U RIB E ON ZI T DIS ww a orn lgi w.i GR is led U AT a ocr ITA Numero settantadue – Dicembre 2011 t te.i Mensile di cultura e conversazione civile diretto da Salvatore Veca Direttore responsabile Sisto Capra INTERVISTA IMPOSSIBILE Laudatio per Nadia Fusini Questo è il testo della “laudatio” per Nadia Fusini, Premio Cesare Angelini 2011, letto nell’Aula Foscoliana dell’Università di Pavia venerdì 25 novembre nella cerimonia di consegna dei premi. Sisto Capra DA PAGINA 2 A PAGINA 9 Salvatore Veca D i vita si muore, lo straordinario libro che Nadia Fusini ha dedicato a Lo spettacolo delle passioni nel teatro di Shakespeare, è un testo che invita e coinvolge chi legge in un‟avventura, al tempo stesso, sorprendente e perturbante. In ogni caso, appassionata. L‟avventura consiste propriamente in un‟esplorazione dello spazio infinito della parola di Shakespeare. Il lettore e la lettrice sono quasi portati per mano e, passo dopo passo, sono indotti a mettersi alla prova con le grammatiche della creazione drammaturgica di Shakespeare. Uno che – come amava dire il grande filosofo Ludwig Wittgenstein - è letteralmente un creatore di lingua. Uno Sprachschoepfer. Anzi, meglio: un creatore di nuove forme naturali della lingua. (Continua a pagina 10) Initium Studii Papiensis Pavia sistema unico Elogio delle badanti ucraine Angiolino Stella Roberto Schmid Marta Ghezzi PAGINE 12-13 PAGINE 14-15 PAGINE 16-17 SAN SIRO, DI ANGELO GRILLI FONDAZIONE SARTIRANA ARTE Quarant’anni di scultura NOVITA’ Franzen Libertà e no I morti sinceri di Spoon River Luisa Lavelli Annalisa Gimmi PAGINE 18-19 PAGINE 20-21 GIORGIO FORNI A PAGINA 23 la Feltrinelli a Pavia, in via XX Settembre 21. Orari: Lunedì - sabato 9:00-19:30 Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30 Collegio Ingegneri Architetti e la sfida del 1399 PAGINA 22 IN VENDITA IL VOLUME Guglielmo Chiolini Palazzi, scale e cortili di Pavia A PAGINA 11 N um e r o s e tt an t adue - D ic e m bre 2 0 11 Pagina 2 SAN SIRO INTERVISTA “IMPOSSIBILE” IL SARCOFAGO DI SAN SIRO NELLA CHIESA DEI SANTI GERVASIO E PROTASIO. SOTTO, L’ESTERNO DELLA STESSA CHIESA. A LATO, IL PROTOVESCOVO. Il fondatore della Chiesa pavese “ritorna” nella basilica da lui voluta Sisto Capra « Dunque: 2 metri e 44 centimetri di larghezza e 67 centimetri di altezza. La profondità? Uhm, non riesco a valutarla. Davvero preciso, il professor Prelini, puntuale come … un geometra, voi dite così, no? Come pure l‟ispettore provinciale alle antichità Brambilla, che convalidò l‟antichità della pietra. Esattamente come ho letto, tutto combacia, bene, bene». Se ne stava assorto giocherellando con il metro in mano nella chiesa dei Santi Gervasio e Protasio, in via Boezio, la più antica di Pavia, proprio di fronte all‟altare della seconda cappella a sinistra, quella di San Siro. Altro non era, questa cappella, che un grande sarcofago sepolcrale in sarizzo bianco, comune pietra da fabbricazione costantemente usata a Pavia sin dai tempi più antichi, nel bel mezzo del quale appariva incisa l‟iscrizione SVRVS EPC, Il giornale di Socrate al caffè Direttore Salvatore Veca Direttore responsabile Sisto Capra Editore: Associazione “Il giornale di Socrate al caffè” (iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale) Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia 0382 571229 - 339 8672071 - 339 8009549 [email protected] Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia Comitato editoriale: Paolo Ammassari, Silvio Beretta, Franz Brunetti, Davide Bisi, Giorgio Boatti, Angelo Bugatti, Claudio Bonvecchio, Roberto Borri, Roberto Calisti, Gian Michele Calvi, Mario Canevari, Mario Cera, Franco Corona, Marco Galandra, Anna Giacalone, Massimo Giuliani, Massimiliano Koch, Isa Maggi, Arturo Mapelli, Anna Modena, Alberto Moro, Federico Oliva, Davide Pasotti, Fausto Pellegrini, Aldo Poli, Vittorio Poma, Paolo Ramat, Carlo Alberto Redi, Antonio Maria Ricci, Giovanna Ruberto, Antonio Sacchi, Dario Scotti. Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002 Ecco dove viene distribuito gratuitamente “Il giornale di Socrate al caffè” che evidentemente significava “vescovo Siro”. Era il luogo della prima sepoltura di San Siro. Almeno così ritenevano gli studiosi di cose eccle(Continua a pagina 3) N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1 P a g i na 3 SAN SIRO INTERVISTA “IMPOSSIBILE” Si ferma davanti al sarcofago che lo accolse 1.600 anni fa: «Sono storia, non leggenda» Severino Boezio, Adelaide Cairoli, Ada Negri, Cesare Angelini e Giuliano Ravizza che erano stati “intervistati”. (Continua da pagina 2) siastiche e così tramandava la tradizione cattolica locale. ra un uomo sulla settantina, evidentemente in buona salute, barba folta, alto circa un metro e sessanta e magro, vestito di un camice sdrucito, che un tempo doveva essere stato bianco e ora appariva di un colore indistinto, come consumato dai secoli. Sopra il camice aveva una pianeta, il paramento da messa, dello stesso colore, sulla quale era cucita una grande croce. L‟uomo si appoggiava a un pastorale da vescovo, alto poco meno di lui. E sul capo portava una mitra, il tipico copricapo episcopale, della medesima tinta, con sopra applicata una piccola croce. rano le 9 di venerdì 9 dicembre, festività di San Siro. Il popolo della città e della diocesi era radunato da tutt‟altra parte, nella cattedrale provvisoria, Santa Maria del Carmine, per il solenne pontificale, al termine del quale le autorità cittadine e le varie rappresentanze si sarebbero riunite per la consegna delle benemerenze di San Siro, i riconoscimenti annuali che venivano conferiti alle persone che si erano distinte nei vari campi della società. i tanto in tanto l‟uomo si volgeva verso la parete alla sua sinistra, al centro della quale spiccava una pala cinquecentesca raffigurante un vescovo benedicente, affatto simile a colui che la stava osservando e che lo raffigura- E C om’è che Voi ve ne state qui tutto solo a chiacchierare con me, mentre la comunità diocesana è riunita al Carmine a festeggiare il Vostro compleanno? N E D IL TABERNACOLO DI SAN SIRO A PAVIA IN VIA FERRINI ANGOLO VIA SAN PAOLO, DI ANGELO GRILLI. SOPRA, L’ALTARE DELLA CHIESA DEI SS. GERVASIO E PROTASIO. va circondato dalle didascalie in latino di dieci episodi salienti della sua vita: i miracoli a Pavia, Verona, Brescia e Lodi, la conversione del popolo di Pavia, Genova, Asti e Tortona, la sua consacrazione a vescovo a opera di San Pietro, il conferimento dei sacri ordini ai successori Pompeo e Invenzio e agli altri santi sepolti nella chiesa. Osservava con attenzione anche la scultura romanica murata sulla parete di sinistra raffigurante un vescovo, come lui. S ignore santissimo! Ma Voi … Voi siete … San Siro? S ono lieto che ti sia giunto il mio messaggio, figliolo, e che tu abbia trovato il tempo di presentarti a questo appuntamento - rispose, distogliendosi un poco dall‟osservazione della pala e del resto della cappella - Sì, io sono Siro, fondatore della Chiesa pavese e primo evangelizzatore del suo popolo e Nostro Signore mi ha concesso il privilegio di tornare dal Paradiso più di milleseicento anni dopo la mia morte corporale, cioè la nascita alla nuova vita in cielo, avvenuta il 9 dicembre PAOLA CASATI MIGLIORINI Perito della Camera di Commercio di Pavia dal 1988 C.T.U. del Tribunale di Pavia Perizie in arte e antiquariato Valutazioni e stime per assicurazioni Inventari con stima per eredità Consulenza per acquisti e collezioni Perizie a partire da 100 Euro TRAVACÒ SICCOMARIO (PAVIA), VIA ROTTA 24 TEL. 0382 559992 CELL. 337 353881 / 347 9797907 www.agenziadarte.it - email: [email protected] di un anno che non ricordo con esattezza, comunque nella seconda metà del quarto secolo. Ho voluto tornare nella chiesa che ai miei tempi avevo fondato e che, successivamente alla mia dipartita, era stata intitolata ai santi martiri milanesi Gervasio e Protasio. In questo avello il mio corpo giacque sepolto per oltre cinque secoli, dal giorno del mio trapasso fin verso la metà del nono secolo, quando i miei resti, mi pare tra l‟831 e l‟840, furono traslati dal vescovo Adeodato in un altro luogo, che ai vostri tempi corrisponde al Duomo e che allora era la basilica di Santo Stefano. A nche stavolta il personaggio storico - la cui visita era stata annunciata a Salvatore Veca e alla redazione del “Giornale di Socrate al caffè” attraverso una lettera dell‟URPV, cioè l‟Ufficio Ritorni Provvisori alla Vita, firmata da Sant‟Ermagora per procura di San Pietro - si era regolarmente presentato per l‟intervista “impossibile”. Era già accaduto nei mesi scorsi in altre sette occasioni, con Galeazzo II Visconti, Leonardo da Vinci, l‟imperatore Augusto, on mi sono mai piaciute le feste. In vita mia ho convertito, risanato le anime e i corpi, costruito comunità ed edificato templi, ho sofferto e tanto viaggiato, predicato, convertito e impetrato miracoli da Nostro Signore, ho girato l‟Italia settentrionale in lungo e in largo. Tu non immagini quanti paesi ho visitato e quanti pagani ho battezzato. E, poi, a essere proprio sincero, avrei desiderato che il mio ritorno a Pavia coincidesse con la riapertura del Duomo, che è chiuso al culto da anni. Invece l‟URPV ha scelto per me questa stretta finestra di tempo. Che potevo farci? Prendere o lasciare, con San Pietro non si scherza. Per cui preferisco restarmene in disparte e godermi in pace e silenzio questa rimpatriata in quella che fu la prima dimora dopo la mia dipartita dal vostro mondo; voglio meditare sul caro avello che per primo mi accolse. C ome è possibile che Voi ricordiate perfettamente il giorno della Vostra morte e non l’anno e (Continua a pagina 4) SPORTELLO DONNA – BUSINESS INNOVATION CENTER PAVIA-VIA MENTANA 51 ORGANIZZA OTTOMARZOTUTTOL’ANNO2011FESTIVAL 2011"Anno Europeo delle Attivitá Volontarie che promuovono la Cittadinanza Attiva" Per Info : Tel. 0382 1752269 Cel.: 348 9010240 Fax: 0382 1751273 SIAMO SU FACEBOOK N um e r o s e tt an t adue - D ic e m bre 2 0 11 Pagina 4 SAN SIRO INTERVISTA “IMPOSSIBILE” LA VERGINE CON SAN A DE- (Continua da pagina 3) nemmeno il de- cennio? Di Voi si sa che siete vissuto nel quarto secolo, ma gli stessi storici cattolici sono cauti a proposito della Vostra persona. Questa incertezza, scusatemi la franchezza, non mette in dubbio la Vostra stessa esistenza come fondatore della Chiesa pavese? U n conto è la ricostruzione storica e un altro è la fede. Per la storia sono un problema, un punto interrogativo cui gli studiosi non sono mai riusciti a rispondere una volta per tutte. La mia figura, per gli storici, è avvolta in un alone di mistero. Per la fede e per la tradizione, invece, sono il fondatore della Chiesa locale, che mi onora come patrono. La stessa diffusione del cristianesimo delle origini a Ticinum – vedi, figliolo, io preferisco chiamare Pavia con il nome dei miei tempi - è una questione aperta. Tutto ciò che io posso dirti è che so di essere il tuo Protovescovo, il primo vescovo, ma non posso offrirti prove storiche a suffragio di questa mia affermazione, bensì solo un miscuglio di verità storica e arbitrio interpretativo, di narrazione favolistica e volontà celebrativa che cercherò di esporre. Poco o nulla, nonostante minuziose e puntuali ricerche storiografiche, è stato svelato delle mie origini, delle mie vicende giovanili, della mia formazione culturale e religiosa, della mia crescita religiosa. Tu quindi puoi credere o non credere; tuttavia, figliolo, ti consiglio di avere fede. La ricostruzione della mia figura e della mia opera, infatti, è stata condotta sulla base di coincidenze, concomitanze storiche e vicende legate ad altre figure di santi e non è obiettivamente possibile che tante tradizioni convergenti sulla mia persona siano complessivamente tutte infondate. Non ti pare? N on la farei così facile, Siro … Voi mi state ripetendo la solfa dell’ammaestrament o impartitoci dalla gerarchia ecclesiastica: devi credere perché devi credere. Ma così i dubbi si alimentano da sé. H o capito, tu vuoi ragionamenti scientifici. E li chiedi a un santo del Trecento che non ha lasciato nulla di scritto e di cui nessuno ha trasmesso una biografia con i crismi della storicità. Una bella pretesa … E va bene, mi sembri ben LA STORIA DI SAN SIRO (MUSEI CIVICI DI PAVIA) (Continua a pagina 5) Salvatore Veca Nerio Nesi Francesco Novara Lorenzo Rampa Walter Ganapini Luciano Valle Laura Olivetti Marco Di Marco Sisto Capra Antonio Sacchi Il visionario che sapeva fare i conti Gli Olivetti Testimonianza sull’esperienza Olivetti Comunità: utopia o razionalità L’impresa come attore del cambiamento verso la sostenibilità Adriano Olivetti: un originale Progetto neo-rinascimentale La figura di mio padre L’attualità di Adriano La scrivania dell’Ingegner Adriano Adriano Olivetti e la sfida culturale N um e r o s e tt an t ad u e - D ic e m b re 2 0 11 P a g i na 5 SAN SIRO INTERVISTA “IMPOSSIBILE” IN ALTO A SINISTRA, LO SLARGO DI VIA BOEZIO DOVE SORGEVA LA CHIESA DEI SANTI NAZARIO E CELSO A DESTRA, SAN SIRO IN UN DISEGNO DI ANGELO GRILLI. QUI, LA CAPPELLA DI SAN SIRO CON L’URNA ALL’INTERNO DELLA CHIESA DI SANTA MARIA DEL CARMINE. (Continua da pagina 4) motivato. Ai miei tempi non si usava … Ma attento, dovrai starmi a sentire a lungo. Il primo testo nel quale si parla di me è la “Cronaca di San Siro”, attribuita agli inizi del nono secolo, composizione apologetica e leggendaria di autore ignoto sull‟apostolicità della sede vescovile ticinense ed esaltante la mia figura e quelle dei miei due successori Pompeo e Invenzio (detto anche Evenzio), rispettivamente secondo e terzo vescovo. La parte sostanziale di questa “Cronaca”, invero, è stata decisamente confutata, mi riferisco alla tesi secondo cui io sarei vissuto nel primo secolo e addirittura sarei il fanciullo che offrì a Gesù i cinque pani e i due pesci per sfamare i cinquemila uomini più le donne e i bambini nel miracolo della moltiplicazione. Io, invece, come hai ricordato, sono vissuto nel quarto secolo e venni a Ticinum intorno alla metà di questo secolo. I n che anno, esattamente? N umerose fonti, a partire dallo storico Antonio Maria Spelta a cavallo tra il sedicesimo e diciassettesimo secolo, hanno trasmesso fino a voi il catalogo con la lista dei più antichi vescovi di Ticinum dalle origini al 1597. Questo catalogo mi assegna il primo posto: 56 anni di episcopato e 112 anni di vita. Francamente troppi, cifre esagerate e artificiose! Oggi posso finalmente chiarire. Fui vescovo di Ticinum dal 343-344 al 355. Il 343344 è dunque l’anno in cui fondai la Chiesa ticinense, più o meno nello stesso periodo in cui Sant‟Eusebio fondò quella di Vercelli. Del resto, queste sono anche le valutazioni dell‟autore di un‟eminente storia della Chiesa ticinense, il vescovo Vittorio Lanzani, nel primo volume della “Storia di Pavia” della Società Pavese di Storia Patria, pubblicato nel 1984. L’insistenza con cui gli storici hanno citato e commentato il catalogo lo rende autorevole e, direi quasi, organo ufficiale della tradizione antica di Ticinum, tradizione anteriore alla stessa composizione della “Cronaca (Continua a pagina 6) Prefazione di Salvatore Veca Introduzione Storia breve di Pavia dalle origini al secolo XI Barbarossa, il Comune, il Broletto Vecchio e Nuovo nel 1198 e lo scontro con il vescovo Lanfranco Pavia e il Broletto dal XIII al XVIII secolo: da Rodobaldo II Cipolla a Napoleone Pavia e il Broletto nei secoli XIX e XX: sventura e rinascita, Pavesi e Vaccari e il restauro del 1928 Il Broletto nel secolo XXI Postfazione di Renata Crotti Le cartine - Le immagini N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1 Pagina 6 SAN SIRO INTERVISTA “IMPOSSIBILE” (Continua da pagina 5) di San Siro”. Questa fonte, in definitiva, può essere considerata anche da te, che non ritieni sufficiente la fede e probabilmente nemmeno la mia parola, la prova che sono stato il fondatore della vostra Chiesa. IN ALTO A SINISTRA, L’URNA DI SAN SIRO CONSERVATA NELLA CHIESA DI SANTA MARIA DEL CARMINE. IN ALTO A DESTRA, IL MARTIRIO DEI SANTI GERVASIO E PROTASIO IN UNA MINIATURA DEL XIV SECOLO. QUI, LA PIÙ ANTICA VEDUTA DI PAVIA NELL’AFFRESCO DI BERNARDINO LANZANI (1524) NELLA BASILICA DI SAN TEODORO. è una figuI nvenzio ra storica? C ertamente sì. È la prima figura di vescovo di Ticinum citata in un documento storico, indicato tra i partecipanti al Concilio di Aquileia nel 381. Io ero arrivato a Ticinum in sua compagnia da Aquileia, con la missione di evangelizzare tutta la Lombardia sudoccidentale. Ci aveva inviato il vescovo Ermagora, che una tradizione riportata dalla “Cronaca di San Siro”, poi confutata come ho detto, voleva vissuto nel primo se- colo e sarebbe stato discepolo diretto di San Marco, uno dei Dodici apostoli di Cristo, e che invece io colloco intorno al 250. Diceva questa tradizione: «Gesù mandò Pietro, Pietro Marco, Marco Ermagora, Ermagora Siro». Invenzio fu contemporaneo del ve- scovo di Milano Ambrogio, che nel 390 parlò di lui come “sanctus episcopus”; secondo il catalogo, fu il terzo vescovo dagli anni sessanta del quarto secolo al 397, morì probabilmente l‟8 febbraio e venne sepolto nella chiesa dei Santi Nazario e Celso. Il secondo vescovo dopo di me fu Pompeo, che non fu canonizzato e al quale il catalogo assegna 14 anni di episcopato, dal 351 al 365, durante il periodo della lotta contro gli ariani: i suoi resti sono conservati nell‟altare maggiore di questa chiesa, in un‟arca insieme ad altri presbiteri e santi. D icevate che la stessa diffusione del cristianesimo a Pavia è una questione aperta. L a storia della Chiesa dei primi quattro secoli nel tuo territorio effettivamente non è stata scritta. Ma qualcosa si sa della vita dell‟antica comunità cristiana. Lascia che torni un po‟ indietro, dunque, per farti capire. S S ono tutt’orecchi. in dalla metà del primo secolo, i cristiani erano sparsi nelle province dell‟Impero Romano e crescevano sempre di più in ogni parte, in Italia, specialmente grazie all‟impegno e alla passione dei due grandi apostoli, Pietro e Paolo. La conquista cristiana, però, riuscì a progredire soltanto nei periodi di tregua che intercorsero tra le persecuzioni del terzo secolo. All‟inizio del secolo erano state stabilite tre sedi episcopali tra le Alpi e la Sicilia: Roma, Milano e Ravenna. Il terzo secolo vide quasi raddoppiare il numero delle diocesi, almeno nell‟Italia settentrionale. Aquileia nel Friuli dei vostri tempi, ad esempio, destinata a diventare tanto importante quanto Milano e Ravenna, ebbe il suo primo vescovo attorno al 250. I cataloghi ecclesiastici lo ricordano, come ti dicevo, sotto il nome di Ermagora. E la sua presenza è documentata proprio al Concilio di Arles del 314. L‟evangelizzazione a Ticinum non ebbe all‟origine alcun martire proprio. Le due basiliche sorte nell‟area cimiteriale a nord, al di fuori della cinta muraria, furono così dedicate con le reliquie di martiri milanesi. La prima, intitolata a Gervasio e Protasio, fu edificata da me e intitolata dal vescovo Invenzio ai due martiri milanesi, le cui spoglie egli ebbe in dono da Ambrogio nel 386; la seconda, dedicata a Nazario e Celso, fu costruita sempre da Invenzio nel 390: voi ticinensi del ventunesimo secolo non potete più vedere questa chiesa, che si trovava in via Boezio, perché venne soppressa nel 1819 e abbattuta nel 1845. C he cosa dimostra l’assenza di martiri locali? È un indizio importante per collocare storicamente la mia età. Dimostra che l‟organizzazione cristiana di Ticinum è successiva all‟Editto di Costantino del 313, che accentuò i privilegi della Chiesa cristiana e ne fece uno dei pilastri dell‟impero romano. Questo sarcofago, questa scritta SVRYS EPC, davanti al quale discorriamo, si impone comunque come prova archeologica di alta antichità, che tramanda il mio nome e garantisce la continuità della mia memoria e della custodia delle mie reliquie. Io non so esattamente ciò che realmente era accaduto negli oltre trecento anni trascorsi dalla nascita della religione cristiana al mio arrivo a Ticinum. So solo che quando vi giunsi, una comunità cristiana già esisteva, così come era attiva una primordiale organizzazione ec(Continua a pagina 7) N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1 P a g i na 7 SAN SIRO INTERVISTA “IMPOSSIBILE” studioso di storia pavese Siro Severino Capsoni (1735-1796), che respinse l‟ipotesi che io fossi davvero il giovinetto del miracolo della moltiplicazione. Egli, in una delle sue opere, “Origine e privilegi della Chiesa pavese”, dichiarò più probabile che io fossi originario di Aquileia e considerò temeraria l‟impresa di voler indicare l‟anno preciso della mia venuta a Ticinum. Sul primo punto aveva ragione, sul secondo torto. Un altro storico ticinense, Giuseppe Robolini, osservò che, se si collocava la mia esistenza nel primo o secondo o terzo secolo, non si poteva ammettere che io avevo fondato questa chiesa in cui ci troviamo oggi. C (Continua da pagina 6) clesiale, animata da presbiteri o diaconi. I fedeli di Ticinum avevano dei luoghi di culto, ma non vere e proprie chiese. E ricevevano saltuariamente la visita di vescovi che venivano a predicare e battezzare, ma non ne avevano uno stabilmente residente in città. Fui io a edificare la chiesa che poi sarebbe stata dedicata a Gervasio e Protasio. E a rinvigorire la fede del popolo ottenendo da Nostro Signore alcuni miracoli. Tutto ciò in un clima pacifico, dal momento che l‟epoca delle grandi persecuzioni era da tempo conclusa e l‟ambiente religioso era al sicuro da ogni forma di imposizione e repressione. Ecco perché non vi erano stati martiri locali alle origini della cristianizzazione. Ciò non significa, però, che nei primi decenni del quarto secolo non ci fossero tensioni: il mondo cristiano, infatti, viveva la contrapposizione tra l‟ortodossia romana e l‟eresia ariana. In particolare a Milano la lotta tra le due fazioni era drammatica e i cristiani avrebbero prevalso solo nel 374 con l‟elezione a vescovo di Ambrogio. Anche a Ticinum lo scontro tra noi cristiani e gli ariani fu duro, all‟epoca del mio successore, il vescovo Pompeo. P rima avete detto che gli storici a un certo punto confutarono la tesi che Voi foste stato il fanciullo del miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Com’è che gli studiosi cambiarono idea? I l primo a scrivere questa favola fu Opicino de Canistris nel “Libro delle lodi della città di Pavia” nel 1330. Scrisse anche che sarei morto a settant‟anni. Anche Bernardo Sacco nella “Storia di Pavia” del 1565 riprese questa versione. Per coprire i secoli in più si adottò la prassi di duplicare i vari vescovi che si erano succeduti, aggiungendo I e II al nome, o di accreditare lunghissime esistenze di alcuni presuli. Il primo che rimeditò la questione e giunse alle conclusioni accolte ancora ai vostri tempi fu lo i sono studiosi che raccontano una storia completamente diversa. Essi negano che Voi abbiate mai guidato la diocesi di Pavia, anche se poi in questa città sareste morto e sareste rimasto sepolto per dieci anni. T A u ti riferisci a … ?. Maria Pia Billanovich, una storica di Padova, che nel 1986 scrisse un saggio intitolato “San Siro: falsificazioni, mito, storia”. D obbiamo proprio parlare della Billanovich? La sua ricostruzione è errata. P erò è scientificamente molto circostanziata, piena di dati e ricostruzioni. E non mi pare di aver letto una sua confutazione ad opera degli studiosi cattolici. Sembra essere stata accantonata come un incidente di percorso. Eppure i rilievi oggettivi nel saggio della Billanovich sono numerosi. Vale la pena di darne conto, non Vi pare? LA PALA CINQUECENTESCA NELLA CHIESA DEI SANTI GERVASIO E PROTASIO RAFFIGURA SAN SIRO BENEDICENTE CONTORNATO DAGLI EPISODI SALIENTI DELLA SUA VITA CHE SI SNODANO IN SENSO ORARIO, PARTENDO DALL’ANGOLO INFERIORE SINISTRO, E SONO ACCOMPAGNATI DALLA RELATIVA DIDASCALIA IN LATINO. MANCANO I TRE EPISODI DELLA PARTE INFERIORE (TESTIMONIATI DA ALCUNE INCISIONI SECENTESCHE), CIOÈ QUELLO INIZIALE IN CUI SI IDENTIFICA SIRO CON IL FANCIULLO CHE FORNÌ A CRISTO I CINQUE PANI E I DUE PESCI PER IL MIRACOLO DELLA MOLTIPLICAZIONE, E GLI ULTIMI DUE. S e proprio vuoi ... La professoressa Billanovich, in sostanza, ha sostenuto che il primo vescovo accertato di Ticinum sarebbe stato Invenzio, dal 358 al 396, e che un certo Siro, che sarei io, sarebbe stato vescovo di Iulia Concordia, una diocesi nell‟area corrispondente agli attuali Veneto e Friuli, dal 358 al 413. Nell’ultima fase della mia vita, essendo stata abolita la diocesi di Concordia, io avrei peregrinato in Liguria e in altre zone dell‟Italia settentrionale e sarei poi morto a Ticinum il 6 aprile di quell‟anno, ma non ne sarei divenuto vescovo. Per dieci anni sarei rimasto sepolto nella vo- A SINISTRA, SAN SIRO CON IL VANGELO NELLA MANO SINISTRA, A INDICARE IL SUO RUOLO DI EVANGELIZZATORE. RILIEVO PROVENIENTE DALLA FACCIATA ROMANICA. (DA LE CHIESE DI PAVIA-SANTI GERVASIO E PROTASIO, EDIZIONE DELLA DIOCESI DI PAVIA). IN ALTO A DESTRA, I VESCOVI PAVESI (MUSEI CIVICI DI PAVIA) stra città e quindi traslato ad Aquileia il 1° dicembre 423. Osservo che la studiosa padovana posticipa il periodo della mia vita terrena di almeno settant‟anni e questo inficia la sua versione dei fatti. La Billanovich parte dalla “Cronaca di San Siro” e avalla la notizia leggendaria della provenienza mia e di Invenzio da Aquileia. Osserva che la più antica immagine mia a Ticinum mi rappresenta in vesti vescovili e con in testa il cappello detto viatorio a falda larga, «segno indubbio - nota che la più antica tradizione pavese venerava Siro come protagonista di una “peregrinatio”. Sarei dunque un vescovo itinerante. Tra la fine degli anni sessanta e il 373-374 io mi sarei stabilito a Padova, non in quanto vescovo ma come metropolita d‟Italia. La Billanovich arriva a dire che forse ero una … U U na? na donna. Insomma, la studiosa padovana ricostruisce la mia storia in modo affatto abnorme rispetto alle fonti storiche ticinensi e a quanto io stesso ti ho prima narrato. Per carità, massima stima per il suo lavoro, ma io ti posso assicurare che la verità è un‟altra, è quella che ho raccontato in precedenza. Il problema è che (Continua a pagina 8) N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1 Pagina 8 SAN SIRO INTERVISTA “IMPOSSIBILE” QUI, PARTICOLARE DELL’ISCRIZIONE DEL CONSORZIO DI SAN SIRO (MUSEI CIVICI DI PAVIA. FOTO: PINCAMANIDI/PAVIA FOTOGRAFIA). A DESTRA, ESTERNO DELLA CHIESA DI SANTA MARIA DEL CARMINE. perta, la forma paleografica delle lettere, la loro dimensione, la particolarità della sigla EPC divennero argomento di studi e furono formulate numerose ipotesi. U n’iscrizione, seppur suggestiva, non è una prova. E (Continua da pagina 7) la mia presenza fu segnalata, oltre che a Ticinum, in molti altri luoghi dell‟Italia settentrionale e in Austria. In qualche caso, forse, è stata fatta confusione e quel Siro non sono io». Q uali? N el Norico, vicino a Salisburgo. A Brescia e dintorni. A Lodi, Milano, Bergamo, Como e Cremona. A Vercelli e Novara. A Borgo San Siro in Lomellina. Dappertutto ho predicato e fatto miracoli. Dappertutto vengo venerato e ricordato con affreschi, statue, cappelle. C hiudiamo questa parentesi. Chi trovò l’incisione SYRUS EPC sul sarcofago nella chiesa dei Santi Gervasio e Protasio? I l sacerdote Cesare Prelini, professore nel Seminario diocesano, che ha raccontato la sua scoperta nei due volumi intitolati “San Siro primo vescovo e patrono della città e della diocesi di Pavia”, pubblicati nel 1880. Don Prelini è diventato la fonte principale per conoscere la mia figura e la mia opera, perché ha recuperato e discusso criticamente tutti gli studi storici pre- cedenti. Devi sapere che nel novembre del 1875 il sacerdote era sul punto di pubblicare un testo sulla storia di questa basilica e per questa ragione la perlustrò accuratamente, allo scopo di rintracciarvi le epigrafi esistenti. Ebbene, sul pavimento della prima cappella di destra, quella là di fronte, intitolata alla Santa Casa di Loreto, scorse alcune lettere nel terreno, riconoscibili a malapena a causa della terra che le ricopriva. Pulitele, lesse su un blocco di pietra questa iscrizione, SVRVS EPC, che egli riferì immediatamente a un‟antica memoria riguardante me. In seguito a questa sco- ffettivamente don Prelini non si fidava delle apparenze e nella sua indagine procedette con grande cautela e scientificità. Egli poteva contare, del resto, sui risultati di un lungo lavoro risalente all‟inizio del Settecento. Tra il 1713 e il 1718, infatti, i Francescani che avevano in custodia la chiesa l‟avevano ricostruita spostando la facciata da occidente a oriente. E avevano ritrovato dei lastroni che Prelini un secolo e mezzo dopo riportò alla luce, scorgendovi la scritta. Tra le prime congetture, una è attribuita a Camillo Brambilla, ispettore provinciale degli scavi e dei monumenti nell‟ultimo ventennio del secolo diciottesimo secolo. Egli riconobbe subito all‟iscrizione una grande antichità. Prese le misure di questa pietra e poté stabilire che era stata usata come fianco o coperchio di un sepolcro. Attestò che quel SVRVS SPC non poteva che riferirsi a Surus Episcopus. Nel 1876, il prefetto del museo cristiano in Vaticano, Giovanni Battista De Rossi compilò un‟illustrazione storicoarcheologica del mio sarcofago. È vero che egli dapprima lo datò agli inizi del secondo secolo, cioè duecento anni prima della mia morte, ma studiò in maniera esauriente quelle sei lettere fino a rimeditare la sua precedente opinione e a concludere che le lettere dovevano essere state incise nel quarto secolo. L‟analisi del De Rossi fa presumere che il mio sarcofago potrebbe essere di epoca successiva alla mia morte, che cioè potrebbe ri- salire a circa il 397 quando le mie spoglie sarebbero state riposte in un nuovo avello. Un altro documento, lasciato alla città da Carlo Bonetta, cui ai vostri tempi è intitolata la biblioteca, consente di affermare che il mio sarcofago ritrovato da Prelini nel 1875 esisteva nella basilica fin dal 1567, diviso in due parti ed era servito come reliquiario di alcuni santi e martiri probabilmente già alcuni secoli prima. Insomma, una lunga storia. C ome avvenne la traslazione delle Vostre spoglie dalla chiesa dei Santi Gervasio e Protasio alla basilica di Santo Stefano, una delle due cattedrali gemelle che sorgevano sul luogo dove oggi è il Duomo? I l racconto è contenuto in alcuni codici, due dei quali appartengono alla Chiesa di Novara e almeno altri due a quella di Piacenza. Siamo in un anno imprecisato dall‟831 all‟840. San Gervasio e Protasio era fuori dalle mura e la visita alle mie reliquie non era agevole. Dopo che le spoglie furono composte sul feretro, i sacerdoti se lo caricarono a spalla. A un certo punto del tragitto, però, il mio corpo si faceva talmente pesante che il clero pensò dovesse trattarsi di un segno divino. Tutt‟intorno poi si diffuse una fragranza dolce e soave. Passarono ventiquattro giorni prima che la traslazione in Santo Stefano si concludesse. Una fanciulla incapace di camminare cominciò a correre. La gente accorreva da Ticinum e da ogni dove. Una giovane donna costretta sulla lettiga balzò in piedi e cominciò a lodare il “beatissimo Siro”. Un cieco cominciò a vedere. Un servo con la mano rattrappita fu risanato. Le prime notizie della venerazione della mia persona risalgono a do- cumenti datati tra la fine del Novecento e il Mille. Ad esempio, in un‟opera di Liutprando, vescovo di Cremona tra il 927 e il 972, o ancora in uno scritto di San Simeone. A bbiamo già visto che la fonte principale riguardante le vicende della vostra figura e della Vostra vita è la “Cronaca di San Siro”, un testo apologetico e leggendario risalente all’inizio del nono secolo. Conviene soffermarsi su questo documento. Innanzitutto, dove venne ritrovato? A ll‟interno di antichi manoscritti e in alcune opere a stampa. Tra i primi ricordo un codice membranaceo, cioè costituito da una sottile pelle di animale o membrana, conservato nella Biblioteca dell‟Università di Torino, già appartenuto al monastero di Bobbio e donato all‟ateneo torinese dal rettore del Collegio Ghislieri Domenico Carbone. Si tratta di un breviario che riporta la vita di numerosi santi, martiri e confessori e risale al settimo secolo. Fu probabilmente distribuito dopo il 612 ai monaci bobbiesi da San Colombano, che l‟aveva ricevuto dalla città di Pavia. Altri testi che comprendono la “Cronaca di San Siro” sono un codice membranaceo del decimo secolo che si trova nella Biblioteca del Capitolo di Novara e un secondo codice in pergamena custodito sempre a Novara. Vi sono poi un codice più recente nella Biblioteca del Capitolo di Piacenza, tre codici del dodicesimo secolo nella Biblioteca Ambrosiana di Milano e altri ancora nella Biblioteca Regia di Bruxelles. La “Cronaca di San Siro” venne stampata per la prima volta a Milano nel 1480 e a Colonia in Germania nel 1518. Tutti questi codici vennero (Continua a pagina 9) N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1 P a g i na 9 SAN SIRO INTERVISTA “IMPOSSIBILE” QUI, SAN SIRO NEL PARTICOLARE DI UNA STAMPA CONSERVATA NEI MUSEI CIVICI DI PAVIA (FOTO: PINCAMANIDI / PAVIA FOTOGRAFIA). A DESTRA, PARTICOLARE DI UN’ALLEGORIA DEI VESCOVI PAVESI (MUSEI CIVICI DI PAVIA. FOTO: PINCA-MANIDI / PAVIA FOTOGRAFIA). (Continua da pagina 8) consultati e analizzati da Cesare Prelini per comporre la sua opera in due volumi “San Siro primo vescovo e patrono”. I n che modo la “Cronaca di San Siro” racconta il viaggio Vostro e di Invenzio verso Pavia e l’arrivo in città? C ominciammo la predicazione della fede cristiana in una vasta area compresa tra Bre- scia, Lodi, Verona e Milano. A Verona una vedova ci supplicò di far risorgere il figlio morto e Nostro Signore ci concesse questa grazia: il miracolo accese la fede di centinaia e centinaia di persone che si accalcarono intorno a noi e si convertirono. Lungo il tragitto verso Ticinum era tutto un affollarsi di schiere di popolo. Al nostro ingresso in città la gente si gettava letteralmente ai nostri piedi gridando «Entra, o padre desiderato, richiama chi erra, solleva i caduti, ammaestra gli ignoranti, libera che sono tenuti schiavi, sollevaci e istruiscici». Era sufficiente che un malato mi sfiorasse per riacquistare immediatamente la salute. Proclamai la futura prosperità della città e mi rivolsi a tutti coloro che adoravano gli idoli, inducendoli a convertirsi a Cristo. Devo dire che la Ticinum che incontrai in quei primi giorni era ancora permeata di paganesimo e che l‟arrivo di un vescovo cristiano accese delle speranze non solo di sal- vezza eterna ma anche di prosperità terrena … Ma adesso, amico di Socrate, è ora che me ne torni ai miei celesti lidi eterni. Il tempo concessomi è terminato e devo ancora assolvere alcuni obblighi. Per cui mi congedo. San Siro si incamminò lentamente verso l‟altare maggiore e si fermò davanti all‟urna di cristallo contenente le reliquie del suo successore Pompeo e dei presbiteri Crisanto e Fortunato. Alzò lo sguardo verso il grande dipinto ovale raffigurante la Vergine con i santi Gervasio e Protasio e la sua stessa figura. Poi ammirò l‟affresco della grande lunetta al di sopra dell‟arco trionfale del presbiterio, raffigurante la crocifissione e a lato martiri e vescovi della Chiesa pavese. Quindi si volse ancora verso la seconda cappella a sinistra della chiesa, quella dedicata a lui medesimo. Socchiuse gli occhi nel rileggere quella scritta SVRVS EPC. Quindi lasciò la chiesa Un Angelo per San Siro «Alla presentazione della pubblicazione “Angeli in città - Il Serafino della Cattedrale“, ai primi di ottobre, incontro Sisto Capra, che mi chiede di pensare a un angelo per San Siro. Nasce così l’Angelo Pape, con una breve storia illustrata». Così l’artista Pupi Perati spiega la genesi della piccola opera che pubblichiamo. Laureata in lettere (indirizzo artistico) a Pavia, Pupi Perati ha studiato arti figurative presso la scuola dell'Accademia Carrara. Interessata alle tecniche "a fuoco", lavora a bottega presso il maestro ceramista Renato Maddalena e nel 1984 apre un suo laboratorio nel centro storico di Pavia. Non smette di sperimentare ed apprendere, accostandosi anche alla smaltatura su metallo, alla fusione del vetro, alla modellazione "a cera persa" e alla gioielleria. Pagina 10 (Continua da pagina 1) L e pagine di Nadia Fusini sono articolate in forma drammaturgica. Prima, è allestita con cura la scena: la scena del teatro in cui scopriamo che l‟azione tragica è propriamente la passione. La mia azione è la mia passione, scrive Fusini. E questo è - almeno a prima vista - il senso del pathos, come ha insegnato Aristotele nella sua Poetica. Ma la passione degli eroi tragici di Shakespeare, con tutta l’eco e la memoria medievale della passione di Cristo, il deriso, il percosso, l‟umiliato, lo schernito, ci suggerisce nei tempi inquieti dell‟incertezza, della rottura dell‟universalismo cristiano e della nuova scienza, agli albori della nostra modernità, il tema inedito della natura del soggetto, della natura del sé. L‟enigma dell‟identità, che risuona in ogni replica a un qualche “ecce homo” con la domanda: che cos‟è l‟essere umano? L‟eroe è un paziente e il teatro del suo sé ospita la guerra civile del sé. Così, viene da dire, l‟agente è propriamente e semplicemente l‟attore, e il mondo è teatro. “A scanso di equivoci, ci ricorda Fusini, il motto è scritto a chiare lettere a mo‟ di stemma araldico all‟entrata del Globe: Totus mundus agit histrionem.” La scena è pronta, a questo punto. E chi legge prova ora l‟esperienza della peripeteia aristotelica, scandita in cinque atti. E assiste, in successione, nel primo atto, alla passione di Bruto, alla passione della ragione nel Giulio Cesare, nel secondo a quella di N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1 GEORGE CATTERMOLE, LADY MACBETH, 1850 Amleto, alla passione del dolore del principe di Danimarca, nel terzo a quella d‟amore e d‟odio di Otello con la regia machiavellica di Iago, nel quarto alla passione metafisica d‟ira e di pietà di re Lear, nel quinto - infine - alla passione della paura categorica, della paura di sé dell‟acrobatico Macbeth. ei cinque atti del passionate speech di Nadia Fusini vi può accadere di imbattervi in immagini che difficilmente vi abbandoneranno. L‟essere umano è una cosa che immagina, una sorta di res imaginans, come ci mostra l‟esperienza fantasmatica di Bruto, nell’intervallo, nell‟interim fra il pensiero e l‟azione. Un intervallo, un tempo di mezzo, sullo sfondo N ANDREA CAMILLERI LA SETTA DEGLI ANGELI SELLERIO Tutto d’invenzione è il rustico paesaggio: il paesaggio remoto, le otto chiese (sette per gli abbienti, una per i contadini), il Circolo litigioso e scalmanato, nel quale i soci di surreale e sgarbata scimunitaggine siedono male sui propri glutei come in una stampa di Hogarth; le scivolose segretezze, le vacanterie escandescenti di angusti e scaduti puntigli, le aggressioni sbagliate fatte in nome dell’onore, la foia atroce di un brigante dal nome biblico, l’astio e le divisioni tra bassa aristocrazia di campagna, professionisti borghesi, massari, campieri, nullatenenti. Assolutamente vera è invece la faccenda, testimoniata da Filippo Turati e da Don Luigi Sturzo. E personaggio storico è il protagonista Matteo Teresi, avvocato dei poveri e dei deboli; e giornalista, che la sua animosa attività di denuncia nutre di socialismo umanitario. Un fremito, un rimbombo, un intollerabile fracasso investe il villaggio. Si teme un’epidemia di colera. Corre l’anno 1901. Per un susseguirsi sbrigliato di equivoci, si crede al contagio. A un’invasione del Maligno. Nelle chiese, divenute eccezionalmente democratiche, si raccolgono e si mescolano le classi sociali. MARGARET MAZZANTINI MARE AL MATTINO EINAUDI Farid e Jamila fuggono da una guerra che corre più veloce di loro. Angelina insegna a Vito che ogni patria può essere terra di tempesta, lei che è stata araba fino a undici anni. Sono due figli, due madri, due mondi. A guardarlo dalla riva, il mare che li divide è un tappeto volante, oppure una lastra di cristallo più ampio dell‟epoca out of joint, in cui Amleto prova che cosa vuol dire vivere in una immensa solitudine. Ecco Otello che affronta l’esperienza dell‟amore nella dimensione dell‟ignoranza di sé e l‟immagine del Moro che procede nella sua odissea come un guerriero cieco. E ancora lo strip-tease, la svestizione di Lear, il re che diventa nella landa di bufera un essere umano come chiunque, e l‟immagine di Lear che vuole gattonare, come i bambini, andando all‟indietro verso il grembo. Infine, l‟immagine notturna della paura di sé di Macbeth, che “si impaurisce di se stesso e se agisce è per scaricare l‟angoscia che lo attanaglia, per trasferire l‟angoscia fuori di sé, per scaricarla dal proprio cervello”. l libro è un impressionante vortice di immagini, e con la sua lingua accurata e sapiente, e - come direi nel mio gergo filosofico - con la sua coltivazione di memorie e la sua esplorazione di connessioni, ci offre prospettive inedite, modi di guardare noi stessi e il mondo più illuminanti e perspicui, mentre siamo ancora una volta spettatori del teatro del mondo shakespeariano. Del gran teatro delle passioni. Ora, per concludere la mia laudatio dell’opera di Nadia Fusini, mi sia consentito accennare a un punto che mi ha colpito nella lettura. Il punto riguarda ironicamente il terzo termine della poetica aristote- I che si richiude sopra le cose. Ma sulla terra resta l’impronta di ogni passaggio, partenza o ritorno - che la scrittura, come argilla fresca, conserva e restituisce. Un romanzo di promesse e di abbandoni, forte e luminoso come una favola. «Pensava soltanto a quello. Riportare la sua vita a quel punto. Nel punto dove si era interrotta. Si trattava di unire due lembi di terra, due lembi di tempo. In mezzo c’era il mare. Si metteva i fichi aperti sugli occhi per ricordarsi quel sapore di dolce e di grumi. Vedeva rosso attraverso quei semi. Cercava il cuore del suo mondo lasciato». GIORGIO FALETTI TRE ATTI E DUE TEMPI EINAUDI «Io mi chiamo Silvano ma la provincia è sempre pronta a trovare un soprannome. E da Silvano a Silver la strada è breve». Con la sua voce dimessa e magnetica, sottolineata da una nota sulfurea e intrisa di umorismo amaro, il protagonista ci porta dentro una storia che, lette le prime righe, non riusciamo più ad abbandonare. Con “Tre atti e due tempi” Giorgio Faletti ci consegna un romanzo perfetto come una partitura musicale e teso come un thriller, che toglie il fiato con il susseguirsi dei colpi di scena mentre ad ogni pagina i personaggi acquistano umanità e verità. Un romanzo che stringe in unità fili diversi: la corruzione del calcio e della società, la mancanza di futuro per chi è giovane, la responsabilità individuale, la qualità dell’amore e dei sentimenti in ogni momento della vita, il conflitto tra genitori e figli. E intanto, davanti ai nostri occhi, si disegnano i tratti affaticati e sorridenti di un personaggio indimenticabile. Silver, l’antieroe in cui tutti ci riconosciamo e di cui tutti abbiamo bisogno. 1928-2011 lica (ironicamente, perché il teatro di Shakespeare scardina l‟equilibrio aristotelico per generare uno spazio di metamorfosi e di persistente disequilibrio, in cui non si dà catarsi). Il termine che si affianca a pathos e peripeteia. Si tratta dell‟anagnorisis, del riconoscimento, dell‟agnizione. Fusini si interroga sul senso dell‟agnizione nello spettacolo delle passioni, come possibile scioglimento del dramma. Se l‟enigma dell‟identità è chiamato in causa, la connessione con il riconoscimento è inevitabile. L‟eroe tragico è esposto al tempo. Al tempo della propria metamorfosi. E il tragico sembra consistere nel riconoscimento di sé di chi è soccombente. Ci dice Fusini: “V’è un passaggio - ed è centrale - in questa agnizione, che porta l‟eroe a coesistere con la sua colpa. Quanto allo spettatore, compie anche lui un‟agnizione: quel pathos tremendo che l‟eroe mette in scena lui riconosce di custodirlo nella mente, e ora lo ritrova e si ritrova Iago e Otello e Desdemona … Ce la farà? Perché il vero eroe di questi drammi è la mente di chi guarda, di chi legge”. Così, come in un gioco di specchi multipli, sullo sfondo di una luce che essenzialmente varia di intensità, noi siamo indotti a prove incerte d‟autoritratto. Questo effetto generativo è proprio dell‟offerta del poeta e del drammaturgo. E della sua interprete appassionata, cui vanno la nostra lode e la nostra gratitudine. N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1 P a g i na 1 1 NOVITA’ : ECCO IL LIBRO IN EDIZIONE DI PREGIO E A TIRATURA LIMITATA CON CENTO IMMAGINI DEL MAESTRO SI PUO’ ACQUISTARE TELEFONANDO AL 339.8672071 O SCRIVENDO A: [email protected] L ’opera del grande fotografo Guglielmo Chiolini è un magnifico patrimonio culturale, artistico e sentimentale per Pavia. Per contribuire a custodirlo e a trasmetterlo, l’Associazione “Socrate al Caffè per la cultura e la conversazione civile” e l’Associazione Culturale Pavia Fotografia hanno pubblicato il volume dal titolo Guglielmo Chiolini: palazzi, scale e cortili di Pavia stampato dalla Pime in 600 esemplari numerati e in edizione di pregio. Il volume, che ha il patrocinio del Comune e dei Musei Civici, è acquistabile fino ad esaurimento delle copie telefonando al 339.8672071 oppure scrivendo a [email protected] e lasciando i propri riferimenti. Il libro non è in vendita nelle librerie. Il volume propone oltre cento scatti, fino ad oggi in gran parte inediti, dell’artista. La pubblicazione offre la possibilità di riscoprire, da un angolo visuale di eccezionale suggestione, circa quaranta edifici, con cortili, scale e interni, illustrati complessivamente da oltre cento fotografie. I diritti di pubblicazione delle fotografie sono stati da noi acquisiti appositamente per questo libro presso i Musei Civici di Pavia, che custodiscono l’Archivio Guglielmo Chiolini, divenuto di proprietà del Comune grazie all’intervento finanziario della Fondazione Comunitaria della Provincia di Pavia e dell’Unione Industriali. La realizzazione del volume è stata un’operazione complessa, da certosini. Infatti ogni fotografia pubblicata è frutto della ricerca sui palazzi di Pavia e sulle loro pertinenze, svolta dalla storica dell’arte Roberta Manara, che, sotto la supervisione di Susanna Zatti, direttore dei Musei Civici, lavora alla catalogazione e al recupero del Fondo Chiolini Ogni fotografia è corredata da una didascalia che contribuisce a dare corpo all’immagine riprodotta e a inserirla nel contesto culturale cittadino. E ogni didascalia è, a sua volta, frutto di una ricerca bibliografica, che ha complessivamente richiesto mesi di lavoro. Le immagini sono state quindi scansionate, ottimizzate e predisposte per la stampa dal direttore artistico del volume, il presidente dell’Associazione Pavia Fotografia, Antonio Manidi, coadiuvato da Barbara Pinca, che si è occupata del coordinamento organizzativo. Il volume, che si giova anche della collaborazione con “Il giornale di Socrate al caffè”, è introdotto da Sisto Capra, presidente dell’Associazione “Socrate al Caffè per la cultura e la conversazione civile”. Vi sono poi un contributo di Susanna Zatti, che illustra il ruolo meritorio del Comune nell’opera di catalogazione e conservazione dell’Archivio Guglielmo Chiolini, e un secondo contributo di Roberta Manara, che spiega tecnicamente in che cosa consista questa complessa operazione. Prefazione di Salvatore Veca L a storia di una città può essere raccontata anche facendo rivivere i protagonisti del suo passato. Li si può far rivivere raccontandoli attraverso le loro opere e le testimonianze di coloro che ne scrissero, oppure immedesimandosi in loro fino a immaginarli vivi e reincarnati per un giorno, tanto da poterli quasi toccare, sentire, intervistare. È la tecnica delle “interviste impossibili”. Sta per uscire nelle librerie il volume di Sisto Capra “Le interviste impossibili”, pubblicato da Medea, una nuova editrice che debutta con questo titolo. Il libro è arricchito dalle fotografie di Barbara Pinca e Antonio Manidi di Pavia Fotografia. In questo libro se ne raccolgono sette, firmate da Capra per “Il giornale di Socrate al caffè” e pubblicate negli ultimi mesi. L‟autore ha finto di trovarsi a incontrare e intervistare illustri redivivi di un passato più o meno antico che hanno lasciato il segno della loro presenza nella città: il Duca Galeazzo II Visconti, fondatore dell‟Università di Pavia nel 1361, catturato da un improbabile cronista “ socratico” nel 1371, durante gli immaginati festeggiamenti per il decennale dello Studio Generale, primo nucleo del futuro ateneo; il genio dell‟umanità Leonardo da Vinci, protagonista di almeno sette soggiorni a Pavia documentati tra il 1490 e il 1513, nei quali produsse immortali disegni e progetti, conobbe e frequentò esimi professori, letterati e artisti e consultò i libri della famosissima Biblioteca del Castello Visconteo; l‟imperatore romano Cesare Augusto, che visitò l’allora Ticinum nel 9 avanti Cristo e qui fu raggiunto dalla notizia della tragica fine del figlio Druso nella guerra contro i Germani; il filosofo Severino Boezio, che vi patì il supplizio per decisione del re dei Goti Teodorico nel 524; Adelaide Cairoli, la Madre d’Italia, che a Pavia trascorse molti anni e qui fu raggiunta dalle notizie della tragica morte di quattro dei suoi cinque figli martiri del Risorgimento; la poetessa Ada Negri, che fu ospite del Collegio Boerchio di Pavia tra il 1931 e il 1943; Cesare Angelini, prelato, critico letterario, scrittore e rettore dell‟Almo Collegio Borromeo scomparso nel 1976. O gnuno di questi personaggi è stato preso a prestito e, per così dire, tirato per la giacchetta allo scopo di fargli “raccontare” tanti pezzi della ricchissima storia di questa città. Il contesto di queste interviste è chiaramente di fantasia, non i racconti che vengono messi loro in bocca, tutti sostenuti da una ricca e rigorosa documentazione. Il genere delle “interviste impossibili” , che conobbe una certa fortuna, fu proposto in Italia per la prima volta dalla Radio nel 1972 e 1973 e successivamente riproposto con uguale grande successo da personaggi come Umberto Eco, Carmelo Bene e Alberto Arbasino. Abbiamo creduto di fare atto di immodestia e ispirarci a questi maestri. ‟autore ringrazia Francesca Paparella e la Medea Edizioni di Pavia per aver voluto inaugurare la propria attività con questo libro; Salvatore Veca, direttore de “Il giornale di Socrate al caffè”, per aver scritto la prefazione; Mirella Caponi, redattrice e impaginatrice del mensile; la Tipografia Pime Editrice, che da sei anni pubblica il mensile contribuendovi con la propria altissima qualità; Barbara Pinca e Antonio Manidi di Pavia Fotografia per le loro immagini che impreziosiscono i capitoli dedicati a Leonardo, Augusto, Boezio, Adelaide Cairoli, Ada Negri e Cesare Angelini; Marco Giusfredi, che ha illustrato con i suoi disegni l‟ “intervista impossibile” a Galeazzo II Visconti; Chiara Maria Tardivello per la correzione delle bozze. L L e interviste impossibili appartengono a un genere letterario che ha un illustre pedigree. Qualcuno ricorderà il celebre ciclo dei primi anni settanta del secolo scorso, promosso da Rai due. A quel ciclo collaborarono autori del calibro di Umberto Eco e Giorgio Manganelli, Italo Calvino e Guido Ceronetti, Alberto Arbasino e Andrea Camilleri. Nel recente e aureo libretto di Cesare Segre, Dieci prove di fantasia, le ultime due prove consistono proprio in interviste impossibili. La prima chiama in causa Giulio Cesare e la seconda coinvolge l’elusiva amica di Montaigne, Marie Le Jars de Gournay. Si parva licet, anche a me è capitato l’anno scorso di mettermi alla prova con un’intervista a Karl Marx, ben prima di Occupy Wall Street. redo che alla base dell’idea di intervista impossibile vi possano essere motivazioni differenti: il senso del passato, il divertissement intellettuale, la vocazione etica, il desiderio di dare voce a punti di vista su noi e sul mondo diversi e ironicamente inattuali, il gusto della sorpresa, il piacere dello straniamento e, a volte, la cura per le memorie e le impronte di vite e di persone nel tempo alle nostre spalle. Naturalmente, chi legge l’intervista impossibile non si accorge dell’esigenza di un lavoro nascosto e che è bene resti nascosto, per rendere la lettura più luminosa e fresca. Il lavoro nascosto è quello della ricostruzione storica, della documentazione, della ricerca delle fonti cui attingere per dare la fisionomia più perspicua e nitida all’intervistato e all’intervistata. Così, le interviste impossibili esemplificano, al tempo stesso, l’esercizio dell’immaginazione e della fantasia e quello dell’indagine e del reportage, con un buon uso della macchina del tempo. uesto libro di Sisto Capra ha il passo giusto per affascinare chi legge, grazie alla prova di fantasia e all’indagine accurata. E, soprattutto, alla voglia di restituire uno sguardo più ricco e attento sulle nostre questioni di vita. Il cronista di Pavia riesce a catturare molte voci nel tempo. Voci che ci parlano. Da Galeazzo II Visconti a Leonardo da Vinci, da Cesare Augusto a Severino Boezio, da Adelaide Cairoli ad Ada Negri, sino a Cesare Angelini. Chi legge queste pagine oscilla tra la sorpresa e la riflessione, inseguendo nel giro delle domande e delle risposte, buone ragioni per fare e farsi nuove domande. È un bel viaggio delle idee di chi scrive e le idee di chi legge. Grazie di cuore, caro Sisto. E buona lettura. C Q Pagina 12 po del Paese nei prossimi decenni. e celebrazioni dei 650 anni ci hanno permesso di mettere in luce e di condividere con tutta la società civile alcuni momenti salienti, che attestano la centralità e la vitalità di questa Università nei secoli e in particolare negli ultimi 150 anni. Con la mostra “Le Università erano Vulcani... Studenti e professori a Pavia nel Risorgimento”, abbiamo rivissuto il periodo in cui l‟Ateneo di Pavia, unico lombardo, è stato una fucina di nuove idee, protagonista, coi giovani e i professori, del cambiamento in atto, motore di un‟adesione corale e sentita agli ideali risorgimentali, difesi anche a costo della vita. Allo stesso periodo è legata la mostra “Raccontare l‟Italia unita: le carte del Fondo Manoscritti”, attualmente aperta, che mette in luce l‟apporto che gli scrittori hanno dato al sentimento unitario. I centocinquant‟anni dell‟Unità d‟Italia sono visti attraverso i materiali d‟autore del Fondo Manoscritti dell‟Università di Pavia: dalle premesse poste da Ugo Foscolo, che 200 anni fa tenne in questo Ateneo l‟orazione “Dell‟Origine e dell‟ufficio della letteratura”, fino a oggi, includendo anche il nuovo progetto Pavia Archivi Digitali. l nostro presente affonda in queste radici. E tutti noi siamo orgogliosi testimoni di questa eredità di ideali, conoscenze, progetti e valori che ci spronano ogni giorno ad allargare lo sguardo e a confrontarci con un mondo sempre più globale, complesso e competitivo. È nostro preciso dovere far sì che il presente e il futuro dell‟Ateneo pavese siano degni eredi ed efficaci interpreti della nostra storia, adeguati alle esigenze della società e del contesto socioeconomico, nazionale e internazionale. Anche se non possiamo nasconderci le crescenti difficoltà. l Rapporto annuale sulla situazione del Paese nel 2010, redatto dall‟Istituto nazionale di Statistica e presentato il 23 maggio scorso, evidenzia alcuni dati molto preoccupanti per il futuro del Paese. «Nel 2010 - si legge - i giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non frequentano alcun corso di istruzione o formazione, i cosiddetti Neet (Not in education, employment or training), sono poco più di 2,1 milioni, circa 134 mila unità in più rispetto all‟anno precedente (+6,8 per cento). (…) la crisi ha peggiorato la già limitata capacità del sistema di coinvolgere i giovani dal punto di vista lavorativo, cosicché la quota di quelli che si trovano al di fuori del circuito formazione lavoro sale dal 20,5 per cento del 2009 al 22,1 per cento del 2010». n questo contesto, proviamo a soffermarci sui giovani laureati italiani e confrontiamo i dati relativi alla Regione Lombardia, che lo scorso settembre ha promosso il World Regions Forum, con quelli delle principali regioni definite “motori d‟Europa”. L O ggi, 27 ottobre 2011, ricorrono i 650 anni dall‟inaugurazione del primo anno accademico dello Studium Generale di Pavia: una data storica, che sono lieto di poter celebrare insieme a voi in questa giornata, che si caratterizza per l‟apertura internazionale, e che rende omaggio all‟ateneo pavese, a Pavia come città universitaria e al nostro campus. Come sapete, le celebrazioni dei 650 anni sono state onorate dall‟Alto Patronato del Presidente della Repubblica; il Presidente Napolitano ci ha fatto pervenire un messaggio di augurio e di saluto, che desidero condividere con voi. el corso di questo anno intenso e coinvolgente, abbiamo più volte messo in luce la storia del nostro Ateneo, i suoi momenti più significativi e i Maestri più prestigiosi; abbiamo avuto modo di sottolineare l‟apprezzamento e il sostegno che, in epoche lontane dalla nostra, la componente politica ha espresso nei confronti dell‟attività di ricerca dei nostri docenti; penso soprattutto all‟apertura e al mecenatismo di Maria Teresa d‟Austria e Napoleone Bonaparte; quest’ultimo come testimonia lo stesso Volta «propose all‟Istituto di decretarmi una medaglia d‟oro, ed invitarmi a voler ancora continuare… le esperienze, con farle in grande, e variarle a qualunque spesa». ra pochi minuti il professor Dario Mantovani, coordinatore scientifico delle celebrazioni dei 650 anni, rievocherà l‟initium, quel 27 ottobre 1361 in cui Galeazzo II Visconti aprì ufficialmente il primo anno accademico dell‟Università di Pavia, già allora frequentata da studenti stranieri (cioè provenienti da altri territori e città d‟Italia, oltre che dall‟estero). Io voglio ora soffermarmi sul presente, sottolineando alcuni aspetti. a rivista “Nature” ha scelto proprio il Museo per la Storia dell‟Università di Pavia per inaugurare nel 2008 la rubrica “Hidden treasures” dedicata ai musei universitari del mondo. Mi domando se la nostra Università, insieme ad altre, i cui meriti e risultati ho avuto modo di illustrare in precedenti occasioni, dovrà continuare ad accettare di essere un “tesoro nascosto”, una nicchia preziosa, oppure potrà - come da tempo auspichiamo - avere un ruolo veramente attivo nella valorizzazione dei giovani e, più in generale, del capitale intellettuale, che è la nostra ricchezza primaria, oltre a dare un contributo significativo per lo svilup- N T L Il discorso del Rettore il 27 ottobre 650° anniversario dell’apertura ad opera di Galeazzo II Visconti I I I Angiolino Stella, Rettore Anche in questo caso, dobbiamo rilevare che, nel confronto Europeo, la percentuale di laureati della nostra regione, paragonata con l‟Europa, ci vede in svantaggio: in Lombardia i laureati tra i 25 e i 64 anni sono il 15%, contro il 28,6% nel territorio francese Rhônes-Alpes, e il 29,3% del Baden Wurtenberg. Se limitiamo l‟analisi alla popolazione tra i 30 e i 34 anni, possiamo constatare che il 20,29% di Laureati in Lombardia, è molto lontano dall‟obiettivo del 40% di Europa 2020. Allargando lo sguardo all‟intera penisola, la fotografia che ci viene offerta da Almalaurea è molto eloquente: nei quattro anni che precedono quello attuale, il calo delle matricole, a livello nazio- nale, è stato del 9.2 %, mentre dal 2007 al 2009 il tasso di disoccupazione a un anno dalla laurea è aumentato dall‟8.6 % al 16.5%, per chi ha conseguito una laurea specialistica a ciclo unico; parallelamente è aumentato il numero dei nostri giovani che hanno trovato all‟estero sbocchi adeguati alla loro formazione. P a g i na 1 3 ribadire i nostri secolari principi fondativi: abbiamo la responsabilità di trasmettere alle generazioni future i valori e il patrimonio di conoscenza dell‟Alma Ticinensis Universitas: un sapere interdisciplinare, capace di affrontare le sfide più difficili con nuovi approcci metodologici. el 2011 il Massachussets Institute of Technology – MIT ha celebrato i 150 anni di fondazione: desidero citare un passaggio del discorso pronunciato dalla Presidente Susan Hockfield, nel quale tutti noi possiamo riconoscerci: «We must also stay true to our passion for basic, curiosity-driven research. We must stay hungry for exploration, from the great unsolved problems of mathematics, to the lyrical heights of music, literature and art, to the deepest recesses of nature and outer space». ono molto lieto di poter dare il benvenuto oggi alle delegazioni internazionali, alle università più antiche d‟Europa, alla European University Association, e alla più prestigiosa università americana, la Harvard University: celebrare insieme a voi 650 anni di attività accademica significa rendere evidente a tutti che l‟Universitas non ha confini, che il confronto è per noi linfa vitale e che, come recita il nostro motto “Il futuro ha radici profonde”. l 17 novembre 1801, Alessandro Volta scriveva al fratello Luigi, a proposito delle sue scoperte e in particolare della scoperta della pila: «Ecco tutto quello che ho fatto. Quanto al nuovo apparato, a cui sono stato condotto man mano dalle sovraccennate mie scoperte, ho ben creduto che avrebbe fatto dello strepito. Ma non mi sarei mai immaginato che dovesse farne tanto». Rileggendo con emozione e ammirazione queste espressioni di umiltà di uno dei più grandi Maestri dell‟Università di Pavia, le cui scoperte sono patrimonio dell‟Umanità, mi sono domandato se Galeazzo II Visconti si sarebbe mai immaginato che quel suo ordine del 27 ottobre 1361 sarebbe giunto fino a noi. “Mandamus vobis, quatenus proclamari faciatis in Civitatibus vestris, in locis consuetis, quod quilibet Scholaris debeat ad Civitatem nostram Papiae statim accedere” così Galeazzo II ordinava il 27 ottobre 1361, nell‟inaugurare il primo anno accademico dello Studium Generale di Pavia e con le sue parole dichiaro oggi ufficialmente aperto l‟anno accademico 20112012, 651° dalla fondazione dello Studium Generale, 1187°dal N IL RETTORE STELLA ALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO ACCADEMICO zo possibile per valorizzare i giovani e le loro capacità, ma non è impresa facile. Diventa allora essenziale il significato almeno simbolico (e l‟incoraggiamento che ne può derivare) di alcuni risultati. Mi riferisco, per Pavia, al premio Bellisario, la cui ultima edizione ha premiato due ricercatrici del nostro Ateneo - unico a ricevere un doppio riconoscimento -, e mi riferisco anche agli esiti del primo bando del Programma IDEAS del 7° Programma Quadro, che ha visto i giovani italiani al primo posto per percentuale di partecipazione, al secondo per percentuale di successo. Per quanto riguarda ancora Pavia, nell‟ambito degli European Research Council Starting Grant 2010, del VII programma quadro, ben due progetti - sui tre presentati in Physical Engineering – sono stati finanziati, su un totale di 11 progetti con host institution italiane. unque, come ben sappiamo, siamo in grado di formare ricercatori d‟eccellenza, più che competitivi in campo internazionale: la classifica QSTHE (topuniversities) vede più di una università italiana, tra cui Pavia, nelle prime 150 del mondo, se ci si limita al parametro “citation faculty”, che può considerarsi una misura chiara ed esplicita della qualità della produzione scientifica. Anche sulla base di questi dati e pensando al talento di tanti giovani, dobbiamo continuare a nutrire la speranza di essere competitivi, internazionali, e incidere in modo significativo sul futuro. Ogni segnale, come la parziale ma significativa compensazione dei tagli del Fondo di Finanziamento Ordinario previsti per il 2012, recentemente annunciata, può rappresentare un aiuto e uno stimolo. ‟occasione di questa celebrazione, alla presenza della CRUI, dell‟EUA e del Gruppo di Coimbra è per tutti noi un‟occasione fondamentale per D dell’Università di Pavia S egnali che vanno inseriti nel quadro generale che già ho delineato in qualche occasione: - In Italia la percentuale di PIL dedicato a Università e ricerca oscilla da anni intorno all‟1% (meno della metà di Francia e Germania); - la percentuale di ricercatori rispetto alla totalità dei lavoratori è inferiore allo 0.3% (meno della metà di Gran Bretagna, Francia e Germania); - gli sbocchi professionali per chi consegue il “dottorato di ricerca”, sono decisamente inadeguati. - Ormai il 35% dei 500 migliori ricercatori italiani nei principali settori di ricerca ha lasciato il nostro Paese. La ricaduta complessiva di tale fenomeno sul sistema socio-economico dei Paesi ospitanti si misura in non pochi miliardi di euro. ono dati che si commentano da soli e ci inducono a porre a voce alta una domanda: il nostro Paese intende riconoscere il ruolo delle Università nella formazione dei giovani e nella preparazione del futuro dell‟Italia, come avviene nei Paesi più avanzati? Da parte nostra, confermiamo la volontà di fare quotidianamente ogni sfor- S L S I Pagina 14 N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1 L’Istituto Universitario di Studi Superiori: la storia dal 1997 e i programmi per il futuro S e facciamo un piccolo passo indietro rispetto alla data di oggi, che celebra i 650 anni di vita dell‟Università di Pavia, e ritorniamo al 1996, ci accorgiamo che il mosaico del sistema universitario pavese era già composto quasi per intero e che questo sistema poteva già allora considerarsi un sistema di eccellenza: esisteva un‟Università storica che aveva contribuito, come poche altre, al progresso delle scienze umane e del sapere scientifico; esistevano i Colle- ROBERTO SCHMID P avia non aveva una Scuola Superiore come la Scuola Normale o la S. Anna di Pisa o la SISSA di Trieste, nate per offrire ai giovani di particolare talento la possibilità di integrare il sapere acquisito frequentando i corsi universitari proposti alla generalità degli studenti con insegnamenti aggiuntivi riservati a un piccolo numero di Roberto Schmid, Direttore dello IUSS zati, costringendoli a completare la loro formazione solo dopo la laurea, il più delle volte all‟estero, con il rischio di un non ritorno. el 1996, a Pavia mancava questa opportunità; a Pavia non esisteva una Scuola Superiore che si affiancasse all‟Università per completare la formazione dei suoi studenti migliori così come avveniva a Pisa nel rapporto tra la Normale e S.Anna e Università. Non esisteva a Pavia e non esisteva in tutto il Nord Italia perché la Scuola Superiore SISSA di Trieste operava solo a livello post-laurea con dottorati di ricerca internazionali. el 1997 si apre per Pavia una prospettiva nuova. Con un Accordo di Programma firmato a Roma il 19 Febbraio con il Ministero dell‟Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (MURST), le Università di Catania, Lecce e Pavia si impegnavano a sperimentare presso le proprie sedi, nuovi modelli di Scuole Superiori che arricchissero l‟offerta di alta formazione nel nostro Paese. Lo specifico Accordo riguardante l‟Università di Pavia venne firmato qualche mese più tardi, nell‟Ottobre 1997 dal Ministro Luigi Berlinguer e dal sottoscritto nella veste di Rettore dell‟Università di Pavia. L‟Accordo aveva la validità di 5 anni, al termine dei quali potevano verificarsi tre possibilità a seconda del giudizio espresso dal Comitato Nazionale di Valutazione sulla base del rapporto redatto da una sua commissione al termine di una accurata visita a Pavia. N gi universitari che da secoli interpretavano un fondamentale diritto dei giovani sancito anche dalla nostra Costituzione repubblicana, ossia quello di poter accedere ai più alti gradi d‟istruzione, acquisendo la capacità di esercitare qualsiasi professione, indipendentemente dalle condizioni economiche delle proprie famiglie. Attorno all‟Università e ai Collegi si era sviluppata una città universitaria dove l‟antica regola “Mens sana in corpore sano”, trovava piena espressione, senza quegli eccessi che oggi riempiono spesso le pagine della cronaca, e se per caso non stavi bene ti prestavano soccorso Centri di ricovero e cura a carattere scientifico di altissimo livello. Sembrava che non mancasse proprio nulla per dire che Pavia possedeva un sistema universitario da considerarsi unico. Eppure qualcosa mancava. studenti rigorosamente selezionati in base al merito e ai quali venissero offerte particolari condizioni di studio. A mio avviso, il diritto allo studio universitario va inteso nel senso che a ciascuno deve essere offerta la possibilità di esprimere pienamente la propria capacità. Era quindi giusto articolare l‟offerta in corsi di laurea triennali e corsi si laurea magistrale in cinque anni, con la possibilità di proseguire gli studi frequentando corsi di master o di dottorato. In questa interpretazione del diritto allo studio universitario, era altrettanto giusto prevedere, per i giovani di particolare talento, ulteriori percorsi formativi adeguati alle loro non comuni capacità, da frequentare nel periodo prelaurea. Se così non fosse, sarebbero proprio questi studenti, che costituiscono un capitale umano assolutamente prezioso, a essere penaliz- N S e il giudizio fosse stato positivo, la nuova struttura, che nel frattempo avevamo chiamato Istituto Universitario di Studi Superiori, IUSS, sarebbe stata riconosciuta come Scuola Superiore a ordinamento speciale, con propria personalità giuridica e piena autonomia didattica, scientifica, amministrativa e finanziaria; se il giudizio fosse stato non completamente positivo, il Ministero avrebbe richiesto allo IUSS un ulteriore periodo di sperimentazione; se il giudizio fosse stato negativo, la sperimentazione sarebbe stata considerata terminata e lo IUSS avrebbe chiuso i battenti. Nel tempo intercorso tra il Decreto del 1997 e la visita della Commissione del Comitato di Valutazione, allo IUSS si è lavorato con grande impegno e incredibile entusiasmo, perché era chiaro a tutti noi quale valore la nascita di una Scuola Superiore avrebbe avuto per il sistema universitario pavese. bbiamo dovuto superare non poche difficoltà. Per verificare l‟effettivo interesse per una nuova Scuola Superiore a Pavia, il Miur ci finanziava solo il 60% dei costi: siamo riusciti a trovare, fuori dall‟Università, il rimanente 40% e qui devo ringraziare in modo particolare la Fondazione Cariplo. Non potevamo costituire un organico docente di ruolo e molti docenti dell‟Università di Pavia e di altre Università ci hanno aiutato facendosi carico di ulteriori impegni didattici pur di consentire la copertura di tutte le esigenze dei corsi ordinari dello IUSS. A O ccorreva avviare una qualificata attività di ricerca e non essendoci la possibilità di bandire posti di ruolo, abbiamo messo in gioco il nostro buon nome per stipulare convenzioni con altre Istituzioni di ricerca, contribuendo alla realizzazione di progetti con la messa a disposizione di borse di studio e assegni di ricerca. ovevamo procurarci una sede e l‟Istituto per il Diritto allo Studio, ci ha risolto provvisoriamente il problema. Abbiamo superato mille ostacoli, ma ci siamo riusciti. Ottenuto un giudizio positivo del Comitato Nazionale di Valutazione e superati i tempi della burocrazia ministeriale, l‟8 luglio 2005, il Miur riconobbe allo IUSS lo stato di Scuola Superiore a ordinamento speciale. Anche l‟ultima tessera del mosaico fu collocato nella sua casella, ottenendo un sistema universitario da considerarsi unico per il nostro Paese. a quella data storica, 8 luglio 2005, lo IUSS ha fatto davvero tanta strada superando diffidenze e gelosie e tutti quegli ostacoli che una cronica insufficienza di finanziamenti ci poneva quotidianamente davanti. L‟attività pre-laurea è stata articolata in quattro classi: Scienze Umane, Scienze Sociali, Scienze Biomediche e Scienze e Tecnologie. A livello post-laurea sono stati attivati corsi di master internazionali e corsi di dottorato di ricerca. Sono stati istituiti sette Centri di Alta Formazione e Ricerca, rapidamente inseriti in un D D (Continua a pagina 15) P a g i na 1 5 N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1 ROBERTO SCHMID CON SALVATORE VECA (AL MICROFONO) E ANDREA MORO. SOTTO, LA FESTA PER L’ISTITUZIONE DELLO IUSS NEL LUGLIO 2005. NELL’ALTRA PAGINA, SCHMID ALL’UNIVERSITÀ DELLA GIORDANIA E, PIÙ SOTTO, IN COREA. (Continua da pagina 14) contesto scientifico internazionale di altissimo livello. ono stati finalmente chiamati i primi docenti di ruolo rivolgendoci a studiosi di fama internazionale. Oggi possiamo anche contare su numerose convenzioni con prestigiose istituzioni universitarie e Centri di Ricerca italiani e stranieri, convenzioni tutte perfettamente attive. Mi piace citare una delle più recenti: la convenzione con il S Collège de France, tempio della cultura e dell‟alta formazione francese, fondato a Parigi nel 1530 da Francesco I con il nome di Collège Royale. Sono previsti: uno scambio di studenti di dottorato e di ricercatori e l‟istituzione presso lo IUSS, con costi a carico del Collège, di una Cattedra “Collège de France”, dalla quale insegneranno famosi docenti del Collège. gni anno, abbiamo visto crescere il numero di studenti stranieri accolti nei nostri percorsi di master e di dottorato. Anche qui un esempio per tutti: per frequentare il programma “masterdottorato” in Riduzione del rischio sismico, a fronte di una quarantina di posti disponibili sono pervenute circa O 800 domande da 150 paesi diversi. o IUSS ha avuto un ruolo determinante nella realizzazione a Shanghai di un Campus italo-cinese. Presso l‟Università Tongji sono attivi corsi di laurea e di laurea specialistica in alcuni settori dell‟ingegneria e presso l‟Università Fudan corsi nel settore dell‟economia. I partners cinesi occupano i primi posti nel ranking delle Università cinesi. L N el Mediterraneo, lo IUSS ha progettato e avviato una rete di centri di Alta Formazione e Ricerca, dove potessero operare, assieme, docenti e ricercatori delle Università locali e docenti e ricercatori europei in particolare italiani. Sono stati attivati centri in Tunisia, Egitto, Palestina, Giordania, Creta e Turchia. I giovani che venivano preparati in questi Centri avrebbero dovuto costituire la classe dirigente del loro paese, aperta alla collaborazione con l‟Europa e con l‟Italia in particolare. Purtroppo questo magnifico progetto è stato lasciato cadere sotto il Ministero Mussi, offrendo alla Francia e alla Spagna la possibilità di riprenderlo e svilupparlo per affermare una loro leadership nel Mediterraneo. Vorrei ancora ricordare il corso di master in “Gestione integrata dell‟ambiente urbano in grandi aree metropolitane” organizzate dallo IUSS assieme ad altre Università italiane, tra cui l‟Università di Pavia, in occasione dell‟Esposizione universale di Shanghai, il cui tema era “Better city, better life”. Ci proponiamo, per il 2012 di organizzare un secondo master internazionale legato al tema dell‟Esposizione radossalmente lo IUSS è più noto all‟estero che in Italia. ggi stiamo vivendo tutti un momento di grande difficoltà, le Università e le istituzioni di ricerca, in particolare. Mentre in altri paesi, come la Francia e l‟Inghilterra, si è affrontata la crisi riducendo molti capitoli della spesa pubblica, ma dedicando più risorse all‟insegnamento superiore e alla ricerca nella convinzione che questo avrebbe portato a Questo deve accadere anche nel campo dell‟istruzione superiore e della ricerca. In questo quadro, l‟alleanza Università di Pavia - IUSS deve considerarsi assolutamente strategica per fare di Pavia un centro di riferimento unico, non solo in campo nazionale, ma anche in campo internazionale. Si può e si deve. L‟Università ha già affermato il proprio primato in alcuni settori e lo IUSS può solo concorrere formando il capitale umano necessario per mantenere questo primato. Lo IUSS, di dimensioni incomparabilmente più piccole, è obbligato a fare la scelta di un numero molto limitato di settori e puntare tutto su questi. Ovviamente sono stati scelti settori nei quali lo IUSS è già noto in campo internazionale. Gli organici dello IUSS non permettono, però, di esplorare questi settori a tutto campo, come si richiede per diventare un centro di riferimento internazionale. Si sta Internazionale di Yeosu, Corea, creando un ponte accademico che terminerà a Milano (o Pavia) in occasione della Expo del 2015. an mano che lo IUSS acquisiva notorietà, il numero di domande d‟accesso andava crescendo e a fronte di 70 posti disponibili abbiamo ricevuto, con l‟ultimo bando, più di 300 domande, da tutta Italia. Abbiamo sempre lavorato senza troppo clamore, privilegiando i fatti alle parole e questo è stato forse un errore in un‟epoca con il culto della comunicazione, un‟epoca in cui l‟apparire è talvolta più importante dell‟essere. Lo IUSS è ancora poco noto nella stessa Pavia e molti ancora ritengono che lo IUSS sia una struttura dell‟Università. Pa- maggiori capacità d‟innovazione e quindi al consolidamento della propria presenza su alcuni mercati e alla conquista di nuovi mercati, in Italia, all‟inizio della crisi sono stati ridotti i finanziamenti ad entrambi questi settori. È vero che prima di dare nuove risorse, occorre verificare come vengano usate quelle già disponibili e quindi occorre innanzitutto insistere sulla valutazione ed avere il coraggio di troncare i rami secchi per far crescere i rami più verdi. I momenti di crisi sono anche momenti in cui si richiede di rivedere i propri processi produttivi, evitando di competere all‟interno e facendo invece forti alleanze o aggregazioni per essere competitivi sul mercato esterno. quindi costruendo una rete di collaborazioni (dagli Stati Uniti, all‟Europa, alla Cina, alla Nuova Zelanda), che abbia come nodo di riferimento Pavia e copra l‟intero campo delle conoscenze necessarie. Ovviamente non avrebbe neppure senso immaginare questa operazione senza il concorso dell‟Università di Pavia e di altre Istituzioni di ricerca e sviluppo presenti sul territorio. nsieme è possibile e possiamo immaginare un futuro in cui si possano incontrare per le strade di Pavia studenti e ricercatori provenienti da ogni parte del mondo e vivere a Pavia quell‟ambiente multietnico che si respira a Oxford o a Cambridge, che di Pavia hanno anche dimensioni con- M O I Pagina 16 N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1 Viaggio - reportage dalla nuova Europa dell’Est che sta cambiando volto LEOPOLI (L’VOV O L’VIV) È LA SECONDA CITTÀ DELL’UCRAINA (DOPO LA CAPITALE KIEV). SI TROVA NELLA GALIZIA, AL CONFINE CON LA POLONIA; CONTA CIRCA 800 MILA ABITANTI ED È IL CAPOLUOGO DELL’OMONIMA PROVINCIA. QUI SOPRA, LA BANDIERA UCRAINA. V edova da un mese, sono partita il 28 ottobre scorso per l'Ucraina, in compagnia di Nadia, ucraina, che ha assistito mio marito con professionalità, empatia, dedizione assoluta. Per dimostrarle la mia riconoscenza, le ho pagato un breve ritorno in patria, in occasione del matrimonio di un nipote. Ospite a casa sua, nella periferia di Lviv, che noi chiamiamo Leopoli, ne ho approfittato per rivedere l'Ucraina trent‟anni dopo averla percorsa tutta, in macchina e tenda, con quattro amici italiani. n una settimana di permanenza non sono riuscita a vedere completamente la città, capitale della Galizia che è stata una vera sorpresa, emozionante e piena di fascino. Non sapevo che Lviv è stata riconosciuta dall‟Unesco patrimonio dell'Umanità e mi ha sconcertato il fatto che a torto non rientra nei circuiti turistici più gettonati. Penso che si rifarà quando nel 2012 si svolgeranno i campionati europei di calcio per i quali stanno lavorando alacremente per rifare stadi, aeroporto e aggiustare le strade, con i soldi dell‟oligarca Akhmetov, l’uomo più ricco dell‟Ucraina, appassionato di calcio, lo sport più amato dagli ucraini. augurabile che i tifosi che accorreranno non si limitino agli stadi dell‟Ucraina ma trovino il tempo di scoprire il centro della città che si presenta come un gioiello sconosciuto, misterioso e dall‟architettura inaspettata. La città è stata infatti costruita come una ricca torta a più strati, dove nei secoli l‟architettura neoclassica si sovrappone agli stili rococò, barocco, rinascimentale, gotico e medievale. Ho apprezzato anzitutto la piazza centrale del Municipio con una torre altissima da cui, se si ha il coraggio di fare oltre 400 gradini, si gode un bellissimo panora- Elogio delle badanti ucraine e della città di L’vov Marta Ghezzi PANORAMA DI LEOPOLI I È si che hanno convissuto, producendo oltre 300 tra chiese cristiane di vari riti e sinagoghe. Oggi di sinagoghe ne sono rimaste solo due, perlopiù chiuse mentre hanno riaperto molte chiese che i sovietici avevano chiuso (una era diventata museo dell'ateismo) e si nota ovunque un fervore religioso inaspettato. Tutti i giorni le chiese sono affollate, piene di gente, fiori, candele, musica. E non si sa quanto dovuto a genuina devozione popolare o contrapposizione, opposizione politica all‟evidente subordinazione dell‟attuale governo alla Russia di Putin. n effetti la capitale della Galizia ha giocato un ruolo fondamentale nel movimento che ha portato all‟indipendenza dell‟Ucraina nel 1991. È qui che è riemerso il nazionalismo ucraino e la Chiesa greco-cattolica ed è qui che la gente elesse all‟unanimità i politici nazionalisti allestendo dimostrazioni di massa. Oggi la città guarda più all‟Europa che alla Russia ed è stata un baluardo di politici orientati verso occidente. Di fatto capita di vedere in piazza banchetti propagandistici del governo filorusso e banchetti dell‟opposizione che protestano per la carcerazione della Timoscenko… Intanto Yanukovic non è ricevuto dall‟UE proprio per la questione dei diritti civili. urioso che sia i politici governativi che quelli all‟opposizione siano accusati di corruzione e in combutta con le mafie locali e internazionali e l‟Ucraina si trovi al 134 esimo posto nell‟indice di percezione della corruzione, accanto allo Zimbawe… In effetti i vincitori della rivoluzione arancione hanno deluso e non sono senza macchia e il popolo è generalmente scontento. Chi non vuole avere a che fare con le varie mafie, conta solo I ma e da dove si possono vedere distintamente tutti i 40 palazzi che segnano il perimetro della piazza, tra cui spiccano quelli rinascimentali dovuti a mercanti italiani, greci, ungheresi, polacchi, ebrei. eccetera. mperdibile la cappella Boym, vicina alla Cattedrale, stupefacente all‟interno. Imponente è la Cattedrale cattolica romana, piena di bandiere e di pesanti dorature barocche, oltre alla Chiesa della Dormizione, ucraina ortodossa, e alla Chiesa Armena, tra le più antiche. Oltre alle Chiese, numerosi sono i Monasteri - Domenicani, Benedettini, Bernardini, Francescani, Studiti, Basiliti, eccetera. nteressanti anche i Musei dove si posso- I I no vedere Rubens, Bruegel, Goya e Caravaggio e altri pittori europei antichi e moderni. Bello anche il Museo di etnografia e artigianato, quello della architettura e arte polare, quello della birra, eccetera. Importante è l‟Università, che ha 350 anni di storia, e il Teatro dell‟Opera. Lviv ha ricchi cartelloni non solo di musica, balletto, arte drammatica e sperimentale davvero sconcertante. el Viale della Libertà(prospekt Svobody), cuore della città, si alternano monumenti storici imponenti, composizioni floreali dedicate al poeta nazionale Taras Shevchenko, alla Madonna di Medjugorye, ai futuri giochi olimpici, musicisti, statue N viventi, attivisti politici, giocolieri, venditori di merci varie. Per la sua posizione geografica Lviv è stata evidentemente un crocevia di traffici e commerci vari. ontrariamente alle altre città dell‟Ucraina non si nota, almeno in centro, nessun condominio in cemento in stile sovietico. Lviv si fa vanto di essere la città ucraina meno sovietica e rivendica le sue origini nel tredicesimo secolo. In origine era Lev, dal nome del figlio del principe Danilo Halytsky che fondò una fortezza e un castello sulla Collina alta. Poi subentrarono i polacchi, che la chiamarono Lwvov. Nel 1700 fu occupata dagli austriaci che la chiamarono Lem- C berg. Più tardi i russi la ribattezzarono Lvov mantenendo il suo nome storico. E ora gli ucraini, che hanno conquistato l‟autonomia da vent‟anni, la chiamano Lviv. Tutti i toponimi fanno comunque riferimento al leone, riprodotto in tantissimi modi, anche ubriaco… In città regna una vera cultura dei caffè e delle taverne, profondamente radicata, ed è questo che fa tanto mitteleuropea la città. nazisti, che la occuparono per tre anni, dal 1941 al 1945 fecero morire 136 mila persone nel ghetto ebraico e 350 mila nei campi di concentramento. La caratteristica storica di Lvov era il perfetto equilibrio numerico e culturale tra cattolici, ebrei e ortodos- I C (Continua a pagina 17) P a g i na 1 7 N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1 Viaggio - reportage dalla nuova Europa dell’Est che sta cambiando volto L’AMICA NADIA A LEOPOLI MARTA GHEZZI A LEOPOLI (Continua da pagina 16) sulle rimesse delle donne che lavorano all‟ovest, perlopiù come badanti… La transizione democratica era una speranza, condivisa da ucraini e polacchi (che hanno fatto lo stesso percorso ), ma in Ucraina, contrariamente alla Polonia, le speranze sono state cancellate. Sotto certi aspetti gli ucraini vivono meglio e godono di maggiori libertà individuali, ma il sistema politico ed economico resta invischiato nella corruzione, nel m a l a f f a r e e nell‟inefficienza. a il popolo ucraino, che ha subito tante disgrazie nella sua storia, si dimostra orgoglioso, fiero, oltre che paziente. Le donne soprattutto si dimostrano molto forti, instancabili, tenaci, oltre che esteticamente fiere, orgogliose, persino vanitose nel vestirsi con accuratezza M ed eleganza, alla moda. Sono stata ospite in un matrimonio di campagna, con oltre duecento invitati, cibarie, canti e balli dalle 4 del pomeriggio alle 4 del mattino. I bambini erano deliziosi nei loro costumi tradizionali. Le donne si sono presentate con vestiti sgargianti, tacchi altissimi, ma avevano portato anche un cambio di scarpe per ballare scatenate con l‟orchestra che suonava musica popolare. nserite nel contesto di una società bisognosa, soprattutto nei primi anni Novanta le donne, che hanno peculiari caratteristiche come la leggendaria bellezza, la devozione coniugale, la sensualità talvolta sfacciata nel vestire, hanno fornito terreno fertile per il proliferare di agenzie matrimoniali. E anche per il turismo sessuale. La separazione dei ruoli in base al sesso IL MONUMENTO DEDICATO AL POETA E PITTORE TARAS SHEVCHENKO nali ed etiche. In particolare vorrei fare l‟elogio delle badanti ucraine avendone conosciute tante e di varie provenienze. Intanto mi sembrano complessivamente affidabili, scrupolose, attente non solo alla persona ma anche alla casa, alle cose, alla pulizia e all‟ordine. Sanno unire dolcezza e fermezza, fierezza e pazienza, scrupolosità e duttilità. e ho un appunto da fare è che il loro spirito di sacrificio le porta a dimenticare se stesse, i propri bisogni. Tutte tese a soddisfare i bisogni dei loro famigliari in patria, trascurano se stesse, accontentandosi, come evasione, di un giro per i supermercati, trascurando ogni altra occasione di crescita culturale. La massima soddisfazione è spedire quintali di roba a casa , dai detersivi all‟abbigliamento magari prodotto in Cina. Eppure nei mercati ucraini si trova di tutto, per chi ha i soldi. E siccome di soldi nelle famiglie medie in Ucraina ne girano pochi, sono fortunate solo quelle che possono contare sulle rimesse delle parenti che lavorano all‟estero. Così è in atto una forma di riscatto, di orgoglio da parte delle donne ucraine, a prezzo di grossi sacrifici, sia materiali che affettivi. oncludo con i versi di una poetessa ucraina, Lesia Ukrainka, di salute cagionevole, che ha anche viaggiato in Italia: S I è ancora molto radicata in una società paternalistica come quella ucraina, dove persino le tante giovani in carriera danno al loro aspetto un‟importanza maggiore di quanto non facciano le loro colleghe in Occidente. In realtà spesso sono state escluse da incarichi per cui erano professionalmente qualificate e relegate nelle posizioni più sottopagate sulla base di fattori come l‟età, l'aspetto fisico e la situazione familiare. Il mercato del lavoro in Ucraina è un riflesso degli stereotipi arcaici che ancora esistono circa le capacità femminili . nche per questo si spiega il massiccio fenomeno delle donne ucraine che vengono in Italia a fare le badanti, alle quali vorrei fare un elogio meritato come quello per la città di Lvov. Quando fu usato questo termine in qualche norma giuridica o circolare ministeriale molti si indignarono, e anch‟io. Apparve subito come un termine dispregiativo. Sottolineava il ruolo dequalificato, ancillare, di semplici custodi-osservatori di un essere inferiore, fisicamente o psichicamente, un badato appunto. Qualcuno che non merita di più di un altro essere inferiore, dequalificato, emarginato, una donna casalinga e, se prezzolata, meglio straniera, incapace di rivendicare diritti. A L e femministe giustamente hanno stigmatizzato il fatto che per questo servizio le donne bianche emancipate, desiderose di un lavoro qualificante, hanno delegato le straniere, sottopagate, sfruttate e obbligate a trascurare la propria famiglia, con orari pesanti. E magari le straniere sono laureate e diplomate e, rifiutandosi di fare le prostitute, accettano il pesante lavoro di accudire anziani, invalidi, minori. Avendo sperimentato anch‟io il ruolo di badante, non ho trovato un termine accettabile sostitutivo. Mica ci possiamo chiamare care giver, come si nominano in inglese le professioniste dell‟assistenza. E allora mi è venuta voglia di esaltare questo ruolo di badante che è un lavoro di cura nobile come quello dei notai che curano gli interessi dei proprietari, come quello degli spazzini che puliscono le strade e che ora più dignitosamente si chiamano operatori ecologici. Esaltarlo non solo per la sua indubbia utilità (persino la Lega l‟ha dovuto ammettere) ma per le sue implicazioni affettive, relazio- C “…e io, pallida e tremante, andrò verso l’oscurità con il mio altero, maestoso e misterioso genio. Chi mi seguirà? Qualcuno darà alle mie labbra le sue parole, svelerà tutte le meraviglie che conosce. Allora voleranno versi e N um e r o s e tta n ta due - D i c e m br e 2 0 1 1 Pagina 18 Lo scrittore americano Jonathan Franzen e gli anatemi della modernità U na zazzera di capelli brizzolati, 51 anni, giovanile e di bell‟aspetto, nato a Chicago nell‟Illinois, ma cresciuto a Webster Grove, un sobborgo di St. Louis: “il Midwest è nel mio Dna, gli odori e i colori dell‟autunno nel Minnesota, la qualità della luce del mattino sono particolarità che non dimentichi, sono queste le mie radici”. Jonathan Franzen vive a Manhattan, Upper East Side, con la sua compagna Katrina Chetkovich; trascorre le vacanze nella sua casa a Mass Landing, vicino a Santa Cruz, California, dove può praticare l‟attività sportiva preferita di “birdwatching”. Lavora in un ufficio preso in affitto, lontano da ogni distrazione, scrive su un PC portatile obsoleto, sconnesso da Internet e da ogni altro gadget tecnologico. n un‟intervista rilasciata a Lev Grossman della rivista americana “Time”, in occasione della pubblicazione del suo ro ma nzo “Libertà” , cita il filosofo Soeren Kierkegaard, uomo moderno più di quant‟altri mai, e la sua idea di “busyness”, quello stato di distrazione costante che permette alla gente di evitare le realtà difficili e di mantenere le illusioni. È più facile oggigiorno essere “affaccendati”, nel senso kierkegaardiano, con cellulari, email, palmari, videogiochi, che leggere un libro nella quiete e concentrazione profonda della mente. “Siamo così distratti e ingolfati dalle tecnologie che abbiamo creato e dal continuo ininterrotto bombardamento della cosiddetta informazione di cui disponiamo, che è diventato per me un imperativo scrivere libri che siano avvincenti e socialmente utili per resistere al rumore assordante dei media. Il mio scopo sulla terra sembra essere quello di scrivere romanzi, mi sento davvero più libero quando sono incatenato a un progetto, più libero da colpe, ansietà, noia, rabbia, da una vita senza fine”. Le sue parole sembrano riecheggiare quelle di Rainer Maria Rilke, uno scrittore amato da Franzen, quando nel “Testamento”, 1921, scriveva: “Il principio del mio lavoro è I LO SCRITTORE E SAGGISTA STATUNITENSE JONATHAN FRANZEN Luisa Lavelli un‟appassionata sottomissione all‟oggetto che mi tiene occupato, quello, in altre parole, cui appartiene il mio amore”. Un mondo dominato dal consumismo tecnologico è una menzogna”, sostiene nel discorso pronunciato alla cerimonia delle lauree al Kenyon College, Ohio (21.5.2011). “L’ultimo traguardo della tecnologia, il telos della technè, è sostituire un mondo naturale, un mondo di uragani, difficoltà, cuori infranti, con un altro “ mondo slegato dalla realtà, disponibile ai nostri desideri ... Il dolore nella vita fa male ma non uccide. Vivere senza dolore è come un non vivere ... L‟alternativa è un mondo anestetizzato, autosufficiente, incoraggiato dalla tecnologia”. ranzen è accusato di elitismo ma è una critica mendace perché lo scrittore è un alleato formidabile del lettore moderno, che, assediato dai media, godrà dell‟occhio e dell‟orecchio di Franzen. Il suo nuovo romanzo F affiora le radici nell‟esperienza umana; chi legge trova i volti, le relazioni, le passioni, le situazioni, i compromessi, di cui aveva bisogno per accrescere la propria vita, rapportarsi, condividere la complessità delle realtà che circondano noi uomini del XXI secolo. I personaggi immaginati da Franzen sono così vivi da renderli compagni del nostro percorso temporale, grazie a una forza narrativa magnetica, imbattibile, in una cornice sociale non solo americana ma di tutti noi occidentali. na giovane coppia, Walter e Patty Berglund, laureati, appartenenti al ceto medio, orgogliosi degli sforzi compiuti in dieci anni per ristrutturare una casa vittoriana comperata con quattro soldi nella diroccata e decadente St. Paul, Minnesota, si considerano “i giovani pionieri” di Ramsey Hill, quartiere residenziale, o meglio i discendenti dei primi laboriosi fondatori dell‟America piuttosto che degli ingordi sac- U cheggiatori del territorio. Patty, “una trasportatrice solare di polline sociologico, un‟ape affidabile” che ronza alla porta dei vicini con un piatto di dolcetti, un biglietto della lotteria benefica, qualche giunchiglia raccolta nella vallata che colloca in un piccolo vaso comperato al centro commerciale. Patty è un‟atleta, una star del basket con una carriera promettente nella squadra dell‟Università del Minnesota. Appartiene a una famiglia ricca di elevata condizione sociale del Westchester County, New York City, seconda sola a Manhattan per ricchezza. La madre è una “professional Democrat”, immersa nella politica dello Stato ; il padre, avvocato, eroe probono, con i soldi della famiglia difende i poveracci, ispanici, gente di colore e di altre etnie. Patty è la maggiore di quattro figli e “notevolmente più stupida di ogni altra persona, non effettivamente stupida ma relativamente più stupida”. Non è una “grande progressista” e certamente non è una femminista”; se scavi sotto sotto la superficie potresti scoprire egoismo, competizione e reaganismo.” Si sentiva inferiore a Walter in ogni categoria di conoscenza umana eccetto lo sport, ed era consapevole che la sua carriera sarebbe stata quella di allevare dei figli”. Provava una grande gratitudine verso i suoi genitori per non averla mai incoraggiata a essere una persona creativa nelle arti come le due sorelle; alla fine è stato meglio essere stata cons i d er at a “stupida” e “ottusa” che brillante e straordinaria. alter è cresciuto nel rurale Minnesota, figlio di un ubriacone fannullone, veterano della guerra nel Pacifico, e di una madre che gestiva il motel, lavorando come un mulo per devozione e amore verso il marito. Walter è un modello di autodisciplina e abnegazione, di una decenza talmente adamantina che il suo datore di lavoro, la 3M, società mineraria industriale, aveva ritenuto utile parcheggiarlo nel reparto ”assistenza e filantropia”, un posto “ W (Continua a pagina 19) N um e r o s e tta n ta d u e - D i c e m b r e 2 0 1 1 P a g i na 1 9 Lo scrittore americano Jonathan Franzen e gli anatemi della modernità (Continua da pagina 18) tranquillo e isolato, dove la sua “gentilezza” sarebbe stata un “asset” per la società. Ogni giorno fa il pendolare in bicicletta, manifestando così il suo impegno per la causa ambientale che perseguirà nel tempo con tono messianico e fervore strampalato. La qualità saliente di Walter, oltre il suo amore per Patty, era la sua capacità di ascoltare gli altri, che trovava sempre più brillanti e interessanti di lui e di commiserarsi. uando Patty viene stuprata da uno studente del college, figlio di attivisti politici molto ricchi e influenti, i genitori si schierano dalla parte del colpevole, quasi seccati e semplicemente imbarazzati di fronte al dolore fisico e psichico della figlia. “Usare l‟io mi avrebbe impedito di calarmi nei panni dei miei personaggi” così Franzen affida a Patty il compito di scrivere la sua autobiografia su suggerimento della sua terapista. Patty si frattura un ginocchio e l‟incidente doloroso pone termine alla sua carriera agonistica. Sposa Walter, diventa una casalinga, educa una figlia, Jessica, spaventosamente obbediente e saggia, e Jocey, un ribelle, bello, brillante. Giovane repubblicano universitario sfida la sua famiglia andando a convivere con il nemico della porta accanto, l‟arruffata famiglia di destra dove Carol, ragazza madre, l‟unica “che non aveva alzato il tono signorile di Ramsey Hill”, vive con la figlia Connie, una teenager paziente con “un metabolismo di un pesce d‟inverno”, innamorata di Jocey , e con il suo compagno Blake, zotico, rozzo, che si trascina nel quartiere, indossando una maglietta dei Vikings, stivali da lavoro slacciati, impugnando una lattina di birra, sui paraurti del suo pick-up la scritta “Sono bianco e voto”. Subito dopo il suo arrivo inizia ad abbattere gli alberi del suo re- Q cinto che confina con la casa dei Berglund, e a scorrazzare selvaggiam e n t e c o n un‟escavatrice, presa a noleggio, per fare spazio alla costruzione di un grande “salone” all‟aperto. l perno cruciale del triangolo dell‟amore è l‟amico di Walter e compagno di stanza del college universitario, Richard Katz, musicista rock, con una vaga somiglianza di Gheddafi, dal quale Patty, come un numero di altre donne, è attratta, anche se Katz, saturnino e sarcastico, è strettamente legato per qualche ragione “chimicamente profonda” al premuroso, zelante Walter. Una scena vivida è quella che si svolge nel cottage sul lago, a nord del Minnesota, vicino alle” Grand Rapids”, dove Patty, ora sposata, e Richard, rigorosamente libero e scapolo “si aggirano come una coppia di predatori. Patty sta leggendo “Guerra e Pace”. Pietra di paragone di “Freedom” e ha appena finito di leggere le pagine in cui Natasha Rostòv si innamora del Principe Andrei, pur essendo destinata al buon e babbeo Pierre. Non aveva ancora letto quale sarebbe stato il destino di Natasha e si tuffa nello stesso errore nella pura brama degli appetiti. Le sembrava di aver fatto sesso per la prima volta”. (Sam Tanenhaus, The New York Times, 19.8.2010). . Meyers nel suo articolo sulla rivista americana “The Atlantic”, ottobre 2010, critica la prosa giovanile di Franzen che “crea un mondo dove niente d‟importante accade”, e il linguaggio scurrile, in particolare l‟uso di “fuck”, che trivializza l‟atto d‟amore e connota un sesso da bordello o, nel migliore dei casi, impersonale. April Adamson, Minneapolis, “The Atlantic”, dicembre 2010: “… Franzen comprende la nostra alienazione perversa, la paura I R esistenziale, l‟ipocrisia, le vanità …. Più tragicamente Meyers non capisce che il romanzo è la continuazione di una lunga conversazione fra Franzen e l’amico fraterno David Foster Wallace”. Compito del romanziere è impersonare ciò che descrive, anche quando è qualcosa di svilito, volgare, noioso. Non ci sorprendiamo più se oggigiorno la stampa, il palcoscenico, i programmi televisivi, i film in ogni forma d‟arte sisti, i punk cocainomani, l‟ascesa dei neocon, i giovani repubblicani delle università. È migliore, però, quando torna a parlare dei Berglund, dei loro rapporti sempre più incrinati, della loro separazione e del tentativo dei figli di convincerli a tornare insieme. Berglund si trasferiscono a Washington, dove Walter ha ottenuto un lavoro lucrativo alla Commissione Controllo dell‟Ambiente e tutela della natura. Vivono nel I denti di Jefferson, tutto ciò per creare una riserva per un uccello canoro, la dendroica cerulea, nemmeno inclusa nell‟elenco federale delle specie in via di estinzione. Questo divertente stratagemma o f fr e l‟opportunità a Franzen di dare piena voce alle prediche estreme di Walter su sovrappopolazione, consumismo, degrado ambientale, specie in via di estinzione. “Siamo un cancro sul pianeta! È un perfetto Jonathan Franzen Freedom Farrar, Strauss and Giroux New York, agosto 2010 pp. 562 Edizione italiana: Libertà, Einaudi 2011 e la comunicazione di massa in genere usano un registro linguistico billingsgate. È il linguaggio del mondo che invade la nostra soggettività e intimità. rancesco Piccolo, “Il Sole 24 Ore”, 26 settembre 2010: “Il libro parla al cuore tramite le crisi e i sogni dei suoi personaggi … parla anche ai cervelli di noi cittadini occidentali paralizzati dalla complessità, rivelandoci gerghi, regole e meccanismi di tanti sottomondi che hanno un impatto indiretto sulla nostra vita”. ranzen narra con passione anche di temi importanti in ordine sparso: la guerra in Iraq, il basket universitario, l‟impegno civile e la delusione dei progres- F F quartiere residenziale di Georgetown con giunchiglie e narcisi nel giardino. È l‟occasione, dopo la delusione di St. Paul, di manifestare il loro gusto eccellente e tono signorile di “gente bene” urbanizzata. Siamo ora nel 2004, quando era possibile pensare all‟America come a un paese relativamente giovane e r icco , e all‟avventura in Iraq come a una guerra strana nella quale le uniche perdite erano dalla parte dell‟avversario, una cakewalk si diceva. Walter greener than Greenpeace stranamente collude con un ricco texano di una compagnia petrolifera per spogliare la cima di una montagna nel West Virginia, sebbene ciò significhi sradicare duecentomila famiglie locali, la maggior parte povere, tenaci discen- maledetto mondo!” dichiara a un certo punto del suo discorso, mentre il suo sogno si dissolve in una visione angosciosa di una terra dove i vincitori possederanno il futuro, calpesteranno i morti, i morenti, i dimenticati, i disadattati. er Franzen la libertà è una cosa vuota, pericolosamente entropica. Dopotutto le compagnie produttrici di energia sono libere di avvelenare l‟aria, inquinare i mari, devastare il territorio. Vi è qualcosa oltre la libertà di cui la gente ha bisogno: il lavoro, l‟amore, credere in qualcosa. La libertà non basta, non è sufficiente: ciò che conta è che cosa tu fai con la libertà, ciò cui rinunci per la libertà. Non dobbiamo quindi sorprenderci - scrive Franzen - se “la personalità sensibile al sogno di libertà senza limiti sia anche una personalità, dovesse mai il sogno venire meno, incline e propensa alla misantropia e rabbia” . Sam Tannenhaus scrive: “L‟apocalisse quando arriva apre la via a un postludio ambientato nel Minnesota, tanto indimenticabile quanto qualsiasi altra cosa scritta di recente da uno scrittore americano. Franzen ci fa vedere che l‟unico sentiero verso la libertà attraversa il dedalo della nostra vita interiore “. alter, ora un fanatico dalla barba P W grigia e ispida sulle guance, vive a Canterbridge Estate Lake, Itasca State Park, e combatte la guerra contro i gatti, che invadono la sua proprietà, uccidono gli uccelli, lasciando le carcasse nel giardino. Dopo una serie di litigi con Linda, indomita vicina di casa e “tribuno” del quartiere, pensa sia giunto il tempo per Bobby, il gatto di Linda, di pagare personalmente per la sua sociopatia. Prese una trappola che collocò sul vialetto di casa, la riempì come esca di fegatini di pollo e bacon, e aspettò. Dopo due ore sentì, dolce alle sue orecchie, il miagolio straziante di Bobby imprigionato che tentava disperatamente di uscire dalla trappola, che Walter si affrettò a gettare nel bagagliaio della sua Prius e a depositare in una discarica di Minneapolis. Di ritorno al cottage, Walter cominciava a provare compassione per Bobby. Trovò affisso a un tronco di betulla all‟ingresso del vialetto di casa un annuncio con la fotografia di Bobby e la scritta “Mi avete visto? Mi chiamo Bobby e la mia famiglia sente la mia mancanza”. Non gli rincresceva di aver eliminato una minaccia per gli uccelli, ma la vulnerabilità che aveva visto sul musino di Bobby lo rendeva consapevole di un “difetto fatale del suo carattere, il difetto di provare compassione per gli esseri che più odiava”: non un difetto ma la qualità più alta e umanizzante. “ Voi , tutti, preziosi vincitori, andate insieme, partecipate ad ognuno la vostra esultanza, io, vecchia tortora, volerò su quale ramo disseccato, e lì lamenterò il mio compagno (lui non sarà ritrovato) finché non sarò perduta”. [Traduzione di Agostino Lombardo, “Il racconto d‟inverno”, William Shakespeare (V,3)]. Sono le parole che Pauline esclama nella scena finale del “Racconto d‟inverno”, epigrafe di Franzen al suo romanzo. Patty, come Ermione restituita a Leonte, si riconcilia con Walter, l‟unità famigliare si ricompone, nuovi matrimoni possono avvenire, nuove vite nascere, si rinsalda l‟amicizia fraterna fra Walter e Richard, quasi imitazione di Leonte e Polissene, N um e r o s e tt an t adue - D ic e m bre 2 0 11 Pagina 20 L’Antologia di Edgar Lee Masters pietra miliare della letteratura americana Annalisa Gimmi 1915, sotto pseudonimo. Quando però si rese conto del successo che i suoi componimenti riscuotevano tra il pubblico, Masters decise di raccoglierli in volume e di firmarlo con il suo vero nome. a pubblicazione dell‟Antologia di Spoon River è da considerarsi una delle pietre miliari della letteratura americana. È, in poesia, quello che il Moby Dick di Melville ha rappresentato per la narrativa. Un archetipo a cui tutti gli scrittori successivi hanno guardato come imprescindibile modello, ma anche un testo il cui senso travalica quello letterale per giungere a un‟interpretazione della vita e del mondo. O meglio, della vita e del mondo della provincia americana di un secolo fa. esare Pavese disse di questo libro che è «la Divina Commedia della letteratura americana». Presa così, l‟affermazione sembra un‟iperbole. E fa quasi sorridere, di un orgoglio mal trattenuto, noi europei, noi italiani in particolare, depositari di una cultura millenaria che ha saputo creare opere che da sole basterebbero a illuminare l‟intera arte di un paese. Veri e propri monumenti di un‟epoca e di una mentalità. Ma ecco, allora: anche Spoon River è un monumento a un‟epoca (quella puritana di inizio „900 in New England) e a una mentalità. E, come per la Commedia, è un canto corale quello che le dà voce. Ed è la voce dei morti. i sa infatti che le 244 poesie che compongono la raccolta sono ognuna pronunciata da un abitante di Spoon River che ora dorme su La collina (il componimento di apertura, l‟unico che non sia recitato da una delle persone sepolte nel cimitero del paese). Si tratta di vere e proprie confessioni in cui, senza pudori e senza ipocrisie, ognuno racconta la propria visione della vita, della sua e di chi lo L L a provincia è sempre provincia. Un ambiente chiuso in cui tutti si conoscono e in cui ognuno crede di conoscere tutto. Ma la verità si nasconde entro pieghe insondabili. Così ogni piccola comunità - possiamo pensare anche alla nostra città, al suo fiume, alla sua storia, alle sue persone - può diventare emblema della vita intera. Cantore di una piccola comunità e interprete delle sue verità più nascoste è stato all‟inizio del „900 Edgar Lee Masters con il suo Antologia di Spoon River, uno dei testi più noti e più amati della letteratura americana. In Italia questa raccolta di poesie ha ottenuto una notorietà speciale anche grazie al cantautore Fabrizio De Andrè, che nel 1971 le ha dedicato uno degli album più belli, “Non al denaro non all‟amore né al cielo”, i cui testi sono proprio ispirati alle poesie di Edgar Lee Masters. poon River esiste davvero. Si chiama Lewistown e si trova in Illinois, sulle rive del fiume Spoon. È il paese dove Edgar Lee Masters ha trascorso la sua infanzia, prima di trasferirsi a Chicago dove ha intrapreso la carriera di avvocato. Inizialmente, le poesie della raccolta sono uscite alla spicciolata sul “Mirror” di Saint Louis tra il 1914 e il S C S ha accompagnato negli anni terreni. Ed è qui la straordinarietà dell‟opera. 244 persone svelano la propria esistenza, e i suoi inganni, i suoi segreti più inenarrabili, i sentimenti potenti, gli odi, le passioni. Perché sono sinceri, i morti. Non devono più fingere in nome delle convenzioni, del perbenismo, del timore degli altri. E poi sono liberi, i morti, e non temono di dare la propria versione dei fatti, per scandalosa o impensabile possa apparire. Come per le anime incontrate da Dante: ora c’è spazio, nell‟arco di pochi versi, per la Verità. Sia pure una verità parziale, quella racchiusa nell‟animo di ognuno di loro. guidare la scrittura di Masters è stata la lettura dei classici greci e latini. Archetipo indiscusso, l‟Antologia Palatina, la raccolta approntata, nel X secolo, di epigrammi greci che si articola in 15 libri, tra cui uno di epitaffi. È qui che ad esempio compare il testo di Meleagro a cui si deve la frase “ti sia lieve la terra”, diventata una sorta di saluto funebre che spesso compariva sulle lapidi di epoca romana e che verrà ripresa dallo splendido epitaffio di Marziale per Erotion, una bambina morta a cinque anni, forse il più toccante della letteratura di tutti i tempi: “Mollia non rigidus caespes tegat ossa, nec illi, / terra, gravis fueris: non fuit illa tibi”. Sia lieve la terra, ai morti di Spoon River. Alle loro parole che si innalzano nel silenzio della collina. Alle loro verità crudeli. Al vero senso della loro vita. l suo apparire in Italia, l‟Antologia sollevò un turbine da parte della censura del tempo, proprio per quell‟andare contro a ogni convenzione, al perbenismo, alla Chiesa, all‟autorità, a tutte le istituzioni su cui l‟Italia, borghese e fascista, poneva i suoi pilastri. Portato in Italia A A da Cesare Pavese, il testo fu letto da un‟allora giovanissima Fernanda Pivano che ricorda (nell’introduzione all‟edizione italiana, Einaudi, Torino 1943) la commozione profonda che un verso in particolare suscitò in lei: “mentre la IN ALTO, LA COLLINA DI SPOON RIVER baciavo con l'ani- (FOTO DI WILLIAM WILLINGHTON). ma sulle labbra, / QUI SOPRA, FERNANDA PIVANO l'anima d'improv- CON FABRIZIO DE ANDRÈ. viso mi fuggì”. A A SINISTRA, LA COPERTINA DELLA PRIMA parlare è Francis EDIZIONE DELL’ANTOLOGIA DI SPOON Turner, un malato RIVER DI EDGAR LEE MASTERS. di cuore che rinuncia alla vita in cambio dell‟emozione estrema di giornalista, l‟avvocato. Insomun bacio. ma tutto “l‟inclito collegio poa Pivano iniziò così, per litico locale”. E poi ci sono le un interesse puramente persone che non avevano un personale, a tradurre alcune ruolo, se non quello di vivere di quelle poesie, finché Pavese e di ricercare un‟impossibile non ebbe occasione di leggerle felicità. e decise che quei testi dovevae poesie si richiamano no essere pubblicati. spesso le une con le altre, a, com‟è il paese di Spo- offrendo un lettura poliedrica on River? Sappiamo che degli stessi fatti. Seguiamo c‟è una chiesa, luogo di incon- alcune di queste vicende, cotro e di preghiera, ma anche me sono raccontate dai loro una banca, una fabbrica di protagonisti. Uno scandalo di scatolame che dà lavoro a cui ancora si sussurra in paese gran parte degli abitanti, c‟è è stato quello che ha condotto una ferrovia, e sappiamo che i alla morte Minerva Jones. Mipezzi grossi del paese voglio- nerva ci racconta di essere no la costruzione di un acque- stata una giovane grossa e dotto. Sono complessivamen- sgraziata, ma con uno spirito te 248 i personaggi che com- lieve da poetessa (come non paiono nell‟Antologia. I “pezzi pensare a Saffo …). Il “corpo grossi” come Thomas Rodes, goffo, l'occhio guercio, e il diacono e maggiore azionista passo largo” sono stati oggetdella banca, e suo figlio Ralph to delle risa di scherno dei che, con investimenti sbaglia- giovani del luogo, finché un ti, ha rovinato la banca del giorno uno di loro, “Butch” padre (“io compravo grano Weldy, certo più per beffa che anche per lui / che non pote- per desiderio, la profanò abva firmare i contratti a suo bandonandola al suo destino. nome / per via dei suoi rap- Minerva, disperata, si presenporti con la Chiesa. / E men- tò al dottor Meyers, un uomo tre George Reece scontò la sensibile e disposto a capire i pena / io inseguii il fuoco fa- mali della gente, perché risoltuo del piacere / e l’inganno vesse nel silenzio un trauma del vino a New York ”); il sin- che portava con sé un‟enorme daco Boold; il giudice Slah vergogna. E lì, nello studio del Lively; il procuratore legale medico, Minerva trovò la Benjamin Pantier. E poi i me- morte. La sorte però ha le sue (Continua a pagina 21) dici, il farmacista, l‟ottico, il L M L N um e r o s e tt an t ad u e - D ic e m b re 2 0 11 P a g i na 2 1 L’Antologia di Edgar Lee Masters pietra miliare della letteratura americana A SINISTRA, LA COLLINA DI SPOON RIVER (FOTO DI WILLIAM WILLINGHTON). QUI, EDGAR LEE MASTERS A DESTRA, CESARE PAVESE. SOTTO, LA COPERTINA DEL DISCO DI FABRIZIO DE ANDRÈ “NON AL DENARO NON ALL’AMORE NÉ AL CIELO”, DEL 1971, I CUI TESTI ERANO ISPIRATI ALLE POESIE DI EDGAR LEE MASTERS. (Continua da pagina 20) strane regole, ed ecco che “Butch” Weldy, proprio quando pareva aver trovato un equilibrio (“Mi convertii e misi la testa a partito”) saltò in aria nella fabbrica di scatolame dove aveva trovato lavoro, a causa di un‟esplosione e restò cieco e senza nessun risarcimento “Il Giudice distrettuale disse che chi lo aveva fatto / era un mio compagno di lavoro, e dunque / il figlio del vecchio Rhodes non mi doveva nulla”. Ma la seconda vera vittima di questo scandalo, insieme a Minerva, è il dottor Meyers. Disponibile con chi- unque avesse bisogno, amato dai suoi pazienti, serenamente sposato e benestante, una sera vede arrivare da lui Minerva in lacrime che lo prega di aiutarla. Lui ne ha pietà, e compie un‟azione illegale. Ma Minerva muore, e la carriere e la stessa vita del dottor Meyers crollano di colpo. Non vale un‟intera esistenza di onestà e di dedizione, se un errore fatale si abbatte sul destino dell‟uomo. La moglie di Meyers non riuscì mai a superare questa vergogna e questo shock. Nel puritanesimo del New England certi errori non possono essere perdonati. Anche il padre di Minerva parla, il vecchio Jones “l’indignato”, rimpiangendo il suo “buon Giorgio ceppo gallese” e il fatto di essere “stato a scuola” e aver “letto dei libri”, perché “Qualche volta la vita di un uomo si trasforma in un cancro / a forza di venire continuamente ammaccata, / e gonfia in una massa purpurea, / come escrescenza su uno stelo di granturco”. E il ricordo della “povera Minerva, / mia figlia, / che voi tormentaste e spingeste alla morte” non è che uno dei tanti episodi che hanno distrutto la sua vita. ‟è un altro medico a Spoon River, amato da tutti per la sua dedizione al prossimo, per la sensibilità nei confronti dei malati e dei sofferenti, per C la sua capacità di esserci semForni pre quando c‟è bisogno di lui, a ogni ora, in ogni giorno. Un uomo considerato quasi un santo o un eroe. Si tratta del dottor Hill che nel suo epitaffio ci confessa: “Sapete perché? / Mia moglie mi odiava, mio figlio andò in rovina; / e io mi volsi alla gente e riversai su questa il mio amore”. Solitudine e disperazione, nella vita dell‟amato dottore. Ma solo quello? No: una donna lo ha amato diversamente, in silenzio, con discrezione e rispetto. E l‟ipocrisia della gente non ha mai permesso che questo amore fosse onorato come meritava, neppure nel momento dell‟addio. “Ma, Dio mio, mi tremò l’anima - a stento / capace di reggersi davanti alla nuova vita / quando vidi Em Stanton dietro la quercia / della tomba, / che nascondeva se stessa, e il suo dolore!”. Già, il matrimonio a volte può essere peggio di una prigione. Soprattutto quando non si riesce a parlare e ad ascoltare, quando non ci si capisce e si è inflessibili sui propri principi. Come racconta Ollie McGee che si sente rapinata “di giovinezza e bellezza” e che ora, da morta, ha la sua vendetta: “sapete cos’è che rode il cuore a mio marito? / L’aspetto che ero, l’aspetto di ciò che mi ha reso!”. a non sono tutte dolorose, le storie di Spoon River. C‟è anche la gioia, la pace, la capacità di vivere. La felicità è una cosa strana che si trova dove meno si pensa. Willard Fluke muore disperato perché crede che la sua bambina, Lois, nata cieca, sia stata la giusta punizione per i sui peccati, ma Lois è invece totalmente felice: “fui la più felice delle donne / come moglie, come madre e massaia / M […] / perché giravo per le stanze / e per il giardino / con un istinto infallibile come la vista, / quasi che avessi gli occhi sulle punte delle dita - / Gloria a Dio nei cieli”. È felicità anche ricordare i luoghi della giovinezza, come fa Hare Drummer: “Spesso ridendo con ragazzi e ragazze / io giocai nella strada e sulle colline / quando il sole era basso e l’aria fresca, / fermandomi a bastonare il noce / ritto, senza una foglia, contro il tramonto in fiamme”. (Come non ricordare l‟orizzonte fiammeggiante del finale del primo tempo di Via col vento? Quando Rossella, dopo aver raspato la terra bruciata alla ricerca di una radice che potesse placare il suo digiuno, alza un pugno pieno di rabbia verso il cielo al tramonto giurando che “non avrebbe mai più sofferto la fame”). La brigata dei ragazzi arrivava fino a casa di Siever, che sedeva sotto il suo melo, a bere il sidro che lui ne traeva. E sotto quel melo ora riposa lo stesso Siever: “Non in quel giardino abbandonato / dove i corpi si trasformano in erba / che non nutre greggi, e in sempreverdi / che non portano frutto / […] / ma qui sotto il melo / che amavo, vegliavo e sarchiavo / […] / e negli epitaffi viventi / di mele più rosse!”. nfine c‟è il suonatore Jones, amato da Fabrizio De André, che ha trascorso la vita a cantare e a portare agli altri la gioia e la voglia di danzare, e che nella versione musicale del cantautore genovese “finì con i campi alle ortiche / finì con un flauto spezzato / e un ridere rauco / e ricordi tanti / e nemmeno un rimpianto”, padrone della propria vita, senza debiti "non al denaro, non all'amore né al cielo". I N um e r o s e tt an t adue - D ic e m bre 2 0 11 Pagina 22 Il Collegio degli Ingegneri e degli Architetti di Pavia H a 151 anni e non li dimostra. Il Collegio degli Ingegneri e degli Architetti della provincia di Pavia è una delle istituzioni che hanno contraddistinto in modo puntuale la crescita economica e culturale del territorio. Fu fondato il 22 gennaio 1860 allorché, a seguito dell’unione della Lombardia con il Piemonte, il nuovo governo riconosceva ai tecnici lombardi abilitati la possibilità di esercitare pure l’attività professionale nell’antico Regno di Sardegna e nell’anno seguente invitava le autorità locali a predisporre un esatto elenco dei tecnici, compresi i ragionieri, sulla base delle patenti dichiarate dai singoli interessati. È una storia, tuttavia, che è possibile ricostruire sin dal 1399: il Codice Della Croce presso la Biblioteca Ambrosiana del 25 marzo e 27 aprile di quell’anno documenta le prestazioni che il Duca di Milano richiedeva agli ingegneri camerali riconosciuti idonei ci, la società ripercorre la propria storia e ne preconizza il futuro”. “Le iniziative del Collegio - aggiungeva il presidente dell’Ordine degli Architetti Aldo Lorini si sono sempre distinte per la particolare caratteristica di voler costantemente individuare elementi unificanti e di progresso. È opportuno ricordare come le professioni di ingegnere e di architetto, pur avendo albi e ordini separati, hanno invece un comune ordinamento”. “Il riferimento alle finalità del 1860 - scriveva il presidente del Collegio Giovanni Rigone – costituisce la chiave di lettura dell’impegno che il Collegio ha svolto per 150 anni sino a oggi: da un lato l’azione che tende a far crescere la conoscenza scientifica e la cultura dei soci, dall’altro il contribuire all’evoluzione della comunità in termini morali, culturali e sociali. Ne sono testimoni le prime attività con la costituzione, nel 1861, di una commissione per I l Collegio degli Ingegneri e degli Architetti ha avuto, nel corso della sua storia, dei periodi di florida e prosperosa attività ma ha anche affrontato difficoltà, ha avuto disavventure; ha sofferto crisi, è stato sciolto e ricostituito con diverse alternanze; è stato l’ultima volta ricomposto al termine della seconda guerra mondiale e ha celebrato nel 1971 il cinquantesimo anniversario della sua dimensione federativa a livello nazionale con un apposito convegno dedicato alla difesa della natura. Per oltre un ventennio è stato presidente Luigi Canepari: durante questo periodo si è svolto nel 1964 il Convegno di studio sul centro storico di Pavia, che ha richiesto un impegno della durata di sei anni e i cui atti sono stati pubblicati nel 1968. Nel dicembre 1985 il consiglio direttivo deliberò di realizzare un’opera che consentisse di conoscere le origini, la storia e la cronaca del Collegio nel L e attività culturali e di ricerca 19852010 hanno prodotto una serie di studi di altissimo livello: “Pavia e la provincia, prospettiva per gli anni 2000” (maggio 1986); “I problemi della viabilità e dei parcheggi nel centro storico di Voghera” (maggio 1988); “Ipotesi progettuali per la revisione del Piano regolatore di Vigevano” (luglio 1989); “Mortara, proposte di riassetto della viabilità e di isola pedonale” (gennaio 1991); “Miscellanea” (maggio 1991); “Pavia, la variante generale al Piano regolatore generale” (1993); “Pavia, prezziario delle tipologie edilizie della Provincia di Pavia” (giugno 1998); “Pavia, prime considerazioni sul progetto di nuovo Piano regolatore generale” (22 novembre 1999); “Pavia, osservazioni al nuovo PRG” (4 aprile 2000). na tappa miliare è stata l’assemblea generale straordinaria U L’INTERVENTO DI GIOVANNI RIGONE AL CONVEGNO PER I 150 ANNI DEL COLLEGIO DEGLI INGEGNERI E DEGLI ARCHITETTI IN AULA FOSCOLO per la realizzazione delle opere di interesse pubblico: la formazione delle mura a difesa della città, la rilevazione e la descrizione del suo territorio, la livellazione e la costruzione dei navigli, la fabbrica di grandi edifici per il culto, la predisposizione di misure economiche come la ripartizione dei cambi. L’atto del 1399, in particolare, si riferiva alla costruzione di un canale da Milano a Binasco e da Milano al Po a completamento dell’opera. La storia è raccontata nel volume “Il Collegio degli Ingegneri e degli Architetti della provincia di Pavia 150 anni, eventi tra cronaca e storia”, pubblicato nel 2010. Forte è l’impegno - scriveva il presidente onorario del Collegio, Luigi Canepari, che ha compiuto 104 anni a ottobre - di stimolo e di qualificata propulsione per lo studio e la formulazione di soluzioni ai molti problemi che suscitano preoccupanti riflessioni e pensieri di rilevanza morale e culturale”. “Fin dalle prime forme di incisioni rupestri affermava il presidente dell’Ordine degli Ingegneri Giampiero Canevari - attraverso i pittogrammi, alle scritture nelle loro svariate accezioni, alla pittura, alla scultura, alla musica, alla danza, al teatro fino ai recenti mezzi di espressione e formazione radiotelevisivi e telemati- “ valutare l’interesse di Pavia per una stazione ferroviaria a Milano tra Porta Ticinese e Porta Romana e il 14 luglio dello stesso anno con il rapporto della commissione incaricata di indicare il valico ferroviario preferibile attraverso le Alpi elvetiche”. ngegneri e architetti: un binomio la cui origine quale risposta razionale alle necessità della società è lontana ma vigorosa nel tempo. Ne è un esemp i o , a M i l a n o , l a f o n d a zi o n e dell’Università degli Ingegneri, Architetti e Agrimensori che, nella metà del sedicesimo secolo sancisce l’interesse comunitario alla formazione dei tecnici; la successiva evoluzione del Collegio la cui struttura autonoma svincola l’organismo da larvati ma persistenti condizionamenti estranei, e la definitiva regolamentazione pubblicistica teresiana degli organismi collegiali non sono che aspetti funzionali dell’aderenza attiva della categoria al volgere dei tempi. A partire dal secolo scorso, il rapido progredire della scienza e della tecnica applicativa che vede la categoria protagonista, nei campi congruenti, ne impone la diversificazione e la specializzazione, la cui spinta e capillarizzazione sono ormai fenomeni odierni. I 125° della costituzione e nel 65° della sua fondazione federativa. La persona scelta per l’opera fu il professor ingegner Alberto Gabba. L’opera ripercorre la continuità della professione dell’ingegnere e dell’architetto, a partire dalla Guida del 1399, quindi il primo tentativo di costituire il Collegio nel 1654, l’impegno formativo e di produzione scientifica di Marco Antonio Andreoli tra la fine del 1600 e il 1730, la Congregazione del 1810, gli statuti del 1887, per finire alle tappe del ventesimo secolo. Impossibile enumerare e citare tutte le attività attraverso i secoli. Conviene appuntare l’attenzione sull’ultimo scorcio di iniziative del Collegio. Vi è stata la partecipazione al Festival dei Saperi 2010, “Dialoghi sulle libertà tra possibilità e limiti”: il contributo presentato è consistito in un excursus sui 150 anni del Collegio. Si è poi tenuto il Caffè Scientifico alla libreria Loft 10: gli ultimi incontri sono stati “due chiacchiere e un happy hour” con Antonio Barili (“Ingegnere mi faccia capire”) il 28 ottobre, con Stefano Fornari (“Il funambolo dell’Open Source”) il 25 novembre e con Giorgio Rigone (“Ingegnere, il muro sta male?”) con Giorgio Rigone. del 23 settembre 2009, che ha segnato un punto di svolta perché il Collegio potesse procedere nella propria attività sulla scorta di una nuova organizzazione statutaria. Il traguardo è stato raggiunto nel dicembre con l’approvazione del nuovo statuto. Un punto saliente è la volontarietà dell’adesione al Collegio e quindi l’assunzione di un atteggiamento di partecipazione attiva a seguito di una dichiarazione di disponibilità. A oggi ben 260 soci costituiscono le risorse umane del Collegio; sono lì a sottolineare la condivisione delle finalità statutarie e la disponibilità ad operare. Un altro punto saliente è la sottolineatura, riprendendo un passo dell’assemblea del 2 dicembre 2007, della continuità storica con le “Guide date alli Ingegneri per andare alle valli e alle paludi del Po” del 23 gennaio 1399 e con l’opera del Collegio degli Ingegneri di Pavia, fondato tra il dicembre 1859 e il gennaio 1860, nonché del Collegio degli Ingegneri fondato il 29 gennaio 1921 quale sezione di Pavia dell’ANIAI (Associazione nazionale ingegnerie architetti italiani). Il Collegio raccoglie pure l’eredità che proviene dal 1859 con la rifondazione del Collegio degli Ingegneri e degli Architetti di Pavia avvenuta il 10 novembre 1945. Il N um e r o s e tt an t ad u e - D ic e m b re 2 0 11 P a g i na 2 3 FOTO DI CRISTIANO VASSALLI GIORGIO FORNI FONDAZIONE SARTIRANA ARTE N on par vero, ma da tanto data il rapporto di dialogo interessato alla scultura, persin prima della costituzione (1981) del Centro Studi della Lomellina. Una sorta di passione, curiosità e/o interesse, maturata dalle frequentazioni con un genius loci dell’arte plastica quale Alberto Ghinzani, che ha sempre tenuto casa e studio anche in quel di Valle Lomellina. C on lui e con Claudio Bertoluzzi, assessore alla cultura della Provincia di Pavia già sul finire degli anni Settanta, videro la luce le prime mostre itineranti di sculture, portate nelle piazze di Voghera, Lomello, Scaldasole, Pavia e Vigevano con l’intento di promuovere un incontro diretto tra l’opera e i cittadini. Con la nascita poi del citato Centro Studi a Sartirana, braccio operativo culturale di una compagine di giovani volonterosi che si raccolsero intorno alle figure del già citato scultore Alberto Ghinzani e di due munifici sostenitori quali furono il notaio Ugo Reitano e il “cineasta” Conte Eriprando Visconti di Modrone, iniziò invece un’attività strutturata in appuntamenti annuali. Dedicati alle mostre antologiche delle opere di alcuni grandi artisti, quali furono Fausto Melotti, lo stesso Alberto Ghinzani, Giacomo Benevelli, Umberto Milani, Regina, Pietro Consagra e altri a seguire, anche giovanissimi, invitati tra gli allievi delle Accademie di Belle Arti, in alcune fortunate edizioni di una “Biennale giovani”. a fu proprio già l’autunno 1980 a vedere le prime sale restaurate del sino allora abbandonato Castello di Sartirana quale sede espositiva di tre scultori a rappresentare la ricerca plastica in Lomellina tra il volgere del XIX secolo e la contemporaneità. Fu la mostra “100 anni di scultura in Lomellina” che ripresentò le opere dimenticate di Bialetti M e Regina (Cassolo) in dialogo con quelle create in quegli anni da Alberto Ghinzani. Due importanti momenti pubblici erano stati qualche anno prima la collocazione del “grande disco” concesso da Arnaldo Pomodoro per la piazza Ducale di Vigevano (1975, nella foto), grazie alla quale fu raggiunto l’obiettivo di cacciare il parcheggio di autoveicoli a cui il gioiello rinascimentale era allora ridotto, per ridestinarlo in permanenza a salotto buono della città. Il secondo (1976) fu rappresentato dall’intervento di Mauro Staccioli nel Castello Visconteo Sforzesco appena riconsegnato alla Città Ducale, dopo più di un decennio di abbandono, seguito alla partenza del distaccamento dei bersaglieri che lo aveva sino ad allora occupato. ue episodi significativi grazie ai quali, come fossero stati detonatori o catalizzatori di un processo, prese avvio questa storia singolare. A contrappuntarla intervennero poi nuovi progetti, nati a Sartirana, quali la collettiva “Scultura e Colore” che, riflessione sulla pratica degli antichi di colorare le sculture, volle raccogliere in una esposizione un gruppo rilevante di opere plastiche cui gli autori avevano aggiunto il fascino della policromia in alternativa alla semplice e usuale patina. Da Sartirana la collezione arrivò al Castello Visconteo di Pavia, dove fu ospitata nelle D Giorgio Forni Sale del Romanico, per giungere infine al Museo di Gazzoldo sul bordo dei laghi di Mantova. Con Rossana Bossaglia si allestirono poi spettacolari mostre di opere monumentali di Arnaldo Pomodoro, Augusto Perez e Pietro Cascella negli spazi aperti, nel Castello e nei cortili dell’Università di Pavia, sino a giungere (2000) alla mostra “Dialogo fra generazioni” allestita, sempre con Rossana Bossaglia e la Provincia di Pavia, al Giardino Malaspina e nelle Sale attigue del Convento dell’Annunciata. Nel frattempo Arnaldo Pomodoro concedeva per il Parco del Castello di Sartirana il grande bronzo “Pietrarubbia”, sostituito dopo anni, alla sua partenza per il Giappone, da una grande opera di Angelo Bozzola. asce in questo periodo il progetto di un Centro di Documentazione della scultura italiana del XX secolo, con l’obiettivo di raccogliere, insieme a quante più opere possibili, anche tutti quei materiali (cataloghi, pubblicazioni, video, eccetera) che potessero contribuire a raccontare e divulgare una sorta di ruolo svolto dalla scultura, non solo per abbellire piazze o arricchire collezioni private, ma soprattutto per diffondere, decodificato da un opportuno vocabolario, il senso e il valore dell’opera plastica. Tale intenzione si era maturata nel tempo, an- N che in seguito a una campagna di catalogazione e documentazione fotografica fatta dai volontari del Centro Studi nei primi anni Ottanta, con Mariolina Olivari e Barbara Fabian della Soprintendenza dei Beni Artistici di Brera, di tutte le “sculture”, essenzialmente figurative, collocate in permanenza e ormai elementi consolidati del paesaggio urbano, nelle piazze di centri grandi e piccoli del nostro territorio. Progetto questo fondamentalmente di ricognizione e di ricostruzione di una storia di relazioni tra artisti e cittadinanze, commesse e motivazioni; con l’idea di disegnare una rete anche capace di collegare i pochi spazi pubblici strutturati con caratteristiche museali. Pavia e Vigevano, soltanto a quel tempo, ma già con il progetto poi realizzato del Museo Regina a Mede e di quello in pectore per Sartirana. Dove nel frattempo furono collocate nelle vie del borgo opere concesse in comodato da Nado Canuti, Marcello Pirro, Alberto Ghinzani, Carlo Mo, perché iniziassero a dialogare con i rilievi bronzei di Leonardo Bistolfi e la collezione che iniziava a diventare importante negli archivi del Castello. Opere, di media e piccola dimensione, raccolte da quella che stava istituendosi come Fondazione Sartirana Arte, firmate da artisti del calibro di: Fausto Melotti, Pietro Consagra, Giacomo Benevelli, Arnaldo e Giò Pomodoro, Umberto Milani, Carlo Mo, Marcello Pirro, Alberto Ghinzani, Sergio Alberti, Angelo Rinaldi, Alex Corno, Marco Lodola, Michele Festa, Mauro Staccioli, Nicola Carrino, Graziano Leonardelli, Paolo Cristiani, Angelo Bozzola, Regina e molti altri, soprattutto con opere premiate e acquistate nel corso delle biennali riservate ai giovani artisti. na selezione di queste opere, quelle di piccole dimensioni unicamente per facilità di trasporto, hanno anticipato il progetto di un museo allestito in permanenza, con una serie di mostre “portabandiera” organizzate negli ultimi 10 anni in molti Paesi stranieri, in collaborazione con il Ministero per gli Affari Esteri. Portabandiera in senso stretto, a illustrare a pubblici lontani le costanti abilità dei nostri scultori, portatrici di quel messaggio di libertà intellettuale e valori civili di cui la cultura, anche quella plastica, è veicolo simbolico efficace e comunicativo. La bellezza salverà il “mondo” (diceva Dostoievski). Cos’altro se non la bellezza, soprattutto in questi tempi di finanza selvaggia e di deregulation globalizzata? A questa domanda retorica il progetto che presentiamo vorrebbe contribuire a dare una risposta. Un contributo anche piccolissimo, una tessera intanto, che a livello locale possa fungere quale utile strumento per una riflessione collettiva. U Pagina 24 N um e r o s e tt an t adue - D ic e m bre 2 0 11