Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Mensile del Corso di Laurea i n Sociologia e Ricerca Sociale, Ottobre 2004. Anno 1. Numero 10. Direttore Mario Cardano. Redazione Mario Cardano, Michele Manocchi Scrivi alla redazione >> [email protected] [email protected] Questo è l’indirizzo al quale iscriversi: mandaci una e-mail e riceverai ogni mese il numero della Newsletter di Sociologia e Ricerca Sociale. Dillo anche ai tuoi amici, perché la Newsletter è dedicata a voi ed è grazie a voi che può crescere e migliorare. Alla realizzazione di questo numero hanno contribuito con articoli o segnalazioni: Andrea Bazzoni, Cassandra Dicandia, Donatella Simon, Paolo Gilli, Michele Manocchi e Mario Cardano Sommario La Facoltà. Segreteria Studenti: breve corso di sopravvivenza 2 Ricerca Sociale: intervista a Mariella Berra e Fiorenzo Girotti 6 Professione Studente: Intervista a Riccardo Spadotto sul corso a distanza di Sociologia 9 Professione Studente: Cassandra Dicandia sulla relazione docente/studente 12 Professione Studente: Andrea Bazzoni sulla paura da esame 13 Professione Sociologo: intervista a Elisa e Stefania sul Job Placement e gli stage 15 Professione Studente: Seminario di lettura e scrittura 17 Sociologie: Convegno internazionale. Immigrati e seconda generazione 19 Sociologie: Zygmunt Bauman. Sommersi dai media. Rischiamo la paralisi Sociologie. Il ritorno del “Crime Movie” americano, di Paolo Gilli 20 22 Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] La Facoltà La Facoltà 2 Segreteria studenti: breve corso di sopravvivenza. Ebbene sì! Siamo entrati nella roccaforte della Segreteria Studenti, e abbiamo intervistato il responsabile e gli impiegati che lavorano in via Verdi 12. Lo abbiamo fatto per mettere a vostra disposizione le informazioni necessarie alla “sopravvivenza”, informazioni che possono rendere la vita più facile a voi e agli addetti alla Segreteria. Le voci che girano sono sempre molte; le informazioni pertinenti invece sono poche e molte quelle sbagliate; spesso gli studenti non sanno bene per quali adempimenti devono recarsi in Segreteria e come fare per evitare le folle oceaniche che si accalcano agli sportelli. Ecco dunque una guida per la sopravvivenza (di studenti e impiegati). Due note sulla trascrizione dell’intervista. Su richiesta del responsabile, Salvatore Paolella, abbiamo condotto un’intervista di gruppo, alla presenza di tutti gli impiegati. Con la scelta di questa modalità di intervista il responsabile della Segreteria ha inteso riprodurre nella nostra conversazione il modello organizzativo adottato negli uffici di via Verdi 12; un modello basato sulla cooperazione e sul coinvolgimento di tutti i dipendenti nelle decisioni e nella gestione del rapporto con gli studenti. Inoltre, in questo modo, è stato possibile disporre di informazioni più ricche, basate sull’esperienza di tutti coloro che lavorano agli sportelli o alla scrivania. Nel comporre l’articolo abbiamo introdotto una semplificazione: le risposte raccolte non sono state riferite puntualmente a questo o a quell’interlocutore, ma genericamente alla Segreteria. Quanto segue non è dunque la trascrizione dell’intervista ma una sintesi – rivista dai nostri interlocutori – delle informazioni raccolte. Alla composizione di questa sintesi hanno contribuito le indicazioni fornite da: Salvatore Paolella, responsabile della segreteria. Roberta Mettola, vice-responsabile. Cristina Simonelli, Rosalba Ceravolo, Maria Tuscano, Francesco Occhipinti, impiegati. D: Buongiorno a tutti. Con questa intervista ci proponiamo di fornire agli studenti un quadro il più chiaro e puntuale possibile sulle attività della Segreteria, sui servizi resi e sulle modalità grazie alle quali gli studenti possono usufruire di questi uffici. Come suggerite di procedere? R: Credo che la cosa migliore sia quella di vedere, prima nel generale e poi scendendo nei particolari, quale può essere il rapporto tra uno studente e la Segreteria, dal momento in cui decide di iscriversi all’Università, fino al conseguimento del diploma di laurea. D: Benissimo. Suggerirei però di limitarci alle lauree triennali. R: D’accordo. Possiamo individuare cinque punti che riguardano lo studente “normale”, ovvero che non presenta situazioni particolari e che percorre regolarmente il proprio cammino verso la laurea, ai quali si aggiungono tre punti che riguardano invece casi particolari o argomenti che non fanno necessariamente parte della carriera di ogni studente. I cinque punti sono: • immatricolazione e iscrizione; • • • • il carico didattico; il pagamento della seconda rata; i percorsi di studio; la laurea. I tre punti ulteriori sono: • passaggi e trasferimenti, rinunce, interruzioni, convalida degli esami; • i corsi singoli; • le certificazioni. D: Partiamo dal primo: immatricolazioni e iscrizioni. R: L’immatricolazione si effettua presso il centro di immatricolazioni che ogni anno l’Università allestisce già dal mese di agosto, anzi quest’anno da fine luglio, e che gli studenti conoscono come Torino Esposizioni, perché è lì che negli ultimi anni è stato organizzato tale centro. Qui lo studente trova tutto ciò di cui può avere bisogno: la modulistica per l’immatricolazione, personale competente che fornisce informazioni su quasi tutto e che può aiutare nella compilazione dei modulo richiesti; ma ci sono gli spazi anche per consegnare l’autocertificazione dei redditi, utile all’inserimento nelle fasce attraverso le quali vengono calcolate le seconde rate, e si può anche fare richiesta per la borsa di studio. Diciamo anche che gli orari di apertura del centro di immatricolazione sono decisamente ampi, perché coprono dalle 8.30 del mattino fino alle 16.00, per cui anche quando sembra che ci sia assembramento, in realtà il ritmo elevato e questo orario di apertura consentono di far passare molte persone. Questo centro è per tutto l’Ateneo torinese, per cui gestisce le immatricolazioni di tutte le Facoltà. Per quelle dove è previsto un test di ingresso, sempre in questo centro è possibile effettuare la pre-iscrizione. Nel nostro caso non occorre perché Scienze Politiche non è a numero chiuso. Compilati e consegnati sempre in questo centro tutti i moduli richiesti, lo studente viene immatricolato in modo diretto, uscendo da qui con il libretto, il numero di matricola, e la certificazione adeguata. Una precisazione: tutte le dichiarazioni che occorre fornire per immatricolarsi sono in regime di autocertificazione, per cui non occorrono ulteriori code a sportelli sparsi per la città. Solo casi particolari richiedono certificazioni ulteriori, come studenti stranieri che chiedono il riconoscimento di titoli di studio o esami sostenuti nel proprio paese, o portatori di handicap che richiedono l’esonero dalle tasse, esonero per il quale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] occorre la certificazione del grado di handicap compiuta dagli organi preposti. D: Che consigli possiamo dare a uno studente o una studentessa appena immatricolati? R: Sarebbe opportuno consultare il sito della Facoltà, dove è possibile scaricare la guida ai percorsi di studio, la guida dello studente, le indicazioni sugli orari dei corsi e tutto quanto può servire per orientarsi a livello didattico nella nuova Facoltà scelta. Tutto questo, sempre senza dover passare dalla Segreteria. In pratica, uno studente può iniziare le lezioni di ottobre, senza aver avuto la necessità né tanto meno l’obbligo di passare in Segrete ria. Purtroppo questo non accade quasi mai e secondo me è un problema di comunicazione: i ragazzi non sanno che è così semplice immatricolarsi e iniziare il proprio percorso di studi, e spesso vengono in Segreteria per immatricolarsi, facendo alcune ore di coda per poi sentirsi dire che devono necessariamente andare al centro preposto. C’è anche un problema di fiducia nelle capacità di chi sta al di qua del vetro, e che più in generale riguarda la pubblica amministrazione. I cittadini non si fidano delle cose che vengono loro dette, mettono in dubbio tutto e spesso non credono neanche all’impiegato al quale arrivano dopo ore di coda, andando magari a parlare con l’impiegato dello sportello vicino perché non sono ancora persuasi della bontà delle informazioni ricevute. Abbiamo avuto alcuni casi che sfiorano l’assurdo e che in verità fanno sorridere, come studenti che mandano un fax con delle richieste, poi inviano una e-mail per chiedere conferma della ricezione del fax, in seguito telefonano e poi, non soddisfatti, passano anche per lo sportello. Occorre che gli studenti abbiamo fiducia in noi e nell’apparato amministrativo che sta dietro la loro carriera universitaria e occorre anche che gli impiegati della Segreteria vengano maggiormente rispettati, perché le competenze ci sono e le informazioni che diamo sono univoche. D: Bene, passiamo allora alle iscrizioni... R: Queste riguardano lo studente che si deve iscrivere all’università dalla seconda volta in poi, quindi tutte le iscrizioni successive all’immatricolazione iniziale. Da due anni a questa parte, lo studente si deve recare presso un qualunque sportello della Banca San Paolo o del Banco di Napoli, su tutto il territorio nazionale ed europeo, entro le date pubblicate sul sito e segnalate in varie parti con avvisi e cartelli, e col proprio numero di matricola e codice fiscale effettuare il versamento della rata prevista dalla sua situazione economica. La banca avrà a disposizione già tutte le informazioni adeguate, trasmesse per via telematica, e sarà quindi in grado di ricostruire la posizione di ogni studente, a partire dal numero di matricola: vengono prese in considerazione ovviamente le borse di studio, le fasce di reddito nelle quali lo studente ricade, la sua posizione di studente full-time o part-time, e viene così calcolato l’importo dovuto. Al termine dell’operazione, la banca rilascia una ricevuta che non deve essere riportata in Segreteria, ma custodita dallo studente. Ecco quindi che anche per le iscrizioni successive alla prima non occorre, né prima né dopo il pagamento della rata, recarsi in Segreteria studenti. In modo del tutto automatico, entro un breve periodo, lo studente risulterà iscritto a tutti gli effetti. Se vuole, può controllare l’avvenuta iscrizione ai box office disponibili in varie parti dell’Ateneo. Sociologia e Ricerca Sociale 3 Ricordiamo a questo proposito che ogni macchina dà la possibilità di accedere alla propria situazione, indipendentemente da dove è collocata. Per cui i box office ai quali gli studenti di Scienze Politiche possono rivolgersi sono tutti quelli presenti in Ateneo, e dovrebbe esserci anche una mappa delle loro ubicazioni sul sito. D: Possiamo brevemente ricordare le differenze tra part-time e full-time? R: Certo. La differenza sostanziale è nella possibilità per i primi di caricare fino a un massimo di 36 cfu per anno accademico, mentre i full-time possono arrivare fino a 80 cfu. Non esistono più le differenze di pagamento delle tasse legate al numero di cfu che si dichiara di voler conseguire. Esiste solo una ripartizione tra i due tipi di studente e ovviamente rimane quella che considera le fasce di reddito. Quindi, per fare un esempio, in fascia massima, la settima, la seconda rata di un full-time è di € 847,00 mentre quella di un parttime è di € 560,00. D: E così abbiamo anche anticipato il discorso sul pagamento della seconda rata. Siamo ora al secondo punto dell’elenco: il carico didattico. Cos’è? E come si fa? R: Anche in questo caso non occorre passare per la Segreteria, perché lo si fa solo ed esclusivamente ai box-office. Il carico didattico è l’indicazione di tutti gli esami che lo studente vuole sostenere nell’anno accademico di riferimento. La matricola non avrà evidentemente carichi didattici precedenti, per cui lo esegue ex novo, indicando esami fino a 36 cfu se parttime o 80 cfu se full-time. Gli iscritti, invece, potrebbero avere delle eredità, ovvero potrebbero aver inserito l’anno precedente degli esami che poi non hanno sostenuto e che quindi risultano ancora presenti e da sostenere. In questo caso può scattare la procedura di over booking: lo studente che abbia una rimanenza diciamo di 10 cfu dall’anno precedente, in teoria non potrebbe caricare più di 70 cfu per l’anno in corso, arrivando così al limite degli 80 cfu. Ma con questa procedura, lo studente può comunque caricare 80 cfu per l’anno in corso e di questi lasciarne “nascosti” 10; se entro il 30 aprile riesce a sostenere l’esame relativo ai crediti ereditati dall’anno precedente, l’over booking libera i 10 cfu “nascosti” facendo tornare il computo dei crediti a 80, e consentendo quindi allo studente di non rimanere indietro. Legato a questo punto c’è la stampa degli statini, indispensabili per sostenere gli esami. Dopo aver effettuato il carico didattico, e intercorse almeno 48 ore, lo studente può stampare gli statini relativi agli esami del semestre che vuole sostenere. Consigliamo caldamente di non andare a stampare gli statini pochi minuti prima di sostenere l’esame, perché non è una procedura che consente di affrontare eventuali imprevisti, come una coda eccessiva davanti ai box office o un qualunque disguido nel sistema informatico. E ricordiamo anche che non si possono sostenere esami per i quali non si abbia lo statino corrispondente stampato. Ricordiamo, infine, che le date di validità riportate sugli statini non sono reali, in quanto gli statini sono validi per tutto l’anno solare per il quale sono stati stampati. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] D: Il punto successivo riguarda il percorso di studi... R: E qui interveniamo noi. Il percorso di studi è una necessità dovuta al fatto che gli studenti godono di totale libertà telematica nello scegliere gli esami da inserire nel proprio carico didattico. Detto meglio, ogni corso di studi ha degli esami obbligatori e per quelli a scelta indica le opzioni possibili. Tuttavia, l’elenco degli esami, presso i box office, dal quale gli studenti scelgono gli esami è un elenco totale, che prevede tutti quelli disponibili per il corso di studi corrispondente. Succede quindi a volte che gli studenti si sbaglino e scelgano un esame che credono di loro pertinenza ma che in realtà appartiene a un altro corso di laurea o a un altro percorso all’interno dello stesso corso di laurea. Ciò comporta che noi della Segreteria dobbiamo ritirare il percorso di studi compilato dallo studente per far sì che i docenti responsabili dei vari corsi di studi possano verificare la corrispondenza delle scelte dello studente con le opzioni realmente percorribili da quest’ultimo. La presentazione del percorso di studi deve avvenire almeno una volta nella carriera di ogni studente e ogni qualvolta questi decida di modificare il percorso precedentemente consegnato. Il piano di studi, invece, riguarda solo gli studenti del vecchio ordinamento. Occorre quindi non confondere i termini piano e percorso: solo quest’ultimo, il percorso di studi, riguarda gli studenti del nuovo ordinamento e lo studente non deve recarsi da alcun docente né contrattare in alcun modo le proprie scelte, come invece può accadere per gli studenti del vecchio ordinamento. Semplicemente deve consegnare una copia cartacea del proprio percorso triennale, con gli esami che intende sostenere, e il docente di riferimento verificherà l’aderenza di tale percorso con quello previsto dal Consiglio del Corso di Laurea. Le matricole, ulteriore precisazione, non devono consegnare il percorso, che riguarda solo gli studenti che si iscrivono almeno per la seconda volta e che ancora non si sono laureati. Da quest’anno, la Segreteria studenti ha attivato anche uno sportello dedicato solamente al ritiro dei percorsi di studio, così da snellire ancora di più code e tempi di attesa. Una volta che il docente ha verificato i percorsi di studio, pubblica sul sito della Facoltà, o meglio del corso di laurea interessato, l’elenco dei percorsi approvati e respinti. Inoltre, lo studente può sempre verificare la propria posizione ai box office, al punto Annotazioni, dove noi pubblichiamo tutte le note di interesse degli studenti. Per quanto riguarda il percorso di studi, oltre alla possibilità di scaricare il modulo apposito dal sito, così come dal sito della Segreteria si possono scaricare tutti gli altri moduli che servono per adempiere alle richieste burocratiche della Facoltà, da quest’anno esiste un indirizzo di posta elettronica al quale si possono inviare le scannerizzazioni dei moduli per il percorso compilati dallo studente. Quindi, in linea di principio ma anche praticamente, lo studente potrebbe svolgere tutta questa pratica senza mai recarsi in Segreteria. D: Ed eccoci arrivati alla laurea... R: Siamo alla seconda occasione per la quale necessariamente lo studente deve passare in Segreteria. Occorre infatti che ci consegni la domanda di laurea. La terza occasione di incontro con la Segreteria è la consegna dei volumi della tesi. Anche in questo caso, la domanda di laurea può essere scaricata dal sito, con tutta la documentazione occorrente; poi lo Sociologia e Ricerca Sociale 4 studente si reca a pagare la tassa prevista, compila su Internet anche il questionario obbligatorio di AlmaLaurea, e nei periodi di scadenza, ampiamente pubblicati anche questi, ci porta tutta questa documentazione, solo per la consegna. L’altro giorno avevamo una sessantina di persone in coda che poi abbiamo scoperto essere qui solo per il ritiro della documentazione per la domanda di laurea, nonostante abbiamo più volte e ampiamente pubblicizzato che il tutto è presente sul sito, e tali indicazioni sono anche riportate sul vetro della porta di ingresso qui della Segreteria! D: Abbiamo concluso i punti che riguardano un percorso “normale”. Passiamo ora a quelli particolari. R: Il passaggio avviene quando lo studente cambia il corso di studi e può essere un passaggio interno, se resta nella stessa Facoltà, oppure un passaggio ad altra Facoltà. In questo secondo caso è previsto un versamento di € 26,00 oltre alla marca da bollo che deve essere applicata al modulo. Lo studente si deve recare qui in Segreteria per consegnare la modulistica relativa che può scaricare dal sito. Se invece cambia anche Facoltà, allora deve solamente andare nella Segreteria studenti della Facoltà nella quale vuole andare. Per il riconoscimento dei crediti acquisiti in altri corsi di laurea e la convalida degli esami già sostenuti, lo studente deve compilare una tabella di conversione pubblicata sul sito da inserire all’interno del modulo per la domanda di passaggio. I trasferimenti, per i quali i moduli sono sempre sul sito, vengono gestiti da noi e lo studente deve venire qui. In questo caso, lo studente chiede di cambiare Ateneo. La rinuncia riguarda il vecchio ordinamento. In questo caso lo studente rinuncia a tutta la sua carriera universitaria: gli esami perdono validità. La rinuncia è discrezionale, quindi può essere fatta dallo studente in qualunque momento. La decadenza invece è automatica, ma non d’ufficio, perché occorre sempre che lo studente presenti la sua istanza alla Segreteria. In entrambi i casi il libretto va riconsegnato. Per definizione, si decade una volta intercorsi otto anni dall’ultimo esame sostenuto o se si è da otto anni in situazione di fuori corso. Chi è decaduto può far rivivere la propria carriera, stando a delle regolamentazioni particolari in merito. Per quanto riguarda invece il nuovo ordinamento, si parla di interruzione degli studi: lo studente può interrompere momentaneamente i propri studi, ad esempio perché decide di frequentare un master, o un altro corso di studi; può poi tornare e riaprire la precedente carriera, pagando una quota prescritta dal Regolamento Tasse e Contributi. D: Abbiamo parlato all’inizio anche dei corsi singoli. Cosa sono? R: La procedura dei corsi singoli permette a persone che necessariamente non devono essere iscritte ad alcuna Facoltà, di partecipare agli insegnamenti che preferiscono. Possono partecipare a più corsi singoli nell’arco dello stesso anno accademico. Si paga un forfait per ogni corso scelto e lo si frequenta, esattamente come fanno gli altri studenti. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociolo gia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Risulta un’ottima soluzione per coloro che lavorano e che vogliono capire, ad esempio, se riusciranno a intraprendere un certo percorso di studi, oppure per coloro che vogliono capire se un corso di laurea è di loro gradimento oppure no. Se l’anno successivo lo studente in questione decide di iscriversi, può chiedere la convalida degli esami singoli sostenuti. Oppure, un laureato si rende conto che gli sarebbe molto utile sostenere un certo esame, che non era previsto nel proprio percorso, ma che gli darebbe crediti formativi utili per una certa carriera o percorso formativo ulteriore. Questo va ad integrare la carriera accademica. D: Riepilogando... R: Speriamo che ora sia più chiaro il fatto che uno studente in situazione “normale” deve passare dalla Segreteria solo tre volte: per la consegna del percorso di studi, per la consegna della domanda di laurea e per la consegna dei volumi della tesi. Per il resto, tutto è fattibile rifacendosi al sito della Facoltà e utilizzando i box office, presso i quali è anche possibile ottenere ogni tipo di certificazione di cui lo studente potrebbe avere bisogno. D: Cosa vorreste dire, per concludere, agli studenti? R: Gradiremmo essere rispettati, così come noi rispettiamo gli studenti. Al di qua degli sportelli c’è una preparazione, le procedure sono state create da responsabili che periodicamente aggiornano le regole e le norme affinché il servizio risponda sempre meglio alle esigenze degli studenti. Noi facciamo un continuo lavoro di riorganizzazione, formazione, aggiornamento interni per garantire agli studenti un servizio di alto profilo. Noi lavoriamo davvero per loro, perché è in questo che consistono le nostre mansioni. Anche se, purtroppo, attualmente questo discorso non corrisponde alla realtà dei fatti, perché siamo ovviamente consapevoli che non riusciamo a dare tutto il sostegno che ci viene richiesto, tuttavia la responsabilità di questa situazione non può essere imputata tutta alla Segreteria studenti. Molti dei disguidi che si creano qui in Segreteria, non ultima la perenne coda che si trovano ad affrontare gli studenti, sarebbero evitabili col loro aiuto, perché come abbiamo illustrato in questa intervista, le reali esigenze che spingono gli studenti a venire fisicamente da noi sono poche. Adoperare gli altri strumenti che gli studenti hanno a disposizione per ottenere le stesse cose che vengono a chiedere in Segreteria, significherebbe snellire in maniera massiccia molto lavoro agli sportelli, e questo libererebbe delle risorse che potrebbero portare avanti con maggior impegno tutti gli adempimenti che noi svolgiamo negli uffici, oltre il servizio di sportellistica. Ma questo spesso è difficile da realizzare, perché le persone da seguire agli sportelli sono sempre tantissime. Sociologia e Ricerca Sociale 5 Certo, avessimo la possibilità di ottenere un aumento del personale, le cose potrebbero essere gestite in maniera diversa, e anche gli studenti sarebbero seguiti da un numero adeguato di operatori. Ma anche questo non si verifica, nonostante le nostre ripetute richieste. Due esempi su tutti sono costituiti dal telefono e dalla posta elettronica. I nostri telefoni sono costantemente occupati, tanto che molti studenti, e non solo, si lamentano di non riuscire mai a trovare la linea libera. Noi non stacchiamo i telefoni, come qualcuno potrebbe essere portato a pensare, ma su cinque linee che abbiamo a disposizione, solo due operatori possono stare negli uffici a rispondere, perché gli altri devono stare allo sportello. La posta elettronica subisce un destino simile: dovremmo avere un operatore dedicato solo a questa, perché il numero di messaggi che arrivano è molto elevato. Queste situazioni portano poi ai paradossi di cui abbiamo già accennato con studenti che utilizzano tutti i canali comunicativi a disposizione per accertarsi che il loro messaggio sia arrivato, ingolfando ancora di più le linee telefoniche, la posta elettronica e gli sportelli. Noi siamo qui per aiutare gli studenti e le persone che lavorano agli sportelli danno sempre il massimo, anche se può non sembrare così: chiediamo solo una collaborazione più attiva e una consapevolezza maggiore da parte degli studenti sul fatto che la Segreteria, spesso, può essere bypassata ricorrendo agli altri strumenti e apparati pensati appositamente per questo. D: Grazie. Speriamo che i lettori diffondano il più possibile questa piccola guida, anche tra coloro che non sono di SRS. R: Grazie a voi. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Ricerca Sociale Ricerca Sociale 6 Intervista a Mariella Berra e Fiorenzo Girotti Mariella Berra insegna Sociologia delle reti telematiche presso la nostra Facoltà e Fiorenzo Girotti è titolare dell’insegnamento di Scienza dell’amministrazione. Hanno condotto una ricerca che ha portato alla pubblicazione di un volume intitolato “Reinventare l’amministrazione. Culture progettuali e azioni della dirigenza nel processo di riorganizzazione del Comune di Torino”, Stampatori, Torino, 2003. Li abbiamo intervistati per farci illustrare i te mi della ricerca, le metodologie utilizzate e i punti più interessanti ai quali sono approdati. D: Professoressa Berra, ci può tratteggiare le ragioni che vi hanno portato alla conduzione di questa ricerca? R: Le ragioni della ricerca nascono da una curiosità circa le trasformazioni organizzative che il Comune di Torino stava affrontando, negli anni 1999-2002. In questo periodo, il Comune di Torino ha subito due grandi trasformazioni organizzative: la prima legata all’arrivo della prima giunta di centrosinistra, che aveva come obiettivo quello di rivedere un modello di amministrazione non efficiente e non efficace e quindi di sviluppare un nuovo tipo di organizzazione più agile, più svelta, più collegata al territorio, cercando di rendere l’amministrazione più vicina al cittadino, e soprattutto di passare da un’organizzazione interna di tipo piramidale, gerarchica, ad un’organizzazione che privilegiasse la rete, formata da diverse comunità organizzative. La seconda grande trasformazione, invece, ha visto la riorganizzazione del primo modello divisionale adottato e un assestamento delle modifiche apportate con il primo intervento. Una terza fase, come poi illustrerà meglio il professor Girotti, ha riguardato il consolidamento delle modifiche apportate. D: Veniamo allora alla prima fase... R: Il primo passaggio verso la costruzione della rete è stata la creazione di un modello divisionale: sono state costituite 22 divisioni e un comitato di coordinamento. Questo passaggio non è stato certo indolore, ed è stato un modello corposo sotto diversi punti di vista. Ad esempio, a livello dirigenziale, sono state premiate alcune figure professionali ma penalizzate altre. L’organizzazione diventa più “piatta” e quindi si cerca anche di collegare i dirigenti di divisione, con figure intermedie, che saranno oggetto di successive riforme. Era insomma necessario rivedere e riorganizzare il rapporto tra la vetrina e il magazzino, tra il front-office il back-office, con un rapporto molto diverso anche in vista dell’introduzione di innovazioni e forti investimenti nella formazione del personale e nell’utilizzo di tecnologie informatiche. Organizzazione e tecnologie informatiche erano le idee guida della riforma che l’amministrazione voleva attuare, utilizzando anche quelle che erano le risorse disponibili sul territorio come i punti di forza dell’esperienza tecnologica torinese, dell’esperienza formativa e di ricerca di Università e Politecnico, ma anche i grandi centri di formazione presenti sul territorio: fare questo richiedeva una forte formazione della dirigenza. Questa prima riforma è stata successivamente rivisitata con una successiva riforma che ha modificato in parte il primo assetto organizzativo, riducendo la dimensione divisionale e creando una struttura verticale, i servizi tecnici e i servizi amministrativi, e mettendo a capo di questa struttura complessiva, due vice-direzioni generali e una figura istituzionale nuova che continua a mantenersi solo nella realtà di Torino e Trieste: la figura del City Manager. D: Così si è aperta la seconda fase... R: Esatto. E qual è il significato di questo passaggio? Una struttura divisionale permette una maggiore elasticità operativa, cioè consente di essere più vicino alle concrete situazioni dei cittadini, e consente anche di attuare logiche di sussidiarietà e di prossimità al territorio, portando ad un ampliamento delle competenze delle singole istituzioni. Ma tutto questo rischiava di essere più costoso e meno efficiente, per cui è stata avviata una riforma che potrebbe essere interpretata come un passo indietro, ma che invece ha degli elementi di ambivalenza, che non consentono di parlare né di passi indietro né di passi avanti, in senso proprio. Si è andati verso una struttura più accentrata, senza però tornare alla piramide dalla quale era partita la prima riforma, che permetteva una maggiore elasticità, questa volta, organizzativa e non più operativa come abbiamo detto poco sopra, tipica della struttura divisionale. Tutte le strutture accentrate sono più facili da gestire, sono più efficienti e hanno costi minori. Per andare verso questi elementi di efficienza, il primo passo è stato quello di ridurre il numero delle persone nel comitato di direzione, che poi è arrivato a 12 dirigenti più 2 vicedirettori, ma il processo è ancora in evoluzione. D: Quali erano gli obiettivi della vostra ricerca? R: Analizzando tutta questa storia e la sua evoluzione, volevamo valutare come la dirigenza ha recepito queste trasformazioni, come le ha giudicate, come le ha attuate, quali sono stati i problemi incontrati. Questa è una ricerca da un lato descrittiva del comportamento e delle trasformazioni organizzative, dall’altro che mira a comprendere e valutare la soggettività dei diretti interessati, come il dirigente si auto-percepisce e si auto-racconta all’interno delle nuove situazioni, in sintesi quali sono le sue letture delle situazioni. Per questo, sono state utilizzati sia metodi quantitativi sia Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] qualitativi: abbiamo analizzato tutto il materiale documentale, le leggi, le trasformazioni organizzative; abbiamo intervistato i 12 direttori di settore, i 2 vicepresidenti, il direttore generale City Manager, il segretario generale, quindi 16 figure di alto livello, e poi 35 dirigenti responsabili di settore, uno su quattro di quelli presenti al momento della ricerca, per un totale di 51 interviste in profondità; successivamente, abbiamo anche somministrato un questionario di valutazione a circa 90 persone appartenenti a diversi livelli. D: Professor Girotti, quali sono secondo lei i punti più rilevanti del vostro lavoro? R: Uno degli aspetti più interessanti della ricerca, secondo me, è proprio quello di aver cercato di descrivere e anche interpretare il cambiamento dal punto di vista dei diretti protagonisti. La ricerca, in fondo, fornisce un quadro dei cambiamenti attraverso le rappresenta zioni dei direttori e dei dirigenti, e da questo punto di vista direi che la cosa è molto interessante. Noi decidiamo di fare la ricerca in un momento in cui la riforma amministrativa del Comune di Torino è in agenda, ma è anche il clamore dell’opinione pubblica in merito che ci spinge verso questo lavoro. La nuova riforma amministrativa, con il direttore generale, la riduzione delle figure divisionali, da 22 a 14, non è indolore. Decidiamo di fare la ricerca sull’onda di questa tensione, di questo conflitto del quale i giornali parlano come di una rivoluzione. La ricerca è poi motivata dalla rilevanza del tema, dall’impatto sociale che una riforma di questa portata può avere verso la città. Gli obiettivi dell’amministrazione erano rivolti non solo e non tanto alle politiche manageriali di razionalizzazione, di risparmio, di efficienza, di riduzione del personale, anche se sono stati aspetti importanti; ma soprattutto al cercare di ottenere un’amministrazione imprenditoriale, capace di avviare politiche di sviluppo, di portare la città fuori dalla crisi industriale, di avviare progetti di sviluppo del terziario avanzato, di sviluppo di beni immateriali, di rispetto e valorizzazione della scadenza olimpica, ma anche capace di affrontare in modo nuovo i problemi di riorganizzazione dei servizi sociali di fronte alla situazione particolarmente difficile rispetto alle fasce deboli. Tutto questo era in forse nel momento in cui noi decidiamo di far partire la ricerca, perché la cosiddetta resistenza burocratica, era molto forte. Capire cosa stesse capitando attraverso le testimonianze dei protagonisti era quindi particolarmente rilevante. Abbiamo fatto delle interviste con le quali chiedevamo ai direttori e dirigenti di spiegare dal loro punto di vista le cause, le motivazioni di fondo che hanno avviato l’intera trasformazione, spiegare il processo, spiegare quelle che per loro erano le fasi significative e anche in qualche modo di collocarsi rispetto alle nuove culture amministrative. Tutto sommato si trattava di capire quanto teneva il modello burocratico, gerarchico, quanto riusciva ad avere presa il modello divisionale e quanto oltre le logiche aziendali riusciva davvero a crearsi un modello di amministrazione diverso, capace di stare entro logiche di sviluppo che noi oggi leggeremmo in termini di governance. D: Si è accennato alle tre fasi della trasformazione organizzativa, e abbiamo visto brevemente le prime due... R: Vorrei fare alcune precisazioni, perché la prima fase, quella un po’ più dimenticata, ma non dai diretti protagonisti, è anche quella più interessante. Sociologia e Ricerca Sociale 7 Nella prima fase la metodologia di riforma amministrativa è attuata da quello che è stato il primo imprenditore della riforma amministrativa in Torino, un politico, il professor Donna, un politico un po’ particolare perché è anche un tecnico, è un valente studioso di economia aziendale ed era l’assessore responsabile della gestione dell’azienda comune, ed è lui che si fa imprenditore di questo progetto. Le metodologie che il professor Donna utilizza per avviare quella che possiamo definire come la prima divisionalizzazione, sono molto interessanti, perché a partire da una situazione ormai ingestibile di sovrapposizioni di competenze e uffici, mancanza di comunicazione, pletora di personale mal utilizzato, eredità di un modello di sviluppo incrementale, che non aveva mai visto grandi interventi di riorganizzazione, il professor Donna adotta una visione aperta, pluralista, di mobilitazione delle risorse interne. Avvia una campagna di interviste in cui i vecchi dirigenti ai più alti livelli, quindi anche i dirigenti di settore, vengono sollecitati a definire la situazione, a formulare una propria diagnosi dei problemi da affrontare, a delineare delle possibili terapie e anche a formulare delle proposte di riorganizzazione. Quindi il metodo è induttivo, è un metodo di ascolto, è un metodo di grande rispetto di tutte le posizioni presenti, sia dei dirigenti che per esperienza e per fama erano dei conservatori, erano dei “burosauri”, sia di quelli che già avevano dimostrato una certa propensione al cambiamento. Questa prima fase della divisionalizzazione guidata dal professor Donna, sviluppa all’interno della dirigenza un orientamento riflessivo e direi anche progettuale molto forte, con una notevole disponibilità ad analizzare, riflettere, definire i significati e le situazioni. È importante sottolineare che questa ricerca non ha una committenza, è una ricerca di base, e noi ci siamo da subito proposti come universitari che erano interessati ad analizzare determinati aspetti delle riorganizzazioni affrontate dall’amministrazione comunale. Dunque, quando noi facciamo la campagna interviste, con grande serenità, con grande pacatezza, ci troviamo di fronte a dirigenti disposti a discutere, parlare, riflettere e interpretare, e questa è stata una grande risorsa che ci ha consentito anche di uscire dall’idea di fare una ricerca tutto sommato tranquilla, e fare invece una ricerca importante perché viveva di questa onda lunga di riflessività creata dalla prima fase guidata dal professor Donna. Abbiamo fatto a l ricerca, i dirigenti hanno ricostruito la vicenda, e dopo una prima fase arriviamo alla seconda parte che è quella che vede da un lato l’istituzione del City Manager, quindi l’arrivo del direttore generale, dall’altro lato una forte semplificazione organizzativa con meno divisioni, l’inserimento dei servizi centrali, e i cambiamenti nello stile di direzione e mobilitazione delle energie interne. D: Ce la può descrivere? R: Nella prima parte l’imprenditore è un politico, per quanto dotato di grande competenza tecnica si muove come un politico. Nella seconda fase l’imprenditore della riforma è un tecnico, è il City Manager e nel caso torinese è un manager di provata esperienza in grandi disegni di riforma di enti quali le poste e prima ancora le ferrovie. Dunque, è un tecnico che ha tutta la cultura del New Public Management, ha tutta la cultura dell’efficienza della razionalizzazione aziendale, qualità importanti in una fase in cui occorre capire come riassegnare e ri-allocare i dirigenti, come agire verso la resistenza sindacale e di coloro che si sentono declassati. Il direttore generale interpreta il suo ruolo Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] con un grande investimento in primo luogo sulla gestione del personale, e direi anche nelle relazioni sindacali. Inoltre, assistiamo anche a un grande sforzo, potremmo dire pedagogico, da parte della nuova dirigenza: il comitato di direzione, diventa una specie di collegio in cui nuovi modelli gestionali, nuove tecniche, nuove modalità di relazione tra i vertici amministrativi i quadri intermedi e i front-office, vengono tematizzate, vengono discusse, si formano progetti e sperimentazioni che settimanalmente vengono verificate. Quindi c’è un processo di apprendimento dall’alto, che è particolarmente significativo e che è quello che in qualche modo consente di mantenere alto il profilo della riforma, anche in una fase che apparentemente può sembrare un ritorno a un modello centralistico. D: Arriviamo alla terza fase... R: La terza fase, che possiamo definire la fase di completamento di questo primo ciclo di riforme, va dal 2000 in poi, ed è una fase di consolidamento delle prime sperimentazioni avviate ma anche di ulteriori piccole ristrutturazioni, che dal punto di vista organizzativo sono però meno significative di quelle precedenti. Che cosa dire rispetto ai nodi più importanti che emergono dalla ricerca? Sicuramente, emergono con grande chiarezza i vantaggi e gli svantaggi di un modello organizzativo divisionale, orientato a una maggiore qualità ed efficacia dell’azione amministrativa ma che ha dei costi particolarmente elevati, legati al decentramento di tutti gli apparati logistici, tecnologici e di personale necessari all’autonomia dei singoli uffici. La seconda cosa importate, io credo, è proprio il cambiamento di cultura che si produce attraverso una sperimentazione di un nuovo modo di amministrare: prima la conformità alla regola era la guida; da un certo momento in poi il lavoro non è più per conformità alle regole ma diventa un lavoro per progetti, ed è un lavoro che si confronta costantemente coi risultati. Questa sperimentazione prima e poi consolidamento del lavoro per progetti è segnalato dai dirigenti come il grande cambiamento, su cui alcuni investono di più, altri con una certa fatica entrano, all’intero di un gioco processuale che è anche un gioco di ri-allocazione delle risorse e di ri-distribuzione dei pesi e del potere all’interno della stessa amministrazione. Lavorare per progetti verificando i risultati in relazione agli obiettivi, ha un risvolto molto importante, che è stato vissuto con maggior tensione da tutta la dirigenza: si entra in un gioco competitivo molto forte in cui vince chi produce i migliori risultati. Occorre tenere anche conto che una parte della remunerazione inizia a essere legata al raggiungimento di certi risultati. Crea anche un clima di insicurezza, di preoccupazione di fronte all’esame continuo di quello che il dirigente produce. Legato a questo, c’è il problema per i dirigenti di disporre di risorse adeguate, in primo luogo delle risorse umane. Non si può scegliere liberamente la propria squadra e quindi per avere gli uomini migliori all’interno del proprio settore c’è un gioco di scambi, di negoziazioni, dove conta avere alle spalle un direttore forte, autorevole, che al tavolo delle negoziazioni sia in grado di imporsi. Le altre risorse importanti sono quelle tecniche, legate agli strumenti di lavoro ma anche agli strumenti informatici. Questi servizi sono centralizzati, oppure dati in gestione all’esterno, ma di fronte a quelle divisioni che hanno un bisogno costante di analizzare la domanda sociale, analisi della dinamica dei bisogni, costante aggiornamento di dati secondari, il non avere delle basi di dati interne che il dirigente è in grado di implementare, di controllare, di interrogare quotidianamente con molta flessibilità, costituisce un problema. Sociologia e Ricerca Sociale 8 Altro punto riguarda le tensioni che si vengono a produrre tra politico e dirigente, all’interno di questo nuovo modello di gestione. Tradizionalmente il politico era il decisore, il dirigente era l’esecutore, e la divisione si giocava nella subalternità. L’assessore era un politico che oltre a definire gli obiettivi tendeva a controllare anche le modalità attuative, girando fisicamente per gli uffici. La nuova riforma è incentrata invece su un grosso recupero di autonomia da parte del dirigente. Il vecchio politico mal si adatta a questa nuova propensione. Tuttavia sorge un nuovo problema, che è poi un’esigenza fondamentale del nuovo politico che non interferisce con l’opera dei dirigenti: quella di avere un solo dirigente, o pochi, con cui interloquire, perché se il politico delega l’implementazione dei programmi ai dirigenti, occorre che la persona alla quale tale implementazione è delegata ne sia anche responsabile. Non è concepibile che il politico per sapere a che punto sia una propria azione, un programma, debba rivolgersi a tutti i dirigenti dei settori interessati e ricostruisca da sé l’iter della pratica. D: Professoressa Berra, quali sono, in conclusione, i risultati ai quali siete giunti? R: Da un lato abbiamo potuto osservare l’evoluzione delle fasi di trasformazione attraverso la descrizione, i racconti dei protagonisti, di coloro che hanno vissuto in prima persona le fasi di questo processo di riorganizzazione, e grazie a questo, abbiamo potuto dare corpo a dei concetti classici della ricerca sociale: che cosa vuol dire flessibilizzare; qual è il rapporto che si va a costruire tra politici e burocrati, domanda classica della sociologia dell’amministrazione; che cosa significa rifondare un nuovo processo di deburocratizzazione, un nuovo modello di riorganizzazione. E ancora quali sono stati gli impatti interni, quali le risorse utilizzate e quali le difficoltà riscontrate in questi passaggi; in altri termini, come già diceva Gouldner: “come è difficile fondare un processo di burocratizzazione, ”. Per la pubblica amministrazione è ancora molto più difficile che mutare un modello organizzativo all’interno di un’impresa. E questo porta anche, se vogliamo, a una prima conclusione: come sia difficile costruire un’amministrazione imprenditoriale, efficiente, efficace, rispetto invece a un retorica corrente sulla aziendalizzazione delle organizzazioni pubbliche. Abbiamo avuto la possibilità di studiare, attraverso le testimonianze di chi ha vissuto la riorganizzazione dall’interno, come un’amministrazione si modifica al fine di realizzare concretamente i principi di efficacia, efficienza e prossimità col cittadino, guardando sia al proprio interno, e quindi attraverso una ri-allocazione delle risorse e una ri-definizione di obiettivi, strategie e poteri interni, sia verso l’esterno, considerando i soggetti istituzionali pubblici e privati, ma anche gli stessi cittadini, come risorse con le quali collaborare. L'analisi, quindi, sulla riorganizzazione amministrativa del Comune di Torino potrebbe offrire indicazioni e strumenti di riflessione sulle sfide che devono oggi affrontare le amministrazioni locali, sul piano organizzativo, tecnologico e comunicativo, per dare risposte di qualità ad una domanda sociale sempre più differenziata ed esigente in un contesto di risorse scarse. La lettura poi dei problemi sollevati dalla riorganizzazione di un Comune di grandi dimensioni (il quarto in Italia) che, in modo ambizioso, si è posto un progetto di innovazione organizzativa e tecnologica, e che resta all’avanguardia tra le esperienze nazionali, potrebbe e dovrebbe inoltre offrire utili suggerimenti per la realizzazione e lo sviluppo dell’e-government e dell'e-governance. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Student e Professione Studente 9 Intervista a Riccardo Spadotto Il Dr. Spadotto è stato il tutor del corso a distanza in Sociologia per il secondo semestre dello scorso anno accademico. Ci siamo fatti raccontare la sua esperienza. D: Buongiorno Riccardo. Ci dici brevemente qual è stato il tuo ruolo? R: Mi sono laureato in scienze politiche, con una tesi in sociologia, nel dicembre del 2003; in seguito sono stato nominato cultore della materia. Ho poi partecipato al concorso per l’assegnazione dei contratti per collaborare alla didattica a distanza e ho ottenuto l’assegnazione di tre distinte collaborazioni che rendono ragione del particolare assetto del corso. Infatti, per motivi sperimentali e di sinergie, il docente titolare del corso – il professor Almondo – teneva al fatto che un’unica persona provvedesse sia alla preparazione dei materiali, sia alla didattica in aula (per cui erano previste 30 ore, un mezzo-corso tradizionale), sia alle attività di tutorship via Internet. D: In questo pezzo vorremmo che tu ci parlassi dell’esperienza dello scorso anno per la didattica a distanza del corso di Sociologia. Come sai, lo scorso mese abbiamo pubblicato altri articoli sulla didattica a distanza. Il tuo corso si è già svolto, quindi potremmo dare un quadro riassuntivo di ciò che è accaduto, toccando i punti di forza e quelli di debolezza della tua esperienza. R: L’unico vincolo postomi dal docente titolare è stato quello di una corrispondenza contenutistica con i temi da lui trattati nel suo corso di Sociologia e quindi anche l’adozione dei relativi testi d’esame. Dopo aver consultato il materiale del corso di sociologia a distanza tenuto precedentemente dallo stesso professor Almondo, ho avuto la più ampia autonomia nella cura della nuova edizione, sotto tutti gli aspetti. D: Come era articolato il corso? R: La scelta dei particolari contenuti didattici dipende dalle opzioni espresse dal professor Almondo nella sua introduzione al libro di David S. Hachen, La sociologia in azione. Come leggere i fenomeni sociali (Roma, Carocci, 2003). Il testo di Hachen si basa sulla discussione di casi decisionali come modo per introdurre le tematiche sociologiche agli studenti, e in questo risulta innovativo rispetto ai manuali tradizionali. Nel corso a distanza ho cercato di seguire la medesima impostazione del testo. Per ciò che concerne l’organizzazione didattica, il corso si presenta essenzialmente come gli altri insegnamenti a distanza. Tuttavia, ci sono state alcune importanti differenze che vorrei illustrare. Come per gli altri corsi, si è tenuto un incontro di presentazione, nell’aula informatica del CISI che poi nel mio caso è stato seguito da dieci incontri di didattica in aula (affiancati da dieci unità didattiche a distanza), contro i tre incontri in presenza previsti dagli altri corsi. Tutti gli incontri in presenza, della durata di tre ore ciascuno, si sono svolti il sabato mattina (a eccezione di due recuperi infrasettimanali), per consentire una regolare frequenza agli studenti lavoratori. Ho quindi suddiviso il corso in due cicli didattici, Teoria sociale e Ricerca Sociale, ciascuno composto da una serie di cinque unità didattiche a distanza e da cinque incontri in presenza della durata di tre ore ciascuno. D: Come si componevano le unità didattiche? Le unità didattiche a distanza consistevano nella pubblicazione in Internet delle attività – da svolgersi secondo le modalità in esse specificate – e di materiali di supporto allo studio; inoltre, avveniva la somministrazione agli studenti di questionari (test) per l’autovalutazione della preparazione; si procedeva poi alla discussione delle domande formulate dagli studenti (pubblicate sul forum di discussione o inviate al docente via posta elettronica); infine, occorreva partecipare alle altre attività interattive previste dal corso, tra le quali la assistenza on line e il ricevimento studenti presso il dipartimento di scienze sociali. La pubblicazione su Internet del materiale didattico avveniva sempre nel medesimo giorno della settimana. D: Potremmo fare un esempio illustrando nel concreto cosa facevano gli studenti? R: Partiamo, ad esempio, dalla prima unità didattica a distanza. Il primo sabato di lezione in presenza, avviavo la prima unità didattica, pubblicando le attività e i materiali sul sito , aprivo il forum e ricevevo i messaggi di posta elettronica con le domande degli studenti. Per il venerdì successivo era fissato il termine per la presentazione delle domande (posta elettronica), dei temi di discussione (forum) e della prima parte di esercizi da svolgere a casa: gli studenti iniziavano a studiare sabato pomeriggio, e lavoravano sul testo fino a venerdì. Il secondo sabato si teneva un nuovo incontro in presenza, con l’avvio della seconda unità didattica, e quindi la pubblicazione di attività e materiali a questa inerenti, e la spiegazione della prima unità didattica che gli studenti avevano affrontato a casa nel corso della settimana precedente; inoltre, pubblicavo il test di autovalutazione relativo alla prima unità didattica che gli studenti dovevano svolgere entro il martedì seguente. Il venerdì successivo c’era il termine per la presentazione delle domande (posta elettronica) e dei temi di discussione (forum) sulla seconda unità didattica. Infine, il terzo sabato chiudevo la prima unità didattica con la correzione del test relativo ad essa, spiegavo parti della seconda unità didattica e rispondevo in merito alle domande degli studenti, e avviavo la terza unità didattica, sempre con la pubblicazione dei materiali e delle attività ad essa collegate. Infine, pubblicavo il test sulla seconda unità didattica. Questo ciclo si è ripetuto per tutto lo svolgimento del programma. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] In questo modo, passo dopo passo, gli studenti svolgevano il programma e le attività connesse e io, in qualità di tutor, seguivo la loro preparazione, intervenendo sulle lacune o mancanze e sollecitando la consegna delle attività previste, quando queste tardavano ad arrivare. Ogni studente sapeva in questo modo che cosa noi ci aspettavamo da lui, giorno per giorno, e in questo modo risultava anche più semplice programmare il proprio lavoro a distanza. D: Su quali testi gli studenti si sono preparati? R: Il testo di Hachen ha costituito la parte innovativa del corso e quello sul quale il mio lavoro si è basato maggiormente. Era inoltre previsto un testo di Carlo De Rose, Che cos’è la ricerca sociale, Roma, Carocci, 2003, che è stato adottato per unire teoria e ricerca sul campo. Almondo, infatti, ritiene opportuno fondere insieme teoria e ricerca sociale già in un corso introduttivo, per offrire – anche agli studenti che dovessero affrontare solo questo corso di sociologia – una preparazione, seppur di base, in grado di unire gli aspetti teorici della sociologia con una consapevole padronanza del linguaggio di base della ricerca. Infine, erano previste due importanti voci tratte dall’Enciclopedia delle Scienze Sociali Treccani: “Interazione sociale” di Brigitta Nedelmann e “Organizzazione” di Giuseppe Bonazzi. D: Quali obiettivi vi eravate prefissati? R: Gli obiettivi erano quelli di fornire agli studenti gli elementi linguistici e cognitivi di base della valutazione sociologica, della realtà sociale e della ricerca sociale; consentire l’individuazione dei processi di produzione dei dati sociologici e imparare a leggere gli eventi sociali in un’ottica sociologica. Come detto, il corso era suddiviso in due parti distinte: la prima, dedicata alla teoria sociale e al linguaggio categoriale (teorico-analitico) della sociologia, basata sul volume di Hachen, nel quale vengono introdotti progressivamente gli elementi di base della prospettiva sociologica, i livelli di analisi e alcuni riferimenti alle principali teorie sociologiche. Gli incontri in presenza e le unità didattiche a distanza di questa prima parte seguivano la partizione in capitoli di questo testo. La seconda parte, basata sul testo di De Rose, era dedicata al linguaggio e alle finalità della ricerca sociale. L’obiettivo era quello di porre lo studente nelle condizioni di saper tradurre una generica curiosità sulla realtà sociale in una specifica domanda cognitiva da cui muovere nella conduzione di una ricerca empirica; acquisire la capacità di individuare l’itinerario di ricerca più appropriato all’elaborazione di una risposta plausibile a una domanda cognitiva data; argomentare sul carattere “costruito” dei dati empirici e sulla centralità dell’attività di classificazione. Qui gli incontri in presenza e le unità didattiche a distanza seguivano una ripartizione che prevedeva di porre l’attenzione sugli oggetti e le finalità della ricerca sociale, le tappe di una ricerca, e poi gli aspetti principali di ricerca quantitativa, ricerca qualitativa, campionamento e analisi dei dati. In generale, quello che abbiamo tentato di fare era di aiutare ogni studente ad orientarsi all’interno del corso e della materia, in modo che in ogni momento sapesse dove si trovava e verso quale direzione si stava andando. Il sito era impostato in modo da avere dei rimandi interni che consentissero agli studenti di trovare in modo semplice i temi trattati durante l’ultima lezione in presenza, le attività da svolgere legate a questa e i Sociologia e Ricerca Sociale 10 materiali di supporto: dare, insomma, attraverso la gestione del sito, anche una guida, un esempio, per la gestione del proprio materiale di studio. D: Immagino che con l’ausilio di Internet e della posta elettronica siano stati diversi gli strumenti che hai utilizzato per interagire con gli studenti, al di là delle lezioni in presenza... R: Occorre considerare che la calendarizzazione del corso era abbastanza impegnativa, con le dieci unità didattiche in presenza e le dieci a distanza, e quindi era per me prioritario seguire ogni studente affinché restasse al passo. Ho creato un piccolo strumento che consentisse di muoversi meglio all’interno del corso e una guida che aiutasse gli studenti a tenere sempre a mente e rispettare le scadenze previste; è nata l’Agenda del corso nella quale venivano riportati tutti gli appuntamenti da rispettare, le attività da svolgere e i tempi per le consegne. D: Quindi da parte tua c’è stato un forte impegno a far sì che tutti rimanessero al passo. R: Certo, era importante seguire il programma e rimanere al passo, perché la logica del corso era la stessa del testo di riferimento, ovvero una logica incrementale, dove ogni parte affrontata serviva per il prosieguo della preparazione: saltare una o più parti significava quindi rimanere indietro, ma con l’aggravante che gli iscritti, quasi tutti lavoratori, non avevano una risorsa-tempo ampia come possono avere studenti frequentanti che non lavorano. Ecco che aiutare gli iscritti nell’organizzazione del lavoro era uno dei miei compiti principali: accompagnarli e seguirli fino alla conclusione del corso, con l’esame finale. D: Quanto impegno era richiesto agli studenti? R: Oltre alla partecipazione agli incontri in presenza, potremmo dire che occorrevano almeno un paio d’ore al giorno per leggere e preparare le parti di programma di volta in volta affrontate; a questo si aggiungeva il tempo necessario allo svolgimento del questionario di verifica di ogni unità didattica, da affrontare quasi ogni settimana, che comportava un impegno che poteva andare dalle quattro alle otto ore di lavoro, e spesso i nostri iscritti svolgevano questi test la domenica. Inoltre i temi periodicamente proposti miravano ad accompagnare la maturazione dell’occhio sociologico degli studenti. D: Un esempio? R: Il primo scritto proposto agli studenti era incentrato su una loro presentazione: chiedevo ad ognuno di presentarsi, di raccontarsi un po’, di darmi una sorta di piccolo sunto biografico per avere idea di chi avessi di fronte, dunque: chi sei, perché sei qui, cosa ti piace, cosa vorresti, ecc. Ognuno ha più o meno gradito, scritto, presentato il proprio sé o i propri sé, comunque questa cosa ha avuto un discreto successo anche perché è riuscita nell’intento di creare quel gruppo, quella community che poi si è sviluppata con le pizze sociologiche (io e la mia classe a mangiare la pizza sotto la Mole - adesso siamo impegnati nella preparazione della seconda edizione!). A parte le occasioni di socialità, l’importanza della community emergeva nell’interazione tra loro e con me sul forum del sito, un Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] luogo pensato per condividere domande, perplessità, curiosità e tutto ciò che poteva riguardare il corso e che poteva risultare interessante condividere con gli altri. Gli altri temi proposti erano incentrati sui temi dell’unità didattica alla quale si riferivano. D: Certo il pericolo di copiare o di eseguire le attività col libro sotto gli occhi è sempre presente... R: In primo luogo tengo a precisare che tutti gli esercizi e i temi da svolgere venivano corretti e commentati, ma non costituivano oggetto di valutazione ai fini dell’esito dell’esame finale. In secondo luogo, la formulazione delle domande era pensata per invitare gli studenti alla consultazione critica dei testi di riferimento, per aiutarli ad individuare le chiavi di volta delle argomentazioni. Potrei dire che ogni test ha finito per costituire una guida alla lettura piuttosto che una verifica casuale. In questo senso, l’eventualità che gli studenti copiassero perdeva di significato. In ogni caso ritengo che su questo punto la consapevolezza dei docenti sia alta, ma credo anche che l’obiettivo della didattica a distanza non sia quello di non far copiare gli studenti mentre eseguono le attività proposte: io ho interpretato questa attività come un vero e proprio esempio di tutorship anglosassone dove il tutor segue in maniera personalizzata l’apprendimento degli studenti. D: Quanti studenti avevi? R: Circa 25, tutti lavoratori, con un’età grosso modo compresa tra i 25 e i 35 anni. Quasi tutti impiegati nel terzo settore e nella pubblica amministrazione. D: E come ti sei trovato? R: Io ero alla mia prima esperienza d’insegnamento e all’inizio ero un po’ preoccupato, soprattutto perché volevo riuscire a seguire bene ogni studente e non avendolo mai fatto non avevo un’esperienza pregressa che mi aiutasse in questo. Sociologia e Ricerca Sociale 11 D: Il programma d’esame è diverso per gli iscritti alla didattica a distanza? R: No, anche se a volte Almondo usa altri materiali per i frequentanti, ma l’Hachen e gli altri testi sono presenti in tutti i tipi di programma. Ovviamente si teneva poi conto, in sede d’esame, del programma svolto da ciascun studente. L’esame è orale, anche se poi abbiamo fatto qualche scritto e per questi ci siamo basati sui test che io sottoponevo agli studenti a distanza. D: Dal tuo punto di vista, che tipo di esperienza è stata questa? R: Per me è stato molto impegnativo seguire questa attività: volevo realizzare un buon “prodotto”, per questo ho letto tantissimo, mi sono documentato, ho continuato anche durante il corso ad approfondire i temi che sentivo più presenti all’attenzione degli iscritti. Volevo un corso a distanza “facile da usare” e attento alla dimensione educativa. Per l’attività didattica vera e propria, ho fatto riferimento, tra altri, all’opera di Martha C. Nussbaum, una filosofa americana che si è occupata anche di educazione superiore (cfr. il suo Coltivare l’umanità , Carocci, Roma, 1999). Nussbaum ha illustrato un metodo di educazione fondato sull’autoesame socratico che il testo di Hachen in qualche modo implica e allo stesso tempo coltiva: l’acquisizione dell’occhio sociologico comporta che lo studente sia in grado di confrontarsi con la propria capacità di argomentare e difendere le proprie opinioni e a curare la padronanza del linguaggio tecnico della disciplina; la sequenza dei casi decisionali e dell’esposizione dei concetti e delle teorie sociologiche è pensata proprio per questo. D: Grazie Riccardo, credo sia stato molto utile raccogliere questa tua esperienza e mi auguro che tu possa continuare nella tua attività didattica. R: Grazie a voi, arrivederci. D: Il numero di studenti era adeguato? R: Mi sono trovato benissimo dal punto di vista dimensionale. Abbiamo potuto lavorare in un’aula con i tavoli disposti a semicerchio, e questa vicinanza con me e tra di loro ha incoraggiato anche il confronto e il coinvolgimento reciproci. All’inizio ero un po’ intimorito da questo setting, molto diverso dalla (per me) più rassicurante lezione ex-cathedra, ma il professor Almondo ha insistito perché per lui questa era la strada giusta, e alla fine devo riconoscere che ha avuto ragione: da questo punto di vista il corso è andato molto bene, è stato coinvolgente e interattivo come era stato pensato e anche io mi sono trovato a mio agio. Per illustrare i temi ho usato molto le lavagne perché faccio sovente riferimento – e invito ad usare – le mappe cognitive. Mi è sembrato che anche gli studenti si siano trovati bene. Poi abbiamo parlato di tutto: del programma, ma anche di approfondimenti che in prima battuta sembravano portar via tempo allo svolgimento del programma e che in realtà erano utili per il confronto anche sui temi affrontati nel corso; inoltre, erano stimolanti per il dialogo e la comunicazione e quindi io ero ben contento di assecondarli. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Student e Professione Studente 12 Continuiamo in questo numero il ciclo di presentazioni dei lavori eseguiti da alcuni degli studenti del Laboratorio di Ricerca Qualitativa dello scorso anno accademico. Si tratta di elaborati svolti come esercitazioni, che quindi non devono essere letti come ricerche complete e esaustive, ma che rappresentano al contempo degli ottimi esempi di che cosa significhi affrontare un tema in modo scientifico, avvicinarsi ad alcune tecniche di ricerca, affrontare la ricerca sul campo e poi confezionare un testo che presenti le esperienze fatte e le osservazioni raccolte. In questo numero presentiamo il lavoro di Cassandra Dicandia, la quale ha scelto di cimentarsi nell’osservazione naturalistica, confrontando tra loro due corsi universitari e quello di Andrea Bazzoni dedicato alla paura dell’esame. LA FABBRICA DEGLI AVVOCATI E QUELLA DEGLI ARTISTI. LA RELAZIONE DIDATTICA A GIURISPRUDENZA E AL DAMS di Cassandra Dicandia La ricerca che ho condotto nell’ambito del Laboratorio di ricerca qualitativa ha come obiettivo l’analisi della relazione didattica, del rapporto studente-docente. Ho condotto il mio lavoro prendendo in esame i corsi che si tengono in due facoltà: Giurisprudenza e DAMS. Si tratta di facoltà che si collocano agli estremi del continuum che oppone le professioni tradizionali, da un lato, alle nuove professioni, dall’altro. Lo studio mette a confronto le scelte didattiche dei docenti preposti alla formazione di figure professionali così diverse e analizza la relazione tra docente e studenti che prende forma nei due contesti. Lo studio della relazione didattica è stato condotto ricorrendo all’’osservazione naturalistica; una tecnica che consente di analizzare l’interazione sociale attraverso un’osservazione non intrusiva, in un ambiente naturale. Ho scelto corsi di laurea appartenenti a lauree triennali, in quanto le lauree quadriennali sono ormai prossime alla dissoluzione e quindi sarebbe stato impossibile rintracciare corsi dove fossero esclusivamente presenti studenti del vecchio ordinamento. Nella fattispecie, per Giurisprudenza sono stati scelti i corsi di laurea in Scienze giuridiche e in Diritto ed economia delle imprese, mentre per il DAMS la scelta è ricaduta sul percorso teatrale e musicale. La scelta dei corsi su cui condurre l’osservazione è stata guidata da un insieme di criteri di cui do conto di seguito. Ho cominciato col considerare i soli corsi caratterizzanti. Tra questi ho poi selezionato quelli rivolti agli studenti iscritti al secondo o al terzo anno, poiché in questo modo mi è stato possibile analizzare studenti ormai inseriti nel “mondo universitario”, i cui atteggiamenti sono quindi consolidati da una serie di esperienze in tale ambito. Infine, ho voluto prendere in considerazione solo le lezioni comprese nella fascia oraria 12.00-14.00 e 14.00-16.00, in modo che fattori quali la stanchezza e del docente o del discente, potessero essere considerati con lo stesso peso. L’osservazione si è poi concentrata su una serie di fattori riconducibili a tre macro-insiemi relativi al docente, al discente e al rapporto docente-discente. Inoltre, durante l’osservazione sono state raccolte opinioni e pareri sull’argomento all’interno di un piccolo gruppo di studenti. Per quanto riguarda il docente, l’analisi si è concentrata su due livelli: uno riferito alle caratteristiche personali quali il tono della voce, il linguaggio, la gestualità e il tipo di abbigliamento; l’altro aspetto si riferisce invece agli stili didattici e quindi tutto ciò che fa riferimento alla spiegazione e all’uso di strumenti didattici. Anche per quanto riguarda il discente, l’analisi si è concentrata sulla gestualità e sul modo di vestire, per andare a capire se ci sono sosta nziali differenze comportamentali fra gli studenti appartenenti alle due facoltà. Per quanto riguarda il rapporto docente-discente, gli aspetti osservati fanno riferimento alla frequenza con cui il discente interviene durante le lezioni e alla disponibilità del docente a far intervenire il discente. Inoltre ho osservato il tipo di rapporto tra docente e discente che ho definito come formale o informale aggiungendo a questa distinzione un altro fattore ossia l’accademicità dei temi trattati, per cercare di analizzare in modo più puntuale il tipo di rapporto. Infine ho analizzato l’attenzione del discente durante le lezioni. Sulla base dei materiali empirici raccolti, ho creato una serie di tipologie che riguardano il docente, il discente e il loro rapporto. La prima tipologia si riferisce al modo in cui il discente può essere coinvolto nella lezione. Possiamo immaginare una serie di livelli ordinabili su di una scala crescente. Ad un livello “0” di coinvolgimento corrisponderebbe il ruolo dello studente stenografo: in questo caso il docente considera l’alunno come un semplice stenografo collocandolo in una posizione di passività. Ad un livello “1” di coinvolgimento corrisponderebbe il ruolo dello studente stenografo astuto: in questo caso la comunicazione continua ad avere una sola direzione, ma lo studente viene considerato capace di distinguere il necessario dal superfluo e quindi è in grado di prendere appunti in maniera consapevole e selettiva. Ad un livello “2” di coinvolgimento lo studente veste i panni del rassicuratore, ossia colui in cui il docente ricerca le domande, ma in maniera puramente formale: “tutto chiaro?”. Ad un livello “3” di coinvolgimento corrisponderebbe il ruolo dello studente condotto, ossia dello studente che fa domande ma su richiesta del docente, il quale cerca di istaurare una comunicazione bi-direzionale. Ad un livello “4” corrisponde il ruolo dello studente partecipante: il docente è interessato alle opinioni e ai punti di vista del discente, lo studente è stimolato a partecipare alla discussione sviluppata in aula, diventando così uno studente attivo: la loro diventa una comunicazione bi-direzionale a tutti gli effetti. Ad un livello “5” corrisponderebbe il ruolo dello studente complice: come è possibile intuire a questo livello il discente non solo partecipa ma è anche “complice”, per così dire, dello stesso docente. Nel livello “5” il docente è disposto a far entrare il discente in quello che è il “cerchio magico” dell’insegnamento, Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologia e Ricerca Sociale 13 condividendo con il discente non solo una lezione ma anche “un’esperienza di vita”. Fino ad ora abbiamo visto il modo in cui il docente può coinvolgere il discente nella sua lezione ora invece possiamo delineare una tipologia di studenti a seconda del loro livello di partecipazione. Allora avremo: lo studente svogliato , ossia colui che è passivo perché non è interessato a quella disciplina, lo studente che si siede in fondo all’aula e chiacchiera con il vicino di banco; lo studente timoroso, ossia colui che è interessato alla lezione e prende appunti, ma non interviene perché teme di fare brutta figura e quindi preferisce stare zitto; e ancora, lo studente esibizionista , ossia colui che interviene durante la lezione, ha sempre la mano alzata, ma ha come unico obbiettivo quello di farsi notare dal docente, perché pensa in questo modo di poter ottenere delle agevolazioni. Chiude la nostra galleria lo studente student, o studente attivo. In questo caso il discente sarà realmente interessato alla disciplina e instaurerà un confronto critico sia con il discente che con i propri compagni di corso. Spostiamo ora la nostra attenzione sulla figura del docente, prendendo in considerazione il rapporto istituito in classe tra la lezione e l’esame. Sotto questo profilo è possibile distinguere due stili didattici incarnati dalle figure del maestro e dell’insegnante . Per il maestro l’esame è un aspetto inessenziale nella relazione didattica: ci deve essere ma non è per l’esame che si fa (e si partecipa alla) lezione. Nel rapporto docente-discente, quel che conta è trasmettere la propria conoscenza in modo che il discente sia più preparato ad affrontare la vita. Altro è il caso, anch’esso idealtipico, dell’insegnante, per il quale il superamento dell’esame costituisce per il discente il primo e forse il solo obiettivo della presenza alle lezioni e il voto, in questa luce, diventa la merce di scambio. Concludendo, possiamo dire che questa ricerca ha portato a risultati interessanti, che non hanno però la pretesa di essere esaustivi, consapevole del fatto che quest’argomento andrebbe sviluppato più a lungo e più in profondità. Tuttavia notiamo come l’immagine del discente è caratterizzata da un comportamento comune indipendentemente dalla facoltà; comportamento caratterizzato da una certa passività che possiamo attribuire ad un atteggiamento e un comportamento appreso; questo perché il campione da noi preso in considerazione è formato da studenti del secondo e terzo anno a cui un comportamento di questo tipo non può essere imputato ad un iniziale disorientamento che invece potremmo riscontrare nelle matricole. Per quanto riguarda il docente invece, possiamo notare come effettivamente la strategia didattica usata al DAMS sia completamente diversa rispetto a quella usata a Giurisprudenza, in entrambi i casi i docenti trasmet-tono nozioni ai discenti ma lo fanno in modo completa -mente diverso. Al DAMS il docente non solo trasmette nozioni ma cerca di sviluppare un dialogo critico con lo studente, cosa che non accade a Giurisprudenza, dove il docente si limita a trasferire un insieme di contenuti allo studente per consentirgli di superare l’esame. È importante sottolineare come, in entrambi i contesti, non manchino le eccezioni. E SAMI DA PAURA ! I RISULTATI DI DUE FOCUS GROUP SULLA PAURA DELL’ ESAME di Andrea Bazzoni L’esercitazione che ho condotto nel Laboratorio di ricerca qualitativa aveva come oggetto la paura dell’esame. Mi è sempre interessato conoscere ed analizzare l’approccio degli studenti agli esami universitari, le strategie adottate per affrontare queste prove, i pensieri e le emozioni che accompagnano gli studenti nei giorni e nelle ore che precedono l’esame. La mia domanda cognitiva parte proprio da qui: paura? Quali emozioni accompagnano gli studenti prima dell’esame? Io sono del parere che tanto la persona più preparata e studiosa, quanto quella più distaccata, provi delle sensazioni particolari che sono avvertite unicamente in un’aula universitaria, prima d’incominciare a dialogare con un professore. Paolo Legrenzi, docente di psicologia presso la facoltà di Roma, ha riscontrato che insonnia, inappetenza e mal di stomaco, sono molto diffusi tra gli studenti; sintomi che anch’io provo, soprattutto durante la notte di vigilia, e che anche gli studenti dei focus group hanno rievocato nelle nostre conversazioni. Stimolato poi dalla mia curiosità, ho cercato di capire come la cosiddetta “paura d’esame” sia gestita: in maniera razionale, oppure irrazionale. Faranno riti scaramantici, oppure no? La mia esperienza personale è stata nuovamente fonte d’ispirazione: possiedo un piccolo portafortuna che mi sta accompagnando in tutta la mia carriera universitaria. Quest’oggetto ormai è stato “ritualizzato” nel senso che prima di ogni esame lo sistemo nella tasca destra dei pantaloni per poterlo strofinare quando il docente propone la prima domanda. Questo amuleto ha, per me, un’importanza fondamentale perché senza non mi sentirei in grado di sostenere l’esame, aumenterei il mio stato d’ansia. Ho riportato questo aneddoto perché volevo evidenziare come l’aspetto psicologico sia fondamentale: pur di alleviare la tensione e le paure, ci si aggrappa a tutto! Allora mi domandavo se anche altri studenti ricorrono a forme analoghe di ritualità o se si regolano altrimenti. Ho voluto verificare quanto l’età e la permanenza all’università, potessero incidere sulla gestione emotiva o psicologica dell’evento: uno studente dei primi due anni reagirà nello stesso modo di uno del terzo/quarto anno? Tra le possibili cause che accrescono la paura, potrebbero essere menzionate: il “timore del palcoscenico” , il dover parlare di fronte ad altre persone, la paura del “vuoto di memoria” proprio lì, di fronte al docente, la reazione dei genitori, le loro attese, le punizioni in caso d’insuccesso. Mi suscitava curiosità sapere se il recarsi agli appelli precedenti, per sincerarsi della difficoltà dell’esame, con lo scopo di prendere nota delle domande, fosse consuetudine tra gli studenti intervistasti, oppure se fosse considerato una perdita di tempo. Sapere a cosa si va incontro, conoscendo magari le domande, può essere un buon metodo per esorcizzare la paura e affrontare l’esame con maggiore serenità. Inoltre l’assistere agli esami è un modo attraverso il quale si può valutare la severità del docente: è confortante sapere che il numero di bocciature, per esempio, è basso. Al contrario la tensione cresce enormemente se sappiamo che abbiamo di fronte una “bestia nera” perché la paura di non farcela potrebbe prendere il sopravvento. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Ho cercato una prima sommaria risposta a queste domande conducendo due focus group tra gli studenti delle facoltà di Lettere, Giurisprudenza, Economia, Odontoiatria, Psicologia e Scienze Politiche. Per la conduzione dei gruppi di discussione ho fatto ricorso a una traccia da cui ho attinto le domande nell’ordine e nella forma che, caso per caso, risultavano più opportune. La domanda cognitiva – si legge sui manuali di metodologia – determina il profilo del gruppo, per questo motivo il reclutamento dei partecipanti è avvenuto secondo due dimensioni: genere ed anzianità: avevo bisogno di ragazzi iscritti ai diversi anni universitari e poi dovevano presentarsi maschi e femmine in pari numero. Solo così avrei potuto confrontare e paragonare le diverse opinioni e punti di vista emersi. Ho selezionato i miei interlocutori ricorrendo a un campione a valanga (o a palla di neve). Il campionamento a palla di neve prevede la collaborazione dei partecipanti per individuare la lista di persone chiamate a discutere il tema della ricerca. A ciascuno si chiede di indicare il nome di una o più persone, aventi un profilo corrispondente a quello definito nel disegno della ricerca. Questa procedura ha funzionato abbastanza bene per il primo focus group, meno per il secondo, dove la presenza di studenti legati da precedenti rapporti di amicizia ha impresso alla discussione un taglio simile alla chiacchierata da bar, con frequenti riferimenti al calcio e ai calciatori. Il passaggio dalla teoria alla pratica, da quello che avevo imparato sui libri, alla conduzione – davvero – di un focus group è stato abbastanza complicato: mi sono accorto di non essere sempre stato all’altezza della situazione soprattutto non ho fatto rispettare il mio ruolo: più di una volta la conversazione mi è sfuggita di mano, permettendo ai partecipanti di andare fuori tema. Nonostante dunque i problemi in cui sono incappato, sono giunto ad alcuni risultati che mi sembrano interessanti. Innanzitutto la paura c’é: alcuni studenti hanno ammesso che la loro emozione principale è la paura. [Enrica]: “ma io,…,ma tendenzialmente siamo,…,credo che sia la mia emozione più forte, cioè ho una paura allucinante, divento, cioè lo stomaco si chiude, non ho più le percezioni normali…”; [Alessandro]: “…sì, un sacco di volte (riferito alla sensazione di paura). La maggior parte di volte, cioè tutte le volte che devo sostenere un esame alla fine ho sempre paura, anche se ho studiato tanto o anche se l’esame è facile,….,per l’impatto con il professore o con il compito che hai davanti,...”; [Valentina]: “…mhh,…,ma anch’io solitamente sono abbastanza terrorizzata…”; [Laura]: “…io ho molta tensione già durante l’appello...”; [Enrica]: “...una componente emotiva in un esame c’è: perché butti qualcosa di tuo, rischi qualcosa di tuo che hai preparato...”. Altri, per contro, hanno dichiarato di aver superato le paure iniziali: [Rocco] “…io adesso come adesso, sentimenti di terrore non ne ho, prima degli esami. La tensione che avevo inizialmente i primi due anni, ora come ora sono piuttosto tranquillo e sereno (...) fondamentalmente penso che, dare gli esami, sia un po’ come giocare alla roulette perché se ti va bene e ti capitano le cose giuste, insomma, ehmmnn, sai che ti andrà bene quell’esame. Però è una roulette pilotata, perché se tu sei consapevole di sapere, penso che bene o male l’esame lo porti a casa…”. Sociologia e Ricerca Sociale 14 Le fonti di “terrore” cambiano secondo le facoltà: ho scoperto che ad Economia e commercio sono molto numerose le prove scritte, mentre a Scienze Politiche e Lettere gli esami sono perlopiù orali. Quando l’esame è scritto la paura può essere contenuta ricorrendo a piccoli aiuti “illeciti”, come i bigliettini. [Andrea]: “…beh, poi, che so, da noi ci sono parecchi esami scritti, uno va senza nessun tipo di timore perché… hai la speranza di copiare...”. [Stefano]: “...io non parlo mai dell’esame perché mi porto i bigliettini dietro, se è scritto...”. [Laura]: “...no, io invece da me sono tutti orali, ho la paura degli esami: perché più studi e più hai paura...”. [Stefano]: “…però c’è differenza tra scritto e orale, secondo me: perché all’orale ho sempre paura di non ricordarmi niente, allo scritto appunto avendo sempre i bigliettini ho meno paura...”. [Claudio]: “...probabilmente il bigliettino è anche un modo per… anche se a volte non serve neanche... però ti tranquillizza. Tu hai già l’idea: ho un aiuto in tasca!”. L’unico aiuto possibile ad una prova orale è quello di iscriversi per ultimo. [Stefano]: “...iscrivermi per ultimo, per prenderlo per sfinimento...”. [Laura]: “…poi m’iscrivo sempre tra gli ultimi, proprio perché è un gran vantaggio…”. [Enrica]: “...io passo sempre per ultima, in ogni caso tra gli ultimi dieci, mai per prima. Un po’ per scaramanzia, a volte per il fatto di aver sentito tutte le domande...”. Sovente gli ultimi studenti della lista possono sfruttare la stanchezza del docente che, sfinito, presta meno attenzione alla qualità delle risposte o sembra più propenso ad accordare l’argomento a scelta. Per questi motivi si è avvantaggiati, per esperienza ho notato che anche il tempo dei primi studenti interrogati è più lungo; man mano tende a diminuire. Dipende dal docente, non è una regola universale, infatti [Stefano]: “...se c’è la fai a prenderlo per sfinimento, devi avere anche fortuna, lì ehh…”. Differenti sono stati le proposte per superare la paura: puntare sulla preparazione [Alessandro]: “...il punto di fondo è che se hai studiato l’esame lo passi...”; [Cinzia]: “...( come gestisci la paura?) studiando!”; [Fabrizio]: “...ragionandoci su “come va, va!” e poi per il resto, se uno ha studiato alla fine non ti devi preoccupare più di tanto...”. Qualcun altro ricorre a riti scaramantici: [Enrica]: “...io sono molto scaramantica, ci sono tutta una serie di cose che vanno fatte prima...”. I riti, per coloro che li attuano, sono la conseguenza di certi eventi, i quali coincidono sovente con un esito positivo dell’esame, come ad esempio avere al collo un ciondolo. [Laura]: “...io me li sono creati (riferita ai riti)...”, ora indossa solo maglie di un certo colore e pantaloni di stoffa. A livello psicologico diventiamo molto superstiziosi perché auspichiamo che si verifichino le stesse condizioni, quando ci troviamo a vivere situazioni che si ripetono come gli esami: [Fabrizio]: “...la prima volta che ho dato un esame, il giorno prima ha piovuto, è andato bene, siccome non può piovere tutti i giorni...”. La paura, infine, ha anche qualche implicazione positiva. [Claudio]: “è quello che ti fa far meglio, ti permette di studiare di più...”; [Cinzia]: “...ti dà adrenalina...”; [Enrica]: “...io più sono sotto stress, sotto tensione, e più riesco a produrre...”. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Sociologo Professione Sociologo 15 Intervista a Elisa e Stefania. Elisa e Stefania sono due ex studentesse di Scienze Politiche, la prima laureata in Scienze internazionali e diplomatiche indirizzo giuridico, la seconda nell’indirizzo Politico-Sociale del vecchio ordinamento. Dopo la laurea, hanno deciso di rivolgersi al servizio di Job Placement per cercare uno stage che fosse in linea con le loro aspettative e i loro progetti. Abbiamo chiesto loro di raccontarci questa esperienza. D: Buongiorno e ben venute. Vorrei ricostruire brevemente la vostra storia. Iniziamo dalla tesi: Stefania, con chi ti sei laureata? STEFANIA : Mi sono laureata col professor Barbè, in Sociologia dello sviluppo, con una tesi sull’affidamento familiare di minori stranieri. Era una tesi di ricerca qualitativa: ho intervistato famiglie, operatori sociali e altri soggetti coinvolti, per un totale di 29 casi, che poi ho analizzato in profondità. È stato un lavoro impegnativo, anche perché ha richiesto la stesura di due volumi separati, per tenere disgiunte le sbobinature delle interviste dalle mie analisi. Ma è stata anche una fonte di soddisfazione, perché alla fine è risultato un buon lavoro e ne ho anche data copia all’UNESCO, all’Associazione Famiglie Affidatarie, e al Comune di Torino, al quale mi ero appoggiata per tutta una serie di dati secondari. E LISA : Io invece mi sono laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche, vecchio ordinamento. La mia tesi era in Storia contemporanea dell’Asia, col professor Avanzini, in particolare sulla situazione dei diritti umani nella Cina da Deng Xiao Ping ai giorni nostri, con una parte dedicata al dibattito in corso negli anni Novanta sulla concezione dei diritti umani dal punto di vista asiatico. Appena laureata, sono andata a cercare un impiego presso Amnesty International, ente che già seguivo da tempo e nel quale mi sarebbe piaciuto molto poter svolgere delle attività, magari legate ai temi sui quali avevo eseguito la tesi. In effetti, mentre la preparavo, avevo avuto dei contatti con Amnesty, per materiali dei quali loro erano in possesso e che mi sarebbero potuti servire. Per cui, appena laureata, ho subito pensato di rivolgermi a loro. D: Veniamo al rapporto col Job Placement. Vi siete rivolte al servizio solo dopo la laurea o avevate già avuto dei contatti prima? STEFANIA : Io sapevo dell’esistenza di questo servizio, ma mi sono rivolta al Job Placement solo dopo la tesi. E LISA : Io ho lavorato per sei mesi in Segreteria studenti, con un contratto a tempo determinato, per cui avevamo alcuni scambi con l’ufficio, ma anche io mi sono avvicinata al servizio da laureata. D: Come avete avvicinato il Job Placement? STEFANIA : Io ho consultato il sito Internet, anche perché ho visto che era frequentemente aggiornato per cui mi sono affidata a questo strumento. E LISA : Anche io sono passata per il sito. D: Come avete trovato lo stage che poi avete condotto? E LISA : Prima di trovare lo stage presso Amnesty , ho fatto molti colloqui con aziende, pubbliche e private, che avevano pubblicato le loro richieste sul sito del Job Placement, ma non ho incontrato nulla che mi interessasse davvero. Poi ho visto la proposta per Amnesty International e sono andata a portare il mio Curriulum Vitae. C’era già uno stagista arrivato tramite il nostro Job Placement, ma era in procinto di terminare le sue ore, per cui ho sostenuto un colloquio e sono stata scelta. STEFANIA : Sul sito ho letto della possibilità di svolgere lo stage presso la cooperativa nella quale tuttora lavoro, la S&T s.c.r.a.l., una cooperativa che si occupa di Sviluppo e Territorio, in particolare di sviluppo locale, pari opportunità, politiche comunitarie e progettazione in diversi ambiti. Sul sito era segnalato che cercavano uno o una stagista per un progetto finanziato dall’Unione Europea che riguardava gli immigrati di seconda generazione, per cui non distante dal tema della mia tesi. Ho allora inviato il mio CV e ho sostenuto un colloquio direttamente in S&T, al termine del quale mi hanno comunicato che ero stata scelta per lo stage. Allora mi sono recata all’ufficio Job Placement e ho svolto tutte le pratiche burocratiche del caso. Durante lo stage, avevo un foglio per le firme di presenza che io compilavo giornalmente e che al termine dello stage è stato controfirmato dal referente interno alla cooperativa al quale ero stata affidata; poi avevo altri due moduli per la valutazione del periodo formativo, uno da far compilare sempre al referente della cooperativa, l’altro che invece ho scritto io. D: Dopo il periodo di stage, sappiamo che Stefania è stata confermata e assunta presso la S&T; tu invece Elisa che percorso hai intrapreso? E LISA : Innanzitutto, terminato lo stage sono rimasta in Amnesty a titolo di volontariato, per portare a compimento i progetti che avevo iniziato a seguire. In questo periodo ho conosciuto una persona che lavora in S&T, che poi corrisponde al tutor aziendale che ha seguito Stefania, e mi ha proposto di andare a lavorare con loro perché avevano bisogno di competenze simili a quelle che io mi stavo creando. Io ho accettato e quindi ora lavoro part-time con Stefania alla S&T. Inoltre, Amnesty dopo alcuni mesi di volontariato che ho svolto, come detto, mi ha proposto un contratto di collaborazione: io ho accettato e ora lavoro sia per loro che per S&T. D: È interessante sottolineare come il lavoro svolto presso Amnesty ti abbia permesso di allargare la cerchia delle tue conoscenze e di trovare un riferimento ulteriore nel mondo del lavoro. Finora abbiamo parlato degli aspetti di contorno, ma quali mansioni avete svolto durante i vostri stage? STEFANIA : Io sono entrata per seguire il progetto sui minori immigrati di seconda generazione, e ho seguito questo progetto, lavorando ad esso con altre due colleghe, che mi facevano da supervisori e con le quali affrontavo le parti più impegnative del progetto, per il resto avevo una certa autonomia. L’obiettivo era quello di creare modelli positivi per giovani stranieri di seconda generazione, e in questo eravamo in rete anche con Berlino e Bruxelles. Occorreva innanzitutto creare una Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] rete locale, qui a Torino, che coinvolgesse i soggetti che a vario titolo si occupano di minori stranieri, e poi pensare a come sviluppare il progetto. Abbiamo allora ipotizzato un coinvolgimento dei ragazzi delle scuole superiori del territorio, per cui mi sono occupata di contattare le scuole che presentassero una significativa presenza di minori stranieri, convincerle della bontà del progetto e raccogliere le loro adesioni. Ho anche eseguito una breve ricerca sugli stranieri a Torino, prendendo un po’ dalla mia tesi e poi da altre fonti, e ho redatto una relazione che è stata anche tradotta in inglese e messa sul sito del progetto. i Mi sono occupata anche dell’organizzazione del convegno che si terrà la prossima settimana qui a Torino, dal titolo “Immigrati e seconda generazione” (riportiamo la locandina nelle pagine seguenti della Newsletter), e questo lavoro è stato molto impegnativo, perché ho dovuto pensare a tutti gli aspetti legati al convegno: catering, hotel, relatori, programmi, materiali, ecc. E LISA : Quando sono entrata ad Amnesty , stava per essere avviata la campagna contro la violenza sulle donne e quindi mi sono occupata di gestire la campagna a livello territoriale. Nello specifico Amnesty ha proposto un accordo di cooperazione tra enti, istituzioni, associazioni del territorio per la diffusione della conoscenza di questo problema, e quindi ho operato con questo tavolo di lavoro, contattando le associazioni, cercando di farle aderire formalmente al progetto, creando dei tavoli di lavoro permanenti, che potessero occuparsi in maniera differente e in ambiti diversi di questa tematica. Dopo lo stage ho continuato a seguire questo progetto, perché visto che l’avevo seguita dall’inizio mi piaceva portarlo a termine. A questa interessante attività ho affiancato del semplice lavoro d’ufficio, sempre utile in associazioni come Amnesty , ma voglio sottolineare che non mi sono mai sentita sottoutilizzata, anzi, le persone con le quali ho lavorato hanno sempre cercato di coinvolgermi nei progetti e nei lavori che affrontavamo insieme. Alla fine dello stage è cresciuto in me un interesse ancora maggiore per i temi di cui Amnesty si occupa, e per il modo nel quale lo fa. A questo si aggiunge il fatto che ho conosciuto delle belle persone, e questo fa sempre piacere. D: Quindi avete avuto la percezione di essere adeguatamente impiegate? STEFANIA : Assolutamente sì, mi sono sentita molto seguita e coinvolta. Devo dire che anche in S&T l’ambiente è molto affabile: siamo quasi tutte donne, andiamo molto d’accordo, c’è collaborazione, non mi sono mai sentita trattata come “l’ultima arrivata” pur essendolo e anche le volte che ho commesso degli errori sono stata corretta dalle mie superiori in modo adeguato e civile. E LISA : Anzi, hanno anche avuto il coraggio di “buttarci” in cose che non avevamo mai visto prima, fidandosi di noi e dandoci il giusto supporto. Io mi sono trovata a gestire rapporti con molte persone differenti, alcune delle quali anche con ruoli di un certo rilievo, e ho dovuto arrangiarmi nel farlo, pur ricevendo consigli e indicazioni. STEFANIA : Quando sono entrata il S&T non sapevo fare niente: 23 anni, neolaureata, avevo sempre e solo studiato, per cui mi sentivo decisamente un pesce fuor d’acqua, eppure ho avuto il sostegno delle altre persone. All’inizio mi sentivo un po’ inebetita: pensa che non sapevo neanche che le lettere vanno protocollate, fotocopiate e archiviate nel giusto modo prima di essere spedite; ora lo so. Mi sono sentita appagata, e l’esperienza è stata senz’altro positiva. Sociologia e Ricerca Sociale 16 D: Quindi ora vi considerate soddisfatte del percorso studi-stage-lavoro che avete intrapreso? E LISA : Sì. Devo dire che quando mi sono laureata non avrei mai creduto di trovare in così poco tempo opportunità decisamente buone e, cosa ancora più sorprendente, vicine ai miei interessi e alla mia tesi di laurea. D: Quindi voi consigliereste a tutti gli studenti di interessarsi alle opportunità di stage fornite dal Job Placement? STEFANIA : Sì, anche se occorre fare molto lavoro di filtraggio, perché le proposte dalle aziende sono le più disparate. E LISA : Credo anch’io che si debba fare una selezione accurata delle proposte presentate, perché sono molte le richieste che a mio parere non hanno attinenza con gli studi condotti a Scienze Politiche. Questo è un punto negativo, a mio modo di vedere: penso che il Job Placement di una certa facoltà, Scienze Politiche nel nostro caso, dovrebbe selezionare meglio le offerte che riceve, privilegiando quelle che hanno un certo grado di attinenza con i percorsi di studio che qui vengono affrontati, perché non so quanto un’agenzia di lavoro interinale o un call center possano essere attraenti per laureati in Scienze Politiche. STEFANIA : Io suggerirei anche di aumentare le offerte rivolte ai laureati, perché il Job Placement attuale è molto sbilanciato sui laureandi. Forse per il nuovo ordinamento le cose sono diverse, per cui uno stage affrontato durante il corso degli studi può essere utile, e credo che per alcuni corsi di laurea sia obbligatorio. Ma per studenti del vecchio ordinamento, come siamo noi, pensare di sostenere l’impegno di uno stage, spesso non retribuito, prima della laurea, è molto difficile. D: I vostri stage erano retribuiti? STEFANIA : Il mio sì, perché godeva di una borsa di studio da € 400,00 al mese per uno impegno part-time, anche se poi io ho lavorato più ore di quelle previste. E LISA : Il mio non era retribuito e non prevedeva neanche forme di rimborso spese. D: C’è qualcosa che non abbiamo detto e che vorreste comunicare ai nostri lettori? STEFANIA : Qualche mese fa, mi hanno cercato dal Politecnico di Torino per propormi un’attività lavorativa, dicendo che avevano avuto il mio CV dal Job Placement. L’attività era interessante, avrei dovuto fare da assistenze al Preside della Prima Facoltà di Ingegneria, ma risultava incompatibile con l’attività part-time presso S&T che stavo svolgendo, per cui ho dovuto rinunciare. Tuttavia, è positivo il fatto che il mio CV, attraverso il Job Placement, giri tra vari enti: potrebbe sempre sbucare qualcosa di interessante. E LISA : Vorrei riprendere il discorso dei rimborsi spese e delle borse di studio. Credo fondamentale che la Facoltà faccia qualcosa in questa direzione, perché sostenere una situazione nella quale ci si è appena laureati, si è pronti per entrare nel mondo del lavoro, e si vuole frequentare uno stage, non avere neanche un minimo di riconoscimento economico significa doversi cercare un’attività lavorativa che ti aiuti durante il periodo di stage, attività spesso distanti dagli studi svolti e che si potrebbero svolgere tranquillamente senza il conseguimento di una laurea. Questo è quello che ho dovuto fare io, e credo che siano molte le persone nelle mie condizioni. L’alternativa sarebbe stata quella di rinunciare allo stage, e trovo che questo sia un problema da risolvere al più presto. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Professione Student e Professione Studente 17 SEMINARIO DI LETTURA E SCRITTURA (5 cfu) Programma del seminario Problemi con gli esami? Preoccupazioni per la tesi? Spesso non serve studiare di più, ma studiare meglio! Il corso di laurea triennale in Scienze Politiche, in collaborazione con la laurea specialistica in Scienze Politiche, attiverà un seminario di lettura e scrittura tenuto dal Dottor Luca Ozzano e valido per un totale di 5 cfu, nell’ambito dei corsi di Comunicazione politica e Comunicazione pubblica (Professoressa Franca Roncarolo). TESTI ADOTTATI • Umberto Eco, Come si fa una tesi di laurea, Milano, Bompiani, varie edizioni • Alberto Marradi, Impariamo a scrivere (e parlare) italiano?, Barletta, Club Unesco, s.d. • Un libro a scelta fra alcuni titoli proposti dal docente (da leggere e su cui fare una relazione scritta) • Fabio Armao, Dispensa su come si fa una tesi di laurea • Materiali integrativi alle lezioni ed elementi di grammatica e sintassi con esercizi (forniti in fotocopie dal docente) ESERCITAZIONI E VALUTAZIONE • Il seminario non prevede una valutazione con voti tramite esame o test, ma assegna i 5 crediti formativi in base alla frequenza alle lezioni ed allo svolgimento corretto delle eserc itazioni. Al seminario sono abbinate due esercitazioni: una di comprensione di un testo, alla quinta lezione, ed una di scrittura ed articolazione di un breve testo, alla nona. La valutazione di tali esercitazioni è valida esclusivamente a fini diagnostici, per indicare al discente eventuali lacune e aspetti da migliorare. Gli studenti devono inoltre svolgere esercizi di grammatica e sintassi, e di comprensione di un testo e/o scrittura (forniti settimanalmente dal docente e corretti pubblicamente nel corso della lezione successiva). PROGRAMMA DEL CORSO • Lezioni 1-2 (introduzione al seminario: affrontare un testo): testi descrittivi e testi argomentativi; criteri per affrontare testi descrittivi (regola delle 5 W) e argomentativi (come individuare una tesi e le argomentazioni a sostegno); necessità di storicizzare e contestualizzare un testo; come verificare l’attendibilità di un testo attraverso le fonti; il testo scientifico nelle varie discipline delle scienze sociali; coerenza contenutistica e coesione formale; stile coeso e stile segmentato; riconoscimento e uso dei registri linguistici. • Lezioni 3-4 (lo studio e la preparazione all’esame): lo studio coma pratica individuale da migliorare attraverso l’autoconoscenza; comportamenti produttivi durante le lezioni; il rapporto con i docenti; pianificazione del tempo e dello studio; le fasi dello studio: pre-esame, prelettura (tecniche di lettura veloce), lettura analitica (esame dei tipi di unità di informazione), rielaborazione; come Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Social e Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Sociologia e Ricerca Sociale Scrivi alla redazione >> [email protected] 18 sottolineare; la revisione dei materiali di studio; appunti e schemi dal testo; schedare i libri; fondamenti e tecniche di memorizzazione; preparazione ad un esame orale e ad un test scritto. • Lezioni 5-6 (l’utilizzo di internet per le ricerche bibliografiche e per lo studio): come si effettua una ricerca bibliografica; Dewey e altri sistemi di classificazione; la classificazione per autore, titolo, soggetto; l’utilizzo degli OPAC (Online Public Access Catalogues); peculiarità e differenze degli opac SBN e Librinlinea; utilizzo pratico degli OPAC e tecniche per una ricerca efficace; uso dei motori di ricerca; peculiarità e differenze dei principali motori; criteri per una ricerca efficace; le risorse presenti su Internet: reperimento e valutazione dell’attendibilità; indicazioni delle principali banche dati online. Esercitazione intermedia di comprensione di un testo, con correzione degli elaborati individuali e correzione generale in classe. • Lezioni 7-8 (l’elaborazione e la stesura di tesi e tesine): come individuare e circoscrivere l’argomento di una tesi; scelta e ruolo di relatore e correlatori; lavori basati su fonti già esistenti e lavori sperimentali; l’impostazione del lavoro; come selezionare le fonti reperite, come ordinarle gerarchicamente e come integra rle fra di loro; come strutturare una tesi o tesina: liste di argomenti; tipi di scalette; parti, capitoli, paragrafi, capoversi; l’introduzione; la rassegna della letteratura; l’articolazione del discorso principale: i diversi tipi di paragrafo e il loro uso; la conclusione e i risultati della ricerca; tabelle, grafici e altri materiali di appendice; l’indice; la bibliografia; le note (sistema a pié di pagina e sistema autore-data). • Lezioni 9-10 (la forma e lo stile di un testo e il loro miglioramento) : uso appropriato di uno stile non troppo coeso né troppo segmentato; uso appropriato del registro linguistico formale; come evitare di cadere nel registro colloquiale; come arricchire uno stile troppo povero e come semplificare uno stile troppo involuto; la struttura ideale della frase; uso di connettivi logici e di segni di interpunzione per spezzare una frase troppo lunga; modi appropriati per iniziare e concludere un discorso. Esercitazione finale di scrittura, con correzione degli elaborati individuali e correzione generale in classe con la descrizione (in forma anonima) degli errori più significativi e delle correzioni e possibili alternative. Il seminario si terrà il giovedì e il venerdì dalle 12 alle 14 presso le aule di Via Plana a partire dal 25 novembre 2004, per un totale di 20 ore complessive. Le iscrizioni al corso saranno possibili via e- mail a partire da settembre scrivendo all’indirizzo [email protected] Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologie Sociologie 19 Convegno Internazionale IMMIGRATI E SECONDA GENERAZIONE La rete europea di Acting Labs: un laboratorio per l’integrazione Torino, 22 ottobre 2004 Sala Giolitti, Torino Incontra Via Nino Costa, 8 Ore 9.00 – 18.00 Il progetto Acting Labs, finanziato dalla Commissione Europea – DG Giustizia e Affari Interni, mette in rete partner di Berlino, Bruxelles e Torino con lo scopo di promuovere modelli positivi per i giovani e le giovani appartenenti a famiglie immigrate. Il convegno “Immigrati e seconda generazione” si svolge in occasione del secondo incontro transnazionale di Acting Labs e vuole essere un momento di confronto e riflessione, con il contributo di esperti a livello europeo. Quello della seconda generazione è un fenomeno in Italia ancora limitato ma in crescita, e nei paesi partner, così come in Francia, ha già dato vita ad un’ampia riflessione nonché all’individuazione di specifiche strategie di integrazione. Durante il convegno verranno presentate le realtà delle tre città coinvolte nel progetto, anche attraverso le esperienze dei partner e della rete locale del progetto formata da associazioni, enti pubblici, organizzazioni e persone già integrate che rappresentano un possibile modello per i/le giovani. Per Informazioni: S.& T. S.c.a.r.l. – Via Matteo Pescatore, 2 10124 Torino Tel. 011/8126730 – fax 011/8178123 Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologie Sociologie 20 Articolo segnalato da Donatella Simon Zygmunt Bauman Sommersi dai media. Rischiamo la paralisi Avvenire – 10 ottobre 2004 di Francesco Ognibene Sazi d’informazione, affamati di democrazia. Paradossale, vero? Eppure quando il rubinetto dell’informazione si trasforma in un idrante, dietro l’angolo c’è proprio il rischio di scoprirsi privati del desiderio stesso di partecipare alla vita comune. Neutralizzati. Mentre alla Settimana sociale dei cattolici, che chiude i battenti oggi a Bologna, si discute dell’intreccio tra media e democrazia, Zygmunt Bauman – sociologo polacco, il più accreditato analista della società globale – compie per noi una ricognizione sullo stato di salute del cittadino-teleutente, sommerso dai media. Professore, la crescente quantità di informazione che viene riversata ogni giorno da vecchi e nuovi strumenti del comunicare garantisce il futuro della democrazia? “Se solo potesse avverarsi questo auspicio... Niente però lo fa pensare. L’aumento esponenziale dell’informazione disponibile soffoca, invece di migliorare, la nostra comprensione di cosa sta accadendo, di dove il mondo stia andando e di cosa fare per spingerlo nella giusta direzione. Un tempo la sfida principale era l’ignoranza, che sollecitò un rafforzamento del pensiero e spronò la ricerca. Ora il problema è l’eccesso d’informazione: come assimilare, come dare senso a montagne di conoscenza immagazzinate in milioni di server e di memorie di computer, come separare l’utile dall’irrilevante? L’eccesso di informazione paralizza. Il vero nodo è come vagliare cumuli di dati inutili, come ripulirsi la mente per concentrarsi su quel che conta. Quali cose sono davvero cruciali? Per essere “informato” il cittadino è costretto ad assorbire una quantità imponente di notizie”. All’era mediatica hanno ora accesso porzioni di mondo prima escluse. L’impatto con la comunicazione globale estenderà i valori democratici? “Non esiste relazione lineare tra quantità di informazione e crescita della democrazia. I regimi totalitari accrebbero enormemente la fornitura di informazione. Nelle città sovietiche c’erano altoparlanti ad ogni angolo di strada, che ripetevano le ultime notizie tutto il giorno. L’alfabetizzazione e la lettura dei giornali aumentarono a dismisura. Conosciamo i risultati. Quando l’informazione è fornita in forti dosi può illuminare la realtà come anche oscurarla. Gli ingegneri delle luci di un teatro sanno che i riflettori portano all’attenzione dello spettatore alcune parti del palco oscurandone molte altre”. In effetti, gli stessi terroristi hanno imparato a fare uso dei media, mettendo in scacco ripetutamente l’opinione pubblica occidentale... “Attenzione: sono forse stati i terroristi a mandare in onda le immagini degli aerei che colpivano le Twin Towers, o non piuttosto la Cnn o la Bbc? Chiunque organizzi le atrocità del terrorismo globale sa bene cosa muove i media occidentali, e lo mette in conto nel calcolare l’impatto delle sue azioni. Sentiamo ripetere che un altro attacco terroristico è imminente, che di certo accadrà anche se nessuno può dirci dove e quando. Tutto ciò ha già procurato un danno enorme alla fiducia in noi stessi”. Nelle democrazie occidentali cresce la disaffezione verso le istituzioni rappresentative, la partecipazione attiva e persino l’espressione del consenso. I mass media possono fare qualcosa per fermare questa emorragia? “La crescita dell’indifferenza politica ha cause più profonde rispetto ai misfatti dei media. Anzitutto, questa apatia riflette la crescente (e fondata) convinzione che qualunque cosa facciano il governo nazionale e i partiti, ciò non inciderà sul benessere dei comuni cittadini: così poco sembra dipendere ormai dall’azione di autorità locali, nazional-statali, nella nostra epoca di interdipendenza planetaria... Sicuramente i media non capovolgeranno la crescita dell’indifferenza. Non da soli, in ogni caso. È più probabile, viceversa, che le spianino la strada e la rendano ancor più vigorosa. Difficilmente possono fare altrimenti, trattandosi di realtà commerciali dipendenti dalla domanda del mercato, dall’audience, dalla voglia dei consumatori di attingere alla loro offerta. La gente è attratta dalla promessa di intrattenimento, e la copertura delle notizie fornite dai media assume, di conseguenza, la forma di info-tainment (“entertaining information”, informazione-intrattenimento). La politica viene presentata secondo il modello di reality tv e talk show. Va persa la sostanza, la reale posta in gioco della politica. O peggio, essa non riesce a emergere, a venire espressa ed esaminata, mentre gli attori sulla scena solo per lo più impegnati a sostituire gli argomenti con “dichiarazioni” costruite apposta per finire nei titoli dei giornali”. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Sociologia e Ricerca Sociale Scrivi alla redazione >> [email protected] 21 Interessi più o meno espliciti, violenza, sfruttamento dell’uomo, intreccio tra informazione e pubblicità: per prevenire queste forme degene-rative del sistema mediatico è preferibile un siste-ma di regole centrali più severe, oppure l’affidamento alla responsabilità nelle scelte individuali? “La risposta dovrebbe venire dalla prassi, non dalla teoria. Entrambe le alternative hanno i loro meriti e i loro rischi. La soluzione migliore consiste probabilmente in un accurato equilibrio, ma chi può dire esattamente a che punto esso viene raggiunto? Lasciare le “autostrade dell’informazione” in mano alla competizione commerciale difficilmente consentirà alla responsabilità della gente di affermarsi: quando la pubblica piazza è occupata dai banchi del mercato, le voci della gente vengono sopraffatte dall’assordante vociare dei venditori. La soluzione britannica mi pare la migliore: canali pubblici forti e ben finanziati in grado di competere con quelli commerciali obbligandoli a elevare gli standard, o almeno a non lasciare che si abbassino troppo”. La cultura massmediale genera una nuova visione dell’uomo, un’antropologia inedita a insidiosa. È un sistema di valori compatibile con quello su cui si regge la società democratica? “Il consumatore è nemico del cittadino... Persone educate essenzialmente a consumare (come avviene, fin dalla prima infanzia, nella nostra società) sono destinate a diventare facile preda delle seduzioni dell’info-tainment, e tenderanno a considerare la politica, e la sfera pubblica in generale, come un’estensione del supermercato, dove l’acquirente insegue le offerte speciali. I cittadini che si preoccupano di interessi condivisi verrebbero considerati alla stregua di clienti che si premurano di sapere come sta andando il centro commerciale... L’ignoranza conduce alla paralisi della volontà. Pensare “a breve termine” – caratteristico dell’approccio alla vita di questo genere di cultura – è una difesa istintiva contro l’incertezza del futuro. Ma la combinazione di ignoranza e pensiero a breve termine erode sia la preoccupazione del lungo periodo sia la preservazione di valori che in quanto eterni non promettono profitto immediato: e si badi che sono entrambi tratti indispensabili dell’essere cittadini. La transitorietà si contrappone alla responsabilità, antepone al valore della durata quello della novità, accorcia lo spazio temporale che separa non tanto il volere dalla sua realizzazione quanto la stessa nascita del volere dal suo venir meno. Tra gli oggetti dell’umano desiderio, invece del possesso e del godimento duraturo, viene posta in rilievo l’appropriazione, subito seguita dal disfarsi degli scarti. Che fine faranno, allora, i “beni comuni”, non destinati a essere usati una volta e poi buttati, poiché sono fatti per servire ai nostri figli e ai figli dei nostri figli?”. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Sociologia e Ricerca Sociale Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] Sociologie Sociologie 22 IL RITORNO DEL CRIME MOVIE AMERICANO "ANNI ’70" di Paolo Gilli Che Hollywood non stia troppo bene è una cosa risaputa. La situazione però appare ancora più disperata se buona parte dei film che meriterebbero di essere visti non riescono a superare il muro della misteriosa distribuzione italiana. Le poche uscite in sala e che comunque spesso avvengono in ritardo o in sordina, fanno sí che l’appassionato si trovi costretto a rivolgersi al mercato dvd. A questo punto può scoprire due piccoli capolavori, che in Italia sono stati totalmente ignorati: “The Way of the Gun - Le vie della violenza” (2000) e “Narc - Analisi di un delitto” (2002). Le vie della violenza: Sulle orme di Sam Peckinpah Scritto e diretto dal premio Oscar Cristopher McQuarrie, sceneggiatore di “Public Access” e de “I soliti sospetti” (qui alla sua prima regia), è nel suo genere tra le cose migliori viste negli ultimi anni. Possiamo quasi parlare di “CrimeWestern”. Molte delle critiche americane negative, parlavano di un film “alla Tarantino”. Critiche sbagliate e superficiali, perché questo film è, per chi scrive, forse quello che, nell’ultimo ventennio, più si avvicina ad un film di Sam Peckinpah. La trama è presto raccontata. Due complici di vecchia data, Parker e Longbaugh credono di aver trovato il modo per fare facilmente soldi: al fine di ottenere un cospicuo riscatto sequestrano la giovane Robin, che sta portando a termine la gravidanza per una ricca coppia. Ma il rapimento si rivelerà molto più complicato del previsto. Il film inizia subito alla grande e fa pensare a quello che diceva Sam Fuller, “un film è fatto bene, quando ti coinvolge nei primi cinque minuti” e McQuarrie ci riesce benissimo introducendo i personaggi principali per quello che sono, ossia due persone che se ne fregano di tutto. I due protagonisti sono Benicio del Toro, che interpreta Longbaugh e Ryan Phillipe nel ruolo di Parker (che sono rispettivamente i veri cognomi del Sundance Kid e Butch Cassidy). In verità, non è che veniamo a saperne molto, tranne che sono due piccoli delinquenti, forse con un addestramento militare alle spalle, che vivono alla giornata e che in questo caso si imbarcano in una storia decisamente più grande di loro senza pensarci due volte. Il tutto condito con un atteggiamento del tipo “me ne frego di crepare”. Sanno che probabilmente perderanno, ma questo per loro non fa alcuna differenza. Sono soprattutto amici, che si completano a vicenda, ossia uno non esiste senza l’altro o almeno non in questa forma. Il riferimento a “Butch Cassidy and the Sundance Kid” non è casuale, soprattutto nella seconda parte ricordano molto questi due personaggi. Del Toro conferma di essere uno dei più bravi attori in circolazione: il suo Longbaugh è il tipo più calmo e cool (ma senza prendersi troppo sul serio) che si possa immaginare. Phillipe invece si rivela una inaspettata e piacevole sorpresa. Parker è più serio e buio come personaggio e lui lo interpreta in maniera intensa. Due bellissimi personaggi. Poi abbiamo James Caan, nel film Joe Sarno. Sicuramente, con Hackman, Caan è il miglior attore della sua generazione in attività. Un attore che si porta dietro un bagaglio di film anni ’70 da fare paura e il film gioca molto su questo fatto. Il suo personaggio è uno che è riuscito ad invecchiare nell’ambiente della malavita e che conosce alla perfezione le regole del gioco. E mentre lo si guarda, si sa che anche se tutti moriranno, alla fine del film lui sarà ancora vivo. Prendendola molto alla larga, potrebbe essere perfino Mike Locken, il personaggio di “Killer Elite”, invecchiato di venti anni. E poi i suoi dialoghi sono semplicemente splendidi. Queste le battute della scena che lo introduce nel film: Jeffers: Aspetti, non penserà che … Joe Sarno: No, io non penso niente, neanche presumo, faccio congetture o ipotizzo, io banalmente osservo .. Un’altra perla è questa: Chidduck: Tu credi nel kharma Joe ? Joe Sarno: Il kharma … il kharma è solo giustizia senza soddisfazione. Io non credo nella giustizia. Un altro grande personaggio, forse quello più bello, è Abner Mercer, interpretato da Geoffrey Lewis, visto in 45 film di e con Clint Eastwood, ma anche in “Dillinger” e “Il vento e il Leone” di Milius. Uno di quei caratteristi, che tutti abbiamo visto infinite volte e che sembrano sempre più scomparire. Già la scena con cui viene introdotto nel film è triste e comica allo stesso tempo. Un vecchio, ormai diventato inutile in questo lavoro, che decide di farla finita, finché non lo chiama un suo amico per un ultimo lavoro. Questo discorso sulla vecchiaia è presente in tutto il film e infatti una delle battute più belle è quella pronunciata da James Caan, ”La sola cosa di cui puoi essere certo, a proposito di un vecchio malridotto, è che è un sopravvissuto”. Grandiosa poi la scena della morte di Abner, che ricorda molto quella di Slim Pickens in “Pat Garrett e Billy the Kid”. Juliette Lewis è semplicemente perfetta nel ruolo di Robin, come lo sono Nicky Katt e Daye Diggs che interpretano le due guardie del corpo. Dylan Kussman è azzeccatissimo nella parte del Dr.Allen Painter, colpevole di aver commesso non si sa quale sbaglio medico in quel di Baltimora (“ora non faccio più sbagli, li correggo”). Poi c’è Francesca Chidduck, interpretata da Kristin Lehman, che è brava a rendere il personaggio Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Scrivi alla redazione >> [email protected] estremamente antipatico e odioso e che per la maggior parte del film sembra quasi uno spettro, nonostante o forse proprio per la sua algida bellezza. Coreografata in maniera impeccabile, lo spettatore sa sempre dove si trovano tutti i personaggi. Il montaggio non è ultraveloce e soprattutto non ci sono caricatori infiniti. In questo film si spara e dopo sette colpi si ricarica. Un dettaglio più unico che raro. Tra l’altro il “duello” con Caan e Del Toro sembra un altro omaggio a Peckinpah. Si pensi in che punto veniva colpito Caan in “Killer Elite”. E, sempre a proposito di Sam Peckinpah, tutta la parte finale del film, ambientata in Messico, parrebbe ispirata a “Voglio la testa di Alfredo Garcia”. Come il vecchio patriarca in quel film offriva un milione di dollari per la testa di Garcia, qui Chidduck promette ricchezze ai suoi scagnozzi se questi gli porteranno il bambino e solo quello. Bisogna però anche dire che, nella sparatoria finale, McQuarrie enfatizza più l’azione, li dove Peckinpah enfatizzava più i personaggi. Comunque come fonte d’ispirazione è presente in tutto il film. Il finale, con la nascita del bambino a sparatoria avvenuta (e qui l’ordine delle scene è eccellente perché evita un montaggio morte/nascita) e con in nostri due “eroi” che rimangono colpiti a terra, è perfetto. La colonna sonora ha dell’incredibile: scritta da tale Joe Kraemer, la musica di questo film è fantastica e quanto mai adeguata. La storia si sviluppa su più livelli, i personaggi sono molti, ma McQuarrie riesce bene a non fare confusione. “Le vie della violenza” è un piccolo gioiello, molto anni ’70, anche se con meno disperazione. I personaggi, per ragioni diverse, bene o male sono quasi tutti dei perdenti e già questo li rende simpatici. Se si pensa che dopo questo film McQuarrie non ha più scritto e diretto niente, uno si metterebbe a piangere. Speriamo di rivederlo presto … “fino a quel giorno”… S o c i o l o g i e Narc - I figli della “French Connection” Dopo il debutto nel 1998 con ”Blood, Guts, Bullets and Octane” (inedito in Italia), Joe Carnahan sforna questo film che lo catapulta direttamente nella lista dei 10 registi americani da tenere d’occhio. Eppure in Italia è uscito direttamente in dvd. Ma recuperare questo film è d’obbligo per tutti gli appassionati, che negli ultimi 20 anni hanno visto pochi capolavori nel genere poliziesco (“Vivere e morire a Los Angeles”, “Heat - La sfida”), se si esclude la cinematografia asiatica. L’idea nasce da un documentario “La sottile linea blu” che racconta l’omicidio di un agente della polizia. Girato in 28 (!) giorni con un budget di 3-4 milioni di dollari (!!), e il risultato ha dell’incredibile. Nei suoi elementi base “Narc” è un classico poliziesco, con tutte le caratteristiche del genere. Il film è violento e viscerale, quello che in America si chiama “a tough gritty cop movie”. Le fonti d’ispirazione sono soprattutto “Il braccio violento della legge” e i film di Sidney Lumet (“Serpico”, “Terzo Grado”), con personaggi che agiscono sul confine tra bene/male e giusto/sbagliato. Sociologia e Ricerca Sociale 23 Il racconto procede in stile “Rashomon” con il classico “mcguffin” al centro della trama, ma c’è più di questo. Insomma un film sporco e ambiguo che vuole essere un omaggio a certo cinema anni '70, ma senza l'ironia che caratterizza ad esempio Tarantino in simili operazioni. Il richiamo a figure come Popeye Doyle e all’ispettore Callaghan non sta solo nelle caratterizzazioni dei personaggi, ma anche nelle motivazioni che li spingono ad agire in un certo modo. Un film sull’abuso del potere e sul tradimento. ”Narc” racconta la storia dell’omicidio di un agente dell’antidroga, Michael Calvess, e dei due poliziotti Tellis e Oak che vengono incaricati di risolvere il caso. Il film si apre con una spettacolare scena d’inseguimento (a piedi) tutta girata con presa a mano, nella quale vediamo Nick Tellis inseguire un sospetto. Alla fine Tellis colpirà per sbaglio una donna incinta, che perderà il bambino. Più che una scena, una scarica d’adrenalina. Dopo questo intenso e cruento inizio, facciamo un salto di 18 mesi. A Tellis, interpretato da Jason Patric, viene chiesto, in cambio di un lavoro da scrivania, di dare una mano a risolvere il caso per via dei suoi contatti nell’ambiente. Ci troviamo di fronte ad un poliziotto caduto in disgrazia, che in passato ha avuto problemi con la droga. In lui c’è qualcosa di tormentato ed irrisolto. Ossessionato dal trovare l’assassino di Calvess, finirà risucchiato dalla realtà dell’indagine, che gli farà perdere il controllo sulla sua vita personale. Anzi proprio nel corso dell’indagine i paralleli fra la sua vita e quella di Calvess diventeranno sempre più evidenti. Una specie di percorso di redenzione, che risulterà alla fine essere la ricerca di se stesso. Queste scene approfondiscono la dimensione del personaggio e coinvolgono emotivamente lo spettatore. L’interpretazione di Jason Patric è intensa, sempre al limite, e ricorda un po' quella in “Effetto allucinante”, nel quale il personaggio era simile. Forse in assoluto il ruolo migliore della sua carriera. A Tellis viene affiancato il tenente Henry Oak, ex-partner e amico di Calvess, che è deciso a trovare a tutti i costi un colpevole. Oak, interpretato da Ray Liotta, è un tenente della omicidi violento e aggressiv o, ma anche molto efficiente nel suo lavoro. Se il personaggio di Tellis si ispira a Serpico (Al Pacino), quello di Oaks è modellato sul Popeye Doyle (Gene Hackman) nel film di William Friedkin “Il braccio violento della legge”. Nella prima scena in cui lo vediamo, picchia a sangue un detenuto con una palla da biliardo. Uno sbirro, il cui unico obbiettivo è arrestare i colpevoli, in un modo o nell’altro. Ma nonostante i suoi metodi è persona capace di sentimenti, come vedremo nel corso del film e anche lui è spinto da un bisogno di redenzione. L’intensità che lo porta al limite e che a volte glielo fa superare, nasce dall’amore per qualcuno e dai suoi valori morali. Questi ultimi sono essenziali per il personaggio e molto importanti per capire tutto il film. Particolarmente significativo in questo senso è il monologo di Oak su sua moglie e che risulta essere una delle scene più belle del film. Per lui, l'aver perso la moglie lo ha reso un poliziotto migliore, perché non ha più nulla da perdere ed privo di ogni remora. La scena è anche importante per fare vedere la divisione che c’è tra i personaggi. Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Newsletter Ottobre 2004, Anno 1, Numero 10 Sociologia e Ricerca Sociale Scrivi alla redazione >> [email protected] 24 I due sono appostati in macchina (Oak davanti, Tellis dietro) e Carnahan filma questo monologo dall’esterno attraverso le finestre, con movimenti lenti e con la neve che inizia a cadere sui vetri, sottolineando lo stato emozionale interiore di Oak. Una scena triste, commovente, che si rispecchia tutta negli occhi di Ray Liotta. Occhi che rendono il dolore e ci fanno capire che questo uomo è ormai libero da qualsiasi vincolo. Il personaggio di Oak è uno di quelli “larger than life”, in grado di fare cose buone, ma anche cose orrende, guidato solo dal senso di giustizia finale e che per arrivarci giustifica qualsiasi mezzo. Sappiamo che non ci racconta tutto, ma non sappiamo dove questo ci porterà. Infatti lo spettattore non sa mai più dei personaggi, ma scopre o fatti contemporaneamente a loro. Più procedono nel caso e più Tellis scopre che proprio i segreti che nasconde Oak sono quelli che portano alla soluzione del mistero. Ray Liotta rende il personaggio in maniera segnata e pesante e realizza una delle sue migliori interpretazioni. Tellis e Oak non rientrano però del tutto negli stilemi della coppia di sbirri, perchè nessuno dei due prevale sull’altro. Non sono amici, ma due persone diverse che si riuniscono solo per un obbiettivo oltre al quale non hanno niente in comune. Anche visivamente questa distanza emozionale è sottolineata dal fatto che i due non si vedono quasi mai in primo piano nella stessa immagine, ossia sono separati fisicamente. Fra i due si sviluppa però nel corso dell’indagine un rapporto di rispetto reciproco. Entrambi sono tormentati da conflitti personali, ma partono da due punti opposti, per assomigliarsi sempre di più nel finale. C’è una grande alchimia fra i due attori che sono al massimo delle loro capacità recitative. Nonostante la trama e la maggior parte degli avvenimenti non siano particolarmente originali, Carnahan riesce a presentarci il tutto in maniera nuova e fresca. Il punto di forza del film sta nella caratterizzazione dei personaggi e non nell’azione, anche se quest’ultima c’è ed è di prima qualità. Dal punto di vista visivo Carnahan tira fuori tutti i trucchi del mestiere. Riprese a mano in continuo movimento, scene in cui va fuorifuoco, flashback con colori saturizzati e filtri che fanno sí che il film risulti sporco, grigio e piovoso. Il tutto mischiato ad uno stile semi-documentaristico. Detroit diventa il posto dove nessuno di noi vorrebbe ritrovarsi, una specie d’inferno. I personaggi vivono quasi come in un mondo di ombre e Carnahan ci porta in questo mondo e ci lascia lí anche dopo la fine del film. C’è poi uno “splitscreen” quadruplo fantastico e molto funzionale al racconto. Tellis torna a casa e si sdraia accanto alla moglie e al figlio addorementandosi. A questo punto Carnahan prima rimpicciolisce l’immagine e poi suddivide lo schermo in quattro parti, contrastando la scena famigliare con scene di Tellis e Oak per le strade di Detroit che alla fine occupano l’intero schermo. Strumento intelligente per descrivere l’abisso che si apre fra la vita famigliare e quella professionale di Tellis. I dialoghi sono realistici e duri, soprattutto nelle scene d’interogatorio. La colonna sonora di Cliff Martinez in stile “ambient”, è più che adeguata e non attira l’attenzione su se stessa, ma ha la funzione di dirci tutto quello che Tellis non è in grado di esprimere. “Narc” è il perfetto esempio di come dovrebbe essere un poliziesco e come tanti grandi film non è veramente impostato su quello che succede, ma su come si arriva a quel punto. Il conflitto in questo tipo di storia è sempre regolato dal dualismo moralità -pragmatismo delle regole o, come dice Oak ad un certo punto, “Questo caso ha tutto a che fare con quello che è giusto e sbagliato e niente con quello che sono le regole e le procedure.” Il giudizio sul film dipenderà dai principi morali dello spettatore e da quello che egli ritiene giusto o sbagliato. Il finale ha qualcosa della giustizia poetica. Fate attenzione ad una delle ultime inquadrature e cercate di capire se il registratore è acceso o no. In un senso, fa la differenza, nell’altro no … I film citati nell’articolo sono: The Way of the Gun / Le vie della violenza - Cristopher McQuarrie, 2000 Public Access - Brian Singer, 1992 The Usual Suspects / I soliti sospetti - Brian Singer, 1995 Butch Cassidy and the Sundance Kid / Butch Cassidy - George Roy Hill, 1969 The Killer Elite / Killer Elite - Sam Peckinpah, 1975 Pat Garret and Billy the Kid / Pat Garrett e Billy the Kid - Sam Peckinpah, 1973 The Wild Bunch / Il mucchio selvaggio - Sam Peckinpah, 1969 Bring me the Head of Alfredo Garcia / Voglio la testa di Alfredo Garcia - Sam Peckinpah, 1974 Dillinger - John Milius, 1973 The Wind and the Lion / Il vento e il leone - John Milius, 1975 Blood, Guts, Bullets and Octane - Joe Carnahan, 1998 Narc / Narc - Analisi di un delitto - Joe Carnahan, 2002 Rashomon - Akira Kurosawa, 1950 The thin Blue Line / La sottile linea Blu - Errol Morris, 1988 Heat / Heat - La sfida - Michael Mann, 1995 Dirty Harry / Ispettore Callghan - Il caso scorpio è tuo - Don Siegel, 1971 To live and die in L.A. / Vivere e morire a Los Angeles - William Friedkin, 1985 The French Connection / Il braccio violento della legge - William Friedkin, 1971 Serpico - Sidney Lumet, 1973 Q&A / Terzo Grado - Sidney Lumet, 1990 Rush / Effetto allucinante - Lili Fini Zanuck, 1991 Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca Sociale Sociologia e Ricerca S ociale Sociologia e Ricerca Sociale