QUARESIMA
2013
scheda
SANTI ! SI PUO’…
MERC.
di inizio 13 febbr.
don Bosco insegnò a farsi
santo Domenico Savio.
Una scintilla che gli infiammò il cuore
Dopo aver dato qualche notizia sul suo studio, parlerò della sua
grande decisione di farsi santo.
Domenico dimorava all'Oratorio da sei mesi, quando ascoltò
una predica sul modo facile di farsi santo. Il predicatore espose tre
pensieri che gli fecero grande impressione: è volontà di Dio che
tutti ci facciamo santi; è assai facile riuscirvi; un grande premio è
preparato in cielo per chi si fa santo.
Per Domenico quella predica fu come una scintilla che gli infiammò il cuore. Per qualche giorno non disse nulla, ma era meno allegro del solito. I suoi compagni se ne accorsero, e me ne
accorsi anch' io. Temendo che ciò provenisse da un nuovo
peggioramento della sua salute, gli domandai:
- Patisci qualche male?
- Anzi, patisco qualche bene - rispose scherzado.
- Cosa vuoi dire?
- Voglio dire che sento un
grande desiderio, un vero bisogno di farmi santo. Io non
credevo di potermi far santo
con tanta facilità. Ma ora che
ho capito che si può diventare
santi stando allegri, voglio assolutamente, ho assolutamente
bisogno di farmi santo. Mi dica
come devo comportarmi per
cominciare sul serio.
Lodai la sua decisione, ma
lo pregai di non perdere la calma, perché quando non si è
nella pace non si può conoscere la volontà del Signore. Gli
dissi che prima di tutto doveva conservare un' allegria serena e
costante. E poi doveva compiere ogni giorno i suoi doveri verso
Dio e verso i suoi insegnanti che gli davano lezioni e compiti. E gli
raccomandai di non trascurare mai la ricreazione: giocare ogni
giorno allegramente con i suoi compagni era cosa gradita a Dio.
Un giorno gli avevo detto di pensare al regalo che più desiderava: glielo avrei procurato. Rispose subito: «Mi aiuti a farmi santo. È questo il regalo che voglio. Io desidero darmi tutto al Signore, per sempre. Sento un grande desiderio di farmi
santo, se non mi faccio santo non faccio niente. Dio mi vuole santo e io devo compiere la sua volontà ».
primi miracoli di Domenico Savio:
Antonietta (o Antonina) Micelli in Maglietta, residente a Lecce con marito e
quattro figli, è colpita da una gravissima forma di sinusite frontale e mascellare, che risultata ribelle ad ogni terapia, eliminabile solo con un problematico intervento chirurgico, peraltro doloroso e rischioso. La sera precedente
l’operazione (è l’8 marzo 1950), la donna, spossata da sofferenza ed ansia,
scorge per caso su una rivista illustrata portata in casa del marito, la figura di
Domenico Savio. L’inferma si commuove, implora il beato perché la salvi e
gli si affida nella preghiera. All’improvviso si addormenta (dopo giorni di insonnia e di sofferenze) ed all’alba si sveglia di colpo in preda al panico: non
riesce a respirare, si sente soffocare, avverte tra naso e gola un corpo estraneo. D’un tratto esce dalla bocca e cade sul lenzuolo “un pezzo solido cretaceo” grosso come una noce che la libera dal male. La donna si riaddormenta. E’ il 9 marzo giorno esatto della morte di Domenico Savio.
.
Il secondo miracolo avviene invece a Maglie, grosso centro della provincia di
Lecce, ove vive con il marito e sei figli Maria Porcelli in Gianfreda. E’ la sera
del 23 marzo 1950 e la povera donna è in fin di vita per una gravissima forma di emorragia interna, apparsa dopo vari disturbi e malesseri nelle settimane precedenti. Occorrerebbe un immediato intervento chirurgico, ma è
ormai troppo tardi. La situazione è disperata. In quel frangente, il medico
curante si rende conto che la medicina è impotente e si aggrappa alla fede.
Ricorda di aver visto un’ immagine di Domenico Savio neo-beato e di averne
letto la vita, perciò lo invoca ed invita i presenti a pregare per la guarigione.
E la preghiera ottiene il miracolo. Nel corso della lunga notte l’inferma migliora e la mattina del 24 marzo 1950 viene giudicata clinicamente fuori pericolo,
anche qui per cause ignote alla scienza.
C’è un fortissimo legame fra Domenico Savio ed il Salento perché, per proclamarlo Santo, la Chiesa ha tenuto conto
di due prodigi compiuti in favore di due mamme leccesi.
A Lecce, nel cuore del Salento, c’ è dunque la Chiesa dedicata a san Domenico Savio, elevata a Basilica Minore dal
Papa Giovanni Paolo II.
Trattenemmo il fiato. A nessuno di noi venne in testa di dire: «
Andiamo giù ad aiutarli ». Eravamo paralizzati, resi immobili da
quella scena.
E poi Nello, deposto delicatamente Beppe su di un cuscino di rami, preparato in fretta, si lasciò cadere a terra stremato.
- Ma Nello, perché? - Un interrogativo sugli occhi di tutti.
- Ma finitela! Mica era pesante... È mio fratello.
+ breve filmato:
sogno dei 9 anni (dura 4’ 30”) (versione moderna)
Giovannino Bosco comprende
che può impegnare la sua vita per gli altri.
In quel libro c'è tutto, c'è anche la storia di Beppe.
Il giorno prima della partenza va a ruzzolare con la sua potente
moto. Gamba ingessata, dolore, rabbia per non poter partire.
Così la pensavamo noi. Ma ecco che alla stazione di Palermo ce
lo vediamo arrivare, pochi minuti prima del fischio del capostazione, appoggiato ad una stampella e al braccio di papà.
Stralunammo gli occhi. Ebbi un tuffo al cuore. E allora? Mi posi
mille interrogativi:
- Come farà a seguirci tra i boschi? Come salirà le alture che
avevamo fissato per i nostri incontri di preghiera? Come verrà
alle gite programmate... con un discreto chilometraggio a piedi?
Un grido, un urlo, cinquanta teste emergono dai finestrini del
treno:
- Beppe, Beppe! Beppe! Beppe!
Altro che « Beppe ! ». E chi se lo carica in spalla con i suoi ottanta chili e passa? Ma sottovalutavo la bontà, la generosità, lo spirito di sacrificio di quei cinquanta giovani del gruppo di animazione cristiana.
Era una gara a caricarselo in spalla, a fabbricare barelle per
trascinarlo per i boschi, a inventare modelli strampalati di carrozzelle per farlo partecipare alle gite.
E Beppe ogni giorno con gli occhi sempre più lucidi di commozione e di infinita riconoscenza...
Ma un giorno dovevamo andar su, sul Monte Scirocco, a 1.800
metri: sentieri impossibili, valanghe di pietra friabile, rocce, pochi ciuffi a cui aggrapparsi.
Guardavo atterrito quella montagna, guardavo Beppe, i suoi
occhi ansiosi e rassegnati. Ma capì. Non disse nulla. Ingoiò la sua
tristezza. Ci inerpicammo su per Monte Scirocco. Qualcuno col
pensiero tornava al Rifugio Don Bosco, a Beppe, alla sua nostalgia
di montagne, di camminate...
Ansanti, impolverati, col fiatone grosso toccammo la vetta.
Spettacolo impagabile, stupendo: lo stretto di Messina, i monti
Peloritani, l'Etna fumante stagliata nell'azzurro sbiadito di un
cielo opaco e bello.
- Don Franco! ... Don Franco..., guardi giù, c'è Nello che porta
sulle spalle Beppe.
Trasalii. Guardai stralunato. Da un sentiero nascosto tra i
boschi era apparsa una scena da brivido. Nello, alto, magro,
ossuto, grondante sudore, fatica, tensione, si trascinava verso
la vetta con Beppe sulle spalle.
giovedì 14 febbraio
Ci vuole stoffa e un sarto.
(primo incontro di don Bosco con Domenico Savio)
Nel 1854 fu proprio don Cugliero a venirmi a parlare di questo suo allievo
così particolare. Gli assicurai che avrei incontrato volentieri Domenico a Morialdo, in occasione delle mie passeggiate autunnali quando ritornavo al mio
paese con i ragazzi da Torino.
Ricordo: era il primo lunedì di ottobre e di buon mattino arrivò Domenico
accompagnato da suo padre. "Chi sei? E da dove vieni?".
Si presentò e mi parlò di lui, della sua provenienza e delle sue origini.
Lo chiamai in disparte e gli chiesi se avesse intenzione di studiare. Entrammo
immediatamente in una grande confidenza reciproca. Rimasi affascinato dalla
sua capacità di ragionamento e di dialogo. Dopo un lungo discorso, mi domandò: "Allora, che gliene pare? Mi porterà a studiare a Torino?".
"Beh, direi che sei una buona stoffa", gli risposi.
E lui: "A che può servire questa stoffa?".
"A fare un bell'abito da regalare al Signore", spiegai.
"Allora io sono la stoffa e lei sarà il sarto: mi prenda con sé e mi faccia diventare
un bell'abito per il Signore!", replicò deciso.
"Temo solo per la tua gracilità di salute. Ce la farai?", chiesi io.
"Non abbia paura, don Bosco: il Signore mi ha dato finora salute
e grazia, mi aiuterà anche in futuro", aggiunse Domenico.
"Ma dopo aver studiato latino, cosa vorrai fare?".
"Se il Signore vorrà, vorrei diventare prete".
Così, a soli 12 anni, manifestò la sua vocazione con semplicità e
decisione. Decisi di dargli un'opportunità. "Proviamo se hai abbastanza capacità per lo studio. Ora vai pure a giocare con gli altri. Ma entro stasera
leggi una pagina di questo libro e torna a recitarmela, va bene?".
E mentre Domenico si allontanava con il mio fascicolo delle "Letture Cattoliche",
mi misi a chiacchierare un po' con suo padre.
Dopo neppure otto minuti, Domenico tornò e mi ripeté la pagina a memoria
spiegandomene il significato.
Questa sua prova di intelligenza e di impegno sciolsero ogni mio dubbio:
"Va bene, ti porterò con me a Torino, nella mia Casa. Vediamo se riusciamo a
fare santa la mia e la tua vita".
Domenico, sorpreso e tutto contento, mi baciò ripetutamente la mano e mi
promise che non mi avrebbe mai dato dispiaceri per la sua condotta. E così fu.
Questo è il famoso primo incontro con don Bosco.
Gli incontri non avvengono mai per caso. Solo che sta a noi
decidere che farne. Don Bosco decide di fidarsi di un ragazzo.
Domenico decide di affidarsi a un prete.
Nascerà un'amicizia eterna, perché entrambi santi. Ma nessuno
dei due lo sapeva quel 1 ottobre 1854.
Così come nessuno di noi sa cosa sarà di quegli incontri che
facciamo ogni giorno. Sono semi di meravigliosi fiori e di splendidi frutti, ma sta a noi scegliere se piantarli oppure no.
Scuola e amici (prima ancora di venire con don Bosco)
I genitori di Domenico avrebbero voluto esaudire il suo
grande desiderio di continuare a studiare. Ma le condizioni economiche non lo permettevano. "Se fossi un uccello", disse loro
un giorno Domenico, "vorrei volare mattina e sera a Castelnuovo per continuare le mie scuole".
Tanto amore per lo studio lo portava a fare, senza lamentarsi, la lunga strada che da casa lo conduceva a scuola, per
non saltare mai la lezione, anche nelle giornate di cattivo tempo.
Un giorno un vecchietto lo vide camminare, come tante altre
volte, sotto un vento tremendo e gli domandò:
"Ma non hai paura di camminare tutto solo per queste strade e
con questo tempaccio?".
E Domenico, sorridendo: "lo non sono solo: ho l'angelo custode che mi accompagna!".
"Sì, va bene, ma comunque è una strada malmessa...", insistette il vecchio.
Domenico, prontamente: "Nulla si fa provando pena e fatica, quando il padrone ti fa guadagnare molto!".
"E chi è il tuo padrone?".
"Dio creatore, è lui! Ci ripaga bene anche per un solo bicchier
d'acqua dato per amor suo!".
Sicuro e deciso quando parlava di Dio, Domenico lo era altrettanto quando doveva dire no ai compagni che lo invitavano a fare giochi pericolosi o maleducati.
Ci sono delle vecchie baracche militari in vendita. I «compagni di
Emmaus » le comprano, le smontano, le rimontano nel cortile
della loro casa. Ora c'è un po' più di posto per i tanti che arrivano. Alla domenica, nella riunione in cui tutti hanno «voce in
consiglio», si decidono i lavori da farsi.
- Padre, siamo stati sfrattati. Potete aiutarci?
È un uomo giovane quello che sta davanti a lui. Un operaio che
lavora, che pagava il suo affitto. Ma il padrone ha deciso di riprendersi l' alloggio. Tornando dal lavoro ha trovato sul marciapiede la sposa, i tre bambini, i suoi vecchi, i letti e le casseruole. Non sa dove sbattere la testa.
- Venite da noi - risponde l'Abbé.
La casa è strapiena, ma c'è una piccola stanza che fa da
cappella. L'Abbe Pierre toglie l'altare, vi mette il gas e l'acqua, piazza i letti. Poiché i cristiani di Parigi non hanno voluto far posto a una mamma senza tetto, nostro Signore lo farà lui.
Ora il lavoro dei « compagni di Emmaus » è uno solo: preparare case per chi non ne ha. Metà di essi fanno gli straccivendoli, girano a raccogliere stracci, robe vecchie, immondizie, le selezionano e le vendono.
venerdì 22 febbraio
BEPPE E UNA GAMBA ROTTA
‘Ma Nello, perché?
- Mica era pesante… E’ mio fratello!’
Dicono che i momenti più belli di una gita sono quando si parte e
quando si ritorna. Ma per Beppe questo non valeva. Aveva tanto sognato la partenza per Gambarie sulle alture dell'Aspromonte con cinquanta suoi amici dell'oratorio Salesiano di Palermo.
Un campo della fraternità, un'esperienza importante, scioccante. Ne è venuto fuori un libro ricco di nostalgia, di cose belle, di
mille pensieri per un passato inerte e l'esplosione gioiosa di mille
promesse per un futuro pieno di speranza: Gambarie, campo
della fraternità.
Poi Henri. che aveva undici anni, disse:
- Papà, vorrei diventare prete. Che ne dici?
Papà continuò a camminare in silenzio, poi: - Ci costerà
molto... Ma saremo molto fieri, tua madre ed io!
A 18 anni, Henri girò tutta una notte per le stradette di Assisi,
con la vita di S. Francesco sotto il braccio. Al mattino aveva
deciso: donò tutta la sua eredità ai poveri ed entrò tra i
Cappuccini. Vi restò otto anni, poi, con il permesso del Papa,
uscì dal convento. Povero lo era stato in quegli otto anni, ma
non era stato vicino ai poveri. E lui voleva passare la vita al
loro servizio.
Una mattina d'ottobre, nel 1947, gli abitanti di NeullyPlaisance sono tutti alle finestre, a guardare sbalorditi. Sopra il tetto di un grande palazzo, diroccato a metà per i
bombardamenti, c'è il prete-deputato che fa il muratore. Sostituisce i pali bruciacchiati, porta a spalle pile di tegole
nuove, rimette a posto i camini.
Quella grande casa, comprata con il suo stipendio di deputato. e rimessa in sesto durante l'inverno, è pronta nella primavera del 1948. Sulla griglia del cancello c’ è scritto: EMMAUS.
Sarà il rifugio dei disoccupati, degli scoraggiati. Dove si
potrà dire: «Restate con noi, che si fa tardi».
Il primo che bussa alla sua porta è un uomo taciturno. Ha
fatto vent'anni di prigione. Ora che è stato liberato si trova
così solo che è tentato di aprirsi le vene.
«Resta con me, mi aiuterai». E tendendogli le sue povere mani screpolate dalla calce: «Le mie mani non ne possono più.
Insieme faremo delle belle cose».
Poi arriva un ragazzo di quindici anni, scappato da una prigione per minorenni. E otto giorni che vaga, e non sa dove andare a dormire. Mentre dorme, l'Abbé regola il suo caso in cinque minuti, al telefono. «Se ve ne incaricate voi - gli dice il
giudice - chiuderò un occhio ».
Il terzo è «Gibuti », un ex-combattente d'Africa. Arriva mentre l'Abbé scarica dei letti di ferro dalla sua auto. «Mi dai una
mano?» gli domanda l'Abbé. E «Gibuti » rimane con lui, non
come «ricoverato», ma «per dare una mano».
Bambini e casseruole sui marciapiedi
Poi arrivano decine di altri. L'Abbé vive con loro, come loro. Stessa
minestra, steso pane, stesso bicchiere di vino, stesso lavoro.
Al suo abituale "no, perché la mamma non vuole", una volta
alcuni ragazzotti lo presero in giro. E lui, di rimando: "Adesso
vado dalla mamma e le chiedo il permesso...".
Gli altri lo attaccarono: "No, che non devi andarci, è ovvio
che lei ti dirà di no!".
"Se mia madre non mi lascia - rispose Domenico - allora significa che la cosa non va fatta. E se voi invece la fate lo stesso, sapendo che i genitori non vogliono, sapete già che non dovreste farla, per non dare dispiacere ai genitori e al Signore!".
Così li convinse a desistere dalle loro cattive intenzioni.
venerdì 15 febbraio
DI NOME E DI FATTO
(parlando con don Bosco)
Parlando del significato di alcune parole, un giorno Domenico mi chiese cosa significasse il suo nome.
"Vuol dire: del Signore - risposi. - Viene dal latino Dominus,
che significa Signore".
"Perfino il mio nome dice che io sono suo. Quindi, devo
farmi santo per essere davvero suo", mi rispose.
Gli dissi che, oltre ad essere sempre allegro, per diventar
santo avrebbe dovuto aiutare anche i compagni ad incontrare
Dio.
Domenico prese al volo questo mio suggerimento, tanto che
non avrei abbastanza carta per scrivervi quante volte e in
quali modi si impegnò a convincere i ragazzi difficili a cambiare vita o a farsi un esame di coscienza.
E lo faceva non con l'autorità del comando, ma con i consigli e con le parole giuste, a volte anche sdrammatizzando e
volgendo la situazione un po' sul ridere, per poi farli ragionare sul serio.
Altre volte convinceva gli amici a pregare con lui o ad andare in chiesa. In più di un caso bloccò sul nascere le risse
e evitò brutte conseguenze ai ragazzi che non dimostravano
abbastanza cervello.
A chi gli chiedeva perché si desse tanto da fare con persone
su cui altri non avrebbero scommesso un centesimo, replicava:
"Certo che m'interessa! Tutte le anime di tutti i miei compagni
sono di Gesù Cristo e a lui devono tornare sane e salve. Io
devo aiutarle a salvarsi, così come ho bisogno anch'io di essere salvato da loro".
Anche durante le brevi vacanze che trascorreva in famiglia,
continuava questa azione di convincimento con i compagni
che incontrava. Con loro entrava in sintonia subito, grazie al
suo carattere gioviale e ai suoi bei modi di fare. Con la sua
allegria spontanea riusciva a coinvolgerli in divertimenti sani
e a fermarsi al momento giusto se prendevano una brutta
piega.
Aveva "sperimentato" e "perfezionato" una tecnica speciale
per stare con i ragazzi "difficili" o ostili. Si avvicinava, passeggiava con loro, iniziava a giocarci e a parlare fino ad arrivare al nocciolo della questione che voleva affrontare. A
quel punto, i compagni erano conquistati dai suoi modi e
poteva trasmettere le idee che desiderava. Era naturale che lo
cercassero per un aiutino a scuola o per raccontargli i loro problemi personali. E tutti trovavano in Domenico un attento
ascoltatore e un fidato consigliere. In una sola parola, un amico.
+ breve filmato:
Domenico Savio (dura 5’)
… riprendere questo invito di don Bosco a farsi santi ...
giovedì 21 febbraio
L’ ABBE’ PIERRE: UN UOMO, UN PRETE.
l’ Abbé Pierre, un sacerdote francese che ha scelto
di stare con gli ultimi e lavorare per i poveri.
Chantilly. In un vasto circo stipato di persone, la Radio-TV
francese sta svolgendo il suo « Lascia o raddoppia». Davanti
al microfono è un piccolo prete dalla barba nera, con un
giubbone di pelle sdrucito.
- Per duemila franchi ditemi: quanti deputati ci sono alla Camera? Perché sorridete?
- Perché sono deputato anch'io: siamo in 600.
- Per quattromila franchi, che significa F.A.O.?
- Food and Agriculture Organization.
- Per ottomila franchi…
Le domande si susseguono, e il piccolo prete riflette, poi risponde con calma. Le cifre salgono: 256.000 franchi, il prete si ferma. Non raddoppia più.
- Che ne farete di questo denaro, Reverendo? - gli domanda
il presentatore.
- Comprerò un camion per i miei compagni, i cenciaiuoli di
Emmaus.
È la prima volta che i telespettatori francesi sentono parlare
dell'Abbé Pierre e dei suoi « compagni di Emmaus ». Ma non
sarà l'ultima.
Una valigia ed un rasoio
Venticinque anni prima il signor Grouès, un ricco fabbricante
di scarpe, invitava ogni domenica il suo piccolo Hen ri ad accompagnarlo. Camminava fino alla « cité Rimbaud ». Qui papà
deponeva la sua piccola valigia, mandava Enrico a prendere acqua, tirava fuori i ferri del barbiere e per ore e ore radeva la
barba ai poveri di Parigi, con immensa delicatezza.
Un giorno un povero straccione si lamentò che il rasoio
«tirava» troppo,che era una vergogna far la barba ai poveri con dei ferri vecchi. Papà Grouès gli domandò scusa, e prima di riprendere a rasare affilò a lungo il rasoio.
Sulla strada del ritorno disse al piccolo Henri:
- È difficile essere degni di aiutare coloro che soffrono.
Camminarono ancora a lungo, in silenzio.
mese, da non poterne più. E ogni sera tornava all'oratorio, mi
cercava e con tanta stanchezza addosso, mi porgeva una busta:
- Prenda, ci sono diecimila lire... ecco cinquanta... tre mila...
oggi pochini: mille...
Altre sere, un sacchetto di plastica: « Latte in polvere per i
bambini... un po' di pasta, mi hanno dato solo que sta».
Poi, man mano che le notizie del terremoto passavano in
seconda, in terza pagina dei giornali, poi ridotte a un trafiletto da ultima pagina, sempre più sbiadito, aggrovigliato dai
primi scandali e dalle prime truffe, le offerte si assottigliavano e
Roberto diveniva sempre più triste.
Una sera tornò stanco, sfiduciato, occhi gonfi di lacrime. Lo
avevano picchiato, insultato, preso per ladro e profittatore, speculatore delle miserie altrui. Qualcuno lo aveva denunziato. Poi
si chiarì tutto e lui continuò fino al giorno in cui si presentò all'oratorio stringendo un sacchettino di noci.
- Ho raccolto solo queste, ai bambini piaceranno- scoppiò a
piangere.
- E perché, Roberto?
- Sono stanco, ma non vorrei mollare. Quella gente lì ha bisogno e se non ci pensiamo noi ragazzi…
Quando i terremotati andarono via dall'oratorio salesiano di
Palermo, vollero dir « grazie » a Roberto. Si organizzò una festicciola in teatro. C'era tanta gente, c'erano i beneficiati da Roberto, quel Roberto che in un mese aveva raccolto tra i suoi amici oltre un milione e tanta grazia di Dio.
Gli attaccarono una medaglia d'oro al petto. Lui guardava con
occhi stralunati, non sapeva capacitarsi, diveniva rosso, tremava di emozione... Ci doveva essere uno sbaglio!
- Roberto - gli ho chiesto a fine cerimonia - chi te lo ha fatto
fare? Perché tanti sacrifici?
Roberto mi guardò fisso, quasi a rimproverarmi. Io mi sentii
un povero imputato per ignoranza...
- Ma come? Non ha detto lei tante volte che nei poveri c'è Gesù?... Ma perché mi fa queste domande?... Ma io lei non la capisco!
+ filmato: GLI ABETI (dura 4’ 40’’)
… insieme per gli altri...
1a settimana
di quaresima
SANTI ! SI PUO’…
ogni giorno esempi di vita che ci invitano a fare qualcosa di grande
per il Signore e per i nostri compagni.
martedì 19 febbraio
ALFIO E LA MADONNINA MUTILATA
Maria sia presente nella nostra vita:
‘Gesù e Maria siate voi sempre gli amici miei’ (Domenico Savio)
È sul mio tavolo da lavoro da anni. Me la porto sempre dietro. Ad ogni
mio trasferimento di oratorio in oratorio, la imbottisco di carta, di
stracci, e delicatamente la depongo in fondo ad una valigia: ne voglio
garantire la sopravvivenza, un ricordo lontano.
Una statuetta della Madonna Immacolata: ha la testa staccata dal collo. Una sporca colla da falegname la riattacca al resto del corpo.
L'ho raccolta da terra, ai piedi di un letto dove un bambino di otto anni
moriva di leucemia: il piccolo Alfio l'aveva lasciata cadere, quando le
sue mani si erano allentate nel riposo della morte.
Era fra i più piccoli del nostro oratorio salesiano di Caltagirone. Timidissimo, pallido, un luminoso sorriso. Sapevamo tutti che Alfio era
ammalato, ma nessuno pensava a qualcosa di grave. Gli volevamo bene, come si può voler bene a chi porta nel cuore uno sprazzo di Cristo
sofferente.
A quei tempi si facevano le premiazioni delle presenze in oratorio. Ad
ogni attività religiosa e catechistica a cui si era presenti, corrispondeva
un bollino timbrato nel libretto dell'oratorio. E a chi più ne aveva, toccava un regalo più ricco. Alfio aveva pochi bollini: troppe assenze, lunghi
vuoti di presenza. Spesso veniva la mamma con una profonda eco di
lacrime sul volto:
- Deve scusare se Alfio non viene.. sta male, tanto...
Si fece la premiazione a fine anno sociale: teatro gremito di oratoriani, palco ricchissimo di doni, una grande e impaziente attesa da parte di tutti. Ognuno fissava lo sguardo su quello che poteva essere il
suo regalo, se qualche altro non lo avesse soffiato prima. Ognuno poteva scegliere a piacere.
Alfio metteva nel cuore, con i suoi occhioni tristi, una bella Madonnina Immacolata, dal manto azzurro, dal volto soffuso di immensa dolcezza. La statuetta era stata benedetta da
don Renato Ziggiotti, 5° successore di don Bosco, venuto a visitare il nostro oratorio.
- Mamma, quanto è bella! - aveva detto Alfio.
E io avevo proclamato solennemente: - Andrà al migliore, al
più in gamba.
Parlavo a quella massa ansiosa di ragazzi, invitavo a scegliere... Ad un tratto vedo Franco mettersi vicino alla scaletta
che portava sul palco, quasi accanto a me. Lanciava sguardi
significativi ai suoi amici. Non capivo, non riuscivo a capire...
non mi rendevo conto. Poi cominciai a capire e a fremere di
commozione. I premiati salivano sul palco, i loro sguardi erravano qua e là in cerca del dono, ma nessuno osava posare la
mano e direi il desiderio sulla statuetta che se ne stava lì, come in attesa.
Salirono sul palco tanti ragazzi: palloni, pattini, racchette da
tennis, posters giganti... tutto andava via, ma la statuetta
della Madonna era ancora sempre là.
Poi ecco il piccolo Alfio, quasi incredulo. Tutti gli occhi si puntarono su di lui: non sperava tanto, non avrebbe mai sognato...
Alfio prese la sua Madonnina, la strinse al cuore e le stampò, così dinanzi alla commozione di tutti, un bacio. Fu un
brivido di gioia e di pianto.
Poi Alfio si pose a letto. Non si alzò più.
Andavo a trovarlo. La statuetta della Madonnina era sul tavolino di fronte al letto. La guardava spesso, le sorrideva, le parlava. E lei rispondeva dandogli coraggio e forza.
In un'alba di primavera, Alfio gridò alla mamma: - La Madonnina... la Madonnina...
La mamma gliela pose sul letto: egli l' afferrò in uno spasimo
di dolore, poi restò fermo nella immobilità della morte. E la statuetta cadde a terra, la testa si staccò dal collo... rimase così
per alcune ore.
Poi andai a trovare Alfio. Passai da un falegname che riattaccò
la testa alla statuetta.
E adesso la Madonnina è là, a ricordarmi di Alfio e del meraviglioso cuore dei suoi amici di Oratorio.
mercoledì 20 febbraio
ROBERTO E UN PUGNO DI NOCI
gli altri hanno bisogno di noi: siamo attenti
alle loro necessità, alle loro povertà
Tutti ricordiamo quella notte. La terra tremò per alcuni secondi; pochi, ma quel tanto per sentirsi addosso una tremenda
paura. Per le strade di Palermo la gente impazziva. Una marea
di auto dilagò snodandosi per ogni vicolo, per le autostrade, inerpicandosi per le montagne, tappezzando Monte
Pellegrino di mille luci, quasi confondendosi con le stelle che
scintillavano in cielo in quella limpidissima e fredda notte di
gennaio. Così, di corsa, senza sapere dove, pur di sfuggire al
pericolo del terremoto che ancora brontolava nelle vene, nel
cuore, nel terrore.
I giornali, la televisione, la radio, le agenzie... Sappiamo
tutto di quei giorni in cui la valle del Belice divenne valle di
morte. Ma ci furono le piccole vicende non registrate da alcuno. I piccoli gesti di generosità ignorati da tutti o quasi.
Roberto era tra quelli a cui quella sera feci un discorso da
quattro soldi:
- Vedete, all'oratorio di fratelli terremotati ne sono venuti
un centinaio... Dobbiamo cedere loro tutti i locali. Ne hanno
più diritto di noi. Non hanno più casa, ma solo lacrime per
piangere i loro morti. E questi cento e più, dobbiamo mantenerli noi, dare tutto, procurare tutto. Sì, perché il governo
mica pensa a loro. Tanto noi non facciamo pubblicità, e
quindi siamo tagliati fuori dagli aiuti nazionali e internazionali… E così via...
Roberto cominciò a rendersi conto che, nonostante i suoi 12
anni, qualcosa sapeva, poteva e doveva fare perché don
Franco aveva concluso il suo predicozzo così: « Perché il terremotato è un Gesù privilegiato, e dovete metterlo al primo posto questo Gesù...».
Roberto andava di casa in casa, saliva le cento e più scale
dei palazzoni della Palermo-bene, entrava nelle scuole, bussava timido agli uffici, telefonava agli amici, setacciava i negozi di
generi alimentari, di tessuti... E così ogni giorno, per oltre un
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