma da allora si sono perse le sue tracce. I carabinieri hanno ritrovato la sua bicicletta in mano a due ragazzini indigeni che dicono di averla vista appoggiata ad un albero ed abbandonata.>>. <<Ha visto il posto?>>, domandò Dino. <<Sono andato con un nostro uomo che lavora nei Carabinieri, ed abbiamo trovato le tracce della bicicletta, e dei copertoni di una vettura che probabilmente la ha affiancata. Ci sono anche tracce di scarpe di due uomini. La ricostruzione più verosimile è che la bicicletta sia stata stretta contro il ciglio della strada, e che due persone abbiano rapito la ragazza>>. Dino rimase un attimo soprappensiero, poi domandò: <<ovviamente avrà studiato le tracce delle gomme per sapere che vettura era>>. <<Si- disse Marchetti- ovviamente sono solo delle gomme pirelli, ma a giudicare dal tipo di battistrada, e dalla distanza tra loro, il veicolo dei rapitori dovrebbe essere un camion. Anche le tracce delle scarpe, nel punto in cui sono scesi dal veicolo, sono piuttosto profonde, come se fossero scesi da una certa altezza, e quindi dal predellino di un camion>>. <<Che vuol dire questo?>> domandò Dino sorpreso. <<Non 22 ne ho la minima idea, ma stò facendo controllare alla motorizzazione per avere tutti i nomi dei proprietari di camion, ma è un’ impresa piuttosto difficle. Io però penso che questo sia un rapimento su commissione>>. <<ci sono altre ipotesi?>>, domandò Dino. <<Beh, i carabinieri pensano ad un’ aggressione a scopo sessuale, ma in questi casi generalmente il misfatto viene consumato sul posto, ma sembra che in questo caso non sia accaduto. No, io penso che si tratti di un rapimento su commissione>>. Nella voce di Marchetti c’ era un tono di disperazione, e Dino sentì un senso di pietà, ma si rese anche conto che si era fatto tardi, e gettò uno sguardo sfuggente all’ orologio. Marchetti se ne rese conto, gli battè una mano sulla spalla, e concluse : <<ne riparleremo in seguito, ora vai, e buona fortuna!>> Due ore dopo, come previsto si presentò a casa del sottotenente Raimondini, in fondo a Viale De Bono, con metà della somma pattuita, e quello gli dette una divisa miltare che gli calzava abbastanza bene. Alle 2:30 partirono su una jeep dell’ aviazione miltare, guidata dal sottotenente, ed alle tre erano al campo. C’ era una sola sentinella, che non avrebbe bloccato neanche una colonna di formiche, che stava dormendo. Quando gli arrivò in faccia la luce dei fari, si svegliò di soprassalto, e puntò il fucile, poi riconobbe Raimondini, scattò sull’ attenti ed aprì il portone. Anche tutto il resto filò liscio, nella base c’ erano pochissimi soldati, insonnoliti, e nessuno chiese nulla. Salirono sul cargo, un apparecchio piuttosto malmesso, e con scarsissima autonomia, che comunque era l’ unico presente nel campo. Due avieri aiutarono per le manovre di avvio, e l’ aereo salì verso il cielo. La luna era ad un quarto, e durante il decollo Dino vide perfettamente, ai bordi del campo, due aerei in disarmo senza le ali ed il carrello, probabilmente un Caproni 133 ed un CR 32. Il viaggio durò circa centoquaranta minuti, atterraggio incluso, e fu angoscioso perchè l’ apparecchio precipitava in continuazione in vuoti d’ aria mozzafiato. Prima dell’ atterraggio fecero un giro del campo, e Dino vide un Hangar sui bordi della pista. Poi scersero, dopo che si furono scambiati segnali luminosi con la terra. La comunicazione via telegrafo non funzionava perchè non c’ era ricezione a terra, gli spiegò Raimondini. Dopo l’ atterraggio vennero 2 uomini che si dettero da fare per rifornire l’ aereo d carburante, mentre altri tre scaricavano le casse. Dopo avere aspettato qualche minuto, Dino si allontanò in direzione dell’ Hangar, che distava circa 250 metri dal luogo dell’ atterraggio. Lo spiazzo era vuoto, e lo traversò facilmente, raggiunse l’ Hangar, aprì la porta, ed alla scarsa luce vide le sagome di due aerei: uno era un trimotore con la caratteristica protuberanza dorsale, dove c’ era la cabina di pilotaggio, ed era di sicuro un un S.79 dell’ Areonautica Italiana. L’ altro era un aereo da combattimento sconosciuto. Lo osservò bene: aveva una sagoma snella, l’ elica a quattro pale sulla parte anteriore della fusoliera, la cabina di pilotaggio tra due serie di pannelli di vetri, le ali inserite in basso sulla fusoliera. Sui fianchi non c’ era la sigla! rimase bloccato dalla sorpresa, ma si riprese subito, e memorizzò anche le approssimative misure dell’ aereo, che era più piccolo dell’ S.79. Poi, riscivolò indietro verso la porta, sgusciò fuori dall’ Hangar, e controllò lo spiazzo: apparentemente nessuno in vista. Riaccostò la porta, e si riavviò verso il cargo con cui era arrivato. In tutto erano passati quasi 25 minuti dall’ atteraggio, e Dino raggiunse senza farsi notare i tre uomini che stavano scaricando, e si mise ad aiutarli. Dopo altri 20 minuti circa lo scarico era terminato, e Raimondini, che sino a quel momento si era occupato di controllare le manovre di rifornimento di carburante, si avviò sulla scaletta dell’ aereo, chiamandolo, e finalmente, dopo altri venti minuti di preparazione, riuscirono a decollare. Il viaggio di ritorno fu più tranquillo, anche se Dino era ancora puttosto agitato. Se lo avessero preso avrebbe rischiato la fucilazione. L’ atterraggio avvenne verso le nove del mattino, e Dino dopo aver fatto tappa a casa di Raimondini, ed avere ripreso i suoi abiti normali, pagò la seconda metà della somma pattuita, ed andò subito difilato in Uffcio. Marchetti non era venuto, e si mise ad evadere alcune pratiche. Alle 14, mentre stava per uscire, arrivò il Direttore, con il viso tirato, e la barba ancora più lunga. Si scambiarono il solito sguardo di intesa, e poi ognuno proseguì nella sua direzione. Mentre stava uscendo Dino vide che Aleardi, il tanto discusso Dottor Aleardi, che secondo i maldicenti era solo ragioniere, si era affacciato dalla porta del suo studio, e guardava nella direzione verso la quale si era allontanato Marchetti, come se volesse seguirne i movimenti. Passò il pomeriggio in biblioteca a consultare i testi di areonautica. Era molto difficle trovare dati sugli aerei stranieri, perchè la cultura del momento era estremamente nazionalista, ma almeno riuscì ad escludere che si trattasse di un aereo italiano, salvo, ovviamente, che si trattasse di un prototipo, magari truccato per confondere eventuali spie straniere. Comunque, concluse, era improbabile che un prototipo venisse provato così lontano dall’ Italia. Non insistette ulteriormente, tanto si rese conto che era inutile, e tornò a casa. 23 Alle 20 si vide con il Direttore. Fecero una lunga passeggiata, parlando di edilizia, e guardandosi le spalle per essere sicuri che nessuno li seguisse, ed arrivarono sino alla chiesa Copta. Li si fermarono, e Marchetti fu il primo ad affrontare il discorso: <<come è andata?>> <<bene, è andato tutto liscio. L’ unico momento difficile è stato a a Cheren, perchè ho dovuto traversare il campo per raggiungere un Hangar per infilarmici dentro >> << quanti aerei hai visto in tutto? >> << in totale ne ho visto tre funzionanti, e cioè nella base di partenza solo il cargo con cui abbiamo volato, a Cheren, dentro l’ Hangar, un S.79, ed un aereo che non conosco>>. <<Come non lo conosci!>> <<non l’ ho mai visto!>> <<che sigla aveva?>> <<ovviamente non aveva sigle! Io non sono in grado di identificare quell’ aereo, ma comunque l’ ho visto bene ed ho una memoria fotografica. Oggi pomeriggio sono stato in biblioteca a consultare dei libri di areonautica, ma non mi pare che corrisponda ad alcuno dei nostri aereoplani>>. <<Descrivimelo>>, disse Marchetti <<E’ un monomotore con l’ elica a quattro pale nella parte anteriore, le ali inserite in basso, ed otto cannoncini sotto le ali>> <<Ti ricordi le dimensioni?>>, chiese ansiosamente Marchetti. <<E’ lungo approssimativamente una decina di metri, e la apertura alare è sostanzialmente identica>> <<hai notato la forma della cabina di pilotaggio?>> <<si, a tre serie di pannelli>>, rispose Dino. <<Era molto lungo nella parte anteriore?>> <<si, molto>>. Marchetti tirò una pedata ad un ciottolo, si guardò intorno, poi disse a bassa voce: <<so che la RAF stà collaudando un nuovo monomotore, lo Spitfire, con un motore Rolls Royce. Quello che hai visto potrebbe essere il modello MK.1A, che è il primo della serie. Comunque dovrò controllare le informazioni. La cosa migliore è rivederci domani sera all’ Ufficio di Viale Mussolini. Si rividero la sera successiva, nella saletta interna dell’ Ufficio, e Marchetti mostrò a Dino la fotografia di un aereo con la sigla della RAF. Dino la osservò a lungo in silenzio, e poi la riguardò con una lente di ingrandimento che Marchetti gli aveva porto. Alla fine posò tutto sul tavolo, e disse con sicurezza: <<è sicuramente l’ aereo che ho visto, solo che il mio non aveva la sigla della RAF>>. Marchetti allungò le gambe in avanti, sprofondò indietro nella poltrona, come per rilassarsi e concentrarsi meglio, e cominciò a parlare: <<ero sicuro che fosse lo Spitfire. E’ un aereo da combattimento eccezionale, com motore Rolls Royce, che sviluppa sino a 1030 Cavalli vapore. Porta 8 cannoncini Browning da .303. Ci risulta che può raggiungere circa 600 Km/ora, sicuramente più dell’ altro modello inglese, l’ Hurricane, e più di qualsiasi altro aereo attualmente disponibile>>. Rimase qualche secondo in silenzio, poi riprese: <<ho avuto notizia di un aereo tedesco, l’ FW, che è in fase avanzata di progettazione, e che potrebbe superare i 630 chilometri /ora, ma credo che ci vorrà ancora qualche anno per vederlo volare>>. Dino sbarrò gli occhi: <<ovviamente Lei si rende conto di quello che sta dicendo! Noi avremmo un ritardo tecnologico spaventoso!>>. <<si -confermò Marchetti- e non mi risulta che stiamo neppure progettando un aereo di quel livello>>. Dino domandò: <<ma la nostra intelligence non è riuscita a mettere le mani su questa tecnologia?>. Marchetti sospirò e disse: in parte la abbiamo ottenuta, ma c’ è una certa avversità ad applicarla da parte delle industrie belliche, che dovrebbero cambiare le loro tecnologie di produzione. E sopratutto queste resistenze vengono raccolte nelle alte sfere dei comandi militari. Purtroppo la intelligence può solo passare informazioni e piani ai militari, ma il compito di agire è loro>>. <<Insomma - sintetizzò Dino- la nostra aviazione è rappresentata da quattro carrette, e non abbiamo nessun piano per migliorare la situazione. Bisogna solo sperare che non entriamo mai in guerra>>. <<Si>> confermò Marchetti pensieroso. Dino riprese: <<c’ è un problema più grave: che ci faceva li lo Spitfire? >>. Marchetti rimase in silenzioper un pò, poi tamburellando le dita sul bracciolo della poltrona, disse: <<io per il momento posso solo fare delle ipotesi: quell’ aereo probabilmente viene dal Sudan e l’ uomo che lo pilotava è venuto per avere un contatto con qualche militare di alto grado>>. Dino pensò che quella di Marchetti era una vera ossessione, che lo portava a vedere militari traditori da tutte le parti, ma bisognava ammettere che le circostanze sembravano dargli ragione, comunque obbiettò: << se questa teoria fosse vera avrebbero dovuto curare un po’ di più la sorveglianza del campo di atterraggio, invece sono sicuro che li avrebbe potuto venire in gita indisturbata una intera scolaresca>>. Marchetti alzò le spalle: <<intanto stà di fatto che quell’ aereo era li, e poi sai quanto gliene frega ai militari! Anche se io facessi un rapporto su tutta questa storia, andrebbe sempre a finire sul tavolo di uno di loro>> <<e se li saltassimo ed arrivassimo direttamente al Vicerè?>>. <<bravo, cosi il primo segretario che vede quei fogli informa tutti, ed entro sera il Generale Pesenzani fa eliminare me, te e pure quel cazzo di Raimondini che hai corrotto. Ci vorrebbero dei documenti inoppugnabili, come delle foto, ma per ora non le ho. Ci conviene aspettare e tentar di raccogliere prove consistenti>>. Dino non era del tutto convinto, ed 24 insistette: <<è possibiliche quell’ aereo sia penetrato all’ interno del nostro territorio senza essere stato avvistato?>> <<non è molto difficile -rirspose Marchetti- basta che qualcuno abbia dato al pilota la mappa dei nostri punti di rilevazione. Noi non abbiamo un sistema Radar>>. Dino si incuriosì: <<ho sentito parlare di Radar, e credo che serva ad individuare aerei nemici, ma non ne so molto>>. Marchetti si concentrò: <<il radar, o Radio Detection And Ranging è un sistema elaborato in Inghilterra per cui una antenna invia onde radio nello spazio. Se un aereo penetra nello spazio “coperto” da questi segnali, ne respinge indietro una parte, ed il segnale di ritorno viene captato da una antenna ricevente, e successivamente ampliato e riportato su uno schermo: in pratica tu puoi vedere l’ arrivo di qualunque aereo su di uno schermo, mentre sei seduto su una poltrona.>>. <<e’ una cosa eccezionale -esclamò Dino- chi possiende questi strumenti può anche eliminare una parte degli aerei ricognitori, almeno quelli destinati alla difesa del territorio, ed alla copertura delle unità di attacco!>> <<esattamente, però ci sono dei limiti importanti. Innanzitutto non è facile coprire il territorio con la rete radar, e dalle mie fonti risulta che si potrà coprire nei prossimi anni solo una parte del territorio britanico. In secondo luogo, pare che lo strumento sia molto efficiente nel riconoscere l’ altitudine dell’ aereo, ma non la sua direzione di volo, perchè i raggi vengono emessi dall’ antenna a raggiera, con una dispersione eccessiva>>. Marchetti, che si era aiutato con le mani per illustrare la tecnologia di cui parlava, le riposò sui braccioli della poltrona. Dino lo guardò interdetto, poi disse: <<queste non sono solo fonti dell’ intelligence, Lei ha altri canali>>. Marchetti alzò le spalle: <<ho scritto tutto questo nei miei rapporti nel periodo che ho trascorso a Londra, ma lo stato maggiore non ha voluto darmi retta., un po’ per ignoranza, un po’ per pressione delle industrie belliche che producono i ricognitori. Come tu stesso hai osservato, la introduzione del Radar avrebbe significato dover spostare le risosrse economiche verso quella tecnologia, a danno delle industrie aeronautiche. E pensare che io potevo ottenere attraverso le fonti della Intelligence i dati tecnici sull’ 80% della tecnologia necessaria, e che in Italia esistono fisici in grado di elaborare in tempi brevi il restante 20%. Anche io sono laureato in fisica, ed anche Zeaidita>>. Quest’ ultima affermazione fu più pesante di una bomba. Dino lo fissò, e Marchetti riprese a parlare: <<comunque, per tornare all’ argomento principale, ho fatto un controllo. In quelle basi ci dovevano essere 12 aerei, ed anche ammettendo che tre fossero in volo, oltre il vostro, al massimo possiamo supporre che tra le due basi ce ne siano in realtà solo 5, di cui uno di altra nazionalità! Eppure risulta che è stata consumata benzina per 12 aerei>>. <<Ce ne erano altri due distrutti>> osservò Dino. <<È una situazione estremamente grave-disse Marchetti- e dovrò provvedere. Il problema è superare lo stato maggiore di Addis Abeba, a cui dovrei passare queste informazioni, ed arrivare direttamente al Vicerè. Dovrò essere convincente!>>, poi guardò Dino negli occhi, dicendo: <<io credo che a questo si colleghi un altro fatto grave, la scomparsa di Zeaidita>>. Dino lo guardò pensieroso e gli disse: <<io ho una traccia, che ho messo a fuoco solo stanotte, mentre ero in volo. Qualche mese fa, mi sembra a Marzo, Aldo mi ha detto che era venuto da lui Aleardi a chiedere cosa facevo il mercoledi, e Zeaidita è scomparsa Mercoledidieci >>. Marchetti lo guardò interdetto, poi si passò una mano sulla fronte, come faceva abitualmente quando voleva prendere tempo e concentrarsi, e quindi disse:: <<hai ragione tu mi avevi parlato di questo un mercoledì sera in cui ci siamo incontrati, mentre io tornavo in macchina a casa dopo aver visto Zeaidita. Io ho effettivamente sottovalutato Aleardi, però anche adesso ti assicuro che non credo che abbia avuto un ruolo importante>>. Dino rimase un attimo interdetto, perchè non riusciva a capire perchè Marchetti si ostinasse a voler tenere Aleardi fuori dalla faccenda, ad ignorarlo, e relegarlo ad un ruolo secondario. Era evidente che quell’ uomo era invischiato sino al collo in tutta la storia. Alla fine decise di ignorare l’ atteggiamento del direttore, e proseguì: <<io non faccio nulla di particolare il Mercoledì, quindi cercava di collegarmi a qualcun altro, od a qualche altra cosa>>. Marchetti annuì: <<tu stai pensando che Aleardi era a conoscenza dei miei incontri con Zeaidita, ed ha deciso di farla rapire?>>. <<si, rispose Dino, ma probabilmente ha anche saputo che negli ultimi tempi io avevo parlato con Zeaidita, e questo gli ha complicato i piani. Probabilmente voleva avere la conferma che dopo l’ orario di ufficio vado a pranzo, e che nel pomeriggio non sono in circolazione ad ostacolare il rapimento della ragazza>> <<è più logico -ammise Marchetti- ma c’ ero pur sempre io di mezzo>>. <<Può darsi che vi abbia fatto seguire, e che sapesse quando agire indisturbato. In fondo voi vi incontravate regolarmente, seguendo certi rituali di segretezza, era tutto molto prevedibile>>. Marchetti rimase un attimo a riflettere, poi gli domandò: <<tu, come sai tutto questo>>. <<Quando Zeaidita mi ha dato quel messaggio, mi sono preoccupato e l’ ho fatta seguire.... non sapevo di voi, mi dispiace>>. Il direttore rimase immobile, perplesso, quasi per digerire il rospo, ma anche se era in difficoltà non fece trasparire 25 nulla. Dopo qualche attimo riprese a parlare: <<Non ti deve dispiacere, è colpa mia. Potevo accettare di arrivare sino in fondo, fregarmene delle convenzioni e del lavoro, ed andare a vivere con lei, e tutto questo non sarebbe successo. Tu hai fatto solo il tuo dovere, che è quello di sorvegliare gli indigeni>>. <<Va bene, bando alle ciance-disse Dino- lasciamo perdere e cerchiamo di ritrovarla, anche perchè forse la sparizione di Zeaidita è collegata a quello che ho visto l’ altra notte. Però bisogna che lei mi dica chi è Zeaidita>> <<si -sospirò Marchetti- Zeaidita è la figlia di un ricchissimo RAS che adesso è al confino in Italia, ed io l’ ho conosciuta a Londra dove studiava>>. Il direttore proseguì il racconto per molto, e Dino lo stette a sentire con attenzione. Alla fine si strinsero la mano, e Dino gli dette la sua parola d’ onore, che lo avrebbe aiutato lealmente a ritrovare Zeaidita, e decisero di incontrarsi regolarmente per aggiornarsi sullo stato delle ricerche. Per ottenere la massima segretezza sulle indagini ognuno avrebbe agito indipendentemente, ma se si fossero trovate delle tracce si sarebbero incontrati subito, anche al di fuori del giorno convenuto. Nei mesi successivi, come avevano stabilito, Marchetti riunì tutti i mercoledì, nell’ Ufficio di Viale Mussolin, gli uomini di cui si fidava, cioè Dino, Giovannino Sulis, ed un giovane sottufficiale dei carabinieri milanese, che si chiamava Claudio Rossi, per fare insieme il punto della situazione. Marchetti aveva detto sin dall’ inizio che alle ricerche partecipavano anche due uomini, con il nome in codice di N2 e Julio, che per regolamento dovevano restare sotto copertura, e potevano avere contatti solo con il Direttore. Durante la prima riunione Marchetti aveva chiarito che la ricerca di Zeaidita, al di la dei suoi motivi personali, era un problema di lavoro: <<la ragazza è legata a me, ma ricordatevi che a parte alcune posizioni ideologiche di sinistra e di un ovvio atteggiamento di simpatia per delle richieste di autonomia avanzate dalle popolazioni indigene, Zeaidita lavora per noi, e rappresenta un argine importante contro la penetrazione inglese>>. Sulis intervenne: <<Direttore, noi ci conosciamo ormai da moltissimi anni, e comunque potrebbe contare su di me anche se dovesse cercare sua nonna in un ospizio, ma è giusto dire che la posizione della famiglia della ragazza è ambigua, ed il padre è stato esiliato in Italia!>>. Marchetti scrollò le spalle, e disse: <<io sono vecchio di questo mestiere, e conosco i retroscena. In realtà la famiglia di Zeaidita è stata deportata per sottrarla alla vendetta di dei suoi compatrioti, che accusavano il RAS di averli venduti agli Italiani, e questo non è vero! Il padre di Zeaidita invece era un uomo moderato, e desiderava soltanto mantenere la indipendenza del suo popolo. Per questo aveva sempre tentato di bloccare la penetrazione inglese ed evitare rappresaglie da parte nostra. Gli stessi inglesi, ed i suoi nemici interni hanno giostrato su questo, e lo hanno presentato alla popolazione indigena come un traditore, e gliela hanno rivoltata contro. Per salvargli la pelle e la faccia davanti ai suoi connazionali, lo abbIamo fatto passare per un elemento non sicuro, e lo abbiamo spedito in Italia.>>. Rossi domandò: <<come mai la ragazza ha ha un ruolo strategico così importante nella nostra organizzazione?>>. Marchetti sospirò e rispose: <<Zeaidita ha profonde radici tra la popolazione indigena, ed il fatto che è stata sempre lontana dalla sua famiglia, non la ha coinvolta nell’ odio che alcuni hanno verso il padre. In più per la sua abilità, è in grado di raccogliere notizie anche dai bianchi.>>. <<Quindi- osservò Dino- il suo supposto rapimento è sostanzialmente un grave colpo inflitto alla nostra attività>>. <<Si -ribattè Marchetti riflessivamente- Zeaidita non è una “allineata”, ma è comunque un nostro agente esterno importante. Ovviamente ho capito quello che vi state domandando tutti, cioè se il rapimneto, ammesso che si sia trattato di un rapimento e non peggio, sia stato un colpo indirizzato contro di me, o contro tutta l’ organizzazione di cui facciamo parte. Io sinceramente propendo per la seconda ipotesi, o per tutte e due insieme>>. Nessuno ribattè, e tutti uscirono nel massimo silenzio, quasi per rispettare il dolore di Marchetti.Erano passati molti mesi mesi dalla scomparsa di Zeaidita, e non si erano trovate tracce della ragazza. Ormai erano arrivati i mesi freddi, e la sera di mercoledì 12 Luglio 1939 Dino andò, come al solito, all’ Ufficio di Import-Export di viale Mussolini. Rossi arrivò molto eccitato, e riferì di aver letto in un rapporto della stazione dei carabinieri di Chreren, che durante le indagini sull’ omicidio del proprietario di una piccola impresa di trasporti, erano stati arrestati due pastori indigeni in possesso di molti soldi, e costoro avevano confessato di essere stati pagati da un bianco per rapire una ragazza di Asmara, e tenerla prigioniera. Quattro o cinque giorni prima dell’ arresto, la avevano riconsegnata al commitente, che era venuto a prenderla con due uomini bianchi. Marchetti si alzò di scatto battendo il pugno sul tavolo, ed esclamando: <<dobbiamo sapere dove è finita, e dobbiamo raggiungerla prima dei carabinieri, e sopratutto prima dei miltari>>. Rimase un attimo in piedi, sconvolto, poi recuperò la calma, si sedette nel silenzio generale, e si rivolse a Dino: <<questi due farabutti che hanno preso Zeaidita devono avere degli appoggi tra gli indigeni, altrimenti non potrebbero muoversi così facilmente. Chi vuole può 26 anche sfuggire a noi, ai carabinieri, a tutti, ma non sfugge alla popolazione indigena! Tu Dino sei quello che è più introdotto tra gli indigeni, e quello che può fare più di tutti>>. <<Si -disse Dino pensosamente, preoccupato dalla responsabilità che gli pioveva addosso- io ho molti amici, ma il problema è che a Cheren non conosco nessuno. Comunque troverò qualche informazione, ma bisogna che prenda le Ferie in Ufficio>>. Rossi intervenne: <<aspetta due giorni ad iniziare le ricerche, il tempo che io prenda contatto con i carabinieri di Cheren, che probabilmente sanno molto di più di quanto hanno scritto nel rapporto. Ci vediamo Venerdì sera>>. <<Si - convenne Marchetti- in una storia come questa bisogna muoversi con il piede giusto, o si rischia di fare un disastro. Tanto sospirò- se avevano deciso di eliminarla lo hanno già fatto>>. Nessuno raccolse questa tetra affermazione, e tutti si avviarono verso la porta, riaggiornandosi alla prossima riunione. La sera del 14 arrivarono tutti all’ orario convenuto. Rossi aveva l’ aria soddisfatta, ed esordi: <<ho dovuto faticare, ma so quasi tutto. Voi sapete che i Carabinieri hanno dei loro archivi segretissimi, ed io ci sono arrivato. Ho potuto prendere visione della velina di una lettera che è stata consegnata a mano al Comandante dell’ Arma. Ho riassunto la parte più importante perchè ovviamente non ho potuto asportarla, e non ho avuto il tempo di copiarla.>> inforcò gli occhiali, tirò dalla tasca un foglio e cominciò a leggere: << il giorno 8o del corrente mese sono stati arrestati due pastori indigeni, tali Tesfazien e Galetà, su segnalazione di un nostro Regio Carabiniere che si occupava delle indagini sulla uccisione di un autotrasportatore, tale Romano Cesarini, ucciso con due colpi di pistola la sera di Mercoledì 5 Luglio 1939, a poca distanza dalla sua abitazione. Fu inaspettato il fatto che i due pastori avessero indosso, cucita negli abiti, una ingentissima somma di denaro, molto di più di quanto ci si potesse aspettare dal furto perpetrato ai danni del Cesarini, che risulta essere un vero fallito, con scarsa attività, e dedito piuttosto a trasporti illeciti, dai quali ricavava comunque scarsissimo denaro che spendeva con le locali sharmutte. I due vennero interrogati dai nostri esperti, e decisero spontaneamente di collaborare.>> Rossi si interruppe, e gettò un’ occhiata in giro. Tranne Marchetti che era tesissimo, Dino e Giovannino Sulis avevano abbozzato un sorriso, in proposito alla “collaborazione spontanea”. Rossi riprese a leggere: << I due pastori erano stati avvicinati verso la metà di aprile dal Cesarini che aveva offerto loro una buona somma di denaro per rapire una giovane donna indigena che viveva in Asmara. I tre fecero diverse prove del rapimento, ed il misfatto venne compiuto la sera del Mercoledì nove novembre 1938, nei pressi di Asmara, mentre la giovane rientrava in città su una bibicletta.>> Marchetti era impallidito e si mordeva le labbra, e confermò : <<è lei, non c’ è dubbio>>. Rossi riprese a parlare: <<la giovane, legata ed imbavagliata venne messa sul camion del Cesarini, e portata in una grotta nelle vicinanze di Cheren, dove rimase a turno a sorvegliarla, uno dei due pastori. Il Cesarini aveva espresso la volontà di usarle violenza, data la particolare bellezza della giovane, ma i due Tesfazien e Galetà si opposero con fermezza perchè la donna era della loro razza>>. Dino notò con la coda dell’ occhio che Marchetti si era rilassato un po’ dopo quella frase. <<Il Cesarini era tornato spesso all’ attacco, ed aveva preteso di restare solo con la giovane, che intanto aveva scongiurato i due di non lasciarla mai, ed il fatto che costoro la avessero assecondata, aveva ingenerato molta tensione nel gruppo. La sera del 3 Luglio il Cesarini aveva annunciato la venuta del committente del rapimento, e costui si presentò la sera del cinque con altri due uomini bianchi. L’ uomo che comandava il gruppo, che consideriamo il committente, era grassoccio, di circa 40 anni, altezza intorno al metro e sessanta, ed aveva il viso parzialmente coperto da una sciarpa rossa, uno era alto come il committente, aveva la stessa taglia, un addome molto protrudente, ed aveva un dente dorato, ed il terzo era piuttosto tarchiato ed aveva circa 50 anni, baffi ed era calvo quasi totalmente, ad eccezione di una corona di capelli grigi.>> Dino e Marchetti incrociarono gli sguardi, poi il Direttore parlò: <<io ho sempre sospettato che questo rapimento sia stato concepito nell’ ambiente dei militari, ed il primo uomo che è stato descritto potrebbe essere benissimo uno dei tirapiedi del Generale Pesenzani, tu devi averlo visto perchè ogni tanto viene nei nostri uffici con le scuse più assurde, pur di ficcanasare>>. Dino di rimando sorvolò sull’ argomento e disse a sua volta con sicurezza: << quello con il dente d’ oro è lo stesso che è andato a casa di Mohamud-Nur, ed è sicuramente il fratello di Aldo, quello del ristorante Italia. Ne sono sicuro perchè lo ho visto per una settimana intera duante la quale ha lavorato dal fratello>>. Rossi li guardò con aria soddisfatta, e riprese a parlare annuendo: << i pastori riferiscono che prima di allontanarsi, l’ uomo che definiamo committente aveva fatto un cenno all’ uomo che aveva il dente d’ oro, e costui aveva estratto la pistola, ed ucciso a bruciapelo il Cesarini>>. I due pastori erano fuggiti, e nessuno li aveva inseguiti, probabilmente perchè considerati poco pericolosi per il gruppo, o semplicemente perchè il gruppo 27 aveva fretta. I due erano tornati successivamente sul posto, avevano trovato una parte dei soldi ancora addosso al cadavere del Cesarini, e li avevano trafugati.>> Marchetti che si stava torcendo le mani nervosamente, interruppe: <<questa versione non la sapremo mai ufficialmente.Quei due pastori finiranno sulla forca, e tutta la questione verrà coperta>>. <<Si -disse Rossi- e dovranno coprire molte altre cose. Ieri sera è stato ritrovato il cadavere di un uomo, che si dice sia morto per incidente di caccia il giorno cinque, a qualche chilometro dal luogo dove è stato perpetrato l’ omicidio del Cesarini. Guardate, ho una foto, che mi ha portato stamani un carabiniere in motocicletta da Cheren, e che non apparirà mai nei documenti ufficiali>>. Tirò fuori la foto di un uomo morto, con in fronte l’ evidente foro di una pallottola di grosso calibro. Gli altri tre la guardarono attentamente, e Dino riconobbe il fratello di Aldo, e lo comunicò ad alta voce. Rossi si guardava intorno con aria di soddisfazione, ed in effetti aveva fatto un ottimo lavoro, ma non aveva finito, e proseguì la sua esposizione dei fatti: <<e non è finita qui. A circa duecento metri è stato ritrovato un altro cadavere, anche questo con un foro di proiettile nella fronte. In questo caso la versione ufficale è che l’ uomo aveva la pistola in mano, perchè temeva di essere attaccato dai ribelli, e che scivolando si è sparato accidentalmente quel colpo>>. Con calma Rossi tirò fuori una seconda foto, in cui si vedeva un altro uomo, riverso sull’ erba, dell’ apparente età di cinquanta anni, con una accentuata chierica. Marchetti osservò attentamente la foto, poi commentò: <<per terra ci sono le tracce di trascinamento del cadavere. L’ uomo è un colonnello dell’ esercito, che si chiama Masselli, ed era un collaboratore del Generale Pesenzani>>. Rossi confermò con un cenno della testa, ed aggiunse: <<come il dottor Marchetti ha fatto osservare, ci sono delle tracce di trascinamento vicino al secondo cadavere, ma è importante il fatto che anche vicino al primo cadavere, per intenderci quello dell’ uomo con il dente d’ oro, ci sono le tracce di un corpo caduto e successivamente trascinato via. Insomma lo scenario più verosimile è che i due uomini siano stati uccisi a bruciapelo nello stesso posto, e che poi uno dei due sia stato trascinato a duecento metri di distanza, nel tentativo piuttosto maldestro di far credere che i due omicidi non fossero collegati>>. Marchetti aveva seguito tutto il discorso con molta attenzione, ed osservò: <<se avevano poco tempo a disposizione non potevano fare gran che. Probabilmente l’ assassino era un uomo solo, se avesse avuto un complice sarebbe stato più logico trasportare il cadavere, invece di trascinarlo>>. <<Mah- obbiettò Rossi- nel rapporto originale si prende in considerazione l’ ipotesi che vi fossero più uomini in quel posto , oltre gli assassinati, e si conclude che è la cosa più probabile, perchè sul posto si sono trovate le tracce di quattro uomini, ed ovviamente dei sandali di una donna. Il fatto poi che il cadavere sia stato trascinato e non trasportato potrebbe dipendere dalla inefficienza fisica di uno o di entrambi gli assassini>>. Dino si alzò in piedi: <<è evidente che i due uomini uccisi sono quelli che accompagnavano colui che chiamiamo “il commitente”, e che dalla descrizione, secondo me, potrebbe anche essere Aleardi. In effetti Aleardi è un mollacchione e non potrebbe aiutare a trasportare un cadavere di quella stazza>>. Gli altri annuirono, e Dino proseguì: << secondo me, insisto, abbiamo sottovalutato il ruolo di Aleardi in tutta questa vicenda. In ogni caso, a questo punto dobbiamo concludere che sulla scena del delitto è comparso un quarto uomo che ha ucciso il fratello di Aldo ed il Colonnello Masselli, ed ovviamente questo può solo voler dire che qualcuno voleva levarli di mezzo perchè li considerava pericolosi, ma è comunque strano che sia rimasto in vita Aleardi. Inoltre dovete considerare che il fratello di Aldo è un mascalzone, un rifiuto della società, ma il Colonnello era un intimo di Pesenzani, e questo farebbe escludere che il mandante del duplice assassinio e del rapimento sia stato proprio il Generale>>. Marchetti rimase un attimo soprappensiero, poi replicò: << si, in un certo senso è vero che il ruolo di Aleardi è stato sottovalutato, ma io resto del convincimento che dobbiamo essere prudenti con lui. Sinchè non lo tocchiamo i militari continueranno ad utilizzarlo, ma se lo smascheriamo i militari lo butteranno a mare, e forse lo uccideranno per eliminare l’ anello debole della loro catena criminale, e noi perderemo una traccia importante. No, non possiamo permetterci di smascherarlo ora, vi dirò io quando sarà tempo. Per quanto concerne i rapporti tra Pesenzani e Masselli non mi meraviglio del fatto che siano stati complici in qualche canagliata, e che durante un regolamento di conti il Generale abbia fatto eliminare Masselli. E’ un fatto che si verifica spesso tra delinquenti. Pesenzani è un farabutto capace di tutto, ed il Colonnello Masselli ha tentato più di una volta di passargli avanti. Io trovo impropria la definizione di fedelissimo di Pesenzani, ma lo definirei piuttosto un compare >>. Dino obbiettò: << può darsi che dovessero coprire qualcosa di molto grave che Zeaidita sapeva, ad esempio la questione del passaggio dei soldi -rimase un attimo in silenzio, poi cercò di sintetizzare, come era sua abitudine- Tutto quello che sappiamo punta alla riunione avvenuta a casa di quel Mohamud Nur. Di quella riunione mi aveva parlato Zeaidita, ed è 28 stata rapita, ed almeno uno degli uomini che andarono all’ appuntamento quella sera è stato ucciso>>. Marchetti annuì dicendo: <<sono d’ accordo, ma non credo che il rapimento servisse a zittire Zeaidita, primo perchè in questo caso l’ avrebbero uccisa senza tanti rimorsi, secondo perchè sapeva solo qualche cosa di tutti gli intrighi dei militari, e quello che sapeva non era poi così preoccupante, almeno finchè non si fossero trovate le prove. No, sono certo che il motivo del rapimento è un altro, solo che per ora ci sfugge>> Quando uscirono dalla riunione in realtà nessuno aveva un piano preciso, ma tutti si sentivano estremamente responsabilizzati. Dino, appena superata la porta, girò il viso verso il cielo, e vide la croce del Sud. La nottata era trasparente e freddissima, e si incamminò verso casa stringendosi addosso l’ impermeabile. Mentre camminava rianalizzò tutta la storia, e provò un senso di angoscia nel pensare allo strazio di Marchetti, alla povera Zeaidita legata in qualche caverna tra i monti dell’ Eritrea, e per contrasto gli tornarono in mente Tonara, la sua casa natale, i suoi parenti, la mensa imbandita. Ma era un uomo molto concreto, e per quando arrivò a casa con le mani intirizzite ed il naso gelato, aveva le idee molto chiare su quello che avrebbe fatto per risolvere la questione. La mattina successiva andò difilato in ufficio, e corse a firmare l’ entrata. Poi scorse con attenzione il Registro delle Presenze, e rigirò all’ indietro le pagine sino al giorno cinque del mese. Come previsto quel giorno Aleardi non era venuto. Il quattro ed il sei c’ era. Richiuse il Registro mentre entrava Antonio, l’ usciere, che gli disse: <<scusi Dottore, se il Registro non le serve lo prendo io, me lo ha chiesto con urgenza il Dottor Marchetti>>. Dino sorrise, e tornò nella sua stanza. A mezzogiorno il Direttore entrò nell’ Ufficio di Dino con delle pratiche, e mentre gliele porgeva, disse: <<c’ è un sacco di lavoro arretrato, e dobbiamo in qualche modo organizzarci. Oggi andremo a pranzo insieme e ne parleremo>>. Dino annuì, guardando le sole due pratiche inevase che ancora giacevano sul suo tavolo, e riprese a scrivere. All’ ora di pranzo uscirono insieme dall’ Ufficio e mentre camminavano, Marchetti venne al punto: <<tu sai che io ho un uomo nell’ Alto Comando>>. Dino fece cenno di si, ma precisò: <<lo sospettavo, ma Lei non me lo ha mai detto>>. <<Si, hai ragione, comunque esiste, ed ha il nome in codice di Julio. Ieri notte ho saputo da lui che due sottufficiali andranno per una missione in Italia, ma risulta che siano stati acquistati tre biglietti per via mare. Devi scoprire chi sarà il terzo viaggiatore>>. <<Come andranno?>>. <<pare con un piroscafo del Lloyd Triestino>>. <<Ci penso io, che ho un amico carissimo che lavora per quella linea, altro sardo, di Boromini. Ma, non faremmo prima a prendere Aleardi e farlo parlare con le cattive?>>. << lascialo perdere, quello sa molto poco, e capisce ancora di meno. Probabilmente ha avuto qualche ruolo in questo rapimento, ma sicuramente è molto limitato. Vedrai che prima o dopo i suoi complici lo elimineranno, e comunque non arriveremo a Zeaidita attraverso di lui>>. Dino era estremamente insoddisfatto ed infastidito dall’ atteggiamento di Marchetti: erano tre volte in poco tempo che il Direttore cercava di allontanare i suoi collaboratori da Aleardi, con affermazioni piuttosto vaghe. Anche gli altri partecipanti alle riunioni erano piuttosto interdetti. Evidentemente aveva un suo motivo molto grave per volerlo salvare a tutti i costi, ma era almeno giusto che lo chiarisse. Comunque disse soltanto, con tono stizzito: <<ci saremmo arrivati se ci fossimo mossi prima, quando è andato a prenderla nella grotta con Masselli ed il fratello di Aldo>>. Marchetti non replicò, ma aggiunse soltanto: <<si, ma adesso è tardi>>. Dino decise che quello non era il momento adatto per insistere e polemizzare, e si mise d’ accordo sui dettagli dell’ operazione. Il pomeriggio andò nell’ Ufficio del Lloyd Triestino, e domandò del Signor Sau. La segretaria lo introdusse da Sau, che lavorava al primo piano, e che era un uomo molto gioviale, suo amico sin dai tempi del servizio militare. Dino gli spiegò che voleva comprare un biglietto per l’ Italia, solo che voleva vedere la lista dei passeggeri per regolarsi. <<Sai, gli disse, mi piacerebbe viaggiare quando c’ è qualche signorina, o signora sola>>. Sau strizzò l’ occhio, e gli dette la carta delle prenotazioni. Lunedi 14 Agosto partivano con il Cristoforo Colombo il Tenente Regis, ed il Capitano De Vincentis con signora. Dino decise di partire con quel viaggio, ma Sau gli fece presente che c’ erano molte più donne libere nel viaggio successivo. Dino buttò gli occhi sul foglio delle prenotazioni, vide al volo un nome, e disse sforzandosi di avere un’ aria soddisfatta: <<però c’ è la signorina Angiani, che conosco>>. Sau sbarrò gli occhi: <<anche io, Elena Angiani, ma ha più di cinquant’ anni, ed è pure brutta!>>. Dino diventò rosso, ma disse con tono complice: <<sembra, ma per certe cose è un vero fenomeno>>. Sau lo guardò con aria di compatimento, ma in nome della vecchia amicizia gli assegnò la cabina a fianco della ultracinquantenne. 29 Marchetti conobbe l’ esito delle ricerche soltanto la sera successiva, dopo avere cenato insieme a Dino al Circolo Ufficiali, mentre passeggiavano verso la periferia di Asmara, stretti nei cappotti, e concordò sul fatto che in quel viaggio doveva accadere qualcosa di particolare: <<certo è molto strano che l’ esercito compri il biglietto anche per la moglie di un militare. Se uno va in missione e si vuol portare la moglie le deve pagare il biglietto di tasca sua. Quindi è molto probabile che vogliano far passare Zeaidita per la moglie di questo De Vincentis>>- <<ma Zeaidita è di colore, protestò Dino, mica è facile!>>. << questo è l’ ultimo dei loro problemi. Le metteranno il velo, o la faranno passare sulla barella, o la faranno passare all’ ultimo per la cameriera nera della signora, un sistema lo trovano>>. <<Certo, è possibile, replicò Dino, ma comunque è molto strana questa prassi dei biglietti comprati ufficialmente dall’ esercito. Sarebbe stato molto più semplice dare direttamente i soldi a questo De Vincentis per comprarsi i biglietti da solo>>. <<Questo è vero, ma anche i piani più perfetti hanno degli errori. Probabilmente Pesenzani ha solo affidato l’ esecuzione del piano ai suoi compari, per evitare di sporcarsi le mani, e non ha controllato cosa facevano, e quegli imbecilli hanno commesso un errore clamoroso.>> Dino osservò: <<secondo me è importante sapere perchè la vogliono portare su quella nave, anche perchè quando saremo a bordo, la rapidità del nostro intervento dipenderà da quello che intendono fare>>. Marchetti annuì: <<ho analizzato le varie possibilità con tutta la freddezza che posso avere: <<non credo che la eliminino prima di arrivare in Italia, perchè la mancanza di un passeggero si noterebbe, ed allora non restano che due possibilità: o la vogliono eliminare sul suolo Italiano, dove non risulterebbe mai arrivata, o la vogliono portare in Italia per farla interrogare da qualcuno che è implicato nel complotto, ed è più potente diPesenzani>>. <<Se la avessero voluta eliminare, sarebbe stato più semplice farlo qui in Eritrea- osservò Dino - a meno che non abbiano pensato che prima o poi il cadavere sarebbe saltato fuori, o che qualcuno avrebbe parlato, e noi avremmo la certezza che Zeaidita è morta.>> Marchetti annuì: <<stai dicendo quello che io penso da parecchio, che non vogliono ucciderla, ma vogliono tenerla in ostaggio per ricattarmi al momento giusto>>. <<No -disse Dino- io penso che da molti mesi ormai noi stiamo trascurando tutto per inseguire Zeaidita, ed è esattamente quello che vogliono, distoglierci dalla nostra attività. Vede Direttore, se Lei fosse certo che Zeaidita è morta si dedicherebbe alla vendetta, a smascherare il tradimento dello stato Maggiore. Io sono sicuro che non ci sarà nessun ricatto, cercheranno solo di tenerci in questo stato di tensione. In un certo senso questo garantisce la incolumità della ragazza>> Marchetti si fermò a riflettere, poi parlo: <<si, credo proprio che tu abbia ragione. Cerchiamo ditrovare Zeaidita, e se non ci riusciamo mi dimetterò>>. Dino gli strinse un braccio e gli disse: <<non abbia paura, la ritroveremo!>>. Poi presero le decisioni. Sulla nave ci sarebbero stati anche Marchetti e Julius, In particolare Dino e Julius non si dovevano conoscere, per ridurre al minimo i rischi, ma in caso di emergenza la parola di riconoscimento tra loro sarebbe stata “Orazio”, nome preso a prestito da Horatio Alger, lo scrittore che usava sempre in tutte le sue novelle lo stereotipo di un giovane povero che veniva arricchito da un ricco magnate come gratitudine per una operazione di salvataggio. Ovviamente l’ idea era stata di Marchetti, che neppure nelle situazioni più drammatiche sapeva rinunciare al vezzo della cultura anglosassone. Comunque almeno il nome era facile da usare in qualunque contesto per contattare Julius, e Dino non fece obiezioni. Due giorni dopo Dino stava lavorando in ufficio, quando venne Antonio, il portiere a chiamarlo: <<la desidera il Dottor Marchetti. Ha detto se può portare la pratica di Buonfiglio>>. Dino annuì, prese un pratica qualunque, la mise sottobraccio, ed andò dal Direttore. Appena la porta fu chiusa Marchetti gli mise davanti un giornale aperto alla terza pagina, e gli indicò un trafiletto, dove si leggeva “Omicidio per vendetta al villaggio Razza: il carrettiere Mohamud-Nur ucciso per un banale litigio”,poi aggiunse: <era proprio come pensavi tu>>. Dino riprese il fagotto dei documenti e tornò al suo lavoro, e mentre passava davanti ad uno degli uffici, vide Aleardi seduto alla scrivania, pallido, che guardava il giornale, asciugandosi il sudore che nonostate il freddo intenso gli imperlava la fronte Domenica 13 Agosto, ad orari diversi, Marchetti, Dino e Julius, partirono da Asmara con il treno alla volta di Massaua, ed andarono a dormire in tre Alberghi diversi. Lunedì 14 Agosto 1939 alle 11:00 del mattino Dino scese dal Taxi, una vecchia berlina scassata, che lo aveva condotto al porto. Pagò la corsa, recuperò le valigie, strinse la cinghia dell’ impermeabile, e venne immediatamente circondato da alcuni ragazzi neri che volevano portargli le valigie a bordo. Dette qualche soldo ad uno, quello che gli sembrava meglio in arnese, aprì l’ ombrello perchè la pioggerella insistente gli dava fastidio, ed aprì il depliant con la lista passeggeri. Sulla prima pagine c’ era la definizione del viaggio: 30 Lloyd Triestino Piroscafo Colombo e più sotto: Linea Celere Genova-Massaua -Gibuti Comandante Cap. Pannocchia Cosimo Tipografia P.fo “Colombo” Scorse la lista dei passeggeri: Sig. e subito sotto la famigerata Sig.na Sig.na Atti Didimo Alessandrini Ferdinando Aneli Giorgio Alexiadu Eufemia Angiani Cleofe Tenente Regis Evaristo Maggiore De Vincentis Raffaele Signora De Vincentis Elena Maria Salì sulla scaletta del Piroscafo, mentre il mozzo, imperterrito sotto la pioggia che era divenuta ormai fitta, annunciava: “Dottor Dino Tatti “. Invece di inoltrarsi dette la mancia ad un altro mozzo che doveva portargli le valigie in cabina, e rimase con aria noncurante in cima alle scalette per captare i nomi degli altri viaggiatori che salivano. Nel frattempo vide arrivare il taxi del Direttore, che spedì su le valigie con un altro negretto, e preferì ciondolare in mezzo alla folla che gremiva la banchina. Dopo una decina di minuti arrivò un altro taxi, che si fermò verso la estremità destra della folla che gremiva la banchina di imbarco, e discese Aleardi, con il cappello calato sugli occhi, probabilmente in parte per non essere visto ed in parte per difendersi dalla pioggia. L’ uomo si guardò intorno circospetto, poi si mise a girare in tondo alla periferia della folla. Dopo altri cinque minuti arrivò una camionetta dell’ esercito, e ne scesero tre militari. Dino aggrottò la fronte e riconobbe i gradi: uno era un tenente, uno un maggiore ed il terzo era un capitano. I due soldati che li accompagnavano tolsero dalla camionetta due grosse valige ed un baule, e le trasportarono attraverso la folla. Anche Marchetti vide la scena, e si precipitò a seguirli. Aleardi si era avvicinato, e seguì il corteo più da lontano, girandosi ogni tanto per controllare dietro di se chissa cosa. Anche l’ osservatore meno scaltro avrebbe notato il suo coinvolgimento in quella scena. I tre soldati arrivarono, nell’ ordine gerarchico, ai piedi della scaletta, ed capitano si allontanò per seguire con cura l’ imbarco delle valigie, poi raggiunse i tre, ai quali si era intanto accodato anche Marchetti. Aleardi era piuttosto indietro rispetto alla base della scaletta di imbarco, e non aveva una buona visuale, ma ad un tratto, ci fu un ondeggiamento della folla, e riuscì a vedere in avanti i tre militari, e probabilmente riconobbe anche Marchetti, perchè si mise a correre in avanti. Dino incrociò finalmente lo sguardo di Marchetti e gli indicò di guardare alle spalle, ma prima che il Direttore riuscisse a voltarsi, un uomo che stava a metà percorso uscì improvvisamente dalla folla e molto probabilmente fece lo sgambetto ad Aleardi, che volò in avanti. Dino vide la scena molto chiaramente dall’ alto. L’ uomo fece un apparente tentativo di salvare Aleardi dalla caduta, tendendo un braccio in avanti, ma invece gli dette un violentissimo pugno sulla nuca. Poi si chinò su Aleardi svenuto gridando: <<acqua, dategli dell’ acqua>>, e mentre qualcuno interveniva si allontanò raggiungendo anche lui la base della scaletta. Intanto i tre militari si stavano imbarcando, ed il mozzo li annunciò: <<“Maggiore De Vincentis Raffaele”, “”Tenente Regis Evaristo”, “Capitano Alna Euristide”, nel posto della “Signora De Vincentis Elena Maria”>>. Poi prosegui “Dottor Luigi Marchetti”. Il direttore aspettò che i tre militari scendessero sottocoperta, poi raggiunse Dino: <<qualcosa non quadra>>. <<Mica tanto, c’ era pure quel cavolo di Aleardi dietro di Lei, e stava cercando di avvisare i militari della nostra presenza, ma Julius, credo, lo ha preso a pugni>>. Mentre parlava Dino indicò l’ uomo che saliva la scaletta ed era ormai giunto davanti al mozzo, che annunciò: “Signor Grossi Paolo”. Costui, sbrigate le formalità li raggiunse, guardò Marchetti che gli fece un segno di assenso, probabilmente per confermare che poteva parlare, e disse: << secondo me la ragazza è qui, perchè altrimenti non si capisce che facesse Aleardi in giro>>. Marchetti era sempre molto rapido nelle decisioni, e disse: <<non c’e scelta, per il momento ci hanno fregati. Io torno a terra, tallono Aleardi, e raduno di nuovo i miei, voi proseguite C’ erano anche il 31 con la nave, e non li mollate. Comunque la nave parte alle diciotto, ed io sarò qui alle quattordici>>. Si precipitò verso la scaletta, disse due parole al mozzo, e riscese rapidamente. Paolo Grossi, alias Julius, guardò Dino con aria perplessa, e disse sottovoce: <<non credo che ci abbaino fregato, la ragazza è quì>>. Dino soprappensiero ripetè una frase che suo padre diceva sempre quando non trovava qualcosa: “se non trovi qualcosa è perchè non sai vedere”, poi si battè la mano sulla fronte: <<le valigie, cioè, il baule>>. Paolo Grossi corse alle spalle del mozzo, gli strappò dalle mani le carte con i nomi dei passeggeri, e noncurante delle proteste scorse tutti i fogli, poi glieli ridette, e tornò di corsa da Dino. <<Cabine 78, 79,80, ponte C>>. I due uomini fecero di corsa la strada sino al ponte C, poi Paolo Grossi vide il gruppo delle tre cabine, e fece un cenno a Dino. Proseguirono e si fermarono su uno slargo, da cui cominciavano le scale che portavano al salone di prima classe. <<Gli oblò delle cabine sono a livello dell’ acqua, non possiamo vederci dentro>>, disse Paolo Grossi. <<Il mozzo del ponte sa sicuramente dove hanno messo il baule>>, fece notare Dino. Paolo Grossi disse laconico: <<va bene, facciamolo cantare>>. Raggiunsero il bugigattolo del mozzo, e Dino gli dette una manciata di rupie: <<senti figliolo, devo parlare con il proprietario del baule verde, dove lo hai messo>>. Il ragazzetto era napoletano, e dall’ aria furba, e disse: <<io ve lo dico signori, ma pe piacere, si vulite arrobbà non me ce mettete po’ miezzo>>. <<Non rubiamo niente, dobbiamo solo parlare con quel militare, che tu ci andrai a chiamare>>, disse Dino, facendogli vedere altri soldi. Il ragazzo li prese e partì, ed i due nel corridoio, controllarono dove andava. Cabina 78. La porta si aprì ed uscì il capitano Alna, guardandosi intorno con aria di estrema preoccupazione, e tenendo la mano sulla fondina della pistola. Dino si avvicinò: <<scusi Capitano, siamo della Compagnia di Navigazione, abbiamo dovuto fare una rettifica al biglietto, ecco questo è quello nuovo>>. Prima che il capitano potesse aprire bocca Julius lo aveva steso con un poderoso cazzotto. Dino saltò immediatamente oltre il corpo del capitano e si appiattì dietro la porta della cabina 78, mentre Julius spianava la pistola. Passarono due o tre secondi, la porta si aprì di scatto, e Dino con una violenta pedata la chiuse di nuovo, colpendo in piena faccia l’ uomo che tentava di uscire. Julius si precipitò verso la cabina con la pistola spianata e spalancò la porta e Dino lo seguì immediatamente. I due militari erano in terra, sotto tiro di Julius, ed uno perdeva sangue dal naso. Il baule era in centro alla cabina, con il lucchetto bloccato. Dino corse fuori e trascinò dentro la cabina il capitano ancora svenuto, poi sbarrò la porta, e tolse le pistole dei due militari, che erano ancora in terra. Julius puntò la pistola alla tempia di del tenente e gli disse: <<apri il lucchetto, o ti faccio saltare il cervello>>. L’ uomo ubbidì, ed a un cenno di Julius sollevò il coperchio. Dentro, legata ed imbavagliata, ed in pessime condizioni, c’ era Zeaidita. Dino la slegò, e silenziosamente, con le stesse corde, iniziò a legare le mani degli altri due uomini. Il terzo era ancora svenuto. Ad un certo punto si sentì bussare, ed una voce che diceva: <<sono l’ addetto alle cabine. Mi hanno riferito che ci sono stati dei rumori sospetti Signor Tenente, va tutto bene?>>. Julius piazzò la pistola alle tempie del tenente e gli sibilò nell’ orecchio: <<rispondi, stronzo, e non sbagliarti, perchè sei nella merda pure tu!!>>. <<va tutto bene, grazie>>, rispose il tenente ad alta voce. Rimasero altri venti minuti in silenzio, mentre Zeaidita si rialzava in piedi. <<Come stai?>> chiese Dino. La ragazza sorrise, e disse: <<ho molta fame, sono sporca e ferita moralmente, ma in questo momento sono felice. Luigi?>> <<è tornato a terra ad inseguire un’ altra traccia, perchè non eravamo sicuri che fossi sulla nave. Ci aspettavamo che ti imbarcassero sotto falso nome, non avevamo pensato al baule>>. Zeaidita sorrise, indicò il bagno e disse: <<permettete che mi lavi?>>. Dino le indicò con la testa il bagno, ed aggiunse: <<Marchetti verrà alle tre>>. Poi Julius disse: <<adesso, signori, vi annuncio che la corsa è finita. Scendete da questa nave ed andate a fare in culo nella vostra fottuta caserma. Prima di levarvi dai coglioni uno di voi va dal mozzo e lo informa del cambiamento di programma, e gli dice che ha deciso di cedere la propria cabina, ed il biglietto alla signorina qui presente. Non tentate trucchi perchè non avete nulla da guadagnare>>. Dino sciolse il capitano, poi disse ai tre: <<scenderete uno per volta, uno di noi vi accompagnerà, l’ altro resterà in cabina>>. Zeaidita, che intanto si era ripresa e rinfrescata si fece dare una pistola e si mise anche lei a controllare i tre. Alle 15 Dino accompagnò il Tenente sino alla scaletta, ed assistette alla discesa dell’ uomo, che si allontanò rapidamente. Dopo qualche minuto arrivò Marchetti che capì dai cenni di Dino che era accaduto qualcosa di importante, e si precipitò a bordo. Mentre Dino lo accompagnava al ponte C gli raccontò tutto, ed il Direttore non resse all’ emozione e si mise a piangere. Dino lo fece entrare direttamente nella cabina a fianco, la 79, che doveva essere quella del Sergente, ed andò a chiamare Zeaidita. Alle 16 Julius buttò fuori il secondo dei due militari, e quindi si riunirono tutti nella cabina 79 per un aggiornamento. Marchetti iniziò a parlare: <<siete stati meravigliosi, per me come persona, ma anche per la patria. Adesso siamo tutti di 32 nuovo in pista, e romperemo il culo ai traditori. Ma come prima fase bisogna mettere in salvo Zeaidita. Questa nave è divenuta un fortino. Non ho avuto tempo di informarvi, ma negli ultimi giorni abbiamo avuto un colpo di fortuna. Rossi ha avuto informazioni precise su tutto l’ equipaggio di questo piroscafo, che è assolutamente pulito, tranne che per un cameriere che ha fatto arrestare con l’ accusa di ubriachezza e vilipendio al Duce, e quindi i rapitori non hanno qui dentro, nessun appoggio, quindi noi quattro partiremo per l’ Italia, e Zeaidita resterà, noi torneremo>>. Marchetti si controllava a stento, e la gioia gli traspariva dagli occhi. Alle diciassette l’ ultimo dei tre militari discese dal ponte, e Dino e Julius lo salutarono con la mano. Poi alle 18 la nave salpò le ancore. Durante il viaggio familiarizzarono e passarono molte ore insieme. La sera che il Piroscafo raggiunse Porto Said, all’ estremità Nord del Canale di Suez, mentre cenavano nel sontuoso salone di Prima Classe Marchetti fece portare lo Champagne per brindare, dicendo: <<questa è una delle serate più belle della mia vita, perchè ho ritrovato la donna che amo, e voglio che tutti ce la ricordiamo>>. Brindarono tutti, poi Zeaidita raccontò la sua storia e tutte le traversie. Ad un certo punto parlando dei due pastori che l’ avevano rapita disse: <<mi dispiace, erano due poveracci, ma mi hanno difesa, e sono triste perchè dovranno morire>>. Marchetti annuì, ed aggiunse: <<quei poveri diavoli pagheranno per tutti>>. Dino prese al volo l’ argomento per un chiarimento che gli stava a cuore: <<io ho avuto come primo impulso quello di prendere Aleardi per il bavero ed attaccarlo al muro, poi ho anche capito che così avremmo messo in pericolo la vita di Zeaidita. Se i rapitori si fossero sentiti scoperti avrebbero anche potuto eliminarla. Però non capisco ancora come Lei possa tollerare che Aleardi giri tranquillamente>>. Julius fece notare: <<beh, mica tanto tranqullamente, quando lo ho fermato sulla banchina gli ho appioppato in testa una mazzata terribile con l’ impugnatura della pistola a piatto. Si dovrà curare il mal di testa per molti mesi>>. Sul viso di tutti comparve un gigno di soddisfazione. Marchetti sentì il bisogno di chiarire: <<come hai detto tu stesso, una mossa impropria avrebbe messo inopportunamente a rischio la vita di Zeaidita. Se non la avevano uccisa subito sicuramente era perchè gli serviva viva, e l’ avrebbero lasciata in vita finchè non fosse diventata un pericolo per la loro organizzazione>>. La ragazza intervenne: <<si, nei giorni che sono stata prigioniera di quegli ufficiali hanno parlato solo di portarmi in un nascondiglio in Italia, non so dove, ma mai di uccidermi>>. Dino aggiunse: <<si, tutto è giusto, ma quando torniamo dovremo appiccicare Aleardi al muro. Ed inoltre non capisco perchè non abbiamo interrogato quei tre idioti, Regis, De Vincentis e quell’ altro di cui non ricordo il nome>>. Marchetti alzò le spalle: <<se anche li avessimo torchiati non ci avrebbero certamente detto il nome del capo della organizzazione. Al più ci avebbero detto il nome di qualche colonnello che ha fatto da tramite. Lo stesso vale per Aleardi, che è collegato ai militari, ma sicuramente non ha contatti in alto. Ricordati, Dino, il capo è molto furbo, non parla mai con la manovalanza. Se anche avessimo saputo il nome del colonnello X che avemmo ottenuto? Se anche lo avessimo denunciato per il rapimento, e se fossimo riusciti a sottrarlo alla giustizia militare per farlo giudicare da un giudice civile, al massimo lo avrebbero rimpatriato.>> si rivolse a Dino: <<come tu mi hai fatto notare, probabilmente questo rapimento è solo una copertura per altri interessi che loro hanno. E noi dobbiamo far credere che una volta ripresa Zeaidita abbiamo finito di interessarci a loro, o perlomeno che non sappiamo molto. Così andranno avanti con il loro piano, e li prenderemo con le mani nel sacco, se ci riusciamo. A proposito Zea, ti hanno chiesto qualcosa?>>. tutti sorrisero per quell’ abbreviazione confidenziale, e Zeaidita scosse la testa. Marchetti era molto allegro, rovesciò maldestramente un bicchiere di Champagne, poi sorrise alla ragazza e disse: <<Zea, cominciano i balli nell’ altro salone, ci fai ballare, uno per volta, ed io per ultimo, ovviamente>>. Si alzò, e Dino gli afferrò un braccio appena in tempo per mantenerlo in equilibrio, perchè era un po’ brillo. Poi andarono tutti nell’ altra sala, ed a turno ballarono. . Marchetti e Zeaidita scesero a Napoli. Anche Dino doveva scendere a Napoli, e prendere la nave per la Sardegna, ma decise di continuare, pagò il supplemento, e continuò sino a Genova. Si fermò a Genova due giorni, e prese la motonave di ritorno, e per quella volta in Sardegna lo aspettarono invano. A Dicembre tornò in Italia, e questa volta scese a Napoli. Appena arrivato gli fregarono le valigie. Dino ovviamente non si dette per vinto. Si rivolse alla polizia, riempì dei verbali, firmò molte dichiarazioni, si sorbì la predica di un questurino che biasimava la sua imprudenza, poi, uscito dalla caserma tornò sul luogo della sparizione, dette qualche soldo ad uno scugnizzo, altri soldi ad un altro tizio, e ritrovò le valigie, senza le preziose buste di caffè che portava ai suoi dalla periferia dell' Impero. Durante quel viaggio, il 26 Dicembre, incontrò in un treno quella che sarebbe diventata sua moglie molti anni dopo, alla fine della guerra che doveva ancora cominciare. Fu un incontro rapido, e 33 fecero appena in tempo a scambiarsi gli indirizzi. Poi si scrissero, e si rividero fugacemente un giorno a Firenze. Poi per molti anni si scrissero e basta. 1940 La situazione si movimentò nel 1940. Mercoledi 20 Marzo 1940 era un giornata tiepida. La temperatura oscillava intorno ai 18 gradi. Dino si presentò in ufficio alle 8 e cominciò a lavorare. Dopo 20 minuti venne l’ usciere, e lo informò che il Dr Marchetti lo stava aspettando. Se il direttore lo aveva cercato così presto voleva dire che gli doveva affidare un lavoro, e che c’ era qualche novità importante Quando Dino entrò nell’ Ufficio Marchetti era seduto su una poltrona rossa, davanti ad un tavolino a tre gambe, e stava controllando delle carte. Sul tavolo di lavoro, a sinistra vicino alla finestra, c’ era una montagna di carte topografiche, ed una edizione della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso. Dino rimase stupito, e ne prese nota mentalmente. Se quel libro era li ci doveva essere un motivo importante, perchè Marchetti non faceva mai nulla che non avesse uno scopo preciso tantomeno leggere un libro. Marchetti gli fece cenno di accomodarsi, e gli indicò il tavolo, dove c’ era un biglietto, con scritto: <<devi partire questa sera in treno per Massaua. Alle 20 del 23 vai alla banchina dove è ormeggiato l’ incrociatore Trento. DD in uno dei barili messi davanti alla staccionata. Il 24 ritorno in treno. Frase di pericolo: Camerata Servino fuori stanza>>. DD significava Dead Drop, cioè un posto defilato in cui qualcuno lasciava un messaggio e qualcun altro lo raccoglieva. Era molto strano che Marchetti usasse la sigla inglese. Rimase un attimo in silenzio per essere sicuro che Dino avesse capito bene, poi disse, indicando il tavolo di lavoro: <<Devi andare a Massaua per un controllo agli Oleodotti che passano vicino alle saline. Il tuo compito consiste nel passare vicino alle saline e vedere quanti operai ci sono e se lavorano, perchè abbiamo saputo che i registri delle paghe potrebbero essere gonfiati. Ovviamente non è una cosa facile, e siccome non sei in veste ufficiale, dovrai girare, chiedere, ed avrai degli elementi di giudizio soltanto parziali, ad esempio il numero di Camion che entrano ed escono in un’ ora, comunque fai il possibile, questa è solo una indagine preliminare. Il giorno prima di partire ti presenterai al Camerata Servino, nell’ Ufficio Opere locali del Governo, e gli chiederai di vedere i registri paga degli operai. Mi rendo conto che questo non è il tuo lavoro, ma lo devi considerare una missione, ed ovviamente ti metteremo una voce in più sulla paga. Li ci sono i biglietti del treno, ed una lettera di conferma della prenotazione della tua camera all’ Albergo Littorio. Ti auguro buon viaggio>>. Fece il cenno consueto con cui indicava che il foglietto doveva essere distrutto. Dino non discusse, prese il biglietto dal tavolo, e salutò. Mentre faceva questa operazione osservò meglio la Gerusalemme Liberata: Edizioni <<A. Barion>>. Uscì dallo studio di Marchetti e si diresse verso le scale. La porta della Segreteria era aperta, e dentro, seduto al tavolo, c’ era il dottor Aleardi, che si diceva avesse preso di recente la gonorrea. Sul tavolo aveva una scatola di pillole contro il mal di testa, che prendeva regolarmente dal 14 Agosto del 1939, quando “in mezzo alla folla del Porto di Massaua, era caduto accidentalmente battendo la testa, mentre andava a salutare un amico che partiva per l’ Italia con il Piroscafo Colombo. Anzi per quell’ incidente era stato ricoverato all’ Ospedale Umberto Io”. L’ usciere Antonio raccontava che per quel mal di testa era stato anche da uno stregone, ma senza successo. Dino lo salutò freddamente, ma l’ altro lo chiamò sbracciandosi: <<Aspetta, Dino, ti devo dare la lettera di incarico per un viaggio a Massaua>>. Gli tese un foglio, poi, siccome era un gran ruffiano, proseguì: <<Mi sono dato molto da fare per farti ottenere questa missione. Devi andare ad ispezionare le saline, e farci una relazione. - insistette ancora con aria compiacente- ovviamente non ti preoccupare se hai delle difficoltà, ti aiuterò io, e comunque parlerò con il capo per sistemare tutto>>. Dino stava per mandarlo a quel paese, ma gli caddero gli occhi su un calendario da tavolo: vicino al giorno ventuno c’ era scritto a matita 3. Rialzò gli occhi, e vide che Aleardi era occupato a sfogliare delle carte e non aveva seguito la scena. Prese il foglio di autorizzazione, lo infilò in tasca, e disse ad alta voce: <<falla finita di fare il buffone!>>. Aleardi borbottò qualche cosa tra i denti, ma Dino non riuscì a capire cosa dicesse. Dopo qualche passo nel corridoio incontrò tre persone. In mezzo c’ era un Generale dell’ Esercito, che Dino non riconobbe, ed intorno due ufficiali che avevano un atteggiamento di estrema sottomissione. Superarono Dino senza guardarlo. Dino si girò, e come prevedeva li vide entrare nella stanza di Aleardi. Scese rapidamente le scale, e si fermò dall’ uscere, Antonio, che era Genovese, ma aveva un nonno Sardo per parte materna, e per questo si sentiva un compaesano di Dino, e si abbandonava alle confidenze. Dino, come suo solito prese le cose alla larga: <<Come va in famiglia, Antonio>>. <<Bene Dottore, però mia moglie ha un po’ di reumatismi, sa con questo tempo!>>. <<Tuo figlio?>>. <<Tutto bene, adesso la maestra 34 lo vuole fare capoclasse>>. <<Tuo figlio ti darà molte soddisfazioni! A proposito, vuole sempre entrare nell’ Esercito da grande?>>. <<Veramente non me lo ha mai detto>>. <<Lo ha detto a me improvvisò Dino - vuole fare il generale dell’ Esercito. Sai se avesse visto quello che è entrato prima, ....come si chiama?>>. <<Ah, il Generale Cormelli. Spero che non diventi mai come lui. Dicono che sia uno dei consiglieri importanti per il Vicerè, ma pare anche che sia un pessimo soggetto, puttaniere, e che una delle amanti sia la moglie di quel cornuto che gli stava sulla destra, il Colonnello Garganti. Poi gioca come un pazzo, e perde una valanga di soldi, ma per motivi che nessuno capisce è un intoccabile.>> Dino pensò che era incredibile quante cose sapeva Antonio. Le avrebbe verificate al ritorno nello schedario ben nascosto dell’ Ufficio di Import-Export di Viale De Bono. Continuò con qualche frase di rito, poi se ne andò, perchè aveva fretta e doveva ancora fare i bagagli. Il treno per Massaua era una littorina inaugurata qualche mese prima, e partì alle 18:00, in perfetto orario, sotto una pioggia incessante,e piombò quasi subito nell’ oscurità della sera. Nello scompartimento c’ erano altre 5 persone, 2 donne, mogli di funzionari, che non stavano mai zitte, i loro 2 figli, ed un uomo sui 40 anni, che lesse avidamente il giornale sinchè non fu buio, e poi rimase immobile e silenzioso per tutto il resto del viaggio. Arrivarono alle 22 e 30, con quasi un’ ora di ritardo, perchè il treno aveva percorso molto lentamente il tratto di circa 50 chilometri tra Asmara e Ghinda, dove la pioggia era incessante. L’ Albergo era in Via Locatelli, ad un paio di chilometri dalla stazione, ma non sarebbe stato facile farli a piedi sotto la pioggia. Era un posto insolito, perchè in genere gli alberghi erano nell’ Isola di Taulud, insieme agli edifici pubblici, e vicinissmi alla stazione. Fortunatamente trovò quasi immediatamente un taxi, e prima di partire notò che le due donne si incontravano con i mariti, ma non riuscì a vedere dove fosse scomparso il quinto viaggiatore. Durante il percorso l’ autista gli spiegò che l’ Albergo era a due passi dalla capitaneria di porto, ma gli fece anche capire che la mattina c’ era una marea di gente che girava. Dino pensò che sarebbe stato meglio localizzare il punto dell’ incontro portandosi nella zona antistante del porto, che era una insenatura fatta ad U, lontano dalla folla. In questo modo avrebbe anche potuto vedere le saline, che erano lungo il percorso. Arrivato in camera guardò la cartina di Massaua:la posizione migliore per osservare il punto di incontro senza essere visto era la vecchia pescheria. Ci sarebbe andato la mattina successiva. Alle nove del mattino venne svegliato da qualcuno che bussava alla porta della camera, e quando si alzò, trovò sotto la porta un biglietto, scritto a stampatello, su cui si leggeva:<<NECESSARIO ANTICIPARE INCONTRO A QUESTA SERA, ORE 20, STESSO POSTO>>. Provò a riflettere, ma si rese conto che non c’ era molto da pensare, anche se il fatto era preoccupante: doveva rischiare ed assecondare lo sconosciuto redattore del biglietto, ed intanto lo distrusse con estrema cura. Verso le dieci uscì per esplorare la città. Massaua, la Medzamà degli indigeni, era battuta da una pioggia leggera ed insistente che veniva dal mare. Il suo albergo era alle spalle del porto, ma lui fece il giro completo delle isole e del tratto di terraferma continentale che delimitano l’ insenatura del porto, per poter vedere le banchine di fronte e localizzare l’ Incrociatore Trento. Passò davanti all’ Ospedale Umberto I, in Via Ancona, ed attraverso la diga raggiunse l’ isola di Taulud, dove c’ era il Palazzo del Governo, e tutti gli edifici pubblici. Sempre costeggiando l’ insenatura di Taulud superò la stazione ferroviaria, dove rivide fermo il taxi che aveva preso la sera precedente. All’ altezza della scuola bilingue Italo Araba, prima di piegare a destra sulla diga Edugaberni, gli parve di vedere il quinto viaggiatore, ma era troppo lontano per averne la certezza. Intanto la pioggia era diminuita, ed accelerò il passo. Arrivato sulla terraferma passò nella zona anteriore delle saline, e si fermò quasi un’ ora per cercar di controllare il numero e la attività degli operai, ma si rese subito conto che era impossibile. Le saline erano molto grandi, ed in parte la visuale era coperta da una recintazione e dalle collinette di materiale. Vide una decina di camion fermi, ed abbandonati, vide due camion che entravano vuoti, e ne vide uscire uno solo carico. Poi tornò verso il mare. Camminò ancora a lungo, e giunse sino all’ estremità opposta della penisoletta Abd-El-Cadur, davanti alla pescheria, e di li localizzò il Trento: era ancorato alla banchina Regina Elena, davanti alla capitaneria, e molto vicino all’ albergo: non sarebbe stato difficle arrivarci, la sera. Tornò indietro rapidamente, ed alle 14 e 40 era in camera. 35 Si sedette ed accese la maestosa radio di legno pregiato che era vicino al letto. Trasmettevano la usuale propaganda di regime. Poi, alle 15 in punto, ci fu una breve discussione sul grado di sviluppo economico nella piana di Cheren, e sulla importanza della rete ferroviaria. Venne anche letto l’ orario di viaggio dei treni che arrivavano a Cheren. Dino si ricordava di quel 3 che aveva visto segnato sul calendario di Aleardi, e prestò particolare attenzione, tentando di individuare le parole che ricorrevano più di frequente, ma non era facile. Era probabile che il 3 si riferisse proprio all’ orario di quella trasmissione, perchè spesso le trasmissioni radio venivano utilizzate per passare messaggi, però bisognava conoscere la chiave. Dino ricordava che qualche volta la chiave era nel numero di volte che una parola od un nome vengono ripetute, e gli sembrò che Cheren e Treno, o Ferrovia, fossero le più frequenti, ma nel contesto di quel discorso non c’ era da meravigliarsi. Mentre la trasmissione stava per terminare notò improvvisamente che alcuni dei rumori di fondo sembravano in codice morse. Dino era stato radiotelegrafista durante la guerra, e riuscì a captare tre segnali precisi, i, t, o. Al termine della trasmissione si sforzò di ricordare altri rumori, ma purtroppo se non ci si fa attezione è quasi 36 impossibile captare rumori di quel genere. Comunque gli sembrava che ci fossero state due interferenze molto ravvicinate, che lo avevano colpito all’ inizio della trasmissione, forse s e t. ST.....ITO, forse STABILITO, ma cosa? Alla fine concluse che pot4eva soltanto incamerare quel dato, e cercare una soluzione in un altro momento. Spense la radio, e non ci pensò più, ma si tolse gli stivali, e si mise a riposare per un paio d’ ore sul letto. Alle 20 era al porto, sotto una pioggerella fastidiosa, e si diresse verso gli ormeggi del Trento. Cercò di arrivare al momento preciso, per non dover girovagare dando nell’ occhio, anche perchè c’era un intenso chiarore lunare, solo parzialmente offuscato dalle nubi. Mentre si avvicinava notò la fila di barili, posta dietro una staccionata che la nascondeva alla vista dell’ equipaggio dell’ incrociatore. All’ improvviso, da sinistra comparve un uomo, sui 30-40 anni, alto circa un metro e settanta, robusto, con I baffi e l’ impermeabile chiaro, che camminava a passi veloci lungo la fila dei barili. Ad un tratto l’ uomo rallento, giunto vicino al 6o barile, guardò verso Dino, e poi riprese a camminare velocemente. In pochi attimi era scomparso Dino arrivò all’ altezza della fila di barili e girò verso sinistra, rifacendo in senso inverso la strada da cui l’ altro era venuto. Arrivato all’ altezza del 6o barile arraffò con la mano destra un pacchetto di sigarette accartocciarto, e proseguì, infilandoselo in tasca, bagnato com’ era. Poi tornò immediatamente in Albergo. Appena fu in camera guardò bene il pacchetto: era accartocciato e bagnato. Con estrema precauzione estrasse il doppio fondo, e vide che su un lato c’ erano delle macchioline. Guardando meglio si rese conto che le macchioline erano in realtà un minuscolo scritto. La sua partenza era fissata per il 24 sera, e quindi avrebbe avuto le giornate del 22 e del 23 per trovare una lente di ingrandimento. Sbarrò la porta della camera ed andò a dormire. La mattina successiva si mise in movimento prestissimo, e verso mezzogiorno riuscì a scovare la lente che cercava nella bottega di un rigattiere che ne era venuto, chissa come in possesso. La acquistò e si diresse verso il suo Albergo. Mentre passava vicino al mare, in un tratto in cui esisteva una piccola zona sabbiosa, vide un ragazzo nero disperato perchè la giacca gli era volata in mare, e non aveva il coraggio di andarla a recuperare. La giacca galleggiava ad una decina di metri dalla riva, e Dino decise, <<Non aver paura, la prendo io>>. Tolse scarpe e calze, arrotolò i pantaloni, ed entrò in acqua, tanto il fondale era basso, ed era sicuro di recuperare la giacca senza bagnarsi nemmeno i polpacci. Purtroppo non sapeva che il fondale in quelle zone è un vero colabrodo, pieno di buche. Fece qualche passo, guardando con attenzione il fondale, poi si convinse che non c’ era pericolo, e si girò per rassicurare il ragazzo che ce l’ avrebbe fatta. In quel momento gli mancò il terreno sotto i piedi, e precipitò per molti metri, forse cinque o sei. Dino era un buon nuotatore, ma la sorpresa fa pessimi scherzi. Passarono secondi drammatici, che a lui ovviamente sembrarono senza fine, poi si riprese, e riuscì ariemergere. Il ragazzo nero, sulla riva, si disperava, correva, saltava, chiamava aiuto senza che nessuno lo sentisse, era disperato per la giacca, ed in più era spaventato perchè credeva che Dino fosse affogato. Quando giunse a riva, Dino si buttò per terra annaspando, ed il ragazzo, non sapendo che fare, gli fece prima vento, poi gli tirò dell' acqua in faccia (lo aveva visto fare a Cinema). Ci mancava solo questo. Dino si alzò prima che l' approssimativo soccorritore gli provocasse altri danni, rincuorò il ragazzo, e gli regalò qualche rupia. E quella volta il destino aveva deciso di ripagargli la buona azione, come scoprì più tardi. La temperatura era invernale, anche se temperata dal mare, e Dino si infilò rapidamente in una specie di mercato, dove vendevano anche abiti, e comprò un vestito coloniale piuttosto dimesso e strapazzato, ed anche di taglia superiore alla sua, probabilmente di provenienza furtiva. Lo indossò dietro un telo gettato sopra un filo teso tra due paletti, che fungeva da camerino delle prove, e si guardò nello specchio ingiallito e graffiato, ovviamente senza cornice, che il proprietario del negozio aveva legato ad uno dei paletti, e vide che aveva un aspetto goffo. Quando si metteva il casco molto più largo della testa era veramente irriconoscibile. Siccome comunque non aveva scelta, decise di comprarlo, e cominciò a preparare un pacco dei suoi vestiti bagnati. Mentre faceva queste operazioni sentiva crescere un brusio indistinto, come se stesse accadendo qualcosa di insolito tra la folla rappresentata quasi esclusivamente da persone di colore, che brulicava intorno a lui. Si avvicinò al venditore, che era accoccolato in terra, e che faceva gesti di appovazione per far capire che il vestito che aveva trovato era molto elegante. Intanto il brusio andava crescendo, e pian piano si stava formando una colonna di persone che si dirigeva verso l’ uscita del mercato. Ad un certo punto la folla aumentò la andatura, quasi stesse correndo, ed alcuni bambini e le donne vennero letteralmente travolti. Dino non vide nulla di preoccupante intorno, non stavano fuggendo, era solo la irrefrenabile curiosità degli indigeni che li spingeva ad andare a vedere qualcosa che accadeva fuori del mercato. Improvvisamente anche il venditore con cui contrattava si alzò di scatto e lo piantò in asso, buttandosi tra la folla. La curiosità era 37 stata più forte della sete di guadagno. Dino si mise a ridere, e tentò di uscire senza farsi travolgere. Sapeva per esperienza che il venditore sarebbe tornato solo tra qualche ora, e la cosa migliore sarebbe stata raggiungerlo fuori. Mentre era tra la folla, captò una frase in amarico, tra due venditori di pelli, che erano lì vicino. Uno diceva: <Lo hanno ucciso come uno Zebù>. Dino si informò:<<Chi hanno ucciso?>>. <<Due uomini bianchi hanno ucciso con il coltello un altro uomo bianco con i baffi>>. <<Dove è successo?>> <<Qui, dietro il Bazar>>. A Dino parve più prudente controllare la scena senza esporsi, e si tenne più possibile in disparte. Mentre era ancora sulla porta del Bazar, arrivarono dei carabinieri che respinsero brutalmente la folla a manganellate, e dopo di loro passarono gli infermieri che portavano via su una barella l’ uomo ucciso. Si spinse in avanti con prudenza, e guardò meglio: per quanto si poteva ricordare, l’ uomo ucciso era quello che aveva effettuato il Dead Drop! Dino sentì il sudore freddo. Ecco perchè l’ uomo aveva voluto anticipare la consegna: qualcuno gli stava dando la caccia per fermarlo, ed ora probabilmente le stesse persone stavano dando la caccia a lui! Guardò intorno con preoccupazione, e vide che era circondato da neri vocianti. Apparentemente non c’ erano in giro bianchi , tranne i carabinieri. La situazione era di altissimo rischio, e la cosa più intelligente per il momento era prendere il largo. quell’ imprevisto cambio di abito gli aveva dato vantaggio insperato sugli assassini, ma doveva stare attento a non sprecarlo.. Scivolò via tra la folla, stando attento a non destare i sospetti del nugolo di carabinieri che giravano li intorno, e si diresse velocemente verso l’Albergo. Quando fu in vista dell’ Albergo Littorio rallentò il passo, ed iniziò a studiare tutti i passanti. C’ erano molte persone in giro, ma sembravano tutte indaffarate e frettolose, ed apparentemente nessuno badava a lui. Dino entrò nell’ atrio, ma non vide nessuno sospetto in gito. Andò dal portiere, che stava controllando i registri, e gli chiese sforzandosi di sembrare calmo: <<ci sono novità per me, è venuto qualcuno a cercarmi?>> << dopo ieri mattina no, signore>> <<senta, per motivi personali che mi sono sopravvenuti stamattina devo partire subito. Mi può preparare il conto?>> <<senza dubbio signore>>, rispose il portiere. Dino salì al primo piano, ed arrivò alla sua stanza, la numero 12, ed entrò nella camera con la pistola spianata, e la esplorò palmo a palmo, poi guardò fuori dalla finestra, sul cornicione. Tutto libero, evidentemente non era stato ancora localizzato. Lasciò immediatamente l’ Albergo, e si spostò per tutta la giornata. Verso le 15 andò all’ Ufficio del Telegrafo per inviare un dispaccio urgente al Dottor Giovannino Sulis, viale Mussolini 133: <<cametara Servino fuori stanza. Necessario anticipare ritorno>>. Pagò, pregando mentalmente che nessuno intercettasse quel messaggio. Giunse in Stazione appena prima della partenza del treno. Era la sera del 22, mentre la sua partenza era prevista per il 24. Ora doveva sbrigarsi a consegnare tutto il materiale a Marchetti, ed a quel punto gli assassini non avrebbero avuto più interesse ad eliminarlo. Mentre il treno stava per partire, dal finstrino vide arrivare di corsa il 5o passeggero, quello che stava con lui nello scompartimento all’ andata, ma l’ uomo salì in un altro vagone, e non si fece mai vedere per tutta la durata del viaggio. Appena arrivato ad Asmara Dino corse a casa. Era tutto normale, nessuno lo aveva seguito. Evidentemente gli assassini non sapevano come trovarlo, ed avevano ucciso l’ uomo con I baffi pensando che non avesse ancora consegnato il pacchetto di sigarette. Ma chi era l’ uomo con I baffi, e cosa aveva consegnato? era il caso di parlarne con Marchetti? Dino decise di giocare a carte scoperte. Comunque, siccome la prudenza non è mai troppa tirò fuori il pacchetto di sigarette e la lente di ingrandimento, e si mise ad esaminarlo. Ci vollero alcune ore, ma riuscì a leggere una serie di numeri: 507384 748185 - 410216 - 6312 7478 7473 6323 7441 6474. Era chiaro che si trattava di un codice, ma quale? in genere I numeri indicavano le pagine di un libro, le righe, e la posizione delle parole, ma bisognava avere il libro. Comunque trascrisse i numeri su un foglio, spostò un divano de salotto, scollò lo zoccolo di marmo della parete, e nascose il foglio in un tubo vuoto, poi con pazienza, rimise tutto a posto. La mattina dopo si presentò da Marchetti. Il direttore non si dimostrò sorpreso, ma piuttosto preoccupato per la sua presenza in anticipo sul previsto. Dino parlò dei Camion che aveva visto, e dei lavoratori indigeni che non aveva visto al lavoro presso le saline, e concluse dicendo: <<ho provato a fare un lavoro completo, ma il Camerata Servino era fuori stanza>. Marchetti indicò con il dito le 14 sul quadrante dell’ orologio, dicendo: <<si, ho avuto il tuo messaggio, ma non fa nulla. Chiederò i registri in via ufficiale>>. Dino uscì, e rallentò il passo apposta davanti all’ ufficio di Aleardi, ma il mentecatto non era in stanza. Alle 14, come previsto si incontrò con Marchetti dietro la chiesa Copta, ed il direttore fu il primo a parlare: <<E’ andato tutto bene?>> domandò. <<Per quello che mi rigurda, almeno sino adesso, si. Però ci sono stati molti inconvenienti.>> Dino raccontò tutta la storia, dall’ incontro anticipato all’ assassinio 38 del “Dropper”. Marchetti ascoltò con attenzione, poi rimase per qualche secondo in silenzio. Poi parlò: <<So tutto, perchè un mio uomo ti ha scortato, ed era con te sul treno per Massaua. Ti ha perso di vista dopo che sei finito in mare, ma ha ritrovato le tue tracce sul treno di ritorno, anche perchè mi ha chiamato, ed io gli ho riferito la tua decisione di anticipare il ritorno. Per questo ti ha raggiunto all’ ultimo minuto sul treno>>. “Già, il 5o viaggiatore” pensò Dino, ed aggiunse ad alta voce: <<spero che non vi siate parlati per telefono>> <<mica siamo scemi>>, borbottò Marchetti, <<abbiamo un codice per via radio>>. Poi proseguì. <<Si, l’uomo ucciso dovrebbe essere quello che ha deposto il messaggio, e gli assassini sono due bianchi, secondo le mie fonti è molto probabile che siano due francesi. Comunque tu sei stato solo un corriere, ed adesso che il messaggio è arrivato, non devi temere più nulla, specie se non parlerai assolutamente con nessuno di questa storia. Dino non era molto convinto della pista dei due francesi, ma non insistette, tanto era tempo perso. Era assolutamente ridicolo pensare che due francesi potessero girare indisturbati per Massaua. Gli informatori di Marchetti avevano sicuramente sbagliato sulla nazionalità degli assassini. E se invece fossero stati italiani che collaboravano con il nemico? certo, ormai il messaggio era arrivato a destinazione, e chiunque fossero, gli assassini non avevano più interesse ad eliminarlo. Comunque sarebbe stato più attento. Prima di tornare a casa passò in biblioteca e prese in prestito “La Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso”. Tornato a casa mise il libro sul tavolo e lo osservo: LA GERUSALEMME LIBERATA di TORQUATO TASSO Prefazione e note di G. Stiavelli Edizioni <<A. Barion>> della CASA PER EDIZIONI POPOLARI S. A. SESTO S. GIOVANNI - MILANO Guardò all’ interno della copertina: Stampato XII-1931 Sfogliò il libro in cerca dell’ ultima pagina: era la 543. Spostò di nuovo il divano del salotto, e recuperò i fogli con i numeri. Quando ebbe tutto davanti, cominciò a fare le prime prove. Il primo questito da risolvere era se i due segni - avessero significato matematico o servissero solo ad interrompere le sequenze di numeri. Optò per la seconda soluzioneIniziò dalla prima cifra a sinistra: 507348. Erano 6 numeri, non era difficile! Le prime 3 dovevano essere riferite alla pagina, le ultime alla riga ed alla posizione della parola. I tre gruppi di cifre di sinistra erano costituite da 6 numeri ciascuna. Nel libro i versi non avevano mai più di 9 parole, i commenti si, ma in genere nei codici non si usano i commenti. Quindi in pratica l’ ultimo numero indicava la posizione della parola nel verso, i due numeri precedenti la posizione della riga nella pagina, ed i primi tre numeri la pagina. Quindi le prime dua pagine da cercare erano 507 e 748. Il libro aveva in tutto 543 pagine. O quello non era il libro, o la chiave era diversa. Si ricordò che in genere nei codici si addiziona la ultima pagina con quella dove è contenuto il messaggio, ma in questo caso non si spiegava il 517 iniziale. Si ricordò improvvisamente del sistema di Fibonacci (qualcuno lo chiamava anche “sistema Cinese”).Con quel sistema, se il risultato di una addizione supera il nove, si elimina il riporto. E ‘ anche un sistema per generare numeri random. Mise i numeri in colonna 543+ 543+ __?__ _?___ 507 748 Eliminando i riporti, i due numeri mancanti potevano essere solo 64 e 205. Controllò subito a pagina 64, riga 38, 4a parola: “Il forte Ardeto, uom già d’ età matura”, ed a pagina 205, riga 18, 5a parola: “quinci Austro in guerra vien, quindi aquiloni”. Uomo viene! Il secondo gruppo di cifre, isolato tra gli ifeni era molto chiaro, era una data rovesciata: 16.02.41, cioè qualcuno importante sarebbe arrivato il 16 Febbraio dell’ anno successivo. Ma chi poteva essere ?. Dino rimase un attimo a riflettere: le due parole erano state prese nel 3o e nel 9o canto, mentre sarebbe stato più facile trovarle nello stesso canto. Dopodichè passò ad esaminare l’ altro gruppo di numeri +6312 7478 7473 6323 7441 6474 I due gruppi di numeri avanti al segno - erano di sei cifre, gli altri di 4. Probabilmente mancava qualche numero di identificazione, oppure il sistema di codifica era differente. Si soffermò sul primo numero, partendo da destra: 5= posizione della parola nella riga 1=numero della riga adottando il sistema di Fibonacci: 543 , non si poteva ottenere nulla. 39 __?__ 63 tentò di nuovo con la aritmetica convenzionale, ovvsiamente sottraendo il 63, ed ottenne 480, ma a pagina 480, riga 1, parola 5 non c’ era nulla di logico. Provò a partire di nuovo, considerando le prime 3 cifre come riferimento alla pagina: con il sistema di Fibonacci: 543+ 198 631 a pagina 198, riga cinque lesse “E ritentato avendo invan la sorte”. Lo colpì il fatto che le pagine indicate dai sei numeri sembravano essere molto vicine. Con il sistema di Fibonacci le pagine erano 198, 198, 203, 202, 202, 203. Tutte nel 9o canto. Forse questa era la strada giusta. Siccome non era facile trovare parole con un senso compiuto in sei pagine era possibile che nella codifica non si fosse fatto alcun riferimento alla posizione della parola, ma semplicemente alla riga. In questo caso probabilmente le lettere dovevano essere le prime lettere di ciascuna riga. Provò a scrivere le sei righe una di seguito all’ altra, in una tabella Cifra del messaggio 6312 7478 7473 6323 7441 6474 Numero pagina calcolato (Fibonacci) 198 204 204 199 201 203 Numero riga 2 8 3 3 1 3 Frase Passar ne l’ Asia l’ armi peregrine I primi assalti dei nemici affrene Al nobil Guelfo che sostien sua vice nè creder mai potrà che gente avvezza Or quando ei sol ha quasi in fuga volto A provocare in me la sua fierezza forse la posizione della parola era stata omessa dal codice perchè era sempre la stessa, ma in quel modo non veniva fuori nulla. Riguardò il foglio, e lo sguardo gli si soffermò sul margine sinistro. Le prime lettere di ciscuna riga, dall’ alto verso il basso avevano un significato:PIANO A. Già, ma che significava? Il lunedi mattina, in ufficio, chiamò Antonio, l’ usciere, per dargli delle pratiche. Mentre gli consegnava i fogli ricominciò con la solita storia su come stavano moglie e figlio, un trucco che funzionava sempre per spillare le informazioni. Ad un certo punto cambiò argomento: <<Sua Eccellenza come stà? Stamani mi sembrava nervoso>>. <<No, sta bene, ma il fatto è che la prospettiva della guerra non rende sereno nessuno.>> <<S.E. Barile è una persona di gran valore, ma è mal circondato. Dicono tutti male di quel puttaniere Genovese...>> <<Aleardi?>> <<Si. Ma è vero che è un gran lavoratore?>> <<Beh, sta tutto il giorno quì, ma mica vuol dire che lavora: corre dietro alle segretarie, cosi pare, almeno, o sente la radio>>, <<Gia, l’ altro ieri pure, mi sembra>>. <<Giovedi!?disse pensosamente Antonio- ha passato tutto il pomeriggio attaccato alla radio. Non ha neppure pranzato!>>. Ormai la buona stagione stava volgendo al termine, e cominciavano le lunghe giornate fredde e piovose dell’ altipiano. L’ attenzione di tutti era ormai attratta verso lo scenario di guerra internazionale che si stava precipitosamente delineando. La mattina del 9 aprile le truppe tedesche penetrarono oltre il confine Danese, e quasi contemporaneamente invasero il fiordo di Oslo, mentre la Luftwaffe catturava l’ areoporto. Le notizie rimbalzarono la settimana stessa in Africa Orientale Italiana, anche se filtrate della stampa del Regime. Marchetti era preoccupatissimo, e continuava a guardare le sue carte. Una sera, mentre passeggiavano davanti al cinema Impero, dopo cena, sbottò: <<il guaio è che nessuno capisce che questa guerra non è assolutamente limitata. Coinvolgerà tutto il mondo!>>. Dino continuava a non condividere il pessimismo del direttore, come nessun altro, e domandò incuriosito: <<ma perchè vede tutto così nero? Questo sarà un conflitto limitato, in fondo non conviene a nessuno allargare il campo di battaglia>>. Marchetti alzò le spalle, e conm aria grave rispose: <<ti ho già detto quello che penso di Hitler: è un pazzo! Venti anni nei servizi segreti mi 40 hanno permesso di conoscere ilk dossier personale di moltissima gente, ed anche quello di Adolf Hitler, e ti ripeto che quell’ uomo è incontrollabile. Sono almeno 15 anni che i servizi segreti britannic sanno che vuole conquistare il mondo. Nel 1925, quindici anni fa, l’ uomo era in prigione a Landsberg, dopo il fallimento del Munich Putsch, cioè nel periodo in cui ha scritto Mein Kampf, ed in effetti ha delineato la sua strategia di creare il Lebensraum, lo spazio vitale, per la Germania nella Mitteleuropa ed in Russia. Ma quello che è ancora peggio, è quello che non ha scritto in Mein Kampf, ma in alcuni suoi appunti segreti, che ha mostrato ad un altro detenuto che nel 1934 è divenuto collaboratore dei servizi segreti britannici, una strategia per conquistare il mondo! Ricordati che il suo fina vero è il dominio del mondo>>. Dino si ricordò che ai tempi del loro secondo incontro Zeaidita gli aveva detto che Marchetti era stato all’ Ambasciata italiana di londra dal 30 al 34, ecco come aveva saputo quelle cose! O le aveva sapute dopo? Respinse il pensiero. Marchetti si strinse nel cappotto, poi sospirò, guardando il teatro in fondo alla strada, e riprese a parlare: <<purtroppo, quando si conobbe il vero piano di Hitler, e gli inglesi si resero conto che il reale obbiettivo della politica espansionistica di quel pazzo erano anche loro, era troppo tardi, già Hitler era stato nominato nominato Cancelliere nel Gennaio del 1933>>. Dino era interdetto, ma replicò: <<è possibile che ci siano volute le informazioni di un compagno di cella per capire queste intenzioni. Non è mica facile nascondere dei progetti così folli, per quanto uno voglia dissimulare>>. <<Beh, le cose non sono mai semplici come appaiono replicò il Direttore- certamente vi erano stati altri segnali che Hitler era psichicamente incontrollabile, e che aveva dei progetti assurdi, ma nonostante questo sia Churchill prima, che Baldwin poi, lo hanno sempre ritenuto politicamente utile perchè in grado di controllare lo strapotere economico degli ebrei nel mondo. Io penso che abbiano sottovalutato i rapporti del servizio segreto di Sua Maestà su quell’ uomo, oppure che abbiano comunque pensato che dopo la sua ascesa al potere, Hitler avrebbe dovuto scendere a patti con la realtà. Comunque, il fatto è che i servizi segreti britannici, e non solo loro, hanno indirettamente favorito la ascesa al potere di Hitler>>. Dino non replicò, e disse, stringendosi anche lui nel cappotto: <<certo, che vista così, la faccenda assume toni tragici>>. Per quasi tutto Aprile, e sino al 28 di Maggio, Marchetti visse incollato alla radio, e quando le truppe franco inglesi, dopo un mese di furibonde battaglie, riuscirono solo a liberare Narvik, dimostrò tutta la sua preoccupazione per l’ esito della guerra. Dino era interdetto, perchè la posizione ideologica di un direttore dei servizi segreti che si augurava la vittoria degli avversari, non era facile da accettare. Alla fine risolse il conflitto alla sua maniera, accettando l’ idea che un uomo potesse vivere lealmente il rapporto con il suo paese, senza per questo dover essere completamente allineato, salvando la sua autonomia di giudizio e ponendosi super partes. E poi, concluse, qualunque fosse il pensiero di Marchetti, le cose nel mondo sarebbero andate secondo un destino che nessuno, nell’ Africa orientale Italiana, poteva influenzare, e così, per il momento, liberò la sua coscienza dalla necessità di parteggiare per chiunque. L’ otto Giugno era Sabato sera, e Dino andò come al solito al Teatro, sul Viale Mussolini. C’ era la rappresentazione di una leggenda locale, con attori indigeni, e la sala era molto affollata. La mattina Antonio gli aveva portato una busta, contenente il biglietto di invito per la serata e gli aveva annunciato: <<da parte del Dottor Marchetti>>. Dino dette la mancia alla maschera che lo scortò sino alla seconda poltrona della 3a fila. Mentre si infilava tra i sedili incrociò con lo sguardo quello di Sua eccellenza Barile, il Segretario Generale del Governo, seduto in prima fila, che si era girato per vedere arrivare la moglie, e lo salutò con deferenza. Si sedette, ed un uomo di circa trent’ anni, che occupava la poltrona vicino alla sua, gli domandò: <<sa quando comincia lo spettacolo?>>. <<Penso tra dieci minuti>>. <<Mentre aspettiamo mi piacerebbe prendere un caffè veramente molto forte e con la crema>>. Dino rimase impassibile in silenzio, perchè quella era la frase di riconoscimento, e l’ altro gli porse un programma, fissandolo a lungo e dicendo: <<mi scusi, non l’ avevo notata, ma questo è suo>>. L’ uomo aveva aperto il programma, alla seconda pagina, e glielo dette insieme ad un foglietto di carta dello stesso colore, su cui c’ era scritto, in caratteri minuti: “12 Giugno 1940: il treno per Cheren parte alle 19”. Dino chiuse la locandina, e fece sparire velocemente il biglietto nella tasca, mentre l’ altro proseguiva con tono di voce molto basso: <<sul treno non ci sarà molta gente, e due bianchi si incontreranno per scambiarsi una valigetta con dei soldi >>. Poi proseguì ad alta voce: <<mi scusi, posso vedere il programma?>>. Lo riprese, lo guardò a lungo e lo rimise in tasca. Poi, sia lui che Dino seguirono lo spettacolo e non si scambiarono più una parola. Il Lunedi successivo Dino portò delle pratiche nell’ ufficio di Marchetti, e le mise sul tavolo dicendo: <<dovrebbe firmarle, Dottore>>. Marchetti mise la firma, poi gli rese le carte con un 41 laconico: <<fai quel che ti hanno detto>>, e fece il solito segnale per confermare l’appuntamento serale dopo cena. Dino non replicò, ed uscì senza parlare con le carte sotto il braccio. Subito fuori della porta c’ erano due ufficiali di alto grado che parlavano tra loro, fissando l’ Ufficio di Marchetti. Quando Dino li sorpassò ebbe la netta sensazione che si fossero voltati ad osservarlo. Marchetti arrivò in ritaro all’ appuntamento, verso le 21, a bordo dell’ auto di servizio. Scese dalla parte opposta della strada, e fece cenno all’ autista di ripartire, poi attese qualche secondo, e traversò, stringendosi il cappotto addosso per il freddo. Dino prese a camminare lungo viale De Bono, e dopo che i due uomini si furono riuniti, svoltarono a sinistra, in direzione di Via della Croce del Sud, dove c’ era un piccolo bar, molto riservato. Dino domandò: <<cosa è questa storia del messaggio? Perchè non è arrivato per le vie normali?>>. Il Direttore era piuttosto eccitato, e rispose immediatamente, contrariamente al suo consueto comportamento flemmatico:<<l’ uomo che te lo ha dato sarà sul treno travestito, e spero che tu lo riconosca, ma era necessario che vi conosceste bene, e quindi vi ho fatto incontrare. >>. <<Che stà succedendo?>>, domandò Dino, scandendo bene le parole. <<beh, ti ricordi la storia della famosa valigetta con i soldi che doveva arrivare ai ribelli nazionalisti? Credo che ci siamo, la trappola è pronta a scattare, e penso che prenderemo il gatto con il topo in bocca! Noi abbiamo un infiltrato nell’ Ethiopian Intelligence Bureau, a Kartoum, che ci ha informati che il 12 di questo mese, sul treno per Cheren, due persone, due traditori italiani suppongo, si scambieranno una grossa somma in talleri di Maria Teresa, destinata ai ribelli. Per me e per tutto il servizio sarà una giornata importante, sono anni che stò preparando questa trappola>>. Dino, nonostante la sua origine montanara, e la sua abitudine agli inverni nevosi, sentiva un freddo del diavolo, e si strinse nel cappotto con un brivido, poi domandò: <<chi porterà questa valigetta? io credo che sia il momento di mettere in chiaro tutto.>>. <<si, si -ribattè Marchetti in tono molto gioviale, mentre continuava a guardarsi prudenzialmente intorno- forse mi posso scrollare dalle spalle tutti i dubbi che ho fatto accumulare su di me. Questa storia dei Talleri risale a più di due anni fa, ed un mio agente, che adesso lavora a Kartoum, mi ha sempre tenuto informato, anche se, sino adesso, non vi ho potuto dire nulla. Inizialmente l’ intelligence britannica, stimolata in questo dal Generale Platt, a dall’ ex console di Addis Abeba, Sandiford, aveva pensato di inviare dei soldi ai ribelli indigeni per fomentare la rivolta antitaliana attraverso il solito percorso, Kartoum, Ermacciò, affidandoli ad un gruppo di collaboratori costituito da uomini di nazionalità inglese e da indigeni reclutati nel Sudan, che dovevano viaggiare in incognito per le campagne a dorso di mulo. Poi però i responsabili della intelligence britannica non hanno più considerato sicuro questo percorso nel quale erano probabili attacchi di banditi e fuoriusciti, ed hanno preferito far viaggiare i soldi con mezzi più convenzionali, navi, treni, automobili, attraverso il territorio urbano,sicuramente non controllato da banditi. Questo significava la necessità di trovare moltissime connivenze, e le hanno trovate, pagando, ricattando, e così via. Adesso hanno delle protezioni molto in alto, anche nello stato Maggiore dell’ esercito..>>. Dino lo interruppe: <<cioè Pesenzani!>>. <<si -rispose Marchetti, con un tono di rabbia nella voceproprio lui. Ma ce ne sono anche tanti altri, lui è soltanto il capobanda, ed io li stò aspettando da anni, so che faranno un passo falso, e loro sanno che li stò aspettando al varco. Hanno tentato di distogliermi dal mio intento quando hanno rapito Zeaidita, e grazie a te ed agli altri non ci sono riusciti. Adesso sono alle strette, la guerra stà per cominciare, e debbono far passare quei soldi per preparare la rivolta in appoggio all’ esercito britannico, e commetteranno il primo errore tra due giorni, e la prima pedina che giocheranno sarà quel cretino di Aleardi>>. Dino aspettava quel momento, ed intervenne: <<e’ bene essere chiari, che c’ entra Aleardi? Quest’ uomo è stato paradossalmente rispettato e salvato in ogni circostanza, e Lei in primo luogo lo ha sempre difeso, anche se le ha fatto delle cose gravissime!>>. Marchetti sospirò: <<è arrivato il momento di farmi giustizia, sia con te che con gli altri. Nessuno di voi ha capito perchè lo avevo sempre salvato, ma il motivo è proprio quello che io sapevo da molto tempo che era implicato in questo passaggio di soldi, e ho sempre cercato di non farlo levare di mezzo, perchè era l’ unico anello della catena che conoscevo. All’ inizio di questa vicenda, quando tu lavoravi ancora per Regazzoni, mi accorsi che Aleardi, che è sempre stato capo della mia Segreteria, andava un po’ troppo spesso ad Addis Abeba>>. <<Ma Aleardi non è mai stato nel servizio segreto>>, osservò Dino. <<No, ovviamente - riprese Marchetti- ma era comunque un funzionario del governo alle mie dipendenze. Lo ho fatto controllare, e ci siamo accorti che andava sempre dal colonnello Greganti. Allora ho fatto controllare anche Greganti, ed ho scoperto che aveva dei contatti con gli inglesi. Ad esempio, ricordi la notte che andasti alla base aerea vicino Cheren e vedesti lo Spitfire, beh, ho controllato ed ho scoperto che Greganti era arrivato in automobile, in una 42 località poco distante dal campo di aviazione tre ore prima che voi atteraste. Tu evidentemente hai intercettato uno degli appuntamenti tra Greganti ed un emissario inglese, ma successivamente ce ne sono stati altri. Però di tutta la manovalanza che doveva effettuare questo passaggio di soldi io conoscevo solo Aleardi, e se lo avessi bruciato la trappola non sarebbe mai scattata, o sarebbe scattata con maggior difficoltà>>. <<E l’ agente a Kartoum, non bastava a dare informazioni?>> domandò Dino. <<E’ stato proprio lui ad informarmi già da più di un anno, che Aleardi sarebbe stato attivato per questo trasferimento di soldi, e che non bisognava assolutamente toccarlo. Ve lo giuro, ed adesso potete anche capirlo, io ho anteposto gli interessi dello stato ai miei sentimenti personali>>. Marchetti tirò un profondo respiro, come chi finalmente è riuscito a liberarsi di un grosso peso che lo soffocava. Ed in realtà era così. Dino ripercorse rapidamente all’ indietro tutta la storia, dal rapimento di Zeaidita in poi, e si rese conto di quanto quell’ uomo aveva sopportato. Marchetti riprese a parlare: <<comunque ho sempre avuto ragione, Aleardi è una nullità agli ordini, indiretti, di Pesenzani, che gli fa arrivare i messaggi attraverso quella testa di cazzo del colonnello Greganti, a cui fotte la moglie>>. Dino non battè ciglio, un po’ perche era un gentiluomo e non rimarcava mai queste situazioni, un po’ perchè lo aveva già saputo da Antonio, ed invece tornò al piano: <<allora, cosa devo fare?>>. <<il punto è proprio questo, tu ed un altro uomo che non conosci, oltre quello del teatro, salirete su quel treno, dove due bianchi si scambieranno una valigetta contenente una grande somma di denaro in talleri di Maria Teresa. Sicuramente uno dei due sarà Aleardi. Io non sono riuscito a sapere chi sarà l’ altro, l’ agente di Kartoum ha potuto solo intercettare il messaggio con cui si diceva che la consegna sarebbe stata effettuata sul treno Asmara-Cheren il 12 Gugno. In pratica sul treno ci saranno, oltre te, il mio uomo che hai conosciuto ieri a teatro, ed un altro che fa parte del personale viaggiante, e si farà riconoscere al momento opportuno. Quindi voi sarete in tutto tre persone. Gli altri due devono intervenire sui traditori, e tu devi coprirli. Ovviamente ho predisposto altri appoggi alla operazione, cioè ho messo altri uomini alle stazioni di arrivo e di partenza, e lungo il tragitto del treno, ma sul treno voglio che ci siate solo voi per evitare di destare sospetti. In tre dovreste essere più che sufficienti a controllare la situazione, perchè so che durante il percorso Asmara-Cheren i due uomini che devono effettuare lo scambio della valigetta non avranno senza appoggi. Eventualmente, in caso di inconvenienti potete limitarvi a controllare la situazione, e rimandare l’ arresto al momento dell’ arrivo del treno, quando potrete avere degli appoggi. Ricordati che la parola d’ ordine per identificarvi tra voi è “il miglior amico di Carolina”, sai è facile da ricordare perchè nel Natale del 1830 una locomotiva, The best Friend of Charleston fece il primo viaggio della storia con passeggeri a bordo, nella Carolina del Sud>>. <<Eh, come no -replicò sarcasticamente Dino- è facile! “Il miglior amico di Carolina”>>, mentre ormai si sentiva pervadere da un inevitabile senso di rassegnazione. A Marchetti la eccentricità e la mania della cultura anglosassone non sarebbero passate mai, era inutile discutere, invece domandò: <<Come hanno comunicato il luogo dell’ appuntamento?>>. <<Credo in due modi, il luogo è stato comunicato nel corso di una trasmissione radio, la data con un corriere, ma non so chi era il destinatario>>. <<Ah, -disse Dino- forse ho un’ idea>>. Marchetti era soprappensiero, girato a guardare un indigeno in bicicletta, e non percepì la frase, e Dino pensò che non era il caso di insistere. Ormai erano in vista del bar, e sarebbe stato pericoloso parlare, ed inoltre poteva essersi sbagliato alle 15:00 del 21 Marzo, quando aveva sentito quella trasmissione Radio a Massaua. Ammettere che quella trasmissione era un segnale significava ammettere che le complicità ad altissimo livello, addirittura di chi poteva decidere sulla programmazione delle trasmissioni. Dino fece una ultima osservazione: <<ma se c’è di mezzo Aleardi non è rischioso che io mi faccia vedere in giro a rischio di far subdorare la trappola?>> <<si -ammise Marchetti- d’ altro canto è un rischio che dobbiamo correre, perchè tu sei quello che lo conosce meglio e può individuarlo anche sotto travestimento. Ovviamente stai appartato e sali sul treno solo al momento della partenza>>. Entrarono nel bar, e chiesero qualcosa di alcolico e molto caldo. Era domenica sera, ed ovviamente c’ erano pochissimi avventori. Dopo un po’ Dino e Marchetti si affacciarono nel saloncino posteriore, dove c’ era un tavolo di biliardo, ed il padrone, , stava giocando a bocce con ad un altro tizio, piuttosto piazzato di circa 30 anni, in camicia nera,. Quando entrarono i due stavano discutendo animatamente sulla possibilità che l’ Italia entrasse in guerra. Il padrone quando li vide entrare si precipitò a presentarli: <<Il Dottor Marchetti, capo dell’ Ufficio Di Programmazione e Sviluppo, il Dottor Tatti, Ispettore Capo, il Federale Francesconi, che ci porta notizie tranquillizanti da Roma. Sembra che il Duce riuscirà a ristabilire ancora una volta la pace, con il suo peso personale alla Società delle Nazioni>>. Il Federale annuiva, ed aggiunse: <<e se mai entreremo in guerra, sarà una guerra lampo, e la gloriosa bandiera d’ italiana svetterà su tutte le terre 43 che i figli della Lupa sapranno conquistare>>. Fecero anche una partita a bocce, ed il Fedrale perse. Verso le 23 tornarono tutti a casa, il Federale in una direzione, Dino e Marchetti nell’ altra. Mentre si allontanavano Marchetti afferrò Dino sotto il braccio, e gli disse a bassa voce: <<senti, ti sei impresso bene in mente la fisionomia di quella testa di cazzo>>. <<Si, certo -borbottò Dino- io quello di sicuro me lo ritrovo il 12 sul treno!>>. Il 10 Giugno Mussolini dichiarò guerra agli Alleati. Seguirono giorni convulsi, anche se in verità tutti si aspettavano la notizia. Dino passò la giornata dell’ 11 a fare sopralluoghi per le concessioni edilizie nel quartiere nero, per cercar di carpire informazioni utili, ed in particolare se qualcuno aveva visto in giro il Federale, ma non gli riuscì di avere informazioni. Mercoledì sera, il 12 Giugno 1940, Dino arrivò in stazione alle 18,quando il cielo era ormai scuro, e tirava un vento gelido che proveniva dall’ Acrocoro, e si sedette su una panchina, leggendo distrattamente il giornale, mentre studiava i viaggiatori che arrivavano. C’ era una pioggerella sottile ed insistente che lo costrinse a restare sotto una pensilina. I passeggeri cominciarono ad arrivare alla rinfusa verso le diciassette e trenta. Arrivarono per primi molti neri carichi di sacchi, che salirono nei vagoni di coda, e dopo dieci minuti arrivarono le famiglie dei funzionari, che Dino conosceva perfettamente. I mariti in testa al gruppetto, in mezzo i bambini, ed in fondo le mogli, che chiudevano il corteo, controllando la prole. Le signore si salutavano tra loro, lanciandosi reciprocamente sguardi di odio, sopratutto se avevano un cappellino od un vestiro simile. Dino controllava attentamente tutti quelli che si avvicinavano al treno, ed in particolare ovviamente tutti gli uomini soli. Tenne mentalmente il conto di coloro che arrivavano, il Ragionier Simonetti del catasto, con famiglia, il Geometra Callegaris, con la moglie ( non avevano figli anche perchè lui era notoriamente impotente, un “matrimonio bianco!”), il Dottor Cipollini titolare di una azienda importatrice di frutta dalla madrepatria, e signora, con due figli, La Signorina Sanguinetti, 52 anni, presumibilmente illibata, anche perchè molto brutta, il Ragionier Ricciuti, da solo, perchè notoriamente omosessuale, il Magistrato Secchi con un figlio e la moglie, il Cavalier Aristide Checchi con due figli, e senza la moglie perchè era scappata con il garzone della pasticceria, un sacerdote sconosciuto, due uomini bianchi dall’ aspetto dimesso, probabilmente operai, l’ uomo che gli aveva passato il messaggio a teatro, e come previsto, il Federale Francesconi. Tutti avevano una valigetta sospetta, ed anche i due operai avevano delle borse che avrebbero potuto contenere soldi. Dino aspettò fin che il capotreno non si mise in cammino verso la motrice con la paletta verde in mano, ed a sua volta si avviò, cercando di non farsi notare, per salire sull’ ultima delle sei carrozze. Mentre saliva, vide arrivare trafelato Aleardi, con una valigetta nera, che si infilò sbuffando nella quarta carrozza, e scomparve immediatamente alla vista. Il treno si mise lentamente in moto, e Dino riepilogò tra se quelli che aveva visto salire a bordo. Cinque famiglie (Simonetti, Callegaris, Cipollini, Secchi, Checchi), e due “soli”, Ricciuti e la Sanguinetti. Esclusi questi, che era improbabile che entrassero nel gioco di spie, restavano i sospetti, cioè, Aleardi, il Sacerdote, Francesconi, l’ uomo del teatro ed i due operai. Una volta tolto l’ uomo del teatro restavano cinque persone. Aleardi era certamente implicato nel complotto, ma chi era l’ altro traditoretra i quattro restanti? E se le informazioni di Marchetti fossero state sbagliate, e sul treno invece di due ci fossero stati più traditori? Dino sedette in uno scompartimento del sesto vagonedove c’ erano dei notabili neri, e cominciò a parlare con loro in amarico. Dopo pochi chilometri il treno prese velocità, e contemporaneamente, mentre stava scendendo il buio, iniziò una pioggia fitta. grosse gocce colpivano il vetro dei finestrini, e scivolavano in rivoli verso l’ angolo inferiore. Non c’ erano stelle, solo un pallido quarto di luna, che metteva in risalto il profilo spettrale delle montagne. Dino, pur continuando a parlare, non aveva mai perso di vista il corridoio, e non aveva notato alcun movimento sospetto. Il viaggio doveva durare tre ore, ma era necessario individuare subito Aleardi, ed il suo contatto, prima che si scambiassero la valigetta, e decise di entrare in azione. Salutò tutti, ed uscì nel corridoio ingombro di neri e delle loro valigie. Si fece strada verso il quinto vagone, scavalcando gli ostacoli. Mentre passava controllò l’ interno degli scompartimenti, ma non c’ erano uomini bianchi. Salì sul predellino di comunicazione, ed entrò nel quinto vagone. Anche lì c’ erano moltissimi indigeni buttati per terra nel corridoio, e Dino dovette nuovamente scavalcarli, mentre scrutava all’ interno degli scompartimenti. Vide la famiglia Secchi e la famiglia Cipollini rispettivamente nel quinto e nel terzo scompartimento. Mentre stava per passare nel quarto vagone vide arrivare il controllore, che precedeva la Signorina Sanguinetti, agitatissima, perchè secondo Lei dei neri le avevano occupato il posto. Il bigliettaio squadrò Dino domandando: <<mi scusi signore, posso chiederle il biglietto>>. Dino lo porse in silenzio, e quello, guardandolo, proseguì: <<scusi, mi 44 pare che il suo sia un viso conosciuto, Lei dovrebbe essere il migliore amico di Carolina Saccardi>>. <<Si, -confermò Dino- sono il miglior amico di Carolina, in quale posto devo andare?>>. <<quarto vagone, terzo scompartimento, signore, ci sono passato due minuti fa, ed ho visto un altro signore con una valigetta. Ho avvisato anche l’ altro passeggero>>. Ovviamente l’ altro passeggero era l’ agente che aveva conosciuto la sera a teatro. Dino proseguì per il quarto vagone. Entrato nel quarto vagone superò dei bagagli, un bambino nero gettato a terra nel corridoio, ed il padre che beveva il caffè, e scrutò dentro il settimo scompartimento, dove c’ erano i due operai, o presunti tali, che addentavano voluminosi panini estratti dalle borse. Proseguì nel corridoio, e nel quinto scompartimento vide la famiglia Checchi, con i due figli scatenati, che stavano mettendo a soqquadro tutto. Giunse al terzo scompartimento , ma dentro c’ era soltanto un notabile nero di alto rango. Di Aleardi nessuna traccia. invece vide una copia del Corriere della Sera del giorno prima, il Martedi 11 Giugno 1940, buttata su un sedile. Aprì la porta, e chiese al nero seduto vicino al finestrino: <sa di chi è?>. l’ uomo stava sgranando un rosario, ma rispose prontamente: <<un uomo bianco che era seduto prima qui lo ha lasciato. Penso che il sedile sia libero>>. Dino sedette, prese il giornale e lesse il titolo della prima pagina: Il Sovrano affida al Duce il comando delle operazioni Nella spalla c’ era il proclama del Re Imperatore: “Soldati di terra, di mare e dell’ aria......”. In centro, vicino alla foto del Duce che parlava dal balcone di Palazzo Venezia in un riquadro lesse: “La parola d’ ordine:Vincere”. Qualcosa lo colpì, ed osservò con più attenzione, sotto alcune lettere c’ erano dei segni particolari, tratti di penna, o forellini piccolissimi fatti probabilmente con la punta di una matita. Nel secondo capoverso, “Un’ ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria: l’ ora delle desisioni irrevocabili”, mettendo insieme le lettere segnate si leggeva “secondo”. Più sotto, dove si leggeva “Bastava rivedere i Trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle Nazioni e non considerarli intangibili per l’ eternità. Bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie che si è palesata sopratutto micidiale per coloro che le hanno accettate”, mettendo insieme le lettere si leggeva vagone.<<E’ una cosa piuttosto ingenua, pensò Dino, ma tutto sommato adatta a quell’ imbecille di Aleardi, però è assurdo che abbia lasciato in giro un messaggio così, a meno che non si senta molto sicuro di non essere seguito>> Continuò a leggere per cercare altre tracce, poi, siccome non trovava nulla, osservò ad alta voce:<<questo giornale è di ieri, però mi sembra che qui ci fosse anche un altro signore, con una valigetta ed un altro giornale, forse un giornale di oggi. Hai visto dove è andato? >>. Il nero annuì, e rispose: <<ho visto un prete, che è andato via con l’ uomo che era seduto qui, ma non mi sembra che avesse il giornale. Comunque sono andati tutti e due in avanti>>. E puntò il dito in direzione della motrice. Dino non si trattenne: <<boia!>>. Era chiaro che lo scambio di valigette era già stato effettuato, e bisognava sbrigarsi a trovare tutti e due ed arrestarli. Salutò il nero dicendogli <<Buon viaggio, amico mio>> ed uscì rapidamente dal vagone dirigendosi verso le carrozze di testa. Nel secondo scompartimento c’ era il geometra Calligaris con la moglie, che guardavano con attenzione un giornale aperto, e negli altri soltanto neri. Passò nel terzo vagone, e nell’ ottavo scompartimento vide la famiglia Simonetti, in conversazione con il Federale Francesconi. A Dino sembrò che il Federale fosse particolarmente interessato alla Signora Simonetti, ma non perse altro tempo, e proseguì. Superò il predellino che collegava il terzo al secondo vagone, ed incontrò l’ uomo del teatro che andava nella direzione opposta. <<Dov’ è Aleardi?>>, gli domandò. <<In questa carrozza, nel secondo scompartimento, ma deve aver dato già la valigetta al federale, perchè non ce l’ ha più>>, disse l’ altro. <<No, lo hanno visto col prete>>, replico Dino>>. <<Io lo ho visto col federale -sbottò l’ altro- ma a chi cazzo ha dato sta valigetta?>>. <<blocchiamoli tutti e tre, io penso ad Aleardi>>, disse Dino, che non vedeva l’ ora di mettergli le mani addosso, e scattò velocemente in avanti. Nel quinto scompartimento vide la famigliaSecchi, completamente addormentata, e nel quarto Ricciuti, l’ omosessuale, anche lui riverso sul divano a dormire. Oltre il finestrino si vedevano alla pallida luce lunare le montagne di Ghindae, il che significava che erano quasi a metà strada. Nel terzo scompartimento c’ erano due Abouna che leggevano, e proseguì. Arrivò all’ altezza del secondo scompartimento, e lo vide a malapena illuminato dalle luci di cortesia, ma c’ era sicuramente solo un uomo all’ interno. Il corridoio era deserto. Spalancò la porta dello scompartimento e la richiuse subito dietro di se mentre impugnava la pistola, e vide Aleardi seduto vicino al finestrino, con il cappello calato sulla testa, evidentemente addormentato, perchè il libro che stava leggendo gli era caduto sulle ginocchia. Dino girò rapidamente lo sguardo intorno, ma non vide la famosa valigetta che pure gli aveva visto in mano quando era salito sul treno, e riportò immediatamente gli occhi sull’ uomo seduto, 45 puntò con la mano destra la pistola, e con la sinistra lo colpì ad una spalla per svegliarlo. Aleardi ruzzolò in avanti, e Dino vide sulla tappezzeria, dal lato del finestrino una grossa chiazza di sangue. Tolse il cappello all’ uomo e scoprì il pallore estremo del suo viso, una vasta emorragia sulla sinistra del collo e del torace, e si rese conto che qualcuno lo aveva ucciso tagliandogli i vasi del lato sinistro del collo. Fece dietro front, vide che il corridoio era libero, ed uscì dallo scompartimento correndo in avanti verso il vagone di testa, per bloccare il prete. Nel primo scompartimento di quel vagone vide solo neri addormentati. Giunse alla prima carrozza, ma era la carrozza ristorante, e l’ ingresso era ancora ermeticamente chiuso. Ma dove era finito il prete? tornò indietro. Nel quarto scompartimento del secondo vagone Aleardi giaceva ancora piegato su se stesso, a malapena visibile alla fioca luce. Nessuno se ne era accorto. Proseguì nel corridoio e vide Ricciuti che continuava a dormire,disteso a faccai in giù sul divano, ma di fronte a lui c’ era l’ agente che aveva conosciuto a teatro. Guardò verso i due lati del corridoio e non vide nessuno, allora entrò. I due uomini rimasero immobili nella loro posizione, tranne che per lo sballottolamento del treno, ed in un attimo si rese conto che erano stati entrambi strangolati. Uscì inorridito dallo scompartimento, stringendo il calcio della pistola, e tornò indietro sino all’ ultimo vagone, ma del prete non c’ era traccia. Gli altri erano tutti al loro posto, immobili, per la maggior parte addormentati, tranne qualcuno che giocava a carte, ed il federale che continuava a fare la corte alla Signora Simonetti. Ispezionò le toilettes, ma anche li non c’ era. Eppure il prete era salito, e lo aveva visto anche il nero con cui aveva parlato prima. si appoggiò al finestrino e si mise a riflettere: i preti, finto o no che siano, non svaniscono nell’ aria! O era finito fuori dal treno in corsa, o accidentalmente o spinto, o era ancora sul treno, ma era irriconoscibile. In teoria poteva anche essere nascosto, ma dove? Non c’ erano neppure carrozze letto. Il capotreno, che era il terzo uomo dell’ intelligence, gli venne incontro uscendo da un bugigattolo alla fine del vagone, dicendogli: <<il prete non si trova, ho chiesto a tutti, ma nessuno sa dove cazzo è finito!>>. Dino lo informò: <<nel secondo scompartimento c’ è stato un eccidio. Aleardi sgozzato, il nostro agente e Ricciuti, quell’ omosessuale, sono stati strangolati>>. L’ altro sbarrò gli occhi: <<sei sicuro?>>. <<al cento per cento, ovviamente>>. <<Salvo che siano stati i neri, può essere stato solo il prete>>. <<Un uomo solo, non mi pare possibile>>, fece osservare Dino. Il capotreno scrollò le spalle: <<i due uomini con la sacca del quarto vagone non si sono mai mossi, ne sono certo perchè li ho sorvegliati>>. <<E il federale? Il nostro agente che è stato ucciso inseguiva lui>>. <<Siamo razionali -disse il capotrenorimangono in circolazione quattro sospetti, i due operai o cosa cazzo sono, ed il Federale, e sopratutto il prete, ed in più non sappiamo nulla della valigetta. Restiamo insieme, ed andiamo a sigillare il secondo vagone, così nessuno si accorgarà di nulla, per adesso>>. <<Si, andiamo -confermò Dino. Ripercorsero velocemente il treno, in cui tutti dormivano o leggevano immobili ai loro posti, stranamente silenziosi. Anche i bambini non davano fastidio, ma dormivano in braccio ai genitori, o giocavano quietamente sul sedile. Superarono il bambino del corridoio del quarto vagone, che dormiva in braccio al padre sdraiato per traverso in terra, e videro nel settimo scompartimento i due presunti operai che giocavano a carte. Il controllore aprì lo sportello del loro scompartimento, e disse, indicando Dino: <<avete per caso visto un libro del signore?>> <<nu tenimmo niente accà, comandante>>, rispose uno dei due. Le borse erano aperte, una in terra ed una sul sedile ed apparentemente non contenevano soldi, e non c’ era traccia di valigette. Il controllore chiuse la porta ringraziando e proseguirono. Nella terza carrozza il Signor Simonetti ronfava sul sedile, con uno dei figli in braccio, mentre l’ altro ragazzino dormiva disteso per lungo sul sedile. Il federale Francesconi e la Signora erano spariti. Corsero avanti, ed alla fine del corridoio, come aveva fatto sino a quel punto, il controllore spalancò con violenza la porta della toilette. Dentro c’ era la Signora Simonetti in una posa inequivocabile, mugolava china sul lavabo, con la sottana sollevata sino alla cintola, e le mutandine alle ginocchia, ed alle spalle aveva il federale, nella posa complementare, che mugolava pure lui. I due li guardarono terrorizzati, ed il controllore sbuffò <<continua a vomitare, brutta vacca, e tu aiutala!>>, poi richiuse la porta con violenza. Ripresero a correre, ma fecero in tempo a sentire la voce stridula della Simonetti, che diceva: <<brutto stronzo, ti sei scordato di chiudere la porta del cesso!>>. Entrarono nel secondo vagone, e chiusero con la chiave di sicurezza la porta intercomunicante: era tutto silenzioso e tranquillo, c’ erano neri addormentati in tuttigli scompartimenti, e la famiglia Secchi era immersa nel sonno profondo. Entrarono nel quinto scompartimento. Il controllore si diresse verso l’ agente della intelligence, e Dino girò Ricciuti, e 46 rimase esterrefatto <<questò è l’ inpermeabile di Ricciuti, ma il morto è il prete!!>>. <<ecco perchè non si trovava>>, sbottò il controllore. Uscirono nel corridoio, e Dino disse: <<è chiaro che il prete aveva ricevuto la valigetta da Aleardi, e probabilmente lo ha anche ammazzato. Poi deve avere avuto una colluttazione con il nostro agente e lo ha strangolato, ed infine Ricciuti ha ammazzato lui>>. L’ altro scosse la testa: <<non ci sarebbe riuscito da solo, deve avere un altro complice>>. <<Va bene, ammettiamo che Ricciuti abbia avuto dei complici, ma non possono essere dei bianchi>>, replicò Dino, poi, dopo un attimo di silenzio lo fissò negli occhi, e tirò fuori l’ idea: <<gli abouna! Marchetti è stato informato male! >>. Spalancarono la porta del terzo scompartimento, che era in mezzo tra i due dove eranostati perpetrati gli omicidi. C’ era uno solo dei due preti, e Dino gli puntò la pistola addosso, mentre il capotreno lo frugava. L’ Abouna aveva indosso una pistola, la corda che presumibilmente era servita per strangolare i due uomini, ed il pugnale insanguinato con cui verosimilmente aveva sgozzato Aleardi. <<Dove è andato il tuo compare?>> gli chiese a denti stretti il capotreno. L’ Abouna inizialmente non rispose, ma quando l’ uomo gli piazzò il coltello insanguinato sulla gola fu esplicito: <<vagone ristorante. Dino intanto gli aveva legato le mani diertro la schiena, e gli infilò un fazzoletto in bocca, poi uscì precipitosamente dal vagone insieme con il controllore. Il secondo Abouna stava rientrando dalla carrozza ristorante, che era collegata al resto del treno con un pericolosissimo predellino senza barre laterali, con una valigetta in mano. Il controllore gli sparò al braccio, e l’ uomo la mollò, fece dietrofront e corse sul predellino di comunicazione, verso la carrozza ristorante, e scomparve nel vuoto con un urlo. Il controllore si gettò sulla valigetta dicendo. <<Quel testa di cazzo che è cascato dal treno la aveva nascosta nel vagone ristorante, ed adesso che stiamo arrivando la aveva recuperata>>. La aprì, vide che era piena di soldi, la richiuse, e la dette a Dino dicendogli <<io adesso aziono il freno di emergenza, tu scappa lungo i binari, tanto siamo ad un due chilometri dalla stazione>>. Dal quinto scompartimento saltò fuori la famiglia Secchi, dagli altri i neri che dormivano. Qualcuno aveva tirato l’ allarme, ed il treno si bloccò con un forte stridore. Dino era ormai sul predellino di comunicazione della carrozza ristorante, e saltò a terra facilmente, e scappò correndo. La stazione di Cheren era già in vista, a circa centocinquanta metri. Riuscì ad allontanarsi, mentre arrivava una gran folla di gente, ed alcuni carabinieri, che avevano visto l ‘improvvisa fermata del convoglio da lontano, e si allontanò verso una strada polverosa che fiancheggiava la stazione. Mentre camminava ripensò all’ accaduto. Che cosa poteva essere successo su quel treno? Era evidente che qualcosa era andato storto nel piano dei traditori. Molto probabilmente i due Abouna facevano parte di una organizzazione nazionalistica destinataria dei soldi, ed erano intervenuti per bloccare il piano di cui gli aveva parlato molto tempo prima Zeaidita, quando gli aveva riferito che “in realtà il progetto di questi uomini è di impadronirsi dei soldi”. Dino si ricordava le parole esatte della ragazza. Riflettendo sull’ accaduto si poteva supporre che i neri avessero saputo del tentativo di far sparire i soldi prima che arrivassero nelle mani del fronte nazionalista, e fossero intervenuti a riprenderseli. Era impossibile capire cosa fosse successo, solo interrogando l’ Abouna scampato al massacro, e l’ omosessuale Ricciuti, se si trovava, si poteva risolvere il rebus, e quello era compito di Marchetti. Lui intanto doveva trovare il modo di tornare ad Asmara con i soldi, senza incappare nelle mani dei carabinieri, dei banditi o dei rivoltosi. Dopo l’ eccidio sul treno i controlli sarebbero stati certamente intensificati, e quindi la sola possibilità era percorrere gli ottanta chilometri circa, per la maggior parte di strada non asfaltata, con qualunque mezzo, partendo immediatamente, prima che si istituisse qualsiasi posto di blocco. Dino proseguì lungo il viottolo, cercando di allontanarsi dall’ abitato. A sinistra vide il forte di Cheren illuminato da alcuni fari, e più in basso, illuminata dalla luce lunare, la muraglia, in parte diroccata. Sotto qualche luce sparsa sulla piana, che indicava il villaggio. Era già stato a Cheren, e si orizzontò senza grosse difficolà. Proseguendo in quella direzione avrebbe certamente incontrato qualche capanna di pastori. Camminò ancora a lungo con la valigetta nella sinistra e la destra sul calcio della pistola, cercando di non perdere il sentiero scarsamente visibile alla fioca luce che penetrava dai rami degli alberi. Ogni soffio di vento lo faceva sussultare, ed il freddo era diventato insopportabile. Cominciava a sentire i piedi e le mani gelate. Guardò l’ orlologio, e tirò un accidenti. Nella trambusto doveva avere dato un colpo contro qualcosa e si era rotto, perchè continuava a segnare le ventitrè, l’ ora in cui avevano sorpreso gli abouna. Ormai stava per spuntare l’ alba, e Dino iniziò a domandarsi se per caso aveva sbagliato direzione. Perdersi poteva significare anche giocarsi la pelle. Poi improvvisamente intravvide un tucul, davanti al quale finivano di bruciare i resti di un fuoco acceso probabilmente la sera precedente per allontanare gli animali, e bussò. Gli venne ad apire un indigeno sospettoso, acui 47 chiese ospitalità a pagamento. L’ uomo lo squadrò a lungo, probabilmente per capire se aveva soldi, poi gli disse: <<si, puoi dormire lì, domani ti accompagnerò con la mia moto a prendere il treno>>. Dino spalancò gli occhi: <<tu hai una moto?>>. <<si>>, disse l’ uomo, e dalla spiegazione che dette a Dino parve di capire che era un sidecar, e gli propose di acquistarla. L’ indigeno cambiò faccia, perchè aveva visto l’ affare, e doveva avere capito che Dino non aveva molte scelte. Il mercanteggiamento durò a lungo, ma alla fine Dino spuntò un prezzo ragionevole, anche se non proprio vantaggioso, per un residuato bellico che il contadino era riuscito ad occultare, probabilmente durante la guerra di conquista del 1935. Era un vero ferrovecchio spacaossa, con le gomme piene, ed ovviamente, lisce. Dino prese la moto, e partì, e pagò profumatamente il pieno, ed una tanica di benzina di scorta.che probabilmente l’ uomo aveva rubato in qualche magazzino. Aveva molta fretta di allontanarsi da Cheren, perchè era sicuro che il padrone della moto avrebbe denunciato la sua presenza ai carabinieri, e non aveva nessun interesse ad essereidentificato. Guidò senza interruzione sino a che comparvero le luci dell’ alba, fino ai primi tornanti delle catene montuose, e li si fermò, in vista di alcune casupole di pastori, e bussò alla porta sconquassata di una di queste. Da tempo immemorabile gli abitanti della zona non vedevano alcun forestiero, ed all’ inizio lo guardarono con sospetto. Però Dino conosceva l’ Amarico, e già questo li tranquillizzò, e dopo qualche ora lo considerarono un amico. Lo fecero mangiare con loro, e Dino regalò un bel po' di talleri. Poi, dopo aver mangiato, parlarono del tempo e della pastura, ed alla fine lo misero a dormire su un giaciglio di paglia, che era il luogo più confortevole di quelle povere abitazioni di fango e pietre. Sempre meglio che dormire all’ aperto! Dormì li, e si rimise in movimento la mattina dopo. Dovette girare intorno alle catene montuose, ma non ebbe particolari problemi, e la sera del quarto giorno rientrò ad Asmara. Erano le diciannove quando entrò in città, facendo un giro largo, attraverso il villaggio Mussolini, dove acquistò un casco che gli nascondeva gran parte del viso, ed un orologio. Entrare in casa subito poteva essere molto pericoloso, perchè non sapeva nulla di quanto era accaduto dopo la sua fuga dal treno, ed i congiurati potevano aver capito che la valigetta con i talleri era nelle sue mani. Andò direttamente alla capanna di Gellafos, e trovò l’ uomo che stava rientrando in quel momento. Quando lo vide il viso gli si illuminò dalla gioia: <<padrone, cosa posso fare per te?>>. <<puoi fare molto, amico mio, devi andare a casa mia con il tuo carro a consegnare del pane, ed io sarò nascosto dietro, dove metti il ragazzino a spiare. Poi entrerai, parlerai con Rahma, e ti accerterai che non ci sia nessuno ad aspettarmi, e tornerai al carro a dirmelo>>. <<Hai paura di qualcosa padrone? Posso chiamare altri uomini>>. <<No, Gellafos, semplice prudenza, ma tu devi aiutarmi. Poi, dopo che mi hai lasciato andrai a casa del Dottor Marchetti, e porterai anche a lui del pane, e gli dirai che Dino lo sta aspettando a casa sua>>. Gellafos lo guardò sorpreso e chiese: <<Marchetti è l’ uomo che amava Zeaidita?>> <<si, esattamente lui>>. <<È un uomo buono, padrone?>>, insistette ancora Gellafos. <<Si, te lo assicuro, e mi fido di lui>>. <<Allora farò come dici padrone -concluse Gellafos-, ma perchè tutto sia normale porterò il pane la mattina presto, appena il sole salirà da sotto la terra>>. Dino calcolò che sarebbero state le cinque e Gellafos ce la avrebbe fatta ad arrivare a casa di Marchetti per le sette, prima che il direttore uscisse per andare in ufficio. Tutto andò come previsto, ed alle cinque e quaranta Dino arrivò a casa, senza difficoltà. La cameriera, Rahma, lo stava aspettando ansiosamente, e da una settimana gli preparava inutilmente la cena. Nonostante la stanchezza cercò subito, sui giornali che Rahma gli avevaconservato, qualche notizia sull’ assassinio del treno. I giornali titolavano drammaticamente “LA STRAGE DEL TRENO PER CHEREN”, ma non vi era accenno alla valigetta, ne ai soldi. La interpretazione accreditata era che i due abouna erano probabilmente dei fanatici reliosi con forti sentimenti anti-italiani che avevano assassinato il Ragionier Aleardi, un integerrimo funzionario statale di Asmara, un tale Signor Altobelli, un uomo di dubbia reputazione, con all’ attivo alcune condanne per truffa, che girava vestito da sacerdote, ma che si era riscattato tentando di difendere i suoi compagni di viaggio dalla violenza degli assassini, il Signor Eleuteri Antimio, funzionario del governo di Addis Abeba, che occupava lo stesso vagone del falso prete, ed il Sig. Ricciuti, un piccolo impresario edile, che era stato pugnalato e gettato dal treno. Solo l’ intervento del coraggioso capotreno e del federale Francesconi, che viaggiva in un’ altra carrozza attigua, avevano permesso di fermare gli assassini, uno dei quali era morto cadendo dal treno. Seguiva una intervista al Federale Francesconi che raccontava il proprio eroico intervento, ed alla signora Simonetti, che era nel corridoio, perchè si sentiva male per l’ ondeggiamento del treno, ed aveva visto il federale uscire dal vagone, e correre nel corridoio in soccorso del capotreno. Anche il marioto, 48 Signor Simonetti, ricordava e confermava quello che aveva visto la moglie, ed apprezzava il coraggio del Federale. Il magistrato Secchi non faceva dichiarazioni perchè la fase istruttoria era in corso. In un altro giornale trovò che le indagini erano state affidate al sottufficiale dei carabinieri Claudio Rossi. Dino sorrise, Claudio Rossi era l’ uomo di Marchetti, quello che aveva trovato i rapitori di Zeaidita, e questo significava che il Direttore era riuscito a tamponare i danni di quella operazione parzialmente fallita. Dino smise di pensare e buttò sul letto a dormire, con i giornali sparsi in terra. Alle otto e trenta venne risvegliato da Rahma che bussava alla porta della stanza da letto che Dino aveva prudentemente barricato. La donna lo informò che era arrivato il Direttore, e Marchetti fece sentire la propria voce, ad ulteriore conferma. Dino, ancora mezzo addormentato tolse i mobili di mezzo, ed aprì la porta. Marchetti era piuttosto teso, ma molto affabile, ed esordì dicendogli: <<sono stato molto in pensiero per te, purtroppo c’ è stato un imprevisto su quel treno>>. Dino lo interruppe: <<prima di tutto pensiamo alla sicurezza, io ho una valigetta piena di soldi, e dobbiamo metterla al sicuro>>. <<Stai tranquillo -lo rassicurò il Direttore- ci sono sei uomini qua fuori a controllarci, non succederà nulla>>. Si aggiustò nella poltrona, poi riprese, indicando i giornali buttati in terra: <<come hai sicuramente letto sono riuscito a far affidare l’ indagine a Claudio Rossi, e quindi a passare alla stampa una versione di comodo, il passaggio dei soldi per merito tuo è stato bloccato, ma purtroppo non mi è riuscito di far venire allo scoperto i congiurati>>. Dino lo guardò con interesse: <<cioe?>>. <<la ricostruzione che Rossi ha fatto dell’ accaduto presenta alcuni punti bui, ma ci sembra nell’ insieme attendibile. Su quel treno è salito Aleardi, che portava la valigetta con i soldi che avrebbe dovuto consegnare al falso prete, che non era affatto un ladruncolo, come riporta la versione dei giornali, ma un ex capitano del Genio guastatori, ufficialmente in pensione, ma disponibile per l’ Alto Comando, ovviamente dietro compensi discreti. L’ uomo aveva in tasca degli indirizzi di banche, e delle istruzioni ben precise per far sparire i soldi>>. <<Cioè -disse Dino- la soffiata di Zeaidita era giusta, quei soldi non dovevano andare ai ribelli>>. <<No, io penso che, con un giro piuttosto complesso, sarebbero finiti nelle tasche di Pesenzani. Tu sai che Zeaidita adesso è in Svizzera, e mi ha informato di recente sulle possibilità di far sparire quei talleri con operazioni bancarie complesse>>. Dino incalzò: <<va bene, ma torniamo al treno>>. << l’ Altobelli, che si chiamava in realtà Altimari, ha probabilmente preso la valigetta con i soldi da Aleardi, e poi lo ha sgozzato, forse per ordine dello steso Pesenzani, che non lo sopportava più perchè era un buono a nulla, combinaguai>>. Dino lo interruppe: <<ma sono stati gli Abouna. Il coltello lo avevano loro!>>. <<lo hanno portato via ad Altimari dopo che lo hanno ammazzato, fammi finire, se no non puoi capire. Dopo avere eliminato Aleardi, Altimari è tornato nel vagone a fianco, e ci ha trovato Ricciuti, e lo ha accoltellato per eliminare un incomodo. A quel punto è entrato in scena l’ uomo che hai conosciuto a teatro, ed ha puntato la pistola su Altimari per bloccarlo. Infatti quando voi siete entrati nello scompartimento avete trovato i due seduti uno davanti all’ altro.>> <<si, ma erano stati strangolati, non è mica facile strangolare due uomini grandi e grossi, e per di più uno era armato di pistola!>>. <<Su questo l’ Abouna sopravvissuto è stato preciso. Sono entrati improvvisamente nello scompartimento, mentre il mio uomo teneva sotto tiro Altimari, ed imprudentemente volgeva le spalle alla porta che non aveva neppure chiuso, lo hanno colpito alla nuca, e gli hanno tolto la pistola. L’ Altimari all’ inizio ha creduto che i due volessero aiutarlo, e non ha approfittato del momento favorevole per fuggire, ed ha sbagliato perchè i due neri hanno strangolato sia lui che il mio uomo>>. <<Si, obiettò Dino, sembra tutto verosimile, ma ho qualche punto oscuro. Perchè hanno scambiato l’ impermeabile ai cadaveri, perchè hanno fatto sparire Ricciuti, perchè erano li, e perchè era li Ricciuti.>>. <<in realtà avrebbero fatto sparire tutti i tre caaveri se avessero avuto tempo, ma voi siete arrivati in quel vagone mentre erano appena all’ inizio della operazione. In quanto all’ impermeabile la questione è complessa. Avevano fatto sparire il cadavere di Ricciuti per primo perchè era stato accoltellato, e temevano che gli uscisse sangue e facesse una chiazza che sarebbe stata facilmente individuabile, quindi lo hanno trasportato sino al passaggio tra il secondo vagone e la carrozza ristorante, e lo hanno buttato sui binari, ed in effetti il cadavere maciullato è stato ritrovato a cinque - sei chilometri dal luogo dove si è fermato il treno. Hanno buttato l’ impermeabile su Altimari per coprirgli la faccia quanto più era possibile, in modo che ad un osservatore occasionale potesse sembrare addormentato. Avevano anche girato la faccia del mio uomo verso il finestrino per lo stesso motivo. I due Abouna erano militanti del fronte patriottico ed erano li per sorvegliare il movimento della valigetta, dato che da Kartoum gli avevano inviato una precisa soffiata sul pericolo che i soldi potessero essere trafugati. Quando hanno visto Altimari che sgozzava Aleardi hanno capito che qualcuno voleva fregare il fronte 49 indipendentista, e sono entrati in azione>>. Dino si rilassò e domandò: << a titolo di pura curiosità, resta da chiarire il ruolo di Ricciuti>>. Marchetti alzò le spalle: << non sappiamo bene, perchè i due protagonisti della vicenda sono morti, ma si conoscevano bene perchè erano due finocchi...>>. <<ma come.... Aleardi.., il puttaniere?>>, domandò Dino con aria sorpresa. <<Macchè puttaniere, pagava qualche sharmutta per non fare brutta figura, ma era un finocchio incorregibile, e Ricciuti era un suo amichetto. Forse avevano deciso di scappare insieme con i soldi e Ricciuti doveva aiutarlo ad uccidere Altimari, forse Ricciuti lo aveva solo seguito per gelosia, chissà. - Il direttore rimase un attimo in silenzio, poi proseguì- hai lavorato sodo e sei stanco morto. Io porto via la valigetta, e vedrò il da farsi, visto che purtroppo abbiamo risolto il problema solo a metà. I soldi sono stati recuperati, ma l’ organizzazione dei traditori è ancora in piedi ed attiva, appena sfiorata dall’ incidente. Tutti quelli che potevano parlare e smascherare il complotto dei militari sono morti>>. Si alzò, mise il cappello in testa, e si avviò verso la porta. Dino, che solitamente era molto formale, gli fece un ciao con la mano, e si addormentò come un macigno nella poltrona. La mattina del 10 Settembre Dino si svegliò presto e guardò il calendario. Era una mattina tiepida di primavera, ed era tempo di andare alla Società di Import Export di viale De Bono. Ci arrivò verso le 10, entrò con il solito rituale, e vanne scortato sino all’ Ufficio con scritto sopra DIREZIONE. Dentro, oltre un pannello a muro un uomo stava ascoltando con una cuffia da radiotelegrafista. Dalla capigliatura ormai estremamente diradata Dino riconobbe Foà, un veneziano che lavorava da moltissimi anni nel controspionaggio. Foà si girò sorridendo, e gli disse: <<quando vieni a darmi il cambio, tu sei un esperto.>> <<Mi devono autorizzare, mica posso decidere autonomamente; c’è qualche novità?>> <<No, faccio il rapporto regolarmente, ma non ho nulla da segnalare. Tu che fai quì, non sapevo che saresti venuto!!>> <<E’ stata una mia iniziativa, ma solo perchè ho bisogno di vedere il fascicolo di un mio informatore, tale Menelik Azùm>>. <<Lo sai che questa non è la via regolare. Dovevi chiedere il permesso!>> <<Così i dati li vedevo dopo la fine della guerra. Dai, dà una mano ad un camerata per sbrogliare prima una matassa. Sono sicuro che Menelik mi stà fregando!>> <<D’ accordo, aspettami quì, e semmai stà un attimo in cuffia. Va bene che a quest’ ora non ci sono mai trasmissioni importanti>>. Foà scomparve, e Dino afferrò velocemente il registro delle rilevazioni. Il 27 Agosto, ed il 3 Settembre, alle 22 c’ erano state due trasmissioni in codice. Sempre di Martedì. Il rilevatore diceva che i segnali sembravano molto ravvicinati, senza le pause di intervallo necessarie a staccare le parole. Foà tornò con la scheda di Menelik, e Dino se la dovette leggere tutta, fingendosi estremamente interessato. Poi salutò ed andò via. La Domenica sera, il 15 settembre, Marchetti e Dino fecero una lunga passeggiata dopo il Cinema, stretti nei cappotti, perchè c’ era ancora molto freddo, e Dino raccontò tutto quanto aveva scoperto durante la mattinata passata a Viale Mussolini, e concluse dicendo: <<quindi la trasmissione che ho sentito mentre ero a Massaua, e nella quale si parlava di Cheren doveva servire ad indicare il percorso del treno su cui avevano deciso di effettuare lo scambio della valigetta, ed il messaggio in codice morse che ho captato era probabilmente la conferma. Questa trasmissione è stata captata ed annotata nei registri di Viale Mussolini, ma paradossalmente questa notizia lei la ha avuta per altre vie, cioè dall’ Agente che ha piazzato a Kartoum. In altre parole, devo supporre che le relazioni sulle nostre intercettazioni non le arrivino!>>. Marchetti si fermò di scatto, stringendo i pugni: <<sei sicuro di quello che dici? Io non ho mai avuto quel rapporto!>>. Dino continuò: <<quel registro viene portato nel suo ufficio da un corriere che lo lascia sullo scrittoio senza nessuna particolare precauzione, e chiunque può arrivarci. Ovviamente il rapporto sulla trasmissione del 20 Marzo lo avrà fatto sparire Aleardi, ma Lei mi stà dicendo che non sa nulla delle trasmissioni del 27 Agosto e del 3 Settembre, quindi successive al 12 Giugno, quando Aleardi ha fatto una brutta fine>>. Marchetti era paonazzo, probabilmente più per la rabbia che per il freddo, ma riprese il controllo e rispose: <<di Aleardi lo sapevo, mi fregava le relazioni dal tavolo, e le portava a Garganti, e quindi a Pesenzani. Io ne ho approfittato qualche volta per mandare messaggi falsi. Adesso però, quello che mi dici mi mette in allarme. Non pensavo che qualcuno prendesse il posto di Aleardi>>. Ripresero a camminare in silenzio, poi dopo un centinaio di metri, Dino si guardò intorno per essere sicuro che non ci fosse nessuno, e fece osservare: <<in fondo è anche colpa nostra. Quei fogli andrebbero consegnati personalmente a Lei, non dovrebbero andare in giro senza precauzioni. La cosa è ancora più ridicola se pensa a tutta la manfrina che facciamo tutte le volte che dobbiamo parlare di lavoro, gesti per darci appuntamento, passeggiate al buio dietro la chiesa Copta, fogli di carta che strappiamo in mille pezzi, e poi lasciamo girare quei fogli sul tavolo senza la minima precauzione>>. Marchetti si fermò di nuovo, si riguardò intorno con estrema attenzione, poi prese Dino sottobraccio, e 50 con tono di voce bassissimo gli disse: <<quello che hai detto è giusto, ma il fatto è che io ho usato questo sistema per far passare informazioni false ed imbrogliare un pò le carte. Ma adesso la situazione è molto seria, e non ci possiamo permettere più nessuno sbaglio. Noi la guerra la vinciamo con il cazzo. Non abbiamo nessuna possibilità per due buoni motivi. Primo perchè siamo inferiori sul piano tecnico e tattico, secondo perchè tra di noi c’ è una marea di traditori, in particolare militari di alto grado, che si sono già messi d’ accordo con gli inglesi. Se vogliamo tentare di rovesciare la sorte possiamo fare solo due cose, smacherare i traditori e portare le prove al Vicerè, ed adottare il Piano A. Ovviamente semprechè facciamo in tempo>>. Dino si ricordava perfettamente del famoso Piano A, perchè aveva decrittato le informazioni giunte da Massaua, ma non disse niente. Dietro di loro si sentì del rumore, e passò un carro carico di fieno. Poi i due uomini ripresero a camminare nel gelo dellla notte, mentre il Direttore parlava fittamente, con voce bassissima. Dino passò il pomeriggio di Lunedi a scrivere un rapporto dettagliato sulla presenza in città di un tedesco, che aveva dei caratteri somatici molto simili a quelli dell’ agente Julius, che aveva scattato moltissime foto di coloro che passavano per piazza Roma, e spiegò dettagliatamente che era arrivato tre giorni prima e si era installato in un appartamento di via Chiarini, all’ angolo di Via della Croce del Sud. Il tizio tornava tutte le sere verso le 23 e ripartiva la mattina alle otto. . infine concluse il rapporto con una frase che riassumeva l’ importanza della osservazione: <<è probabile che si tratti di un agente dei servizi tedeschi che dovrebbe cercare le tracce di una rete di traditori italiani che ha rapporti con gli inglesi>>. La mattina dopo in ufficio, copiò il rapporto con la sua macchian da scrivere Victor, e lo lasciò sul tavolo di Marchetti, che quella mattina però non venne. Il giorno venti Dino andò la mattina alle otto all’ Ufficio di Import Export di Viale Mussolini, e rimase a parlare per una ventina di minuti con Sulis. Prima che se ne andasse la segretaria portò del caffè caldo, poi Sulis lo accompagnò sulla porta, e lo salutò dicendo: <<secondo me è ancora presto, ripassa la settimana prossima>>. Ritornò la settimana successiva, verso le 22, e Sulis lo accolse con un sorriso trionfanta: ci siamo, la trasmissione che aspettavamo è arrivata quattro giorni or sono, il 24>>, e gli indicò il registro delle intercettazioni. Dino lo afferrò commentando :<<già , il 24, cioè martedì, come al solito>>. Il foglio riportava il titolo della trasmissione “Lo Sviluppo Edilizio di Asmara”, e si notava che Via Chiarini era stata menzionata quattro volte, le altre strade una volta sola. Al termine della trasmissione c’ erano stati dei segnali Morse di difficile interpretazione, apparentemente lettere senza significato. Sulis le indicò con il dito: << quei segnali non si possono leggere con il codice che hanno usato sino adesso,hanno cambiato la chiave, probabilmente temono che questo messaggio venga intercettato. È strano, perchè in genere non si preoccupano gran che di usare chiavi complesse, ed adesso abbiamo anche capito perchè! Tanto qualcuno li fa sparire nel percorso tra questo Ufficio e l’ Ufficio di Marchetti. - alzò le spalle con noncuranza- probabilmente questa volta il messaggio è più importante>>. Dino lo guardò perplesso: <<ma non vi eravate mai accorti che i messaggi sparivano?>>. Sulis richiuse il registro, e gli disse con aria sorniona: <<abbiamo sempre saputo che c’ era qualcuno che intercettava i messaggi, e ne avevamo approfittato per mandare informazioni false. Francamente però non pensavamo che addirittura arrivassero a farli sparire, abbiamo sempre pensato che si limitassero a controllare il passaggio delle informazioni. Fortuna che te ne sei accorto!>>. <<hai idea di chi sono “loro”>>, domandò Dino. <<Qualcuno dello Stato Maggiore, probabilmente pagato dagli Inglesi>>. Dino annuì, e si avviò verso la porta, ma si fermò, perplesso, ed insistette: <<come hanno comunicato il numero civico? >>. <<Hanno detto che alla preparazione della rasmissione hanno partecipato 26 persone, comuncano sempre i numeri con quel sistema banale>>. <<Hai per caso idea di cosa vogliono dire quelle lettere in Morse?>>. <<non con sicurezza, ci stiamo ancora lavorando, ma credo che vogliano dire PEDINARE,abbiamo identificato quasi con certezza la I e le due lettere finali>>. Quando Dino uscì la temperatuira era abbastanza rigida, ma il cielo era chiaro e pieno di stelle. Era Sabato 28 Settembre 1940. Nonostante i rumori della guerra fossero ancora lontani sentì un senso di angoscia, come se il tempo a disposizione sua e dei suoi amici stesse per finire. Tirò su il collo dell’ impermeabile e si guardò attorno, ma non vide nessuno. Forse erano tutte sciocchezze, l’ Italia avrebbe vinto la guerra, e lui avrebbe fatto venire Maria, la sua fidanzata, ad Asmara. Marchetti la Domenica non era rintracciabile, e Dino dovette attendere sino a Lunedì per prendere contatti con lui. 51 Alle otto del mattino di Lunedì andò a prendere il Direttore sotto casa con la sua Fiat 531. Marchetti inizialmente fu molto sorpreso, ed anche contrariato nel vederlo, perchè teneva molto alla segretezza, ma dopo che Dino gli ebbe spiegato delle intercettazioni cambiò atteggiamento, e gli disse: <<metti in moto, ed andiamo subito fuori città, facciamo due passi. Cerca le strade meno frequentate, e chi se ne frega dell’ Ufficio>>. Il giro fu piuttosto lungo, sino alle rive del fiume Braka, che in quel momento era in piena, e si fermarono a parlare, seduti vicino all’ argine. Marchetti era piuttosto teso, e per tutta la strada aveva parlato della inevitabilità dell’ attacco Britannico, e non perse altro tempo: <<la situazione stà precipitando ancora, abbiamo solo pochi giorni. Bisogna trovare le prove del colossale imbroglio messo su dai vertici militari e portarle al Vicerè>>. Dino, pensieroso, osservò: <<Intanto bisogna pure decrittare il messaggio in codice che hanno intercettato a Viale Mussolini>>. Marchetti alzò le spalle: <<è tempo perso, se hanno segnalato la strada dove piazzeremo Julius è per mandarci qualcuno. Non possiamo aspettare di decrittare quella frase. Da questa sera in poi Julius si installerà, e tu e Sulis lo controllerete da un appartamento di fronte che vi ho fatto preparare>>. Dino prese un ciottolo e lo tirò nell’ acqua del fiume. Marchetti seguì la scena e commentò: << quel ciottolo nel torrente è emblematico. Noi stiamo tirando sassi per fermare il fiume che è la guerra. Non ci riusciremo mai!>>. Dino sorvolò su quel commento filosofico e domandò: <<se agganciamo un uomo che da la caccia a Julius che facciamo?>>. Marchetti si strinse nel cappotto co aria preoccupata: <<non è detto che sia un uomo, potrebbe essere una donna che cerca di portarselo a letto. Se invece è un uomo faremo entrare in scena Claudio Rossi. Una volta individuato l’ uomo lui troverà un pretesto per arrestarlo, e lo farà parlare>>. Quando si alzarono il sole tiepido aveva un po’ riscaldato la giornata rigida. Marchetti era molto preoccupato, e Dino, che per sua natura era molto ottimista, si sentiva piuttosto a disagio. Risalendo in macchina Marchetti, dopo un lungo silenzio, riprese a parlare: <<vedi, probabilmente tra qualche mese ci sarà un disastro totale, e ciascuno di noi resterà solo. Se le cose si metteranno al peggio cercate di mettervi in salvo oltre le lineee nemiche, perchè gli inglesi non sono teneri con le spie italiane. Noi abbiamo una rete di infiltrati nei conventi, in genere gli economi sono nostri amici, e ci aiuteranno. La frase di identificazione è la solita, “un caffè molto forte e con la crema””>>. Dino fece una smorfia e borbottò: <<speriamo che non serva!>>. Alle sette di quella sera Julius entrò nel palazzetto al 26 di Viale Chairini, e salì al primo piano, in cui da molto tempo il servizio di controspionaggio aveva affittato una camera. Dino salì al secondo piano della palazzina di fronte, da cui il Servizio di Controspionaggio aveva evacuato con molta discrezione gli abitanti, e si piazzò alla finestra, dietro una pesante tenda, tenendo a portata di mano il binocolo che gli aveva regalato Marchetti al ritorno da un viaggio in Svizzera, e che Zeaidita aveva comprato a Parigi, alla Maison Du Docteur A. Chevalier, Opticien. Alle otto del mattino siccessivo gli dette il cambio Giovanniino Sulis. Quando alle 20 tornò a prendere il suo posto di osservazione trovò la camera immersa in una puzzolente nuvola di fumo prodotta dal sigaro di Sulis. Nonostante il freddo aprì la finestra per cambiare l’ aria, e vide Julius che usciva dal portone, ed un uomo, che probabilmente era rimasto sino a quel momento all’ ombra di un colonnato, che usciva improvvisamente, ed iniziava a seguirlo. Sulis che usciva anche lui in quel momento dal portone si mise alle calcagna dei due, e Dino, quando si fu accertato che non c’ era nessun’ altro in coda a quel corteo, si precipitò giù dalle scale, per accodarsi. Giunse in strada, e si gettò all’ inseguimento degli altri, ma la scena ebbe un epilogo rapidissimo. Ormai Julius e l’ inseguitore erano vicini all’angolo, nascosti dagli alberi che fiancheggiavano la strada scarsamente illuminata, Sulis era ancora appiattito contro un albero sulla via principale, per non farsi notare. Improvvisamente si sentì uno sparo, Sulis che era più avanti estrasse la pistola e si mise a correre lungo il muro, e svoltò con la pistola spianata. Dino che aveva la visuale parzialmente coperta dagli alberi, ed era circa centocinquanta metri indietro, estrasse la pistola, si buttò anche lui contro il muro, e cominciò a correre con tutto il fiato che aveva. Prima dell’ angolo vide la sagoma di un uomo riverso in terra, la riconobbe, e con il cuore in gola si chinò e girò il corpo. Julius era morto, con il cranio fracassato da una pallottola. Diono si rialzò, e con estrema precauzione girò l’ angolo. Sulis era fermo in mezzo alla strada, e puntava la pistola su un uomo che teneva le mani alzate, e girò un attimo lo sguardo verso Dino, poi lo ripiazzò sull’ uomo dicendo: <<aiutami a fermare questo maiale che ha sparato a Julius a sangue freddo>>. Dino cominciò: <<lo ha ammazzato....>>. Si 52 interrurre, poi riprese: <<aspetta, c’è qualcun altro>>, e cominciò a correre dietro qualcuno che fuggiva nella direzione del Centro. Corse a lungo con il fiato grosso, ma il fuggiasco aveva troppo vantaggio, e non riuscì a raggiungerlo. Quando tornò indietro trovò Sulis che continuava a tenere l’ uomo sotto tiro, e lo aiutò a trasportarlo alla macchina che avevano parcheggiato a circa duecento metri, poi ripartirono a tutta velocità verso il comando dei Carabinieri. Si fermarono circ duecento metri prima di arrivarci, e Dino proseguì a piedi. Al piantone domandò del Tenente Rossi, che venne subito, e lo riaccompagnò alla macchina. Mentre camminavano Dino riferì l’ accaduto a Rossi, che rimase molto contrariato: <<ormai non possiamo più coprire l’ accaduto, c’è stato il morto, e purtroppo è Julius. Ovviamente adesso arresterò questo furfante, ma non riuscirò a tenerlo più di dodici ore, poi qualcuno me lo sfilerà di mano, e non riuscirò a farlo cantare. Dannazione, c’è andata fottutamente storta un’ altra volta!>>. <<dodici ore sono lunghe - replicò Dino-forse riuscirai a farlo parlare. Comunque è fondamentale identificarlo>>. Rossi non replicò, estrasse la pistola, e concluse: <<tu sparisci, a me basterà la deposizione di Sulis. Ci mancherebbe solo che uscisse anche il tuo nome sul giornale di domani, e come agente saresti bruciato>>. La mattina successiva Dino andò in ufficio molto presto, e con l’ aria sconvolta, perchè non aveva chiuso occhi. All’ ora di pranzo andò al Ristorante Italia con Marchetti. I due erano tetri, e mangiarono senza parlare. Quando uscirono, stretti nei cappotti, Dino disse, guardando dritto in avanti: <<l’ ha ammazzato come un cane>>. Marchetti lo guardò, poi scoppiò: <<il messaggio è stato decrittato, la parola in codice era UCCIDERE, non PEDINARE>>. E tirò una bestemmia. Tutto il mese di ottobre trascorse senza novità. Dino e Marchetti pranzavano e cenavano insiemequasi tutti i giorni, ma evitavano di parlare di lavoro per non tornare sull’ argomento dell’ assassinio di julius. I giornali ne avevano parlato brevemente “Un Assassinio Per Oscuri Motivi”. Alla fine di Novembre Marchetti partì per l’ Italia con la nave, e Dino lo accompagnò in macchina a Massaua, e trovarono finalmente lo spirito adatto per parlare. Mentre superavano il passo Wolchefit Dino domando: <<cosa ha saputo Rossi?>>. Marchetti tirò su il finestrino perchè cominciava a fare freddo, e rispose: <<ha torchiato quel delinquente per ore, ed è riuscito a fargli sputare quasi tutto. È un militare di stanza vicino ad Addis Abeba, ed è stato portato li da Pesaenzani, quando è arrivato in Africa Orientale. Ovviamente ha negato ogni rapporto con i vertici militari. Ha sostenuto di essere arrivato qui per trattare l’ acquisto di un terreno, e che quella sera era uscito per fare due passi. Avrebbe sparato a Julius perchè lo aveva scambiato per un malintenzionato. Poi purtroppo l’ uomo è stato preso in consegna dalla autorità militare>>. Dino dovette scalare marcia perchè la pendenza era aumentata, e nel frattempo sbottò sconsolato: <<e così siamo arrivati alla fine della strada!!>>. Marchetti si aggiustò nel sedile e rispose con una certa soddisfazione: <<al contrario, Rossi ha fatto fare una ispezione fulminea nella casa dove stava quel delinquente, ed ha trovato molto lateriale: il codice con cui decrittava i messaggi, ed una valigetta piena di soldi, di cui devo accertare la provenienza, ed un assegno>>. Estrasse una busta, ed aprì la linguetta facendo vedere un assegno ed una mazzetta di soldi, poi la richiuse con cura. Dino scalò ancora la marcia, e guardò preoccupato il cofano dell’ automobile, perchè gli sembrava di vedere del fumo, ed aggiunse: <<pensa che potremo ritrovare le tracce di quei soldi?>>. <<Spero di si. Ovviamente l’ assegno porta dieci firme di voltura, incomprensibili, ma con l’ aiuto di Zeaidita spero di risalire al proprietario del conto originario. >>. Dino sospirò di sollievo perchè avevano ormai raggiunto la cima del passo, e da li cominciava la discesa, e commentò: <<questo ci mette a rischio grave. Ormai i militari sanno che abbiamo qualcosa in mano>>. Marchetti riaprì il finestrino, ed osservò: <<è vero, e per questo mi sono fatto accompagnare da te, che sei meno conosciuto, e parto sotto nome falso. Comunque penso che non abbaino la sicurezza di quello che noi abbiamo in mano, e sopratutto che non sappiano quante informazioni posso ottenere attraverso una indagine bancaria>>. Il viaggio fu ancora lungo, poi Marchetti partì, e stette via tutto il mese di Novembre. LA GUERRA Tra la fine del 40 e l' inizio del 41, come tutti sanno, la situazione politica internazionale stava precipitando. L' Italia era stata sottoposta a sanzioni economiche, e Mussolini si era avvicinato ad Hitler. La guerra era inevitabile, ma nelle colonie si sperava che restasse limitata al continente 53 europeo. Tutti i giorni si parlava del pericolo della guerra, ma in Africa, dove gli Italiani erano "conquistatores", e dove la retorica fascista era più potente, molti erano convinti che la forza dell' Italia avrebbe scoraggiato gli avversari. D' altro canto le autorità facevano tutto il possibile per non far capire nulla a nessuno. I discorsi pubblici erano pieni di metafore, in particolare se rivolti alle popolazioni nere, che in questo modo venivano, per quanto possibile, tenute all' oscuro di tutto. Venne un federale da Roma per annunciare che lo scenario politico internazionale si stava complicando, e rivolto alla popolazione nera disse "dense e scure nubi si stanno addensando all' orizzonte...", e l' interprete tradusse letteralmente "Il Sig. Federale ha detto che domani pioverà". Alcuni erano pessimisti, alcuni dubbiosi sul futuro. Dino cominciava a preoccuparsi. La mattina del 21 Marzo 1941 si svegliò presto. Come ogni giovedi doveva andare in Ufficio, a Corso del Re. La giornata era fredda e piovigginosa, e la gente camminava in fretta. Era un po' come se il tempo rispecchiasse la atmosfera politica di preoccupazione di quel periodo. Alle otto e trenta precise era in ufficio. L' usciere lo salutò: <<Buongiorno dottore, il Dr. Marchetti ha già telefonato per cercarla. Ha detto che arriverà tra poco.>> Se Marchetti lo stava cercando con tanta fretta voleva dire che qualcosa di grosso bolliva in pentola. Dino salì al terzo piano, ed entrò difilato nella camera con la scritta <<DINO TATTI, Ispettore Capo>> sulla porta, ed iniziò subito a lavorare sulle pratiche che aveva lasciato sul tavolo. Dopo 10 minuti squillò il telefono posto a sinistra, sulla mensola. Dino andò ad alzare la cornetta. Dall' altro capo c' era l' usciere:<<dottore, stà salendo il Dr. Marchetti>>. <<Grazie Antonio>>, borbottò Dino. Quella mattina non era gioviale come al solito, ma si sentiva teso e preoccupato. Marchetti entrò dopo qualche secondo, e venne subito al sodo. <<Ti devo mandare in missione. È qualcosa di molto delicato, si tratta della relazione che abbiamo avuto su possibili infiltrazioni di sobillatori nelle scuole indigene, e nelle fabbriche>>. Gli porse senza interesse alcuni fogli, e Dino li prese preoccupato, riflettendo sul fatto che chiunque li stesse acoltando non avrebbe mai preso perbuone quelle stupidaggini. Mentre stava per cominciare una guerra disastrosa a chi poteva interessare la presenza di sobillatori nelle scuole?! Si sollevo quando Marchetti, senza alterare il tono di voce, e guardando verso la porta, proseguì: <<in realtà il vero motivo è che devi consegnare un rapporto dettagliato sulla attività di alcune spie che sono state individuate qui in città, e che stanno probabilmente studiando la zona per facilitare l’ arrivo di un personaggio importante, in grado di attivare i ribelli indigeni>>. Dino lo assecondò: <<chi è questo personaggio?>>. <<Non lo so, forse un alto dignitario dell’ entourage di Haile Selassiè, però questo on è chiaro. L’ aumento della attività spionistica è stato segnalato in tutto l’ impero, e quindi il personaggio in questione dovrebbe visitare più zone. Sappiamo che avrà una serie di incontri, ed il più importante avrà luogo in un villaggio nei dintorni di Addis Abeba>>. Il Direttore si alzò e si diresse verso la porta, in modo che si sentisse meglio dal corridoio, e proseguì: <<appena arriverai ad Addis Abeba dovrai prendere contatto con il Dottor Anelli, che è il capo gabinetto del Vicerè. Gli darai la documentazione che ti ho consegnato,e lui ti metterà in contatto con altri agenti, in modo che insieme possiate confrontare i dati e preparare un piano di azione>>. Dino sfogliò perplesso il pacco di carte che Marchetti gli aveva consegnato. Erano fogli pieni di idiozie: • • “Agente # 5 - segnalato traffico telegrafico da Massaua adAsmara” “Agente # 6 - rilevato passaggio di un bianco con cravatta a righe, alto 170 centimetri, che si sposta spesso tra viale De Bono e Viale Mussolini. Mangia regolarmente alle 14 ed alle 21 in ristoranti diversi. Presente dal 10 Febbraio al primo di Marzo. Attività ignota. Nom dichiarato: Giulio Tagliarini” Il rapporto proseguiva con una serie di informazioni analoghe, ed assolutamente irrilevanti. Guardò l’ ultimo foglio: l’ Agente # 52 segnalava le abitudini alimentari ed alcune anomalie del comportamento sessuale di un soggetto di presunta origine maltese che abitava nel villaggio De Cristoforis. Con quelle informazioni non si sarebbe scoperta nemmeno la ubicazione di Palazzo Venezia a Roma. E poi non esisteva neppure un agente # 52, erano quindici in tutto, anzi 14 dopo la morte di Julius. In mezzo allo scartafaccio trovò il biglietto che cercava: “stasera, 15o chilometro della strada per Cheren, ore 22””. Tornò con l’ attenzione a Marchetti, che stava finendo di parlare: <<.............. devi anche muoverti per la città, cercare contatti>>. A Dino parve più logico rendere verosimile la convcersazione, 54 e fece notare: <<ma io non so dove cominciare, non so neppure chi devo cercare.addis Abeba non è un mio territorio, io non ho contatti. Mica posso andare cercando Maria per Roma>>. Marchetti rimase interdetto, poi capì che quella obiezione era parte del gioco e ribattè_ << te la saprai cavare. È bene che tu parta subito per Addis Abeba. Comunque la parte fondamentale della tua missione è portare questo rapporto ad Anelli, e partecipare alla riunione. Cercare una traccia è più complesso, ma Anelli ti potrà aiutare>>. Dino sventolò il foglietto per segnalare che aveva capito, e si avviò verso la porta salutando. Poi tornò nel suo ufficio, e continuò a lavorare sino alle 14. Prima di lasciare l’ ufficio piantò una spilla gialla in corrispondenza di Addis Abeba sulla grande carta geografica appesa alle sue spalle. Alle 21 partì per l’ appuntamento. Partiva sempre con grande anticipo. La notte era rigida, e la strada in alcuni tratti era gelata. Dino guidava con estrema prudenza, controllando nello specchietto retrovisore che nessuno lo stesse seguendo. Aveva preso la sua Fiat 531, vecchia di cinque anni, ma in ottimo stato, con solo una portiera posteriore che cigolava. Spingendola a tutta velocità la macchina poteva arrivare a circa settanta chilometri orari, e Dino calcolò che evrebbe fatto più che in tempo ad arrivare all’ appuntamento. Dopo una decina di chilometri cominciò la pioggia e dovette rallentare. Oltre le spazzole, lentissime, la macchina aveva una specie di visiera sopra il parabrezza, e la visuale era abbastanza buona. Comunque la pioggia si diradò molto presto, ed alle 22 e quaranta si fermò nel luogo dell’ appintamento, uno spiazzo a destra sul rettilineo che seguiva una curva stretta. Dino lasciò il motore acceso ed i fari alti. La alfa Romeo di Marchetti comparve a velocità piuttosot sostenuta dopo altri venti minuti, in tempo per l’ appuntamento, esi fermò dietro la macchian di Dino con un forte stridio di freni. Il Direttore scese alla luce dei fari, con il viso tirato e la barba lunga, e non perse tempo: <<mi hanno seguito, ed ho dovuto faticare per seminarli, ma ce l’ ho fatta ad arrivare in tempo!>>. <<chi l’ ha seguita?>>. <<non lo so, di sicuro un automobile scura, doveva essere una Lancia, che mi ha tallonato da casa mia sino a dieci chilometri da qui, dove l’ ho seminata sotto la pioggia. Adesso veniamo al vero motivo della missione>>. Marchetti accennò al sedile della sua auto. Dino spense il motore della Fiat, spense le luci, e si sedette a fianco al Direttore nella Alfa Romeo. Mentre entrava nella macchina vide la pistola che Marchetti aveva lasciato sul sedile, e la indicò con un dito commentando: <<la sicurezza non è mai troppa!!>>. <<no, specie se qualcuno ti stà seguendo - disse Marchetti, e proseguì - senti, è ovvio che non ti mando ad Addis Abeba per quelle fesserie che ti ho detto. Stà effettivamente arrivando da queste parti sotto copertura il Negus, e questo non lo sa nessuno tranne noi, ed ovviamente gli inglesi. Farà tappa in un villaggio nei pressi del lago Tana, e li faremo l’ ultimo tentativo>>. Dino tese l’ orecchio perchè gli era sembrato di sentire il rumore di un automobile in arrivo, ma si rilasso dopo qualche secondo, perchè si rese conto che era solo il vento: <<cioè, cosa accadrà?>>. <<nel villaggio, durante la notte, verrà rapito, ed un sosia prenderà il suo posto. Quest’ uomo dovrà costituire un governo fantasma tra le montagne, e dovrà mantenersi in contatto con gli inglesi, a cui invierà informazioni false. Un’ altra parte del suo compito sarà di diffondere ai suoi compatrioti notizie allarmistiche sulle reali intenzioni degli inglesi>>. Dino lo guardò perplesso: <<perchè dovrebbe farlo, e che fine farà il Negua>>. Il Negua lo tratteremo bene, e lo porteremo a Roma. Il sosia e tutti quelli che collaboreranno saranno ricompensati con molti soldi che avranno in tempi diversi. Tu gli porterai la chiave di una cassetta di sicurezza della Cassa di Risparmio, a Massaua, dove è custodita la prima parte del loro compenso>>. Dino sgranò gli occhi: <<chi sa di questo piano? >>. Marchetti era soddisfatto: <<io, e pochissime altre persone, ed adesso lo sai anche tu>> - Poi il suo tono divenne più grave - <<senti, gli inglesi non potranno mai vincere la guerra senza l’ aiuto degli indigeni. D’ altro canto Roma ci ha abbandonato a noi stessi, e noi non possiamo perdere, o saremo fatti a pezzi>>. Dino si strinse nelle spalle preoccupato, e domandç: <<come ha fatto a realizzare un piano così ambizioso da solo?>>. <<beh, lo preparo da molti anni, da quando ho capito che gli inglesi hanno dei servizi segreti molto potenti, e comunque non ti scordare che mi ha aiutato Zeaidita, anche se......>>. lo sguardo di Marchetti era molto eloquente, e Dino lo fissò negli occhi: <<sta dicendo che ha usato Zeaidita! La ragazza non sarebbe stata complice di un tradimento della sua gente>>. Marchetti si strinse nelle spalle: <<si, non sono stato del tutto sincero con lei, ma io sono una spia! Per essere onesto non sono convinto di stare dalla parte giusta, ma le cose nell’ Africa Orientale vanno in maniera diversa da quello che stà accadendo nel resto del mondo>>. Marchetti aveva dei profondi occhi chiari, e leali, e glieli piazzò addosso, quasi per sfida, e proseguì: <<hai capito bene, se facessi la spia in inghilterra forse avretùi tradito, perchè io non sono un fascista, e secondo me il Furher è un pazzo furioso, e Mussolini un esaltato! Ma qui siamo in un angolo di 55 mondo sperduto, abbandonati a noi stessi, e con la responsabilità di tanti italiani che non devono cadere in mano agli inglesi. Per questo scopo ho ingannato anche la donna che amo>>. La voce divenne meno dura, e proseguì: <<tu sei più giovane di me, ed ancora pieno di ideali. Credi nel Duce, e fai questo lavoro per la patria, io lo faccio per i compatrioti. Un giorno capirai che ci hanno imbottito la testa di idiozie comunque siamo amici e siamo dallo stesso lato dela barricata. Ricordati che se il mio piano non funziona le colonie sono perdute, perchè noi siamo spaventosamente inferiori sul piano militare agli inglesi>>. Dino lo guardò perplesso: <<ma io che dovrò fare ad Addis Abeba?>>. <<devi andare dal Vicerè a portargli questoorologio, che contiene il microfilm con il dettagio del piano per la sua liberazione, nel caso malaugurato che dovesse esser fatto prigioniero. Ci sono i nomi di due alti ufficiali inglesi che dovrebbero essere addetti alla sua sorveglianza, e che sono in realtà due infiltrati tedeschi. Basterà che Sua Altezza comunichi la sua disponibilità a collaborare al piano con una frase chiave, che dovrà pronunciare in corso dell’ interrogatorio Nascondilo meglio che puoi, e dovrai cercarti da solo una occasione per farglielo avere. Io purtroppo non posso indicarti nessun appoggio, perchè non mi fido di nessumo per una missione di questa importanza. Durante la tua permanenza verrai contattato in albergo da qualcuno a cui darai la chiave della cassetta di sicurezza dove c’ è la prima somma in lingotti d’ oro per pagare il falso RAS ed i suoi compari>>. Dino soppesò l’ orologio a cipollone, lo aprì e vide che funzionava perfettamente, poi lo richiuse, e lo ripose con cura nella tasca. Quando sarai arrivato ad Addis Abeba dovrai andare dal Dr. Anelli, e gli rifilerai i fogli che ti ho dato in ufficio. - sospirò, poi aggiunse - Io credo che Anelli sia “pulito”, ma non sono sicuro, e fidarsi troppo di lui significa rischiare di mandare a monte tutta la missione, ed ovviamente anche farti rischiare la pelle>>. Tirò fuori dal panciotto una chiave e gliela dette. Rimasero dieci minuti a parlare dei dettagli, poi uscirono dalla macchina per salutarsi. Dino teste la mano, ma il Direttore lo abbracciò, dicendogli: <<senti Dino, tu sei stato un vero amico ed un ottimo agente. Io ho il presentimento che non ci vedremo mai più, che le cose stiano precipitando irrimediabilmente verso una fine. -Sospirò ed aggiunse- se non ci dovessimo più vedere, sappi che ho avuto una grande stima di te>>. Gli battè una mano sulla spalla. Dino si allontanò verso la sua macchina, e prima di salire disse: <<grazie Marchetti, grazie di tutto quello che mi ha dato>>. Poi entrambi avviarono il motore, e ripartirono in fila verso la città. Dopo una decina di chilometri raggiunsero quello che era stato l’ epicentro della pioggia. Mentre superavano una curva improvvisamente una macchina, una Alfa Romeo scura, uscì di fianco e si mise al centro della strada. La macchina di Marchetti precedeva, e frenò di colpo sbandando. Alla luce dei fari si vedeva un uomo che usciva dalla macchina pirata brandendo una pistola. La scena che seguì durò qualche secondo. Marchetti era a pochi metri dalla macchina posta di traverso, e ripartì con tutta la velocità possibile. L’ uomo in piedi sparò alcuni colpi, prima di essere investito e maciullato, e l’ Alfa di Marchetti proseguì la corsa, passandogli sopra, e speronando l’ altro automezzo. Le due macchine volarono ai lati opposti della strada. L’ uomo che era alla guida dell’ auto pirata venne sbalzato fuori, e volò contro l’ albero come un sacco di patate, e rimbalzò contro uma pietra spaccandosi la testa. Dino frenò di colpo butandosi verso la cunetta, e corse con la pistola spianata verso la macchina di Marchetti. La macchina era accartocciata contro un albero, ed il Direttore era riverso sul sedile senza vita, con un grosso foro di proiettile nella testa, ed in mano la pistole che non aveva fatto in tempo ad usare. Aveva pagato caro il suo coraggio. Non c’ era nulla da fare, e Dino si strinse la testa tra le mani insanguinate e pinse. Dopo qualche minuto si riprese, ritornò verso la macchina e partì ad alta velocità. Almeno poteva tentare di portare a termine l’ ultima missione che Marchetti gli aveva affidato, l’ ultimo omaggio al suo amico. Alle 6 del mattino successivo caricò la valigia sulla vecchia Alfa Romeo affidatagli per le trasferte dell’ Ufficio, e si mise in movimento: Guidò ininterrottamente sino a mezzogiorno senza incontrare nessuno, poi affrontò la parte peggiore della strada, fatta di tornanti e tratti non asfaltati. Alle 14 trovò un casolare con un cartello decrepito su cui si leggeva a stento "Ostello", e vide parcheggiate sotto gli alberi due Alfa Romeo, molto più nuove della sua, ed una moto Guzzi: Parcheggiò ed entrò in quel tugurio: dentro c'erano quattro uomini seduti ad un tavolo, che mangiavano una minestra fumante. Dino notò che uno di loro era nero, e portava un cappello a falde larghe che gli copriva gran parte del viso. Si sedette al tavolo vicino, ed ordinò una minestra all' oste, un emigrato con un marcato accento calabrese. Mangiò rivolto verso la finestra, e da dove era poteva osservare abbastanza bene, riflessi nel vetro, i quattro uomini: escluso il nero, che era di spalle, uno era calvo, intorno ai 50 anni, uno aveva i capelli tagliati a spazzola, e poteva avere circa 30 anni, ed il 56 quarto, che non parlava mai, aveva i baffi ed un cappello alla Humphrey Bogard. Per quanto si sforzasse di sentire non ci riusciva. Ad un certo punto il bicchiere dell' uomo coi baffi cadde spezzandosi in mille pezzi, ed il tizio imprecò in maniera inequivocabile: <<Shit!....Merda>>. Dino si irrigidì: era un inglese. Che ci faceva li? non battè ciglio, ma finì rapidamente di mangiare, e si girò verso l' interno della cameretta per chiamare l' oste:<Padrone!!>>. Mentre aspettava che il clabrese venisse a prendere l' ordinazione squadrò l' inglese con i baffi. Dopo qualche secondo l' uomo si sentì porbabilmente osservato, ed alzò improvvisamente la testa: i loro sguardi si incontrarono e si sostennero per qualche frazione di secondo. Dino isitintivamente serrò il braccio per sentire la pistola nella fondina. Finalmente arrivò l' oste: <<Che vuliti?>>. <<Un bicchiere di vino ed il conto>>, disse Dino. L' inglese mormorò qualcosa, e gi altri due uomini si voltarono nella direzione di Dino. Il nero non si mosse. In quel momento si aprì la porta , ed entrarono quattro tizi con il Fez, le camicie nere, e dei pistoloni alle fondine: La attenzione dei quattro commensali si spostò sui nuovi arrivati, e Dino approfittò per pagare ed uscire. Ripartì rapidamente, e dopo alcuni chilometri uscì dalla strada principale, ed imboccò un sentiero in salita. Appena la sua automobile fu fuori vista dalla camionabile, si fermò, e scese ad osservare. Dopo 20 minuti di attesa vide una nuvola di polvere, e poi comparvero le due Alfa Romeo che aveva visto all' osteria: Della moto nessuna traccia, ma probabilmente apparteneva all' Oste. Bene! Se quegli uomini avevano interesse a toglierlo di mezzo e lo stavano inseguendo avrebbero corso un bel po' a vuoto. Comunque gli conveniva aspettare: potevano mangiar la foglia e tendergli un agguato più in la. Respirò a pieni polmoni l' aria frizzante, poi si riposò leggendo un libro. Ripartì solo al tramonto, e viaggiòfino a mezzanotte, quando vide un altro ostello, e, dopo essersi accertato che nei dintorni non c'erano le due Alfa Romeo, parcheggiò dietro la casa, ed affittò una camera per dormire. Alle sei del mattino era pronto per ripartire, e scese nel ristrettissimo atrio per pagare e fare colazione. Si sedette ad un microscopico tavolino barcollante, ed il padrone gli portò una tazza di latte e delle gallette durissime. Mentre mangiavano arrivarono le quattro camicie nere del giorno prima, e si sedettero ad un tavolo vicino. Uno sbraitò, levandosi il Fez: <<Oste del cazzo, portaci da bere>>, poi rivolto agli altri:<<quello stronzo baffone io lo spacco in due>>, e giù una sequela di insulti al baffone, mentre gli altri annuivano e rincaravano al dose. Dino notò che quello che aveva parlato per primo aveva un occhio nero, ed aguzzando gli occhi nella penombra del mattino, vide che erano tutti e quattro pesti. Evidentemente avevano avuto una lite, risoltasi a loro danno, con i quattro tizi delle Alfa Romeo, che probabilmente gli avevano anche tolto le armi, perchè avevano le fondine vuote. Dino pagò e se ne andò, mentre i quattro continuavano a promettere terrificanti vendette all' indirizzo del baffone. Il viaggio proseguì tranquillamente. Dino si fermò a mangiare in un' altra osteria, e prudentemente si informò sul passaggio dell' inglese e degli altri, ma nessuno li aveva visti. Quando scese la sera del secondo giorno, ormai mancavano circa seicento chilometri ad Addis Abeba, ed il percorso peggiore era finito, ma quel viaggio infernale gli aveva rotto le ossa, e si fermò ad un altro ostello. Girò dietro il misero fabbricato per parcheggiare, ed alla luce dei fari vide una delle due Alfa Romeo, ed a fianco una Jeep. Della seconda Alfa Romeo nessuna traccia. Rimase alcuni secondi incerto, poi decise di entrare. Spense il motore ed i fari, poi controllò che la pistola fosse al suo posto, e spinse la porta dell' Ostello. La luce era fioca. Il padrone stava servendo da bere a tre persone: uno era l' inglese con i baffi, uno era quello sui trent' anni con i capelli a spazzola, ed il terzo era un uomo sui 50-60 anni, che Dino riconobbe per averlo visto una volta in Ufficio e sui giornali: era un generale molto vicino al Vicerè. Riuscì a controllarsi, ed a non dimostrare la sua sorpresa. Si sedette lentamente al tavolo più vicino, con gli occhi dei tre addosso. La sua vita era appesa ad un filo. Era chiaro che il Generale si stava abboccando con un emissario inglese per dare informazioni o per defezionare. Se i tre sospettavano di essere stati identificati era la fine. Doveva guadagnar tempo, e cercar di scappare. Disse forte all' Oste: <<Che c'è da mangiare?>>. <<Capretto e montone>>, rispose quello. <<Vada per il capretto, e del vino buono>>. Gli uomini del tavolo vicino smisero di guardarlo, e cominciarono a parlare tra loro a voce bassissima. Dino cenò rapidamente, poi chiese all' Oste:<<Hai una camera?>>. <<Si -rispose quello-, li a destra>>. Dino annuì, fece per avviarsi, poi disse:<<scordavo di prendere la valigia>>, e fece rapidamente dietro front, avviandosi in direzione della porta. Mentre usciva vide con la coda dell' 57 occhio che i tre si stavano alzando dal tavolo: evidentemente volevano seguirlo per eliminarlo appena all' aperto. Aveva solo pochi secondi di vantaggio per cercar di sfuggire. Si girò in avanti, e venne abbagliato dai fari di una macchina che stava arrivando. Il fatto imprevisto bloccò tutti: Dino era sulla porta, e con sollievo vide che dalla macchina scendevano i quattro in camicia nera che avevano subito il pestaggio. Erano armati di spranghe. Fece un largo sorriso, si tirò da parte per farli passare, e disse ad alta voce: <<Viva il Duce, Camerati, benvenuti>>, e mentre quelli entravano schizzò via verso la sua macchina. Prima di salire estrasse un coltello a serramanico e pugnalò le ruote dell' Alfa e della jeep. Poi accese il motore della sua macchina, e partì a tutta velocità. Passò il giorno successivo in viaggio, e la notte si fermò con la macchina un un campo molto distante dalla strada principale. Ormai non si fidava più degli ostelli, erano troppo individuabili. Dormì qualche ora, forse dalle dieci di sera a mezzanotte, e poi ripartì. Arrivò cinque ore dopo ad Addis Abeba. Aveva l' indirizzo dell' albergo Impero, e ci andò direttamente, anche se era notte fonda. Il portiere lo sistemò in una stanzetta confortevole. Dopo avere disfatto la valigia Dino tornò nell’ atrio, dove il portiere dormiva e lo svegliò. Il pover’ uomo aprì gli occhi di malumore, e gli consegnò con fare seccato tutti i glirnali della settimana, che quel rompiballe aveva voluto. Dino tornò in camera, si sedette davanti al tavolino, e li scrutò attentamente. Non c’ era nessuna notizia importante, tranne un trafiletto nel giornale della mattina precedente, in cui si diceva che un’ automobile con due ubriachi a bordo aveva avuto un incidente con quella di un alto funzionario del Governatorato di Asmara. I tre erano morti, ma non veniva riportato alcun nome. Dino rivide davanti agli occhi la scena terrificante, poi si rilassò sulla poltrona, bevve un bicchiere di cognac che gli avevano lasciato come cortesia nella camera, e si mise a dormire sino alle nove. Alle dieci, sbarbato e restaurato era al Palazzo del Governo, a colloquio con il Dr. Anelli, un uomo pratico, di circa 60 anni, e con le idee molto chiare. Dino gli dette i fogli che aveva avuto da Marchetti. Il Dr. Anelli sedette dietro la scrivania e lesse tutto con attenzione. Dino lo osservò, ed ebbe la sensazione di vedergli passare negli occhi un lampo di soddisfazione. Dopo cinque minuti Anelli ripose i fogli e commentò, fissando Dino: <<un lavoro accurato! In quanti lo hanno visto?>>. <<credo che lo abbia visto solo il Dr. Marchetti>>, rispose Dino cercando di non sembrare preoccupato. Anelli proseguì: <<uhm, già, a proposito, come stà il mio amico Marchetti?>>. Dino non battè ciglio: <<l’ ho visto quattro giorni fa in ufficio, e stava benissimo!>>. quando ebbe finito di parlare sentì un groppo in gola, ma dopo un attimo di silenzio proseguì: <<il Dr. Marchetti mi ha chiesto anche di cominciare a muovermi in zona per cercare contatti ed individuare la persona che cerchiamo, e che Lei mi avrebbe aiutato!>>. Anelli tolse gli occhiali dal naso, e li posò sul tavolo , tamburellò un pò con le stanghette, come se stesse riflettendo, poi si alzò, si diresse verso la finestra, e disse, guardando all’ esterno: <<beh, forse è inopportuno che Lei si muova prima dell’ incontro che avremo. In queste operazioni il coordinamento è estremamente importante>>. Tornò lentamente al tavolo , con fare interlocutorio, e riprese a parlare. <<Il punto fondamentale per capire il significato, ed il pericolo di questa vicenda, stà nei rapporti che intercorrono tra Hailè Selassiè ed il governo inglese. Ufficialmente gli inglesi ignorano il Ras, ma secondo me lo considerano una pedina fondamentale per vincere la guerra in Africa Orientale e lo stanno appoggiando. Sicuramente l' uomo che cerchiamo è un emissario degli inglesi, e non solo del Ras.>>. Dino notò che il Dr Anelli parlava in maniera molto diversa da tutti gli altri. La sua dialettica non aveva nulla della retorica fascista con cui si esprimevano tutti gli altri, anche all' interno della Intelligence. A sua volta osservò: <<Se dietro questo Sig X che sto cercando ci sono gli inglesi o no, non fa molta differenza., Il suo scopo dovrebbe essere quello di attizzare la rivolta a danno dell' Italia>>. Anelli si sedette di nuovo, prese in mano una penna e cominciò a giocherellare, poi tornò alla finesta, e guardando fuori, rispose: <<Non è così semplice. Se dietro ci sono gli inglesi devi renderti conto che c' è dietro anche la loro macchina bellica ed i loro efficientissimi servizi segreti. Questo significa che non ci troveremo davanti una rivolta di straccioni, ma un disegno strategico di sabotaggio. I neri saranno armati e sapranno dove e quando colpire.>>. Poi , dopo un breve periodo di esitazione, come se fosse indeciso se dire tutto, riprese: <<Vedo anche complicazioni interne. Se la notizia dell' arrivo di questo emissario, e della preparazione di questo complotto, dovesse trapelare, i pazzi facinorosi, voglio dire -si interruppe di nuovo per sospirare- le camicie nere più facinorose, si scatenerebbero e farebbero a pezzi i neri per strada, complicando ancora di più le cose>>. Anelli, pensò Dino, non è un fascista, non parla e non pensa come un fascista. O comunque era un fascista "progressista". In ogni caso non gli aveva risposto ancora in maniera esauriente, era come se fosse incerto se dire qualcos' altro, e provò ad incalzarlo: <<Dottore, non mi ha ancora detto chi stò cercando, i connotati, chi lo circonda>>. Anelli era 58 irrequieto, e si rialzò, andando verso la finestra. Dino ebbe la sensazione che cercasse di sfuggire il suo sguardo. Comunque prudentemente sbirciò la strada per vedere se per caso quei frequenti viaggi verso la finestra non servissero da segnale a qualcuno che era fuori. Non c' era nessuno sospetto in strada, solo dei passanti frettolosi. Anche la cornetta del telefono era a posto. Anelli riprese a parlare: <<Non so chi è il nero che deve prendere questi contatti, come ho detto. Probabilmente non è solo, e potrebbe essere in compagnia di un inglese. Per quanto la riguarda le devo dire che la missione è molto pericolosa. Quando uno di noi gli arriverà vicino la sua vita sarà attaccata ad un filo. Io penso che la rivolta interna che questo tizio deve coordinare sia una pedina importantissima dell' attacco che gli inglesi ci stanno portando, e non possono permettere che fallisca. Se è come penso, non ci troviamo davanti ad un nero e qualche accompagnatore, ma ad una rete di complicità, di persone che devono garantire la sua incolumità ed il successo della missione, anche a costo di eliminare chiunque. E qualcuno del complotto potrebbe essere anche qui dentro. Per questo è fondamentale che ci muoviamo in maniera coordinata>>. Anelli gli si avvicinò e gli tese la mano per commiato, dicendo: <<si tenga a disposizione, perchè devo organizzare la riunione, e Lei ovviamente dovrà parteciparvi. In che Albergo è sceso?>>. <<Albergo Impero>>, rispose Dino accomiatandosi, ed ebbe la sensazione che Anelli volesse sfuggire il suo sguardo. Si accomiatò, ed uscì in strada preoccupatissimo. Cominciò a camminare, come usava fare, con le spalle buttate indietro, ma il passo era meno bersaglieresco del solito. Perchè Anelli aveva parlato in quel modo? Anelli, lo aveva scoraggiato, ed aveva cercato di paralizzarlo. Era possibile che Anelli stesse solo recitando, e piuttosto che il suo vero scopo fosse quello di intralciare il lavoro di Dino, e di proteggere la missione del Sig. X. In fondo il Generale della sera prima, quello che era a cena con l' inglese coi baffi, lavorava in quell' Ufficio. Poteva essere collegato con Anelli, e tutti e due potevano essere invischiati nello stesso complotto. Aveva fatto benissimo a non raccontare nulla della cena, e comunque la missione che Marchetti gli aveva affidato prima di morire era un’ altra, e doveva portarla a termine. Improvvisamente si ricordò di una frase che aveva sentito da Zeaidita quando era venuta a casa sua per parlargli, nel 1938, “penso che il traditore sia uno che lavora nell’ Ufficio del vicerè, ad Addis Abeba”. Zeaidita stava per caso parlando di Anelli? Tornò in albergo perplesso e preoccupato, e non riusciva a capire il perchè della condotta ambigua di Anelli. Appena salito in camera si sedette davanti al tavolino, prese un foglio, e cominciò a scrivere, e con la sua abituale meticolosità in bella calligrafia, un sommario della situazione. Riassunto #21 Marzo Marchetti mi manda ad Addis Abeba. #22-23 Marzo. Viaggio stranissimo. Incontro (casualmente?) un nero, 2 italiani ed un inglese, che vogliono restare in incognito. Il nero potrebbe essere l' uomo che cerco. Contattano un generale (traditore?). Probabilmente vogliono neutralizzarmi. #24 Marzo. Anelli cerca di scoraggiarmi, poi cambia tono e cerca di rassicurarmi. Analisi 1-Ho incontrato casualmente (?) l' uomo che cercavo. 2-Un generale traditore è d' accordo con lui, e con gli inglesi, e lo stà proteggendo. Il generale potrebbe essere d' accordo con Anelli 3-Chi è l' inglese? 4-Chi è il nero? 5- Chi sono gli altri due? Rimase un po' perplesso a riflettere, poi prese il foglio lo piegò e lo mise in tasca, controllò che non fossero rimaste tracce dello scritto sui fogli sottostanti, ed uscì per il pranzo. Mentre mangiava pensò d un sistema per arrivare sino al Vicerè e consegnare il piano di salvezza. Doveva evitar di passare attraverso i canali tradizionali, ma non era facile avvicinare il Vicerè superando il suo gabinetto privato. Sopratutto in quel momento di estrema pressione militare e politica, chi non aveva esitato ad assassinare Marchetti per bloccarlo, certamente non si sarebbe fermato davati a lui. Dino era ottimista, sopratutto dopo aver mangiato, ma sentì lo stesso dei brividi freddi lungo la schiena. Il 25 mattina presto uscì per fare colazione. Era martedì e c' era molta gente in giro per il mercato. Dino andò a curiosare, e contrattò a lungo l' acquisto di una valigetta di pelle. Poi tornò in Albergo. Il portiere gli dette le chiavi della camera, ed una piccola busta, nella quale trovò un biglietto da visita con scritto 59 Italo Grassi Docente di Matematica e sul retro: "La attendo alle 17 al caffè Selassiè per discutere del progetto. Avrò con me la cartella grigia con i documenti. Spero che porti con se l’ oggetto." Rimise il biglietto nella busta, e conservò tutto nella tasca dei pantaloni. Era il messaggio che aspettava. Alle 17 il Caffè Selassiè era pieno di gente, e Dino entrò stringendo un fascicolo di cartacce inutili. Si fermò qualche secondo sulla porta, e vide arrivare due tizi, uno con un impermeabile bianco ed una cartella grigia sotto il braccio. Era l' inglese con i baffi, e l' altro era uno dei due uomini bianchi che lo avevano accompagnato nel viaggio. I due lo videro, e si avvicinarono senza battere ciglio, mentre Dino si irrigidiva, pronto ad estrarre la pistola. Appena furono vicini, quello senza i baffi disse: <<non te l' aspettavi, vero? il mondo è piccolo>>. <<Già, rispose Dino, dove ci mettiamo?>>. <<Nella saletta interna, non ci disturberà nessuno>>. L' uomo si mosse per primo, e Dino seguì, preoccupandosi di essere l' ultimo del gruppo, e controllando che dietro non ci fossero altri complici. Giunti nella saletta si sedettero, e l' inglese parlò per primo, con accento straniero appena percettibile. <<Ci sono delle novità: le cose non dovevano arrivare sino a questo punto, ma il nostro uomo è riuscito ad arrivare sino a qui >>. <<L' uomo è il nero che era con voi?>>. L' inglese si piegò in avanti, e disse a voce molto bassa:<<si, è Mr. Strong>>, e si fermò, come per gustare l' effetto delle sue parole. Dino si sentì improvvisamente molto preoccupato. Mr. Strong era il nome con cui Hailè Selassiè, l' ex imperatore detronizzato dagli italiani, viaggiava in incognito, altro che fermarlo al lago Tana, era arrivato sino ad Addis Abeba! <<Chi lo sa?>>, domandò. <<Ovviamente, Anelli, ed io>>. Fu un’ altra doccia fredda. Anelli aveva parlato di “un alto dignitario dell’ entourage di Hailè Sellassiè. <<Lui chi è ?>>, chiese Dino indicando il terzo uomo. <<Lui sa tutto>>, rispose laconicamente l' inglese, >>. Giunse un cameriere, e prese l’ ordinazione. Quando fu andato via l’ uomo riprese a parlare: <<c’è stato un cambiamento di programma: non abbiamo potuto fermare il Negus al Lago Tana, e quindi lo scambio con il sosia avverrà qui. Non è colpa mia, ma vostra. I vostri dovevano portare il sosia per lo scambio, ma non lo hanno fatto. Comunque io sono riuscito ugualmente a ristabilire i contatti, e d abbiamo programmato un nuovo appuntamento. Ovviamente questo contrattempo, del quale io non ho colpa, non deve bloccare il pagamento della prima rata dei soldi che mi dovte>>. Dino rimase a riflettere per qualche attimo, poi decise, e rispose: <<io non ho la chaiave con me, ovviamente. La porterò al prossimo appuntamento, e te la darò solo se mi porterai le prove che la sostituzione è avvenuta realmente>>. Fissò l’ inglese negli occhi, e scandì: <<non fare il furbo, e non cercarmi, tanto non sarò tanto scemo da farmi trovare>>. L’ inglese non insistette, con grande sorpresa di Dino, ma domandò: che prove vuoi?>>. <<quello che ti pare, basta che sia convincente!>>. l’ inglese alzò le spalle, ed aggiunse: <<va bene, ci rivedremo qui il 31 del mese>>. Dino lo guardò con aria ironica: <<ottima idea, così mi aspettate per farmi la pelle. Invece ti cercherò io. Piuttosto dammi un recapito>>. L’ inglese era evidentemente irritato, ma abbozzò: <<Albergo della grande Italia. Ci resterò sino al 31 del mese, e non oltre. Se non avrò i soldi per quel periodo, il nostro accordo sarà annullato. Spero di essere stato chiaro>>. Poi i due si alzarono, ed uscirono, e Dino li seguì di li a poco. Tornò in Albergo molto preoccupato, voltandosi ogni tanto indietro per accertarsi di non essere seguito. Chi era questo inglese che girava indisturbato in territorio nemico portandosi appresso Strong. Chi era l' altro bianco: un agente italiano che doveva controllare l' inglese? Quando fù in camera controllò con cura le sue cose, per essere sicuro che nessuno ci avesse frugato, guardò fuori dalla finestra per accertarsi che nessuno stesse spiando, o potesse tenerlo sotto tiro. Poi sedette, estrasse di tasca il foglio con il riassunto della situazione, ed aggiunse in fondo altre note: Il nero è HS. Marchetti aveva ragione, e forse per questo lo hanno ucciso. L' inglese è un triplo agente Poi tracciò una linea trasversale, e sotto aggiunse: A)l' inglese tradisce HS e lo da agli italiani (?); od il contrario? B)Qualcuno ((il generale) finge di proteggere HS per darlo agli italiani. Oppure lo protegge sul serio, e vuole depistare gli italiani? NB: in questo caso mi debbono eliminare. 60 . finì di scrivere, e sentì un brivido di paura. Non si poteva fidare di nessuno: era finito in una trappola bizantina di spie. Non era certo il caso di andare a raccontare i suoi dubbi ad Anelli. La sola speranza era che il Generale stesse cercando di intrappolare HS, ma era poco verosimile. Comunque ormai probabilmente il generale sapeva che Dino era l' uomo che lo aveva visto a cena, ed aveva tutto l' interesse di eliminarlo. Insomma, non c' era via di uscita. La sola cosa da fare era attendere gli eventi, e poi, quando l' inglese si fosse rifatto vivo, con le informazioni, rivolgersi direttamente al Vicerè. Ovviamente non era certo che l' inglese si sarebbe rifatto vivo. Il 31 poteva anche scattare una trappola per Dino. Ed ogni giorno che passava potevano cercare di eliminarlo. Si doveva guardare le spalle con molta attenzione. Concluse che tentar di avvicinare il Vicerè mentre era nel palazzo era un rischio eccessivo. Bisognava attendere che lasciasse l’ Ufficio e cercare di parlargli durante una manifestazione ufficiale, ma non gli risultava che ce ne fossero in programma. Il 26 fu uno dei giorni più stressanti della sua esistenza. Aveva gravi motivi per temere per la sua vita, e motivi altrettanto seri per non cercare aiuto da nessuno. Si rendeva anche conto di non avere prove sufficienti per denunciare il complotto che stava intravedendo. Era costretto a prendere tempo, augurandosi che intanto nessuno riuscisse ad eliminarlo. Uscì per l' ora di pranzo, per arrivare ad un ristorante nelle vicinanze, e cercò di non restare mai troppo solo, ma neppure di mescolarsi troppo alla folla, per non essere una preda facile. La notte si barricò in camera, e dormì con la pistola a portata di mano. La mattina di Giovedi 27 uscì per fare colazione e comprare un giornale. Appena lo ebbe in mano sbarrò gli occhi. Nella prima pagina lesse “Il Generale Pesenzani richiamato in Patria per consultazioni. È partito la mattina del 25 da Massaua, e verrà sostituito dal Generale De Mattheis, che sbarcherà il 27. Mentre camminava si sentì seguito, e si girò a guardare. Dietro di lui c' era un uomo bianco, con un vestito color kaki ed un casco coloniale. L' uomo lo fissò dritto neglio occhi, e Dino si girò verso la vetrina di un ristorante, fingendo di guardare, e pronto a difendersi. Il tizio si fermò a circa un metro, fingendo anche lui di guardare, e disse, con aria distratta, ed a voce bassa: >>è piuttosto freddo stamano. Mi piacerebbe prendere un caffè molto forte e con la crema>>. Il riconoscimento era stato effettuato. L' uomo disse ancora: <<Farò colazione al bar del Balilla tra dieci minuti>>. Poi si allontanò. Dino lo raggiunse al Bar del Balilla, dopo circa un quarto d’ ora, e si sedettero a prendere il caffè. Dopo qualche secondo Dino domandò: <<chi sei, parla chiaro e cerca di essere convincente,! Sai la frase di riconoscimento, ma io non ti ho mai visto>>. L’ altro alzò le spalle: <<non mi dovevi conoscere, e se Marchetti non fosse morto non mi avresti conosciuto mai, ma purtroppo le cose sono precipitate, ed è meglio se collaboriamo, al diavolo la supersegretezza. Io sono N-2, ed il capo ti deve aver parlato di me>>. Dino annuì, ancora non del tutto convinto. L’ altro riprese: <<sono quì da quasi un mese. Ho saputo subito dell’ agguato e della morte del capo - sospirò- comunque ero venuto perchè ci avevano informati che stava per succedere qualcosa di molto grave>>. Si interruppe, guardò di nuovo in giro, ma il bar era vuoto, tranne che per il barista, che sonnecchiava nell’ angolo opposto della sala, e riprese <<da quando sono arrivato ho frequentato alcuni locali, ed ho saputo che qualcuno stà reclutando dei tiratori scelti per un compito delicatissimo>>. <<Di che razza li vuole?>> domandò Dino. <<Cerca dei neri, e non ho capito perchè. Inizialmente pensavo che volesse far assassinare qualche notabile>>. <<Poi?>> incalzò Dino. <<Sono riuscito ad identificare questo reclutatore, è un uomo di circa trent’ anni, un italiano che fino a qualche mese fa era stato mandato al confine per sospetto di collegamento con organizzazioni mafiose. Quando questo tizio va in giro, c’è sempre intorno, apparentemente senza alcuna relazione con lui, un maresciallo dell’ esercito, che secondo me lo sta controllando>>. Dino lo interruppe: <<questo maresciallo è agli ordini di Pesenzani?>>. N-2 si aggiustò sulla sedia: <<se lo era non ho mai potuto dimostrarlo, perchè non si sono mai incontrati. Piuttosto lo ho pedinato, ed ho visto che si incontrava con il Colonnello Greganti, e per quanto so Greganti nell’ ultimo anno non ha mai avuto rapporti con Pesenzani. Piuttosto frequenta molto spesso il Dr. Anelli>>. Dino rimase fulminato, poi dopo qualche secondo riprese a parlare: <<questo non lo hai mai detto a Marchetti! Lui era convinto che Anelli fosse pulito!>>. N-2 si strinse nelle spalle: <<sono addolorato, ma la mia missione era top secret, ed eravamo d’ accordo che avrei parlato solo direttamente con il capo al mio ritorno, senza telefono, telegrafo, lettere, od altri cazzi. Poi quando ho saputo che avevano ucciso Marchetti ho pensato che fosse stato per queste indagini. Oppure perchè temevano che noi riuscissimo ad identificare il bersaglio dell’ attentato>>. Dino a quel punto fu attraversato dal dubbio: <<tu come sai che Marchetti è stato ucciso?>>. << Sulis mi ha lasciato un 61 messaggio cifrato in albergo, ma non so cosa cazzo è successo. Credo che sia lui il funzionario di Asmara di cui parlano i giornali>>. Dino sospirò, decise di fidarsi e domandò: <<perchè hanno richiamato in patria Pesenzani?>. N-2 si stropicciò la fronte, e riprese a parlare lentamente: <<francamente non lo so. Io non sono riuscito a dimostrare nessun rapporto tra Pesenzani e questo complotto, ma Marchetti, prima di morire aveva raggiunto delle convinzioni, e penso che, nel suo ultimo viaggio in Italia, abbia convinto qualcuno a Roma dei suoi sospetti. Se questo è vero il suo assassinio potrebbe essere una vendetta, od un modo per impedirgli di fermare il complotto. Comunque sia il problema è che mi risulta che pure tu hai preso contatti con Anelli>>. <<Mi ci ha mandato Marchetti>>, rispose Dino. <<Già, per questo adesso però sei in pericolo, e devi assolutamente scomparire prima che quello ti faccia eliminare. Io ti ho avvicinato però anche perchè il trenta di questo mese avrò il piano di cui ti sto parlando, ed avrò bisogno di te per agire. Da solo posso fare molto poco. Fino al giorno dell' incontro cerca di girare il meno possibile. La protezione che ti posso dare è molto limitata>>. Il discorso finì li, e Dino uscì dal bar estremamente preoccupato. Giunti a questo punto era impossibile tornare in albergo. Girovagò per qualche ora, sperando di non essere riconosciuto, e per accertarsi di non essere seguito. Quando fu a qualche centinaio di metri dall’ Albergo vide un capannello di ragazzi indigeni, chiamò quello che gli sembrva più sveglio, gli parlò a bassa voce in amarico, e gli dette dei soldi. Il ragazzo partì di corsa in direzione dell’ Albergo, e sparì nell’ atrio . dopo circa mezz’ ora tornò da una stradina laterale, con due valigie, e le portò a Dino: <<ti ho preso le valigie e sono uscito dal balcone, signore, ma ho dovuto metterci dentro le cose che erano sparse in tutta la stanza. Dino, che era ordinatissimo, alzò le spalle. Si aspettava che qualcuno gli avrebbe frugato tra i bagagli. Si toccò istintivamente la tasca per controllare che la chiave da dare all’ inglese fosse ancora lì, poi dette altri soldi al ragazzo. Mentre stava per allontanarsi gli venne un dubbio: <<hai visti nessuno nell’ atrio?>>. il ragazzo lo guardò con aria furba: <<c’ erano due uomini bianchi seduti, ma io ho detto che andavo dal sig. Carini, come mi avevi detto tu, signore>>. Dino annuì soddisfatto. Il sig. Carini aveva la camera vicino alla sua, lo aveva visto nel registro degli ospiti la sera prima. Girovagò per qualche ora, per assicurarsi di non essere seguito, e verso le venti trovò un alberghetto periferico, piuttosot male in arnese, e ci si infilò dentro. La padrona era palesemente una tanutaria di bordello, una donna bianca di circa 60 anni, grassa e male in arnese, e gli fece un largo sorriso con la bocca priva di qualche dente. Mentre gli dava la chiave della camera gli alitò in faccia un fiato insopportabile di cipolla, e riscì a mettere in mostra una tetta del peso valutabile grossolanamente intorno ai 3 chilogrammi. Dino non riuscì a nascondere una smorfia di disgusto e orese la chiave. Quando si fu installato in una ributtante alcova fetida, con specchi da tutte le parti, sentì bussare. Andò ad aprire con la pistola pronta, ma era soltanto una baldracca indigena, orribile pure lei, che si metteva a disposizione. Dino la buttò fuori, si scaraventò esausto su una poltrona. Oltretutto aveva temuto che quella donna fosse stata mandata avanti, e che dietro ci fossero qualcuno che lo voleva assassinare. Alle 21 uscì, si infilò in un vicolo buio, e da lì tenne sotto osservazione per una mezz’ ora la strada davanti all’ albergo. Quando fu sicuro che non c’ era nessuno appostato andò a recuperare la sua macchina. Dopo averla recuperata fece un lungo giro, la lasciò ad un paio di chilometri dal lupanare dove era riuscito ad installarsi, e tornò a piedi. La mattina dopo uscì prestissimo e si mescolò alla folla. Girovagò tutto il giorno senza risultati, e verso sera raggiunse il quartire nero. Una donna discinta lo avvicinò lasciando intravvedere il seno nudo sotto uno sciallle. <<Vuoi compagnia, signore?>>. Dino scostò la testa per evitare l’ orribile alito di cipolle che sembrava perseguitarlo, e rispose: <<no, sono venuto per parlare con Riot>>. La donna lo guardò allarmata: <<non lo conosco>>. Dino insistette: <<dimmi dov’è, ti pagherò bene>>. <<Perchè gli vuoi parlare, ti pace?>> Dino provò un senso di schifo, ma c’ era in gioco la pelle, ed andò avanti: <<si, portami da lui>. La donna prese i soldi che gli porgeva, e lo scortò per dei vicoletti sino ad una capanna. Dino la seguiva, stringendo il calcio della pistola. La donna gli idicò con un gesto una porta, e lui la aprì. Un nero era seduto accoccolato in terra, e gli disse: <<Riot è con un suo amico, devi attendere>>. Dino fece un segno di assenso con la testa, e sedette nnell’ ombra. Dopo venti minuti si sollevò il lembo di una tenda, ed uscì un bianco sulla quarantina, assestandosi i pantaloni, fece un cenno con la testa, ed uscì. Dino lo sqadrò, e se lo impresse in mente. Il nero fece un cenno con la testa, Dino sollevò la tenda ed entrò. Riot, il nero di cui gli avevano parlato i suoi informatori ad Asmara, era sdraiato di fianco, nudo e con la schiena rivolta alla porta. Agitò il sedere dicendo: <<su, vieni, amico mio>>. Dino estrasse la pistola dicendo: <<girati, finocchio, non c’è 62 tempo di giocare>>. L’ uomo, o presunto tale, si girò con lo sguardo terrorizzato. Doveva avere sui trent’ anni. <<Parla, e velocemente-disse Dino, appoggiando la schiena alla parete, un po’ perchè temeva che qualcuno entrasse dalla porta alle sue spalle, un po’ perchè in quel posto la cosa lo faceva sentire comunque più sicuro. <<Che vuoi signore, non farmi male>> pigolò Riot. <<Non farmi perdere tempo, chi è che stà reclutando dei tiratori scelti?>>. <<non lo so! Non lo so!>> squittì Riot. <<Su, finocchio, parla e ti pagherò bene>>, insistette Dino, mostrandogli delle monete. <<Ti posso dire che viene dal tuo paese,c che ha molti soldi ed è molto potente>>. Riot era spaventato, e Dino ne approfittò, puntandogli la pistola minacciosamente, ed incalzandolo: <<dimmi tutto quello che sai, io non ci perdo nulla ad ammazzarti>>. <<No, ti prego, se parlassi troppo mi potrebbe uccidere>>. <<Pure io!>> ringhiò Dino, sperando che quello ci credesse, visto che era troppo spaventato per pensare. Infatti Riot parlò: <<lui mi ha amato, e mi ha confidato che gli danno tanti soldi per far uccidere un uomo importante. Poi quando la guerra sarà finita mi porterà via con lui>>. <<Insomma, chi è questo tizio?>> Riot aprì la bocca, ma Dino non seppe mai cosa avrebbe detto. Si sentì un colpo di pistola esploso da dietro la tenda, il finocchio spalancò gli occhi, e cadde all’ indietro, con un buco nella fronte. Dino sparò oltre la tenda, e sentì i passi precipitosi di qualcuno che fuggiva. Sollevò la tenda, e vide che l’ uomo accoccolato in terra era stato strangolato con una corda che ancora gli pendeva intorno al collo. Non aveva avuto il tempo di cacciare un gemito. Uscì fuori dalla capanna, ma si rese conto che ormai l’ assassino non si poteva più raggiungere, e si allontanò velocemente anche lui verso l’ albergo, cercando di passare per i vicoli più nascosti. Quando rientrò nella stamberga era sconvolto. Si muoveva lasciandosi dietro una scia di sangue, in caccia di qualcosa di terribile, che gli sfuggiva. Che cosa stava per dire Riot quando lo avevano ammazzato? Chi lo aveva ammazzato? Chi era l’ alta personalità a cui stavano organizzando un attentato? Chi era l’ altro omosessuale che era stato da Riot? A quest’ ultima domanda trovò risposta il mattino successivo. Il giornale annunciava la visita di alcuni federali giunti da Roma per quella stessa mattina? Il,Vicerè li avrebbe ricevuti sul piazzale anti stante il palazzo del governo. Non c’ era la possibiltà di parlare con Sua Eccellenza, ma valeva pur sempre la pena di andare a vedere, se non altro per valutare la situazione. La cerimonia era programmata per le 11:00, e dino si presentò alle 10:40, mescolato alla piccola folla di curiosi. Il corteo giunse alle 11 in punto, e dalla prima macchina scese un uomo, che si tolse il casco, e si volse alla folla raccolta facendo il saluto Romano. Era il finocchio della sera prima! Ed era anche il capo della delegazione di ospiti, il Federale Sabelli. Dietro di lui venne il già noto federale Francesconi, quello del treno, e della Signora Simonetti. Il Vicerè non si fece vedere,. In sua vece si presentò il capo del gabinetto, che chiese scusa da parte di Sua Eccellenza, impegnato in una riunione importantissima, e liquidò gli ospiti sulla porta, senza neppure invitarli ad entrare nel Palazzo. La carovana dei federali si rimise in moto per una destinazione imprecisata. Dino restò perplesso. Il giornale parlava di un gruppo di Federali appena giunto dall’ Italia per portare la solidarietà del Duce. Si precisava che la legazione metteva piede per la prima volta sul suolo Eritrea, ma il Federale finocchio Addis Abeba la conosceva, e bene pure! Anche il Federale Francesconi conosceva bene l’ Eritrea! Il trenta, alle diciotto e cinquanta giunse in vista del Bar. Prima di entrare vide un giornale in terra, e si fermò a raccoglierlo. C' erano notizie sui movimenti delle navi italiane nel Mediterraneo. Mentre leggeva sentì degli spari, e si appiattì contro il muro. Dal Bar del Balilla uscirono di corsa due uomini, e saltarono su una macchina scura che arrivava a gran velocità. Dino corse nel bar. All' interno il barista, pallido, era appiattito contro il muro, ed alcuni avventori guardavano terrorizzati verso un angolo, dove, in un lago di sangue, giacevano due corpi. Dino, inorridito, riconobbe il un uno l' inglese con i baffi. Si chinò sull' altro corpo, e lo rovesciò. Era N-2, con la testa spaccata, da cui forse usciva materia cerebrale. Il poveretto stava morendo, ma biascicò ancora con sufficiente chiarezza: <<Ilpiano, non lo hanno preso. Lo ho io>>. Poi non disse più nulla. Era morto. Dino osservò il corpo dell' uomo, infilò due dita nel panciotto, gli tolse l' accedisigari, e provò ad aprirlo. Poi lasciò perdere, lo mise in tasca, e corse verso il bagno, entrò, sfondò la finestra, e fuggì attraverso il cortile. Ormai la sua pelle non valeva un tallero bucato. Doveva solo tentar di fuggire verso Asmara. Raggiunse più velocemente possibile l' alberghetto dove si era fermato, recuperò le valigie, le caricò in macchina, e si spostò in un altro albergo, più periferico. Nessuno lo aveva seguito. Nascose la macchina dietro una casupola, due isolati più in là, e rimase in camera per tutta la giornata del trenta. Durante il giorno controllò l'accendisigari, e con pazienza, svitando alcune viti, vide comparire il 63 famoso microfilm. Con pazienza, una lente di ingrandimento, ed una luce molto forte, riuscì a leggere: “LUNEDI 31.03.95 il bersaglio si reca in ufficio tutte le mattine tra le 9:40 e le 10:00”. Dino cominciò a capire, e si sentì agghiacciare il sangue. Proseguì la lettura: <<sei motociclisti precedono la sua automobile, e sei la seguono. L’ agguato sarà realizzato nel punto in cui la strada A sbocca nel piazzale. Nel fotogramma successivo c’ era lo schema. Auto z Palazzo X 1o cecchino giardini A Pal del Governo P Auto vittima Porticato 2o cecchino Si capiva chiaramente. Una auto, Z, doveva bloccare il corteo del Vicerè, i cecchini 1o e 2o, appostati rispettivamente nel portico, e nel portone del palazzo X, , dovevano aprire il fuoco.Ripose l' orologio nella tasca interna della giacca, e cominciò a riflettere. Chi aveva ucciso N-2 e l' inglese nel Bar, e perchè? l' intelligence inglese aveva interesse a recuperare il microfilm, ed era molto strano che lo avessero lasciato sul cadavere. Anche se gli assassini avevano avuto poco tempo, erano certamente uomini esperti che sapevano dove trovare quello che cercavano. Invece gli uomini del Generale potevano avere interesse ad uccidere i due per non mettere in pericolo Mr Strong, e non fare saltare la copertura del complotto, e forse non sapevano nulla del microfilm. Si mise le mani nei capelli! Come li poteva fermare? Chi poteva aiutarlo ormai? Marchetti era morto , N-2 era morto, Anelli era probabilmente un traditore! Per la prima volta si rese conto di essere rimaso solo. Di tutti gli uomini del servizio segreto era rimasto solo Sulis, ma che poteva fare quel poveraccio, ammesso che fosse facile trovarlo al telefono. C’ era un secondo fotogramma, e Dino riuscì a leggerlo dopo molto tempo, aiutandosi con la lente di ingrandimento. Era una lista di nomi: M K 1) Mr John Harris 1) Dr.Luigi Marchetti 2) Paolo Franceschelli 2) Paolo Grossi 3) Abouna Markos 3) Giovannino Sulis 4) Gustavo Antonini 4) Dino Rossi 5) Rocco Antonelli (N2) 6)Luciano Vittori Dino Rossi! Ecco perchè si era salvato la pelle. C’ era stata una confusione di nomi tra lui e Paolo Rossi, il carabiniere. Della lista di sinistra John Harris doveva essere l’ inglese ucciso nel bar, e Abouna Markos era probabilmente qualcuno che doveva avere i soldi per realizzare il piano di sostituzione del Negus. La lista a destra era chiarissima, gli uomini del servizio segreto: Marchetti, ucciso! Paolo Grossi, alias Julius, ucciso! Rocco Antonelli, alias N-2, ucciso! C’ era stata poi la confusione tra Dino Tatti e Claudio Rossi, che probabilmente aveva salvato la pelle ad entrambi, e poi c’ era questo Luciano Vittori, che Dino non aveva mai sentito nominare, e che probabilmente non c’ entrava nulla. Trascrisse tutto su un foglio di carta, e lo riguardò a lungo. Il K poteva significare Kill, uccidi in inglese, ma M che voleva dire? Forse “Money”, la gente che doveva percepire i soldi! Non riusciva a capire perchè l’ inglese avesse i due piani, uno per uccidere il Vicerè, l’ altro per salvarlo. Ci potevano essere due spiegazioni, ugualmente valide, una che stesse dando ad N-2 il piano dell’ attentato per sventarlo, e la lista dei nomi per non farli arrivare agli inglesi, oppure che glieli stesse dando per realizzare l’ assassinio del Vicerè e per bloccare il complotto contro Hailè Selassiè. L’ accaduto si poteva leggere in due modi: i due uomini uccisi comparivano entrambi nella lista. 64 Comunque si rese conto che non sarebbe mai riuscito a capire cosa in realtà stavano facendo i due uomini, ma preferì credere alla prima spiegazione, anche considerando che N-2, ualche attimo prima di morire, gli aveva indicato il modo di trovare i microfilm. Si alzò, e guardò fuori dalla finestra: non c’ era nessuno, e stavano scendendo le prime ombre della sera. Appoggiò il palmo della mano sui vetri della finestra, e percepì al contatto il freddo dell’ esterno. Tornò a sedere ad tavolinetto traballante della stanza, tenedosi la testa tra le mani: non poteva fare altro che tentar di sventare il complotto da solo. Dino non era nato per fare l’ eroe, non aveva mai pensato di dover fare atti di eroismo. Ma ormai si trovava in quella situazione, senza neppure rendersi conto di come c’ era finito. E neppure se ne erano resi conto i suopi amici, che probabilmente non avevano messo in bilancio di poter morire. L’ unico ad aver compreso la gravità della situazione era stato Marchetti, che aveva anche presagito la sua stessa fine. Dino guardo il soffitto quasi imbambolato, fissando un ragno che si spostava da una parete a quella di fronte. Perchè il ragno non stava tessendo la tela? Forse perchè non c’ erano mosche da catturare? Sospirò, e decise che cosa avrebbe fatto. Passò due ore chino sul tavolino davanti ad una mappa, poi si alzò e bruciò i due fotogrammi con l’ accendisigari che aveva tolto ad N2 nel bar, e getto i residui accartocciati nello scarico del bagno. Ormai il piano per fermare il Negus, la grande operazione pianificata da Marchetti, era finita! Con un sospiro gettò via anche la chive nello scarico del bagno, e la spinse via con lo spazzolone. Poi si gettò esausto sul letto, senza togliere gli stivali, continuando a pensare fissamente ai due obbiettivi: fermare gli attentatori, e far arrivare il cipollone con il piano di salvataggio, al Vicerè. La mattina successiva giunse alle otto davanti al Palazzo del Governo, e sedette in una panca del girdinetto, fingendo di leggere alcune carte, ma senza perdere d’ occhio la Via di accesso, che nel piano veniva definita Via A. C’ era un grande viavai di carri e persone a piedi, ma non vide nulla di sospetto. Alle 8:50 arrivò a piedi il Dr Anelli, e si infilò rapidamente nel portone del Governatorato. Mentre lo seguiva con la coda dell’ occhio Dino ebbe una intuizione. Se i cecchini fossero stati già piazzati dalla sera prima. Si alzò ed andò velocemente verso il portico. Camminò due volte avanti ed indietro, ma non c’ era nessuno fermo o sospetto. Poi traversò la strada ed andò nel palazzo X. Si infilò nel portone, e dietro vide un cortile. Ci arrivò senza diffcoltà. Il cortile era un giardino, e ci si affacciava solo il retro della palazzina X. Dino osservò bene l’ architettura del palazzo. L’ unico accesso agli appartamenti era sul retro, ed era rappresentato da una scala che connetteva il cortile ad un ballatoio al primo piano, su cui si affacciavano le porte di due appartamenti, e poi al ballatoio del secondo piano, su cui si affacciavano gli ingressi di altri due appartamenti. In pratica c’ erano quatro appartamenti, ed un terrazzo, con un unica via di accesso. Dino salì silenziosamente sino al primo piano, e bussò alla prima porta. Gli aprì una nera, a cui chiase: <<abita quì il Dr. Anelli?>>. <<no, signore, rispose la donna sorpresa, ci sono solo io, il mio padrone è uscito>>. Dino buttò uno sguardo nell’ appartamento, e salutò scusandosi. La scena si ripetè per l’ altro appartamento, e per uno di quelli del piano di sopra. Al quarto appartamento non ebbe risposta. Preoccupato guardò l’ orologio, e vide che erano le nove e quaranta, tra venti minuti doveva arrivare il corteo Vicereale. Bussò ancora, ma non ebbe risposta. Era meglio non perdere tempo, ed assicurarsi che non ci fosse un cecchino nel terrazzo. Salì ci corsa la terza rampa, ed arrivò alla porta del terrazzo, e la ritrovò chiusa. Le 9:50, non poteva perdere tempo, sfondò la porta con una spallata, e piombò, pistola spianata, nel terrazzo: anche li nessuno. Fortuna che non c’ eraa biancheria stesa ad occludere la visuale. Raggiunse il parapetto, e guardò in basso. Il lato del portico era pieno di gente, se il cecchino fosse stato li in mezzo, non avrebbe mai potuto identificarlo, neppure dall’ alto dove si trovava, perchè le colonne coprivano gra parte della visuale. In quel momento sentì un rumore sospetto sotto di se: era l’ appartamento in cui non aveva risposto nessuno. Le 9:55! Il corteo non era ancora comparso, ma nella piazza c’ era una macchina sospetta, presumibilmente quella che avrebbe dovuto bloccare il corteo. Dino si girò e corse lungo la scala sino al piano sottostante, con la pistola spianata, e si gettò sulla porta chiusa con tutte le sue forze. La porta cedette, e lui ruzzolò dentro, e si scaraventò sul pavimento, tenedo la pistola con le due mani. Ma non c’ era nessuno! La finestra che dava sulla strada era chiusa, ed era l’ unica finestra dell’ appartamento. Si precipitò sulle imposte aprendole: 3la finestra accanto era aperta, e si vedeva sporgere la canna di un fucile. Da sinistra stava spuntando il corteo del Vicerè. Dino corse di nuovo sul ballatoio, e si precipitò sulla porta dell’ appartamento vicino. Quando aveva bussato gli aveva aperto una donna nera, quindi nell’ appartamento c dovevano essere almeno due persone. Tirò una pedata violenta alla porta, che si spalancò. L’ uomo appoggiato alla finestra si voltò puntadogli addosso il fucile, mentre la sagoma nera della donna che gli aveva risposto, compariva di fianco. Dino si buttò per 65 terra sparando, mentre la donna ruzzolava in terra con un grido, colpita involontariamente alle spalle dal suo compagno. Nei secondi che seguirono tutto fu confuso, ma Dino si ricordò di avere sparato prima che l’ uomo potesse ricaricare il fucile, e di averlo copito alla spalla destra. Si rialzò di scatto, e vide che l’ uomo cercava di raccogliere il fucile, e gli fu addosso. Si avvinghiarono lottando verso la finestra, e Dino cercò inutilmente di colpirlo con il calcio della pistola ormai scarica. Poi l’ uomo, che muoveva male il braccio sinistro insanginato, si svincolò ed afferrò un bastone che era in terra, ma prima che potesse rialzarsi, Dino, che aveva tirato di boxe, lo colpì con un uppercut violntissimo al mento. Il nero barcollò, indietreggiò, perse l’ equilibrio, e volò fuori dalla finestra spalancata. Dino si toccò, non era ferito, si girò e corse fuori. In strada ormai il corteo doveva essere quasi all’ altezza del porticato, e la macchina degli assassini stava già mettendosi in posizione. 10:04! Dino sbucò dal portone, e si trovò in mezzo ad una confusione indicibile. La folla si accalcava inorno al corpo dell’ uomo precipitato, e nessuno lo notò uscire. Il corteo vicereale aveva rallentato. Dino traversò la strada, ma mentre stava per raggiungere il porticato, si sentì un colpo di pistola, ed un motociclista della scorta del vicerè cadde con il suo mezzo. Il corteo si bloccò, gli altri motociclisti si fermarono e e fecer0o cerchio intorno alla macchina del Duca. Contemporaneamente una automobile ferma sul piazzale si mise in moto e si allontanò rapidamente. Dino si fermò, e dopo un secondo si allontanò a passo normale verso la periferia della città. L’ attentato era fallito, e nella confusione nessuno lo aveva notato. Ora doveva mettersi in salvo, e cercar di recapitare il piano di salvataggio a Sua Eccellenza. . Sarebbe partito la sera stessa, ma prima doveva cercar di capire se la strada per Asmara era ancora libera. I giornali riportavano che le truppe italiane stavano ripiegando disordinatamente verso la linea dell' Auasc, inseguite dalle truppe del Generale Cunningham. Peraltro l' Alto Comando aveva diffuso un comunicato tranquillizzante, in cui si parlava di ritirata strategica. La sera del trentuno non riuscì a partire, perchè c' era troppa animazione in giro, e troppi carabinieri. I quasi 43.000 italiani residenti ad Asmara dovevano essere evacuati sotto controllo dell' esercito. Il 6 Aprile gli Inglesi sarebbero entrati in città, scortati dalla polizia Italiana. In quel momento era impossibile uscire dalla città. Fuori ci potevano essere bande di ribelli, e di sciacalli, anche bianchi. Ad ogni angolo si poteva trovare un cecchino nero, ansioso di vendicarsi della barbarie che aveva dovuto sopportare, o qualche sciacallo. E poi era impossibile sapere se scappando verso Asmara non si rischiava piuttosto di finire dritti nelle braccia degli Inglesi. Dino aveva preso alloggio in un albergo dove c' era un telefono, e da quello tentò invano di mettersi in contatto con Giovannino Sulis, ma non ci fu niente da fare. Per tutto il primo aprile il movimento dei militari fu molto intenso, e Dino non si mosse. Il due aprile, nel pomeriggio, decise di non perdere più tempo, e di lasciare l' albergo. Preparò le sue cose, ma quando scese in strada per partire, non trovò più la Alfa Romeo. Inizialmente ebbe paura che fosse stata rubata perchè era la sua, cioè da qualcuno che voleva bloccarlo li per poterlo eliminare più facilmente, ma poi vide che c' erano in giro bande di neri che scorrazzavano su macchine rubate, e si tranquillizzò. Probabilmente i ladri erano dei delinquenti comuni. In quella baraonda era anche verosimile che nessuno avesse più interesse, e forse neuure la possibilità di eliminarlo. Comunque se ne doveva andare da li al più presto, e si mise a cercare una via di uscita. Alla fine gli venne in mente che un vecchio usuraio nero avrebbe potuto aiutarlo, rimediandogli una macchina e documenti "sicuri", ma sapeva anche che era un uomo infido. Non perse tempo a riflettere, tanto non aveva scelta. Traversò a piedi mezza città, con la mano sul calcio della pistola, verso la casa dell' usuraio. Se lo avessero preso i neri la pistola lo avrebbe potuto salvare, ma se lo avessero fermato i carabinieri, o se fossero entrati nel frattempo gli inglesi, avercela addosso poteva significare la fine. Con quel clima le spiegazioni servivano a poco. Fortunatamente non accadde nulla. Arrivò al portone dell' usuraio, e trovò un gran movimento. L' uomo era stato ammazzato, ed il corpo era stato scoperto da poco. Un cordone di carabinieri tratteneva a stento la folla dei neri, che accusavano gli italiani del delitto. Mentre si allontanava velocemente, Dino venne raggiunto da un uomo, anche lui sardo, che lo conosceva di vista, e che gli offrì a pagamento, di portarlo verso l'Amba Alagi, dove pareva che fosse diretto il Vicerè. Dino gli avrebbe dato subito un quarto della somma pattuita in talleri, che in quel momento valevano molto più delle lire, ed il resto all' arrivo. Bisognava accettare, non c' era altra via di uscita. Partirono al tramonto del tre Aprile. La balilla prese la strada per Alomatà, dove contavano di fare la prima tappa. Dopo 20 Km dovettero fermarsi, in coda ad una lunga fila di veicoli, perchè i carabinieri avevano sbarrato la strada, e facevano spostare le auto verso il ciglio per tenere libera la 66 carreggiata. Verso le 21 e 30 arrivò una squadra di motociclisti, ad alta velocità, con i fari relativamente bassi. Poi quattro o cinque camionette cariche di soldati con le mitragliatrici spianate, che precedevano una decina di Alfa Romeo di grossa cilindrata. Il convoglio era chiuso da altrettanti motociclisti. Amedeo di Savoia Aosta, con il suo seguito, correva ad infilarsi nella trappola dell' Amba Alagi, con la illusione di bloccare gli inglesi, ed impedire che le truppe del Generale William Platt e quelle del Generale Cunningham si congiungessero. L' illusione sarebbe finita alle dodici del 17 Maggio, 44 giorni dopo,con la firma della resa, e sarebbe costata un mare di sangue. Ma torniamo sulla strada per Alomatà alle 22 e 30 di Giovedi tre aprile 1941. La balilla su cui Dino viaggiava, e tutte le altre auto, dovettero tornare indietro verso Addis Abeba. Dopo il passaggio del corteo vicereale, i carabinieri avevano bloccato la strada con il filo spinato ed avevano spianato le armi, impedendo a tutti di proseguire. Quella notte Dino dormì a casa del compagno di fuga, una modesta casa alla periferia della zona bianca, tra le proteste della Madama (la negra con cui il sardo conviveva more uxorio), che aveva capito che stava per essere abbandonata ed era furibonda. Oltretutto era pericolosa, perchè avrebbe potuto aizzare contro di loro i suoi connazionali, e Dino dovette dormire con un occhio solo. Il giorno successivo, mentre girovagava per la città alla ricerca di una via di uscita, ebbe una esperienza allucinante. Per sfuggire alle bombe che cadevano su Asmara si infilò di testa in un tubo di largo calibro, e ci rimase bloccato all' altezza della cintola. Il tubo oltretutto era in pendenza. Alcuni africani, cessato il bombardamento, videro le sue gambe che si agitavano e lo tirarono fuori. Uno di questi era il ragazzo di Massaua, quello che aveva perso la giacca in mare. Il ragazzo era con una banda di vendicatori, ma riconobbe Dino, calmò i suoi amici, e gli salvò la pelle. All' alba di Domenica 6 aprile, mentre gli inglesi, scortati dai poliziotti italiani, entravano in Amba Alagi, provenienti da sud est, Dino ed il suo compagno di viaggio uscivano dalla città in direzione nord-est, verso Dessiè. Il sardo era riuscito, Dio sa come, a convincere i carabinieri di guardia al posto di blocco, e li avevano lasciati passare. Dopo molte ore di viaggio e di paura, perchè temevano una imboscata dei ribelli, o patrioti, a seconda dei punti di vista, giunsero a Combolcià, dove c' era un modesto campo di atterraggio costruito dagli italiani, e dove era accampata una compagnia del genio italiano. Vennero accolti dai soldati, e divisero con loro il pasto, a base di gallette e scatolette di carne. Rimasero nel campo per dodici giorni. Il tempo trascorreva lentamente. Non si riusciva a capire assolutamente nulla delle sorti della guerra, e le poche notizie che filtravano erano contraddittorie. Comunque l' ottimismo iniziale si stava stemperando. Il pomeriggio del 19 aprile fu insopportabile: il caldo era tremendo, e l' ansia cresceva. Dino, verso le 16, finì di scrivere delle lettere indirizzate ai suoi ed alla fidanzata, le mise sul tavolo, le ricontrollò meticolosamente, come era nel sua carattere, rifinì il taglio delle t, le piegò, le mise in busta, e poi sospirò pensando che comunque non sapeva come spedirle. Alla fine si mise in testa il casco coloniale, infilò le lettere in tasca ed uscì. Era un sabato afoso. Il giorno prima era caduta la pioggia, ed aveva dato un po' di refrigerio, ma adesso era ripiombata una cappa di caldo. Nell' aria c' era un senso di arsura che bruciava la gola e la sensazione continua di angoscia per quel che poteva accadere. Improvvisamente da una strada laterale sbucò un' ambulanza seguita da due macchine sconquassate. I conducenti sventolavano un fazzoletto bianco. <<Sarà caduta un' altra linea di difesa>>, pensò, e non aveva torto. Poi passarono dei tizi, con il fez e la camicia nera, che avrebbero dovuto essere al fronte. Dino percepì alcune parole: <<.. che cazzo stiamo a perdere tempo, lascai che al fronte crepino i regolari>>. Un altro disse: <<Vediamo se c' è qualche nera da fottere>>. Poi scomparvero cantando canzoni fasciste. Dino si augurò che qualcuni li mettesse alla forca. Continuò a camminare, cercando di capire se c' era una via di uscita sicura da Combolcià. Aveva riflettuto a lungo quel pomeriggio, ed il precedente, mentre la pioggia batteva sui vetri del rifugio, ed aveva deciso di andare all' Amba Alagi. Finisse come diavolo doveva finire! Mentre rimuginava questi pensieri incontrò dei soldati feriti, uno con una pezza arrotolata intorno ad una mano, uno con una ferita aperte sulla fronte, con il sangue ormai rappreso. Trascinavano una barella di legno, coperta con un grosso telo. Da un lato penzolava il braccio esangue del loro compagno morto. Dino era credente, e si fece il segno della croce. Uno dei feriti disse laconicamente: <<Stanno sfondando le linee da sud>>. Poi i due continuarono il loro triste cammino, trascinando la barella. Erano le 18, il caldo e la arsura erano diventati insopportabili. A Dino venne voglia di bere del latte, e cominciò a camminare verso il villaggio indigeno, dove sapeva di poterlo trovare. Dopo aver girovagato un pò vide un ragazzo che pascolava gli zebù, e gli chiese in amarico come doveva 67 fare per trovare il latte. Era un ragazzo simpatico, il cui padre una volta era stato a Roma, con una delegazione di notabili, e si offrì di accompagnarlo. Gli disse che però c' era molta strada da fare. Dino, quando si trattava di cercare il cibo non conosceva ostacoli, ed insieme i due camminarono, nella luce rossa del tramonto, e poi nel chiarore della luna di una tiepida notte di mezzo aprile, per molti chilometri, insieme alla mandria di Zebù. Dino ripensò a Tonara, e per un momento desiderò ardentemente di essere a casa, gli rivennero in mente i genitori, i fratelli, i compagni di scuola, le serate che aveva passato a parlare con gli amici, seduto sui gradini della chiesa. Che diavolo ci faceva perso tra i monti dell' Africa Orientale? Il pensiero durò poco. Dino era un uomo pratico, e quando si trovava nelle situazioni difficili si concentrava su come uscirne, o per lo meno come uscirne con il minimo danno e non dava spazio ai sentimentalismi. Adesso voleva solo trovare il latte. Non era solo una questione di gola. Dino era nato in una terra dura e povera, in cui era necessario lottare per mangiare e sopravvivere. Aver da mangiare lo rassicurava. Il cibo da forza, è una convinzione atavica!. Finalmente arrivarono a casa del ragazzo, che era quasi mezzanotte. Era una casupola ai bordi del villaggio, ed a guardia c' erano due cani. Il padre del ragazzo aprì la tenda che fungeva da porta e li fece entrare. Si sedettero su delle sedie di paglia, con una intelaiatura mista, perchè oltre al legno era tenuta insieme da tubi metallici arrugginiti, ed il ragazzo spiegò il motivo della visita al padre. L' uomo chiamò tutti i suoi familiari, che erano una infinità, perchè facessero compagnia all' ospite, e poi andò a mungere le capre. Dino cominciò a parlare del tempo, del raccolto, e di tutto quello che poteva interessare quei contadini. Era abilissimo a parlare, e poi parlare con la gente era stato il suo primo lavoro, quando era un residente. Dopo un po' l' uomo ritorno con il latte, Dino pagò e si apprestò a tornare indietro immediatamente, ma i suoi ospiti lo sconsigliarono, perchè avrebbe perduto la strada, e perchè in giro c' erano animali selvaggi e ribelli, e si offrirono di ospitarlo per quella notte. Non era una cattiva idea, anche perchè era stanchissimo e così si fermò in quella modesta abitazione a prendere il thè ed a riposare. Però era destino che non potesse passare tranquillamente neanche quella notte. Prima che si addormentasse la madre del ragazzo si presentò con un braciere, e gli sparse sul capo della cenere pronunciando parole incomprensibili. Era il rituale della danza della morte!! Gli si drizzarono i capelli e gli venne il sudore freddo. Non aveva neppure armi. Per fortuna il pastorello, con la grande sensibilità che hanno i giovani, capì e lo rassicurò: la pantomima della cenere era un augurio aspecifico di buon viaggio, e quel rituale era ovviamente identico, sia che il viaggio si facesse via terra, che per via eterea verso l' Ade. Comunque Dino non rimase del tutto tranquillo, e quella notte dormì con un occhio solo su un pagliericcio durissimo. Oltretutto per la preoccupazione gli era anche passata la voglia di bere il latte! La mattina successiva si alzò prestissimo, e si mise immediatamente in cammino, rattrappito dal dolore per la notte passata sul pagliericcio. Quando finalmente arrivò in vista dell' accampamento del genio, il sole era già alto, e si rese conto le truppe inglesi avevano sorpassato il campo di aviazione. Dino non seppe mai se gli inglesi avessero catturato durante la notte l' accampamento, o se i soldati del genio fossero fuggiti davanti agli invasori, e non seppe mai se la fame lo aveva salvato o lo aveva perduto. Stà di fatto che indietro non poteva tornare, e se voleva tentar di proseguire il suo viaggio verso Asmara poteva solo valicare le montagne diagonalmente rispetto al senso di marcia degli inglesi, puntando sulla cittadina di Dessiè, dove sicuramente vi erano ancora truppe italiane. Visto che non c' era altro da fare partì immediatamente, e camminò per due giorni da solo, in una situazione tragica. Poteva incontrare in ogni momento ribelli, animali selvatici, briganti di qualunque razza, inglesi. Comunque gli andò bene ed incontrò solo alcuni pastori, brava gente, che gli regalarono un pò di latte. La prima notte di viaggio dormì in un casolare abbandonato, ed il secondo giorno, al tramonto, e con una fame da lupo, raggiunse finalmente Dessiè. Arrivato alle porte della cittadina venne preso in consegna dai militari della guarnigione, che lo fecero interrogare per mezz' ora da un graduato di Bari, un imbecille che voleva farlo arrestare "perchè non collaborava a dare informazioni strategiche sulla posizione degli inglesi". Alla fine si convinse che Dino non sapeva nulla e lo lasciò perdere, anche perchè era finito il suo turno di servizio. Dino venne spedito a dormire in un ricovero di civili, dove rimase, con una angoscia tremenda, per tre giorni. Alle 11 del Venerdi iniziarono le cannonate anche su Dessiè. I primi colpi arrivarono a segno sul mercato indigeno, e poi sulle case. Gli abitanti di colore scapparono sulle montagne imprecando contro gli italiani che portavano sciagura e morte. Le autorità militari fecero trasportare le donne ed i bambini all' Albergo Ciao, che veniva considerato zona di minor rischio, e per evitare inutili spargimenti di sangue, consigliarono a tutti gli uomini di consegnarsi spontaneamente agli Inglesi. Dino non ne volle sapere. Non si fidava degli inglesi, anzi li odiava e non sopportava l' idea di arrendersi, e poi voleva tornare ad 68 Asmara, o per lo meno voleva andare all' Amba Alagi. Senza contare che il suo status di civile lo avrebbe esposto a guai molto grossi se lo fosse finito in mano ai nemici. Doveva trovare il modo di andarsene da li. Dopo un po', girando per la cittadina riuscì ad infilarsi in un camion, insieme ad alcuni ufficiali, che volevano andare verso l' Amba Alagi, dove era cominciato l' ultimo atto di quella guerra. Sul camion avevano caricato una mitragliatrice, la Shwartzlose, un residuato che gli italiani avevano tolto agli austrici durante la guerra del 15-18, e che comunque rappresentava la parte più consistente dell' apparato bellico nazionale. D' altro canto per Dino non c' erano altre soluzioni. Si rendeva conto che l' Amba Alagi sarebbe caduta, ma se lo avessero catturato lì avrebbe potuto passare per militare di leva, ed avere il trattamento dei prigionieri di guerra, e se fosse morto almeno sarebbe morto onorevolmente. Il viaggio cominciò sotto pessimi auspici. Appena partiti dovettero cambiare un pneumatico, e tutte le volte che incontravano una salita il motore cominciava a fumare. Dopo qualche chilometro vi fu il pericolo di uno scontro a fuoco, perchè il camion venne fermato da un plotone di Carabinieri, comandato da un maggiore, che pretendeva di mandarli indietro. Dopo i primi minuti di discussione il maggiore ordinò ai suoi di puntare i fucili, per risposta un ufficiale sul camion fece armare la mitragliatrice. Era una escalation pericolosissima, ed apparentemente nessuna delle due parti intendeva cedere. Dino si rese conto che si doveva fare qualcosa di meno idiota di una battaglia fratricida, e decise di rischiare. Si intrufolò tra i due gruppi: <<Maggiore, devo parlare assolutamente con Lei privatamente>>. Intanto aveva tirato fuori i suoi documenti di riconoscimento, che teneva ben nascosti nei vesiti, e glieli mostrò. Il maggiore li verificò con calma. <<Venga!>>. Dino fece lavorare velocemente il cervello. Disse che era con due colleghi in incognito e che dovevano passare ad ogni costo con tutto il camion, in modo che se gli Inglesi li avessero intercettati avrebbero avuto una possibilità di copertura. Il maggiore non era del tutto convinto, ma almeno ora aveva un alibi per cedere con onore davanti alla mitragliatrice, e li lasciò passare. Il camion ripartì traballando. Per fortuna a bordo nessuno fece domande sull' accaduto, anche perchè dopo alcuni chilometri finirono in una imboscata di ribelli indigeni che spararono sul camion mentre affrontava una curva, e due ufficiali morirono. Uno dei due, quello che aveva ordinato di spianare la mitragliatrice, era in piedi e parlava con Dino che era seduto di fronte. Il colpo gli trapassò la gola, ed il sangue schizzò in faccia a Dino ed agli altri. Il guidatore si rese conto di quel che accadeva, ed accelerò la corsa, sbandando. L' altro ufficiale, che si era alzato in piedi per rispondere al fuoco, cadde fuori dal camion e finì contro una roccia. La corsa proseguì, e tra i superstiti cadde il silenzio. Quando giunsero finalmente ai piedi dell' Amba Alagi il camion si fermò per motivi tecnici. Era prevedibile, ed erano tutti convinti che fosse stato un miracolo arrivare sino lì. Era ormai il crepuscolo. Mentre apettavano che venisse riparato, gli uomini di sentinella dettero l' allarme. In lontananza avevano avvistato un sidecar con a bordo due civili. Erano due postini che venivano da Asmara, ed erano in marcia da tre giorni. Portarono la notizia terribile, anche se attesa: Asmara era caduta, gli Inglesi avanzavano. Dino si sedette su un paracarro con la testa tra le mani, ad ascoltare il racconto dei fatti. Nell' alba piovigginosa del primo aprile, martedi, Sua Eccellenza Barile, il Segretario Generale del Governo, si era incontrato con gli Inglesi sulla strada di Cheren, e li aveva accompagnati al Palazzo del Governatore per la cerimonia della resa. Poi erano arrivati gli scozzesi con le cornamuse, poi la decima brigata del Brigadiere Generale Rees. La maggior parte di militari italiani aveva evacuato la città per tempo. Nell' ultimo treno per Massaua, che era partito la sera precedente si erano intrufolati molti civili, probabilmente anche i colleghi di lavoro di Dino. Questa certo era una buona notizia, ma per il resto il guaio era molto grosso. Gli Inglesi avrebbero potuto mettere facilmente le mani su tutti i documenti custoditi nell' ufficio di Viale De Bono, e peggio ancora su quelli che Dino custodiva in casa. Era chiaro che non poteva più assolutamente usare la sua identità. Intanto il tempo passava, ed era sempre più evidente che il camion non si poteva riparare. Tutti i viaggiatori decisero di allontanarsi a piedi da quel camion maledetto, che oltretutto, poteva richiamare la attenzione di qualche pattuglia aerea nemica. La buona stella di Dino comunque ricomparve all' orizzonte. Dopo avere girovagato per un paio d' ore senza incontrare nessuno, vide all' orizzonte delle luci fioche. Si avvivinò con precauzione, e riconobbe la sagoma di un convento. Quando fu più vicino lesse: "Convento dei buoni Frati di Quoram". Bussò al portone diverse volte, ma non rispondeva nessuno. Dopo molto tempo si accese la luce di una finestra, e dopo molto altro tempo si aprì la porta, e comparve un frate insonnolito, con la barba ed una candela in mano. Dino lo fissò perplesso, colpito dallo strano aspetto familiare dell’ uomo, ma il frate non battè ciglio, e lo fissò dritto negli occhi con aria interrogatoria. <<Fratello, mi scuso, ma purtroppo mi sono perduto, ed ho fame. Vengo da Addis Abeba e sono diretto ad Asmara, ma quello che stà accadendo mi ha 69 portato fuori strada. Sono un funzionario del governo, mi potete ospitare?>>. il frate lo fece parlare sino in fondo, senza interromperlo, poi parlò con un forte accento frusinate: "Mbè, Fratello, tenemo da sentì chello che dice ju Priore, ma mo lu Priore sta a dormì. Puoi tornà dimani?". Dino insistette: <<Io non so dove dormire, e restare qui fuori è pericoloso. Non puoi farmi parlare con l' economo?>>. <<L' Iconomo nun ce stà, s' è dato perchè tiè paura dell' inglesi>>. In quel momento il colloquio fu interrotto dall' arrivo del Priore, che parlottò a lungo con il confratello, poi si avvicinò e fu molto comprensivo. Fece entrare Dino, e gli dette un saio, ed il nome di Padre Alippio. Poi, prima che sorgesse l' alba, gli fece nascondere gli abiti ed i documenti nel doppio fondo della pedana del confessionale. Passarono tre giorni; Padre Alippio pregava, faceva la vita di comunità, e tirava la cinghia per la sobria alimentazione dei monaci. Ma le notizie dell' avanzata inglese erano sempre più preoccupanti: gli inglesi si comportavano crudelmente, anche se indubbiamente meno di quel che gli italiani avevano fatto con i neri. Padre Alippio era furbo, e dagli sguardi preoccupati che gli davano i confratelli durante l' orario delle preghiere, aveva capito che tirava brutta aria, e quindi cercò di defilarsi. Stava sempre in camera, e quando usciva teneva sempre gli occhi sul breviario. Parlava soltanto con il frate di frosinone, fra Adalgiso, quello che gli aveva aperto la porta, e che era tento ignorante quanto espansivo e disponibile ad insegnargli tutte le regole del convento. Il lunedi mattina il Priore chiamò Padre Alippio, e venne subito al punto: <<Purtroppo fratello, la situazione è grave. Noi vogliamo aiutare te ed il nostro paese, tuttavia abbiamo dei doveri da compiere, e non possiamo comprometterli per nulla al mondo. Oggi un confratello ci ha riferito che gli inglesi sono a pochi chilometri da qui. Se ti dovessero scoprire potrebbe succedere una tragedia>>. Padre Alippio disse che capiva la situazione, e non insistette per restare. tanto più che era convinto anche lui che il rischio era eccessivo. Nel pomeriggio si fece spiegare la topografia della zona, poi si ritirò a riflettere nella cella di due metri quadri dove lo avevano sistemato. Era poco probabile che la strada sino all' Amba Alagi fosse sgombra, e le probabilità di finire, in qualunque momento, in mano agli inglesi, era elevatissima. C' era sopratutto il problema dell' orologio con il microfilm, che a tutti i costi doveva arrivare nelle mani del Vicerè. Certamente non poteva portarselo dietro. Se gli inglesi lo avessero arrestato, lo avrebbero anche identificato, e frugato da capo a fondo, e l' orologio non sarebbe certamente passato inosservato. Poteva cercar di cambiare identità, ma non era facile trovare li per li uno capace di falsificare i documenti. Comunque era probabile che gli inglesi avessero le foto degli agenti dell' intelligence italiana. La soluzione migliore era affidare l' orologio ad uno dei frati, perchè lo facesse arivare nelle mani di , o del Vicerè. Ma a chi dei frati? chiunque di loro poteva essere un infiltrato. L' Intelligence usava infiltrare degli agenti nei conventi, ed in genere l' infiltrato era l' Economo, che infatti era scappato, ma ce ne potevano essere altri. Quando arrivò l' ora della sua ultima cena al convento, guardò a lungo uno ad uno i frati che mangiavano, ma nessuno gli ispirava fiducia. Anche se avesse tentato di rifilare una storia qualunque per affidare la missione che aveva in mente, nessuno di quegli uomini era abbastanza ingenuo da cascarci. Forse la scelta migliore era proprio il fraticello ciociaro che gli aveva aperto la porta la sera del suo arrivo. Quando ebbero finito la povera cena lo chiamò da parte, cercando di non farsi vedere dagli altri, e gli disse: <Senti fratello, ti devo chiedere un grande favore, e per me, e per la nostra cara Patria. <<Io devo andare via, ma gli inglesi mi stanno cercando, e probabilmente mi prenderanno. E' molto importante che questo orologio arrivi nelle mani del Vicerè, e che gli si dica che glielo manda il Dottor Marchetti, in ricordo >>. <<Ma, do lu trovo lu Vicerè?>>. <<Il Vicerè è all’ Amba Alagi. Se non riesci a parlare con Lui cerca di parlare direttamente con capo delle sue Guardie>>. Il fraticello era un uomo semplice e buono, ma non era stupido, e lo guardò profondamente, poi gli disse: <<Senti, Fratè, io so un servo de DDio, e nun voio servì er Demonio. Io so' capito che tu devi da portà na cosa 'mportante pe' la guera, e te voio aiutà, ma nun me fa fa na cosa brutta, che se uccidono li cristiani>>. Dino sospirò, poi disse: <<La guerra è sempre guerra, però forse questo messaggio potrà salvare qualcuno, e certamente non provocherà più morti>>. <<Va 'be, Fratè, te voio crede, e poi ce vo' uno che conforta li morti all' Amba Alaggi>>. Guardò l' orologio, poi disse: <<E' troppo bello pe' nu povero frate, mo lo 'mmacco e lo 'nzozzo nu poco. Fratè, io nun voio sapè la risposta, ma me sa che l' orologgio nun è il messaggio, ma il messaggio stà n' dell' orologgio.>> Dino sorrise, e si strinse nelle spalle. Comunque andasse non aveva rimorsi. Non avrebbe potuto fare altrimenti. Appena scese il buio recuperò i documenti personali che aveva nascosto in una fessura tra i mattoni della parete interna del pozzo artesiano nel chiostro. Poi il povero Padre Alippio approfittando delle tenebre, si allontanò per una cerca dalla quale non sarebbe più tornato. All' alba del giorno seguente incappò nel cadavere di un sergente italiano ucciso con un colpo di fucile ad 70 una tempia, probabilmente dai ribelli, gli prese vestiti e i documenti, lo seppellì, mise una croce fatta con due legni nella terra, e divenne il Sergente Bongiovanni. Per una strana scelta della sorte il morto gli somigliava abbastanza perchè ad una occhiata superficiale la foto sul documento potesse sembrare quella di Dino. A sera tarda, il sergente Bongiovanni buon' anima, salvatore di Dino, fece il suo ingresso ad Alomatà. Ora si trattava di aspettare l' occasione per raggiungere l' Amba Alagi, dove si sarebbe potuto spazzare via l' odioso nemico. Almeno tutti fingevano di crederlo! Prese contatto con il comando della guarnigione locale, e venne ospitato in una specie di fortificazione, una casamatta diroccata e rinforzata con dei pali di legno. Dino cercò di farsi vedere in giro il meno possibile per non essere riconosciuto. Se il comando locale avesse scoperto la sua vera identità avrebbe passato dei momenti molto critici prima di spiegare come e perchè era diventato il Sergente Bongiovanni. Oltretutto aveva distrutto i suoi veri documenti, che lo avrebbero spedito dritto alla corte marziale se fosse caduto in mano agli inglesi, ma che potevano chiarire la sua posizione con gli Italiani! Inaspettatamente il giorno dopo giunse la buona occasione: il comando militare provvisorio di Alomatà informò Dino-Sergente Bongiovanni- Ex Padre Alippio, che veniva promosso ad ufficiale dei Bersaglieri, e come tale venne spedito all' Amba Alagi (a 3000 mt), con una camionetta di servizio, insieme a due soldati ed ad un sottufficiale. Arrivarono durante un attacco aereo, che iniziò prima che potessero raggiungere il Comando Centrale. Furono costretti ad infilarsi in un rifugio antiareo,e ci dovettero restare per ore. Quando il bombardamento finì raggiunsero il Comando, e da lì dovettero proseguire a piedi per la destinazione finale, Passo Falagà, agli ordini del Colonnello Postiglione. La camionetta con cui erano arrivati era andata distrutta durante il bombardamento. Mentre ripartivano incrociarono due Alfa Romeo di grossa cilindrata, scortate da un nugolo di motociclisti, e dentro la seconda riconobbero il Vicerè. Tutti sapevano lucidamente che l' Amba sarebbe caduta, eppure l' incontro li rassicurò. Il vicerè era un uomo carismatico, e tutti gli italiani ne erano affascinati. Giunto a Passo Falagà Dino trovò un rifugio scavato nella roccia, e ci si sistemò. La Domenica, dopo una giornata estenuante scandita dalle solite cannonate, appena sceso il tramonto, gli inglesi scatenarono un attacco violentissimo. Si seppe che il Vicerè sarebbe arrivato per respingere l' attacco: era chiaro che i nemici si stavano giocando il tutto e per tutto, ed era probabile che quella battaglia avrebbe deciso le sorti della guerra. Verso le 23 arrivarono le munizioni, e gli ordini. Quelle che seguirono furono ore tragiche, e gli uomini continuarono a sparare, con le dita rattrappite sulle mitragliere. La battaglia proseguì senza sosta per tutta la notte, ed il freddo agghiacciante a circa 3000 metri di altezza rendeva tutto molto più difficile. Dino era buttato in terra, davanti alla sua mitragliera, piazzata all' ingresso del rifugio, con una coperta buttata sulle spalle, e si sforzava di individuare il punto di partenza dei tiri avversari, per poter rispondere. Verso le sei del mattino, una granata centrò in pieno il rifugio vicino al suo, dove c' era un capitano di Podigoro, ch saltò in aria a brandelli. La spoletta della granata cadde nel rifugio di Dino, che la raccolse, e la tenne come con se fino alla fine dei suoi giorni. La usava come fermacarte, e voleva tenerla in vista "per non scordare mai più quell' orrore". Ma quella scena tragica lo spinse a sparare con più rabbia, ed ad un certo punto vide che la postazione nemica satava in aria. Il povero capitano di Podigoro era vendicato, ma in fondo ora c' era soltanto una famiglia in più che pingeva un morto!. Smise di sparare, esausto, e dormì profondamente per alcune ore. Quando si svegliò , intirizzito dal freddo, il sole era alto. C'era silenzio, rotto soltanto da urla di gioia, e canti di vittoria. La Fletcher force era stata respinta, forse si poteva ancora rovesciare le sorti della guerra. Il festeggiamento durò per tutto il giorno, ma quando ridiscese la sera arrivò la notizia ferale. Mentre gli italiani si concentravano su passo Falagà, gli inglesi avevano agevolmente sfondato le linee a passo Tagora, ed erano ormai vicini al Comando Centrale dell' Amba Alagi. Era stata una beffa terribile. Dino rimase altri 11 giorni all' Amba Alagi, sotto un inferno di ferro e fuoco. Le condizioni degli Italiani erano disperate, ma il Generale Inglese William Platt, che era stato compagno di Università del Duca di Aosta, non volle calcare la mano. Anzi concesse una pausa nei combattimenti a fine giornata per permettere di recuperare e curare i feriti. Dino conobbe l' inferno. Non si poteva cucinare, perchè appena compariva un filo di fumo gli inglesi tiravano cannonate a non finire, e non si poteva bere perchè cannoneggiavano ad intervalli regolari il viottolo che conduceva all' unica fonte. 71 Dino riusciva a raccogliere un po' di acqua nella borraccia sfruttando l' intervallo tra le cannonate per avanzare. Ci impiegava due ore per fare 200 metri. Una volta sbagliò i calcoli, o gli inglesi cambiarono l' intervallo di sparo, e la cannonata partì mentre Dino ruzzolava per terra per un provvidenziale sasso. Sdraiato per terra sentì un oggetto sotto il palmo della mano, ed era una medaglietta di latta con una madonnina. Dino la conservò tutta la vita, e la volle con se prima di morire. Nel rialzarsi sentì un lamento flebile. In terra, con il petto squarciato, c' era un giovane, che camminava 4-5 metri avanti a lui, e che non aveva fatto in tempo a buttarsi in terra all' arrivo della cannonata. Il poveraccio indicava con la mano il petto. Dino si inginocchiò, gli tolse il portafogli, lo rassicurò che avrebbe avvisato la famiglia, e tenendogli la mano aspettò che morisse , e le cannonate che arrivavano non lo colpirono. Quando finalmente tornò dalla prigionia andò in veneto per rintracciare i genitori e la moglie di quel pover' uomo, e riconsegnò a loro il portafogli, e la medaglietta di riconoscimento. E pianse a lungo. Quella notte il destino di Dino decise che doveva sopravvivere. Tornando verso la sua buca trovò una pezza di formaggio di circa 20 Kg, e se la trascinò all' imboccatura del rifugio. La pezza gli assicurò la sopravvivenza, perchè messa in posizione strategica lo riparava dalle schegge, e rosicchiandola dalla parte interna con un coltellino riuscì a sopravvivere. La mattina dell' 8, alle prime ore dell' alba si scatenò di nuovo il finimondo. Dino venne svegliato dal rumore assordante delle artiglierie, e mise la testa nella stretta fessura tra il bordo del rifugio e la pezza di formaggio. Pian piano uscì allo scoperto, e vide che giù nella vallata, verso Nord, un' orda di indiani stava ormai spostandosi in avanti, ed aveva travolto le avanguardie italiane. Era una situazione gravissima, anche perchè si sapeva bene che, a torto o a ragione, gli indiani non rispettavano nessuna legge, e se catturavano qualcuno, lo facevano a pezzi. Non c' era altro da fare che cercar di resistere. Tentare di risalire sul monte durante un attacco voleva dire lasciarci la pelle. Ritornò all' interno del rifugio, ripiazzò la mitraglietta, e riprese a sparare. La battaglia proseguì per tutta la giornata. Prima che scendesse la notte, con il binocolo, riuscì a localizzare la posizione degli avversari. Ormai avevano preso passo falagà, ma ora sembravano bloccati, e non avrebbero potuto proseguire facilmente. Dino era ai piedi del monte Corarsi, in posizione abbastanza sicura, almeno sino a quel momento. Era assurdo tentar di spostarsi, tanto era chiaro che la situazione era ormai senza via di uscita. Verso le 23 un soldato che teneva i contatti girando tra i rifugi, arrivò a carponi nel rifugio: <<Siamo fottuti, quei maledetti indiani hanno preso il passo Falagà, e noi abbiamo perso il contatto col Comando, perchè i telefoni sono saltati!>>. Dino chiese laconicamente: <<e le munizioni>>. <<Niente da fare, devi cavartela da solo>>. Poi il pover' uomo, approfittando del momento propizio, sgusciò fuori dal rifugio e sparì nelle tenebre. Dino si buttò nel fondo del rifugio, e con l' ultima candela che gli era rimasta, si mise a sfogliare un libretto di appunti che portava sempre con se. Nelle ultima pagine c' era un calendarietto, su cui lui metodicamente, spuntava i giorni. Spuntò anche Giovedì 8 Maggio 1941, con un mozzicone di matita che aveva trovato giorni prima sul pavimento. Venerdì 16 era cerchiato: era la sua festa di compleanno, il trentesimo. A Tonara la madre avrebbe preparato i dolci per festeggiarlo, e lo avrebbe aspettato seduta sulla porta di casa. Di certo Giovannangela Carboni pensava che suo figlio avrebbe vinto la guerra. Il marito avrebbe tentato di convincerla ad andare a dormire, ma inutilmente. Lei sapeva che il figlio sarebbe tornato vincitore, se non proprio il 16, forse il 17. La porta era sempre aperta. Dino continuò a pensare alla madre, ai suoi, a Tonara, ben sapendo che quei pensieri difendono dalla disperazione e dalla paure. Pian piano la candela si spense, ma lui continuò a sognare ad occho aperti. Poi cominciò a piovere, lo scroscio monotono della pioggia gli mise un grande sonno. La mattina del 13 il solito portaordini gli disse di sgombrare, perchè pareva che fosse pronto un attacco in piena regola. Dino raccolse le sue cose, e tagliò via un tre chili di formaggio, fece un sacco di tutto, e si mise in movimento. Appena sgusciato dalla buca venne bloccato da Felzetti, un sergente di Bergamo, che abitava nel rifugio contiguo: <<Te ne vai?>>. <<Hai sentito il portaordini?-disse Dinoormai questo versante è andato>>. <<Hanno detto pure a me che finirà male, ma io non ho nessuno che mi aspetta>>. Felzetti era rimasto vedovo perchè la moglie era morta di parto, <<io non sono fascista, non credo che questa fottuta guerra serva a nessuno, ma non voglio finire prigioniero. La sola cosa che mi fa rabbia è che quando sarò morto quel testa di cazzo userà il mio sangue per le sue trombonate. Dirà che sarà vendicato il sangue italiano. Il mio sangue, il sangue di tutti noi servirà per imbrogliare quei dementi che lo stanno a sentire a bocca aperta. E io creperò per colpa di tutta questa gente.>>. Dino non commentò. Felzetti gli allungò una foto. C' era lui con la moglie. <<Non la devi portare a nessuno, tanto non c' è nessuno che deve piangere. Se non la vuoi la butti, se vuoi la tieni per ricordarti di quello che ti ho detto: sono tutti stronzi, Lui e chi lo sente. E sono tanti!>>. Dino non ebbe 72 la forza di replicare. Prese la foto e la mise in tasca, prese il fagotto con la sua roba, e cominciò a salire lungo i fianchi di Monte Corarsi. Arrivò il giorno dopo oltre la cima si infilò in un nuovo rifugio, lasciato libero da uno che era morto. Li seppe, due giorni dopo, che Felzetti era stato fatto a pezzi dagli indiani. Dino conservò la foto, ma la perse molti anni dopo, mentre rientrava in Italia. Annotò questo fatto con molta cura sul diario. <<Ho perso la foto di Felzetti, e mi dispiace, perchè lo stimavo molto. Ma non ho perso il ricordo delle sue ultime parole>>. Quella tragedia durò ancora quattro giorni. Gli Italiani erano stremati, e proseguire in quelle condizioni sarebbe stato una follia. Il giorno 16 si seppe in via ufficiosa che si stava trattando la resa, e la firma del documento ufficiale avvenne il giorno successivo, e gli inglesi concessero l' onore delle armi. Il Lunedì successivo, gli Italiani lasciarono l' Amba Alagi in scaglioni, diretti verso la prigionia. Alle 09:40, Dino, logoro ed emaciato, intruppato nel quarto scaglione, lasciò forte Toselli. Per tutta la strada gli inglesi mostrarono le armi agli Italiani, che barcollavano trascinandosi appresso valigie e stracci, tutto quello che avevano potuto raccattare, e che avrebbe permesso loro di sopravvivere almeno per i primi giorni di quella maledetta prigionia. Anche Dino trascinava i suoi poveri stracci, e quello che restava della sue pezza di formaggio. Mentre discendeva venne ripreso nei documenti ufficiali della cinematografia, che negli anni '60 girarono per i cinema Luce. LA RESA E LA DEPORTAZIONE La sera del 21, scortati dai neri, che li insultavano e li spintonavano, i prigionieri raggiunsero Adigrat. Quando ormai era notte una cinquantina di italiani, tra cui Dino, vennero concentrati in una scuola, vicino al convento dei Francescani. Un prigioniero, con i gradi di tenente, vicino a Dino, si presentò, parlando con un accento caratteristico:<< Sono Righini, di Potenza, tu chi sei?>>. Dino sorriso al pensiero che con quell' accento Righini non poteva essere certo di Bolzano, e rispose cordialmente. Quella sera parlarono un po', ed il giorno seguente fecero amicizia. La sera del 23 partorirono il piano di fuga. Righini sosteneva che si doveva tentare il tutto e per tutto per tentar di fuggire, anche se non era chiaro cosa avrebbero fatto dopo la fuga, in un paese quasi totalmente in mano agli inglesi ed a bande di neri. <<Hai notato che siamo a due passi dal convento??>>, osservò Dino. <<E allora che facciamo, preghiamo?>>, ribattè Righini. <<Più o meno, anche perchè è un sistema che ho già sperimentato. Ci facciamo passare da Frati>>. Righini era perplesso: <<E ai frati chi glielo dice??>>. <<a questo ci penso io-rispose Dino-piuttosto la difficoltà maggiore sarà prendere contatto senza farci vedere dai neri>>. Righini, dopo un periodo di riflessione si entusiasmò, e mentre Dino faceva il palo cominciò a richiamare i frati a gesti. Venne prima un fraticello, che li aveva presi per due peccatori in cerca di un confessore. Quando sentì la proposta obbiettò un po', poi andò a chiamare il Priore. Il Priore era piccolo, calvo e grasso, ed anche molto deciso, e disse subito di no. Non se ne parlava neppure. Righini, che aveva condotto tutte le trattative, tornò a riferire che il piano era fallito. Dino prese atto, ma disse al suo amico di non disperare, c' era ancora uno spazio per la trattativa, e la avrebbe condotta direttamente. La sera successiva Dino riuscì a contattare i frati, e chiese di parlare con l' economo. Fissarono l' appuntamento per la sera del 26, subito dopo la preghiera. Subito dopo Dino si infilò nel bagno, etirò fuori la sua agendina personale. Controllò il primo giorno di ciascun mese di quell' anno, poi copiò su un pezzetto di carta le prime due lettere del primo giorno di ogni mese dispari, sino al quinto 1o Gennaio, Mercoledi Me 1o Febbraio, Sabato 1o Marzo, Sabato Sa 1o Aprile, Martedi 1o Maggio, Giovedi Gi L' economo del Convento venne all' appuntamento, e Dino, mentre Righini faceva il palo, gli passò senza una parola il foglietto. Dopo che lo ebbe letto il frate rimase immobile a riflettere per una trentina di secondi, poi, senza dire una parola, andò a chiamare il Priore, che venne quasi immediatamente, e andò subito al sodo:<<Va bene, potete venire, però se vi prendono diremo che ci avete costretti, e comunque vi do solo tre giorni di tempo, poi dovete comunque andarvene>>. Dietro le sue spalle l' Economo, anche lui un infiltrato del controspionaggio, allargò le braccia e disse:<<di più non possiamo assolutamente fare. A tarda notte Dino ed il tenente Righini saltarono lo steccato, ed indossarono il saio. Righini divenne Padre Fulgenzio, e Dino divenne di nuovo Pare Alippio. I tre giorni passarono rapidamente, ed il Priore era estremamente preoccupato, perchè nella scuola c' erano segni di agitazione, i prigionieri venivano contati e ricontati, la guardia era stata intensificata. Era 73 chiaro che qualcuno si era accorto della loro fuga. Il giovedì a cena c' era un' aria pesante. Dino si trovò seduto a fianco all' economo, che, dopo le preghiere, appena iniziarono a mangiare, fu molto chiaro: <<Mi dispiace, ma ve lo avevo detto, non potete più restare. Se vi prendono sono dolori, e poi se scoprono chi sei ci fucilano tutti come spie. Tranne me ed il Priore qui tutti i frati non sanno nulla del Servizio>>. Dino tirò un sospiro, e decise di non insistere. Tanto non c' era nulla da fare, ed effettivamente il rischio che avrebbe fatto correre a quei poveracci era inaccettabile. Quella era la sua "ultima cena". <<Sai se hanno preso qualcuno dei nostri ad Asmara?>>, domandò. <<No, credo che siano scappati tutti a Massaua. Se torni puoi riprendere il tuo lavoro, non credo che qualcuno ti possa smascherare. Certo le notizie che abbiamo qui sono scarse, comunque .......-Poi dopo un attimo di riflessione proseguì- Verso le cinque di domattina esci dal convento, e vai verso la strada per Asmara. Fermati alla prima locanda che incontri, ed aspetta davanti al portone. Alle sei ed un quarto passerà un camion carico di sacchi di cemento. Il guidatore è un amico, e ti farà salire a bordo, gli ho già spiegato tutto>>. Quando ebbero finito Dino chiamò il suo compagno di fuga, e gli spiegò che dovevano andarsene. Righini, dopo il primo sconcerto, si sedette su una sedia del misero oratorio, e cominciò a fumare una sigaretta. <<In due potremo fuggire attraverso la boscaglia>>, disse dopo avre riflettuto un po'. Dino tossì, perchè il fumo gli dava fastidio, e rispose: <<no, converrà che ognuno vada per la sua strada, è meno pericoloso>>. Righini finì con il convincersi. Verso le undici della sera l' Economo portò degli abiti civili, e Dino trovò nelle tasche alcune rupie ed il tesserino di un dopolavoro, senza fotografia, intestato a Vincenzo Allegretti. Quel documento ridicolo non lo avrebbe salvato certamente, e decise di farlo sparire al più presto. Qualche ora dopo, mentre era ancora notte, Padre Fulgenzio e Padre Alippio scapparono dal convento, e ciascuno seguì il suo destino. Alle sei del mattino Dino arrivò alla locanda, ed alle 06:15, puntualmente, arrivò il camion carico di cemento, che si fermò a raccoglierlo. Il viaggio durò circa 50 ore, perchè il camionista rallentava spesso per farsi superare da altri veicoli, in modo che fosse possibile vedere se c' erano posti di blocco. La prima notte dormirono nel camion, la seconda notte si fermarono a dormire in una casupola di contadini, amici dell' autista, e prima di ripartire, Dino regalò loro qualche rupia. La mattina dopo si rimisero in viaggio all' alba, e verso le 9:00, quando erano ormai a pochi chilometri dalla città, trovarono improvvisamente un blocco stradale. Dino sentì il sangue gelarsi, ma non c' era nulla da fare, bisognava rischiare. Gli inglesi li fecero scendere, ma sembravano interessati sopratutto al carico. Vollero ispezionare tutto il camion, ed uno si buttò in terra per controllare il motore e la parte meccanica. Poi controllarono i documenti di circolazione, ed alla fine il capoposto disse in inglese che potevano andarsene. Dino finse di non capire, e seguì goffamente l' autista, che gli inglesi , stufi di discutere, spingevano verso il camion. Mentre risaliva nella cabina di guida tirò un profondo respiro di sollievo: era incredibile che non gli avessero chiesto i documenti personali. <<Meno male che ho trovato questi idioti, pensò>>, ed il pensiero lo rese allegro. Era come un segnale positivo. Appena furono dentro la città, in un punto poco trafficato, Dino ringraziò il camionista, scese, e cominciò a camminare rapidamente. Doveva traversare quasi tutta la città a piedi, passando per le strade meno trafficate, per non rischiare di essere riconosciuto. Si rese conto che non aveva un piano preciso, e che per prima cosa doveva capire che cosa stava succedendo. Da quel po' che aveva visto la vita sembrava normale, a parte la presenza di qualche camionetta carica di militari inglesi. D' altro canto girare per il centro significava rischiar di finire in qualche posto di controllo. Mentre camminava, riflettendo su queste cose, incontrò un izio, piuttosto bene in arnese, e provò a chiedere: <<Scusi, devo andare all' Ufficio degli Affari Governativi, sa se funziona?>>. Il tizio lo guardò a lungo, e Dino si irrigidì. <<Lei non è di Asmara, vero?>>, disse, poi dopo una pausa che sembrò lunghissima,<<funziona perfettamente, hanno reintegrato tutti gli impiegati>>. Dino tirò un respiro di sollievo. Al terzo piano dell' Ufficio c' era una stanza, con la targhetta <<DINO TATTI, Ispettore Capo>>, la sua copertura. A questo punto bastava ritrovare i documenti di identità che aveva dentro casa, e ripresentarsi in ufficio. Lo avrebbero reintegrato nel lavoro, e dopo qualche sùmese lo avrebbero reimpatriato. Ringraziò il tizio che gli aveva dato le informazioni, e proseguì. Mentre camminava cercò di analizzare la situazione. Certo, bisognava sperare che durante la sua assenza nessuno lo avesse smascherato, e anche che nessuno avesse trovato i documenti compromettenti che teneva in casa. Era ormai mezzogiorno, ed era anche molto caldo. Finalmente arrivò al Bar Italia (lo avevano prudentemente ribattezzato "Little Italy"), e si sedette ad un tavolo vicino al porta di ingresso, guardandosi ansiosamente intorno. Si sentiva molto teso. Arrivò quasi subito un cameriere nero:<<Il signore desidera?>>. <<Un caffè, veramente molto forte e con la crema>>: Era una frase chiave. Il cameriere si chinò a pulire il tavolo, e gli chiese a 74 bassa voce:<<Che ci fai qui?>>. <<E' una storia lunga, vengo da Amba Alagi, sai se hanno catturato qualcuno?>>. <<No-rispose il cameriere- sono scappati tutti a Massaua>>. Poi, a voce alta, <<La servo subito Signore>>. Mentre aspettava il caffè Dino ripensò a quanto gli avevano detto i due postini che aveva incontrato sulla strada per Amba Alagi: gli Inglesi erano entrati in Asmara dopo una trattativa. Sino alla 18 del giorno precedente vi era stata una evacuazione verso Massaua. Sicuramente gli inglesi non avevano catturato alcun agente italiano. <<Stò tranquillo -pensò- sarà tutto facile. Devo solo essere sicuro che non mi abbiano toccato nulla dentro casa.>> Bevve il caffè, pagò, e si rimise in cammino. Alle 14 il sole era cocente, e giunse in vista della sua casa. La cameriera lo vide dalla finestra, e gli andò incontro, ma dall' aspetto non era molto allegra. Gli disse subito <<Padrone, è successa una cosa brutta. E' venuto Sau con la pistola, ci ha minacciati, e poi si è portato via tutto. Anche Paolo è fuggito>>. Paolo era un giovane cameriere meticcio, e Sau era un sardo, amico di Dino, che non era del Servizio, e che lui aveva aiutato ad entrare nell' amministrazione delle ferrovie. Quel porco gli aveva saccheggiato la casa! Era furente, per l' oltraggio, per la scarsa riconoscenza umana. Ma sopratutto era preoccupato per i documenti. Se quel maiale li aveva trovati era capace di venderli agli inglesi. Tranquillizò la cameriera e si precipitò dentro casa. Dappertutto c'era disordine, gli armadi avevano le ante rotte, da all' interno pendevano solo le grucce vuote. Non c' erano più i vasi pregiati, ed erano sparite le pelli che aveva comprato nei villaggi vicini. Era inutile fare l' inventario. L cameriera disse che Sau era venuto con un camion e due uomini che lo avevano aiutato. Prima o poi lo ritroverò, pensò Dino, ed andò dritto nel salotto. Spostò il divano, e con un coltello, pazientemente, scollò lo zoccolo di marmo della parete retorstante. Dopo un quarto d' ora di lavoro lo zoccolo venne via, e comparve un tubo che percorreva la parete. Fece scivolare il dito sulla parte posteriore del tubo, agganciò una levetta, ed aprì uno sportellino. Nel tubo non passava acqua, ma dentro c' erano i famosi documenti. Dino li controllò, con la sua solita meticolosità, buttato per terra, e tirò un respiro di sollievo. C' era tutto. Rimise tutto a posto, prendendo soltanto una specie di Badge con al foto e la qualifica, ed una carta di identità, richiuse il nascondiglio, chiese alla cameriera di preparargli qualcosa per cena, e si buttò sul letto a riposare, ancora con gli stivali ai piedi. Tanto il letto era senza lenzuola, ed il materasso era stato tagliuzzato, perchè avevano cercato anche li dentro qualcosa da rubare. Quella notte Dormì profondamente. Si svegliò alle prime luci dell' aurora, e riuscì a farsi la barba: i saccheggiatori gli avavano almeno lasciato il rasoio. La cameriera gli aveva trovato un vestito, discreto anche se un po' logoro, e lo aveva lavato e stirato, e Dino se lo mise e provò un senso di benessere: non era il migliore, ma certo era il più pulito che aveva indossato negli ultimi mesi. La cameriera aveva anche preparato del latte per la colazione, ed aspettò, in piedi, con aria interlocutoria, finchè Dino non ebbe finito di mangiare. poi disse:<<Padrone, non ti offendere, ma io debbo andare via. Ti ho aspettato perchè volevo vederti tornare, ma adesso devo tornare al mio paese, e pregherò perchè tu possa tornare nel tuo.>>. Poi, dopo una breve esitazione, proseguì:<<ormai non potresti neanche mantenere una cameriera>>. Dino pensò che era vero, anche se sperava di riavere il suo impiego e lo stipendio. Comunque era inutile obbligare quella poveretta a restare li. <<Vai pure, le disse, e se mi lasci il tuo indirizzo ti farò avere l' ultima paga>>. La donna lo ringraziò, gli lasciò quel po' di cibo che aveva racimolato durante quei giorni terribili, e partì. Verso le otto Dino uscì di casa, e si diresse, un po' preoccupato ed un po' speranzoso, verso l' Ufficio. Corso del Re era ormai popolato di gente che camminava frettolosamente, e c' erano anche molti inglesi in giro. Ad un certo punto passò una camionetta dell' esercito inglese, con della gente ammanettata a bordo. Dino non riuscì a vedere di chi si trattasse, ma la sua angoscia aumentò. Superò un isolato dove c' era un cartello "Dr. Bottini, dentista", e provò la sgradevole sensazione di essere seguito. Si girò, fingendo di guardare il cartello alle sue spalle, ma non vide nessuno particolarmente sospetto. Riprese a camminare, ma la sensazione di pericolo aumentava, e si sentiva un topo in trappola. All' improvviso da un vicolo uscì un gruppo di soldati inglesi, ed il comandante gli intimò l' ALT. <<Your documents.. documenti, italiano!>>. Dino estrasse lentamente i documenti, ed aveva le mani ghiacciate nonostante ormai fosse Giugno. Il petty officer che comandava il gruppo dette un' occhiata sprezzante ai fogli, poi glieli rese con un secco <<go!>>. Il drappello riprese la sua strada, e Dino rimase un attimo fermo, incerto sul da farsi, poi si mosse anche lui. Finalmente arrivò davanti alla porta dell' ufficio. In apparenza tutto era normale, tranne quei ridicoli scozzesi che montavano la guardia, e le due camionette cariche di soldati inglesi parcheggiate vicino al portone. Salì lentamente le scale, cercando di non dare nell' occhio, ma il portiere lo vide e lo salutò: <<Buongiorno dottore, e bentornato. quando non l' ho più visto ho pensato che ce la avesse 75 fatta a scappare>>. <<No, è solo che sono stato male, ma adesso è passato tutto. Ci sono novità?>>. <<No, solo questi fottuti inglesi da tutte le parti. Dice che rimpatrieranno al più presto la metà di noi>>. <<Controllano gli impiegati?>>. <<certo dottore, ma non si preoccupi, basta fargli vedere i documenti>>. Dino salì una rampa di scale, ed in fondo trovò due soldati inglesi. Uno di questi, chiese in italiano approssimativo:<<Chi sei?, who are you?>>. Dino, senza parlare, mostrò i documenti.. <<Devi venire con me>>, disse il più anziano. Prima di muoversi lo perquisirono, e poi lo scortarono sino alla stanza che era stata di sua Eccellenza Barile. Lì c' era seduto un ufficiale inglese, che andò per le spicce:<<Chi sei?>>. Dino mostrò di nuovo i documenti, nascondendo a stento la ripugnanza che provava per quell' animale. L' inglese domandò:<<perchè arrivi solo adesso?tu manchi da molto giorno!>>. Poi si rese conto di star facendo un polpettone assurdo di parole, e chiese:<<Do you speak english>>. <<No>>, mentì Dino, e proseguì <<sono stato malato>>. L' inglese fece per prendere il telefono, poi ci ripensò, si rivolse ai due soldati, e disse nella sua lingua:<<vedete se è capace di trovare la sua stanza, e restate li con lui. Non si deve muovere se non lo dico io>>. Dino finse di non capire, e sentì un tremendo senso di freddo in tutto il corpo. Quei delinquenti erano capaci di fucilarlo, se scoprivano chi era. L' ufficiale disse: <<Vada pure nel suo ufficio>>, e Dino si mosse, seguito dai suoi angeli custodi. Salì al piano superiore, percorse il corridoio, e raggiunse la penultima stanza a sinistra. La porta era chiusa, ma non a chiave, e si aprì facilmente. Nell' ufficio non c' era nessuno, ed apparentemente tutto era rimasto al suo posto: la macchina da scrivere Victor, il tavolo, la cassettiera, il telefono a muro, la grande carta murale, con delle spille colorate attaccate, che indicavano la presenza di agenti stranieri in zona. Una spilla gialla piazzata su Addis Abeba, l' ultima attaccata in ordine di tempo, indicava il passaggio di Mr. Strong. Mancava soltanto il quadro del Duce, ma ovviamente c' era da aspettarselo. Dino andò alla cassettiera e controllò i documenti che vi erano custoditi. Sembrava che ci fosse tutto, e questo era rassicurante: nessuno aveva frugato. Adesso era importante cambiare la posizione delle spille sulla carta. Lo avrebbe fatto appena fosse rimasto solo. Prese un fascio di carte che riguardavano permessi di attività da concedere ad una ditta di trasporti, e si andò a sedere al tavolo. Prese la penna, e rialzando lo sguardo, lo incrociò con quello di due tizi in borghese che si erano affacciati alla porta. Uno, il più basso, lo fissava intensamente, e Dino ebbe la sensazione di conoscerlo. Chi diavolo era, e che voleva? stava per domandarlo, quando il tizio si rivolse ai due soldati, e disse in inglese: <<Ho bisogno di tempo. Aspettate quì, sarà un controllo veloce!>>. Non ci voleva molto a capire: lo avevano riconosciuto. Lo stress gli fece tornare in mente che aveva visto quel tizio nelle foto segnaletiche. Era una spia Maltese. Ma come poteva conoscere Dino? che cosa era andato a controllare? il "mug shot", ovviamente, il libro con le foto segnaletiche. Non era il momento di pensare, era meglio trovare subito una via di uscita. Sicuramente qualche maledetto doppio agente italiano aveva passato la foto di Dino al Servizio Segreto di Malta. Si girò lentamente, per non allarmare i due soldati, e guardò la finestra. Era chiusa, e comunque era a 4-5 metri da terra. Non c' erano altre vie di uscita, tranne la porta, dove erano piazzati i due inglesi, che erano armati sino ai denti, e non gli toglievano gli occhi di dosso.Forse aveva solo pochi minuti per uscire dalla trappola. Fece per alzarsi, ma gli inglesi puntarono le armi, e gli imposero, con un cenno, di restare seduto. Dino si rimise a sedere lentamente, e con la mano cercò un recesso interno che doveva essere sotto il tavolo. Lo trovò subito, ma era vuoto: avevano tolto il revolver che era nascosto li dentro. Mentre faceva lavorare il cervello, alla ricerca disperata di una via di salvezza, entrò il tizio basso, seguito dall' ufficiale inglese. Quest' ultimo ordinò ai due soldati: <<Arrestatelo>>. Dieci minuti dopo i due militari e l' ufficiale lo scortarono sino al portone, e lo consegnarono ad altri due soldati, che lo trascinarono su una camionetta che partì a tutta velocità verso Forte Baldissera. Appena arrivato a Forte Baldissera Dino venne portato in una cella di isolamento. Mentre lo spingevano fece in tempo a vedere, nel cortile, un camion sgangherato e sei prigionieri piuttosto male in arnese, che caricavano sopra dei sacchi. La cella aveva uno spioncino che dava sul cortile, e quando i neri chiusero la porta, Dino corse a vedere il seguito della scena, e la memorizzò: il numero di uomini che caricavano, la loro posizione, e la partenza del camion. Poi si sentì molto stanco, e si buttò sul tavolaccio a dormire. I giorni seguenti venne ad interrogarlo un ufficiale inglese, che cominciò a fare domande nella sua madrelingua. Dino si rese subito conto che se dopo le prime parole fingeva di non capire, l' ufficiale, meccanicamente ripeteva le ultime parole in italiano, e poi gli suggeriva la risposta. A quel punto Dino diceva di sì, e l' imbecille inglese sorrideva soddisfatto. Il terzo giorno però si presentò ad 76 interrogarlo un giovane più intelligente, e Dino dovette far appello a tutte le sue risorse per non dire più di quello che l' inglese già sapeva. Il non dire era un vecchio gioco al quale lo avevano addestrato, ma non poteva durare a lungo. Per quanto Dino non capiva bene cosa potessero guadagnare gli Inglesi dal suo interrogatorio. Ormai gli agenti dell' intelligence italiana erano fuggiti tutti, al più potevano acchiappare qualche collaboratore di secondo piano, tipo l' economo del convento che lo aveva aiutato nella fuga da Adigrat. Comunque, prima o poi la situazione poteva mettersi male, e Dino decise che era ora di scappare. La sorveglianza nel forte era affidata agli indigeni, che erano meno meticolosi degli inglesi, e valeva la pena di approfittarne. Una mattina chiamò l' uomo che era a guardia della sua cella, e gli chiese in amarico:<<non mi fai uscire per la passeggiata?>>. L' altro abboccò e domando, di rimando:<<ma tu hai il permesso di uscire?>>. <<Certo, dentro il forte si>>. Appena fu nel cortile Dino si aggrgò agli altri prigionieri che passeggiavano, e lentamente scivolò verso gli uomini che caricavano il camion, e cominciò a caricar pure lui. Dopo dieci minuti il camion era pronto. Era incredibile, ma nessuno aveva controllato nulla, la scena si era ripetuta proprio come se la ricordava! I prigionieri salirono sulla parte posteriore del camion. Vicino a loro c' era un capannello di indigeni armati sino ai denti.Uno di questi si diresse verso la cabina di guida, ed altri due salirono con i prigionieri, spianando le armi. Il camion si mosse lentamente, e Dino trattenne il fiato per la tensione. Tutto bene, sino a quel punto, restava solo da superare il portone del forte. Un altro prigioniero, seduto vicino a lui, lo guardò con aria di commiserazione. Probabilmente era l' unico che aveva capito che c' era un intruso. Dino tornò con lo sguardo sui due sorveglianti, che intanto avevano ripreso a chiaccherare tra loro, e prestavano scarsa attenzione ai prigionieri. Al nomento opportuno sarebbe bastato dare uno spintone al primo, che sarebbe finito addosso al secondo, per farli volare tutti e due giù. Frattanto il camion si fermò trabballando davanti al portone, ed i due soldati di guardia che lo sorvegliavano puntarono le armi, poi, dopo aver parlato con l' autista, le riabbassarono. Il camion si mosse, e Dino respirò forte, ma si fermò nuovamente quasi subito. A bordo salì un quartermaster inglese, che cominciò a contare i prigionieri:<<One..., two..., three,....four, five..., five..., six..., ...., seven>>. Ricontò, poi si irritò:<<Who is the seventh guy?......Chi è il settimo?>>. Dino capì che era inutile insistere, la battaglia era persa, e non poteva coinvolgere gli altri sei poveracci. Alzò le mani, poi si alzò in piedi lentamente. Il quartermaster sorrise soddisfatto, e gli domandò in italiano stentato <<pensi che gli inglesi non sanno contare?>>. Dino non rispose. Lui pensava che gli inglesi non sapessero fare molte altre cose, ma non era il caso di spiegarlo a quel babbeo. Invece aspettò che lo riportassero in cella senza battere ciglio. Temeva che ci fossero conseguenze gravi per quel tentativo di fuga, ma al contrario lo tolsero dall' isolamento e lo misero nelle celle comuni. L’ 11 Giugno, mercoldì, ci fu l’ ultimo interrogatorio. C’ erano 14 gradi, ed almeno per quelle parti era una giornata molto fredda. L’ ufficiale esordì dicendo: << conto sulla sua disponibilità a chiarire molte cose. Domani ci sarà il trasferimento nella sede finale, e la destinazione a cui verrà assegnato dipenderà appunto dal suo comportamento>>. Poi cominciò con la solita sfilza di affermazioni, a cui era sufficiente rispondere si. Tanto l’ inglese era tronfio di se stesso, e amava pensare di sorprendere l’ interlocutore con le sue intuizioni. Non faceva mai domande trabocchetto, come prevedono tutti i manuali sugli interrogatori. Dopo 20 minuti di botta e risposta, prevalentemente sulla organizzazione interna dei servizi segreti, il quartemaster estrasse dalla tasca l’ orologio, e controllò l’ orario. Dino sgranò gli occhi. Sembrava proprio il famoso cipollone che aveva dato al frate Adalgiso. Tra le dita dell’ inglese si vedeva un segno longitudinale inciso sulla cassa, che sarebbe stato difficle trovare su un altro trabocchetto. Fu un secondo, e riprese immediatamente la sua consueta fisionomia, sperando che quello dell’ orologio non fosse stato un trabocchetto. L’ inglese peraltro sembrava interessato unicamente alle lancette. Chiuse il coperchio del cipollone, e disse: <<ora discuteremo l’ ultimo punto: dove si trovava lei il 29.aprile.1941?>> <<Me lo ha già chiesto: ad Addis Abeba.>> <<L’ inglese tirò dalle tasche un libricino di appunti, li controllò, e proseguì: <<mi ha detto che doveva scoprire la stamperia del giornale Bandarachin>>. <<È vero>>. <<Questa operazione poteva essere affidata tranquillamente ai vostri carabinieri>>. <<Il fatto è che il mio capo, il Dt. Marchetti, sospettava che delle informazioni stampate dal giornale, venissero dall’ interno del palazzo governativo. Io dovevo scoprire questo canale, non arrestare il tipografo.>> <<Già, i vostri carabinieri sono troppo devoti alle Istituzioni per una operazione di questo genere, come dite voi, sono “istituzionalisti”>>. <<Diciamo qualcosa del genere, ma il mio capo non dubitava della fedeltà dei carabininieri, ma temeva che ci fosse un traditore nel palazzo del governatore, e che il rapporto dei Carabinieri sarebbe comunque finito in mano sua>>. <<E lei cosa ha scoperto?>> <<Nulla, perchè non 77 ne ho avuto tempo, sono dovuto fuggire prima che arrivassero i vostri soldati>>. <<Quando ha lasciato Addis Abeba>>. <<Nella tarda serata del 29>>. Il Quartermaster cambiò tono: <<lei ha avuto contatto con un agente inglese?>> <<no>>, mentì Dino. <<Non ha avuto notizia di un uomo inglese ucciso nel bar Balilla>>. <<Assolutamente no>>. <<È mai stato al bar Balilla?>> <<si, qualche volta, per prendere il thè>>. <<Il 29 marzo, nel Bar Balilla, sono stati uccisi due uomini, un inglese ed un italiano, li conosceva>>. <<Io non so che sono stati uccisi due uomini nel bar Balilla. Se lei mi dice i nomi, almeno l’ italiano potrei conoscerlo.>> <<il nome dell’italiano non lo conosciamo, e questa è una notizia che ho ricevuto da poco>>, disse l’ inglese seccamente. Dino pensò “o questo è un imbecille, o è furbissimo, e riesce a farmi dire tutto. Non ci sono vie di mezzo!”. Il Quartermaster proseguì: <<un uomo, un agente inglese, viene ucciso in un bar in compagnia di un italiano, e lei che lavora per i servizi segreti non sa nulla>>. <<Le ho spiegato che noi siamo molto compartimantalizzati, e ci conosciamo solo in occasione di operazioni che dobbiamo condurre in collaborazione. Solo il Dr. Marchetti ed i suoi superiori conoscono tutta la situazione degli agenti>>. <<È strano tuttavia, che lei fosse contemporaneamente ad un altro agente ad Addis Abeba>>. <<È anche strano che chiediate a me cosa faceva un vostro agente ad Addis Abeba>>. <<Veramente io le ho chiesto cosa faceva con quell’ italiano, non cosa faceva ad Addis Abeba!>>. In quel momento l’ inglese si rese conto di star parlando troppo, ed aggiustò la mira: <<che ha fatto lei nella giornata del 29?>>. Finalmente il Quartermaster si era svegliato, e poteva diventare pericoloso. Dino si organizzò velocemente la risposta: <<il 29 avevo già capito che la situazione per noi stava precipitando, ed ho cercato nel pomeriggio, informazioni sulla strada adatta per tornare ad Asmara>>. <<Dove le ha cercate?>> <<nel quartiere nero, dove alcuni informatori erano in contatto con i ribelli, e sapevano quali strade erano libere>>. <<Cosa ha saputo?>> <<che la strada per Asmara era piena di ribelli, e la sola strada libera era quella per l’ Amba Alagi>>. << quando è uscito da Addis Abeba>>. L’ inglese stava provando a farlo cadere in contraddizione! <<Quella sera stessa, molto tardi, in direzione dell’ Amba>>. <<Quando è arrivato all’ Amba?>> <<il 3 maggio, era giovedì>>. <<Che ha fatto nell’ intervallo tra il 29 aprile ed il 3 maggio?>> <<Ho girovagato per le campagne>>. <<Stia attento a non mentire! Lei non è mai arrivato all’ Amba Alagi, non risulta>>. <<Avevo un nome di copertura, Sergente Bongiovanni>>. <<Come si è procurato i documenti?>> <<li ho avuti ad Addis Abeba, nel quartiere nero. Si rimediano con pochi soldi dai falsari neri>>. <<È anche possibile che li abbia trovati durante la fuga in qualche convento!>>, borbottò l’ inglese, comunque, disse guardando Dino fisso negli occhi, chiunque sia stato non farà certamente più danno agli uomini di Sua Maestà>>. Dino cercò di controllare il suo sgomento. Temeva che la frase dell’ inglese fosse una allusione ben precisa ai frati collaborazionsti. Comunque il colloquio era finito: l’ inglese, visibilmente annoiato ed insoddisfatto, racolse le sue carte, e si alzo, dicendo: <<comunque, Sig. Tatti, non mi ha convinto, ed io non la agevolerò. Seguirà il suo destino>>. Si alzò, ed uscì seguito dal soldato, rinfilando l’ orologio nel taschino. Mentre lo riportavano in cella Dino rianalizzò i fatti: molto probabilmente l’ inglese non sapeva nulla di preciso, ed aveva soltanto provato a ricollegare la sua presenza ad Addis Abeba con il duplice omicidio del Bar Italia. Era strano che l’ ufficiale avesse alluso a quei fatti solo durante l’ ultimo interrogatorio. Probabilmente in quuei giorni era stato catturato qualche personaggio implicato nel complotto, ed aveva dato delle informazioni frammentarie. Appena fu in cella si rilassò e tornò sull’ argomento con più calma. In fondo quel povero investigatore dell’ esercito non poteva certo essere al corrente di complotti così più grossi di lui. Il complotto era difficile da interpretare: da una parte l’ inglese ucciso portava tranquillamente Mr Strong ad eccitare e sobillare le popolazioni indigene contro gli Italiani, dall’ altro portava i segreti della potentissima macchina bellica tedesca perchè fossero svelati agli Italiani ed ai tedeschi. Questo gioco era in parte gestito da un Generale traditore, vicinissimo al Vicerè. Tutti avevano interesse in questo gioco. Gli inglesi, i Tedeschi, il Generale, che probabilmente voleva colpire il Vicerè, tutti, non si capiva più nulla. Certemente l’ inglese ucciso era un doppio agente. L’ uomo chiave di tutto era Marchetti, che in effetti aveva avuto l’ informazione sin dall’ Agosto precedente, quando Dino gli aveva fatto pervenire quel maledetto messaggio, che sino adesso aveva seminato almeno tre morti. E stranamente non aveva messo in pericolo la vita di Dino. O nessuno era mai riuscito a collegarlo a tutta quella vicenda, o lo avevano lasciato in vita perchè speravano di sfruttarlo. Ma come mai l’ inglese aveva quell’ orologio. Era possibile che gli fosse finito tra le mani e non sapesse che cosa conteneva? Che fine aveva fatto frate Adalgiso? Comunque nella sua attuale condizione non poteva fare assolutamente nulla. Alla fine il sonno, ed il senso di impotenza lo presero, 78 e Dino si addormentò come un macigno. Finalmente venne il giorno del trasferimento per Tessenei. I prigionieri vennero messi su una tradotta. Il treno partì scricchiolando, con un grappolo umano stipato nei vagoni passeggeri, nei vagoni merci, brutalmente maltrattato dai neri, che finalmente potevano vendicarsi di chi gli aveva portato case, scuole, e schiavitù. Molti soldati si piazzarono sulle porte del treno, attaccati alle maniglie, per sorvegliare che nessuno saltasse dal treno in corsa. Altri si piazzarono ai finestrini, o sui balconcini che allora erano all' inizio ed alla fine dei vagoni, con fucili e mitragliette. Dino era in un vagone a tettoia, cioè chiuso sino all' altezza della cintola, con una tettoia sostenuta da paletti, come si usavano una volta in India. Se si fosse gettato dal treno in una scarpata, in una curva, quando il convoglio era costretto a rallentare, forse sarebbe potuto sfuggire un' altra volta. In fondo era saltato tante volte dal trenino del suo paese, per andare all' osteria. Si decise. Il treno stava per iniziare una curva, ed aveva già rallentato. Tra un paio di minuti sarebbe stato il momento adatto. Dino era pronto per scattare, ma improvvisamente un altro prigioniero, a pochi metri da lui, si gettò verso il bordo del treno, e saltò nella scarpata. Prima che il poveraccio avesse raggiunto il terreno, la testa gli scoppiò, trapassata dai colpi di una mitraglietta. Per Dino fu un segnale inequivocabile che il destino gli aveva mandato, e proseguì il viaggio verso Tessenei, ormai rassegnato. Avebbe cercato una occasione migliore . A Tessenei i prigionieri rimasero circa 20 gg. Dino, come faceva sempre, forse per rimuovere l' angoscia, si dedicò alla ricerca del cibo, e se la cavò bene. Ma la situazione stava precipitando. Addio Eritrea, Tripoli, e tutto quello che la retorica fascista aveva fatto sognare a quegli uomini. Dovettero partire per il Sudan, e vennero scaricati nel mezzo del deserto, ad Aiaerba. Li i prigionieri vennero piazzati sotto tende di stuoia a morire di fame. Si sopravviveva con quel poco che era possibile avere: cipolle e patate secche. Dino era ormai in una situazione critica, ed il suo ottimismo era alle corde: dovette vendere quel poco che gli era rimasto, due coperte, in cambio di quelle schifezze. Non aveva scelta! siccome però era un buon affarista (il padre era commerciante, e buon sangue non mente!), riuscì a farsi dare anche un cono di zucchero ed un cono di thè. L' essere sardo poi lo aiutò. Due suoi corregionali, ufficili medici, che godevano dei privilegi della categoria, gli volevano bene, e gli regalarono qualche rupia, con cui comprare qualcosa. Solo che, in quella condizione di oggettivo disagio, era difficile anche aver da mangiare. Se avesse tentato di cucinare di giorno, gli altri avrebbero capito l' antifona, e sarebbe stato duro. Dino dovette lottare a lungo contro la paura, il desiderio di sopravvienza, ed il desiderio di giustizia. Alla fine decise di mettere a parte due amici intimi, e divise il magro bottino con loro. Questa storia durò sei mesi, di angoscia, paura e complicità. Alla fine fu una liberazione, quando, dopo 6 mesi, gli inglesi decisero di deportarli a Porto Sudan. La sera prima di giungere a Porto Sudan si fece una tappa. Era ormai l’ imbrunire e la carovana stava per fermarsi, quando Dino sentì una voce inconfondibile:<< a frate’, che ssi ttu?>>. Si girò di scatto, e dietro di lui c’ era il frate, quello a cui aveva dato l’ orologio. L’ uomo aveva un rosario nelle mani, e dispensava segni di croce. Si avvicinò a Dino, benedicendolo:<<fratè, nun te pozzo fa gnente>>. <<Che fine ha fatto l’ orologio?>>. L’ uomo estrasse il cipollone, e disse ad alta voce: <<so le cingue, angora ddu ore de strada e semo rivati>>. Dino respirò di sollievo. <<Non lo hai consegnato?>>. Era ovviamente una domanda retorica. <<No, ma so’ riuscito a famme mette tra li aiuti spirituali de li prigionieri. Mo vedemo che pozzo fa>>. Dino pensò al rischio che stava facendo correre a quel disgraziato, ignaro, e gli disse:<<ridammelo, ci penserò io>>. Il fraticello lo fissò con uno sguardo intenso, e con un tono di voce totalemente diverso, e senza nessuna inflessione dialettale, disse:<< non essere precipitoso, farò un ultimo tentativo, e ti farò sapere se ci sono riuscito. Se andrà male cercherò di darti una possibilità di riprovare>>. E mentre Dino lo fissava esterrefatto, si allontanò benedicendo. Quando si fermarono per la notte Dino, che non aveva smesso un secondo di riflettere, rimase seduto ad aspettare il frate. Dopo mezz’ ora cominciò a venirgli sonno. Mentre stava per chiudere gli occhi sentì del movimentoe vide passare, alla luce dei fari delle camionette inglesi, Frate Adalgiso, ammanettato, e scortato da due soldati armati sino ai denti. I tre si infilarono in una tenda, e la luce rimase accesa a lungo. Quella notte non c’ era tanto freddo, ma Dino era ghiacciato! Il tempo fu interminabile. Dino era rtassegnato: il povero Adalgiso, o chi diavolo fosse, non avrebbe resistito a lungo, ed inevitabilmente avrebbe parlato. Era ormai rassegnato a finire di nuovo davanti ad un Quartermaster, e poi chissà dove, e non vedeva via di uscita. Un uomo, sdraiato in terra vicino a lui gli domandò:<<che fai, non dormi? Guarda che domani questi fottuti ci faranno schiattare dalla fatrica! 79 Hai una sigaretta?>> Dino scrollò le spalle, e l’ altro continuò: <<hai visto quel frate, chissà che cazzo ha combinato?-poi, dopo una pausa-quello deve essere un collaborazionista od una spia, e se parla vedrai che casino succede>>. Poi si stirò ed aggiunse: <<Boh, tanto non ci riguarda, abbiamo altri cazzi da pensare!>>. A Dino, nonostante la gravità del momento, venne da sorridere. Passò ancora del tempo, ed il tizio cha aveva parlato prima russava come un grammofono con la puntina fuori sede. Dino iniziò a rianalizzare gli eventi, iniziando dal dead drop a Massaua. Ad un tratto mise a fuoco un particolare che lo aveva colpito da quando aveva bussato alla porta del convento del Buoni Frati di Quoram: Frate Adalgiso assomigliava al barista del Bar Balilla, ed aveva la stessa corporatura del quinto passeggero del treno di Massaua! Ecco chi era il sesto uomo della lista trovata sul corpo di N-2, Luciano Vittori, l’ agente che non aveva mai conosciuto. La tenda dove avevano condotto il frate si apri improvvisamente, ed Adalgiso uscì, seguito dai due soldati che gli tenevano le armi spianate addosso. Dino osservò che gli avevano tolto le manette. Il trio si diresse verso una delle camionette parcheggiate, dove un altro militare aspettava con il motore acceso. Mentre camminavano il frate estrasse il famoso cipollone, e lo osservò, poi lo riinfilò nel saio. Il resto della scena si svolse in una manciata di secondi: Frate Adalgiso si girò di scatto, strappò il fucile dalle mani di uno dei due soldati, colpì violentemente con il calcio lui ed il suo collega, e fece fuoco sul soldato vicino alla camionetta, che cadde morto. Poi raggiunse velocissimo la Jeep, saltò a bordo e partì a tutta velocità. La corsa durò pochissimo, perchè le guardie inglesi si resero conto dell’ accaduto, ed iniziò un fuoco concentrico sulla jeep in fuga, che sbandò finendo con violenza su un’ altra, per lo scoppio di una gomma, e le due macchine presero fuoco. Frate Adalgiso era stato sbalzato in terra prima dell’ impatto, si rialzò, e si buttò senza esitazione tra le fiamme, prima che potessero colpirlo. La scena si era svolta a circa 300 metri da Dino, ed era stata illuminata dalle fotocellule. Per tutta la notte vi fu un viavai di soldati per tentar di spegnere l’ incendio. Vi riuscirono solo al mattino, ma le camionette, e l’ occupante, erano divenute irriconoscibili. Dino era rimaso impietrito. Ormai tutto era finito, ma se frate Adalgiso aveva parlato prima di morire, il futuro di Dino non sarebbe stato facile. Ma la mattina dopo si ripartì normalmente, e nessuno interrogò mai più Dino. Frate Adalgiso non aveva tradito! Ma chi era Luciano Vittori? Dino, tornato in Italia tentò di scoprirlo invano. Frate Adalgiso, del Convento dei Buoni Frati di Quoram non era mai esistito, ed il barista del Bar Balilla era un ragazzo negro di 16 anni! Dopo molte ricerche scoprì un Luciano Vittori, ma era un contadino della bassa padana, morto a settantanni cadendo da un trattore. La mattina successiva, al porto, i prigionieri vennero imbarcati sull' incrociatore Charleston, insieme a 700 funzionari civili, proveneinti dai vari governatorati dell' Africa Orientale. Appena il Charleston si mise in moto si aggrgarono altri due incrociatori, ed il convoglio si diresse verso una meta ignota. Quando entrarono nel mar Rosso iniziò la navigazione a Zig-Zag, ovviamente per evitare di essere localizzati dai sommergibili nemici. Tutti gli uomini erano in una situazione paradossale: avrebbero voluto vedere le navi inglesi in pezzi, e non potevano permettersi di desiderarlo. Comunque andò bene ed entrarono nell' Oceano Indiano. La navigazione durò otto giorni, ed i prigionieri rimasero rinchiusi nella stiva. C' era un caldo infernale, e gli infami inglesi davano soltanto del thè, che i prigionieri regolarmente disperdevano con il sudore nel giro di mezz' ora. Dino perse 23 chili! Alcuni, meno robusti morirono, ed altri arrivarono a destinazione moribondi. Oltretutto gli inglesi costringevano i prigionieri a salire in coperta per far le prove generali di evacuazione della nave in caso di siluramento. Salire in coperta trafelati, stremati dalla stanchezza, per mettere i giubbotti salvagente con un caldo infernale, e tenerseli addosso mezz' ora, simulando una evacuazione, era una prova veramente brutale. Tutti i prigionieri odiavano gli inglesi, e Dino li disprezzò tutta la vita: diceva che erano disumani. E c'è da credergli. Dino però aveva ritrovato un motivo di speranza. Se il siluramento fosse avvenuto, i sommergibili avversari si sarebbero poi fermati a raccogliere i superstiti. Una volta a bordo del sommergibile era fatta. Si rientrava alla base, e si vedeva la fine della guerra dalla parte dei vincitori. Così Dino trovò un motivo per partecipare alle esercitazioni, ed una buona ragione per sopravvivere. Tra i priglionieri cominciò a correre la voce che il convoglio fosse diretto verso il porto di Bombay. Prima dell' arrivo al porto, l' ultimo incrociatore del convoglio venne silurato. I poveracci chiusi nella stiva, che avevano fatto le esercitazioni, non riuscirono neppure ad uscire alla luce del sole. Creparono direttamente dentro la stiva, come topi nelle gabbie. Si salvarono solo alcuni ufficiali inglesi. Dino ed i sui compagni riconsiderarono l' aspetto positivo della vicenda. 80 Dino si sarebbe ricordato quel viaggio, oltre che per l' orrore dell' affondamento, in cui morirono dei sui amici, anche per un' altra vicenda, in cui la gola gli giocò un brutto scherzo. Prima di attraccare nel porto, gli inglesi dettero del burro ai prigionieri. Dino capì al volo che stava per arrivare il cibo, con il suo spiccato sesto senso per la sopravvivenza, e saltò come un capriolo, ed arraffò un grosso pezzo di burro, che trangugiò intero, senza masticare. Poi pagò il prezzo di quella bravata scon una diarrea terrificante, che durò delle ore, e che lo lasciò completamente distrutto. Comunque finalmente scesero dalla nave, circondati da due ali di soldati scelti indiani (Gurgas), truppe di alta montagna. Avevano un pennacchi sul cappello, ma non somigliavano agli alpini. Scortarono i prigionieri sino alla stazione di Bombay, dove era stata convogliata anche la popolazione inglese, ed in particolare i notabili, per mostrare quanti selvaggi italiani fossero stati catturati. Gli italiani furono costretti a sedere in terra. Se qualcuno doveva andare in bagno (e succedeva spesso, per la faccenda del burro), veniva scortato da tre soldati indiani (quelli con la penna, la caricatura degli alpini), con la baionetta spianata. Alla fine qualcuno si degnò di avvisare i prigionieri che dovevano prendere il treno, e gli impose di togliere le scarpe e consegnarle. Dino ricordava con terrore la puzza. Il treno partì, con un grappolo di poveri diavoli, che avevano il solo torto di essersi trovati dalla parte sbagliata del tavolo di gioco dei drandi del mondo. Ogni volta che il treno si fermava, si vedeva un filo di fumo, ed i poveri prigionieri, ormai disidratati, speravano di vedere arrivare del thè. Ma il thè non arrivò mai, ed i poveracci vennero umanamente lasciati a digiuno per i tre giorni del viaggio. Solo poco rima dell' arrivo passarono un po' d' acqua, neanche molto pulita. Poi il treno arrivò sferragliando a quella che si diceva fosse la destinazione definitiva. Quando i prigionieri scesero dai vagoni arroventati gli inglesi ridistribuirono le scarpe, ed a Dino dettero due sinistre. Scoprì che gli inglesi non accettavano reclami, e dovette proseguire con la scarpa sinistra infilata, e la pancera arrotolata sul piede destro. Ovviamente da qualche parte ci doveva essere qualcuno che tentava di camminare con due scarpe destre, ma non era facile trovarlo, e quindi Dino dovette fare tre chilometri di marcia con una pancera ed una scarpa. Era soltanto l' inizio ! i sopravvissuti al caldo, alla diarrea, alla fatica, arrivarono finalmente al campo di concentramento, che era solo terra nuda, anzi cemento. Per un mese i prigionieri dormirono sulla terra, senza branda nè materasso, nè cuscino.Gli inglesi dicevano loro di non lamentarsi, perchè avevano due coperte a testa. Dopo due mesi finalmente vennero distribuite le brande, un pezzo di tela di 50 x 100 cm, retti da due legni incrociati (Anghereb, in lingua locale), che comunque rappresentavano per quei poveracci la fine di un incubo. Certamente la situazione era disumana, ma si trattava di sopportare ancora per poco. Prestissimo la gloriosa armata Italiana sarebbe arrivata a liberare i prigionieri, e tutti sarebbero andati via. Dovevano solo sopportare un altro po', ed adesso era più facile con le brande. La previsione si avverò parzialmente il mese dopo. Andarono via. Gli inglesi, con la solita delicatezza li intrupparono, li controllarono, e li ritrasferirono in una altra località, Bairagar. Arrivarono, ancora falcidiati dal caldo, e qualcuno ci lasciò la pelle nel traferimento. Gli inglesi buttarono semplicemente i cadaveri dal treno. Dino era per natura un ottimista, e credeva in una rapida soluzione positiva, ma sta di fatto che ogni alba era uguale. Secondo alcuni ben informati tutti gli spostamenti servivano agli inglesi per sfuggire agli Italiani che stavano inseguendoli. Comunque i sopravvissuti, con due coperte ed un Anghereb, arrivarono a Deoli, campo di concentramento da cui era ripartito la settimana prima il Mahatma Ghandi, anch' egli ospitato cordialmente dagli Inglesi. Erano rimasti però dei tedeschi, che non fraternizzarono gran che con i nuovi arrivati. Dino ebbe fortuna. Dopo una settimana giunse una commissione della CRI, che in base a documentazioni, probabilmente fabbricata a scopo umanitario, riconobbe loro la qualifica di civili. Questo significava la libertà di uscire durante tutto il giorno 15 miglia intorno al campo. Non è che fosse un gran vantaggio. La temperatura era torrida, e dopo i primi passi la stanchezza li stremava. Comunque aiutava certamente a sopportare la situazione. Tanto l' armata italiana.......... Ebbero anche in dotazione delle zanzariere, che non servivano tanto per le zanzare, quanto per i serpenti. Gli inglesi furono chiari sin dall' inizio: ognuno doveva pensare a se stesso. Loro avrebbero fornito un po' di farina e delle patate secche. Di carne neppure a parlarne, perchè gli indiani consideravano sacri i bovini, le rane, i colombi, insomma qualunque animale. L' unico modo per procurare la carne era quello di farla venire da fuori in celle frigorifere. Però, se gli Indiani l' avessero scoperto sarebbe successa una tragedia. Già in precedenza gli inglesi avevano avuto una esperienza tragica: il comandante locale aveva fatto ingrassare le armi con grasso animale, ed era scoppiata una rivolta. Prima che venisse sedata ci erano stati 15 morti, in parte 81 \\ inglesi, ed era stato necessario allontanare in gran fretta il comandante colpevole di sacrilegio. No, di carne non se ne parlava, e chi non era vegetariano era meglio che ci diventasse! Nel campo c'erano 700 italiani, numerosi tedeschi, provenienti da isole del pacifico, francesi, russi che erano finiti in cina durante la rivoluzione sovietica, e rappresentanti di molte altre popolazioni. Dino avrebbe preferito non conoscerli, ovviamente, ma si trattò di una esperienza importante, che gli permise di comprendere gli uomini delle diverse nazionalità, e le ragioni della loro storia nazionale. Vi era anche una varietà di livelli culturali: missionari, operai, tecnici, un gruppo di ingegneri catturati in Persia, e consegnati dai russi agli inglesi. Tutti questi esseri, catapultati in quell' angolo di terra da un destino assurdo, se volevano sopravvivere dovevano rimboccarsi le maniche. E lo fecero. La terra a Deoli si prestava molto a fare mattoni (era argillosa). Con del legname costruirono dei carri, ottennero delle vanghe dagli inglesi, e cominciarono a preparare i mattoni. Poi fecero un forno per cuocerli. Ormai il sogno della immediata salvezza era finito. Anche i più pervicaci avevano capito che la prigionia sarebbe stata lunga e dura. Gli inglesi si ammorbidirono, e cominciarono a familiarizzare con i prigionieri. I mattoni erano riusciti molto bene, e furono la fortuna dei prigionieri. Piacquero molto agli Inglesi, che come noto amano molto le case in muratura, i cottages, e la voce si sparse presto. Vi furono delle ordinazioni di mattoni da fuori, e la cooperativa dei prigionieri iniziò ad incassare delle rupie. La colonia costruì un bar, una mensa, una cappella. Fecero una statua del Redentore di 2 metri e 50, ed il Vescovo di Ashmer, una cittadina vicina, venne a benedirla. Il dramma era l' acqua, ma da quella folla eterogenea vennero fuori dei rabdomanti, che per bravura, o per fortuna, trovarono l' acqua. Ovviamente si dovettero scavare i pozzi a mano nuda, perchè gli inglesi, familiarizzati o no, non dettero loro materiale esplosivo. Gli inglesi avevano predisposto una area molto grande a campo sportivo, ma i prigionieri chiesero, ed ottennero, di trasformarlo per metà in orto, (pomodori, papaie, banane ed altro). Avevano anche poca farina, perchè i mezzi di purificazione del grano erano molto rudimentali, e la maggior parte diveniva crusca. Allora la Lobby del campo decise di metterla da parte tutta, per fare invece la pasta la notte di Natale. Doveva essere una sorpresa. Ogni tanto negli angoli del campo si parlava di questa sorpresa, che ci sarebbe stata la notte di natale. "però non dirlo a nessuno, mi raccomando, sai non potrei dirtelo" . Alla fine comunque diventò il segreto di pulcinella, e chiunque ne veniva messo a parte lo sapeva già. A questo punto la faccenda cominciò a diventare misteriosa. Circolava la voce che ci sarebbe stata la pastasciutta "al verde". Si diceva che avrebbero mischiato le foglie di patate americane con la farina. La notte di Natale tutti i prigionieri giravano intorno alla mensa. A mezzanotte del 24 Dicembre del 1943 circa 1200 persone aspettavano seduti alla mensa la famosa sorpresa. Ma ci si rese conto che le cucine non avrebbero potuto servire tutti insieme, perchè la legna del fuoco non bastava. Serire solo alcuni avrebbe destato dei malumori. Insomma la famosa pasta arrivò soltanti alle 13:00 del 25 Dicembre, ed i prigionieri rimasero in piedi, tutta la notte e la mattina. Moltissimi dormirono sui tavoli, ma nessuno lasciò quella mensa. La situazione dei prigionieri in generale non era cattiva. I ricchi Marajà locali si contendevano le capacità dei prigionieri, che erano architetti, ingegneri, operai, pittori. Questi uomini ingegnosi avevano costruito dei piccoli edifici, molto belli, che adibivano ad esposizione di quadri, e li inauguravano facendo tagliare il nastro tricolore ai graduati inglesi. Poi ovviamente qualcuno comprava i quadri, e la comune prosperava. Ovviamente anche nel campo succedevano storie cupe, ma Dino ne stette sempre fuori con grande abilità. Il suo tormento, e quello del suo clan, era sopratutto quello di non poter mangiare la carne. I colombi oscuravano il cielo..., ma erano sacri! era dura rinunciare a quel ben di Dio. Un sistema per mangiare la carne ci doveva pur essere. Li aiutò l' ingegno. Poichè la siccità estiva in quei posti era miciadiale, erano stati costruiti moltissimi pozzi artesiani, con l' interno in muratura, ed i colombi, probabilmente attirati dal fresco, durante le ore più calde vi si posavano e vi nidificavano. Il Clan di Dino si organizzò. Acquistarono dei sacchi di Iuta. e delle corde robuste. L' operazione "colombi" era abbastanza semplice in teoria. Uno dei compari si sarebbe fatto legare, a turno, sarebbe stato calato nel pozzo con un sacco, ed avrebbe prelevato i colombi. Il problema grosso erano gli indiani. Se avessero scoperto la faccenda li avebbero sgozzzati vivi. Gli uomini della operazione colomba si divisero in due gruppi. Un gruppo doveva distrarre gli indiani. Scelsero dei napoletani esperti in contrattazione, che offrivano a prezzi allettanti delle lenzuola. La faccenda funzionò, ed il gruppo dei razziatori riuscì a riportare alla base molta carne. Durante la notte cucinarono il malloppo, e poi all' alba digerirono interrando le penne. Ovviamente il primo successo li incoraggiò, ed addio buon senso e moderazione. Nel giro di pochi mesi i colombi diminuirono sensibilmente, ed esisteva il rischio 82 reale che gli indiani se ne accorgessero. I congiurati decisero di iniziare l' operazione "Pavone". Oltretutto i pavoni, a parere della maggioranza, erano più buoni. Solo che i Pavoni erano il Top per gli indiani, che li tenevano nelle cappelle, e li adoravano. Non era una faccenda semplice. I congiurati dovettero moderarsi. Ed oltretutto l' operazione volse rapidamente alla fine, perchè il rischio era eccessivo. Dovettero dare inizio alla operazione "ranocchie". Il gruppo dei carnivori si nutrì ancora per molto tempo di ranocchie impanate e fritte. Nel Marzo del '43 il comandante inglese informò tutti che l' Italia si era arresa senza condizioni. La botta fu molto dura, ma la vita doveva proseguire, anche se questo metteva i prigionieri italiani in condizione di indiscutibile debolezza morale ed oggettiva. Per molti di loro fu la fine di un sogno. Dovevano ricomiciare da capo, con la coscienza di non avere più nulla alle spalle, se non un sogno finito. Dino insegnava lingue, l' Italiano. Come tutti gli insegnanti aveva dei vantaggi, e rimediava qualcosa dal cuoco, o un paio di pantaloncini dal sarto. Insomma sopravviveva. Aveva avuto il permesso di uscire dal campo per qualche chilometro, perchè tanto gli inglesi sapevano benissimo che i prigionieri non sarebbero andati lontano: i due che ci avevano provato erano finiti male, uno ucciso dalle guardie indiane, l' altro da un serpente. Intanto lo squadrone dei carnivori aveva ripreso ad agire, questa volta contro i serpenti. Oltretutto erano pure pericolosi, ed avevano una carne dal sapore eccellente. Al convivio un giorno venne servito un coniglio selvatico. Dino non partecipò alla caccia, ma solo alla cena, e lo trovò gradevolissimo. Secondo lui si doveva iniziare la caccia al coniglio, che decisamente aveva una carne migliore. Il cuoco però spiegò che era un gatto selvatico, bellissimo, e molto pesante. Intanto nel campo vennero affissi dei messaggi in inglese. Si offriva una mancia a chi avesse trovato il gatto del comandante inglese. Era sparito la sera prima della cena col coniglio. Il comandante fece delle riunioni con i prigionieri, in singoli gruppi, per spiegare come era fatto il gatto scomparso. La moglie, sempre presente piangeva. Ogni volta c' era un interprete che traduceva nella lingua dei convocati, per essere sicuri che tutti capissero. Ovviamente il gatto non si trovò mai. Alcuni cercarono di far passare alcuni gatti selvatici per il megnifico soriano della cena. I congiurati, passato l' iniziale paura di essere scoperti godettero dell' affronto che avevano fatto all' odiato inglese. E fecero sparire le ossa sbriciolandole, perchè la rappresaglia poteva essere terribile 83 84