QOHELET: MAESTRO DEL POPOLO DI DIO
Anzitutto comincio col dire che ci troviamo di fronte a un libretto - il Qohelet è
composto da dodici pagine -, un'opera breve ma inesauribile, enigmatica e insieme
seducente, unitaria e insieme complessa in cui si trovano elementi, forme, espressioni,
parole e pensieri difficilmente conciliabili, che sembrano spezzare quasi ad ogni passo
l'unità letteraria, la prospettiva e l'unità di pensiero; tanto piena di suggestioni quest'opera
da sembrare e essere realmente sfuggente. quasi impossibile da definire e determinare, al
punto da originare molteplici e differenti e spesso contrastanti letture in quel mondo
particolare che sono gli studiosi, ma anche nell'insieme di quella lettura che si è svolta sia
nella comunità cristiana e nei padri della chiesa sia all'interno della comunità ebraica che non subito ma nel corso della sua storia - ha utilizzato questo libretto per illuminare, per
approfondire quella celebrazione grande e significativa che è la festa dei Tabernacoli o
festa del raccolto, collegata alla memoria del deserto e insieme alla gratitudine per la terra
promessa.
Il cammino che cominciamo insieme non può essere che un cammino particolare:
accennavo alla molteplicità delle prospettive, alla molteplicità delle letture che
caratterizzano e insieme assediano in qualche modo questo libro. Si tratta dunque di una
lettura particolare, che io condivido con altri fratelli e sorelle nella ricerca rispettosa
dell'intelligenza e della fede. Però chiaramente vi capiterà di sentire o leggere diverse
prospettive di lettura di questo testo. Ribadisco quindi questo carattere particolare e
parziale.
Comincio con un metodo di lettura che è stato molto praticato dagli antichi Maestri
ebrei e dai padri della chiesa, che partivano dalla constatazione che in questo libro si usa
un espediente conosciuto nella retorica antica e praticato anche in quella moderna, che è
l'espediente della prosopopea, che significa mettere in scena, introdurre un personaggio
del passato, quindi morto o assente perché distante nello spazio, e in qualche modo farlo
parlare, mettere in bocca a lui dei discorsi che appaiono discorsi di questo personaggio
ma di fatto sono pensieri e parole dell'autore. Mettere in scena un personaggio per
comunicare attraverso di lui un messaggio particolare.
Questo metodo nella lettura del Qohelet è stato molto seguito anticamente ma, nei
secoli più vicini a noi, è caduto progressivamente in disuso e nel disprezzo. lo vorrei
1
riprenderlo perché lo ritengo fruttuoso e utile.
Mi riferisco al fatto che il maestro che parla nel libro si nasconde in qualche modo
sotto il nome di Salomone, come si vede già dal primo versetto: “Io Qohelet, sono stato re
d'Israele in Gerusalemme”.
Che significato ha il fatto che l'autore, conosciuto solo dal nome un po' enigmatico 1 ,
si sia rivestito di questo personaggio? A quale scopo? Con quale intenzione? La risposta
che tenterò di dare è questa: l'autore assumendo la figura dell’antico e glorioso re
Salomone,
figura
ormai
radicata
gloriosamente
e
per
tanti
aspetti
anche
problematicamente nella storia di Israele, vuole fare un esercizio di lettura della Scrittura:
in questo senso è maestro. È maestro perché vuole insegnare a leggere l'esperienza
umana, ma vuole insegnare a leggerla attraverso la ripresa, la rilettura della narrazione
antica su questo glorioso re d'Israele. In questo senso mi sembra che il metodo di lavoro di
questo autore - Qohelet, colui che parla autorevolmente all'assemblea - dia un esempio di
lettura della Scrittura che non è semplice ripetizione ma è una rilettura critica e intelligente
e attualizzante e in questo Qohelet può diventare per noi maestro di lettura della Scrittura,
perché anche noi dobbiamo in qualche modo affrontare lo stesso problema, anche noi
esercitiamo la stessa pratica, leggere o ascoltare parole intorno a personaggi antichi ma
che non sono sorpassati, non come parole passate ma come parole significative per il
presente, capaci di provocare la riflessione e le decisioni per il presente. Anzitutto vorrei
mostrare come Qohelet legge la storia dell'antico re Salomone. Cercherò di fare il
paragone fra due testi: leggiamo il testo antico (primo libro dei Re) e vediamo come le
affermazioni contenute in quel testo sono riprese e attualizzate, in qualche modo riscritte
dall'autore che si esprime nel libretto di Qohelet.
Una prima affermazione la troviamo in 1Re 3, sul tema del dono della sapienza a
Salomone, dono che risponde a una domanda:
4
Il re andò a Gàbaon per offrirvi sacrifici, perché ivi sorgeva l'altura più grande. Su
quell'altare Salomone offrì mille olocausti. 5 A Gàbaon il Signore apparve a Salomone
in sogno durante la notte. Dio disse: "Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda".
1
Qohelet significa uomo dell’assemblea, l’uomo che appartiene all’assemblea e l’uomo che svolge una
funzione autorevole nell’assemblea, perché viene presentato come figlio di Davide e re di Gerusalemme, e
alla fine, in una sezione che la maggior parte degli studiosi ritiene aggiunta da un discepolo, Qohelet viene
presentato come Maestro del popolo, dunque due funzioni, una regale e una magistrale.
2
6
Salomone disse: "Tu hai trattato il tuo servo Davide, mio padre, con grande amore,
perché egli aveva camminato davanti a te con fedeltà, con giustizia e con cuore retto
verso di te. Tu gli hai conservato questo grande amore e gli hai dato un figlio che siede
sul suo trono, come avviene oggi. 7 Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo
servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come
regolarmi. 8 Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che
per quantità non si può calcolare né contare.
9
Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male;
infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?".
Signore che Salomone avesse domandato questa cosa.
11
10
Piacque agli occhi del
Dio gli disse: "Poiché hai
domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato
per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il
discernimento nel giudicare, 12 ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore
saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te.
13
Ti
concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria, come a nessun
altro fra i re, per tutta la tua vita.
E poi subito dopo abbiamo l'esercizio del dono della sapienza nel famoso giudizio di
Salomone, nell'episodio delle due madri che si disputano il medesimo bambino. Ricordate
la scena e l'espediente della spada attraverso cui Salomone fa emergere quanto è
nascosto nel cuore delle due donne. Uno degli aspetti della sapienza di Salomone è
proprio quello di far emergere la verità nascosta, che ha a che fare con ciò che è giusto o
ingiusto, con chi è colpevole o innocente. E il racconto conclude:
Tutti gli Israeliti seppero della sentenza pronunciata dal re e concepirono rispetto per il re,
perché avevano constatato che la saggezza di Dio era in lui per rendere giustizia.
Quindi in questa prima pagina troviamo due grandi temi:
(a)
la sapienza è dono di Dio
(b)
e dono efficace
perché permette di identificare con sicurezza la verità e fare giustizia in una situazione
difficile.
La lettura di un testo come questo poteva dare origine a qualche pensiero deformato:
poteva per esempio far pensare che il dono di Dio esonerasse dalla fatica della ricerca;
poteva fai pensare che la sapienza, che deve esse re domandata e accolta come dono di
3
Dio, in qualche modo esonerasse da quello che è il contributo faticoso, rischioso e
doloroso della ricerca umana. Ecco una possibile errata interpretazione: per esaltare il
primato di Dio e l'efficacia del suo dono e della sua grazia, banalizzare ed emarginare
l'intelligenza, la ragione e la ricerca dell'uomo; un dono di Dio che garantisce l'infallibilità
totale e dà la certezza di indovinare sempre, di riuscire sempre con immediatezza e con
una relativa facilità a distinguere il bene dal male, il giusto dall'ingiusto, quasi un
trionfalismo della grazia in nome del dono di Dio e per esaltare il Suo primato. Il pericolo è
quello di ignorare la complessità e la fatica della realtà e della convivenza sociale e di
emarginare o banalizzare il contributo e il coinvolgimento della persona, della sua libertà e
umanità, della sua ragione e della sua intelligenza. Proviamo a vedere adesso la rilettura
che ne fa Qohelet. Egli sa bene che la sapienza è dono di Dio. Quindi dal punto di vista
ideale, o dei principi, c'è consonanza con il testo antico, anzi Qohelet riprende quel motivo
e dice esplicitamente: “la sapienza è donata da Dio a chi gli è gradito” (2,20).
Ma guardate quello che dice di Salomone per quanto riguarda il suo rapporto con la
sapienza (1,12-18):
12
Io, Qoèlet, fui re d'Israele a Gerusalemme.
13
Mi sono proposto di ricercare ed esplorare con
saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo. Questa è un'occupazione gravosa che Dio ha dato agli
uomini, perché vi si affatichino.
14
Ho visto tutte le opere che si fanno sotto il sole, ed ecco: tutto è
vanità e un correre dietro al vento.
15 Ciò
che è storto non si può raddrizzare
e quel che manca non si può contare.
16
Pensavo e dicevo fra me: "Ecco, io sono cresciuto e avanzato in sapienza più di quanti
regnarono prima di me a Gerusalemme. La mia mente ha curato molto la sapienza e la scienza". 17
Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho
capito che anche questo è un correre dietro al vento. 18 Infatti:
molta sapienza, molto affanno;
chi accresce il sapere aumenta il dolore.
Vedete la differenza di prospettiva, come questa rilettura corregge, mette in guardia,
aiuta veramente ad evitare quelle tentazioni, valorizzando l'aspetto di integrazione e di
correzione dei possibili fraintendimenti o malintesi che possono nascere da una lettura un
po’ affrettata e superficiale del testo di 1Re. Ed è una comprensione del dono di Dio che
non giustifica certe forme di pigrizia spirituale e intellettuale o certe forme di illusione e
4
falsa sicurezza; e usa questi termini:
Mi sono proposto di ricercare e investigare con saggezza
tutto ciò che si fa sotto il cielo.
Il termine tradotto con “investigare” letteralmente significa “esplorare” ed è la stessa
parola utilizzata nel racconto dell'esplorazione della Terra Promessa: quando Giosuè in
Numeri 13-14 manda gli esploratori, si usano le stesse parole per un'operazione, esplorare
la Terra Promessa, che presuppone certamente il dono di Dio, ma richiede anche
intelligenza, dedizione e fatica, perché è una terra affascinante ma rischiosa e faticosa.
Analogamente alla Terra Promessa, anche il mondo della sapienza è un dono offerto da
Dio, messo a disposizione da lui ma che sollecita tutto il coinvolgimento, sollecita la
decisione di tirare fuori tutte le capacità e le possibilità umane, non la pigrizia, la comodità.
la rassicurazione a buon mercato, bensì il coraggio, l'attenzione, la dedizione, l'acutezza
dell’intelligenza, il coraggio delle scelte e l'opportunità dell’azione. Questo è esplorare il
dono di Dio, questo è percorrere le varie forme del dono di Dio. Vedete allora come sono
profondamente integrate la gratuità che viene dall'alto e insieme quello che l'uomo deve
metterci dentro, cioè tutto se stesso. E certamente la ricerca della sapienza è un dono e
una benedizione, ma non si può negare che è anche faticosa. Non solo perché, come lo
studio, richiede dedizione e fatica, ma perché il conoscere la nostra storia, per l'insieme di
tragedie e di drammi e di dolori che essa contiene, è un dolore; la cognizione del dolore
porta dolore. E di fronte alla prospettiva di esplorare questo mondo verrebbe voglia - non
solo dal punto di vista dottrinale e intellettuale, ma anche da quello sperimentale - di
fuggire ed accontentarsi solo di una conoscenza illusoria o trasognata della realtà o avulsa
da essa. Il dono di Dio invece non fa così. Il dono di Dio impegna, butta dentro in un
mondo che è difficile da conoscere e doloroso da esplorare e quindi richiede coraggio e
dedizione.
Il primo frutto della sapienza, nel primo Libro dei Re, è il giudizio di Salomone, con la
conclusione:
Tutti gli Israeliti seppero della sentenza pronunziata dal re e concepirono rispetto per il
re, perché avevano constatato che la saggezza di Dio era in lui per render giustizia
(1Re 3,28).
5
C'era la certezza di arrivare a distinguere anche nelle situazioni più complesse, tra
verità e menzogna, tra giustizia e ingiustizia, tra innocenza e colpevolezza. Guardate il
proverbio che in qualche modo può essere un principio giuridico (1,15):
Ciò che è storto non si può
raddrizzare
e quel che manca non si può
contare.
La traduzione letterale dice: “ciò che è torto”: il torto non si può raddrizzare e quello
che manca - la mancanza che si è creata in conseguenza di questo torto! - non si potrà
mai riempire. Questo risponde a una certa concezione facile del fare giustizia inteso come
il "sistemare le cose". Questo testo dice: in qualche modo il male fatto rimane irreparabile,
la ferita inferta non si può ignorare, è stato violato l’ordine morale collettivo o personale e
non si può fingere che il male non sia stato fatto. Anche se il bambino è stato restituito alla
sua vera madre, non si possono dimenticare i momenti terribili che essa ha vissuto, prima
quando glielo volevano sottrarre e poi quando ha corso il rischio tremendo di perderlo
ucciso da una spada. Chi ripagherà quella madre per quelle atroci sofferenze?
Per cui questo testo vuole mettere in guardia contro la facile illusione che l'esercizio
del diritto nella sua forma rigorosa e giusta, come è stato applicato da Salomone, possa
cancellare le ferite e che la semplice esecuzione della pena possa far dimenticare alla
vittima il male che realmente è accaduto, il torto che è stato fatto. Contro questa lettura
banale e affrettata il Maestro dice: attenti, perché possono nascere comportamenti e modi
di pensare sbagliati e pericolosi, perché si rischia di perdere di vista la profondità delle
ferite che i torti possono arrecare nella vita dell’uomo, si rischia di banalizzare il dolore
della vittima, di banalizzare la gravità delle ferite inferte alla dignità della persona. Si
rischia di banalizzare dicendo: “giustizia è stata fatta!”, mentre potrebbe essere solo
espressione di una coscienza morale che si accontenta facilmente e troppo facilmente si
illude di aver “fatto giustizia”.
Sentendo il racconto di 1Re 3 ci può essere questo senso di soddisfazione: il dono
della sapienza garantisce, dà la certezza, la sicurezza gratificante che (finalmente!) tutto si
sistemerà! La rilettura critica di Qohelet dice invece: attenti al pericolo presente in quel
senso di sicurezza.
6
Qoelet non racconta una storia diversa, non mette in scena un personaggio diverso,
ma è fedele a quanto è stato scritto su Salomone; e tuttavia non si accontenta di ripetere
semplicemente una storia ma, a partire da ciò che è stato scritto, continua un percorso di
riflessione, di approfondimento, a me pare non banale e non marginale.
Vediamo un altro esempio in 1Re 5,9-14:
Dio concesse a Salomone sapienza e intelligenza molto grandi e una mente vasta
come la sabbia che è sulla spiaggia del mare. 10La sapienza di Salomone superava la
sapienza di tutti gli orientali e tutta la sapienza dell'Egitto. 11Egli era più saggio di tutti
gli uomini, più di Etan l'Ezraita, di Eman, di Calcol e di Darda, figli di Macol; il suo
nome era famoso fra tutte le genti limitrofe. 12Salomone pronunciò tremila proverbi; le
sue odi furono millecinque.
13Parlò
delle piante, dal cedro del Libano all'issòpo che
sbuca dal muro; parlò delle bestie, degli uccelli, dei rettili e dei pesci.
14Da
tutte le
nazioni venivano per ascoltare la sapienza di Salomone, mandati da tutti i re della
terra, che avevano sentito parlare della sua sapienza.
La illustrazione narrativa della sapienza di Salomone e del suo rapporto con la
sapienza delle Nazioni è sviluppata in 1Re 10, nel racconto della visita della regina di
Saba a Salomone:
La regina di Saba, sentita la fama di Salomone, dovuta al nome del Signore, venne
per metterlo alla prova con enigmi.
2
Arrivò a Gerusalemme con un corteo molto
numeroso, con cammelli carichi di aromi, d'oro in grande quantità e di pietre preziose.
Si presentò a Salomone e gli parlò di tutto quello che aveva nel suo cuore. 3 Salomone
le chiarì tutto quanto ella gli diceva; non ci fu parola tanto nascosta al re che egli non
potesse spiegarle. 4 La regina di Saba, quando vide tutta la sapienza di Salomone, la
reggia che egli aveva costruito, 5 i cibi della sua tavola, il modo ordinato di sedere dei
suoi servi, il servizio dei suoi domestici e le loro vesti, i suoi coppieri e gli olocausti che
egli offriva nel tempio del Signore, rimase senza respiro.
6
Quindi disse al re: "Era
vero, dunque, quanto avevo sentito nel mio paese sul tuo conto e sulla tua sapienza! 7
Io non credevo a quanto si diceva, finché non sono giunta qui e i miei occhi non hanno
visto; ebbene non me n'era stata riferita neppure una metà! Quanto alla sapienza e
alla prosperità, superi la fama che io ne ho udita.
8
Beati i tuoi uomini e beati questi
tuoi servi, che stanno sempre alla tua presenza e ascoltano la tua sapienza!
9
Sia
benedetto il Signore, tuo Dio, che si è compiaciuto di te così da collocarti sul trono
7
d'Israele, perché il Signore ama Israele in eterno e ti ha stabilito re per esercitare il
diritto e la giustizia". 10 Ella diede al re centoventi talenti d'oro, aromi in gran quantità e
pietre preziose. Non arrivarono più tanti aromi quanti ne aveva dati la regina di Saba al
re Salomone.
Qui abbiamo la celebrazione, direi retorica e propagandistica, della gloria e dello
splendore della sapienza di Salomone, superiore alla cultura delle Nazioni, e così grande
e visibile e importante da attirare i re - dunque coloro che avevano il compito di esercitare
la giustizia - da ogni parte della terra.
Notate l'insistenza non solo sulla superiorità, ma anche sul fatto che nulla si sottrae al
sapere di Salomone, proprio perché è un sapere di origine divina. Allora la regina di Saba
viene con l'idea di mettere alla prova Salomone, di cogliere i limiti della sua sapienza, ma
deve riconoscere che veramente in Salomone funziona una saggezza superiore.
Lo scopo di questo modo di raccontare è abbastanza evidente, mostrare come in
Salomone è presente e operante una sapienza qualitativamente diversa perché di origine
divina, donata da Dio. Ma il modo di valorizzare questa sapienza differente è in parte
problematico e rischioso perché potrebbe dare origine a una lettura di tipo trionfalistico o
nazionalista, che si esprime così: Salomone e con lui gli ebrei, la sapienza degli ebrei,
come etnia, come nazione, è superiore alla sapienza di tutti gli altri popoli e quindi essi
sono in grado di insegnare cultura, civiltà, a tutti gli altri popoli. Quindi una differenza di
tipo morale e religioso diventa differenza legata alla nazionalità, alla etnia. Ecco il pericolo
di mondanizzare, di trattare il dono di Dio e la sua sapienza come se fosse una realtà
mondana, paragonabile con le altre culture e superiore ad esse, e quindi in grado di
alimentare un sentimento di superiorità, di giustificare una forma di orgoglio o di fierezza
nazionale. Vedete l'utilizzazione e la strumentalizzazione del dono di Dio al fine di
acquisire una superiorità nel mondo, nei rapporti internazionali economici, diplomatici,
interculturali. Ecco la tentazione: abusare del dono di Dio, strumentalizzare il dono di Dio,
e senza accorgersi cadere in quelli che (per me) sono reali pericoli: un abuso del nome di
Dio e del dono di Dio, trionfalismo, nazionalismo, senso di superiorità etnica o nazionale.
Certamente anche il Libro di Qohelet afferma che Salomone ha acquisito una
sapienza superiore a quella di tutti gli altri re e quindi si collega esplicitamente e in modo
chiaro al testo di 1Re. Ma provate a vedere queste affermazioni:
8
Vanità delle vanità, dice Qoelet, vanità delle vanità, tutto è vanità.
Quale utilità ricava l’uomo da tutto l’affanno per cui fatica sotto il sole? (1,2-3).
Questa è una domanda decisiva. Nel primo Libro dei Re Salomone è l'uomo delle
risposte; sono gli altri, gli stranieri, che hanno domande da fare, il re d'Israele ha risposte e risposte sicure - da dare. Una delle caratteristiche di re Salomone in Qohelet è invece la
capacità di porre domande e domande decisive, alle quali neppure lui sa dare risposta:
Infatti, quale profitto viene all'uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo
cuore, con cui si affanna sotto il sole? (2,22)
Chi sa quel che è bene per l'uomo durante la sua vita, nei pochi giorni della sua vana
esistenza, che passa via come un'ombra? Chi può indicare all'uomo che cosa avverrà
dopo di lui sotto il sole? (6,12)
Dov’è la sicurezza, il trionfalismo monumentale del Salomone del Libro dei Re? Qui
abbiamo l'uomo che onestamente pone le domande decisive: qual è l'utilità del vivere
umano ?
Chi sa con precisione distinguere il bene dal male? Chi sa quel che all’uomo
convenga? Per quanto riguarda ciò che è oltre la morte, chi può dire qualcosa? Certo
dovremmo tenere presente la situazione particolare in cui vive l'autore che si nasconde
dietro la figura di Salomone e questo ci permetterà di intuire e raccogliere qualche
elemento e parlare di una specie di crisi della sapienza, che può diventare la sapienza
della crisi. Crisi della sapienza, ma Qohelet in qualche modo utilizza anche la crisi per
tirare fuori qualcosa che fa parte della sapienza: la sapienza della crisi, questa sapienza
che si manifesta riproponendo problemi o domande che sono inquietanti, ma pure
necessarie, urgenti, e Qohelet mostra la capacità di fare domande anche imbarazzanti
perché in quel momento non è in grado di dare una risposta soddisfacente o gratificante.
Ecco la capacità del nuovo Salomone, che rivede, ripensa e riscrive il proprio passato, e
se nel pieno della giovinezza e della maturità è stato l'uomo delle risposte, con la
saggezza degli anni diventa l'uomo delle domande, mostrando anzitutto la capacità di
porre domande e non di evitarle, e poi di convivere con domande decisive, inevitabili,
anche se non è in grado di trovare una risposta pronta e assolutamente sicura, ma può
solo tentare risposte criticabili, limitate, inadeguate. insufficienti.
La stessa cosa ancora leggo in 7,23-24:
9
Tutto questo io ho esaminato con sapienza e ho detto: "Voglio diventare saggio!",
ma la sapienza resta lontana da me!
24Rimane
lontano ciò che accade: profondo,
profondo! Chi può comprenderlo?
Qohelet che cosa dice? Il dono che viene da Dio, la sapienza che viene da Dio è
quella che dà il coraggio di fare con molta onestà le domande essenziali ed è anche quella
che prende coscienza del mistero, della presenza dell’enigma nella storia e nell’avventura
umana. La sapienza è lontana, profonda, chi la può esplorare fino in fondo? Il Salomone di
Qohelet è uno che ha messo insieme l’entusiasmo, il senso profondo del dovere, la
dedizione alla ricerca e all'esplorazione, ma è anche pronto a riconoscere che non arriva
al fondo: lo dirà esplicitamente nel cap. 3 quando fa l’affermazione che Dio ha messo nel
cuore dell’uomo il senso dell’infinito e dell'immenso ma l'uomo non può abbracciare letteralmente “comprendere”, “prendere dentro” - la totalità del progetto di Dio dall'inizio
alla fine (cf Qo 3,11). L'autore non dubita dell'autenticità e della verità della conoscenza,
ma sarà sempre una conoscenza che non potrà mai esaurire il mistero che è Dio, un
mistero che ha a che fare con la morte dell'uomo e con le dimensioni sia morale sia
ultraterrena dell'esistenza umana.
Ancora un’altra affermazione in 8,16: chi è come il saggio, chi conosce la
spiegazione delle cose?
Quando mi dedicai a conoscere la sapienza e a considerare le occupazioni per cui ci
si affanna sulla terra - poiché l'uomo non conosce sonno né giorno né notte -
17ho
visto che l'uomo non può scoprire tutta l'opera di Dio, tutto quello che si fa sotto il
sole: per quanto l'uomo si affatichi a cercare, non scoprirà nulla. Anche se un
sapiente dicesse di sapere, non potrà scoprire nulla.
Come definire questa nuova posizione di Salomone? È uno che non ha rinunciato
alla ricerca della verità, non ha rinunciato alla certezza che la verità esiste, perché Dio ha
fatto bene ogni cosa a suo tempo, ma riconosce anche che la ricerca umana deve
ammettere la presenza del mistero assoluto, che fa parte della saggezza riconoscere i
propri limiti. Se Salomone, il saggio del libro dei Re, manifesta la sua sapienza nella
capacità di dare risposte certe a tutte le domande, la sapienza del Salomone avanti negli
anni si manifesta nella pazienza e nel coraggio di porre e riproporre le domande
10
essenziali, riconoscendo l'inadeguatezza delle risposte precedenti e continuando a
cercare, ad attendere, a invocare le risposte che solo il mistero assoluto può dare.
La differenza fra il testo del libro dei Re e quello di Qohelet è che la sapienza data a
Salomone non viene utilizzata sul versante politico e istituzionale, ma trova la sua
espressione nella esplorazione di ciò che è comune, di ciò che è condiviso, di ciò che è
semplicemente e universalmente umano, nella capacità di porre domande e tentare
frammenti di risposte che hanno a che fare con la comune e condivisa e universale
umanità. Qual è il profitto di ’ādām? Il termine ’ādām ci porta ad Adamo, cioè l'uomo nella
prospettiva della creazione, quindi nella sua universalità e non nella prospettiva particolare
di un popolo, una storia, una cultura, una etnia particolare.
Un altro aspetto di questa rilettura lo troviamo nel testo di 1Re che abbiamo già letto,
là dove si dice che Salomone compose tremila proverbi, millecinque poesie, e parlò della
natura come di una totalità ordinata, le piante e gli animali nel loro insieme ordinato e
armonioso. La sapienza di Salomone si manifesta nella ricerca e nella organizzazione di
un sapere in qualche modo enciclopedico e nella valorizzazione della natura nella sua
totalità, nell'abbondanza numerica delle produzioni letterarie. Proviamo a risentire
Salomone nel libro di Qohelet, proprio alla fine (12,9ss):
Oltre a essere saggio, Qoèlet insegnò al popolo la scienza; ascoltò, meditò e
compose un gran numero di massime.
10Qoèlet
cercò di trovare parole piacevoli e scrisse con onestà parole veritiere.
11Le
parole dei saggi sono come pungoli, e come chiodi piantati sono i detti delle
collezioni: sono dati da un solo pastore.
12Ancora
un avvertimento, figlio mio: non si
finisce mai di scrivere libri e il molto studio affatica il corpo.
13Conclusione
del discorso, dopo aver ascoltato tutto: temi Dio e osserva i suoi
comandamenti, perché qui sta tutto l'uomo.
14Infatti,
Dio citerà in giudizio ogni azione, anche tutto ciò che è occulto, bene o male.
Anche qui ritroviamo la prospettiva antica: compose un gran numero di massime.
Guardate però il cambiamento, troviamo quasi una critica dell'aspetto puramente
quantitativo della cultura con quella espressione “si moltiplicano i libri senza fine” senza
misura, ed è una moltiplicazione del mercato librario che sfinisce, che rappresenta una
fatica insopportabile per il lettore, perché ha di fronte una tale massa entro la quale
sembra quasi impossibile orientarsi; ecco la fatica, fatica anche materiale del leggere e di
11
un leggere infruttuoso. Ed ecco, implicitamente, la revisione critica: la vera cultura non può
essere misurata dalla quantità delle produzioni cosiddette culturali o dalla quantità dei
supporti materiali della cultura, che invece possono ostacolare, sfinire, svuotare.
Mentre la prima (antica) formulazione della sapienza di Salomone orientava e
valorizzava in modo massiccio lo studio della natura, questa nuova formulazione dice:
dopo aver ascoltato tutto, non dimenticare mai che la vera questione è l'uomo, questo è il
tutto dell'uomo, e la questione decisiva per l'uomo è la questione etica e religiosa:
temi Dio e osserva i suoi comandamenti perché su questo sarai misurato.
Se noi paragoniamo i due testi, vediamo non il rifiuto o la condanna del testo
precedente, ma un ripensamento critico: una sapienza che si esaurisse nell'aspetto
quantitativo della produzione letteraria o nell'esplorazione del mondo come totalità
ordinata, sarebbe in qualche modo una sapienza non autentica. È necessario ristabilire la
giusta gerarchia del valori, rimettere al primo posto l'uomo, la scienza dell'uomo, non in
quanto parte della natura, non in quanto animale tra gli animali, vivente tra i viventi, ma
l'uomo nella sua differenza che ha a che fare con la relazione con Dio: “temi Dio”, quel
temere Dio che non è la paura di Dio ma il sentimento profondo, che tocca tutta la
persona, della trascendenza di Dio, della immensità ed eternità di Dio, cioè di Dio come
mistero assoluto e trascendente ma continuamente presente, che avvolge e accoglie da
ogni parte l'esistenza umana, ed ha a che fare con la dimensione morale, con la capacità
di farsi carico e affrontare seriamente, nella libera decisione, i valori morali collegati ai
comandamenti: “osserva i comandamenti”.
Sapendo che l'uomo non è a misura di se stesso e neanche la società è a misura
dell'uomo e neppure la natura lo è, sapendo che la misura dell’uomo è solo Dio. Dio citerà
in giudizio ogni azione! Il riferimento al giudizio di Dio non è fatto per intimorire, ma per
dare e dire il criterio della vera grandezza dell'uomo: l'unico che può misurare
adeguatamente l'uomo nella sua dimensione morale e religiosa è Dio, l'infinito, l'immenso,
l'eterno. È questo il segno della grandezza dell'uomo: non la natura, non la società con i
suoi miti e i suoi costumi; la sua vera misura è il mistero di Dio. Per questo Qohelet dice:
attenti! Se la sapienza che si appella alle grandi figure bibliche - Salomone - si dedicasse
in modo primario ed esclusivo alla produzione letteraria e allo studio della natura, sarebbe
una sapienza unilaterale, che illusoriamente e falsamente pretende di venire da Dio. Ecco
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come Qohelet - pur restando fedele al testo antico - non si limita a ripeterlo
semplicemente, ma si collega ad esso facendo emergere, esplicitando prospettive nuove,
non solo interessanti, ma addirittura necessarie per evitare malintesi o letture deformanti
dell'antico racconto e dell'antico personaggio.
Un altro esempio: Salomone e la politica. Non solo maestro, ma re in Gerusalemme.
In 1Re 3-10 si descrive in modo articolato e forse propagandistico l'organizzazione
burocratica, amministrativa, liturgica, commerciale ecc. del regno, e questa grandezza
viene presentata come uno degli effetti, dei frutti della sapienza di Salomone. Al centro
della grande opera politica di Salomone sta la costruzione del palazzo reale e più ancora
del tempio.
Al centro la casa di Dio, il tempio, in qualche modo il frutto più bello della sapienza
politica di Salomone. Il grande tempio per celebrare in maniera monumentale, visibile,
evidente, la grandezza della potenza del Dio di Israele, del Dio della dinastia, del Dio di
Davide. Ma quanto è costata la realizzazione di quest'opera?
Il re Salomone reclutò il lavoro forzato da tutta Israele (1Re 5,27).
Quando l'opera sarà terminata, dopo la morte di Salomone, nella trattativa per la
formazione del nuovo governo, le tribù del Nord dicono al figlio di Salomone, Roboamo:
Tuo padre ha reso duro il nostro giogo; ora tu alleggerisci la dura servitù di tuo padre
e il giogo pesante che egli ci ha imposto, e noi ti serviremo (1 Re 12,4).
Che cosa ricordano il giogo pesante, la dura schiavitù? L'Egitto! La situazione è
certamente paradossale, ma, anche se è espressa in una sola riga e non è detta
specificamente, quelle poche parole bastano a mettere di fronte ad un fatto sconvolgente:
l'unto, l’eletto - perché Salomone è consacrato con il rito dell'unzione ed è stato scelto tra
tanti 2 -, il beneficiario della elezione di Dio, dell’unzione che fa di lui letteralmente il
messia, si comporta come faraone, pratica la stessa politica di faraone, per costruire prima
il tempio del Signore, poi il suo palazzo e poi le fortificazioni militari, le grandi opere di
ingegneria civile. Questo è il paradosso.
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La narrazione delle beghe e dei complotti fa risaltare il fatto che altri potevano – e cercavano – di diventare
re.
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Sentiamo allora quali parole Qohelet mette in bocca a Salomone:
Ma ho anche notato che sotto il sole al posto del diritto c'è l'iniquità (3,16).
“Al posto” è da intendere nel senso di “luogo”. Noi siamo partiti in 1Re dicendo:
Salomone è il re giusto ed è colui che fa giustizia, perché ha ricevuto il dono della
sapienza di Dio; nel corso del racconto si sono infilate qua e là alcune righe, sia pure un
po’ riaggiustate e ridotte ai minimi termini, che dicono: ha oppresso Israele, ha costretto al
lavoro forzato il popolo di Dio, negando e togliendo al popolo quello che era il dono
originario della libertà e della dignità.
Ecco: nel luogo della giustizia, dove si doveva custodire la giustizia e il diritto
originario di tutta la nazione ad essere libera - in quanto liberata da Dio -, proprio lì si è
sostituita l'iniquità e l’ingiustizia nel senso letterale del termine, non solo in riferimento a
qualche episodio di corruzione ma nel modo più sostanziale, nel luogo dove vive il re, che
doveva essere il luogo per eccellenza della giustizia, perché lì c'è il custode e il testimone
e il collaboratore della giustizia di Dio così come si dice nel salmo 72:
O Dio dà al re il tuo giudizio,
al figlio del re la tua giustizia …
Questo vuoi dire la difesa dei poveri del suo popolo, degli indigenti, del misero che
non ha potere per difendersi. Invece nel palazzo del messia - perché questo è
ufficialmente Salomone – l’unto del Signore si comporta da Faraone, negando il diritto
sostanziale del popolo di Dio e questo avrà come conseguenza prima la condanna da
parte del profeta Achia di Silo e poi la rivolta del popolo di Dio e la secessione del Nord,
con la gravissima implicazione della rottura dell'unità visibile del popolo di Dio, per cui a
partire da quello sciagurato evento, nel corso delle guerre conseguenti tra lo stato del
Nord e lo stato del Sud si troveranno a combattersi fino alla morte fratelli che invocano lo
stesso Dio.
E qualche riga più avanti:
Tornai poi a considerare tutte le oppressioni che si fanno sotto il sole. Ecco le
lacrime degli oppressi e non c'è chi li consoli; dalla parte dei loro oppressori sta la
violenza, ma non c'è chi li consoli (4,1).
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Il pianto degli oppressi e non c’è chi li liberi! Ma è il re che doveva liberare gli
oppressi, era stato scelto per questo secondo la spiritualità e la teologia politica del salmo
72. Vediamo allora come, attraverso le affermazioni messe in bocca a questa figura
regale, si esercita quella virtù che è l’autocritica; non si tratta semplicemente di una
revisione storica, perché queste affermazioni vengono messe in bocca al personaggio
della storia principale del primo libro dei Re e al personaggio introdotto in scena nel libro di
Qohelet e questo funziona come una confessione, come un riconoscimento: il re fa
autocritica e riconosce che dove lui doveva fare giustizia ha invece praticato l’ingiustizia
fondamentale; dove lui doveva esercitare il compito della consolazione e della liberazione
degli oppressi ha invece esercitato l’azione degradata e degradante della oppressione e
dello sfruttamento: “non c’era chi li liberava”.
In che senso dunque Qohelet è stato Maestro del suo popolo (cf 12,9)?
Qoèlet insegnò la scienza al popolo.
Insegnò la scienza, perché Qohelet ha insegnato a leggere la propria storia in senso
critico, riconoscendo le tentazioni del popolo di Dio, tentazioni che possono prendere a
pretesto i doni stessi di Dio: trionfalismo, nazionalismo, confondere il dono dell'elezione
con l'esonero dalla responsabilità, confondere le verità che si fondano in Dio con certezze
puramente umane; una concezione della sapienza in senso strumentale a scapito della
concezione etica e religiosa; concepire la politica attuata da colui che è stato scelto da Dio
come qualcosa di indiscutibile, anzi celebrata e propagandata come giusta. La sapienza
data da Dio, dice Qohelet, si manifesta in questo: nella capacità di individuare e di
resistere alla tentazione e nella capacità di completare il dono con una ricerca personale
anche se faticosa, dolorosa, rischiosa e sempre insufficiente e inadeguata; con una
profonda onestà che è pronta a riconoscere i propri errori e i propri sbagli e a dire
pubblicamente la perversione e la corruzione, anche sostanziali, della politica e del
governo, dell'eletto e del consacrato di Dio, quindi la disponibilità a riconoscere i propri
errori e a riconoscerli di fronte all'assemblea (è il Qohelet, colui che parla all’assemblea).
Ancora: riconoscere il primato della grazia e insieme il contributo decisivo del fattore
umano; riconoscere la necessità di una visione umanistica ed etica della cultura, della vera
e autentica cultura; il tentativo di correggere una lettura nazionalista della storia e della
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sapienza che viene da Dio per renderci conto che la vera sapienza è la sapienza
dell’universale, che ha di mira ciò che unisce, ciò che diventa fondamento di comunione e
di comunicazione; la sapienza di Dio che non è semplicemente scienza della
assicurazione e della rassicurazione, ma anche onestà e umiltà delle domande essenziali
e fondamentali e richiede la pazienza di continuare a cercare anche se le risposte di cui si
dispone sono insufficienti e inadeguate, restando aperti alla ulteriore invocazione di
risposte più soddisfacenti e autentiche, anche se non necessariamente gratificanti.
Ecco in che senso il Qohelet è stato Maestro di Israele.
Testo tratto da G. FACCHINETTI, "Qohelet: maestro del popolo di Dio", in G. FACCHINETTI - P. PEZZOLI - P. ROTA
SCALABRINI, Qohelet. Salmi di pellegrinaggio. Luca: Passione e Risurrezione, Scuola della Parola. Diocesi di
Bergamo, Litostampa Istituto Grafico, Bergamo 2000, 11-24 (con l’autorizzazione dell’autore).
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QOHELET: MAESTRO DEL POPOLO DI DIO Anzitutto comincio col