Anteprima Estratta dall' Appunto di Storia
economica 1
Università : Università degli studi di Napoli
Facoltà : Giurisprudenza
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Dettagli del libro
Titolo: Le prime rivoluzioni industriali
Autori: Peter Mathias, John Davis
Curato da: Di Vittorio A.
Traduttore: Cancello A.
Editore: Cacucci
Edizione: 3
Data di Pubblicazione: 2000
ISBN: 8884220505
ISBN-13: 9788884220509
Pagine: 200
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Materia: Storia Economica
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CAPITOLO 1: LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE: TRA CONCETTO E REALTÀ
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Il termine “rivoluzione industriale” è tradizionalmente usato per indicare le fasi iniziali del processo a lungo termine
di
industrializzazione che ha segnato la storia non solo economica, della Gran Bretagna e del mondo intero.
Grammaticalmente e metaforicamente questo non è il termine ottimale dato che “rivoluzione” si riferisce ad un
cambiamento repentino, ad una conversione o ad un ritorno al passato, ma ormai la tradizione lo ha consolidato al
suddetto
fine.
Per comprendere a pieno il significato di questa denominazione è necessario far riferimento a dei criteri specifici tra i
quali i più idonei sembrano essere:
• maggior tassi di crescita dell’economia nel suo complesso;
• e strettamente collegati ai primi - cambiamenti strutturali che si manifestarono nel 18° secolo in Gran Bretagna,
per poi diffondersi in tutto il mondo.
Considerando la prima questione, si deve però subito precisare se il concetto dei più elevati tassi di crescita riguarda
l‟espansione globale dell‟economia o l‟espansione della popolazione in termini di produzione pro-capite. Il “reddito
nazionale
pro-capite” è il modo convenzionalmente accettato in cui è misurata la ricchezza relativa delle nazioni, il meno
problematico
e il più comunemente adatto alle misurazioni quantitative.
La considerazione dei tassi di sviluppo pro-capite la cui traduzione in termini monetari è rischiosa, particolarmente
in
contesti antecedenti al 20° secolo, è necessaria per discernere tra espansione e sviluppo economico.
Si può avere espansione dell‟economia aggiungendo lavoro, capitale, terra e risorse agli esistenti metodi di produzione,
con
lo stesso tipo di organizzazione economica e di tecnologia. Può crescere quindi, come un pallone che si espande, ma
conservando la stessa forma. Un‟espansione economica di questo tipo, in particolare in un‟economia prevalentemente
agricola, di solito avviene estendendo l‟area di insediamento e di coltivazione, a livelli fissi o che si muovono solo
lentamente.
E‟ improbabile che un tale processo di cambiamento produca crescita, nel senso che aumenti la produzione pro-capite
(perché, particolarmente in agricoltura, l‟estensione della coltivazione può interessare terre meno fertili).
Ricorrenti crisi di risorse naturali sono di solito emerse in un contesto di crescita esponenziale senza cambiare la
matrice
tecnologica o la risorsa di base – sia essa la scarsità di legno nel 16° secolo, o di petrolio alla fine del 20° secolo.
Le scarsità che si sviluppano nei fattori di produzione condurranno ad aumenti di prezzi, creando incentivi affinché la
sostituzione e i cambiamenti della matrice tecnologica e della risorsa base facciano superare le restrizioni. Lo
sviluppo
economico può essere così incoraggiato in un contesto di espansione economica.
Lo sviluppo economico implica cambiamenti nella natura dell‟economia che permettono un aumento nell‟efficienza del
sistema, un rialzo della produttività che veramente sollevi il reddito pro-capite.
Ciò implica nel lungo periodo , un cambiamento in tutti – o almeno nella maggior parte – dei rapporti economici di
base
(nuove fonti di energia, strutture istituzionali, sviluppo del sistema dei trasporti…).
Il cambiamento strutturale dell‟economia britannica si impernia proprio sull‟espansione dei mezzi impiegati e sullo
sviluppo che ne deriva, implicando miglioramenti tecnologici, nuove risorse base, nuovi modelli organizzativi, ecc.
Questo cambiamento strutturale ha come conseguenza la caduta della quota della forza lavoro e della produzione
nazionale
in agricoltura, favorita dalla crescente urbanizzazione e quindi da maggiori tassi di profitto dovuti alla nascente
industria.
LA PROTO-INDUSTRIALIZZAZIONE
Gran parte del progresso industriale britannico nel „700 si manifestò attraverso la c.d. proto-industrializzazione,
vale
a dire con l’espansione di industrie fondamentalmente artigianali. Processo denominato tale in un articolo da Franklin
Mendels nel 1972, intesa come l‟apprendistato chiave o l‟introduzione all‟industrializzazione propriamente detta.
Il classico modello lavorativo del tempo, infatti, era il “lavoro a domicilio” svolto da artigiani assistiti da organizzatori
commerciali che fornivano le materie prime e smerciavano il prodotto.
Altri elementi caratterizzanti la proto-industrializzazione erano la produzione metallurgica secondaria di Birmingham
e
Sheffield: piccoli oggetti metallici – chiodi soprattutto – insieme ad articoli di ferro come perni, serrature, componenti
metallici per le navi e per ogni tipo di orologi; l‟estrazione mineraria fatta da piccoli proprietari agricoli durante i periodi
invernali e l‟integrazione tra lavoro industriali ed agricolo che si ebbe con le prime fabbriche rurali.
La proto-industrializzazione creò nuova manodopera industriale qualificata e più di tutto una tradizione di lavoro non
agricolo indispensabile affinché la popolazione, fino ad allora prevalentemente contadina, potesse allontanarsi dalle
campagne per lavorare nelle nascenti fabbriche.
Allo stesso punto molti organizzatori commerciali, acquisita esperienza, divennero imprenditori e proprietari di opifici,
iniziando così la tradizione capitalista.
Lo sviluppo proto-industriale rivelò quindi, importanti relazioni dinamiche con la crescita demografica. Il Telaio e il
lavoro di
chioderia assegnato settimanalmente, divennero sostituti dell‟appezzamento coltivato a patate o del podere agricolo
troppo
piccolo per sostenere una famiglia. Una siffatta crescita industriale porto ad una certa integrazione tra la forza lavoro
industriale e quella agricola.
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