Trekk urbano ed extraurbano Ancona – Monte Conero L'Italia in una Regione In cammino dove la cultura umanistica esprime Giacomo Leopardi e quella scientifica è rappresentata da Vito Volterra Ottobre 2014 INDICE GENERALE Vito Volterra....................................................................................... 6 Stamira............................................................................................... 8 La Settimana rossa ............................................................................. 9 Giacomo Leopardi............................................................................ 11 Questo libretto è stato redatto in occasione del trekking urbano di ottobre 2014. I testi che descrivono i luoghi sono tratti da "Ancona - Guide Touring" e da wikipedia l'Italia in una Regione SI PARTE DA PIAZZA ROSSELLI. STAZIONE La stazione di Ancona è stata inaugurata il 17 novembre 1861 con il completamento della ferrovia Bologna-Ancona da parte della Società per le strade ferrate romane. Contrariamente a molte altre stazioni centrali, non fu possibile costruirla in una zona centrale della città (che allora iniziava da Porta Pia), a causa della particolare conformazione geografica di Ancona, che sorge su un promontorio. Fu solo dopo la sua realizzazione che le zone circostanti, gradatamente, divennero semi-centrali. Originariamente molto simile nell'aspetto alla stazione di Bologna, aveva i binari coperti da un'ampia tettoia voltata a botte. Il fabbricato viaggiatori originario, distrutto durante la seconda guerra mondiale, venne sostituito da un edificio in stile moderno al termine del conflitto, progettato dall'architetto Paolo Perilli e inaugurato il 18 agosto 1948. CAFFE' BORGHETTI Nel 1860 Ugo Borghetti crea una ricetta originale per celebrare l’inaugurazione della linea ferroviaria Pescara-Ancona. Dal 1982 il marchio Borghetti è per il 50% di Fratelli Branca Distillerie che, nel 2001 ne completa l’acquisizione e lo trasforma da prodotto locale in affermata realtà nazionale. La storia racconta che Ugo Borghetti nel 1863 ebbe l’intuizione che portò il suo nome al successo e oltre i confini cittadini. In occasione dell’inaugurazione della tratta ferroviaria Ancona-Pescara, nel maggio del 1863, Borghetti, che aveva un bar in piazza della Stazione e una distilleria, mandò un suo garzone con un thermos pieno del suo Caffè Sport al binario del treno in partenza per Pescara, a vendere ai passeggeri il suo liquore al caffè. SI PERCORRE VIA MARCONI E POI SI DEVIA A DESTRA SU VIA FILIPPO MARCHETTI. SALENDO VERSO LA STRADA DELL'ACCESSO ORIGINARIO ALLA CITTA'. SI PROSEGUE IN VIA GIAMBATTISTA PERGOLESI E POI IN VIA RAFFAELLO SANZIO. SI ARRIVA SU UN BELVEDERE SOTTO LE MURA DELLA FORTEZZA. QUI SI TROVA UNA TARGA CHE RICORDA LA PRESENZA DELLA PORTA CAPODIMONTE. FORTEZZA. Collocata su uno dei punti più alti della città storica la Fortezza è testimonianza del passaggio dal concetto quattrocentesco di “città ideale” a quello cinquecentesco di “città fortificata”. Costituiva il principale strumento di difesa nel punto di entrata alla città (l’attuale piazza Sangallo) e le sue mura furono, dalla fine del settecento, collegate tramite fortificazioni a Porta Pia. La Fortezza deriva il suo nome da Antonio da Sangallo che la costruì per conto di Papa Clemente VII (1532-35). Il Forte Sangallo è strutturato a pianta stellare ed è dotato di cinque bastioni, orientati in cinque punti diversi, che possedevano nomi suggestivi: Gregoriano, del Cavaliere a Basso, della Campana, del Barberino della Punta e del Giardino e che circondavano il punto più alto del colle sul quale esisteva una precedente rocca. La Fortezza era collegata militarmente con il Bastione del Cassero collocato sul Colle dei Cappuccini. Insieme costituivano i punti di maggiore resistenza offensiva e difensiva della città cinquecentesca. Il Forte era strategicamente rinforzato con il Campo Trincerato e le mura di cinta. 4 l'Italia in una Regione PARCO CITTADELLA. Dentro il perimetro della Fortezza vi è un magnifico Parco frequentato dai Cittadini detto “Parco della Cittadella”, attrezzato anche con percorsi per non vedenti. Dal punto più alto di questa zona verde è possibile avere una visione a 360 gradi della città, dal porto al Monte Conero, passando per la collina su cui è stata edificata l’Università di Ingegneria. DALL'ALTO POSSIAMO VEDERE LA MOLE VANVITELLIANA E PORTA PIA. MOLE VANVITELLIANA. Il Lazzaretto di Ancona, detto anche Mole Vanvitelliana, è un edificio di Ancona progettato dall'architetto Luigi Vanvitelli. L'edificio sorge su di un'isola artificiale pentagonale situata all'interno del porto; è collegato alla terraferma da tre ponti, ed occupa una superficie di 20.000 m²; il canale che lo divide dalla terraferma è detto "Mandracchio". Originariamente si raggiungeva solamente attraverso imbarcazioni; il rifornimento idrico era assicurato da una rete sotterranea di cisterne. L'acqua si attingeva attraverso tre pozzi, situati nel piccolo tempio neoclassico dedicato a San Rocco, presente al centro del cortile interno. Il luogo poteva ospitare fino a 2.000 persone, oltre ad una grande quantità di merci. Nella parte interna dell'edificio si trovano i locali del Lazzaretto vero e proprio, che erano destinati alla quarantena, mentre le stanze nella parte esterna erano usate come deposito della merce. Verso il mare aperto il lazzaretto è fornito di un rivellino, progettato per la difesa militare del porto. Fin dalla sua origine l'opera era dunque una struttura polifunzionale: magazzino portuale, luogo di quarantena, fortificazione. Nei primi decenni del XVIII secolo la città di Ancona cominciò a vivere un periodo di grande sviluppo economico, grazie alla concessione del porto franco da parte di papa Clemente XII. Questo papa intendeva migliorare le condizioni del porto di Ancona ed affidò l'incarico a Vanvitelli, architetto che in seguito sarebbe divenuto famoso per la progettazione della Reggia di Caserta. Il Vanvitelli ridisegna completamente il porto, rispettandone la forma naturale ed anzi traendo ispirazione da essa. Progetta così il molo Nuovo (ora parte del molo Nord) e il Lazzaretto, su un'isola artificiale pentagonale da lui realizzata nella zona meridionale del porto. I lavori iniziano il 27 luglio 1733 e terminano dieci anni dopo. Il luogo ha giocato un ruolo importante durante l'assedio degli austriaci alla città occupata dai francesi nel 1799 e nel corso della Prima guerra mondiale. Nel corso del tempo è stata usato anche come ospedale militare; nel 1884 cambia destinazione d'uso e diventa raffineria di zucchero. Durante le due guerre mondiali ritorna ad essere una cittadella militare; successivamente, nel 1947, diventa deposito di tabacchi. Nel 1997 il comune di Ancona ne acquisisce la proprietà ed inizia un restauro che sta ridonando al Lazzaretto il suo armonico aspetto originario, senza però cancellare completamente le modifiche più significative subite nel corso dei secoli. Ora il monumento viene usato per ospitare mostre temporanee ed altri eventi culturali; una parte di esso è destinata ad accogliere il Museo Tattile Omero. Da quando ne ha acquisito la proprietà, il Comune ha cominciato ad indicare il monumento con l'espressione mole vanvitelliana e non con il termine Lazzaretto, da sempre usato, sia in ambito colto (dallo stesso Vanvitelli!), sia a 5 l'Italia in una Regione livello popolare. Il rivellino ospita la società sportiva SEF Stamura e la base nautica dell'Istituto nautico Elia. Nell'angolo sinistro esterno della Mole lato porta Pia si trova una targa in bronzo, in ricordo dello sventato attacco di sabotatori asburgici al porto di Ancona nel 1918. PORTA PIA è un'antica porta di accesso alla città di Ancona. Venne costruita tra il 1787 e il 1789 per volere di papa Pio VI, da cui prese il nome, che affidò il progetto all'architetto Filippo Marchionni, figlio di Carlo. Il lato rivolto verso l'esterno della città è in pietra d'Istria con fregi di epoca barocca, mentre quello posto verso Ancona, senza particolari ornamenti, è costituito da blocchi di tufo. Molti fregi e lo stesso stemma di papa Pio VI furono scalpellati durante l'occupazione napoleonica della città, mentre con lo stesso tufo della facciata interna fu realizzata una fontanella alimentata da una piccola vena sorgiva, incastonata nelle mura trecentesche lato Ancona, sulle quali era stata aperta la nuova porta. Accanto alla porta è stato posto un monumento, a forma di àncora, a ricordo delle persone scomparse in mare. SI IMBOCCA VIA ASTAGNO. SI INCONTRA LA CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA Anticamente dedicata a san Claudio, prese il titolo attuale nel XVI secolo dopo la demolizione dell'antica abbazia di San Giovanni in Pennocchiara per la costruzione dell'attuale Cittadella e dell'annesso campo trincerato. Conserva dell'edificio primitivo la facciata romanica in pietra con portale ed oculo, e la torre campanaria medioevale rimaneggiata nel secondo dopoguerra, mentre l'aspetto attuale dell'interno risale al XVIII secolo ad opera dell'architetto locale Lorenzo Daretti. All'interno conserva tra varie testimonianze un Ecce Homo dipinto da Federico Zuccari ed il corpo del beato Gabriele Ferretti proveniente dalla soppressa chiesa di San Francesco ad Alto. SI PROSEGUE IN DISCESA FINO AL VICOLO DEL CAMPETTO, SI ATTRAVERSA VIA BARILARI E SI ENTRA IN UN CORTILE. VITO VOLTERRA Vito Volterra (Ancona, 3 maggio 1860 – Roma, 11 ottobre 1940) è stato un matematico e fisico italiano. Fu uno dei principali fondatori dell'analisi funzionale e della connessa teoria delle equazioni integrali. Il suo nome è noto soprattutto per i suoi contributi alla biologia matematica. Nato ad Ancona, allora parte dello Stato Pontificio, Volterra cresce in una famiglia ebrea molto povera (suo padre muore nel 1862, quando Vito ha appena due anni). 6 l'Italia in una Regione Trascorre i suoi primi anni a Torino, poi a Firenze, dove studia presso la Scuola tecnica Dante Alighieri e successivamente presso l'Istituto tecnico Galileo Galilei. Fin da giovane dimostra una straordinaria propensione per gli studi matematici, soprattutto nel campo della fisica matematica. Viene aiutato economicamente dal suo professore di fisica, Antonio Roiti, e da uno zio, l'ingegnere Edoardo Almagià. Si iscrive all'Università di Pisa nel 1878 e l'anno successivo viene ammesso alla Scuola Normale Superiore, dove conosce Enrico Betti che sarà il suo mentore. Nel 1882 ottiene la laurea in fisica con una tesi di idrodinamica, anticipando alcuni risultati (scoperti successivamente ma indipendentemente) di Stokes. Nel 1883, a soli 23 anni, diventa professore di meccanica razionale all'Università di Pisa. Nel 1892, dopo la morte di Betti, diventa professore di meccanica alla Università di Torino. Nel 1900 diventa professore di fisica matematica all'Università di Roma. Il contesto storico e l'influenza esercitata su di lui da Enrico Betti, sviluppano in Volterra un patriottismo entusiasta. Nel 1905 viene nominato dal Re senatore del Regno per i suoi meriti scientifici. Sempre all'inizio del Novecento fonda la Società italiana per l'avanzamento delle scienze, che dovrà avere non un carattere accademico, ma "una larga base, che possa stendere le sue radici liberamente in tutto il Paese, abbracciando tutti coloro che volonterosi amano le scienze; sia quelli che direttamente hanno ad esse portato un contributo, sia quelli che desiderano solamente impadronirsi di quello che altri hanno scoperto". Alla entrata dell'Italia nella Prima guerra mondiale il cinquantacinquenne Volterra entra nel Corpo Militare degli Ingegneri del Regio Esercito Italiano dove si occupa di problemi di calcolo del tiro di cannoni montati su dirigibili e dello sviluppo di dirigibili e palloni aerostatici agli ordini di Giulio Douhet. A lui si deve l'idea di usare per questi aeromobili l'elio inerte invece dell'idrogeno che è un gas facilmente infiammabile; inoltre, avvalendosi delle sue capacità di leader, si dedica ad organizzare la sua produzione. Egli compie anche vari viaggi in Francia e in Inghilterra per promuovere collaborazioni scientifiche. Fin dall'immediato dopoguerra si attivò per la costituzione di un organismo italiano collegato al Consiglio Internazionale delle Ricerche, di cui era vicepresidente. Questi sforzi si concretarono nel 1923 con il decreto di istituzione del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il 12 dicembre dello stesso anno, Volterra fu designato a presiedere il nuovo organismo scientifico dall'Accademia dei Lincei, incarico che mantenne fino al 14 luglio 1927, quando fu sostituito da Guglielmo Marconi. Dal 1919 al 1920 fu presidente dell'Accademia Nazionale delle Scienze (detta dei XL). Dal 1921 fino alla morte fu presidente del Bureau International des Poids et Mesures, di cui fece edificare la sede a Sevres. Nel 1922 prende avvio il regime fascista di Benito Mussolini ed in Parlamento Volterra si schiera contro di esso. Nel 1925 è tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce. Nel 1931 è uno dei dodici professori universitari italiani a rifiutarsi di prestare il Giuramento di fedeltà al Fascismo. Viene quindi costretto a lasciare l'università e le sue molte cariche nelle accademie scientifiche italiane. Nel 1936, su iniziativa di padre Agostino Gemelli, fu nominato membro della Pontificia Accademia delle Scienze, l'unica che ne terrà una commemorazione funebre ufficiale, alla quale poté partecipare la famiglia dello scienziato. 7 l'Italia in una Regione Negli anni successivi vive prevalentemente all'estero, in particolare a Parigi e in Spagna. Nel 1938 l'Università di St. Andrews gli offre un titolo onorifico, ma per ragioni di salute non può andare a riceverlo. Ritorna a Roma solo poco prima di morire. Judith Goodstein, autrice di una sua recente biografia, commentando le sue vicende personali afferma che la sua vita "... esemplifica l'ascesa della matematica italiana avvenuta dopo l'unificazione del Paese, la sua rilevanza nel primo quarto del XX secolo, e il suo precipitoso declino sotto Mussolini… L'ascesa come una meteora e la tragica caduta di Volterra e della sua cerchia costituiscono una lente attraverso la quale è possibile esaminare nei più minuti dettagli le sorti della scienza italiana in un periodo scientificamente epico". SI RITORNA SU VIA ASTAGNO DOVE SI PASSA DAVANTI ALLA SINAGOGA (N. 12). La storia ebraica in Ancona ha inizio prima dell’anno 1000; di questo sono testimonianza non solo l’antico ghetto del colle Astagno e lo storico Campo degli Ebrei, ma anche la storia delle sei sinagoghe che si sono susseguite nel corso dei secoli, tre di rito levantino e tre di rito italiano. Delle prime non si hanno molte notizie, sappiamo soltanto che quella italiana venne fatta demolire perché troppo vicina ad una chiesa cristiana, mentre quella levantina era situata al porto, accanto ad una moschea, a simboleggiare il carattere cosmopolita della repubblica marinara. Delle altre sinagoghe, quella levantina, che si diceva fosse splendida e affacciata sul porto, fu demolita dalle truppe pontificie, mentre quella italiana fu distrutta durante il periodo fascista, nel corso dei lavori per l'apertura di Corso Stamira. La nuova unica struttura di via Astagno conserva gli interni pressappoco originari. SINAGOGA LEVANTINA. Quella costruita nel 1876 è l’ultima sinagoga levantina costruita ad Ancona; la precedente fu fatta demolire dalle truppe pontificie nel 1860, proprio alla vigilia dell’unità d’Italia. La facciata, stretta fra gli altri palazzi, presenta cinque alte finestre vetrate ad arco. L’interno conserva la tevà e l’imponente aron. Questo, recuperato prima della distruzione della precedente sinagoga, è in legno e stucco ed appare monumentale, dando l’idea della grandiosità dell’edificio da cui proviene. Una grande corona dorata sormonta l’aron e le dieci colonne in finto marmo e legno dipinto che lo fiancheggiano; queste sono a loro volta sormontate da capitelli corinzi anch’essi dorati. Le ante che chiudono l’arca sono d’argento sbalzato, di gusto spagnolo e non comune nelle sinagoghe italiane. SINAGOGA ITALIANA. Nello stesso edificio, dal 1932, c’è anche la sinagoga di rito italiano. Gli arredi cinquecenteschi furono trasferiti nella sala sottostante la sinagoga levantina subito dopo la demolizione della sinagoga, operata in epoca fascista nell'ambito degli sventramenti necessari all'apertura del nuovo corso Stamira. Nello stesso edificio è situato anche un miqwè, mentre un terrazzo, accessibile dalla scala che conduce al matroneo, offre lo spazio scoperto per allestire la sukkà. All’interno, di tipo bipolare, si trova il baldacchino della tevà che è posto tra le due porte di ingresso. L’aron, sovrastato da un timpano di ispirazione classica, è impreziosito da ante in argento scolpito a motivi floreali e con le Tavole della Legge. Lo fiancheggiano due colonne tortili decorate con larghe foglie dorate; altre colonne sui lati, creano un effetto di profondità. Sono fatte in legno e stucco, completamente dorate con i capitelli compositi. Su tutto domina un grande candelabro a sette bracci, la menorah. 8 l'Italia in una Regione ATTRAVERSIAMO CORSO STAMIRA E PERCORRENDO VIA LATA SUPERIAMO CORSO GIUSEPPE GARIBALDI. STAMIRA Nel 1174 la città di Ancona, una delle Repubbliche marinare, è posta sotto assedio dall'arcivescovo di Magonza Cristiano di Buch, per conto di Federico Barbarossa. Contro la città di Ancona sono schierate le maggiori potenze del tempo. In uno scontro fu gettata una botte con della resina e della pece davanti agli steccati degli attaccanti per impedirne l'ingresso, ma era molto pericoloso accenderla. Andò una vedova di nome Stamira, con un'ascia spezzò la botte ed il fuoco che si sviluppò distrusse parte delle macchine da guerra degli assedianti. Grazie a questo fatto gli anconetani poterono uscire, per un breve periodo, dalle mura in modo da rifornirsi di cibo. Alla fine la città riuscì, ancora una volta, a respingere il desiderio di conquista del Barbarossa. Molte notizie circa Stamira e la resistenza contro l'assedio del Barbarossa sono ricavate da un libro di Boncompagno da Signa "Liber de obsidione Ancone" o "Liber de obsidione Anconae", libro scritto alcuni anni dopo l'assedio. CORSO GARIBALDI E CORSO STAMIRA. Le due strade parallele furono realizzate nel periodo postunitario, in concomitanza con l'espansione della città verso est e rappresentano l'asse viario portante della città moderna. GIUNGIAMO A CORSO MAZZINI CHE PERCORRIAMO VERSO PIAZZA ROMA. Corso Mazzini si stacca da piazza della Repubblica e raggiunge, con un percorso lievemente sinuoso, piazza Cavour. L'antico nome di «via del Calamo» rimanda al fatto che l'area era occupata un tempo da terreni paludosi ricoperti di canne (calamus). Come corso Garibaldi è pedonale ed è piacevole passeggiarci, in tranquillità, tra vecchie case e piccoli locali che invadono la strada con i loro tavolini. PIÙ AVANTI, SULLA SINISTRA, SPICCA LA FONTANA DEL CALAMO O DELLE TREDICI CANNELLE. La fontana è così chiamata per i clipei ornati da mascheroni bronzei (opera di artisti recanatesi) da cui sgorga l'acqua. Fu realizzata intorno al 1560 su disegno di Pellegrino Tibaldi. ECCOCI A PIAZZA ROMA. La fontana dei Cavalli (o di S. Nicola) che vi campeggia è opera settecentesca di Lorenzo Daretti, con sculture di Gioacchino Varlè, e fu qui collocata nel 1908. LA SETTIMANA ROSSA Fu la conseguenza di un'insurrezione popolare sviluppatasi ad Ancona e propagatasi dalle Marche alla Romagna, alla Toscana e ad altre parti d'Italia, tra il 7 e il 14 giugno 1914, per contestare una serie di riforme introdotte da Giovanni Giolitti. L'insurrezione è rimasta famosa perché i poliziotti aprirono il fuoco sui manifestanti. Il comizio antimilitarista convocato il 7 giugno (anniversario dello Statuto Albertino), per l'abolizione delle "Compagnie di Disciplina nell'Esercito", per protestare contro il 9 l'Italia in una Regione militarismo, contro la guerra, e a favore di Augusto Masetti e Antonio Moroni, due militari di leva. Il primo fu rinchiuso come pazzo nel manicomio criminale (aveva sparato al suo colonnello prima di partire per la guerra italo-turca), l'altro fu inviato in una Compagnia di Disciplina per le sue idee (era sindacalista rivoluzionario). Essendo quella del 7 giugno una giornata piovosa, si decise di spostare il comizio alle ore 18 alla "Villa Rossa" sede del partito repubblicano di Ancona. Alla presenza di circa 600 persone, repubblicani, anarchici e socialisti, parlano il segretario della Camera del Lavoro, Pietro Nenni, Pelizza, Errico Malatesta per gli anarchici e Marinelli per i giovani repubblicani. Dalla villa si decise di muovere verso la vicina piazza Roma dove si stava tenendo un concerto della banda militare. La forza pubblica, volutamente distribuita su due ali in modo da bloccare l'accesso alla piazza e far defluire in fila indiana verso la periferia della città la folla, dopo aver avvisato i manifestanti con ripetuti squilli di tromba, iniziò a picchiare indiscriminatamente, mentre dai tetti e dalle finestre delle case furono lanciati pietre e mattoni. Alcuni colpi di pistola vennero esplosi: secondo i dimostranti da una guardia di pubblica sicurezza, mentre i carabinieri sostenevano che fossero partiti dalla folla. A seguito di questo, i carabinieri aprirono il fuoco: spararono circa 70 colpi. Tre dimostranti furono uccisi: Antonio Casaccia, di 24 anni, e Nello Budini, di 17 anni, entrambi repubblicani, morirono all'ospedale, mentre l'anarchico Attilio Gianbrignoni, di 22 anni, morì sul colpo. Vi furono anche cinque feriti tra la folla e diciassette tra i carabinieri. Un'ondata di indignazione si sparse subito per tutta la città, mentre le forze di polizia si tenevano cautamente distanti. Il Comitato Centrale del Sindacato dei Ferrovieri era riunito ad Ancona e su proposta di Errico Malatesta dichiarò lo sciopero di categoria, che per motivi organizzativi iniziò il 9 giugno, in concomitanza dei funerali dei manifestanti che tuttavia si svolsero in maniera abbastanza tranquilla, e in alcune regioni solo il 10. In Romagna, dove il movimento repubblicano e quello anarchico erano una componente fondamentale delle sinistre, la rivolta assunse un carattere decisamente rivoluzionario: chiese e i palazzi del potere vengono assaltati e incendiati, un generale viene fatto prigioniero, in alcune piazze viene eretto l’albero della libertà, ripreso direttamente dalla rivoluzione francese. I dimostranti bloccano le linee ferroviarie, tagliano i fili telefonici e telegrafici e abbattono i pali per impedire lo spostamento delle truppe e le comunicazioni e quindi l’organizzazione della repressione. Interrotta la distribuzione dei giornali, le false notizie circa il successo della rivoluzione aumentano ancora di più l’entusiasmo degli insorti. Il 12 giugno, l’anarchico Errico Malatesta, tra i principali protagonisti della rivolta di Ancona, scrive su «Volontà»:« Non sappiamo ancora se vinceremo, ma è certo che la rivoluzione è scoppiata e va propagandosi. La Romagna è in fiamme; in tutta la regione da Terni ad Ancona il popolo è padrone della situazione. A Roma il governo è costretto a tenersi sulle difese contro gli assalti popolari: il Quirinale è sfuggito, per ora, all’invasione della massa insorta, ma è sempre minacciato. A Parma, a Milano, a Torino, a Firenze, a Napoli agitazioni e conflitti. E da tutte le parti giungono notizie, incerte, contraddittorie, ma che dimostrano tutte che il movimento è generale e che il governo non può porvi riparo. E dappertutto si vedono agire in bella concordia repubblicani, socialisti, sindacalisti ed anarchici. La monarchia è condannata. Cadrà oggi, o cadrà domani, ma cadrà sicuramente e presto». I moti dalle Marche e dalla Romagna, si propagarono in Toscana ed in altre parti d'Italia. Lo sciopero generale durò un paio di giorni, la successiva mobilitazione dell'esercito 10 l'Italia in una Regione convinse il sindacato ad abbandonare la lotta. Il moto rivoluzionario andò esaurendosi dopo che, per una settimana, aveva tenuto in scacco intere zone del paese. «Furono sette giorni di febbre durante i quali la rivoluzione sembrò prendere consistenza di realtà, più per la vigliaccheria dei poteri centrali e dei conservatori che per l'urto che saliva dal basso... Per la prima volta forse in Italia colla adesione dei ferrovieri allo sciopero, tutta la vita della nazione era paralizzata.» Alla fine dello stesso mese, il 28 giugno 1914, l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo sposterà l’attenzione italiana sulle dinamiche europee che porteranno alla prima guerra mondiale, contrapponendo interventisti e neutralisti, fino all’ingresso in guerra nel maggio 1915. La Settimana rossa, in particolare nelle zone dell’anconetano e del ravennate, lascerà una traccia profonda nell’immaginario popolare come un momento in cui il proletariato aveva unitariamente dato prova della propria combattività, arrivando a sfiorare per un fugace attimo l’ebbrezza della rivoluzione sociale. Pietro Nenni, qualche tempo dopo, disse che a volere l'eccidio a tutti i costi era stata la polizia di Ancona, che lo aveva provocato e premeditato in combutta con le forze reazionarie. La rivolta fallì a causa della mancanza di unità: non c'erano organizzazioni in grado d'incanalare le forze e dare loro un programma. SI RAGGIUNGE CORSO GARIBALDI FINO A GIUNGERE A PIAZZA CAVOUR PIAZZA CAVOUR. Vasto e arioso spazio costellato di aiuole, palme e tigli, vivacizzato dai colori e dalle voci dei venditori ambulanti che quasi ogni giorno lo popolano con le loro bancarelle. Nel centro svetta il monumento a Cavour di Aristoderno Costoli (1868), nel cui basamento sono i bassorilievi con il Congresso di Parigi (1856) e la Proclamazione del regno d'Italia (1861). Contiguo a piazza Cavour è largo XXIV Maggio, sul quale si fronteggiano il palazzo del Municipio (1931), sulla sinistra, e quello delle Poste e Telecomunicazioni (1926), dell'architetto anconitano Guido Cirilli, entrambi realizzati all'interno del piano urbanistico di ampliamento urbano verso il Passetto realizzato in epoca fascista. DA PIAZZA CAVOUR SI PRENDE IL BUS CHE CONDUCE AL PAESE DI POGGIO. DA QUI SI IMBOCCA IL SENTIERO 301 PER EFFETTUARE LA TRAVERSATA DEL PARCO DEL CONERO. 11 l'Italia in una Regione TRAVERSATA DEL CONERO ( sentiero n. 301 ) Tempo di percorrenza: 4 ore (solo andata) Difficoltà : Intermedia Itinerario : partendo dalla frazione Poggio( a fianco dell’ Osteria del Poggio) prendere la strada sterrata che salendo nel bosco arriva a Pian Grande, punto panoramico dal quale si può godere una bellissima vista su Portonovo. GIACOMO LEOPARDI Giacomo Leopardi (Recanati, Macerata, 1798 - Napoli 1837), di nobile e decaduta famiglia, culturalmente retriva, cresce nella ricchissima biblioteca della casa avita studiando indefessamente, scrivendo precocemente opere erudite (Storia dell’astronomia, 1813; Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, 1815) e traducendo dal greco. La sempre malferma salute e la depressione psicologica ne aggravano la visione pessimistica del mondo, della natura e dell’uomo. Nel 1822 è a Roma, che lo delude; poi a Milano, a Bologna, a Firenze (dove incontra il Manzoni) e a Pisa; infine a Napoli. Voce lirica tra le maggiori d’ogni tempo, compone idilli e canzoni (tra le maggiori: All’Italia, 1818; Ad Angelo Mai, 1920; La sera del dì di festa, 1820; A Silvia, 1828; Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, 1829; La ginestra, 1836). In prosa sono le Operette morali 12 l'Italia in una Regione (1827), le 4525 pagine dello Zibaldone, steso tra il 1827 e il 1832, e i Pensieri, incompiuti e postumi. (http://www.treccani.it/magazine/strumenti/una_poesia_al_giorno/06_24_Leopardi_Gia como.html) L'infinito Composto nel 1819 e pubblicato nel 1825, il primo degli ‘idilli’ è anche la più famosa poesia leopardiana, Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare. DA QUI IL PERCORSO SI BIFORCA: SULLA DESTRA CONTINUA IL SENTIERO PRINCIPALE CHE ATTRAVERSO IL BOSCO GIUNGE A PIAN RAGGETTI, ALTRIMENTI PROSEGUENDO DIRITTI, SI PROCEDE SU DI UN PICCOLO SENTIERO CHE DOPO AVER SUPERATO UNO SPETTACOLARE PUNTO PANORAMICO SUL MARE, SBOCCA SU DI UNA STRADA ASFALTATA CHE PORTA ALL’EX CONVENTO DEI CAMANDOLESI OGGI SEDE DI UN RINOMATO HOTEL. DA PIAN DEI RAGGETTI SI PUÒ PROSEGUIRE PER IL SENTIERO PRINCIPALE OPPURE SALIRE A SINISTRA SU DI UNA STERRATA CHE, PASSATE LE ISCRIZIONI RUPESTRI (INCISIONI SULLA PIETRA RISALENTI AL PALEOLITICO), SI RICONGIUNGE AL SENTIERO. DALL’EX CONVENTO DEI CAMANDOLESI IL SENTIERO PROSEGUE ADDENTRANDOSI NEL BOSCO FINO AD UN BELVEDERE CON VISTA SULLA SPIAGGIA DELLE DUE SORELLE. DA QUI, SI DISCENDE ATTRAVERSO RIPIDI TORNANTI FINO AD ARRIVARE ALLA DEVIAZIONE PER LA GROTTA DEL MORTAROLO, CONTINUANDO IL SENTIERO SI ALLARGA IN UNA STRADA STERRATA. AD UN TRIVIO SI PRENDE LA CARRARECCIA DI CENTRO CHE SCENDE VERSO IL CIMITERO ED IN BREVE GIUNGE A SIROLO. SIROLO. Intorno all’anno mille, di fronte alle scorrerie e dei barbari e alle necessità di difendersi, Sirolo acquistò la propria identità di rocca fortificata, con impianto viario a graticcio, vicoli e torri. Per difendersi dai barbari, i sirolesi costruirono anche una serie di gallerie sotterranee che formavano 13 l'Italia in una Regione una vera e propria città nascosta in cui si viveva continuando a svolgere commerci nascosti. Sirolo fu nel Medioevo uno dei più importanti centri d'incontro dei movimenti francescani e di tutti quegli ordini monastici che auspicavano il ritorno della Chiesa allo spirito originario del Vangelo e che, perseguitati, si rifugiarono a Sirolo e sul Conero. Feudo dei conti Cortesi, nel 1225 questi cedettero la città e tutti i loro castelli ad Ancona in cambio dell'iscrizione alla nobiltà anconetana. Nonostante eventi naturali catastrofici il Castello di Sirolo restò inespugnato per tutto il Medioevo. Il castello si diede statuti di autogoverno sin dal 1465 e tale libertà durò fino alla fine del '600, cui seguì la dominazione pontificia. Sirolo conserva ancora oggi le sembianze assunte nel medioevo, il castello, le torri e le mura ci fanno credere che il tempo non sia mai passato e che riviva ancora l’antica atmosfera medievale. Il paese, con le sue vie e i suoi vicoli, si sviluppa oggi fuori della cinta medievale, da una bella strada che dalla piazza porta all’ ultima periferia della città, alle vigne, che oggi come secoli fa, toccano le porte delle case. 14