1 MAI PIÙ LA GUERRA DONNE E UOMINI DI PACE UNITI NEL DIGIUNO E NELLA PREGHIERA L’INVITO DI PAPA FRANCESCO Quest’oggi, cari fratelli e sorelle, vorrei farmi interprete del grido che sale da ogni parte della terra, da ogni popolo, dal cuore di ognuno, dall’unica grande famiglia che è l’umanità, con angoscia crescente: è il grido della pace! E’ il grido che dice con forza: vogliamo un mondo di pace, vogliamo essere uomini e donne di pace, vogliamo che in questa nostra società, dilaniata da divisioni e da conflitti, scoppi la pace; mai più la guerra! Mai più la guerra! La pace è un dono troppo prezioso, che deve essere promosso e tutelato. Vivo con particolare sofferenza e preoccupazione le tante situazioni di conflitto che ci sono in questa nostra terra, ma, in questi giorni, il mio cuore è profondamente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano. Rivolgo un forte Appello per la pace, un Appello che nasce dall’intimo di me stesso! Quanta sofferenza, quanta devastazione, quanto dolore ha portato e porta l’uso delle armi in quel martoriato Paese, specialmente tra la popolazione civile e inerme! Pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro! Con particolare fermezza condanno l’uso delle armi chimiche! Vi dico che ho ancora fisse nella mente e nel cuore le terribili immagini dei giorni scorsi! C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace. Guerra chiama guerra, violenza chiama violenza! Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di 2 ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come ad un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione. Con altrettanta forza esorto anche la Comunità Internazionale a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in quella Nazione, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana. Non sia risparmiato alcuno sforzo per garantire assistenza umanitaria a chi è colpito da questo terribile conflitto, in particolare agli sfollati nel Paese e ai numerosi profughi nei Paesi vicini. Agli operatori umanitari, impegnati ad alleviare le sofferenze della popolazione, sia assicurata la possibilità di prestare il necessario aiuto. Che cosa possiamo fare noi per la pace nel mondo? Come diceva Papa Giovanni: a tutti spetta il compito di ricomporre i rapporti di convivenza nella giustizia e nell’amore (cfr Lett. enc. Pacem in terris [11 aprile 1963]: AAS 55 [1963], 301-­‐302). Una catena di impegno per la pace unisca tutti gli uomini e le donne di buona volontà! E’ un forte e pressante invito che rivolgo all’intera Chiesa Cattolica, ma che estendo a tutti i cristiani di altre Confessioni, agli uomini e donne di ogni Religione e anche a quei fratelli e sorelle che non credono: la pace è un bene che supera ogni barriera, perché è un bene di tutta l’umanità. Ripeto a voce alta: non è la cultura dello scontro, la cultura del conflitto quella che costruisce la convivenza nei popoli e tra i popoli, ma questa: la cultura dell’incontro, la cultura del dialogo; questa è l’unica strada per la pace. 3 Il grido della pace si levi alto perché giunga al cuore di tutti e tutti depongano le armi e si lascino guidare dall’anelito di pace. Per questo, fratelli e sorelle, ho deciso di indire per tutta la Chiesa, il 7 settembre prossimo, vigilia della ricorrenza della Natività di Maria, Regina della Pace, una giornata di digiuno e di preghiera per la pace in Siria, in Medio Oriente, e nel mondo intero, e anche invito ad unirsi a questa iniziativa, nel modo che riterranno più opportuno, i fratelli cristiani non cattolici, gli appartenenti alle altre Religioni e gli uomini di buona volontà. Il 7 settembre in Piazza San Pietro -­‐ qui -­‐ dalle ore 19.00 alle ore 24.00, ci riuniremo in preghiera e in spirito di penitenza per invocare da Dio questo grande dono per l’amata Nazione siriana e per tutte le situazioni di conflitto e di violenza nel mondo. L’umanità ha bisogno di vedere gesti di pace e di sentire parole di speranza e di pace! Chiedo a tutte le Chiese particolari che, oltre a vivere questo giorno di digiuno, organizzino qualche atto liturgico secondo questa intenzione. A Maria chiediamo di aiutarci a rispondere alla violenza, al conflitto e alla guerra, con la forza del dialogo, della riconciliazione e dell’amore. Lei è madre: che Lei ci aiuti a trovare la pace; tutti noi siamo i suoi figli! Aiutaci, Maria, a superare questo difficile momento e ad impegnarci a costruire ogni giorno e in ogni ambiente un’autentica cultura dell’incontro e della pace. Angelus Piazza San Pietro Domenica, 1° Settembre 2013 4 5 DAL MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI XLVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE -­‐ 1° GENNAIO 2013 BEATI GLI OPERATORI DI PACE I nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo. Allarmano i focolai di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato. Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale, sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la comunione e la riconciliazione tra gli uomini. E tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo, testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un principio morale fondamentale, ossia, al dovere-­‐diritto di uno sviluppo integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio. Tutto ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di Gesù Cristo: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9). […] La beatitudine di Gesù dice che la pace è dono messianico e opera umana ad un tempo. In effetti, la pace presuppone un umanesimo aperto alla trascendenza. È frutto del dono 6 reciproco, di un mutuo arricchimento, grazie al dono che scaturisce da Dio e permette di vivere con gli altri e per gli altri. L’etica della pace è etica della comunione e della condivisione. È indispensabile, allora, che le varie culture odierne superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-­‐pratici meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o di profitto, i mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l’educazione sono centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e sull’efficienza. Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del relativismo e dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo. La pace è costruzione della convivenza in termini razionali e morali, poggiando su un fondamento la cui misura non è creata dall’uomo, bensì da Dio. « Il Signore darà potenza al suo popolo, benedirà il suo popolo con la pace », ricorda il Salmo 29. […] La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la redenzione da Lui operata, è entrato nella storia facendo sorgere una nuova creazione e una nuova alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-­‐34), dandoci la possibilità di avere « un cuore nuovo » e « uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26). Proprio per questo, la Chiesa è convinta che vi sia l’urgenza di un nuovo annuncio di Gesù Cristo, primo e principale fattore dello sviluppo integrale dei popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra pace, la nostra giustizia, la nostra 7 riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2 Cor 5,18). L’operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui che ricerca il bene dell’altro, il bene pieno dell’anima e del corpo, oggi e domani. Da questo insegnamento si può evincere che ogni persona e ogni comunità – religiosa, civile, educativa e culturale –, è chiamata ad operare la pace. La pace è principalmente realizzazione del bene comune delle varie società, primarie ed intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale. Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace. 8 UNA TESTIMONIANZA DAL CONFLITTO LIBICO Mi chiamo Eddy, ho 23 anni, sono nigeriano. Nell’Aprile del 2011 sono arrivato in Italia, a Lampedusa prima e a Crema poi, a seguito del conflitto scoppiato in Libia, paese dove vivevo e lavoravo. La mia storia è una storia di fughe obbligate, di scelte dolorose che non avrei voluto compiere sin da quando in Nigeria gli scontri tra cristiani e musulmani si sono portati via mia madre e disperso le mie sorelle; mio padre era morto durante un altro conflitto, la guerra in Liberia. Sono sopravvissuto agli scontri ma ho dovuto fare i conti ancora una volta con l’assurdità dell’odio religioso quando mi sono innamorato, da cristiano, di una ragazza musulmana in un contesto nel quale questa relazione doveva rimanere segreta per non correre il rischio di perdere l’amore e la vita nello stesso tempo. Purtroppo è andata male ed il rischio di ritorsioni mi ha costretto ad una pericolosa fuga nel deserto; nulla ho più saputo della donna di cui mi ero innamorato e con la quale avrei voluto realizzare il mio progetto di vita. Ho attraversato il deserto con l’obiettivo di raggiungere la Libia in compagnia di un amico che durante il viaggio non h resistito alle fatiche ed agli stenti cui eravamo sottoposti ed ha perso la vita. Sono giunto in Libia nel 2009 e dopo poco tempo ho trovato lavoro come meccanico, mansione che già svolgevo nel mio paese e casa in affitto; è stata l’occasione per ricominciare, per ricostruire la mia vita e garantirmi un po’ di stabilità. Quando è scoppiato il conflitto in Libia ho fortemente sperato che tutto si sarebbe risolto in poco tempo, che non poteva succedere ancora, che ne sarei uscito senza dover perdere tutto nuovamente. Ho continuato a lavorare ma nel frattempo le tensioni si acuivano, gli animi si surriscaldavano ed il numero dei morti cominciava a salire. Con l’avvio dei 9 bombardamenti in funzione anti-­‐Gheddafi la situazione è divenuta insostenibile e molto pericolosa per tutti; oggi posso dire di essere stato salvato dal mio datore di lavoro, un soldato passato dalla parte dei ribelli e a cui avevano ucciso l’intera famiglia che mi ha affidato ad un amico affinché mi imbarcasse per l’Italia. Ancora una fuga, ancora una direzione non scelta ma imposta dalla guerra. Le relazioni, il mio lavoro, il mio denaro…tutto perduto di nuovo. Mi restava la vita, bene sacro da preservare. Sulla barca eravamo tanti, circa 600; con me anche molti altri nigeriani con storie simili alle mie. Alcuni nemmeno sapevano dove sarebbero stati condotti, altri avevano trascorso intere notti nascosti dentro i container del porto in attesa di essere imbarcati. Difficile descrivere le emozioni contraddittorie che oscillavano tra il sollievo per la possibilità di mettersi in salvo ed il disorientamento dettato dalla perdita di tutto e dall’approssimarsi di un futuro incerto che metteva paura. Una guerra non guarda in faccia a niente e a nessuno: si porta e ti porta via tutto, calpesta la dignità delle persone che diventano numeri e smettono di essere storie, pensieri, amori, relazioni. Non si può restare indifferenti davanti ad una guerra, occorrono gesti anche semplici per riportare speranza e pace nei cuori e nelle vite di tutti. 10 DISCORSO ALL’ONU DI MALALA YOUSAFZAI studentessa sedicenne candidata al Nobel per la pace per la sua attività di difesa dei diritti umani, ferita in Pakistan dai terroristi -­‐ luglio 2013 Cari fratelli e sorelle ricordate una cosa. La giornata di Malala non è la mia giornata. Oggi è la giornata di ogni donna, di ogni bambino, di ogni bambina che ha alzato la voce per reclamare i suoi diritti. Ci sono centinaia di attivisti e di assistenti sociali che non soltanto chiedono il rispetto dei diritti umani, ma lottano anche per assicurare istruzione a tutti in tutto il mondo, per raggiungere i loro obiettivi di istruzione, pace e uguaglianza. Migliaia di persone sono state uccise dai terroristi e migliaia di altre sono state ferite da loro. Io sono soltanto una di loro. Io sono qui, una ragazza tra tante, e non parlo per me, ma per tutti i bambini e le bambine. Voglio far sentire la mia voce non perché posso gridare, ma perché coloro che non l’hanno siano ascoltati. Coloro che lottano per i loro diritti: il diritto di vivere in pace, il diritto di essere trattati con dignità, il diritto di avere pari opportunità e il diritto di ricevere un’istruzione. Cari amici, nella notte del 9 ottobre 2012 i Taliban mi hanno sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparato anche ai miei amici. Pensavano che le loro pallottole ci avrebbero messo a tacere. Ma hanno fallito. E da quel silenzio si sono levate migliaia di voci. I terroristi pensavano che sparando avrebbero cambiato i nostri obiettivi e fermato le nostre ambizioni, ma niente nella mia vita è cambiato tranne questo: la debolezza, la paura e la disperazione sono morte. La forza, il potere e il coraggio sono nati. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizioni sono le stesse. Così pure le mie speranze sono le stesse. Cari fratelli e sorelle io non sono contro nessuno. Nemmeno contro i terroristi. Non sono qui a parlare in termini di 11 vendetta personale contro i Taliban o qualsiasi altro gruppo terrorista. Sono qui a parlare a favore del diritto all’istruzione di ogni bambino. Io voglio che tutti i figli e le figlie degli estremisti, soprattutto Taliban, ricevano un’istruzione. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questa è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della non-­‐violenza che ho appreso da Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. E questo è il perdono che ho imparato da mio padre e da mia madre. Questo è quello che la mia anima mi dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Cari fratelli e sorelle, tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio, e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c’è il silenzio. E nello stesso modo quando eravamo nello Swat, in Pakistan, noi ci siamo resi conto dell’importanza dei libri e delle penne quando abbiamo visto le armi. I saggi dicevano che la penna uccide più della spada, ed è vero. Gli estremisti avevano e hanno paura dell’istruzione, dei libri e delle penne. Hanno paura del potere dell’istruzione. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa […]. Perché hanno avuto e hanno paura del cambiamento, dell’uguaglianza che essa porterebbero nella nostra società. Il Pakistan è un paese democratico che ama la pace e che vorrebbe trasmettere istruzione ai suoi figli. L’Islam dice che non soltanto è diritto di ogni bambino essere educato, ma anche che quello è il suo dovere e la sua responsabilità. Onorevole Signor Segretario generale, per l’istruzione è necessaria la pace, ma in molti paesi del mondo c’è la guerra. E noi siamo veramente stufi di queste guerre. In molti paesi del mondo donne e bambini soffrono in altri modi. In India i 12 bambini poveri sono vitti-­‐ me del lavoro infantile. Molte scuole sono state distrutte in Nigeria. In Afghanistan la popolazione è oppressa dalle conseguenze dell’estremismo da decenni. Le giovani donne sono costrette a lavorare e a sposarsi in tenera età. Povertà, ignoranza, ingiustizia, razzismo e privazione dei diritti umani di base sono i problemi principali con i quali devono fare i conti sia gli uomini sia le donne. […] Cari fratelli e sorelle vogliamo scuole, vogliamo istruzione per tutti i bambini per garantire loro un luminoso futuro. Ci faremo sentire, parleremo per i nostri diritti e così cambieremo le cose. Dobbiamo credere nella potenza e nella forza delle nostre parole. Le nostre parole possono cambiare il mondo. Perché siamo tutti uniti, riuniti per la causa dell’istruzione e se vogliamo raggiungere questo obiettivo dovreste aiutarci a conquistare potere tramite le armi della conoscenza e lasciarci schierare le une accanto alle altre con unità e senso di coesione. Cari fratelli e sorelle non dobbiamo dimenticare che milioni di persone soffrono per ignoranza, povertà e ingiustizia. Non dobbiamo dimenticare che milioni di persone non hanno scuole. Lasciateci ingaggiare dunque una lotta globale contro l’analfabetismo, la povertà e il terrorismo e lasciateci prendere in mano libri e penne. Queste sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. 13 VOCI DALLA SIRIA Nel mio Paese, la Siria, oggi c’è solo distruzione, morte e paura. La guerra è spaventosa: in quasi tre anni sono morte 150.000 persone, uccisi da razzi, missili, cannoni, cecchini. Settemila erano bambini! Moltissimi siriani sono scappati o stanno scappando dal disastro e dal massacro. Vivono in grandissimi campi profughi, con migliaia di persone, dove però comincia a mancare tutto. Le associazioni internazionali non entrano nel Paese, gestiscono i campi nei Paesi confinanti: Zaatari in Giordania, 15 campi in Turchia, Dominiz in Iraq, campi di fortuna in Libano. Ci sono rifugiati nelle scuole, nelle chiese, nelle moschee, nelle grotte, nei semi-­‐interrati… Qualcuno non vuole andare via dalla sua terra: chi è rimasto in Siria, cammina in mezzo alle case bombardate o distrutte con lo sguardo che guarda nel vuoto; tutti hanno perso qualcuno, familiari o amici, tutti cercano qualcosa! Vanno a cercare in mezzo alle rovine delle case distrutte sperando di trovare qualcosa della loro vita passata, qualche ricordo, qualche briciola della loro vita ormai seppellita sotto le macerie. Vivere è difficile, se non impossibile! Nei quartieri assediati dall’ esercito manca tutto; è possibile trovare qualcosa solo al contrabbando. Spesso si rischia la vita. Sono spariti i colori, tutto è grigio! Ci sono quartieri o paesi dove la guerra ha tolto tutto! Fame, freddo, mancanza di medicinali, ospedali distrutti, scuole 14 bombardate, quartieri di case ridotti a montagne di macerie: questo è oggi la Siria!! Le città si svuotano, ma anche i villaggi di campagna; chi resta vive in condizioni molto difficili. In molti quartieri manca l’ acqua, la luce, le bombole del gas, tutto è stato cancellato! I bambini non vedono frutta, verdura e carne da mesi. Si vive con pochissimo, solo un po’ di pane, che è diventato il simbolo di questa guerra che ha tolto tutto. Fra i civili che sono rimasti nel mio Paese, molti hanno poche speranze di vita e di avere un futuro: ci sono più di 400.000 handicappati, mutilati o resi invalidi dalle armi, di qualunque tipo, migliaia di orfani, bambini rimasti soli, senza più nessuno. Anche i piccoli centri in campagna sono stati colpiti. La guerra è spaventosa! Il nostro popolo, noi, stiamo soffrendo moltissimo, siamo disperati, ci stanno massacrando! La Siria ha una storia bellissima ma non ha più un futuro. Il mio Paese non c’è più: tutto è distrutto, le case, le strade, le famiglie, il popolo. Basta con le armi o il nostro popolo sarà cancellato per sempre! 15 LA PACE NEL NUOVO TESTAMENTO La buona notizia del Vangelo è «buona notizia della pace» (cfr. Ef 2,17): Gesù non è solo il realizzatore delle grandi promesse di Dio, non è solo il portatore della pace messianica, ma è lui lo shalom, la pace di Dio in persona donata a noi uomini, pace che egli ha realizzato e proclamato in mezzo a noi. Proprio nella sua persona, nella sua carne è avvenuta la definitiva riconciliazione tra Dio e l’umanità. Nella sua carne Dio ha incontrato l’uomo e l’uomo ha incontrato Dio, tramite una vittoria sul male e sul peccato da Gesù stesso conquistata. In Gesù, nel suo corpo crocifisso e innalzato da terra, tutti hanno potuto vedere l’uomo per eccellenza e hanno contemplato l’amore di Dio, amore gratuito, infinito, verso l’uomo peccatore. Ecco perché egli è la pace e, quale Agnello di Dio, può donarla anche ai suoi discepoli: proprio a loro significativamente il Risorto, che porta in sé ancora le ferite della passione e della morte, dona, consegna la pace in modo diverso da quella che dà il mondo (cfr. Gv 20,19.26; 14,27). Se dunque Gesù Cristo è la pace, se il regno di Dio, che lui è, «è giustizia, pace e gioia nello Spirito santo» (14,17), allora il cristiano non può che essere un uomo di pace. Lui che conosce cosa significhi la divisione causata dal male che si rivolta contro il bene, dall’ingiustizia che non sopporta più la giustizia, dall’odio che non sopporta l’amore, non può che essere una persona che «ricerca e persegue la pace» (cfr. Sal 34,5) e a essa dedica il suo impegno. Ma concretamente cosa significa questo impegno a livello personale? Innanzitutto significa vivere il comandamento dell’amore del fratello: «Ama il prossimo tuo, ama chi ti è vicino – anzi, colui al quale tu ti fai vicino (cfr. Lc 10,27-­‐38) – come te stesso» (cfr. Mc 12,31 e par.) e «fa’ a lui ciò che vorresti fosse fatto a te» (cfr. Mt 7,12; Lc 6,31). Solo il vivere l’agápe, dono di Dio, trasformandolo in un atteggiamento 16 convinto verso gli altri, permette di essere operatori di pace. La guerra, l’odio, la violenza nascono da una mancanza di amore nel cuore dell’uomo, come si legge anche nel Nuovo Testamento: Da dove vengono le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che fanno guerra nelle vostre membra? Siete pieni di desideri e non riuscite a possedere; uccidete, siete invidiosi e non riuscite a ottenere; combattete e fate guerra (Gc 4,12). Ogni volta che un credente invoca a parole la pace, ha il dovere di chiedersi se questa è la sua opera quotidiana, se è ciò che lui desta e favorisce con il suo comportamento. Non si può pretendere di essere uomini di pace tra gli altri e contraddire la pace nel proprio contesto quotidiano, con atteggiamenti di collera, offesa verbale, mancanza di attenzione. Le forme di violenza nel quotidiano non sono da noi facilmente riconosciute e nominate. Ma non basta questo amore del prossimo: occorre estendere l’amore al nemico, a chi ci offende, a chi è causa della nostra sofferenza. Sovente è richiesto all’uomo di pace di subire offese, senza difendersi e, in ogni caso, senza mai ricambiare il male con il male: in nome della pace non si deve resistere al malvagio, ci ha insegnato Gesù (cfr, Mt 5,39). Anzi, si tratta di metter in moto attivamente e gratuitamente meccanismi di perdono, di misericordia, che aprano vie di riconciliazione. La pace non nasce in modo spontaneo nei nostri rapporti con gli altri, e men che meno nei rapporti con chi ci fa del male: no, essa va cercata, perseguita, custodita e rinnovata con molta vigilanza. E infine, per essere uomini di pace occorre diventare sempre più uomini “disarmati”. È un’opera difficile, faticosa, lunga, eppure il cristiano assimilato sempre più al suo Signore deve fare questo itinerario in cui impara a perdere, impara ad assumere il male, a volte nel suo enigma, senza capirlo né 17 poterlo razionalizzare, senza poterlo dominare… È qualcosa di più dell’assumere la mitezza, per altro opera ben difficile: è una spoliazione di molte pretese, anche giuste; è la rinuncia a molte attese legittime; è abbandonarsi a Dio lasciando che sia lui ad agire. Non è resa, ma sottomissione. Così disarmati, si è capaci di essere strumenti di pace, della pace di Dio più forte dei nostri sentimenti, che può custodire i nostri cuori e le nostre menti in Cristo Gesù (cfr. Fil 4,7). È illuminante in tal senso la testimonianza resa dal patriarca di Costantinopoli Athenagoras I, ormai vecchio e prossimo alla morte: «I poveri di spirito sono colore che hanno cessato di vedere nel loro “io” – individuale e collettivo – il centro del mondo per vederlo in Dio e nel prossimo. Per lottare efficacemente contro la guerra, contro il male, bisogna volgere la guerra all’interno, vincere il male in noi stessi. Si tratta della guerra più aspra, quella contro se stessi. Bisogna riuscire a disarmarsi. Io questa guerra l’ho fatta. Per anni e anni. È stato terribile. Ma ora sono disarmato. Non ho più paura di niente, perché l’amore scaccia la paura (1Gv 4,18). Sono disarmato della volontà di spuntarla, di giustificarmi alle spese degli altri. Accolgo e condivido. Non tengo particolarmente alle mie idee, ai miei progetti. Perciò non ho più paura. Quando non si possiede più niente, non si ha più paura. Chi ci separerà dall’amore del Cristo? (Rm 8,35)». Enzo Bianchi 18 19 VEGLIA PER LA PACE Una pace da costruire Guida: «La pace non è semplice assenza di guerra, né può ridursi a rendere stabile l'equilibrio di forze avverse... Non è mai qualcosa di pienamente raggiunto, una volta per tutte, ma è un edificio da costruire continuamente... La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità e l'assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è frutto anche dell'amore, il quale va oltre quanto può apportare la semplice giustizia...» (GS 78) La pace, non è semplicemente il contrario della guerra, ma un valore autonomo, un bene universale, che vive di vita propria se reggono i pilastri su cui poggia: cioè su “un ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà” (Pacem in terris, 89). La Caritas diocesana, in questa occasione ha pensato anche di raccogliere offerte spontanee a favore dei profughi della Siria. Durante la veglia sarà possibile effettuare un’offerta. Lettore 1: La coscienza cristiana è chiamata a leggere i segni di questo tempo riproponendo profeticamente, anche nella situazione che si è determinata, le ragioni della pace, della fiducia e della speranza e annunciando, con le parole e con i fatti, il Vangelo della pace. Una pace che è impegno da vivere giorno dopo giorno con tutte le fatiche della 20 conquista, del "mattone dopo mattone”: il valore di ogni singola vita, l’accoglienza del diverso, la solidarietà, la tolleranza ideologica, il dialogo. Una pace che è innanzi tutto, per noi cristiani, "dono del Signore", dono messianico. Ecco perché la Chiesa prega ed invita a pregare affinché l’amore prevalga sull’odio, la pace sulla guerra, la verità sulla menzogna, il perdono sulla vendetta. La Caritas di Crema, a partire proprio da quanto accade in Siria e in tutte le zone di conflitto, si sente chiamata, insieme alle altre realtà del mondo cattolico, a una nuova stagione di impegno educativo e a proposte responsabilizzanti nella ricerca di nuovi percorsi di educazione alla pace, alla nonviolenza, alla mondialità. Siamo chiamati a pensare e proporre esperienze che possono diventare stile, scelta di vita, a livello personale, professionale, familiare. Esperienze in cui la pace, la solidarietà, la nonviolenza, la mondialità, non solo siano dichiarate, ma siano praticate. Guida: Ora verrà esposto il Santissimo Sacramento che resterà sull’altare fino alle ore 24.00. Accompagnamento l’esposizione con il canto: Vieni spirito d’amore Vieni, vieni, Spirito d’amore, ad insegnar le cose di Dio, vieni, vieni, Spirito di pace, a suggerir le cose che lui ha detto a noi. Noi ti invochiamo spirito di Cristo, vieni tu dentro di noi. Cambia i nostri occhi, fa che noi vediamo la bontà di dio per noi. 21 Vieni, o Spirito dai quattro venti e soffia su chi non ha vita vieni, o spirito e soffia su di noi, perché noi riviviamo. Insegnaci a sperare, insegnaci ad amare insegnaci a lodare Iddio insegnaci a pregare, insegnaci la via insegnaci tu l’unità. INVOCAZIONI Lettore 2: Preghiamo tutti insieme e diciamo: Ti adoriamo e ti benediciamo, Signore Gesù. Tu sei l’Eterno Figlio del Padre. R. Tu sei l’Inviato del Padre per la nostra salvezza. R. Tu sei l’unico Salvatore del mondo. R. Tu sei la Via, la Verità e la Vita. R. Tu sei il pane vivo disceso dal Cielo. R. Vescovo: Nel nome del Padre, del figlio e dello Spirito Santo Tutti: Amen Saluto del Vescovo Vescovo: Il Signore che guida i nostri cuori nell’amore di Cristo sia con tutti voi. Tutti: e con il tuo spirito 22 Guida: In questa prima parte della veglia ci mettiamo in ascolto della parola di Dio con dei testi suggeriti dalla Conferenza Episcopale Italiana. IN ASCOLTO DELLA PAROLA Lettore 3: Lettura (Is 9, 1-­‐7) [1] Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. [2] Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce quando si spartisce la preda. [3] Poiché il giogo che gli pesava e la sbarra sulle sue spalle, il bastone del suo aguzzino tu hai spezzato come al tempo di Madian. [4] Poiché ogni calzatura di soldato nella mischia e ogni mantello macchiato di sangue sarà bruciato, sarà esca del fuoco. [5] Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace; [6] grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre; questo farà lo zelo del Signore degli eserciti. [7] Una parola mandò il Signore contro Giacobbe, essa cadde su Israele. Guida: Ci raccogliamo ora per un momento di silenzio e meditazione personale 23 Guida: Preghiamo con delle invocazioni a cori alterni tra il solista e tutta l’assemblea. Lettore 4: Signore, noi abbiamo ancora le mani insanguinate, dalle ultime guerre mondiali, così che non ancora tutti i popoli hanno potuto stringerle fraternamente fra loro; Signore, noi siamo tanto armati che non lo siamo mai stati nei secoli prima d'ora, e siamo così carichi di strumenti micidiali da potere, in un istante, incendiare la terra e distruggere forse anche l'umanità; Signore, noi abbiamo fondato lo sviluppo e la prosperità di molte nostre industrie colossali sulla demoniaca capacità di produrre armi di tutti i calibri, e tutte rivolte ad uccidere e a sterminare gli uomini nostri fratelli; così abbiamo stabilito l'equilibrio crudele dell'economia di tante Nazioni potenti sul mercato delle armi alle Nazioni povere, prive di aratri, di scuole e di ospedali; Signore, noi abbiamo lasciato che rinascessero in noi le ideologie, che rendono nemici gli uomini fra loro: il fanatismo rivoluzionario, l'odio di classe, l'orgoglio nazionalista, l'esclusivismo razziale le emulazioni tribali, gli egoismi commerciali, gli individualismi gaudenti e indifferenti verso i bisogni altrui; Signore, noi ogni giorno ascoltiamo impotenti le notizie di guerre ancora accese nel mondo; 24 Signore, è vero! Noi non camminiamo rettamente; Signore, guarda tuttavia ai nostri sforzi, inadeguati, ma sinceri, per la pace del mondo! Vi sono istituzioni magnifiche e internazionali; vi sono propositi per il disarmo e la trattativa; Signore, vi sono soprattutto tombe che stringono il cuore, famiglie spezzate dalle guerre, dai conflitti, dalle repressioni capitali; donne che piangono, bambini che muoiono; profughi e prigionieri accasciati sotto il peso della solitudine e della sofferenza: e vi sono tanti giovani che insorgono perché la giustizia sia promossa e la concordia sia legge delle nuove generazioni; Signore, tu lo sai, vi sono anime buone che operano il bene in silenzio, coraggiosamente, disinteressatamente e che pregano con cuore pentito e con cuore innocente; vi sono cristiani, e quanti, o Signore, nel mondo che vogliono seguire il Tuo Vangelo e professano il sacrificio e l'amore; Signore, Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona a noi la pace. 25 Alleluia, alleluia. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio Alleluia. VANGELO (MT 5,38-­‐48) Dal Vangelo secondo Matteo [38] Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; [39] ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; [40] e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. [41] E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. [42] Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. [43] Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; [44] ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, [45] perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. [46] Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? [47] E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? [48] Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Guida: ci mettiamo ora in ascolto dell’omelia del Vescovo Oscar seguita da un momento di silenzio e meditazione personale. 26 L’uomo nuovo R. Dammi un cuore, Signore grande per amare. Dammi un cuore, Signore pronto a lottare con Te. L’uomo nuovo creatore della storia, costruttore di nuova umanità. L’uomo nuovo che vive l’esistenza come un rischio che il mondo cambierà. R. L’uomo nuovo che lotta con speranza nella vita cerca verità. L’uomo nuovo che stretto da catene, l’uomo libero che esige libertà. R. L’uomo nuovo che più non vuol frontiere, né violenza in questa società. L’uomo nuovo al fianco di chi soffre, dividendo con lui il letto e il pane. R. 27 PREGHIERE DEI FEDELI Vescovo: rivolgiamo ora le nostre preghiere di intercessione al Padre celeste. Egli, che conosce le necessità di tutti i suoi figli, soccorra con il suo amore tutti gli uomini perché coltivino e attuino propositi di pace. Guida: Preghiamo tutti insieme e diciamo: Dio della pace, ascoltaci. 1. Per la Chiesa: perché sia sempre più una comunità di persone capaci di costruire pace nel proprio quotidiano e di annunciare il Vangelo di fronte a ogni violenza, sopruso ed ingiustizia, preghiamo. R. 2. Per il nostro Papa Francesco, il nostro Vescovo, le nostre Chiese, le organizzazioni cristiane che si impegnano nell'educazione alla pace e nella ricerca del dialogo: perché il Signore li sostenga con la sua paterna protezione, preghiamo. R. 3. Per la Siria e l’intero Medio Oriente, perché nella drammaticità dell’ora presente, tutte le parti in conflitto, illuminate dallo Spirito Santo possano responsabilmente fermare la spirale dell’odio e favorire processi di dialogo e di pace, preghiamo. R. 4. Per tutti i popoli che subiscono la guerra, per i profughi privati della casa e della dignità, per tutte le vittime di attentati nel mondo e per tutti coloro che vivono e subiscono ogni forma di violenza fratricida: perché il Signore doni loro la serenità del cuore, preghiamo. R. 5. Per ciascuno di noi: perché, docili all’azione dello Spirito, possiamo essere costruttori di pace e di giustizia, soprattutto nel promuovere famiglie come vere 28 comunità di amore, aperte alla vita, all'accoglienza e all'ospitalità, preghiamo. R. 6. Per quanti nelle diverse parti nel mondo vivono la sofferenza di nuove schiavitù e sono vittime delle guerre, della tratta delle persone, del narcotraffico e del lavoro ‘schiavo’, per i bambini e le donne che subiscono ogni forma di violenza. Possa il loro silenzioso grido di aiuto trovare vigile la Chiesa, perché tenendo lo sguardo fisso su Cristo crocifisso non dimentichi tanti fratelli e sorelle lasciati in balia della violenza. R. Vescovo: Affidiamo queste nostre preghiere di intercessione alla benevolenza del padre mediante la preghiera che Gesù ci ha insegnato Padre Nostro 29 Guida: Ora uniamo le nostre voci per invocare il dono della pace con le parole di una storica preghiera composta dal Papa Paolo VI. La recitiamo a cori alterni. Inizia la parte destra dell’assemblea. Preghiera per la Pace di Paolo VI Signore, Dio di pace, che hai creato gli uomini, oggetto della tua benevolenza, per essere i familiari della tua gloria, noi ti benediciamo e ti rendiamo grazie perché ci hai inviato Gesù Cristo tuo figlio amatissimo. Hai fatto di lui nel mistero della sua Pasqua l’artefice della sua salvezza, la sorgente di ogni pace, il legame di ogni fraternità. Noi ti rendiamo grazie per i desideri, gli sforzi, le realizzazioni che il tuo spirito di pace ha suscitato nel nostro tempo, per sostituire l’odio con l’amore, la diffidenza con la comprensione, l’indifferenza con la solidarietà. Apri ancor più i nostri spiriti e i nostri cuori alle esigenze concrete dell’amore di tutti i nostri fratelli, affinché possiamo essere sempre più 30 dei costruttori di pace. Ricordati, Padre di misericordia, di tutti quelli che sono in pena, soffrono e muoiono, nel sorgere di un mondo più fraterno. Che per gli uomini di ogni razza, di ogni lingua venga il tuo regno di giustizia, di pace e di amore. E che la terra sia ripiena della tua gloria. Vescovo: O Dio della pace, non ti può comprendere chi semina discordia, non ti può accogliere chi ama violenza: dona a chi edifica la pace di perseverare nel suo proposito, e a chi la ostacola di essere sanato dall’odio che lo tormenta, perché tutti si trovino in te, che sei la vera pace. Per Cristo nostro Signore. Tutti: Amen. 31 BENEDIZIONE LITURGICA DI CONGEDO Guida: Concludiamo la parte liturgica comunitaria con il canto Pace sia, Pace a voi. Al termine il SS Sacramento resterà esposto per la preghiera silenziosa fino alle 24.00 Pace sia, pace a voi Rit. Pace sia, pace a voi, la tua pace sarà, sulla terra come nei cieli. Pace sia, pace a voi, la tua pace sarà, Gioia nei nostri occhi, nei cuori. Pace sia, pace a voi, la tua pace sarà, luce limpida nei pensieri. Pace sia, pace a voi, la tua pace sarà, una casa per tutti. “Pace a voi”, sia il tuo dono visibile, “pace a voi”, la tua eredità “Pace a voi”, come un canto all’unisono, che sale dalle nostre città. R. “Pace a voi”, sia l’impronta nei secoli, “pace a voi”, segno d’unità “Pace a voi”, sia l’abbraccio fra i popoli, la tua promessa all’umanità. R. 32 APPENDICE Di seguito vengono proposti dei brani per aiutare la riflessione, l’approfondimento e la preghiera Dal documento conciliare “Gaudium et Spes” n. 78 La pace non è semplice assenza di guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita opera della giustizia. È il frutto dell’ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta... Per questo la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente…Tale pace non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l’assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è frutto anche dell’amore, il quale va oltre quanto può apportare la semplice giustizia. Dall’Enciclica di Giovanni XXIII “Pacem in terris” n. 59 A tutti gli uomini di buona volontà incombe un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà. I rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive Comunità politiche; fra le stesse Comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e Comunità politiche da una parte e dall’altra la Comunità mondiale… Ogni credente, in questo nostro mondo, deve essere una scintilla di luce, un centro di amore, un fermento vivificatore nella massa: e tanto lo sarà, quanto più, nell’intimità di se stesso, vive in comunione con Dio. Infatti non si dà pace fra gli uomini se non vi è pace in ciascuno di 33 essi, se cioè ognuno non instaura in se stesso l’ordine voluto da Dio. Dall’Enciclica di Paolo VI “Populorum progressio” n. 76 Le disuguaglianze economiche, sociali e culturali troppo grandi tra popolo e popolo provocano tensioni e discordie e mettono in pericolo la pace. Come dicevano ai Padri Conciliari al ritorno del Nostro viaggio di pace all’ONU: “La condizione delle popolazioni in via di sviluppo deve formare l’oggetto della nostra considerazione, diciamo meglio, la nostra carità per i poveri che si trovano nel mondo – e sono legione infinita – deve divenire più attenta, più attiva, più generosa”. Combattere la miseria e lottare contro l’ingiustizia è promuovere, insieme con il miglioramento delle condizioni di vita, il progresso umano e spirituale di tutti, e dunque il bene comune dell’umanità. La pace non si riduce a un’assenza di guerra, frutto dell’equilibrio sempre precario delle forze. Essa si costruisce giorno per giorno, nel perseguimento di un ordine voluto da Dio che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini. Dall’Enciclica di Giovanni Paolo II “Sollecitudo rei socialis” n. 26 Il panorama prevalentemente negativo, della situazione dello sviluppo del mondo contemporaneo, non sarebbe completo se non si segnalasse la coesistenza di aspetti positivi. La prima nota positiva è la consapevolezza, in moltissimi uomini e donne, della dignità propria e di ciascun essere umano. Tale consapevolezza si esprime, per esempio, con la preoccupazione dappertutto più viva per il rispetto dei diritti umani e col più deciso rigetto delle loro violazioni. Ne è segno rivelatore il numero delle Associazioni private, alcune di portata mondiale, di recente istituzione, e quasi tutte impegnate a seguire con grande cura e lodevole obiettività gli avvenimenti internazionali in un campo così delicato. Su questo piano bisogna riconoscere l’influsso esercitato dalla Dichiarazione dei Diritti Umani, promulgata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite. La sua stessa esistenza e la sua progressiva 34 accettazione da parte della Comunità internazionale sono già segno di una consapevolezza che si va affermando. Lo stesso bisogna dire, sempre nel campo dei diritti umani, per gli altri strumenti giuridici della medesima Organizzazione delle Nazioni Unite o di altri Organismi internazionali. La consapevolezza, di cui parliamo, non va riferita soltanto agli individui, ma anche alle Nazione e ai popoli, che, quali entità aventi una determinata identità culturale, sono particolarmente sensibili alla conservazione, alla libera gestione e alla promozione del loro prezioso patrimonio. Dal Documento “Educare alla pace” della Commissione ecclesiale “Giustizia e Pace” n. 13 L’ascolto attento di quanto risuona nell’invocazione umana alla pace rivela anche alcune scelte e alcuni gesti già concretamente realizzati, nei quali è possibile riconoscere con gioia i germi di un frutto di speranza. Attorno a questi “semi di pace” sono anche nati movimenti di opinione a favore della pace, che si impegnano su diversi fronti per influenzare le scelte degli stati e rivelano la loro incisività e credibilità nel riferimento a valori umani universali, non a letture ideologiche o “schierate” dei problemi. È giusto allora richiamare e riconoscere tali percorsi: il rifiuto della logica delle armi, la non-­‐violenza, l’obiezione di coscienza al servizio militare, la cooperazione internazionale. Dal messaggio di Benedetto XVI per la XLVI Giornata mondiale della pace, del 1° gennaio 2013, sul tema: «Beati gli operatori di pace» La realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di essere, in Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha insegnato l’Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un «noi» comunitario, implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci diritti e i vicendevoli doveri. La pace è ordine vivificato ed integrato dall’amore, così da sentire come 35 propri i bisogni e le esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono la responsabilità del proprio operare [3]. La pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori, perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere, contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio stesso, mediante l’incarnazione del Figlio e la redenzione da Lui operata, è entrato nella storia facendo sorgere una nuova creazione e una nuova alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-­‐34), dandoci la possibilità di avere «un cuore nuovo» e «uno spirito nuovo» (cfr Ez 36,26). 36 Il compito dei profeti è parlare. Il Signore non teme le parole dei violenti, teme piuttosto il silenzio dei credenti. Delle nostre parole dobbiamo rendere conto alla storia, ma dei nostri silenzi dobbiamo rendere conto a Dio. Siamo un po' come Noè sull’arca, quando c’è stato il diluvio universale. Anche noi siamo su una zattera che ondeggia sotto gli urti della storia. Anche noi, come Noè usciamo sulla tolda per misurare con lo scandaglio la profondità delle acque. Però anche noi, come Noè leviamo lo sguardo verso il cielo per vedere se da qualche parte compare la calotta dell’arcobaleno. Ecco: tra diluvio e arcobaleno. Noi dovremmo essere i cantori dell’arcobaleno, coloro che scrutano l’arrivo della colomba. (Don Tonino Bello) LETTERA DI PAPA FRANCESCO PER IL G20 A Sua Eccellenza Il Sig. Vladimir PUTIN Presidente della Federazione Russa Nell’anno in corso, Ella ha l’onore e la responsabilità di presiedere il Gruppo delle venti più grandi economie mondiali. Sono consapevole che la Federazione Russa ha partecipato a tale Gruppo sin dalla sua creazione e ha svolto sempre un ruolo positivo nella promozione della governabilità delle finanze mondiali, profondamente colpite dalla crisi iniziata nel 2008. Il contesto attuale, altamente interdipendente, esige una cornice finanziaria mondiale, con proprie regole giuste e chiare, per conseguire un mondo più equo e solidale, in cui sia possibile sconfiggere la fame, offrire a tutti un lavoro degno, un’abitazione decorosa e la necessaria assistenza sanitaria. La Sua presidenza del G20 per l’anno in corso ha assunto l’impegno di consolidare la riforma delle organizzazioni finanziarie internazionali e di arrivare ad un consenso sugli standard finanziari adatti alle circostanze odierne. Ciononostante, l’economia mondiale potrà svilupparsi realmente nella misura in cui sarà in grado di 37 consentire una vita degna a tutti gli esseri umani, dai più anziani ai bambini ancora nel grembo materno, non solo ai cittadini dei Paesi membri del G20, ma ad ogni abitante della Terra, persino a coloro che si trovano nelle situazioni sociali più difficili o nei luoghi più sperduti In quest’ottica, appare chiaro che nella vita dei popoli i conflitti armati costituiscono sempre la deliberata negazione di ogni possibile concordia internazionale, creando divisioni profonde e laceranti ferite che richiedono molti anni per rimarginarsi. Le guerre costituiscono il rifiuto pratico a impegnarsi per raggiungere quelle grandi mete economiche e sociali che la comunità internazionale si è data, quali sono, per esempio, i Millennium Development Goals. Purtroppo, i molti conflitti armati che ancora oggi affliggono il mondo ci presentano, ogni giorno, una drammatica immagine di miseria, fame, malattie e morte. Infatti, senza pace non c’è alcun tipo di sviluppo economico. La violenza non porta mai alla pace condizione necessaria per tale sviluppo. L’incontro dei Capi di Stato e di Governo delle venti maggiori economie, che rappresentano due terzi della popolazione e il 90% del PIL mondiale, non ha la sicurezza internazionale come suo scopo principale. Tuttavia, non potrà far a meno di riflettere sulla situazione in Medio Oriente e in particolare in Siria. Purtroppo, duole costatare che troppi interessi di parte hanno prevalso da quando è iniziato il conflitto siriano, impedendo di trovare una soluzione che evitasse l’inutile massacro a cui stiamo assistendo. I leader degli Stati del G20 non rimangano inerti di fronte ai drammi che vive già da troppo tempo la cara popolazione siriana e che rischiano di portare nuove sofferenze ad una regione tanto provata e bisognosa di pace. A tutti loro, e a ciascuno di loro, rivolgo un sentito appello perché aiutino a trovare vie per superare le diverse contrapposizioni e abbandonino ogni vana pretesa di una soluzione militare. Ci sia, piuttosto, un nuovo impegno a perseguire, con coraggio e determinazione, una soluzione pacifica attraverso il dialogo e il 38 negoziato tra le parti interessate con il sostegno concorde della comunità internazionale. Inoltre, è un dovere morale di tutti i Governi del mondo favorire ogni iniziativa volta a promuovere l’assistenza umanitaria a coloro che soffrono a causa del conflitto dentro e fuori dal Paese. Signor Presidente, sperando che queste riflessioni possano costituire un valido contributo spirituale al vostro incontro, prego per un esito fruttuoso dei lavori del G20. Invoco abbondanti benedizioni sul Vertice di San Pietroburgo, su tutti i partecipanti, sui cittadini di tutti gli Stati membri e su tutte le attività e gli impegni della Presidenza Russa del G20 nell’anno 2013. Nel chiederLe di pregare per me, profitto dell’opportunità per esprimere, Signor Presidente, i miei più alti sentimenti di stima. Dal Vaticano, 4 settembre 2013 ESTRATTI DA “TU NON UCCIDERE” La pace è un bene universale, indivisibile: dono e guadagno degli uomini di buona volontà. La pace non s’impone («non ve la do come la dà il mondo»); la pace si offre («lascio a voi la pace»). Essa è il primo frutto di quel comandamento sempre «nuovo», che la germina e la custodisce: «Vi do un nuovo comandamento: amatevi l’un l’altro». Nella verità del nuovo comandamento, commisurato sull’esempio di Cristo, («come io ho amato voi»), «tu non uccidere», non sopporta restrizioni o accomodamenti giuridici di nessun genere. Cadono quindi le distinzioni tra le guerre giuste e ingiuste, difensive e preventive, reazionarie e rivoluzionarie. Ogni guerra è fratricidio, oltraggio a Dio e all’uomo. O si condannano tutte le 39 guerre, anche quelle difensive e rivoluzionarie, o si accettano tutte. Basta un’eccezione, per lasciar passare tutti i crimini. Ognuno è libero di accettare o rifiutare la visione cristiana della pace, che sorregge, anche se non riconosciuta, ogni sentimento verace e ogni sforzo sincero di pace. Chi però l’accetta (e non c’è altra strada che veramente conduca), davanti a qualsiasi torto del prossimo non può appellarsi alla soluzione giuridica, molto meno a quella vendicativa, ma solo a quella evangelica, non importa se derisa da troppi cristiani. E la regola di essa è così scritta: «A chi ti percuoterà la guancia destra porgi la sinistra, a chi ti muoverà lite per toglierti la tunica lascia anche il mantello…». Persuasi che solo su questi principi si può fondare la pacifica convivenza dei popoli, noi accettiamo la «stoltezza cristiana» a costo di parere fuori della storia, che altrimenti continuerà ad essere una catena di violenza o, se volete, un susseguirsi di fratricidi cioè l’antistoria, e proponiamo: · di rendere pubblica testimonianza, rifiutandoci ad ogni svuotamento di essi, sia teorico che pratico; di accettare solo quei mezzi di fare la pace che non negano la pace, sia nei rapporti di nazione e di razza, come nei rapporti di classe e di religione, riprovando e condannando egualmente qualsiasi strumento di ingiustizia e di sopraffazione anche se si presenta sotto il nome di dovere; · di creare un movimento di resistenza cristiana alla guerra, rifiutando l’obbedienza a quegli ordini, leggi o costituzioni che contrastano con la coscienza di chi deve preferire il comandamento di Dio a quello dell’uomo. · Se la guerra è un peccato, nessuno ha il diritto di dichiararla, neanche un’assemblea popolare, tanto meno di comandare altri uomini di uccidere i fratelli. Rifiutarsi a simile comando, non è sollevare «l’obiezione», ma rivendicare ciò che è di Dio, riconducendo nei propri limiti ciò che è di Cesare. (don Primo Mazzolari) 40 La guerra che verrà Non è la prima. Prima ci sono state altre guerre. Alla fine dell’ultima C’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente Faceva la fame. Fra i vincitori Faceva la fame la povera gente egualmente. (Bertolt Brecht) La guerra a cui non volevamo credere è scoppiata, e ci ha portato…la delusione. Non soltanto è più dolorosa e rovinosa di ogni guerra del passato, e ciò a causa dei tremendi perfezionamenti portati alle armi di offesa e di difesa, ma è anche per lo meno tanto crudele, accanita e spietata quanto tutte le guerre che l’hanno preceduta. Essa infrange tutte le barriere riconosciute in tempo di pace e costituenti quello che è stato chiamato il diritto delle genti, disconosce le prerogative del ferito e del medico, non fa distinzione tra popolazione combattente e popolazione pacifica, viola il diritto di proprietà. Abbatte quanto trova sulla sua strada con una rabbia cieca, come se dopo di essa non dovesse esservi avvenire e pace tra gli uomini. Spezza tutti i legami di solidarietà che possono ancora sussistere tra i popoli in lotta e minaccia di lasciar dietro di sé un rancore tale da rendere impossibile per molti anni una loro ricostruzione. (Sigmund Freud) “Sì, le bombe cadevano, bombe di emozioni violente che ti strappano l’anima e il cuore, bombe di assurdità lanciate da una 41 guerra altrettanto assurda e da uomini marionette guidati da burattinai invisibili ed ancora più assurdi e feroci nella loro frenetica pazzia arrivista senza cuore né sentimento; bombe cadute nella vita semplice di gente semplice, vittime del Mostro dell’odio umano che ha strappato le famiglie dalla certezza delle piccole cose per scaraventarle con violenza in mezzo ad una strada e sommergerle con una realtà atroce più grande dei loro stessi pensieri, mentre quello stesso Mostro prendeva a morsi le loro case, ne masticava audacemente i bocconi e li risputava poi per le vie desolate a completare un tetro mosaico di distruzione. Bombe che hanno distrutto il futuro di bambini ai quali non è stato permesso di attraversare con i loro piccoli piedi le strade della città prima che una granata gli rapisse entrambe le gambe, condannandoli per il resto della vita a rincorrere il destino dietro lo spettro di una sedia a rotelle; e gli stessi bambini, mutilati in maniera ancora più straziante dalla perdita di un padre appena conosciuto, di un fratello perso sotto l’ombra del muro della casa di fronte in una fucilazione di massa, nel dolore di una madre vestita di nero, rimasta sola con la sua fede contro tutto e contro tutti, a combattere per niente altro che la sopravvivenza sua e del suo bambino.” (Kralice mira, moli za nas – testimonianze dalla Ex Jugoslavia) Il sangue non è indio, polinesiano o inglese. Nessuno ha mai visto sangue ebreo sangue cristiano sangue mussulmano sangue buddista. Il sangue non è ricco, povero o benestante. Il sangue è rosso disumano è chi lo versa non chi lo porta. (Ndjock Ngana, poeta camerunense) 42 La donna solleva la testa. Sente da lontano delle voci. Si sente la voce calma e posata di un vecchio che racconta: “Eravamo tutti a casa; Mahmoud, malato da qualche mese, non diceva nulla; aveva la testa incollata al muro e si lamentava come un animale. Quando soffre è infelice, ed emette dei rantoli come un animale ferito. Mahmoud non aveva la possibilità di farsi curare. Avvertiva che il pericolo si avvicinava. Aveva l’istinto di un animale. All’improvviso sono arrivati i buldozzer. Hanno fatto un rumore terrificante. Avanzando, i buldozzer stritolano tutto quella che incontrano lungo il percorso. Hanno travolto le pareti della casa. Siamo usciti dalla porta della cucina e ci siamo rifugiati da mio fratello nella casa accanto. Mahmoud faceva fatica a sollevarsi. Teneva il corpo incollato al muro. Pensavo che ci avrebbe seguito. Ma non ha lasciato il suo posto. Il buldozzer l’ha stritolato. Una volta che la nostra casa è stata rasa al suolo, il buldozzer ha continuato il suo percorso ed è arrivato fino a casa di mio fratello. Allora siamo usciti con le mani in alto urlando: ‘Siamo dentro, aspettate! Siamo dentro, ci sono donne e bambini!’ Le nostre grida non avevano peso di fronte all’enorme macchina che tutto divorava. I soldati mi hanno chiesto di venire avanti verso un tank, con la camicia aperta per dimostrare che non avevo esplosivi. Mi hanno legato le mani, poi, quando ho detto loro la mia età, mi hanno lasciato andare. Non sapevo dove andare. Non avevo più una casa; c’erano carri armati dappertutto. Uno di questi mi ha bloccato in un sentiero del campo. I soldati mi hanno detto di fare dietrofront. Mi sono trovato davanti un altro carro che mi ha intimato l’ordine di partire. Non sapevo dove andare. Ho bussato alla porta di una casa. Era occupata dai soldati. Ho chiesto loro aiuto; mi hanno detto di andare altrove, io non ero un problema per loro. Ho chiesto loro se avevano visto Mahmoud, un uomo malato. Mi hanno ripetuto che non era un problema loro. Cercavo Mahmoud fra le macerie. I soldati urlavano e minacciavano. Non sapevo come uscire da questo inferno. Giravo in tondo. É stato solo all’indomani che sono riuscito a raggiungere il villaggio vicino. Non ho più rivisto Mahmoud. Forse si è salvato. É in paradiso. Non l’ho più rivisto. Sto lì e aspetto. Aspetto mia moglie , i miei figli, la giustizia. (Tahar Ben Jelloun, “Jenin”) 43 Allora ho incominciato a capire le analisi del Peace Research Institute di Oslo. Raccogliendo i dati su oltre 4000 pazienti che abbiamo operato a Kabul, ne ho avuto la conferma: il 93% erano civili, il 34% bambini sotto i 14 anni. Non è stato diverso, nelle altre guerre che ho visto in seguito. Gente dalla pelle nera, o dagli occhi a mandorla, indios seminudi, tanti turbanti. Tante guerre diverse, combattute per ragioni differenti sugli altopiani di eucalipti dell’Etiopia o tra le foreste ai piedi delle Ande, nella boscaglia cambogiana, tra i bananeti del Rwanda o sui monti dell’Afghanistan. Sempre e dovunque la stessa nauseante realtà. Avanti, al macello. “Prima le donne e i bambini”. (Gino Strada, “Pappagalli verdi”) É la storia di Kamal, cinquant’anni, con un handicap motorio. Tutti nel quartiere lo conoscevano. Un uomo tranquillo, gentile, che non amava la violenza. Gli piaceva passeggiare quando il sole era mite. Mi occupavo di lui da anni; abbiamo la stessa età, eravamo insieme a scuola e poi era anche un cugino acquisito. Ogni mattina, spingevo la sua sedia a rotelle in strada. Lui la maneggiava molto bene. Quando i soldati sono entrati nel campo, ho preso la precauzione di mettere un lenzuolo bianco sulla sua sedia. Mi diceva: “Sono come un ambasciatore di pace, giro per favorire il dialogo e la pace fra i popoli, ma non sono sicuro che quelli che ci occupano abbiano voglia di pace, voglio dire: di vivere con noi o più esattamente accanto a noi”. Quando i tank sono arrivati, numerosi, ho capito che avrebbero sparato sulla folla. Ho subito pensato a Kamal. Sono uscito dopo il coprifuoco per cercarlo. Avevo come un presentimento, una di quelle intuizioni forti che ti fa correre sperando di arrivare prima del dramma. Purtroppo, ho visto la sedia a rotelle di Kamal ribaltata e ho immaginato che doveva essere lì accanto. Era steso lungo la strada. Disintegrato. Spappolato. Non c’era più niente di umano 44 in quell’ammasso di carne e sangue. Ho capito che i carri erano passati sul suo corpo. C’erano le impronte dei cingoli. Kamal è morto così. La sua sedia a rotelle è stata schiacciata e il suo lenzuolo bianco è sporco di polvere e di sangue”. (Tahar Ben Jelloun, “Jenin”) DISCORSO DI ACCETTAZIONE DEL PREMIO NOBEL DELLA PACE DEL 1980 (ESTRATTI) Vengo da un continente che vive fra l'angustia e la speranza e dove si scrive la mia storia, sono convinto che l'opzione della forza evangelica della non violenza si apre come una sfida a prospettive nuove e radicali. Un'opzione che considera prioritario un valore essenziale e fortemente cristiano: la dignità dell'Uomo, la sacra, trascendente e irrinunciabile dignità dell'uomo che le viene dal fatto primordiale di essere figlio di Dio e fratello in Cristo e per tanto, fratello nostro. In questi lunghi anni di lotta attraverso il Servizio Pace e Giustizia in America latina, abbiamo condiviso il cammino insieme ai più poveri e bisognosi. Non abbiamo molto da dire, ma invece molto da condividere in modo di riuscire, attraverso la lotta non violenta, ad abolire le ingiustizie, con l'obiettivo di raggiungere una società più giusta e umana per tutti. In questo camminare insieme ai miei fratelli più poveri, quelli che sono perseguitati, quelli che hanno fame e sete di giustizia, quelli che patiscono a causa dell'oppressione, quelli che si angosciano davanti alla prospettiva della guerra, quelli che soffrono l'aggressione della violenza o vedono negati i loro diritti fondamentali: E' per tutti loro che sono qui. La mia voce vuole avere la forza della voce degli umili. La voce che denuncia l'ingiustizia e proclama la Speranza in Dio e l'Umanità che è la Speranza dell'Uomo che desidera vivere nella 45 comunione e partecipazione con tutti i fratelli come figli di Dio. America latina è un continente giovane, vitale, che fu definito da Papa Paolo VI come il continente della Speranza. Conoscere è valorizzare una realtà con la vocazione certa di condividere il suo destino. Conoscere è arrivare ad una profonda identificazione con i popoli che sono i protagonisti di un processo storico, essendo disposti a redimere il dolore con l'amore, assumendo in questa prospettiva la prassi di Gesù. (Adolfo Pérez Esquivel, Nobel per la Pace 1980) Nella del Terra Silenzio, nessuno può dire, se c'è qualcuno che lo sta ascoltando per carpire segreti che si possono vendere. Gli informatori sono pagati nel sangue della terra e nessuno parla sfidando i pensieri dei tiranni. Nella Terra del silenzio di Birmania, nessuno ride e nessuno pensa facendo rumore Nella Terra Quieta di Birmania, Puoi sentire il silenzio tra la folla. Nella Terra del Silenzio, nessuno può dire, quando i soldati verranno a portarli via. I cinesi vogliono una strada; i francesi vogliono il petrolio; i tailandesi prendono il legname e lo SLORC prende i soldi... Nella del Terra Silenzio.... Nella Terra del Silenzio, nessuno può sentire Ciò che è fatto tacere dall’assassinio e nascosto dalla paura. Ma, a dispetto della costrizione, la libertà è un canto Che i bugiardi non possono cambiare e nessun urlo di minaccia può coprire. (Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace 1991) 46 “Noi, quei soldati che sono tornati dalle battaglie macchiati di sangue; quelli che hanno visto i parenti e gli amici uccisi sotto i propri occhi, che sono andati ai loro funerali senza riuscire a guardare negli occhi i genitori, che sono venuti da una terra in cui i genitori seppelliscono i loro figli; quelli che hanno combattuto contro di voi, palestinesi – oggi noi vi diciamo, con voce alta e chiara: Basta lacrime e sangue. Basta!” (Yitzhak Rabin) La gente può accettare la descrizione di due, tre, forse anche cento assassinii, e forse persino elaborarli emotivamente, ma al sentir dire di migliaia di omicidi, chi ascolta si chiude e diviene insensibile come a suo tempo gli assassini e le vittime. L’orrore è divenuto ovvietà. Questo è ciò che dobbiamo temere di più…La nostra incapacità di lasciarci prendere dalle storie ferite degli uomini, l’incapacità di sporcarci le mani con la storia. Ma è più che mai necessario, nessuno si senta escluso, agire, porre gesti concreti. Proprio perché viviamo in un mondo collocato sotto il segno della morte dobbiamo innescare continuamente dinamiche di vita. (Simon Wiesenthal) GESÚ BAMBINO Gesù piccino piciò, Gesù Bambino, fa che venga la guerra prima che si può. Fa che sia pulita come una ferita piccina piciò, fa che sia breve come un fiocco di neve. E fa che si porti via la malamorte e la malattia, fa che duri poco e che sia come un gioco. Tu che conosci la stazione e tutti quelli che ci vanno a dormire, fagli avere un giorno l'occasione di potere anche loro partire. Partire senza biglietto, senza biglietto volare via, per essere davvero liberi non occorre la ferrovia. 47 E fa che piova un po’ di meno sopra quelli che non hanno ombrello e fa che dopo questa guerra il tempo sia più bello. Gesù piccino piciò, Gesù Bambino comprato a rate, chissà se questa guerra potrà finire prima dell'estate, perché sarebbe bello spogliarci tutti e andare al mare e avere dentro agli occhi, dentro al cuore, tanti giorni ancora da passare. E ad ogni compleanno guardare il cielo ed essere d'accordo e non avere più paura, la paura è soltanto un ricordo. Gesù piccino piciò, Gesù Bambino alla deriva, se questa guerra deve proprio farsi fa che non sia cattiva. Tu che le hai viste tutte e sai che tutto non è ancora niente, se questa guerra deve proprio farsi fa che non la faccia la gente. E poi perdona tutti quanti, tutti quanti tranne qualcuno, e quando poi sarà finita fa che non la ricordi nessuno. (Francesco de Gregori) La morte di ogni uomo è una mia perdita perché sono coinvolto nella razza umana. Perciò non mandare mai a chiedere per chi suona la campana: essa suona per te. (John Donne) Ma nessuno vuole riflettere, nessuno vuole evitare la prossima guerra, nessuno vuol risparmiare a sé e ai propri figli il prossimo macello di milioni di individui. Rifletteteci un’ora, chiedersi un momento fino a qual punto ognuno è partecipe e colpevole del disordine e della cattiveria del mondo: vedi, nessuno vuol farlo. E 48 così si andrà avanti e la prossima guerra è preparata giorno per giorno con ardore da molte migliaia di uomini. [….] Non ha scopo pensare pensieri umani e dirli e scriverli, non ha scopo rimuginare in testa pensieri di bontà: per due o tre persone che lo fanno ci sono in compenso ogni giorno migliaia di giornali e di riviste e discorsi e sedute pubbliche e segrete che vogliono il contrario e lo ottengono. (Hermann Hesse, “Il lupo nella steppa”) Dopo la pioggia viene il sereno brilla in cielo l'arcobaleno: è come un ponte imbandierato e il sole vi passa, festeggiato. È bello guardare a naso in su le sue bandiere rosse e blu. Però lo si vede -­‐ questo è il male -­‐ soltanto dopo il temporale. Non sarebbe più conveniente il temporale non farlo per niente? Un arcobaleno senza tempesta, questa si che sarebbe una festa. Sarebbe una festa per tutta la terra fare la pace prima della guerra (Gianni Rodari, “Dopo la pioggia”) Dobbiamo pulire, mettere in ordine e cominciare di nuovo. Si fa fatica a trovare la carta in mezzo alla confusione; e poi è difficile trovare i pensieri. Andiamo, poesia d’amore, sollevati dai vetri rotti, che è giunta l’ora di cantare. 49 Aiutami, poesia d’amore, a ristabilire l’integrità, a cantare sopra il dolore. É vero che il mondo non si pulisce dalle guerre, non si lava dal sangue, non si corregge dall’odio. É Vero. Ma è altrettanto vero che ci avviciniamo ad un’evidenza: i violenti si riflettono nello specchio del mondo e la loro faccia non è bella neppure per loro. E continuo a credere nella possibilità dell’amore. Ho la certezza della comprensione fra gli esseri umani, raggiunta sopra i dolori, sopra il sangue e sopra i cristalli spezzati. (Pablo Neruda, “Confesso che ho vissuto”) Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l'insicurezza, l'ingordigia, l'orgoglio, la vanità... Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece che quel che ci conviene. Educhiamo i nostri figli ad essere onesti, non furbi. E' il momento di uscire allo scoperto; è il momento di impegnarsi per i valori in cui si crede. Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale, molto più che con nuove armi. (Tiziano Terzani, “Lettere contro la guerra”) La responsabilità non è solo dei leader dei nostri paesi o di coloro che sono stati nominati o eletti per fare un particolare lavoro, è anche di ciascuno di noi, individualmente. La pace inizia dentro ciascuno di noi. Se possediamo la pace interiore, possiamo instaurare perfetti rapporti di pace con tutti coloro che 50 ci circondano. Quando la nostra comunità è in uno stato di pace, può condividere questa preziosa qualità con le comunità vicine, e così di seguito. Se proviamo amore e benevolenza per gli altri, questo non solo fa sentire gli altri amati e oggetto di benevole attenzione, ma ci aiuta anche a sviluppare felicità e pace interiore. Ci sono sempre dei modi in cui possiamo lavorare coscientemente a sviluppare sentimenti d’amore e di benevolenza. Per alcuni di noi, il modo più efficace di farlo è attraverso la pratica religiosa. Per altri, può esserlo attraverso pratiche non religiose. Ciò che è importante è che ciascuno di noi faccia un sincero sforzo di assumere sul serio la propria responsabilità nei confronti di ogni altra persona e per l’ambiente naturale. Discorso di Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama, premio Nobel per la pace 1989 (estratti) 51 Ci impegniamo noi, e non gli altri; unicamente noi, e non gli altri; né chi sta in alto, né chi sta in basso; né chi crede, né chi non crede. Ci impegniamo, senza pretendere che gli altri si impegnino, con noi o per conto loro, con noi o in altro modo. Ci impegniamo senza giudicare chi non s’impegna, senza accusare chi non s’impegna, senza condannare chi non s’impegna, senza cercare perché non s’impegna. Il mondo si muove se noi ci muoviamo, si muta se noi mutiamo, si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura. La primavera incomincia con il primo fiore, la notte con la prima stella, il fiume con la prima goccia d’acqua l’amore col primo pegno. Ci impegniamo perché noi crediamo nell’amore, la sola certezza che non teme confronti, la sola che basta a impegnarci perpetuamente. (don Primo Mazzolari) 52 53 
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