. . . Voce e azione!!. . capite?!!?!
Bozzetti, figurini e mise en scène nel dramma musicale verdiano
Giuseppe Verdi, Don Carlo, Spartito per canto e pianoforte. Frontespizio. Litografia di Francesco Gonin. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
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Correva l’anno 1853 quando il duca Carlo III di
Borbone firmava il decreto col quale nominava
l’illustre professor Girolamo Magnani «Direttore scenografo del Reale Teatro di Parma». Sino
a quel momento tale specifico ruolo non era mai
stato previsto e, in verità, fu lo stesso artista originario di Borgo San Donnino (l’attuale Fidenza),
consapevole dell’importanza di un unico responsabile della parte pittorica nelle rappresentazioni, a sollecitarne l’istituzione. Al tempo, in Italia
poche sale degli spettacoli vantavano simile figura
e nemmeno a Parma, città con alle spalle una gloriosa tradizione di importanti scenografi, si era
mai assunto un professionista addetto al coordinamento degli aspetti pittorici teatrali. La scelta del
Magnani risultò assai felice, anche perché l’artista si mostrò in perfetta sintonia con l’astro musicale del momento, Giuseppe Verdi che, quando si
trattò di allestire Aida al Teatro alla Scala di Milano, non ebbe dubbi nell’imporre lo scenografo.
Per l’artista fu un trionfo grandioso e il pubblico,
non avvezzo a chiamare alla ribalta gli scenografi,
in quella circostanza non esitò a tributare feste e
onori al Magnani che, peraltro, aveva dipinto le
tele proprio nello storico atelier scenografico del
nostro Regio. L’attenzione per la musica di Verdi
cresceva sia in campo nazionale che internazionale e lo stile del compositore trovava contestualmente proprio in Girolamo Magnani l’interprete
visivo più efficace. In una lettera a Giulio Ricordi
del dicembre 1871, il compositore avrebbe definito Magnani uno scenografo «della razza di quelli cui il razionalismo dell’epoca non ha spento il
fuoco sacro» e che «sente; sente giusto; ragiona
poco e fa molto». Verdi e Magnani procedevano
nel solco dell’affermazione del realismo sentimentale. Finito il tempo del sogno, del virtuosismo
Michele Lopez a Girolamo Magnani, Parma, 20 marzo 1853.
Eredi Luigi Magnani-Milano.
mirabolante e dell’ingegno delle macchine, andavano entrambi verso una direzione che prevedeva
la partecipazione emotiva del pubblico ai casi dei
personaggi in scena. Per questa ragione, le vicende del palcoscenico non potevano più essere quelle
mitiche e irreali dell’opera barocca, ma era indispensabile che il luogo dell’azione fosse popolato
da figure che sempre più si avvicinavano alla normalità quotidiana, mosse da impulsi e motivazioni
che dovevano corrispondere al sentire degli spet-
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tecnico dell’andata in scena risultava essenziale ed
ecco che macchinismo, attrezzeria, luci e costumi
si rivelavano degni della massima cura e trovano
in Verdi il loro più alto sostenitore e paladino.
Lo spettacolare sviluppo assunto dagli studi
dell’opera del Maestro, che ha portato a una rivisitazione pressoché totale di tutte le componenti
della produzione del compositore, ha dato luogo
a un radicale mutamento nel modo d’intendere
e di valutare la figura dell’artista. L’immagine
di un Verdi geniale, ma istintivo, preoccupato
di dar vita all’aspetto esclusivamente vocale dei
personaggi – soprattutto l’immagine di un autore
popolarmente «facile» e quindi indegno di essere
avvicinato con i più sottili strumenti di indagine
storica e culturale – è stata gradualmente sostituita da quella di un compositore la cui padronanza
del mestiere è pari soltanto alla complessità del
linguaggio musicale che Verdi costantemente attua, già a partire dalle prime manifestazioni del
suo talento. L’artista si rivela insomma sempre
più un uomo di teatro capace, come pochi altri
nell’intero arco della storia della musica, di do-
tatori e farsi interpreti del palpitante momento
storico. Per rappresentare un mondo siffatto non
serviva l’abilità ingegneristica o l’estro paradossale di architetti-scenografi ma, piuttosto, l’abilità
pittorica nel rendere con verosimiglianza la natura, l’architettura degli esterni e degli interni, la
foggia dei costumi, nonché la sapienza nel dosare
e nell’accordare le forme, i colori e gli effetti delle
luci in funzione della resa sentimentale.
Sempre, anche dopo la scomparsa del Magnani, Verdi si sarebbe interessato vivamente alle
componenti visive della messinscena e a Milano
avrebbe trovato un altro pittore di formazione
parmigiana, il mantovano Vittorio Rota, quale
interprete privilegiato per la realizzazione del
proprio mondo teatrale.
Come per l’aspetto pittorico, Verdi prestava attenzione a ogni singola componente dello spettacolo lirico – così come testimoniato da alcuni suoi
scritti appartenenti alla Sezione Musicale della
Biblioteca Palatina esposti in mostra – e qualsiasi
particolare era oggetto di discussione, soprattutto
con l’amico-editore Giulio Ricordi. Ogni elemento
Girolamo Magnani (1815-1889), acquerelli scenografici. Collezione privata.
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Vittorio Rota (1864-1931), acquerello scenografico. Collezione privata.
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minare la materia sonora per farla diventare veicolo del dramma. In questo senso si deve intendere l’originalità di Verdi e insieme la forza del suo
messaggio artistico, in grado di giungere senza
esitazione a un tempo come il nostro, tanto diverso, a volte persino diametralmente opposto al
suo. L’attenzione del compositore si rivolge con
eguale intensità alla struttura drammatica della
vicenda, alla sua organizzazione, alla versificazione, all’ideazione della partitura in un costante
bisogno di «dir meglio»; infine alla concreta realizzazione di questo concetto sul palcoscenico,
attraverso il canto, ma anche il gesto dei personaggi; attraverso i loro movimenti, attraverso il
gioco delle luci e dei colori, attraverso il disporsi
delle masse corali e delle comparse.
Di tali aspetti è proprio l’ultimo, quello visivo, ad
aver ricevuto a tutt’oggi minor attenzione, sebbene illuminanti, splendidi saggi avessero da tempo
indicato come anche su questa strada la messe di
scritti – e soprattutto la sua importanza nel contesto del carteggio verdiano – fosse ricca e suscettibile di decisivi futuri sviluppi. E neppure mancavano le indicazioni, nel materiale documentario
Giuseppe Verdi, Rigoletto, riduzione per canto e pianoforte, Milano, Ricordi [1850]. Frontespizio.
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
da tempo disponibile, che chiaramente facessero
intendere come, fin dall’inizio della sua carriera,
Verdi avesse compreso che la composizione scenica
e visiva era parte integrante e determinante dello
spettacolo, elemento costitutivo in quella concezione globale del dramma in musica sino a diventare
la caratteristica fondamentale della sua poetica.
Quando poi Verdi incontra la pratica teatrale
Giuseppe Verdi, Un ballo in maschera, riduzione per canto e pianoforte, Milano, Ricordi [1865]. Frontespizio. Litografia di Focosi. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
Carlo Martini (1798 ca.-post 1858), figurini per l’opera Rigoletto di Giuseppe Verdi, acquerelli, 1854.
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
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sua fantasia, per quanto riguarda la musica.
Le considerazioni di Verdi sono sempre senza incertezze, guidate da un principio fondamentale:
la funzionalità drammatica dell’aspetto visivo; è
la cosa più importante, anzi il criterio determinante nella formulazione stessa del giudizio. Non
solo, ma anche una spazialità, ovvero una dimensione della scena tale per cui l’azione, cioè l’insieme dei movimenti dei personaggi, vi si possa stagliare con la massima evidenza. È una concezione
eminentemente dinamica dello spazio scenico;
questo deve servire infatti alla caratterizzazione
complessiva dell’evento drammatico. Si tratta di
intuizioni geniali che, tuttavia, per questi aspetti,
fecero del «solitario» Verdi sostanzialmente un
incompreso fra i suoi contemporanei.
francese viene in rapporto con tutta una serie di
procedure, di convenzioni, di modi di agire completamente ignoti al teatro d’opera italiano, con
un ricco armamentario tecnico, in buona parte
legato alle differenze nel concetto stesso di spettacolo fra le due tradizioni culturali. Tuttavia questi strumenti del mestiere che il compositore viene
man mano scoprendo possono servire in maniera
egregia alla rivoluzionaria concezione del teatro in
musica che il compositore era andato autonomamente elaborando già prima dei soggiorni francesi.
Il livret de mise en scène, che documenta passo per
passo lo svolgersi dello spettacolo parigino, diventato disposizione scenica, è strumento ideale per
far sì che pure l’aspetto visivo dell’opera verdiana
venga precisamente determinato contemporaneamente alla creazione della partitura, in completa
sintonia con quanto il compositore ha deciso con il
librettista, per quanto riguarda l’azione, e con la
Angela Spocci, elaborazione del testo
Paola Cirani, ricerca storico-documentaria
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mie intenzioni (e son molte) nel Duetto nuovo.
Povero Duetto! Non avrà certo quel successo
che forse potrebbe avere. Concludiamo. Fate
quel che credete meglio. Vedrò più tardi quel che
dovrò fare io. Intanto per le scene non dico quel
che mi pare o non mi pare buono. Dirò solo che
la prima scena, la Tomba dovrebbe essere meno
di fianco. Tutti gli spettatori che sono alla diritta
della platea non vedranno senz’allungare molto il collo. Questa scena tien poi un’importanza
grande nella fine…
Sempre vostro
G. Verdi
N. 6 lettere di Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi.
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
1.
St Agata 23 set 1883
C. Giulio
Vi rimando li schizzi senza averli esaminati attentamente, e senza darvene un giudizio. Prima
perché non me ne intendo; poi perché voglio conservare la mia libertà d’azione Non so come venne l’idea di dare il D. Carlos:
credo, alla stazione di Milano presenti Faccio,
Maini, voi, et.. ed io approvai, qualora si potesse trovare una buona compagnia. La buona
compagnia è trovata, secondo altri; secondo me,
poco omogenea pel D. Carlos. Non credo che Silvestri possa essere un buon Filippo: né la Bruschi Chiatti una buona Regina; né che….. non
conosco gli altri. Aggiungo che la fatica delle
prove, la noja di vedere ancora sulle scene una
mia opera; ed il pericolo d’una scenata stupida, ridicola, impertinente come quella avvenuta
pel Boccanegra, domandano la mia libertà d’azione, ed anzi m’impongono di starmene lontano dal Teatro. D’altra parte, vorrei che il Don
Carlos fosse non solo eseguito, ma interpretato
meglio di quello che fù in passato a Milano. Vorrei per es: che il Tenore nel Duetto colla Regina
cantasse svenuto, sognando, colla voce velata et
non appoggiato cogli occhi spalancati per guardare la battuta.
Vorrei più sfumata ed elegante tutta la seconda parte del 1° atto. Vorrei completamente ristudiato e rifatto il Finale in tutto e per tutto.
Vorrei il Quartetto agito: non cantato (ed anche
malamente) alla ribalta.
Vorrei tante altre cose, e vorrei spiegare tutte le
Ho ricevuto la vostra lettera: e credo alle vostre
buone intenzioni. Ad.
2.
S.t Agata 1 ottobre 1883
C. Giulio
Non esageriamo nulla né sul passato, né sul presente: e voglio anzi ammettere che possa convenire dare quest’anno D. Carlos alla Scala. - Ma
se non riesce quale vantaggio ne avremo noi e
l’Impresa? Sa bene che la Impresa quando hanno fatto massacrare un’opera credono d’aver
sodisfatto ai loro obblighi: ciò può anche essere,
ma ciò non riesce quale vantaggio dell’interesse
nostro. - Vi dissi altra volta che la compagnia,
se così vogliono, sarà perfetta ma non omogenea
pel D. Carlos, più non so ancora quali saranno:
Bassi, e l’Eboli. Stà bene che la Chiatti e Silvestri abbiano eseguito con soddisfazione di Faccio
D. Carlos a Brescia. - Ma Brescia non è Milano!
Più temo che Faccio abbia giudicato quegli artisti dal lato puramente musicale.
Breve: In questo stato di cose io non so cosa positivamente mi convenga fare:
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quei due collari nella scena dell’incoronazione la
renderanno tozza.
Avrei qualche cosa a dire sull’ultima apparizione di Carlo V. Posso capire l’idea di far vedere
sempre il frate ma non vorrei che quella tonaca
È possibile che io venga ad assistere a qualche
prova:
È possibile che io abbandoni le prove a metà: Ed
è anche possibile che io non venga affatto. Ben
inteso che io non assisterò mai mai mai alla prima recita.
Finisco col dirvi che D’Ormeville mi scrisse, fino
da quando era a Montecattini, pel D. Carlos
nella sera di S.t Stefano. Io risposi che non era
possibile per la strettezza del tempo. Quando
si chiamavano, come in passato, gli artisti alla
piazza il 5 dicembre allora vi era tempo per
montare bene un’opera: ora nò, nò, nò: Dica chi
vuole in contrario, ma so anch’io cos’è teatro e
ripeto, nò, nò Sempre vostro
G. Verdi
P.S. Spedisca pure le scene, ma badate bene che
io non voglio prenderne nissuna responsabilità,
e sia come se non le avessi viste. Del resto andranno bene, se saranno ben dipinte. Per es.: la
seconda scena del 1° atto del Ferrario, è bella;
ma sarà ben dipinta?.. con calore con rilievo, e
con gran sfondo?
3.
[Sant’Agata, 21 ottobre 1883]
C. G.
Spedirò domani figuri e scene. Io non posso capire né dirvi se le scene saranno belle o brutte.
Dipende come saran dipinte.
Nelle prime che mi mandaste vi era il gabinetto
del Re bellissimo. Questa del Ferrario è migliore
nel plafond non così abbasso con tutto quel bleu,
e viola. L’altare è troppo grande. Credo che pel
servizio della scena e del dramma sia meglio il
Gabinetto dell’altro pittore. Filippo vi si disegna
meglio, e vi starà anche più spiccato l’Inquisitore nella scena seguente.
Troppa roba nella scena del Finale e mi pare che
non avrà quell’effetto di lontano lontano lontano (che si fà così bene all’Opéra) e che potrebbe
avere nel Teatro della Scala. Infine io non me
ne intendo, ma mi pare che in generale vi sia in
tutte le scene qualche cosa di troppo.
I figurini mi pajono tutti bellissimi. Forse meno
(dico forse) quelli d’Eboli, e della Regina. Badate che se la Regina è una figura piuttosto forte
Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi [Sant’Agata, 21 ottobre
1883]. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
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in mezzo all’oro della corona, scettro, manto etc.
urtasse troppo. E d’altronde non mi spiacerebbe
che quell’apparizione fosse come un mazzo d’oro, completamente splendente I condannati devono proprio essere così? - Sia
pure; ma badate all’insieme Intendo dire al vento queste parole. Non fatene
nissun caso. Io, ripeto, non c’entro in nulla e per
nulla.
Ad.
G. Verdi
6.
Genova 21 marzo 1891
Car Giulio
Ho letto la memoria di Panattoni che è bella
chiara, evidente come la prima e più dettagliata.
Vi ringrazio ancora del Falstaff che trovo bello e magistrale come dice Boito. Dovendo scrivere a quest’ultimo ho fatto alcune osservazioni
su questo Falstaff cioè che gli occhi sono troppo
imbambolati e troppo da ubbriacone, e senza lo
spirito che aveva Falstaff. Così anche il panciotto ed i calzoni non hanno tre secoli d’età. Ma
queste sono osservazioni che non hanno forse
nissun fondo di verità. Sono come gli articoli di
giornale.
Ieri sono stato (da due anni credo non mettevo
piede in teatro) a sentire Salvini che ha fatto
Iago nell’Otello con Drago. Bene: successo pel
4.
S.t Agata 18 ottobre 1886
Car Giulio
Ho ricevuto il quart’atto che non rimando subito
perché non ho deciso colla Pantaleoni cosa convenga meglio ai due refrain. Forse domani spedirò. Intanto occupatevi sempre d’Otello! Pensate all’ultimo figurino d’Otello. È bellissimo,
ma non è vero! È un Negus Teodoros un Cetivayo (salvo la pancia) ma non un’Otello al servizio
di Venezia. Bisogna cercare (in quel figurino) col
lanternino per trovarvi traccia di costume veneto. Ad Ad
G. Verdi
5.
Mercoledì ore 4
[S.t Agata 3 novembre 1886]
C. Giulio
Son già tornato… e son ben contento sentirvi
sbarazzato dei vostri impegni coll’Inverno! Ma
non fate più affari con Lui!
Garignani sarà a momenti a Milano col Moro Ho visto i figurini e trovo sempre l’ultimo d’Otello troppo selvaggio… ¤ nulla di veneto… anche
Desdemona è troppo ricca pel primo atto. Gli altri benissimo e stupendo quello di Jago
¤ più attira troppo l’attenzione e distrae. Se il
Pubblico arriva a dire “Oh il bel costume” siamo
perduti. Gli artisti devono avere il coraggio de
s’affacer!!
Domani scriverò di nuovo.Add.
G. Verdi
pubblico… ma io che non sono mai contento ho
trovato un Iago che non era Iago. Dicono che
era il vero Iago ed a me è parso cosa non saprei!
Qualche tratto, qualche frase… detta assai
bene… Carattere nò… Ora troppo tragico, ora
troppo comico…
Addio addio af
G. Verdi
«Il centenario verdiano», Organo ufficiale autorizzato dal Comitato Esecutivo Parmense
per le Esposizioni e Festeggiamenti Verdiani.
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
In occasione del primo centenario della nascita
del Maestro delle Roncole, il Comitato Esecutivo
per le Esposizioni e Festeggiamenti Verdiani diede alle stampe presso lo Stabilimento Tipografico
Zerbini e Fresching un periodico che si poneva
quale organo ufficiale autorizzato a propagandare le iniziative organizzate nel territorio per celebrare l’importante ricorrenza. Tra le pagine dei
dieci numeri pubblicati e qui proposti, spicca un
saggio di Virgilio Agnetti dal titolo Scene e scenografi parmensi. Nello stesso l’autore cita artisti
attivi a Parma tra il Seicento e il diciannovesimo
secolo e, riguardo all’Ottocento, si sofferma a lodare l’estrema maestria di Girolamo Magnani e
del suo allievo e nipote Giuseppe Carmignani.
Questi scritti facenti parte del Carteggio Verdi-Ricordi conservato presso la Sezione Musicale della Biblioteca Palatina di Parma, testimoniano l’attenzione che Giuseppe Verdi riservava
agli aspetti visivi degli allestimenti. Le lettere si
riferiscono in particolare alle opere Don Carlo
e Otello, la prima andata in scena a Parigi in
cinque atti in lingua francese nel 1867 e ripresa,
con diverse modifiche e ridotta a quattro atti, al
Teatro alla Scala di Milano nel 1884; la seconda rappresentata, sempre alla Scala, nel 1887.
Il compositore, pur manifestando la volontà di
non intromettersi più di tanto in questioni di
scenografia e costumistica, a suo dire estranei
alle sue competenze, in realtà manifestava chiaramente all’amico editore il propri desideri anche in tale ambito.
Cartoline relative all’Esposizione verdiana del
1913.
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
Nel 1913, in occasione del primo centenario della nascita di Giuseppe Verdi, a Parma, tra le
iniziative promosse dal Comitato organizzatore
presieduto dall’allora sindaco Giovanni Mariotti, fu realizzata una grandiosa Esposizione che,
in un padiglione, ospitò una «Mostra Storica del
Teatro Italiano». La Casa editrice Fratelli Bocchialini dedicò a quest’ultima proposta una serie
di cartoline postali. Tra queste, una riguardante
la sala contente i personaggi verdiani maggiormente noti, una seconda relativa a una scena del
Falstaff e una terza con l’immagine dell’edificio
sede della mostra.
«Falstaff», numero speciale della «Illustrazione Italiana», Milano, Fratelli Treves, 1893.
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
Voltate
La Peppina ringrazia e dice che và benissimo
Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi, Genova, 21 marzo 1891.
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
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Questo numero speciale de «L’Illustrazione Italiana» fu realizzato in occasione della prima di
Falstaff, l’ultima opera di Giuseppe Verdi rappresentata al Teatro alla Scala di Milano il 9 febbraio 1893. Il disegno a colori di copertina è del
napoletano Gennaro Amato (1857-1947), artista
che sempre esternò nei propri lavori un singolare
spirito di osservazione. All’interno del periodico
sono presenti pure ulteriori immagini, sempre di
Amato, che confermano l’abilità del pittore e la
sua capacità di analisi della realtà. Il periodico
annovera, fra gli altri, un articolo riguardante
l’allestimento scenico e i costumi e un’interessante tavola a colori di Adolf Hohenstein relativa a
Falstaff e Quikly (Atto secondo, parte prima).
Francesco Maria Piave, Rigoletto, Milano, Tito
di Gio. Ricordi, 1855 [Libretto con in allegato
21 figurini acquerellati di Carlo Martini].
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
Giuseppe Verdi, Rigoletto, riduzione per canto
e pianoforte, Milano, Ricordi [1850].
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
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Il presente libretto, relativo alla rappresentazione di Rigoletto a Parma nella stagione di
carnevale 1855-56, risulta caratterizzato dalla
presenza in allegato di 21 figurini acquerellati
riguardanti i personaggi della popolare opera
verdiana su testo di Francesco Maria Piave. Si
tratta di lavori effettuati probabilmente da Carlo
Martini, in servizio presso il Teatro Regio con il
compito specifico di occuparsi della realizzazione
dei figurini. I graziosi acquerelli che costituiscono l’apparato iconografico del libretto, stampato
a Milano da Ricordi, ricalcano fedelmente quelli
presenti nel frontespizio dello spartito dell’opera
– litografia di Alessandro Focosi incisa a Milano
presso Corbetta – che propone i protagonisti del
famoso quartetto del terzo atto (Gilda, Rigoletto,
il Duca e Maddalena) evidenziandone le diverse
caratteristiche e conflitti interiori.
soggetti storici che, in questo contesto, eccelle nel
rendere suggestivamente il momento del delitto
di Riccardo da parte di Renato.
Giuseppe Verdi, Don Carlo, riduzione per canto e pianoforte Milano, Ricordi [18..].
Angela Spocci, Paola Cirani
Cimelio verdiano con tema iniziale dell’opera
La forza del destino.
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
Il cimelio verdiano con fotografia, firma e tema
musicale autografo di mano di Giuseppe Verdi
presenta uno dei motivi maggiormente popolari
delle opere del Maestro delle Roncole. Si tratta
delle quattro battute iniziali de La forza del destino. L’oggetto conferma anche in questo contesto, quasi ce ne fosse bisogno, la fama assoluta
raggiunta in vita dal compositore che, probabilmente, omaggiò di questo suo ricordo un amico o
un ammiratore.
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
La presente edizione del Don Carlo verdiano è
particolarmente rara e pregiata. Si tratta di uno
spartito par canto e pianoforte della nota opera
in 5 atti con parole di Joseph Méry e Camille Du
Locle, nella versione andata in scena a Parigi al
Teatro Imperiale dell’Opéra l’11 marzo 1867 e
tradotta in italiano da Achille De Lauzières. Il
volume è realizzato «in carta distinta» e presenta all’interno il ritratto dell’autore delle Roncole
e nove scene dell’opera disegnate da Francesco
Gonin.
Giuseppe Verdi, Un ballo in maschera, riduzione per canto e pianoforte, Milano, Ricordi
[1865].
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
Il frontespizio dello spartito per canto e pianoforte dell’opera verdiana del 1859 (Milano, Stabilimento Nazionale Tito di Gio. Ricordi) presenta la scena conclusiva del dramma tratto da
un lavoro di Eugène Scribe. La litografia è opera
di Focosi, artista particolarmente dotato per i
A fianco, «Il centenario verdiano», Organo ufficiale autorizzato dal Comitato Esecutivo Parmense per le Esposizioni e Festeggiamenti Verdiani.
Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale.
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Voce e azione!!.. capite?!!?!