SENSO GUANELLIANO DELLA REGOLA.
Un confronto storico.
A partire dal Concilio Vaticano II tutte le Congregazioni hanno rinnovato le loro
Costituzioni o Regola di vita, accogliendo gli indirizzi che man mano venivano
forniti dalla Santa Sede.
Fondamentalmente la novità delle nuove Costituzioni doveva consistere in questi
aspetti:
- La Regola deve raccogliere gli elementi essenziali dello spirito e del carisma
del Fondatore e quindi della Congregazione.
Ed è il Capitolo generale che vede assicurare ciò. La Chiesa poi confermerà
con la sua approvazione.
- La Regola deve esprimere l’identità spirituale della Congregazione, definendo
il proprio modo specifico di seguire Gesù Cristo osservando i Consigli
evangelici e di compiere il proprio apostolato.
- La Regola inoltre deve raccogliere i principi organizzativi della vita comune,
del governo, dell’amministrazione dei beni ecc.
Anche questi principi e queste norme, hanno la loro sorgente nello spirito e
carisma donato dallo Spirito al Fondatore e trasmesso alla Congregazione.
Essendo però applicazioni concrete, queste norme organizzative sono soggette
ai cambiamenti storici, alle diverse situazioni geografiche o sociali in cui i/le
Religiosi/e vivono e possono più facilmente richiedere nel tempo dei necessari
adattamenti o modifiche. (Mi sembra questo la situazione vostra e lo scopo
principale di questo vostro Capitolo).
Ai tempi di don Guanella invece le Costituzioni avevano un essenziale carattere
giuridico per cui egli pensò di ‘sfogare’ il suo pensiero sulla vita religiosa guanelliana
nei Regolamenti e particolarmente nei due Regolamenti che sono fondamentali per la
vita religiosa guanelliana: quello del 1910 per i Servi della Carità e quello del 1911
per le Figlie di S. Maria della Provvidenza, che possono benissimo considerarsi
complementari per capire lo spirito del Fondatore.
Siamo a cento anni ormai dalla pubblicazione di questi Documenti che sono veri
‘monumenti’ di sublime spiritualità, per la profonda esperienza che il Fondatore ha
saputo infondere in essi. Ancor oggi li dobbiamo considerare testi fondamentali in cui
confrontarci per essere fedeli alla nostra vocazione.
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E’ vero che nei Documenti della Chiesa, a partire dal Concilio Vaticano II abbiamo
avuto l’occasione di approfondire molti aspetti, anche innovativi, sulla vita religiosa,
ripresi nelle nuove Costituzioni, e che hanno arricchito le nostre motivazioni per un
rinnovato slancio di bene e di santità … ma è pur sempre necessario far riferimento a
quanto di specifico il Fondatore ci ha consegnato, sia a riguardo dello spirito con cui
vivere i tre voti religiosi, sia lo stile proprio della nostra spiritualità e della nostra
missione nella Chiesa.
Proviamo allora a ripercorrere alcuni passi che ha dovuto compiere il Fondatore per
ottenere l’approvazione delle sue due Congregazioni.
Per oltre un decennio a partire dall’apertura della Casa di Como, Don Guanella, pur
fiducioso nella Provvidenza che lo guida e lo sostiene, sentiva urgente la necessità di
dare alle sue due congregazioni una definitiva collocazione nella Chiesa attraverso
l’approvazione pontificia.
Lo esigevano motivi di ordine pratico: le congregazioni guanelliane ormai operavano
in diverse diocesi d’Italia e della Svizzera, ed era difficile raccordare i pareri e gli
indirizzi dei vari vescovi, ma soprattutto lo richiedeva il bisogno di essere garantiti
dalla Chiesa stessa sulla genuinità del carisma e sulla fedeltà alla propria vocazione.
Nel 1907 don Guanella, per la quarta volta, aveva inoltrato alla S. Sede domanda di
riconoscimento delle sue due Congregazioni e aveva presentato i testi delle
Costituzioni redatte con il consiglio e sotto la guida del redentorista padre Claudio
Benedetti.
La Congregazione delle Figlie di S. Maria della Provvidenza ricevette dalla S. Sede il
riconoscimento ufficiale il 27 settembre 1908 e contemporaneamente le Costituzioni
furono approvate ad septennium; quella dei Servi della Carità dovette attendere altri
quattro anni.
Le Costituzioni però, come abbiamo detto sopra, contenevano solo gli elementi
giuridici necessari per l’approvazione, secondo la prassi di allora. A don Guanella
premeva più di tutto consolidare lo spirito delle sue Suore e dei suoi confratelli, pur
tra l’intenso lavoro che richiedevano l’apertura e lo sviluppo di numerose opere. Ne
fa fede la piena maturità spirituale che infonde specialmente nei due Regolamenti
citati sopra, nel volume ‘Vieni meco per le Suore missionarie’e nella ristampa del ‘ Il
Fondamento’.
***
I Regolamenti (del 1910 per i SdC e del 1911 per le FSMP) si collocano dunque al
centro di questo itinerario spirituale dal quale emerge sempre più chiaro in don
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Guanella l’uomo di Dio, la persona cioè che dona tutto se stesso alla costruzione del
Regno della Carità e insieme vive nell’intimità con il Signore, la persona che non si
lascia fermare dalle prove e dalle difficoltà, ma in tutto si affida con animo filiale alla
guida della Provvidenza, la persona che accoglie nella propria vita nella sua interezza
il progetto di Dio e che lo vuole trasmettere integro a coloro che Dio associa e
assocerà alla sua missione.
La volontà di aggiungere agli scritti di carattere normativo (voluti da Roma) questi
Regolamenti di carattere spirituale (i Regolamenti) lascia trasparire la convinzione di
don Guanella che i testi giuridici non possono esprimere adeguatamente il dono di
Dio e non sono sufficienti a dare alle Congregazioni una chiara fisionomia e a
imprimere nelle consorelle e confratelli quello slancio decisivo alla santità e ad un
apostolato fecondo.
La legislazione ecclesiastica di inizio del Novecento aveva segnato un progresso
rispetto ai secoli precedenti, poiché aveva con chiarezza accolto tra i religiosi gli
istituti di cosiddetta vita attiva, moltiplicatisi durante il XIX secolo. Tuttavia, per un
eccesso di giuridismo imponeva alle nuove Congregazioni un’uniformità che
rischiava di sminuire l’identità carismatica di ogni congregazione.
Don Guanella, da una parte, era convinto che era compito della Chiesa «discernere » i
carismi, cioè verificarne l’autenticità, valutarne la rispondenza alle necessità del
momento storico. Ma dentro di sé sentiva anche la necessità che la Chiesa, dopo aver
fatto il dovuto discernimento, doveva rispettare l’ispirazione che sentiva venire da
Dio.
E così don Guanella, in quegli anni, attraverso i numerosi Statuti e Costituzioni fa
tutto il possibile per sottoporre al giudizio della Chiesa il dono a lui fatto da Dio, la
volontà di assicurare alla Chiesa la fedeltà sua e dei suoi figli spirituali. Ma sente la
necessità di andare oltre le Costituzioni e gli Statuti per trasmettere ai suoi, come loro
caratteristica essenziale ed eredità inalienabile, il suo genuino spirito e la missione
assegnata da Dio alle sue famiglie religiose.
I Regolamenti pertanto non sono delle semplici spiegazioni o ampliamenti delle
Costituzioni, ma espongono l’esperienza carismatica che è all’origine delle nostre
Congregazioni. Nella prefazione del Regolamento del 1911 egli ripete alle Suore:
“… non è fuori luogo che alle Costituzioni si faccia seguire un Regolamento…
Seguite passo a passo le istruzioni che in questo libretto vi si mettono innanzi. Si
viaggia bene e sicuri quando si ha innanzi lume che ci fa vedere e al fianco la parola
fedele di chi ci guida”.
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Attraverso il Regolamento don Guanella intende vivificare la legge ecclesiale,
illuminarla con il dono avuto da Dio: questo dono (cioè il carisma) precede e supera
la legge della Chiesa, anche quando l’elemento giuridico sembra prevalere.
Il lume che ci fa vedere è i progetto di santità e di carità della famiglia guanelliana; la
parola fedele che ci guida è quella del Fondatore, nostro maestro e padre, che al
nostro fianco continua la sua missione nella Chiesa.
Si ha l’impressione che don Guanella non si sentisse troppo a suo agio di fronte al
modo con cui le norme allora vigenti impostavano la vita religiosa. Comunque
certamente riconosceva che il diritto non poteva esprimere pienamente il carisma e la
spiritualità che lo animava.
In questa prospettiva s’intende quanto don Guanella dice al presentare il suo
Regolamento: “prima di leggere, anche una sola pagina di questo libro, preghiamo il
Signore con elevare semplicemente a Lui la mente e il cuore”.
Questo significato del Regolamento del 1911 è confermato da altri scritti del
Fondatore, da lui ritenuti il riflesso autentico della sua spiritualità e del suo cuore:
sono le ‘Massime di spirito e metodo d’azione’ e ‘Il Fondamento’, fatto ristampare
da lui prima della sua morte e consegnato ‘quasi desiderio e voto di ultima volontà ai
nostri due Istituti’.
Al riguardo Don Piero Pellegrini giustamente fa notare:
« [...] nel 1910 e 1911, con i due ultimi Regolamenti per le congregazioni, molto
simili nella impostazione e nel contenuto, don Guanella ritorna verso le posizioni dei
primi tempi; è un ritorno alla guida e alla formazione interiore, anche se l’esteriore
non è trascurato. Ne viene quasi una sintesi dei due aspetti, una personalità completa
di anima e di corpo. Non è quindi un puro ritorno al punto iniziale, ma un ripassarvi
sopra, a un livello più alto, più maturo e concreto, reso anche più equilibrato dalla
lunga esperienza umana, accumulata in quegli anni ».
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Dopo questa chiarificazione storica è doveroso che io faccia una precisazione.
Quanto esporrò adesso sul ‘Senso guanelliano della Regola’ l’ho ricavato dal
Regolamento del 1910 per i Servi della Carità, di cui quest’anno celebriamo il
centenario dalla sua pubblicazione. Ma credo che queste mie riflessioni valgono
certamente anche per le Figlie di S. Maria della Provvidenza, perché il vostro
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Regolamento del 1911 riporta lo stesso spirito. E logicamente il riferimento al
pensiero del Fondatore dovrebbe motivarci ad accogliere anche le nostre nuove
Costituzioni.
L’importanza di questo Regolamento nella nostra storia.
Il Regolamento del 1910 ha avuto grande importanza per la formazione dei Servi
della Carità e penso sia stato altrettanto per voi a riguardo del Regolamento del 1911.
A soli due anni dalla morte del Fondatore Mons. Aurelio Bacciarini così scriveva
nella circolare ai confratelli del 15 ottobre 1917:
“La sua memoria non si è affievolita tra noi: anzi, quanto più il tempo ci porta lontani
dall’ora della sua scomparsa terrena, la sua dolce figura rivive in noi più sentita, più
cara, più amabile.
Noi conversiamo ogni giorno con don Luigi… a lui ci appoggiamo come figli al
padre. Però non basta questo scambio affettuoso e di confidenza. E’ necessario
soprattutto che noi portiamo scolpiti nel cuore, nella vita e nelle opere, i suoi esempi,
le sue massime e specialmente la sua Regola, nella quale egli trasfuse, come soffio
inestinguibile, tutto quanto il suo spirito”.
Qualche anno dopo lo stesso Mons. Bacciarini, al termine degli Esercizi spirituali dei
confratelli (estate 1919) così si esprimeva: “Vi dirò che ieri sera, al terminare la
lettura del mirabile Regolamento di Don Luigi, mi ha colpito la sua parola. Egli dice
che ‘il miglior modo di rafforzare la nostra Istituzione è quello di assimilare lo spirito
religioso e l’osservanza della Regola’. Questo deve essere il nostro nobilissimo e
grave impegno per il quale applicare tutto il nostro desiderio e tutte le nostre energie.
Il pensiero di Don Luigi è chiaro come la luce splendente del sole. Egli ha voluto
mettere le fondamenta di un grande Istituto religioso, di una vera Congregazione
religiosa nel senso più reale della parola.
Tutta la sua vita lo dice: tutte le sue meditazioni lo hanno ripetuto, tutti i Regolamenti
che ha abbozzato in mezzo ai travagli delle sue fondazioni lo confermano. Il suo
ultimo Regolamento è così caldo e fiammante di vita religiosa da pensare che, mano
mano che egli si avvicinava all’eternità, Don Luigi spasimava di tradurre in pratica il
suo pensiero.
Io ho sentito dire da sacerdoti di vaglia, che hanno letto questo Regolamento: ‘nella
sua semplicità, nella sua praticità e nel fuoco che lo anima, esso è un capolavoro di
vita religiosa. Quanto vorremmo noi sentire palpitare l’anima di Don Luigi in tutto
L’entusiasmo suo per la vita religiosa. Noi prenderemo sempre in mano questo
Regolamento tanto è bello e in cui tanto vivamente Don Luigi ha trasfuso il suo
grande spirito.
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Ho sentito dire da parte di qualcuno che Don Luigi non ci voleva religiosi nel vero
senso della parola. Io credo che questa è l’ingiuria massima che si possa fare a Don
Luigi. Ingiuria alla sua parola, perché troppo costante, troppo chiara e troppo
eloquente al riguardo! Ingiuria alla sua stessa chiaroveggenza, in quanto la sua mente
era troppo intuitiva per non vedere che un Istituto religioso, se non ha le basi di un
Istituto religioso, è simile alla casa fabbricata stoltamente sull’arena…
Non si dica dunque ciò che Don Luigi non ha detto mai!
Anche Don Mazzucchi fa un continuo riferimento al Regolamento del 1910, quando
parla della formazione che Don Guanella voleva per i suoi.
Don Mazzucchi così si esprime:
“Particolarmente nell’ultimo Regolamento regalatoci nel 1910 e a noi così caro e
prezioso Don Guanella ha voluto come riassumere tutto il suo ideale del Servo della
Carità. Pur non nascondendo la vetta sognata e bramata e insistendo senza debolezze
sulla sostanza irrinunciabile d’una interiorità e di una osservanza esemplare fatta di
fatica e di sacrificio, egli teneva conto anche della minore o maggiore capacità e
illuminazione dell’uno o dell’altro dei suoi chiamati.
Questo Regolamento, nella sua stesura semplice e piana, unitamente alla
considerazione del livello e del grado in cui il singolo confratello si trovava nel suo
cammino spirituale, traccia e stimola verso un cammino di alta spiritualità. In esso si
insiste non solo sulla necessaria priorità della vita interiore di fronte all’attività
esteriore, ma anche sulla attenzione e impegno a progredire ogni giorno
nell’osservanza dei voti, proposti in forma pratica come un cammino per gradi
successivi: la povertà unita a una grande fiducia nella Provvidenza, l’eccellenza
singolare della castità (da conservare immacolata fin dal Battesimo, come la sua, o da
riconquistare fermamente dopo le cadute del passato), il valore massimo
dell’obbedienza nella sua positiva motivazione di amore filiale verso Dio e di
spontanea generosità del cuore, l’importanza indispensabile delle varie pratiche di
mortificazione.
Riferendosi poi all’ atmosfera di pietà in cui l’anima religiosa deve respirare per
vivere rigogliosamente e per trovare le risorse necessarie per i suoi progressi interiori
e per l’apostolato esterno, con quali bellissime e chiarissime espressioni presentava la
preghiera confidente del cuore e la meditazione santa - più affettiva che speculativa- e
la devozione dell’Eucaristia!”
Nel proporre la ristampa nel 1941 Don Mazzucchi poi scriveva:
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“ Rimangono sempre valide le parole con cui don Guanella, il dolce Padre nostro,
presentava e donava, cinque anni prima che ci lasciasse, le pagine semplici e assai
preziose del suo Regolamento spirituale e morale… Questo custodisce e ci trasmette
lo spirito genuino e l’indirizzo imprescindibile del santo Fondatore, a cui ciascuno di
noi deve immancabilmente restar fedele per un sacro obbligo e per un interesse
fondamentale. In esso troviamo abbondanti pagine, ricche di impressionante e
commovente eloquenza ed efficacia.
Le benedette nostre Costituzioni sono e saranno sempre per tutti il libro fondamentale
per la nostra vita, e questo Regolamento, che ne è il commento morale e spirituale,
sia per tutti noi un alimento vivo e sostanzioso per il nostro operare e per la nostra
spiritualità di figli desiderosi di rendersi degni del Padre caro e santo.
Lo studio e l’applicazione fedele di questa Regola di vita recherà a tutti un beneficio
meraviglioso di santità personale e di opere feconde, come era nella mente e nel
cuore del Padre, che ci benedice e ci assiste fino al nostro arrivederci di Lassù!”
“Bisogna che il Servo della Carità, vivamente desideroso di promuovere la sua
perfezione religiosa e con essa la prosperità dell’Istituto, non desista mai dallo
studiare con amore le Costituzioni e il Regolamento con l’intento santamente
volonteroso di apprenderne lo spirito e di applicarne, man mano che si fa possibile,
tutta la lettera.” (Don Luigi Guanella).
1. Come ci presenta don Guanella la Regola?”
Conosciamo come Don Guanella nei suoi scritti usa molte immagini e
paragoni. Anche in questo tema esse ci servono per capire come anche noi
dobbiamo porci nei confronti della Regola per viverla in stile guanelliano.
Essa per Don Guanella è:
A.
- “Buona compagna della vita”
- “Buona maestra della vita, che perfeziona le facoltà della mente, della
memoria, del cuore e del corpo …”
- “Come l’apparizione di un angelo …”
- “Con la Regola gli animi si uniscono come granelli di farina bagnati, per
formare una massa di pasta; entro vi si mischia un pugno di fermento, un
briciolo di divina carità, che prepara la pasta a cuocere in pane, da
distribuire poi sulla mensa dei grandi e dei piccoli”.
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A cui possiamo aggiungere altre immagini presenti nel Regolamento del 1911 per le
FSMP:
- “E’ quasi riassunto del Vangelo”
- “E’ pane quotidiano per cibare le anime vostre, riempire la mente di buoni
pensieri e il cuore di santi affetti.
- “E’ per voi fonte di ogni bene, perché vi fa imitare da vicino la vita,
passione e morte di nostro Signore Gesù Cristo.
B. Se poi consideriamo i valori principali che don Guanella ritiene implicati
nella Regola ci renderemo conto facilmente come essa sia veramente maestra
e guida che “conduce i membri di una Comunità religiosa sulle vie della virtù
e della santità”:
- Il “vincolo di carità” che si rafforza nell’equilibrare i diritti e i doveri di
una persona in una società. “Quanto cara è la vita religiosa a tutti quelli
che ne comprendono il pregio; quanto ammirabile il vincolo di carità che
così congiunge gli animi!”
- Il Cuore di Dio, sorgente della Regola. “Vieni, perché io ho sopra di te
disegni speciali di benevolenza. Vieni al Cuor mio e del mio e del cuor tuo
se ne farà come un solo cuore, ricco delle mie virtù e investito della mia
autorità; diverrai così padrone del cuore di tanti fratelli”.
- La coscienza personale, chiamata in causa come il più alto valore da
rispettare e conseguentemente la libertà e il rispetto della persona
- Le Beatitudini, a cui la Regola conduce. Don Guanella ne enumera tre,
in corrispondenza ai tre voti: “Beati i poveri in spirito”, “Beati i mondi di
cuore”, “Beati coloro che hanno fame e sete della giustizia”.
Per Don Guanella l’essenza della vita consacrata sta nella pratica delle
Beatitudini, nel viverne lo spirito.
2. La Regola rimanda necessariamente al Vangelo.
Don Guanella nel Regolamento 1911 delle FSMP scrive: “Dopo il Vangelo santo
viene la Regola vostra; anzi il Vangelo santo è la vostra Regola, perché la vostra
Regola fu modellata sul Vangelo di Gesù Cristo, con lo scopo di indicarvi e
stimolarvi a vivere le virtù e la carità di Gesù Cristo: Possiate voi vivere non di
altro che della carità di Gesù Cristo e così ripetere con l’Apostolo: Non sono più
io che vivo, ma è Cristo che vive in me!”
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La Regola dunque, secondo Don Guanella, ha la sua sorgente nel Vangelo e ha
come scopo dichiarato portare a vivere il Vangelo e ricomporre nel religioso il
volto e il cuore di Gesù Cristo.
L’osservanza dei voti è così descritta da Don Guanella: “Per essere seguaci
perfetti di Gesù, bisogna rinunciare a tutte le persone e alle cose di questa terra
(voto di povertà); bisogna, pur non mutando la natura dell’uomo, vivere in forma
angelica (voto di castità); bisogna non avere volontà propria, ma confidare
pienamente in Dio e a Lui obbedire (voto di obbedienza), in modo che tra il cuore
di Dio e il cuore dell’Uomo si faccia un cuor solo (questo pensiero è frequente in
Don Guanella). Questa è perfezione altissima: questo costituisce felicità somma…
A questo mirano lo scopo dell’Istituto, le nostre Regole e le Costituzioni …”
3. La Regola, come la stessa vita consacrata, è un dono da accogliere nella
libertà e da vivere nella fedeltà.
Se la vocazione alla vita consacrata è dono, deve essere motivo di gioia e di
riconoscenza: E’ pur vero che è necessario un cammino ascetico e di rinunce, ma Don
Guanella insiste maggiormente sulla felicità riservata a chi segue l’esempio di Gesù.
Nel 1911 quando scrive il Regolamento per le FSMP ripensa al suo pellegrinaggio in
Terra Santa e vede la sua Regola come il cammino verso il Monte della Felicità e
dirige alle sue Religiose una sua specifica Beatitudine: “Beati tutti quelli che sono
chiamati a udire il discorso delle Beatitudini e hanno dal Signore la forza di
seguirlo”
E la sua conclusione sull’obbligo della Regola è in parte ovvia e in parte molto
innovativa. Per tutti c’è l’obbligo assoluto di osservare la Regola, e questo dovere si
fonda sullo ‘sposalizio’ del religioso con Gesù Cristo, ossia sul fatto di essersi
liberamente consacrati a Dio.
4. E noi, come dovremmo porci di fronte alla Regola?
Don Guanella ha chiaro il principio: ‘Ogni religioso deve rispondere alla propria
coscienza e a Dio’, ma, allo stesso tempo, ha il dovere di applicarsi, mente, corpo e
anima al progresso materiale e spirituale dei propri confratelli.
Chiaramente Don Guanella punta in alto; non accetta che si viva terra terra, senza
slancio ed entusiasmo. Alle FSMP raccomandava “Scrivete con carboni accesi di
amor divino il proposito nell’animo vostro di essere fedeli fino alla morte”.
Egli sa fare proposte audaci a chi vedeva dotato di maggiori qualità e grazia da parte
di Dio, ma è anche realista: è consapevole dell’incostanza del cuore umano:
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“Umiliamoci nell’abisso della nostra miseria, confidiamo nell’incommensurabile
bontà e misericordia del Signore che può tutto e tutto vuole quello che serve alla
nostra santificazione”.
Spesso Don Guanella ripete: “Impegnati a fondo, come se tutto dipendesse da te, ma
sappi che tutto dipende da Dio”. Ma poi aggiunge: “Ma chi può dire di fare in tutto e
perfettamente il proprio dovere?”e, tenendo conto della situazione di ognuno,
consiglia di procedere a gradi:
- “secondo il grado di conoscenza di ogni persona”,
- “secondo il grado di virtù che possiede”
- “e più di tutto, secondo il grado di grazia che può ottenere da Dio”.
“Ogni religioso pertanto se la deve intendere con la propria coscienza e con Dio”.
A questo punto è necessario accennare ai gradi di virtù, richiamati spesso da don
Guanella nei suoi Regolamenti.
5. La questione dei gradi di virtù
Don Guanella richiama spesso il percorso per gradi per spiegare realisticamente il
cammino verso la santità o quello della progressiva appartenenza alla Congregazione
(dal bussare alla porta fino ad essere condotto negli appartamenti più intimi del
palazzo) o quello del conferire responsabilità della missione, come pure il modo di
procedere nelle fondazioni (la famosa immagine del serpente che prima mette la testa
in un buco e poi vi trascina tutto il corpo)…
Può risultare strano questo pensiero, quasi pensando che il Fondatore potesse
annacquare l’ascesa alla santità, accontentandoci di scusare i nostri ritardi. Tanto che
don Pellegrini, riferendosi, a riguardo dell’ubbidienza, al famoso cammello di
Gerusalemme che scrollava il capo quando gli veniva caricato un peso troppo grande
e allora il padrone gliene caricava uno più leggero, commenta argutamente: “Cosa
direbbe un gesuita di questa ubbidienza secondo il modo del cammello, invece che
secondo il modo di un cadavere”.
Ma don Guanella, insistendo sulla filiale relazione con Dio, invita a salire sempre più
verso le mete più alte dell’obbedienza e della santità: “Aspirate sempre a virtù
maggiori!”, pur ritenendo valido lo spirito ‘normale’ di tanti religiosi, senza però
benedire le mezze misure.
A volte anche in noi si affaccia la tentazione del confronto con gli altri, non per
ammirare e seguire l’esempio di chi è più avanti nel cammino della virtù, ma per
accontentarci del livello più basso vissuto di chi forse ha meno conoscenza o volontà
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e meno grazia da parte del Signore. In questo don Guanella è maestro saggio che non
pretende di ridurre tutti alla stessa misura (tagliando le gambe ai più alti e
allungandole ai più bassi, come commenta don Pellegrini), ma che rispetta i tempi
della grazia di Dio, certamente con l’impegno di favorire la crescita di chi è più lento
attraverso l’esempio e l’assunzione di maggior responsabilità nel sopperire ad
eventuali mancanze.
Fatte queste necessarie premesse, domandiamoci più in concreto quale sia lo spirito
con cui don Guanella insiste nel vivere i nostri voti, in cui si realizza concretamente
la nostra consacrazione a Dio.
E don Guanella inserisce subito i voti nella dinamica della chiamata alla santità di
tutti i battezzati, come ben ha messo in evidenza il Concilio vaticano II. Bastino
questi due paragoni per dimostrarlo: “Nel Battesimo: - uno diventa figlio di Dio; - a
lui vengono aperte le porte della Chiesa, - e viene inscritto nell’anagrafe del Popolo
di Dio. Nella Professione religiosa: uno diventa amico di Gesù Cristo e caro ai
fratelli che lo circondano, - entra nelle sale più intime della dimora di Dio (è facile
qui pensare al Cuore di Cristo), - viene iscritto nel libro spirituale della vita eterna”.
Alle tre forme di Battesimo (di acqua, di desiderio e di sangue) don Guanella fa
corrispondere per la Professione religiosa (l’atto della professione, il fervore del
cuore che lo deve animare e il sacrificio di tutto se stesso).
Ma anche nei singoli voti è evidente come il pensiero del Fondatore e il suo carisma
ci tracciano uno specifico stile di santificazione, particolarmente nel vivere i tre voti
religiosi.
A riguardo della Povertà, alcuni accenti:
Certamente don Guanella, nel trattare della povertà, partiva da una esperienza di vita
austera (in famiglia, nella società agricola del suo tempo, nella penuria delle sue
prime fondazioni, …) ma non possiamo affermare che egli volesse proporre la sua
povertà (che lui chiama ‘cappucinesca’), solo come l’adattamento a una situazione
contingente da conservare poi nella tradizione …..
Sarebbe insufficiente, anche per noi oggi, rapportarci alla situazione (più o meno
prospera) della società in cui viviamo per conformare la nostra povertà agli standard
correnti, che pur devono essere tenuti presenti, perché essa sia credibile dalle persone
che ci circondano. E’ necessario scoprire il valore della povertà religiosa non come
fatto sociologico ma come elemento mistico che ha le sue radici nel carisma. Solo
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così possiamo capire come don Guanella fosse tanto innamorato della povertà (quella
di Gesù Cristo stesso o del poverello di Assisi) da pronunciare delle frasi così
impegnative per noi e per la nostra Congregazione: “Se volete che la Congregazione
intisichisca, fate che divenga ricca”.
Le due caratteristiche più evidenti che donano alla povertà guanelliana il tono del
carisma sono il lavoro e la Provvidenza. Queste due esperienze mantenute in
equilibrio assicurano lo stile della nostra vita religiosa: “Fino a mezzanotte ci penso
io, e dopo mezzanotte di pensa Dio”.
A riguardo della Provvidenza (“madre naturale e carissima dei suoi figli, virtù di
alta perfezione”) bisogna mantenere l’equilibrio tra la fiducia che Dio non ci lascerà
mai mancare niente di quanto abbiamo bisogno e la pretesa di ricevere dalla
Provvidenza a proprio comodo, o tra la diffidenza che si basa solo sui criteri umani o
sull’aiuto delle persone e la presunzione di avere Dio pronto a intervenire sempre
senza la nostra collaborazione.
Come esempi pratici di riferimento don Guanella ci fa guardare ai due santi ispiratori
del suo ideale: il Cottolengo (che si limita a pregare e confidare in Dio e don Bosco
(che prega e, nel medesimo tempo, suona la tromba …).
“I Servi della carità dovranno con molta sottomissione ed umiltà continuare il
proprio cammino nella via di mezzo tra l’uno e l’altro di questi due metodi”.
L’altro elemento che caratterizza la pratica della povertà guanelliana è il lavoro, che
richiama molto concretamente la necessità del sacrificio. Sintesi quindi tra “pregare”
e “patire”: (“le quattro F: fame, freddo, fumo e fastidi” e la V di vittima) che sono il
fondamento dell’Istituto.
A riguardo della castità.
E’ interessante considerare i paragoni che don Guanella usa per parlare del voto e
della virtù della castità:
- Il sole che riscalda
- L’erba sensitiva
- La neve che per rimanere candida non deve essere calpestata con i piedi, né
palpata con le mani
- Giglio candido e odoroso, se vuol ricreare la vista e rallegrare con il suo
profumo
- Virtù che rende simili ai martiri (caratteristico0 questo suo accostamento tra
castità e palma del martirio!)
- L’uccello che alla vista del pericolo, si eleva nell’aria con la preghiera
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Come è pure interessante la diversa forma di vivere la castità:
- La castità di chi vive nell’innocenza e nell’ingenuità, che non deve essere
esposta imprudentemente, nemmeno a molteplici mansioni di carità, nella
quale la loro innocenza potesse far naufragio.
- La castità di chi ha conosce le battaglie del mondo… e che può essere utile
in vari ministeri
- La castità di coloro che hanno gustato il calice di Babilonia… sicuri nella
battaglia e perseveranti nella pratica.
Don Guanella sembra condividere il pensiero di S. Francesco Saverio che chiedeva al
suo Superiore, S. Ignazio, di inviargli missionari di questo terzo tipo, provati e
purificati, e quindi più forti nell’evangelizzazione.
I mezzi per conservare la castità sono quelli classici: preghiera e mortificazione:
“perché l’uomo angelico deve avere naturalmente delle ali buone e vigorose per
librarsi in alto e porsi in salvo nelle alte sfere contro i dardi dei cacciatori insidiosi”.
Ancora oggi è più che mai valido questo ammonimento, circondati come siamo non
solo da tante fragilità nei nostri poveri, ma specialmente perché sommersi in una
cultura edonista e materialista, che possiamo contrastare solo con la grazia del
Signore e con una solida maturità umana e spirituale.
A riguardo dell’ubbidienza
Se per la povertà e per la castità, non è sufficiente fermarsi a osservare le norme, ma
bisogna scoprire e viverne lo spirito, questo è ancor più necessario per il voto e la
virtù dell’obbedienza.
Nel trattare il voto di ubbidienza don Guanella esprime tutta la sua esperienza
personale di uomo dal carattere ardente, energico, non troppo incline ad accettare o
subire condizionamenti … Ma proprio per questo egli è ammirevole per aver vissuto
in modo eroico, innanzitutto la sua promessa di ubbidienza fatta al suo Vescovo il
giorno dell’Ordinazione sacerdotale ma, più in generale per aver sempre rinunciato a
farsi guidare dalle sue idee per scoprire sempre e dovunque qual era la volontà di Dio
nei suoi riguardi. E non si può capire tutta la sua lotta interiore senza fare riferimento
alla sua esperienza spirituale, profonda, della Paternità di Dio.
Questo è ciò che don Guanella ci ha trasmesso nel suo pensiero, per motivare anche
noi alla totale ubbidienza a Dio e alle mediazioni umane che ce la svelano.
Alcuni accenni, per evidenziare, come la virtù dell’ubbidienza sia un aspetto
fondamentale che deriva direttamente dal carisma.
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- Il capitolo sull’ubbidienza, nel Regolamento del 1910, inizia con la parola
‘figlio’ (anzi tutti i quattro paragrafi hanno come soggetto della prima frase
‘il figlio’. Questo ci fa capire come tutto il discorso sull’ubbidienza deve
essere compreso nella prospettiva del carisma della Paternità di Dio, che si
manifesta in forma sublime nel Cuore del Figlio suo.
- Subito dopo, a fondamento del suo insegnamento, spiega che è necessario
conoscere e ancor più amare e praticare non solo i voleri ma anche i desideri
del proprio Padre: “In questo si conoscerà che voi siete figlioli, se farete ciò
che è manifestazione del mio eterno Padre”
- Alla base dell’ubbidienza don Guanella pone quindi lo sforzo di conoscere e
imitare la bontà, la sapienza e la santità di questo Padre.
- Poi, logicamente, il riferimento al Cuore di Gesù, a cui conformare il
proprio cuore. Il Cuore di Cristo è l’ideale del cuore ubbidiente del religioso
che ubbidisce per amore ( e non per forza) anche al superiore, per amore di
Dio stesso.
- Originale anche il riferimento ai superiori: “toccare i superiori, sarebbe
come mettere le dita negli occhi, per ferire la pupilla degli occhi stessi di
Dio”.
I gradi dell’ubbidienza.
Don Guanella ci offre una prima scaletta, evidenziata con i tre gradi dell’aggettivo
‘caro’:
- “È caro il figlio che consegna al genitore il guadagno dei propri lavori”,
- “Più caro è il figlio che dà al Padre tutte le energie della sua persona”,
- “Carissimo è il figlio che dona la sua propria volontà, che è il tesoro più
prezioso ricevuto da Dio. In questo interscambio il Signore si fa nostro
debitore e noi ereditari di un tesoro massimo, il Paradiso”.
Poi enuncia i tre gradi dell’ubbidienza, che noi dovremmo tener presenti con le
osservazioni fatte sopra sui livelli di pratica di questa virtù.
1. Chi ubbidisce più per timore che per amore (cioè più per istinto di dipendenza)
e con poco lume di fede.
2. Chi ubbidisce prontamente, ciecamente anche, alla voce della coscienza e ai
comandi dei superiori terreni, perché persuasi del proprio dovere di ubbidire
sempre e pazientemente; ma facili alla critica …
3. Il figlio di bontà squisita di cuore che si sforza di conoscere i voleri e capire i
desideri del Cuore di Gesù Cristo e con perseveranza li mette in pratica …
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Posti i fondamenti carismatici che devono sostenere l’ubbidienza guanelliana,
sarebbe interessante fare un confronto tra il pensiero di don Guanella e quanto
espresso nel Documento della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata e le
Società di vita apostolica ‘Il servizio dell’autorità e l’obbedienza’, pubblicato l’11
maggio 2008.
Anche qui solo alcuni accenni per iniziare un discorso da approfondire nelle nostre
riflessioni comunitarie o da discernere nella pratica della nostra vita religiosa.
Il Documento ecclesiale ci ricorda che nella vita religiosa esiste una grande varietà di
progetti carismatici e, corrispondentemente, diversità di modelli di governo e di
prassi di ubbidienza.
Allora possiamo domandarci: qual è il nostro modello ideale di governo? La nostra
prassi è conforme a questo modello? Quali gli elementi più problematici
nell’applicare l’ideale alla nostra realtà concreta?
- Quando don Guanella parla dei membri dell’Istituto (superiori e confratelli)
si rifà al paragone della vite e dei tralci che, nel Vangelo è riferito
all’unione del cristiano (tralcio) con il Signore (la vite) e la applica
all’Istituto in cui tutti, in Cristo, vivono dello stesso vigore della vite per
produrre frutti gustosi”. E, come di consueto, specifica: “Non tutti i tralci di
vite sono ugualmente vigorosi, nondimeno tutti, secondo le proprie
capacità, partecipano della vigoria della vite e dell’affetto di famiglia. Per
cui i membri dell’Istituto che più da vicino sono chiamati a dirigere
l’Istituto sono i più vicini al legno della vite e sono capaci di assorbirne il
vigore”. Responsabilità quindi e non privilegio od onore. Servizio e non
dominio. Maggior conformazione a Cristo servo che al Cristo glorioso.
- “I cristiani sono chiamati a godere della libertà di figli di Dio … e la
Chiesa (la Congregazione) educa i suoi figli a questa libertà di spirito.”
“Quando un confratello, buono e pio è capace di disinvolgersi alla meglio,
allora gli si concede spontanea e quasi piena quella libertà nello svolgere i
propri compiti. Quando questo? E si risponde: “Quando, come l’uccello,
ha fatto le ali ed è capace di volare”.
Queste parole del Fondatore riflettono benissimo il pensiero espresso al n.
15 del Documento citato, in cui si afferma che “la prima missione della
persona consacrata è quella di testimoniare la libertà dei figli di Dio, una
libertà modellata su quella di Cristo, uomo libero di servire Dio e i fratelli
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… e quindi presenta la possibilità di una via diversa per la realizzazione
della propria vita (diversa da quella della cultura odierna).
Il problema della realizzazione e della libertà personale diventa oggi una
sfida anche per noi, proprio in relazione al giusto equilibrio da vivere tra
criteri umani per i quali chiedere o concedere libertà e responsabilità e
visione di fede e sollecitudine per il vero bene del confratello.
Ci bastino queste due citazioni per questo equilibrio: “I singoli membri
dell’Istituto naturalmente guardano al superiore come figli al padre e
cercano di conoscere intimamente lo spirito di mente e di cuore del proprio
superiore, ne seguono gli esempi, se ne mostrano docili e riverenti
Soprattutto poi pregano di cuore, perché del cuore proprio e del cuore dei
superiori se ne faccia uno solo, secondo la sapienza e la bontà infinita del
Cuore del divin Salvatore”. “I superiori si chiamano padri ed un padre
deve avere buona testa per dirigere e buon cuore per provvedere ai propri
figli”.
Un altro aspetto caratteristico in don Guanella riguarda il modo da lui suggerito per
comportarsi con chi non ubbidisce o con chi devia dal’ideale. Egli specifica il
cammino a seguirsi prima di arrivare all’eventuale espulsione, anche questa vissuta
come “bontà di cuore di un padre che segue il diritto e dovere di natura (perché il
Signore è giustizia e carità insieme)” e in considerazione del bene dei fratelli.
-
- “Il Signore rispetta la libertà dell’uomo ma non lo abbandona, e ‘sospira’
perché torni nelle sue braccia. A usare giustizia aspetta per ultimo (solo
quando sta precipitando senza rimedio)”.
Tutto secondo il metodo della correzione fraterna, voluta dal Vangelo, che don
Guanella accompagna con queste espressioni del cuore:
- Dolore della madre quando vede che il figlio abusa della sua bontà di cuore
e che spera nel ravvedimento del figlio;
- Atteggiamento del padre nella parabola evangelica del figlio prodigo, che…
- Intervento secondo carità e giustizia, quando non c’è più speranza di
ravvedimento.
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senso guanelliano della regola. - Figlie di Santa Maria della