. . . Voce e azione!!. . capite?!!?! Bozzetti, figurini e mise en scène nel dramma musicale verdiano Giuseppe Verdi, Don Carlo, Spartito per canto e pianoforte. Frontespizio. Litografia di Francesco Gonin. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. 16 Correva l’anno 1853 quando il duca Carlo III di Borbone firmava il decreto col quale nominava l’illustre professor Girolamo Magnani «Direttore scenografo del Reale Teatro di Parma». Sino a quel momento tale specifico ruolo non era mai stato previsto e, in verità, fu lo stesso artista originario di Borgo San Donnino (l’attuale Fidenza), consapevole dell’importanza di un unico responsabile della parte pittorica nelle rappresentazioni, a sollecitarne l’istituzione. Al tempo, in Italia poche sale degli spettacoli vantavano simile figura e nemmeno a Parma, città con alle spalle una gloriosa tradizione di importanti scenografi, si era mai assunto un professionista addetto al coordinamento degli aspetti pittorici teatrali. La scelta del Magnani risultò assai felice, anche perché l’artista si mostrò in perfetta sintonia con l’astro musicale del momento, Giuseppe Verdi che, quando si trattò di allestire Aida al Teatro alla Scala di Milano, non ebbe dubbi nell’imporre lo scenografo. Per l’artista fu un trionfo grandioso e il pubblico, non avvezzo a chiamare alla ribalta gli scenografi, in quella circostanza non esitò a tributare feste e onori al Magnani che, peraltro, aveva dipinto le tele proprio nello storico atelier scenografico del nostro Regio. L’attenzione per la musica di Verdi cresceva sia in campo nazionale che internazionale e lo stile del compositore trovava contestualmente proprio in Girolamo Magnani l’interprete visivo più efficace. In una lettera a Giulio Ricordi del dicembre 1871, il compositore avrebbe definito Magnani uno scenografo «della razza di quelli cui il razionalismo dell’epoca non ha spento il fuoco sacro» e che «sente; sente giusto; ragiona poco e fa molto». Verdi e Magnani procedevano nel solco dell’affermazione del realismo sentimentale. Finito il tempo del sogno, del virtuosismo Michele Lopez a Girolamo Magnani, Parma, 20 marzo 1853. Eredi Luigi Magnani-Milano. mirabolante e dell’ingegno delle macchine, andavano entrambi verso una direzione che prevedeva la partecipazione emotiva del pubblico ai casi dei personaggi in scena. Per questa ragione, le vicende del palcoscenico non potevano più essere quelle mitiche e irreali dell’opera barocca, ma era indispensabile che il luogo dell’azione fosse popolato da figure che sempre più si avvicinavano alla normalità quotidiana, mosse da impulsi e motivazioni che dovevano corrispondere al sentire degli spet- 17 tecnico dell’andata in scena risultava essenziale ed ecco che macchinismo, attrezzeria, luci e costumi si rivelavano degni della massima cura e trovano in Verdi il loro più alto sostenitore e paladino. Lo spettacolare sviluppo assunto dagli studi dell’opera del Maestro, che ha portato a una rivisitazione pressoché totale di tutte le componenti della produzione del compositore, ha dato luogo a un radicale mutamento nel modo d’intendere e di valutare la figura dell’artista. L’immagine di un Verdi geniale, ma istintivo, preoccupato di dar vita all’aspetto esclusivamente vocale dei personaggi – soprattutto l’immagine di un autore popolarmente «facile» e quindi indegno di essere avvicinato con i più sottili strumenti di indagine storica e culturale – è stata gradualmente sostituita da quella di un compositore la cui padronanza del mestiere è pari soltanto alla complessità del linguaggio musicale che Verdi costantemente attua, già a partire dalle prime manifestazioni del suo talento. L’artista si rivela insomma sempre più un uomo di teatro capace, come pochi altri nell’intero arco della storia della musica, di do- tatori e farsi interpreti del palpitante momento storico. Per rappresentare un mondo siffatto non serviva l’abilità ingegneristica o l’estro paradossale di architetti-scenografi ma, piuttosto, l’abilità pittorica nel rendere con verosimiglianza la natura, l’architettura degli esterni e degli interni, la foggia dei costumi, nonché la sapienza nel dosare e nell’accordare le forme, i colori e gli effetti delle luci in funzione della resa sentimentale. Sempre, anche dopo la scomparsa del Magnani, Verdi si sarebbe interessato vivamente alle componenti visive della messinscena e a Milano avrebbe trovato un altro pittore di formazione parmigiana, il mantovano Vittorio Rota, quale interprete privilegiato per la realizzazione del proprio mondo teatrale. Come per l’aspetto pittorico, Verdi prestava attenzione a ogni singola componente dello spettacolo lirico – così come testimoniato da alcuni suoi scritti appartenenti alla Sezione Musicale della Biblioteca Palatina esposti in mostra – e qualsiasi particolare era oggetto di discussione, soprattutto con l’amico-editore Giulio Ricordi. Ogni elemento Girolamo Magnani (1815-1889), acquerelli scenografici. Collezione privata. 18 Vittorio Rota (1864-1931), acquerello scenografico. Collezione privata. 19 minare la materia sonora per farla diventare veicolo del dramma. In questo senso si deve intendere l’originalità di Verdi e insieme la forza del suo messaggio artistico, in grado di giungere senza esitazione a un tempo come il nostro, tanto diverso, a volte persino diametralmente opposto al suo. L’attenzione del compositore si rivolge con eguale intensità alla struttura drammatica della vicenda, alla sua organizzazione, alla versificazione, all’ideazione della partitura in un costante bisogno di «dir meglio»; infine alla concreta realizzazione di questo concetto sul palcoscenico, attraverso il canto, ma anche il gesto dei personaggi; attraverso i loro movimenti, attraverso il gioco delle luci e dei colori, attraverso il disporsi delle masse corali e delle comparse. Di tali aspetti è proprio l’ultimo, quello visivo, ad aver ricevuto a tutt’oggi minor attenzione, sebbene illuminanti, splendidi saggi avessero da tempo indicato come anche su questa strada la messe di scritti – e soprattutto la sua importanza nel contesto del carteggio verdiano – fosse ricca e suscettibile di decisivi futuri sviluppi. E neppure mancavano le indicazioni, nel materiale documentario Giuseppe Verdi, Rigoletto, riduzione per canto e pianoforte, Milano, Ricordi [1850]. Frontespizio. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. da tempo disponibile, che chiaramente facessero intendere come, fin dall’inizio della sua carriera, Verdi avesse compreso che la composizione scenica e visiva era parte integrante e determinante dello spettacolo, elemento costitutivo in quella concezione globale del dramma in musica sino a diventare la caratteristica fondamentale della sua poetica. Quando poi Verdi incontra la pratica teatrale Giuseppe Verdi, Un ballo in maschera, riduzione per canto e pianoforte, Milano, Ricordi [1865]. Frontespizio. Litografia di Focosi. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. Carlo Martini (1798 ca.-post 1858), figurini per l’opera Rigoletto di Giuseppe Verdi, acquerelli, 1854. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. 20 sua fantasia, per quanto riguarda la musica. Le considerazioni di Verdi sono sempre senza incertezze, guidate da un principio fondamentale: la funzionalità drammatica dell’aspetto visivo; è la cosa più importante, anzi il criterio determinante nella formulazione stessa del giudizio. Non solo, ma anche una spazialità, ovvero una dimensione della scena tale per cui l’azione, cioè l’insieme dei movimenti dei personaggi, vi si possa stagliare con la massima evidenza. È una concezione eminentemente dinamica dello spazio scenico; questo deve servire infatti alla caratterizzazione complessiva dell’evento drammatico. Si tratta di intuizioni geniali che, tuttavia, per questi aspetti, fecero del «solitario» Verdi sostanzialmente un incompreso fra i suoi contemporanei. francese viene in rapporto con tutta una serie di procedure, di convenzioni, di modi di agire completamente ignoti al teatro d’opera italiano, con un ricco armamentario tecnico, in buona parte legato alle differenze nel concetto stesso di spettacolo fra le due tradizioni culturali. Tuttavia questi strumenti del mestiere che il compositore viene man mano scoprendo possono servire in maniera egregia alla rivoluzionaria concezione del teatro in musica che il compositore era andato autonomamente elaborando già prima dei soggiorni francesi. Il livret de mise en scène, che documenta passo per passo lo svolgersi dello spettacolo parigino, diventato disposizione scenica, è strumento ideale per far sì che pure l’aspetto visivo dell’opera verdiana venga precisamente determinato contemporaneamente alla creazione della partitura, in completa sintonia con quanto il compositore ha deciso con il librettista, per quanto riguarda l’azione, e con la Angela Spocci, elaborazione del testo Paola Cirani, ricerca storico-documentaria 21 mie intenzioni (e son molte) nel Duetto nuovo. Povero Duetto! Non avrà certo quel successo che forse potrebbe avere. Concludiamo. Fate quel che credete meglio. Vedrò più tardi quel che dovrò fare io. Intanto per le scene non dico quel che mi pare o non mi pare buono. Dirò solo che la prima scena, la Tomba dovrebbe essere meno di fianco. Tutti gli spettatori che sono alla diritta della platea non vedranno senz’allungare molto il collo. Questa scena tien poi un’importanza grande nella fine… Sempre vostro G. Verdi N. 6 lettere di Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. 1. St Agata 23 set 1883 C. Giulio Vi rimando li schizzi senza averli esaminati attentamente, e senza darvene un giudizio. Prima perché non me ne intendo; poi perché voglio conservare la mia libertà d’azione Non so come venne l’idea di dare il D. Carlos: credo, alla stazione di Milano presenti Faccio, Maini, voi, et.. ed io approvai, qualora si potesse trovare una buona compagnia. La buona compagnia è trovata, secondo altri; secondo me, poco omogenea pel D. Carlos. Non credo che Silvestri possa essere un buon Filippo: né la Bruschi Chiatti una buona Regina; né che….. non conosco gli altri. Aggiungo che la fatica delle prove, la noja di vedere ancora sulle scene una mia opera; ed il pericolo d’una scenata stupida, ridicola, impertinente come quella avvenuta pel Boccanegra, domandano la mia libertà d’azione, ed anzi m’impongono di starmene lontano dal Teatro. D’altra parte, vorrei che il Don Carlos fosse non solo eseguito, ma interpretato meglio di quello che fù in passato a Milano. Vorrei per es: che il Tenore nel Duetto colla Regina cantasse svenuto, sognando, colla voce velata et non appoggiato cogli occhi spalancati per guardare la battuta. Vorrei più sfumata ed elegante tutta la seconda parte del 1° atto. Vorrei completamente ristudiato e rifatto il Finale in tutto e per tutto. Vorrei il Quartetto agito: non cantato (ed anche malamente) alla ribalta. Vorrei tante altre cose, e vorrei spiegare tutte le Ho ricevuto la vostra lettera: e credo alle vostre buone intenzioni. Ad. 2. S.t Agata 1 ottobre 1883 C. Giulio Non esageriamo nulla né sul passato, né sul presente: e voglio anzi ammettere che possa convenire dare quest’anno D. Carlos alla Scala. - Ma se non riesce quale vantaggio ne avremo noi e l’Impresa? Sa bene che la Impresa quando hanno fatto massacrare un’opera credono d’aver sodisfatto ai loro obblighi: ciò può anche essere, ma ciò non riesce quale vantaggio dell’interesse nostro. - Vi dissi altra volta che la compagnia, se così vogliono, sarà perfetta ma non omogenea pel D. Carlos, più non so ancora quali saranno: Bassi, e l’Eboli. Stà bene che la Chiatti e Silvestri abbiano eseguito con soddisfazione di Faccio D. Carlos a Brescia. - Ma Brescia non è Milano! Più temo che Faccio abbia giudicato quegli artisti dal lato puramente musicale. Breve: In questo stato di cose io non so cosa positivamente mi convenga fare: 22 quei due collari nella scena dell’incoronazione la renderanno tozza. Avrei qualche cosa a dire sull’ultima apparizione di Carlo V. Posso capire l’idea di far vedere sempre il frate ma non vorrei che quella tonaca È possibile che io venga ad assistere a qualche prova: È possibile che io abbandoni le prove a metà: Ed è anche possibile che io non venga affatto. Ben inteso che io non assisterò mai mai mai alla prima recita. Finisco col dirvi che D’Ormeville mi scrisse, fino da quando era a Montecattini, pel D. Carlos nella sera di S.t Stefano. Io risposi che non era possibile per la strettezza del tempo. Quando si chiamavano, come in passato, gli artisti alla piazza il 5 dicembre allora vi era tempo per montare bene un’opera: ora nò, nò, nò: Dica chi vuole in contrario, ma so anch’io cos’è teatro e ripeto, nò, nò Sempre vostro G. Verdi P.S. Spedisca pure le scene, ma badate bene che io non voglio prenderne nissuna responsabilità, e sia come se non le avessi viste. Del resto andranno bene, se saranno ben dipinte. Per es.: la seconda scena del 1° atto del Ferrario, è bella; ma sarà ben dipinta?.. con calore con rilievo, e con gran sfondo? 3. [Sant’Agata, 21 ottobre 1883] C. G. Spedirò domani figuri e scene. Io non posso capire né dirvi se le scene saranno belle o brutte. Dipende come saran dipinte. Nelle prime che mi mandaste vi era il gabinetto del Re bellissimo. Questa del Ferrario è migliore nel plafond non così abbasso con tutto quel bleu, e viola. L’altare è troppo grande. Credo che pel servizio della scena e del dramma sia meglio il Gabinetto dell’altro pittore. Filippo vi si disegna meglio, e vi starà anche più spiccato l’Inquisitore nella scena seguente. Troppa roba nella scena del Finale e mi pare che non avrà quell’effetto di lontano lontano lontano (che si fà così bene all’Opéra) e che potrebbe avere nel Teatro della Scala. Infine io non me ne intendo, ma mi pare che in generale vi sia in tutte le scene qualche cosa di troppo. I figurini mi pajono tutti bellissimi. Forse meno (dico forse) quelli d’Eboli, e della Regina. Badate che se la Regina è una figura piuttosto forte Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi [Sant’Agata, 21 ottobre 1883]. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. 23 in mezzo all’oro della corona, scettro, manto etc. urtasse troppo. E d’altronde non mi spiacerebbe che quell’apparizione fosse come un mazzo d’oro, completamente splendente I condannati devono proprio essere così? - Sia pure; ma badate all’insieme Intendo dire al vento queste parole. Non fatene nissun caso. Io, ripeto, non c’entro in nulla e per nulla. Ad. G. Verdi 6. Genova 21 marzo 1891 Car Giulio Ho letto la memoria di Panattoni che è bella chiara, evidente come la prima e più dettagliata. Vi ringrazio ancora del Falstaff che trovo bello e magistrale come dice Boito. Dovendo scrivere a quest’ultimo ho fatto alcune osservazioni su questo Falstaff cioè che gli occhi sono troppo imbambolati e troppo da ubbriacone, e senza lo spirito che aveva Falstaff. Così anche il panciotto ed i calzoni non hanno tre secoli d’età. Ma queste sono osservazioni che non hanno forse nissun fondo di verità. Sono come gli articoli di giornale. Ieri sono stato (da due anni credo non mettevo piede in teatro) a sentire Salvini che ha fatto Iago nell’Otello con Drago. Bene: successo pel 4. S.t Agata 18 ottobre 1886 Car Giulio Ho ricevuto il quart’atto che non rimando subito perché non ho deciso colla Pantaleoni cosa convenga meglio ai due refrain. Forse domani spedirò. Intanto occupatevi sempre d’Otello! Pensate all’ultimo figurino d’Otello. È bellissimo, ma non è vero! È un Negus Teodoros un Cetivayo (salvo la pancia) ma non un’Otello al servizio di Venezia. Bisogna cercare (in quel figurino) col lanternino per trovarvi traccia di costume veneto. Ad Ad G. Verdi 5. Mercoledì ore 4 [S.t Agata 3 novembre 1886] C. Giulio Son già tornato… e son ben contento sentirvi sbarazzato dei vostri impegni coll’Inverno! Ma non fate più affari con Lui! Garignani sarà a momenti a Milano col Moro Ho visto i figurini e trovo sempre l’ultimo d’Otello troppo selvaggio… ¤ nulla di veneto… anche Desdemona è troppo ricca pel primo atto. Gli altri benissimo e stupendo quello di Jago ¤ più attira troppo l’attenzione e distrae. Se il Pubblico arriva a dire “Oh il bel costume” siamo perduti. Gli artisti devono avere il coraggio de s’affacer!! Domani scriverò di nuovo.Add. G. Verdi pubblico… ma io che non sono mai contento ho trovato un Iago che non era Iago. Dicono che era il vero Iago ed a me è parso cosa non saprei! Qualche tratto, qualche frase… detta assai bene… Carattere nò… Ora troppo tragico, ora troppo comico… Addio addio af G. Verdi «Il centenario verdiano», Organo ufficiale autorizzato dal Comitato Esecutivo Parmense per le Esposizioni e Festeggiamenti Verdiani. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. In occasione del primo centenario della nascita del Maestro delle Roncole, il Comitato Esecutivo per le Esposizioni e Festeggiamenti Verdiani diede alle stampe presso lo Stabilimento Tipografico Zerbini e Fresching un periodico che si poneva quale organo ufficiale autorizzato a propagandare le iniziative organizzate nel territorio per celebrare l’importante ricorrenza. Tra le pagine dei dieci numeri pubblicati e qui proposti, spicca un saggio di Virgilio Agnetti dal titolo Scene e scenografi parmensi. Nello stesso l’autore cita artisti attivi a Parma tra il Seicento e il diciannovesimo secolo e, riguardo all’Ottocento, si sofferma a lodare l’estrema maestria di Girolamo Magnani e del suo allievo e nipote Giuseppe Carmignani. Questi scritti facenti parte del Carteggio Verdi-Ricordi conservato presso la Sezione Musicale della Biblioteca Palatina di Parma, testimoniano l’attenzione che Giuseppe Verdi riservava agli aspetti visivi degli allestimenti. Le lettere si riferiscono in particolare alle opere Don Carlo e Otello, la prima andata in scena a Parigi in cinque atti in lingua francese nel 1867 e ripresa, con diverse modifiche e ridotta a quattro atti, al Teatro alla Scala di Milano nel 1884; la seconda rappresentata, sempre alla Scala, nel 1887. Il compositore, pur manifestando la volontà di non intromettersi più di tanto in questioni di scenografia e costumistica, a suo dire estranei alle sue competenze, in realtà manifestava chiaramente all’amico editore il propri desideri anche in tale ambito. Cartoline relative all’Esposizione verdiana del 1913. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. Nel 1913, in occasione del primo centenario della nascita di Giuseppe Verdi, a Parma, tra le iniziative promosse dal Comitato organizzatore presieduto dall’allora sindaco Giovanni Mariotti, fu realizzata una grandiosa Esposizione che, in un padiglione, ospitò una «Mostra Storica del Teatro Italiano». La Casa editrice Fratelli Bocchialini dedicò a quest’ultima proposta una serie di cartoline postali. Tra queste, una riguardante la sala contente i personaggi verdiani maggiormente noti, una seconda relativa a una scena del Falstaff e una terza con l’immagine dell’edificio sede della mostra. «Falstaff», numero speciale della «Illustrazione Italiana», Milano, Fratelli Treves, 1893. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. Voltate La Peppina ringrazia e dice che và benissimo Giuseppe Verdi a Giulio Ricordi, Genova, 21 marzo 1891. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. 24 Questo numero speciale de «L’Illustrazione Italiana» fu realizzato in occasione della prima di Falstaff, l’ultima opera di Giuseppe Verdi rappresentata al Teatro alla Scala di Milano il 9 febbraio 1893. Il disegno a colori di copertina è del napoletano Gennaro Amato (1857-1947), artista che sempre esternò nei propri lavori un singolare spirito di osservazione. All’interno del periodico sono presenti pure ulteriori immagini, sempre di Amato, che confermano l’abilità del pittore e la sua capacità di analisi della realtà. Il periodico annovera, fra gli altri, un articolo riguardante l’allestimento scenico e i costumi e un’interessante tavola a colori di Adolf Hohenstein relativa a Falstaff e Quikly (Atto secondo, parte prima). Francesco Maria Piave, Rigoletto, Milano, Tito di Gio. Ricordi, 1855 [Libretto con in allegato 21 figurini acquerellati di Carlo Martini]. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. Giuseppe Verdi, Rigoletto, riduzione per canto e pianoforte, Milano, Ricordi [1850]. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. 25 Il presente libretto, relativo alla rappresentazione di Rigoletto a Parma nella stagione di carnevale 1855-56, risulta caratterizzato dalla presenza in allegato di 21 figurini acquerellati riguardanti i personaggi della popolare opera verdiana su testo di Francesco Maria Piave. Si tratta di lavori effettuati probabilmente da Carlo Martini, in servizio presso il Teatro Regio con il compito specifico di occuparsi della realizzazione dei figurini. I graziosi acquerelli che costituiscono l’apparato iconografico del libretto, stampato a Milano da Ricordi, ricalcano fedelmente quelli presenti nel frontespizio dello spartito dell’opera – litografia di Alessandro Focosi incisa a Milano presso Corbetta – che propone i protagonisti del famoso quartetto del terzo atto (Gilda, Rigoletto, il Duca e Maddalena) evidenziandone le diverse caratteristiche e conflitti interiori. soggetti storici che, in questo contesto, eccelle nel rendere suggestivamente il momento del delitto di Riccardo da parte di Renato. Giuseppe Verdi, Don Carlo, riduzione per canto e pianoforte Milano, Ricordi [18..]. Angela Spocci, Paola Cirani Cimelio verdiano con tema iniziale dell’opera La forza del destino. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. Il cimelio verdiano con fotografia, firma e tema musicale autografo di mano di Giuseppe Verdi presenta uno dei motivi maggiormente popolari delle opere del Maestro delle Roncole. Si tratta delle quattro battute iniziali de La forza del destino. L’oggetto conferma anche in questo contesto, quasi ce ne fosse bisogno, la fama assoluta raggiunta in vita dal compositore che, probabilmente, omaggiò di questo suo ricordo un amico o un ammiratore. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. La presente edizione del Don Carlo verdiano è particolarmente rara e pregiata. Si tratta di uno spartito par canto e pianoforte della nota opera in 5 atti con parole di Joseph Méry e Camille Du Locle, nella versione andata in scena a Parigi al Teatro Imperiale dell’Opéra l’11 marzo 1867 e tradotta in italiano da Achille De Lauzières. Il volume è realizzato «in carta distinta» e presenta all’interno il ritratto dell’autore delle Roncole e nove scene dell’opera disegnate da Francesco Gonin. Giuseppe Verdi, Un ballo in maschera, riduzione per canto e pianoforte, Milano, Ricordi [1865]. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. Il frontespizio dello spartito per canto e pianoforte dell’opera verdiana del 1859 (Milano, Stabilimento Nazionale Tito di Gio. Ricordi) presenta la scena conclusiva del dramma tratto da un lavoro di Eugène Scribe. La litografia è opera di Focosi, artista particolarmente dotato per i A fianco, «Il centenario verdiano», Organo ufficiale autorizzato dal Comitato Esecutivo Parmense per le Esposizioni e Festeggiamenti Verdiani. Parma, Biblioteca Palatina, Sezione Musicale. 26 27