r v s 6 8 ( 2 0 1 4 ) 6 5 3 - 6 7 7 studi IL CULTO DELL’EUCARISTIA Arnaldo Pigna L’ Eucaristia è memoriale di un evento (la Pasqua) ma è anche presenza di una Persona. «Ecco, io sono con voi tutti i giorni…» (Mt 28,20); «Non vi lascerò orfani: verrò da voi» (Gv 14,18). La presenza eucaristica nel tabernacolo è il modo più pieno in cui Gesù rende vera e mantiene questa sua promessa. È il tabernacolo che, per eccellenza, costituisce «la tenda di Dio con gli uomini» (Ap 21,3). E dunque è soprattutto in questo caso che vanno riascoltate le seguenti parole del Signore: «La regina del sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Ninive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi rvs6_14_IIIB.indd 653 18/12/14 14:14 studi 653-677 alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona» (Lc 11,31-32). «L’Eucaristia, difatti, è un Sacrificio ed è anche un Sacramento; e differisce dagli altri Sacramenti in quanto non solo produce la grazia, ma anche contiene in modo permanente l’Autore stesso della grazia»1. A livello ufficiale «la santa riserva (tabernacolo) era inizialmente destinata a custodire in modo degno l’Eucaristia perché potesse essere portata agli infermi e agli assenti, al di fuori della Messa. Approfondendo la fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, la Chiesa ha preso coscienza del significato dell’adorazione silenziosa del Signore presente sotto le specie eucaristiche» (CCC 1379). «La Chiesa cattolica professa questo culto latreutico al sacramento eucaristico non solo durante la Messa, ma anche fuori della sua celebrazione, conservando con la massima diligenza le ostie consacrate, presentandole alla solenne venerazione dei fedeli cristiani, portandole in processione con gaudio della folla cristiana» (CCC 1378). La pratica dell’adorazione di Gesù sacramentato presente nel tabernacolo inizia con il diffondersi della vita cenobitica e monastica. La vita in clausura prevede infatti lunghi tempi di meditazione e contemplazione alla presenza dell’Eucaristia. Così nelle varie forme di monachesimo, occidentale e orientale, si comincia a istituire un tempo fisso nella vita quotidiana del monaco dedicato proprio all’adorazione eucaristica. La prima testimonianza di tale pratica si registra in una biografia di san Basilio Magno, dove si dice che il pane consacrato che restava dopo la consumazione da parte dell’assemblea 1 Pio XII, Mediator Dei, n. 109. 654 rvs6_14_IIIB.indd 654 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA veniva posto in un ostensorio sopra l’altare, per l’adorazione da parte della comunità. La pratica si diffuse seguendo lo sviluppo del monachesimo e dei vari ordini religiosi, e cominciò a registrarsi con il tempo anche presso chiese e cattedrali, come manifestazione pubblica di affidamento dei fedeli al Signore. Questa pratica dell’adorazione silenziosa davanti al Santissimo ha avuto uno sviluppo particolare a partire dall’XI secolo, come reazione all’eresia di Berengario di Tours che negava la “presenza reale”. In seguito, per celebrare e solennizzare la presenza di Gesù sacramentato, la Chiesa ha istituito anche una festa particolare, quella detta del “Corpus Domini”. Tale festa è nata in Belgio, all’inizio del secolo XIII; i monasteri benedettini furono i primi a adottarla; Urbano IV la estese a tutta la Chiesa nel 1264, pare anche per influsso del miracolo eucaristico di Bolsena, quando un sacerdote, nello spezzare l’Ostia consacrata se la ritrovò tra le mani come carne da cui stillava sangue abbondante. Il corporale miracolosamente intriso del sangue di Cristo è conservato e venerato nel duomo di Orvieto, che si è iniziato a costruire proprio a questo scopo. La splendida liturgia del giorno ci è stata donata dal genio e dalla devozione eucaristica di san Tommaso. La fede ci dice che Gesù è sull’altare ogni giorno per rinnovare il sacrificio della croce e fare di esso il sacrificio vivente della sua sposa, e, insieme, per darsi a noi e farci figli e fratelli. Ma non solo. Gesù rimane nell’Ostia consacrata per essere il Dio con noi, per mostrarsi e continuare ad essere nostro compagno di viaggio, l’amico che ci attende, a cui possiamo ricorrere in ogni momento della nostra giornata. La chiesa dove si celebra la Messa non è solo uno spazio dove a una certa ora succede qualcosa, mentre per il resto del 655 rvs6_14_IIIB.indd 655 18/12/14 14:14 studi 653-677 giorno resta vuoto e “privo di funzioni”. In essa continua ad esserci una Presenza che sollecita e attrae altre “presenze”. L’allora arcivescovo di Monaco, Joseph Ratzinger, scriveva ai suoi fedeli: Noi tutti sappiamo quale differenza c’è tra una chiesa in cui si prega e una ridotta a museo. Oggi corriamo il rischio che le nostre chiese divengano dei musei e che finiscano come dei musei: se non sono chiusi, vengono derubati. Non vivono più. La misura della vitalità della Chiesa, la misura della sua apertura interiore, si mostrerà dal fatto che le sue porte possono rimanere aperte, proprio perché è una chiesa in cui si prega in continuazione. Vi prego, quindi, di tutto cuore che questo ci sia di sprone. Torniamo a essere consapevoli che la Chiesa vive sempre, che in essa il Signore continua a venirci incontro. L’Eucaristia, e la comunità che la celebra, sarà allora tanto più piena, quanto più noi ci prepareremo nella preghiera silenziosa davanti alla presenza del Signore e diventeremo persone che si vogliono comunicare con verità. Una tale adorazione è, anzi, sempre più un parlare con Dio in generale. Contro di essa si potrebbe, anche a ragione, sollevare quell’obiezione che spesso capita di ascoltare: posso pregare anche nel bosco, immerso nella natura. Certo che lo si può fare. Ma se ci fosse solo questo, allora l’iniziativa della preghiera resterebbe tutta presso di noi; allora Dio sarebbe un postulato del nostro pensiero: che Egli risponda, possa e voglia rispondere, resterebbe una questione aperta. Eucaristia significa: Dio ha risposto. L’Eucaristia è Dio come risposta, come presenza che risponde. Ora, l’iniziativa della relazione divino-umana non sta più in noi, ma in Lui e solo così essa diventa davvero seria. Per questo la preghiera nell’ambito dell’adorazione eucaristica raggiunge un livello del tutto nuovo; solo ora investe davvero i due lati e solo ora è davvero il caso serio. Anzi, essa non solo investe i due lati, ma è pienamente universale; quando preghiamo nella presenza eucaristica, non siamo mai soli. Allora a pregare con noi è tutta la Chiesa che 656 rvs6_14_IIIB.indd 656 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA celebra l’Eucaristia. Allora preghiamo nello spazio dell’ascolto, poiché preghiamo nello spazio della morte e risurrezione, là dove, cioè, trova ascolto la vera preghiera in mezzo a tutte le nostre preghiere: la preghiera per il superamento della morte; la preghiera per l’amore, che è più forte della morte. In questa preghiera noi non siamo più di fronte a un Dio pensato, ma al Dio che si è veramente donato a noi; davanti al Dio che è divenuto comunione per noi2. Con ben più ragione di Israele noi possiamo gioiosamente proclamare: «Quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?» (Dt 4,7), perché queste parole hanno avuto nella Chiesa di Gesù Cristo un approfondimento che non poteva nemmeno essere immaginato: Dio è venuto davvero ad abitare con noi nell’Eucaristia. È divenuto carne, per poter diventare pane. Si è consegnato nel «frutto della terra e nel lavoro delle nostre mani»; si mette Lui stesso nelle nostre mani e nel nostro cuore. Dio non è il grande sconosciuto, che possiamo solo intuire nell’oscurità. Non dobbiamo temere, come i pagani, che Egli sia lunatico e crudele o troppo lontano e troppo grande per ascoltare l’uomo. Egli è qui e noi sappiamo sempre dove possiamo trovarlo, dove Lui si fa trovare e ci aspetta. (…) Dio è vicino. Dio ci conosce. Dio ci aspetta in Gesù Cristo, nel Santissimo Sacramento. Non facciamolo aspettare invano! Non passiamo accanto a quanto di più importante e di più grande è offerto alla nostra vita, senza neppure accorgercene, a causa della nostra distrazione e della nostra indolenza. (…) Durante il giorno le nostre chiese non dovrebbero essere delle case morte, che restano lì, vuote e apparentemente prive di senso. Sempre proviene da loro l’invito di Gesù Cristo. Sempre vive in esse questa santa 2 J. Ratzinger, Il Dio vicino. 657 rvs6_14_IIIB.indd 657 18/12/14 14:14 studi 653-677 vicinanza. Sempre essa ci chiama e ci invita. È questo il bello delle chiese cattoliche, che in esse la liturgia è in qualche modo sempre celebrata, dato che in esse permane la presenza eucaristica del Signore3. Se non vogliamo essere degli insensati che chiudono gli occhi, non dovremmo avere alcun dubbio. Non si tratta già di un lavoro di fantasia, come allora che ci immaginiamo il Signore sulla croce o in qualunque altro mistero della passione, dove siamo noi che ci rappresentiamo il fatto come avvenuto; qui si tratta di una presenza reale, ed è verità indiscutibile. Non c’è da andar molto lontano per cercare il Signore4. Qui è tutta la gioia degli angeli, qui è la letizia dei Santi, qui è tutta la felicità. In questo momento il Figlio di Dio, nella sua umanità e divinità, si trova sull’altare ed è in compagnia di una immensa moltitudine di angeli (Angela da Foligno). La presenza di Gesù nel tabernacolo è la logica conseguenza della transustanziazione avvenuta nella Messa, e l’adorazione da parte nostra di Gesù presente nel tabernacolo è conseguenza altrettanto logica del fatto che crediamo davvero che nella Messa Egli si fa realmente presente nel pane e nel vino consacrati. «Quando perciò la Chiesa ci comanda di adorare Cristo nascosto sotto i veli eucaristici, e di chiedere a Lui i doni soprannaturali e terreni di cui abbiamo sempre bisogno, manifesta la fede viva con la quale crede presente sotto quei veli il suo Sposo divino, gli manifesta la sua riconoscenza e gode della sua intima familiarità»5. Le due cose (presenza reale e adorazione) sono strettamente connesse. «L’adorazione eucaristica, dice Papa Bene- Ibid. Teresa d’Avila, Cammino di perfezione, 34,8. 5 Pio Xii, Mediator Dei, n. 109. 3 4 658 rvs6_14_IIIB.indd 658 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA detto, non è che l’ovvio sviluppo della celebrazione eucaristica, la quale è, in se stessa, il più grande atto di adorazione nella Chiesa. Ricevere l’Eucaristia significa porsi in atteggiamento di adorazione verso Colui che riceviamo. Proprio così e soltanto così diventiamo una cosa sola con Lui e pregustiamo in anticipo, in qualche modo, la bellezza della liturgia celeste. L’atto di adorazione al di fuori della Messa prolunga e intensifica quanto si è fatto nella celebrazione liturgica stessa. Infatti soltanto nell’adorazione può maturare un’accoglienza profonda e vera» (SaC 66). È l’adorazione l’espressione suprema della nostra fede nella presenza reale: «Mio Signore e mio Dio!». Adorare vuol dire indugiare con il cuore, con il pensiero, con il tempo, in questo atteggiamento davanti a Gesù: «Signore, tu sei il mio Dio! Tu sei il mio tutto!». E in Lui, abbandonarsi e perdersi. Ecco perché, come afferma Giovanni Paolo II, «il culto reso all’Eucaristia fuori della Messa è di un valore inestimabile nella vita della Chiesa» (EdE 25). Una verità, questa, su cui bisognerebbe seriamente riflettere. Nell’Eucaristia, infatti, Cristo è presente non soltanto in modo spirituale, ma anche in modo corporale, con tutta la sua divinità e con tutta la sua umanità. Anche l’umanità, benché sia presente a modo di sostanza e non corporalmente estesa, è tutta intera nell’Ostia consacrata: corpo e anima e, quest’ultima con le sue facoltà, intelligenza e volontà. Perciò Gesù nell’Eucaristia conosce e ama come Dio e come Uomo; Egli non è un oggetto passivo dell’adorazione dei fedeli, ma è vivente: li vede, li ascolta, risponde alle loro preghiere con le sue grazie, cosicché possono avere con il dolce Maestro di cui parla il Vangelo rapporti vivi, concreti e, per quanto non sensibili, simili a quelli che avevano con Lui i suoi contemporanei. (…) Come un giorno Gesù, nascosto sotto le sembianze di pellegrino, istruiva e infervorava il cuore dei discepoli di Emmaus, così oggi, nascosto sotto i veli eucaristici, illumina i fedeli che ricor- 659 rvs6_14_IIIB.indd 659 18/12/14 14:14 studi 653-677 rono a Lui, li infiamma col suo amore, li inclina efficacemente verso il bene…6. Il Figlio di Dio si fa e rimane presente nell’Eucaristia per essere nostro compagno nel pellegrinaggio terreno, viatico nel nostro cammino. Nel tabernacolo, ricorda Paolo VI, «Cristo è veramente l’Emmanuele, cioè “Dio con noi”. Poiché giorno e notte è in mezzo a noi, abita con noi pieno di grazia e di verità». È dal tabernacolo soprattutto che Gesù continua a rivolgerci quelle consolanti parole: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò». «Anima mia, esclama santa Teresa, troverai sempre nel SS.mo Sacramento, sotto qualsiasi aspetto lo consideri, grandi consolazioni e delizie; e dopo aver cominciato a gustare il Salvatore, non vi saranno prove, persecuzioni e travagli che non sopporterai facilmente»7. Gesù presente nell’Eucaristia è la più grande responsabilità e il più grande tesoro della Chiesa. Ora, dove è il tuo tesoro, ivi è anche il tuo cuore! E non solo il cuore, ma anche il corpo, perché noi abbiamo bisogno dei gesti del corpo per suscitare ed esprimere i sentimenti del cuore. Nel Rito della Comunione fuori della Messa e Culto Eucaristico (nn. 88-89), leggiamo: I fedeli, quando venerano Cristo presente nel Sacramento, ricordino che questa presenza deriva dal Sacrificio e tende alla comunione, sacramentale e spirituale. La pietà, dunque, che spinge i fedeli a prostrarsi in adorazione dinanzi alla santa Eucaristia, li attrae a partecipare più profondamente al mistero 6 Gabriele di S. Maria Maddalena, Intimità divina. Meditazioni sulla vita interiore per tutti i giorni dell’anno, Monastero S. Giuseppe – Carmelitane Scalze, Roma 200920, 805-806. 7 Teresa d’Avila, Cammino di perfezione, 34,2. 660 rvs6_14_IIIB.indd 660 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA pasquale e a rispondere con gratitudine al dono di Colui che con la sua umanità infonde incessantemente la vita divina nelle membra del suo Corpo. Trattenendosi presso Cristo Signore, essi godono della sua intima familiarità e dinanzi a Lui aprono il loro cuore per se stessi e per tutti i loro cari e pregano per la pace e la salvezza del mondo. Offrendo tutta la loro vita con Cristo al Padre nello Spirito Santo, attingono da questo mirabile scambio un aumento di fede, di speranza e di carità. Essi intensificano così le disposizioni necessarie per celebrare con la debita devozione il memoriale del Signore e ricevere frequentemente quel pane che ci è dato dal Padre. Cerchino, dunque, i fedeli, secondo il loro particolare stato di vita, di prestar il debito culto a Cristo Signore nel Sacramento. I pastori li guidino con l’esempio e li stimolino con le loro esortazioni. Ricordino inoltre i fedeli che con questa orazione dinanzi a Cristo Signore presente nel Sacramento, essi prolungano l’intima unione raggiunta con Lui nella comunione e rinnovano quell’alleanza che li spinge a esprimere nella vita ciò che nella celebrazione dell’Eucaristia hanno ricevuto con la fede e il sacramento. La prima condizione per la contemplazione di Gesù sacramentato è la serietà e la venerazione con cui ci si accosta a questo mistero. Dal modo come ci si comporta in Chiesa si ha talvolta l’impressione che questo sublime sacramento sia ridotto a cosa “ordinaria”, e quasi banalizzato. Sembrerebbe impossibile non avere premura, delicatezza, rispetto e commozione, trattandosi della ricchezza più grande della Chiesa, riassunta e offerta nella presenza e nel dono del suo stesso Signore e Dio. L’esperienza dimostra che, purtroppo, è possibile, e allora bisognerebbe chiedersi il perché. «Se quando era nel mondo guariva gli infermi col semplice tocco delle vesti, come dubitare che, stando in noi personalmente, non abbia a far miracoli se abbiamo fede?»8. La ragione, in fondo, è sempre la stessa: debolezza di vera fede. 8 Ibid., 34,8. 661 rvs6_14_IIIB.indd 661 18/12/14 14:14 studi 653-677 Molti credono nell’Eucaristia (…) ma la loro fede è languida. L’abitudine attutisce le impressioni e così avviene che anche le cose più sante lasciano indifferenti chi le considera in modo superficiale. Pur frequentando la Chiesa e abitando forse sotto lo stesso tetto di Gesù sacramentato, non è difficile rimanere un po’ freddi, insensibili. Si crede nella presenza reale di Gesù, ma non si avverte la grandezza di questa ineffabile realtà, manca quella fede viva, concreta che avevano i Santi i quali cadevano in adorazione davanti al Sacramento. A giudicare dal contegno della maggioranza dei cristiani di fronte all’Eucaristia si dovrebbe dire che sono «uomini di poca fede» (Mt 8,26). Forse meritiamo un po’ tutti questo rimprovero di Gesù. Occorre chiedere una fede più viva; occorre ripetere con umiltà e confidenza la bella preghiera degli Apostoli: «Signore, aumentaci la fede» (Lc 17,5)9. Se avessimo fede come un granellino di senapa!... Non si può credere veramente che Gesù, nella Messa, si rende presente nel pane e nel vino, e poi dimenticarselo appena si chiude il tabernacolo! Questa trascuratezza e mancanza di sensibilità per la degnazione infinita di Gesù che viene in casa nostra spiega perché le tante comunioni fatte non producano la trasformazione della vita e continuino a lasciare il cuore freddo come prima. Gesù non costringe nessuno e non può farsi “sentire” se non a chi lo desidera davvero. Egli, come ricorda santa Teresa, fa sentire la sua amicizia a coloro che se ne dimostrano veramente desiderosi: «questi sono i suoi amici, ma chiunque non gli è tale, e non cerca di divenirlo neanche quando lo riceve nella comunione, faccia pure a meno di importunarlo, ché non si manifesterà. Costui pago di aver soddisfatto il precetto della Chiesa, non 9 Gabriele di S. Maria Maddalena, Intimità divina, cit., 808. 662 rvs6_14_IIIB.indd 662 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA vede l’ora di uscire dal tempio e di cacciarsi il Signore dall’anima. Si ingolfa negli affari, nelle occupazioni e nelle brighe del mondo, quasi faccia il possibile per indurre il Signore a sgombrargli presto la casa»10. Questo comportamento acquista una gravità ancora maggiore quando si cerca di giustificarlo con motivi spirituali, primo fra tutti quello dell’apostolato. A riguardo così si esprimeva il Cardinal Ballestrero: «Questa è diventata una vera mania, che si scambia per zelo, per interesse del regno di Dio, per preoccupazione delle sorti della santa Chiesa: le si danno tutti i nomi più santi. Leviamoci queste illusioni, leviamocele. Il Signore ci domanda di vivere il momento presente in intimità con Lui. Punto e basta»11. Ma noi gli rispondiamo che… abbiamo altro da fare! «Sostava a lungo in preghiera»: questo sostare a lungo di Gesù deve metterci in guardia dalla facile superficialità che a volte ci autorizza a fare, anche delle cose più sante, oggetto di uso e consumo; non possiamo dare a Dio ritagli di tempo, a Lui si devono le primizie della nostra preghiera non solo nell’ordine della qualità, ma anche del tempo stesso. “Oggi ho tanto da fare. Bisogna che preghi di più!”. Così la pensava Teresa di Calcutta, e si comportava di conseguenza. Gesù ha rivelato a santa Margherita M. Alacoque il suo dolore per l’ingratitudine con cui Egli è ricambiato nel sacramento dell’Eucaristia: «Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini, che non ha nulla risparmiato fino ad esaurirsi e consumarsi per testimoniare ad essi il suo amore, e per ricompensa Teresa d’Avila, Cammino di perfezione, 34,13. A. Ballestrero, L’eterno progetto. Figli nel Figlio, Edizioni OCD, Roma 2005, 203. 10 11 663 rvs6_14_IIIB.indd 663 18/12/14 14:14 studi 653-677 non riceve dalla maggior parte di essi che ingratitudine, per le irriverenze e i sacrilegi, le freddezze e le dimenticanze che essi hanno per me in questo Sacramento di amore. Ma ciò che mi rattrista di più è che vi sono anche dei cuori consacrati che agiscono in questo modo». Padre Cantalamessa racconta così una sua esperienza: Avevo dato da leggere un mio libretto sull’Eucaristia a una donna con un lungo passato nel campo della scienza e della politica, vedendola interessata al problema religioso. Dopo una settimana, mi restituisce il libro dicendomi: «Lei non mi ha messo in mano un libro, ma una bomba... Ma si rende conto dell’enormità delle cose che ha scritto? Secondo lei basterebbe aprire gli occhi per scoprire che c’è tutto un altro mondo intorno a noi; che il sangue di un uomo morto duemila anni fa ci salva tutti. Lo sa che nel leggerlo – cosa mai successa – mi tremavano le gambe e che dovevo ogni tanto smettere e alzarmi? Se questo è vero, cambia tutto...». Ma più che le parole era il suo sguardo e il tono della voce a comunicarmi un senso di stupore quasi soprannaturale. Nell’ascoltarla, insieme con la gioia di vedere che il seme non era caduto sulla strada, provavo un grande senso di umiliazione e di vergogna. Io avevo ricevuto la comunione poco prima, ma non mi tremavano le gambe. Capivo quanto siamo esposti, noi cristiani, al rischio di prendere alla leggera le cose enormi in cui crediamo, di darle per scontate e quindi di banalizzarle. Ecco, mi dicevo, cosa dovrebbe provare uno che prendesse l’Eucaristia sul serio. Mi tornava in mente quello che un ateo disse un giorno a un amico credente: «Se io potessi credere che in quell’ostia c’è veramente il Figlio di Dio, come dite voi, credo che cadrei in ginocchio e non mi alzerei più»12. R. Cantalamessa, Gettate le reti. Riflessioni sui Vangeli, Anno B, Piemme, Casale Monferrato 2001, 161-162. 12 664 rvs6_14_IIIB.indd 664 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA Fa’, o Signore – prega san Giovanni Crisostomo –, che mi renda conto di quale onore sono stato onorato, a quale mensa prendo parte… O Signore, che io non resti indifferente e pigro, avendo ricevuto così grande onore e amore! Con quanto desiderio i piccoli si attaccano al petto della madre, e con quale slancio accostano le loro labbra al suo seno! Fa’ che anche noi ci avviciniamo a questa mensa e a questo calice spirituale con lo stesso ardore; anzi, con desiderio e ardore ancora più grande13. Noi che abbiamo tanta “familiarità” col Signore siamo più esposti al rischio della superficialità. Anche l’ateo sa che, se Dio c’è, merita rispetto, adorazione, lode. Ciò che scandalizza i non credenti o i semplici cristiani è il modo come tanti sacerdoti e frequentatori di chiese (o sacrestie) trattano il tesoro più grande, dando l’impressione che per loro non lo è affatto. Spesso tutto si riduce ad assicurarsi che il tabernacolo sia ben chiuso, che la lampada sia accesa, e magari che ci siano dei fiori. Per il resto “arrivederci” alla prossima Messa. Il tradizionale tempo di “ringraziamento” è sparito, così la “visita” durante la giornata, perché… c’è da fare. «Guardiamo che il non potere non sia il non volere, ammonisce san Pio da Pietrelcina, il ringraziamento lo devi fare sempre». «I minuti che seguono la Comunione sono i più preziosi che noi abbiamo nella vita; i più adatti da parte nostra per trattare con Dio, e da parte di Dio per comunicarci il suo amore» (M. Maddalena de’ Pazzi). Eppure pare che neppure ci si pensi. È triste constatare che la riforma liturgica per molti sia servita solo ad accorciare il tempo della preghiera, per utilizzarlo in altro modo, considerato più… utile! Solo Gesù pare che non abbia niente da fare; ma Egli resta nel tabernacolo perché non ha niente da fare oppure per qualcosa? E che cosa? La ovvia risposta è che nella sua presenza 13 Commento al Vangelo di Matteo, 82,5. 665 rvs6_14_IIIB.indd 665 18/12/14 14:14 studi 653-677 eucaristica Gesù rimane misteriosamente in mezzo a noi come Colui che ci ha amati e ha dato se stesso per noi, e vi rimane sotto i segni che esprimono e comunicano il suo amore, proprio perché ci lasciamo da esso prendere e permeare, e perché a nostra volta lo esprimiamo e ricambiamo. «Non è per restare nel ciborio d’oro che Egli discende ogni giorno dal cielo; ma è per trovare un altro cielo che gli è infinitamente più caro del primo: il cielo dell’anima nostra, fatta a immagine sua, il tempio vivo dell’adorabile Trinità» (Teresa di Gesù Bambino). «Gesù ci aspetta in questo Sacramento dell’amore, dice Giovanni Paolo II, non risparmiamo il nostro tempo per andare a incontrarlo nell’adorazione, nella contemplazione piena di fede e pronta a riparare le grandi colpe e i delitti del mondo. Non cessi mai la nostra adorazione»14. Il culto eucaristico è una ricchezza della Chiesa. Bisogna coltivarlo per non ridurre l’Eucaristia al solo aspetto conviviale e orizzontale. Gesù è rimasto per stare con noi. Abbiamo tutti bisogno, nel disordine e dispersione attuale, di imparare di nuovo a stare, come Maria di Betania, ai piedi del maestro (cf Lc 10,39). Di guardarlo, di ascoltarlo, di contemplarlo. Contemplare vuol dire stabilire un contatto di cuore a cuore con Gesù presente nell’Ostia e con Lui incontrare il Padre nell’Amore. Scrive Giovanni Paolo II: È bello intrattenersi con Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo prediletto (Gv 13,25), essere toccati dall’amore infinito del suo cuore. Se il cristianesimo deve distinguersi nel nostro tempo soprattutto nell’arte della preghiera (NMI 32), come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa davanti a Cristo presente nel 14 Dominicae Coenae 3, in CCC 1380. 666 rvs6_14_IIIB.indd 666 18/12/14 14:14 Carlo Carretto confessa che per lui è stata una grande grazia l’aver finalmente capito Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA SS.mo Sacramento? Quante volte, miei cari fratelli e sorelle, ho fatto questa esperienza, e ne ho tratto forza, consolazione e sostegno (EdE 25). che quel segno del pane nascondeva e indicava Lui presente non solo durante il divino sacrificio ma sempre, perché l’Eucaristia non era un punto della mia giornata ma una linea che durava ventiquattro ore: era Dio con noi, era la realizzazione di ciò che aveva preconizzato la nube sul popolo di Dio in marcia nel deserto e la tenebra che riempiva il tabernacolo del tempio di Gerusalemme. Debbo dire che la presa di coscienza vitale che il segno del pane mi nascondeva e mi indicava la presenza perenne di Gesù vicino a me fu una grazia unica nella mia vita. Da allora Gesù mi condusse sulla strada della sua intimità e della sua amicizia. Capii perché aveva voluto essere presente così accanto a ciascuno di noi. Gesù non era solo pane, era anche amicizia. Una casa senza pane non è casa, ma una casa senza amicizia non è nulla. È per questo che Gesù diventò amicizia nascosto sotto il segno del pane. Imparai a restare con Lui ore e ore per ascoltare le misteriose voci che vengono dagli abissi dell’Essere e accettare i raggi di una luce che giunge dalla luce increata di Dio. Oh quanta dolcezza ho sentito nella presenza di Gesù Eucaristia! Oh come ho compreso il perché dei Santi di restare in contemplazione davanti a questo pane per implorare, adorare, amare! E come vorrei che ognuno se la portasse a casa l’Eucaristia e che fattosi un piccolo oratorio in luogo appartato trovasse la gioia di raccogliersi15. 15 C. Carretto, Al di là delle cose, Cittadella, Assisi. 667 rvs6_14_IIIB.indd 667 18/12/14 14:14 studi 653-677 Però, solo la fede può raggiungere la sublime realtà dell’Eucaristia, una fede superiore a quella di Pietro il quale almeno vedeva l’umanità, mentre nell’Eucaristia anche questa è nascosta. «In cruce latebat sola deitas, at hic latet simul et humanitas». Allora bisogna rinnovare e approfondire la fede. Questa è la prima cosa da fare. Una fede adorante che comporta la sottomissione dell’intelletto, del cuore, della vita, dell’esistenza. Un’adorazione nella quale ci lasciamo guardare da Lui e conquistare dal suo amore. Un’adorazione nella quale ci chiniamo sul suo petto e gli diciamo tutta la nostra gratitudine e la nostra dedizione. Una fede che non è mai perfetta; per questo la prima cosa che dovremmo fare entrando in Chiesa è guardare il tabernacolo e dire: «Signore, io credo che sei qui, presente, ma tu aumenta la mia fede!». Stare in adorazione davanti a Gesù sacramentato, in un atto di amore in cui uno riassume tutto il proprio essere e lo mette nelle mani del Signore, significa far tacere ogni preoccupazione, ansia, ricerca personale per lasciare che lo sguardo di Gesù penetri nel proprio cuore, vi faccia abitare il suo amore e vi imprima i suoi sentimenti di misericordia, di perdono, di umiltà, di pazienza; la sua passione per l’uomo da redimere e salvare. Ma bisogna iniziare sempre con il «credo, Signore!», rinnovando e impegnando tutta la fede di cui ciascuno è capace. Trovandosi davanti allo stesso Signore che ha vissuto con gli uomini, si è intrattenuto con loro, ha sofferto, è morto ed è risuscitato chiunque può ripensare al suo sguardo, al timbro della sua voce, all’amabile maestà dei suoi gesti, ai sublimi momenti d’intimità vissuti con sua Madre, i discepoli, gli amici... E possiamo anche spiarlo mentre di notte si sprofonda nell’adorazione del Padre, nel più assorto e solenne silenzio della natura. Penso che Egli si 668 rvs6_14_IIIB.indd 668 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA compiaccia di sentirsi rievocare – da chi lo ama – i suoi discorsi, i prodigi, le controversie coi farisei, le ore di angoscia, la suprema desolazione della croce, come la sua vittoria sul peccato e la morte... Comunicare con Lui significa pure narrargli con libertà le nostre disavventure, i problemi, gli errori, le paure, le speranze..., come avremmo fatto se avessimo avuto il privilegio d’incontrarlo su questa terra, accoglierlo in casa. Forse però, con la nostra fede di oggi, saremmo rimasti muti, col cuore gonfio di emozione, assorti nel contemplarne il volto, fissarne lo sguardo, per poi scoppiare a piangere e protestargli la nostra immensa tenerezza di povere creature, bisognose soltanto della sua infinita misericordia. Ma, con più ragione, dimenticando noi stessi con quanto ci riguarda e tutto il creato, stupiti di possedere l’Immenso e l’Eterno, astraendo da tutte le ombre e le immagini, preferiamo perderci nel «seno del Padre», contemplare il mistero della sua vita, sprofondarci nell’abisso delle ragioni per le quali crea il mondo e ne dirige la storia. Nell’ineffabile intimità con Lui, nel Verbo fatto carne e pane, preferiamo adorare, tacere, godere16. Dalla consapevolezza della presenza del Signore può nascere anche il timore, ma, più spesso, la riverenza, l’amore, la tenerezza. «Ecco, qui vi è uno più grande di Salomone» (Lc 11,31). In questi momenti, ora e qui, sento che queste parole sono perfettamente vere anche per me. Un primo aiuto a comprendere e contemplare l’Eucaristia lo troviamo nella stessa liturgia della Parola che abbiamo nella Messa. Essa richiama sempre alla mente un aspetto della storia della salvezza e un tratto della vita di Gesù. Fu proprio la spiegazione della Scrittura che preparò i discepoli di Emmaus a riconoscere il Signore nello spezzare il pane. Più spesso l’adorazione si ridurrà semplicemente a fare compagnia a Gesù, a guardare 16 E. Zoffoli, Eucaristia o nulla, Edizioni Segno, Udine 1994, 61-63. 669 rvs6_14_IIIB.indd 669 18/12/14 14:14 studi 653-677 «a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). Tenendo ben presente che la contemplazione cristiana non è a senso unico (come l’introspezione buddista!): sono sempre due sguardi che si incontrano. “Io lo guardo, Lui mi guarda”. Dunque sentirsi guardati, incrociare lo sguardo (triste, benevolo, severo…) del Signore. Nemmeno l’aridità deve impedire la contemplazione; basta dargli un senso offrendola al Signore, insieme al tempo che gli dedichiamo. Ben sapendo che, anche se noi non riusciamo a tenere lo sguardo fisso su di Lui, abbiamo sempre la certezza che Lui sta guardando noi e che è contento che noi siamo andati lì per farci da Lui guardare. Il nostro star lì, davanti al Santissimo, nella fede, è dimostrazione che il nostro desiderio di rispondere al suo amore è sincero. La fede stessa allora viene purificata e cresce insieme alla speranza e alla carità. Il cristiano si irrobustisce dinanzi a quell’Ostia, diventa paradossalmente più uomo, perché in lui aumenta la capacità di amare in modo disinteressato, cioè di amare davvero. Del resto possiamo sempre pregare con il corpo (appunto, stando lì, composti e raccolti), e la prolungata invocazione del nome di Gesù. L’“esperienza” della sua presenza non ce la possiamo dare, essa si ha solo quando Lui decide, attraverso parole o eventi, di farsi “riconoscere”. Maria Maddalena lo riconosce quando Gesù la chiama per nome. Giovanni lo riconosce sulla riva quando una scintilla gli si accende nel cuore. I discepoli di Emmaus nello “spezzare il pane”. Ma Gesù stava con loro anche prima! Dunque: io lo so che sta con me, anche se non lo sento. La contemplazione ci unisce in un unico coro con la Chiesa di lassù che lo vede già senza veli, ci prepara alla vita del cielo e ce la fa anticipare: «Noi tutti a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18). Così, pur essendo noi 670 rvs6_14_IIIB.indd 670 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA ancora stranieri e pellegrini in questo mondo (cf 1Pt 2,11), nella contemplazione oscura della fede già partecipiamo alla pienezza della vita risorta. «Questa è la vita eterna, dice Gesù: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17,3). Qui, evidentemente, non si tratta della conoscenza di Dio che la ragione raggiunge attraverso la creazione. Non c’era bisogno che venisse Gesù per darci questa scienza. Si tratta di una conoscenza diversa, immensamente superiore, che deriva dal contatto con Dio stesso, contatto che noi abbiamo con e in Cristo Gesù. Gesù ci si offre nel sacramento, ma noi lo facciamo nostro nella contemplazione, per essa noi sentiamo nostro Gesù che ci si dà, lo accogliamo, lo facciamo penetrare nei nostri pensieri, sentimenti, affetti: lo conosciamo! Non sapremo mai dire a parole cosa significhi questo “conoscere Gesù”. Riusciamo, però, a intuire che questa conoscenza è già anticipazione in terra della vita eterna. E capiremo perché la conoscenza di Gesù, che è insieme amore e sequela, costituisca l’aspirazione e la regola suprema della vita di ogni autentico cristiano. L’Apostolo Paolo ne è la dimostrazione (Fil 3,8ss.). «Nel regno eucaristico comprende chi crede e chi ama. L’amore diventa coefficiente di intelligenza, perché è finalmente possesso. Nella conquista delle cose divine più serve l’amore, che ogni altra nostra spirituale facoltà»17. All’alba di questo terzo millennio, scrive Giovanni Paolo II, noi tutti figli della Chiesa siamo sollecitati a camminare con rinnovato slancio nella vita cristiana. Come ho scritto nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, «non si tratta di inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già, quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva tradizione. Esso si incentra, 17 Paolo VI, giugno 1966. 671 rvs6_14_IIIB.indd 671 18/12/14 14:14 studi 653-677 in ultima analisi, in Cristo stesso da conoscere, amare, imitare, per vivere con Lui la vita trinitaria, e trasformare con Lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste» (n. 29). L’attuazione di questo programma di un rinnovato slancio nella vita cristiana passa attraverso l’Eucaristia (EdE 60). Tenere, dunque, “lo sguardo fisso” sul volto di Cristo eucaristico. Già Paolo VI nell’enciclica Mysterium Fidei scriveva: «Durante il giorno i fedeli non omettano di fare la visita al SS.mo Sacramento, che dev’essere custodito in luogo distintissimo, col massimo onore nelle chiese, secondo le leggi liturgiche, perché la visita è prova di gratitudine, segno d’amore e debito di riconoscenza a Cristo Signore là presente». «Nell’umile segno del pane e del vino, transustanziati nel suo corpo e nel suo sangue, Cristo cammina con noi, quale nostra forza e nostro viatico, e ci rende per tutti testimoni di speranza» (EdE 62). Questi sono i motivi per cui Gesù resta in mezzo a noi, anche con presenza sacramentale nel tabernacolo. Per coltivare e approfondire la nostra familiarità con Lui dobbiamo fare del pensiero di Gesù la nostra gioia e la nostra forza. Si tratta di un ricordo affettuoso che prende il cuore, non solo la mente. Ma questo coinvolgimento si realizza se si comincia a prendere piena coscienza della sua presenza, e ciò si verifica stando di fronte a Lui, guardandolo, contemplandolo, eliminando fretta, superficialità, intermittenza. Ci vuole silenzio, assiduità, perseveranza, perché la mente e il cuore si riempiano di pensieri e di affetti per il Signore. Il legno non si infiamma per contatto momentaneo con il fuoco. Solo con la convivenza si impara a pensare, ad amare, a entrare in sintonia, a “conoscere” e, poi, a comportarsi come Gesù. Non c’è pericolo che in questa solitaria adorazione ci si chiuda in un intimismo che isolerebbe dai fratelli. Al contrario. 672 rvs6_14_IIIB.indd 672 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA Stando in intimità con Lui la sua passione per l’uomo da salvare diventa mia. E in Lui, che riversa su di me il suo amore redentivo che tutti abbraccia, posso raggiungere tutte le tragedie che affliggono l’umanità e intercedere per tutti i fratelli. «In questo atto personale di incontro con il Signore matura, poi, anche la missione sociale che nell’Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere non solo tra il Signore e noi, ma anche e soprattutto le barriere che ci separano gli uni dagli altri» (SaC 66). Stando davanti al tabernacolo viene stimolata la nostra fede e la nostra adesione alla parola di Gesù che dice: «Questo è il mio corpo» e lo dimostriamo adorandolo; ma sentiamo anche l’altra parola: «l’avete fatto a me», e cresce in noi il desiderio di riconoscerlo servendolo nei fratelli. Non si può stare con Gesù senza imparare a servire, e come Lui: nell’umiltà, nella gratuità, nella dedizione piena. E, d’altra parte, non si può imparare a servire in questo modo senza stare con Gesù, e cercare tutte le occasioni che favoriscano l’incontro. In questo incontro, dunque, crescerà anche lo spirito missionario, perché non si può vivere l’amicizia con Gesù senza desiderare di portargli altri amici. Soprattutto se si pensa che due terzi dell’umanità per la quale è morto, ancora non lo conoscono. Gli Apostoli adunano i fedeli intorno alla “fractio panis”; l’Eucaristia, «fonte e apice di tutta la vita cristiana» (LG 11), è anche «fonte e culmine di ogni evangelizzazione» (PO 5). Nella Evangelii Gaudium, parlando dell’impulso missionario, Papa Francesco ricorda che occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne (n. 262). 673 rvs6_14_IIIB.indd 673 18/12/14 14:14 studi 653-677 La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto (…). Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. (…) Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli (…). Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi (n. 264). In occasione dell’inaugurazione della Cappella dell’Adorazione Eucaristica perpetua nella basilica di San Pietro (2 dicembre 1981) Giovanni Paolo II ebbe a dire: «Il migliore, più sicuro ed efficace modo di stabilire pace duratura sulla faccia della terra è attraverso la grande potenza dell’adorazione perpetua del SS.mo Sacramento». La pace, infatti, è soprattutto effetto interiore dell’amore. Stando lì con fede, speranza e carità, noi esprimiamo di fatto il nostro amore per Dio che si è incarnato, ed Egli, a sua volta, può riversare liberamente, senza ostacoli, la sua pace nei nostri cuori e, attraverso di noi, nel mondo intero. Noi stessi diventiamo canale dell’amore pacificante di Cristo. Il sogno di un’umanità nuova e pacificata, l’utopia della civiltà dell’amore trova proprio lì, ai piedi di quel pezzo di Pane che chiamiamo “Santissimo Sacramento”, una concreta realizzazione. Lì, con Maria, tanti poveri credenti, consapevoli della propria impotenza e assoluta indigenza, sgomberi da tanti fariseismi, attingono umilmente la pace vera al cuore trafitto di Gesù. È la pace del cuore e nel cuore che produce, poi, la pace con gli uomini e tra gli uomini. Per stimolare i fedeli a coltivare l’amore verso Gesù Eucaristia e dedicare un po’ di tempo all’adorazione silenziosa davanti al tabernacolo, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI rimandano anche all’esempio dei Santi. Scrive Giovanni Paolo: 674 rvs6_14_IIIB.indd 674 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA Di questa pratica ripetutamente lodata e raccomandata dal Magistero, numerosi Santi ci danno l’esempio. In modo particolare, si distinse in ciò sant’Alfonso Maria de’ Liguori che scriveva: «Fra tutte le devozioni, questa di adorare Gesù sacramentato è la prima dopo i Sacramenti, la più cara a Dio e la più utile a noi». L’Eucaristia è un tesoro inestimabile: non solo il celebrarla, ma anche il sostare davanti ad essa fuori della Messa consente di attingere alla sorgente stessa della grazia. Una comunità cristiana che voglia essere più capace di contemplare il volto di Cristo, nello spirito che ho suggerito nelle lettere apostoliche Novo Millennio Ineunte e Rosarium Virginis Mariae, non può non sviluppare anche questo aspetto del culto eucaristico, nel quale si prolungano e si moltiplicano i frutti della comunione al corpo e al sangue del Signore (EdE 25). Benedetto XVI a sua volta scrive: Mettiamoci, miei cari fratelli e sorelle, alla scuola dei Santi, grandi interpreti della vera pietà eucaristica. In loro la teologia dell’Eucaristia acquista tutto lo splendore del vissuto, ci «contagia» e, per così dire, ci «riscalda». Mettiamoci soprattutto in ascolto di Maria Santissima, nella quale il mistero eucaristico appare, più che in ogni altro, come mistero di luce. Guardando a lei conosciamo la forza trasformante che l’Eucaristia possiede. In lei vediamo il mondo rinnovato nell’amore. Contemplandola assunta in cielo in anima e corpo, vediamo uno squarcio dei «cieli nuovi» e della «terra nuova» che si apriranno ai nostri occhi con la seconda venuta di Cristo. Di essi l’Eucaristia costituisce qui in terra il pegno e, in qualche modo, l’anticipazione: «Veni, Domine Iesu!» (Ap 22,20). Nell’umile segno del pane e del vino, transustanziati nel suo corpo e nel suo sangue, Cristo cammina con noi, quale nostra forza e nostro viatico, e ci rende per tutti testimoni di speranza. Se di fronte a questo mistero la ragione sperimenta i suoi limiti, il cuore illuminato dalla grazia dello Spirito Santo intuisce bene come atteggiarsi, inabissandosi nell’adorazione e in un amore senza limiti. Facciamo nostri i 675 rvs6_14_IIIB.indd 675 18/12/14 14:14 studi 653-677 sentimenti di san Tommaso d’Aquino, sommo teologo e insieme appassionato cantore di Cristo eucaristico, e lasciamo che anche il nostro animo si apra nella speranza alla contemplazione della meta, verso la quale il cuore aspira, assetato com’è di gioia e di pace: Bone pastor, panis vere,/ Iesu, nostri miserere…/ Buon pastore, vero pane,/ o Gesù, pietà di noi:/ nutrici e difendici,/ portaci ai beni eterni/ nella terra dei viventi./ Tu che tutto sai e puoi, / che ci nutri sulla terra,/ conduci i tuoi fratelli/ alla tavola del cielo/ nella gioia dei tuoi Santi (EdE 62). Dunque: «È per noi un dovere dolcissimo onorare e adorare nell’Ostia santa che vedono i nostri occhi, il Verbo Incarnato, che essi non possono vedere e che, senza lasciare il Cielo, si è reso presente dinnanzi a noi» (Paolo VI, Professione di fede). Per questo, confessa san Luigi Grignion di Monfort: «Non darei quest’ora di ringraziamento (dopo la comunione) neppure per un’ora di Paradiso», e Charles de Foucauld: «Che gioia poter restare solo e pregare per otto ore di seguito! Oh Gesù, che felicità contemplarti nella tua Ostia, impetrarti, amarti». Erano santi? Sì! Ma soprattutto credenti. Concludiamo con la testimonianza di Papa Benedetto che nella omelia tenuta a Lourdes durante la processione per il 150° anniversario delle apparizioni (12-15 settembre 2008) ebbe a dire: Signore Gesù, tu sei qui!... E voi, miei fratelli, mie sorelle, miei amici, voi accettate di lasciarvi afferrare da Lui. Noi lo contempliamo. Noi lo adoriamo. Noi lo amiamo. E cerchiamo di amarlo di più. Noi contempliamo Colui che durante la cena pasquale, ha donato il suo corpo e il suo sangue ai discepoli, per essere con loro «tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,30). Noi adoriamo Colui che è all’inizio e alla fine della nostra fede, Colui senza il quale noi non saremmo qui stasera. Colui senza 676 rvs6_14_IIIB.indd 676 18/12/14 14:14 Arnaldo Pigna IL CULTO DELL’EUCARISTIA il quale noi non ci saremmo per nulla! Colui senza il quale non vi sarebbe nulla, nulla, assolutamente nulla! Lui, per mezzo del quale «tutto è stato fatto» (Gv 1,3), Lui nel quale noi siamo stati creati, per l’eternità, Lui che ci ha donato il suo corpo e il suo sangue; Lui è qui, questa sera, davanti a noi, offerto ai nostri sguardi. Noi amiamo – e cerchiamo di amare di più – Colui che è qui davanti a noi, offerto ai nostri sguardi, alle nostre domande forse, al nostro amore… Queste parole, naturalmente, si possono, e si devono, ugualmente ripetere davanti a ogni tabernacolo. 677 rvs6_14_IIIB.indd 677 18/12/14 14:14