Desidero ringraziare il professor Giuseppe O. Longo e il professor Oscar Burrone per la
lettura del testo.
Progetto grafico e impaginazione: Studio Link
Testo: Luca Sciortino
Illustrazioni: Silvia Vignale
www.editorialescienza.it
www.giunti.it
© 2005, 2010 Editoriale Scienza srl
via Bolognese, 165 – 50139 Firenze
via Romagna, 30 – 34134 Trieste
ISBN: 9788873074960
Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
Prima edizione digitale 2010
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questa mia autobiografia alle tantissime cellule che insieme a me
D edico
hanno coraggiosamente combattuto contro feroci e potenti nemici.
Perpetuino queste pagine la memoria della cruenta battaglia che ha
salvato i miliardi di altre cellule che compongono il corpo di Carmelo De
Pomis, ragioniere contabile al mercato ortofrutticolo del paese di
Beccotorsolo.
Ma dedico questa mia fatica soprattutto a te, mio giovane lettore, che
leggendo questa storia conoscerai tanti segreti del tuo corpo e delle cellule
che lo fanno vivere. Che le mie avventure possano insegnarti ad amare le
cellule che lavorano instancabili dentro di te, per aiutarti a studiare,
mangiare, pensare e giocare.
Bianca Senzamacchia
Vena polmonare sinistra,
il sette di Maltosio
del cinquantanovesimo anno
dopo la Cellula Uovo
(7/7/59 d.C.U.)
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MI PRESENTO
F
orse non mi conoscete perché sono piccola piccola. Sono mille volte più
piccola di un millimetro, ma io… mi sento importante perché tutti gli
esseri viventi sono fatti di cellule. Ah, scusate, sono la solita sbadata!
Ho dimenticato di dirvi che sono una cellula! Mi chiamo Bianca
Senzamacchia. Sì, come i cavalieri senza macchia e senza paura che
combattevano coraggiosamente. Ma aspettate… capirete dopo il perché del
mio nome. Muoio dalla voglia di raccontarvi alcune cose di me. Per esempio,
forse molti di voi hanno un cane: un cane è formato da migliaia di miliardi di
cellule tutte attaccate fra loro come le cellette di un alveare.
E tutti a dire: – Com’è bello questo cane! Com’è carino!
Vi assicuro che non sono gelosa, anzi a me va bene così, ma se queste
persone potessero vedere come sono fatta io, allora forse farebbero i
complimenti anche a me! O almeno si stupirebbero di tante cose. La mia vita,
per esempio, è stata molto avventurosa.
Ma lo sapete che gli uomini, pur essendo anche loro fatti di cellule, hanno
scoperto la nostra esistenza soltanto nel 1838? Prima di allora nessuno sapeva
niente di noi. Lo stesso Carmelo De Pomis, dentro il quale io vivo, non sa
che esisto!
De Pomis, esimio ragioniere del mercato ortofrutticolo, conta le mele per
otto ore al giorno soltanto perché ci siamo noi cellule che facciamo il nostro
dovere! E anche quando segna nel registro contabile il peso della frutta,
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quando gioca a calcetto, quando guida la macchina e magari quando litiga
con quella scorbutica di sua moglie, non sa nemmeno che noi esistiamo!
Uhmmm… e poi quando passa per strada tutti si tolgono il cappello e gli
dicono: “Esimio ragionier Carmelo De Pomis, i miei omaggi!” oppure
“Illustrissimo ragioniere, una buona giornata a lei e alla sua bella signora!”,
mai nessuno che avesse pensato anche a noi cellule…
Amici miei, ho viaggiato così tanto dentro il suo organismo, in un mondo
così diverso da quello che voi conoscete. Certo, potete curiosare un po’ con i
vostri microscopi, ma quante altre cose potrei rivelarvi! Perciò mi sono
sempre detta: da vecchia racconterò la mia vita, così tutti finalmente
conosceranno le mie strane avventure. Sento che è giunta l’ora, ahimè… ma
prima voglio dirvi come siamo fatte noi cellule.
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MI DESCRIVO
A
scanso di equivoci, premetto che come voi posso muovermi, respirare,
nutrirmi… sì, certamente, anch’io devo mangiare!
Naturalmente, faccio tutto in maniera differente, non ho una bocca e un
naso come i vostri. Sono essenzialmente una piccolissima pallina piena di
tante sostanze che mi servono per vivere. E al centro di questa pallina c’è
un’altra pallina più piccola che si chiama nucleo, che decide e controlla tutto
quello che faccio. E poi dentro il nucleo… no, questo è un segreto che vi
rivelerò dopo, perché il nucleo per noi cellule è come il cervello per gli
uomini. Voi raccontereste subito a tutti quello che avete in mente? Ho
bisogno anch’io di prendere un po’ di confidenza, perciò vi parlerò intanto di
ciò che sta fuori dal nucleo, cioè del citoplasma.
Già, non ve l’ho detto, gli scienziati, che ci guardano seri con i loro
microscopi, danno questo nome a tutto l’insieme delle sostanze che stanno
fuori dal nucleo. La sensazione di avere tutt’attorno al nucleo questo
citoplasma… questa sostanza semifluida, un po’ come una crema, un
budino… be’, io questa sensazione l’ho sempre avuta. E poi posso
modificare la mia forma… blob, blob, blob…
Citoplasma, che nome! Comunque, noi cellule non ce la prendiamo per
questi nomi complicati. Sapete come chiamano la nostra pelle, sì, insomma,
la parte più esterna che tiene insieme il citoplasma? Membrana plasmatica.
Ma in fondo hanno un po’ ragione, perché la mia pelle non è proprio come la
vostra, non è una barriera. A volte faccio entrare nel citoplasma alcune
sostanze che sono all’esterno e me ne servo per le mie necessità.
Hanno dovuto inventare il microscopio elettronico per capire la struttura
della membrana plasmatica. Seri seri, lì a guardare per tanto tempo! Quando
osservano me, mi viene voglia di fare: BUM! per spaventarli.
Non voglio vantarmi, ma di sostanze ne contengo parecchie. Dentro di me
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avvengono tantissime cose: sostanze che si spostano, nuove molecole che si
formano, altre che si scindono… C’è tutta una vita dentro il mio citoplasma e
dentro il nucleo. E poi, naturalmente, come voi avete il cuore, il fegato, lo
stomaco, anch’io ho i miei organi. Ma io sono piccola piccola… perciò gli
scienziati li chiamano organelli. Ce ne sono di tantissimi tipi! Nelle foto del
mio citoplasma si vedono benissimo…
Blob… blob… vado a farmi una passeggiata e poi comincio a raccontarvi
la mia storia.
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UN INCONTRO CASUALE
I
l mio ricordo più lontano nel tempo è quello del primo tuffo nel sangue.
Tutto quello che sapevo era che venivo dall’interno di un osso, ma avevo
completamente perduto la strada. Ogni posto era nuovo per me. Quantità
enormi di cellule strane, dalle forme particolari, procedevano
disordinatamente tutte nella stessa direzione. Molte di loro avevano la forma
di un disco ed erano tutte rosse. Io venivo continuamente sballottata da quel
fiume di esseri strani che non conoscevo, e mi sentivo perduta. A un certo
punto, decisi di chiedere dove mi trovavo. Ma, per quanto urlassi forte,
nessuno mi rispondeva: quelle cellule andavano troppo veloci… Ero sempre
più disperata, continuavo a urlare, ma niente da fare. Non volli perdermi
d’animo.
– Che diamine! – dissi a me stessa – Ma io ho un nucleo! Non sono mica
stupida!
Infatti, dovete sapere che dentro il nucleo delle cellule ci sono dei sottili
bastoncini che sembrano dei fili piccoli piccoli, i cromosomi. Noi cellule di
Carmelo De Pomis ne abbiamo 46, o meglio, 23 coppie. Ogni cromosoma è
una lunga molecola di DNA, fatta da tanti atomi che formano una specie di
lunga scala flessibile tutta attorcigliata. Bene, il DNA è il libretto di istruzioni
delle cellule. Lì sono scritte tutte le informazioni necessarie per capire cosa
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fare, dove andare, cosa mangiare.
Senza pensarci due volte, consultai il mio DNA per cercare di capire come
potevo arrangiarmi. E cerca cerca… cerca cerca… nel ventunesimo
cromosoma trovai, accanto a una lista di ottime trattorie specializzate in
glucosio, questo messaggio in codice:
TU SEI UN GLOBULO BIANCO. NELLA TUA VITA COMBATTERAI UNA GRANDE
BATTAGLIA. COMUNQUE, ADESSO, FATTI UNA PASSEGGIATA.
“Adesso fatti una passeggiata? Globulo bianco? Ma queste istruzioni non
funzionano! Ora come faccio?”, pensai sgomenta.
Fortunatamente, vidi una cellula che mi sembrò molto simile a me. La
inseguii urlando:
– Ehi! Scusa… un’informazione!!!
– Uffa! È la terza volta che mi chiedono l’ora! – mi rispose un po’
infastidita.
– Ma no… – ripresi cercando di affiancarla – vorrei semplicemente sapere
dove mi trovo.
– Chi sei? – mi chiese bruscamente.
– Nell’osso dove sono nata mi chiamavano Bianca Senzamacchia. E tu chi
sei?
– Furio Stroncavirus, di professione globulo bianco.
– Globulo bianco?
– Certo, come te! – rispose, stupito della mia domanda. Poi aggiunse:
– Ho capito, sei ancora molto giovane... – e mi spiegò che ogni cellula
assolve un compito ben preciso per mantenere in salute il ragionier Carmelo
De Pomis. Tutte le cellule che svolgono uno stesso compito si somigliano
moltissimo, perché la loro struttura e le loro caratteristiche servono allo
stesso scopo. Invece, cellule che compiono funzioni differenti sono molto
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diverse fra loro. Per esempio, le cellule del muscolo hanno la capacità di
allungarsi quando il muscolo si estende, invece quelle di un osso devono
rimanere sempre rigide.
– E dunque noi globuli bianchi abbiamo un lavoro ben preciso da fare? –
domandai ancora.
– Noi apparteniamo alla Guardia Bianca, l’esercito che deve difendere le
altre cellule del corpo del ragionier Carmelo De Pomis. Gli scienziati
chiamano globuli bianchi questi guerrieri. Sono cellule che combattono
contro, hmm… provo ribrezzo solo a nominarli, contro… i virus.
– I virus?
– Sì, Bianca, sono piccoli mostri dalle forme orribili. Hanno una specie di
corazza spessissima che custodisce il DNA, o una molecola molto simile,
chiamata RNA. I virus possono penetrare nel corpo umano attraverso la
bocca, le ferite o certe parti della pelle. Quando entrano, attaccano le cellule e
le uccidono. Nella mia vita ho dovuto assistere a certe scene! Una volta ho
visto un virus attaccarsi alla membrana plasmatica di una cellula. Ha divorato
la membrana in un punto, ha iniettato il suo DNA e ha preso così il comando
di tutte le funzioni della cellula, fino a moltiplicarsi al suo interno in
tantissimi virus e farla quindi scoppiare.
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– Ma, ma… allora io ho… ho paura… e se li incontro adesso?
– No, Bianca, adesso non c’è pericolo. E poi ci sono i globuli bianchi che
sorvegliano! Noi della Guardia Bianca passiamo la maggior parte del nostro
tempo circolando per tutto il corpo, in modo da accorgerci il prima possibile
della presenza di estranei. Io sono particolarmente addestrato contro un certo
tipo di virus, che posso riconoscere da una proteina presente nel suo
involucro.
– Proteina? Ne sento sempre parlare…
– Be’, guarda un po’ quante ne hai addosso! Vedi, non sono altro che
enormi molecole costituite da atomi di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto.
Alcuni tipi di proteine contengono anche zolfo, fosforo e ferro. Gli atomi
possono legarsi in gruppi che si chiamano aminoacidi. Una proteina è
formata da catene di aminoacidi uniti fra loro.
– Quindi tu riconosci un certo tipo di virus da una proteina che sta sulla
sua pelle?
– Naturalmente, e non appena lo riconosco produco altre proteine
chiamate anticorpi e poi sparo.
– Spari? E anch’io dovrò sparare?
– Sicuro, come me dovrai sparare anticorpi che si legano chimicamente
alla proteina del virus e lo rendono innocuo. Non preoccuparti, è scritto tutto
nel tuo DNA, a tempo debito saprai difenderti. Ora però devo continuare la
mia ricognizione… Addio! Ah! dimenticavo, se segui il flusso della corrente
arrivi dritta al cuore! Addio!
– Addio! – dissi, colta di sorpresa da quel saluto improvviso. E mi ritrovai
di nuovo sola e indifesa.
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IL MIO AMICO TEO
S
cusate, ho interrotto il capitolo per farmi una polpetta gustosissima di
glucosio. Ma dove eravamo rimasti? Ah! Ecco! Ero di nuovo sola e
cominciavo a sentirmi affamata. Fortunatamente, di lì a poco Carmelo De
Pomis cominciò a rosicchiare una mela mentre stava lavorando. Il sangue si
arricchì di sostanze nutritive che lasciai passare attraverso la membrana
plasmatica, e così mi sentii un po’ più sollevata. Non lo sapevate? Le sostanze
che troviamo fuori dalla membrana plasmatica derivano dal cibo che voi
mangiate! Il cibo viene digerito e le sostanze di cui le cellule hanno bisogno
vengono trasportate dal sangue fino ai capillari, piccoli condotti che si
insinuano in tutte le parti del vostro corpo. Lì la parte più liquida del sangue,
il siero, passa attraverso le esili pareti dei capillari e raggiunge tutte le cellule,
portando loro le sostanze nutritive. Ecco, volevo proprio dirvelo: se non
mangiate voi non mangio neanch’io! Comunque, stavo buttando via i residui
della digestione, quando sentii una voce:
– Ehi, piccola, problemi?
Feci uno sforzo immane per girarmi su me stessa e avvicinarmi, ma mi
passò davanti una fila di cellule tutte rosse, che sembravano una sfilza di
monete. Non vidi più niente e credetti di aver sognato. Ma un attimo dopo,
proprio accanto a me, c’era la cellula che aveva parlato. Com’era bella la sua
membrana tutta rossa lucente, un po’ incavata al centro! “Ma perché mi
chiama ‘piccola’ se sono più grande di lei?” pensai.
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– Chi sei? – dissi. Ma, credendo di essere stata troppo brusca, mi affrettai
ad aggiungere:
– Io sono Bianca Senzamacchia, così mi chiamavano dentro l’osso dove
sono nata e…
– Lo so, piccola, lo so, stai parlando con Teo Lo Porto detto “il Facchino”,
il più grande trasportatore di ossigeno di tutto il corpo di Carmelo De Pomis,
conoscitore di ogni atomo del suo organismo. Dove sono io, c’è sempre
ossigeno, dove non ci sono io, le cellule non respirano. Io, unico, fra tutti i
globuli rossi, sono il celebre Facchino. Hop! hop! e in un batter d’occhio
corro ai polmoni, mi carico di ossigeno e vado a consegnarlo a una cellula
che non ce l’ha. E al ritorno… hop! hop! prendo da quella cellula l’anidride
carbonica e la riporto ai polmoni. Io, il Facchino, il più grande di tutti!
– Scusa Facchino, io non conosco bene le strade e…
– Uè! piccola, oggi è la tua giornata fortunata! C’è qui per te il Facchino
rosso!
– Già… perché sei così rosso? – domandai ingenuamente.
– Perché l’ossigeno che sto portando colora di rosso la mia emoglobina –
disse, mostrandomi una molecola del citoplasma che risplendeva di rosso.
– Emo… glo… bina?
– Sì, piccola, guarda! L’emoglobina è formata da una proteina e da un
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gruppo di atomi contenente ferro. Quando arrivo nei polmoni, hop! hop!
prendo l’ossigeno e lo aggancio al ferro presente nell’emoglobina. Poi me ne
vado in giro per il corpo e cedo l’ossigeno alle cellule che ne hanno bisogno
per respirare. Naturalmente in cambio di una lauta mancia. Nel viaggio di
ritorno, invece, hop! hop! metto sul mio gancio parte dell’anidride carbonica
prodotta da quelle cellule, e la riporto ai polmoni.
A me sembrava un po’ strano questo… questo… Facchino… ma ero così
sola che decisi di fidarmi.
– Ehi Teo, spiegami un po’ le strade!
– Con il Facchino sei a posto. Vieni con me che ti insegno tutto io, ma
prima lasciami portare l’ossigeno a Tiramolla…
– E chi è questa Tiramolla?
– È una cellula del muscolo che si chiama così, Peppina Tiramolla. Non
preoccuparti, ti divertirai.
– Ma, ma… ma io…
– Vieni, non preoccuparti – disse Teo il Facchino e, fluttuando qua e là nel
verso della corrente, recitò dei versi:
Se di ossigeno vuoi abbuffarti
il Facchino devi ingraziarti.
Se anidride ti è avanzata
Teo corre all’impazzata.
Ma chi a Teo non dà la mancia
aspetta, soffoca e si arrangia.
Poi aggiunse:
– Modestamente sono anche poeta… E il più grande, qui dentro De Pomis!
A me non parevano granché quei versi. Anzi, questo Facchino mi
sembrava un po’ matto…
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– Sei sempre così allegro, Teo?
– Come potrei essere triste… più o meno so che nella vita devo portare
ossigeno e basta. Quindi non mi pongo troppe domande.
– Ma… e le altre funzioni delle cellule?
– Ma se non ho nemmeno il nucleo! Come tutti i globuli rossi! Io non
devo fare tante delle cose che fanno le altre cellule, devo solo portare
ossigeno!
Tra me e me pensai:
“Ecco perché è così matto! Ma con chi sono capitata! Con una cellula
senza nucleo?!”
Comunque non avevo molta scelta e continuai a seguirlo.
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PEPPINA TIRAMOLLA
L
a strada che conduceva da Peppina Tiramolla era lunga e tortuosa.
Abbandonammo una grossa arteria e percorremmo una serie di capillari
strettissimi. Teo si contorceva tutto e modificava la sua forma per passare.
Non ero abituata a quei capillari così stretti e a momenti mi sentivo soffocare.
Durante quel faticoso tragitto, sentii una musica lontana che diveniva sempre
più forte. Passò qualche attimo, poi riuscii a percepire una strofa:
Se si è aperta una ferita
con noi il sangue non ha uscita,
siam della pelle i muratori
con noi il sangue non va fuori.
Subito dopo, vidi una fila lunghissima di strani piccoli esseri di forma
irregolare, che spingevano per passare e cantavano allegramente.
– Ma chi sono? – domandai a Teo.
– Sono piastrine. Si dirigono verso la ferita per impedire che il sangue
esca.
– Ma come fanno?
– Appena giunte nel punto dove si trova la ferita, liberano una sostanza.
Questa reagisce con alcune molecole che si trovano nel sangue. Si formano
così dei filamenti che imprigionano come in una rete i globuli rossi.
– Quindi non possono uscire… e sono salvi.
– Vedi? Cominci a capire. Ora seguimi, Tiramolla sarà già arrabbiata per il
ritardo.
Camminammo ancora per molto finché, finalmente, la vista si aprì e Teo
disse:
– Eccoci nel muscolo!
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Davanti a me si svolgeva uno spettacolo stranissimo: c’erano lunghe corde
tese, formate da lunghissime cellule, che si accorciavano e allungavano,
gonfiandosi e sgonfiandosi. Questi movimenti, ripetuti periodicamente, erano
accompagnati da un rullo di tamburo che dava il ritmo e che era seguito da
una voce pronunciata all’unisono:
– Oooo issa, oooo issa, oooo issa…
Poi a un tratto si udì:
– Riiiiiiposo! Carmelo De Pomis s’è seduto!
Allora tutte si fermarono, e si sentì forte un unico sbuffo di sollievo:
– Pffffiuuuu!!!
La cellula che dava i comandi era Tiramolla. Io non smettevo di guardarla,
perché non avevo mai visto una cellula così lunga e affusolata. Per tutta la
sua lunghezza, zone scure si alternavano a zone chiare, che si riducevano in
ampiezza tutte le volte che il ragionier Carmelo De Pomis decideva di
muovere il muscolo.
Senza curarsi di me, Tiramolla si rivolse a Teo:
– E ti chiamano “il Facchino”… ma sai da quanto tempo ti aspetto?
– Tiramolla, uffa… la solita esagerata! Devi darmi il tempo di andare ai
polmoni e tornare!
– E fermarti a gozzovigliare… l’unico globulo rosso che si ferma per la
strada l’ho trovato io! Si dà il caso che Carmelo De Pomis stamattina abbia
deciso di andare in bicicletta…
– E avete più da lavorare. E allora c’è qui per voi il grande, l’unico, c’è…
Teo Lo Porto detto il…
– … il Facchino, uffa… – lo interruppe Tiramolla. – Vabbè vabbè,
cambiamo discorso… dammi l’ossigeno.
Non so dirvi bene che cosa avvenne a quel punto. Assistetti a una specie di
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scambio di atomi, che vidi muoversi e unirsi fra loro. E, alla fine di quello
scambio, Teo aveva perso il suo bel colorito: era proprio l’ossigeno, ora
ceduto a Tiramolla, a colorarlo di rosso.
Tiramolla si rivolse a me:
– Come ti chiami?
– Sono Bianca Senzamacchia – risposi prontamente.
– Piacere, io sono la cellula Tiramolla. Mi sembri giovane, sai che presto
dovrai combattere?
– Sì, lo so e sento anche il desiderio di difendere tutto quello che finora ho
visto, perché mi sembra meraviglioso.
– Questa frase è degna di un globulo bianco! Ma, mia cara Bianca, ti dico
questo perché ho visto passare una cellula morta, trasportata dal siero. Era
conciata proprio male! Quella – disse abbassando la voce – era opera di un
virus… e dei più terribili!
Sobbalzai:
– Cooosaaa? Ma io devo correre via di qui! Io devo andare a combattere!
– Calma, calma! – disse Teo – Vedrai che verrà il tempo per combattere!
Prima cerca di capire se davvero ci sono virus dentro il corpo del ragionier
De Pomis.
– Ma come?
– Chiederemo in giro!
– Allora andiamo, presto! – lo incitai.
Ma Teo non si muoveva, stava fermo e aspettava la mancia da Tiramolla
che faceva finta di niente. Seppi dopo che quella scena si ripeteva ogni volta.
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Finalmente Tiramolla diede a Teo il Facchino una proteina e ci congedammo.
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IVAN IL TERRIBILE E L’INIZIO DELL’INDAGINE
S
eguii Teo nei suoi strani percorsi per una buona mezz’ora. Tutto intorno
a me era nuovo e meraviglioso, ma il pensiero di quella cellula uccisa dai
virus non mi lasciava tranquilla. Forse il mio posto, pensavo, non era lì, con
l’estroso Teo Lo Porto che si lamentava dell’avarizia di Tiramolla. Sentivo
dentro di me che non c’era tempo da perdere. Se davvero qualche virus era
riuscito a penetrare all’interno di Carmelo De Pomis, io dovevo essere con gli
altri globuli bianchi a combattere. Per tutti i DNA dell’universo! Avevo visto
passare tanti globuli bianchi a gran velocità, forse era questo il motivo!
Eppure, quel giorno tutto pareva tranquillo. Il ragionier Carmelo De Pomis
si era ingozzato di mele e aveva deciso di farsi un sonnellino, così tutte noi
avevamo ridotto le attività al minimo: i rumori si erano attutiti, i ritmi erano
meno frenetici e anche i globuli rossi avevano rallentato la corsa.
Teo si fermò in un punto di confluenza tra tante vene.
– Ivan passerà certamente di qui. Voglio farti parlare con lui – mi disse.
– E chi è Ivan?
– Non conosci Ivan Biancone detto “il Terribile”?! È un globulo bianco, di
un tipo speciale. Vedrai… E soprattutto è un eroe di guerra. Tutti lo chiamano
Ivan il Terribile, perché quello è il soprannome che i virus, che lo temono
così tanto, gli hanno dato. Oh! naturalmente è un mio amico… Sai, tra
persone famose ci si conosce sempre, perché io… io sono Teo Lo Porto detto
“il Facchino”, mica una cellula qualunque!
– Certo, certo, non lo metto in dubbio. Ma in che senso è un tipo speciale?
È diverso da me?
– Sì, è un macrofago.
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– Mamma mia… e che vuol dire?
– Non aver paura, Bianca: c’è qui Teo Lo Porto che ti spiega tutto. Il più
grande trasportatore di ossigeno, l’unico, il solo, colui che sa tutto…
Poi, prendendo a oscillare qua e là, continuò:
Se davvero vuoi imparare
dal Facchino devi andare
a ogni cosa che gli chiedi
lui risponde su due piedi.
– Vedi, cara Bianchina, ci sono vari tipi di globuli bianchi, e i macrofagi
sono tra questi. Anch’essi fanno parte del tuo esercito, ma combattono contro
i virus in un altro modo: quando vedono un corpo estraneo penetrato dentro
il ragionier Carmelo De Pomis, lo divorano.
– Ma vuoi dire allora che Ivan ha una bocca e tanti denti aguzzi? –
domandai, spinta da una grande curiosità.
– Non esattamente, Bianca. Quando i macrofagi vedono qualche estraneo
che può essere pericoloso per le altre cellule, modificano la loro forma in
modo da circondare la loro preda; è come se l’abbracciassero. Poi a poco a
poco la inglobano all’interno del loro citoplasma e la digeriscono.
Ascoltate queste parole, divenni ansiosa di conoscere Ivan personalmente.
L’attesa non durò molto. Appena qualche istante dopo che Teo ebbe finito il
suo sfoggio di cultura, sentimmo un grosso vocione rauco:
– Ehi Facchinaccio, sempre a gozzovigliare, eh?!
Come immaginavo, Ivan era enorme. Il suo citoplasma molto abbondante
e il suo nucleo a forma di ferro di cavallo lo rendevano spaventoso. Pensai ai
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virus atterriti da quella visione. Ma ciò che più mi colpì, fu il modo in cui
Ivan si muoveva: all’interno del citoplasma creava delle vere e proprie
correnti che modificavano la sua forma, allungandolo ora in un punto, ora in
un altro. Deformandosi in questo modo, Ivan era capace di creare un grande
avvallamento in cui imprigionare la preda.
Al suo vocione, Teo rispose con la solita spavalderia che lo
contraddistingueva:
– Oooh, chi si vede… Ivan… ih! ih! ih! sapevo che saresti passato di
qui…
– Be’ sì… sì… sai ho un’amica qui vicino…
– Dai Ivan, così grande e grosso fai il timidone! E ti chiamano pure “il
Terribile”! Lo sanno tutti che è la tua fidanzata!
– Be’, no, no… non scherziamo, è una specie… no… ma che fidanzata… è
un’amica… perché… insomma non è … oh! ma c’è con te un globulo
bianco!
– Piacere, Bianca Senzamacchia – dissi timidamente.
– Piacere, Ivan Biancone, detto “il Terribile”. Ma cosa fai ferma qui?
– Aspettavamo te – disse Teo – abbiamo sentito dire che è stata avvistata
nel sangue una cellula dilaniata dai virus.
– Cooosaa?! Che virus?! Ma stai scherzando?!!!
– Ma quindi tu non sai nulla?
– Ma nessuno mi ha… e poi… io… io ero qui per parlare con la mia
futura moglie…
– Aaah… scoperto!!! Ih! ih! ih!
Chi nasconde un segreto
deve fare marcia indietro
col Facchino non c’è scampo
a capire lui è un lampo.
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Questo fece andare Ivan su tutte le furie:
– Sei il solito leggerone! Ma non capisci che la questione è seria?! Santo
cielo! Ma ci sarà un telegiornale cellulare?!
– Ma sì! Non preoccuparti… Andiamo da Pietrina Roccadura! Abita
proprio nel femore. È vicinissimo!
E dicendo questo, Teo ci fece segno di seguirlo.
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IL TG DI PIETRINA ROCCADURA
F
ui felice di ritornare dentro un osso e di conoscere Pietrina, una cellula
dell’osso. Molti pensano che un osso sia una struttura morta e secca. No,
vi assicuro, non è così… l’osso è umido, è attivo, è vivo, e anche le sue
cellule richiedono nutrimento come qualunque organo vivente. Il sangue
scorre al suo interno lungo i cosiddetti canali di Havers, che formano una
fitta rete nella quale da piccola mi piaceva perdermi. Oh! Adoravo quei
vicoletti stretti con le cellule tutte affaccendate a produrre proteine! E
com’era buffo quando la vista si apriva inaspettatamente e potevo vedere, nel
punto più interno dell’osso, le cellule grasse che formano il midollo! Ma
anche le parti dure, che costituiscono le strutture portanti dell’osso, mi
affascinavano: mi sorprendevo a immaginare le cellule che molti anni prima,
quando il ragionier Carmelo De Pomis era piccolo, avevano immagazzinato il
fosfato e il carbonato di calcio, indurendosi sempre più.
Così, quando io, Ivan e Teo avvistammo un grosso cartello con la scritta
“CANALI DI HAVERS”, mi emozionai e quasi dimenticai il pericolo che
forse incombeva su questa meravigliosa macchina nella quale noi tutte ci
trovavamo a vivere.
Giunti dalla cellula Pietrina e fatti i dovuti convenevoli, aspettammo con
ansia il telegiornale. Mi misi a osservare le rigide pareti fatte di carbonato di
calcio, e fu allora che Pietrina mi disse:
– Io mi ricordo di te da piccola. Venivi qui e noi ti regalavamo le caramelle
al glucosio. Ora sei diventata grande e grossa… sai che fra poco dovrai
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proteggerci?
– Hai sentito anche tu di quella cellula uccisa?
– Ho sentito, ho sentito… ho tanta paura, sai, ormai sono vecchia e non ho
più le forze per reagire… voglio morire in pace, non voglio fare quella fine
orribile! – e cominciò a piangere.
Allora cercai di farle coraggio, dicendole che, se veramente erano entrati
dei virus, avremmo combattuto e vinto. Ma io stessa, ahimè, credevo poco in
quello che dicevo.
Finalmente arrivò l’ora del telegiornale. Le parole di quell’edizione
speciale suscitarono in me un’impressione fortissima. Per la prima volta nella
mia vita sentii quell’istinto formidabile a combattere, a difendere le altre
cellule, che solo noi globuli bianchi abbiamo. Ricordo ancora le frasi iniziali:
La vita del ragionier Carmelo De Pomis potrebbe essere in pericolo. Stando
alle ultime notizie, frammenti di cellule non identificate sarebbero stati
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rinvenuti in alcune vie respiratorie. Le caratteristiche dei frammenti portano
a sospettare la presenza dei temibili virus Maleficus Horribilis.
A quel nome, un fremito mi attraversò tutto il citoplasma. Ma il servizio
che seguì fu ancora più preoccupante.
“Siamo in presenza di un fatto di indubbia interpretazione”, ha affermato
Felice De Ammazzavirus, globulo bianco e Gran Comandante della
Guardia Bianca, “si tratta di virus della peggior specie: Maleficus
Horribilis”.
Intanto si sta cercando di identificare i frammenti, attraverso lo studio delle
proteine che li compongono. Il Gran Comandante ha dichiarato lo stato di
allerta, ma ha precisato che “non vi sono ancora le condizioni necessarie
per convocare gli Stati Generali”. Ha tuttavia insistito su un punto: “Ogni
globulo bianco, dovunque si trovi, è invitato a fornire informazioni utili per
identificare i colpevoli”.
Si segnalano movimenti di truppe in tutte le vie respiratorie. “Per ora”, ha
affermato Felice De Ammazzavirus, “stiamo rafforzando tutte le misure di
sicurezza”.
Dall’inviato nell’arteria polmonare, Franco Grave
Al termine di quel servizio, io e Ivan ci guardammo sgomenti. Poi mi
balenò nel nucleo il ricordo di quelle piastrine che andavano a bloccare la
fuoriuscita del sangue in una ferita.
– E se i virus fossero entrati dalla pelle aperta? Perché non parliamo con
quelle piastrine?
Ivan e Teo mi guardarono con aria di commiserazione, poi Teo disse:
– Perché sono belle e morte. Quando vanno nella ferita, devono
27
disintegrarsi per fare uscire le sostanze che servono per bloccare l’emorragia.
– Ma potremmo chiedere alle cellule della pelle! – disse Ivan.
– È affar vostro ormai... Per tutti i DNA del mondo! Ma è tardissimo!
Devo portare l’ossigeno alla cellula Tiramolla. Addio! – e Teo fece per
andarsene.
– Ehi! Mi lasci sola! Ma quando ci rivedremo? – gli urlai preoccupata.
– Sei in buone mani, io seguirò le tue sorti, ah! ah! ah! – e, dopo essere
scoppiato in una fragorosa risata, recitò:
Non c’è bisogno del mio aiuto
e io adesso ti saluto
ma un giorno tornerò
e la mia amica rivedrò
son Facchino, scherzo e canto
ma all’amicizia tengo tanto.
28
L’INDAGINE CONTINUA
E
ravamo sempre più preoccupati: durante la lunga strada che portava alle
cellule della pelle, nessuno di noi due disse una parola. Poi finalmente
avvistammo due frecce, una orientata verso l’alto, l’altra verso il basso, con
le scritte “DERMA” ed “EPIDERMIDE”. Ivan mi spiegò che la pelle si
compone di due strati sovrapposti: l’epidermide che è lo strato più esterno, e
il derma che è lo strato più interno. Ma precisò:
– Nel nostro viaggio incontreremo prima le cellule adipose.
– E chi sono?
– Sono cellule molto grasse. Adorano rimpinzarsi e sono felici quando
Carmelo De Pomis va al ristorante la domenica.
Di lì a poco tutto mi fu chiaro: vidi una lunga serie di trattorie, piene di
cellule sedute ai tavoli che mangiavano allegre, incuranti del pericolo forse
imminente.
– Ehi Ivan, fatti una bella polpetta di glucosio fresco con noi!
– No, no, abbiamo fretta… – tagliò corto Ivan, e mi incitò a far presto.
Avevamo iniziato la salita verso il derma, quando udimmo una cellula
lamentarsi.
– Ahi, ahi, la vita è brutta, ciao Ivan, quanti dolori… ahi, ahi!
29
Guardai in giro, ma non vidi nulla. Poi osservai meglio, e vidi una specie
di albero: un lunghissimo… bah! a me sembrava uno stelo che terminava con
tantissime ramificazioni che toccavano in alto l’epidermide.
– Ivan – dissi – ma c’è… c’è una specie di albero che ha bisogno di aiuto!
– Ah! ah! ah! – rise forte Ivan – quello non è un albero! È la cellula
Addolorata, è un recettore del dolore!
– Cosa vuol dire recettore?
– È una cellula incaricata di sentire la pressione delle cose sulla pelle di De
Pomis, e di trasmettere questa sensazione ad altre cellule simili, finché il
messaggio arriva al cervello.
Quei lamenti però suscitarono in me molta pietà. Così dissi alla cellula
Addolorata:
– Dai, la vita può essere bella quando puoi scoprire cose nuove, come sto
facendo io!
– No, è brutta, è brutta, ahi, ahi, ahi – rispose lei.
A quel punto intervenne Ivan:
– Bianca, non farci caso, dice sempre così, in realtà ha tutto quello che
vuole, dire queste cose fa parte del suo lavoro!
Ivan mi convinse. Continuammo quella faticosa salita finché non
raggiungemmo il derma. Era uno strato di cellule molto giovani, che ci
accolsero festosamente: non erano frequenti le visite da quelle parti. Ricordo
ancora una bella terrazza che si affacciava sull’epidermide.
– Cosa c’è oltre l’epidermide? – domandai a Ivan.
– C’è l’universo – mi rispose.
– E cos’è l’universo?
30
– È il posto dove vive il ragionier Carmelo De Pomis. Noi pensiamo che
sia un posto grande grande, senza confini, ma non ne siamo sicuri.
– E a che serve un posto senza confini a un uomo basso e grosso che passa
tutto il suo tempo a Beccotorsolo?
– Perché mi fai queste domande così difficili? Forse potrebbe risponderti
una cellula del cervello, ma di sicuro non io che sono un soldato!
In effetti quello non era il momento di filosofeggiare. Era in gioco la
sopravvivenza di tutti noi.
– Ehi! Lassù, mi sentite? – urlò Ivan.
– Chi sei? Cosa vuoi? – chiese qualcuno.
– Siamo due globuli bianchi e vorremmo alcune informazioni – rispose
Ivan.
– Ma proprio ora che ci stiamo abbronzando?! Tornate stasera…
– Vogliamo solo sapere se avete notizia di qualche ferita, potrebbero essere
entrati dei virus…
– Abbiamo sentito anche noi quelle notizie terribili, ma… nessuna ferita.
C’è stato solo un falso allarme recentemente, dalle parti del dito, mentre
Carmelo De Pomis sbucciava una mela, ma nulla di grave. Comunque non ci
è arrivata voce del passaggio di virus dalla pelle.
A me sembrò una buona notizia, tanto che dissi a Ivan:
– Era un falso allarme, allora. A volte i giornalisti si inventano le notizie…
– Sei troppo ingenua – mi rispose stizzito Ivan. – I virus possono entrare
all’interno del corpo umano anche attraverso la bocca, oppure attraverso
certe parti della pelle, senza che vi sia una ferita…
– Ma non possiamo chiedere a tutte le cellule del corpo!
31
– Ci sono tantissimi globuli bianchi come noi che stanno indagando…
vedrai che sapremo presto qualcosa.
– D’accordo, ma non possiamo starcene senza far nulla… – dissi
scoraggiata.
– Io so chi ci potrebbe dire qualcosa… – disse Ivan il Terribile.
– Per tutte le proteine di Carmelo De Pomis! Chi?
– Basterebbe un neurone.
– Un neurone?!
– Sì, una cellula del cervello… basterebbe una sola di loro! Sanno
tantissime cose.
Ero eccitata all’idea di conoscere un neurone: avremmo potuto ottenere
informazioni importantissime per la nostra indagine. Non solo, avrei anche
potuto soddisfare molte delle mie curiosità. Così esclamai:
– Andiamo subito!
Ma Ivan il Terribile gelò i miei entusiasmi:
– Non credo sia possibile per noi vedere un neurone…
Io insistetti:
– Come no? Ma almeno proviamoci!
– Per noi non è possibile vederli, i neuroni hanno alcune cellule
tutt’intorno che li proteggono e li nutrono… non ci farebbero passare. No,
non insistere.
Non mi diedi per vinta:
“Chissà cosa direbbe il mio amico Teo” pensai, “dopotutto, stando a
quanto dice lui, niente gli è impossibile”.
Ma tenni per me tutto questo e chiesi a Ivan di riaccompagnarmi dalla
cellula Tiramolla dove, prima o poi, avrei potuto rivedere il Facchino...
32
IL PERMESSO SPECIALE
Q
uando arrivammo nel muscolo, la scena era la solita: le cellule erano
affaticate dagli sforzi e Tiramolla imprecava.
– Facchinooooo! Sono a corto di ossigenoooo! Lo vuoi capire sì o no?!!!
E poi vedendo che, nonostante le urla, Teo non arrivava, rincarava la dose:
– Per mille DNA, te ne pentirai, Facchinaccio pigro e insolente!
Quando finalmente arrivò, lo accolse così:
– Virus! Sei un virus! Non ne posso più di te!
– Calma, calma, arriva l’unico, il grande, colui che risolve tutti i problemi,
arriva Teo Lo Porto, il più grande…
– Sì, il più grande… il più grande problema della mia vita… in fretta,
dammi l’ossigeno…
Io aspettai che Tiramolla ricevesse l’ossigeno e si tranquillizzasse. Poi
spiegai a Teo che volevo parlare con un neurone, ma mi risultava che ciò
fosse impossibile.
La sua risposta mi rallegrò:
– Impossibile! Ah! ah! ah! – e rise di gusto. – Ehi! Bianchina, stai
parlando con Teo Lo Porto… non so se mi spiego. Qui, dentro Carmelo De
Pomis, mi conoscono tutti, ti farò avere un permesso speciale!
E canticchiò:
Se a un neurone vuoi parlare
ti farò raccomandare
chiederò a chi so io
il Facchino è proprio un dio.
– Ma quanto dovrò aspettare per questo permesso speciale?
– Te lo porterò al prossimo giro, dammi il tempo di parlare con chi so io,
di andare ai polmoni, lasciare l’anidride carbonica e prendere un po’ di
33
ossigeno… giusto un attimo.
– Uuuuuuu! Giusto un attimo!!! – esclamò ironicamente Tiramolla – ehi,
vedi di sbrigarti, altrimenti assoldo un altro facchino!
Tutti ci aspettavamo che a quel punto andasse via in fretta, invece Teo
stava fermo fischiettando. Ivan allora esclamò:
– Dategli la mancia!
Finalmente Tiramolla si decise a dare a Teo una proteina, secondo lei
immeritata, e così lo stravagante globulo rosso partì.
Nonostante lo scetticismo di Tiramolla, io nutrivo grandi speranze nel
viaggio di Teo: qualsiasi informazione sarebbe stata utile per localizzare i
virus e per preparare la battaglia.
L’attesa fu spasmodica. Appena Teo se ne fu andato, Tiramolla cominciò a
lamentarsi. Finalmente Teo ritornò e, dopo aver compiuto il suo dovere, mi
disse:
– Ehi piccola, Teo ha risolto tutti i tuoi problemi, ecco il permesso
speciale!
Ero talmente felice che anche questa volta evitai di fargli notare che io,
essendo un globulo bianco, ero più grande di lui.
Il testo del documento era scritto in lingua cellulese. Prima di darvene una
traduzione, vorrei riportare il testo originale perché possiate apprezzare la
bellezza della nostra lingua. Il nostro alfabeto cellulare è formato da quattro
lettere: A, G, T e C. Questa è la lingua con cui sono scritte nel DNA le
istruzioni per il nostro funzionamento.
Il permesso speciale così recitava:
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La traduzione è:
Area di Wernicke (Emisfero sinistro), 27 Pirimidino del cinquantanovesimo
anno dopo la Cellula Uovo
Oggetto: convocazione in data 27 Pirimidino alla ventunesima ora del
cinquantanovesimo anno dopo la Cellula Uovo
Il sottoscritto Aristotele Logos, professore emerito, concede udienza, in via
del tutto straordinaria e per gravi ed evidenti ragioni, a: Bianca
Senzamacchia, di professione globulo bianco, nata a Sterno, in località
Midollo Osseo, il 14 Purino del cinquantanovesimo anno dopo la Cellula
Uovo, residente nel sistema circolatorio.
La puntualità è raccomandata.
Emerito Professor Aristotele Logos
La lettura del documento mi mise una certa apprensione. Perché “gravi ed
evidenti ragioni”? Allora i virus c’erano veramente! E come mi avrebbe
accolto questo “Emerito Professore”?
Ma su queste preoccupazioni prevaleva la curiosità di vedere le cellule del
cervello e di capire come funzionavano. Avrei potuto fare un sacco di
domande a questa cellula veramente saggia.
Espressi questi sentimenti a Teo, che tagliò corto:
– Piccola, è solo un neurone… certo è… sì, forse… è una gran persona,
ma non è un “grande” come il sottoscritto, Teo Lo Porto detto “il Facchino”.
35
Be’, era ora di mettersi in marcia. Mangiai qualcosa, presi un po’ di
ossigeno, mi ripulii scaricando tutta la spazzatura nel siero, salutai Ivan e
Tiramolla e mi misi in viaggio con Teo.
36
IL VIAGGIO
B
enché fossi impaziente di vedere i neuroni, dovetti fermarmi
innumerevoli volte durante il viaggio. Infatti Teo Lo Porto, inossidabile
chiacchierone, si fermava a discutere con qualunque cellula incontrassimo. E
ora che ci penso, credo proprio che avesse allungato di molto la strada, per
parlare con alcune sue amiche: una cellula del fegato, una dello stomaco, una
del rene e una della milza. Ma quel che m’irritò di più fu che, proprio quando
eravamo giunti in prossimità del cervello, mi fece deviare dalla vena maestra
per andare a trovare una cellula della lingua. E lì cominciò a conversare
animatamente, a raccontare barzellette e a sghignazzare, approfittando del
fatto che a quella dannata cellula piaceva stare a parlare, parlare e parlare.
Ricordo che a un certo punto dissi a Teo:
– Ti supplico Teo… voglio andare via… lo sai, abbiamo tanto da fare,
dobbiamo vedere Aristotele Logos e poi tu devi anche portare l’ossigeno a
Tiramolla!
– Puffff! Tiramolla può aspettare… è abituata ormai; quanto ad Aristotele
Logos, siamo in anticipo. Dammi solo cinque minuti.
Com’era naturale, i cinque minuti diventarono venti, poi, finalmente, fui
lieta di riprendere il viaggio. Dopo alcuni centimetri di cammino, quando
imboccammo un’arteria chiamata carotide sinistra, Teo insistette per fermarsi
in un’area di servizio. Ma io questa volta non volli sentire ragioni e lo
costrinsi a procedere oltre, affermando che ero disposta perfino a continuare
il viaggio da sola. Poco oltre però, fummo costretti a fermarci perché alcune
strane cellule ci sbarrarono il passo e ci chiesero i documenti. Io e Teo
esibimmo in tutta fretta il permesso speciale, che fece un forte effetto. Infatti,
appena lessero il nome di Aristotele Logos, le cellule ci lasciarono
immediatamente passare. Ci insinuammo così in un’arteria più stretta,
all’inizio della quale vi era un cartello con la scritta:
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“CORTECCIA CEREBRALE”.
– Era proprio come dicevo io! – non mancò di esclamare Teo il Facchino.
– Questa è la strada giusta per andare da Aristotele Logos.
– Ma se non sei mai venuto qui! – dissi.
– Scherzi, piccola? Io non ho bisogno di essere stato in un posto per
sapere dove si trova! Ho un ottimo senso dell’orientamento!
“Mah” pensai tra me e me, “qui si mette male”.
Il paesaggio era cambiato: la struttura del cervello era molto più compatta
delle altre regioni del corpo che avevo visto. Infatti da ogni parte vedevo
un’altissima densità di cellule che sembravano tutte intrecciate fra loro. Ma
non ero ancora abbastanza vicina per capire quale forma avessero.
Mentre proseguivamo, Teo non perse l’occasione di tenere una lezione sul
cervello. Cominciò con lo spiegarmi che la corteccia cerebrale è una specie
di mantello che ricopre… accidenti, com’è che diceva… l’encefalo, sì credo
che dicesse proprio l’encefalo: insomma tutto ciò che sta dentro la scatola
cranica, il cervello vero e proprio. Poi mi spiegò che la corteccia cerebrale è
divisa in tante regioni, in ognuna delle quali i neuroni svolgono determinate
38
funzioni. Ad esempio, nella cosiddetta area di Wernicke, dove stavamo
andando noi, i neuroni si occupano della comprensione delle parole scritte.
Io non capivo bene che cosa ciò significasse, e per questo la mia curiosità di
conoscere Aristotele Logos cresceva ogni minuto di più.
39
L’EMERITO PROFESSOR ARISTOTELE LOGOS
F
inalmente, giunti all’area di Wernicke, ci fu indicato un capillare molto
stretto, che ci avrebbe portato dritti da Logos. Lo percorremmo in tutta la
sua lunghezza, poi esausti ci fermammo e Teo urlò:
– Aristotele Logos è qui?
– Emerito professor… emerito professor Aristotele Logos, prego… – si
udì da lontano.
– Ehm… Sì, emerito professor… certo, lo scusi… è un giovane globulo
bianco – disse Teo.
– Ma se io non ho parlato! – gli bisbigliai inferocita.
– Non fa niente, avvicinatevi, evéro, avvicinatevi – disse il professor
Logos.
– Ma che vuol dire “evéro”? – chiesi a Teo senza farmi sentire.
– È un intercalare tipico dei neuroni particolarmente colti, non farci caso,
piccola!
Ci avvicinammo e io, nel trovarmi citoplasma a citoplasma con l’emerito
professore, rimasi sbalordita dalle sue forme: era incredibilmente allungato e
frastagliato. Soltanto al centro, dove si trovava il nucleo, l’emerito professore
era rotondeggiante; si estendeva poi da due parti opposte, in migliaia di
ramificazioni. Quando spinsi oltre lo sguardo, vidi una cosa ancora più
strana: le parti terminali di quelle ramificazioni erano a stretto contatto con
quelle di altri neuroni, collegati alle estremità di Aristotele Logos. Fin dove
potevo vedere, c’erano enormi distese di neuroni tutti a strettissimo contatto
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fra loro. E io, io stavo per parlare a una sola di quei milioni di cellule…
Nonostante l’emozione, mi feci coraggio e cominciai il discorso che avevo
preparato:
– Emerito professore, io mi chiamo Bianca Senzamacchia e…
– Certo, certo, prego, venga al punto, so già tutto, evéro – m’interruppe il
professore.
– Sono qui per indagare sulla presenza di virus…
Al suono di quella terribile parola, il professor Logos m’interruppe ancora
dicendo:
– Qui nell’intero nostro emisfero abbiamo, evéro, preso in considerazione
il vostro caso. Stiamo esaminando tutte le segnalazioni che arrivano dalle
cellule di alcune parti del corpo, e al più presto elaboreremo un’idea in
merito al problema, evéro.
– Un’idea? – dissi.
– Certamente, un’idea su dove si trovino i virus o sui sintomi della malattia
del ragionier De Pomis.
– Ma quanto occorre aspettare?
– È questione di minuti. A voi rivelerò l’idea in anticipo. Se intanto i lor
signori, evéro, si vogliono accomodare…
– Grazie, preferirei comunque, emerito professore, approfittare delle sue
vaste conoscenze e del tempo a disposizione per porle alcune domande…
Il professor Logos si mosse leggermente, come per assumere una
posizione più comoda.
41
UN COLLOQUIO IMPORTANTE
E
ro un po’ imbarazzata di fronte a quella cellula così colta, che aveva
lavorato per oltre cinquant’anni nel cervello di Carmelo De Pomis. Tra
me e me pensavo:
“Chissà quanti pensieri avrà visto nascere!”.
La mia grande curiosità mi aiutò a esordire:
– Io, guardi, non so da dove cominciare. Lei è così un gran… un gran
neurone e io so così poco…
– Vada avanti, prego.
– Ho visto tante cose strane e mi sono posta tante di quelle domande… Io,
per esempio… sa che sono arrivata quasi fino all’epidermide? So che oltre ci
sono gli uomini, le loro case, le automobili… e poi – che bello! – i laghi, i
fiumi, le montagne… Ma… ma cosa c’è poi?
– Oltre, c’è tutto il resto… c’è l’universo.
– Dove vive Carmelo De Pomis, lo so, ma lui può andare dove vuole
oppure a un certo punto deve fermarsi, come dobbiamo fare noi quando
incontriamo l’epidermide?
– Oh no! Non ci sono ostacoli intorno a lui. Ma in realtà, evéro, Carmelo
De Pomis vive sulla Terra e in particolare nel paesino di Beccotorsolo, che è
un piccolissimo posto dell’universo…
– Ma allora, a che serve un posto così grande come l’universo, se gli
uomini vivono solo sulla Terra?
42
– Tante volte, evéro, noi neuroni abbiamo dovuto lavorare su questa
domanda, ma non abbiamo trovato risposta. Io, evéro, ritengo che l’universo
serva… serva… serva a far nascere negli uomini domande come la sua.
– È tutto così strano… – dissi. – Immagino che ci siano tante altre cellule
come noi nell’universo.
– Sulla Terra certamente! Ci sono le piante, gli animali… tutti formati da
cellule.
– Animali? I cani, per esempio?
– Sì, esseri viventi come Carmelo De Pomis, ma alcuni molto più grandi
dei cani.
– Quindi… quindi esistono cellule enormi?!
– Cellule enormi? E perché mai?
– Be’, immagino che gli animali grandi siano fatti di cellule molto più
grandi di noi!
– Oh no, le cellule hanno tutte all’incirca le stesse dimensioni! Cambiano
solo le forme.
– Strano… io immagino un animale grande fatto di cellule grandi e un
animale piccolo fatto di cellule più piccole.
– Emerito professore, ci illumini: come mai non è così? – disse Teo, sicuro
di mettere in difficoltà Aristotele Logos.
– Be’, devo ammettere che non lo so. Neuroni miei amici, che lavorano nel
cervello di scienziati famosi, hanno affrontato il problema, ma la risposta è
molto complicata, così complessa che io, evéro, per ora non l’ho capita.
Ritengo che debba esserci una ragione molto profonda, ma altro non so.
Teo il Facchino fu felice di quell’ammissione di ignoranza, e non poté
trattenersi dal sottolinearla:
43
– Insomma – disse – con il loro cervello, cioè utilizzando i loro neuroni,
gli uomini cercano di soddisfare le loro curiosità. Ma, di tutti i neuroni del
mondo che siano mai esistiti, non uno è riuscito a rispondere a questa
domanda. Ih! ih! ih! Bianca, sai… Ih! ih! ih!!… Sai quanti neuroni ci sono
nella corteccia cerebrale? Circa cento miliardi! Un uno con undici zeri! E sai
quanti sono gli uomini vissuti finora sulla Terra? Ancora cento miliardi circa!
E nessuno ha saputo rispondere alla tua domanda! – Poi guardò il
professore, contrasse un po’ il citoplasma, e aggiunse con aria soddisfatta: –
Ih!
– Teo, ti prego, non essere scortese, cosa c’entrano i neuroni con tutto
questo? – dissi.
– Eh no! I neuroni c’entrano! Ih! ih! ih! – rispose Teo.
– Prendo la parola, evéro, – disse il professore – per intervenire su quella
che io ritengo…
– Professore ci dica, ci dica… molto brevemente – disse Teo, fingendo di
pendere dalle sue labbra.
Nonostante quella raccomandazione, l’introduzione del professore durò
quaranta minuti, durante i quali Teo ebbe anche il tempo di dormire. Poi
finalmente Logos arrivò al punto:
– È mia opinione, evéro, che il signor Lo Porto dica, in un certo senso, la
verità. Però, vedete, gli uomini si trovano circondati da tante cose e hanno
bisogno di vedere, sentire, parlare, leggere, pensare e… e sognare, evéro.
Siamo noi neuroni, con il nostro lavoro, che permettiamo agli uomini di fare
queste cose, e non è poco.
– Grazie al vostro lavoro?
– Certo. Per esempio, se Carmelo De Pomis apre un libro e legge la parola
44
“casa”, nella sua mente deve formarsi l’immagine di una casa. E nel cervello
ci sono alcuni neuroni che lavorano per questo!
– Cioè, ci sono neuroni che formano l’immagine di una casa nella mente di
Carmelo De Pomis, proprio quando lui legge nella pagina la parola “casa”?
Ma come fanno? – domandai.
– Non posso entrare nei dettagli, evéro, anche per ragioni di segretezza.
– La prego professore, ci dica almeno qualcosa! – lo implorai.
– E va bene, vi dirò solo che alcune cellule dell’occhio mandano dei
segnali elettrici ad altri neuroni del cervello, per comunicare che nella pagina
ci sono quattro lettere che formano la parola “casa”: la C, la A, la S e la A.
Quei neuroni comunicano con altri neuroni tramite segnali elettrici e, dopo
un gran lavoro, si forma nel cervello di Carmelo De Pomis l’immagine di una
casa.
Teo si era stufato di tutte quelle parole e disse:
– D’accordo, d’accordo, comunque tutti questi neuroni non sono bastati
per rispondere alla domanda di Bianca. Ih! ih! ih!
I neuroni non sanno niente.
Solo Teo è intelligente.
– Teo, smettila! – gli intimai. – Ti sembra poco tutto quello che fanno i
neuroni? Sai com’è importante per Carmelo De Pomis leggere, pensare,
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parlare, sentire?
– Be’, io per esempio faccio respirare le altre cellule e le diletto con i miei
versi. Modestamente senza di me non potrebbero vivere.
– Eh sì, soprattutto senza i suoi versi – lo interruppe ironicamente il
professor Logos. – Comunque, si ricordi che noi almeno sappiamo di non
sapere tante cose.
– Le sembra che serva a molto? – ribatté Teo con una sfrontata aria di
superiorità.
– Sì, se noi neuroni credessimo di sapere tutto, evéro, non cercheremmo
più di conoscere nuove cose.
– E allora? – incalzò Teo.
– Allora gli uomini resterebbero senza domande e noi neuroni saremmo
disoccupati. Noi abbiamo bisogno sempre di nuove domande a cui
rispondere, altrimenti ci annoiamo. Ed è per questo che cerchiamo di
allargare le nostre conoscenze.
– In che senso?
– Quando scopriamo o capiamo qualcosa, sorgono domande nuove. Se gli
uomini non avessero scoperto le cellule, non si sarebbero chiesti, evéro,
come mai hanno tutte all’incirca le stesse dimensioni…
46
IL RESPONSO
A
un tratto qualcosa interruppe l’emerito professor Logos. Era uno strano
suono:
– Hiiii hiiiiiiiii hiiiiii brrrrrrrrrrrrr brrrr brrrrr…
Veniva da un neurone poco distante, come se un fremito lo percorresse in
tutta la sua lunghezza. Poi quel neurone emise un altro suono che diventò
sempre più flebile:
– To… to… to… to… to… to… to… to…
Subito dopo sentii gli stessi suoni provenire dal neurone vicino, poi da un
altro ancora, finché, neurone dopo neurone, i suoni si spensero in
lontananza.
– Ma… ma che succede? – chiesi preoccupata al professore.
– Be’, Carmelo De Pomis ha toccato l’acqua della doccia per vedere se era
abbastanza calda.
– E allora?
– Forse vorrà lavare una mela! Ih! ih! ih! – disse Teo.
– È un motto assai arguto e che denota spirito di osservazione, evéro.
Tuttavia il problema si presenta più serio di così. La sensazione di calore si
trasforma nel dito in un segnale elettrico, che viene trasmesso da neurone a
neurone fino ad arrivare al cervello, dove si forma l’idea che l’acqua è calda.
– E finalmente Carmelo De Pomis decide di farsi una doccia – aggiunse
Teo.
– Ma allora ci sono catene di neuroni dal dito fino al cervello? –
domandai.
– Oh certo! Sono nostri amici collegati con noi – rispose Aristotele Logos.
47
– Ma professore, e lei che segnali trasmette? – lo interrogai ancora.
– Io mi occupo della lettura. Ricevo segnali che partono da alcune cellule
degli occhi quando Carmelo De Pomis vede una parola scritta. Non appena
ricevo l’impulso elettrico, lo mando ad altri neuroni per formare le idee.
Io ero sbalordita da tutto quanto avevo ascoltato. Avevo vissuto fino a
quel momento senza sapere che, all’interno del corpo dove vivevo,
esistevano catene di neuroni a contatto fra loro che si trasmettevano
messaggi.
Presa da questi pensieri e dal senso di meraviglia che ne derivava, mi ero
quasi dimenticata del terribile pericolo che incombeva su tutta la comunità
delle cellule del corpo di Carmelo De Pomis. Ma a un tratto un segnale
elettrico percorse tutti i neuroni, ci fu un gran frastuono e io tornai in me.
Sentii che qualcosa di grave stava accadendo: i neuroni avevano un’aria
grave e preoccupata. Poi il professor Aristotele Logos si rivolse direttamente
a me, e scandendo le sillabe pronunciò questo nome: “Maleficus Horribilis”.
Dopo una pausa, riprese:
– Sì, sono i sintomi del Maleficus Horribilis… Tanti, sono in tanti… sono
nei polmoni.
Teo non disse niente. Era terribilmente spaventato. Io feci ogni sforzo per
mantenere la calma, ma non riuscii a dire nulla. Poi il professore aggiunse:
– Stiamo mandando segnali elettrici per chiamare al combattimento tutti i
globuli bianchi adatti a uccidere i virus Maleficus Horribilis.
– Va… vado a combattere – balbettai.
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Teo Lo Porto, con una serietà che stentavo a riconoscergli, aggiunse:
– Devi arrivare ai polmoni prima possibile. Io non posso accompagnarti,
perderesti troppo tempo, sai come sono fatto. Ormai conosci la strada, vai e
non fermarti per nessuna ragione.
La sua sincerità mi commosse.
– Addio – dissi, quasi piangendo.
– Coraggio e onore – disse il professore.
– Coraggio e onore – gli fece eco Teo il Facchino.
49
I PREPARATIVI
V
oglio essere sincera: ho dovuto interrompere la scrittura di questa mia
autobiografia perché il ricordo di quell’addio mi commuoveva un po’.
E poi avevo proprio bisogno di fare una bella passeggiata prima di iniziare
questo capitolo. Sto per raccontarvi l’episodio più importante della mia vita e
devo avere la mente fresca.
Mentre passeggiavo, avevo un dubbio atroce: devo scriverlo o no? Bene,
ho deciso di essere sincera fino in fondo: quando lasciai il cervello per
andare a combattere nei polmoni, avevo paura. Sì, paura, una paura terribile
che bloccava tutte le mie funzioni cellulari, e che a tratti mi spingeva a
scappar via per andare a nascondermi nell’angolo più remoto del corpo di
Carmelo De Pomis.
Lo so, adesso voi penserete che non è degno di un soldato aver paura e
pensare di scappare, ma voi, al posto mio, che cosa avreste provato? Andavo
a combattere contro nemici che non avevo mai visto, ma che tutte le cellule
descrivevano come mostri ferocissimi e orribili a vedersi; non ero sicura che
saremmo sopravvissuti; ero sola, abbandonata a me stessa e forse a un
destino crudele!
Che cosa mi spinse a gettarmi nella mischia, a difendermi come potevo e
a… uccidere? So di certo che durante quel triste viaggio verso i polmoni,
pensai a tutte le cellule e gli organismi che avevo conosciuto, che mi avevano
accolto e che mi erano stati amici. Mi ricordai di Pietrina Roccadura che
aveva lavorato tutta una vita e che ora desiderava una vecchiaia serena, delle
piastrine che andavano a morire pur di rimarginare una ferita, dell’immensa
fatica delle cellule dei muscoli… E allora una forza indomabile e sconosciuta
mi spinse a difenderle e a combattere per loro. E poi, quando sopraggiunse il
ricordo delle cose meravigliose che avevo visto durante la mia vita, quando
pensai a quanto ancora desideravo vedere e conoscere, a ciò che avrei potuto
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perdere, fu allora che divenni pronta a tutto.
Era la ventisettesima ora, quando arrivai in prossimità dei polmoni. La
corrente sanguigna era divenuta stranamente impetuosa e la temperatura era
salita notevolmente. Attorno a me il numero di cellule della gloriosa Guardia
Bianca aumentava. Dopo pochi istanti, quelle schiere confuse di globuli
bianchi erano già divenute un esercito che marciava ordinato. Tra resti di
cellule morte, pezzi di DNA, proteine semidistrutte, procedevamo senza
fiatare, strisciando sulle pareti delle vene incontro a un destino che non
conoscevamo. A tratti, canti di guerra rompevano il silenzio.
Immensi, forti, con il loro voluminoso citoplasma, i macrofagi
precedevano tutte le altre cellule. Di alcuni si mormorava che avessero
partecipato ai primi scontri con i virus, prima di unirsi agli altri compagni del
Quattordicesimo Battaglione Macrofagi.
Più indietro, formato da cellule più piccole e più lente, seguiva il Settimo
Battaglione Linfociti, al quale io stessa appartenevo. Al nostro fianco
marciavano ordinate giovani cellule molto simili a me; a giudicare
dall’accento, provenivano da un organo chiamato timo. Era il Quarto
Battaglione Linfociti. Qualunque cellula, anche da molto lontano, spaziando
con lo sguardo poteva distinguere il lungo corteo sinuoso del Settimo: armate
di lunghe molecole proteiche a forma di Y, che avevamo sistemato sulla
membrana cellulare, eravamo inconfondibili.
Giunti al bronco sinistro, a tutti i battaglioni fu dato l’ordine di fermarsi.
Fu una cellula pluridecorata a dare l’ordine al Settimo e ad annunciare
l’arrivo imminente del Gran Comandante Felice De Ammazzavirus.
Trascorsero ancora molti secondi. Tra le truppe la tensione era palpabile. Poi,
finalmente, accompagnato da uno stuolo di macrofagi e dal grido “Viva la
Guardia Bianca”, apparve il Gran Comandante Felice De Ammazzavirus. Si
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piazzò al centro, gonfiò il suo citoplasma e scandì forte queste parole:
– Valorosi soldati della Guardia Bianca, tutte le cellule di questo
organismo, dai neuroni del cervello alle cellule dell’epidermide dei piedi,
chiedono a voi di essere salvate. Il loro destino è ora nelle vostre mani. Se
combatterete con coraggio, per voi ci sarà un posto nella storia di Carmelo
De Pomis.
A quelle parole, l’urlo potente di un ufficiale macrofago risuonò in tutto il
bronco sinistro: – Viva la Guardia Bianca!
Gli fece eco il Quattordicesimo Battaglione Macrofagi che all’unisono
tuonò:
– Viva le cellule di Carmelo De Pomis!
Come per non sentirsi da meno, il Quarto e il Settimo Linfociti ripeterono
lo stesso grido, che viaggiò minaccioso attraverso le vene e i capillari del
bronco sinistro.
Poi il Gran Comandante spiegò la strategia: eravamo proprio noi del
Settimo che dovevamo avanzare per primi. Parte del Quarto Battaglione
avrebbe dovuto affiancarci e fornire il supporto tecnico.
Vi ricordate quando vi dissi che noi del Settimo eravamo armati di una
molecola proteica a forma di Y, posta sulla nostra membrana plasmatica?
Bene, quella molecola, che gli scienziati chiamano anticorpo, è in grado di
legarsi a particolari molecole presenti nel corpo del virus. Quando si crea
quel legame, siamo in grado di produrre una quantità enorme di altri
anticorpi che possiamo sparare contro i nostri nemici. Gli anticorpi
raggiungono i virus, si legano chimicamente ad alcune molecole del loro
corpo e li distruggono. Noi del Settimo avevamo proprio l’anticorpo adatto
per uccidere i virus Maleficus Horribilis, e per questo eravamo stati chiamati
a combattere.
Fu per queste ragioni che, non appena fummo pronti a partire, si compì
quello che il neurone emerito professor Aristotele Logos in un suo
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importante libro definì “il rito di guerra più strano di tutta la storia della vita”.
Un enorme macrofago pieno di cicatrici si piazzò di fronte al Settimo
Battaglione Linfociti e fece mostra di un piccolo frammento di un virus
Maleficus Horribilis con il quale aveva combattuto. Poi venne vicino a
ognuno di noi e impose quel frammento sul nostro anticorpo. Quando giunse
il mio momento, sentii quel macrofago mormorare:
– Che infiniti anticorpi siano con te!
Poi percepii il mio anticorpo legarsi chimicamente a quel frammento e
allora una rivoluzione interna, uno strano formicolio invase tutto il mio
citoplasma, si propagò nel nucleo e sentii in me una forza inesauribile
espandersi sempre più. Ero in piena produzione di anticorpi.
53
LA BATTAGLIA
E
ra appena scoccata la ventottesima ora, quando noi del Settimo,
affiancati dai migliori globuli bianchi del Quarto Battaglione, ci
mettemmo in marcia. Seguimmo il flusso sanguigno fino a raggiungere un
capillare molto stretto. A quel punto fummo costretti a procedere in fila
indiana. Poi un lungo sibilo, che somigliava ai suoni prodotti dalla corrente
nei neuroni, fu il segnale. Attraversammo la parete di quel capillare e
migrammo attraverso il siero verso il luogo dell’infezione. L’ordine era di
procedere molto larghi. Intorno a noi era la distruzione più totale.
Proseguimmo più oltre in silenzio finché, a un certo punto, avvistammo
alcune cellule che ci parvero sane. Nel tentativo di ottenere informazioni ci
avvicinammo, ma quella decisione fu fatale. Quelle cellule erano state
infettate, i virus erano penetrati dentro di loro e si erano riprodotti in gran
quantità. Orribili, con le loro corazze e le lunghe zampe, i virus fuoriuscirono
da quelle povere cellule, frantumandole.
Erano troppi per noi, e più passava il tempo più aumentavano. Il Settimo
scaricò una quantità impressionante di anticorpi. Io stessa ne sparai più di
duemila al secondo in tutte le direzioni. Ma non era abbastanza. Allora i
globuli bianchi del Quarto Battaglione produssero particolari sostanze, le
linfochine, che ci aiutarono ad aumentare la produzione di anticorpi. Ma dalle
cellule morte continuavano a uscire altri virus e quell’oceano di anticorpi era
ancora troppo poco...
A quel punto temetti il peggio: i virus già colpiti formavano un liquido
viscoso che ostacolava i nostri movimenti; i macrofagi erano troppo lontani
ed erano ignari della sorte a cui stavamo andando incontro.
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Ma quando tutto sembrava perduto, vidi una piccolissima macchiolina
rossa avvicinarsi. Non riuscii a credere ai miei occhi finché non udii:
– Ehi piccola, dove sei?!
Era proprio lui: Teo Lo Porto detto “il Facchino”. Ebbi un moto di gioia.
– Ma come hai fatto a venire qui?
– Il tessuto è rotto in un punto, non vedi come sgorga il sangue?
– Maledizione! Tutto è perduto!
– Non ancora, piccola, non ancora.
– Ascolta Teo, per te qui è pericoloso.
– Non preoccuparti, Bianca, i Maleficus Horribilis non attaccano i globuli
rossi!
– Teo – dissi – devi cercare di avvertire il Quattordicesimo Battaglione
Macrofagi!
– Lo sai, posso solo seguire il flusso del sangue, ma passerò parola a tutte
le cellule che incontrerò, e poi… ho molti amici da queste parti.
Non terminò neanche di parlare, che lo vidi andar via con una tale velocità
che stentavo a riconoscerlo.
Continuammo a combattere. E io, in cuor mio, anche a sperare. Per
infondere coraggio ai miei compagni, passai la voce che il Quattordicesimo
Battaglione Macrofagi stava per arrivare, ma io stessa non ne ero certa.
Noi del Settimo ci facevamo onore, ma le cellule del tessuto continuavano
a morire davanti a noi. Molte di loro morirono da eroine: rilasciavano
sostanze che rendevano le cellule ancora sane meno vulnerabili ai virus.
Finalmente, quando le condizioni per combattere erano ormai divenute
proibitive, sentimmo a distanza uno squillo di tromba. Erano i macrofagi del
Quattordicesimo e li guidava proprio Ivan il Terribile. Si scagliarono contro i
virus divorando e digerendo quelli già colpiti dai nostri anticorpi. Gli altri
virus ancora in vita emisero suoni stranissimi che richiamarono altri virus
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dalle vicinanze. Di lì a poco tutti i globuli bianchi e tutti i virus si sarebbero
fronteggiati nello stesso punto. Ivan il Terribile ci ordinò di avanzare per
bloccare l’arrivo degli altri virus che accorrevano.
– Formate una parete! – urlava – serrate i ranghi, serrate i ranghi!
Noi del Settimo ci stringemmo l’uno all’altro a formare una parete,
tentando di rimanere saldi in quell’inferno di sangue, siero e detriti.
– Attendete che siano vicini prima di sparare! – ci ordinò ancora Ivan il
Terribile.
Aspettai di averli a tiro e poi sparai a un ritmo di duemilacinquecento
anticorpi al secondo. Poi l’ordine fu di aprire un grosso varco.
Improvvisamente la parete del Settimo si aprì, e attraverso quel varco Ivan il
Terribile guidò i macrofagi contro i virus che accorrevano, già decimati dai
nostri anticorpi. La battaglia, cruenta, durò ancora tre giorni e tre notti.
Poi fu il tempo della vittoria.
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LA GLORIA
S
e adesso posso trascorrere una vecchiaia serena e scrivere un libro sulla
mia vita, è perché ho lottato per tutto questo. Avrei molto da dire
sull’ultima parte della mia esistenza, ma nessun altro combattimento e
nessun’altra vittoria furono così decisivi e memorabili. Trascorro il mio
tempo leggendo, scrivendo e discutendo con alcuni neuroni di tutte le
questioni che mi interessano da sempre. Non viaggio più molto. Sapete, mi
stanco presto, così mi sono stabilita nella vena polmonare sinistra da cui vi
scrivo.
Accidenti! Dimenticavo di raccontarvi della premiazione! Certo, io e Teo
fummo decorati con la medaglia al valore, l’onorificenza più grande per
meriti di guerra.
Oh! Avreste dovuto vederci con la membrana plasmatica lucidata a nuovo,
due piccole masse un po’ acquose, una bianca e una rossa, che venivano
insignite di quell’ambìto premio dal Gran Comandante Felice De
Ammazzavirus in persona!
La motivazione della medaglia a Teo recitava così:
…si recava nel luogo della battaglia e rischiava la propria vita per la
salvezza della gloriosa Guardia Bianca e della sua inseparabile amica
Bianca Senzamacchia, eroina di guerra. Impavido di fronte al pericolo, con
una velocità sconosciuta a tutte le cellule dell’universo, raggiungeva il
Quattordicesimo Battaglione Macrofagi, determinando la vittoria finale.
Non posso dirvi che forma assunse il nucleo della cellula Tiramolla
quando lesse della “velocità sconosciuta a tutte le cellule dell’universo”!!!
– Lo sapevo – disse – lo sapevo che era veloce! Dannazione!!! Io lo
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cambio con un altro facchino!!!
Naturalmente non lo fece mai. In fondo Teo era amato perfino dalla cellula
Tiramolla.
58
UN FATTO STRANO
T
orno a scrivere dopo tanto tempo. In questi giorni non sono stata bene.
In effetti questa mattina, finalmente, mi ero rimessa a scrivere, ma ho
dovuto smettere subito perché stavo di nuovo male. No, questa volta non
sono i soliti malanni della vecchiaia. Ho come il presentimento che stia per
accadere anche a me. Già, non ve l’ho mai detto, ma il fatto è che di queste
cose si cerca sempre di non parlare.
Bah, ora non c’è più motivo di nasconderlo. Vedete, prima o poi mi
dividerò in due cellule e scomparirò. Credete che stia scherzando? No, non
sono mai stata così seria. Vi prego, non pensate a come siete fatti voi… Io
sono un globulo bianco e prima o poi accadrà qualcosa, per cui io, proprio
io, con il mio nucleo, il mio DNA, le mie proteine, i miei organelli, mi
trasformerò in due altre cellule uguali fra loro e uguali a me. Ci sarà un
momento in cui mi ritroverò il doppio dei cromosomi dentro il nucleo. Poi
metà di questi farà parte del nucleo di una delle cellule figlie (mi piace
chiamarle così!) e metà dell’altra. D’accordo, se proprio volete vederla in
un’altra maniera, la mia vita continuerà in quella di due altre cellule, che sono
fatte di quello di cui ero fatta io e… io scomparirò, e basta. Uffa, già da un
po’ ho la sensazione che tutto questo stia per accadere. Ma vi prego, non c’è
motivo di essere tristi. Lo sapevo già e poi… è la vita!
Ora vorrei continuare la mia storia. E concluderla in qualche modo. Tanto
tempo fa avevo espresso il desiderio di andare a visitare l’occhio di Carmelo
De Pomis. Pensavo che da lì qualcuno mi avrebbe descritto l’universo e io
avrei potuto assaporarne la bellezza. Forse avrei potuto accontentarmi di
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quello che vedo qui, ma se uno per qualche momento può divertirsi in altro
modo… Così chiesi a…
Scusate, sento ancora quello strano malessere… Ho come una sensazione
di pienezza. Ma vi prego, dovete dimenticare il modo in cui voi vi sentite
male o a volte vi sentite pieni… Siamo diversi. Certo, la sensazione di
occupare lo spazio con il mio citoplasma acquoso l’ho sempre avuta, e anche
la capacità di percepire il mondo intorno a me, di sentire le altre cellule, di
vederle, di parlare con loro. E poi anche la sensazione di crescere, di
aumentare il volume del mio citoplasma, di occupare più spazio. Nel mio
nucleo ho una vita molto intensa… No, non voglio fare la cellula fascinosa e
interessante, ma dentro il mio nucleo ci sono continui movimenti di molecole
che si scindono, si uniscono, si infittiscono. E poi il mio DNA si raggomitola,
si dipana, si muove…
La vita all’interno del mio nucleo ha molto a che fare con quello che sono
e con quello che è stata la mia vita.
Non so, cari amici, mi sento strana… ma devo finire questa autobiografia.
Vi dicevo che volevo andare a visitare l’occhio e per questo parlai con Teo il
Facchino, che naturalmente mi disse che poteva portarmi dove io volevo,
così…
Scusate, sento un desiderio come… come di estendermi, di raddoppiarmi,
di diventare due, due piccole polpe con un nucleo nel mezzo. Ho come la
sensazione che ogni mio cromosoma… si ripeta in un secondo cromosoma e
mi ha preso un bisogno estremo di… di stirarmi con tutto il mio citoplasma,
di allungarmi… e sento uno strano formicolio dentro il nucleo. Ma voglio
ribadire che ci sono e che esisto, io, Bianca Senzamacchia del Settimo
Battaglione Linfociti. Ecco, ora il mio citoplasma si estende di nuovo e si
affusola sempre più, come se una parte volesse scappare dall’altra e, ahimè,
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mi sembra come… come se il nucleo si dissolvesse. Ma, ma, ma… ehi, ehi,
ehi, accidenti… 1, 2, 3, 4… 46, 47, 48… cosa? Ma sono molti di più! Ehi, il
numero di cromosomi è raddoppiato! Ora ci sono coppie di cromosomi
gemelli…
Devo finire prima che sia troppo tardi, devo continuare la mia storia e non
fare caso al fatto che mi sento abitata da due cellule, e che non riesco a
ordinarle e a ridurle a una sola cellula, e che il citoplasma si è tutto
allungato… Le coppie di cromosomi gemelli si stanno separando: un
cromosoma da una parte e uno dall’altra. Ma io devo finire la sto…
… ria della mia visita a…
Ehi! Chi è che mi copia?
… ria della mia visita a…
Ehi! Chi è che mi copia?
Sono io che continuo
a scrivere!
Sono io che continuo
a scrivere!
Neanche per sogno!
Sono io che devo
continuare a scrivere!
Neanche per sogno!
Sono io che devo
continuare a scrivere!
Basta! Io me ne vado!
Non sopporto che
mi si copi!
Basta! Io me ne vado!
Non sopporto che
mi si copi!
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EPILOGO DI TEO LO PORTO
Q
ualche tempo dopo la grave perdita della mia grande amica Bianca
Senzamacchia, rovistando tra il materiale cellulare che si trovava nel
luogo della sua scomparsa, trovai per caso questa sua autobiografia.
Dietro precisa richiesta dell’editore, spiegherò qui perché il manoscritto è
rimasto incompiuto.
A un certo punto della loro vita molte cellule si dividono in due cellule
figlie uguali fra loro. Accade alla fine di un lungo processo, in cui i
cromosomi della cellula si duplicano e si ripartiscono nei nuclei delle due
nuove cellule. Questo è quanto è accaduto a Bianca mentre stava scrivendo.
Come avete letto, Bianchina e Bianchetta, le due cellule figlie, stavano
continuando la scrittura…
Teo Lo Porto detto “il Facchino”
(l’unico, il più grande di tutti
i trasportatori d’ossigeno)
62
FINE
E
hm… scusate l’intromissione… un’ultima cosa… a qualunque ora e
ovunque voi siate, se vedete Teo Lo Porto detto “il Facchino”, ditegli
di venire da me al più presto… mi lascia sempre a corto di ossigeno!!!
Un affettuosissimo saluto,
la cellula Peppina Tiramolla
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PAROLE SPECIALI
Nella storia che avete letto, ho scritto in corsivo i nomi che gli scienziati
usano quando parlano di noi cellule e della nostra vita. Sono questi e potete
ritrovarli nel testo alla pagina indicata:
Alfabeto cellulare
Aminoacidi
Anticorpi
Area di Wernicke
Canali di Havers
Capillari
Cellula
Cellule adipose
Cellula dell’osso
Cellula del muscolo
Citoplasma
Corteccia cerebrale
Cromosomi
Derma
DNA
Emoglobina
Encefalo
Epidermide
Globulo bianco
Globuli rossi
Linfochine
Linfociti
Macrofago
Membrana plasmatica
Neurone
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Nucleo
Organelli
Piastrine
Proteina
Recettore
Timo
Virus
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INDICE
Mi presento
Mi descrivo
Un incontro casuale
Il mio amico Teo
Peppina Tiramolla
Ivan il Terribile e l’inizio dell’indagine
Il TG di Pietrina Roccadura
L’indagine continua
Il permesso speciale
Il viaggio
L’emerito professor Aristotele Logos
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Un colloquio importante
Il responso
I preparativi
La battaglia
La gloria
Un fatto strano
Epilogo di Teo Lo Porto
Fine
Parole speciali
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BIANCA SENZAMACCHIA
Storia di una cellula
L’autore
Luca Sciortino
• Si è laureato in Fisica all’Università di Pisa e ha conseguito il Master in
Comunicazione della Scienza alla Sissa di Trieste. Attualmente è una firma
delle pagine di scienza di Panorama e dottorando in Filosofia della scienza
alla Open University (UK). Come divulgatore scientifico ha collaborato con
diverse testate nazionali e nel 2010 ha pubblicato Vita di un atomo scritta da
sé medesimo (Edizioni Erickson).
L’illustratrice
Silvia Vignale
• È un’affermata illustratrice, che per disegnare Bianca e i suoi amici ha
ripreso in mano le sue conoscenze di biologia. Per Editoriale Scienza ha
scritto e illustrato Nello studio del dottor Zampa.
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Vuoi cercare anche tu di capire qualcosa
di più sull’universo?
Vieni a trovarci sul nostro sito:
www.editorialescienza.it
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Scarica

Bianca senza macchia (Racconti di scienza) (Italian Edition)