Anno XII - n° 4
Aprile 2015
TARIFFA REGIME LIBERO: POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% - DCB (BOLOGNA)
www.comune.bologna.it/iperbole/buonenuove
5
Il pasticciere ‘coraggioso’
Santi palazzolo: “ho fatto
soltanto il mio dovere”
Nuovo successo
per Giorgio Albéri
Rivive per una notte
il mito del grande
Fred Buscaglione
Debutta
Renzo Canestrari
13
I segreti
per invecchiare
senza problemi
Luca Goldoni
racconta per noi
3
La convalescenza
tappa importante
della nostra gioventù
8
Perché non ammettere di avere bisogno degli altri?
Perché non ammettere, una volta tanto,
di aver bisogno degli
altri?
è un gesto di umiltà
che ci fa onore, che ci
avvicina al prossimo,
che ci rende partecipi
e ci dà energia. I
n queste poche righe mi rivolgo a chi
segue, da tanto o da
poco, le sorti della
nostra Rivista.
Viviamo solo grazie agli abbonamenti
e alla generosità di
qualche privato o azienda.
Nei mesi scorsi uno
dei nostri più assidui
sostenitori ha fatto
un passo indietro.
Piccola cifra per una
grande istituzione
bancaria, eppure...
Inutile recriminare,
meglio ringraziarli,
signorilmente, per
quanto hanno fatto
nel passato.
Fatto sta che ora il
‘tavolo’ ha una gamba in meno e dobbiamo sostituirla. Il
9 maggio prossimo
abbiamo organizzato un evento che ci
REGALA O REGALATI
un abbonamento a
“Le buone notizie”
per sostenere la cultura e i valori
di una Società onesta e corretta
darà, forse, la possibilità di tirare avanti
senza affanno.
Partecipate: ora e
luogo li trovate nella
pagina accanto.
Sarà un appuntamento importante,
con la presenza di
tanti amici e della nostra ‘madrina’ Laura.
Visto che ho l’abitudine di raccontare le
cose con chiarezza
vi invito anche a far
crescere, se possibile, il numero degli
abbonati.
Se credete che quanto stiamo facendo,
mese dopo mese,
con la rivista sia u-
tile a voi, alla città,
ai tanti amici che ci
seguono da lontano
dateci una mano a far
decollare il numero
dei lettori. La scheda
per abbonarsi è qui
sotto.
Trenta euro non spostano di certo un bilancio, per noi sono
molti. Regalate ‘Le
Buone Notizie’ ad un
amico, a un collega
di lavoro, fatela conoscere a parenti e
conoscenti. Un gesto
semplice ma prezioso.
A Milano, nei giorni
scorsi, ho conosciuto
il pasticcere Santi
Palazzolo che si è
rifiutato di pagare al
potente di turno la
‘stecca’ da centomila
euro. ‘Denunciando il
ricatto ho fatto solo
quanto dovrebbe fare un cittadino e un
imprenditore onesto’.
Quanti avrebbero avuto, mi domando, il
suo coraggio?
Quello di fare una
cosa semplice ma essenziale per un futuro libero della nostra
società.
Buona lettura
(e ci vediamo
il 9 maggio)
dal vostro direttore
Fabio Raffaelli
Visitate il nostro sito
www.comune.bologna.it/iperbole/buonenuove
Il Consiglio direttivo dell’Associazione no profit,
editrice di “Le Buone Notizie”, è così formato:
Giorgio Albéri - Presidente
Fabio Raffaelli - Vice Presidente
Ornella Elefante - Segretario/Tesoriere
Maria Dagradi - Consigliere
Paola Miccoli - Consigliere
Antonio Vecchio - Consigliere
Luisella Gualandi - Revisore dei conti (Presidente)
Donatella Bruni - Revisore dei conti
Comitato di Redazione:
Roberta Bolelli, Giorgia Fioretti,
Francesca Rispoli Valenti, Manuela Valentini
Le Buone Notizie nasce da un’idea
di Francesca Golfarelli e Fabio Raffaelli
Testi e fotografie vanno inviati all’e-mail
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Edito da Associazione Buone Notizie
Redazione: Piazza Volta, 7 - 40134 Bologna
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Direttore responsabile: Fabio Raffaelli
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Segreteria di redazione: Ornella Elefante
Stampa: Tipolito Casma - via B. Provaglia 3 - Bologna
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BASTANO 30 EURO PER SOSTENERE
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Io sottoscritto, per conto - proprio, dell’Associazione, dell’Ente - chiede di attivare n° ...................... abbonamenti (10 numeri a 30 euro) a partire
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data
............................................
2
Firma
...............................................................................................................
A letto e ci si curava, la convalescenza che fu
conato di vomito. Il
dottore raccomandava sempre di sudare
e non scoprirsi, ma
ogni volta che arrivava, zac, tirava via
tutto in un colpo e
mi auscultava il petto
sudato con lo stetoscopio di legno che
estraeva dalla valigetta modello John
Ford. Si apriva una
dimensione tempospazio che sembrava
lunghissima e brevissima, nella testa
di Luca Goldoni
L
eggo un allarmato
rapporto scientifico
sulla scomparsa della
convalescenza: al secondo giorno senza febbre,
gambe in spalla, in ufficio,
in fabbrica, in negozio, a
scuola, allo stadio. Convinto con Cesare Pavese
che “ricordare una cosa
significa vederla solo adesso per la prima volta” mi
concentro sulla mia età
alle soglie del ginnasio.
Ed è subito un’alluvione di
fantasmi colorati: guanti e
ginocchiere da portiere, biciclette col cambio regina,
ansie scolastiche, quiete
e felicità familiari, gelosie
per un amico che era più
amico con un altro, la mia
timidezza con la ragazza
che faceva ogni mattino
la mia stessa strada verso scuola e, come tutte le
femmine, non portava i libri
nella cartella ma in braccio,
sul petto, come si portano i
bambini. Ed ecco che, nitido e un po’ bizzarro, affiora
il ricordo della convalescenza, quella specie di limbo
rassicurante e protettivo
che stava fra un’influenza
e la completa guarigione.
Oggi la scienza medica le
ha dichiarato guerra: le
partorienti escono dalla
sala parto quasi con le
loro gambe, gli operati si
aggirano per i corridoi d’ospedale con i loro tubi di
drenaggio penzoloni, agli
anziani che si sono rotti il
femore mettono un chiodo
e li mandano a casa. E così
mi abbandono al breve
elogio di una istituzione
caduta in disuso.
Chissà perché si cominciava ad essere malati verso
sera, un po’ prima di cena,
dopo una giornata di brividi
e mal d’occhi: la mamma appoggiando le labbra
sulla tempia annunciava:
“secondo me hai un po’ di
febbre”. Poi la verifica del
termometro: mai più di due
minuti per rubare qualche
linea, ma che bastavano
per far salire il mercurio
oltre i trentotto.
Subito a letto con
aspirina e purga:
lungo patteggiamento per
ripiegare sulla magnesia
San Pellegrino (sabbiosa,
nella scatoletta esagonale)
in luogo del disumano olio
di ricino. Mentre i brividi
aumentavano e la fronte
scottava sempre di più,
iniziava uno strano periodo,
scandito da rumori lontani,
voci basse, passi silenziosi,
trilli di campanello, visite
del dottore con l’orecchia
fredda, il sapore metallico
del cucchiaio premuto sulla
lingua verso la gola, fino al
un ronzio e un vortice di
numeri e di parole, una
sete da morire, ma solo
qualche sorso di acqua e
arancia. Poi una mattina
ci si svegliava con la testa
libera, una gran debolezza e una gran fame che
doveva accontentarsi di
due biscotti inzuppati nel
tè. Cominciava la convalescenza: la gran voglia di
alzarsi, ma quasi subito la
voglia di tornare a letto.
Finalmente un pasto da
cristiano appoggiato ai
Venite con noi...
a festeggiare Le Buone Notizie
I
l 9 maggio prossimo grande festa per sostenere il
giornale “Le Buone Notizie”…A fianco del nostro Testimonial, l’attrice Laura Efrikian, vi saranno lettori,
amici, giornalisti, personalità del mondo della cultura;
tutti insieme per trascorrere una serata imperdibile,
che rimarrà nella memoria, all’insegna della cordialità,
dell’amicizia e… delle buone notizie.
Sostenuti da “Il Bolognese Restaurant”, da “Villa del Parco” e
da varie Associazioni bolognesi, ci
troveremo alle ore 20,15 nelle ampie sale dell’Hotel Bologna Fiera in
Piazza della Costituzione 1.
Le sorprese saranno tante per festeggiare il 12° anno di vita del
nostro mensile.
Vi aspettiamo e per non rimanere
esclusi, prenotate allo
051/46.67.51.
guanciali col piatto sulle
ginocchia: puré, finocchi
al burro, prosciutto o pollo
tritato, l’arancia a spicchi.
Poi la prassi inderogabile:
il primo giorno si sta alzati un’oretta, il secondo
tutta la mattina, il terzo
tutta la giornata; il quarto
finalmente una breve passeggiata nelle ore calde.
Cominciavano le visite dei
compagni di scuola, ammessi con circospezione,
un po’ per riguardo a loro,
un po’ per riguardo a me:
mi portavano i compiti o i
libri di Salani. Erano innaturalmente beneducati e
imbarazzati e si fermavano
pochissimo, non vedevano
l’ora di scappare. Li seguivo dalla finestra mentre si
avventavano sulla strada,
conscio del tempo che mi
separava dalla loro scalmanata libertà. Ma la convalescenza era anche un test
d’amicizia: c’era qualcuno
che si tratteneva più degli
altri: “sai, ieri abbiamo perduto due a zero, si capiva
che in porta non c’eri tu”.
Se mi guardavo allo specchio mi trovavo una faccia
bianca, usava il pallore
da convalescente: ricordo bambine convalescenti
con grandi e dolci occhi da
cerbiatte, pensavo che fosse inevitabile innamorarsi
pazzi di loro. Era nella convalescenza che imparavo
ad osservare me stesso:
una pausa ovattata in cui
uscivo dal ruolo di protagonista sempre catapultato
nelle cose, per diventare un
più attento testimone dei
miei pensieri: la mia vita
piena e felice stava ancora
fuori dai vetri, avevo tempo
di valutarla, assaporarla,
presto sarebbe ricominciata. Oggi i ragazzini si
squassano le influenze in
piedi, un antibiotico e via
in motorino, sempre meglio
che a letto. Un certificato
medico per quando si sta
male è sprecato. Si sta a
casa da scuola, con tutti i
timbri, quando si sta bene
e si va a sciare a Cortina o
a Madonna di Campiglio.
3
La Grecia e il vizietto della moneta facile
di Alberto Pasolini
Zanelli
N
on è sempre
vero che chi
ignora la storia è condannato a
ripeterla. Ci sono
memorie che si nascondono, altre che
si mettono in piazza
alla prima occasione
propizia, altre ancora
che non c’è bisogno
di nascondere perché
nel frattempo se ne
sono tutti dimenticati.
Tutti i tipi riaffiorano
in queste ore, presumibilmente decisive,
di appuntamento fra
la scelta del popolo
greco su che fare con
l’Europa e quella, più
importante purtroppo, dei governi e dei
poteri forti europei su
che fare della Grecia.
Atene rimette sul tavolo una cartella di ricordi piuttosto recenti che non la riguardano direttamente:
il trattamento che la
“Conferenza europea
sul debito” del 1953
escogitò per la Germania, che era allora, otto anni dopo la
consumazione della
sua catastrofe bellica,
nel pozzo dell’indebitamento continentale. La soluzione si
trovò attraverso una
“clausola di crescita”:
pressappoco quello di
4
cui i greci avrebbero
bisogno oggi.
I greci, diciamo, e
non la Grecia, perché se ci si rifà alla
storia quest’ultima è
un piccolo Paese relativamente recente,
una creazione della
diplomazia ottocentesca; ma i greci, anzi
la “grecità” (per non
scomodare il termine
giusto, ma troppo elevato, l’ellenismo),
hanno una presenza
millenaria, nel bene
e nel male, nei trionfi e nelle sofferenze.
Hanno creato l’Europa più o meno tremila anni fa, ma sono
stati anche quasi distrutti dagli europei,
appena otto secoli fa
e per motivi attualissimi: per cose di
debiti e di banche,
capri espiatori di una
crisi economica continentale.
L’Europa
era lungi dall’essere unita all’epoca, i
greci lo erano in una
forma che potremmo
considerare
abnorme: non erano una
nazione, però erano
una civiltà e un impero. La metà rimasta
dell’Impero
Romano aveva la capitale
a Costantinopoli, ma
parlava da Bisanzio
e pensava in greco.
E in greco facevano
affari, bene immersi
nel sistema bancario europeo, a quanto pare dedito anche
allora al vizietto della
“moneta facile”, che
ogni tanto la buttava
in terra. Accadde, fra
l’altro, all’epoca della
Quarta Crociata, che
avrebbe dovuto liberare per l’ennesima
volta la Terra Santa
dagli Infedeli islamici,
decise invece di buttarsi sui cristianissimi
bizantini, partner e
“complici” della “globalizzazione” dell’epoca, nel commercio
delle spezie, della
seta e dei beni di lusso in genere. Le “superpotenze” in questi
affari erano prevalentemente italiane:
Venezia, Genova, Pisa. Avevano contatti,
uffici a Costantinopoli, privilegi, manager
che laggiù avevano
imparato il mestiere
e i suoi trucchi, attiravano nel Mercato
abbondanti
capitali
stranieri a buon mercato. Finché, nel tredicesimo secolo, ci si
accorse che qualcuno aveva esagerato
e metteva in pericolo
l’equivalente medioevale della Banca centrale europea, cioè la
Serenissima Repubblica di Venezia. In
preda al panico, si
volle passare, anche
allora, dalla dolce bevanda della “moneta
facile” alla droga avvelenata dell’Austerity. Qualcuno doveva
pagare le spese e i
“banchieri” del Canal
Grande decisero che
dovevano essere i
greci di Bisanzio. Siccome però non se ne
fidavano più di quanto oggi la signora
Merkel si fidi di quelli
di Atene, decisero di
ricorrere, per instaurare un Patto di Stabilità, alle sanzioni,
secondo le abitudini
di un’epoca abitua-
ta a ricorrere prima
alla spada e poi alle
chiacchiere. E così i
Crociati si fermarono a Costantinopoli,
causarono – si direbbe oggi – una crisi di
governo, abbatterono
l’imperatore e misero
al suo posto uno scelto da loro, un certo
Baldovino di Fiandra
di cui sentirono di potersi fidare. Lo incoronarono nel 1204 come capo di un Impero Latino, destinato a
durare cinquant’anni,
poi cominciarono ad
incassare i loro crediti. Di contante non
ce n’era abbastanza e
si “rifornirono” di beni
mobili e teoricamente
immobili. In altre parole, saccheggiarono
l’Impero, prendendone come pegni i tesori
che avrebbero restituito una volta il debitore fosse ridiventato
solvente.
Non accadde mai interamente e così molti “pegni” rimasero
nell’Europa non greca. Il più noto sono i
quattro cavalli asportati da Costantinopoli e da allora in bella
mostra in piazza San
Marco a Venezia. Si
ignora se la signora
Merkel, e magari anche Mario Draghi, siano andati di recente a
dargli un’altra occhiata. Per ispirarsi.
Alla vigilia di Expo sfilano i Capitani del food
‘N
utrire il pianeta’, il tema forte della prossima
esposizione universale, ha
ispirato la selezione degli
imprenditori che hanno
ottenuto il riconoscimento
‘Capitani dell’Anno’ 2015.
La manifestazione ha premiato 14 protagonisti che si
sono distinti per coraggio e
visione nel campo del food.
Un settore in continua crescita nonostante gli anni
di crisi economica e che,
complici la timida ripresa e
la visibilità mondiale garantita da Expo, può compiere
il definitivo salto di qualità.
consumatori alla ricerca dei
sapori dei formaggi artigianali, Cesare Buonamici,
vero pioniere del biologico
(dal 1995), la cui azienda
di Fiesole produce olio, legumi, ortaggi e cosmetici
naturali a base di foglie
d’olivo, Piero Rondolino,
artefice del successo di
Riso Acquerello, quello che
da molti è considerato il
miglior riso del pianeta ed
usato nelle cucine di 8 dei
10 ristoranti più prestigiosi
del mondo. I fratelli Sergio
e Remo Pedon, membri della grande famiglia
italiana che ha fondato la
A sinistra Renano Pellegrini con Fabio Raffaelli
I Capitani dell’anno 2015
Ernesto Pellegrini, imprenditore nel campo della
ristorazione, ha inaugurato
a Milano lo scorso anno il
ristorante solidale Ruben,
dove un pasto costa 1 euro.
Filippo La Mantia, lo chef
palermitano che ha rivoluzionato la cucina siciliana
eliminando aglio e cipolla
e diminuendo lo zucchero
nella cassata, ha detto: “Ho
rilevato da Dolce e Gabbana il ristorante Gold che sto
avviando in sordina e a 55
anni mi sono trasferito a
Milano. Da Expo mi aspetto che il cibo venga preso
maggiormente in considerazione e che i cuochi stiano di più in cucina.” Tra i
premiati Carlo Fiori della
Luigi Guffanti Formaggi,
azienda nata nel 1876 e
punto di riferimento per i
Pedon spa - azienda veneta
leader a livello europeo per
la lavorazione, il confezionamento e la distribuzione
Gloria Brolatti, a sinistra, con lo chef Filippo La Mantia
di cereali e legumi secchi.
Continuando poi con Olga
e Giammarco Urbani, gli
alfieri del tartufo nel mondo, Guido e Rosa Marello
dell’omonimo Mulino, le
migliori farine senza glutine
macinate a pietra, Antonino Iuculano Mamao della
Tenuta Roletto, tra le verdi
colline moreniche del Canavese, Massimo Andalini,
titolare dell’omonimo Pastificio, dal cuore dell’Emilia
Romagna crea ed esporta
in tutto il mondo pasta di
alta qualità, mantenendo
alta la fama e la tradizione pastaia regionale. A
rappresentare l’industria
dolciaria una lunghissima
tradizione familiare: quella
di Edoardo Cavagnino,
quinta generazione alla
Palazzolo: “Ho fatto il mio dovere”
“N
on tutti hanno la forza
e il coraggio
dimostrati da Santi
Palazzolo. Proprio per
questo motivo il suo
comportamento, che
in qualsiasi altro Paese
europeo sarebbe stato
considerato normale,
qui da noi continua a fare notizia ed a rappresentare un
gesto di estremo coraggio ed integrità”.
è proprio nella speranza che il netto rifiuto di tali logiche
distorte non appaia più come un singolo atto di eroismo,
ma diventi pratica comune, che i membri della Giuria
e dell’Associazione Culturale Editutto hanno conferito
all’unanimità al pasticcere siciliano, recente protagonista di una clamorosa storia di tangenti e malaffare, uno
dei prestigiosi riconoscimenti ‘Capitani dell’Anno 2015’
dedicato al Sociale.
A.Bar.
guida della Gelati Pepino. Tra i premiati Ettore
Mocchetti, direttore de
La Cucina Italiana che,
vera e propria istituzione
della stampa di settore,
da quasi novanta anni è
una delle voci più autorevoli nella divulgazione e
promozione della cultura
enogastronomica italiana.
“Siamo orgogliosi – dichiara Ugo Formenton, Head
of Business Development
di Schroders Wealth Management – di sostenere
questa iniziativa che mette
al centro gli imprenditori e
crea occasioni di confronto
e stimolo per quelli ancora
timidi ad investire. Il nostro obiettivo è sostenere il
Premio Capitani dell’Anno,
occasione per valorizzare le
storie imprenditoriali di chi
nonostante le difficoltà del
contesto economico-finanziario, ha saputo eccellere
e conquistare le tavole di
tutto il mondo esportando
il Gusto Italiano e affermando l’orgoglio di essere
Italiani.”
Il Premio ‘Capitani dell’anno 2015 - Il cibo che verrà
è stato realizzato con il sostegno di Air Berlin, la collaborazione di ADACI (Associazione Italiana Acquisti
e Supply Management) ed
il coinvolgimento attivo
di Federmanagement,
Roncucci & Partners
Group, NovaPangea ed
Emoticibo.
Andrea Barrica
5
Re-use with love, il riciclo che fa bene
I
ncontriamo
con piacere
Maria Letizia
Mazzanti che ci
parla di una particolare Associazione di volontariato
e le domandiamo
come e quando nasce questo progetto?
L’associazione “ReUse With Love” nasce
nel 2014 per volontà
di un gruppo di amiche che sin dal 2010,
mettendo insieme
idee, energie e professionalità differenti, organizza eventi
volti a raccogliere
fondi per progetti
solidali a favore dei
bambini, promossi
da associazioni istituzionali radicate nella città di Bologna.
L’attività principale è
quella di organizzare annualmente un
mercatino vintage
solidale il cui intero
ricavato è devoluto
al progetto prescelto,
differente di anno
in anno. L’evento di
ottobre 2014, ha ottenuto – da solo - lo
straordinario risultato di 58.000 euro,
che è stato destinato
a “Pollicino – bambini
e genitori di oggi e di
domani – ONLUS”,
associazione nata per
aiutare il Pronto Soccorso e la Pediatria
d’Urgenza del Gozzadini di Bologna.
La cifra raccolta è
servita ad acquistare
l’ecografo d’urgenza
ed altri apparecchi
medicali per la futura
zona “area critica”
del pronto soccorso
pediatrico.
Mi risulta che sia
stato creato una
specie di “sportello” attraverso
il quale si posso-
6
colti vengono accuratamente selezionati, smistati e, se
necessario, riparati
e sistemati durante
tutto l’anno. In questa lunga fase di preparazione, i capi e gli
oggetti che non vengono propriamente
scelti per essere presentati al mercatino,
hanno comunque un
loro riutilizzo, venendo destinati a case
famiglia, ospedali o
no ricavare risorse
economiche
Considerato il crescente successo
dell’iniziativa e l’enorme numero di
capi accumulato durante l’anno (circa
15.000), l’associazione ha maturato
l’idea di attivare un
servizio continuativo
di offerta dei beni
raccolti realizzato
in collaborazione e
co-progettazione con
il Comune di Bologna (Quartiere Santo
Stefano) che, in un
contesto accogliente,
curato ed ordinato,
si propone di fornire gratuitamente o
a fronte di una donazione simbolica,
capi di abbigliamento
(donna, uomo, bambino, ragazzina/o,
ecc.), accessori,
scarpe, abbigliamento sportivo, giochi,
libri, usati e in buono
stato, a tutti i cittadini residenti italiani
e stranieri che ne
abbiano necessità o
bisogno.
Per la realizzazione
di questo progetto,
denominato REUSE
FOR GOOD, l’associazione ha vinto un
bando del Comune di
Bologna-Cittadinanza Attiva, ottenendo
l’assegnazione di un
immobile in Via Savenella 13, Bologna,
ora nuova sede operativa.
Questo progetto
cosa si prefigge?
Il progetto intende
promuovere ed organizzare, eventi,
incontri, campagne
ed altre iniziative sui
temi della sostenibilità, della solidarietà
sociale e dell’educazione al riuso e vuole
diventare un punto di
riferimento ed orientamento per tutte le
energie, le competenze, le proposte
attive sul territorio.
Vuole, infine, anche
essere un luogo di
incontro, di confronto e di relazioni. Un
moltiplicatore di idee,
collaborazioni e progetti con l’ambizione di svolgere, nel
prossimo futuro, la
funzione di vetrina,
per raccontare tutto
quello che accade in
città sui temi del riuso e della sostenibilità, per dare spazio e
voce alle persone ed
alle loro storie, per
sottolineare i segni
di un cambiamento
che sta avvenendo.
C o m e
è
possibile
d o n a r e
quello che
a noi non
serve o non
piace più a
beneficio di
chi invece ne
ha bisogno?
Basta contattare l’Associazione (tutti i
riferimenti sono sul
sito, ma siamo anche
su Facebook), oppure accordarsi per un
ritiro a domicilio. Naturalmente gli oggetti
donati devono essere
in buone condizioni.
Come si svolge il
lavoro dei volontari?
L’opera ed il lavoro
dei volontari (circa
70) si sviluppa lungo
tutto l’anno e non si
esaurisce solamente
nel mese di allestimento e di apertura
del mercatino (solitamente nel mese di
ottobre).
I capi donati e rac-
altri enti no-profit del
territorio.
La data del prossimo mercatino?
Il 9 e il 10 maggio è in programma
il Garden Vintage
Market, mercatino
all’aperto allestito nel
giardino della sede.
Invece dal 22 al 25
ottobre vi sarà l’annuale Mercatino Vintage, che vedrà come
beneficiaria l’Associazione Piccoli Grandi
Cuori Onlus, che si
occupa di aiutare le
famiglie ed i bambini
portatori di cardiopatie congenite.
Giorgio Albèri
Per informazioni:
[email protected]
www.reusewithlove.org
Loto si batte contro il ‘killer silenzioso’
I
ncontro Sandra
Balboni Presidente
dell’Associazione
Loto. Può spiegare che
cos’è l’associazione che
presiede e con quali modalità agisce?
Loto è un’associazione no
profit, basata sul volontariato, che opera contro
il tumore ovarico. Uno dei
principali obiettivi è quello
di divulgare informazioni
e rendere consapevoli le
donne su una patologia
come il carcinoma dell’ovaio, uno tra i tumori femminili a prognosi più severa.
Loto nasce nel 2013 grazie
all’iniziativa di un gruppo
di pazienti e amici certi di
dover attivare un percorso
“pionieristico” per affrontare una patologia di cui
non sono note le cause e
per la quale non sono ancora disponibili strumenti
validi per la diagnosi precoce.
L’associazione è strutturata con un Consiglio
Direttivo ed un Comitato
Tecnico-Scientifico, i quali
si affiancano per contribuire, ciascuno per la propria
area di competenza, alla
diffusione dell’informazione, al supporto alle donne colpite da carcinoma
ovarico (sportello amico,
percorsi di medicina non
convenzionale) e al sostegno della ricerca scientifica.
Eventi dedicati, workshop,
convegni, il sito internet e
le newsletter sono i principali strumenti attraverso
i quali si realizza l’attività
informativa, di supporto e
di sensibilizzazione.
Il Comitato Tecnico-Scientifico,
oltre a organizzare incontri
scientifici e di divulgazione, seleziona e propone i
progetti di ricerca da sostenere.
Perché questa patologia
è conosciuta come “killer silenzioso”?
Il carcinoma all’ovaio è definito così, perché in Italia
uccide ogni anno oltre 2000
è estesa fuori dalle ovaie
e dalle pelvi. Nel 2012 il
carcinoma all’ovaio ha colpito quasi 5.000 donne in
Italia e 250.000 donne nel
mondo.
Quali sono le principali
azioni sostenute dall’associazione Loto?
Oltre alla sensibilizzazione
delle donne, Loto è impegnata attivamente per
il finanziamento del pro-
Sandra Balboni, terza da sinistra, con il suo staff
donne, ma non dà sintomi
specifici nelle fasi iniziali
e il fatto che non esistano
strumenti di diagnosi precoce concorre a far sì che
non esistano campagne di
screening. Il cancro epiteliale dell’ovaio è la forma
più frequente di tumore
ovarico maligno e colpisce
maggiormente le donne di
età superiore a 50 anni,
ma può interessare anche
donne più giovani.
Proprio
perché è asintomatico la
diagnosi è spesso tardiva,
e oltre il 70% dei casi sono
diagnosticati in fase avanzata, quando la malattia
Come sostenere
le Buone Notizie?
Vedi a pagina 2
getto che prende il
nome dall’associazione stessa. Il progetto
LOTO è uno studio di ricerca sulla basi biomolecolari
del carcinoma dell’ovaio,
orientato al monitoraggio
delle donne a rischio e alla
personalizzazione della
terapia.
Il progetto, iniziato a gennaio 2014, è frutto della
collaborazione dell’Oncologia Medica Addarii (dott.
Claudio Zamagni) con la
Ginecologia Oncologica
(dott. Pierandrea De Iaco)
e la Genetica Medica (Prof.
Marco Seri e dott.ssa Da-
niela Turchetti), dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna Policlinico
S.Orsola-Malpighi, e con il
Dipartimento di Patologia
Molecolare (dott. Ralph
Wirtz) del St. Elisabeth
Hospital dell’Università di
Colonia, in Germania. Al
Progetto ha aderito anche
l’Oncologia ed Hospice Asl
di Imola (dott. Antonio
Maestri).
Quali scopi si prefigge il
progetto?
Lo scopo del progetto LOTO
è quello di contribuire alla
conoscenza delle caratteristiche biomolecolari dei
tumori epiteliali dell’ovaio
sia per identificare donne
a rischio aumentato, alle
quali proporre programmi
di monitoraggio specifico
(diagnosi precoce), che per
identificare bersagli molecolari per nuove terapie
mirate. Globalmente, questo progetto persegue allo
stesso tempo una finalità
preventiva, permettendo
l’identificazione di donne
a rischio genetico in cui il
tumore può essere prevenuto, e una finalità terapeutica, che consenta di
personalizzare la terapia
in funzione delle specifiche
caratteristiche del tumore.
Un progetto di ricerca molto importante e nodale la
cui ampiezza, come spesso
succede, sarà determinata
dall’entità dei fondi che si
riusciranno a raccogliere.
Rosanna Scipioni
Sito ufficiale:
www.lotonlus.org
30
Bastano
Euro
7
Invecchiare bene? Attenti alla mezz’età
di Renzo Canestrari
I
progressi della medicina hanno contribuito
a prolungare in modo
consistente l’età media
della vita. E dalle ricerche
degli ultimi vent’anni è
emersa la constatazione
che una fondamentale variabile nell’assicurare una
“buona” vecchiaia è costituita dalla modalità con cui
la persona risolve la “crisi”
di mezz’età che è oggi situata fra i 40 e i 60 anni.
Fino a non molto tempo
fa tale momento della vita
era frettolosamente risolto
in termini di “necessaria
rassegnazione” per le inevitabili “perdite” fisiche,
affettive e sociali. Ma oggi
non è più l’età in cui si
deve apprendere “come
rassegnarsi”, ma “come
rinnovarsi”: in altre parole,
la “crisi” della mezza età è
considerata come una crisi
per la ridefinizione del sé.
In essa, i conflitti psichici
sono molto simili a quelli di
un’altra grande crisi della
vita: quella dell’adolescenza. Come l’adolescenza
deve superare il trauma
del “distacco” dai genitori
e passare dalla condizione
di fanciullo dipendente a
quella di persona autonoma, così l’individuo di
mezza età deve accettare
le inevitabili perdite. E,
con appropriato dolore,
distaccarsi da alcuni aspetti
della propria persona, al
fine di permettere ad altri
aspetti, sacrificati nella
prima parte della vita, di
trovare in seguito adeguata
espressione.
In particolare nell’uomo,
specie se in precedenza
ha dovuto darsi uno stile
competitivo, “maschilista” ,
sono i desideri di tenerezza, affiliazione, gusto estetico, che chiedono ascolto e
soddisfazione; nella donna,
specie se ha dovuto dedicarsi soprattutto ai compiti
di madre e casalinga, sono
i desideri di partecipazione
sociale e di industriosità,
che tentano di trovare
8
un’adeguata espressione.
Naturalmente, questa revisione del sé (che coinvolge
la percezione del corpo,
l’espressione sessuali e le
relazioni sociali), è condizionata da diverse variabili
(la salute fisica, la configurazione familiare, il lavoro).
Alcuni, anziché accogliere
le nuove potenzialità, si
irrigidiscono, rafforzando le
difese denigratorie (che si
esprimono soprattutto nella volontà di rimanere giovani in modo esagerato).
Altri sviluppano un’attenzione patologica verso il
corpo, oppure avvertono
le nuove potenzialità non
come delle opportunità, ma
come delle “debolezze” o
minacce; altri ancora vivono le perdite dell’età come
perdite globali (senso di
fallimento, depressione).
La riabilitazione cognitiva con le persone
U
n po’ di tempo fa, abbiamo già
condiviso attraverso questa pagina, alcuni aspetti sulla terapia non
farmacologica per le persone affette da
demenza. In particolare si trattava della
validation therapy, cioè quella specifica
modalità di entrare in comunicazione con
la persona sofferente, accogliendo e validando appunto, qualunque tipo di contenuto. Anche il più strano o il più bizzarro,
proprio con l’intento di poter interagire
nella maniera più empaticamente autentica. Oggi affrontiamo invece, il tema della
riabilitazione cognitiva, che consiste nel
proporre al soggetto dei percorsi costituiti da esercizi finalizzati a stimolare aree
specifiche del cervello, le quali coordinano
determinate funzioni: memoria, linguaggio, calcolo, logica, scrittura, ecc. Si tratta
di una vera e propria ginnastica mentale. A
livello scientifico, si è arrivati alla scoperta
che il cervello non è un organo statico,
ma al contrario estremamente dinamico,
in quanto formato da migliaia di neuroni
che creano tra loro continue connessioni.
Si parla di plasticità cerebrale e la conseguenza è la nostra attività cognitiva. Tanto
più questo continuo ed incessante lavoro
viene tenuto in allenamento attraverso
le nostre abitudini quotidiane, quanto
più potranno essere ostacolati o almeno
rallentati i processi di deterioramento
cognitivo messi in essere dalla patologia
neurodegenerativa. Gli esercizi prevedono
diversi gradi di difficoltà e sono studiati
proprio per non mettere mai in difficoltà
la persona alla quale vengono proposti.
Molto spesso, le persone affette da deterioramento cognitivo, faticano a trovare
attività che destino e poi mantengano attivo il proprio interesse. Il rischio è quello
di un aumento dell’apatia e di un conseguente abbassamento del tono dell’umore.
Durante gli esercizi di ginnastica mentale,
è importante che il familiare o la persona
che assiste il malato, mantenga un atteggiamento sereno, empatico, accogliente e
mai giudicante.
Se la persona sbaglia o è in difficoltà, si
cercherà di guidarla con dolcezza e comunque si sdrammatizzerà l’eventuale
errore, utilizzando anche e soprattutto il
linguaggio non verbale: un abbraccio, un
sorriso, una pacca sulla spalla. Di seguito
sono presentati alcuni esempi di esercizi
di riabilitazione cognitiva, tratti dal libro “
Ginnastica mentale- esercizi di ginnastica
per la mente per disturbi della memoria
e altri deficit cognitivi lievi moderati” di
Cristina Guelfi- Maggioli Editore
Un’ ultima considerazione: non è facile
per un familiare, accettare questo tipo di
malattia. Tanti fattori entrano in gioco: il
grado di parentela, la qualità del rapporto
che c’era prima dell’insorgere della demenza, la propria modalità di reagire agli
eventi, la possibilità o meno di ricevere
aiuti per le attività di assistenza. A volte le
persone raccontano di non sapere proprio
cosa fare; si chiedono come potere impegnare una quotidianità che ora appare
completamente sconosciuta e giorno dopo
giorno sempre più impossibile. Forse, la
ginnastica mentale può venire in aiuto an-
Il Santo e le pagine sfogliate dal vento
“C
arissimi fratelli e sorelle, alle
21,37, il nostro
amatissimo Santo Padre
Giovanni Paolo II è tornato
alla Casa del Padre, preghiamo per lui”.
Era il 2 aprile 2005 ed assieme alle mie figlie eravamo incollate al televisore
in attesa di quello che non
avremmo mai voluto sentire. Difficile non trattenere
le lacrime; per loro era “il
Papa”, l’unico che avevano
conosciuto e che avevano
seguito fin dalla tenera
età, ma per tutti era una
perdita immensa.
Da quella sera e fino all’8
aprile, quando hanno avuto
luogo le esequie, Giovanni
Paolo II è stato pianto da
una folla di più di tre milioni
di pellegrini, moltissimi cattolici nel mondo, e anche
molti non cattolici, che si
recavano a Roma per rendere omaggio alla salma,
attendendo in fila giorno
e notte.
Mi ritorna alla mente una
delle ultime immagini del
Papa, di spalle e inginocchiato, che seguiva la Via
Crucis dal Suo appartamento, poiché le condizioni
erano già molto critiche:
quanta sofferenza, ma
quanta dignità. Come poi
non ricordare il funerale?
Quella semplice bara di ci-
affette da demenza
che per questo: ci può offrire l’opportunità di un nuovo
canale comunicativo. Nuovo sì, ma non per questo meno
autentico ed importante.
1)La mia famiglia
Io mi chiamo… il nome di mio padre è… il nome di
mia madre è… i miei genitori hanno avuto…figlio/i… i
nomi dei miei fratelli/ sorelle sono… io sono sposato/a
con… abbiamo avuto…figlio/i… loro si chiamano… i
miei nipoti si chiamano…
2)Ricordiamo tutte le lettere
Scrivi tutte le cose che ti vengono in mente che iniziano con la lettera indicata
ABCDEFGILMNOPQRSTUVZ
3)Completa le seguenti azioni
La porta si apre e si chiude con… la stoffa si taglia
con le… il giornale si compra in… i rifiuti si buttano
nel… la barba si taglia con il… i film si possono vedere
in… i vestiti si stirano con il… per lavarsi i denti serve
lo… per soffiarsi il naso serve il… per pagare servono
i… le medicine si comprano in… il rossetto si mette
sulle… si attraversa la strada quando il semaforo è…
4)L’intruso
Per ogni riga trova la parola che non appartiene alla
stessa categoria
ACQUA- TE’- LATTE- SUCCO- CUCCHIAIO
LUNEDI- MARTEDI- MERCOLEDI- GIOVEDI- VENERDI- NOVEMBRE
VERDE- UNO- DUE- SEI- OTTO
ORATA- SOGLIOLA- SCOPA- TROTA- BRANZINO
5)La bilancia
Cosa pesa di più?
Tra una formica e un topo- tra un lenzuolo e una
coperta- tra una macchina e una bicicletta- tra una
margherita e una pianta- tra un cappotto e un maglione- tra un televisore e un armadio- tra un melone
e un albicocca- tra un asciugamano e un accappatoio
Paola Miccoli
presso posta su un tappeto
damascato, tra un crocefisso e il cero pasquale.
Sulla porta della Basilica di
San Pietro un arazzo rappresentante la resurrezione
e l’allora cardinal Ratzinger
che celebrava la messa e
quel Vangelo posto sulla
bara le cui pagine venivano
sfogliate dal vento…
A dieci anni dalla sua morte, ho ripensato a Giovanni
Paolo II, a come ha esercitato il suo ministero con
instancabile spirito missionario (ha compiuto ben 104
suoi viaggi apostolici).
Dal 1985, spinto dall’amore
che nutriva per i giovani,
ha dato inizio alle Giornate
Mondiali della Gioventù e
milioni erano i giovani, provenienti da ogni parte del
mondo, che rispondevano a
questo appello. Allo stesso
modo la sua attenzione
si è rivolta alla famiglia
e nel 1994 ha iniziato
gli Incontri mondiali delle
Famiglie. Ha promosso il
dialogo con gli ebrei e con
i rappresentati delle altre
religioni, convocandoli in
diversi Incontri di Preghiera
per la Pace, specialmente
in Assisi.
Sotto la sua guida la Chiesa
è stato celebrato il Grande
Giubileo del 2000 ed a lui
si deve il rinnovamento
spirituale della Chiesa. Ha
dato un impulso straordinario alle canonizzazioni e
beatificazioni, per mostrare
tanti esempi di santità, che
fossero di incitamento agli
uomini del nostro tempo.
Quanto ci sarebbe ancora
da dire …termino questo
ossequioso ricordo con una
frase di Giovanni Paolo II
che vuole essere un’esortazione per tutti:
“Vivete nella Fede, trasmettetela ai figli, testimoniatela nella vita, amate la
Chiesa, vivete in essa e per
essa, fate spazio nel cuore
a tutti gli uomini, perdonatevi a vicenda, costruite
ambienti di pace ovunque
siete. Ai non credenti dico:
cercate Dio, Egli sta cercando voi. E ai sofferenti dico:
abbiate fiducia, Cristo che
vi ha preceduto vi darà la
forza di far fronte al dolore.
Ai giovani: spendete bene
la vita, è un tesoro unico.
A tutti: la Grazia di Dio vi
accompagni ogni giorno.
E salutatemi i vostri bambini, appena si svegliano.
Come vorrei che questo
mio “buon giorno” fosse
per loro presentimento di
una buona vita, a consolazione vostra e mia, e di
tutta la Chiesa.
E dal 27 aprile 2014 abbiamo un Santo in più: San
Giovanni Paolo II.
Donatella Bruni
9
Comelli, un ‘trampolino’ per i giovani
O
gni anno cinque giovani bolognesi, neo
iscritti all’Università
di Bologna, accedono mediante concorso a cinque
borse di studio, ciascuna
di 2.000 euro annui, messe
a disposizione dal Collegio
Comelli, una delle “antiche
istituzioni bolognesi” ancor oggi realtà importanti
per la città (se ne contano
ben 26). Per sapere di più
di queste istituzioni ed in
particolare del Collegio Comelli incontriamo Valeria
Piccinini Sassòli, Segretario Generale del Collegio,
alla quale chiediamo di
raccontarci questa storia
straordinaria degli anni
della “grande Bologna”, la
città “dotta” allora riferimento della cultura europea con forte appeal per
i giovani dei diversi Paesi
che accedevano agli studi
universitari. E partiamo
ovviamente dalle origini.
Domenico Comelli era notaio bolognese e filantropo.
Nel ‘600 a Bologna, per la
fama della sua Università,
erano presenti numerosissimi studenti e Comelli
aveva notato come i giovani stranieri, provenienti
da tutto il mondo, avevano
corporazioni e collegi che li
aiutavano nella vita in città
come, ad esempio, il Collegio dei Fiamminghi, fondato
da Jean Jacobs, istituzione
storica tuttora presente a
Bologna e, insieme al Collegio di Spagna, una delle
poche sopravvissute tra i
molti collegi universitari
sorti nella vicenda millenaria dell’Alma Mater. Numerose erano in quegli anni le
istituzioni che operavano:
il Collegio Ancorano per i
parmensi, il Ferrerio per i
piemontesi, il Fieschi per i
genovesi, l’Illirico-Ungarico
per i croati e gli ungheresi,
il Sinibaldi per i lucchesi, il
Montalto per i marchigiani,
il San Clemente e il Vives
per gli spagnoli. Per i bolognesi c’era solo il Collegio
Poeti, fondato nel Cinquecento, che beneficiava
unicamente cinque giovani.
10
Da qui il requisito di “bolognesità” per gli studenti cui
pensò Comelli.
“Il 28 maggio 1663 con
proprio testamento dispose che fosse istituito,
a cura dei suoi tre eredi
(denominati i Compadroni che avrebbero dovuto
amministrarlo con questo
intento e “in eterno”, di discendente in discendente),
“un Collegio di giovani studenti cittadini Bolognesi, di
buona fama e vita a guisa
del Collegio fondato per il
già sig. Giovanni Jacobs in
questa città di Bologna…”.”
Gli eredi di Domenico Comelli, seguendo le istruzioni testamentarie, acquistarono “una grande e nobile
casa in strada Maggiore
al civico numero
71”che è rimasta
sede del Collegio
fino al 1922, anno
in cui fu venduta
e dove tuttora è
leggibile una targa ricordo. E investirono il capitale
residuo in possedimenti da cui nel
tempo sono derivati la
maggior parte degli utili per
la gestione del Collegio che
oggi ha sede in Galleria
Cavour.
Aperto il 25 novembre
1665 il Collegio ben presto
acquisì prestigio e fama al
punto che “potervi collocare un figliolo era reputato onore e fortuna dalle
famiglie cittadine”. Fino al
1833, quando i giovani non
furono più accolti e mantenuti nell’antica casa, ma
vennero lasciati presso le
loro famiglie e assistiti con
assegni annui, oggi diventati borse di studio.
Tra i tre figli eredi c’era
una sorella (fattasi suora)
alla cui morte fu nominato
discendente il Convento.
Ma poi, con la soppressione dei Conventi a seguito
dell’avvento di Napoleone,
la discendenza, insieme
agli altri eredi compadroni,
passò allo Stato Italiano
e, per questo, al Ministero
dell’Istruzione il quale nomina ogni tre anni come
“delegato governativo” una
figura rappresentativa di
assoluto prestigio che ne
diventa anche Presidente
(attualmente è l’Avv. Giuseppe Vicinelli).
Dalle origini ad oggi le persone che si sono succedute
nella gestione del Collegio,
pur diverse per cultura,
idee e condizioni sociali,
hanno condiviso una comune aspirazione: accompagnare in ogni tempo
l’affermazione di giovani di
valore favorendone gli studi e il futuro professionale.
Generalmente gli studenti
del Collegio si sono “fatti
valere”: hanno concluso
– e concludono tuttora – i
loro studi con lauree a pieni voti e poi nelle attività
professionali parecchi di
loro hanno raggiunto, per
merito, posizioni importanti
nella città e nel Paese.
Roberta Bolelli
Accademia Clementina, diritto ed economia in soccorso dell’Arte
A
nche i proverbi, saggezza dei popoli, possono essere fraintesi.
“ Imparare l’arte e metterla
da parte”, certo, ma
non nel senso di farla sparire, magari
compromessa e trascurata in favore di
applicazioni più concrete e quotidiane.
Quando poi il rischio minaccia
una città storica come Bologna, che di arte ne ha creata
e ispirata come poche altre,
vuol dire che bisogna davvero
correre ai ripari. Per esempio,
con un ciclo di incontri in cui
l’arte venga discussa nelle sue
spesso complesse relazioni
con le discipline della vita di
tutti i giorni, in particolare
quelle giuridiche ed economiche. Ed è esattamente di
questo che si è parlato nei
giorni scorsi nella
magnifica Aula Magna dell’Accademia
di Belle Arti. Sei appuntamenti, aperti
anche al pubblico,
che risveglino la sensibilità dell’identità culturale
anche nella modernità, promossi e organizzati da un’istituzione storica della città,
l’Accademia Clementina, di cui
sono intervenuti il presidente,
il prof. Andrea Emiliani, e il
cancelliere, l’avvocato Santa
D’Innocenzo, alla presenza
del presidente dell’Accademia
di Belle Arti, il prof. Fabio
Roversi Monaco. Ecco quindi
il primo ciclo dei seminari
di Diritto ed Economia nella
gestione dell’Arte moderna
e contemporanea. L’idea è
quella di riunire esperti dei
vari settori e discutere le
problematiche, dal tema del
graffitismo all’importanza delle aste e delle fiere, in cerca
di possibili soluzioni, sfidando
la crisi. Dal traffico dei mezzi
pubblici pesanti nel centro
storico al ruolo dell’Accademia
Clementina come spazio non
convenzionale per rilanciare la
cultura, si sono toccati alcuni
snodi cruciali del discorso,
preludio del ciclo di seminari
vero e proprio.
Omeopatia, tanti e banali luoghi comuni
S
ono quasi 10 milioni gli Italiani che
usano regolarmente o occasionalmente i
medicinali omeopatici.
Da un sondaggio di AstraRicerche (ottobre
2013) sappiamo inoltre
che, tra gli utilizzatori, il
60% intende farne uso
come adesso, mentre il
30.9% vuole ricorrervi
anche più di quanto sta
facendo attualmente.
Dalla stessa ricerca emerge che il 51.7% di
chi afferma di conoscere – anche senza
esperienza di utilizzo – i
medicinali omeopatici,
vorrebbe saperne di più
in merito al tema omeopatia. Fra questi, ben
il 43.8% desidererebbe
che fossero i mezzi di informazione a comunicare di più su questo tema
e sul comparto che, dati
alla mano, si mantiene
saldo malgrado la crisi.
Nonostante ciò, spesso
all’omeopatia si associano alcuni “luoghi comuni”, che è opportuno sfatare per evitare di creare
confusione nel pubblico
su un argomento di per
sé già complesso.
Tra gli errori più comuni
ci sono quelli legati alla
terminologia. A volte i
medicinali omeopatici
vengono definiti “rimedi”,
termine che richiama
alla mente preparati dal
contenuto misterioso,
non necessariamente di
natura medica. Al contrario, gli omeopatici sono
medicinali a tutti gli
effetti: lo Stato Italiano
ne ha infatti ufficialmente riconosciuto lo status
con il D. Lgs. 219/2006.
Altro luogo comune è
la definizione dell’omeopatia come medicina
“alternativa” a quella tradizionale. In realtà, come
evidenzia Christian Boiron, Direttore Generale
di Boiron, gruppo leader
nella produzione e distribuzione dei medicinali omeopatici, l’omeopatia
è una delle possibili
terapie di cui medici e
farmacisti si possono
avvalere nella propria
pratica quotidiana, prescrivendo farmaci omeopatici e allopatici in base
alla patologia del paziente. La terapia omeopatica
può essere associata ad
altre terapie: infatti, fra
i suoi vantaggi si può
contare l’assenza di interazioni farmacologiche
note. Questa caratteristica rende i medicinali
omeopatici utili nella cura
dei pazienti politrattati
come per esempio le
persone anziane.
Si tende poi a confondere l’omeopatia con la
fitoterapia, quasi fossero
la stessa cosa. In realtà, la fitoterapia è un
metodo terapeutico che
utilizza solo sostanze di
origine vegetale, mentre
l’omeopatia si avvale di
sostanze appartenenti
ai regni vegetale, animale e minerale. Inoltre la fitoterapia cura
per mezzo di estratti di
piante a dosi ponderali,
mentre l’omeopatia con
medicinali ottenuti da
diluizioni e dinamizzazioni della sostanza
di partenza.
Un altro luogo comune
riguarda la convinzione
che l’omeopatia sia efficace solo per patologie
lievi. Anche questo è falso. Si pensi all’impiego
di medicinali omeopatici
nella prevenzione, o
per la cura di malattie
gravi o croniche (ad esempio forme allergiche
respiratorie o cutanee
croniche, cistiti ricorrenti, bronchiti croniche,
artrosi, osteoporosi) sino
ad arrivare alla cura degli effetti secondari delle
terapie oncologiche.
Ancora, capita di leggere che i tempi di azione dell’omeopatia siano
lenti, a prescindere dalla
patologia per la quale
vengono somministrati.
La loro rapidità d’azione dipende, invece,
proprio dal problema di
salute considerato: per
la cura di un sintomo
acuto, l’azione è rapida
e, a seconda delle situazioni, può andare da
pochi minuti a qualche
ora o qualche giorno.
In caso di malattie croniche, invece, dove è
fondamentale una visita
medica da un medico
esperto in omeopatia, il
trattamento è necessariamente più lungo.
L’efficacia e la velocità
d’azione dei medicinali
omeopatici nella cura
di malattie gravi o croniche è testimoniata da
una recente intervista
sul quotidiano “La Nazione Livorno” al dottor
Elio Rossi, Responsabile
Territoriale Ambulatorio
Omeopatia della Asl 2 di
Lucca. Il medico spiega
che “l’omeopatia agisce
in genere rapidamente
ed efficacemente nel caso di malattie acute come raffreddore, influenza, dissenteria, nausea
da viaggio”, e sottolinea
che, “per avere risultati migliori e in tempi
più rapidi è preferibile
assumere medicinali omeopatici alla comparsa
dei primi sintomi”. Il medico ricorda, inoltre, che
per le malattie croniche
“i farmaci omeopatici
permettono di ottenere
buoni risultati anche nel
caso di asma, allergie e
dermatosi”.
Infine, un aspetto che
è importante chiarire,
riguarda la sicurezza
dei medicinali omeopatici. Molti affermano che
i medicinali omeopatici
non sono sicuri o che
sono fabbricati con norme diverse rispetto ai
medicinali allopatici: in
realtà, sono fabbricati
seguendo le norme di
buona fabbricazione del
farmaco, che vengono
imposte dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco)
per la produzione di tutti
i medicinali. Grazie alle
loro alte diluizioni, inoltre, gli omeopatici non
presentano tossicità chimica, controindicazioni,
interazioni farmacologiche ed effetti indesiderati legati alla quantità del
prodotto assunto.
Per questo motivo possono essere somministrati a bambini, adulti
e persone anziane.
Alessandro Lenzi
Parliamo di allenamento: ma è tutta aerobica?
Q
uante volte, parlando di allenamento, abbiamo sentito nomi
nare la parola “aerobica”? Non è scontato però che
sia un concetto chiaro per tutti.
Mi sembra giusto quindi spiegare bene che cos’è, per evitare
fraintendimenti.
L’allenamento aerobico è quel
tipo di allenamento che va a
bruciare direttamente i grassi,
il che implica, attraverso l’utilizzo dei muscoli, un discreto
impegno da parte di cuore e
polmoni. Quindi basta fare un
giro in bicicletta o una corsetta?
Non proprio. Purtroppo molte
volte buttiamo via tempo e
fatica perché ci alleniamo nel
modo sbagliato.
I rischi sono due: il primo è che
il battito del cuore non salga
abbastanza, in tal caso non
suscitereste nessuna reazione
metabolica e perdereste solo
del tempo. Il secondo rischio
invece è che se faceste troppa
fatica il battito salirebbe troppo
e l’organismo smetterebbe di
bruciare i grassi: utilizzerebbe
solo gli zuccheri (come “emergenza”) producendo acido lattico, cioè una sostanza che vi
farà percepire una sensazione
di fatica crescente, che se
prolungata vi costringerà a
fermarvi.
La formula corretta però ad un
primo livello è semplice: bisogna mantenere costante per
almeno una ventina di minuti
un certo livello di fatica, e l’intensità di questa fatica è misurabile con la frequenza cardiaca
che deve salire più o meno al
70% della massima frequenza
raggiungibile (ci son delle tabelle che ci possono aiutare a
scoprire questi dati). So cosa
state pensando,
ma non disperate: questi dati
si possono misurare con un
banale cardiofrequenzimetro,
ma anche se ne
fossimo sprovvisti non è grave,
infatti possiamo imparare ad
ascoltare il nostro corpo: visto
che abbiamo detto che il livello
di fatica corretto è quello che
ci fa sicuramente iniziare a sudare ma non tanto da perdere
il fiato, mentre fate la vostra
camminata o pedalata provate
a chiacchierare o a fischiare: se
ci riuscite senza troppo affanno
è tutto ok! Siete finalmente in
regime brucia grassi.
Va inoltre detto però – ed è
molto importante - che l’aerobica è solo uno dei modi per
bruciare i grassi con l’esercizio.
Vi sono infatti altri metodi, indiretti ma anche più efficaci, che
si attivano con un allenamento
completo e mirato. Magari di
questi parleremo un’altra volta. Intanto iniziate ad attivare
cuore e polmoni senza strafare,
bruciando i grassi e migliorando
anche fiato e qualità della vita.
Buon allenamento!
Dott. Luigi Pilati
www.luigipilati.com
11
La sottile arte dell’essere maestri
12
Foto Marco Caselli
D
i questo i nostri ragazzi hanno più di ogni
altra cosa bisogno:
di insegnanti che indichino
loro la strada, che siano veri
maestri di vita. Mi viene in
mente leggendo l’articolo
che Tony Servillo ha rilasciato giorni fa all’Espresso
Parlando del motivo per cui
da giovane lasciò l’università
(Facoltà di Psicologia): “un
giorno mi presentai all’esame piuttosto stanco, il
professore se ne accorse e
ne chiese il motivo. Mi vergognavo a dire che avevo
fatto le prove sino a tardi,
ma alla fine confessai: faccio
l’attore. E lui: allora smetta
con questo studi perché le
ingombrano lo spirito”.
Ho pensato più volte a quella
frase dopo averla letta. Quel
maestro, scrollatosi per un
attimo il dovere di insegnare
la propria materia, preferì
suggerire al giovane studente di seguire la sua naturale
inclinazione, anche a costo
– atto di grande apertura
intellettuale – di abbandonare il suo insegnamento.
Fu un atto di profonda umiltà
professionale, di alto valore
etico morale, che forse privò
la società di uno psicologo
(mediocre?), ma regalò a
tutti noi un artista grande,
talentuoso e completo. Ho
sempre pensato che tra i
compiti del difficile mestiere
di insegnare vi sia quello di
aiutare gli studenti e capire ed a capirsi; disciplina
(o arte), molto più vicina
al formare l’individuo, che
all’informarlo. E’, questo, un
convincimento indotto dalla
personale esperienza di vita.
Dei tanti professori avuti
negli anni di studio, quello
che più ha lasciato un segno
in me è stato un Aggiunto di
Analisi 1, tal professor Forni.
Me lo ricordo come fosse ieri,
piccolo di statura, superati
da tempo i cinquanta, alzarsi
in piedi (erano altri tempi)
dall’ultima fila di banchi,
ogni qual volta l’Ordinario di
cattedra lo coinvolgeva per
suggerirgli di affrontare nelle
successive esercitazioni una
parte del programma piuttosto che un’altra. Ebbene,
un giorno, il Forni, notato un
mio scoramento (ero seduto
in prima fila) al termine di un
accertamento non proprio
brillante, mi si avvicinò e
con tono paterno mi disse:
“allievo non sia triste, cosa
vuole che sia un compito
andato male rispetto ai suoi
vent’anni. In fin dei conti, è
solo matematica….”
Ho pensato a quella frase
innumerevoli volte, per tirarmi su di morale a causa
di un risultato non raggiunto,
o per riportarmi con i piedi
a terra in caso contrario. A
distanza di tanti anni, sono
anche convinto che quel
professore, a differenza del
titolare, avesse subito capito che la sua materia mi
ingombrava lo spirito; e se
alla fine superai quell’esame
(con un misero 22), penso lo
debba anche alla leggerezza
d’animo con la quale mi ci
fece accostare. Fortunati allora quegli studenti che hanno la fortuna di imbattersi
in simili maestri, così come
assai infelice è quel sistema
educativo che delega al caso
tali incontri, piuttosto che
renderli sistemici e funzionali al progresso della società.
Antonio Vecchio
Le forze armate entrano nelle scuole
S
i deve a un’intesa firmata tra il Ministero
dell’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica
e quello della Difesa, lo
scorso mese di settembre,
il progetto di comunicazione
sul “ruolo delle Forze
Armate nella crescita
democratica del Paese”,
che da qualche settimana ha preso avvio anche
nella nostra regione.
Decine gli istituti/licei/
scuole coinvolti di ogni
ordine e grado, e di tutte
le province.
Un ciclo di conferenze,
coordinate dal Comando
Militare Esercito “Emilia
Romagna” di concerto
con l’Ufficio Scolastico
Regionale, tenute da un
team di Ufficiali delle Forze
Armate e della Guardia di
Finanza, sulla Grande Guerra - di cui proprio quest’anno
ricorre il centenario (l’Italia
vi entrò nel 24 maggio 1915)
-, e la Guerra di Liberazione,
il cui 70° anniversario sarà
celebrato a partire dalla
prossima primavera.
“I due conflitti del novecento – spiegano al Comando
Militare Esercito - hanno
segnato profondamente l’identità della Nazione. Noi
ci proponiamo di ripercor-
rerli insieme agli studenti,
con l’intento di capire come
tali esperienze, per quanto drammatiche, abbiano
contribuito a porre le basi
dell’attuale Italia repubblicana e democratica Quello
che ci proponiamo con questa iniziativa, in definitiva,
è un’operazione di recupero
collettivo della memoria e
di condivisione di una parte
della nostra storia comune”.
A margine, un’iniziativa dello
Stato Maggiore dell’Esercito,
speciale e unica nel suo genere, che offre la possibilità
agli studenti che ne faranno
richiesta, di ricevere una
copia dello stato di servizio
o del foglio matricolare di un
proprio avo che abbia partecipato alla Grande Guerra.
Lo Stato di Servizio è il do-
cumento che accompagna
tutta la vita del militare
(l’esatta denominazione è
“Stato di Servizio” per gli Ufficiali e “Foglio Matricolare”
per Sottufficiali e truppa).
All’interno si trovano tutte
le informazioni relative
ai compiti svolti, ai reparti di appartenenza,
alle malattie, ferite,
eventi di vario tipo
che hanno coinvolto
il militare. Dalla visita
di incorporamento al
congedo, questo documento accompagna
tutta la vita del soldato, quasi fosse un “diario”. Durante la Grande
Guerra, quando furono
richiamati alle armi
milioni di italiani - ben il
97% degli italiani abili al
servizio - fu approntato un
numero enorme di Stati di
Servizio e Fogli matricolari
che potranno essere consegnati direttamente ai giovani
discendenti. “Avere lo Stato di Servizio
del proprio avo vuol dire
avere la possibilità di conoscerlo meglio e più da vicino,
rivivendo le esperienze che
lo hanno visto protagonista
con il suo reggimento e i suoi
compagni”.
Enrico Baviera
All’Antoniano rivive il mito del grande Fred
è
stato un grande successo al teatro “Antoniano” di Bologna
lo spettacolo musicale brillante ideato e diretto da
Giorgio Albéri dal titolo
“Buscaglione, il duro di
Chicago”.
Una rappresentazione per
celebrare emozioni in un
flashback fatto di brani, Franz Campi con Lara Luppi
suoni e voci. “Eri piccola…”,
“Teresa, non sparare”, “Che
bambola!”, quante persone
hanno ricordato queste
melodie immortali degli
anni sessanta!
“E’ proprio vero: Fred Buscaglione con quella voce
roca ha cambiato il modo
di cantare – spiega il regista/autore – ha proposto
Franz Campi è Buscaglione
alle platee italiane delle
canzoni completamente
diverse come stile, come
contenuto e come melodia. Lo spettacolo propone
anche altri “Amici di Fred”
come Carosone, Kramer,
Lojacono, ecc.”.
Ecco in breve il contenuto
dello spettacolo la cui parte musicale è stata curata
dal M° Lamberto Lipparini che, al pianoforte,
unitamente ad una band
di sei elementi, ha diretto
i cantanti Franz Campi
(ineguagliabile interprete
delle canzoni di Buscaglione) e Lara Luppi, affiancati dall’attrice Gaia
Ferrara.
Luisella Gualandi
Giorgio Albéri al termine dello spettacolo con i Jumpin’ Shoes
Laura, quando la pittura è dedicata agli amici animali Un compleanno di tutto rispetto
L
aura Casalini
ama in modo totale gli animali,
specialmente cani e
gatti e le piace portare la loro immagine
su tela. Le chiediamo
come è nata questa
passione.
Mi è sempre piaciuto
disegnare. Da bambina
amavo i cartoni animati
e spesso mi divertivo a
disegnarli. Avrei voluto frequentare il liceo
artistico invece, allora
mio malgrado, sono
andata allo scientifico.
Devo ammettere però
che con questi studi ho
acquisito il senso della
prospettiva e disegnato
capitelli e decorazioni
architettoniche antiche.
E la pittura?
Da allora sono passati
molti anni e nel 1994,
per caso, mi sono iscritta ad un corso di pittura
ad olio diretto dal pittore Fanti in un centro
denominato “Casa del
gufo”. Per la prima volta, provando una grande soddisfazione, ho
imparato ad usare i colori ad olio, ho iniziato a
dipingere paesaggi, dei
fiori e delle nature morte. Successivamente mi
sono iscritta a un altro
corso di pittura diretto
dal maestro Giancarlo
Milani di Bologna.
Il mio modo di dipingere tende all’impressionismo. Dipingo di
getto e amo i colori.
Quando ha scoperto
di amare dipingere
cani e gatti?
Con una piccola esperienza alle spalle e con
le nuove conoscenze
acquisite ho proseguito
provando a dipingere
figure, cavalli e animali
vari. Ma è stato in questi
ultimi anni che mi sono
dedicata soprattutto ai
cani che adoro. Mi piace
cogliere l’espressione
dei loro occhi sempre
diversa. Ultimamente
ho fatto anche ritratti
di bambini.
Il suo stile pittorico
a quale corrente si
ispira?
Uso prevalentemente
la tecnica a olio.
La classica domanda
che si rivolge ad un
artista: quale il sogno nel cassetto?
Il mio sogno rimasto
nel cassetto? Avere
frequentato il liceo artistico e aver potuto
lavorare nel settore
dei cartoni animati che
amo ancora riprodurre su magliette, sassi,
borse o altro supporto che mi capiti fra le
mani. Ho partecipato
a mostre collettive ed
estemporanee riportando buoni risultati.
Giorgio Albéri
270 anni fa. Nella notte
del 19 febbraio 1745,
a causa di un incendio,
venne distrutto il teatro
di Casa Malvezzi, tutto
di legno costruito, lasciando Bologna senza
uno degli svaghi preferiti. Furono i prodromi
che portarono alla progettazione di un nuovo
edificio: il Teatro Comunale, sul terreno del
“guasto”, su cui sorgeva, un tempo, la dimora
dei Bentivoglio. L’idea
fu affidata, con l’approvazione di Papa Benedetto XIV (Lambertini)
e del Cardinal legato,
ad Antonio Galli Bibiena. Nobili e borghesi si
quotarono per l’acquisto
di 75 palchi, con l’idea
di edificare un palazzo
in pietra “per maggior
sicurezza e cautela degli
incendi”. L’inaugurazione: il 14 maggio 1763.
Con una nuova opera
commissionata per l’occasione: “Il trionfo di
Clelia”, scritta da Christoph Willibald Gluck,
nel 1762, su libretto di
Pietro Metastasio. La
parte di Clelia affidata
ad Antonia Girelli Aquilar (400 zecchini romani
per 28 recite), quella di
Orazio al Manzuoli (500
zecchini). Dopo di allora
l’opera non è più stata
data fino al 2001, quando è stata rappresentata, a Lugo, ma non nella
sua versione completa e
originale.
Il Teatro Comunale
dopo il restauro
della facciata nel 1936.
13
Rossini, passioni e allarmi di uno strano ‘bolognese’
N
acque a Pesaro e sarebbe scomparso a
Passy, visse lungamente a Napoli e a Parigi,
operò a Vienna e a Londra,
ma bolognese ebbe modo di
definirsi disse spesso, Gioachino Rossini (1792-1868),
spesso tutto contento, della
definizione, e talvolta invece
assai contrariato. A Bologna studiò da adolescente,
in maniera prima privata e
poi pubblica presso il fresco
Liceo Filarmonico. A Bologna abitò, ebbe i genitori,
comprò casa e anzi case,
visse con moglie e anzi
mogli, tenne relazioni e
amicizie, lavorò e insegnò
intensamente. A Bologna
stette benone, insomma,
ma ricevette anche sgarbi e
offese. Patria di mortadelle
e aggressioni, confessò, e fu
chiaro abbastanza.
Solo un’opera, L’equivoco
stravagante, rappresentò
in quel di Bologna, al teatro
del Corso nel 1811; e se
le cronache non mentono
ebbe i suoi guai, a nemmeno vent’anni, perché fece
vedere il bastone ad alcuni
coristi poco disciplinati e
come guadagno il presuntuosetto ne ebbe la visita
del bargello che lo cacciò in
gattabuia e ve lo lasciò per
una notte. All’epoca aveva
già finito, meglio abbandonato gli studi, perché il
maestro di contrappunto, il
troppo austero Padre Mattei,
non gli dava soddisfazione
veruna; e da Venezia, l’anno
prima, l’aveva chiamato il
teatro di S. Moisè per farlo
esordire (su segnalazione di
un cantante amico della madre, cantante anche lei). Ma
mentre studiava, contrappunto (leggi composizione),
pianoforte e violoncello (e
poco frequentava l’istituto
che ora s’affaccia su piazza
“Rossini”), lo chiamavano “il
tedeschino” perché girellava
con sottobraccio delle strane musiche straniere (Beethoven?). Se ne sarebbe
ricordato più tardi, nel 1839,
quando, smessa da dieci
anni una carriera operistica
che lo aveva già consegnato alla storia, fu richiesto di
assumere la direzione del
liceo. Mai! Però “consulente
onorario perpetuo” poteva
14
diventarlo; e lo fu, per una
decina d’anni svecchiando
l’antica, classica, sacra,
latina polifonia italiana sul
modello dei moderni maestri
d’Austria e Germania.
Il 1848 portò la guerra d’indipendenza a gran parte
dell’Italia e un tafferuglio a
Strada Maggiore. Un manipolo di volontari in partenza
lo chiamò al balcone dell’appartamento dove stava e lo
complimentò, ma qualche
mestatore gridò, rinfacciò
(contro il ricco conservatore), tramutò la festa in
protesta e lui, già vedovo di
Isabella Colbran e sposato
a Olympe Pélissier, si prese una paura del diavolo e
scappò a Firenze. Tornò dopo
poco, giusto per prendersi le
cose sue (ma almeno da Loiano volle una scorta), e visse a Firenze fino al 1855, gli
anni più tristi della sua vita
perché inoperoso, isolato,
depresso, malato, incapace
persino di vestirsi da solo.
Con gran fatica Olympe lo
persuase a prendere la via
di Parigi e colà visse fino
alla morte, pian piano recu-
perando in salute e anche
rimettendosi a comporre
(mai opere, però).
Bologna? la città prediletta
l’aveva criticato, protestato,
minacciato, e al cospetto di
un’aggressione nulla poteva
l’altra predilezione, quella
per la mortadella (pari, certo, a quella per il gorgonzola,
che però era roba lombarda).
A Castenaso si era sposato
con Isabella, l’unica donna
davvero amata, e a Bologna
aveva acquisito e conservato
amicizie, i numerosi gentiluomini che gli aprivano le
porte di casa e i numerosissimi spettatori che applaudivano ai suoi personaggi
cantanti magnifiche arie,
Tancredi, Figaro, Guglielmo
Tell, Cenerentola, Mosè, Semiramide e quant’altri. Ma
la sua cospicua eredità era
destino, anzi regola di testamento, che dovesse fondare
e alimentare il Conservatorio
“Rossini” di Pesaro (come sta
facendo ancora).
Piero Mioli
Una carta importante nata 800 anni fa
T
ra i numerosi anniversari
che proponiamo ai nostri Lettori, non poteva
mancare il primo esempio
di attestazione pubblica dei
diritti civili che fu scritta ben
800 anni fa: la Magna Charta
Libertatum.
è un documento scritto in
latino, promulgato il 15
Giugno 1215 dal Re d’Inghilterra Giovanni Senzaterra, divenuto re quando
suo fratello primogenito
Riccardo I, salito al trono
dopo la morte del padre
Enrico II d’Inghilterra,
partì per combattere nella
Terza Crociata.
Il soprannome lo si deve al
fatto che perse in combattimento numerosi territori,
tra cui quelli francesi. Tornato in patria Giovanni si trovò costretto ad accontentare
le richieste dei Baroni, insorti
a causa delle tasse che erano
state imposte dal sovrano
per finanziare le sue imprese
belliche piuttosto deludenti. Il
titolo del documento significa
grande carta delle libertà, e
fu chiamata magna per distinguerla da un’altra Charta
di quel periodo, un provvedimento di minore importanza
che regolamentava i diritti di
caccia.
La Magna Charta consiste
nella concessione di privilegi da parte del sovrano ai
suoi sudditi e diminuiva il
suo potere diretto sul regno.
Il documento riguardava i
membri dell’alto clero quali
arcivescovi, vescovi e abati, i
nobili, i funzionari di Stato e i
“fedeli sudditi”. Erano esclusi
da questo elenco i servi, ossia
la maggior parte degli abitanti
dell’Inghilterra di allora, tutti
coloro cioè che lavoravano la
terra e ad essa erano legati,
ma sottoposti all’autorità dei
loro signori.
Il primo articolo precisa infat-
ti, che le concessioni fatte dal
sovrano spettano agli uomini
liberi del regno. I contadini
sono anch’essi sudditi, ma
vincolati da legami di dipendenza ai signori cui furono
concessi in beneficio assieme
alle terre nel momento
dell’investitura; quando
cioè il sovrano conferiva
ai suoi vassalli il possesso di un feudo con
tutto ciò che in esso era
contenuto. Tra i privilegi
più importanti concessi c’era il divieto per
il sovrano di imporre
nuove tasse ai suoi vassalli senza il preventivo
consenso del consiglio
del Regno, formato da
conti, baroni, arcivescovi
e abati, e la garanzia di
non venire imprigionati senza
aver prima avuto un regolare
processo. Nel corso del tempo il documento, che oggi si
trova presso la cattedrale di
Salisbury, ha subito importanti modifiche; nonostante
ciò esso è stato il primo e più
importante gradino verso la
successiva affermazione del
diritto costituzionale monarchico inglese.
Donatella Bruni
Così Fantini diventò un ‘folletto benefico’
L
uigi Fantini nasce al Farneto, il
22 marzo 1895,
in una casa colonica,
poi sede del Parco
dei Gessi bolognesi e
dei Calanchi dell’Abbadessa. Tra lui e
F ra n c e s c o O r s o n i
come un passaggio
di testimone. Fantini
s’avvicina alla preistoria, attraverso lo
zio, amico di Francesco Orsoni.
A 15 anni lo aiuta ad
accompagnare in visita alla grotta colui
che diventerà Papa
Benedetto XV. è figlio
d’un sarto. Autodidatta. Solo la licenza
elementare.
Da ragazzo, bosca-
iolo. Sui vent’anni,
manovale e mugnaio.
Nel 1924 s’imbatte
in una piccola punta
di freccia riferibile ad
un sepolcreto dell’età del rame, che ne
segna l’esordio nel
campo della paleontologia.
Diventa “al matt di
sass”. In un momento
o nell’altro della nostra vita siamo stati
tutti appassionati di
sassi. Nel 1932 il suo
libro sulle “Grotte bolognesi”. Nello stesso
anno, il 7 novembre,
fonda il gruppo speleologico. Si diletta di
fotografia, anche sotterranea. Nel 1939
ritrae la chiesetta
romanica
dell’Abbazia di monte Armato,
la casa con
torre detta
“il Palazzino”, a Pizzano. Sono
le prime immagini
della vasta campagna di rilevamento
degli edifici storici
dell’Appennino bolognese. Assunto dal
Comune di Bologna
come inserviente, vi
percorre la parabola
professionale, sino
al grado di archivista
capo, per poi passare, come assistente,
nel 1955, nel Museo
Civico, quando il Ministero dell’Istruzione gli conferisce la
medaglia di bronzo
al merito per la cultura. Nel 1960, la
pensione, dopo 35
anni di servizio, con
la qualifica di archivista capo.
Il 16 maggio 1965
l’inaugurazione della
sua grande mostra.
Nel 1972 gli “Antichi
edifici della montagna bolognese”.
Muore il 12 ottobre
1978. Riposa nel
piccolo cimitero del
Monte delle Formiche: ma il suo spirito,
come quello di un
folletto benefico, si
avverte in ogni cosa
di cui si sia occupato.
Marco Macciantelli
Nelle foto alcune immagini
di Luigi Fantini,
“al matt di sass”.
Nasce una nuova associazione per difendere Bologna
I
l tema della valorizzazione
e della difesa del patrimonio artistico in generale
e di Bologna in particolare è
sempre, in un paese come
il nostro, di grande attualità
soprattutto perché si collega
immediatamente all’immensa
quantità di beni artistici che
possediamo.
Partendo da questa premessa,
una nuova associazione sotto
le due Torri, Pro Bononia,
è nata per condividere l’impegno a promuovere il patrimonio culturale della città,
dall’arte alla gastronomia,
dall’astronomia alla musica,
dalla fisica alla medicina. Nelle
prime settimane di attività ha
raccolto grande interesse e
circa cento associati (un terzo
dei quali di età compresa tra i
16 e i 25 anni) già coinvolti e
impegnati nell’organizzazione
di incontri ed eventi.
“Pro Bononia è nata proprio
con la finalità – sottolinea il
neo Presidente Rolando Dondarini - di unire e dare voce
alle figure e alle competenze
in grado di valorizzare il patrimonio ambientale, culturale,
storico-artistico, scientifico
e musicale di Bologna e del
suo territorio. Bologna è particolarmente ricca di bellezze
artistiche. Per rispettarle e
valorizzarle è indispensabile
conoscerle e condividerle
nelle sue tante articolazioni
pensando soprattutto alle
future generazioni”.
Per questo motivo la nuova
Associazione ha messo in programma come prime iniziative
due incontri-evento come
“Omaggio a Roberto Longhi” (il primo “Da Cimabue ai
Carracci” in febbraio, il secondo “Dai Carracci a Morandi” in
marzo), condotti da Eugenio
Riccomini, noto
storico dell’arte e
Presidente onorario di Pro Bononia.
Partendo dalla famosa prolusione
“Momenti dell’arte
bolognese ed emiliana” che Roberto Longhi - tra i
più grandi critici
d’arte, per molti
anni titolare della
Cattedra di Storia dell’Arte
nell’Università di Bologna tenne all’apertura dell’anno
accademico 1934-35, Riccomini traccia il profilo della
pittura bolognese anche con
l’ausilio di filmati delle conversazioni tenute dallo stesso
Riccomini al Teatro Duse nel
2008 . “Il patrimonio culturale
è qualcosa che riceviamo in
eredità quando nasciamo, ma
che non sempre riusciamo a
cogliere in tutti i suoi aspetti osserva Rolando Dondarini - Il
nostro compito è quello di farlo conoscere, condividendolo
con i nuovi cittadini bolognesi
e con i giovani”.
Questi ultimi, in particolare,
avranno il compito di organizzare scambi con i loro coetanei di tutt’Europa per far
conoscere anche all’estero il
patrimonio bolognese.
Roberta Bolelli
15
La fattoria di Federico
Fiabe per bambini, genitori e nonni
Testo di Federico Nenzioni
Disegni di Rosa Pesci
Lo spaventapasseri e il falco
gnora di fine ottocento. Il falco, di ritorno
da un lungo viaggio, scende a posarsi sulla
spalla dello spaventapasseri e comincia a
sussurrargli il racconto di tutte le bellezze
del creato che si scorgono dall’alto e lo fa in
rima, rivelando sotto la sua dura scorza un
cuore di poeta.
Dal cielo le bellezze del creato
ti lasciano senza fiato.
Bianche vette scintillanti,
vaste acque spumeggianti,
quanti prati verdeggianti,
stagni e laghi luccicanti!
Poi tramonti infuocati
e chiarori delicati.
E la notte, sotto il cielo stellato,
ringrazio Colui
che tutte queste meraviglie mi ha donato
I
l falco è un rapace nobile e fiero
che volteggia in
cielo ad altezze vertiginose e a cui nulla
sfugge.
La sua acutissima
vista gli fa cogliere
anche i particolari
più piccoli di quanto
succede sulla terra
e, adocchiata una
preda, la ghermisce
al volo sfiorando appena il suolo, quasi
ad evitare di venirne contaminato, per
poi far subito ritorno
all’aerea vastità da
cui proviene.
Uno di essi, passando e ripassando sulla
fattoria, aveva notato uno spaventapasseri molto diverso dagli altri, dalle
forme armoniose ed
elegantemente ve-
16
stito e si era ripromesso, prima o poi,
di dargli un’occhiata
da vicino.
Gli uccellini del giorno d’oggi, e tanto
meno lui, intrepido navigatore degli
spazi, non hanno più
paura degli spaventapasseri; quando ne
vedono uno si danno
di gomito, come a
dire: “Che sciocchi
questi umani! Chi
credono d’imbrogliare?” e, dopo aver
dato un’occhiatina
intorno, riprendono
a becchettare come
se niente fosse.
Era stata Silvia, la
figlia del fattore, ad
agghindare lo spaventapasseri con gli
abiti della bisnonna,
trasformandolo in
un’affascinante si-
E il cuore dello spaventapasseri, prima timidamente e poi via via più forte, comincia a
battere.
Con un colpo d’ali il falco spicca il volo ed
è già un puntino lontano quando, dalle pieghe della veste, fa capolino un topino tutto
tremante di paura: con il suo tremolio ha
prestato per un attimo allo spaventapasseri
un cuore vivo e palpitante.
Appendice: Non si
vede bene che col
cuore. L’essenziale
è invisibile agli occhi.Antoine de Saint
Exupéry
Le cose hanno un
cuore? Io penso di sì,
siamo noi a donarglielo come il topolino
della favola ha fatto
con lo spaventapasseri, ma una volta che
glielo abbiamo dato
cominciano a vivere di
vita propria. A quante
cose, infatti, bambini
e adulti assegnano
un significato speciale! Per un bimbo, ad
esempio, una bambola, un peluche sono
un qualcosa di unico,
per un adulto un gioiello, una penna, un
orologio possono ricordare un evento importante: un amore,
uno stato di felicità
o di struggente malinconia, come se in
essi scorresse la vita.
E quando li smarriamo, si rompono o ce
li portano via, cocente
è il rimpianto, come
se venisse meno un
pezzettino della nostra esistenza.
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Il pasticciere `coraggioso`