Anno XII - n° 4 Aprile 2015 TARIFFA REGIME LIBERO: POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% - DCB (BOLOGNA) www.comune.bologna.it/iperbole/buonenuove 5 Il pasticciere ‘coraggioso’ Santi palazzolo: “ho fatto soltanto il mio dovere” Nuovo successo per Giorgio Albéri Rivive per una notte il mito del grande Fred Buscaglione Debutta Renzo Canestrari 13 I segreti per invecchiare senza problemi Luca Goldoni racconta per noi 3 La convalescenza tappa importante della nostra gioventù 8 Perché non ammettere di avere bisogno degli altri? Perché non ammettere, una volta tanto, di aver bisogno degli altri? è un gesto di umiltà che ci fa onore, che ci avvicina al prossimo, che ci rende partecipi e ci dà energia. I n queste poche righe mi rivolgo a chi segue, da tanto o da poco, le sorti della nostra Rivista. Viviamo solo grazie agli abbonamenti e alla generosità di qualche privato o azienda. Nei mesi scorsi uno dei nostri più assidui sostenitori ha fatto un passo indietro. Piccola cifra per una grande istituzione bancaria, eppure... Inutile recriminare, meglio ringraziarli, signorilmente, per quanto hanno fatto nel passato. Fatto sta che ora il ‘tavolo’ ha una gamba in meno e dobbiamo sostituirla. Il 9 maggio prossimo abbiamo organizzato un evento che ci REGALA O REGALATI un abbonamento a “Le buone notizie” per sostenere la cultura e i valori di una Società onesta e corretta darà, forse, la possibilità di tirare avanti senza affanno. Partecipate: ora e luogo li trovate nella pagina accanto. Sarà un appuntamento importante, con la presenza di tanti amici e della nostra ‘madrina’ Laura. Visto che ho l’abitudine di raccontare le cose con chiarezza vi invito anche a far crescere, se possibile, il numero degli abbonati. Se credete che quanto stiamo facendo, mese dopo mese, con la rivista sia u- tile a voi, alla città, ai tanti amici che ci seguono da lontano dateci una mano a far decollare il numero dei lettori. La scheda per abbonarsi è qui sotto. Trenta euro non spostano di certo un bilancio, per noi sono molti. Regalate ‘Le Buone Notizie’ ad un amico, a un collega di lavoro, fatela conoscere a parenti e conoscenti. Un gesto semplice ma prezioso. A Milano, nei giorni scorsi, ho conosciuto il pasticcere Santi Palazzolo che si è rifiutato di pagare al potente di turno la ‘stecca’ da centomila euro. ‘Denunciando il ricatto ho fatto solo quanto dovrebbe fare un cittadino e un imprenditore onesto’. Quanti avrebbero avuto, mi domando, il suo coraggio? Quello di fare una cosa semplice ma essenziale per un futuro libero della nostra società. Buona lettura (e ci vediamo il 9 maggio) dal vostro direttore Fabio Raffaelli Visitate il nostro sito www.comune.bologna.it/iperbole/buonenuove Il Consiglio direttivo dell’Associazione no profit, editrice di “Le Buone Notizie”, è così formato: Giorgio Albéri - Presidente Fabio Raffaelli - Vice Presidente Ornella Elefante - Segretario/Tesoriere Maria Dagradi - Consigliere Paola Miccoli - Consigliere Antonio Vecchio - Consigliere Luisella Gualandi - Revisore dei conti (Presidente) Donatella Bruni - Revisore dei conti Comitato di Redazione: Roberta Bolelli, Giorgia Fioretti, Francesca Rispoli Valenti, Manuela Valentini Le Buone Notizie nasce da un’idea di Francesca Golfarelli e Fabio Raffaelli Testi e fotografie vanno inviati all’e-mail [email protected] Edito da Associazione Buone Notizie Redazione: Piazza Volta, 7 - 40134 Bologna Tel. 051.614.23.27 - Fax 051.46.67.51 Direttore responsabile: Fabio Raffaelli Direttore editoriale: Giorgio Albèri Segreteria di redazione: Ornella Elefante Stampa: Tipolito Casma - via B. Provaglia 3 - Bologna Registrazione al Tribunale di Bologna n° 7361 del 11/09/2003 BASTANO 30 EURO PER SOSTENERE da ritornare via fax al 051.46.67.51 SCHEDA PER SOSTENERE E ABBONARSI ALLA RIVISTA “LE BUONE NOTIZIE” Io sottoscritto, per conto - proprio, dell’Associazione, dell’Ente - chiede di attivare n° ...................... abbonamenti (10 numeri a 30 euro) a partire dal mese di ............................................ dell’anno ............................... Allego fotocopia del pagamento avvenuto sul c/c postale n° 60313194, ABI 07601, CAB 02400, Codice Iban IT47 N076 0102 4000 0006 0313 194 intestato all’Associazione Buone Notizie. La rivista è da inviare a: 1. Nominativo ............................................................................................................................................................. 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Via .............................................................................................................................. cap ............................................ città .......................................................................................................................... prov. ...................................... tel. ............................................................................. e-mail ............................................................................................... data ............................................ 2 Firma ............................................................................................................... A letto e ci si curava, la convalescenza che fu conato di vomito. Il dottore raccomandava sempre di sudare e non scoprirsi, ma ogni volta che arrivava, zac, tirava via tutto in un colpo e mi auscultava il petto sudato con lo stetoscopio di legno che estraeva dalla valigetta modello John Ford. Si apriva una dimensione tempospazio che sembrava lunghissima e brevissima, nella testa di Luca Goldoni L eggo un allarmato rapporto scientifico sulla scomparsa della convalescenza: al secondo giorno senza febbre, gambe in spalla, in ufficio, in fabbrica, in negozio, a scuola, allo stadio. Convinto con Cesare Pavese che “ricordare una cosa significa vederla solo adesso per la prima volta” mi concentro sulla mia età alle soglie del ginnasio. Ed è subito un’alluvione di fantasmi colorati: guanti e ginocchiere da portiere, biciclette col cambio regina, ansie scolastiche, quiete e felicità familiari, gelosie per un amico che era più amico con un altro, la mia timidezza con la ragazza che faceva ogni mattino la mia stessa strada verso scuola e, come tutte le femmine, non portava i libri nella cartella ma in braccio, sul petto, come si portano i bambini. Ed ecco che, nitido e un po’ bizzarro, affiora il ricordo della convalescenza, quella specie di limbo rassicurante e protettivo che stava fra un’influenza e la completa guarigione. Oggi la scienza medica le ha dichiarato guerra: le partorienti escono dalla sala parto quasi con le loro gambe, gli operati si aggirano per i corridoi d’ospedale con i loro tubi di drenaggio penzoloni, agli anziani che si sono rotti il femore mettono un chiodo e li mandano a casa. E così mi abbandono al breve elogio di una istituzione caduta in disuso. Chissà perché si cominciava ad essere malati verso sera, un po’ prima di cena, dopo una giornata di brividi e mal d’occhi: la mamma appoggiando le labbra sulla tempia annunciava: “secondo me hai un po’ di febbre”. Poi la verifica del termometro: mai più di due minuti per rubare qualche linea, ma che bastavano per far salire il mercurio oltre i trentotto. Subito a letto con aspirina e purga: lungo patteggiamento per ripiegare sulla magnesia San Pellegrino (sabbiosa, nella scatoletta esagonale) in luogo del disumano olio di ricino. Mentre i brividi aumentavano e la fronte scottava sempre di più, iniziava uno strano periodo, scandito da rumori lontani, voci basse, passi silenziosi, trilli di campanello, visite del dottore con l’orecchia fredda, il sapore metallico del cucchiaio premuto sulla lingua verso la gola, fino al un ronzio e un vortice di numeri e di parole, una sete da morire, ma solo qualche sorso di acqua e arancia. Poi una mattina ci si svegliava con la testa libera, una gran debolezza e una gran fame che doveva accontentarsi di due biscotti inzuppati nel tè. Cominciava la convalescenza: la gran voglia di alzarsi, ma quasi subito la voglia di tornare a letto. Finalmente un pasto da cristiano appoggiato ai Venite con noi... a festeggiare Le Buone Notizie I l 9 maggio prossimo grande festa per sostenere il giornale “Le Buone Notizie”…A fianco del nostro Testimonial, l’attrice Laura Efrikian, vi saranno lettori, amici, giornalisti, personalità del mondo della cultura; tutti insieme per trascorrere una serata imperdibile, che rimarrà nella memoria, all’insegna della cordialità, dell’amicizia e… delle buone notizie. Sostenuti da “Il Bolognese Restaurant”, da “Villa del Parco” e da varie Associazioni bolognesi, ci troveremo alle ore 20,15 nelle ampie sale dell’Hotel Bologna Fiera in Piazza della Costituzione 1. Le sorprese saranno tante per festeggiare il 12° anno di vita del nostro mensile. Vi aspettiamo e per non rimanere esclusi, prenotate allo 051/46.67.51. guanciali col piatto sulle ginocchia: puré, finocchi al burro, prosciutto o pollo tritato, l’arancia a spicchi. Poi la prassi inderogabile: il primo giorno si sta alzati un’oretta, il secondo tutta la mattina, il terzo tutta la giornata; il quarto finalmente una breve passeggiata nelle ore calde. Cominciavano le visite dei compagni di scuola, ammessi con circospezione, un po’ per riguardo a loro, un po’ per riguardo a me: mi portavano i compiti o i libri di Salani. Erano innaturalmente beneducati e imbarazzati e si fermavano pochissimo, non vedevano l’ora di scappare. Li seguivo dalla finestra mentre si avventavano sulla strada, conscio del tempo che mi separava dalla loro scalmanata libertà. Ma la convalescenza era anche un test d’amicizia: c’era qualcuno che si tratteneva più degli altri: “sai, ieri abbiamo perduto due a zero, si capiva che in porta non c’eri tu”. Se mi guardavo allo specchio mi trovavo una faccia bianca, usava il pallore da convalescente: ricordo bambine convalescenti con grandi e dolci occhi da cerbiatte, pensavo che fosse inevitabile innamorarsi pazzi di loro. Era nella convalescenza che imparavo ad osservare me stesso: una pausa ovattata in cui uscivo dal ruolo di protagonista sempre catapultato nelle cose, per diventare un più attento testimone dei miei pensieri: la mia vita piena e felice stava ancora fuori dai vetri, avevo tempo di valutarla, assaporarla, presto sarebbe ricominciata. Oggi i ragazzini si squassano le influenze in piedi, un antibiotico e via in motorino, sempre meglio che a letto. Un certificato medico per quando si sta male è sprecato. Si sta a casa da scuola, con tutti i timbri, quando si sta bene e si va a sciare a Cortina o a Madonna di Campiglio. 3 La Grecia e il vizietto della moneta facile di Alberto Pasolini Zanelli N on è sempre vero che chi ignora la storia è condannato a ripeterla. Ci sono memorie che si nascondono, altre che si mettono in piazza alla prima occasione propizia, altre ancora che non c’è bisogno di nascondere perché nel frattempo se ne sono tutti dimenticati. Tutti i tipi riaffiorano in queste ore, presumibilmente decisive, di appuntamento fra la scelta del popolo greco su che fare con l’Europa e quella, più importante purtroppo, dei governi e dei poteri forti europei su che fare della Grecia. Atene rimette sul tavolo una cartella di ricordi piuttosto recenti che non la riguardano direttamente: il trattamento che la “Conferenza europea sul debito” del 1953 escogitò per la Germania, che era allora, otto anni dopo la consumazione della sua catastrofe bellica, nel pozzo dell’indebitamento continentale. La soluzione si trovò attraverso una “clausola di crescita”: pressappoco quello di 4 cui i greci avrebbero bisogno oggi. I greci, diciamo, e non la Grecia, perché se ci si rifà alla storia quest’ultima è un piccolo Paese relativamente recente, una creazione della diplomazia ottocentesca; ma i greci, anzi la “grecità” (per non scomodare il termine giusto, ma troppo elevato, l’ellenismo), hanno una presenza millenaria, nel bene e nel male, nei trionfi e nelle sofferenze. Hanno creato l’Europa più o meno tremila anni fa, ma sono stati anche quasi distrutti dagli europei, appena otto secoli fa e per motivi attualissimi: per cose di debiti e di banche, capri espiatori di una crisi economica continentale. L’Europa era lungi dall’essere unita all’epoca, i greci lo erano in una forma che potremmo considerare abnorme: non erano una nazione, però erano una civiltà e un impero. La metà rimasta dell’Impero Romano aveva la capitale a Costantinopoli, ma parlava da Bisanzio e pensava in greco. E in greco facevano affari, bene immersi nel sistema bancario europeo, a quanto pare dedito anche allora al vizietto della “moneta facile”, che ogni tanto la buttava in terra. Accadde, fra l’altro, all’epoca della Quarta Crociata, che avrebbe dovuto liberare per l’ennesima volta la Terra Santa dagli Infedeli islamici, decise invece di buttarsi sui cristianissimi bizantini, partner e “complici” della “globalizzazione” dell’epoca, nel commercio delle spezie, della seta e dei beni di lusso in genere. Le “superpotenze” in questi affari erano prevalentemente italiane: Venezia, Genova, Pisa. Avevano contatti, uffici a Costantinopoli, privilegi, manager che laggiù avevano imparato il mestiere e i suoi trucchi, attiravano nel Mercato abbondanti capitali stranieri a buon mercato. Finché, nel tredicesimo secolo, ci si accorse che qualcuno aveva esagerato e metteva in pericolo l’equivalente medioevale della Banca centrale europea, cioè la Serenissima Repubblica di Venezia. In preda al panico, si volle passare, anche allora, dalla dolce bevanda della “moneta facile” alla droga avvelenata dell’Austerity. Qualcuno doveva pagare le spese e i “banchieri” del Canal Grande decisero che dovevano essere i greci di Bisanzio. Siccome però non se ne fidavano più di quanto oggi la signora Merkel si fidi di quelli di Atene, decisero di ricorrere, per instaurare un Patto di Stabilità, alle sanzioni, secondo le abitudini di un’epoca abitua- ta a ricorrere prima alla spada e poi alle chiacchiere. E così i Crociati si fermarono a Costantinopoli, causarono – si direbbe oggi – una crisi di governo, abbatterono l’imperatore e misero al suo posto uno scelto da loro, un certo Baldovino di Fiandra di cui sentirono di potersi fidare. Lo incoronarono nel 1204 come capo di un Impero Latino, destinato a durare cinquant’anni, poi cominciarono ad incassare i loro crediti. Di contante non ce n’era abbastanza e si “rifornirono” di beni mobili e teoricamente immobili. In altre parole, saccheggiarono l’Impero, prendendone come pegni i tesori che avrebbero restituito una volta il debitore fosse ridiventato solvente. Non accadde mai interamente e così molti “pegni” rimasero nell’Europa non greca. Il più noto sono i quattro cavalli asportati da Costantinopoli e da allora in bella mostra in piazza San Marco a Venezia. Si ignora se la signora Merkel, e magari anche Mario Draghi, siano andati di recente a dargli un’altra occhiata. Per ispirarsi. Alla vigilia di Expo sfilano i Capitani del food ‘N utrire il pianeta’, il tema forte della prossima esposizione universale, ha ispirato la selezione degli imprenditori che hanno ottenuto il riconoscimento ‘Capitani dell’Anno’ 2015. La manifestazione ha premiato 14 protagonisti che si sono distinti per coraggio e visione nel campo del food. Un settore in continua crescita nonostante gli anni di crisi economica e che, complici la timida ripresa e la visibilità mondiale garantita da Expo, può compiere il definitivo salto di qualità. consumatori alla ricerca dei sapori dei formaggi artigianali, Cesare Buonamici, vero pioniere del biologico (dal 1995), la cui azienda di Fiesole produce olio, legumi, ortaggi e cosmetici naturali a base di foglie d’olivo, Piero Rondolino, artefice del successo di Riso Acquerello, quello che da molti è considerato il miglior riso del pianeta ed usato nelle cucine di 8 dei 10 ristoranti più prestigiosi del mondo. I fratelli Sergio e Remo Pedon, membri della grande famiglia italiana che ha fondato la A sinistra Renano Pellegrini con Fabio Raffaelli I Capitani dell’anno 2015 Ernesto Pellegrini, imprenditore nel campo della ristorazione, ha inaugurato a Milano lo scorso anno il ristorante solidale Ruben, dove un pasto costa 1 euro. Filippo La Mantia, lo chef palermitano che ha rivoluzionato la cucina siciliana eliminando aglio e cipolla e diminuendo lo zucchero nella cassata, ha detto: “Ho rilevato da Dolce e Gabbana il ristorante Gold che sto avviando in sordina e a 55 anni mi sono trasferito a Milano. Da Expo mi aspetto che il cibo venga preso maggiormente in considerazione e che i cuochi stiano di più in cucina.” Tra i premiati Carlo Fiori della Luigi Guffanti Formaggi, azienda nata nel 1876 e punto di riferimento per i Pedon spa - azienda veneta leader a livello europeo per la lavorazione, il confezionamento e la distribuzione Gloria Brolatti, a sinistra, con lo chef Filippo La Mantia di cereali e legumi secchi. Continuando poi con Olga e Giammarco Urbani, gli alfieri del tartufo nel mondo, Guido e Rosa Marello dell’omonimo Mulino, le migliori farine senza glutine macinate a pietra, Antonino Iuculano Mamao della Tenuta Roletto, tra le verdi colline moreniche del Canavese, Massimo Andalini, titolare dell’omonimo Pastificio, dal cuore dell’Emilia Romagna crea ed esporta in tutto il mondo pasta di alta qualità, mantenendo alta la fama e la tradizione pastaia regionale. A rappresentare l’industria dolciaria una lunghissima tradizione familiare: quella di Edoardo Cavagnino, quinta generazione alla Palazzolo: “Ho fatto il mio dovere” “N on tutti hanno la forza e il coraggio dimostrati da Santi Palazzolo. Proprio per questo motivo il suo comportamento, che in qualsiasi altro Paese europeo sarebbe stato considerato normale, qui da noi continua a fare notizia ed a rappresentare un gesto di estremo coraggio ed integrità”. è proprio nella speranza che il netto rifiuto di tali logiche distorte non appaia più come un singolo atto di eroismo, ma diventi pratica comune, che i membri della Giuria e dell’Associazione Culturale Editutto hanno conferito all’unanimità al pasticcere siciliano, recente protagonista di una clamorosa storia di tangenti e malaffare, uno dei prestigiosi riconoscimenti ‘Capitani dell’Anno 2015’ dedicato al Sociale. A.Bar. guida della Gelati Pepino. Tra i premiati Ettore Mocchetti, direttore de La Cucina Italiana che, vera e propria istituzione della stampa di settore, da quasi novanta anni è una delle voci più autorevoli nella divulgazione e promozione della cultura enogastronomica italiana. “Siamo orgogliosi – dichiara Ugo Formenton, Head of Business Development di Schroders Wealth Management – di sostenere questa iniziativa che mette al centro gli imprenditori e crea occasioni di confronto e stimolo per quelli ancora timidi ad investire. Il nostro obiettivo è sostenere il Premio Capitani dell’Anno, occasione per valorizzare le storie imprenditoriali di chi nonostante le difficoltà del contesto economico-finanziario, ha saputo eccellere e conquistare le tavole di tutto il mondo esportando il Gusto Italiano e affermando l’orgoglio di essere Italiani.” Il Premio ‘Capitani dell’anno 2015 - Il cibo che verrà è stato realizzato con il sostegno di Air Berlin, la collaborazione di ADACI (Associazione Italiana Acquisti e Supply Management) ed il coinvolgimento attivo di Federmanagement, Roncucci & Partners Group, NovaPangea ed Emoticibo. Andrea Barrica 5 Re-use with love, il riciclo che fa bene I ncontriamo con piacere Maria Letizia Mazzanti che ci parla di una particolare Associazione di volontariato e le domandiamo come e quando nasce questo progetto? L’associazione “ReUse With Love” nasce nel 2014 per volontà di un gruppo di amiche che sin dal 2010, mettendo insieme idee, energie e professionalità differenti, organizza eventi volti a raccogliere fondi per progetti solidali a favore dei bambini, promossi da associazioni istituzionali radicate nella città di Bologna. L’attività principale è quella di organizzare annualmente un mercatino vintage solidale il cui intero ricavato è devoluto al progetto prescelto, differente di anno in anno. L’evento di ottobre 2014, ha ottenuto – da solo - lo straordinario risultato di 58.000 euro, che è stato destinato a “Pollicino – bambini e genitori di oggi e di domani – ONLUS”, associazione nata per aiutare il Pronto Soccorso e la Pediatria d’Urgenza del Gozzadini di Bologna. La cifra raccolta è servita ad acquistare l’ecografo d’urgenza ed altri apparecchi medicali per la futura zona “area critica” del pronto soccorso pediatrico. Mi risulta che sia stato creato una specie di “sportello” attraverso il quale si posso- 6 colti vengono accuratamente selezionati, smistati e, se necessario, riparati e sistemati durante tutto l’anno. In questa lunga fase di preparazione, i capi e gli oggetti che non vengono propriamente scelti per essere presentati al mercatino, hanno comunque un loro riutilizzo, venendo destinati a case famiglia, ospedali o no ricavare risorse economiche Considerato il crescente successo dell’iniziativa e l’enorme numero di capi accumulato durante l’anno (circa 15.000), l’associazione ha maturato l’idea di attivare un servizio continuativo di offerta dei beni raccolti realizzato in collaborazione e co-progettazione con il Comune di Bologna (Quartiere Santo Stefano) che, in un contesto accogliente, curato ed ordinato, si propone di fornire gratuitamente o a fronte di una donazione simbolica, capi di abbigliamento (donna, uomo, bambino, ragazzina/o, ecc.), accessori, scarpe, abbigliamento sportivo, giochi, libri, usati e in buono stato, a tutti i cittadini residenti italiani e stranieri che ne abbiano necessità o bisogno. Per la realizzazione di questo progetto, denominato REUSE FOR GOOD, l’associazione ha vinto un bando del Comune di Bologna-Cittadinanza Attiva, ottenendo l’assegnazione di un immobile in Via Savenella 13, Bologna, ora nuova sede operativa. Questo progetto cosa si prefigge? Il progetto intende promuovere ed organizzare, eventi, incontri, campagne ed altre iniziative sui temi della sostenibilità, della solidarietà sociale e dell’educazione al riuso e vuole diventare un punto di riferimento ed orientamento per tutte le energie, le competenze, le proposte attive sul territorio. Vuole, infine, anche essere un luogo di incontro, di confronto e di relazioni. Un moltiplicatore di idee, collaborazioni e progetti con l’ambizione di svolgere, nel prossimo futuro, la funzione di vetrina, per raccontare tutto quello che accade in città sui temi del riuso e della sostenibilità, per dare spazio e voce alle persone ed alle loro storie, per sottolineare i segni di un cambiamento che sta avvenendo. C o m e è possibile d o n a r e quello che a noi non serve o non piace più a beneficio di chi invece ne ha bisogno? Basta contattare l’Associazione (tutti i riferimenti sono sul sito, ma siamo anche su Facebook), oppure accordarsi per un ritiro a domicilio. Naturalmente gli oggetti donati devono essere in buone condizioni. Come si svolge il lavoro dei volontari? L’opera ed il lavoro dei volontari (circa 70) si sviluppa lungo tutto l’anno e non si esaurisce solamente nel mese di allestimento e di apertura del mercatino (solitamente nel mese di ottobre). I capi donati e rac- altri enti no-profit del territorio. La data del prossimo mercatino? Il 9 e il 10 maggio è in programma il Garden Vintage Market, mercatino all’aperto allestito nel giardino della sede. Invece dal 22 al 25 ottobre vi sarà l’annuale Mercatino Vintage, che vedrà come beneficiaria l’Associazione Piccoli Grandi Cuori Onlus, che si occupa di aiutare le famiglie ed i bambini portatori di cardiopatie congenite. Giorgio Albèri Per informazioni: [email protected] www.reusewithlove.org Loto si batte contro il ‘killer silenzioso’ I ncontro Sandra Balboni Presidente dell’Associazione Loto. Può spiegare che cos’è l’associazione che presiede e con quali modalità agisce? Loto è un’associazione no profit, basata sul volontariato, che opera contro il tumore ovarico. Uno dei principali obiettivi è quello di divulgare informazioni e rendere consapevoli le donne su una patologia come il carcinoma dell’ovaio, uno tra i tumori femminili a prognosi più severa. Loto nasce nel 2013 grazie all’iniziativa di un gruppo di pazienti e amici certi di dover attivare un percorso “pionieristico” per affrontare una patologia di cui non sono note le cause e per la quale non sono ancora disponibili strumenti validi per la diagnosi precoce. L’associazione è strutturata con un Consiglio Direttivo ed un Comitato Tecnico-Scientifico, i quali si affiancano per contribuire, ciascuno per la propria area di competenza, alla diffusione dell’informazione, al supporto alle donne colpite da carcinoma ovarico (sportello amico, percorsi di medicina non convenzionale) e al sostegno della ricerca scientifica. Eventi dedicati, workshop, convegni, il sito internet e le newsletter sono i principali strumenti attraverso i quali si realizza l’attività informativa, di supporto e di sensibilizzazione. Il Comitato Tecnico-Scientifico, oltre a organizzare incontri scientifici e di divulgazione, seleziona e propone i progetti di ricerca da sostenere. Perché questa patologia è conosciuta come “killer silenzioso”? Il carcinoma all’ovaio è definito così, perché in Italia uccide ogni anno oltre 2000 è estesa fuori dalle ovaie e dalle pelvi. Nel 2012 il carcinoma all’ovaio ha colpito quasi 5.000 donne in Italia e 250.000 donne nel mondo. Quali sono le principali azioni sostenute dall’associazione Loto? Oltre alla sensibilizzazione delle donne, Loto è impegnata attivamente per il finanziamento del pro- Sandra Balboni, terza da sinistra, con il suo staff donne, ma non dà sintomi specifici nelle fasi iniziali e il fatto che non esistano strumenti di diagnosi precoce concorre a far sì che non esistano campagne di screening. Il cancro epiteliale dell’ovaio è la forma più frequente di tumore ovarico maligno e colpisce maggiormente le donne di età superiore a 50 anni, ma può interessare anche donne più giovani. Proprio perché è asintomatico la diagnosi è spesso tardiva, e oltre il 70% dei casi sono diagnosticati in fase avanzata, quando la malattia Come sostenere le Buone Notizie? Vedi a pagina 2 getto che prende il nome dall’associazione stessa. Il progetto LOTO è uno studio di ricerca sulla basi biomolecolari del carcinoma dell’ovaio, orientato al monitoraggio delle donne a rischio e alla personalizzazione della terapia. Il progetto, iniziato a gennaio 2014, è frutto della collaborazione dell’Oncologia Medica Addarii (dott. Claudio Zamagni) con la Ginecologia Oncologica (dott. Pierandrea De Iaco) e la Genetica Medica (Prof. Marco Seri e dott.ssa Da- niela Turchetti), dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Policlinico S.Orsola-Malpighi, e con il Dipartimento di Patologia Molecolare (dott. Ralph Wirtz) del St. Elisabeth Hospital dell’Università di Colonia, in Germania. Al Progetto ha aderito anche l’Oncologia ed Hospice Asl di Imola (dott. Antonio Maestri). Quali scopi si prefigge il progetto? Lo scopo del progetto LOTO è quello di contribuire alla conoscenza delle caratteristiche biomolecolari dei tumori epiteliali dell’ovaio sia per identificare donne a rischio aumentato, alle quali proporre programmi di monitoraggio specifico (diagnosi precoce), che per identificare bersagli molecolari per nuove terapie mirate. Globalmente, questo progetto persegue allo stesso tempo una finalità preventiva, permettendo l’identificazione di donne a rischio genetico in cui il tumore può essere prevenuto, e una finalità terapeutica, che consenta di personalizzare la terapia in funzione delle specifiche caratteristiche del tumore. Un progetto di ricerca molto importante e nodale la cui ampiezza, come spesso succede, sarà determinata dall’entità dei fondi che si riusciranno a raccogliere. Rosanna Scipioni Sito ufficiale: www.lotonlus.org 30 Bastano Euro 7 Invecchiare bene? Attenti alla mezz’età di Renzo Canestrari I progressi della medicina hanno contribuito a prolungare in modo consistente l’età media della vita. E dalle ricerche degli ultimi vent’anni è emersa la constatazione che una fondamentale variabile nell’assicurare una “buona” vecchiaia è costituita dalla modalità con cui la persona risolve la “crisi” di mezz’età che è oggi situata fra i 40 e i 60 anni. Fino a non molto tempo fa tale momento della vita era frettolosamente risolto in termini di “necessaria rassegnazione” per le inevitabili “perdite” fisiche, affettive e sociali. Ma oggi non è più l’età in cui si deve apprendere “come rassegnarsi”, ma “come rinnovarsi”: in altre parole, la “crisi” della mezza età è considerata come una crisi per la ridefinizione del sé. In essa, i conflitti psichici sono molto simili a quelli di un’altra grande crisi della vita: quella dell’adolescenza. Come l’adolescenza deve superare il trauma del “distacco” dai genitori e passare dalla condizione di fanciullo dipendente a quella di persona autonoma, così l’individuo di mezza età deve accettare le inevitabili perdite. E, con appropriato dolore, distaccarsi da alcuni aspetti della propria persona, al fine di permettere ad altri aspetti, sacrificati nella prima parte della vita, di trovare in seguito adeguata espressione. In particolare nell’uomo, specie se in precedenza ha dovuto darsi uno stile competitivo, “maschilista” , sono i desideri di tenerezza, affiliazione, gusto estetico, che chiedono ascolto e soddisfazione; nella donna, specie se ha dovuto dedicarsi soprattutto ai compiti di madre e casalinga, sono i desideri di partecipazione sociale e di industriosità, che tentano di trovare 8 un’adeguata espressione. Naturalmente, questa revisione del sé (che coinvolge la percezione del corpo, l’espressione sessuali e le relazioni sociali), è condizionata da diverse variabili (la salute fisica, la configurazione familiare, il lavoro). Alcuni, anziché accogliere le nuove potenzialità, si irrigidiscono, rafforzando le difese denigratorie (che si esprimono soprattutto nella volontà di rimanere giovani in modo esagerato). Altri sviluppano un’attenzione patologica verso il corpo, oppure avvertono le nuove potenzialità non come delle opportunità, ma come delle “debolezze” o minacce; altri ancora vivono le perdite dell’età come perdite globali (senso di fallimento, depressione). La riabilitazione cognitiva con le persone U n po’ di tempo fa, abbiamo già condiviso attraverso questa pagina, alcuni aspetti sulla terapia non farmacologica per le persone affette da demenza. In particolare si trattava della validation therapy, cioè quella specifica modalità di entrare in comunicazione con la persona sofferente, accogliendo e validando appunto, qualunque tipo di contenuto. Anche il più strano o il più bizzarro, proprio con l’intento di poter interagire nella maniera più empaticamente autentica. Oggi affrontiamo invece, il tema della riabilitazione cognitiva, che consiste nel proporre al soggetto dei percorsi costituiti da esercizi finalizzati a stimolare aree specifiche del cervello, le quali coordinano determinate funzioni: memoria, linguaggio, calcolo, logica, scrittura, ecc. Si tratta di una vera e propria ginnastica mentale. A livello scientifico, si è arrivati alla scoperta che il cervello non è un organo statico, ma al contrario estremamente dinamico, in quanto formato da migliaia di neuroni che creano tra loro continue connessioni. Si parla di plasticità cerebrale e la conseguenza è la nostra attività cognitiva. Tanto più questo continuo ed incessante lavoro viene tenuto in allenamento attraverso le nostre abitudini quotidiane, quanto più potranno essere ostacolati o almeno rallentati i processi di deterioramento cognitivo messi in essere dalla patologia neurodegenerativa. Gli esercizi prevedono diversi gradi di difficoltà e sono studiati proprio per non mettere mai in difficoltà la persona alla quale vengono proposti. Molto spesso, le persone affette da deterioramento cognitivo, faticano a trovare attività che destino e poi mantengano attivo il proprio interesse. Il rischio è quello di un aumento dell’apatia e di un conseguente abbassamento del tono dell’umore. Durante gli esercizi di ginnastica mentale, è importante che il familiare o la persona che assiste il malato, mantenga un atteggiamento sereno, empatico, accogliente e mai giudicante. Se la persona sbaglia o è in difficoltà, si cercherà di guidarla con dolcezza e comunque si sdrammatizzerà l’eventuale errore, utilizzando anche e soprattutto il linguaggio non verbale: un abbraccio, un sorriso, una pacca sulla spalla. Di seguito sono presentati alcuni esempi di esercizi di riabilitazione cognitiva, tratti dal libro “ Ginnastica mentale- esercizi di ginnastica per la mente per disturbi della memoria e altri deficit cognitivi lievi moderati” di Cristina Guelfi- Maggioli Editore Un’ ultima considerazione: non è facile per un familiare, accettare questo tipo di malattia. Tanti fattori entrano in gioco: il grado di parentela, la qualità del rapporto che c’era prima dell’insorgere della demenza, la propria modalità di reagire agli eventi, la possibilità o meno di ricevere aiuti per le attività di assistenza. A volte le persone raccontano di non sapere proprio cosa fare; si chiedono come potere impegnare una quotidianità che ora appare completamente sconosciuta e giorno dopo giorno sempre più impossibile. Forse, la ginnastica mentale può venire in aiuto an- Il Santo e le pagine sfogliate dal vento “C arissimi fratelli e sorelle, alle 21,37, il nostro amatissimo Santo Padre Giovanni Paolo II è tornato alla Casa del Padre, preghiamo per lui”. Era il 2 aprile 2005 ed assieme alle mie figlie eravamo incollate al televisore in attesa di quello che non avremmo mai voluto sentire. Difficile non trattenere le lacrime; per loro era “il Papa”, l’unico che avevano conosciuto e che avevano seguito fin dalla tenera età, ma per tutti era una perdita immensa. Da quella sera e fino all’8 aprile, quando hanno avuto luogo le esequie, Giovanni Paolo II è stato pianto da una folla di più di tre milioni di pellegrini, moltissimi cattolici nel mondo, e anche molti non cattolici, che si recavano a Roma per rendere omaggio alla salma, attendendo in fila giorno e notte. Mi ritorna alla mente una delle ultime immagini del Papa, di spalle e inginocchiato, che seguiva la Via Crucis dal Suo appartamento, poiché le condizioni erano già molto critiche: quanta sofferenza, ma quanta dignità. Come poi non ricordare il funerale? Quella semplice bara di ci- affette da demenza che per questo: ci può offrire l’opportunità di un nuovo canale comunicativo. Nuovo sì, ma non per questo meno autentico ed importante. 1)La mia famiglia Io mi chiamo… il nome di mio padre è… il nome di mia madre è… i miei genitori hanno avuto…figlio/i… i nomi dei miei fratelli/ sorelle sono… io sono sposato/a con… abbiamo avuto…figlio/i… loro si chiamano… i miei nipoti si chiamano… 2)Ricordiamo tutte le lettere Scrivi tutte le cose che ti vengono in mente che iniziano con la lettera indicata ABCDEFGILMNOPQRSTUVZ 3)Completa le seguenti azioni La porta si apre e si chiude con… la stoffa si taglia con le… il giornale si compra in… i rifiuti si buttano nel… la barba si taglia con il… i film si possono vedere in… i vestiti si stirano con il… per lavarsi i denti serve lo… per soffiarsi il naso serve il… per pagare servono i… le medicine si comprano in… il rossetto si mette sulle… si attraversa la strada quando il semaforo è… 4)L’intruso Per ogni riga trova la parola che non appartiene alla stessa categoria ACQUA- TE’- LATTE- SUCCO- CUCCHIAIO LUNEDI- MARTEDI- MERCOLEDI- GIOVEDI- VENERDI- NOVEMBRE VERDE- UNO- DUE- SEI- OTTO ORATA- SOGLIOLA- SCOPA- TROTA- BRANZINO 5)La bilancia Cosa pesa di più? Tra una formica e un topo- tra un lenzuolo e una coperta- tra una macchina e una bicicletta- tra una margherita e una pianta- tra un cappotto e un maglione- tra un televisore e un armadio- tra un melone e un albicocca- tra un asciugamano e un accappatoio Paola Miccoli presso posta su un tappeto damascato, tra un crocefisso e il cero pasquale. Sulla porta della Basilica di San Pietro un arazzo rappresentante la resurrezione e l’allora cardinal Ratzinger che celebrava la messa e quel Vangelo posto sulla bara le cui pagine venivano sfogliate dal vento… A dieci anni dalla sua morte, ho ripensato a Giovanni Paolo II, a come ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario (ha compiuto ben 104 suoi viaggi apostolici). Dal 1985, spinto dall’amore che nutriva per i giovani, ha dato inizio alle Giornate Mondiali della Gioventù e milioni erano i giovani, provenienti da ogni parte del mondo, che rispondevano a questo appello. Allo stesso modo la sua attenzione si è rivolta alla famiglia e nel 1994 ha iniziato gli Incontri mondiali delle Famiglie. Ha promosso il dialogo con gli ebrei e con i rappresentati delle altre religioni, convocandoli in diversi Incontri di Preghiera per la Pace, specialmente in Assisi. Sotto la sua guida la Chiesa è stato celebrato il Grande Giubileo del 2000 ed a lui si deve il rinnovamento spirituale della Chiesa. Ha dato un impulso straordinario alle canonizzazioni e beatificazioni, per mostrare tanti esempi di santità, che fossero di incitamento agli uomini del nostro tempo. Quanto ci sarebbe ancora da dire …termino questo ossequioso ricordo con una frase di Giovanni Paolo II che vuole essere un’esortazione per tutti: “Vivete nella Fede, trasmettetela ai figli, testimoniatela nella vita, amate la Chiesa, vivete in essa e per essa, fate spazio nel cuore a tutti gli uomini, perdonatevi a vicenda, costruite ambienti di pace ovunque siete. Ai non credenti dico: cercate Dio, Egli sta cercando voi. E ai sofferenti dico: abbiate fiducia, Cristo che vi ha preceduto vi darà la forza di far fronte al dolore. Ai giovani: spendete bene la vita, è un tesoro unico. A tutti: la Grazia di Dio vi accompagni ogni giorno. E salutatemi i vostri bambini, appena si svegliano. Come vorrei che questo mio “buon giorno” fosse per loro presentimento di una buona vita, a consolazione vostra e mia, e di tutta la Chiesa. E dal 27 aprile 2014 abbiamo un Santo in più: San Giovanni Paolo II. Donatella Bruni 9 Comelli, un ‘trampolino’ per i giovani O gni anno cinque giovani bolognesi, neo iscritti all’Università di Bologna, accedono mediante concorso a cinque borse di studio, ciascuna di 2.000 euro annui, messe a disposizione dal Collegio Comelli, una delle “antiche istituzioni bolognesi” ancor oggi realtà importanti per la città (se ne contano ben 26). Per sapere di più di queste istituzioni ed in particolare del Collegio Comelli incontriamo Valeria Piccinini Sassòli, Segretario Generale del Collegio, alla quale chiediamo di raccontarci questa storia straordinaria degli anni della “grande Bologna”, la città “dotta” allora riferimento della cultura europea con forte appeal per i giovani dei diversi Paesi che accedevano agli studi universitari. E partiamo ovviamente dalle origini. Domenico Comelli era notaio bolognese e filantropo. Nel ‘600 a Bologna, per la fama della sua Università, erano presenti numerosissimi studenti e Comelli aveva notato come i giovani stranieri, provenienti da tutto il mondo, avevano corporazioni e collegi che li aiutavano nella vita in città come, ad esempio, il Collegio dei Fiamminghi, fondato da Jean Jacobs, istituzione storica tuttora presente a Bologna e, insieme al Collegio di Spagna, una delle poche sopravvissute tra i molti collegi universitari sorti nella vicenda millenaria dell’Alma Mater. Numerose erano in quegli anni le istituzioni che operavano: il Collegio Ancorano per i parmensi, il Ferrerio per i piemontesi, il Fieschi per i genovesi, l’Illirico-Ungarico per i croati e gli ungheresi, il Sinibaldi per i lucchesi, il Montalto per i marchigiani, il San Clemente e il Vives per gli spagnoli. Per i bolognesi c’era solo il Collegio Poeti, fondato nel Cinquecento, che beneficiava unicamente cinque giovani. 10 Da qui il requisito di “bolognesità” per gli studenti cui pensò Comelli. “Il 28 maggio 1663 con proprio testamento dispose che fosse istituito, a cura dei suoi tre eredi (denominati i Compadroni che avrebbero dovuto amministrarlo con questo intento e “in eterno”, di discendente in discendente), “un Collegio di giovani studenti cittadini Bolognesi, di buona fama e vita a guisa del Collegio fondato per il già sig. Giovanni Jacobs in questa città di Bologna…”.” Gli eredi di Domenico Comelli, seguendo le istruzioni testamentarie, acquistarono “una grande e nobile casa in strada Maggiore al civico numero 71”che è rimasta sede del Collegio fino al 1922, anno in cui fu venduta e dove tuttora è leggibile una targa ricordo. E investirono il capitale residuo in possedimenti da cui nel tempo sono derivati la maggior parte degli utili per la gestione del Collegio che oggi ha sede in Galleria Cavour. Aperto il 25 novembre 1665 il Collegio ben presto acquisì prestigio e fama al punto che “potervi collocare un figliolo era reputato onore e fortuna dalle famiglie cittadine”. Fino al 1833, quando i giovani non furono più accolti e mantenuti nell’antica casa, ma vennero lasciati presso le loro famiglie e assistiti con assegni annui, oggi diventati borse di studio. Tra i tre figli eredi c’era una sorella (fattasi suora) alla cui morte fu nominato discendente il Convento. Ma poi, con la soppressione dei Conventi a seguito dell’avvento di Napoleone, la discendenza, insieme agli altri eredi compadroni, passò allo Stato Italiano e, per questo, al Ministero dell’Istruzione il quale nomina ogni tre anni come “delegato governativo” una figura rappresentativa di assoluto prestigio che ne diventa anche Presidente (attualmente è l’Avv. Giuseppe Vicinelli). Dalle origini ad oggi le persone che si sono succedute nella gestione del Collegio, pur diverse per cultura, idee e condizioni sociali, hanno condiviso una comune aspirazione: accompagnare in ogni tempo l’affermazione di giovani di valore favorendone gli studi e il futuro professionale. Generalmente gli studenti del Collegio si sono “fatti valere”: hanno concluso – e concludono tuttora – i loro studi con lauree a pieni voti e poi nelle attività professionali parecchi di loro hanno raggiunto, per merito, posizioni importanti nella città e nel Paese. Roberta Bolelli Accademia Clementina, diritto ed economia in soccorso dell’Arte A nche i proverbi, saggezza dei popoli, possono essere fraintesi. “ Imparare l’arte e metterla da parte”, certo, ma non nel senso di farla sparire, magari compromessa e trascurata in favore di applicazioni più concrete e quotidiane. Quando poi il rischio minaccia una città storica come Bologna, che di arte ne ha creata e ispirata come poche altre, vuol dire che bisogna davvero correre ai ripari. Per esempio, con un ciclo di incontri in cui l’arte venga discussa nelle sue spesso complesse relazioni con le discipline della vita di tutti i giorni, in particolare quelle giuridiche ed economiche. Ed è esattamente di questo che si è parlato nei giorni scorsi nella magnifica Aula Magna dell’Accademia di Belle Arti. Sei appuntamenti, aperti anche al pubblico, che risveglino la sensibilità dell’identità culturale anche nella modernità, promossi e organizzati da un’istituzione storica della città, l’Accademia Clementina, di cui sono intervenuti il presidente, il prof. Andrea Emiliani, e il cancelliere, l’avvocato Santa D’Innocenzo, alla presenza del presidente dell’Accademia di Belle Arti, il prof. Fabio Roversi Monaco. Ecco quindi il primo ciclo dei seminari di Diritto ed Economia nella gestione dell’Arte moderna e contemporanea. L’idea è quella di riunire esperti dei vari settori e discutere le problematiche, dal tema del graffitismo all’importanza delle aste e delle fiere, in cerca di possibili soluzioni, sfidando la crisi. Dal traffico dei mezzi pubblici pesanti nel centro storico al ruolo dell’Accademia Clementina come spazio non convenzionale per rilanciare la cultura, si sono toccati alcuni snodi cruciali del discorso, preludio del ciclo di seminari vero e proprio. Omeopatia, tanti e banali luoghi comuni S ono quasi 10 milioni gli Italiani che usano regolarmente o occasionalmente i medicinali omeopatici. Da un sondaggio di AstraRicerche (ottobre 2013) sappiamo inoltre che, tra gli utilizzatori, il 60% intende farne uso come adesso, mentre il 30.9% vuole ricorrervi anche più di quanto sta facendo attualmente. Dalla stessa ricerca emerge che il 51.7% di chi afferma di conoscere – anche senza esperienza di utilizzo – i medicinali omeopatici, vorrebbe saperne di più in merito al tema omeopatia. Fra questi, ben il 43.8% desidererebbe che fossero i mezzi di informazione a comunicare di più su questo tema e sul comparto che, dati alla mano, si mantiene saldo malgrado la crisi. Nonostante ciò, spesso all’omeopatia si associano alcuni “luoghi comuni”, che è opportuno sfatare per evitare di creare confusione nel pubblico su un argomento di per sé già complesso. Tra gli errori più comuni ci sono quelli legati alla terminologia. A volte i medicinali omeopatici vengono definiti “rimedi”, termine che richiama alla mente preparati dal contenuto misterioso, non necessariamente di natura medica. Al contrario, gli omeopatici sono medicinali a tutti gli effetti: lo Stato Italiano ne ha infatti ufficialmente riconosciuto lo status con il D. Lgs. 219/2006. Altro luogo comune è la definizione dell’omeopatia come medicina “alternativa” a quella tradizionale. In realtà, come evidenzia Christian Boiron, Direttore Generale di Boiron, gruppo leader nella produzione e distribuzione dei medicinali omeopatici, l’omeopatia è una delle possibili terapie di cui medici e farmacisti si possono avvalere nella propria pratica quotidiana, prescrivendo farmaci omeopatici e allopatici in base alla patologia del paziente. La terapia omeopatica può essere associata ad altre terapie: infatti, fra i suoi vantaggi si può contare l’assenza di interazioni farmacologiche note. Questa caratteristica rende i medicinali omeopatici utili nella cura dei pazienti politrattati come per esempio le persone anziane. Si tende poi a confondere l’omeopatia con la fitoterapia, quasi fossero la stessa cosa. In realtà, la fitoterapia è un metodo terapeutico che utilizza solo sostanze di origine vegetale, mentre l’omeopatia si avvale di sostanze appartenenti ai regni vegetale, animale e minerale. Inoltre la fitoterapia cura per mezzo di estratti di piante a dosi ponderali, mentre l’omeopatia con medicinali ottenuti da diluizioni e dinamizzazioni della sostanza di partenza. Un altro luogo comune riguarda la convinzione che l’omeopatia sia efficace solo per patologie lievi. Anche questo è falso. Si pensi all’impiego di medicinali omeopatici nella prevenzione, o per la cura di malattie gravi o croniche (ad esempio forme allergiche respiratorie o cutanee croniche, cistiti ricorrenti, bronchiti croniche, artrosi, osteoporosi) sino ad arrivare alla cura degli effetti secondari delle terapie oncologiche. Ancora, capita di leggere che i tempi di azione dell’omeopatia siano lenti, a prescindere dalla patologia per la quale vengono somministrati. La loro rapidità d’azione dipende, invece, proprio dal problema di salute considerato: per la cura di un sintomo acuto, l’azione è rapida e, a seconda delle situazioni, può andare da pochi minuti a qualche ora o qualche giorno. In caso di malattie croniche, invece, dove è fondamentale una visita medica da un medico esperto in omeopatia, il trattamento è necessariamente più lungo. L’efficacia e la velocità d’azione dei medicinali omeopatici nella cura di malattie gravi o croniche è testimoniata da una recente intervista sul quotidiano “La Nazione Livorno” al dottor Elio Rossi, Responsabile Territoriale Ambulatorio Omeopatia della Asl 2 di Lucca. Il medico spiega che “l’omeopatia agisce in genere rapidamente ed efficacemente nel caso di malattie acute come raffreddore, influenza, dissenteria, nausea da viaggio”, e sottolinea che, “per avere risultati migliori e in tempi più rapidi è preferibile assumere medicinali omeopatici alla comparsa dei primi sintomi”. Il medico ricorda, inoltre, che per le malattie croniche “i farmaci omeopatici permettono di ottenere buoni risultati anche nel caso di asma, allergie e dermatosi”. Infine, un aspetto che è importante chiarire, riguarda la sicurezza dei medicinali omeopatici. Molti affermano che i medicinali omeopatici non sono sicuri o che sono fabbricati con norme diverse rispetto ai medicinali allopatici: in realtà, sono fabbricati seguendo le norme di buona fabbricazione del farmaco, che vengono imposte dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) per la produzione di tutti i medicinali. Grazie alle loro alte diluizioni, inoltre, gli omeopatici non presentano tossicità chimica, controindicazioni, interazioni farmacologiche ed effetti indesiderati legati alla quantità del prodotto assunto. Per questo motivo possono essere somministrati a bambini, adulti e persone anziane. Alessandro Lenzi Parliamo di allenamento: ma è tutta aerobica? Q uante volte, parlando di allenamento, abbiamo sentito nomi nare la parola “aerobica”? Non è scontato però che sia un concetto chiaro per tutti. Mi sembra giusto quindi spiegare bene che cos’è, per evitare fraintendimenti. L’allenamento aerobico è quel tipo di allenamento che va a bruciare direttamente i grassi, il che implica, attraverso l’utilizzo dei muscoli, un discreto impegno da parte di cuore e polmoni. Quindi basta fare un giro in bicicletta o una corsetta? Non proprio. Purtroppo molte volte buttiamo via tempo e fatica perché ci alleniamo nel modo sbagliato. I rischi sono due: il primo è che il battito del cuore non salga abbastanza, in tal caso non suscitereste nessuna reazione metabolica e perdereste solo del tempo. Il secondo rischio invece è che se faceste troppa fatica il battito salirebbe troppo e l’organismo smetterebbe di bruciare i grassi: utilizzerebbe solo gli zuccheri (come “emergenza”) producendo acido lattico, cioè una sostanza che vi farà percepire una sensazione di fatica crescente, che se prolungata vi costringerà a fermarvi. La formula corretta però ad un primo livello è semplice: bisogna mantenere costante per almeno una ventina di minuti un certo livello di fatica, e l’intensità di questa fatica è misurabile con la frequenza cardiaca che deve salire più o meno al 70% della massima frequenza raggiungibile (ci son delle tabelle che ci possono aiutare a scoprire questi dati). So cosa state pensando, ma non disperate: questi dati si possono misurare con un banale cardiofrequenzimetro, ma anche se ne fossimo sprovvisti non è grave, infatti possiamo imparare ad ascoltare il nostro corpo: visto che abbiamo detto che il livello di fatica corretto è quello che ci fa sicuramente iniziare a sudare ma non tanto da perdere il fiato, mentre fate la vostra camminata o pedalata provate a chiacchierare o a fischiare: se ci riuscite senza troppo affanno è tutto ok! Siete finalmente in regime brucia grassi. Va inoltre detto però – ed è molto importante - che l’aerobica è solo uno dei modi per bruciare i grassi con l’esercizio. Vi sono infatti altri metodi, indiretti ma anche più efficaci, che si attivano con un allenamento completo e mirato. Magari di questi parleremo un’altra volta. Intanto iniziate ad attivare cuore e polmoni senza strafare, bruciando i grassi e migliorando anche fiato e qualità della vita. Buon allenamento! Dott. Luigi Pilati www.luigipilati.com 11 La sottile arte dell’essere maestri 12 Foto Marco Caselli D i questo i nostri ragazzi hanno più di ogni altra cosa bisogno: di insegnanti che indichino loro la strada, che siano veri maestri di vita. Mi viene in mente leggendo l’articolo che Tony Servillo ha rilasciato giorni fa all’Espresso Parlando del motivo per cui da giovane lasciò l’università (Facoltà di Psicologia): “un giorno mi presentai all’esame piuttosto stanco, il professore se ne accorse e ne chiese il motivo. Mi vergognavo a dire che avevo fatto le prove sino a tardi, ma alla fine confessai: faccio l’attore. E lui: allora smetta con questo studi perché le ingombrano lo spirito”. Ho pensato più volte a quella frase dopo averla letta. Quel maestro, scrollatosi per un attimo il dovere di insegnare la propria materia, preferì suggerire al giovane studente di seguire la sua naturale inclinazione, anche a costo – atto di grande apertura intellettuale – di abbandonare il suo insegnamento. Fu un atto di profonda umiltà professionale, di alto valore etico morale, che forse privò la società di uno psicologo (mediocre?), ma regalò a tutti noi un artista grande, talentuoso e completo. Ho sempre pensato che tra i compiti del difficile mestiere di insegnare vi sia quello di aiutare gli studenti e capire ed a capirsi; disciplina (o arte), molto più vicina al formare l’individuo, che all’informarlo. E’, questo, un convincimento indotto dalla personale esperienza di vita. Dei tanti professori avuti negli anni di studio, quello che più ha lasciato un segno in me è stato un Aggiunto di Analisi 1, tal professor Forni. Me lo ricordo come fosse ieri, piccolo di statura, superati da tempo i cinquanta, alzarsi in piedi (erano altri tempi) dall’ultima fila di banchi, ogni qual volta l’Ordinario di cattedra lo coinvolgeva per suggerirgli di affrontare nelle successive esercitazioni una parte del programma piuttosto che un’altra. Ebbene, un giorno, il Forni, notato un mio scoramento (ero seduto in prima fila) al termine di un accertamento non proprio brillante, mi si avvicinò e con tono paterno mi disse: “allievo non sia triste, cosa vuole che sia un compito andato male rispetto ai suoi vent’anni. In fin dei conti, è solo matematica….” Ho pensato a quella frase innumerevoli volte, per tirarmi su di morale a causa di un risultato non raggiunto, o per riportarmi con i piedi a terra in caso contrario. A distanza di tanti anni, sono anche convinto che quel professore, a differenza del titolare, avesse subito capito che la sua materia mi ingombrava lo spirito; e se alla fine superai quell’esame (con un misero 22), penso lo debba anche alla leggerezza d’animo con la quale mi ci fece accostare. Fortunati allora quegli studenti che hanno la fortuna di imbattersi in simili maestri, così come assai infelice è quel sistema educativo che delega al caso tali incontri, piuttosto che renderli sistemici e funzionali al progresso della società. Antonio Vecchio Le forze armate entrano nelle scuole S i deve a un’intesa firmata tra il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica e quello della Difesa, lo scorso mese di settembre, il progetto di comunicazione sul “ruolo delle Forze Armate nella crescita democratica del Paese”, che da qualche settimana ha preso avvio anche nella nostra regione. Decine gli istituti/licei/ scuole coinvolti di ogni ordine e grado, e di tutte le province. Un ciclo di conferenze, coordinate dal Comando Militare Esercito “Emilia Romagna” di concerto con l’Ufficio Scolastico Regionale, tenute da un team di Ufficiali delle Forze Armate e della Guardia di Finanza, sulla Grande Guerra - di cui proprio quest’anno ricorre il centenario (l’Italia vi entrò nel 24 maggio 1915) -, e la Guerra di Liberazione, il cui 70° anniversario sarà celebrato a partire dalla prossima primavera. “I due conflitti del novecento – spiegano al Comando Militare Esercito - hanno segnato profondamente l’identità della Nazione. Noi ci proponiamo di ripercor- rerli insieme agli studenti, con l’intento di capire come tali esperienze, per quanto drammatiche, abbiano contribuito a porre le basi dell’attuale Italia repubblicana e democratica Quello che ci proponiamo con questa iniziativa, in definitiva, è un’operazione di recupero collettivo della memoria e di condivisione di una parte della nostra storia comune”. A margine, un’iniziativa dello Stato Maggiore dell’Esercito, speciale e unica nel suo genere, che offre la possibilità agli studenti che ne faranno richiesta, di ricevere una copia dello stato di servizio o del foglio matricolare di un proprio avo che abbia partecipato alla Grande Guerra. Lo Stato di Servizio è il do- cumento che accompagna tutta la vita del militare (l’esatta denominazione è “Stato di Servizio” per gli Ufficiali e “Foglio Matricolare” per Sottufficiali e truppa). All’interno si trovano tutte le informazioni relative ai compiti svolti, ai reparti di appartenenza, alle malattie, ferite, eventi di vario tipo che hanno coinvolto il militare. Dalla visita di incorporamento al congedo, questo documento accompagna tutta la vita del soldato, quasi fosse un “diario”. Durante la Grande Guerra, quando furono richiamati alle armi milioni di italiani - ben il 97% degli italiani abili al servizio - fu approntato un numero enorme di Stati di Servizio e Fogli matricolari che potranno essere consegnati direttamente ai giovani discendenti. “Avere lo Stato di Servizio del proprio avo vuol dire avere la possibilità di conoscerlo meglio e più da vicino, rivivendo le esperienze che lo hanno visto protagonista con il suo reggimento e i suoi compagni”. Enrico Baviera All’Antoniano rivive il mito del grande Fred è stato un grande successo al teatro “Antoniano” di Bologna lo spettacolo musicale brillante ideato e diretto da Giorgio Albéri dal titolo “Buscaglione, il duro di Chicago”. Una rappresentazione per celebrare emozioni in un flashback fatto di brani, Franz Campi con Lara Luppi suoni e voci. “Eri piccola…”, “Teresa, non sparare”, “Che bambola!”, quante persone hanno ricordato queste melodie immortali degli anni sessanta! “E’ proprio vero: Fred Buscaglione con quella voce roca ha cambiato il modo di cantare – spiega il regista/autore – ha proposto Franz Campi è Buscaglione alle platee italiane delle canzoni completamente diverse come stile, come contenuto e come melodia. Lo spettacolo propone anche altri “Amici di Fred” come Carosone, Kramer, Lojacono, ecc.”. Ecco in breve il contenuto dello spettacolo la cui parte musicale è stata curata dal M° Lamberto Lipparini che, al pianoforte, unitamente ad una band di sei elementi, ha diretto i cantanti Franz Campi (ineguagliabile interprete delle canzoni di Buscaglione) e Lara Luppi, affiancati dall’attrice Gaia Ferrara. Luisella Gualandi Giorgio Albéri al termine dello spettacolo con i Jumpin’ Shoes Laura, quando la pittura è dedicata agli amici animali Un compleanno di tutto rispetto L aura Casalini ama in modo totale gli animali, specialmente cani e gatti e le piace portare la loro immagine su tela. Le chiediamo come è nata questa passione. Mi è sempre piaciuto disegnare. Da bambina amavo i cartoni animati e spesso mi divertivo a disegnarli. Avrei voluto frequentare il liceo artistico invece, allora mio malgrado, sono andata allo scientifico. Devo ammettere però che con questi studi ho acquisito il senso della prospettiva e disegnato capitelli e decorazioni architettoniche antiche. E la pittura? Da allora sono passati molti anni e nel 1994, per caso, mi sono iscritta ad un corso di pittura ad olio diretto dal pittore Fanti in un centro denominato “Casa del gufo”. Per la prima volta, provando una grande soddisfazione, ho imparato ad usare i colori ad olio, ho iniziato a dipingere paesaggi, dei fiori e delle nature morte. Successivamente mi sono iscritta a un altro corso di pittura diretto dal maestro Giancarlo Milani di Bologna. Il mio modo di dipingere tende all’impressionismo. Dipingo di getto e amo i colori. Quando ha scoperto di amare dipingere cani e gatti? Con una piccola esperienza alle spalle e con le nuove conoscenze acquisite ho proseguito provando a dipingere figure, cavalli e animali vari. Ma è stato in questi ultimi anni che mi sono dedicata soprattutto ai cani che adoro. Mi piace cogliere l’espressione dei loro occhi sempre diversa. Ultimamente ho fatto anche ritratti di bambini. Il suo stile pittorico a quale corrente si ispira? Uso prevalentemente la tecnica a olio. La classica domanda che si rivolge ad un artista: quale il sogno nel cassetto? Il mio sogno rimasto nel cassetto? Avere frequentato il liceo artistico e aver potuto lavorare nel settore dei cartoni animati che amo ancora riprodurre su magliette, sassi, borse o altro supporto che mi capiti fra le mani. Ho partecipato a mostre collettive ed estemporanee riportando buoni risultati. Giorgio Albéri 270 anni fa. Nella notte del 19 febbraio 1745, a causa di un incendio, venne distrutto il teatro di Casa Malvezzi, tutto di legno costruito, lasciando Bologna senza uno degli svaghi preferiti. Furono i prodromi che portarono alla progettazione di un nuovo edificio: il Teatro Comunale, sul terreno del “guasto”, su cui sorgeva, un tempo, la dimora dei Bentivoglio. L’idea fu affidata, con l’approvazione di Papa Benedetto XIV (Lambertini) e del Cardinal legato, ad Antonio Galli Bibiena. Nobili e borghesi si quotarono per l’acquisto di 75 palchi, con l’idea di edificare un palazzo in pietra “per maggior sicurezza e cautela degli incendi”. L’inaugurazione: il 14 maggio 1763. Con una nuova opera commissionata per l’occasione: “Il trionfo di Clelia”, scritta da Christoph Willibald Gluck, nel 1762, su libretto di Pietro Metastasio. La parte di Clelia affidata ad Antonia Girelli Aquilar (400 zecchini romani per 28 recite), quella di Orazio al Manzuoli (500 zecchini). Dopo di allora l’opera non è più stata data fino al 2001, quando è stata rappresentata, a Lugo, ma non nella sua versione completa e originale. Il Teatro Comunale dopo il restauro della facciata nel 1936. 13 Rossini, passioni e allarmi di uno strano ‘bolognese’ N acque a Pesaro e sarebbe scomparso a Passy, visse lungamente a Napoli e a Parigi, operò a Vienna e a Londra, ma bolognese ebbe modo di definirsi disse spesso, Gioachino Rossini (1792-1868), spesso tutto contento, della definizione, e talvolta invece assai contrariato. A Bologna studiò da adolescente, in maniera prima privata e poi pubblica presso il fresco Liceo Filarmonico. A Bologna abitò, ebbe i genitori, comprò casa e anzi case, visse con moglie e anzi mogli, tenne relazioni e amicizie, lavorò e insegnò intensamente. A Bologna stette benone, insomma, ma ricevette anche sgarbi e offese. Patria di mortadelle e aggressioni, confessò, e fu chiaro abbastanza. Solo un’opera, L’equivoco stravagante, rappresentò in quel di Bologna, al teatro del Corso nel 1811; e se le cronache non mentono ebbe i suoi guai, a nemmeno vent’anni, perché fece vedere il bastone ad alcuni coristi poco disciplinati e come guadagno il presuntuosetto ne ebbe la visita del bargello che lo cacciò in gattabuia e ve lo lasciò per una notte. All’epoca aveva già finito, meglio abbandonato gli studi, perché il maestro di contrappunto, il troppo austero Padre Mattei, non gli dava soddisfazione veruna; e da Venezia, l’anno prima, l’aveva chiamato il teatro di S. Moisè per farlo esordire (su segnalazione di un cantante amico della madre, cantante anche lei). Ma mentre studiava, contrappunto (leggi composizione), pianoforte e violoncello (e poco frequentava l’istituto che ora s’affaccia su piazza “Rossini”), lo chiamavano “il tedeschino” perché girellava con sottobraccio delle strane musiche straniere (Beethoven?). Se ne sarebbe ricordato più tardi, nel 1839, quando, smessa da dieci anni una carriera operistica che lo aveva già consegnato alla storia, fu richiesto di assumere la direzione del liceo. Mai! Però “consulente onorario perpetuo” poteva 14 diventarlo; e lo fu, per una decina d’anni svecchiando l’antica, classica, sacra, latina polifonia italiana sul modello dei moderni maestri d’Austria e Germania. Il 1848 portò la guerra d’indipendenza a gran parte dell’Italia e un tafferuglio a Strada Maggiore. Un manipolo di volontari in partenza lo chiamò al balcone dell’appartamento dove stava e lo complimentò, ma qualche mestatore gridò, rinfacciò (contro il ricco conservatore), tramutò la festa in protesta e lui, già vedovo di Isabella Colbran e sposato a Olympe Pélissier, si prese una paura del diavolo e scappò a Firenze. Tornò dopo poco, giusto per prendersi le cose sue (ma almeno da Loiano volle una scorta), e visse a Firenze fino al 1855, gli anni più tristi della sua vita perché inoperoso, isolato, depresso, malato, incapace persino di vestirsi da solo. Con gran fatica Olympe lo persuase a prendere la via di Parigi e colà visse fino alla morte, pian piano recu- perando in salute e anche rimettendosi a comporre (mai opere, però). Bologna? la città prediletta l’aveva criticato, protestato, minacciato, e al cospetto di un’aggressione nulla poteva l’altra predilezione, quella per la mortadella (pari, certo, a quella per il gorgonzola, che però era roba lombarda). A Castenaso si era sposato con Isabella, l’unica donna davvero amata, e a Bologna aveva acquisito e conservato amicizie, i numerosi gentiluomini che gli aprivano le porte di casa e i numerosissimi spettatori che applaudivano ai suoi personaggi cantanti magnifiche arie, Tancredi, Figaro, Guglielmo Tell, Cenerentola, Mosè, Semiramide e quant’altri. Ma la sua cospicua eredità era destino, anzi regola di testamento, che dovesse fondare e alimentare il Conservatorio “Rossini” di Pesaro (come sta facendo ancora). Piero Mioli Una carta importante nata 800 anni fa T ra i numerosi anniversari che proponiamo ai nostri Lettori, non poteva mancare il primo esempio di attestazione pubblica dei diritti civili che fu scritta ben 800 anni fa: la Magna Charta Libertatum. è un documento scritto in latino, promulgato il 15 Giugno 1215 dal Re d’Inghilterra Giovanni Senzaterra, divenuto re quando suo fratello primogenito Riccardo I, salito al trono dopo la morte del padre Enrico II d’Inghilterra, partì per combattere nella Terza Crociata. Il soprannome lo si deve al fatto che perse in combattimento numerosi territori, tra cui quelli francesi. Tornato in patria Giovanni si trovò costretto ad accontentare le richieste dei Baroni, insorti a causa delle tasse che erano state imposte dal sovrano per finanziare le sue imprese belliche piuttosto deludenti. Il titolo del documento significa grande carta delle libertà, e fu chiamata magna per distinguerla da un’altra Charta di quel periodo, un provvedimento di minore importanza che regolamentava i diritti di caccia. La Magna Charta consiste nella concessione di privilegi da parte del sovrano ai suoi sudditi e diminuiva il suo potere diretto sul regno. Il documento riguardava i membri dell’alto clero quali arcivescovi, vescovi e abati, i nobili, i funzionari di Stato e i “fedeli sudditi”. Erano esclusi da questo elenco i servi, ossia la maggior parte degli abitanti dell’Inghilterra di allora, tutti coloro cioè che lavoravano la terra e ad essa erano legati, ma sottoposti all’autorità dei loro signori. Il primo articolo precisa infat- ti, che le concessioni fatte dal sovrano spettano agli uomini liberi del regno. I contadini sono anch’essi sudditi, ma vincolati da legami di dipendenza ai signori cui furono concessi in beneficio assieme alle terre nel momento dell’investitura; quando cioè il sovrano conferiva ai suoi vassalli il possesso di un feudo con tutto ciò che in esso era contenuto. Tra i privilegi più importanti concessi c’era il divieto per il sovrano di imporre nuove tasse ai suoi vassalli senza il preventivo consenso del consiglio del Regno, formato da conti, baroni, arcivescovi e abati, e la garanzia di non venire imprigionati senza aver prima avuto un regolare processo. Nel corso del tempo il documento, che oggi si trova presso la cattedrale di Salisbury, ha subito importanti modifiche; nonostante ciò esso è stato il primo e più importante gradino verso la successiva affermazione del diritto costituzionale monarchico inglese. Donatella Bruni Così Fantini diventò un ‘folletto benefico’ L uigi Fantini nasce al Farneto, il 22 marzo 1895, in una casa colonica, poi sede del Parco dei Gessi bolognesi e dei Calanchi dell’Abbadessa. Tra lui e F ra n c e s c o O r s o n i come un passaggio di testimone. Fantini s’avvicina alla preistoria, attraverso lo zio, amico di Francesco Orsoni. A 15 anni lo aiuta ad accompagnare in visita alla grotta colui che diventerà Papa Benedetto XV. è figlio d’un sarto. Autodidatta. Solo la licenza elementare. Da ragazzo, bosca- iolo. Sui vent’anni, manovale e mugnaio. Nel 1924 s’imbatte in una piccola punta di freccia riferibile ad un sepolcreto dell’età del rame, che ne segna l’esordio nel campo della paleontologia. Diventa “al matt di sass”. In un momento o nell’altro della nostra vita siamo stati tutti appassionati di sassi. Nel 1932 il suo libro sulle “Grotte bolognesi”. Nello stesso anno, il 7 novembre, fonda il gruppo speleologico. Si diletta di fotografia, anche sotterranea. Nel 1939 ritrae la chiesetta romanica dell’Abbazia di monte Armato, la casa con torre detta “il Palazzino”, a Pizzano. Sono le prime immagini della vasta campagna di rilevamento degli edifici storici dell’Appennino bolognese. Assunto dal Comune di Bologna come inserviente, vi percorre la parabola professionale, sino al grado di archivista capo, per poi passare, come assistente, nel 1955, nel Museo Civico, quando il Ministero dell’Istruzione gli conferisce la medaglia di bronzo al merito per la cultura. Nel 1960, la pensione, dopo 35 anni di servizio, con la qualifica di archivista capo. Il 16 maggio 1965 l’inaugurazione della sua grande mostra. Nel 1972 gli “Antichi edifici della montagna bolognese”. Muore il 12 ottobre 1978. Riposa nel piccolo cimitero del Monte delle Formiche: ma il suo spirito, come quello di un folletto benefico, si avverte in ogni cosa di cui si sia occupato. Marco Macciantelli Nelle foto alcune immagini di Luigi Fantini, “al matt di sass”. Nasce una nuova associazione per difendere Bologna I l tema della valorizzazione e della difesa del patrimonio artistico in generale e di Bologna in particolare è sempre, in un paese come il nostro, di grande attualità soprattutto perché si collega immediatamente all’immensa quantità di beni artistici che possediamo. Partendo da questa premessa, una nuova associazione sotto le due Torri, Pro Bononia, è nata per condividere l’impegno a promuovere il patrimonio culturale della città, dall’arte alla gastronomia, dall’astronomia alla musica, dalla fisica alla medicina. Nelle prime settimane di attività ha raccolto grande interesse e circa cento associati (un terzo dei quali di età compresa tra i 16 e i 25 anni) già coinvolti e impegnati nell’organizzazione di incontri ed eventi. “Pro Bononia è nata proprio con la finalità – sottolinea il neo Presidente Rolando Dondarini - di unire e dare voce alle figure e alle competenze in grado di valorizzare il patrimonio ambientale, culturale, storico-artistico, scientifico e musicale di Bologna e del suo territorio. Bologna è particolarmente ricca di bellezze artistiche. Per rispettarle e valorizzarle è indispensabile conoscerle e condividerle nelle sue tante articolazioni pensando soprattutto alle future generazioni”. Per questo motivo la nuova Associazione ha messo in programma come prime iniziative due incontri-evento come “Omaggio a Roberto Longhi” (il primo “Da Cimabue ai Carracci” in febbraio, il secondo “Dai Carracci a Morandi” in marzo), condotti da Eugenio Riccomini, noto storico dell’arte e Presidente onorario di Pro Bononia. Partendo dalla famosa prolusione “Momenti dell’arte bolognese ed emiliana” che Roberto Longhi - tra i più grandi critici d’arte, per molti anni titolare della Cattedra di Storia dell’Arte nell’Università di Bologna tenne all’apertura dell’anno accademico 1934-35, Riccomini traccia il profilo della pittura bolognese anche con l’ausilio di filmati delle conversazioni tenute dallo stesso Riccomini al Teatro Duse nel 2008 . “Il patrimonio culturale è qualcosa che riceviamo in eredità quando nasciamo, ma che non sempre riusciamo a cogliere in tutti i suoi aspetti osserva Rolando Dondarini - Il nostro compito è quello di farlo conoscere, condividendolo con i nuovi cittadini bolognesi e con i giovani”. Questi ultimi, in particolare, avranno il compito di organizzare scambi con i loro coetanei di tutt’Europa per far conoscere anche all’estero il patrimonio bolognese. Roberta Bolelli 15 La fattoria di Federico Fiabe per bambini, genitori e nonni Testo di Federico Nenzioni Disegni di Rosa Pesci Lo spaventapasseri e il falco gnora di fine ottocento. Il falco, di ritorno da un lungo viaggio, scende a posarsi sulla spalla dello spaventapasseri e comincia a sussurrargli il racconto di tutte le bellezze del creato che si scorgono dall’alto e lo fa in rima, rivelando sotto la sua dura scorza un cuore di poeta. Dal cielo le bellezze del creato ti lasciano senza fiato. Bianche vette scintillanti, vaste acque spumeggianti, quanti prati verdeggianti, stagni e laghi luccicanti! Poi tramonti infuocati e chiarori delicati. E la notte, sotto il cielo stellato, ringrazio Colui che tutte queste meraviglie mi ha donato I l falco è un rapace nobile e fiero che volteggia in cielo ad altezze vertiginose e a cui nulla sfugge. La sua acutissima vista gli fa cogliere anche i particolari più piccoli di quanto succede sulla terra e, adocchiata una preda, la ghermisce al volo sfiorando appena il suolo, quasi ad evitare di venirne contaminato, per poi far subito ritorno all’aerea vastità da cui proviene. Uno di essi, passando e ripassando sulla fattoria, aveva notato uno spaventapasseri molto diverso dagli altri, dalle forme armoniose ed elegantemente ve- 16 stito e si era ripromesso, prima o poi, di dargli un’occhiata da vicino. Gli uccellini del giorno d’oggi, e tanto meno lui, intrepido navigatore degli spazi, non hanno più paura degli spaventapasseri; quando ne vedono uno si danno di gomito, come a dire: “Che sciocchi questi umani! Chi credono d’imbrogliare?” e, dopo aver dato un’occhiatina intorno, riprendono a becchettare come se niente fosse. Era stata Silvia, la figlia del fattore, ad agghindare lo spaventapasseri con gli abiti della bisnonna, trasformandolo in un’affascinante si- E il cuore dello spaventapasseri, prima timidamente e poi via via più forte, comincia a battere. Con un colpo d’ali il falco spicca il volo ed è già un puntino lontano quando, dalle pieghe della veste, fa capolino un topino tutto tremante di paura: con il suo tremolio ha prestato per un attimo allo spaventapasseri un cuore vivo e palpitante. Appendice: Non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.Antoine de Saint Exupéry Le cose hanno un cuore? Io penso di sì, siamo noi a donarglielo come il topolino della favola ha fatto con lo spaventapasseri, ma una volta che glielo abbiamo dato cominciano a vivere di vita propria. A quante cose, infatti, bambini e adulti assegnano un significato speciale! Per un bimbo, ad esempio, una bambola, un peluche sono un qualcosa di unico, per un adulto un gioiello, una penna, un orologio possono ricordare un evento importante: un amore, uno stato di felicità o di struggente malinconia, come se in essi scorresse la vita. E quando li smarriamo, si rompono o ce li portano via, cocente è il rimpianto, come se venisse meno un pezzettino della nostra esistenza.