Acqua che infiamma l'amicizia d i Do m e n i c o Po Tra le alte e aride vette della Turchia sud-orientale, tra le pianure desertiche, tra villaggi arricchiti da una storia millenaria che hanno ospitato le prime civiltà sedentarie della Terra, scorre un fiume, il Tigri, le cui acque, nate tra le fredde nevi del Tauro armeno, corrono per centinaia di chilometri verso il caldo Golfo Persico, conservando la fecondità della pianura alluvionale che qualche millennio fa era conosciuta con il nome di "Mezzaluna Fertile". Le acque di questo fiume portano con sé un fascino unico che gli abitanti ben conoscono: sono state la culla della storia umana, quando nacque in questi luoghi la civiltà mesopotamica e continuano a sostenere la popolazione rendendo possibile ai discendenti di questa civiltà la sopravvivenza, l'agricoltura e la pesca. In questi luoghi, a un centinaio di chilometri dal confine con l'Iraq, si apre, bagnata dalle vitali acque del Tigri, un'ampia valle, parte di quella regione non riconosciuta ufficialmente e spartita tra cinque Stati(Iraq,Iran,Turchia,Siria e l ex Unione Sovietica ) detta Kurdistan. In questa fertile valle carezzata dal dolce sole autunnale ormai sul punto di scomparire dietro un lontano monte, uno sparuto gregge di pecore pascolava tranquillamente, ignorando i pigri richiami di un giovane pastorello più impegnato a contemplare il cielo viola-arancio al tramonto e le prime timide stelle che a richiamare sulla strada di casa gli armenti. La bocca da cui provenivano i richiami al gregge apparteneva ad Ilyas, un ragazzo quindicenne che, dopo la nascita della seconda sorellina, Midya, era stato costretto dai genitori, nonostante numerose discussioni in cui interveniva con appassionate arringhe, ad abbandonare gli studi che amava per aiutare la famiglia. Il nuovo tipo di attività, che gli richiedeva massima responsabilità, sicurezza di sé, coraggio e intraprendenza, non particolarmente richiesti a coloro che siedono davanti ai libri, e la consapevolezza sempre maggiore della situazione difficile vissuta dalla sua etnia l'avevano reso in un batter di ciglia adulto. Mentre i suoi occhi abbracciavano la dolce poesia del tramonto, nella sua mente vorticavano i pensieri più amari. 1 Sospirando, Ilyas si mise in cammino verso casa su uno stretto sentiero sassoso, fermandosi dopo qualche passo ad aspettare che le pecore lo seguissero: "Testarde!", inveì dentro di sé. Calciò un sasso che rotolò lentamente verso valle, verso l'abitato di Hasankeyf. Quel sasso, se avesse avuto voce, avrebbe potuto raccontare la lunga e importante storia della città: quei luoghi e quei monti furono teatro delle varie dominazioni della regione e in particolare la città portava ancora i segni che ognuna di queste aveva lasciato: ponti, moschee, tombe sfarzose che stavano ad indicare la potenza del dominatore, ma che, ora, in rovina, stavano ad indicare la decadenza del dominato. Ilyas, seguito finalmente dal gregge, continuò la sua discesa immerso nei suoi tristi pensieri. Lo splendido scenario del tramonto brillava anche negli occhi di Mehmet, un pastorello amico d'infanzia d'Ilyas che fischiettava seduto sul pendio qualche centinaio di metri più a valle del compagno. A differenza di Ilyas, Mehmet aveva in testa le stesse cose che aveva negli occhi: il paesaggio incantevole e tutti i pensieri leggeri e gradevoli che esso stimolava. Anche il gregge risentiva dei pensieri felici che avevano occupato completamente la mente di Mehmet: nonostante fosse ora di tornare alla stalla, tutte le pecore continuavano a pascolare serene. Risuonò un doppio fischio. Mehmet, conoscendo il segnale, si riscosse e si voltò di scatto. Il suo sguardo risalì il pendio ed intercettò la figura di Ilyas che lo salutava; subito, abbandonando il gregge, corse gaiamente incontro all'amico. "Ehi, Ilyas! Come va?!", lo salutò. "Come vuoi che vada!", rispose stancamente Ilyas. "Che allegria da queste parti!", disse sorridendo Mehmet, dando una manata affettuosa sulle magre spalle di Ilyas. "Come potrei essere allegro?!". "Come? Guardati intorno: ti pare che la natura non ti stia comunicando che è un obbligo essere felici di fronte a queste meraviglie?! Guarda il sole; non ti sembra che ti stia dicendo di sorridere? Non credi che il nostro amato fiume desideri vederti gioire mentre guardi i riflessi degli ultimi raggi sulle sue acque?". "Mehmet, ascoltami: lo so che è difficile parlarne quando tutto sembra bello e positivo, ma tu credi che sia normale che un popolo come il nostro debba stare isolato tra le montagne per salvaguardare 2 le proprie tradizioni e le ricchezze del proprio territorio e non possa pensare all'unità anziché continuare a veder conteso il proprio territorio per gli interessi degli Stati limitrofi?" "Beh, cosa ti cambia?" "Come cosa mi cambia! Tu vuoi continuare a fare il pastore per tutta la vita? Per fare qualsiasi attività dignitosa si deve andare nelle grandi città dove le etnie convivono e si confondono tra di loro. Se si va nelle grandi città reclamando di conservare la propria cultura, al meglio ci può capitare di essere emarginati, al peggio di essere scambiati per integralisti, quando in realtà lo sono gli altri, ed essere ammanettati oppure anche uccisi", rispose tristemente Ilyas. Mehmet non seppe cosa rispondere e, nell'imbarazzo di veder smontati tutti i suoi ragionamenti sull'allegria e sulla natura, s'incamminò. I due continuarono la discesa in silenzio per qualche minuto. "Oltretutto ruppe il silenzio Ilyas si aggiunge anche il problema della diga". "Ma che diga?!", rispose nuovamente spensierato Mehmet. "Non sai? È da cinquant'anni che vogliono fare una diga qualche decina di chilometri più a valle". "Beh, se costruissero questa diga che problema ci sarebbe? Avremmo almeno un ben laghetto dove prendere il sole e farci una nuotata! E, comunque, se è da cinquant'anni che ne parlano e non hanno ancora concluso nulla, dovresti stare tranquillo! ", disse sorridendo Mehmet. "Altro che tranquillo! Il governo turco sta cercando soldi, per cinquant'anni non ne ha trovati, ma adesso sembra che le banche occidentali li vogliano mettere! Se ci fanno la diga, il nostro paese finisce sotto 30 metri d'acqua, con tutte le case e i monumenti". "Ma le banche si sono appena ritirate dalle contrattazioni! Con cosa ti informi, con i giornali di tre mesi fa?! Sapientone!", rispose bonariamente. Ilyas non rispose, anche se il vortice che prima occupava la sua mente, con il ricordo dei progetti sulla diga si trasformò in un vero e proprio ciclone. "Una cosa, però, non capisco di te continuò Mehmet con aria da psicologo hai quindici anni, la vita ti sorride, perché tu non sorridi a lei? Ti fai tutti questi problemi per cose che non possiamo cambiare, stai tranquillo!". Ilyas sospirò, ma non replicò. Il sole era ormai scomparso dietro l'orizzonte, gli scuri profili dei monti e tutta la vallata sottostante si stagliavano sul cielo terso, ancora di un colore azzurro tenue, quasi grigio. 3 Ad un centinaio di metri di distanza il paese, dove si erano accese le prime luci, sembrava aprire le braccia per accogliere i due amici prima del giungere della notte. Ilyas salutò Mehmet e si affrettò, per quanto glielo consentisse il gregge, verso casa. Nello stesso momento, qualche chilometro più a sud, sulla stretta striscia d'asfalto polveroso che si snodava tra gli aridi monti che dividono Karakoy da Hasankeyf, i potenti fari accessori sul tettuccio di un Land Rover Defender accesero il paesaggio circostante ormai immerso nel buio. "Però, devo complimentarmi con il meccanico, mi ha montato dei fari eccezionali!", disse l'uomo alla guida, girando con mani esperte il volante del robusto ma pesante mezzo. Il fuoristrada, tutto impolverato dopo una corsa di decine di chilometri, portava sulla fiancata un logo indifferente ai più, ma capace di scuotere nel profondo gli animi degli abitanti del territorio: il logo del G.A.P. (Progetto per l'Anatolia sud-orientale). "Papà, quando arriveremo? Io sono stanco!", disse svogliatamente un ragazzo dal sedile posteriore del fuoristrada riponendo in un borsone la propria playstation portatile ormai scarica dopo ore di gioco. "Stai tranquillo, Giorgio. Tra poco saremo arrivati!", rispose una voce femminile dal sedile destro. "Siamo tutti stanchi, quindi sopportiamo: mal comune mezzo gaudio!", disse sorridendo il guidatore. I tre avevano lasciato il suolo italiano su un grosso aereo il mattino stesso per giungere, alcune ore dopo, all'aeroporto più vicino ad Hasankeyf, quello della città di Batman. L'unico ad aver digerito senza apparenti squilibri psico-fisici il viaggio aereo, il movimentato trasferimento in fuoristrada e il cambiamento di clima era il padre, ingegnere di una ditta italiana. Il figlio e la madre, invece, che, per seguire l uomo nel nuovo incarico, avevano in un giorno solo e per la prima volta provato l'esperienza emozionante del volo e si erano trovati ugualmente per la prima volta in zone così culturalmente, geograficamente e climaticamente diverse dall'Italia, erano invece molto stanchi ed anche un po' nervosi. "Comincio a pentirmi di essere venuto, disse Giorgio, il ragazzo potevo restare in Italia: adesso starei giocando, chattando o guardando la tivù. Per cosa abbiamo fatto una fatica così grande?". "Giorgio, per favore, lo sai anche tu che non potevamo restare soli in Italia e papà venire in questi luoghi per completare il progetto della diga. Se gli capitasse qualcosa? Noi saremmo in Italia!", rispose con trattenuta irritazione la madre. 4 "Non ho scelto io di venire in Turchia, se fosse stato per me sarei rimasto con voi nel nostro comodo appartamento e adesso saremmo attorno al tavolo a cenare allegramente, ma siccome la ditta per cui lavoro ha scelto di impegnarsi nel progetto G.A.P. per la costruzione delle dighe, anch'io mi sono dovuto adattare: se avessi rinunciato e fossi rimasto in Italia forse avrei anche perso il posto di lavoro, spiegò il padre pazientemente ; comunque credo che si debba cogliere questo viaggio come una possibilità in più, che molti non hanno, di vivere un'esperienza in zone poco note in Occidente, ma del tutto incantevoli: fidatevi, non vi pentirete di essere venuti!". Maria, la moglie, annuì decisa; Giorgio, invece, non si trovava molto d'accordo e inveì dentro di sé contro i progetti e soprattutto contro le aziende che, per realizzarli, chiamano a lavorare gli italiani, sconquassando intere famiglie. Una decina di minuti dopo, il fuoristrada penetrò nel fascinoso ambiente cittadino di Hasankeyf: l'aria era intrisa di odori. Profumo di notte, di cibi deliziosi, di sabbia; i profumi si univano ai suoni: suono di musiche orientali e suono di voci di uomini che, rientrati a casa, raccontavano la loro giornata. Gli uomini che tardavano a raggiungere le loro case e ancora vagavano per la città, girarono verso il fuoristrada forestiero il loro volto scavato dal duro lavoro, dall'aria del deserto, dalle preoccupazioni costanti, ma acceso da un sorriso di benvenuto, sorriso subito affievolito nell'abbassare lo sguardo sul logo della portiera anteriore del mezzo e spento del tutto nel notare la scritta G.A.P. sul passaruota posteriore. Deciso di lasciare il fuoristrada all ingresso della città, la famigliola s'incamminò per raggiungere l'albergo dove avrebbe dormito. Dopo aver percorso le caratteristiche vie cittadine, dopo aver consultato mille volte la cartina e mille volte aver imboccato la strada sbagliata, i tre stranieri giunsero di fronte al loro albergo. "Eccoci qui! Vi piace?", chiese soddisfatto il padre. "Qual è, scusa?", chiese Giorgio guardando gli edifici della via e vedendo sfumare gradualmente tutti i suoi sogni di hotel avveniristico cinque stelle con piscina e idromassaggio. Il padre indicò un edificio basso, vecchio e con un aspetto cadente in cui solo la lieve luce della hall smentiva l'impressione che fosse disabitato. "Entriamo!", incitò il padre. Con un'aria delusa, spinto dal braccio sicuro della madre, Giorgio superò la soglia. 5 Frattanto Ilyas, calpestando la paglia che faceva da giaciglio alle pecore e, contemporaneamente, copriva la nuda terra che costituiva il pavimento della stalla, salì una piccola scala di pietra e, sfiorando con le spalle il muro grezzo e dovendo abbassare la testa per non urtare la trave del soffitto della stalla, giunse ad una porticina di travi di legno; la aprì con un lungo e lamentoso cigolio e si trovò in casa. Le sue narici annusarono l'aria intrisa di un delizioso profumo di pesce. "Hmm... che fame!", pensò e corse in cucina. "Ciao mamma!", esclamò, irrompendo nel regno della madre. "Ehi Ilyas, come è andata oggi? Come stanno le pecore? . "Oh, bene!". "Allora vai a lavarti che adesso ceniamo". Ilyas percorse lo stretto corridoio male illuminato che conduceva alle camere. Gli venne incontro la sorella, Seyran, una ragazzina di quattordici anni. "Ciao Ilyas! Ti aspetto a tavola! Papà è andato alla riunione del Comitato contro la costruzione della diga", disse. Ilyas salì una stretta e scricchiolante scaletta di legno ed entrò nel sottotetto adibito a camera per lui e le sue due sorelle. Da una stretta finestrella entrava un fascio di luce proveniente dall'edificio di fronte: un piccolo albergo. Ilyas superò le stuoie dove dormiva per raggiungere un bacile d'acqua. Il fascio di luce permetteva di distinguere bene ciò che occupava la stanza pur lasciandola nella penombra. Pronto per andare a cena, Ilyas si voltò verso la finestrella, vi si affacciò, guardò giù in strada: un gruppo di persone chiacchieravano; alzò lo sguardo e si accorse che nella camera dell'albergo di fronte c'era una luce accesa: "Oh, è arrivato qualche inquilino straniero pensò ; quando arrivano gli stranieri si presenta sempre una situazione contemporaneamente positiva e negativa: portano soldi ma non si sa a che scopo vengano!". Incerto se pensare bene o male degli stranieri, Ilyas assecondò lo stomaco affamato e si diresse verso la povera cucina. 6 Giorgio, l'inquilino della finestra di fronte alla camera di Ilyas, aveva appena chiuso la porta con due mandate e si era steso sul letto sfinito."Niente computer, niente tivù, niente piscina, niente di niente, ma almeno un letto!", sospirò. Aveva convenuto con i genitori di ritrovarsi a cena dopo mezz'ora, mentre aveva convenuto con se stesso di trascorrere quella mezz'ora steso sul letto. Pensando a tutti gli amici che di certo in Italia se la stavano spassando, chiuse gli occhi. Una leggera musica araba filtrava dalla finestra che, chiusa, la rendeva un sussurro delicato. Alcuni soffi di vento, che giungevano a folate direttamente dal deserto, cullavano Giorgio. "Forse non è male come sembra questo posto! Però potrebbero mettere a disposizione almeno un computer!", pensò. Violando ciò che aveva convenuto con se stesso, si alzò per sistemarsi e rinfrescarsi dopo quell'interminabile viaggio che lo aveva estirpato dal suo mondo di sicurezze per precipitarlo in un contesto del tutto nuovo. La cena, un vero calmante per tutte le pene, aveva ristabilito la tranquillità e l'allegria sia in Ilyas, sia nella famiglia italiana e ora entrambi si apprestavano ad andare a dormire. Ilyas, saliti i cinque scalini che lo separavano dal suo giaciglio, aprì la porticina del sottotetto e si lasciò avvolgere dal buio che dominava la stanza. Vociando e giocando tra di loro, le due sorelle di Ilyas irruppero nel silenzio della camera riscuotendo il fratello dai tristi pensieri che neanche Mehmet era riuscito ad allontanare. "Dai, per favore, non fate tutta questa confusione!". "Non possiamo neanche giocare?", chiese Midya, la sorellina più piccola, rivolgendogli lo sguardo più compassionevole e inclinando leggermente la testa su un lato come un animale bastonato. Sorridendo per la riuscita interpretazione teatrale, Ilyas disse: "Giocate e divertitevi! Io andrò a guardare cosa c'è fuori". Ancora prima che finisse la frase, le due sorelle avevano già ripreso il loro movimentato gioco e Ilyas, alzatosi in piedi, uscì nella grande terrazza che altro non era che il tetto della piccola abitazione. Il freddo che, ad autunno inoltrato, cominciava a farsi pungente, lo sorprese sulla porta della terrazza. Rabbrividendo Ilyas si sedette sulla piatta muratura del tetto e, sentendo il debole calore che le pietre avevano conservato dalle ore centrali della giornata, si sentì confortato. 7 Respirò la fresca e limpida aria e guardò in alto: la luna quasi piena colorava il cielo di un blu tenue in cui si confondevano le innumerevoli stelle che formicolavano di una timida luce. "La ricerca di fonti di denaro sembra legittimare tutte le azioni malvagie dell'uomo, ma se i turchi occidentali obbligano la nostra popolazione ad abbandonare la propria patria in nome dei soldi che guadagneranno loro a scapito della nostra vita, delle nostre case, dei nostri soldi, dei nostri terreni frutto di un duro lavoro quotidiano, del sudore e della fatica, come potremmo noi accettare?! Come possono mandarci via da questo territorio? Con che permesso possono farlo?", considerò ad alta voce Ilyas. "Who?": le tre lettere della parola inglese sembrarono rimanere sospese a mezz'aria in attesa di essere carpite dalla mente occupata di Ilyas. Appena si rese conto di cosa fosse successo Ilyas si voltò di scatto impaurito: non c'era nessuno. Si rizzò in piedi e percorse tutto il perimetro della terrazza senza trovare anima viva. Tranquillizzato soltanto in parte, si risedette. Volse lo sguardo a sinistra: le case digradavano lentamente fino a sfiorare le dolci acque del Tigri; guardò a destra: la tozza forma dell'albergo si stagliava contro il cielo. Solo dopo aver guardato a lungo, Ilyas vide chi aveva pronunciato quelle tre lettere: sul piccolo terrazzino dell'alberghetto c'era un ragazzo. "Ciao, conosci l'inglese?", chiese il ragazzo ad Ilyas. "Abbastanza, quando andavo a scuola l'avevo studiato: del resto la Turchia è stata occupata dalla Gran Bretagna fino a poco prima della Seconda Guerra Mondiale!". "Beh, io sono Giorgio e sono italiano", continuò l'altro. "Io sono Ilyas e sono curdo come la maggior parte degli abitanti di questo posto!". "Di chi stavi parlando prima? Avevi una voce così triste...". "Stavo parlando?! Stavo solo riflettendo su cosa accadrebbe se costruissero la diga ad Ilisu, qualche decina di chilometri più a valle: la nostra città e i nostri campi verrebbero sommersi senza che nessuno ci rimborsi il danno e noi saremmo costretti ad emigrare senza sapere dove andare e, senza soldi, finiremmo per aumentare il numero dei tanti sfortunati che abitano le bidonvilles delle grandi metropoli con la sola speranza di raccogliere ciò che le grandi città rifiutano, come cani sotto la tavola dei padroni". 8 "Mi dispiace, mi piacerebbe aiutarti", rispose distrattamente Giorgio: era impegnato, infatti, a cercare di ricordare il nome della diga a cui avrebbe lavorato suo padre. "Oh beh, ti ringrazio del tuo interessamento, ma c'è poco da fare: se i grandi hanno deciso che la diga si fa, si fa e basta", rispose Ilyas in preda ad uno scoraggiamento a lui nuovo. "Non puoi dire così, se desideri una cosa devi combattere, lottare per ottenerla!". "Anche gli indiani d'America lottavano perché non volevano la ferrovia nei loro territori, ma gli uomini bianchi la volevano e l'hanno costruita e i pellerossa sono finiti segregati nelle riserve" . "Qui non siamo in America!" rispose speranzoso Giorgio. "No, non siamo in America, ma non è il continente che conta, è la mente dell'uomo: dove c'è fonte di soldi qualsiasi uomo si impone di procedere anche se emergono dei problemi o, come in questo caso, se emerge un popolo che rivendica i propri territori". In quel momento una voce femminile gridò: "Giorgio! Rientra, prendi freddo lì in terrazza!". "È mia mamma: devo rientrare. Abbi fiducia, tutto si rimetterà a posto a tempo debito; spera: finché c'è vita c'è speranza e finché c'è speranza c'è vita! Buonanotte!". "Buonanotte!", rispose non troppo convinto Ilyas. Erano passate solo poche ore da quella discussione che il sole si affacciò imperiosamente nella quieta vallata facendo rifulgere i muri di pietra delle povere abitazioni. A differenza delle apparenze di tranquillità e quiete, la città aveva già preso vita, non tanto nelle strade quanto all'interno delle abitazioni: le donne preparavano la colazione, gli uomini si organizzavano per la dura giornata di lavoro, Ilyas sedeva al tavolo della cucina. "Hai visto se sta tornando Seyran? È andata a prendere acqua, ma è fuori già da un po'", chiese la mamma di Ilyas. "No, non l'ho vista: avrà incontrato qualcuno". Mentre Ilyas stava ancora completando la sua frase di risposta, si sentì un indistinto tramestio. "Mamma, mamma!", urlò Seyran. Irruppe in cucina scuotendo i due secchi che tracimavano d'acqua gocciolando dappertutto. "Cosa combini Seyran! Quante volte ti ho detto di non rovesciare l'acqua sul pavimento!". "Mamma, disse Seyran scoppiando a piangere ho visto una cosa terribile! Ho visto un fuoristrada con targa straniera e la scritta G.A.P.!". 9 La mamma, che era già pronta a controbattere le scuse della figlia, nel sentire pronunciare quella fatidica sigla trasalì e s'azzittì mestamente tornando ai fornelli. "Ma cosa vogliono da noi questi stranieri?!", concluse Seyran tra i singhiozzi. La mamma si avvicinò e abbracciò la figlia: "Noi speravamo di potervi dare un futuro migliore del nostro passato, e invece... invece arrivano gli stranieri che vogliono arricchirsi alle nostre spalle". "Fossero solo gli stranieri! È il governo turco che ha approvato il progetto e richiesto l'intervento degli occidentali!", spiegò sospirando il padre. Il sole, ormai alto, guadagnò la finestra della cucina e irradiò di luce la stanza. "Vado dal mio gregge", disse Ilyas e, salutando, uscì. Una decina di minuti dopo, stava camminando lentamente accanto a Mehmet con le due greggi al seguito verso i pascoli alle pendici del monte Gavur; Ilyas stava riferendo all'amico gli avvenimenti della sera precedente, quando s'interruppe: "Penso sia quello il fuoristrada" disse Ilyas indicando il Land Rover inconsapevole generatore dei più disparati sentimenti negli animi del popolo. "Oh, bello... sanno scegliere bene le auto gli occidentali!", sdrammatizzò Mehmet ridendo. "Grazie per il complimento", rispose una voce in inglese. I due ragazzi si voltarono sorpresi e videro Giorgio che li salutava. Ilyas ricambiò il saluto e, notando l'amico straniero nei pressi del fuoristrada, dedusse che il padre lavorasse al progetto G.A.P. "Posso venire con voi? Dove andate?". "Sì, vieni. Vedi quel monte lì, dietro questa casa? Ecco quello si chiama Gavur: noi raggiungeremo la zona prativa alle sue pendici", rispose Ilyas. "C'è tanta strada, mi stancherò!" "Beh, cosa pretendi?! Se vuoi venire con noi e goderti il magnifico paesaggio che si vede dal sentiero, vieni: la forza di volontà supera ogni stanchezza e ogni ostacolo!", rispose Ilyas. Mehmet, che nel frattempo si era tenuto in disparte, disse incautamente ad Ilyas: "Non sapevo socializzassi con il nemico!". Ilyas, innervosito dalle parole di Mehmet, si voltò con un volto rabbuiato ma, con l'intento di calmare le acque disse: "Mehmet, questo è Giorgio, un ragazzo italiano". 10 I due si salutarono. Per porre fine definitivamente alla questione e reintegrare Giorgio nella compagnia, Mehmet cambiò discorso: "Giorgio, non ci hai raccontato perché sei venuto in questa città dall'Italia". "Ecco... vedi... disse Giorgio che, avendo capito come quello della costruzione della diga fosse un tasto delicato per gli abitanti, cercava, con esito dubbio, di sviare il discorso mio papà è stato chiamato a lavorare qui...". "Dai Giorgio, di' la verità, ormai abbiamo capito che tuo papà lavora al progetto G.A.P. ; ma cosa guadagneremmo a trattarti male? Tanto vale essere amici!", disse Mehmet. Ilyas annuì. Sentendosi sconfitto nel suo tentativo di affannarsi attorno a scuse improbabili e inutili, Giorgio non tentò nemmeno di smentire i nuovi amici. "Spiegaci che lavori è chiamato a fare tuo papà, magari deve fare solo un sopralluogo come tanti ne sono stati fatti negli ultimi cinquant'anni!", chiese Ilyas. "Non so di preciso che lavoro deve fare... è un ingegnere e deve fare dei calcoli per il progetto". "Cioè un altro sopralluogo dei tanti che il governo turco ordina per far capire alla popolazione che non ha rinunciato al progetto", dedusse Mehmet. "Se così fosse, però, non farebbe chiamare un ingegnere addirittura dall'Italia; in tutti gli altri casi erano stati mandati ingegneri da Batman" , rispose Ilyas. "Staremo a vedere", disse Mehmet voltandosi per accettarsi che tutte le pecore li avessero seguiti. Ormai fuori città, i tre ragazzi stavano percorrendo una tortuosa carrareccia che si snodava tra campi coltivati; il sole già alto illuminava la vallata, i particolari rilievi rocciosi che arrivavano a picco sul fiume e le particolari costruzioni delle epoche più differenti che sembravano incastonate nella viva roccia. I tre amici rimasero zitti per qualche minuto in cui regnò il silenzio; all'improvviso si sentì un rombo simile ad una motosega. "Sai se stanno facendo lavori di potatura in questa zona?", chiese stranito Mehmet. "No, ma non mi pare che ci sia molto da potare visto che ci sono pochi alberi!", rispose sarcastico Ilyas. L'indistinto rombo si trasformò in un ritmico martellio sempre più forte. I tre ragazzi rimasero qualche istante fermi a guardarsi intorno senza capire quale potesse essere in una valle solitamente molto quiete la fonte di quel rumore sconosciuto. "Secondo me è un elicottero!", disse Giorgio a cui quel rombo non giungeva così strano. 11 "Dimentichi che siamo in una no fly zone: un'area in cui per sicurezza non possono volare mezzi", rispose Mehmet. Un attimo dopo, a smentita delle parole di Mehmet, comparve un grosso elicottero dal fondo della vallata. "Oh... non mi era mai capitato di vedere uno di quei mosconi! Andiamo a vedere!", incitò Mehmet. "E il gregge?", domandò Ilyas. "Non preoccuparti, quando le pecore sono al pascolo diventano inamovibili: non scapperanno". I tre amici corsero pieni di curiosità attraverso i campi. Ad un tratto, dopo un entusiasmante discesa, Ilyas si fermò: "Guardate", disse indicando la riva del fiume qualche chilometro più a valle. Una lunga fila di camion avanzava pigra ma inarrestabile verso il corso del fiume scortata da due camionette militari. "Uhm... brutto segno!", constatò Mehmet. Nel frattempo, a qualche centinaio di metri l'elicottero aveva appena toccato pesantemente terra su uno spiazzo erboso. I ragazzi ripresero la corsa verso di esso. "È meglio se ci fermiamo un po' a distanza, così potremo sentire i loro discorsi senza essere visti", disse Mehmet approvato dagli altri. I tre amici si stesero nascosti tra sterpi e alte erbe ad una ventina di metri dal mezzo. Lo spostamento d'aria provocato dalle pale ondulava le leggere erbe del campo e frustava i volti dei tre ragazzi. Lentamente il movimento delle eliche rallentò e il grande portellone laterale si aprì. Ne scesero due uomini vestiti elegantemente con delle valigette scure. "Bene Fred, qui dobbiamo vedere se le pendici dei monti riescono a sopportare la massa d'acqua del bacino artificiale, poi torneremo all'elicottero e ci sposteremo verso Ovest alla base del monte Diyaramam. Hai approntato il computer delle rilevazioni?". "Io ho tutto pronto, manca solo la jeep che deve venire a prenderci. Chiamo l'autista", disse il secondo infilandosi gli occhiali da sole ed estraendo un voluminoso walkie-talkie dalla valigetta. Il primo si voltò: "Anche i camion che portano il materiale per il contenimento del bacino sono arrivati, guarda laggiù". Ilyas si voltò verso i suoi amici: "Sono ingegneri". "Questa volta hanno deciso seriamente di cominciare i lavori", rispose Giorgio. 12 "Allontaniamoci finché siamo in tempo: ora arriverà altra gente e verremo scoperti!", disse Mehmet. I tre ragazzi si alzarono furtivamente e cominciarono una cauta ritirata. Dopo essersi allontanati di qualche ulteriore decina di metri si misero a correre e, dopo una sfiancante salita, raggiunsero il pascolo dove le pecore stavano brucando placidamente. "Ti avevo detto che non si sarebbero mosse da qui!", disse sorridendo Mehmet ad Ilyas. "Il problema non sono le pecore, disse pensoso Ilyas sedendosi sul prato , il problema è che cominciano i lavori per la costruzione della diga: il tempo stringe e noi non possiamo fare niente: solo attendere e subire!" . "Cosa si potrebbe fare?", disse fra sé e sé Mehmet. Giorgio si teneva un po' in disparte cercando di dominare un flusso di sentimenti di natura diversa: doveva contribuire ai piani dei poveri ragazzi del posto contro la diga che avrebbe provocato la perdita di tutti i loro averi e, così facendo, opporsi anche al lavoro del padre, oppure doveva, essendo figlio di un ingegnere che lavorava a quel progetto, appoggiare il progetto stesso e abbandonare i nuovi amici e i loro piani? "Di certo emerse Mehmet dai suoi ragionamenti interiori non possiamo pensare ad un sabotaggio: verremmo scambiati per i soliti terroristi curdi che non sanno stare al loro posto come pensano i turchi occidentali; dobbiamo trovare una via alternativa: non possiamo rispondere alla violenza con altra violenza". Qualche ora dopo, al tramonto, i tre ragazzi si salutarono ancora intenti a pensare ad un modo per impedire la costruzione della diga. Ilyas, chiuso il gregge nella stalla, entrò in casa e, giunto in cucina, venne travolto dalle grida materne: "Sei uscito con lo straniero: cosa ti viene in mente? Diventare amico di colui che viene a distruggerci il futuro per quattro soldi? Non voglio che tu lo riveda: mai più". Ilyas, frustato violentemente dalle dure e, soprattutto, inaspettate parole, si ritirò in camera. Nel frattempo a pochi metri di distanza, Giorgio aveva appena inserito la chiave nella toppa della sua camera. "Finalmente posso riposarmi e rifocillarmi: è stata una giornata durissima! pensò Mi dispiace non poter aiutare quei ragazzi, poveretti. Farò in modo di farmi venire in mente qualche idea; mi 13 dispiace andare contro papà e il suo lavoro, ma forse lui non si rende conto che la diga non porterà benessere alla popolazione". Tre colpi alla porta destarono Giorgio dai suoi pensieri: "Avanti!", disse. Sulla soglia comparve sua madre: "Ti ho portato il computer che ieri avevi tanto insistito di avere: me l'ha dato in prestito il padrone dell'albergo!" "Ma io non desidero più averlo, non so che cosa farmene!", rispose Giorgio che, coinvolto dai suoi amici nella preoccupazione per la diga, non aveva voglia di divertirsi con il computer. "Come? Tu che non sai cosa fartene di un computer? Non ci credo, ne sei sicuro?!". "Sì... anzi, no... lasciamelo pure qui, grazie mamma!", rispose Giorgio che aveva appena pensato che forse sarebbe stato utile cercare qualche informazione in Internet sulla costruzione della diga. "Quando abbiamo la cena?". "Tra mezz'oretta", rispose la mamma. "Va bene, ciao!". I due si salutarono e si lasciarono; Giorgio chiuse la porta dietro di sé e si sedette sul letto. Accese il computer ed estrasse dal borsone la chiavetta per il collegamento Internet. Qualche minuto dopo era già intento a smanettare in cerca di qualche informazione utile. "Vediamo un po'... Uhm... molto interessante; questo mi fa venire in mente una cosa che potrebbe aiutarci, ne parlerò con Ilyas... ottimo, forse ho trovato una soluzione possibile!", pensò. Intento a mettere a punto un possibile piano d'azione, Giorgio aprì il mini-frigo e, estratta una lattina di Coca-Cola, si mise a sorseggiarla in terrazza. Mentre ammirava quel poco di panorama che era in grado di vedere, giunse alle sue orecchie da non molto lontano una voce alterata: "Sei uscito con lo straniero: cosa ti viene in mente? Diventare amico di colui che viene a distruggerci il futuro per quattro soldi? Non voglio che tu lo riveda: mai più". "Questa voce proviene dalla casa di Ilyas e ad urlare dev'essere stata sua madre: sarei io lo straniero?! Sapesse le acrobazie che sto facendo per aiutarli!", rifletté Giorgio. Circa due ore dopo, finita la cena, Giorgio rientrò in camera. "Adesso Ilyas starà dormendo, come posso parlargli?". Giorgio camminò a lungo nella stanza cercando di farsi venire un'idea. Guardò fuori dalla porta-finestra che dava sulla terrazza e s'accorse che la camera di Ilyas aveva la finestra aperta, all'interno vide Ilyas dormire e, più lontano, le sue due sorelle. 14 "Ilyas! Ilyas!" chiamò ripetutamente con tono sommesso: nessuna risposta. Qualche minuto dopo un piccolo sasso, che Giorgio aveva raccolto la mattina sul sentiero, volò fuori dalla terrazza dell'albergo e piombò sulla gamba di Ilyas: "Ahi!", si lamentò il ragazzo svegliandosi bruscamente. Alzò la testa, si guardò intorno e notò, accanto al suo piede, un sasso con un foglietto attaccato con lo scotch. "Vai subito in terrazza", ordinava Giorgio dalle parole del post-it. Ilyas, in un attimo fu sul tetto-terrazza della sua casa e, con la paura di essere scoperto dai genitori, salutò l'amico. "Cosa c'è a quest'ora di notte! Ti sembra modo di svegliarmi? Volevi azzopparmi?", chiese assonnato Ilyas. "Non soffermiamoci sul contorno, andiamo ai dettagli: ho la soluzione al problema della diga!". "Dai Giorgio, non affannarti ancora dietro a quella storia, ormai hanno iniziato a costruire: limitiamoci a subire e soffrire in silenzio!". "Come?! Io ho pensato intensamente a come risolvere i vostri problemi, ho speso soldi di connessione Internet per trovare un sostegno alla nostra causa, anzi, alla vostra causa per sentirmi dire che non ti interessa più? Allora buonanotte e andiamo a dormire!", offeso, Giorgio si voltò e rientrò in camera. Al momento di chiudere la porta rimase con la mano sulla maniglia incerto se riaprire: ebbe compassione di quel ragazzo, speranza di un popolo destinato a scomparire nelle sue tradizioni a causa della costrizione ad una fusione con culture prevalenti ma diverse; la rabbia per il torto subito, però, prevalse nell'animo di Giorgio che, con un colpo secco abbassò la maniglia e chiuse la porta. Appena infilatosi sotto le coperte giunse alle sue orecchie un colpo sordo: il sasso che prima era volato dalla sua finestra alla camera di Ilyas, ora aveva percorso la rotta inversa piombando sull'intelaiatura della porta-finestra. Giorgio, rabbrividendo dal freddo che all'improvviso lo assalì, aprì la porta e raccolse il sasso: sullo stesso suo post-it erano scritte le scuse di Ilyas che era dispiaciuto per la litigata e demoralizzato per i lavori iniziati. "Beh, se era così tanto demoralizzato poteva anche stare a sentire il mio piano!", pensò Giorgio, ma poi si pentì di essere stato così brusco e guardò se Ilyas era ancora alzato; lo vide sul tetto-terrazza. 15 Dopo essersi infilato una felpa per ripararsi dal venticello gelido e pungente della notte, Giorgio si fece vedere da Ilyas e, salutandolo con la mano, gli fece cenno di avvicinarsi; Ilyas raggiunse l'estremità del tetto. "Scusa per prima!" cominciò Giorgio. "Non ti preoccupare: sono nervoso e stanco, è colpa mia", rispose Ilyas. "Non importa di chi sia la colpa, l'importante è che forse ho la chiave di soluzione ai nostri problemi!". "Sentiamo...". "Ho scoperto che, per quanto i lavori siano iniziati, non è stato dato nessun permesso per cominciarli". "E quindi?", chiese incuriosito Ilyas. "E quindi sono illeciti! Se si riuscisse a comunicare a qualche autorità statale che si sa che sono illeciti, questa non potrebbe negarlo e, per non rimetterci la faccia di fronte all'intero popolo, sarebbe costretta a interromperli!". "Geniale...", disse Ilyas con un sorriso sul volto. "L'unico problema è come poter comunicare con qualcuno che conti nello Stato e nello stesso tempo ci ascolti". "Beh, potremmo scrivere una lettera!", suggerì Ilyas euforico. "No, non arriverebbe mai: andrebbe persa oppure il controllo postale la esaminerebbe e magari la eliminerebbe... ci vuole qualcosa di più sicuro e diretto: una e-mail". "Tu sei esperto di queste cose: se pensi sia meglio una e-mail, mandiamola!". "Dove e quando possiamo trovarci per scriverla?", chiese Giorgio. "Anche subito! Se aspettiamo domattina rischierei di farmi scoprire da mia mamma che non vuole che ci incontriamo", rispose Ilyas. "Riesci a venire qui in camera?", chiese Giorgio. "Ora vengo!", rispose Ilyas che, con il cuore in gola e un vortice di sentimenti in testa, dal tetto della propria casa, saltò a quello vicino che era più basso e da lì a terra, dove intraprese una veloce fuga per la via in forte pendenza che portava alla parte alta del paese. La strada, dopo una prima salita, continuava in piano costeggiando i tetti degli edifici costruiti nella parte bassa. Da lì, Ilyas, 16 pratico di tali acrobazie, salì sul tetto di una di queste case e da questo passò ad altri fino a raggiungere quello di fronte alla propria casa: quello dell'albergo. Dai tetti si poteva ammirare un paesaggio meraviglioso che, in quella notte, era maggiormente incantevole per la presenza silente della luna che si specchiava nelle acque del grande fiume. Ma Ilyas non ci badava: aveva una missione da portare a termine. In un attimo fu sopra la terrazza della camera di Giorgio; l'amico era ancora lì in attesa di vederlo arrivare. "Giorgio, sono qui!", disse allora Ilyas attendendo la reazione di sorpresa dell'amico. Giorgio, infatti, trasalì e si voltò di scatto alzando la testa verso l'alto. "Come hai fatto ad arrivare qui sopra?!", chiese basito. "Non mi inviti sempre a parlare di cose importante tralasciando quelle secondarie? Beh, questa è secondaria", rispose Ilyas che aveva riacquistato la sua caratteristica ironia. I due entrarono nella camera d'albergo e si sedettero sul letto. "Quanto tempo hai?", chiese Giorgio. "Quello che serve avere, anche se prima torno a casa, minore è il pericolo che qualcuno mi scopra!". Giorgio prese il computer e lo mise sulle ginocchia "Oh, non avevo mai usato un computer!", disse ammirato Ilyas. La luce emessa dello schermo appena acceso fece trasalire Ilyas che temette di venire scoperto; Giorgio, che notò il fremito di paura nell'amico, intuì il motivo e tirò la pesante tenda davanti alla porta-finestra. "Allora cosa pensi che potremmo scrivere?", chiese Giorgio. "Innanzitutto bisognerebbe sapere a chi!", rispose Ilyas. "Beh... visto che trovare il destinatario è l'operazione più difficile lasciamola per ultima! Per ora limitiamoci a scrivere la lettera in sé". Dopo un ora di lavoro terminarono la scrittura della e-mail: Egregio ---, io sottoscritto, ragazzo abitante del paese di Hasankeif, le scrivo per illustrarle la situazione mia e dei miei concittadini. La zona che abitiamo è interessata dalla costruzione della diga ad Ilisu in quanto, una volta che questa sarà terminata, il bacino idrico artificiale che si formerà coprirà tutti i nostri territori. Per questo motivo saremo costretti ad emigrare, ma nessuno ci rifonderà le 17 ricchezze che ora possediamo sotto forma di case, beni, terreni agricoli, bestiame che, una volta completati i lavori, finiranno sott'acqua. Privati di tutti i nostri averi, saremo costretti a cercare una nuova abitazione nelle città, ma le uniche abitazioni all'altezza delle nostre risorse potranno essere le bidonvilles. Inoltre, osservo che lo stesso bacino idrico che seppellirà per sempre i nostri averi, farà lo stesso degli antichissimi monumenti della città che, le ricordo, nell'antichità è stata arricchita culturalmente dalla dominazione romana e bizantina e, attorno al secolo XI, è diventata anche una stazione della "via della seta". Osservo, infine, che in questi giorni sono iniziati i lavori ma sappiamo che non è stata data nessuna autorizzazione a che questi comincino. Attendo con premura un'attesa sua risposta. Un cittadino di Hasankeif "Bene, ora che abbiamo scritto la lettera, troviamo un destinatario sollecitò Ilyas sta cominciando a farsi tardi!". "A chi potremmo inviarla?", chiese Giorgio pensoso, spostando il computer dalle sue ginocchia al materasso. "Al primo ministro?". "No, ha una carica troppo importante e troppo generale: non leggerebbe la nostra lettera". "Al ministro dell'ambiente?". "Potrebbe essere un'idea". "Oppure potremmo mandarla al presidente dell'agenzia per i lavori idrici dello Stato". "Anche questo potrebbe andare bene; proviamo a vedere se troviamo i recapiti in Internet". Dopo qualche minuto di frenetiche ricerche, i due amici non riuscirono a trovare gli indirizzi a cui mandare la e-mail; in compenso, però, vennero a conoscenza dei nomi dei possibili destinatari. "Penso che ora tu possa andare, io cercherò ancora il recapito e se lo trovo la mando", disse Giorgio. "Ok, a domani!", rispose Ilyas e, agile come un gatto, si portò sul tetto dell'albergo e da lì, con un percorso inverso rispetto a quello di un'ora prima, a casa. Giorgio invece, dominando la stanchezza, continuò la sua ricerca. Poche ore dopo, Giorgio si alzò e scostò la pesante tenda dalla porta-finestra; si affacciò: una piatta distesa di nuvole grigie faceva da volta all'ampia vallata, un vento feroce frustò il suo volto, alcune 18 gocce di pioggia cadevano pesantemente sulla nuda terra arida e sui campi mantenuti verdi dalla volontà ferrea dell'uomo lavoratore. Contemporaneamente Ilyas si affacciò alla finestra della propria camera. Spiegandosi a gesti quest'ultimo chiese all'amico se avesse trovato qualche cosa di utile. L'amico sorrise e, utilizzando lo stesso linguaggio, gli fece cenno d'aver già spedito la e-mail e concluso la questione. Lasciando sorpreso Ilyas, Giorgio si ritirò e scese a far colazione. Passarono alcune settimane; Ilyas continuava la sua rassegnata vita da pastore, Giorgio era sempre meno presente in città perché si era iscritto ad una scuola internazionale a Batman,. Un pomeriggio, quando già la neve copriva il terreno sassoso della valle di Hasankeyf e Ilyas era a casa in quanto era troppo freddo per portare il gregge al pascolo, si sentì uno svelto scalpiccio. In apparenza niente di nuovo, niente di particolare, il solito passante di fretta; Ilyas riaffondò la propria mente nella lettura di un romanzo, sua mamma riprese a sferruzzare, le due sorelle ricominciarono il loro gioco. Lo scalpiccio, però, non si dissolse in lontananza, anzi, andò aumentando e poi s'arrestò. Ilyas rialzò la testa dal libro, sua mamma dal lavoro a ferri: era una cosa insolita che il rumore di passi s'arrestasse così vicino alla casa. Si senti bussare insistentemente alla porta: "Chi sarà?", chiese la madre allarmata. "Magari è papà che è tornato a casa prima dal lavoro! rispose Ilyas speranzoso Devo andare ad aprire?". La madre scosse la testa e, a conferma della risposta appena data, si alzò e uscì dalla stanza. Dopo cinque minuti rientrò sbiancata in volto. "Mamma, cosa c'è?", chiese preoccupato Ilyas alzandosi dalla sedia. "È arrivato al sindaco l'ordine di sfratto: i lavori della diga procedono e quindi a noi non resta che partire in cerca di una nuova casa. Dove andremo? Come potremo trovare una sistemazione dignitosa senza soldi? Ci portano via tutto!", rispose tristemente. "Non è possibile: non hanno le carte in regola, non possono farlo!", disse Ilyas combattivo. "Cosa sai tu delle carte in regola?!". La domanda rimase sospesa: non arrivò nessuna risposta; Ilyas si stava chiedendo se la sua e-mail fosse arrivata a destinazione, se fosse stata letta, se fosse stata presa in considerazione da qualcuno. 19 Anche Giorgio si chiese la stessa cosa; pur non toccato direttamente dalla vicenda, si era interessato molto al problema e aveva speso le sue energie nel tentativo di risolverlo. Il vortice di pensieri che imperversava nella mente dei due amici fu calmato la mattina di qualche giorno dopo. Ilyas e Mehmet stavano aiutando il loro vicino di casa, un contadino, ad aggiustare un trattore. Il mezzo agricolo, un vecchio Fiat, era l'orgoglio del contadino: era uno dei pochi in tutta la città e, per quanto vecchio, il suo padrone lo teneva sempre pulito e splendente come appena uscito dalla fabbrica. Dopo tante avventure sui campi però, il trattore si era rotto: la recente e luccicante vernice rossa nascondeva, infatti, un motore con sessant'anni di sforzi sulle spalle e una manutenzione molto scarsa. Ilyas era steso sotto il mezzo su un morbido manto di paglia e cercava di capire, pur non sapendone niente, cosa non funzionasse, mentre Mehmet aveva la testa nel cofano e una grossa tenaglia in una mano; il contadino, invece, aveva ritrovato l'ingiallito e polveroso libretto di istruzioni del mezzo e lo stava sfogliando. Ad un tratto, un forte rombo martellante richiamò all'attenzione i due ragazzi che si distolsero dalle loro occupazioni. Ilyas si alzò in piedi e cercò lo sguardo dell'amico; Mehmet sollevò la testa e disse: "Non c'è dubbio: è un elicottero!". "Andiamo a vedere!", esortò Ilyas. Il contadino, che sapeva bene che per i ragazzi l'armeggiare gli arnesi del meccanico era un gioco più che un lavoro che doveva dare risultati, li lasciò uscire senza dire una parola. Mehmet, che fu per primo in strada, cercò nell'aria l'aeromobile. "Ecco!", indicò a Ilyas puntando il dito a Ovest. I due corsero fino a raggiungere un campetto dove le case non impedivano la vista a 360 gradi. "Sta scendendo e rallentando! Si fermerà in città!", disse euforico Mehmet. "Non capisco perché tu sia così contento: l'ultima volta che è arrivato uno di questi mezzi che ti piacciono tanto è stato portatore di brutte notizie!". "Perché devi sempre pensare in negativo?". "Perché ci sono solo cose negative ormai in questa città!", rispose l'altro scoraggiato. L'elicottero s'abbassò di quota e lentamente percorse la vallata. 20 "Fanno una perlustrazione", constatò Ilyas. In pochi minuti l'aeromobile tornò a vorticare sopra la città e prese terra vicino al fiume. I due amici corsero verso il luogo dell'atterraggio con il desiderio di sapere chi fossero i nuovi arrivati e, soprattutto, con quale scopo fossero giunti. Dall'elicottero scese un signore vestito in giacca e cravatta. "Hai capito chi è?", chiese Ilyas. "No, come potrei?!". "È il presidente dell'agenzia per i lavori idrici dello Stato (DSI) a cui ho scritto insieme a Giorgio! L'ho riconosciuto dalla foto che ho visto in Internet". Il presidente fece qualche passo verso la folla che si stava a poco a poco riunendo attorno al mezzo; il sindaco lo accolse porgendogli un microfono. "Buongiorno a tutti, io sono il presidente del DSI. Sono venuto in questa splendida città piena di antiche testimonianze della ricchezza di alcune civiltà del passato e piena di gente che vedo avermi accolto con grande curiosità e interesse...". "Vieni al dunque, presidente" disse sottovoce Mehmet ridendo. "Ebbene sono venuto per verificare la grave situazione che mi è stata resa nota da alcuni geologi e archeologi che mi hanno parlato personalmente, da alcuni giornalisti e anche da alcune lettere speditemi da voi. Prendo atto della veridicità di ciò che mi è stato riferito e dichiaro interrotti i lavori per la costruzione della diga di Ilisu!", proferì solennemente. Le sue parole furono accolte da un acclamazione generale e da un lungo, lunghissimo applauso. Ilyas, che non stava più in sé nella gioia, cominciò a ridere con Mehmet. Il blocco dei lavori non era definitivo, non erano annullati, erano solo rinviati. Li riprenderanno? Ordineranno nuovamente alla popolazione lo sfratto? Non si sa: la Storia non l'ha ancora scritto sulle grandi pagine del suo libro. L'unica cosa che si sa è che nella popolazione erano tornate la serenità, la sicurezza e la gioia. Una mano si pose sulla spalla di Ilyas che subito si voltò: era Giorgio. "Hai visto che i nostri sforzi sono serviti a qualcosa? Non è solo grazie a noi che la vicenda si è volta in positivo, ma è anche grazie a noi. Il nostro piccolo sforzo è una parte indispensabile dell'insieme di sforzi, è come il sale nella pasta: senza non avrebbe lo stesso gusto!". 21 This document was created with Win2PDF available at http://www.daneprairie.com. The unregistered version of Win2PDF is for evaluation or non-commercial use only.