ISSN 2283-5873 Scienze e Ricerche SR SUPPLEMENTO AL N. 8 - GIUGNO 2015 M. Margius & F. Tagj VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769 - 2015) Una biografia critica SUPPL. 1 - N. 8 - GIUGNO 2015 ISSN 2283-5873 Scienze e Ricerche suppl. 1 - n. 8, giugno 2015 Coordinamento • Scienze matematiche, fisiche e naturali: Vincenzo Brandolini, Claudio Cassardo, Alberto Facchini, Savino Longo, Paola Magnaghi-Delfino, Giuseppe Morello, Annamaria Muoio, Andrea Natali, Marcello Pelillo, Marco Rigoli, Carmela Saturnino, Roberto Scandone, Franco Taggi, Benedetto Tirozzi, Pietro Ursino • Scienze biologiche e della salute: Riccardo N. Barbagallo, Cesario Bellantuono, Antonio Brunetti, Davide Festi, Maurizio Giuliani, Caterina La Porta, Alessandra Mazzeo, Antonio Miceli, Letizia Polito, Marco Zaffanello, Nicola Zambrano • Scienze dell’ingegneria e dell’architettura: Orazio Carpenzano, Federico Cheli, Massimo Guarnieri, Giuliana Guazzaroni, Giovanna La Fianza, Angela Giovanna Leuzzi, Luciano Mescia, Maria Ines Pascariello, Vincenzo Sapienza, Maria Grazia Turco, Silvano Vergura • Scienze dell’uomo, filosofiche, storiche e letterarie: Enrico Acquaro, Angelo Ariemma, Carlo Beltrame, Marta Bertolaso, Sergio Bonetti, Emanuele Ferrari, Antonio Lucio Giannone, Domenico Ienna, Rosa Lombardi, Gianna Marrone, Stefania Giulia Mazzone, Antonella Nuzzaci, Claudio Palumbo, Francesco Randazzo, Luca Refrigeri, Franco Riva, Mariagrazia Russo, Domenico Russo, Domenico Tafuri, Alessandro Teatini, Patrizia Torricelli, Agnese Visconti • Scienze giuridiche, economiche e sociali: Giovanni Borriello, Marco Cilento, Luigi Colaianni, Riccardo Gallo, Agostina Latino, Elisa Pintus, Erica Varese, Alberto Virgilio, Maria Rosaria Viviano Abbonamenti in formato elettronico (pdf HD a colori): • annuale (12 numeri + supplementi, numeri monografici e annali): 42,00 euro (per sconti e tariffe particolari si rinvia alle informazioni contenute nel sito) Supplemento per ricevere anche la rivista in versione cartacea (HD copertina a colori, interno in b/n): • 12 numeri: 96,00 euro • 6 numeri: 49,00 euro Una copia in formato elettronico: 11,00 euro Una copia in formato cartaceo: 13,00 euro Il versamento può essere effettuato: • con carta di credito, utilizzando il servizio PayPal accessibile dal sito: www.scienze-ricerche.it • versamento sul conto corrente postale n. 1024651307 intestato a Scienze e Ricerche, Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 Roma • bonifico sul conto corrente postale n. 1024651307 intestato a Scienze e Ricerche, Via Giuseppe Rosso 1/a, 00136 Roma IBAN: IT 97 W 07601 03200 001024651307 4 2 Gli articoli pubblicati su Scienze e Ricerche sono disponibili anche online sul sito www.scienze-ricerche.it, in modalità open access, cioè a libera lettura, a meno che l’autore non ritenga di inibire tale possibilità. La rivista ospita essenzialmente due tipologie di contributi: • interventi, analisi, recensioni, comunicazioni e articoli di divulgazione scientifica (solitamente in italiano). • ricerche e articoli scientifici (in italiano, in inglese o in altre lingue). Gli articoli scientifici seguono le regole della peer review. La direzione editoriale non è obbligata a motivare l’eventuale rifiuto opposto alla pubblicazione di articoli, ricerche, contributi o interventi. Non è previsto l’invio di copie omaggio agli autori. Scienze e Ricerche è anche una pubblicazione peer reviewed. Le ricerche e gli articoli scientifici inviati per la pubblicazione sono sottoposti a una procedura di revisione paritaria che prevede il giudizio in forma anonima di almeno due “blind referees”. I referees non conoscono l’identità dell’autore e l’autore non conosce l’identità dei colleghi chiamati a giudicare il suo contributo. 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Il Calvario del Sierpinskij 19. Un’occasione perduta 20. Sierpinskij precettore 21. Sierpinskij e il Pittore 22. Sierpinskij e la Bibbia 23. Sierpinskij e il Mago 24. Sierpinskij e la Burocrazia 25. Noam Enzensberger 26. L’Enzensberger alla prova 27. Le lacune dell’Enzensberger 28. L’Enzensberger alla riscossa 29. La lezione di Noam Enzensberger 30. Fatti non spiegati 5 6 7 9 10 12 13 16 18 19 21 23 24 25 26 27 28 29 30 32 33 34 36 37 38 40 42 44 46 47 48 49 52 3 70 78 4 31. Sierpinskij e le donne 32. Siergeij Markov 33. Janik Fiondiskij 34. Un problema di... porte 35. La “probabilità estetica” di Siergeij Markov 36. Un curioso pranzetto 37. Un tragico pokerino 38. Fiondiskij e il test diagnostico 39. Il Bersaglio Meraviglioso 40. Sierpinskij e la Storia Zen 41. Sierpinskij e Sierpinski 42. Cambridge, o cara... (I): Liz, ovvero la Jones Moralty 43. Cambridge, o cara... (II): l’amico Bertrand 44. Cambridge, o cara... (III): la resa dei conti 45. Un inquietante problema 46. La quantizzazione delle orbite 47. Un ingegno... infinito 48. Evoluzione o Creazionismo? 49. L’Inesistenza dell’Etere 50. Pauli e Fiondiskij: attenti a quei due 51. Sierpinskij e il pazzo 52. Il cieco in una stanza 53. Kolmogorov e Smirnov 53 54 55 57 60 63 65 67 70 74 75 76 78 80 83 86 89 91 94 96 98 99 100 Appendice I Personaggi, Luoghi, Approfondimenti, Pettegolezzi 101 Appendice II Aforismi scelti (e commentati) di Taddeus Sierpinskij 110 Appendice III Indicazioni operative per un Primo Soccorso 119 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Prefazione “Tutti i bambini nascono intelligenti; poi, vanno a scuola” (Taddeus Sierpinskij) A ll’età di 246 anni, Taddeus Sierpinskij ci ha lasciati. Un’età ragguardevole, certamente; ma, ciononostante, una grave perdita per la Scienza e la Cultura. Non ci si può non chiedere, infatti, quante altre gemme di pensiero avrebbe potuto regalare all’umanità il Nostro, se solo avesse potuto stare con noi ancora qualche tempo. Sulla sua età Egli soleva spesso scherzare: «Non è mio merito - amava ripetere - si tratta soltanto di buona salute». E spesso soggiungeva: «Buona salute che mi deriva probabilmente dall’aver imparato sin da bambino a dire: ‘No!’». Come ebbe a rimarcare una volta, durante una sua conferenza all’università di Cambridge: «Di fronte ad una persona di oggi sono senza dubbio un fenomeno da baraccone; di fronte ad un profeta pre-diluvio sono invece soltanto un giovanotto di belle speranze». Ma ora, purtroppo, se n’è andato per sempre. Parlare di un uomo come lui non è facile: si rischia in ogni momento di cadere nell’esaltazione del personaggio o nel commento più banale. Certo è che Taddeus Sierpinskij è stato un precursore in numerosi campi dello scibile, dalla Matematica alla Sofrologia, dalla Fisica alla Contabilità Generale dello Stato. Elencare tutti i Suoi contributi, noti e meno noti, a quello che potremmo in modo riduttivo definire ‘Progresso Scientifico, Tecnico, Creativo ed Etico’ dell’H. sapiens sapiens, appare impresa destinata in partenza all’insuccesso; tuttavia, uno sforzo in questo senso sembra opportuno e quanto mai attuale in un mondo proteso verso un futuro incerto; in un mondo che dimentica sovente messaggi ed insegnamenti preziosi del passato, quali quelli del Sierpinskij, i soli che possano fornire indicazioni razionali per la soluzione di nuovi e vecchi problemi. A questa impresa, ardua e delicata ma, come detto, dovuta ed opportuna, decidemmo trent’anni or sono di dedicarci, con costanza, testardaggine, rigore ed entusiasmo. Quest’opera che oggi presentiamo, basata inizialmente su un poderoso lavoro di ricerca di uno di noi1 e su uno sforzo collettivo che ha coinvolto studiosi di tutto il mondo2, è il distillato di 124.648 pagine3, in cui abbiamo riportato tutte le informazioni e le analisi critiche delle fonti che possono attualmente essere considerate affidabili storicamente per una conoscenza puntuale e una valutazione globale della vita e dell’attività del Nostro. Siamo ben coscienti dei limiti di uno sforzo di questo tipo, in quanto ognuno di noi è specialista soltanto di alcuni aspetti dell’opera e del pensiero del Sierpinskij. A nostra scusante possiamo solo dire di condividere totalmente le ragioni esposte da Bertrand Russell nella prefazione del suo libro più famoso, “Storia della Filosofia Occidentale”4. Ed è con questo spirito che abbiamo svolto il 1 M. Margius, “Vita di Taddeus Sierpinskij: una sintesi critica”, pp. 6.547, Persichelli & Persichelli, Milano, 1997. 2 AA.VV., “Tutto su Sierpinskij”, 15 volumi, Frescobaldi Editore, Firenze, 2001. 3 F. Tagj & M. Margius, “Alcune osservazioni sulla vita e le opere di Taddeus Sierpinskij”, pp. 124.648, non pubblicato (nel senso che nessuno ha accettato di editare il manoscritto, fatto che vogliamo denunciare in questa sede all’opinione pubblica). 4 Dice al proposito il Russell: «Se però si debbono scrivere libri ad ampio respiro, è inevitabile, dal momento che non siamo immortali, che l’autore dedichi meno tempo a ciascuna parte di quanto ne dedica chi si 5 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA nostro lavoro. Duole che tutto questo esca in contemporanea con la scomparsa del Nostro, avvenuta il mese scorso nell’isola di Ceylon (oggi Sri Lanka). La coincidenza ha dell’incredibile, ma non è nuova. Lo stesso avvenne nel 1955 con “Cinquant’anni di Relatività”, volume celebrativo del lavoro di Albert Einstein. “Questa pagina è scritta oggi, diciotto aprile, con profonda mestizia!” si legge nella nota iniziale di Mario Pantaleo. “Triste e fulminea è giunta da Princeton la notizia della morte di Albert Einstein mentre si terminava la stampa degli ultimi fogli di questa opera, ideata da oltre cinque anni per celebrare il cinquantenario della relatività”.5 Casi di questo genere ce ne sono a bizzeffe. Ad esempio, tanto per far riferimento ad un altro grande fisico, proprio in quegli anni un noto editore scientifico italiano decise di tradurre un’importante opera giovanile di Wolfgang Pauli.6 Il padre del Principio di Esclusione, l’ideatore del neutrino, ne fu assai compiaciuto e si mise al lavoro per stendere un’apposita prefazione. Il libro uscì nel 1958; e Pauli, quell’anno stesso, si trovò a lasciare questa valle di lacrime. specializza su un singolo autore o su un breve periodo. Qualcuno, di rigida impostazione accademica, concluderà che non si debbono scrivere libri di ampio respiro, o che, caso mai, essi dovrebbero consistere in monografie scritte da vari autori. Qualcosa, però, si perde quando si è in molti a collaborare» (in: prefazione alla “Storia della Filosofia Occidentale”, Longanesi, 1983). 5 M. Pantaleo (a cura di), “Cinquant’anni di Relatività”, pp. 634, Coedizione Giunti & Sansoni, Firenze 1955. 6 W. Pauli, “Teoria della Relatività”, Boringhieri, 1958. Le opere celebrative sono dunque intrinsecamente jettatorie? È probabile. In fondo, presi dal celebrare, ci si distrae un poco. E di questo abbassare la guardia verosimilmente approfitta il Fato, cinico e baro, come ebbe a dire una volta un importante uomo politico italiano.7 Ma, tornando al presente volume, non sappiamo onestamente se questo nostro tentativo sarà coronato da successo, nel senso che sovente coloro che studiano un particolare personaggio si fanno prender la mano da una sorta di confidenza che si crea proprio tra loro e il personaggio stesso, e che talora porta a trascurare aspetti di rilievo, dati per scontati, e ad approfondire fatti minori che, per una strana deformazione della prospettiva storica, appaiono ai biografi di grande importanza. Tuttavia, anche se successo non sarà, anche se il nostro libro non risulterà particolarmente riuscito, saremo lo stesso appagati: era importante scriverlo, noi lo abbiamo scritto. E poi, come soleva ripetere Taddeus Sierpinskij a chi gli chiedeva un parere in merito a decisioni prese o ad opere già realizzate: «Chi la fa, l’aspetti» (per la verità, alcune volte diceva anche «Roma caput mundi» oppure «In cauda venenum»; ma questo non cambia nulla della sostanza di quanto il Nostro intendeva mettere in luce). Gli Autori Roma, 15 maggio 2015 7 Trattasi di Giuseppe Saragat, che in verità usò il termine ‘Destino’. Pubbliche scuse G li A.A. sentono la necessità di un chiarimento, onde evitare che quanto contenuto in questo volumetto possa ingenerare equivoci od offendere la sensibilità di alcuni; o, al limite, far danni. Procediamo, quindi. Lo Zen, oltre ad essere una cosa molto seria, è anche una disciplina spirituale che se maggiormente diffusa e praticata farebbe molto bene al mondo attuale e lo aiuterebbe – almeno in parte – a risolvere i suoi problemi. Lo stesso può dirsi della Scienza, della Matematica, della Musica, della Poesia e di quant’altro abbiamo qui trattato1. E ancor più ammirazione e rispetto meritano tutti quegli Spiriti Eletti che hanno contribuito, assai spesso in silenzio e con grandi sacrifici personali, a far avanzare le nostre conoscenze. Tuttavia, ogni tanto bisogna pur riposarsi; e questo riesce assai bene se si celia su se stessi e sulle cose che gli umani hanno prodotto, buone e cattive. Così facendo, la gente si di1 Financo dell’Estetica, se vogliamo (nota di F.T.). 6 verte (almeno, per quel che ci riguarda, lo speriamo); alcuni hanno occasione di conoscere idee e fatti mai prima incontrati nella vita (e magari poi viene loro anche la voglia di approfondirli); qualche problema sollevato si presta a riflessione. Non è che noi si voglia con questo far l’elogio della facezia; certamente, però, se questa suscita qualche sorriso e curiosità, di certo fa anche bene alla salute, fisica e mentale. E poi, per dirla tutta, meglio scherzare in allegria piuttosto che assumere atteggiamenti dogmatici, autoritari, sottendenti un profondo disprezzo per quanto prodotto da altri, disprezzo non moralmente giustificato e quasi sempre accompagnato da crassa ignoranza dell’argomento trattato. Sicché, mentre chiediamo scusa se in qualche passo o in qualche nota siamo andati al di là di quello che di solito viene indicato genericamente come buon gusto, diciamo anche che le nostre intenzioni non erano malevoli, né tantomeno si voleva essere irrispettosi. D’altra parte, ormai non c’è più rimedio. Come direbbe il Sierpinskij: «Cosa fatta, capo ha!». M. Margius & F. Tagj VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Avvertenze per l’uso “ In questo libro c’è almeno un errore” avvertiva uno scrupoloso autore nell’introduzione della sua opera. Per quanto a prima vista questa frase appaia normalissima, inoffensiva, essa è paradossale in quanto... è sempre vera. Infatti, se nel libro c’è almeno un errore, essa è vera; ma se errori non ce ne sono, allora è la frase stessa ad essere erronea; e quindi l’errore nel libro c’è comunque.1 Detto questo, il problema nel nostro caso non si pone: il libro è pieno di fesserie, alternate a cose molto serie; anzi, detto con maggiore precisione, intrecciate con cose molto serie. In fondo, il divertimento per il lettore nasce (dovrebbe nascere...) proprio da questo gioco 1 Questo paradosso è noto come ‘Paradosso dell’Introduzione’. Fu formulato dal logico australiano David Clement Makinson (di cui il lettore accorto potrà con profitto leggere l’agile volumetto “Bridges from Classical to Nonmonotonic Logic”, Texts in Computing, vol. 5, 2005). Poiché qualche paradosso compare anche in questi nostri demenziali raccontini, chi fosse interessato potrà approfondire questo affascinante argomento tramite i molti piacevoli libri disponibili, tra i quali citiamo: Tano Parmeggiani & Carlo Eugenio Santelia, “Il Grande Libro degli Enigmi”, Biblioteca Universale Rizzoli, 1992; Nicholas Falletta, “Il libro dei Paradossi”, TEA, 2001; Piergiorgio Odifreddi, “C’era una volta un paradosso”, Einaudi, 2001. di notizie vere e false. Da tutto ciò discende un’importante avvertenza per l’uso corretto del presente prodotto: leggete, divertitevi (se vi riesce), dimenticate. Non sottovalutate quello che vi è stato appena detto. Come soleva ripetere il Sierpinskij: «Una panzana raccontata pubblicamente quattro volte diviene presto notoria verità». Nel presente caso l’avvertenza può sembrare quasi superflua; ma il problema da essa sotteso, quello della validità delle ‘fonti’ di informazione, è attuale, pur essendo vecchio come il mondo. E a nostro parere, con tutta l’informazione oggi disponibile, esso si è anche aggravato. Nei fatti, le fonti da cui possiamo trarre notizie si sono estremamente diversificate ed arricchite nel tempo; e di fronte ad esse la gran parte di noi ha sempre (come sempre è stato) un atteggiamento ‘passivo’, di fede aprioristica. E questo è male. Ripercorrendo il cammino dell’uomo, possiamo immaginarci nel tempo una catena di risposte ‘tipiche’ ad una stessa domanda. «Quale domanda?» chiederete. Quella che ognuno di noi fa spesso a chi gli sta raccontando qualcosa: «Ma sei sicuro?». Prima dell’invenzione della scrittura, le risposte standard erano probabilmente del tipo: «Me lo ha detto il saggio del 7 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA villaggio» (che fa pure rima...); «L’ho sentito da un cantore»... Con la scrittura, le scelte si sono arricchite, in numero e qualità: «Era inciso su un tavoletta della biblioteca reale»; «Lo riportava un papiro del tempio»; «Sta sul rotolo che Marius recò dalla Siria». In tempi a noi più vicini, la stampa ha incrementato notevolmente le possibilità: «L’ho letto in un libro» (qualcuno); «Era sulla Gazzetta» (la gran parte). Ma la vera rivoluzione l’hanno determinata i moderni mezzi di comunicazione: «L’ho sentito alla Radio»; «L’ha detto la Televisione»; e, più recentemente: «Stava su Internet». In questo caos di informazione rampante e dilagante, in genere di scarsa qualità (anche i libri scolastici, almeno stando ad indagini svolte, sono zeppi di errori), bisogna tutelarsi onde evitare di registrare nel nostro cervello solenni stupidaggini. Ma come può farsi questo? Con l’esercizio, ovvero studiando opere i cui autori abbiano fama di serietà, ricorrendo ad enciclopedie congegnate con cura e, soprattutto, confrontando tra loro diverse fonti che trattano lo stesso argomento, privilegiando quelle originali. Già, le fonti originali, il modo migliore per costruirsi una conoscenza accurata, di qualità. E sì, perché se voglio sapere quello che pensava Mario Rossi, altro è leggere ciò che Mario Rossi ha scritto, altro è farselo raccontare da Gino Bianchi che, nella migliore delle ipotesi, ha letto le opere di Mario Rossi e nella peggiore quelle di Arturo Verdi che ha letto gli scritti di Aldo Bruni che, è sperabile, ha effettivamente studiato le opere di Mario Rossi (la catena può essere anche molto più lunga...). Chiaramente, abbeverarsi alla fonte non è sempre facile, talvolta anche per via della lingua (per fortuna ci sono i traduttoritraditori...); ma, quando possibile, vale la pena farlo. Sicché, se qualche argomento da noi discusso vi intriga, approfonditelo su basi sicure, ad esempio – in modo da non rimetterci quattrini – andando in una biblioteca pubblica dove, piccola che essa sia, troverete tutto quello che vi occorre. E anche qualcuno a consigliarvi nella scelta: la lettura di qualche buon testo semi-divulgativo scritto da validi insegnanti (non ne mancano), o da professori universitari in grado di farsi capire (stranamente, ce n’è ancora in giro), o da persone di chiara fama e cultura (e queste vanno selezionate con attenzione), potrà saziare di certo – e nel modo più corretto - il vostro desiderio di conoscere. A parte gli scherzi, 8 vale davvero la pena di approfittare delle occasioni di divertimento (e non solo...2) che una divulgazione di buon livello può offrire, in ogni campo dello scibile. In definitiva, per quanto riguarda il presente volumetto, utilizzatelo strettamente nei modi suggeriti. Altrimenti, e non dimenticatelo mai, potrebbe avere... effetti collaterali anche gravi (in questo disgraziato caso si faccia comunque riferimento all’appendice riportata alla fine del volume: “Indicazioni operative per un Primo Soccorso”). 2 Il senso di fascino che un buon divulgatore riesce a suscitare non è solo una sensazione piacevole per il lettore: esso può avere talora anche importanti ricadute pratiche. Facciamo al proposito un esempio concreto: molti di noi hanno letto da ragazzi “I Grandi Matematici” di Eric Temple Bell (‘Men of Mathematics’, Simon and Schuster, New York, 1937; trad. italiana: Sansoni, Firenze 1950. Bell, matematico egli stesso, è l’ideatore dei ‘numeri di Bell’). In questo libro viene riportata una famosa congettura di Pierre de Fermat (impropriamente chiamata “Ultimo teorema di Fermat”). In sostanza, leggendo un’opera di Diofanto di Alessandria (“Arithmetica”, libro II, questione 8), Fermat nota che ha trovato un modo “veramente mirabile” per dimostrare che l’equazione x n + y n = z n non ha soluzioni intere per n>2 (per n=2 le soluzioni sono infinite. Una, nota agli egizi, è quella del triangolo rettangolo di lati 3, 4 e 5. Quadrando si ha: 9 + 16 = 25). Purtroppo, egli aggiunge, il margine del libro di Diofanto, dove vorrebbe trascriverla, “è troppo ristretto” (“Observationes Domini Petri de Fermat”, 1670. Fermat, magistrato per professione e matematico per passione, è stato tra l’altro – insieme a Blaise Pascal – uno dei fondatori del Calcolo delle Probabilità). Tra i tanti lettori del libro di Bell c’è stato anche un ragazzino di nome Paul Wiles che, come moltissimi altri, è rimasto profondamente colpito da questa congettura e si messo in testa di dimostrarla. E c’è riuscito, nel 1995. Crescendo, infatti, ha dedicato caparbiamente parte del suo lavoro di matematico alla questione, fino a risolvere un problema che aveva tenuto testa a generazioni di matematici (professionisti e dilettanti) per più di tre secoli e mezzo! Per inciso, la dimostrazione di Wiles occupa centinaia di pagine, con buona pace del ‘margine’ cui faceva riferimento Fermat (esisterà davvero la dimostrazione più sintetica cui questi faceva cenno?). L’ondata emozionale trasmessa da Bell a Wiles ricorda un poco la parabola del seminatore: se il seme incontrerà un buon terreno, i frutti non tarderanno a venire. In fondo, quando il fascino suscitato è quello giusto e i lettori sono molti, si tratta quasi di una certezza in termini probabilistici. Qualcosa di tal genere deve essere successo anche ad Albert Einstein, che ricorda nella sua autobiografia di essere stato affascinato, ancora adolescente, dalla lettura dei ‘Libri popolari di scienza naturale’ di Bernstein, «che lessi con grandissima attenzione» (citato da A. Einstein nelle sue ‘Note autobiografiche’, in “Albert Einstein: Philosopher-Scientist”, a cura di Paul A. Schilpp, Evanston, Illinois, 1949; trad. italiana: “Albert Einstein scienziato e filosofo”, Boringhieri, Torino 1958). VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 1. Un certo giorno, in quel di Bvdgoszcz... I n Polonia, a Bvdgoszcz, un ridente paesino a nordovest di Varsavia, durante il regno di Stanislao II Augusto Poniatowski, accadde un fatto davvero singolare: a Cornelius Sierpinskij e Maria Sonja Kolkolowska, il 20 di giugno del 1769 alle cinque precise del mattino, nacque un figlio, Taddeus Sierpinskij. Il primo nome, Taddeus, gli fu messo in onore di un amico del padre, tal Tadeusz Cosciuszko, che poi si distinse nel 1794 guidando un’insurrezione patriottica contro l’oppressore russo (nel 1772 la Polonia era stata spartita tra Russia, Austria e Prussia). A questo seguivano invero altri nomi, molti, che grazie alla ricerca di alcuni studiosi svolta presso gli archivi della parrocchia di Bvdgoszcz si è riusciti a recuperare: Morfeo (come il nonno paterno), Karl (dal nonno materno), Augustus (in onore del Poniatowski), Gilberto, Francesco, Adalberto Maria, Pierferdinando, Bachisiu (in ricordo del viaggio di nozze dei suoi genitori in Sardegna), Alicio, Alfredo, Giorgio, Giovanni, Vercingetorige. Va detto sin d’ora che nella Sua vita Sierpinskij usò sempre e soltanto il primo nome, non sappiamo se per modestia o per un sano principio di economicità di cui fu sempre testimone l’operare dei suoi lunghi anni. Come frequentemente avviene in occasione della nascita di Grandi Uomini, anche nel caso del Nostro accaddero fatti memorabili. Ne citeremo nel seguito uno soltanto. La mattina di quel giorno si presentarono a casa dei Sierpinskij tre astronomi dell’Accademia delle Scienze di Varsavia1, i quali, avendo trovato occupati tutti gli alberghi di Bvdgoszcz (che in realtà consistevano di due sole locande...) stavano cercando ospitalità presso qualche privato. Essi erano venuti nella cittadina per studiare al meglio una cometa (si pensa alla cometa di Halley, ma nessuno si è mai premurato ancora di verificarlo con dei calcoli2). Il padre di Sierpinskij si disse subito disponibile alla cosa. E lo fece per due ragioni: la prima era dovuta al fatto che in effetti in casa c’era una 1 Trattavasi di Gaspare Visturoff (direttore della specula governativa di Varsavia), di Baldassarre Litanov (titolare della cattedra di Meccanica Celeste dell’università di Cracovia) e di Melchiorre Cacace, astronomo e vulcanologo napoletano, allora in visita in Polonia per motivi di studio. 2 In verità, si cimentò in questo un allievo del Sierpinskij, tal Noam Enzensberger, il quale non identificò l’oggetto, ma ne stabilì il periodo, pari a suo dire a 4.536.832 anni. Su questi calcoli, tuttavia, permane ad oggi il più totale scetticismo del mondo scientifico. Vedi anche la specifica nota in: AA.VV., “Tutto su Sierpinskij”, vol. VI, 153-245, Frescobaldi Editore, Firenze, 2001. stanza libera, occupata soltanto dal pianoforte della moglie3; la seconda gli veniva invece calorosamente consigliata dalle sue non floride finanze del momento4, rese peraltro ancor più precarie dalle spese sostenute per l’arrivo del frugolo. «Pagando, s’intende» disse il più anziano dei tre al Cornelius, stringendogli la mano per il concluso accordo. «S’intende - replicò questi - naturalmente, voi comprendete che, dato il particolare momento che sto attraversando, vorrei che si tenesse in questo ben presente anche quanto sarà per me impegnativo l’ospitarvi». «Non v’è dubbio» gli rispose l’anziano scienziato, soggiungendo: «E allora, oltre a pagarvi la camera, ci pregieremo di lasciarvi anche dei doni augurali per il vostro figliuolo». E quindi si rivolse agli altri due: «Io ho un bel medaglione d’oro da regalare al bambino5. E voi?». Uno dei due, frugandosi nelle tasche della giacca, estrasse con cura un oggetto: «Da parte mia avrei questa piccola icona d’argento, da me acquistata anni fa a San Pietroburgo: è molto antica e preziosa»6. «Francamente - intervenne il terzo - io non ho nulla con me che valga qualcosa.7 Se voi due siete d’accordo, regalerei al bambino quel barilotto di birra che ci siamo portati dietro da Varsavia. Di certo, se lo godrà il signor Cornelius: ma sarà sempre meglio di niente». E con questo, si appropinquarono alla culla, dove Taddeus dormiva saporitamente, e rimasero gran tempo a contemplarlo. «Oro, argento e birra...» rifletteva intanto il Cornelius: «Non so perché, ma mi ricorda qualcosa». Ma nulla gli sovvenne. Sicché, piuttosto soddisfatto per la provvidenziale occasione andata in porto, si avviò a dare indicazioni alla fantesca riguardo al pranzo e alla cena del giorno. 3 Maria Sonja Kolkolowska era infatti un’eccellente concertista. Sembra che anche Chopin abbia fruito di alcune sue lezioni, sia di tecnica pianistica sia di composizione. 4 Il Cornelius, patito della briscola scoperta, aveva perso in quel periodo delle ingenti somme al gioco. 5 Trattavasi di un caro ricordo del Visturoff, ricevuto in dono da una zia materna in occasione della prima comunione. 6 Questo fatto (l’acquisto dell’icona a San Pietroburgo da parte del Litanov) è stato recentemente confermato da specifiche ricerche storiche (v. AA.VV., “Tutto su Sierpinskij”, vol. XIV, 281-295, Frescobaldi Editore, Firenze, 2001). 7 La cosa non deve sorprendere: in fondo, Melchiorre Cacace era in viaggio; e all’epoca, per via dei tanti briganti che infestavano le strade, non si era usi portare seco oggetti di valore. Ciononostante, come riferito da diversi testimoni, questo non impedì in privato al Cornelius di commentare acidamente: «Come al solito, da Napoli non esce mai nulla di buono!». 9 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 2. Un cattivo insegnante L ’infanzia di Sierpinskij si svolse quasi interamente a Bvdgoszcz, il tranquillo paesino a nord-ovest di Varsavia dove era nato. Nel complesso fu un’infanzia felice e tranquilla, turbata tuttavia dalla presenza di un maestro elementare, severo e sfaccendato, che in cuor suo detestava i bambini. Questo signore, tale Alexius Zipidijz1, era temutissimo dai suoi alunni, anche perché soleva dar loro dei compiti in classe faticosissimi e noiosi. Tenendoli così impegnati, egli poteva dedicarsi tranquillamente alle proprie faccende private, quali il curare l’amministrazione di certi condominii. Questa attività, una delle tante che svolgeva sottobanco, gli rendeva molto danaro in quanto – essendo d’accordo con alcuni artigiani – riusciva a far approvare agli ingenui condòmini un lavoro di ristrutturazione dopo l’altro. Una rinfrescatina alle scale, il rifacimento dell’androne («... col nuovo pavimento sarà certo ben più luminoso!»), la messa in sicurezza della legnaia comune, e altre cose del genere, si concretizzavano poi in un fiume di corone che partendo dalle tasche dei condòmini finiva nelle sue (70%) e in quelle dei titolari delle ditte che eseguivano i lavori (30%). Uno dei suoi cavalli di battaglia per starsene tranquillo durante le ore di lezione era di far scrivere ai poveri bimbi, sui loro quadernetti, 300 volte il nome del paese: «Bvdgoszcz, mi raccomando: B-V-D-GO-S-Z-C-Z. Scrivetelo bene, non fate come ieri!». E detto questo, mentre i frugoli sospirando principiavano a svolgere per l’ennesima volta il triviale compito, si beava esaminando preventivi, scrivendo lettere di convocazione di assemblee condominiali o appuntando pensieri e riflessioni che gli venivano al momento2. 1 Si trattava di Alexius Zipidijz, personaggio molto noto negli ambienti scolastici dell’epoca. Di origini greche, era emigrato in Polonia dall’Attica. Dopo circa dieci anni di insegnamento, divenne un alto funzionario amministrativo del Ministero dell’Istruzione polacco. Al culmine della carriera, col grado di ‘Direttore Generale’, fu coinvolto nel noto scandalo legato ai prezzi gonfiati dei libri scolastici, che fece scalpore in tutta l’Europa. Fu poi, con altri, assolto per insufficienza di prove. A seguito di questo, la sua scalata ai vertici del Ministero fu stroncata, come pure lo furono sue malcelate ambizioni politiche. Tuttavia, essendo mancata la condanna penale, lo Zipidijz citò per danni morali e materiali il Governo di allora e riuscì, incredibilmente, ad ottenere un risarcimento di 500.000 corone. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò a scrivere libri per ragazzi, nonché a pubblicare i suoi diari di insegnante. 2 Si legga al riguardo il gustoso e toccante volumetto: A. Zipidijz, “Il Condominio”, poesie, Ed. Tarskij, Varsavia 1836. 10 La cosa, tuttavia, non poteva andare avanti all’infinito. E questo per due ragioni: la prima, perché ormai i bambini riuscivano a scrivere Bvdgoszcz ad occhi chiusi, e lo facevano sempre più velocemente; la seconda, perché il Direttore della scuola, certo Gaetano Inzakoski3, durante una sua ispezione si era insospettito alla vista di pile di quaderni dove poteva essere letta una sola parola: Bvdgoszcz. «Mi compiaccio con lei, prof. Zipidijz - gli disse un bel giorno - per il suo modo originale di inculcare nei ragazzi l’amore per la città in cui vivono. Però, io credo che lo abbiano ben appreso ormai. È tempo di cambiare, di passare ad altro. Penso che un po’ di matematica non farebbe loro male. La pregherei quindi di adeguarsi a questa mia direttiva». La cosa non piacque allo Zipidijz in quanto non era semplice servirsi della matematica onde pervenire senza fatica agli eccellenti risultati che il metodo “Bvdgoszcz” gli aveva garantito per anni. Tuttavia, egli non era uno stupido: sicché, aguzzò l’ingegno. «Cari bambini - disse loro il giorno seguente - ormai avete imparato bene a scrivere il nome della nostra bella cittadina. Perciò non sarà più necessario ripetere questo esercizio che tanto vi piaceva. Diciamo che esso ha già svolto la sua funzione». In classe non si sentiva volare una mosca. Erano altri tempi, è vero, c’era più disciplina e le punizioni erano anche di natura corporale; ma quell’agghiacciante silenzio derivava soprattutto da timore, timore di cosa potesse aver escogitato la perfida mente dell’insegnante. Erano 32 bambini, tutti assai intelligenti e sensibili: e non avevano torto ad essere preoccupati. «Quindi, allievi diletti - proseguì implacabile lo Zipidijz - da questo momento il compito giornaliero riguarderà la matematica, in particolare le somme. Il problema di oggi è il seguente: fate la somma dei primi 700 numeri interi. Dunque: 1+2+3+4... e così via. Facile, no? Presto, tirate fuori i vostri quaderni e datevi da fare!». E detto questo si immerse nello studio di un progetto di rifacimento della facciata di uno degli stabili da lui amministrati, il cui preventivo gli sembrava invero troppo contenuto. 3 Gaetano Insakowski, rigido didatta polacco del tempo, morì suicida quando divenne di dominio pubblico la sua relazione con una delle più avvenenti ballerine dell’Opera di Varsavia, certa Elena Popposkwa. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Qualche bambino cominciò a piangere (ovviamente, senza far rumore); qualcun altro si mise invece all’opera; e tra questi, il Nostro. Erano passati poco più di 10 minuti e già il Sierpinskij si alzava dal banco per portare all’insegnante il proprio quaderno con la soluzione. «Taddeus - disse questi, sommamente irritato - sai che non amo gli scherzi! Tòrnatene al banco e fai il compito!». «Ma io ho finito per davvero, signor maestro!» protestò il Sierpinskij. «La somma dei primi 700 numeri interi è 245.350». «Stai inventandotelo?» proruppe spazientito lo Zipidijz. «No, signor maestro. La somma è proprio quella. C’è un trucco!» spiegò Taddeus. «Se si scrivono i numeri da 1 a 700 e, poi, accanto a questi quelli da 700 a 1, la somma di ogni coppia è sempre 701. Sicché, due volte la somma dei primi 700 numeri interi vale 700 volte 701; e quindi la metà di questa cifra è la somma dei primi 700 numeri interi. E viene 245.350. Ho controllato». Zipidijz rimase di stucco. Prese un foglio di carta, fece qualche conto e poi, guardando intensamente Sierpinskij gli disse gelido: «Bravo. Molto astuto. Ma io ti avevo detto di fare le somme, non di arrivare direttamente al risultato. È una specie di frode la tua, birbante. Vai al tuo posto e mettiti a lavorare!». Sierpinskij riprese mestamente il suo quaderno e tornò al banco. Trovava molto ingiusto l’atteggiamento del maestro. E due lacrime spuntarono a testimoniare quanto questa sua convinzione fosse profonda. Da quel giorno fu il bersaglio preferito dello Zipidijz, il quale non mancò occasione per umiliarlo davanti alla classe. Vale la pena osservare come questo episodio sia il primo di tanti che nel corso degli anni afflissero il Sierpinskij. In effetti, Egli dovette lottare tutta la vita contro l’invidia.4 E che fosse anche in questo caso davvero invidia è testimoniato da quanto contenuto nei diari dello Zipidijz.5 6 4 Va detto comunque che il Sierpinskij la prese sempre con filosofia. Celebre al proposito la Sua esilarante battuta: «Tra l’invidia e l’indivia, preferisco l’indivia». 5 Dal diario di Alexius Zipidijz: «Oggi ho avuto una grande soddisfazione, che mi conferma l’eccezionalità del mio metodo didattico. Ho infatti assegnato alla classe un compito di matematica assai laborioso, che è stato svolto rapidamente – e senza errori – da tutti. Anche il piccolo Taddeus, di scarso ingegno in verità, è riuscito a venirne a capo. Se i primi riescono, non c’è nulla di cui sorprendersi; ma se anche gli ultimi si fanno avanti, allora il merito è dell’insegnante. Caro Taddeus, grazie per la soddisfazione che mi hai dato!». (ripreso da: A. Zipidijz, “Una vita per la scuola: diario di un insegnante”, Kurt & Lagen, Berlino, 1845). 6 Data la stridente discordanza da noi verificata tra quanto scritto dal maestro e quel che il Sierpinskij racconta nel Suo primo diario, con una specifica ricerca nella biblioteca di Bvdgoszcz siamo riusciti a recuperare il diario originale di Alexius Zipidijz. Come può rilevarsi dalla trascrizione nel seguito riportata, il suo contenuto è ben diverso da quello dato alle stampe: «Oggi, il Direttore è venuto a rompermi le uova nel paniere. Mi ha praticamente proibito di usare la tecnica “Bvdgoszcz”, ordinandomi di far svolgere ai ragazzi compiti di matematica. Non avendo tempo da perdere con questi mocciosi, ho pensato a come trarmi d’impaccio; e ho avuto un’idea davvero geniale: far loro sommare numeri interi. Compito lungo, laborioso, facilmente ripetibile: basta assegnare ogni volta un intero massimo diverso, naturalmente molto Carl Friedrich Gauss (1777-1855) Si rimane stupiti di fronte a queste precoci capacità matematiche del Sierpinskij, allora settenne; capacità che avranno poi modo di manifestarsi a ben altri livelli. Nello stesso tempo, lo storico non può non essere scandalizzato dall’enfasi data ad un analogo episodio, attribuito a Gauss bambino (decenne) in relazione ad un problema molto più semplice: la somma dei primi 100 numeri interi.7 E oggi si ricorda al proposito Gauss, e non il Sierpinskij. D’altra parte, la cosa non sorprende, vista l’estrema modestia del Nostro.8 grande. Ebbene, quel saccente di Taddeus Sierpinskij ha trovato un modo per fare tutto in fretta, quasi all’istante. Dio, come detesto questo bambino! Non è intelligente: è solo un furbastro». 7 Vedi, ad esempio, Eric Temple Bell “Men of Mathematics”, Simon and Schuster, New York, 1937 (Trad. italiana: “I Grandi Matematici”, Sansoni, 1950). 8 Dal primo diario di Taddeus Sierpinskij: «Il maestro ci ha dato oggi un compito molto noioso: sommare i primi 700 numeri interi. Io ho cominciato a scriverli in colonna per poi fare la somma: 1, 2, 3, 4... . Dopo però ho pensato che forse era meglio cominciare dai più grandi, così mi toglievo subito di torno le somme più complicate. Per vedere come veniva, prima di scriverli tutti ho cominciato a fare un po’ di conti. Però mi sono sbagliato perché invece di sommarli per colonna, li ho sommati per riga. Non riuscivo a capire: veniva sempre 701! Ci ho pensato un poco su e mi sono reso conto che arrivare alla soluzione era davvero facile. Ho portato il quaderno con il risultato al maestro che, invece di lodarmi, si è molto arrabbiato. Diceva che lo volevo imbrogliare. Credo di non essergli simpatico. È un maestro cattivo, che non ci vuole bene». 11 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 3. Sierpinskij poeta I l Sierpinskij è stato anche un grande poeta, uno dei più sommi. È difficile, d’altronde, parlare di questa Sua attività in quanto la lettura delle Sue poesie, ancorché fatta per scopi di studio, è sempre assai struggente; e la commozione interferisce non poco con la lucidità necessaria per un commento distaccato. Per questo riteniamo che la cosa migliore sia quella di proporvi due delle Sue poesie migliori, una diretta alla madre, Maria Sonja Kolkolowska, scritta a Varsavia quando Egli aveva appena dieci anni; l’altra composta, non ancora diciottenne, per il Suo primo amore, certa Helena Buraskowskij di Cracovia. 1) ALLA MAMMA Mamma, mammetta mia, tu sei la più buona, la più pia, e di tutte le donne di Varsavia, sei certo la più bella e la più savia.1 Molte volte mi dai lo scapaccione,2 specie se faccio troppe marachelle; però dopo mi compri un aquilone, un gelato e tante caramelle. Per questo il tuo figlietto ti vuole tanto bene e nel suo cuoricino ripone tanta speme,3 speme di grande affetto, speme che ahimé mi invasa:4 ti amo, mammolina, angolo della casa.5 1 Invero, più di un commentatore si è chiesto cosa avrebbe mai scritto il Sierpinskij se la sua famiglia avesse al tempo soggiornato in altro luogo, ad esempio in quel di Codignotta. 2 Si osservi, anche in questo verso, quale rigida educazione polacca ha contribuito a formare nel Nostro il Suo celeberrimo autocontrollo. 3 È sorprendente come, già a dieci anni, il Sierpinskij dominasse a tal modo la lingua, con grande ricchezza di vocaboli. 4 Questo verso appare assai forzato, scritto chiaramente in preparazione dei successivi. Ciò non toglie certo nulla alla bellezza complessiva della poesia, ma Oderzio Brunozjievicz, il massimo commentatore dell’opera poetica del Nostro, lo definisce, con toni forse un poco troppo forti, «... non certo licenza poetica, ma uno dei peggiori momenti espressivi del Sierpinskij, una vera cagata!». 5 Sino a qualche anno fa si pensava trattarsi di un errore di stampa. L’esame da noi esperito sullo scritto originale rivela invece che il Sierpinskij scrisse 12 2) IL PRIMO AMORE NON SI SCORDA MAI...6 Il primo amore non si scorda mai... ... dunque, a maggior ragione, dovrebbero ricordarsi assai bene il secondo, il terzo, il quarto, ecc. ecc. .7 Ma io, di certo, non voglio altri amori: tu, mia diletta, devi essere il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto... ... l’undecimo... il centesimo... ... il millesimo ... il miliardesimo amore della mia vita.8 Il primo amore non si scorda mai... ... un antico ritornello me lo ha detto. E tu dimenticare non potrai la prima volta che ti strinsi al petto. Sono il tuo primo amooooreeee, torno a cantare la canzone da te preferita: dammi i tuoi baci, io ti darò la vita! Cantiamo insiemehehehehehe... ... il primo amore non si scorda maiiiiiiiii.9 proprio “angolo” e non “angelo”. Viene, quindi, da pensare che in questo verso il giovanissimo Taddeus abbia voluto manifestare alla madre la Sua solidarietà per lo scarso conto in cui ella era tenuta dal marito. 6 Scritta dal Sierpinskij per Helena Buraskowskij, giovinetta di Cracovia di cui, ancora adolescente, Egli fu profondamente innamorato. 7 Si osservi come, anche se travolto dalla passione, il Sierpinskij riesca a mantenere quella razionalità che lo ha fatto entrare nella Leggenda. 8 Stupefacente appare, invero, la padronanza della matematica che il Nostro già allora possedeva e che esercitava anche nei momenti più intimi. 9 Duole doverlo riferire, ma su questa seconda parte è ancora in corso una causa per plagio. Infatti, virgola più virgola meno, essa parte coincide praticamente con le parole di una nota canzone italiana, intitolata appunto “Il primo amore”. Il Sierpinskij si è sempre difeso dall’accusa di plagio, sottolineando che tale canzone non era ancora stata scritta quando Egli compose la poesia. D’altra parte, la dimostrata capacità del Sierpinskij di viaggiare nel tempo getta una luce sinistra , o comunque spiacevole, su questo fatto. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 4. Il seminario di Cracovia G razie alla raccomandazione di monsignor Tony Casanova,1 cui la madre del Sierpinskij era particolarmente devota, il Nostro fu ammesso a studiare nel seminario di Cracovia. Era tal seminario assai bene organizzato, anche per la severa direzione dell’abate Igor Ferocinov.2 Gli insegnanti ivi operanti apparivano di primissimo ordine, scelti tra i prelati più colti e di vedute più ampie, come pure tra laici, ma solo se di indubbia fama e capacità. Tra tutti, comunque, spiccava un sacerdote, certo Padre Ilarius Nebuloski,3 russo d’origine, il quale curava l’insegnamento della logica. Si trattava di logica aristotelica, dati i tempi; ma tra i suoi contemporanei il Nebuloski rappresentava certo una prima scelta sia come docente, sia come cultore della materia. Quasi superfluo a dirsi, il Sierpinskij risultò poi tra i migliori del corso. Ciononostante, per via di un suo atteggiamento talora poco rispettoso, tra il Nostro e il Nebuloski non corse all’inizio buon sangue. Il problema era sostanzialmente dato dal fatto che molto spesso il Sierpinskij non riusciva a dominare la propria intelligenza, apparendo il più delle volte, anche agli occhi della classe, come un fastidioso bambino saputello; d’altra parte, il Nebuloski, ancora provato da una terribile delusione d’amore,4 non era in animo di tollerare che qualcuno perturbasse il corso delle sue lezioni, tantomeno – caso del Nostro - con argomenti che definire sofistici o capziosi sarebbe un eufemismo. Quello che va rimarcato (peraltro confermato da specifiche ricerche da noi svolte recentemente) è che non era tanto il Sierpinskij ad essere stato preso in antipatia dal Nebuloski, quanto egli dal Sierpinskij, il quale non mancava occasione 1 Don Antonio Casanova, influente prelato polacco dell’epoca. Si diceva fosse figlio di Giacomo Casanova e Anna Binetti, la ballerina veneziana a causa della quale il Casanova sfidò a duello nel 1766 il conte Branicki, riducendolo in fin di vita. L’amicizia tra Maria Sonja Kolkolowska, madre del Sierpinskij, e il religioso fu all’epoca assai chiacchierata. 2 Igor Ferocinov fu certamente un sant’uomo, ma nel contempo un abate di gran polso. Poiché allora in Polonia il russo era lingua corrente, lo avevano ribattezzato ‘Igor Stalin’ (Stalin in russo vuol dire d’acciaio). Scrisse un noto trattato sulla gestione dei beni ecclesiastici, utilizzato da Santa Romana Chiesa fin verso il 1940. 3 Ilarius Nebuloski, religioso di origine ucraina (era nato a Kiev). Abbandonati gli ordini, divenne successivamente professore di Logica presso l’università di Lvov. 4 Trattavasi di Madre Filippina delle Grazie Ripetute (v. nota specifica). Eraclito (535-475) per metterlo in difficoltà. Il primo scontro, se così vogliamo chiamarlo, avvenne durante una lezione tenuta dal Nebuloski sui principi della logica. L’episodio è ben accertato storicamente in quanto riportato in dettaglio in un quaderno di appunti presi da un compagno del Nostro, tal Enos Riscriposkij. Vediamo cosa in effetti accadde, basandoci su questa fonte. «E quindi - concludeva l’insegnante - il principio che ora ho esposto, il Principio di Identità, potremmo riassumerlo con la scrittura A=A». Fu allora che il Sierpinskij alzò la mano. «Prego, Taddeus, ditemi pure» gli fece con cortesia il Nebuloski. «Padre - cominciò il Nostro - non è per polemica, ma il principio ora discusso a me sembra assai debole, anzi discutibile. A mio parere si tratta di una scelta, tra le diverse che possono farsi. In primo luogo, per stabilire un’identità deve esserci anche la possibilità che questa identità possa realizzarsi. Ad esempio, io penso che Eraclito, con il suo ‘Panta rei’, non sarebbe stato per nulla d’accordo. Né tantomeno vale invocare, come da voi fatto durante la lezione, quanto diceva il Maestro di Elea [Parmenide, ndr]: l’Essere è e 13 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA non può non essere; il non-Essere non è e non può essere. Questa è una scelta, una definizione. Volendola compendiare, si tratta di una tabellina 2x2, con l’unità sulla diagonale principale e zero altrove. Peraltro - proseguì - ben diversi credo siano i problemi dell’enunciato A=A rispetto all’enunciato A=B, che voi avete messo sullo stesso piano nello svolgimento della vostra argomentazione. Il problema sotteso da A=A è duplice: essere in grado di definire cosa sia A, di circoscriverlo, per capirci, e considerare i mutamenti nel tempo di A. In A=B ne sorge un altro: definire in che modo, anche tenendo conto dello scorrere del tempo, si possa dire, dopo averli ben definiti, che essi sono uguali. E poi, mi perdoni, che vuol dire ‘uguale’? Io credo che tutto sia determinato dal contesto: se voglio mangiare un uovo, un uovo è uguale ad un altro, anche se sappiamo che essi sono diversi. Ma ai fini della frittata, che ce ne importa? In questo caso, le differenze che contano sono di tipo quantitativo, non già qualitativo. Se un uovo pesa il doppio dell’altro, allora sono diversi; ma se il peso più o meno è quello allora sono uguali. Ma, ancora: se le due uova hanno lo stesso peso e uno è vecchio, l’altro fresco, allora sono diversi. Insomma, Padre, quello che intendo è che solo in base alle specifiche situazioni si può dire se dei concetti sono applicabili o meno. Non è il concetto che determina la realtà, ma è la realtà che dà corpo al Guglielmo di Ockham (1285-1347) concetto» concluse. A mano a mano che il Sierpinskij esponeva le sue ragioni, vomitando una fesseria dietro l’altra, Padre Nebuloski si trovò a passare da uno stato estatico in cui era chiarsi, uscì velocemente dall’aula, mentre la classe in coro totalmente preso dal pensiero di Madre Filippina delle Gra- stava rispondendo: «Sempre sia lodato». zie Ripetute,5 la Superiora di un convento di Cracovia che, «Questo lo devo tenere d’occhio» disse tra sé e sé il Nebuper repentini rimorsi, aveva voluto di colpo interrompere la loski mentre entrava nella sala dei professori per depositarvi relazione che li legava da sette anni, ad uno stato semi-con- il registro. «È il tipico saputello rompicoglioni. Sì, lo debbo fusionale in quanto non avendo ben seguito dall’inizio il de- proprio tenere d’occhio» concluse. lirante discorso del Sierpinskij si trovava nell’imbarazzante Inutile dire che nel prosieguo del corso di logica il Siersituazione di non sapere cosa obiettare. Sicché decise di non pinskij non mancò occasione di esibirsi, facendo ogni volta rispondergli. andar fuori dei gangheri il suo insegnante. «Le tue osservazioni, Taddeus - disse al giovane - sono Lo fece col Principio di non Contraddizione: un enunciato davvero interessanti. Purtroppo esaminarle nel dettaglio non può essere nel contempo vero e falso. «E perché?» sorichiederebbe troppo tempo. E la lezione sta quasi per fini- steneva il Sierpinskij. «Anche questa è una scelta. Io tante re. Perciò, ne parleremo la prossima volta. Sia lodato Gesù volte mi sono sentito dentro nel contempo buono e cattivo». Si esibì poi alla grande col Principio del Terzo Escluso. Cristo»6. E segnatosi, accennando nel contempo ad inginoc«Concludendo - spiegava il Nebuloski - possiamo dire che un enunciato o è vero o è falso: tertium non datur. È que5 Al secolo Filippa Polya. Avviata giovanissima alla prostituzione sto uno dei principi fondamentali della logica aristotelica, dallo zio materno, fu poi tolta dalla strada da certo don Gerolamo la cui luce guida molti dei nostri ragionamenti». «Chiedo Fornikoski, pio religioso di Cracovia, di cui divenne la perpetua. Fu sistemata successivamente in un convento dallo stesso don Gerolamo, che scusa - intervenne il Sierpinskij - ma questo equivale a dire non riusciva più a resistere alle tentazioni che la fanciulla gli suscitava che esistono solo enunciati o veri o falsi! E se ce ne fossero essendo invero ella assai avvenente. La Polya, decisa a redimersi, prese anche di altro tipo? Mi perdoni professore, ma l’enunciato qui a studiare di buzzo buono e fu alfine consacrata suora. Intelligente ed ambiziosa, divenne presto superiora di un convento di Cracovia, di cui ‘Io sto mentendo’, di cui lei ci ha parlato la volta scorsa, mi padre Ilarius Nebuloski era allora confessore. Il resto è storia. sembra proprio uno di questi». 6 Si sta ancora discutendo se per il ‘Sia lodato Gesù Cristo’ padre Onestamente, bisogna spezzare una lancia a favore del Nebuloski usasse il latino, il polacco o il russo. Lo stesso dicasi per la risposta corale dei ragazzi. Nebuloski che era insegnante di grande dottrina. Egli, come 14 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA ampiamente dimostrato da quanto riportò nei suoi diari, non era infastidito dalle domande o dai controesempi del Sierpinskij, che trovava talora interessanti, quanto dall’atteggiamento del Nostro, che gli sembrava teso più a screditare la sua materia e il suo insegnamento, che non a voler chiarire le questioni. Che le cose stessero effettivamente così lo si può evincere anche dal contenuto di diverse pagine dei diari tenuti all’epoca dal Sierpinskij. L’episodio più fastidioso avvenne comunque il giorno in cui il Nebuloski illustrò il Principio di Economia delle Ipotesi, più noto come ‘Rasoio di Ockham’, in onore del filosofo inglese che lo aveva formulato nel modo più chiaro. «Nello stabilire la natura delle cause, a fronte di diverse alternative - concludeva il Nebuloski - è da privilegiarsi la possibilità che sottende il minor numero di ipotesi. Questo principio, ben noto nel medioevo, è stato ripreso e ben chiarito infine da Guglielmo di Ockham, che era tra l’altro un frate francescano: ‘Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem’. Ed esso è oggi uno dei principi guida della scienza moderna» concluse. Sierpinskij chiese di parlare, cosa che Nebuloski gli consentì subito di fare. «A me questo principio sembra proprio fuorviante» esordì con tono beffardo. «Un bargello che volesse seguirlo non riuscirebbe più a far condannare alcuno, né un grassatore né un assassino. Essi, infatti, si dichiarerebbero sin dall’inizio certamente innocenti; e secondo tal principio questo sarebbe ciò in cui dover credere, non già in una loro possibile menzogna, che risulterebbe assai più complicata a considerarsi. Quello che voglio dire, professore - proseguì - è che questo principio può forse valere per fatti semplici. Se ci sono in ballo processi mentali (la coscienza, tanto per capirci), a mio parere le spiegazioni utili nascono da schemi ove le ipotesi sono ben numerose, non da schemi semplici come il credere supinamente a quanto affermato da qualcuno». Nebuloski restò a lungo in silenzio. Poi, volto al Sierpinskij gli disse: «Lei ha ragione, caro Taddeus, completamente ragione. La sua osservazione è centrata. Grazie a lei oggi scopriamo che il rasoio di Ockham necessita di un uso critico. Ma a suo parere, cosa conviene fare?» proseguì. «Dobbiamo gettare alle ortiche questo principio o cercare di trarne, sia pur entro certi limiti, profitto?». E fu allora che il Sierpinskij si rese conto della fortuna di avere un insegnante onesto e sincero come il Nebuloski. «Sono proprio uno stronzo» disse tra sé e sé. «Io lo metto in difficoltà e lui mi dà ragione. Io cerco di smontargli tutti i ragionamenti e lui magnifica alcune mie idee che lo colpiscono. Decisamente, quest’uomo è migliore di me». «Gettarlo alle ortiche, Padre - prese lentamente a rispondergli il Sierpinskij - mi appare irragionevole. Se posso usare una frase che lei ci ha insegnato, sarebbe come buttare il bambino insieme all’acqua sporca. Credo che la sua indicazione di fruirne entro particolari limiti sia quanto di più razionale da farsi. Sarei felice, come credo anche gli altri, se lei ci facesse da guida per identificare questi limiti». E detto questo, tacque. «Molto bene» riprese il Nebuloski. «Invito quindi ognuno a riflettere sull’osservazione di Taddeus. Io credo che essa sia davvero importante. Nella prossima lezione esamineremo a fondo la questione. Per oggi abbiamo finito» concluse. «Sia lodato Gesù Cristo». E detto questo usci dall’aula, seguito dal consueto: «Sempre sia lodato». Da quel giorno, l’antagonismo tra Sierpinskij e il Nebuloski divenne collaborazione, con grande vantaggio di tutti. Il Sierpinskij rimase sempre legato a questo suo insegnante, che qualche anno più tardi abbandonò l’abito talare per congiungersi in matrimonio con la sua adorata suor Filippina delle Grazie Ripetute, tornata anch’ella allo stato laico, e da cui ebbe poi ben undici figli.7 7 Particolare curioso: Igor e Filippa, avendo deciso di generare molti figli, decisero per i nomi di usare i numeri ordinali. Una sorta di principio di economia, largamente utilizzato dalle popolazioni contadine. I bambini furono perciò, nell’ordine di ‘arrivo’, chiamati: Primo, Secondo, Terzo, Quarto, Quinto, Sesto, Settimio, Ottavio, Nono, Decimo. Fece eccezione l’undecimo, cui fu assegnato inspiegabilmente il nome ‘Pasquale’. Le cronache dell’epoca riportano che al battesimo di quest’ultimo la Filippa Polya gridò al marito: “Però, adesso basta!”. 15 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 5. Sierpinskij e la musica L ’impegno, la maestria, la fantasia, la creatività, la disponibilità, l’esultanza, il rigore, la ricerca, l’ironia, il virtuosismo, il puro stile monodico che a tratti il Sierpinskij utilizzò nelle Sue Opere, nonché la purezza della lettura musicale con cui Egli riusciva a comunicare emozioni e stati d’animo, non sono ancora stati sufficientemente sottolineati dai pochi Autori che si sono ad oggi occupati di questo aspetto della vita del Nostro.1 2 3 4 5 6 7 8 9 Questa carenza si spiega con l’ovvio: troppe cose, e di ben altro spessore, sono state generate dal genio del Sierpinskij; e questo, purtroppo fa dimenticare il Suo decisivo contributo ad una delle attività più nobili della mente umana: la musica. Fatto è che il Sierpinskij nacque tra la musica, con la musica. Sua madre, Maria Sonja Kolkolowska era infatti una eccellente pianista e, compreso subito l’eccezionale talento del figliolo, sin dall’età di due anni cominciò, aiutata in questo anche da suoi valenti amici musici, ad addestrarlo in tale splendida arte. Conseguenza di tale precoce sensibilizzazione, fu una immediata padronanza da parte del Sierpinskij del linguaggio e della fattualità musicale: già a cinque anni componeva e suonava perfettamente il pianoforte, l’organo, la celeste, il clavicembalo, l’arpa, la chitarra, il liuto, il violino, la tromba, il contrabbasso, il fagotto, il controfagotto, il basso tuba, il flauto traverso, il flauto a becco e il corno (invero, Egli ebbe sempre una certa ritrosia nell’utilizzo di questi ultimi due strumenti). È difficile per noi tracciare un quadro sintetico di quanto 1 M. Ricossi, “Sierpinskij e la musica: tragedia o farsa?”, Newton Compton, 1965. 2 P. Caputo, “La canzone napoletana nell’esegesi del Sierpinskij”, Ed. Vuotto, Napoli 1933. 3 T. Consolini, “Il difficile rapporto tra Sierpinskij e Giuseppe Verdi”, Kopf Ed., Berlino, 1912. 4 R. Shapiro, “Sierpinskij and the Modern Music”, Cambridge University Press, 1942. 5 M. Farlantini, “Taddeus Sierpinskij e l’origine della musica dodecafonica”, Ed. Triossi, Modena, 1944. 6 T. Consolini, “Opere e libretti di T. Sierpinskij”, Ed. Ricordi, 1922. 7 R. Asciutti, “Membrafoni, idiofoni, aerofoni, elettrofoni: il contributo di Taddeus Sierpinskij alla moderna espressione musicale”, La Nuova Cooperativa Culturale, Abbiategrasso, 1921. 8 J.P.M. Kline, “Il basso continuo nelle opere del Sierpinskij”, Ed. Karmoskyi, Varsavia, 1931. 9 F. Tagj, “La nascita del Jazz”, Ed. Comanducci, Firenze, 1944. 16 il Sierpinskij ci ha lasciato in questa materia. Sarebbe semplice, certo, ricordare in campo operistico la Sua eptalogia ispirata alla tragedia greca (Edipo Re, Edipo Mi, Edipo Fa, Edipo Sol, Edipo La, Edipo Si, Edipo Do), come pure citare ammesso ce ne sia bisogno - pezzi splendidi, come “Il chiaro di lana” (scritta da Lui per gli operai degli opifici di Anversa) o “La Traviata” (ispirata, sembra, da Paolina Bonaparte), copiata poi, nota su nota, e anche nel titolo!, da Giuseppe Verdi. Sarebbe facile, dicevamo, ma non faremo nulla di tutto questo. Parleremo, invece, del Sierpinskij come uomo che amava la musica, che scrisse musica e che conobbe durante la Sua lunga esistenza altre persone che della musica avevano fatto lo scopo della loro vita. Il personaggio di maggior spicco che Egli ebbe ventura di incontrare fu Wolfgang Amadeus Mozart. Sierpinskij era giovanissimo (siamo a Vienna, intorno al 1787), e anche Mozart lo era. Fraternizzarono subito, e subito Sierpinskij capì di trovarsi di fronte ad un genio. Wolfgang non suonava con padronanza tutti gli strumenti che il Nostro dominava, ma questo rappresentava un particolare privo di importanza. Mozart non faceva musica: era la musica! Egli, invero, fu incantato da una sonatina del Sierpinskij («Ne scrissi una simile quando avevo quattro anni!», disse sorridendo dopo averla eseguita). Di altro non è dato a sapere, se non che il grande Maestro e il Nostro furono compagni assidui di bevute e feste memorabili. «Se mai la musica ha preso corpo in un umano, con tutta la sua tristezza e la sua gioia per la vita, questo è stato con Mozart», soleva dire il Sierpinskij. Una volta confessò di essere rimasto sconvolto dalla capacità di improvvisare del Mozart. Certamente, almeno stando a quanto scrisse poi nei Suoi diari, il commento mozartiano a proposito della Sua sonatina non gli piacque punto. Ciò non toglie che quando Sierpinskij seppe della prematura morte del Maestro, ne fu grandemente afflitto: «Oggi tutti abbiamo perso qualcosa, tutti abbiamo perso un amico che sapeva esprimere per noi sentimenti e pulsioni, come mai nessuno fu capace di fare» disse ai suoi intimi. E quando poté leggere la prima parte del Requiem (opera che fu poi completata da un allievo del Mozart), commosso alle lacrime, esclamò: «Credevo di aver conosciuto il più grande musico mai esistito: oggi io so che Egli era ancora più grande». Rimase, certo, nel Sierpinskij un poco d’amarezza per il giudizio mozartiano non lusinghiero sulla Sua composizione, ma questo non gli impedì di affermare a più riprese: VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791) «Mozart ha permesso a tanti di godere di tutta la musica che prima di Lui era stata prodotta. Ha semplificato, abbellito, volgarizzato, distribuito, magnificato per la gente quanto altri aveva scritto, inventando, rinnovando e modernizzando. Col Requiem, poi, Mozart ha aperto una nuova strada all’avventura musicale, la Sua strada, come solo un genio, di fronte alla propria morte, nella profonda solitudine e sincerità del momento, può tracciare”. Sembra che negli ultimi istanti della Sua vita il Sierpinskij, ancora lucido, accennò al Kyrie. 17 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 6. Sierpinskij critico musicale P ochi, invero, conoscono il Sierpinskij nelle vesti di critico musicale. Le ragioni di questo stato di cose sono molteplici, in gran parte determinate dal fatto che i fondamentali contributi del Nostro allo scibile umano lasciano, per così dire, in ombra contributi altrettanto apprezzabili ma, chiaramente, di carattere minore. Allo scopo di pervenire ad una maggiore conoscenza dell’opera del Sierpinskij in campo musicale, riportiamo nel seguito quanto Egli scrisse, a commento di un noto brano tradizionale, nella Sua monumentale opera ‘E canzune ‘e Napule1: «(omissis)... Un esempio di quanto stiamo considerando è certo fornito da un’antica canzone popolare napoletana, dove la tristezza di una gente il cui dialetto non contempla il futuro dei verbi, emerge nella sua elementare immediatezza e semplicità. Ne riporto nel seguito il testo, ponendo in nota i miei commenti». FENESTA CHE LUCIVE2 Fenesta che lucive e mò3 non luci, sign’è ca Nenna mia stace ammalata.4 S’affaccia la sorella e me lo dice: Nennella toja è morta e sotterrata.5 6 1 T. Sierpinskij, “’E Canzune ‘e Napule”, 12 voll., Edizioni Musicali G. Ricordi & C., Milano, 1884-1892. 2 Finestra che un tempo lasciavi trasparire la luce dalla stanza. 3 Adesso (dal latino mox). 4 Si riscontra già in questi primi versi un pessimismo cosmico di fronte al quale quello di Schopenhauer è una sorta di allegria campagnola. Si osservi, peraltro, l’audace generalizzazione induttiva, del tutto ingiustificata, che l’autore propone. Perché mai l’assenza di luce nella stanza della fanciulla avrebbe dovuto essere patognomonica (sign’è...) di una sua indisposizione? Nenna, infatti, avrebbe potuto essersi già addormentata, o dimenticato di comperare l’olio per la lampada, o preferito restare al buio per evitare di attirare zanzare. Moltissime altre tranquille ipotesi avrebbero potuto spiegare razionalmente perché la “...fenesta che lucive mò non luci”. Nemmeno un uso estremo del rasoio di Ockham può giustificare una simile conclusione. 5 A nostro parere, induzioni negative attirano la jella. Infatti, nel caso presente, non appena formulata e data per certa una terribile, ma improbabile ipotesi, la sorella della detta Nenna si affaccia alla finestra e con un certo gusto sadico comunica bruscamente al meschino la dipartita dell’amata («...Nennella toja è morta e sotterrata...». «Tiè!», sembra di sentirla soggiungere poi a bassa voce). 6 Il ragazzo, per quanto se ne sa, si chiamava Antonio Esposito; le ragazze, invece, erano Nenna e Giovanna Troja, figlie di Pasquale Troja 18 Chiagneva sempe ca durmeva, sola ah! Mò duorme co’ li muorte accompagnata! Mò duorme co’ li muorte accompagnata!7 Va nella chiesa e scuopre lo tavuto vide Nennella toja com’è tornata.8 Da chella vocca che nasceano sciure,9 mò n’esceno li vierme10, o che piatate!11 Zì Parrocchiano mio, abbice cura,12 ‘na lampa sempe tienece allumata, ‘na lampa sempe tienece allumata.13 di Capodimonte, detto ‘O Malamiente e di Maria Cacace da Procida, nota contrabbandiera (non è chiaro nel testo, tramandato per anni oralmente e più volte poi trascritto, se la sorella dica “Nennella toja” o “Nennella Troja”; d’altra parte, poiché la Giovanna Troja era follemente innamorata di Antonio, è altamente probabile che avendolo riconosciuto abbia acidamente gridato “Nennella toja”; e, se vogliamo, anche con un certo gusto, godendo lei - sempre rifiutata dall’Antonio - di una salute di ferro a fronte di quella malferma della sorella). 7 È questo un verso in cui si compendia magistralmente quella che potrebbe chiamarsi ‘la tipica allegria partenopea’. 8 Trattasi di un chiaro caso di incitamento a profanazione di cadavere. 9 Non si capisce come facessero delle scuri a nascere dalla bocca della fanciulla. Forse, si tratta di un accenno alla nota propensione della Nenna per la maldicenza. Tuttavia, questa interpretazione appare in netto contrasto col carattere complessivo del testo, volto a ricordare con nostalgia la Nenna stessa. Qualche commentatore ha suggerito che il termine “sciure” possa significare “fiori”, non già “scure”. A nostro avviso, comunque, anche questa interpretazione, come quella delle scuri, non regge alla luce di tutte le attuali conoscenze mediche e biologiche. 10 L’immagine è invero un poco forte (magari potrebbe essere suggestiva per qualche pescatore...). 11 Non si vede che diavolo c’entrino le patate: se il cadavere fosse stato messo in terra, l’immagine di certo reggerebbe: terra grassa, con i vermi, figuriamoci! Invece, dato il contesto, il verso appare indecifrabile. 12 Giovanna Troja fa di certo riferimento ad un suo zio, Don Mariano Cutolo, parroco di S. Maria Addolorata delle Grazie Mantenute, chiesa sita alla periferia di Napoli. 13 Si ripropongono in questo verso, che apparentemente sembra una raccomandazione, il Buio e la Luce, lo Yang e lo Jung, il Tao e il Tuo, il Manch e il Minch, il Cik e il Ciak: tra questi due estremi si svolgeva, d’altra parte, l’esistenza del popolino napoletano di allora. Già qualche secolo prima, vale la pena ricordarlo, uno scrittore inglese di origine napoletana, addivenuto poi a discreta fama, faceva esclamare ad un suo non completamente riuscito personaggio: «Essere o non essere... questo è il dilemma!». VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 7. L’Università di Parigi A nche se il momento che Parigi stava attraversando non era dei migliori, essendosi nel pieno della Rivoluzione (che per combinazione sincronica era proprio quella francese), Sierpinskij trasse grande vantaggio dalla frequentazione dei corsi universitari da lui scelti. A dire il vero, non solo gli insegnanti apparivano di notevole livello e capacità, ma anche i discenti erano di mente viva, fortemente motivati dal loro desiderio di sapere. Un ambiente davvero stimolante, l’ideale per il Nostro, la cui sete di conoscere sempre nuove cose era a dir poco famelica. I corsi di chimica, fisica e matematica gli furono di grande utilità per formarsi quella mentalità scientifica che supportò poi tutta la sua attività. Ma forse il massimo vantaggio Egli lo trasse dalle lezioni di un logico-matematico, certo Alan Backus, tra i più profondi e colti che mai la materia abbia avuto modo di annoverare. Era il Backus un uomo assai scialbo all’apparenza. Con il suo vestito un poco bisunto, una sorta di divisa, come si usava all’epoca tra i docenti, si presentava puntualissimo alle lezioni. Ed ogni volta, dopo aver introdotto e spiegato a fondo un concetto, sollecitava l’intervento degli studenti, spronandoli a formulare critiche e controesempi. Per Sierpinskij questo era una vera manna. Tuttavia, come ora riferiremo, i rapporti tra il nostro e il Backus erano destinati ineluttabilmente a guastarsi. Duole dirlo, ma fin dall’inizio il Sierpinskij, entusiasmato dalla materia, fu quasi incapace di contenere i propri interventi, pur sollecitati dal Backus. Il suo atteggiamento, almeno a quanto hanno lasciato scritto suoi colleghi di corso, era quello del “saputello”, cosa che disturbava l’insegnante non poco. Sicché, mentre tra il Nostro e il Backus i duelli verbali diventavano sempre più imbarazzanti, si giunse alla definitiva rottura, che avvenne in occasione di una lezione dedicata all’induzione. Quello che successe allora è fedelmente riportato in una trascrizione di Igor Composki, uno dei migliori allievi del corso, celebre per i chiarissimi appunti che era solito prendere a lezione. Ed è alla documentazione lasciataci dal Composki che farà riferimento il seguito. Quella mattina il Backus, puntuale come al solito, esordì dicendo: «Oggi parleremo di Induzione, anzi del ‘Principio di Induzione’ che è alla base non solo della gran parte dei nostri ragionamenti, ma anche del nostro modo di affrontare la vita. Consideriamo dunque i numeri interi - proseguì - e una famiglia di proposizioni, diciamola {P (i )}, a questi associata. Ora, se è vera la prima proposizione, quella in riferimento al numero 1, e se supposta vera la n-esima proposizione si può dimostrare che anche la (n+1)-esima proposizione è vera, allora tutta la famiglia di proposizioni è vera. In altre parole, quale che sia n, la P(n) è vera». Sembrava un gioco di parole. Nell’aula non volava una mosca. Andando verso la lavagna, il Backus riprese: «Dimostriamo ora, usando il Principio di Induzione, che la formula che dà la somma dei primi numeri interi, che ricordo essere n(n + 1) S (n) = , è vera quale che sia l’intero n». L’atten2 zione del Sierpinskij era al massimo: egli ricordava bene la formula, avendola empiricamente ricavata da bambino in occasione di un compito assegnato alla classe dal suo maestro di allora, tal Alexius Zipidijz. «In primo luogo - proseguì il Backus - vediamo se l’enunciato S(1) è vero. Avremo, ponendo nella formula n=1, che 1(1 + 1) 2 = = 1 . Dunque, per n=1 l’enunciato è risulta S (1) = 2 2 vero. Ora immaginiamo che esso sia vero anche per n=k. Andiamo quindi a studiarci la somma per n=k+1. Avremo che la S(k+1) sarà ovviamente data dalla S(k), che è la somma dei primi k interi, aumentata del nuovo intero, ovvero di (k+1). k ( k + 1) In altre parole, risulterà: S ( k + 1) = + ( k + 1) 2 Con facili passaggi, si può poi osservare che k (k + 1) + 2(k + 1) (k + 1)(k + 2) . Ma quest’ultima S (k + 1) = = 2 2 espressione non è altro che la formula generale della somma, applicata all’intero (k+1). Dunque, in base al Principio di Induzione possiamo concludere che l’espressione indagata è valida quale che sia il valore di n. Ci sono commenti od osservazioni?» concluse. Il silenzio regnava nell’aula: erano tutti sconcertati dalla dimostrazione appena vista, ma soprattutto affascinati dalla sua eleganza. «Dunque, signori?» sollecitò nuovamente l’insegnante. Fu allora che il Sierpinskij alzò la mano per chiedere di parlare. «Dica, dica pure, giovanotto» gli fece il professore, evitando accuratamente di chiamarlo per nome. «Grazie» esordì il Nostro. «Trovo che questo metodo di dimostrare la verità di famiglie di enunciati sia assai elegante ed ingegnoso. Tuttavia, a mio parere c’è un baco». A questo suo dire, si sentì provenire dal fondo dell’aula 19 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA qualche risatina sommessa. Il Backus, che aveva già in passato avuto esperienza di quel fastidioso (e ridicolizzante nei suoi confronti) modo di esprimersi del Sierpinskij, scese dalla cattedra e si avvicinò al Nostro. «E allora vediamo qual è questo ‘baco’!» gli alitò in volto. Poi, lentamente, quasi assaporando ogni sua parola, soggiunse: «Mi auguro per lei che il baco non sia nella sua testa». Sierpinskij, per nulla intimorito, principiò ad esporre le sue ragioni: «Supponiamo che l’enunciato generale sia: ‘Tutti i gatti hanno lo stesso colore’. Ora, seguendo il Principio da voi prima esposto, è chiaro che se il gatto è uno solo, allora l’enunciato è necessariamente vero. Supponiamo a questo punto, come nell’esempio svolto, che l’enunciato sia vero anche per k gatti. Ora, se aggiungo il (k+1)-esimo gatto che succede? Sono ancora tutti dello stesso colore? A me sembra di sì, perché posso togliere dal gruppo di (k+1) gatti un gatto che non sia quello aggiunto: e allora, siccome ora restano solo k gatti, per l’ipotesi fatta quei gatti hanno tutti lo stesso colore. Dunque, il nuovo gatto aggiunto ha necessariamente lo stesso colore degli altri. Sicché l’enunciato ‘Tutti i gatti hanno lo stesso colore’ risulta ben dimostrato, quale che sia il numero di gatti. Detto ciò, anche se formalmente il ragionamento non fa una grinza, non posso dimenticare che basta farsi una passeggiata per Parigi e rendersi conto che le cose non stanno per niente così. Se non è un baco questo - concluse il Sierpinskij - allora evidentemente non ho ben chiaro il concetto di ‘baco’». Tutti rimasero senza parole. Il Backus prese a girare in tondo per l’aula, con le mani intrecciate dietro la schiena. «Maledetto polacco arrogante» pensò tra sé. «E adesso che dico?». Per sua fortuna (si fa per dire...) fu colto da un violento attacco di tosse e approfittò così per sospendere la lezione. Le cronache dell’epoca narrano che il Backus non si presentò più all’Università, e diede anzi le dimissioni. Fu sostituito poi da un certo George Boole1 2, un inglese fissato con l’algebra, così pedante, così noioso nello svolgimento delle sue lezioni, ma così noioso, che fece presto rimpiangere lo sfortunato Backus. Di questo il Sierpinskij pagò lo scotto, in quanto tutti gli tolsero il saluto, ritenendolo responsabile dell’accaduto. «Ma non potevi startene zitto, polacco saccente!» gli disse l’ultimo dei colleghi che gli rivolse parola. Molti anni dopo, il Sierpinskij annotò su un suo diario: «Quella volta fui proprio scortese con il professor Backus. Ma, nel contempo, proprio da quel fatto nacque la sua fortuna. Ho avuto infatti notizia che, dopo un tentativo di suicidio, 1 Qui siamo proprio fuori con l’accuso. È infatti il finire del XVIII secolo, e Boole nascerà soltanto nel 1815. Ma come personaggio ci stava proprio bene. Sicché, tappiamoci il naso e andiamo avanti. 2 George Boole fu un grande logico ed importante matematico inglese. Era noto, oltre che per la sua pedanteria, anche per la modestia che lo caratterizzava in ogni occasione. Basti a questo riguardo riportare qui il semplice titolo che diede al suo libro più famoso: “An investigation of the Laws of Thougth, on wich are founded the Mathematical Theories of Logic and Probability”. 20 il Backus si riavvicinò alla campagna (egli era di origini contadine). Oggi possiede vicino a Dresda un grosso podere, dove produce ortaggi e alleva pollame e maiali. Nel podere ha anche aperto un ristorante, ricavato da una vecchia masseria. Lo ha chiamato ‘Il Paradiso dell’Induzione’ . Il locale è molto ben frequentato, i ghiottoni fanno la fila per sedersi ai suoi tavoli. Forse, campagna e ristorazione erano le vere vocazioni del professore».3 4 3 La vita è comunque molto strana e talora riesce a vendicarsi nei modi più sottili. Per far comprendere al lettore cosa vogliamo intendere con questo, riportiamo nel seguito la trascrizione di un brano di un diario del Sierpinskij, quello che tenne l’anno in cui si recò a svolgere un giro di conferenze nelle maggiori università degli Stati Uniti: New York, 14 settembre 1957 Oggi ho tenuto un seminario presso il Centro di ricerca dell’IBM. È stato un successo, come al solito d’altra parte. I ricercatori che ivi lavorano hanno voluto poi presentare in mio onore una serie di relazioni. Confesso che mi sono un poco annoiato, finché non ha preso a parlare un giovane. Costui è davvero un genio, la mia lettura avrebbe dovuto tenerla lui. Per farla breve, onde evitare di utilizzare il complicato linguaggio binario dell’elaboratore, egli si è inventato un metalinguaggio che ha chiamato FORTRAN (acronimo che sta per FORmula TRANslation). Questo metalinguaggio è di tipo umano, e si concretizza in precisi ordini (tipo WRITE..., READ..., GO TO...) ovvero in indicazioni sul da farsi sotto certe condizioni o in processi ciclici (come IF..., DO...). Non entro qui nel dettaglio: quello che è importante è che una volta preparato il programma in questo linguaggio umanamente comprensibile, lo stesso calcolatore provvede poi a tradurlo per i suoi usi. Un’idea davvero straordinaria, epocale, di quelle che ti fanno dire (dopo che qualcuno ci ha pensato...): ‘È ovvio!’. Finita l’esposizione, ho chiesto al direttore dell’IBM di chiamarmi il giovanotto per fargli le mie congratulazioni. Quando egli si è presentato, confesso, non ho ben compreso il suo nome; tuttavia il suo aspetto mi ha richiamato alla mente qualcuno, senza però mi sovvenisse alcunché di più preciso. Mi ha raccontato di essere di origine tedesca e che la sua famiglia è da due generazioni negli USA. «Una famiglia di scienziati, immagino» gli ho detto. «Macché, professore, di ristoratori» ha replicato ridendo. «Il primo è stato un mio trisavolo che viveva a Parigi. Un bel giorno, ha piantato baracca e burattini e si è trasferito a Dresda. Lì ha aperto un ristorante...». E qui l’ho interrotto soggiungendo: «... che ha chiamato ‘Il Paradiso dell’Induzione’. Il nome del suo avo era Alan, Alan Backus: sbaglio?». A questo mio dire, egli è rimasto sbalordito. «Esattamente! Ma lei come fa a saperlo, professore?» mi ha subito chiesto. «Un semplice effetto della mia buona salute» gli ho risposto. «Ho avuto il privilegio di essere suo allievo all’università di Parigi» ho poi precisato. Al che John (questo il suo nome) si è visibilmente commosso e ha chiesto di potermi abbracciare. «È un po’ come stringere tra le braccia il mio antenato» mi ha sussurrato, mentre anch’io sentivo nascere in me una profonda commozione. «Grazie, professore» ha aggiunto poi. «Grazie per come ha apprezzato il mio lavoro. E grazie soprattutto per aver ricordato il mio trisavolo. Lei è una persona davvero straordinaria!». «No - gli ho risposto - Sono soltanto un imbecille». E con questo ho salutato tutti, chiedendo al mio ospite di farmi riaccompagnare in albergo. E adesso, eccomi qua a pensare a quante cose ho probabilmente impedito di fare ad Alan Backus con il mio odioso comportamento di allora. O, forse, ho davvero determinato la sua fortuna. Si sta egli ora esprimendo nella scienza tramite questo suo nipote, grazie all’intervento di un Fato che mette ordine nei pasticci provocati dagli umani? Chi può saperlo? Di certo, sono stato ben punito (e con me tanti innocenti) perché sorbirsi il corso del prof. Boole è stata una delle esperienze più agghiaccianti della mia vita. 4 Recentemente, all’età di 82 anni, è scomparso anche John W. Backus. I linguaggi vanno e vengono, una marea di questi sono ormai morti e sepolti. Il FORTRAN gode tuttora di buona salute. Forse perché ad utilizzarlo sono soprattutto i fisici. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 8. L’incontro con Napoleone Bonaparte F u a casa della baronessa Adele Poliakoswa, nobile polacca amica di suo padre, che Sierpinskij, allora giovane studente dell’università di Parigi, ebbe modo di conoscere Napoleone Bonaparte. Era costui un brillante ufficiale dell’esercito francese, di bassa statura e modi bruschi, tipici d’altra parte dei còrsi. Egli, tuttavia, conversava in un modo a dir poco affascinante, mostrando di saper ben coniugare erudizione e piacevolezza. I suoi successi con le donne, d’altra parte, erano lì a dimostrarlo. E proprio per una sua relazione con la Poliakoswa egli stava ora partecipando alla simpatica riunione che la baronessa aveva organizzato in suo onore. Il Sierpinskij aveva fatto di tutto per farsi invitare in quanto, da tempo, aveva messo gli occhi sulla sorella del Bonaparte, certa Maria Paolina, da cui si sentiva follemente attratto. Nel mezzo del ricevimento, la baronessa lo presentò a Napoleone il quale, saputo essere egli uno studente, cominciò ad interrogarlo sui suoi studi. Il Sierpinskij rimase meravigliato dalla profonda erudizione Napoleone Bonaparte (1769-1821) nel ritratto di Andrea Appiani dell’ufficiale, ed anche dalla solidità dei suoi ragionamenti. Tuttavia, nonostante la razionalità che sembrava caratterizzare il pensiero dell’uomo, diocrità» concluse. «Ma ditemi, giovanotto - proseguì - noi talora alcune battute del Napoleone non mancarono di sor- non ci siamo già visti prima d’ora?». «In realtà, eccellenza prenderlo: «Siete davvero un bravo studente - gli disse nel - rispose un poco imbarazzato Sierpinskij - mi accadde per mezzo della conversazione il futuro imperatore - ma siete caso, nel recarmi all’università, di trovarmi alcune volte dianche fortunato?».1 «Ahimé, che dire?» rispose il Nostro, nanzi alla vostra magione». «Ecco dove vi avevo notato!» chiedendosi dove mai egli volesse andare a parare. «Vorrei esclamò il còrso. «Aveva attirato la mia attenzione su di voi esserlo di più». «E lo sarete, se lo vorrete» sentenziò il Bo- la mia cara sorella Paolina» concluse. «A dire il vero - riprenaparte. «Ogni uomo è artefice della propria sorte. E questo se con un malcelato tono di rimprovero - Paolina mi fece nolo si fa costruendo con cura le basi della propria cultura ed tare che stavate guardandola con insistenza...». Sierpinskij imparando a riconoscere la Fortuna. Essa prima o poi passa divenne tutto rosso in viso e, con un filo di voce rispose: «Se a tutti dinanzi: chi se ne accorge, riesce a conquistarla; chi il mio sguardo allora si posò su vostra sorella, la colpa non non sa riconoscerla è invece destinato a restare nella me- è mia ma della grazia che ella emana in ogni sua movenza, grazia che imprigiona la vista e la mente di chi la osserva. Non intendevo mancare di rispetto né a lei né a voi, credete1 Il Bonaparte considerò per tutta la vita che l’aver fortuna costituisse mi. Se ho dato questa impressione, tuttavia, me ne scuso con un importante tratto distintivo delle persone. Si narra che un giorno un profondo rammarico». suo consigliere gli stesse magnificando preparazione e capacità di un certo «Per carità - fece ridendo Napoleone - nessuna scusa. Pagenerale. «Molto bene - osservò il Bonaparte - ma è anche fortunato?». 21 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 22 olina è usa provocare, poi fa la santarellina. Certe volte mi trovo in imbarazzo nel mio ruolo di fratello. Magari frequentasse un giovane come voi, invece degli imbecilli di cui si circonda! Ma, ditemi - continuò - voi sapevate che Paolina avesse un fratello?». «Francamente, no» rispose il Nostro. «L’unico Napoleone che io conosca è quello del teorema». «Il Teorema di Napoleone?» osservò il còrso. «Sì, proprio quello» rispose Sierpinskij. «E, allora, ragazzo mio, in qualche modo ci conoscevamo già... perché quel teorema l’ho dimostrato io, e per questo porta il mio nome» precisò con malcelato orgoglio il Bonaparte.2 3 Al Nostro sembrò quasi di svenire. «Quale onore, quale onore...» prese a dire. E così dicendo principiò a baciare le mani del soldataccio, il quale dopo essersi inizialmente divertito, cercò con fastidio di allontanarlo. «Chetatevi, perbacco!» gli disse. «Mi fate sentire una sorta di cariatide: in fondo si tratta di una piccola cosa, di un modesto contributo alla geometria. E poi, questi baci! Riservateli alle mani delle fanciulle, non a quelle di un militare!». Sierpinskij si ritrasse e restò in silenzio, un poco mortificato. «Animo!» gli disse il Bonaparte. «Per farmi perdonare di questo rimprovero, vi presenterò mia sorella, che è giunta or ora al nostro convivio». E, presolo per un braccio, lo guidò verso un’avvenente fanciulla, che il Nostro riconobbe immediatamente. «Paolina, mia cara - esordì Napoleone quando furono vicini a quell’essere divino - ho il piacere di presentarti il signor Taddeus Sierpinskij, che è venuto nella nostra Parigi dalla sua Polonia per frequentare i corsi dell’Università». «Incantata» miagolò al Nostro la Paolina, porgendogli la mano. Dopo un istante di smarrimento, Taddeus prese a baciare il piccolo gioiello che la ragazza gli tendeva, con una foga via via crescente, a tal punto che ella esclamò: «Dio, come siete audace!». Il Sierpinskij si rese conto solo allora di essere andato troppo oltre; ma guardandosi intorno constatò che tutto era tranquillo: Paolina era lì a sorridergli, decisamente divertita; di Napoleone nessuna traccia: si era diplomaticamente dileguato. Sicché, ricompostosi, ma con il cuore che continuava a martellare, Taddeus poté liberamente conversare con l’oggetto dei suoi desideri. E fu una tragedia. «Sei figlio unico? Ti piace ballare? Quanto guadagni? Sei ricco di famiglia? Hai terreni in Polonia? Tuo padre che lavoro fa? Che prospettive di carriera hai?»: questi alcuni degli spunti offertigli dalla giovane per approfondire la reciproca conoscenza. Dopo un paio d’ore, il Sierpinskij riuscì a sganciarsi e prese congedo dalla baronessa Poliakoswa, spiegandole che doveva andarsene anzitempo per via di un esame da sostenere l’indomani. Mentre stava per uscire dal lussuoso appartamento, venne raggiunto dal Bonaparte. «Stavate filandovela all’inglese, birbante di un polacco!» ridacchiò. «Piuttosto: com’è andata?» soggiunse con sguardo complice. «Volete la verità, signore, o una risposta di convenienza?» gli rispose Taddeus. «La verità, ovviamente» osservò il còrso. «E allora prosegui il Nostro - la verità è questa: vostra sorella è una ragazza bellissima, e me ne sento profondamente attratto e innamorato; ma vede la vita in un modo diverso da come la vedo io, profondamente diverso. Senza offesa, è una borghese. Borghese è e borghese resterà».4 Napoleone guardò allora negli occhi Sierpinskij e gli disse: «Vi ringrazio di questa vostra franchezza. D’altra parte... me lo aspettavo. Siete un bravo giovine: spero di incontrarvi in futuro» concluse. A quelle parole Sierpinskij si avvicinò a lui e lo abbracciò strettamente: «Vi auguro le migliori fortune, capitano» sussurrò al Bonaparte. «Grazie - rispose questi - ma ora finiamola con questi abbracci, altrimenti la gente penserà che invece di fidanzarvi con mia sorella vi siate fidanzato con me!». Al che Sierpinskij scoppiò in una fragorosa risata. E ricompostosi, varcò l’uscio dicendogli: «È stato un vero piacere conoscervi. A presto, Maestà». Napoleone restò di stucco, incapace di replicare. Rimase poi a lungo a pensare se quel ragazzo avesse voluto prenderlo in giro o intendesse invece fargli un augurio. Alla fine, riflettendo sulla lucida analisi che egli aveva fatto del carattere di sua sorella, concluse: «Era certamente un augurio. Ed è anche di buon auspicio, perché questo Taddeus è davvero acuto. Vedi Paolina: ha ragione lui. Borghese è e borghese sarà sempre. In pochi minuti è riuscito a classificarla». E formulato quest’ultimo pensiero, si avviò verso il salone cercando di individuare dove fosse andata a finire la Poliakoswa. 2 Questo teorema, che sembra doversi attribuire proprio al Bonaparte, così recita: “Costruendo esternamente sui lati di un triangolo qualsiasi dei triangoli equilateri, i baricentri di questi nuovi triangoli risultano essere i vertici di un triangolo equilatero”. 3 Napoleone non peccava certo di modestia. Al contrario, il Principe Louis De Broglie, lo scopritore della dualità onda-corpuscolo, parlando in una conferenza della sua celebre relazione, ebbe a dire: «Questa equazione, di cui mi onoro di portare il nome...». 4 Nonostante queste nobili dichiarazioni, tra il Nostro e la Paolina vi fu poi una intensa e tormentata relazione (tormentata per Sierpinskij, ovviamente). La gelosia del Sierpinskij raggiunse in questo rapporto livelli di natura patologica; d’altra parte la Paolina non mancava di dargli occasione per sentirsi geloso. Era ella infatti donna assai incostante, desiderosa di fare nuove esperienze, sempre alla ricerca di conferme. Il Sierpinskij dovette mandare giù molti rospi; e lo fece perché da lei follemente attratto. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 9. Fate la guerra, non l’amore! D urante la campagna di Russia, Sierpinskij era al seguito dell’esercito napoleonico. Entrato in una villa apparentemente abbandonata, il Nostro si trovò di fronte a cinque soldati francesi che stavano violentando un’avvenente fanciulla. Valutata rapidamente la situazione, senza perdersi d’animo, Sierpinskij gridò con voce stentorea ai soldatacci: «Fate la guerra, non l’amore!». I cinque, scusandosi confusi, si rivestirono prontamente e tornarono al fronte. Sierpinskij, rimasto solo con la fanciulla piangente, le accarezzò i capelli, chiedendole: «Come ti chiami, bambina?». «Natascia...» rispose lei, abbracciandolo. «Incredibile - replicò prontamente il Sierpinskij - anche mia sorella si chiama Natascia!». In un diario da Lui tenuto all’epoca del fatto, il Sierpinskij parla di cinque notti d’amore con la fanciulla in questione.1 Il fatto strano, almeno per il biografo, è che nessuna fonte segnala l’esistenza di una sorella del Sierpinskij. Negli anni ’60 del XX secolo, il detto del Sierpinskij fu stravolto, né mai vi fu alcuna citazione che ne ricordasse l’origine. 1 F. Tagj, “Taddeus Sierpinskij: un uomo, un poeta, un romantico”, pp. 2, Il Mulino, Bologna, 1986. Napoleone a Mosca (Adam Albrecht) 23 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 10. La battaglia di Waterloo N arrasi che durante la battaglia di Waterloo, Taddeus Sierpinskij incontrò per caso un soldato francese, certo Andreas Coberty, cui un deciso colpo di sciabola aveva causato la completa ablazione degli organi riproduttivi. «Sono un povero disgraziato!» gli confidò piangendo il francese. «La mia vita non ha più senso!». «Coraggio! - lo rincuorò, abbracciandolo, il Sierpinskij - sii uomo!».1 Alcune cronache dell’epoca riferiscono che il soldato prese allora a picchiare violentemente con un bastone la testa del Sierpinskij, tanto che questi fu poi ricoverato per due settimane nell’ospedale da campo di Boulogne per ematoma subdurale (fu in tale periodo che Sierpinskij scrisse le Sue famose Note dal Fronte e sulla fronte). A Boulogne ancor oggi tutti ricordano la profonda riflessione che Sierpinskij fece in seguito all’accaduto: «Cos’è un amore senza pene?». 1 M. Margius, “Vita di Taddeus Sierpinskij: una sintesi critica”, pp. 6.547, Persichelli & Persichelli, Milano, 1997. La Battaglia di Waterloo (William Sadler II) 24 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 11. Sierpinskij e il gioco degli scacchi S in da quando il Sierpinskij fu fatto prigioniero in Russia e fu internato nel campo di concentramento di Dniepropetrovsk, si accese fervida in lui la passione degli scacchi. Si trattava, invero, di un gioco particolarmente adatto alle capacità logico-deduttive del Nostro, il quale vinse per quattro anni consecutivi il campionato inter-gulag riservato ai prigionieri di guerra. Di grande aiuto, all’epoca, gli furono gli insegnamenti del Deretany1 il quale era uno dei sette uomini al mondo che potevano fregiarsi del titolo di Gran Maestro dell’Ordine dello Scaccomatto. Sulla scorta di questa passione il Sierpinskij amava ripetere all’Enzensberger: «Ricorda, potrai dire di aver buone probabilità di successo solo quando ti sarai fatto la donna dell’avversario». Un giorno, mentre si trovava dalle parti di Marsiglia, il Nostro lesse su Le Sfigaro dell’imminente campionato mondiale di scacchi che proprio nella città Provenzale si sarebbe disputato la settimana successiva. Trovandosi momentaneamente a corto di denaro pensò che partecipare al torneo, visto l’ammontare dei premi in palio, poteva rappresentare una buona soluzione per sbarcare il lunario. Iscrittosi al campionato, il Nostro passò brillantemente i primi turni, tanto che assurto improvvisamente agli onori della cronaca, cominciò a frequentare i salotti più esclusivi della città, fra i quali una menzione speciale merita quello del barone Maurice Constance. Giunto in semifinale2 si scontrò con il tedesco Hans Peter Schleiermacher, più volte vice-campione mondiale, personaggio alquanto discutibile per certe sue inquietanti abitudini3. Fu questo uno scontro che passò alla storia4. Dopo le prime due ore di gioco il Sierpinskij mosse il 1 Al Deretany dobbiamo una delle tattiche di gioco più audaci. Trattasi di una variante dell’apertura ungherese, passata alla storia, appunto, col nome di apertura del Deretany. 2 Aveva nel frattempo eliminato un concorrente italiano ai rigori. 3 Pare bruciasse i pedoni sottratti all’avversario. 4 L’intero incontro è descritto negli allegati A, B, C, D, E, F, G, H, I, L, M, N e O del Bollettino della federazione scacchistica internazionale, n° 312 (numero speciale). Un resoconto dettagliato lo si trova anche in pedone in B4. Il giorno successivo lo Schleiermacher rispose con una mossa tanto brillante quanto inaspettata: pedone in B4. Il primo pezzo a cadere fu una torre, inopinatamente lasciata sguarnita dal Sierpinskij. Questo accadde esattamente il 34° giorno di gioco. Sopraggiunto l’inverno l’incontro fu sospeso per le vacanze natalizie in una situazione leggermente favorevole allo Schleiermacher (un pedone e una torre mangiate contro un alfiere che il Sierpinskij era riuscito a soffiare il 17 novembre, giorno dell’anniversario di fidanzamento del suo avversario che, distratto da romantici pensieri per la sua ragazza, fece un errore madornale5). L’incontro durò 49 mesi per poi concludersi con una clamorosa patta. In finale andò, poi, per sorteggio lo Schleiermacher il quale, provato da tanto sforzo, fu sconfitto per la settima volta dall’imbattibile campione russo Boris Spasstjk. Deluso da questa esperienza il Sierpinskij annotava nei suoi diari: «La mia mente di scienziato, e di statistico in particolare, non può che piegarsi alle ferree leggi del caso. Tuttavia non mi rassegno all’idea di aver perso per una moneta caduta dalla parte sbagliata. Ci sarà al mondo consolazione per siffatto dolore?». Le cronache dell’epoca narrano che un uomo rispondente alla fisionomia del Nostro fu visto furtivamente entrare nella camera da letto della fidanzata dello Schleiermacher, improvvidamente lasciata sola in casa, ed uscirne la mattina successiva quando il sole era ormai alto sull’orizzonte. F. Tagj, “Sierpinskij vs. Schleiermacher: perchè?”, voll. 1-234, Laterza, Forlimpopoli, 1997. Di questa monumentale monografia esiste anche una versione su 49 CD-ROM a cura della Mondadori Informatica. 5 F. Tagj, Cappelle, ed. Paoline, Roma, 1987 25 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 12. Periodo Zen - L’incontro con Lio-kan Tzu D opo aver terminato gli studi all’università di Parigi, Sierpinskij si recò in Cina per quindici anni, e ivi approfondì il Buddismo Zen sotto la guida del Grande Maestro Lio-kan1. L’impatto con la civiltà orientale fu per il Nostro inizialmente difficile; e particolarmente disastroso fu il primo contatto che Egli ebbe col Maestro; tuttavia, come per tutte le cose che intraprendeva, Sierpinskij riuscì molto bene anche nello Zen e tornò poi in Europa “Illuminato”. Il primo incontro con Lio-kan, dicevamo, non fu dei migliori, anche a causa di una fastidiosa ipoacusia che affliggeva il Nostro sin da bambino. Quel che avvenne è ben annotato nei Suoi diari, cui faremo stretto riferimento nel seguito. Dopo le lunghe e laboriose presentazioni, tipiche degli orientali, il Maestro volle interrogare Sierpinskij su diversi argomenti; ed invero rimase assai colpito dalla competenza e dalla maturità del giovane. Visibilmente commosso, anche per la profonda devozione manifestata dal Nostro, lo abbracciò alfine e lo condusse verso una lunga tavola, dove presto ebbe luogo un simpatico convivio, accompagnato da un frugale pasto di riso bollito, cui parteciparono tutti i monaci. Invero, la conversazione, se così si può chiamarla, appariva al giovane Taddeus molto particolare, fatta soprattutto di sguardi e di sorrisi (abitudine tipicamente orientale, d’altronde), di qualche preghiera recitata a mezza voce, di cenni di capo. 1 Maestro e poeta zen. Lio-kan (Lio-kan Tzu, 1755-1833) fu uno dei maggiori commentatori di Lao-Tzu. È ricordato principalmente come autore del fondamentale trattato “Il Tao, ovvero l’Indefinibile”, pp. 5.550, Cin-Chau ed., Pechino, 1812. Il Nostro chiese spesso al maestro Lio-kan cosa c’entrasse mai il Tao con il buddismo Zen. Ma non ebbe mai risposta da lui. 26 «Questo è lo Zen!» pensava Sierpinskij, sentendo a poco a poco scendere nel Suo animo una pace profonda. Tuttavia, dopo sette ore di cenni, ammiccamenti e borbottii vari, il generoso e caldo animo polacco del Nostro prese il sopravvento: tra la sorpresa generale, alzando una tazza di fine porcellana Ming in cui era contenuto uno speciale té alla menta, prodotto tipico del monastero, Egli gridò con tutta la voce che aveva in gola: «Viva il Maestro Diokan!!!». E bevuto il té, gettò per terra la tazza, ispirato in questo gesto dal ricordo del Granduca Decio Vanoskii, da Lui frequentato per qualche tempo a Varsavia, il quale soleva frantumare il bicchiere dopo aver bevuto la vodka. Improvvisamente, nella sala scese un’ondata di gelo ed alcuni monaci, estraendo dalle tuniche inquietanti e nodosi bastoni, fecero per alzarsi. Un cenno del Maestro, tuttavia, li fermò. Lio-kan fissò a lungo Sierpinskij (si parla di una quarantina di minuti) e poi gli disse: «Cominciamo male, giovanotto, proprio male!». Dal diario di Taddeus Sierpinskij: «Oggi ho conosciuto il Maestro Lio-kan. È un uomo eccezionale e, certamente, sotto la Sua guida troverò la via dello Zen. Tuttavia, ho involontariamente combinato un pasticcio: durante le presentazioni non ho compreso esattamente il Suo nome... sembrava veneto, a dire il vero2. Dopo un mio brindisi gioioso, i monaci volevano addirittura bastonarmi. Per fortuna, Lio-kan Tzu li ha fermati per tempo. Mah... valli a capire ‘sti cinesi!». 2 Non dimentichiamo che il Sierpinskij aveva trascorso in precedenza un periodo di studio a Venezia, dove tra l’altro conobbe e divenne amico di tale Antonio Bortoli, decano dei gondolieri, suo grande compagno di bevute. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 13. Periodo Zen - La poesia del Maestro Lio-kan U n giorno il Maestro Lio-kan1, che era anche un grande poeta, condusse con sé Sierpinskij ai margini di un bosco; ed ivi giunti, recitò dei versi: «Senza più alcuna ambizione lascio vagare la mia mente dove vuole. La mia borsa contiene riso per dieci giorni e, presso il focolare, c’è una fascina di legna. Chi ciancia di illusione od abbandono? Dimenticando insieme polvere del nome e della sorte, ascoltando nella notte la pioggia sul tetto del mio ricovero, siedo beatamente con le gambe allungate».2 Trascorso l’inevitabile attimo di commozione, il Maestro si volse a Sierpinskij: «Che pensi dunque di questo mio poema?» gli chiese. Il Nostro, stranamente, esitava a rispondergli. Lio-kan Tzu tuttavia insistette, sollecitandolo. «Coraggio, Maestro. Animo!» disse alfine il Sierpinskij, dandogli persino una leggera pacca sulla spalla. «La vita non 1 Maestro e poeta zen (1755-1833). 2 Traduzione di T. Sierpinskij. Come il Nostro ebbe poi a scoprire, Liokan Tzu aveva il brutto vizio di attribuirsi opere non sue, modificandole qua e là. La poesia in questione, in effetti, era stata scritta dall’insigne Maestro giapponese Ryokan. A mò di approfondimento si confronti il testo che qui compare con quello riportato in “Poesie Zen”, a cura di L. Stryk & T. Ikemoto, Newton Compton 1983. è poi così brutta: in fondo, dieci giorni di riso in dispensa e starsene comodamente stravaccato davanti a un caminetto, non sono poca cosa. A costo di sembrare irriverente, siamo quasi al Nirvana!». «Ke kazzo dici!!!»3 gli urlò alterato il Maestro. «Chiedo scusa - replicò deciso il Sierpinskij - ma la Sua poesia è proprio tristolina: nella vita bisogna avere ambizione, non starsene lì a poltrire. E poi, il verso su chi ciancia di illusione od abbandono non mi è piaciuto: io sono venuto qua per apprendere lo Zen e dio solo sa quanto mi è costato!». Le cronache narrano che a questo punto il Maestro Liokan, visibilmente congestionato, affermò, scandendo lentamente le parole: «Tu-Non-Sarai-Mai-Un-Illuminato!». Sierpinskij, riferendo il fatto nel Suo diario, annota: «Oggi sono andato a passeggio col Maestro. Dopo aver recitato una sua incomprensibile (e peraltro noiosa) poesia, mi ha interrogato al proposito ed ha avuto poi un comportamento decisamente strano a fronte dei miei ponderati commenti. E si è anche arrabbiato con me. Mah... valli a capire ‘sti cinesi!». 3 Caratteristica esclamazione zen, sottendente sorpresa, rabbia, gioia, meraviglia. 27 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 14. Periodo Zen - Il macellaio U n giorno il Maestro Lio-kan e Sierpinskij passeggiavano insieme nel bosco prossimo al monastero. «Un tempo non troppo lontano - esordì con voce solenne il maestro - mentre cercava di trovare la strada dello Zen, il saggio Banzan andò a comperare della carne dal suo macellaio. ‘Qual è buona?’ chiese a costui. ‘Tutto quello che vedi qua dentro è buono. Nella mia bottega, tutto è il migliore’ gli rispose il macellaio. E in quel preciso momento - concluse - il saggio Banzan fu Illuminato»1 Sierpinskij rimase in silenzio, meditabondo. «Vedo che sei rimasto assai colpito da questo racconto» gli fece il Maestro, non nascondendo una certa soddisfazione per essere riuscito a scuotere il Nostro. «Hai, dunque, compreso il senso profondo della storia?» lo incalzò ancora. Sierpinskij, anche se così sollecitato, continuava tuttavia a rimanere taciturno. «Insomma, cosa stai pensando, Taddeus?» proruppe spazientito Lio-kan Tzu. «Chiedo scusa, Maestro - parlò finalmente Sierpinskij - ma che altro poteva rispondere al saggio Banzan quel macellaio?». «Non riesco a comprendere cosa tu intenda, Taddeus...» fece interdetto Lio-kan. Sierpinskij continuò: «Intendo dire che i macellai sono capaci di rifilarti anche la carne più schifosa, spacciandola per fresca. D’altra parte, è abitudine di tutti i bottegai. Mi perdoni, Maestro, ma provi a chiedere ad un oste se è buono il vino che vende... scherziamo?!? Forse, l’illuminazione del saggio Banzan fu null’altro che l’essersi reso conto di aver fatto una domanda davvero cretina. Ho compreso il senso della storia, Maestro?». Lio-kan, visibilmente congestionato, fissò Sierpinskij negli occhi per un buon quarto d’ora; poi, improvvisamente, si inginocchiò in preghiera. «Io, questo lo ammazzo! - cominciò a salmodiare a bassa voce - io lo ammazzo!!!». Sierpinskij, alla vista del maestro così misticamente assorto, fu preso da grande desiderio di devozione; e, inginocchiatosi vicino a lui, si mise anch’egli a pregare. «Io questo lo ammazzo! Io lo ammazzo!!!» cominciò con fervore, ripetendo la preghiera che Lio-kan stava da alcuni minuti recitando. «A sòreta!!!!!»2 gridò allora Lio-kan, alzandosi. E si al1 Questa storia sul saggio Banzan è riportata in forma leggermente diversa da Nyogen Senzaki & Paul Reps “101 Storie Zen”, pag. 46, Adelphi Edizioni, 1994. 2 Intraducibile. Secondo alcuni commentatori si tratta di un’antica invocazione Veda, che potrebbe essere approssimativamente resa in 28 lontanò dal Sierpinskij, continuando a mormorare «Io questo lo ammazzo, io questo lo ammazzo, io questo lo ammazzooooooo!!!!!». Dal diario di Taddeus Sierpinskij: «Oggi, il maestro Liokan, dopo avermi proposto una banale storiella, mi ha dato occasione di profonda emozione, mostrandomi come ogni momento sia propizio per la preghiera. Mentre stavo dicendogli cosa pensavo dell’episodio che mi aveva da poco narrato, come travolto da improvvisa estasi, egli si è inginocchiato ed ha principiato a recitare quella che credo essere un’antica preghiera in cui si testimonia la propria volontà di sconfiggere il male che è dentro di noi. ‘Io questo lo ammazzo! Io lo ammazzo!!!’: tali sono le toccanti parole da lui più volte pronunciate, il senso delle quali è certamente ‘Se in me c’è del male, io lo distruggerò!’. Avreste dovuto vederlo, il Maestro: rosso in viso, tremante per il fervore della preghiera, sembrava non accorgersi di nulla intorno. Soltanto quando anch’io ho iniziato a recitare il suo salmo egli si è scosso, probabilmente travolto dall’emozione di essere riuscito a trasmettermi il suo fervore religioso. Ed è corso via, continuando a pregare. Non ho voluto disturbarlo rincorrendolo: sono così rimasto in ginocchio per altre due ore, assorto nella semplice preghiera che egli aveva avuto la generosità di insegnarmi in quel modo insolito; e alfine ho sentito nel mio animo un profondo senso di pace. Sono allora tornato al monastero, ringraziando dentro di me il Maestro per quanto aveva saputo donarmi quel giorno. La sera, poi, l’ho incontrato mentre tutti ci recavamo in refettorio per la cena: era visibilmente ancora stravolto dall’ondata di fervore religioso che lo aveva posseduto nel pomeriggio. ‘Buonasera, Maestro!’ gli ho gridato con allegria (la pace del cuore porta naturalmente all’allegria...). ‘Buonasera!’ mi ha risposto secco. E, allontanandosi di colpo, è poi andato a mangiare tutto solo nella sua cella. Evidentemente, doveva ancora riflettere sulla profonda esperienza vissuta quel giorno. I cinesi saranno pure strani: ma quante cose notevoli ci possono insegnare!». questo modo “Signore, io sono qua a pregarTi. Ascoltami e dammi la forza di essere migliore affinché possa aiutare i miei simili prima di tornare a Te (il più tardi possibile, comunque)”. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 15. Periodo Zen - Il suono di una sola mano U n giorno Sierpinskij e il Maestro Lio-kan passeggiavano assorti nel ridente giardino del monastero. Il sole stava tramontando e i peschi da poco fioriti irradiavano colori morbidi, nitori pastellati che solo in Cina è dato a cogliere. «Qual è, Maestro, l’essenza dello Zen?» gli chiese ad un certo punto il Nostro. Dopo un lungo silenzio, durante il quale effettuarono 315 giri del giardino, finalmente Lio-kan replicò: «Tu puoi sentire il suono di due mani quando battono l’una contro l’altra. Ora mostrami il suono di una sola mano».1 Sierpinskij rifletté non poco sulla domanda. Non era certo questione semplice, pensò tra sé. Improvvisamente, come ispirato da chissà quale intuizione, mollò al Maestro un formidabile ceffone. 1 Sembra che il primo a porre tale questione ad un allievo, certo Toyo, dodicenne, sia stato Mokurai, detto Tuono Silenzioso, maestro del tempio Kennin (rif. Nyogen Senzaki & Paul Reps, “101 Storie Zen”, pagg. 36-38, Adelphi Edizioni, 1994). Solo una mente acuta come quella del Sierpinskij poteva risolvere in pochi minuti un problema che aveva resistito per secoli all’analisi di tanti Spiriti Eletti. «Malimor...»2 esclamò Lio-kan, sorpreso e dolorante. «Perché non ci ho pensato anch’io, quando da bambino il Maestro Miao Chian3 me lo chiedeva in continuazione?». E volgendosi poi verso Sierpinskij, gli disse: «Ora-seianche-tu-un-Illuminato. Anzi, già da domani puoi tornare in Europa!». E ripresero a passeggiare, sino a tarda ora. Nel Suo diario Sierpinskij annota: «Il Maestro mi dice che ora sono anch’io un Illuminato. Finalmente ritorno a casa. Meno male: non ne potevo più di mangiare solo riso. Però, mi sento come prima. Mah... valli a capire ‘sti cinesi!». 2 Antica invocazione buddista. 3 Maestro e poeta zen (1685-1778). Come altri maestri dell’epoca, soleva bastonare gli allievi per favorirne l’illuminazione. Molti di essi, purtroppo, si spensero. 29 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 16. Una strana amicizia N ella vita di ogni Grande ci sono pagine oscure, comportamenti inspiegabili, relazioni improbabili. Il Sierpinskij non fa certo eccezione; ed ancora oggi ci si chiede ragione della Sua grande amicizia con certo Ercole Proietti1, comunanza maturata durante la seconda parte del soggiorno romano del Nostro. Era il Proietti persona invero assai cordiale, ma piuttosto volgare, sporco e trascurato nel fisico, di dubbia moralità, più volte incarcerato per furto e violenza carnale. Illetterato e gradasso (specie dopo aver bevuto), gestiva una piccola osteria in Trastevere ed era meglio noto come “Ercole er faciolaro” in quanto nel suo locale (si fa per dire... meglio sarebbe chiamarlo ‘bettola’) tra i piatti più richiesti dai clienti figuravano i fagioli con le cotiche, invero magistralmente cucinati dalla moglie Assunta. «A Serpì, li mortacci tua e de tutti li polacchi!» gli gridava Ercole appena scorgeva il Nostro sull’uscio dell’osteria; e gli andava incontro gesticolando, asciugandosi via facendo il sudore con un grembiule bisunto che soleva portare quando serviva i clienti. «Li mortacci tua, quanto sei bello!», gli gridava ancora abbracciandolo e pizzicandogli le guance. E il Sierpinskij rideva, rideva, fino alle lacrime, tanto che per riprendersi cominciava a bestemmiare in polacco e a dare forti pacche sulla schiena al Proietti. Questi, tuttavia, come in un’analoga situazione in cui il Sierpinskij incorse quando fu ospite a Praga del barone Haschleck, replicava con pacche ancor più forti, addirittura devastanti, che in genere facevano passare al Nostro la voglia di ridere. «A Marì, daje da beve a ‘sto fracicone!» urlava il Proietti alla figlia ventenne, una splendida giovane romana di cui il Nostro si era teneramente innamorato (e questa potrebbe forse essere la spiegazione della strana amicizia tra il Sierpinskij e il Proietti...). Sierpinskij si sedeva allora ad un tavolo e, giunta Maria, invariabilmente ordinava: «Maria, portime mezo littro!». «Subito, sor Serpì» rispondeva Maria, avviandosi. «Maria! - la richiamava Lui - ogi tu sei bela, bela, bela... tu sei tanto bonna, Marì!». «A sor Serpì- rispondeva ridendo lei - ci avete sempre voja de scherzà. Eppoi che d’è ‘sto ‘bela, bela’? E mica sò ‘na pecora! E se dice bona, 1 Trattasi di tal Ercole Proietti (1777-1822). Condannato per furto di limòsine nella chiesa di S. Pietro in Montorio, morì decapitato ad opera di Mastro Titta. 30 no bonna». «E, alora, bona, bona...» esultava il Nostro. «E metti giù le mani, brutto zozzone!» reagiva Maria, pizzicata sul sedere per l’ennesima volta dal Sierpinskij. «A papà gridava poi Maria al Proietti - questo mò te lo servi tu, ché me stà sempre a toccà!». «E a te che te ne frega? - replicava ridendo il Proietti - mica te se consuma, er culo! Er polacco ci ha li sordi, è cotto, nu’ lo vedi? Fatte sposà, Marì, che te sistemi, e ce sistemamo puro io e tu’ madre!». Al che Maria ogni volta, alterandosi, gridava in faccia al padre: «Nun me piaceeee, perché è vecchioooo!!!. A mme me piace Romolo mio, e tu ce lo sai!!!». «Romoletto, er ciriola?» urlava allora fuori di sé il Proietti. «Quer fijo de ‘na mignotta che nun ci ha voja de fa ‘n cazzo: si te ce rivedo ‘nzieme, giuro che t’ammazzo, quant’è vero che me chiamo Ercole!» «Maria, ariva o no questo mezo littro?» sollecitava nel frattempo il Sierpinskij. «Intanto t’ariva un ‘vammoriammazzato’ - gli gridava contro Maria - a te e a tutti quelli come te. E se te riazzardi a pizzicamme dietro n’antra vorta, lo dico a Romoletto mio, che si lo sa te dà ‘na cortellata che te spacca er core!!!» A questo punto, in genere, mentre tutti sghignazzavano, il mezzo litro arrivava, ed arrivava anche, preparata amorosamente dalla sora Assunta, moglie del Proietti, una gigantesca porzione di cotiche con i fagioli, piatto di cui il Sierpinskij era ghiottissimo. Sul tardi, entrambi ubriachi, il Sierpinskij e il Proietti solevano uscire dall’osteria e passeggiavano sul lungotevere. Ogni tanto si fermavano, indotti a questo da una naturale ed impellente necessità dovuta alla considerevole quantità di vino consumata; e, come bambini, facevano a chi arrivava più lontano. Una sera il Sierpinskij accompagnò il getto liquido con poderosi rumori corporali. «Anvedi - fece allegro il Proietti, anch’egli occupato nella stessa operazione - ci avemo puro la musica!». «È musica per la mia salute» ribatté serio Sierpinskij. «Ricordati sempre, Proietti, quello che dice la Scuola Medica Salernitana: ‘Mingere cum bumbis res est saluberrima lumbis’»2. «Ma che cazzo stai a ddì» gli gridò l’oste. «Ma che in Polonia ve l’inzegnano a scola a piscià?». 2 Detto della Scuola Medica Salernitana, messo in nota da Johnathan Swift al suo ‘Strefone e Cloe’ (1731). Citato in ‘Swift’, a cura di M.M. Rossi (Collana ‘Il fiore delle varie letterature in traduzioni italiane’ di Vincenzo Errante e Fernando Palazzi), pag. 145, Garzanti, 1942. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Mastro Titta il boia di Roma, memorie di un carnefice scritte da lui stesso, Milano 1981. La cosa, a lungo andare, si riseppe e Sierpinskij fu chiamato in Curia da monsignor Locatoskji, un alto prelato polacco dall’aspetto spettrale, un tipo a metà tra Dracula e Nosferatu, cui a suo tempo, dopo il Suo rientro dalla Cina, il Nostro era stato vivamente raccomandato affinché si trovasse per Lui una possibilità di impiego presso la Santa Sede. «Mi giungono notizie disdicevoli sul vostro conto, Taddeus!» lo investì il monsignore. «Siete diventato lo zimbello di Roma, e con voi ogni polacco! E questo è male. La vostra consuetudine con l’oste Proietti è, a dir poco, inquietante e non certo opportuna per un giovine dabbene quale voi siete! Si parla, peraltro, in numerose missive a me giunte, di vostre particolari e inconfessabili attenzioni per la figliuola del Proietti, a nostra notizia assidua e pia frequentatrice di Santa Maria in Trastevere. Tutto questo, oltre che inammissibile, è irragionevole, soprattutto per una vostra futura carriera in Vaticano. Vi invito inoltre a pensare, Taddeus, che un giorno potremmo anche avere un Papa polacco: non gli state di certo preparando il terreno, io credo!» concluse il monsignore, sbattendo sul tavolo un voluminoso incartamento di lettere anonime che gli erano giunte al proposito del Nostro. «Chiedo scusa, Eminenza» azzardò spudoratamente Sierpinskij. «Forse si tratta soltanto di calunnie». «Fuoriiii!!!» gridò insolitamen- te rosso in viso il prelato indicandogli la porta. «Calunnie un par di palle...»3 aggiunse poi a bassa voce, ma non così bassa che il Nostro non potesse sentire. Tornato nel Suo modesto appartamento, Sierpinskij rimase quattro giorni ad almanaccare sulle ‘palle’ cui aveva fatto riferimento il monsignore, cercando senza successo di comprendere cosa mai egli intendesse dire. Il senso della frase idiomatica usata dal Locatoskji gli fu poi rivelato, non senza soverchia difficoltà, dal Proietti. Sierpinskij ci rimase molto male. Allo stato dei fatti, le possibilità di una Sua sistemazione impiegatizia presso il Locatoskji sembravano sfumate. Tuttavia, memore del cadaverico pallore del prelato, si consolò ricordando quanto un giorno gli aveva confidato l’Imperatore, mentre insieme ritornavano dalla sfortunata campagna di Russia: «Dovunque i fiori appariscono eziolati, ivi non possono vivere gli uomini».4 3 Non dobbiamo dimenticare che all’epoca, monsignor Jgor Locatoskji aveva già alle spalle un soggiorno romano più che ventennale. 4 Napoleone Bonaparte, “Aforismi, massime e pensieri”, pp. 93, NewtonCompton, 1993. 31 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 17. Maria Proietti N onostante la reprimenda di monsignor Locatoskji, che nel frattempo era divenuto cardinale, Sierpinskij continuò imperterrito a fare una corte serrata a Maria, la giovane figlia di Ercole Proietti, l’oste romano che conduceva una nota bettola trasteverina. Una sera accadde che Maria, recandosi a prestar servizio nell’osteria del padre, scorse in vicolo della Luce certo Romolo Riccardi, detto “er ciriola”, abbracciato con tale Annunziata Ripa, in posizione tale da non lasciar dubbi sul tipo di conversazione che essi stavano intrattenendo. La Proietti rimase assai turbata dalla cosa in quanto, e a buon diritto, ella si sentiva impegnata sentimentalmente col detto Riccardi. Trattenendo a stento le lacrime, arrivò dunque al suo posto di lavoro. E, componendosi come poté, principiò a servire i clienti quasi che nulla fosse accaduto. Come ogni sera, Sierpinskij, senza alcuna speranza, cercò di farle dei complimenti; ma, diversamente da ogni altra volta, Maria sembrò non disdegnare le attenzioni del polacco. Quando fu tempo di andare, Sierpinskij, malfermo sulle gambe, cercò di avviarsi all’uscita dell’osteria. «A sor Serpì - osservò Maria - stasera ve ce vonno du’ carozze pé ariportavve a casa!». «È colpa del vinno di Marinno» rispose un poco alticcio il Nostro. «E chi ha sbajato a portavvene troppo, paga!» fece di rimando Maria. «Da solo a casa nun ve ce manno: nun ve reggete in piedi!». E detto fatto, prese a sorreggerlo; e si avviò con Lui. Il padre, Ercole Proietti, non disse nulla a fronte del comportamento inusuale della figliuola; anzi, rimase assai sconcertato in quanto, pur avendola più volte sollecitata ad avere interesse verso il Sierpinskij, da lui ritenuto danaroso, non era mai riuscito a smuoverla più di tanto. «Voi vedé, Assù - disse alla moglie - che stasera ce scappa er polacchetto?». «Ercole mio - rispose la sora Assunta - ma quello è vecchio pe’ Maria!». «È vecchio, sì, ma c’ha li sordi!» ribatté il Proietti. Intanto, Sierpinskij e Maria erano arrivati all’altezza di ponte Sisto. «Vedi quante stelle ci sono in cielo, stasera?» le disse con voce tremante il Nostro. «Vedo, vedo - rispose triste Maria - però, dicono tutti così...» e scoppiò a piangere. Sierpinskij la strinse forte a sé e cominciò ad accarezzarle i capelli, fatto che sembrò calmarla un poco. «Vedi, Maria - soggiunse poi Sierpinskij, sforzandosi di esprimersi in un 32 italiano corretto per non sembrare ridicolo - se qui ci fosse stata un’altra donna, io non mi sarei nemmeno accorto delle stelle». «Me state a pijà in giro, sor Serpì?» disse lei, asciugandosi le lacrime. «No, Maria - proruppe il Nostro - io, forse, sono solo un sognatore, un sognatore un pò vecchio per te: ma il mio cuore è giovane, Maria, è un cuore che cerca soltanto una donna che possa capirlo. E vorrei che tu credessi in questo mio sentimento, un sentimento che mai ho provato per alcuna. Quando ti dico ‘Guarda le stelle’, te lo dico perché ora, senza uno specchio, non posso dirti ‘Guardati’: nessuna stella può brillare come tu brilli, nessuna stella può avere la tua luce. E tu sei la mia luce, Maria, tu per me sei più di tutte le stelle del cielo. Ti amo profondamente, Maria, ti amo da morire, anche perché è con te che ho capito cosa vuol dire amare». Maria rimase assai turbata da queste parole che rivelavano un’insospettata profondità dei sentimenti del polacco. Rimase così un poco in silenzio; poi, guardandolo fissamente negli occhi, gli sussurrò: «Certo che me dovete volé proprio un gran bene!». «Io ti amo, Maria…» le rispose con un filo di voce il Sierpinskij «... solo adesso capisco cosa significa amare». E si baciarono, si baciarono a lungo, mentre il Tevere scorreva lento sotto la luce dei rari lampioni che ne illuminavano le sponde. Sierpinskij poggiò la mano sul seno di Maria: sentiva il suo cuore battere, e sentiva anche la sua giovinezza. Con grande delicatezza le fece scivolare il vestito giù dal petto; e alla luce delle stelle e dell’avaro spicchio di luna che stava in cielo, la pelle di Maria gli sembrò ancora più candida. Rimasero distesi sul greto e qualche bacio appassionato parlò per loro. Poi Sierpinskij disse a Maria: «Amore mio, ti desidero, ti desidero tanto...». «Io sò vergine...» fece confusa lei. «Anch’io sono vergine, Maria, vergine di cuore, vergine di sentimento: e sto nascendo, stasera» rispose Sierpinskij. «Maria, ti prego, non dirmi di no, fammi nascere con te». «Come parlate bene, sor Serpì» fece Maria. Poi, accarezzandolo in viso, gli disse a bassa voce: «Fammi tua, adesso, perché io so’ tua e sarò sempre tua!». Sierpinskij le diede un piccolo bacio, sussurrandole: «Io sono tuo, io! E sarò sempre tuo, Maria...». Scivolò così su di lei, prendendola dolcemente. Maria gridò solo un attimo. Il resto, lo sanno gli alberi e i grilli che quella sera stavano a lungotevere, dalle parti di ponte Sisto. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 18. Il Calvario del Sierpinskij S ierpinskij amava assai Roma. In questa città soggiornò molto tempo, ivi si sposò, lì ebbe una figlia. Guai a parlar male di Roma o dei romani con Lui: il Nostro era capace di alterarsi a tal punto che principiava ad esprimersi in polacco, intercalando le Sue argomentazioni con numerose pesanti bestemmie. Tuttavia, accadde una volta che anche Sierpinskij ebbe a prendersela con Roma e con i romani. Quel giorno, Egli stava ancora ridendo perché il Proietti gli aveva appena confidato che il popolino decrittava il famoso acronimo SPQR1 come ‘Sono Porci Questi Romani’. Rideva il Sierpinskij, rideva di cuore; e sudava, perché si era in agosto, mese in cui a Roma fa un caldo torrido. Stava recandosi al mercato di Porta Portese, il Nostro, la curiosa fiera romana dove si può trovare di tutto. E in effetti, c’era molto da vedere: vecchi mobili, vecchi quadri, vecchi libri, vecchie stampe, vecchie cose, le più disparate. Passò ivi l’intera mattinata, godendosi sotto un sole cocente lo spettacolo che gli si offriva. Infine, contrattò alla morte, con un napoletano, sul prezzo di una piccola veduta del Vesuvio, quadretto che poi acquistò ad una cifra astronomica, convinto di aver fatto un grosso affare. Avviandosi verso casa (alloggiava allora in una pensioncina del Gianicolo, colle che domina Porta Portese, come pure il Vaticano) il Sierpinskij vide un banco che esponeva splendidi minerali: in particolare, la Sua attenzione fu attratta da un blocco di pirite, cristallizzata in pentagonododecaedri2. Dopo una breve discussione sul prezzo dell’oggetto, acquistò felice anche quello. Carico come un bestia da soma (la pirite da sola pesava una trentina di chili...) si apprestò quindi a risalire il col- le del Gianicolo. Dal punto del mercato di Porta Portese in cui si trovava, la via più breve, per chi non lo sapesse, è costituita da un’imponente e lunga gradinata, finita la quale ci si trova dinanzi ad una stretta scomoda rampa di centosessanta gradini, quanti ce ne vogliono ancora per arrivare in cima al colle. Sierpinskij scelse, incautamente, quella strada. Né le cronache, né i Diari narrano le vicissitudini di quella risalita; certo è che Sierpinskij dovette arrivare in cima terribilmente disidratato. Come Egli ha lasciato scritto nei suoi diari, giunto al culmine del percorso cercò disperatamente di dissetarsi. E vedendo in lontananza una fontanella, si precipitò verso di essa per bere. Mentre stava per assumere il prezioso liquido, tuttavia, l’occhio gli cadde su una scritta incisa nel metallo del ‘nasone’3: ‘Acqua Marcia’.4 «Accidenti, che jella!», si disse il Sierpinskij. E riprese il Suo cammino, col cuore che batteva all’impazzata e le labbra che cominciavano a screpolarsi per l’arsura. La storia si ripeté con un altra fontanella, e poi con un’altra ancora. Prossimo al coma, stremato nelle forze e nello spirito, soprattutto a causa del Suo amore per i minerali, Sierpinskij, come Dio volle, riuscì a raggiungere la Sua abitazione. Salì i tre piani di scale, pensando più volte a quanto doveva aver sofferto Nostro Signore nel portare la croce sul Gòlgota; poi entrò in casa e, deposti prontamente nell’ingresso quadretto e pirite, poté alfine ripristinare il Suo equilibrio idrosalino. Quando successivamente, canzonandolo, il Proietti gli rivelò che l’Acqua Marcia era una delle società di distribuzione dell’acqua potabile di Roma, il Sierpinskij non fece commenti. Tuttavia, come riportano alla lettera i Suoi Diari, quella sera, tornando a casa un poco alticcio, tra sé e sé osservò: «Certo, che questi romani sono proprio stronzi!». 1 ‘Senatus PopulusQue Romanus’, ovvero ‘Il Senato e il Popolo Romano’. 2 Ricordiamo, per comodità del lettore, che trattasi di bisolfuro di ferro. La pirite cristallizza in natura in due forme: una costituita da cubi smussati; l’altra, la pentagonododecaedrica, formata appunto da facce pentagonali. 3 Così i romani sono soliti chiamare tali caratteristiche fontanelle per via del tubo ricurvo, rivolto all’ingiù, da cui esce l’acqua. 4 Trattasi di acqua proveniente dal terzo acquedotto di Roma antica, Aqua Marcia, così chiamata dal pretore Quinto Marcio Re, che lo costruì nel 144 a.C. 33 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 19. Un’occasione perduta R otti i ponti con il Lokatoskji, Sierpinskij si trovò nella necessità di sbarcare il lunario: le entrate derivanti da occasionali ripetizioni di matematica rendevano ben poco. Quando ormai era sull’orlo della disperazione, accadde un evento inaspettato: una convocazione in Vaticano! Fatto ancor più eclatante, nascosto dietro quel neutro invito a presentarsi il giorno tale all’ora tale nella sala delle udienze pontificie, era (come Egli scoprì poi) che il Santo Padre in persona desiderava incontrarlo. La faccenda (almeno stando a quanto riportato nel coevo libbriccino dell’abate Morini1) era che il cardinal Lokatoskji aveva a lungo parlato col Papa2 di questo giovane di talento, un poco preso dal mondo, ma di sani principi e di intelletto invero singolare. E il Papa si era al proposito incuriosito. D’altra parte, incontrando negli ultimi tempi non pochi problemi, specie in relazione alla svogliata devozione manifestatagli dal popolino romano, Sua Santità pensava anche che il Sierpinskij – grazie alle sue frequentazioni plebee su cui il Locatoskji lo aveva dettagliatamente informato - avrebbe potuto essergli non poco d’aiuto nel consigliarlo sul da farsi. Da qui l’inaspettato invito. Puntualissimo, e impeccabilmente vestito, il Nostro si presentò quindi in Vaticano. Scortato da due guardie svizzere, fu condotto presso lo studio papale, ove fu fatto attendere. Ma l’attesa fu breve. Sicché, ancora incredulo, venne a trovarsi dinanzi ad una figura candidamente vestita che gli faceva gesti sollecitandolo ad avvicinarsi. «Santità - implorò il Sierpinskij, gettandosi ai suoi piedi - non merito questo onore! Sono solo un povero peccatore. Padre Santo: non son degno di Te!». E così dicendo principiò a baciare le sante pantofole del pontefice con cotal foga che ad un certo punto questi gli mollò un paio di pedate in viso per allontanarlo. «Caro figliolo - esordì il papa non appena ristabilite le giuste distanze - a parte il fatto che il “tu” dovreste usarlo solo con vostra sorella o con gli amici dell’osteria, e non con il Capo della Cristianità; come pure che ‘Non son degno di te’ sarebbe bene lasciarlo a canterini del prossimo secolo3, 1 S. Morini, “Vita segreta in Vaticano”, pp. 449, Fieschi, Roma, 1839. 2 Pio VII, al secolo Giorgio Chiaramonti, nativo di Cesena, il cui pontificato durò ben 23 anni (dal 1800 al 1823). 3 In effetti, negli anni ’60 del XX secolo circolò una canzonetta con siffatto titolo, cantata in dialetto bolognese da certo Gianni Morandi. 34 vi do il mio benvenuto. Avvicinatevi quindi rispettosamente ed evitate di baciarmi ulteriormente le pantofole, anche perché - vi faccio notare - così facendo sporcate il raso. E sono pantofole che costano un occhio, peraltro molto comode. Mi spiego?». «Come Sua Santità desidera!» rispose a testa bassa il Nostro. «Imploro l’indulgenza del Vicario di Cristo per questo mio comportamento, dovuto sia all’emozione che alla giovane età!». «Perdonato, perdonato» gli rispose il papa, con un sorriso da cui traspariva simpatia. «Dunque, caro figliolo - riprese il Pontefice - vi ho fatto chiamare in quanto il cardinale Locatoskji mi ha parlato a lungo di voi, raccontandomi che siete un profondo conoscitore del popolo romano, di come esso vive, di cosa pensa». Il Sierpinskij rimase un poco sorpreso da queste parole in quanto riteneva, specie dopo il suo ultimo incontro con il Locatoskji, di avere in questi un nemico, non già un mèntore che addirittura parlasse di lui con il papa, per di più nei lusinghieri termini testè espressi dallo stesso. «Che Dio abbia in gloria il cardinale...» disse il Nostro con un fil di voce. «Senza dubbio» osservò il pontefice. «Comunque, vi informo che, nonostante il proverbiale colorito cadaverico del suo viso, egli gode tuttora di ottima salute. Non per nulla, ragazzo mio, la formula che avete testè usato sarebbe bene riservarla per i soli trapassati». «Chiedo scusa, Santità» rispose, un poco mortificato, il Sierpinskij «Cercavo solo di manifestare il mio affetto e la mia devozione per il cardinale». «Bene» proseguì il papa. «Ora veniamo al sodo. Vi ho fatto chiamare perché ho bisogno del vostro consiglio in quanto sono assai preoccupato per la svogliatezza, chiamiamola così, che da tempo pervade i romani per le sacre funzioni. E anche, se vogliamo, per le limòsine che essi con sempre maggiore parsimonia destinano alla Chiesa. Naturalmente, mio caro giovine, non sto parlando della Nobiltà Romana, a me sempre così divota, quanto del popolo di Roma, gli abbienti e i meno abbienti. In particolare questi ultimi, il popolino, che voi ben conoscete. Cosa pensate di tutto questo? Avete qualche indicazione da darmi al riguardo?». E detto ciò, il papa prese a fissare negli occhi il Sierpinskij, in attesa di una risposta. «Il problema, Padre Santissimo, è che i tempi attuali sono un poco difficili. Ad esempio, un mio conoscente, tal Ercole VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Proietti4 5, che ha un’osteria in Trastevere, vede da tempo diminuire sempre più il numero di clienti. Danaro in giro non ce n’è molto: e questo può spiegare il perché le limòsine per la Chiesa siano meno generose che in passato. Tuttavia, non nascondo che, almeno per quanto ho potuto ascoltare in giro, c’è una certa animosità diffusa verso il clero». Il papa sembrava molto interessato al discorso: «Verso il clero? In che senso?» chiese al Nostro. «Nel senso - rispose pronto Sierpinskij - che molti preti romani sono assai grassi, mangiano e bevono a più non posso, vivono in bellissime residenze e, nella gran parte, mantengono nel lusso cortigiane a tutti note. Per non parlare poi di quelli che si circondano di giovinetti...» aggiunse arrossendo: «Ma su quest’ultimo aspetto vorrei non entrare in particolari». Il papa rimase in silenzio pensoso. Poi, con fare grave, guardò Sierpinskij e gli disse: «Caro figliolo, quello che mi dite lo conoscevo da tempo; ma non credevo che questa caduta di costumi dei pastori del mio gregge fosse così profonda e generalizzata. Sono davvero addolorato, intensamente». A vederlo così accasciato il Sierpinskij fu preso da un moto di pietà per il pontefice, e si diede da fare per tirargli su il morale. «Santità - osservò - sono cose che càpitano, che in genere poi vanno a posto da sole. E, diciamocelo pure, nemmeno nuove. Non dovreste angustiarVi così. Tutto passerà, vedrete. Con una guida come la Vostra io credo che a poco a poco il clero ritroverà la sua strada e la devozione dei romani ritornerà quella di prima!». «Grazie, figliolo - gli rispose mestamente il pontefice - ma penso che questo non avverrà tanto presto. Le cose sono messe proprio male; e io più di tanto non posso fare. Sento che perderò la salute su questa faccenda!». «Mai, Santità!» intervenne il Sierpinskij, con una foga de4 Trattasi di Ercole Proietti (1777-1822). Condannato per furto di limòsine nella chiesa di S. Pietro in Montorio, morì decapitato ad opera di Mastro Titta. Come alcuni commentatori hanno fatto notare, con molta probabilità tale severa pena fu in parte determinata dal disastroso risultato dell’incontro tra il Sierpinskij e papa Pio VII (in effetti, a fronte di ben altri delitti compiuti in passato dal Proietti, la sua condanna a morte per quel piccolo furto sembra davvero eccessiva). Riporta infatti l’abate Morini, nell’opera citata, che il Proietti non appena arrestato chiese, ed ottenne, di parlare col papa. «Sono il suocero del signor Sierpinskij, Santità. Invoco clemenza!» disse. «Ne terrò conto di certo, state tranquillo» gli rispose Pio VII. Sempre il Morini accenna ad un colloquio tra il papa e il capo del tribunale giudicante il Proietti: «Trattatemelo bene» fu l’indicazione data dal pontefice. Le stesse parole, racconta ancora il Morini, le disse anche a Mastro Titta (al secolo Giovanni Battista Bugatti, nativo di Senigallia, boia pontificio dal 1796 al 1864), in un incontro svoltosi prima dell’esecuzione del Proietti, avvenuta il 4 marzo del 1822 in piazza San Cosimato. 5 Molti hanno sottolineato il fatto che Sierpinskij parlò al papa del Proietti indicandolo come ‘conoscente’. Evidentemente, il Nostro si vergognò di ammettere essergli il Proietti suocero, avendone egli sposato la figliuola. gna del Savonarola. «Mai! La vita va presa con filosofia: se le cose volgono al bene, allora bene; se le cose vanno male, allora bene lo stesso. Niente è indispensabile nella vita, se non la fede in Nostro Signore. Tutto il resto conta quello che conta. In altri termini, intendo che se una cosa c’è, allora tutto è a posto; e se una cosa non c’è, se ne fa a meno, o meglio, se ne trova un’altra. Tutto può essere sostituito: è come con le donne, se Sua Santità mi consente tale audace paragone. Il mio amico Ercole Proietti di solito condensa tutto questo discorso in una battuta: ‘Morto un papa, se ne fa un altro’». E mentre proferiva quest’ultima frase, Sierpinskij si rese conto di aver detto la più grossa corbelleria che gli potesse venire in mente. Nel contempo, il pontefice si era alzato e il suo colorito stava passando da un bianco pallido ad un carminio carico. «Non ho compreso il senso della battuta del vostro amico» disse infine, scandendo lentamente le parole. Il Sierpinskij, ormai preso dal panico, tentò di salvarsi in corner, ma riuscì solo a peggiorare la situazione. «Quello che intende il Proietti, Santità - disse con un filo di voce - è che nessuno è indispensabile. L’immagine è certo assai ardita; tuttavia, è molto indovinata e rende assai l’idea. Se non è indispensabile il papa, figuriamoci se altri possono essere indisp...». «Fuoriiii, jettatore!!!» tuonò il pontefice. «L’udienza è finita. Andatevene, gaglioffo. Aveva ben ragione il Locatoskji!!!». E poi, tra sé e sé: «Ercole Proietti... devo tenere bene a mente questo nome». Richiamati dalle grida papali, irruppero nello studio le due guardie svizzere. Queste, preso di peso il Sierpinskij, lo condussero sino all’uscita di Porta Angelica, scaraventandolo poi per strada. Piuttosto dolorante per le ammaccature così procurategli, il Nostro a poco a poco si riebbe. Cercò, come possibile, di togliersi dal vestito parte del sudiciume rimastovi adeso in seguito alla caduta e si avviò quindi verso casa. Sulla via del ritorno gli sovvenne una raccomandazione che più volte gli era stata fatta dal maestro Lio-kan: «Sii pronto nell’ascoltare, lento nel rispondere». «Aveva proprio ragione, il Maestro!» si disse sconsolato. Ma a mano a mano che si avvicinava alla sua dimora, i pensieri divennero meno tetri: «Morto un papa se ne fa un altro? È vero. Ed è vero anche nel mio caso» rifletté. «Roma ormai ha ben poco da offrirmi. È tempo di tornare in Polonia. Se qui le occasioni sono sfumate, là ne avrò certamente a iosa». E, particolarmente soddisfatto di questo “a iosa”, sorta di ciliegina sulla torta delle sue considerazioni, principiò a fischiettare. 35 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 20. Sierpinskij precettore D i ritorno dalla sfortunata campagna di Russia il Sierpinskij trascorse un periodo di studi a Roma ove fu il precettore di un giovane ragazzo scozzese, il quale gli fu affidato in quanto la sua famiglia era troppo povera per mantenere gli studi di economia e commercio che il giovane intendeva frequentare. Questi era un brillante diciottenne che al Sierpinskij garbava assai. L’unico rammarico del Nostro fu che non riuscì ad impartirgli un’educazione alimentare adeguata. «Sempre quelle schifezze: carne trita e patate! Neanche i cani mangiano così. Non capirai 36 mai l’essenza dell’economia» lo apostrofava in continuazione il Sierpinskij. Purtroppo la recessione che colpì Roma nel 1825 costrinse la povera famiglia scozzese ad emigrare in America, con la valigia colma di sogni e disperazione. «Maestro - chiese il giovane al Sierpinskij prima di accomiatarsi - come potrò fare fortuna in un luogo così lontano?». «Non farai mai fortuna» sentenziò duro ma sincero il Sierpinskij. «Il buon senso negli affari si riconosce a tavola». Quella sera stessa i signori Mac Donalds vennero a prendere il loro unico figlio e partirono per le Americhe. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 21. Sierpinskij e il Pittore D urante il suo soggiorno romano il Sierpinskij ricevette la visita di Tamas Deretany, il quale partecipava al convegno “Edipo che tipo” organizzato dalla cattedra di filosofia teoretica dell’università di Budapest. La frequentazione del Deretany si era sempre rivelata per il Sierpinskij fonte di continua acculturazione. Ne è testimonianza il seguente episodio. Un giorno il Deretany disse al Sierpinskij con aria ieratica: «Dovresti andare a vedere la mostra del Greco». «El Greco, il famoso pittore spagnolo, vorrai dire» lo riprese il Sierpinskij1. «No, no. Er Greco, l’amico der Cicoria, il famoso madonnaro di Corso Trieste». Il Nostro lo guardò sbalordito. Come poteva tanta erudizione albergare in un uomo solo! Comunque quello stesso pomeriggio il Sierpinskij si recò con la sua cagnolina Ljuba a spasso per le strade ove Er Greco esponeva le sue opere. Ora, noi uomini di mondo sappiamo come sovente gli animali, presi da impellenti urgenze, rilascino in loco fragranze corporali con grande disinvoltura. Va da sé che la tenera Ljuba espletò le sue funzioni proprio sulla raffigurazione di Santa Sofia2, atto che al Greco, ragazzo di spiccato animo religioso, 1 Cogliere un fallo nel Deretany era sempre, per il Sierpinskij, un motivo di grande soddisfazione. 2 Gli agiografi raccontano che la cagnetta Ljuba costituì, poi, oggetto di studi da parte di un’equipe di fisici diretti da Bohr e Planck, i quali, notando che il simpatico mammifero produceva più feci di quanto non mangiasse, cominciarono ad avere dei dubbi sul principio di conservazione dell’energia, come pure sull’unidirezionalità dell’entropia. dispiacque assai. «Chiedo scusa - sibilò er Greco al Nostro - non mi permetterei mai di importunare una persona famosa come lei, ma le faccio notare che la sua cagna ha insozzato la mia opera preferita». «Mi dispiace - replicò confuso il Sierpinskij - se lo ritiene le rifonderò il danno». Alcuni passanti notarono una strana luce negli occhi der Greco; molti si commossero anche per l’afflato religioso che permeava tutta la scena. Er Greco, rispolverando gli studi di economia che aveva fatto per corrispondenza, stimò che la perdita poteva ammontare a circa 15.000 bajocchi; ma, dal momento che lui era un puro di cuore e visto il sentimento di fratellanza che appariva esserci tra due così nobili persone, si accontentò soltanto di 14.500 bajocchi. Le cronache narrano che da quel momento, inspiegabilmente, il Sierpinskij perse la fede e divenne un ateo convinto. 37 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 22. Sierpinskij e la Bibbia I 24 volumi che Sierpinskij pubblicò in relazione ai Suoi studi biblici1 testimoniano un’attenzione profonda del Nostro verso uno dei più antichi testi prodotti dal genere umano.2 Invero, il carattere criptico della Bibbia molte volte lascia sorpreso ed interdetto il lettore. Questo lo si può in parte attribuire alla mancanza delle vocali nell’alfabeto ebraico; di certo, il testo è in molti punti intrinsecamente oscuro. Possiamo senza dubbio affermare che gli studi critici del Sierpinskij hanno permesso di eliminare molte di queste zone d’ombra, inevitabili date le caratteristiche originariamente esoteriche dello scritto. Potremmo dire con il Nostro: “Dall’esoterico all’essoterico”, frase che usava ripetere spesso, riferendola alla Sua paziente e silenziosa opera di chiarimento, semplificazione e divulgazione della cultura universale. Come esempio di questo Suo impegno in campo biblico, riportiamo un estratto del primo dei ventiquattro volumi, specificamente dedicato al Genesi, dove Sierpinskij riesce a fornire una precisa e convincente chiave di lettura del peccato originale3: «Dirò soltanto questo: la faccenda dell’albero del sapere non è convincente. Un melo, poi: ma scherziamo? Il Malus communis, detto anche Pyrus malus (della famiglia delle Rosaceae), certamente all’epoca del Paradiso Terrestre non si era evoluto al punto da fornire frutti commestibili4. Il melo, la mela, dunque, rappresentano un messaggio criptato che appare necessario decodificare5. L’informazione in chiaro nel testo biblico è quindi “il sapere”, il rendersi conto delle cose. Ma di quali cose? Certamente il Signore non si sarebbe sentito offeso se Adamo 1 I volumi originali, del 1835, sono ormai introvabili. Può comunque farsi riferimento ad una recente ristampa: T. Sierpinskij, “Note sparse sul Libro Sacro”, 24 voll., inserti della rivista ‘Panorama’, 1992-1997. 2 Molte delle interpretazioni del Sierpinskij si trovano incorporate in: “La Sacra Bibbia”, trad. a cura di P. Eusebio Tintori O.F.M., tre volumi, Editrice S.A.I.E., Torino, 1957. In particolare, appare letteralmente saccheggiato un saggio del Nostro (T. Sierpinskij, “Per una lettura ermeneutica dell’Antico Testamento”, Ed. S. Paolo, 1878). 3 V. anche l’agevole sintesi del volume in questione, in: T. Sierpinskij, “Note sul Genesi”, pp. 842, Kopf Ed., Berlino 1843. 4 Si osservi come queste considerazioni del Nostro sottendano percorsi quali quelli poi seguiti dal Darwin, percorsi che portano necessariamente ad un Teoria Generale dell’Evoluzione. 5 Sembra che Shannon si sia ispirato a questo passo del Sierpinskij nell’impostare le idee di base della sua ‘Teoria dell’Informazione’. 38 avesse trovato una dimostrazione del teorema di Pitagora o se Eva avesse inventato l’uncinetto! Dunque, cosa può aver urtato il Signore? Riflettiamo: gli esseri umani di allora, Adamo ed Eva, erano “puri”, non portavano vestiti , né provavano vergogna per le loro nudità. Questo fatto, che viene rimarcato nel Genesi, a me sembra un’indicazione centrale per una corretta interpretazione del testo. Dio li vuole puri, e certamente, almeno per il momento, non vuole riproduzioni inopportune (“Hai visto mai che ci uscisse un Caino...”, potrebbe essersi detto). D’altra parte, Adamo avrà presto scoperto se stesso, magari in seguito a polluzioni notturne; e forse, in qualche notte non particolarmente tiepida, Eva gli si sarà avvicinata chiedendogli di giacere al suo fianco per riscaldarsi un poco. Probabilmente, a quel tempo il povero Adamo aveva già associato a certe sue segrete pratiche il sensibile calo di vista e di udito che lo preoccupava non poco. Pensiamo, dunque, a come doveva sentirsi questo nostro povero progenitore, dalle mani callose, vicino ad una femmina calda, e per di più priva di alternative, se non di donarsi a lui. Aveva coscienza Eva della sua sessualità? Decisamente, il carattere digitale6 dell’autoerotismo femminile ci fa pensare di no: tale pratica appare, ad un’analisi critica attenta e ponderata, di certo più recente che non quella maschile, di natura analogica. Eva doveva, dunque, essere prima sollecitata e poi convinta al congiungimento. E allora, mettiamoci nei panni di Adamo: che le avreste detto? Sembra di vederlo e di sentirlo implorare in queste fredde notti, il padre di tutti noi: Eva, Evina, Evuccia mia... tu sei la sola per me, te lo giuro: non amo nessun’altra”. E lei di rimando “Amore mio, ti voglio tanto bene anch’io: domani giochiamo a saltarello???” Finché, proprio in una di queste notti, inevitabilmente, Adamo deve averle sussurrato “Eva, Evina, Evuuuuuccia mia... me la dai?”. “Ma che dici, Adamo?” avrà risposto lei. “Quello che ho detto: me la dai o no?”. Ecco la chiave di lettura che si cercava! È da questa disperata richiesta, fatta da un uomo fortemente preoccupato per la propria salute, che esce l’immagine della ‘mela’ e il 6 Questo punto è particolarmente importante in quanto mostra come, prima ancora di Babbage, di Alan Turing e di von Neuman, il Sierpinskij avesse già concepito l’idea dei moderni calcolatori. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Lucas Cranach, Adamo ed Eva (1526) conseguente peccato originale (così definito dall’Arcangelo Gabriele: “Originale! Io non ci avrei mai pensato”). È certamente il congresso carnale svoltosi tra Adamo ed Eva che fa infuriare il Signore; ed è ancora certamente il Signore stesso che, ispirando l’estensore del Genesi, gli invia mentalmente una visione completa dell’accaduto, visione da questi poi interpretata in modo sui generis». to che scoperte archeologiche di antichi documenti, avvenute nel XX secolo, hanno più volte confermato le interpretazioni bibliche del Sierpinskij. Coloro che volessero approfondire questo aspetto possono oggi riferirsi a copiosa letteratura.7 8 9 10 11 12 Come ben si sa, diverse parti della Bibbia traggono ispirazione da testi precedenti, sumerici ed egizi (al punto che talora vengono riproposti ‘pari pari’ brani ripresi da tali scritture). Desideriamo perciò attirare l’attenzione del lettore sul fat- 7 E. Bresciani, “Letteratura e poesia dell’antico Egitto”, pp. 1.017, Einaudi, 1969. 8 H. Uhlig, “I Sumeri”, pp. 286, Garzanti, 1997. 9 W. Keller, “La Bibbia aveva ragione”, pp. 455, Garzanti, 1981. 10 G. Pettinato, “Babilonia”, pp. 313, Rusconi, 1994. 11 G. Pettinato, “Ebla”, pp. 477, Rusconi, 1994. 12 S. Lipschutz, “Topologia”, pp. 234, McGraw-Hill, 1994 (questo volume non c’entra niente, ma è una gran bella citazione). 39 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 23. Sierpinskij e il Mago F u a Praga, nel ‘27 (1827), che Sierpinskij conobbe il Mago. Costui era un ometto assolutamente anonimo, una di quelle persone che incontrate una volta o cento ti fanno dire: «Questo l’ho già visto... ma dove?». E tal domanda, dinanzi a cotali persone, uno la formula spesso anche se non le ha mai viste prima! Sierpinskij, dunque, era a Praga. Si trovava presso il barone Jaroslav Haschleck, uomo di larghe vedute, amante della pittura ma assolutamente negato per la musica, il quale nel corso di un suo viaggio in Polonia aveva per caso conosciuto e fatto amicizia col padre di Taddeus, Cornelius Sierpinskij. Introdotto da lui in famiglia, attratto decisamente dalla moglie di questi, Maria Sonja Kolkolowska, donna assai avvenente e sensuale, aveva preso a benvolere il giovane Taddeus, il quale nonostante la tenera età già appariva un ragazzo garbato e molto dotato intellettualmente. Sierpinskij si trovava bene a Praga. Il barone, oltre che generoso ospite, era anche di carattere gaio e gradiva molto i giochi di parole che sin d’allora il Sierpinskij amava proporre. Uno di questi, forse il più riuscito, riguardava le opposte propensioni verso la pittura e la musica del Sierpinskij e del barone, l’uno amante dei suoni, ma negato per il tratto, l’altro che si estasiava davanti al più semplice disegno, ma che Praga 40 non esitava a sbadigliare senza pudore durante un concerto. Diceva il Sierpinskij: «Io sono cieco ai colori e slovacco per le note». Il barone rideva, rideva, sino a sentirsi male; e per riprendersi, con le lacrime agli occhi, bestemmiava pesantemente, dando nel contempo forti pacche sulle spalle ancora non proprio solide del Nostro. Il Sierpinskij ricorda questi episodi ricorrenti in un Suo noto libretto.1 E fu a Praga, un giorno qualunque, durante una solitaria passeggiata nel ghetto della città, che Sierpinskij fu avvicinato dall’insignificante ometto, la cui incipiente calvizie faceva a gara con l’unto del vestito nell’attirare l’attenzione dei rari passanti. «Signore» gli disse lo sconosciuto «Io credo che Voi abbiate bisogno di un talismano». «Questo tale Smano non lo conosco» rispose con sufficienza il Sierpinskij, fraintendendo il senso del messaggio, forse a causa della Sua fastidiosa ipoacusia. «Non un tale Smano: un Talismano!» corresse irritato l’ometto. A dir la verità, in seconda battuta, Sierpinskij intese Tamerlano (allora i turchi andavano di moda da quelle parti...); ma, avendo sviluppato già da tempo le astuzie che soccorrono gli ipoudenti (o coloro che hanno comunque di cotali problemi) Egli decise di gio1 T. Sierpinskij, “Cosa mi ha colpito di più a Praga”, pp. 72, Sveich & Hopfmann, Praga 1801. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA care di rimessa: «Lei crede?» rispose. «Io credo - fece l’altro - ma non solo lo credo: lo so. Come so che Voi, che ora siete solo un ragazzo, state avviandovi verso nobili destini». Sierpinskij restò affascinato da questo dire e, come ipnotizzato, seguì docilmente l’ometto. Questi, destreggiandosi tra i vicoli del ghetto, lo condusse infine dinanzi ad una piccola bottega di orologeria. All’interno, nella penombra, spiccava una forte macchia di luce che illuminava un banco di lavoro. Con una lente posta sull’occhio sinistro, quivi un Vecchio dal viso grinzoso stava lavorando intorno ad un grosso orologio da tasca. I suoi capelli bianchi e fluenti gli conferivano un aspetto solenne e inquietante insieme. «Iaouè... pardon... Yhwh - disse l’ometto indicando il Sierpinskij - questo ho trovato...». «Questo?» rispose il Vecchio, perplesso. «Questo» confermò l’ometto. «Di necessità, virtù» osservò il Vecchio. Poi, rivolto al Sierpinskij, fissandolo intensamente negli occhi, gli fece: «Un uomo aveva tre figli e duecentocinquantadue pecore. Sentendosi prossimo alla morte, egli decise di fare testamento. A tuo parere, come avrebbe dovuto ripartire il gregge tra i suoi figlioli?». «Stava morendo? Stava molto male?» gli chiese il Sierpinskij. «No. Egli aveva solo sentore di una sua possibile dipartita» precisò questi. «Allora è un problema facile!» trillò il Sierpinskij. «Al posto suo, avrei venduto il gregge e mi sarei goduto la vita alla grande. Vivere aiuta a vivere»2 concluse. «È proprio lui!», esclamò il Vecchio. «Dagli l’Amuleto e sarà Strumento». «Sei sicuro, Padre?» fece l’ometto. «Stai bestemmiando!», rispose secco l’altro. «Non ci avevo pensato, Padre. Ti chiedo perdono, io non volevo, non avevo certo intenzione di...». «Mosé, e dagli questo Amuleto!» proruppe il Vecchio. «Sì, Padre, come Tu desideri» rispose l’ometto di cui, finalmente il Nostro aveva appreso il nome. E ciò detto, questi prese un anello che sembrava molto antico e disse con fare solenne al Sierpinskij: «È l’Amuleto di cui ti ho parlato. L’anello è magico e ti permetterà di viaggiare nel tempo: da oggi, per te, passato e futuro non saranno che mere etichette. Potrai muoverti nel tempo e conversare con chi vuoi. Accumula sapere e fanne partecipi i tuoi simili. Ora non sei più soltanto un uomo: sei anche uno Strumento Prezioso del Signore!». Queste parole suscitarono nel Nostro una profonda emozione, ma non intaccarono di certo il Suo sangue freddo, né il Suo inveterato senso del pratico. «Quanto costa?» chiese il Sierpinskij. I due lo guardarono in silenzio per circa 45 minuti; poi, l’ometto disse al Vecchio: «Ma sei proprio sicuro?». «Stai bestemmiando ancora!» gridò il Vecchio, non poco alterato. E rivolto a Sierpinskij, gli intimò: «Metti l’anello al dito medio della mano sinistra e va. Torna dal barone, Taddeus Sier2 È questa, a nostro avviso, una delle massime più belle del Sierpinskij. pinskij. E speriamo di non pentirci!». «Stai bestemmiando» disse a sua volta l’ometto al Vecchio. «Taci, Mosè» rispose questi con voce stridula; e, quasi sussurrando, aggiunse: «Dopo facciamo i conti...». Taddeus, profondamente turbato, infilò l’anello nel dito medio della mano sinistra (calzava a pennello!), quindi uscì. «Come faceva il signor Iaouè a sapere del barone e a conoscere il mio nome?» prese a chiedersi. Decise così di fermarsi sull’uscio della bottega, cercando di origliare. «Non ti permettere più!!!» stava gridando il Vecchio. «Chiedo scusa, Padre: sai che, se è per questo, non mi permetterei mai» gli rispose l’ometto. «Solo, mi è venuto spontaneo... e poi, perdona, c’è sempre quella faccenda del Diluvio Universale... allora ci hai ripensato!» aggiunse. «E con questo? - replicò il Vecchio - perché, non posso anch’io avere dei dubbi? L’hai visto, no? Tu me lo hai portato!». «Sì, Padre. Però Voi mi avete detto di andare in quel luogo e a quell’ora» osservò Mosè. «Va bene, va bene - fece il Vecchio, lisciandosi la barba - in fondo è andata più o meno così anche con te. Ormai è fatta: e cosa fatta, capo ha».3 «Io però il problema delle pecore l’ho risolto correttamente» disse tra sé e sé l’altro. «Torniamo su, allora?» azzardò poi. «È tempo. Anzi, era ora!», concluse il Vecchio. Sierpinskij, che aveva colto assai bene il dialogo tra i due, nonostante i suoi già ricordati problemi di udito, volle vederci chiaro e rientrò nella bottega. «Signori» esordì con voce ferma: «Esigo una spiegazione!». Dal diario di Taddeus Sierpinskij: «... e rientrato, per chiedere delucidazioni circa il loro strano comportamento, non trovai alcuno nella bottega. Né il signor Iaouè, né il signor Mosè. Uscii piuttosto inquieto e ad un tratto mi accorsi che nella strada, oltre alle persone che vi transitavano, vedevo come delle ombre. Se la mia attenzione si concentrava su una di esse, l’ombra prendeva corpo, come se si mettesse a fuoco, ed appariva poi chiaramente come persona viva. Mi esercitai in questo nel tornare al palazzo del barone e con mia grande sorpresa notai di volta in volta costumi diversi, di foggia e colore vario, alcuni addirittura fatti di pelliccia d’orso (così almeno mi sembrò allora). Era dunque vero che, grazie al Talismano, potevo viaggiare nel tempo? Come appurai successivamente, quanto il signor Iaouè e il signor Mosè mi avevano detto corrispondeva a realtà. Di questo dono feci poi, io credo, buon uso». 3 Sierpinskij rimase molto affascinato da quest’ultima frase e, nel corso della Sua lunga vita, la ripeté spesso; e, duole dirlo, spacciandola per sua. 41 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 24. Sierpinskij e la Burocrazia Q uando Sierpinskij vinse il concorso per la cattedra universitaria di fisica teorica dell’università di Berlino1, gli fu chiesto di presentare, tra i vari documenti necessari a perfezionare la nomina, anche il Suo certificato di nascita. Non esistendo ancora agenzie per il disbrigo di dette pratiche, il Sierpinskij, di buon mattino, con far gioioso (come è facile intuire...), si recò personalmente presso il municipio di Berlino al fine di acquisire l’importante documento. Salita una maestosa e imponente gradinata, che sembrava non avere mai fine, una volta entrato nell’edificio si trovò di fronte un immenso ed inquietante androne, dove numerose persone, incerte e nervose nei movimenti, sembravano essere alla ricerca di qualcosa che stentavano a trovare. Dopo circa due ore, Sierpinskij si rese conto del perché di tutto ciò: era decisamente impossibile orientarsi nella ragnatela di corridoi che si dipartiva dall’androne. Girò ancora a lungo, chiese inutilmente lumi ai suoi compagni di sventura; finché, per pura e sfacciata fortuna, osservò in una rientranza della sala una specie di gabbiotto su cui troneggiava la scritta “INFORMAZIONI”. All’interno di detto gabbiotto, stava un uomo piuttosto anziano, intento nella lettura di una gazzetta. «Potreste dirmi, buon uomo - azzardò il Nostro - dove posso trovare l’Anagrafe?». Nonostante avesse parlato con voce gagliarda, Sierpinskij tuttavia non ricevette alcuna risposta. L’uomo sembrava stregato, totalmente immerso nella sua lettura, inaccessibile a qualsiasi stimolo esterno. Sierpinskij, un poco contrariato, ripeté allora la domanda con voce ancor più ferma. L’uomo alzò lentamente la testa, lo guardò fisso e, in un tedesco in cui predominavano forti inflessioni berlinesi, gli rispose secco: «Non sa leggere i cartelli?». Fu a quel punto che il Nostro si accorse della presenza di minuscole striscie adese al gabbiotto, una delle quali riportava “ANAGRAFE: TERZO PIANO”. Biascicando parole di scusa, il Sierpinskij si allontanò dall’ometto il quale, scuotendo la testa, riprese la lettura della gazzetta. Giunto infine al terzo piano, il Nostro si trovò di fronte ad una sala immensa, piena di persone che facevano la fila 1 In effetti Sierpinskij arrivò soltanto terzo, ché prima di Lui furono posti in graduatoria un tale raccomandato dallo stesso Kaiser e un altro aspirante al titolo, intimo amico del Rettore. Fato volle che i due, uscendo dall’università allegri e soddisfatti dopo la prova, morirono insieme sul colpo investiti da una carrozza. 42 dinanzi ai numerosi sportelli, dietro ognuno dei quali si intravvedeva un impiegato dall’aria stanca ed annoiata. Gli sportelli non recavano indicazioni di sorta, né d’altra parte si vedeva in alcun luogo un cartello recante la magica scritta “INFORMAZIONI”. Forte della Sua fede nei numeri naturali, Sierpinskij si recò allo sportello 1 dove, dopo una fila di circa mezz’ora, poté trovarsi fronte a fronte, il momento della verità!, con l’impiegata di turno, tale Greta Francioskii, come apprese leggendolo da un cartellino che faceva bella mostra di sé in alto a destra sul vetro che separava i funzionari dal pubblico. «Buongiorno» disse Sierpinskij. Nessuna risposta. «Avrei bisogno di un documento che attesti la mia nascita», continuò. La Francioskii sembrava non ascoltarlo; e, quando da una grossa borsa tirò fuori quello che sembrava un maglione non terminato e cominciò a sferruzzare, Sierpinskij sentì il sangue salirgli alla testa. «Signora! - gridò - vuole ascoltarmi?». «È nato in Germania?» rispose lei senza scomporsi, continuando a sferruzzare «No. Sono nato in Polonia...» rispose il Nostro. «E allora perché viene qua a farmi perdere tempo, invece di seguire le indicazioni dei cartelli? Deve prima andare allo sportello 2!». Sierpinskij, confuso ed irritato, farfugliò qualcosa, difficilmente scambiabile con una scusa, e si avviò verso lo sportello consigliato. Dall’impiegato dello sportello 2, distratto inizialmente dai problemi che aveva con una canna da pesca, ma invero assai gentile e simpatico, fu inviato allo sportello 3; poi, con storia analoga, allo sportello 5; poi al 7; poi, all’undici; poi, al tredici; infine, al 17. «Sono tutti numeri primi» diceva tra sé e sé il Sierpinskij, per consolarsi; ma in verità era abbattuto, esausto. L’impiegato dello sportello 17, dopo l’ennesimo picchiare del Sierpinskij sul vetro dello sportello, interruppe un lavoro al tornio che tanto lo assorbiva; e, togliendosi gli occhiali di protezione, chiese al Nostro cosa volesse. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Sierpinskij spiegò la faccenda, raccontando con ricchezza di particolari tutto il percorso svolto; e concluse dicendo: «Posso avere, adesso, il mio certificato di nascita?». Gli occhi del Sierpinskij brillavano di una luce strana. Era convinto, era sicuro di farcela. C’era solo un altro sportello, il 18: e 18 non è un numero primo! «Ma la signora Francioskii non glielo ha detto?» esclamò l’impiegato, sorridendo sadicamente. «Cosa doveva dirmi?» fece allarmato Sierpinskij. «Che da ieri tutti i certificati di nascita di cittadini tedeschi nati fuori di Germania, vanno richiesti al Municipio di origine». «No, non me lo ha detto...» rispose Sierpinskij, mentre sentiva scendere dai Suoi occhi lacrime di rabbia e di disperazione. «E, peraltro - proseguì implacabile l’impiegato-tornitore anche se frau Francioskii le avesse rilasciato un documento, io non avrei potuto vistarlo in quanto per vistare un documento dello sportello 1 è necessario prima che sia apposto un visto dello sportello 14; ma per il visto dello sportello 14 è necessario avere prima un visto dello sportello 1: questo è il Regolamento». A questo punto, Sierpinskij sentì come se la testa gli esplodesse: tutto diventò nebbia e, come d’incanto, si ritrovò in una stanza ove un uomo, con un paio di poderosi occhiali, era intento a scrivere delle formule su una lavagna. «Chiedo scusa...» gli disse Sierpinskij. L’uomo si girò, lo guardò un attimo, e poi riprese ad immergersi nei suoi calcoli. Fu allora che Sierpinskij si rese conto di essere nuovamente intrappolato in uno dei Suoi estemporanei viaggi nel tempo. «Chiedo scusa - disse ancora all’uomo - dove mi trovo?». «Dove mi trovo?» replicò l’uomo, fraintendendolo. «Mi trovo a un punto morto: può un sistema formale consistente e sufficientemente ricco, dimostrare la propria consistenza? Non riesco a tirar fuori un ragno dal buco!». «Decisamente - osservò Sierpinskij - sembra questione assai complessa, probabilmente non risolvibile con i soli mezzi del sistema... ad esempio, poco prima di trovarmi qui da lei, stavo affrontando un problema analogo per via di un certificato... bisognerebbe, io credo, uscire dal sistema: a me, ad esempio, toccherà di certo andare in Polonia per quel documento che mi occorre... poco fa, nell’ufficio in cui mi trovavo, un certificato dello sportello 1 doveva essere vistato dallo sportello 14, che però può farlo solo se ha prima il visto dello sportello 1... ». L’uomo lo guardò a lungo pensoso, rendendosi finalmente conto della sua presenza. «Ma Lei è vero o è un sogno?» lo interrogò. «Io non sono vero - confessò Sierpinskij - infatti, probabilmente non sono neanche qua. Mi trovavo in quell’ufficio...». «Cosa ha detto?» lo interruppe l’uomo. «Io non sono vero... io non sono dimostrabile... se in un sistema corretto fosse un enunciato vero a dirlo di se stesso, a dire di non essere dimostrabile... allora...». D’improvviso i suoi occhi si illuminarono di una strana luce; e, come colto da un raptus, afferrò Sierpinskij per le braccia, scuotendolo: «Lei è un genio, assolutamente un genio! È questa senza dubbio la strada che cercavo! Mi permetta di presentarmi... io mi chiamo Kurt Gödel e sono onorato di conoscerla, signor...».2 3 Di colpo, Sierpinskij si ritrovò di fronte allo sportello 17 e riprese a percepire la voce cantilenante dell’impiegato che, implacabile, continuava a precisare le regole del gioco: «... ed infine deve poi essere vidimato dallo sportello 3 che, tuttavia, non può mettere il visto definitivo se non ha prima quello dello sportello 6, che però è chiuso a tempo indeterminato. Non so se è chiaro». «Grazie» rispose Sierpinskij con un fil di voce, ancora confuso da quanto gli era appena accaduto. E ciò detto si avviò per andarsene dal Municipio, ostacolato da una folla inquieta, da inferno dantesco, che ondeggiava tra uno sportello e l’altro con strani movimenti, talora armoniosi, talora assolutamente casuali e scoordinati. Prima di uscire, l’occhio gli cadde sullo sportello 1: frau Francioskii stava rispondendo alle domande di una ragazza, mondando nel contempo un gagliardo monticello di cicoria, raccolta quella stessa mattina nel parco antistante il Municipio. «Che donna operosa» si disse Sierpinskij. «Fortunato chi se l’è presa!». Incamminandosi poi verso l’università, gli venne da riflettere sull’accaduto: «Forse, i sistemi formali sono incompleti; forse, anche il sistema dei numeri naturali è incompleto: la congettura di Goldbach4 , d’altra parte, lo ha già fatto sospettare a molti. Chissà se il signor Gödel riuscirà a dimostrare tutto questo. Di certo, però, i sistemi della Burocrazia sono ad un livello di complessità di gran lunga superiore: frau Francioskii potrebbe forse mettere in grande imbarazzo anche una mente eletta come quella di Eulero.5 E rasserenato da questa Sua riflessione, riuscì a godersi il resto della giornata. 2 Volendo essere più precisi, si tratta del primo teorema di Gödel, dove si risponde negativamente alla domanda: ‘Può un sistema formale consistente, e sufficientemente ricco, dimostrare la propria consistenza?’. In un secondo teorema, Gödel mostra invece che se esso è anche corretto, allora risulta incompleto. Tutta la faccenda è indubbiamente complicata. Un testo che può aiutare a capire meglio le cose è certamente quello di E. Nagel e J. Newman, “La prova di Gödel”, Boringhieri, 1993. Lettori curiosi, con forti tendenze suicidarie, possono provare a leggere l’articolo originale di Kurt Gödel, “Sulle proposizioni formalmente indecidibili dei Principia Mathematica e di sistemi affini I” (1931), che si trova tradotto in italiano, dal testo tedesco, in: E. Agazzi, “Introduzione ai problemi dell’assiomatica”, pagg. 203-228, Milano, 1961, oppure, dal testo inglese, in: S.G. Shanker (a cura di), “Il teorema di Gödel”, pagg. 21-62, Franco Muzzio Ed., Padova 1991. Come si renderà conto chi avrà modo di approfondire l’argomento, il contenuto di questo racconto ha ben poco a che vedere con Gödel e i suoi teoremi. 3 L’episodio non è riportato esplicitamente nelle memorie di Kurt Gödel, ma lo si evince da quanto egli scrive, raccontando di come pervenne alla soluzione del complesso problema che Hilbert aveva posto: «Mi stavo arrovellando da anni intorno alla questione, quando un giorno, ad un tratto, come se un’altra persona me lo avesse suggerito, la strada da seguire divenne subito chiara» (in K. Gödel, “Memorie di un matematico”, Ed. Verlag, Berlino, 1948). 4 La congettura di Goldbach così recita: ‘Ogni numero intero pari maggiore di 4 è la somma di due numeri primi dispari, non necessariamente diversi’ (in realtà, questa non è la congettura originale di Goldbach, che parlava in una lettera ad Eulero della somma di tre numeri primi: la formulazione riportata è di Eulero). A tutt’oggi, nonostante i numerosi tentativi, nessuno è riuscito a dimostrare tale congettura. 5 Eulero conobbe bene la signora Francioskii, come riportato nei suoi diari e, soprattutto, nella sua poderosa opera “Grundlagen der Bürokratie” (7 voll., Steiner Editore, Lipsia, 1802-1807), che in apertura contiene una dedica alla stessa. 43 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 25. Noam Enzensberger T addeus Sierpinskij, nonostante numerose e ripetute sollecitazioni, respinse per anni l’idea di creare una Sua Scuola. Tuttavia, le insistenze di un giovane e, soprattutto, la formidabile raccomandazione da costui presentata (una lettera olografa del Kaiser1), lo costrinsero a ritornare sulle Sue decisioni. Noam Enzensberger, questo il nome del giovane in questione, era invero molto brillante. Laureatosi all’università di Berlino in fisica, chimica, biologia, medicina, filosofia, antropologia, psicologia, geologia, ingegneria, economia, lettere antiche e moderne, era un campione di sciabola, accanito giocatore di carte e noto dongiovanni. Si vociferava, tuttavia – ma erano solo voci – che egli esercitasse anche l’attività di usuraio, insieme a numerose altre, quale l’amministrazione di condominii, come pure la vendita porta a porta di numerosi prodotti per la casa da lui direttamente importati dall’Inghilterra. Si diceva, peraltro – ma questo era certo – che egli dedicasse gran parte delle sue giornate a gestire immobili e fondi pervenutigli dalla famiglia. Nonostante un consistente appannaggio garantitogli dal nonno materno, come pure dall’evidenza delle sue disponibilità, palesi a tutti per carrozze, vestiti e monili preziosi, piangeva sempre miseria. Da lunga pezza l’Enzensberger agognava avere un contatto diretto col Maestro; e a questo scopo aveva messo in moto amicizie importanti, cosa per lui non particolarmente difficile in quanto principe di nascita e nipote di un cardinale. Il Sierpinskij si affezionò col tempo all’Enzensberger, ma i loro rapporti non furono sempre facili, come dimostra il seguente aneddoto. Un giorno, mentre Sierpinskij ed il Suo allievo passeggiavano per le strade di Dresda, il Maestro esclamò: «Dopo di 1 Gli AA. desiderano ringraziare il museo di Berlino per aver consentito loro l’accesso alla sala “Kaiser” (quarto scaffale) e di aver permesso la riproduzione fotostatica del documento in questione. Notiamo che il tono della lettera è piuttosto duro sin dall’inizio: “Herr Sierpinskij...”. Questo essere chiamato semplicemente ‘signore’ deve aver colpito profondamente l’orgoglio del Nostro, abituato come Egli era a deferenza, rispetto e considerazione. L’esame linguistico dell’intero testo tedesco, effettuato da uno degli autori (M. Margius), specialista in materia, rileva peraltro in tutto il documento un tono particolarmente imperioso e mortificante. Forse, per la prima volta, siamo in grado di affermare che accettare come allievo l’Enzensberger fu per il Sierpinskij non un atto di scelta, ma di dovuta obbedienza al Kaiser Guglielmo. 44 me, il Diluvio!»2. «Chiedo scusa - osservò l’Enzensberger - ma questo non l’ha già detto Luigi XV?». «Intendevo dire che tutto passa, tutto scorre: ‘Panta rei’, si potrebbe dire in greco»3 rispose pronto il Sierpinskij. «Sarà, Maestro - commentò l’Enzensberger memore dei suoi studi classici - ma anche questo lo ha già detto Eraclito». «Può darsi - replicò il Nostro irritato - tuttavia, quello che intendevo dire nella sostanza è che solo l’atto del pensare ci dà la coscienza dell’esistere. Penso, dunque sono». «Cogito, ergo sum?4 Ma è di Cartesio, Maestro!» proruppe sorpreso Noam. A questo punto, le cronache dell’epoca narrano che il Sierpinskij, rosso in viso, fissò per alcuni minuti negli occhi il Suo allievo (così come soleva fare con lui il Maestro Lio-kan); e poi, scandendo in modo deciso le parole - il che in tedesco riesce certamente meglio che in polacco - gli disse: «Ciò che qui ho detto non pretende già essere nuovo, nei particolari; né perciò cito fonti, poiché m’è indifferente se già altri, prima di me, abbia pensato ciò che io ho pensato!»5. «Chiedo ancora scusa - insisté l’Enzensberger - ma questo, Maestro, è pari pari quello che Ludwig Wittgenstein scrive nella prefazione del suo ‘Tractatus logico-philosophicus’». «Stikazzi!»6, gridò furibondo Sierpinskij. «Wittgenstein 2 Questa frase, tanto citata (a sproposito), fu una semplice constatazione di Luigi XV. Il re, infatti, era appena giunto nel castello di La-mer-surla-mer del granduca Maurice de la Rocharde, che cominciò prima a grandinare furiosamente, poi a piovere a dirotto (v. anche Jacques Leccon, “Le Roy et moi”, pag. 242, Trescart, Paris, 1715, trad. italiana: “Ricordi di un cortigiano”, Rusconi Ed., Milano, 1967). 3 La frase ‘Panta rei’ (‘Tutto scorre’), comunemente attribuita ad Eraclito, è probabilmente apocrifa (si veda al proposito: B. Russell, “Storia della Filosofia Occidentale”, pag. 93, Longanesi Ed., Milano, 1963). Maggiore consistenza riveste invece la congettura del Morelli (v. T. Morelli, “Scienza e tecnica nella Grecia antica”, Workstreet Ed., London, 1897). Questo autore sostiene trattarsi della frase standard con cui gli idraulici dell’epoca comunicavano al cliente la piena riuscita della riparazione. Come il Morelli fa notare, inoltre, esistevano in questo diversificazioni territoriali: il ‘Panta rei’ era principalmente in uso nella Ionia; nella Magna Grecia, invece, era in voga: ‘Eureka!’. 4 In effetti, sembra che Cartesio disse, nel mezzo di un incontro con certa Geraldine de la Roucelle: «Coito, ergo sum!». 5 Molti autori sostengono che questa dichiarazione del Wittgenstein sia stata una brillante trovata per evitare di riportare nel ‘Tractatus’ una lunga e noiosa bibliografia. Inserirla, d’altra parte, sarebbe stata assai imbarazzante per lui: ne sarebbero uscite 60 pagine di testo ed altrettante di citazioni. 6 Anche ‘Sti kazzi!’. Equivale, sostanzialmente, a ‘Perbacco!’, ‘Cribbio!’, VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Guglielmo I di Germania deve ancora nascere!!!». Stranamente, non c’è traccia di questo episodio nei Diari ‘Cospetto!’, e simili. Questa caratteristica esclamazione idiomatica, di origine sconosciuta, fu appresa dal Sierpinskij durante il Suo soggiorno romano. Ad insegnargliela fu un certo Ercole Proietti, oste di Trastevere, divenuto poi suo suocero. Secondo alcuni Autori, si tratta di una tipica espressione zen, che tradotta alla lettera recita ‘Stai dicendo quello che non pensi e stai pensando quello che non dici’. del Sierpinskij; tuttavia, da alcune lettere inviate dalla principessa Enzensberger al fratello cardinale7, sembra che poi i due non si siano parlati per alcune settimane. 7 Gli AA. sentono di dover manifestare la loro gratitudine alla Santa Sede ed ai principi Enzensberger di Brandeburgo per aver messo a loro disposizione il carteggio citato (in parte conservato presso la Biblioteca Vaticana, in parte presso la famiglia Enzensberger in Brandeburgo). 45 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 26. L’Enzensberger alla prova S ierpinskij, nonostante fosse stato costretto dal Kaiser ad accettare come allievo l’Enzensberger, provava simpatia verso il ragazzo. In fondo, Egli si diceva, è per sete di sapere che questo giovine ha sfruttato ogni possibilità a sua disposizione per stare meco. Le cronache non lo riportano, ma noi in base ad un documento inedito, di cui siamo recentemente venuti in possesso, siamo in grado oggi di affermare che più che il Kaiser poté certa baronessina Cristiana Boroswskij1, avvenente fanciulla di cui il Sierpinskij era segretamente infatuato, la quale al tempo raccomandò anch’essa caldamente il giovine Noam: «È unico» disse al Sierpinskij. E, come vedremo appresso, di questa unicità il Nostro ebbe poi ben modo di rendersene conto. Un giorno, prima di un importante congresso, il Sierpinskij affidò una Sua celebre formula (la formula del Sierpinskij, una delle tante) all’Enzensberger, pregandolo di tracciare alcune note al riguardo. Di un lavoro compilativo si trattava, dunque. Così non lo intese l’Enzensberger il quale, travolto da un incontinente desiderio di comparire, manipolò la formula in modo da ricavarne una nuova di zecca, più semplice, peraltro. La tentazione nacque probabilmente nell’insano cervello del giovine per il fatto che il Sierpinskij, nella Sua infinita generosità, aveva già predisposto che l’Enzensberger figurasse come primo autore. Il lavoro quindi era ‘suo’, deve aver probabilmente pensato il giovine; perciò, anche la formula doveva essere ‘sua’. Fatto sta che, quali siano state le pulsioni, il giovanotto, nella sua manipolazione matematica dell’accurato lavoro del Sierpinskij, sbagliò banalmente alcuni passaggi, pervenendo così ad una formula risolvente molto più semplice di quella originale, certo, ma assolutamente ingiustificata in base alle premesse. Detto in termini crudi, la nuova formula conteneva un clamoroso errore di algebra elementare. Quando, dopo la pubblicazione dell’articolo, il Sierpinskij 1 Avventuriera prussiana, amante del visconte Offene Amseln Merloski, conoscente e compagno di bevute del Sierpinskij. 46 se ne accorse, andò giustamente su tutte le furie e volle metter alla prova l’Enzensberger, il quale sia pur laureato con lode in matematica e fisica, lasciava assai a desiderare nei calcoli, come d’altra parte ben testimoniava l’errore macroscopico commesso. «Mi dica, Noam - fece il Nostro all’Enzensberger - se in un rapporto il denominatore decresce, cosa succede?». «Veramente, Maestro, direi che... insomma... più o meno le cose vanno come prima...» farfugliò Noam. «Come vanno come prima!!!» esclamò furioso e scandalizzato il Sierpinskij. «Se il denominatore decresce, il rapporto aumenta!». «Chiedo scusa, Maestro - insisté l’Enzensberger, che aveva ben capito dove il Nostro volesse andare a parare - ma da alcuni calcoli da me effettuati col nuovo modello risulta che i valori ottenuti non sono poi così diversi da quelli che si ottengono con l’altro... naturalmente, trattasi di una prova empirica... l’errore non sembra così grande: più o meno, il risultato è quello». E quindi tirò fuori dalle tasche dei fogli sgualciti dove erano appuntati in modo disordinato dei conti, pieni peraltro di correzioni. Sierpinskij rifiutò di esaminare il materiale e, congedatolo bruscamente, si chiuse in un silenzio gelido. In cuor suo maledisse il giorno in cui pressato dalla lettera del Kaiser ma, soprattutto, dai sorrisi invitanti della Boroswskij, aveva accettato di occuparsi dell’Enzensberger. «Tanto, prima o poi se ne accorgerà! - pensò - e saranno guai per lui: il primo nome è suo e sua è la corrispondenza con la rivista che lo ha pubblicato. Chi la fa, l’aspetti» concluse, fantasticando roghi e scomuniche di cui il giovanotto sarebbe stato l’oggetto. Ma Noam, come Tamas Deretany, aveva sette vite: la formula da lui derivata in modo errato dal modello del Sierpinskij si dimostrò molto feconda, a tal punto che ancora oggi si parla del ‘Criterio dell’Enzensberger’ e non di quello del Sierpinskij. «Sic transit gloria mundi» commentò il Nostro al proposito. E si annotò subito la frase, perché gli sembrava proprio buona. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 27. Le lacune dell’Enzensberger P er quanto primieramente Noam Enzensberger gli fosse sembrato ragazzo di solida cultura, il Sierpinskij dovette presto ricredersi. Aveva, l’Enzensberger profonda conoscenza delle materie che lo interessavano (l’economia in particolare); ma sul resto, più volte il Nostro si trovò di fronte a lacune sconvolgenti. Un giorno, ad esempio, mentre passeggiavano insieme nei giardini dell’università di Berlino, Sierpinskij principiò a parlare della Sua esperienza in Cina, ricordando con affetto, nostalgia e devozione il vecchio maestro Lio-kan. «Chiedo scusa - lo interruppe l’Enzensberger, sempre preso dal desiderio di mostrarsi edotto in ogni cosa - ma quanto le diceva al proposito Lio-kan Tzu, io in parte l’ho letto nel ‘Libro della Nonna’ di Lao-Tse”. «Nel Libro della Nonna?!?» fece raggelato il Sierpinskij, peraltro già urtato a causa dell’interruzione. «Sì... - buttò là con incoscienza l’Enzensberger - nel Libro della Nonna e della sua Ziona».1 «E la Sorella? Il Padre? La Madre? Dove li mettiamo?????» gridò il Nostro in piena collera. Noam rimase un attimo in silenzio; ma poi, confidando nella sua buona sorte, azzardò: «Forse Lao-Tse ha scritto altri libri su di loro. Io, però, so di certo, anche se ora non ricordo con precisione dove l’abbia letto, che egli era assai affezionato alla nonna...». «Molto bene» fece Sierpinskij, assecondandolo. «E di cosa tratta dunque questo ‘Libro della Nonna’?». L’Enzensberger cominciò a sudare visibilmente, rendendosi conto di essersi spinto troppo oltre; ma, poiché la sua faccia era di un bronzo genuino, non si perse d’animo. «Ecco... se vogliamo... - riprese - è un po’ il riassunto della vita di LaoTse!». Poi, interrompendosi, chiese al Nostro: «Maestro, nel seguito vuole che usi Tse o Tzu?». «Usi pure Tse - gli fece Sierpinskij - ma non lo usi due volte di seguito, altrimenti potremmo trovarci a discettare di mosche e malattie infettive. Continui, perbacco, Noam!» lo sollecitò. L’Enzensberger, asciugandosi la fronte con un fazzoletto bisunto, continuò: «Lui era nato in Cina da genitori molto poveri, i quali, peraltro, non andavano d’accordo... il padre beveva! La madre... una donna veramente brava, teneva i conti in una locanda e... scriveva e leggeva lettere agli analfabeti, perché era 1 Per quanto a chi legge possa sembrare incredibile, l’Enzensberger intendeva riferirsi a “Il libro della Norma e della sua Azione”, di Lao-Tse, che aveva intravisto nella biblioteca del Sierpinskij ( rif. Lao-Tse “Il libro della Norma e della sua Azione”, Rizzoli-BUR, 1962). molto istruita; e quando si recava a lavorare, lo lasciava da sua madre, la vecchia Li-ciao-cin. Stava bene, Lao-Tse, con la nonna. Poteva giocare, poteva pensare: era un bambino molto precoce... faceva molte domande, Lao-Tse, alla nonna; e lei gli rispondeva sempre in modo intelligente, forte della sua saggezza contadina. Imparò molto dalla nonna, Lao-Tse, ma ancor più dalla lettura dei libri dell’importante biblioteca che la nonna possedeva... perché la nonna era una nobile decaduta... gli insegnò anche a scrivere! Con la nonna viveva la sorella grande della madre... era una suora buddista... molto grassa, mostruosamente grassa... così lui la chiamava ‘ziona’. Ella era davvero legata al piccolo LaoTse, tanto che una volta...». «Va bene, va bene, ho capito» lo interruppe Sierpinskij. «Peraltro - soggiunse - apprendo con gioia che mentre Buddha stava ancora alla ricerca del fico dell’illuminazione, il buddismo si era già diffuso in Cina». L’Enzensberger sembrò visibilmente sollevato e principiò velocemente un nuovo discorso: «Certo che è proprio una gran bella giornata, quest’oggi! Se ne vedono poche di giornate così a Berlino. Non è vero, professore?». Il Sierpinskij non rispose: batté invece leggermente, per due volte, la mano sulla spalla sinistra dell’Enzensberger e poi, come se parlasse ad una terza persona, disse lentamente: «E questo, chi lo ammazza?». Tale domanda il Sierpinskij se la ripropose più volte durante gli anni in cui l’Enzensberger collaborò con Lui. Dal diario del Sierpinskij: «Oggi ho scoperto che Lao-Tse ha scritto il “Libro della Nonna e della sua Ziona”. A darmi tale sconvolgente notizia è stato quel gaglioffo dell’Enzensberger. Debbo essergli molto grato, dunque: per anni ho creduto che il titolo fosse “Il Libro della Norma e della sua Azione”. Non si finisce mai di imparare! Ma perché doveva capitare proprio a me?»2. 2 A puro titolo scientifico, per compararne i caratteri con quello dell’Enzensberger, Sierpinskij chiese poi notizie su Lao-Tse al Markov e al Fiondiskij. Il primo rispose semplicemente «Mi duole Maestro, ma non ho letto nulla di Lao-Tse»; il secondo, invece, descrisse minutamente il contenuto del “Libro della Norma” ma, nonostante disperati sforzi mnemonici, non riuscì a rammentarne il titolo. 47 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 28. L’Enzensberger alla riscossa D opo la faccenda del ‘Libro della Nonna’, Sierpinskij evitò per ben due mesi di aver contatti con Noam Enzensberger. Poi, per questioni di lavoro, i due si riavvicinarono. L’Enzensberger, eccitato dal fatto, appariva di una operosità inconsueta, a tal punto che Sierpinskij si chiese se non stesse cambiando nel profondo. Una sera, mentre erano a cena insieme con Siergeij Markov, quest’ultimo chiese al Sierpinskij: «È stato davvero così affascinante per Voi, Maestro, approfondire lo Zen?». «Più che affascinante, basilare, io credo» rispose il Nostro. E poi con un tono di voce velato di nostalgia, soggiunse: «Lo Zen mi ha aperto mente ed anima: io debbo molto al maestro Lio-kan». «Chiedo scusa» intervenne vivace l’Enzensberger. «Avendo letto negli ultimi tempi molti testi di Zen, posso sostenere che ritengo questa dottrina soprattutto utile, nel senso che lo Zen suggerisce spesso ottime soluzioni pratiche e specifiche a molti problemi della vita. In verità, credo di poter affermare che, senza saperlo, il mio approccio alla vita è stato sempre tipicamente Zen». «Sono veramente lieto e sorpreso da tutto questo - commentò compiaciuto il Sierpinskij - ma non riesco a comprendere cosa tu voglia dire: puoi spiegarti meglio, Noam?». «Senza dubbio, professore - fece pronto l’Enzensberger - anzi, lo farò con un esempio, con una storia che è quella che mi ha colpito maggiormente tra tutte le storie Zen che ho avuto occasione di leggere, e che riassume con chiarezza il mio modo di intendere la vita e rapportarmi con essa». «Bene» replicò assai incuriosito il Nostro. «Siamo ad ascoltarti». «Dunque - riprese l’Enzensberger - la storia è quella del generale giapponese Nobunaga1. Egli si trovò a dover affrontare un esercito nemico che contava dieci volte gli uomini di cui lui poteva disporre. I suoi soldati, chiaramente, stando le cose come stavano, non avevano alcuna intenzione di combattere. Allora Nobunaga li condusse nei pressi di un tempio 1 Nyogen Senzaki & Paul Reps, “101 Storie Zen”, pagg. 74-75, Adelphi Edizioni, 1994. 48 e disse loro ‘Ora vado a pregare. Dopo, getterò una moneta: se verrà testa, vinceremo; se verrà croce, perderemo. Siamo nelle mani del Destino; e nessuno può cambiare il Destino’». Mentre l’Enzensberger narrava la storia, Sierpinskij sembrava insolitamente nervoso e un paio di volte fece anche l’atto di alzarsi da tavola. «Uscito dal tempio, dopo aver a lungo pregato - continuò incalzante l’Enzensberger - egli lanciò la moneta: ed uscì testa. Al che i suoi uomini si entusiasmarono e corsero con fervore verso la battaglia, che naturalmente fu vinta. Ed ecco il messaggio: la forza della Fede può tutto, anche indicarci il Destino!». «Questo è molto bello» osservò il Markov. «È quindi con la preghiera che si risolvono i problemi? È questo il tuo modo di intendere la vita?» «Sì, è questo: con la Preghiera e con la Fede!» precisò solennemente l’Enzensberger. «Raccontagliela tutta la storia!!!» lo interruppe bruscamente il Sierpinskij, con una veemenza davvero insolita per Lui. «Veramente, professore, la storia non la rammento fino in fondo...» si schermì Noam. «Non-fa-nulla» scandì con cattiveria il Nostro. «La racconto io, per bene, nei particolari». «Dunque - riprese rivolgendosi al Markov - dopo la battaglia vittoriosa, un aiutante di Nobunaga gli gridò ‘Avevi ragione, mio generale: nessuno può cambiare il Destino!’». «E lui cosa rispose?» chiese Siergeij. «La sua risposta non mi sovviene - osservò Sierpinskij - ma ricordo bene che egli mostrò all’aiutante una moneta con due teste». Il Markov rimase in silenzio, ed altrettanto fece il Nostro. E presero entrambi a fissare l’Enzensberger. Questi, dopo una serie di mezzi sorrisi, intervallati da stizzosi colpi di tosse, sollevò ad un tratto il bicchiere dicendo: «È davvero buono questo vostro vino, professore: mi ricorda la barbera che produce un mio zio nelle sue tenute del Monferrato». E ciò detto, sereno col mondo, tracannò il calice interamente. Sierpinskij guardò allora Siergeij e, sospirando, osservò: «Stavolta, almeno, la storia l’aveva letta davvero...». Si ignora a tutt’oggi quale fu al proposito il commento del Markov. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 29. La lezione di Noam Enzensberger N el periodo berlinese del Nostro, accadde un giorno al Sierpinskij di ricevere un inatteso invito a Corte1. La cosa lo rallegrò non poco, ma nel contempo lo mise in un certo imbarazzo in quanto proprio quel pomeriggio era prevista l’apertura solenne del corso di “Geometria Analitica”, cui da poco era Egli divenuto titolare. Sierpinskij teneva molto alla didattica, ed in particolare ai momenti più coinvolgenti, come possono esserlo l’apertura o la chiusura di un corso annuale; tuttavia, andare a Corte lo intrigava non poco, anche perché l’invito era stato sollecitato allo stesso Kaiser dalla baronessina Cristiana Boroswskij, leggiadra fanciulla di cui da sempre il Sierpinskij era segretamente infatuato, e che sarebbe stata presente alla festa. Dopo aver a lungo riflettuto, il Nostro convocò l’Enzensberger nel Suo studio. «Carissimo - esordì con fare mellifluo il Sierpinskij - è un vero piacere vedervi!». «Chiedo scusa» replicò Noam. «Il fatto è che ultimamente ho avuto molti problemi. Come Ella ben saprà, in seguito ad un duello con il conte Pittoskij , mi sono fratturato un piede e poi, colmo della sventura, la mia carrozza ha tagliato la strada a quella del borgomastro, danneggiandogli una ruota e due lanterne... anzi, col Suo permesso, adesso dovrei recarmi urgentemente da lui per risarcirlo...». «Il borgomastro può aspettare, ragazzo mio!» tagliò corto Sierpinskij. «Sono settimane che mancate dall’università, e senza una valida ragione! I vostri guai sono serviti soltanto per favorirvi! So bene che, con la scusa del piede fratturato, vi siete fatto spesso accompagnare da un’avvenente studentessa... da una mia studentessa! E, come se non bastasse, avete impiegato il tempo che dovevate dedicare alla mia cattedra per curare i vostri innumerevoli interessi!». «Ma Professore, non mi permetterei mai...», azzardò l’Enzensberger. «‘Sti kazzi!»2 gridò infuriato il Sierpinskij. «A parole non vi permettete mai e nei fatti vi permettete sempre tutto! State cercando forse di gabbarmi? Volete prendervi gioco di me? Darmi la baja? O è il vostro soltanto 1 T. Sierpinskij, “Memorie di Berlino”, Springler & Verlag, Monaco, 1887. 2 Questa espressione, tipica dello zen, che tradotta alla lettera recita ‘Stai dicendo quello che non pensi e stai pensando quello che non dici’, fu dal Sierpinskij appresa in gioventù dal maestro Lio-kan. Secondo alcuni commentatori, trattasi invece di un’antica esclamazione trasteverina, che il Sierpinskij imparò dal Proietti durante il suo soggiorno romano. un volgare biscazzo?»3. «Chiedo ancora scusa, Maestro... ma... ebbene lo confesso... tra i problemi creatimi da certi miei fittavoli, alcuni pagamenti che dovevo assolutamente fare, certe pigioni da riscuotere, ed innumerevoli altri impegni, in questi ultimi tempi ho cercato di destreggiarmi... forse un poco maldestramente...». Sierpinskij prese a fissare l’Enzensberger, come un tempo il maestro Lio-kan faceva con lui; poi, lentamente, scandì nel suo curioso tedesco: «Voi, Noam, siete fondamentalmente una persona cinica: sareste capace di passare sul cadavere di vostra madre se questo vi fosse di una qualche convenienza! Comunque, non ho difficoltà nel riconoscervi uno spiccato talento. Ed è per questo che vi offro una possibilità di riabilitazione. Perché di riabilitazione si tratta! Voi siete un mio assistente: quindi siete tenuto ad assistere!» continuò il Nostro alterandosi. «Assistere alle mie lezioni, alle mie ricerche, ai miei problemi di tutti i giorni, infino alle mie orge, qualora avessi, in una insana visione delle cose, desiderio di volervi come spettatore di quei momenti!!!». L’Enzensberger principiò allora a manifestare turbamento e disagio; e fece per dire qualcosa, ma Sierpinskij riuscì a precederlo di un attimo. «Riabilitazione, solo di riabilitazione si tratta! Ebbene, ragazzo mio, oggi pomeriggio mi trovo ad avere un improvviso impegno a Corte. Dovete quindi sostituirmi all’apertura del corso di geometria analitica! Mi aspetto da voi una lezione eccellente, di quelle che mostrano quanto vale una Scuola, la MIA SCUOLA! Andate, dunque, a prepararvi, ché la lezione è prevista per le cinque». A quel dire, l’Enzensberger assunse un’espressione che qualche osservatore esterno avrebbe potuto definire “esterrefatta” e qualche altro “tragica”; poi, con un filo di voce disse: «Herr professor, posso sedermi?». Sierpinskij fece un cenno di assenso. Noam si accomodò lentamente su una gigantesca poltrona dello studio del Nostro e cominciò a sudare vistosamente. Il suo viso era attraversato da colori diversi, che mutavano rapidamente, e in maniera erratica, passando da un bianco cadaverico ad un rosso acceso, tipo vampa da menopausa. «Di cosa dovrò parlare?» chiese alfine. «Parlare? Ma scherziamo? Voi non dovrete parlare: dovrete introdurre! Introdurre i discenti nel mondo meraviglioso che Cartesio ci ha donato! E suscitare in loro curiosità, entusiasmo, amore, passione per la materia! I villani parlano, quando 3 Termine desueto che sta per “scherzo di cattivo gusto”. 49 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA René Descartes, Cartesio (1596-1650) ne sono capaci! Noi spezziamo il pane della scienza!». E a questo punto Sierpinskij si interruppe per registrare su un certo suo calepino l’ultima frase appena formulata, ché gli era sembrata particolarmente buona. «Professore - rantolò l’Enzensberger - mi dia uno spunto... in fondo sono un giovane inesperto...». «È presto detto» sentenziò Sierpinskij. «Va messo in rilievo, ma in termini generali, l’idea avuta da Cartesio di descrivere la geometria mediante rappresentazioni analitiche e successivamente va concretizzato quanto detto mostrando la genesi dell’equazione della retta. In fondo, caro Noam, dovreste essere un esperto in questo senso, vista la vostra repulsione a considerare ogni aspetto non lineare 50 della realtà, pur contorto come siete. Fate finta - proseguì il Nostro, con un compiacimento perverso e malcelato - che si tratti degli aumenti che ogni anno imponete ai vostri numerosi fittavoli». «Ma quegli aumenti non sono lineari...» proruppe in un sospiro agonico l’Enzensberger, ormai rosso mattone in viso. «Coraggio, andate!» concluse brusco il Nostro. E lo congedò. Mentre il Sierpinskij si avviava verso una vero e proprio rituale di vestizione per l’invito a Corte (ginnastica, bagno, prove abiti, ecc.), l’Enzensberger, chiuso nel suo studiolo, prese a sfogliare convulsamente un trattato di geometria ana- VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA litica, cercando in qualche modo di richiamare alla memoria concetti e formule utili per la lezione. Dopo circa mezz’ora, ormai depresso, fece chiamare un bidello suo amico, il quale gestiva per suo conto tutto il giro dei panini e delle bevande che gli studenti acquistavano durante gli intervalli delle lezioni. Questi, opportunamente istruito, gli portò due bottiglie di vino ed un gigantesco sandwich, farcito di arista e crauti. L’estemporanea merenda dovette di certo ridargli fiducia, a tal punto che, accendendosi un sigaro, prese anche a canticchiare. Alle cinque precise, ignorando il quarto d’ora accademico, Noam era già in aula. Diritto come un fuso, accanto alla lavagna, guardava entrare e salutava con un leggero cenno di capo gli studenti che a mano a mano sciamavano tra i banchi. Alle cinque e un quarto precise, davanti a quattrocento giovani attenti e curiosi, esordì dicendo: «Bene, cominciamo». La sua figura, generalmente sciatta e sbilenca, dominava ora l’aula: sguardo freddo e penetrante, voce ferma, movimenti misurati. Prese quindi a fissare negli occhi alcuni studenti, i quali manifestarono un palese disagio. «Questo - esordì infine - è un corso importante, importante e difficile. Ma quanto qui apprenderete vi sarà utile in ogni momento della vostra vita. Questo corso nasce dalle riflessioni, e dall’opera successiva, di Renato Cartesio, colui che è riuscito a ridurre la geometria ai numeri. Qual è stata, secondo voi, l’idea di Cartesio?». Dopo qualche secondo, dal fondo della sala si alzò una timida mano. «Prego!» disse freddamente l’Enzensberger. «Cartesio - cominciò, con palese emozione, lo studente che aveva accettato la sfida - ebbe l’idea di rapportare le forme geometriche ad un sistema di riferimento costituito da due assi ortogonali quotati, che da lui prendono nome di assi cartesiani». «Molto bene» commentò asciutto Noam. «E cosa avviene una volta che si è fatta questa scelta?». «Avviene - continuò guardingo lo studente - che ogni punto viene definito da una coppia di numeri, coppia che Cartesio chiamò ‘coordinate’». L’Enzensberger guardò a lungo il ragazzo e poi, muovendo lentamente il capo, come per assentire svogliatamente, gli disse: «Si accomodi». «Abbiamo, quindi - proseguì - una chiara relazione numerica tra singoli punti e coppie di numeri. Ma come possiamo tradurre questa relazione per insiemi di punti: in altre parole, banalizzando, come descrivere forme geometriche che ci interessano, quali la retta?». Nell’aula scese il silenzio. Poi, un ragazzo della prima fila, con fare incerto, si alzò per proporsi. «Dica!» lo sollecitò l’Enzensberger. «La tecnica è quella di creare tabelline di corrispondenza tra le due coordinate» principiò il giovane facendosi coraggio. «Nel caso della retta si vede in questo modo che la relazione tra le due coordinate è mutuata da un fattore moltiplicativo per l’ascissa e da un termine costante che viene addizionato. La formula che così nasce - proseguì il ragazzo avviandosi verso la lavagna - è sintetizzata dalla nota equazione y=a+bx, che al variare di a e di b è in grado di descrivere la doppia infinità di rette esistenti nel piano». L’Enzensberger fissò freddo lo studente per alcuni minuti: questi, ancora col gesso in mano, cominciò a manifestare un acceso nervosismo, che si tramutò in sollievo quando Noam gli disse: «Si accomodi». «E qual è, secondo voi - proseguì implacabile l’Enzensberger - il significato di a e di b nell’equazione della retta?». A questo punto si alzarono ben sei mani e la lezione proseguì nello stesso modo in cui era cominciata. Sul finire dell’ora, L’Enzensberger si rivolse agli studenti dicendo: «Bene, come primo approccio può bastare. Non so se avrò l’onore ed il piacere di svolgere io le prossime lezioni. Ma sin da ora pongo alla vostra attenzione la seguente questione: se la relazione lineare è espressa, come visto, da una funzione tipo y=a+bx, in quale modo potrà esprimersi una forma quadratica, come ad esempio una parabola? Meditate, dunque, su questo problema. Grazie». E così dicendo, si avviò verso l’uscita dell’aula. Anche gli studenti, a poco a poco, presero a sfollare a piccoli gruppi. E, mentre uscivano, si udirono commenti estremamente positivi. «Accidenti, questo sì che sa insegnare!» osservò qualcuno con evidente entusiasmo. «Speriamo che la prossima volta ci sia ancora lui e non quel vecchio barbogio!» disse impietosamente un altro di rimando. Quella sera, mentre il Sierpinskij conversava amabilmente a Corte, e con grande successo personale, l’Enzensberger si recò a cena con il Markov e il Fiondiskij. «Brindiamo» continuava a gridare rivolto ai due amici. «Alziamo i calici pieni e deponiamoli vuoti, per poi riempirli ancora! La vita è questa: godiamocela». «Non ti sembra strano?» sussurrò ad un certo punto Markov al Fiondiskij. «Cosa?» rispose questi. «Che stasera offra lui!» precisò il Markov. «A pensarci bene - rifletté Janick - è assai strano. Forse, avrà qualcosa da farsi perdonare. In fondo, a ben pensarci, anche lui può essere ricattabile». Le cronache non riportano altri dettagli di quella serata, né i vari commentatori sono stati mai in grado di spiegare cosa il Fiondiskij intendesse dire. Fatto è che l’Enzensberger pagò un conto astronomico senza battere ciglio, e si accomiatò dai suoi amici con una frase che rimase impressa nella loro memoria in maniera indelebile: «E anche questa è fatta!». 51 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 30. Fatti non spiegati L a vita del Sierpinskij è piena di fatti non spiegati. Alcuni Suoi comportamenti risultano davvero incomprensibili, a tal punto che ci si chiede se mai si riuscirà ad interpretarli in futuro. Certamente, dietro certi Suoi modi di fare c’era un preciso messaggio: duole non averlo ancora colto. Ad esempio, un giorno Sierpinskij si recò con l’Enzensberger nella Biblioteca della Curia di Berlino, con l’intenzione di consultare un raro manoscritto di letteratura basca ivi conservato. Dopo alcuni tentativi infruttuosi, Sierpinskij ebbe una delle Sue idee geniali: chiedere indicazioni al bibliotecario (non possiamo esimerci dal notare come sia sorprendente ogni volta verificare, anche su accadimenti minori, questa Sua spiccata propensione a risolvere qualunque problema). Questi (il bibliotecario) aveva l’aspetto di un solido prete di campagna: alto circa due metri, era assai muscoloso e di carnagione particolarmente scura. Interrogato dal Sierpinskij a proposito del manoscritto, rispose con fare assai amabile: «Per consultare il testo, caro professore, dovete recarvi nella Sala degli Incunaboli». Si narra al proposito che il Sierpinskij divenne improvvisamente rosso in viso e disse a bassa voce all’Enzensberger «Andiamocene...». «Maestro - questi replicò - ma se è nella sala degli Incunaboli...». «Andiamocene subito, dammi retta, ché qua le cose si mettono male!», insisté Sierpinskij. E così uscirono frettolosamente dalla Biblioteca della Curia. 52 Questo comportamento del Sierpinskij, ad oggi, non ha trovato alcuna spiegazione. Anche l’Enzensberger, annotando il fatto nel suo diario, lo trova incomprensibile1 2. 1 N. Enzensberger, “Diari”, vol. 48, pagg. 432-769 (1899). 2 Il fatto in questione si trova descritto, oltre che nei citati “Diari” dell’Enzensberger, anche negli “Annali della Curia di Berlino”, vol. CXXXIII, pagg. 607-728 (1891) e in: Anonimo, “Ricordi di un Bibliotecario”, Ed. Vaticane, 1895. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 31. Sierpinskij e le donne U n giorno, mentre Sierpinskij e l’Enzensberger passeggiavano nelle strade di Berlino, Noam chiese al Nostro: «Maestro, che ne pensate delle donne?». «Noam - rispose Egli - se tu mi avessi dimandato cosa penso della Realtà, della struttura ultima del Mondo, dell’essenzialità della Morale, della necessità o dell’occasione dell’Essere, ebbene io credo che dianzi avrei avuto questione più semplice che non quella che ora hai posto». L’Enzensberger rimase assai sorpreso da quanto il Maestro gli aveva appena detto. «Pensate questo perché siete stato ferito da qualche fanciulla?» soggiunse ingenuamente Noam. «A parte il fatto che questi sono cazzi miei - rispose Sierpinskij, memore del Suo soggiorno romano - quello che voglio dire è che se l’Universo è complesso, la donna è ancor più complessa dell’Universo stesso, in quanto Questi segue le leggi della logica che comunemente conosciamo ed accettiamo, mentre la donna se ne astiene. Ella ha una sua logica, che nulla ha a che fare con la logica così come noi comunemente la intendiamo. Quello che voglio dire, insomma, è che gli uomini sono logici, nel senso ‘classico’; le donne, invece, si sono rese conto da tempo dei problemi che l’uso stretto della logica può sollevare. Ed essendo più astute di noi, se ne tengono a debita distanza». «Le donne, dunque, sono esseri privi di logica?» osservò l’Enzensberger. «Tutt’altro» precisò spazientito il Sierpinskij. «Sono esse invece profondamente logiche, ma secondo una loro propria logica che non è quella che noi abbiamo dedotto dalle relazioni tra i fatti del Mondo». «E qual è questa logica, Maestro?» chiese incuriosito Noam. «E ti pare che se io fossi in grado di capire cosa passa in ogni momento nella testa di una femmina, sarei qua a passeggiare con te, a perdere il mio tempo, i miei anni, a sacrificare stupidamente la mia gioia di vivere?»,1 rispose quasi gridando il Sierpinskij. E ciò detto, si allontanò dal giovane, perdendosi nelle strade di Berlino. Questa reazione del Sierpinskij colpì profondamente l’Enzensberger e lo riempì di tristezza: «Probabilmente, il Maestro deve aver avuto delle esperienze molto dolorose» scrisse poi nel suo diario. «Di certo, per quanto mi ha detto, con le 1 Per chi volesse approfondire l’argomento, ricordiamo che la problematicità dei rapporti sentimentali tra i due sessi si trova magistralmente analizzata in un libro autobiografico dell’artista colombiano Fernando Botero (F. Botero, “Casa di bombola”, Mariagiovanna Ed. , Bogotà, 1956). donne è meglio andarci con i piedi di piombo». Dal diario del Sierpinskij: «Oggi Noam mi ha chiesto che ne penso delle donne e io ho avuto una reazione eccessiva, da vero maleducato. Ma come posso far capire a questo giovane, che nulla conosce della vita, come una donna sia in grado di spezzare il cuore dell’uomo più forte? Vorrei essere capace di parlarne, ma so che non riuscirei. Sto ancora cercando di ritrovarmi... figuriamoci se posso dar consigli ad un altro!». Donna in rosso, Pasquale Massacra 53 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 32. Siergeij Markov S e l’Enzensberger fu imposto al Sierpinskij dal Kaiser, dallo zio di questi, il cardinale Enzensberger e, soprattutto, dagli irresistibili sorrisi della baronessina Cristiana Boroswskij, Siergeij Markov fu allievo scelto da Lui, per sintonia di Visione della Realtà, per Fantasia, per Amore della Conoscenza. Tanto l’Enzensberger era preso dalle cose del mondo, in particolare, duole dirlo, da spicciole questioni finanziarie che costituivano per lui motivo di profondo godimento ed interesse, tanto il Markov riusciva a cogliere il senso riposto dei problemi, indipendentemente dal vantaggio insito nella soluzione degli stessi. Era il Markov giovine di delicate fattezze, asciutto, dal viso aristocratico, il cui cranio, completamente rasato, metteva in risalto un aspetto pensoso. Aveva anch’egli, tuttavia, le sue bizzarrie: talora, infatti, usava portare vistose bretelle che facevano pensare a lui più come ad un giovane birraio che non ad un precoce talento della matematica e della filosofia. Amava poi, smodatamente invero, il ballo, cosa che preoccupava non poco il Sierpinskij. «Chi è troppo dedito al secolo, poco potrà fare per il secolo», soleva ripetergli il Nostro. Sierpinskij incontrò il Markov nella Biblioteca di Berlino. Siergeij stava discutendo animatamente con un funzionario a proposito di un volume che questi si rifiutava di concedergli in visione. «Il Trattato della Probabilità del professor Laplace è troppo prezioso per metterlo nelle mani di uno studente: ne abbiamo una copia soltanto!» stava dicendo al Markov l’impiegato, cercando di essere coerente con le disposizioni ricevute. «Perché vi interessa così tanto la Probabilità, se la cosa non vi incomoda e se è lecito saperlo?» intervenne Sierpinskij, anch’egli in attesa di visionare alcuni rari volumi della biblioteca berlinese. «Perché il concetto di Probabilità riassume tutte le difficoltà fattuali e platoniche finora incontrate sulla nostra strada di uomini che si sono appena affacciati al balcone che dà sull’Universo» rispose prontamente il giovane. «Capire la probabilità, significa capire il Mondo». «Questa è una buona risposta» sentenziò il Sierpinskij. «Gli dia il libro: garantisco io per questo giovine» soggiun54 se poi all’impiegato. La fiducia istintiva del Sierpinskij fu largamente ripagata negli anni successivi dalle opere del Markov il quale produsse, anche collaborando col Nostro, lavori memorabili. Per citarne solo alcuni, dopo la lettura de “Le mie prigioni” di Silvio Pellico1, Siergeij scrisse un importante trattato (“Le catene di Markov”) e, successivamente, interessandosi di procedura penale, pubblicò un’altra opera fondamentale: “I processi Markovviani”. Dal diario del Sierpinskij: «Oggi, nella biblioteca di Berlino, ho conosciuto un giovine di nobile talento. Il suo potenziale intellettuale è almeno pari a quello dell’Enzensberger; ma da lui differisce profondamente. Le sue mani, ad esempio, sono distese; quelle dell’Enzensberger appaiono invece sempre un poco arcuate, quasi volessero carpire comunque qualcosa. Questo giovane farà strada, molta; ma non danaro. Come me, d’altra parte. Quello, lo farà certamente l’Enzensberger». 1 Va ricordato che il volume fu prestato al Markov da Noam Enzensberger, il quale lo aveva acquistato durante un suo viaggio in Italia. In realtà, L’Enzensberger aveva letto erroneamente “Le mie pigioni” ed acquistò il libro nella speranza di trovarvi qualche buona idea per fittare al meglio certi suoi locali, pervenutigli in eredità dal nonno paterno, il principe Guglielmo Ulrico Enzensberger di Brandeburgo. Curiosamente, l’Enzensberger scrisse poi un libro intitolato proprio “Le mie pigioni”, divenuto presto un manuale insostituibile per i proprietari di appartamenti. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 33. Janik Fiondiskij I l Sierpinskij scrisse più volte intorno ad una Sua profonda convinzione, sintetizzabile nella magistrale frase che Egli riporta spesso nei Suoi Diari: «Se uno se la tira, allora va sicuramente male; e, talvolta, anche peggio». Da un nostro studio specifico, svolto nel corso di quindici lunghi anni su questo interessante aspetto della visione che il Sierpinskij aveva dell’andamento delle cose del mondo, siamo oggi in grado di affermare che questo convincimento, oltre ovviamente a nascere da Sue profonde speculazioni teoriche, aveva preso albergo nell’animo del Nostro in seguito alla conoscenza ed alla successiva frequentazione con tal Janik Fiondiskij. Era costui un bellissimo giovine: non eccessivamente alto, di rada capigliatura, mostrava tratti regolari nel viso, peraltro ben scolpito, ed una corporatura assai ben strutturata. Decisamente, era il Fiondiskij un uomo che di primo acchito poteva suscitare nelle donne un sentimento di naturale simpatia, capacità che molti di noi rimpiangono di non possedere. D’altra parte, il pessimismo del Fiondiskij era davvero universale, nel senso che il suo atteggiamento negativo si manifestava ad ogni pié sospinto, nelle piccole e nelle grandi cose. Non era certo costui quello che volgarmente chiamasi “jettatore”; e anzi nell’insieme, egli, grazie anche alla sua estrema disponibilità, appariva a coloro che lo frequentavano una sorta di portafortuna, una persona amabile su cui contare. Soltanto, con il suo modo di vedere le cose, sembrava richiamare su di sé un Fato negativo. Ricorda il Sierpinskij nei Suoi Diari: «Ieri, alle corse, ho conosciuto un giovine valente, di intelligenza notevole, ma decisamente portato ad attirare sul suo capo un Destino sfavorevole. Due fatti mi hanno portato a questa conclusione. Il primo accadde durante le scommesse. Cercavo un cavallo su cui puntare e, vedendo il giovane assorto nell’esame degli animali che sfilavano prima della corsa, mi presentai e gli 55 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA chiesi la cortesia di dirmi su quale di essi, dovendo rischiare, avrebbe puntato. La sua risposta fu assai sorprendente, nel senso che prima di fornirmi l’indicazione che desideravo, fece un lungo discorso sulle distribuzioni statistiche, sulle attese, sui ritardi, sulla fisiologia equina, sul comportamento dei fantini, nonché su un possibile uso da parte degli stessi o degli animali di alcol e sostanze varie. D’altronde, quando infine mi disse «Io punterei su Generale», non potei non replicargli sorpreso (anche perché Generale era tra i meno favoriti): «Punterebbe o punterà?». La sua risposta fu davvero sibillina: «Se decidessi di puntare, non varrebbe la pena puntare». Fatto sta che scommisi una grossa somma su Generale vincente: e Generale vinse puntualmente. Quando proposi al Fiondiskij di dividere la consistente vincita, egli replicò: «Non mi sembra opportuno: è stato un caso». Non ci fu verso di fargli accettare del danaro. Cercai allora di sdebitarmi con lui invitandolo a pranzo. E riferisco ora il secondo fatto. Sedemmo ad un tavolo del ristorante dell’ippodromo, locale assai elegante invero, e notammo subito accanto a noi due bellissime fanciulle. Il Fiondiskij, mentre parlava con me del più e del meno, sorrise ad una di loro: e il suo sorriso fu prontamente ricambiato dalla ragazza. C’è da dire che il sorriso di Giovane donna, Edouard Manet quest’uomo è davvero seducente, sa di buono, di simpatico. Decisamente, questo suo fare rese bene, perché poco dopo la stessa giovine disse qualcosa al Fiondiskij e ne nacque così una strana conversazione, quasi sussurrata, conversazione che io non percepii più di tanto, in parte a causa di una mia grave ipoacusia, in parte perché 56 assorbito dall’esame che l’amica della ridente fanciulla stava facendo della mia persona. «Promosso o bocciato?» pensavo preoccupato tra me e me. Ad un tratto, come spesso mi accade, mi sentii dire «Non vorremmo sembrarvi impertinenti, ma di certo saremmo davvero lieti se voi decideste di fare colazione insieme a noi». Le due ragazze prima parlottarono un poco tra loro e poi, con mia grande sorpresa, vennero prontamente a sedersi al nostro tavolo. Justine e Paula, questi erano i loro nomi, da vicino apparivano ancora più incantevoli e seducenti. Justine manifestava chiaramente propensione per il Fiondiskij (dopotutto era stata lei a creare l’occasione!); Paula sembrava avermi promosso. Le settimane che seguirono furono sconvolgenti. Del mio amore con Paula ho scritto tutto e più di tutto; e fu un’esperienza totale ma non felice, che finì con una vera disfatta per entrambi. Di quel che avvenne tra Justine e Fiondiskij, non saprei cosa riferire. «È fidanzata» mi disse egli all’inizio; «Dice di volermi bene come ad un fratello», mi confidò più avanti; «Tanto a me mi va male: sai come sono le donne...» si sfogò in un’altra occasione. «Buttati» replicai io tutte le volte. «Potrei turbarla» mi rispose lui. «E poi, io ho i miei tempi», concluse deciso. Sono passati venticinque anni da allora: tra me e Paula è da tempo tutto dimenticato, Fiondiskij esce ancora con Justine. Io tifo per lui, altri amici tifano per lui; ma le speranze sono minime. Anche perché Justine nel frattempo si è sposata. E ha quattro figli». VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 34. Un problema di... porte C ontro tutte le leggi del calcolo delle probabilità, Fiondiskij fu scelto tra 1.285.699 aspiranti per partecipare al programma televisivo “Cambi la porta o la tieni?”.1 Si trattava di una trasmissione di grande successo, anche perché la posta in palio era davvero ragguardevole: 50.000 marchi a disposizione del vincitore. E la dote necessaria per vincere la sfida sembrava essere la sola pura fortuna. In sostanza, all’inizio del gioco il concorrente veniva messo dinanzi a tre porte chiuse, dietro ognuna delle quali c’erano dei premi. Uno di questi era molto serio (i detti 50.000 marchi, per giunta contenuti in un cofanetto di oro zecchino del valore di 4.000 marchi); gli altri due premi... una vera presa in giro: due pettini, nemmeno d’osso, ma di vile plastica. Il concorrente iniziava il gioco scegliendo una porta, che al momento rimaneva chiusa (una sorta di prelazione sul premio che essa nascondeva). Fatta questa scelta, il conduttore apriva una delle due porte restanti, dietro la quale inevitabilmente compariva un pettine. A questo punto al concorrente veniva chiesto se volesse mantenere la porta inizialmente scelta (e quindi entrare in possesso del corrispondente premio) o volesse cambiarla con l’altra porta rimasta chiusa, e dunque accedere al premio da quest’ultima celato. Fatta la scelta definitiva, la porta designata veniva aperta e il concorrente vinceva il malloppo o, ahimé, il vile pettine di plastica. Insomma, tapino o fortunello che fosse, vinceva quello, e solo quello, che stava dietro la porta a cui aveva infine affidato le sue speranze. Smaltita l’ebbrezza derivante dall’inconsueto fatto di essere stato scelto tra tanti a partecipare, Fiondiskij cominciò ad 1 Questo gioco fu lanciato da Monty Hall nella trasmissione televisiva ‘Let’s make a deal’ (ovvero, ‘Facciamo un affare’). Marilyn vos Savants, donna assai brillante, detentrice del più elevato Q.I. mai registrato (228...) spiegò sulla rivista ‘Parade’, dove teneva una rubrica, perché convenisse cambiare la porta scelta. A seguito di ciò fu sommersa da una serie di lettere di austeri professori di matematica indignati, come pure di altri personaggi del mestiere, i quali – come Noam Enzensberger - sostenevano che tenere o cambiare la porta scelta fosse indifferente. Il peccato fatto da costoro è stato certamente mortale (anche in termini morali); tuttavia, non è così immediato rendersi conto che conviene cambiare la porta. Come racconta Paul Hoffman in un suo libro (“L’uomo che amava solo i numeri”, pp. 276, Mondadori, 1999) anche Paul Erdös, uno dei più grandi matematici del ‘900, di cui il libro racconta la vita, cadde nell’errore. arrovellarsi su una precisa questione: una volta fatta la prima scelta, avrebbe dovuto tenersi quella porta, oppure avrebbe dovuto successivamente cambiarla? Cosa era meglio fare? Quale era la decisione più conveniente? Avendo limitata dimestichezza con il calcolo delle probabilità, Fiondiskij chiese lumi a Noam Enzensberger e a Siergeij Markov. Il primo gli disse che la cosa era del tutto indifferente: il cambiare o il mantenere la porta sottendevano un’identica chance. E per supportare questa sua opinione lo inchiodò un intero pomeriggio davanti ad una lavagna, facendo scorrere punto per punto una chilometrica dimostrazione all’uopo da lui prodotta per mostrare l’assoluta equivalenza tra il decidere di tenere la porta scelta inizialmente o il decidere successivamente di cambiarla. Meno tecnico, ma più intrigante, fu invece il Markov. «Dipende dal colore», gli disse. «In che senso?», chiese sorpreso Fiondiskij. «Te lo spiego con un esempio: immagina di aver scelto all’inizio una porta azzurra. Supponi ora che ne resti una marrone. Che fai? Ovviamente, tieni l’azzurra. Ma se l’altra porta è fucsia? In questo caso la cambi. Il fucsia è un colore ben più intrigante dell’azzurro!». «Ho capito - gli rispose Fiondiskij - ma che c’entra questo con il calcolo delle probabilità?». «C’entra, c’entra», replicò Markov. «Si tratta di probabilità soggettive... sai... Ramsey, De Finetti, Savage... anzi, per essere più precisi, di un nuovo ramo della probabilità che sto sviluppando da tempo: la Probabilità Estetica». «Sarà... - borbottò Fiondiskij - ma non sono per nulla convinto, né di te, né di Noam. Non resta che chiedere al Professore». E detto fatto si avviò verso l’aula dove Sierpinskij stava concludendo una lezione. Colà giunto, la porta si aprì e ne uscì il Sierpinskij accompagnato da un’allieva, certa Olga Sukolova2, avvenente giovinetta del secondo corso, un poco chiacchierata, che stava chiedendogli delle spiegazioni su quanto si era appena discusso a lezione. «Mia cara signorina: la faccenda è piuttosto complicata. Sarei felice di potergliela illustrare con calma dopo cena nel mio studio. Il suo interesse per la materia è commendevole, e vale qualche speciale attenzione da parte mia», fece alla Sukolova Sierpinskij, con 2 Laureatasi, la Sukolova divenne famosa per aver posato in certi calendari che la Krupp regalava ai propri clienti. Dopo alcuni anni avventurosi, durante i quali girò negli USA numerosi film hard-core, vinse un concorso all’università di Los Angeles. Da quel momento in poi si dedicò esclusivamente alla ricerca matematica. 57 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA un sorriso che gli arrivava sino alle orecchie. «Ne sarò davvero lieta, professore, perché vorrei comprendere meglio...». «Professore, ha un minuto?» li interruppe Fiondiskij. «Mio caro Janik - inveì Sierpinskij - Lei ha il dono di comparire nei momenti meno opportuni! Non vede che sto parlando con un’allieva?». «Certo... vedo... me ne scuso... ma è urgente... perché stasera debbo partecipare ad una trasmissione televisiva e ho bisogno di un suo consiglio». «Una trasmissione televisiva?» proruppe la torbida Olga, sgranando gli occhi. «Posso venirci anch’io?», soggiunse subito dopo. «Ma, cara Olga - protestò Sierpinskij - stasera dobbiamo approfondire la questione di cui prima si parlava!». Alcuni presenti riferirono poi che lo sguardo della Sukolova volse sul rassegnato, e che le usci un fievole: «Ha ragione, professore...». Senonché, mentre sul viso di Sierpinskij rifioriva il sorriso, Fiondiskij incalzò: «Certo che può venire! Posso farmi accompagnare da quattro persone: una è il professore, se mi concede l’onore; gli altri due sono Enzensberger e Markov; la quarta potrebbe essere proprio lei. Sento che mi porterà fortuna: ci sono in ballo 50.000 marchi!». «Oh, che bello, che bello!» esplose la Sukolova. «Professore, La prego...» implorò a Sierpinskij. Sempre in base a quanto successivamente riferito da testimoni oculari, il volto del Nostro divenne prima paonazzo, poi terribilmente pallido. Ad un certo momento sembrò quasi volesse gettarsi sul Fiondiskij. Tuttavia, pian piano si riprese e, rivolto alla procace Sukolova, concluse: «D’accordo, Olga: stasera andiamo pure in televisione. Ma domani 58 sera dovremo assolutamente approfondire questo stramaledetto teorema ergodico, ché non le è poi tanto chiaro!». «Grazie, professore, lei è un angelo!» cinguettò la ragazza, abbracciandolo con trasporto. Un poco rinfrancato dal contatto fisico con la Sukolova, Sierpinskij ritrovò la calma, a tal punto da chiedere a Fiondiskij: «Di cosa si tratta?». Questi spiegò brevemente la questione, riassumendo l’argomentazione di Enzensberger, come pure le valutazioni esteticoprobabilistiche del Markov. «Non capisco queste complesse elucubrazioni di Noam, né tantomeno l’uso metafisico del calcolo delle probabilità fatto da Siergeij» sentenziò Sierpinskij. «Il problema mi sembra incredibilmente semplice. E ora te lo dimostro. Dimmi, Fiondiskij: se ti chiedessero di scegliere una porta o due porte, ne sceglieresti una o due?». «Ne sceglierei due, naturalmente», rispose con un fil di voce Janik. «Avrei così 2 possibilità su 3 di vincere!». «Bravo. E proprio questo è quello che succede se cambi la porta» osservò il Nostro. «Rifletti: il presentatore scopre sempre una porta dietro la quale c’è un pettine; per cui cambiando poi la porta è come se tu avessi avuto inizialmente due porte a disposizione invece di una». «Professore, mi perdoni, ma non ci ho capito nulla...», gemé Fiondiskij. «Non hai capito nulla perché non c’è granché da capire» lo rimproverò Sierpinskij. «Se inizialmente scegli due porte, dietro una di queste ci sarà sempre un pettine. Se la apri e scopri il pettine, che ti cambia? Dietro l’altra ci sarà comunque il premio o il secondo pettine. Ma tu di porte ne hai prese due inizialmente, e quindi hai sempre una probabilità di 2/3 di vincere. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Quello che ti confonde è che immagini che il presentatore apra a caso la porta con il pettine: se aprisse a caso la porta, oltre al pettine potrebbe esserci anche il premio. Con la scelta casuale, se dietro la porta ci fosse il premio il gioco ovviamente finirebbe lì; ma se ci fosse il pettine, tenere o cambiare la porta sarebbe indifferente. Ma il presentatore non sceglie a caso: apre sempre una porta che nasconde un pettine. Elementare, non credi?». «Non ho capito nemmeno adesso, professore - sospirò Fiondiskij - ma dove non arriva la Ragione, perviene la Fede. E io ho Fede in Lei. Ci credo e deciderò in questo modo!». La sala dove si registrava la trasmissione era gremita di gente. Sierpinskij, la Olga, Markov ed Enzensberger presero posto in prima fila. Fiondiskij andò ad accomodarsi in una speciale sezione con gli altri concorrenti. Finalmente, dopo qualche tempo, il presentatore proruppe con un: «E adesso, il prossimo concorrente: Janik Fiondiskij!». Barcollando, Janik salì sul palcoscenico, grondante di sudore. «Si sente bene?» lo schernì il presentatore, certo Klaus Minkosky, noto per la sua crudeltà verso i concorrenti. «Non mi muoia prima di aver risposto! Che porta sceglie, la 1, la 2 o la 3?». Fiondiskij ebbe un tremito che quasi lo paralizzò, perché si rese conto di non aver considerato questo problema: quale porta scegliere inizialmente? Comunque, pian piano si riprese e riuscì a dire con un fil di voce: «La 3...». «Molto bene» fece il presentatore. «E adesso vediamo cosa c’è dietro la 2!». E detto questo, aprì la porta numero 2, dove in terra si poteva vedere, come d’altra parte ci si attendeva, uno dei pettini. «Ora, caro Herr Fiondiskij, tenuto conto che vincere l’altro pettine non le servirebbe molto vista la sua capigliatura non troppo folta, tiene la porta numero 3 o la cambia con la 1?». Fiondiskij fece per rispondere, ma con suo grande sgomento si rese conto di non ricordare più cosa dovesse fare. L’emozione aveva completamente cancellato il ricordo di quanto Sierpinskij gli aveva raccomandato. «Cambio, non cambio...», pensava agitato. «Forza, Herr Fiondiskij - lo sollecitò impaziente il Minkoski - non possiamo aspettare la sua decisione tutta la serata. Che fa?». «Tengo la 3...» disse Fiondiskij con voce strozzata. «E io vado ad aprire la 3, come lei ha deciso... vediamo... ed ecco un bel pettine!, caro il mio Herr Fiondiskij... ora la 1 per controllo... ed ecco il forziere con i marchi! Peccato, Fiondiskij, le andrà bene la prossima volta!». E mentre Fiondiskij principiava a darsi dei poderosi pugni sulla testa, il buon Klaus proseguì impietoso: «Ed ora l’ultimo concorrente: Werner Einberg!». «Herr Einberg si è sentito male per l’emozione e lo hanno portato in ospedale» gridò al presentatore uno dei suoi collaboratori. «Accidenti, mi dispiace. Tanti auguri, caro Werner - proruppe il Minkosky - ma lo spettacolo deve continuare. C’è qualcuno tra il pubblico che vuole partecipare?». «Io!!!» gridò un giovane, agitando le braccia a mò di mulino a vento. «Come si chiama?» chiese Minkosky. «Il mio nome - rispose questi - è Noam Enzensberger. Lavoro all’università di Berlino con il prof. Sierpin...». «Presto, ché il tempo vola!» lo interruppe il presentatore. «La 1, la 2, la 3?». «La porta 2!». «Bene. Scopro la porta 1, dove c’è il pettine, come ovvio. Tiene la 2 o la cambia con la 3?». «Tengo! E tengo convinto, perché l’ho ben dimostrato!» osservò deciso l’Enzensberger. «E fa bene, perché dietro la 2 c’è il forziere!!!» gridò il Minkosky, aprendola. «Lo sapevo!!!» esultò Noam. «Il Calcolo delle Probabilità non tradisce mai!». «Quello che non tradisce è il culo, il tuo!!!», commentò Sierpinskij a voce bassa, bassa ma non troppo, almeno stando alla testimonianza del portiere del teatro che affermò poi, sotto giuramento, di averlo sentito distintamente dalla sua guardiola all’ingresso. Il ritorno all’Università fu piuttosto triste per via di quel che era accaduto a Fiondiskij. Con Siergeij alla guida, l’auto procedeva ad andatura moderata. Nessuno parlava. «Nonostante tutto - ruppe alfine il silenzio Markov - questo pettine che hai vinto è un gran bel pezzo di modernariato: la plastica, poi, quest’anno tira. E ha anche un bel colore, perché quel bianco sporco, vagamente perlaceo, sullo stanco, è proprio indovinato! Comunque - proseguì serio - la porta dovevi cambiarla: la 3 era rossa, un colore sostanzialmente volgare, mentre la 1 era verde pisello, che è un altro paio di maniche». «Ma che dici?» intervenne Noam. «Cambiare o non cambiare era la stessa cosa: c’è la mia dimostrazione. Ho vinto seguendola. Magari la pubblico pure» osservò. «E allora, perché Janik ha perso?» lo incalzò Markov. «Che dirti?» fece di rimando Noam, con la faccia di bronzo dei giorni di festa. «Anche il Calcolo delle Probabilità ha le sue vittime». La Sukolova, che era seduta dietro tra Sierpinskij e Fiondiskij, si intromise nel discorso: «Peccato che ti sia andata male, Janik: sei così simpatico! Però, ora che ci penso - miagolò - anche lei, dott. Enzensberger, è proprio simpatico!». Sierpinskij tacque per tutto il viaggio di ritorno. Ma dentro di sé, ad alta voce, formulò più volte semplici e chiari pensieri: «Dio esiste. Dio è giusto. Ti sta bene! Così impari a rompermi le uova nel paniere e a non studiare il Calcolo delle Probabilità! Dio ti ha punito, Janik: e adesso soffri!!!». E mentre l’auto giungeva in prossimità dell’Università, guardando Noam che, girato, stava mostrando alla Sukolova un mazzo di fogli contenenti la sua “dimostrazione”, concluse amaramente: «Ma questo Enzensberger, riuscirò mai a togliermelo dalle palle?». 59 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 35. La “probabilità estetica” di Siergeij Markov I l concetto di “probabilità estetica”, introdotto dal Markov per illustrare a Janik Fiondiskij la strategia ottimale da seguire nel gioco televisivo “Cambi la porta o la tieni?”, aveva non poco inquietato il Sierpinskij. Riflettendoci sopra, tuttavia, Egli si era tranquillizzato. «Non può che trattarsi di uno scherzo che Siergeij ha voluto fare a Janik», si era detto. Ed era logico che così fosse. L’inquietudine, però, tornò a farsi sentire, ed in forma ben più concreta, quando il Markov gli sottopose una sua memoria per avere l’autorizzazione a presentarla per la pubblicazione. «Un approccio estetico alla teoria della probabilità»: questo era il titolo del lavoro che ora il Sierpinskij stava esaminando incredulo. Indubbiamente, lo scritto era assai ben impostato: esame storico del concetto di probabilità, importanza dell’estetica nella vita dell’uomo, algebra delle scelte estetiche, e così via dicendo, il tutto condito con esempi. Tra questi ultimi figurava anche l’analisi critica della scelta di mantenere la porta rossa, fatta dal Fiondiskij al gioco televisivo, scelta rivelatasi poi clamorosamente sbagliata. A questo proposito, il Markov sottolineava come se Fiondiskij avesse cambiato la sua porta rossa con l’altra, di colore verde pisello, avrebbe necessariamente vinto. E, fatto ancor più allarmante per il Sierpinskij, ne dava anche una dimostrazione servendosi dell’algebra delle scelte estetiche, riportata nello stesso articolo. Per il Sierpinskij questo era davvero troppo. Sicché decise di convocare Markov per chiarire la faccenda. «Caro Siergeij - esordì il Nostro - mi compiaccio per questo vostro lavoro, invero singolare e ben articolato. Tuttavia, non posso trattenermi dal dirvi che l’idea di fondo, come pure i presupposti della teoria stessa, appaiono assai bizzarri, decisamente poco convincenti. Non nego che l’algebra da voi immaginata [l’algebra delle scelte estetiche, ndr] soddisfi tutti i requisiti previsti dal Kolmogorov nella sua teoria astratta della probabilità1; tuttavia, qui il problema non è quello della sintassi, ma della semantica. Come si può pensare che un qualcosa di sommamente indefinito, soggettivo per giunta, quale la ‘bellezza’ possa, se considerato, aumentare in qualche modo la probabilità di effettuare scelte giu1 Andrei Nicolaevic Kolmogorov. “Teoria delle Probabilità”, pp. 144, a cura di Luigi Accardi, Edizioni Teknos, 1995. Questo pregevole testo riporta, inoltre, un insieme di assiomi sviluppato dall’Accardi, che unifica il modello kolmorogovviano e quello quantistico. 60 ste, financo in contesti completamente casuali, dove termini come ‘necessariamente’ non possono trovare posto?». «E qui sta il punto, professore» replicò Markov. «Non ci ha forse insegnato Lei che molti matematici e fisici famosi sono stati guidati nelle loro scelte vincenti dalla bellezza di alcune teorie rispetto ad altre?». «Beh... - rispose un poco imbarazzato il Sierpinskij - non lo nego. Però si trattava di ben altro». Markov restò un attimo in silenzio; poi, con una certa aggressività, per lui invero inconsueta, replicò: «Con tutto il rispetto, professore, io credo invece che il problema sia lo stesso. Le ricordo che quando chiesero a Dirac perché avesse individuato per la sua teoria proprio quella equazione tra le diverse da lui trovate, Egli rispose: ‘Perché era la più bella!’2. Ora, se Dirac ne avesse scelta un’altra, avrebbe messo in luce l’esistenza dell’antimateria?». Sierpinskij rimase non poco interdetto; ma si riprese ben presto. «Una certa relazione tra quel che è vero e quel che è bello è sospettata da tempo» precisò. «Io contesto che scelte di carattere squisitamente estetico possano migliorare le nostre capacità di fare previsioni, per giunta su eventi completamente casuali. Come si dice: “È bello quel che piace”. Il vostro concetto di probabilità, mio caro Markov, è totalmente soggettivo, e quindi di natura non generale, cioè nonscientifico». L’aggressività verbale del Markov crebbe allora enormemente: «Mio caro professore - lo aggredì - le scelte di carattere estetico sono quelle vincenti, sono l’unica guida sicura. Se compito della scienza è quello di migliorare la qualità di vita dell’uomo, allora il bello è scienza a pieno titolo! Dovendo scegliere tra due ragazze, sceglierà la bella o la brutta? E poi, mi perdoni: la mia teoria ha certo carattere soggettivo; ma non è su un simile carattere che Bruno de Finetti ha basato la sua Teoria della Probabilità che, guarda caso, è detta proprio ‘soggettiva’?3 Volendo, si potrebbe dire che la probabilità estetica è una probabilità soggettiva specializzata». Sierpinskij, assai colpito dalla foga con cui il Markov ave2 In effetti, la bellezza di un’equazione aveva grande valore per Dirac. Egli ebbe a dire una volta: “E più importante avere nelle proprie equazioni la bellezza che non l’accordo con l’esperimento”. 3 L’impostazione soggettiva del Calcolo delle Probabilità fu proposta da Bruno De Finetti intorno alla fine degli anni ’20. Sia pur con qualche difficoltà all’inizio, il ‘soggettivismo’ ha avuto poi notevoli sviluppi e riconoscimenti. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA va esposto le sue ragioni, rimase a lungo in silenzio. Certamente, non era riuscito a farsi comprendere dal giovane. Tuttavia, era anche in parte perplesso dalle argomentazioni del Markov in quanto sentiva che in esse c’era qualcosa di vero; solo, non riusciva a mettere bene a fuoco quale fosse questo ‘qualcosa’. Sicché, alla fine, decise di far parlare la Natura, proponendo al Markov un esperimento. «Mio caro Siergeij - principiò - sarebbe facile per me replicare a queste sottili argomentazioni. Il vero problema, tuttavia, è che la nostra discussione sembra giunta ad una fase di stallo. Quindi, mettendo da parte vieti esercizi di dialettica, vi propongo di fare un gioco, nel corso del quale applicherete i vostri concetti e le vostre modalità di scelta. Alla fine di questo gioco e, soprattutto, alla luce dei suoi risultati, riprenderemo in esame la questione. Che ne dite?». «Ne sarò ben lieto - replicò Markov - ma di che gioco si tratta?». «Di un gioco di sorte, invero semplicissimo» precisò Sierpinskij. «Si fa con due mazzi uguali, di sole figure: jack, regine e re. All’inizio, si mischiano bene i due mazzi di carte. Poi dal primo si scopre una carta. Il concorrente deve decidere se tenerla o meno. Deciso questo, si scopre una carta dall’altro mazzo. Se le carte sono perfettamente uguali, allora vince il banco. Se escono due re, o due donne, o due jack non identici, si decide in base ai semi, con il criterio circolare legato alla sequenza come-quandofuori-piove. In altre parole, cuori batte quadri, quadri batte fiori, fiori batte picche che, tuttavia, a sua volta batte cuori. Più o meno, come si fa per le scale reali. In questo modo non si ha mai in mano una carta sicuramente vincente. Ora, se la carta più alta è quella del primo mazzo e uno l’ha tenuta, allora ha vinto; se non l’ha tenuta, ha perso. Vincere o perdere, dunque, non dipende solo dalla sorte (come avverrebbe scoprendo banalmente una carta dal primo e una dal secondo mazzo) bensì anche da ciò che decide ogni volta il giocatore. Per come io intendo la probabilità, col re conviene tenere, col jack è meglio cambiare. Tenere o meno la carta se si ha in mano una donna non ha invece alcuna influenza sulla riuscita del gioco. Al contrario, stando a quanto voi asserite, seguendo i dettami della vostra ‘probabilità estetica’, questa influenza dovrebbe esserci. Insomma, caro Markov, se la vostra teoria ha un minimo di fondamento voi dovreste riuscire a vincere più di quanto non sia previsto dalle regole del gioco». «Non vedo l’ora di cominciare, professore!» fece Markov con soverchio entusiasmo. «E per convincerVi maggiormente della bontà della mia teoria, ogni volta Vi esporrò in dettaglio le ragioni della scelta di tenere o meno la carta assegnatami». «Bene, molto bene» rispose Sierpinskij, che stava già mescolando i due mazzi. E finita l’operazione, ne mise uno a destra, dalla parte di Markov, e uno a sinistra. Fatto questo, scoprì la prima carta: una donna di quadri. «Ed ecco un esempio - commentò il Nostro - in cui tenere o lasciare è assolutamente indifferente». «Decisamente - osservò Markov - si tratta di una gran bella carta. Guardi il viso di questa regina: enigmatico e dolce. E poi... l’eleganza del suo vestito. La tengo!». Sierpinskij scoprì allora la car- ta dal secondo mazzo: uscì un jack di picche. «Ho vinto!» esclamò Markov, contento come un bambino. «Un caso» fece Sierpinskij, rimischiando. «E ora, la nuova carta», disse pescando dal primo mazzo un re di cuori. «Questa è facile» commentò. «È ovviamente da tenere». «Non direi, professore» osservò Markov. «Certamente, secondo l’impostazione laplaciana della probabilità sarebbe da tenere; ma secondo la mia probabilità estetica è da scartare. Osservi attentamente questo re, professore. In primo luogo, è in sovrappeso; in secondo luogo, con quella faccia da bamboccione fa cadere le braccia; infine, guardi le mani: che orrore! È un perdente. Decisamente, non tengo la carta». A questo dire, il Sierpinskij sogghignò e con tutta la cattiveria di cui era capace scoprì la carta del secondo mazzo. Ma con sua grande sorpresa, uscì un re di picche. «Ho vinto ancora!» gridò festante Markov. «La probabilità estetica non tradisce!». Sierpinskij non fece commenti, e con fare vistosamente sgarbato rimescolò i mazzi e scoprì la nuova carta: un jack di picche. «Lo scartate, no? - chiese al Markov - è un jack...». «Macché, professore: lo tengo» replicò Markov. «Guardi che bel giovine, che bel profilo, che bei baffettini. Per non parlare poi dei capelli, così deliziosamente arricciati nel fondo. Lo tengo, lo tengo!». Sierpinskij scoprì allora la carta dell’altro mazzo, che risultò essere un jack di cuori. «Picche batte cuori! Ho vinto, ho vinto ancora!!!» esultò come un bambino il Markov. «E basta!» esplose il Sierpinskij. «Vogliamo giocare o no?». La partita riprese. Ma dopo altre 14 mani, vinte tutte da Markov con scelte basate sui disegnini del vestito, l’espressione del viso, la forma fisica e altre qualità di questo tipo, da lui attribuite di volta in volta alla figura rappresentata sulla carta estratta, il Sierpinskij si sentì esclamare: «Mi arrendo!». Markov non fece commenti. E rimasero entrambi in silenzio per diversi minuti, che il Sierpinskij occupò in parte nel riporre i due mazzi in un certo canterano ove teneva una cospicua attrezzatura (carte, dadi, monete) atta ad esplorare sperimentalmente le leggi del caso. Fu lo stesso Sierpinskij a rompere poi il silenzio, chiedendo al Markov: «A quale rivista intendete presentare il vostro lavoro, Siergeij? Grundlagen der Wahrscheinlichkeit, Theoretical Statistics, Biometrika?». «Veramente, professore - rispose con un po’ di imbarazzo il Markov - avevo pensato a... ‘Sorrisi e Canzoni’, una rivista molto ben fatta e molto letta». Il Nostro restò esterrefatto, ma lentamente si riprese. «A parte che ‘Sorrisi e Canzoni’ inizierà le sue pubblicazioni più o meno tra novant’anni - commentò acidamente - quali sono le ragioni di questa vostra scelta? Derivano anch’esse dalla probabilità estetica?». «In un certo senso, sì» rispose Markov. «È vero che ci vorrà molto tempo per la pubblicazione, ma la rivista avrà grande diffusione, milioni di lettori, e quindi un notevole Impact Factor.4 Poi, non le 4 L’Impact Factor (IF) è oggi considerato da molti un indice di qualità di una rivista scientifica. Sorprendentemente, questa ‘qualità’ viene nell’uso 61 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA nascondo che, almeno da quanto assicuratomi dai futuri editori, che ho già contattato, l’articolo verrebbe inserito nella sezione ‘Moda ed Arte’. Professore, la scongiuro: per me sarebbe il massimo!». «E sia!» concluse rassegnato il Sierpinskij, firmando l’autorizzazione. «Onoro con questo atto la mia ferma convinzione nella libertà di espressione di ogni ricercatore. Comunque, sia ben chiaro Markov, e ricordàtelo bene: lo faccio solo per la correttezza formale dell’algebra da voi presentata». «Grazie, professore, grazie! Ma posso farle una domanda?» chiese Siergeij, prendendo con manifesta gratitudine il foglio appena firmato che il Nostro gli stava porgendo. «Prego» rispose questi. «Qual è la probabilità di vincita del gioco che abbiamo appena fatto?» domandò Markov. «Calcolàtela, a mò d’esercizio, con la vostra teoria estetica della probabilità» fece asciutto il Sierpinskij. «Anzi, calcolate anche quella relativa ad una variante del gioco, questa totalmente casuale, dove il re batte la regina, la regina il jack, e il jack batte il re. E già che ci siete - proseguì - scrivete pure qualcosa sulla probabilità estetica delle altre carte del mazzo: sarei curioso - concluse con palese ironia - di conoscere le vostre valutazioni su un sei di fiori o un sette di quadri». «Su questo tema, invero - gli confessò con malcelato orgoglio il Markov - sto terminando un’ulteriore memoria, professore. Come ivi dimostro, gli assi sono stupendi; le carte pari, con la loro banale simmetria, un poco fiacche; quelle dispari, decisamente intriganti. Tra queste la mia preferenza va al sette di picche, per la sua assoluta eleganza!» finì trionfante. «Ne sono lieto - osservò rassegnato il Sierpinskij -lieto soprattutto nel vedere come voi stiate mettendo a frutto i miei attribuita anche ai singoli lavori in essa pubblicati. Come spiega il prof. Alessandro Figà-Talamanca in un suo acuto saggio “L’Impact Factor nella valutazione della ricerca e nello sviluppo dell’editoria scientifica”, reperibile su Internet: “Lo IF della rivista X nell’anno N, è il rapporto tra numero di citazioni rilevate nell’anno N sulle riviste incluse nella banca dati, di articoli pubblicati negli anni N-1 e N-2 sulla rivista X, diviso per il numero totale degli articoli pubblicati negli anni N-1 e N-2 sulla rivista X”. Il crescere di importanza nel mondo accademico di questo indice ha dato luogo a vere e proprie cordate di reciproche citazioni tra i diversi gruppi di lavoro impegnati nelle stesse problematiche. Quel che sorprende assai non è tanto il fatto che il Markov parlasse di IF tantissimi anni prima che questo fosse concepito dal suo inventore, tal Eugene Garfield, quanto che esso sia così tanto preso sul serio dal mondo scientifico, in particolare sul versante biomedico. 62 insegnamenti». E con questo lo congedò, restando poi nel Suo studio a meditare per tutta la restante parte della giornata. Bisogna dire a questo punto che il Sierpinskij non fu mai convinto da questa sconcertante teoria di Siergeij; tuttavia, almeno per quanto si riscontra nei Suoi diari, Egli ne fece spesso uso, e con successo. Questo Suo atteggiamento, dispiace dirlo, è una pagina nera nella vita scientifica del Nostro, contraddittoria, in particolare alla luce del sempre crescente successo che la teoria della probabilità estetica del Markov ha poi avuto nel corso degli anni. Come è ben dato a vedere a tutti, oggi la quasi totalità delle decisioni in campo politico, economico, medico, amministrativo, e in altri settori ancora, vengono prese seguendo criteri estetici markovviani, non già su basi frequentistiche o più generalmente soggettive (nel senso inteso da Ramsey, de Finetti e Savage). A Suo favore, tuttavia, gli va dato atto non solo di aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione dell’articolo, ma di averne anche difeso la validità, sia pur per i soli aspetti formali, dinanzi alla Commissione di inchiesta che al proposito fu istituita dall’Università di Berlino. Dal diario del Sierpinskij: «Alcune settimane or sono, Markov mi ha sottoposto un suo lavoro di teoria della probabilità basato, pensate un po’!, sull’estetica. Ho trovato l’idea demenziale e ho cercato, senza successo, di farglielo capire. Questa teoria è certo bizzarra, ma debbo ammettere a malincuore che funziona. L’ho applicata alle corse dei cavalli e, lo confesso, così facendo ho vinto, e continuo a vincere, notevoli somme. Può il carattere “estetico” che percepiamo dall’osservare l’animale prima della gara farci correttamente prevedere se arriverà primo o risulterà piazzato? Intendiamoci bene: non parlo di un’impressione di prestanza fisica dell’animale; parlo delle sfumature di colore del pelo, della piacevolezza dei suoi movimenti, del nitrire più o meno intonato. In coscienza, io dico di no. Ciononostante, applicando questi deliranti principi nelle mie sempre più fitte frequentazioni dell’ippodromo di Berlino, sto diventando praticamente ricco». VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 36. Un curioso pranzetto D opo 127 anni di precariato, finalmente Janik Fiondiskij riuscì a passare a tempo indeterminato presso l’Università di Berlino. E non riuscì solo a lui, ma anche ad altri 70 precari che avevano sulle spalle in media quei 5-7 mesi di permanenza a contratto in Facoltà. Si era dovuti arrivare quasi alla fine del XX secolo per una sistemazione definitiva del giovanotto; comunque, per Janik il tutto era lo stesso epocale, come pure per il Sierpinskij che finalmente poteva tirare un sospiro di sollievo sul futuro del suo pupillo. Ipotecando tre mesi di stipendio, Fiondiskij decise – al fine di festeggiare degnamente l’evento - di invitare ad un pranzo i suoi amici di Facoltà. Sierpinskij, ricordando una gustosa espressione appresa dal Proietti durante la sua permanenza a Roma, lo mise in guardia: «Stà in campana, Janik, ché poi te tocca sbatte la panza ar bancone!»1 2. Nonostante questo vernacolare avvertimento, peraltro portogli dal Sierpinskij in perfetto dialetto trasteverino, Janik non cambiò idea. Dopo un’accurata indagine di mercato, durata qualche settimana, la scelta cadde su “Franco ar vicoletto”, caratteristico locale della periferia di Berlino, gestito da un certo Franco, ex studente di medicina datosi alla ristorazione. Le trattative tra Franco ed il Fiondiskij furono lunghe e laboriose. Trovarono alla fine un accordo («80 marchi a persona è regalato!»), fissando data ed orario: le 13.30 del venerdì successivo. Giunto il giorno fatale, i nostri eroi partirono alle 13.00 dall’Università, convinti da Janik a farsela a piedi («È una splendida giornata... e poi è vicino»). Neanche a dirlo, incontrarono sul loro cammino, per un brusco cambiamento di tempo, un violento acquazzone, come poche volte si era verificato nella zona. «Che vuoi che siano due gocce d’acqua?», osservò Fiondiskij, mentre tutti stavano praticamente nuotando. Nessuno, cosa strana, fece commenti. Entrati nel locale, bagnati come sorci, furono accolti da un cameriere assai scortese, visibilmente di nazionalità romena, 1 ‘Stare in campana’: come dire ‘proteggersi con somma attenzione’, ‘prendere tutte le precauzioni possibili’. Sembra che l’uso di questa espressione risalga al Gauss. 2 ‘Sbattere la panza ar bancone’: volgarotta espressione riferentesi all’urto contro la cassa del locale della pancia piena di colui che paga il pranzo. che li apostrofò: «Attenti a non bagnare per terra! Avete prenotato?». «Certo», rispose Fiondiskij. «Il nome?», insisté il romeno. «Janik!», replicò con malcelato senso di orgoglio e soddisfazione il Fiondiskij. «Janik?», fece di rimando il tanghero, scorrendo un foglietto sudicio di unto. «Qui non risulta nessun Janik!». «Come?» proruppe Fiondiskij. «Mi sono messo d’accordo direttamente con Franco... e ho già pagato in anticipo il pranzo!». «Dicono tutti così», ridacchiò il romeno. E poi con malgarbo: «Qui non c’è nessun Janik, né risultano pagamenti anticipati». «Mi chiami Franco!», osservò glaciale Fiondiskij, volendo evitare discussioni davanti ai suoi ospiti. «Franco è partito ieri per l’Australia». «Lo chiami sul cellulare, allora». «Mi scusi - sogghignò il romeno - Lei che titolo di studio possiede?». «Io... sono... sono... oddio... sì, sììì... diplomato perito nucleare!» balbettò Janik. «Allora - replicò con fare crudele il cameriere - siamo quasi parenti: io sono ingegnere nucleare. Ora però non c’è bisogno di essere perito od ingegnere nucleare per capire che a quest’ora Franco è ancora in viaggio sull’aereo: ho detto Australia, non Austria. E se è sull’aereo, e questo lo capisce anche un bambino, Franco non è raggiungibile col cellulare». Janik Fiondiskij rimase senza parole. Poi prese una grossa decisione: «Non fa nulla: prepari un tavolo per nove. Ripago tutto». «Anticipato?». «Certo, anticipato, tanto poi me la vedo con Franco». «Credo non sarà facile - osservò l’ingegnere nucleare contando i marchi nuovamente sborsati da Janik - perché Franco ritorna a Berlino tra due anni: è andato ad aprire un nuovo ristorante a Melbourne». «Ecchisenefrega!» urlò di rimando il Fiondiskij. «Si vive una volta sola!». E mentre lo diceva, ringraziò in cuor suo il Padreterno, perché una delle ragazze da lui invitate non era potuto venire, sicché c’era stato un coperto in meno da pagare. Apparecchiata la tavola, sedettero, con l’Enzensberger che si piazzò vicino al Fiondiskij. Atto di cortesia, direte voi. Sarà pure. Ma quel giorno Noam aveva addosso una brutta influenza; e come al solito tendeva in questa sua contagiosa situazione ad alitare e sputacchiare sul viso del vicino, in 63 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA particolare quando rideva scompostamente, ovvero sempre. Finalmente il pranzo cominciò. Arrivò in apertura una fiamminga di cozze, praticamente crude. «Per primo serviamo il festeggiato!» gridò festoso l’Enzensberger, applaudito dal resto della truppa. «No!» gridò Janik. «Le cozze no, perché ho il colesterolo alto». «Almeno una - disse serio l’Enzensberger - se no ci offendiamo!». «Beh, una... ma sì, che vuoi che faccia?», rispose Fiondiskij porgendo il piatto. «Te la scelgo io - si intromise Markov - visto che mi sto occupando di avvelenamenti» (in effetti, aveva da poco avviato un’indagine epidemiologica sugli avvelenamenti, alimentari e non, con i centri antiveleni tedeschi). E mentre tutti ridevano per la battuta, scelse una cozza che sembrava un pettine di Venere, che il Fiondiskij trangugiò avidamente. Orbene, bisogna dire che la scelta dei molluschi era fatta da Franco con molta diligenza. Purtroppo per il Fiondiskij, però, quella era l’unica cozza della partita acquistata il giorno prima infestata dalla microalga Ostreopsis ovata. Ora, come a tutti noto, detta alga è carica di palitossine che danno quasi immediatamente diarrea, vomito, dolori agli arti, spasmi muscolari e difficoltà respiratorie. Nonostante la sua fibra, a dir poco robusta, Janik Fiondiskij non fece eccezione e il resto del pranzo lo passò tra tavolo e toilette; ma resisté indomito, pur cominciando a sentirsi addosso anche un inizio di febbre influenzale. Il sopravvenuto colorito verdognolo del viso di Janik, peraltro, allarmò uno degli amici, certo Josef Baldoskj, medico-ricercatore, conosciuto dal Sierpinskij a Roma e aggregato poi alla cattedra berlinese. «Aho, nun è che ce mòri mentre stamo ancora a magnà? Facce finì, armeno!» gli disse serio Josef, in una stretta parlata romanesca. E tutti giù a ridere impazziti. Il pranzo proseguì alla grande, con una marea di ottime portate, innaffiato da un vinello del Tirolo niente male. Alla fine, il romeno portò dello spumante italiano per il brindisi. «Prosecco di Valdobbiadene?» fece scandalizzato l’Enzensberger. «L’evento è troppo solenne: ci porti dello champagne!!!». E mentre il romeno partiva alla velocità della luce, non senza prima aver comunicato che lo champagne costava 110 marchi a bottiglia, Janik Fiondiskij impallidì vistosamente. «Non ti preoccupare - gli fece l’Enzensberger - le offro io. L’affetto che ti porto, e l’amicizia, valgono ben oltre cinque bottiglie di champagne!!! Solo, ti pregherei di anticipare perché, non ci crederai, ho lasciato nuovamente il portafoglio a casa». «Nessun problema» rispose Janik con un fil di voce. E poi si alzò per andare a vomitare al bagno, non si sa se per l’iniziativa dell’Enzensberger o per l’effetto della cozza gigante alle palitossine. Più o meno ubriachi, alla fine del pranzo uscirono dal locale per fare ritorno all’Università. Fu una camminata salutare, per digerire, per smaltire un poco la sbronza. Appena giunti in Facoltà, Fiondiskij si precipitò al bagno. 64 Tornato, ritenne doveroso fare un discorso: «Vi ringrazio della vostra partecipazione. Siete veri amici. E a questo proposito voglio assicurarvi che, nonostante il mio nuovo ruolo, per me non cambierà nulla: resterò il Janik di sempre». In quel momento sopraggiunse un’impiegata dell’Amministrazione. «Cerco Janik Fiondiskij». «Sono io» rispose lui. «C’è una lettera per lei» gli fece l’impiegata, consegnandogli un plico. «Grazie» le fece eco Janik, firmando la ricevuta. «Oggi è il giorno delle sorprese, un gran bel giorno! Probabilmente si tratta di certi arretrati che l’Amministrazione vuole rapidamente pagarmi», soggiunse compiaciuto, più a se stesso che agli altri. «Leggi, leggi!» gridarono tutti, ancora un poco in preda ai fumi dell’alcol. Fiondiskij aprì la lettera e cominciò a darne lettura, man mano sbiancando in viso: “Gentile Signor Janik Fiondiskij, purtroppo nella Sua nomina si è incorsi in un errore che la rende insanabile. Infatti, mentre nel Decreto Ella risulta tra i vincitori con 14,327 punti, un controllo a campione svolto successivamente ha rilevato che per un titolo da Lei presentato, segnatamente il n° 224, Le sono stati attribuiti 0,003 punti invece di 0,001, come sarebbe stato corretto. Per questa ragione il suo punteggio esatto risulta quindi pari a 14,325 punti. Questo fatto comporta che il sig. Silos Deretany3, primo escluso dalla stabilizzazione a tempo indeterminato, subentra in questa al Suo posto, avendo Egli conseguito 14,326 punti. Di conseguenza, anche in base al Codice di Treviri, L. 141, del 1847, comma IV, la Sua nomina va considerata nulla. Le chiediamo pertanto di restituire la somma di marchi 4.250,29 erogataLe con bonifico presso la Deutsche Bank, sportello Università di Berlino il 27 maggio scorso. Cordiali saluti. F.to Il Direttore del Personale, dr. Otto Hahn”. Tutti rimasero in silenzio, gelati. Janik Fiondiskij rigirò varie volte la lettera nelle sue mani, e quindi principiò a farneticare: «Quello che è giusto è giusto: ‘Lex, dura Lex, sed Lex!’. Sin d’ora la mia coscienza mi impedisce di pensare a ricorsi o a cose del genere. L’Amministrazione ha fatto il suo dovere! La matematica non è un’opinione! E poi, che importa? Quello che conta è la salute!». E posata la lettera, corse di nuovo al bagno per un improvviso riacutizzarsi della diarrea palitossino-indotta. Seduto su una squallida tazza del piano D della Facoltà, si rese tuttavia conto che sì, la salute è importante, ma che bisogna averla affinché essa possa esercitare le sue benefiche funzioni. E mentre un’ennesima scarica risuonava per tutto il corridoio, una piccola lacrima prese a scendere dal suo occhio sinistro. 3 Trattavasi, cosa non sorprendente, di un nipote di Tamas Deretany, uno strafortunato amico del Sierpinskij. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 37. Un tragico pokerino U n bel giorno accadde che due vecchi amici del Sierpinskij decisero di andargli a fare una bella improvvisata all’università di Berlino. I due, compagni di bagordi giovanili del Nostro, erano anche accaniti giocatori di poker, un nuovo gioco d’azzardo importato dagli Stati Uniti d’America. L’uno, Oscar Tato, era addirittura soprannominato ‘Faccia di Pietra’, in quanto dall’espressione del suo volto non traspariva mai nulla che potesse essere utile per comprendere che gioco avesse in mano; l’altro, Otto Hahn, era spaventosamente fortunato. No che non fosse abile con le carte; ma la frequenza con cui chiudeva, financo scale ad incastro, era davvero contro ogni previsione del calcolo delle probabilità. I due intercettarono il Nostro all’uscita da una lezione. «Quanto tempo!» esclamò Sierpinskij abbracciandoli. «Sei sempre nei nostri cuori!» fecero i due di rimando. «Ti sei sistemato proprio bene... sei diventato davvero un pezzo grosso» osservò Otto. «Non mi lamento» confermò Taddeus. E così via dicendo. Una volta esauriti gli argomenti standard della situazione1, i due vennero al sodo: «Senti - cominciò con fare intrigante Oscar - ce la facciamo una partitella, come ai vecchi tempi?». «Magari!» accettò subito Sierpinskij. «È un anno che non gioco! Però, lo facciamo con un tetto massimo di rovina, altrimenti può finire come quella volta a Salisburgo, ché ancora mi sto leccando le ferite!».2 «Facciamo 10.000 marchi?» propose Otto. «Vada 1 Diconsi ‘argomenti standard di una situazione’ le domande e le osservazioni che la gente si sente in obbligo di fare in relazione all’occasione. Questo concetto può essere meglio inteso pensando a quanto accade ai bambini: ‘Vuoi bene alla mamma?’, ‘Vai bene a scuola?’, ‘Come sei cresciuto!’, ‘Tutto suo padre!’. Stranamente, la cosa si verifica anche tra adulti. 2 Il Nostro intendeva riferirsi ad una partita che fu per lui disastrosa, dove perse ben 350.000 marchi. per i 10.000» assentì Taddeus. «Quando e dove?» chiese poi. «Si potrebbe fare stasera, nella sala da fumo del nostro albergo» propose Oscar. «Prima ceniamo e poi si gioca» concluse. «Al quarto ci pensi tu?» gli fece Otto. «Ci penso io, non preoccupatevi» s’impegnò il Nostro. «Alle nove, allora. E senza fallo!»3 salutarono ridacchiando i due. E quindi si lasciarono. Il Sierpinskij, tornato nel suo studio, cominciò a pensare a chi potesse essere il ‘quarto’ della partita. Scartò subito l’Enzensberger, non tanto perché questi non fosse all’altezza, quanto per il fatto che a Berlino ormai giravano centinaia di ‘Pagherò’ a firma di Noam, a tal punto che qualcuno aveva preso a collezionarli. Markov sarebbe andato bene, ma... c’è sempre un ‘ma’. Più volte, infatti, era già accaduto che sedutosi al tavolo Siergeij si fosse poi rifiutato di giocare perché le carte non erano di suo gusto. Intendiamoci, non che pensasse ad un mazzo truccato: semplicemente, af3 Si trattava di un gioco di parole in uso tra i tre, nato su una facezia del Nostro, piuttosto fiacca invero, ma che qui riportiamo per completezza. «Un giovane molto timido - raccontava il Sierpinskij - era perdutamente innamorato di una ragazza. Ma non osava. Sicché ella decise di prendere l’iniziativa, combinando con lui un appuntamento. “Verrai, dunque, stasera?” gli disse. “Verrò” rispose lui. “Verrò, senza fallo!”. E la ragazza non andò all’appuntamento». 65 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA fermava di volta in volta, il disegno, il colore, financo il tipo di cartoncino, erano ’esteticamente impossibili’. Mentre era immerso in cotali pensieri, entrò nello studio il Fiondiskij recando la posta. «Posso chiederle una cosa, professore?» gli disse. «Prego» rispose il Nostro. «Uscendo con lei dall’aula, non ho potuto fare a meno di cogliere quanto i suoi amici le dicevano: mi faccia fare il quarto, professore, la prego!» implorò. Sierpinskij rimase di stucco: Janik che giocava a poker! Quindi, anche questo massimo censore dei costumi, sempre pronto a fustigare chi manifestasse comportamenti (a suo dire) disdicevoli, aveva uno scheletro nell’armadio. «Allora, è umano!» pensò tra sé e sé. «E dove avete imparato a giocare a poker, di grazia?» lo interrogò. «Ho seguito un corso per corrispondenza» confessò arrossendo il Fiondiskij. «Poi, ho studiato le dispense del maestro Bignotto, “Il poker in 24 lezioni”; ma sono arrivato sino alla n° 8...» soggiunse. «Ho fatto un poco di esperienza in famiglia - continuò - ma mi manca un vero battesimo di fuoco. Mi aiuti, professore!». Il Sierpinskij ci pensò su, poi decise: «Va bene, Janik, ma si gioca forte: si può perdere fino a 10.000 marchi, il che non è poco» lo avvertì. «Li ho, professore, non c’è problema. Però, come lei mi ha insegnato, bisogna anche considerare l’intero contesto, avere un approccio olistico, come dice lei. E quindi, visto che siamo in 4, potrei anche vincerne 30.000 di marchi, non trova?» osservò sorridendo. «Con Oscar Tato, Otto Hahn e me?» rispose il Nostro, ricambiandogli il sorriso. «Glielo auguro di cuore, Janik». La sera arrivarono puntuali in albergo, mangiarono con i due amici e poi si trasferirono nella sala da fumo dove era stato preparato un tavolo con carte, fiches e posaceneri vari. Dal sorteggio dei posti risultarono in senso orario: Sierpinskij, Tato, Hahn e Fiondiskij. «Due ore secche: va bene?» chiese Otto, cominciando a mescolare le carte. «Va benissimo» assentirono gli altri. E la partita prese l’avvio. Il tempo passò rapidamente, senza particolari emozioni. Come in certi casi avviene, la partita stava dipanandosi in modo stanco: i giochi chiusi erano insignificanti; peraltro, non c’erano mai scontri di sorta. «La saga delle coppie!» osservò scoraggiato il Sierpinskij. «Tanto avevamo davanti all’inizio, tanto abbiamo adesso davanti: da non credere!» gli fece eco Oscar Tato. «Il piatto piange!» li esortò Otto Hahn, distribuendo nuovamente le carte. Il Fiondiskij, di mano, guardò le sue e aprì: «50 marchi per giocare». «I tuoi 50, più altri 100» gli fece eco il Nostro. «Fino a 500» rilanciò Oscar Tato. 66 «Mille per giocare» disse ridacchiando Otto Hahn. E mise una manciata di fiches nel piatto. Giocarono tutti, biascicando il solito: «Piatto ricco, mi ci ficco». «Quante carte?» chiese Otto a Janik. «Una» rispose questi. Anche Taddeus, Oscar e Otto presero una carta. «La parola a chi ha aperto» sollecitò Hahn. «1000 marchi» fece il Fiondiskij. «Vedo» rispose il Sierpinskij. «Più tremila» dichiarò Oscar Tato. «Vedo» fece Hahn. «Vedo anch’io» soggiunse Fiondiskij. «I tuoi 3000, più altri 3000» rilanciò il Nostro. «Vedo» rispose Oscar. «Più altri 2.000» disse Otto. «State tutti bluffando: e io vedo» sentenziò Fiondiskij. «Vedo anch’io» aggiunse Sierpinskij. «Più altri 2.000» rincarò Oscar. Otto andò a vedere. «Me ne vado» disse con un gran sospiro Janik, gettando le carte. «Io vedo» concluse Taddeus. «Che hai?» chiese ad Oscar. «Ho un full di nove!» rispose questi. «Io ho un full di re» disse Otto, scoprendo sadicamente con studiata lentezza le sue carte. «Buono per un full di donne» ammise a malincuore Sierpinskij. E in quel momento, con tale epico (e caro...) scontro, terminò il tempo, e con esso la partita. «Quel dannato Otto Hahn ha una fortuna davvero sfacciata!» si ritrovò ad esclamare con rabbia Sierpinskij, mentre con Janik facevano ritorno. «Ha ragione, professore» assentì il Fiondiskij. «E gli è andata proprio bene: mi fosse entrato il quinto asso, avrei avuto il full più alto, e avrei vinto io!» precisò con rammarico. «Il quinto asso? Come il quinto asso?» chiese sorpreso il Nostro. «Sì, perché avevo doppia coppia, due assi e due assi» spiegò Fiondiskij. «Se entrava il quinto asso facevo full anch’io. Purtroppo è venuto un maledetto sette di fiori!». «Ah... capisco... un sette di fiori...» commentò asciutto il Nostro. «Scusa - gli disse poi - ma fino a quale dispensa del Bignotto eri arrivato?». «Fino all’ottava professore - rispose pronto Janik - però, il corso per corrispondenza l’ho fatto tutto. Ma imparare non basta; applicarsi, nemmeno: ci vuole anche fortuna» concluse sconsolato. «È vero» assentì Sierpinskij. «Senza fortuna c’è poco da fare». E proseguendo per le strade di una Berlino notturna piuttosto umida, il Nostro borbottò tra sé e sé: «Almeno, non piove». VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 38. Fiondiskij e il test diagnostico Mentre di prima mattina stava lavorando nel suo studio, il Sierpinskij sentì bussare alla porta. «Avanti!» gridò un poco irritato, poiché era nel pieno svolgimento di un calcolo invero assai complesso. «Sono io, professore, sono Janik» fece il Fiondiskij facendo capolino. «Ah, Janik, carissimo. Si accomodi» rispose il nostro indicandogli la sedia antistante la sua scrivania. «Qual buon vento?» soggiunse. «Tempesta, professore» rispose il Fiondiskij con tono accorato. «Cosa è successo, mio caro? Forse l’Enzensberger le ha chiesto un nuovo prestito?» buttò là Sierpinskij, tentando di sdrammatizzare la situazione. «Non scherzi, professore, la prego» gemè Fiondiskij. «Si tratta di una cosa molto seria: della mia salute!». Inutile dire che a questo suo dire il Nostro si allarmò. Certo il Fiondiskij era non poco ipocondriaco, sempre tra medici ed esami clinici, costantemente con il polso in mano per controllarsi la frequenza cardiaca e da questa dedurne (con un suo speciale metodo, almeno così sosteneva) i propri valori pressori; ma il Sierpinskij così tanto agitato non lo aveva mai visto. Sembrava stesse per piangere. «Raccontami tutto» lo incoraggiò paternamente, passando dal lei al tu. E Janik non si fece pregare: «Mi hanno trovato positivo il valore della fosfatasi acida prostatica. Si rende conto?!?» proruppe, torcendosi le mani. «E gli altri parametri?» chiese subito il Nostro. «Tutto normale. Ma la fosfatasi, no!» rispose questi. «Le analisi le hai fatte perché non ti sentivi bene?» continuò ad interrogarlo il Sierpinskij. «No. Era solo... il controllino che faccio mensilmente...» rispose con un po’ di imbarazzo Fiondiskij. «Come si dice... meglio prevenire che curare... non si sa mai». Il Nostro rimase a meditare in silenzio. Poi, accesosi un sigaro, principiò a girellare per la stanza. «È grave professore?» proruppe ad un certo punto il giovane. «È certo grave... me lo dica!». «Quello che è grave, caro il mio Janik - gli rispose Sierpinskij - è questa tua ossessiva attenzione alla salute. La fosfatasi acida prostatica è positiva? E che vuol dire? Prima di tutto - proseguì - dovresti ripetere l’analisi per confermare il risultato; poi, mai questo fosse ancora positivo, sentire che ti dice il medico. Al posto tuo non mi preoccuperei più di tanto». «Non preoccuparmi?» sbottò lui. «Ma allora non mi sono ben spiegato! La riconferma dell’analisi l’ho già fatta; e la risposta è sempre positiva. E non le dico poi cosa ho trovato sulla mia preziosa ‘Enciclopedia Medica Universale per la Famiglia’: c’è da rabbrividire. L’alterazione del valore della fosfatasi acida prostatica è associata con tante brutte malattie, tra cui anche il carcinoma prostatico. Ecco, io temo di avere un carcinoma prostatico. Anzi, ne sono certo! Mi aiuti, professore: che debbo fare?». A questo suo dire, il Sierpinskij spense il sigaro e tornò a sedersi alla scrivania. «Vedi, Janik - disse poi rivolto al Fiondiskij con quel tono di voce che spesso si usa parlando ad un bambino - tu fai la cosa molto semplice. Ma il tutto è invece un po’ complicato. Tanto per dire - continuò - hai mai sentito parlare del teorema di Bayes?».1 «Ho assistito ad alcune sue lezioni su questo tema, professore - gli rispose Janik - ma onestamente non ci ho capito nulla». «Male - osservò Sierpinskij - perché se fossi stato più attento forse ora non ti porresti tutti questi problemi. La questione infatti - proseguì - non sta nel risultato positivo che ti hanno trovato, bensì nel valore predittivo ad esso associato. E questo valore predittivo lo si stabilisce in base al teorema di Bayes». Fiondiskij rimase a lungo in silenzio. Poi, con un filo di voce, chiese: «Può farmi capire meglio la cosa, professore?». «Certo - rispose il Nostro - anche se non è semplice. Ma per tranquillizzarti vale la pena fare un tentativo». E detto questo, si accese un nuovo sigaro. Tirate due profonde boccate, riprese il discorso. «Se il risultato di un’analisi principiò - è sotto una certa soglia, diciamo che il risultato è negativo; se la supera, diciamo che è positivo. Tuttavia continuò - non è che un risultato positivo indichi con certezza la presenza della malattia; come pure un risultato negativo non assicura l’assenza della stessa». Janik non perdeva una parola. «Un test diagnostico, ovvero un’analisi come quella che hai eseguito, non sempre risulta positivo sui ma1 Riteniamo di recar gioia alla maggioranza dei lettori riportando qui nel seguito il teorema di Bayes, su cui sono basati i ragionamenti sviluppati. Dato uno spazio probabilistico S e una sua partizione, data dagli eventi {M i }i =1, k , se B è un certo evento di S, allora risulta Pr( M i / B ) = Pr( M i ) Pr( B / M i ) k ∑ Pr( M i . ) Pr( B / M i ) i =1 In termini pratici, se le {M i }i =1, k sono k malattie che si escludono a vicenda, e B è un segno (o un sintomo) comune a tali malattie, una volta constatata la presenza di B, la probabilità che la malattia sottostante a B sia la i-esima è data dalla probabilità della malattia stessa, moltiplicata per la probabilità che il segno B sia presente nella malattia M i , il tutto diviso la somma del detto prodotto calcolato per tutte le malattie della partizione. Sicché, in questo modo siamo in grado di valutare la probabilità che una certa malattia sia all’origine del segno da noi osservato. È in questo senso che il teorema di Bayes viene anche detto ‘della probabilità delle cause’. 67 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA lati, e non sempre risulta negativo su chi la malattia non l’ha. La capacità di un test di risultare positivo quando l’individuo è effettivamente malato si chiama ‘sensibilità del test’; la sua capacità di negativizzarsi (cioè dare risultato negativo) se l’individuo non è malato si chiama invece ‘specificità del test’. Ora - seguitò il Sierpinskij, tirando l’ennesima boccata dal sigaro - il test della fosfatasi, in relazione a ciò che ti preoccupa, ovvero di essere affetto da carcinoma prostatico, è dotato di una sensibilità del 70% e di una specificità del 90%». Janik cominciò a sudare copiosamente. «Se non ho capito male, professore - disse con un tremante filo di voce - allora ho 7 probabilità su 10 di essere ammalato...». «Macché - replicò Sierpinskij - è il test che ha una probabilità pari a 7/10 di fornire risultato positivo se uno è malato. Il valore della sensibilità del test è la risposta alla domanda: ‘Se sono malato, qual è la probabilità che il test risulti positivo’. Per capire quanto devi preoccuparti, prova invece a rispondere a quest’altra domanda: ‘Se il test è risultato positivo, qual è la probabilità che io sia malato?’. E qui le cose diventano più complicate, poiché bisogna introdurre il concetto di ‘prevalenza della malattia’, ovvero di quale sia la percentuale di persone che ha la malattia». «Non la seguo, professore» disse con tono preagonico Janik. «E allora - fece il Sierpinskij - adesso te lo spiego, così avrai una buona ragione per non essere in ansia». E si diresse quindi alla lavagna. «Ascoltami bene, Fiondiskij - iniziò a dire - stando agli studi epidemiologici svolti, in una popolazione ogni 100.000 persone ce ne sono più o meno 35 che hanno la disgrazia di essere portatori di carcinoma prostatico. Sicché i restanti 99.965 il carcinoma non ce l’hanno. Ora, immaginiamo di fare il test a 100.000 persone: avremo certo risultati sia positivi che negativi. Quanti saranno in media, a tuo parere, i risultati positivi che otterremo dai test sui 35 malati?». Janik respirò profondamente, si deterse il sudore dalla fronte, e azzardò: «Visto che il test diventa positivo 7 volte su 10 se il soggetto è malato... dovrebbero uscire 24.5 test positivi...». «Bravo!» esclamò compiaciuto il Sierpinskij. «Arrotondiamo e diciamo 25. Per cui, sui 35 malati avremo 25 risultati positivi e 10 risultati negativi. Adesso, passiamo ai non malati: quali risultati fornirà il test su questi?». Sempre sudando, Janik prese carta e penna e si mise a fare dei conti. «Sui non malati, lei mi diceva che 9 volte su 10 il test dà risultato negativo... e allora... moltiplico per 0.9... riporto di uno... 89.972 test saranno negativi...». «Corretto - sentenziò il Nostro - ma questo vuol dire anche che 9.993 test risulteranno positivi». «E che significa?» chiese Fiondiskij. «Significa questo» rispose Sierpinskij attirando la sua attenzione sul grafico che aveva tracciato alla lavagna. «A giochi fatti, dai 100.000 test effettuati abbiamo 10.018 risultati positivi e 89.982 risultati negativi. E allora, se un risultato è positivo, qual è la probabilità che il soggetto sia malato?». «Francamente, non lo so» rispose con molta onestà il Fiondiskij. «Apprezzo la tua sincerità, Janik - osservò il Sierpinskij - ma non è difficile calcolarla questa probabilità. Quanti test positivi corrispondono a soggetti malati? Venticinque, abbiamo visto. Quanti sono i test risultati positivi? Sono 10.018. E 68 allora, se ti fai i conti, vedi che a 25/10.018 corrisponde una probabilità pari allo 0.25%, cioè niente o quasi. Quindi, in questo caso un test positivo non ha alcun significato diagnostico. Tecnicamente, si suol dire che in quel contesto il suo ‘valore predittivo’ è inadeguato. O, come nel nostro caso, irrilevante. Tutto qua». Fiondiskij era a bocca aperta. Prese di nuovo carta e penna, e ripeté i conti che il Sierpinskij aveva svolto a mente. «È vero!» proruppe poi. «Se il test risulta positivo, la probabilità che uno sia malato è insignificante! Ma allora - proseguì serio, con quella serietà propria dell’ipocondriaco deluso - queste analisi non servono a niente!». «Dipende» precisò il Nostro. «Ad esempio, se considero dei soggetti su cui un urologo ha accertato la presenza di un nodulo prostatico sospetto, allora il test funziona. Infatti - e qui il nostro disegnò un nuovo grafico - l’esperienza mostra che tra questi soggetti, la metà risulta portatore di carcinoma prostatico. Quindi, se ne vedo 100.000, sui 50.000 malati avrò 35.000 test positivi e 15.000 test negativi; sui 50.000 non malati di test negativi ne avrò 45.000, più 5.000 che risulteranno positivi. Se fai di nuovo i conti, la probabilità che in questo caso ad un test positivo corrisponda davvero la malattia è pari a 35.000/40.000, cioè all’87.5%. Una probabilità inquietante, tale da doversi concretamente preoccupare. Sei più tranquillo adesso?» concluse il Nostro.2 Janik rimase a lungo pensoso. «Mi permette una domanda, professore?» disse infine. «Certo, Janik» rispose il Sierpinskij. «Dove posso farmi fare l’esame alla prostata, cui lei accennava prima? Magari ho un nodulo... chi può saperlo?». Sierpinskij si scostò dalla lavagna e andò lentamente a sedersi alla scrivania. «Ho scatenato un mostro!» pensò tra sé e sé. «Basta andare da un qualsiasi urologo» disse infine. «È un esame doloroso?» chiese ansioso il Fiondiskij. «Diciamo... fastidioso. Magari, a qualcuno può anche piacere...» tagliò corto il Nostro. «Ma ci sono effetti collaterali?» incalzò Janik. «Sì, ce n’è uno» rispose spazientito il Sierpinskij. «Talora succede di diventare un poco più fortunati!». «Non capisco, professore» osservò il Fiondiskij. «Beh... me ne dispiace - concluse Sierpinskij - perché questo non te lo posso spiegare meglio. E ora, ti prego, lasciami finire i miei calcoli!». «Grazie, professore» disse Janik accomiatandosi. «Come farei senza di lei?». «Faresti a meno!» sibilò di rimando il Nostro, seccato più che mai. «Chiudi la porta, grazie!». E uscito il giovane, si immerse nuovamente nei suoi calcoli; ma combinò ben poco. Quello che avvenne in seguito è la dimostrazione che gli ipocondriaci sono vittime predestinate. Infatti, il Fiondiskij si recò tosto da un urologo di grido, certo prof. Pederaski, per farsi dare (come raccontò poi) “un’occhiatina alla prostata”. Questi, noto macellaio, assai venale, capito il soggetto, lo consigliò di operarsi. «Ma lei mi ha appena detto che la 2 I masochisti che volessero approfondire la materia trattata potranno trarre grande giovamento dalla lettura del seguente testo, da cui l’esempio riportato è tratto: R.H. Fletcher, S.W. Fletcher, E.H. Wagner, “Epidemiologia Clinica”, Edizioni Luigi Pozzi, 1987 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA mia prostata è normalissima!» provò a protestare il Fiondiskij. «E lo confermo!» replicò il Pederaski. «Ma con una fosfatasi acida prostatica positiva... se la sente di correre il rischio? Non è meglio togliersi il pensiero finché si è in tempo?». «Però, se la prostata è a posto, il valore predittivo della fosfatasi acida prostatica è minimo...» tentò di ribattere il povero Janik, memore della lezione del Sierpinskij. «Giovanotto - lo interruppe rudemente il Pederaski - lei parla di cose che non conosce. Io le sto offrendo l’occasione di prevenire dei guai, brutti guai, che lei nemmeno immagina. Faccia come crede, comunque!». E ciò detto lo congedò bruscamente con un: «Passi pure dalla mia segretaria per l’onorario». Dopo quattro notti insonni, alla fine il Fiondiskij decise per l’intervento. Alla notizia, il Pederaski tornò ad essere con lui tutto gentile. «Non se ne pentirà, caro giovanotto, mi creda» lo incoraggiò con fare allegro, dandogli financo una pacca sulle spalle. «È una cosa da nulla, vedrà. Ma, se anche così non fosse... la tranquillità non ha prezzo». «Parole sante, professore» mormorò il Fiondiskij. «Sono nelle sue mani...» gemé poi. Quando Sierpinskij andò a trovarlo in ospedale, dove da tempo il Janik si trovava per un travagliato decorso postoperatorio, rimase assai dispiaciuto nel vederlo ancora pieno di cannule di drenaggio. «Come va?» gli chiese. «Bene, bene» rispose con un filo di voce Janik. «In fondo, mi sono levato un pensiero». «E non solo quello...» ebbe ad osservare il Nostro. Primo schema tracciato sulla lavagna dal Sierpinskij Secondo schema tracciato sulla lavagna dal Sierpinskij 69 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 39. Il Bersaglio Meraviglioso T ornata la buona stagione, Berlino prese vita e numerose furono le occasioni per divertirsi, specie la sera. In particolare, alla periferia della città era da poco giunta una compagnia di artisti, i più diversi. Costoro avevano impiantato, su un terreno comunale, un teatro all’aperto, un circo e un Luna Park. E siccome, affiancata al detto terreno, insisteva una vecchia birreria, molto nota a giovani e meno giovani, detti artisti si erano anche messi d’accordo con il suo proprietario in modo che la gente potesse mangiare e bere a volontà prima, dopo o durante gli intervalli degli spettacoli. Insomma, la cosa tirava parecchio: la gente si divertiva e i marchi giravano. Non appena l’Enzensberger ne venne a conoscenza, prese a morire dalla voglia di recarvisi. Tuttavia, avendo già speso la gran parte del suo appannaggio mensile, si ingegnò per rendere l’avventura il più possibile indolore. Sicché, cominciando a parlarne vagamente, e poi rincarando la dose, approfittando nel modo più bieco della curiosità suscitata, convinse alfine Markov e Fiondiskij a farci un salto insieme. «Voi penserete alle spese, peraltro assai contenute» precisò Noam. «Io, dato il difficile momento che sto attraversando, mi occuperò di trovare delle ragazze, in modo da passare la serata in piacevole compagnia. Patti chiari, amicizia lunga». Sulle prime, al Markov e al Fiondiskij la cosa non piacque molto, in quanto detestavano nel profondo la gretta avarizia dell’Enzensberger; ma intrigati dalle sue descrizioni del posto e degli spettacoli (totalmente fantasiose), come pure dalla possibilità di conoscere le ragazze di cui Noam aveva descritto in toni lirici la bellezza, decisero di accettare. Si diedero appuntamento per la sera stessa, in una piccola piazza adiacente l’università. Dopo aver atteso una mezz’ora, finalmente Markov e Fiondiskij videro arrivare una carrozza dalla quale l’Enzensberger stava sbracciandosi per attirare la loro attenzione. Fermatasi che fu, salirono, accomodandosi davanti a tre invero assai graziose fanciulle, subito presentate loro da Noam. «Lei è mia cugina Filippa; lei è Clara, un’amica di mia cugina; e lei è Alessandra, amica di questa amica di mia cugina» disse trionfante. Come al solito, aveva fatto tutto in casa. «Loro sono due miei colleghi» soggiunse poi alle ragazze. «Lavoriamo tutti all’università con il prof. Sierpinskij». 70 «Mai sentito nominare» osservò candidamente Clara. «Come no?» replicò Alessandra. «È un professore famoso, uno dei più bravi. Pensa che stavo per scegliere fisica invece di veterinaria, e solo per poter seguire le sue lezioni!» precisò. «Sarà pure, ma io non lo conosco» insisté Clara. Su indicazione dell’Enzensberger intanto il cocchiere li stava portando a destinazione. Giunti che furono, il Fiondiskij pagò il vetturale e presero a passeggiare tra tantissima gente che aveva avuto la loro stessa idea. «Andiamo al circo?» propose il Markov. «Ma no, andiamo a bere qualcosa» suggerì Fiondiskij, che stava mangiandosi con gli occhi la Clara. «Il circo, il circo!!!» gridarono in coro le ragazze. «No, no» osservò con fare solenne l’Enzensberger. «Ci vuole metodo: prima il Luna Park, così ci ambientiamo divertendoci; poi il circo; dopo, una buona e ricca cenetta; e infine il teatro. E se mai restasse ancora tempo, una fresca birra della staffa prima di tornare. Metodo, ragazzi: e non facciamoci mancare nulla!» concluse trionfante. Markov e Fiondiskij si scambiarono un’occhiata preoccupata, pensando a quanti marchi sarebbe loro costata l’avventura. Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro: l’Enzensberger li aveva come al solito ben incastrati. Principiarono così dal Luna Park, girellando curiosi tra giostre e imbonitori vari. Mentre così vagavano, l’attenzione dell’Enzensberger fu attratta da un’insegna che recitava “Il Bersaglio Meraviglioso”. Si trattava di un tiro a segno, di un banale tiro a segno. Stranamente, però, erano molte le persone in fila ad attendere il loro turno. L’Enzensberger, con qualche spinta e qualche: «Chiedo scusa... mi perdoni...» buttato qua e là, si fece avanti per meglio rendersi conto di cosa ci fosse di tanto interessante. Dopo poco tornò dagli amici, dicendo loro con aria complice: «Fermiamoci qui a giocare: forse c’è da fare un sacco di quattrini!». Quando toccò a loro, l’ometto che gestiva l’attività spiegò in cosa consistesse il gioco. «Come lor signori possono vedere, il bersaglio è diviso in 24 settori, come le ore del giorno. Con questa leva lo si fa ruotare velocemente. Mentre il bersaglio ruota, voi dovete sparagli contro otto colpi. Se i colpi finiscono tutti in settori diversi, avete vinto; se colpite due volte, o più, uno stesso settore, allora vinco io. Per evitare che ci siano colpi dubbi, come è a loro agevole constatare, c’è questa griglia metallica che ripete i 24 settori, e che viene messa davanti al bersaglio: essa assicura che i colpi cadano sempre dentro un preciso settore, senza possibilità di equivoci. La puntata minima è un marco, quella VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA massima venti marchi. Giocate?»1 concluse mostrando loro un fucile ad aria compressa già pronto all’uso. «Che ti avevo detto» sussurrò l’Enzensberger a Markov. «Statisticamente la sorte è dalla nostra: 8 colpi e 24 settori, 2/3 per noi 1/3 per lui! Gioco, gioco!» gridò poi rivolto all’ometto. «Comincio con un marco» soggiunse poi imbracciando il fucile. Il bersaglio fu messo in moto, e l’Enzensberger gli sparò contro uno dietro l’altro gli otto colpi. L’ometto fermò quindi il bersaglio e prese ad esaminare il cartone su cui erano disegnati i 24 settori. «Peccato, giovanotto - fece porgendolo all’Enzensberger - ha colpito due volte il settore numero quindici. 1 Solo per addottrinati: questo gioco, partorito in gioventù dalla mente contorta di F. Tagj, è nei fatti equivalente al ‘Problema del compleanno’. Quando il Tagj se ne rese conto, ebbe un grave trauma psichico dal quale non si è ancora ripreso. Il ‘Problema del compleanno’, detto anche ‘Paradosso del compleanno’ fu ideato da Richard von Mises nel 1939. In questo si mostra come, a dispetto di quel che suggerisce l’intuizione, con sole 23 persone la probabilità che almeno due di queste siano nate lo stesso giorno dell’anno è superiore al 50%. Addirittura, se le persone sono 50, l’evento è quasi certo (97%). Ha perso». Noam abbozzò una smorfia e chiese di continuare a giocare. E perse altre due volte. «Vuol fare un nuovo giro?» lo sollecitò ancora l’ometto. L’Enzensberger, pagando i tre marchi perduti, rispose: «Aspetto un poco: debbo solo farmi alcuni conti». «Faccia pure, faccia con comodo, tanto io rimango qua, non me ne vado certo» rispose questi ridacchiando. Avvicinandosi al Markov, l’Enzensberger tirò fuori dalle tasche uno sgualcito quadernetto e una matita. «Ragioniamo» cominciò ad almanaccare. «Se i settori sono 24 e i colpi 8, i colpi sono un terzo dei settori. E questa è la densità della probabilità. Sicché, se non ragiono male, dovrebbe esserci una possibilità su tre di mandare due colpi nello stesso settore. È giusto, Siergeij?». «Non so che dirti - replicò il Markov - ma secondo i miei criteri di probabilità estetica, eviterei di giocare: hai visto che colore indecente ha il cartone del bersaglio? Un grigio stanco, da orrore. E poi quel tale!» soggiunse indicando l’ometto. «Guarda che zampe di gallina!». «Ma che c’entrano il colore del cartone o la faccia del tizio?» esplose l’Enzensberger, ancora dolorante per la 71 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA perdita subita. «Qui stiamo parlando di probabilità, non di estetica! Ho fatto bene i conti o no?» ringhiò. «Quali che siano i tuoi conti - proseguì imperterrito Siergeij - io li faccio a modo mio, con la mia teoria della probabilità estetica. Come sai, ho scritto anche un articolo al proposito che, ti faccio notare, è stato anche approvato dal professor Sierpinskij. Vuoi continuare a giocare? E allora gioca: poi vedremo chi ha ragione!» concluse. L’Enzensberger, rosso in viso, mise allora alcune monete sul banco dell’ometto e, imbracciato il fucile, gli disse: «Questa ce la facciamo da 5 marchi!!!». E rimase poi lì a sparare tutta la sera. Nel frattempo, Markov, Fiondiskij e le tre ragazze andarono al circo, cenarono, godettero di una buona rappresentazione teatrale: insomma si divertirono moltissimo. Tornati sul posto, trovarono l’Enzensberger impegnato a firmare certe carte che l’ometto gli porgeva. «Stia tranquillo - gli diceva Noam - pagherò. Però, che sfortuna!» concluse con tono lamentoso. «Non era la sua serata, ragazzo mio» lo rincuorò l’altro. Ma potrà rifarsi, non ne dubiti. Venga ancora a trovarmi domani: sento che sarà il suo giorno fortunato, mio caro signore». «Sì, sì... domani sera verrò a rifarmi... grazie, grazie» gli rispose con voce tremante l’Enzensberger. «Ma che è successo?» gli chiese subito Markov, prendendolo sottobraccio. «È successo che... ho perso tremiladuecentoventitré marchi! Mille glieli ho dati in contanti; per gli altri, ho firmato delle cambiali» gemé l’Enzensberger. «Ma domani mi rifaccio!!!». «Mille marchi in contanti! E poi stava a piangere miseria con noi!» non poté fare a meno di pensare Siergeij. «Al posto tuo - disse a Noam il Janik - prima di cercare di rifarti chiederei al professore: sicuramente c’è sotto un trucco». «Forse hai ragione» sospirò l’Enzensberger. E, fatto straordinario, ancor più straordinario di quel che avviene rarissimamente a certe statue di culto, due lacrime presero a rigargli il volto. L’indomani, alle sette di mattina, l’Enzensberger era già all’università ad attendere l’arrivo del Sierpinskij, proprio dinanzi alla porta dello studio di questi. Il professore giunse alle sette e trenta e, scorgendolo, non nascose sorpresa e preoccupazione. «È scoppiata nuovamente la guerra?» chiese allarmato all’Enzensberger. «Magari fosse» replicò questi. «È successo di peggio: ho perso al gioco tremiladuecentoventitré marchi!» concluse affranto. «Il gioco, il gioco...» lo 72 rimproverò Sierpinskij. «Le carte, e non le donne, saranno la vostra rovina, Noam!». «Non si tratta di carte, professore - gli spiegò l’Enzensberger - bensì di un maledetto tiro al bersaglio». E prese a raccontargli tutto per filo e per segno. «Ma stasera, professore, vado a rifarmi!» finì col dirgli trionfante il giovane. «Solo che... anche su consiglio di Fiondiskij... vorrei da lei un parere: c’è sotto un trucco?». Sierpinskij restò in silenzio, fissandolo con studiata serietà (alcuni testimoni dell’epoca parlano di mezz’ora; altri di novanta minuti). Poi, preso un foglio, si mise a fare un po’ di conti. Alla fine, sentenziò: «Sì, il trucco c’è. E il trucco è studiarsi bene il Calcolo delle Probabilità, cosa che l’ometto del tiro al bersaglio ha evidentemente fatto con diligenza, al contrario di voi, Enzensberger!». «Non capisco, professore» disse con un filo di voce Noam. «Sono molte le cose che voi non capite, ragazzo mio» riprese il Sierpinskij. «E non le capite perché non vi applicate! Ma come si fa a dire che in un gioco di tal fatta avete due probabilità su tre di vincere?» lo investì il Nostro. «Ma professore - si schermì l’Enzensberger - otto sono i colpi, ventiquattro le possibilità... è una questione di densità di probabilità... due più due fa quattro!» concluse. «A parte il fatto che uno di questi giorni, con calma, mi pregierò di illustrarvi nel dettaglio in quale posto mettere questo vostro distorto concetto di densità di probabilità - puntualizzò acidamente il Sierpinskij - nel caso presente due più due non fa quattro. E ora vengo a spiegarvelo, ammesso che la vostra zucca sia in grado di seguirmi. In primo luogo, visto che avete giocato a lungo e avete perso molto, la Natura vi sta dicendo in termini frequentistici che il gioco non è equo. Ma voi vi rifiutate di ascoltarla. In secondo luogo... imparate una buona volta a fare bene i conti! Dunque... il primo colpo va dove va, ovvero su uno qualsiasi dei 24 settori. Ora, col secondo colpo avete 23 settori favorevoli, 23 dei 24, che ancora sono intonsi; col terzo colpo i settori validi, quelli non ancora colpiti, saranno 22; e così via dicendo, sino all’ottavo colpo. Se facciamo bene i calcoli, noi che sappiamo farli bene, possiamo osservare che così stando le cose la probabilità che tutti i colpi cadano in settori diversi è pari al 26.9%. Di conseguenza, l’ometto ha una probabilità del 73.1% di vincere, naturalmente se riesce ad incontrare il gonzo di turno» VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA concluse il Sierpinskij lapidario. A queste parole l’Enzensberger, incredulo, tirò fuori il suo bisunto quadernetto e prese a rifarsi i calcoli velocemente. Alla fine, rosso in viso e con palese affanno, guardò negli occhi il Sierpinskij e disse: «Mi inchino, professore, alla vostra Scienza. Sono stato davvero sventato. Sembrava così bello!» concluse sospirando. «Ma è proprio quando i giochi sembrano troppo favorevoli che bisogna diffidare, ragazzo mio. Questa esperienza vi serva di lezione: fatene tesoro. E ora andate - concluse - ché debbo concentrarmi su quanto dovrò raccontare tra poco agli studenti». L’episodio si riseppe e fu anche oggetto in Facoltà di accese discussioni; ma come sempre avviene dopo qualche settimana nessuno parlò più dell’accaduto, la cui traccia rimaneva soltanto nell’accresciuta parsimonia dell’Enzensberger, arrivato al punto da farsi offrire ogni mattina la colazione dal Fiondiskij. «È diventata una tassa...» diceva ridendo il Markov a Janick. «Poveretto, mi fa pena. Che vuoi che faccia: si è indebitato sino ai capelli. Mi ha confessato che ha a stento il necessario per sopravvivere» rispondeva il Fiondiskij. Tuttavia col passare del tempo, l’Enzensberger, nonostante continuasse a piangere miseria con tutti, dava chiari segni di ritrovata disponibilità: il fatto che venisse ogni mattina in carrozza, i vestiti all’ultima moda da lui indossati e, soprattutto, uno splendido orologio d’oro che egli non mancava di mostrare in ogni occasione con la scusa di controllare l’ora, insospettirono non poco il Sierpinskij. Sicché, Egli decise di vederci chiaro, facendo fare al proposito, da una persona di sua fiducia, una piccola indagine. I risultati di questa, accuratamente riportati nei Suoi diari, giustificano ampiamente la fondatezza di una frase che il Sierpinskij soleva ripetere spesso al proposito dell’Enzensberger: «Ma a questo, chi lo ammazza?». Dal diario del Sierpinskij: «Da qualche tempo, dopo un tracollo economico per debiti di gioco, c’è uno stridente contrasto tra quanto continuamente l’Enzensberger lamenta e quel che è dato a vedersi, in particolare il possesso di uno splendido orologio d’oro che egli ama mostrare a tutti continuamente. Avendomi la cosa insospettito, ho chiesto un poco in giro e sono venuto a conoscenza di fatti inquietanti, che mi pongono anche problemi di carattere morale. Per farla breve, come Otto Ponzi2 mi ha accuratamente documentato, financo con numerosi dagherròtipi, dopo aver io dimostrato all’Enzensberger l’assoluta inequità del gioco del bersaglio, dove aveva perso una grossa somma, egli si è recato dal gestore di detto gioco e si è accordato con lui. Si tratta invero di un accordo spregevole. L’Enzensberger si è impegnato a portargli ogni sera clienti nuovi, vuoi studenti dell’università, vuoi conoscenti, amici, parenti o persone da lui occasionalmente incontrate. L’accordo prevede una spartizione (stavolta equa, 50 e 50) di tutte le somme perse da costoro. La cosa più disgustosa è che l’Enzensberger accompagna personalmente al 2 Si tratta di Otto Kranz Ponzi, noto investigatore privato della Berlino dell’epoca. baracchino le vittime e quando i tapini cominciano a perdere somme importanti li spinge a rifarsi, fornendo a supporto di questo suo consiglio una serie di calcoli probabilistici completamente scorretti, del tipo di quelli da lui fatti all’epoca. Per comprendere la freddezza e la pericolosità di codesto individuo, basti dire che il Ponzi mi ha riferito che egli ha condotto dal Bernoulli (così si chiama l’ometto del bersaglio, ora suo socio) financo la propria madre e lo zio cardinale. Ho parlato del tutto con il borgomastro di Berlino, al fine di poter prendere qualche provvedimento; ma costui mi ha informato che, consultato il bargello, non sembra emergere dai fatti alcuna ipotesi di reato a carico dell’Enzensberger. Detto gioco, mi ha detto, è stato autorizzato, insieme ad altri giochi, proprio da lui stesso; e sui guadagni viene peraltro pagata al comune di Berlino una salata tassa, pari al 20% dell’importo delle giocate. D’altra parte, egli mi ha anche fatto notare che situazioni di questo tipo sono all’ordine del giorno: «Pensi al gioco del lotto3, professore» ha osservato. «Che facciamo? Chiudiamo i botteghini e arrestiamo tutti coloro che vendono ambi e terni ‘sicuri’? Lo Stato è in buona parte finanziato da imbecilli che vogliono arricchirsi rapidamente» ha soggiunto. «E grazie a dio, di persone avide e stupide ce ne sono a bizzeffe». Un ragionamento decisamente convincente, non c’è che dire. Tuttavia, una cosa mi dà ancora da pensare: Bernoulli. Dove ho già sentito questo nome?»4 3 Forse non tutti sanno che... il gioco del lotto, nella sua versione moderna, fu introdotto in Francia da Giacomo Casanova, come riportato dettagliatamente nelle sue memorie (rif. Giacomo Casanova de Seingalt, “Storia della mia vita”, 12 voll., Newton, 1999 ). 4 In effetti, Sierpinskij aveva letto da giovane diversi lavori di Jakob Bernoulli, uno dei massimi matematici del XVII secolo, studioso di calcolo delle probabilità, autore del testo sacro “Ars Conjectandi”. A lui si deve la distribuzione di Bernoulli, da cui discende la distribuzione binomiale. Di quest’ultima, per comodità del lettore, riportiamo qui la formula: ⎛ n⎞ Pr(k / n) = ⎜⎜ ⎟⎟p k (1 − p ) n− k ⎝k⎠ (k = 0,1,2,..., n) , dove k è il numero di successi ottenuti nelle prove indipendenti effettuate, n il numero di prove e p la probabilità di successo (costante) nella singola prova. Otto Ponzi, su incarico del Nostro, riuscì a scoprire che l’ometto del bersaglio (che si chiamava Salvatore) altri non era che il figlio di Isaia Bernoulli, figlio di Samuele Bernoulli, figlio di Baruch Bernoulli, a sua volta figlio dello Jacob. Il Bernoulli Salvatore aveva ricevuto in eredità dal padre Isaia (in realtà lo aveva acquistato da questi sul letto di morte) un quaderno contenente un appunto olografo dello Jakob, dove veniva descritto dettagliatamente il gioco del bersaglio e in che modo trarne vantaggio. Peraltro, veniva in esso riportato anche un gioco equivalente, consistente in una roulette speciale di 24 settori. Lanciando otto palline, se queste finivano in settori diversi, il banco perdeva; altrimenti, anche se solo due palline cadevano in uno stesso settore, era il banco a vincere. 73 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 40. Sierpinskij e la Storia Zen U n giorno Sierpinskij, volendo valutare i frutti del Suo insegnamento, convocò i tre allievi prediletti per interrogarli sullo zen. Fiondiskij e Markov si presentarono puntuali nel Suo studio; l’Enzensberger si affacciò invece con tre ore di ritardo, salutando allegramente tutti e profondendosi in scuse pietose, la principale delle quali, descritta da lui in modo minutato ed ossessivo, consisteva in un problema sopravvenuto alla ruota anteriore sinistra della sua carrozza, ruota che, a suo dire, aveva dovuto far cambiare con urgenza. Il ritardo dell’Enzensberger irritò non poco il Sierpinskij, ma non lo distolse dallo scopo della riunione. «Vi ho qui convocati - esordì - per capire quanto stiate mettendo a frutto i miei insegnamenti sullo zen. Chi di voi sa dirmi cos’è lo zen?». L’Enzensberger rispose prontamente «Lo zen è un sentire la vita, invece di sentire qualcosa circa la vita». «Non male - replicò Sierpinskij - anche se questo l’ho già letto da qualche parte».1 «Lo zen, Maestro - azzardò il Markov - è una dottrina indefinibile. Anzi, è La Dottrina Indefinibile». «Ma anche questa è una definizione» osservò il Nostro. «E tu cosa mi dici?» fece poi al Fiondiskij. Questi restò un momento in silenzio; poi, lentamente, si alzò e si diresse verso un sacco poggiato a terra in un angolo della stanza. E giunto dinanzi ad esso, memore di una storia zen2 che aveva letto poco tempo prima, gli sferrò un poderoso calcio. Disgraziatamente per lui, il sacco conteneva dei pesi che il Sierpinskij aveva di recente acquistato, avendo deciso di riprendere a far della ginnastica. Il contraccolpo tolse quasi il respiro al Fiondiskij, il quale incapace di gridare per il terribile dolore che sentiva salirgli dal piede, cominciò a lacrimare lentamente. «Bravo - gli disse Sierpinskij - ma non basta questo per comprendere l’essenza dello zen. È tempo che io vi induca a riflettere ancor più profondamente sulla natura budda delle cose: solo in questo modo raggiungerete un giorno l’Illuminazione!» «E per far questo - proseguì - mi servirò, come gli Antichi Saggi, di una vecchia storia». L’attenzione dei tre era al massimo. 1 Alan W.Watts, “Lo Zen”, pag. 14, Bompiani, 1988. 2 Riferimento perso, ahimé. 74 «Dunque - prosegui Sierpinskij - un tempo il Maestro Hui Neng ed il suo discepolo Sikku dovettero ripararsi in una capanna abbandonata e qui presero a parlare di zen. A notte fonda, nel buio più completo, mentre stavano ancora discutendo, Hui Neng accese la sua lanterna: e fu in quel preciso momento che furono entrambi illuminati!».3 «E poi?» azzardò l’Enzensberger. «E poi, niente: la storia è finita» tagliò corto Sierpinskij. «Maestro - fece con tono sommesso il Fiondiskij, quasi a scusarsi - io questa storia non l’ho proprio capita». Il Sierpinskij lo fissò lungamente negli occhi e gli rispose pensoso: «A dirti il vero, neanch’io l’ho mai capita. Anzi, mi spiego meglio: l’ho capita; ma se è giusto quello che ho capito, allora non l’ho capita». Le cronache narrano che i quattro rimasero ancora molte ore a parlare di zen. Nei diari del Markov è riportata al proposito un’interessante e cinica osservazione che l’Enzensberger fece poi uscendo con gli altri dallo studio del Sierpinskij: «Che vuoi... è l’età!»4. 3 Anche per questo episodio non troviamo più il riferimento! 4 M. Margius, “Vita di Taddeus Sierpinskij: una sintesi critica”, pp. 6.547, Persichelli & Persichelli, Milano, 1997. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 41. Sierpinskij e Sierpinski P er un certo periodo all’università di Berlino si trovò ad insegnare un giovane matematico polacco, tal Waclaw Sierpinski.1 Il fatto che il suo nome fosse praticamente coincidente con quello del Nostro creò subito non pochi problemi, all’uno e all’altro, in genere assai spiacevoli. E questo per molteplici ragioni. In primo luogo, il Waclaw era nativo di Varsavia e quindi considerava Taddeus un povero campagnolo di Bvdgoszcz («Come diavolo si chiama quel posto?» soleva ripetere); in secondo luogo, una delle prime pubblicazioni del Waclaw, quella che lo aveva portato all’attenzione del mondo accademico, era nei fatti una stroncatura di un precedente lavoro del Sierpinskij; in ultimo, e questo faceva salire il sangue agli occhi del Nostro, qualunque nuovo concetto il Waclaw presentasse, esso veniva subito citato negli articoli di altri ricercatori con il suo nome: la curva di Sierpinski, il triangolo di Sierpinski, il tappeto di Sierpinski, il numero di Sierpinski e, cosa davvero per il Nostro insopportabile, ‘Il problema di Sierpinski sul numero di Sierpinski’, ovvero ‘Qual è il più piccolo numero di Sierpinski?’. A proposito di quest’ultima questione, Egli soleva ripetere tra sé e sé: «Ma chissenefrega del più piccolo numero di Sierpinski!». Ma il boccone era amaro. Quando al Sierpinskij qualcuno chiedeva chiarimenti su alcuni di questi temi, egli si trovava nella sgradevole situazione di dover spiegare che non si trattava di propri lavori, ma di lavori dell’altro. E siccome mentre diceva ‘ALTRO’ era uno spettacolo davvero degno di nota (il tono della sua voce, le smorfie del viso, i movimenti delle mani, ecc.) era 1 Waclaw Sierpinski, polacco di Varsavia: un colosso della matematica del XX secolo. Egli ha lasciato tracce indelebili in tanti settori, quali la teoria degli insiemi e la teoria dei numeri. La sua produzione scientifica è stata copiosa e di grande qualità: decine e decine di libri e quasi 800 articoli scientifici testimoniano il suo costante impegno nella ricerca e nella didattica. E questo nonostante la sua vita sia stata segnata da guerre, dove morirono tanti suoi brillanti allievi, e da soprusi odiosi (come accadde ad altri scienziati polacchi, la sua biblioteca e tanti suoi scritti originali furono dati alle fiamme). Tra i diversi incarichi da lui svolti, fu anche membro del comitato editoriale della gloriosa rivista italiana ‘Rendiconti del Circolo Matematico di Palermo’. Ebbe in vita importanti e numerosi riconoscimenti da parte di università, accademie, società scientifiche. Sierpinski è morto a Varsavia nel 1969. sorto il vezzo tra gli studenti di interrogarlo al proposito continuamente. Di contro, quando un’analoga situazione capitava al Waclaw (anche il Sierpinskij qualche articolo lo aveva pubblicato!), egli soleva sfoggiare un sorrisetto beffardo, dicendo invariabilmente all’interlocutore di turno che lui si occupava di ben altri problemi e che, comunque, i lavori di cui chiedeva notizia erano largamente superati, in genere da sue ricerche, sulle quali si premurava anche di fornire dettagliata bibliografia. Insomma, le cose andavano proprio male tra i due, al punto che dopo poco tempo il loro interagire si limitò esclusivamente ad un breve saluto quando capitava di incontrarsi. Ma il Nostro era perfido, ed aveva trovato un modo per far andare su tutte le furie il Waclaw. Nell’incrociarsi, infatti, era sempre il Sierpinskij a salutare per primo, con un (apparentemente) cortese: “Buongiorno, prof. Sierpinskij”. E glielo diceva rimarcando all’inverosimile la j finale del nome storpiato (la cosa riesce soltanto tra polacchi). «Buongiorno» rispondeva a denti stretti il Waclaw. «Sierpinski, senza la j!» mormorava poi a bassa voce, guardandolo con odio. Anche la faccenda di questa ‘j’ divenne di pubblico dominio, a tal punto che quando capitava loro di incrociarsi erano in genere presenti sul posto diversi studenti i quali, dopo averli pazientemente seguiti (gli orari più o meno erano quelli), si godevano con tutto comodo la scena. Avvenne in seguito che il Waclaw vinse una cattedra all’università di Lvov; e quindi se ne andò via da Berlino, risolvendo così ogni problema. I titoli che aveva presentato al concorso erano certo eccezionali; ma in Commissione fu determinante il voto del Sierpinskij che, come membro esterno, non fece che tessere le lodi del Waclaw. A chi gli manifestò poi meraviglia per questa sua inattesa generosità (che tra i due ci fosse cattivo sangue era a conoscenza di ognuno) il Sierpinskij fece sempre notare che i giovani debbono essere incoraggiati, specie quelli che hanno dei problemi. «Poverino - osservava inevitabilmente - deve essere imbarazzante per lui portare il nome che porta. È un confronto impari. E poi - concludeva - non ha nemmeno la ‘j’!». 75 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 42. Cambridge, o cara... (I): Liz, ovvero la Jones Moralty P rima di accettare l’invito dell’università di Cambridge, Sierpinskij tentennò non poco. In verità, non gli andava molto di viaggiare. Berlino era per lui un posto assai comodo, dove viveva tranquillo, operava con soddisfazione e si divertiva alla grande. «In fondo, ho viaggiato già abbastanza» soleva ripetersi. Tuttavia, quando Elizabeth Jones Moralty gli scrisse una lettera personale, sollecitandolo ad accettare l’invito, il Nostro cedette. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio, verrebbe da dire con una frase nuova. Di certo, la Moralty era femmina di gran fascino, longilinea, di pelle bianchissima e viso delicato. E Sierpinskij sapeva – anche per alcune confidenze fattegli dalla donna – che ella era da sempre innamorata di lui. Stranamente, le cose tra loro non erano mai andate a buon fine in quanto le occasioni che si erano presentate per l’instaurarsi di una relazione si erano sempre trovate sovrapposte a tormentate passioni del Sierpinskij per altre donne. Inoltre, un ulteriore freno – ignorato da Elizabeth - era stato certamente il fatto che molti, molti anni prima, il Nostro aveva avuto una breve ma intensa storia con la madre della Moralty, certa Johanna. E così, dopo tanto tentennare, il Nostro si ritrovò a Cambridge, servito e riverito, con accanto la Jones Moralty che era stata incaricata della funzione di suo ‘accompagnatore ufficiale’. Com’è facile immaginare, la gran parte del tempo il Sierpinskij la passava con Elizabeth: era finalmente scattata la scintilla tra i due. La gran parte del tempo, si diceva poc’anzi... a tal punto che un bel giorno il Rettore di Cambridge gli disse: «Non per incomodarla, Professore, ma non sarebbe tempo di svolgere qualche seminario dei tanti che abbiamo programmato?». «In effetti - gli rispose il Nostro - sto ancora ambientandomi». «Non lo metto in dubbio - replicò acido il Rettore - tuttavia le faccio notare che Ella è a Cambridge da quattro mesi: non vorrà per caso offrire tutte le gemme del suo scibile alla sola professoressa Moralty, visto che siete insieme ogni giorno?». A questo suo dire, il Nostro non poté non manifestare imbarazzo. Ma reagì egregiamente. «Tanto per mettere le cose in chiaro, signor Rettore - precisò - io e la professoressa Moralty siamo soltanto amici. Per giunta, è grazie a questa nostra frequentazione che ho potuto già mettere a punto una nutrita lista di seminari adatti alla tipologia di studi e ricer76 che che si svolgono nella Sua università» e così dicendo tirò fuori di tasca un foglio sul quale erano appuntati numerosi titoli. «Non ho difficoltà a cominciare, anche domani. Quello che intendevo con ‘ambientarmi’ era riferito soprattutto alle persone che frequentano Cambridge, docenti e studenti, i cui caratteri non sono ancora ben riuscito ad inquadrare» concluse trionfante. A questo punto fu il Rettore a sentirsi in imbarazzo, anche perché la lettura dei titoli dei seminari previsti dal Nostro lo aveva messo letteralmente sull’attenti. C’era lo scibile umano su quel foglio; anzi, la parte nobile, e più complessa, dello scibile umano. «Le chiedo venia, professore, se mi sono prima espresso in modo equivoco» si scusò riconsegnandogli l’appunto. «Non intendevo insinuare nulla, mi creda! Era solo un modo, evidentemente assai maldestro, per manifestarle l’impazienza con cui tutti noi qui a Cambridge siamo in attesa di ascoltarLa» concluse, accennando un leggero inchino. «Bene. Molto bene» rispose secco Sierpinskij. «Stabilisca pure lei stesso il calendario dei seminari. Vorrà dire che il loro svolgimento sarà anche occasione per completare l’ambientazione di cui le parlavo». E così detto lo congedò un poco frettolosamente in quanto era già in ritardo per l’escursione (e relativa merenda) programmata il giorno prima con la Moralty. E doveva ancora comperare il vino! I seminari furono un trionfo. La notizia si diffuse a tal punto che vennero ad ascoltarlo anche da altre università. A Eton erano letteralmente lividi; ma anche loro non perdevano occasione per essere presenti. Vale la pena riferire qui di un fatto assai divertente che avvenne in uno dei primi di questi incontri, e che fu ripreso anche da diversi giornali. Si era appena conclusa una lettura assai dotta del Nostro sul tema “Dove va la filosofia?”. E ora le domande fioccavano. Le risposte del Sierpinskij erano incredibilmente lucide e complete. E questo faceva sì che gli interventi del pubblico venissero a moltiplicarsi invece che scemare. Il Sierpinskij era soddisfattissimo, anche perché dalla prima fila la Moralty non smetteva un istante di sorridergli. «Professore - gli chiese ad un certo punto uno dei presenti - le posso fare due domande personali e, mi perdoni in anticipo, anche un poco irriverenti?». «Certo» rispose il Nostro. «Peraltro, poiché io non sono particolarmente suscettibile, saranno anche occasione per vivacizzare il nostro incontro, VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA rendendolo meno accademico». «Grazie, professore» riprese costui. «La prima domanda è questa: come fa, alla sua età, ad avere una testa così lucida? La seconda è invece: come fa ad avere questa sua età?». A tal dire, la sala prese a mormorare, trovando tali richieste sconvenienti. Ma il Sierpinskij fu presto a replicare: «Alla prima domanda le rispondo dicendole ‘Ella è un pessimo osservatore’. Infatti, se avesse ben guardato la mia testa si sarebbe reso conto che la lucidità che da essa traspare è dovuta ad una rilevante quantità di brillantina. Per sua conoscenza, anche a costo di far pubblicità, la informo che trattasi di un prodotto italiano, assai ricercato: la brillantina Linetti». La sala fu percorsa da sonore risate. «In quanto alla seconda domanda - riprese - la risposta è ovvia. Il vostro Sherlock Holmes direbbe al proposito: ‘Elementare, Watson: basta invecchiare in buona salute’». Stavolta, oltre alle risate ci furono anche applausi. «Tuttavia, a parte queste celie, non posso esimermi da darle una risposta seria alla seconda domanda. E la risposta è: non lo so». Nella sala non si sentiva volare una mosca: l’attenzione era totale. «Mi piace pensare - continuò il Nostro - che questa salute di ferro che ho sempre avuto, come pure questo persistere in buon aspetto nonostante il passare degli anni, siano da attribuirsi a dei doni che tre astronomi di passaggio vollero regalarmi il giorno in cui nacqui in quel di Bvdgoszcz: una medaglietta d’oro, un’icona russa e un barilotto di birra, di cui mio padre mi fece bere un sorso quello stesso giorno. Capisco che è un’ipotesi molto debole, ma non ne ho altre. Di certo, l’età che porto mi avvantaggia assai nelle conferenze, in quanto avendo conosciuto così da vicino tanta gente, tra cui tanti studiosi celebri, mi è facile tirar fuori aneddoti che indubbiamente rendono più gradevoli i miei discorsi. Comunque, tutto è relativo» concluse. «Riflettiamo su questa mia età: di fronte ad una persona odierna sono senza dubbio un fenomeno da baraccone; di fronte ad un profeta pre-diluvio sono invece soltanto un giovanotto di belle speranze». Gli applausi non si fecero aspettare; e furono davvero tanti. E così si concluse quel seminario, alla fine del quale il Sierpinskij si avviò a far merenda con la Moralty. St John College Cambridge University 77 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 43. Cambridge, o cara... (II): l’amico Bertrand G iorni dopo, mentre erano distesi su un prato a far merenda, il Nostro chiese alla Moralty: «Mia cara Liz: cosa ne è stato di Bertrand?1 Trovo strano non averlo ancora incontrato dopo tutto questo tempo». «Taddeus, amore mio - cinguettò lei di rimando - egli è qui a Cambridge, ma non osa presentarsi al tuo cospetto dopo il duro rimprovero di cui lo facesti oggetto anni or sono. Anzi - proseguì - debbo farti una confessione: non che non desiderassi rivederti, ma la lettera che ti ho scritto per sollecitarti ad accettare l’invito dell’università di Cambridge mi è stata ispirata proprio da lui. Bertrand non ha perso alcuna delle tue conferenze: solo, è rimasto sempre in fondo alla sala, evitando di farsi vedere da te. Dovresti parlargli, un giorno o l’altro». Sierpinskij rimase in silenzio e la sua mente riandò al passato, al giorno in cui Bertrand Russell era andato a trovarlo a Berlino, quando accadde lo spiacevole episodio cui aveva accennato la Moralty. Forse vale la pena riferirne in dettaglio qui appresso. Il tutto avvenne nello studio del Nostro, dove l’inglese era andato a visitarlo per avere un parere sul terzo volume di un libro che si accingeva a dare alle stampe2, e di cui gli aveva inviato alcuni mesi prima le bozze. «Bertrand - stava dicendo Sierpinskij a Russell - questi suoi ‘Principia Mathematica’ dimostrano una sola cosa: che lei ha messo ordine nella teoria degli insiemi. Se mi permette la battuta, solo un bel ‘tipo’ come lei poteva concepire questa ‘teoria dei tipi’. Complimenti, amico mio, la sua mente è davvero notevole. Peccato non possa dire la stessa cosa per le sue caratteristiche morali» soggiunse scuotendo la testa. «Cosa intendete dire, professore?» si inalberò il Russell. «Spiegatevi, perbacco!». «C’è poco da spiegare, mio caro Bertrand» proseguì calmo il Nostro. «E sapete anche bene a cosa intendo riferirmi: la vostra lettera al prof. Frege fu un fatto spregevole, non certo per i suoi contenuti, dinanzi ai quali mi inchino, quanto per i tempi.3 Non pote1 Il Sierpinskij intendeva riferirsi a Bertrand Russell, filosofo, logico, matematico e pacifista inglese. 2 Si trattava del terzo volume dei “Principia Mathematica”, una monumentale opera di rifondazione logicistica della matematica, dove compare la ‘teoria dei Tipi’ quale soluzione dei problemi derivanti dall’uso non opportunamente controllato del concetto di ‘Classe’. 3 Trattasi della famosa lettera scritta da Russell a Gottlob Frege, dove 78 vate aspettare un anno e fargli pubblicare serenamente il suo libro?» concluse guardandolo intensamente negli occhi. L’inglese appariva ora decisamente a disagio; ma provò a replicare: «L’ho sentito come una necessità: la teoria degli insiemi, così formulata, aveva in sé una grave contraddizione. Era mio preciso dovere comunicarlo al prof. Frege, il prima possibile». Mentre parlava, aveva preso a tormentarsi le mani e a dimenarsi sulla sedia, inchiodato dagli occhi del Sierpinskij che non cessavano di fissarlo. «Balle, Russell» gli disse il Nostro, abbandonando l’uso più familiare del ‘Bertrand’. «Voi non avete mancato l’occasione di fare il primo della classe, infischiandovene di ciò che questo vostro comportamento avrebbe significato per il povero Frege. Era qui a piangere nel mio studio, mostrandomi la vostra lettera e quella da lui scritta, quella che ha poi inserito nel suo libro! Un uomo finito. Per non parlare poi di Cantor: Georg è quasi impazzito apprendendo l’esistenza del paradosso che porta il vostro nome. E la sua salute non fa ora che peggiorare.4 Ma mentre Cantor è una inevitabile vittima dell’avanzare delle conoscenze, Frege è una vostra vittima, vittima di un infantile e cinico modo di fare, da bambino saputello. Dico questo senza tema di sbagliare, perché anch’io, purtroppo, mi sono comportato più volte in cotal guisa. E me ne resta memoria e rimorso. La Scienza - proseguì - ha bisogno di Spiriti Eletti: i tenori e le ballerine lasciamoli all’Opera» concluse amaramente. «E per dire come stanno esattamente le cose, caro Russell - riprese - ma a voi, prima di quella lettera, portata a conoscenza di tutti proprio da Frege, chi vi conosceva?». E detto questo si accese un sigaro, cominciando a girellare veniva messa in evidenza una contraddizione presente nei ‘Principi di Aritmetica’. Infatti, l’insieme di tutti gli insiemi che non contengono se stessi come elemento risulta contenere e nel contempo non contenere se stesso come elemento (nella lettera originale Russell scrive: ‘Sia w il predicato: essere un predicato che non può essere predicato di se stesso. Si può predicare w di se stesso? Da ogni risposta segue l’opposto’). Frege, galantuomo come pochi, ne diede notizia nel volume (il secondo dei ‘Principi’!), scrivendo al termine di esso: “Non c’è nulla di più spiacevole per uno scienziato che il vedere i fondamenti della sua opera crollare al momento stesso in cui l’opera viene terminata. Io sono stato messo in questa situazione da una lettera del sig. Bertrand Russell, ricevuta nel momento in cui il mio lavoro era quasi sotto stampa”. 4 Sembra che la notizia dell’esistenza di una contraddizione all’interno della formulazione della teoria degli insiemi (segnalata dal paradosso di Russell) abbia inferto un colpo decisivo alla già malferma salute mentale del Cantor. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA per la stanza. Nel contempo anche Russell si era messo a trafficare col fornelletto della sua pipa. E stettero a fumare, meditando, sin quando l’inglese non ruppe il silenzio: «Forse è vero che quella lettera mi diede un poco di notorietà. D’altra parte, chi conosceva Frege prima che io ponessi i suoi lavori all’attenzione di tutti?» osservò. «Tuttavia, avete ragione Voi, professor Sierpinskij. A mia discolpa posso solo congetturare che il non aver ben ponderato le conseguenze di quella mia azione è di certo derivato dal fatto che nulla mi rende più felice che Bertrand Russell enunciare delle verità». A questo suo dire il Nostro si produsse in una franca risata che, invero, disorientò non poco l’inglese. «Enunciare verità produce in voi una felicità massima?» gli fece ironico. «Questo inseritelo nella vostra autobiografia o suggeritelo a qualche biografo in vena di celebrarvi. Come avete financo scritto, felicità è per voi andare regolarmente al bagno due volte al giorno!».5 Russell cercò di replicare, ma Sierpinskij, sorridendo, lo fermò con un cenno di mano: «Ho qui nel mio studio una lettera del vostro editore: me l’ha fatta recapitare a suo tempo chiedendomi contestualmente un parere sulla vostra salute mentale. L’ho liquidato con una battuta: ‘A molti filosofi capita talora, inavvertitamente, di passare dall’escatologico allo scatologico’. Così gli ho risposto, garantendo nel contempo sulla vostra affidabilità scientifica e morale». E a questo punto il Nostro ritornò serio. «Caro Russell - proseguì - ma vi rendete conto che anche i vostri ‘Principia’ hanno dei punti deboli, alcuni dei quali di carattere fatale per la teoria che avete così pazientemente elaborato con il buon Whitehead?». «Quali punti deboli?» protestò il Russell. «Non ne esistono! Siamo in una botte di ferro!» concluse con decisione. «Questa immagine non mi è nuova» osservò Sierpinskij. 5 In effetti, in una lettera al suo editore Warder W. Norton, il Russell scrisse: “Io non credo che la scienza per sé sia fonte adeguata di felicità, né credo che la mia mentalità scientifica abbia contribuito gran che alla mia propria felicità, che io attribuisco al fatto che vado di corpo due volte al giorno, con immancabile regolarità”. «Se non ricordo male fu usata per la prima volta da un certo Attilio Regolo nel rispondere ad alcuni che lo sconsigliavano di ritornare a Cartagine. Il resto è storia. I punti deboli ci sono, caro il mio Russell» proseguì implacabile il Nostro. «Voi vi valete, ad esempio, del Principio del Terzo escluso; dimostrare per assurdo non vi dispiace. Peraltro, la vostra fiducia, di sapore quasi metafisico, nell’Assioma di Riducibilità mi appare del tutto ingiustificata. Ora, se io al proposito vi scrivessi una lettera, di tono e contenuti analoghi a quelli che usaste con Frege, voi la pubblichereste in appendice al volume conclusivo che state per mandare alle stampe?». Russell esitò un poco a rispondere; poi, farfugliò a voce bassa: «No, professore, in tutta onestà non la inserirei». E, lentamente, caricò nuovamente la pipa. «Ma spiegatemi - continuò poi - perché queste cose non me le avete dette prima? Per i ‘Principia’ avevate avuto finora solo parole di lode». «Perché - osservò il Nostro - sono più vecchio di voi, caro Russell, ed ho avuto quindi più tempo per riflettere sui miei errori. Naturalmente, una lettera al proposito, ben circostanziata, ve l’avrei mandata, anzi ve la manderò, tra un anno o due. Ma perché guastarvi la festa? Siate uomo di mondo, perbacco!» proseguì. «Ma a chi volete gliene importi della Teoria degli Insiemi? Ci saranno 8-10 persone in grado di leggere il vostro libro, di cui solo la metà deciderà di farlo. E costoro ci impiegheranno almeno un paio d’anni, maledicendo voi e il buon Whitehead per i ripetuti mal di testa di cui saranno oggetto. Che fretta c’è dunque, caro Russell? E che fretta c’era di inviare quella dannata lettera a Frege?» concluse dando un vigoroso pugno sul pianale della scrivania. E così terminò l’incontro berlinese tra i due. «Dovresti parlargli, un giorno o l’altro» stava ripetendo al Sierpinskij la Moralty. «Sì, Liz» rispose questi. «Gli parlerò senz’altro». 79 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 44. Cambridge, o cara... (III): la resa dei conti Passarono così altre due settimane. E tra pranzi, visite, seminari, conferenze, il Nostro fu assai indaffarato; non così indaffarato comunque da trascurare le colazioni sull’erba con la Jones Moralty. Giunse infine il giorno dell’ultima conferenza, dedicata ai ‘Principia Mathematica’1. La sala era strapiena. Oltre che da tutto il Regno Unito, erano venuti ad ascoltare il Sierpinskij famosi scienziati dell’Europa continentale, della Russia e degli Stati Uniti. Dopo una breve presentazione del Rettore, il Nostro prese la parola: «Mi è stato chiesto di dedicare questa conferenza ai ‘Principia Mathematica’. Ho accettato di farlo con grande gioia, ma l’impresa, lo confesso, mi spaventa e mi imbarazza non poco. Mi spaventa, data la profondità e la complessità dell’argomento; mi imbarazza in quanto, a differenza di altre occasioni, il contributo da me dato alla teoria degli insiemi è rappresentato... dall’insieme vuoto». Dopo quest’ultima precisazione, di humor tipicamente britannico, si udì qualche risata soffocata tra il pubblico. «Sicché, per farmi coraggio proseguì - ho chiesto ai due autori del trattato di sostenermi. Invito perciò i professori Bertrand Russell e Alfred Whitehead2 3 ad avvicinarsi al palco». Accompagnati da un lungo applauso, i due, che con regìa studiata attendevano in fondo, percorsero tutta la sala e si accomodarono in prima fila, pro1 “Principia Mathematica”: monumentale opera in tre volumi di rifondazione della matematica pura, dove compare la ‘teoria dei Tipi’ quale soluzione ai paradossi logici derivanti dall’uso non controllato del concetto di ‘Classe’. Essa fu realizzata da Bertrand Russell e Alfred Whitehead. In realtà, bisognerebbe dire ‘realizzata da Russell’, in quanto, come egli stesso riporta, il Whitehead era assai assorbito dall’insegnamento. Questo sforzo finì con lo sfibrare il povero Bertrand (che racconta di averci lavorato dal 1907 al 1910, per otto mesi all’anno, dieci-dodici ore al giorno!). Al proposito, da qualche parte, c’è una lettera scritta da Russell alla diletta Lady Ottoline Morrell dove le dice che agli sviluppi del tutto - ormai non più possibile per lui - penserà probabilmente un suo brillante ed amato allievo (si trattava di Ludwig Wittgenstein). Però, soggiunge esasperato il buon Bertrand (citiamo a memoria) «Costui non può presentarsi da me tutte le sere, tardissimo, e poi per ore voler discutere di filosofia: io la mattina presto ho lezione!». 2 Bertrand Arthur William Russell, conte inglese, premio Nobel per la letteratura, matematico, logico, filosofo. Anche i suoi scritti di logica matematica (incredibile...) sono piacevolissimi a leggersi. Pacifista convinto (ed anche un poco ridicolizzato dai media nei suoi tardi anni (N.B.: impressione personale di F.T.), Russell è uno dei pochi filosofi che ha il dono (e la volontà) di farsi capire. L’altro è Popper (sempre a parere di F.T.). 3 Alfred North Whitehead, filosofo e matematico inglese. Firmò con Russell i ‘Principia’. 80 prio davanti al Sierpinskij. «Per essere ancor più sicuro di non fare con voi una brutta figura - proseguì il Nostro - magari dimenticando durante il discorso qualche concetto fondamentale o qualche notizia storica sullo sviluppo della teoria degli insiemi, mi sono poi permesso di invitare anche due miei amici, i quali pur di sostenermi si sono sobbarcati un viaggio davvero lungo e faticoso». A questo suo dire, l’attenzione del pubblico raggiunse l’acme. Chi erano questi amici del Sierpinskij non previsti nel programma?4 Inutile dirlo, il Rettore di Cambridge era in piena fibrillazione. «Ho quindi il piacere e l’onore di invitare i professori Georg Cantor e Gottlob Frege5 6 a prendere posto» concluse. Nella sala scese un silenzio assoluto. Intanto, dal lato del palco la Jones Moralty stava accompagnando due anziani distinti signori verso i posti loro riservati. Come se tutto fosse già stato provato più volte, un gigantesco applauso risuonò all’istante in tutta la sala, proprio nel momento in cui Russell e Whitehead si alzavano per andare incontro agli illustri ospiti. Ma quando i due vecchietti si accorsero della presenza del Russell, la situazione precipitò all’istante. Frege, lanciando a gran voce bestemmie e improperi in tedesco7, cominciò a picchiare con il suo bastone il povero Bertrand. «Questo per la lettera!»8 gli gridò con voce strozzata. «E questo per l’insieme di tutti gli insiemi che non contengono se stessi come elemento!»9. E giù botte. Al Frege, con altrettanto nodoso 4 Come può facilmente immaginarsi, in quelle occasioni a Cambridge erano tutti estremamente formali, più del solito. 5 Georg Ferdinand Ludwig Philipp Cantor. Colosso della matematica del XIX secolo. Fondamentali i suoi contributi alla teoria degli insiemi, al concetto di continuità e a quello di infinito matematico. Ebbe, purtroppo, vita tormentata, con gravi problemi di salute e rovesci finanziari. 6 Friedrich Ludwig Gottlob Frege. Considerato, insieme a Giuseppe Peano, fondatore della moderna logica matematica. Espresse parte delle sue idee nei “Principi dell’Aritmetica”, due volumi, il primo del 1893, l’altro del 1902. Fu mentre questo secondo volume stava per andare alle stampe che gli giunse la lettera di Bertrand Russell, contenente la famosa antinomia che mostrava esservi una contraddizione nella teoria esposta nei ‘Principi’. Invece di far finta di nulla, Frege inserì il tutto nel volume. Galantuomini di questo tipo oggi non se ne trovano più: purtroppo, lo stampo è andato perduto. 7 Nessuno del pubblico comprese alcunché; ma il Russell conosceva benissimo la lingua tedesca. 8 Trattasi della detta lettera scritta dal Russell al Frege, dove veniva descritto il paradosso che mostrava esserci contraddizione nella teoria degli insiemi formulata da Cantor, su cui erano basati i ‘Principi’. 9 È proprio ragionando su questo insieme, che risulta appartenere e non appartenere a se stesso, che Russell costruì il suo paradosso. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Alfred Whitehead (1861-1947) bastone, si unì quasi subito il Cantor. Picchiava sodo, il padre della teoria degli insiemi. Volendo fare una battuta, picchiava con continuità. E, nel mentre, gridava al Russell: «Teoria ingenua? Ingenua, dillo a tua sorella!10 Non bastavano i preti, ché mi hanno costretto a chiamare transfiniti gli infiniti11: ci mancava anche questo pregiudicato!».12 E giù altre basto10 Al di là della sottile contraddizione contenuta nella formulazione cantoriana della teoria degli insiemi, quello che fece andare fuori della grazia di dio sia il Cantor che il Frege fu che qualcuno principiò ad utilizzare la dizione ‘Teoria ingenua degli insiemi’. Oggi, mostrando maggiore educazione, si preferisce indicarla come ‘Teoria intuitiva degli insiemi’. 11 Quando Cantor riuscì a stabilire una precisa gerarchia tra insiemi infiniti, ebbe al proposito molti scrupoli su un possibile uso improprio in campo religioso di questi suoi nuovi concetti. A tal punto che si recò in Vaticano per sottoporre ‘alli superiori’ le sue idee. Il tutto, trattandosi di ‘infinito attuale’, venne messo in mano ai Domenicani, i quali col consueto zelo, dopo tre anni di studi diedero parere positivo (sicché, niente rogo). Fu comunque caldamente sconsigliato al Cantor di utilizzare il termine ‘infinito’. Così, il Nostro ripiegò su ‘transfinito’. 12 In effetti il Russell in galera c’era stato (ben quattro anni e mezzo) per propaganda pacifista. Durante la sua prigionia, ebbe la bella idea di scrivere un corposo volume (trattasi di: “Introduzione alla filosofia matematica”, ed. italiana di Longanesi Editore, Milano, 1962). E poiché era considerato un pericoloso intellettuale, tutti i suoi scritti dovevano essere attentamente visionati per vedere se mai contenessero qualcosa di sovversivo. Questo ingrato compito fu assegnato a un povero funzionario del carcere. Di lui, poi, nulla si è più saputo. Probabilmente, il meschino sarà morto suicida. Nota medica: la lettura serale della “Introduzione alla filosofia matematica” del Russell è terapia infallibile per l’insonnia (provare per credere). Dopo nate, accompagnate in questo caso da pesanti bestemmie e parolacce non solo in tedesco, ma anche in russo (il Cantor era nativo di San Pietroburgo). Ma il Russell era un osso duro, durissimo, come pochi. Cercando di ripararsi dai colpi come poteva, trovava nonostante tutto la forza di replicare: «Però, professor Cantor - gli gridò in faccia - lei si è poi vendicato dell’inquisizione con i suoi ‘numeri cardinali’!»13. E rivolgendosi a Frege: «L’ho fatto per dovere, per colmare una sua manchevolezza. Il paradosso avrebbe dovuto trovarlo lei per primo, matematico della domenica!». E poi, ancora a Cantor: «Pregiudicato?!? Dov’era lei, professore, quando io mi battevo contro la guerra? A produrre tavole balistiche per l’artiglieria?».14 E mentre tutto questo accadeva, Sierpinskij e Whitehead, com’è destino di tutti i pacieri, nel cercare di separarli si prendevano a loro volta delle mazzate micidiali. Finalmente, anche per le limitate risorse fisiche dei due anziani matematici, le acque si calmarono; e, dopo una rapida medicazione dei contusi, egregiamente praticata dagli operatori del Servizio Emergenza-Urgenza del Municipio, tutti presero posto. Il Sierpinskij tenne la migliore conferenza della sua vita. E sfidò anche il Destino: dietro sua richiesta Frege, Cantor, Russell e Whitehead intervennero su diversi punti. Nel farlo ci furono scontri durissimi tra di loro; ma per fortuna stavolta soltanto verbali. Fatto che dispiacque assai al Nostro fu che Frege e Cantor, come pure Russell e Whitehead, se ne andarono senza salutarlo. «I Vecchi sono partiti» riferì la Moralty. «Apparivano invero anche piuttosto contenti». «Lo credo bene: erano anni che aspettavano l’occasione»15 una, due pagine, inevitabilmente ci si addormenta di colpo, anche si fossero prima presi quattro caffè doppi. Tuttavia, questa terapia non va protratta per molto tempo. Infatti, a lungo andare ha effetto opposto: l’attenzione diventa così viva che si rischia di far mattina. Questa scoperta fu fatta da uno degli A.A. (F.T.) durante la sua adolescenza. 13 Numeri che quantificano la potenza di un insieme. 14 In effetti, in tanti paesi, furono molti i matematici che in guerra (o in pace) svolsero questo compito. 15 Tale commento del Nostro ha fatto pensare a molti che il Sierpinskij 81 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Georg Cantor (1845-1918) Gottlob Frege (1848-1925) commentò il Nostro. «Ma Bertrand e Alfred?» le chiese. «Furibondi, letteralmente furibondi» rispose lei. «Li ho sentiti dire che ti toglieranno il saluto per non averli avvisati della presenza di Cantor e Frege. Ma stai attento - soggiunse un poco preoccupata - perché hanno anche giurato di renderti tutte le bastonate che si sono presi». «E sia» sospirò il Sierpinskij. «Vorrà dire che diventerò un martire del libero pensiero. Ma tu che dici?» la interrogò. «Ho proprio fatto male ad invitare quei vecchi amici?». «»In confidenza, caro il mio Taddeus - cinguettò lei - non lo so. Ma è per questo che sono innamorata di te: sei un inguaribile romantico!». E ciò detto, lo baciò appassionatamente. E il Nostro, mentre stringeva a sé quell’essere divino, soavemente profumato, non poté fare a meno di pensare: «Ma a me, in fondo, che me ne frega della teoria degli insiemi?». farò senza di te?» sospirò languida. «Farai a meno»17 rispose secco il Sierpinskij. Ma poi soggiunse: «Comunque, avrai tempo di prepararti spiritualmente: ho chiesto ed ottenuto da Berlino di passare un anno sabbatico qui a Cambridge. Sempre se l’università e il Rettore saranno d’accordo. Mai non lo fossero - concluse ridendo - mi pregierò di cornificarli con Eton, che mi ha già fatto tale proposta». La Moralty scoppiò improvvisamente a piangere; poi prese a sbaciucchiarlo ripetutamente. «Sei proprio matto, Cicci» gli sussurrò all’orecchio. «È vero - rispose lui - ma non farlo sapere troppo in giro».18 Fu nel corso del suo soggiorno a Cambridge che il Sierpinskij produsse i suoi maggiori contributi al Calcolo delle Variazioni e il suo memorabile lavoro sulla dimensione ottimale dei ferri da stiro. Sempre in questo periodo, frequentando un noto pub, ebbe peraltro modo di conoscere un chimico che si occupava del controllo di qualità della birra, certo Bill Gossett e, suo tramite, un giovane matematico, tale Ronnie Fisher, fissato con l’applicazione della statistica all’agraria. Ma questa è un’altra storia. Dopo alcuni giorni, durante l’ennesima merenda, il Sierpinskij notò che Liz era molto più affettuosa del solito. «Peccato, Cicci16, che tu debba tornare a Berlino la prossima settimana» disse la Moralty dopo l’ennesimo bacio. «Come fosse d’accordo con il Cantor e il Frege. Non esistono, tuttavia, prove documentali in merito. 16 È un nostro ‘scoop’, basato su quanto abbiamo avuto modo di verificare nei memoriali della Jones Moralty, recentemente ritrovati, Ella soleva chiamare il Sierpinskij con tale nomignolo. Il Nostro non ne fa mai alcun cenno nei suoi diari (rif. M. Margius, F. Tagj, “Ciccio bello! Il crollo di un mito”, Ubaldini Ed., Roma, 2005). 82 17 Sembra che questa sia stata la risposta di Paolina Borghese al Nostro, quando Egli la implorò di non lasciarlo. 18 Purtroppo, la Jones Moralty ne parlò poi con tutta Cambridge. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 45. Un inquietante problema D urante la sua permanenza a Cambridge, Sierpinskij ebbe modo di fare amicizia con un chimico, certo Bill Gossett1, il quale si occupava del controllo di qualità della birra in una nota fabbrica del posto. Inutile dire che il Nostro, vuoi per naturale generosità, vuoi per interesse, non mancò di supportare il Gossett nel suo lavoro, sia aiutandolo nei calcoli statistici, sia assaggiando con lui le birre che quotidianamente erano sottoposte al controllo. «Ma qual è la necessità di tutto questo» non poté fare a meno di osservare una volta il Sierpinskij. «Ogni partita di birra che esce da questa fabbrica è migliore della precedente!». «Caro Maestro - replicò il Gossett - le ragioni sono diverse: in primo luogo, se questo non fosse fatto ogni giorno, potremmo rischiare di immettere in commercio decine di barilotti di birra non all’altezza del nome della Casa. E lei capisce che in termini di Ronald Fisher (1890-1962) immagine sarebbe decisamente sgradevole; in secondo luogo - proseguì - in assenza di questo controllo di qualità, io come mi guadagnerei da vivere?». Il Nostro non poté non essere d’accordo col Gossett. Sicché, tra conticini ed assaggi, per i due le giornate trascorrevano alla grande. Dopo qualche tempo si aggregò a loro un giovane amico del Gossett, tal Ronnie Fisher2, laureato in matematica, che si 1 William Sealey Gossett. Laureatosi in matematica e in chimica, fu assunto alla Arthur Guinness Son and Company nel 1899. Al di là delle fesserie che qui compaiono, operò prima a Dublino, successivamente a Londra. Pubblicò il suo lavoro più famoso sotto lo pseudonimo di ‘Student’. Ed ecco perché oggi si parla della distribuzione t di Student o del test t di Student. In un certo senso, il Gossett è il padre del trattamento statistico dei piccoli campioni. Per gli amanti del genere, nel 1934 fu vittima di un grave incidente stradale, dal quale comunque si riprese. È morto nel 1937. 2 Ronald Aylmer Fisher. Nato nel 1890 a Londra, si laureò brillantemente interessava con grande passione dell’applicazione della statistica al miglioramento della produttività agricola. «I fattori in ballo sono tanti» ebbe modo di spiegare al Sierpinskij. «Terreno, esposizione, variabilità delle sementi, trattamenti, concimi, e quant’altro: c’è da impazzire. Tuttavia, con una serie di tecniche che mi sono inventato, ne sono almeno in parte venuto a capo». Il Nostro chiese di approfondire l’argomento e il Fisher si prestò volentieri. In effetti, il giovane aveva davvero talento e fantasia. Sierpinskij restò letteralmente a bocca aperta vedendo quali progressi egli avesse compiuto; in particolare apprezzò la ‘randomizzazione’, ovvero l’introduzione controllata del caso nelle sperimentazioni. «Non sono io che son bravo» precisò con modestia il ragazzo. «È che di fronte ad un problema così complicato anche teste dure come la mia sono costrette ad impegnarsi a fondo; e magari, con un po’ di fortuna, riescono alla fine a trovare qualcosa di buono». Decisamente, vuoi per i discorsi interessanti che si facevano, vuoi per i continui assaggi di birra (un boccale alla volta Sierpinskij e il Gossett, appena un bagnarsi le labbra da parte del sobrio Ronald), i tre se la spassavano. Tutto andava benissimo, finché accadde che il Fisher venne a presentarsi ai due in uno stato da far spavento: occhi arrossati, capelli spettinati (lui che ci teneva...), vestito spiegazzato, aria decisamente afflitta. «Che ti è successo?» lo in matematica a Cambridge. Entrò più tardi a far parte come statistico della gloriosa Rothamsted Agricultural Experiment Station, costituita nel Regno Unito sin dal 1837. Cosa ha prodotto in campo statistico Fisher? Una marea di cose. La gran parte delle idee fondamentali della statistica moderna (test statistici, analisi della varianza, randomizzazione, design degli esperimenti, verosimiglianza, ecc.) sono sue. Non a caso per questa attività fu poi fatto ‘Sir’ dalla Corona. Fisher è morto ad Adelaide nel 1962. 83 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA interrogò Gossett. «Forse un maiale selvatico si è mangiato tutte le piante di cavolo del tuo ultimo esperimento?». «Non scherzare» rispose il Fisher con un fil di voce. «Sono in un mare di guai. Ho commesso un grosso errore nei calcoli che ho riportato in una relazione. Me ne sono accorto solo ieri sera. Ho lavorato inutilmente tutta la notte, senza venirne a capo: l’errore c’è, ma non si trova. Il guaio - continuò - è che ho già trasmesso ai miei superiori il rapporto ufficiale, dando in esso un parere che comporta la scelta tra due prodotti. Sono rovinato, irrimediabilmente rovinato!». E, detto ciò, si prese la faccia tra le mani e incominciò a piangere. A questo punto, sia Sierpinskij che Gossett si preoccuparono seriamente, temendo che il Fisher potesse mettere in atto qualche sproposito. «Caro Ronald - gli fece il Nostro, chiamandolo per la prima volta col nome di battesimo - perché abbattersi così: a tutto c’è rimedio. Se di errore si tratta, sarà bene trovarlo subito. Prima lei segnalerà la presenza di questo errore, minori saranno di certo le conseguenze. Capita a tutti di sbagliare. Sapesse quante volte è successo anche a me» concluse, scuotendolo amichevolmente. Al che il Fisher sembrò un poco riprendersi. «Lei è una persona molto buona e gentile, professore» disse al Sierpinskij. «Ma a lei non sarebbe mai successo» soggiunse depresso. A questo dire, il Nostro si inquietò. «Balle!» gli rispose duro. «Può succedere a tutti. Mi ascolti, caro Ronald: quello che al massimo le potrà capitare sarà di essere preso un poco in giro. A qualcuno verrà infatti in mente, come ora sta venendo in mente a me, di commentare l’accaduto con una battuta del tipo: ‘Il pescatore ha preso un granchio!’.3 Tutto qua. Ma adesso - proseguì deciso - staniamo il nemico!». E ciò detto, prese carta e penna. «Forza, Ronald» lo sollecitò. «Fuori questi dati, ché di certo li ricorderà perfettamente a memoria!». «È vero, professore, ma come si ricorda un incubo!». E così rispondendo, prese a buttar giù delle tabelle. Intanto il Gossett si era avvicinato al tavolo dove Sierpinskij e Fisher stavano lavorando, portando tre boccali di birra spumeggiante. «Posso partecipare anch’io?» chiese ai due, sedendosi. «Certo che puoi. Anzi, devi!» precisò il Nostro. Poi rivolto a Ronald: «Coraggio, cominciamo. E come suol dirsi, dall’inizio». Il Fisher, che appariva ora decisamente più calmo, entrò subito nel merito. «Dunque... questa ricerca è stata commissionata dal Governo di Sua Maestà al mio Istituto, che mi ha nominato responsabile della faccenda. Negli ultimi anni, le piante di tabacco vengono infestate da un virus; e questo, come è facile comprendere, produce immensi danni economici. Ora, si tratta di stabilire quale tra due trattamenti è il migliore da impiegare per guarire le piante malate. Per far questo, ho scelto due diverse piantagioni, una in zona temperata, l’altra in area tropicale. Ho fatto identificare in ognuna le 3 Il Sierpinskij, brillantemente come al solito, gioca sul nome del Ronald e sul presunto errore da lui fatto. 84 piante malate, le quali sono poi state irrorate con la sostanza prodotta dalla Ditta A o con quella della Ditta B, scegliendo a caso tra le due. Trascorsi due mesi, dette piante sono state controllate: se la malattia era scomparsa, questo risultato veniva considerato come un successo; altrimenti, no. È chiaro che maggiore sarà la percentuale di successi, migliore sarà l’efficacia del prodotto. Come può vedersi dalla tab. I - e qui mostrò una tabellina (in realtà erano due) che aveva rapidamente riportato su un foglio - entrambi i preparati guariscono significativamente le piante malate. Queste guarigioni risultano più frequenti nella piantagione posta in zona temperata, più contenute in quella a clima tropicale. Ma in entrambe le situazioni, l’impatto è notevole: più del 50% di guarigioni in un caso, più del 30% nell’altro. In zona a clima temperato il preparato B guarisce il 65.7% delle piante malate; il preparato A soltanto il 56.5; in zona tropicale la percentuale di guarigioni scende, ma è sempre il preparato B che ne guarisce di più: 37.2% contro 33.9% del preparato A. Tra i due preparati, quindi, quello prodotto dalla ditta B appare il più efficace in entrambe le situazioni. E questa è stata la conclusione della mia relazione». TAB. I Piantagione 1 (Clima temperato) Preparato A Preparato B Piante malate 2115 936 Guarigioni 1194 615 % guarigioni 56.5 65.7 Piantagione 2 (clima tropicale) Preparato A Preparato B Piante malate 2348 4356 Guarigioni 796 1620 %guarigioni 33.9 37.2 Sierpinskij si fece rapidamente un poco di conti. «Non vedo problemi, caro Ronald. Tutto torna», disse alla fine. «Confesso di non riuscire a capire i motivi del suo turbamento. Se lo desidera, sono pronto a controfirmare la sua relazione». «La ringrazio, professore - gli rispose il Fisher - ma aspetti a sbilanciarsi». «Ieri sera - proseguì - mi è venuta un’idea: anche se le piantagioni erano in partenza diverse per via del clima, mettendo insieme le due sperimentazioni avrei potuto forse migliorare la stima dell’efficacia derivante dal trattamento delle piante malate». «Mi sembra molto ragionevole, Ronald» interloquì Sierpinskij. «Aumentando il numero di dati i risultati dovrebbero essere ancor più significativi. E così facendo, cosa è venuto fuori?». «Un assurdo, professore. Non riesco ancora a convincer- VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA mene» fece sconsolato il Fisher. «Se sommiamo i risultati delle due sperimentazioni - proseguì - viene fuori questa tabella, chiamiamola tabella II» e porse quindi un foglio al Nostro, dove l’aveva riportata. TAB. II Piantagione 1 + Piantagione 2 Preparato A Preparato B Piante malate 4463 5292 Guarigioni 1990 2235 % guarigioni 44.6 42.2 «Come può osservare, professore - continuò il Fisher ora, dati alla mano, il trattamento che funziona meglio è quello della Ditta A». Sierpinskij rimase qualche minuto a fissare la nuova tabella; quindi prese la precedente e cominciò a fare dei controlli. Alla fine, guardò il Gossett e gli disse: «Per cortesia, Bill, rifai tu i conti perché, evidentemente, sto reiterando un errore. Tutta colpa della birra...». Il Gossett si mise subito all’opera; ma dopo un quarto d’ora sentenziò: «Vedo e non credo: ma i calcoli sono tutti a posto». «Cazzo!» esclamò il Sierpinskij, memore dei suoi trascorsi romani. Rimasero tutti e tre assorti per lungo tempo. Fu il Fisher a rompere il silenzio: «E adesso che faccio?» chiese rivolgendosi e all’uno e all’altro. «Nulla» rispose il Nostro. «Questo risultato è davvero paradossale e, verosimilmente, credo dipenda dalla struttura intrinseca delle proporzioni. Dovremmo dedicare un po’ di tempo alla questione, caro Ronald: magari ne esce anche una buona pubblicazione.4 Ma, per quel che riguarda il suo presente problema, 4 Come sempre, il Nostro trascurò successivamente di occuparsene. Il paradosso fu poi descritto nel 1951 da E.H. Simpson, e col suo nome viene oggi indicato (sembra, tuttavia, che fosse già stato presentato nel 1903 da G.U. Yule). Recentemente, M. Margius ha scoperto un manoscritto del Sierpinskij dove compare una dimostrazione del paradosso. Certi di fare cosa gradita al lettore, lo riportiamo integralmente qui nel seguito: “Il problema messo in evidenza da Ronald è davvero intrigante. Avevo però ben intuito che esso è dovuto alla natura intrinseca delle proporzioni. Infatti: siano 4 proporzioni tali che: a1 a3 a2 a4 + > + a1 + b1 a 3 + b3 a 2 + b2 a 4 + b4 a1 + b1 + a 3 + b3 (a1 + a 3)(a 2 + b2 + x4 + (n − x4)) >1 (a1 + b1 + a 3 + b3)(a 2 + x4) c1(c 2 + n) c5 = >1 c3(c 4 + x4) c6 + c3 x4 Considerando per colonna le proporzioni complessive, può accadere che la disuguaglianza si inverta. In realtà, il risultato sembra paradossale in quanto, con tale somma, si pensa di aver a che fare con p1 + p3 > p2 + p4 , relazione in cui la disuguaglianza non può che rimanere inalterata. Il fatto è che non si ha a che fare con a1 + a 3 a1 + a 3 a 2 + x4 > a1 + b1 + a 3 + b3 a 2 + b2 + x4 + (n − x4) . Indicando con un c indicizzato le diverse costanti, avremo poi: a3 a4 > p4 = a 3 + b3 a 4 + b4 bensì con Per vedere come effettivamente vadano le cose, facciamo variare a4 e b4, ponendo b4=n-a4, con n costante, ed indicando per comodità a4=x4, ipotizzando che il senso della disuguaglianza sia quello visto. Avremo: , ovvero a1 a2 p1 = > p2 = a1 + b1 a 2 + b2 p3 = le ricordo solo una cosa: ‘Il silenzio è d’oro’. In fondo, ne siamo a conoscenza solo Gossett ed io» concluse, porgendogli i due fogli dove egli aveva riportato le tabelle. «Ma professore… - protestò Fisher - è un fatto di onestà scientifica. Noi abbiamo il dovere...». Con un cenno di mano il Sierpinskij lo interruppe: «Ronald, come mi ha insegnato il maestro Lio-kan, bisogna essere pronti nell’ascoltare e lenti nel rispondere. Che fretta c’è? E poi - soggiunse - a parte l’esibire le due tabelle contrastanti, cosa potrebbe dire al momento di ‘scientifico’?». «Allora, che faccio?» chiese Ronald al Gossett. «Che fai?» rispose questi. «Fai quello che ti ha detto il professore. Di martiri la scienza ne ha già avuti abbastanza. E poi, se ti metti a fare l’eroe, cosa che ti costerà l’impiego, come sistemerai le tue faccende con Guendalina?».5 Al sentire il nome della ragazza che aveva in mente di sposare quanto prima, Ronald sospirò. Poi si alzò, andò a riempire tre boccali di birra, presa dal barilotto che era loro sembrato il migliore, e disse ai due: «Propongo un brindisi al maestro Lio-kan che, tramite il prof. Sierpinskij, ci ha oggi insegnato una grande verità: ‘Siate lenti nel rispondere’». «Prosit!» gli fece eco il Nostro, scolandosi d’un fiato il suo boccale. e con , a2 + a4 . a 2 + b2 + a 4 + b4 La quantità c5 c 6 + c3 x 4 Sicché, se x 4 < c5 − c 6 c3 conferma; se invece è x4 > c5 − c 6 c3 . vale 1 quando è x4 = c5 − c 6 . c3 il verso della disuguaglianza di partenza si essa si inverte”. 5 Trattasi di Guendalina McEvoy, giovane e procace insegnante di inglese, con la quale il Fisher era fidanzato da ben 11 anni. 85 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 46. La quantizzazione delle orbite A nche se talora costituiva un diversivo nelle monotone giornate che passava in genere all’Università di Berlino, Sierpinskij era da tempo letteralmente braccato da un giovane ricercatore che si occupava di fisica atomica.1 2 Niels Henrik David Bohr era il nome di questo essere assetato di conoscenza. Danese di nascita, laureato in fisica all’università di Copenhagen, valente sportivo, era anche appassionato cultore delle dottrine orientali. Intrigato dalla personalità scientifica del Sierpinskij, come pure dei suoi trascorsi in Cina, aveva costui ormai l’abitudine di coglierlo al varco nelle situazioni più diverse per chiedergli lumi. E, vuoi anche per l’esperienza zen del Nostro, soleva rivolgersi a lui chiamandolo spesso ‘Maestro’: «Maestro, ho bisogno di un Suo consiglio... che dice, Maestro, di questa mia idea?... un suo parere, Maestro, sarebbe per me di grande aiuto...» e così via dicendo. Intendiamoci, non è che al Sierpinskij tutto questo dispiacesse, in particolare quando i discorsi vertevano sulla fisica o sullo zen; tuttavia, la cosa stava diventando un poco fastidiosa, per frequenza ed intensità. La goccia che, come suol dirsi, fece traboccare il vaso ha, come ora vedremo, del paradossale. Tutto avvenne in un giorno di maggio, un poco prima che cominciassero le sessioni di esame. La sera precedente il Sierpinskij si era dilettato a cucinare un piatto non proprio dietetico, la cui realizzazione gli era 1 Niels Henrik David Bohr, uno dei padri della Meccanica Quantistica. 2 Sembra che il Bohr avesse spiccata tendenza a ‘braccare’ le persone: ad esempio, George Gamow (un grande fisico) narra che una notte svegliò lui e Leon Rosenfeld (un altro fisico) per comunicare loro di essere riuscito a trovare il nome di una città che compariva nelle parole crociate con cui si erano dilettati quella sera. Una situazione analoga a quella qui descritta si verificò anche tra Bertrand Russell e Ludwig Wittgenstein. Scrive il Russell: “Veniva di solito a trovarmi nella mia stanza a mezzanotte e per ore e ore passeggiava avanti e indietro come una tigre in gabbia”. Peraltro, non è che si parlasse solo di filosofia: Wittgenstein teneva anche ai consigli del Russell. Ad esempio, un giorno gli chiese: «Potete dirmi per piacere se sono un perfetto idiota o no?». «Mio caro - rispose il Bertrand non lo so. Perché me lo chiedete?». «Perché - spiegò Ludwig - se sono un perfetto idiota farò l’aviatore; se non lo sono farò il filosofo» (B. Russell “Ritratti a memoria”, pag. 26, Longanesi, 1969). In relazione a questa dichiarazione del Wittgenstein, è doveroso ricordare che l’Ufficio Studi della RAF sostiene da tempo che egli riferì invece: «Perché se sono un perfetto idiota farò il filosofo; se non lo sono farò l’aviatore». Pur essendo questa interpretazione molto più plausibile di quella riportata dal Russell (visti anche i precedenti studi del Wittgenstein, laureato in ingegneria meccanica e specializzato in aeronautica), non ci sono tuttavia in merito convincenti prove documentali. 86 stata pazientemente insegnata durante il suo lungo soggiorno romano dalla sora Assunta, moglie del suo amico (poi suocero) Ercole Proietti: i ‘Fagioli con le Cotiche’. Bisogna dire che il Nostro riusciva a preparare questo manicaretto proprio a puntino, scegliendo personalmente le migliori cotiche del mercato ed usando dei fagioli di notevole pezzatura, che si faceva inviare espressamente dal Messico; ma poche persone avevano poi il piacere di gustare con lui tale leccornia in quanto egli, smessi gli abiti del cuoco, era solito “spazzolare” il tutto da solo, innaffiandolo con enormi boccali di birra ben gelata. Sicché, quel giorno, non appena finito di tenere lezione fu percorso – come sempre dopo accadeva - da borborigmi vari, messaggeri inconfondibili di impellenti necessità corporali. Non era una sensazione spiacevole, anzi; ma egli, anche per esperienze passate, ritenne opportuno recarsi lesto al bagno del piano onde evitare di trovarsi in imbarazzanti situazioni, magari in presenza di suoi colleghi o, peggio, di studenti. Era ancora ferito, il Sierpinskij, da un nomignolo che gli avevano affibbiato anni prima: “Basso continuo”. Da qui la cautela del Nostro. E così, stando comodamente seduto a leggere la Gazzetta di Berlino, si stava ora liberando del gonfiore e di quant’altro. Ad un tratto sentì insistentemente bussare alla porta del bagno. «Occupato!!!» gridò con voce strozzata. «Faccia con comodo, Professore» sentì rispondersi. «Sono Niels». «Bohr... e cosa vuole da me?... adesso?!?» esplose. «Volevo esporle una mia idea, sempre se ha un minuto di tempo» precisò implacabile questi. Sierpinskij sentì il sangue andargli alla testa. «Mio caro ragazzo - proruppe - Lei ha battuto ogni record: è riuscito a superare per fastidiosità anche l’Enzensberger!». «Mi perdoni, professore, ma sarebbe urgente...» ribatté Niels. «Ho anch’io in questo momento un’urgenza cui fare fronte!» gli gridò il Nostro con ira. «Mi lasci in pace, almeno qua, vivaddio!!!» protestò. «Me ne scuso, professore, ma mi permetto di insistere» continuò imperterrito il Bohr. «Niels, vada al diavolo!» rispose inviperito il Sierpinskij. «Ci stia almeno un paio d’ore, raccontandogli tutti i suoi peccati. Poi, ammesso che non venga da questi precipitato per sempre all’Inferno, come sarebbe giusto, si presenti nel mio studio. Una volta le dissi: ‘Venga pure a trovarmi quando vuole nel mio gabinetto’; ma non intendevo questo gabinetto, intendevo il mio ufficio. Sono stato chiaro?!?» concluse poi con voce alterata. «Ho capito, profes- VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA sore... grazie... sarò puntualissimo». Sierpinskij, sentendo l’altro allontanarsi, cercò di ritrovare calma e concentrazione, onde concludere nel migliore dei modi la ‘seduta’ ancora in corso. Ma il momento magico era ormai passato. E così, non proprio liberato del tutto, decise di desistere. Tornato nel suo studio prese in esame certe carte, ma non riuscì a combinare nulla di buono in quanto la sua mente era occupata dall’evento che incombeva sul suo futuro immediato: la prossima venuta del Bohr. Questi non tardò a farsi aspettare. Riconoscendolo dai caratteristici colpetti secchi dati alla porta, il Sierpinskij gli gridò: «Avanti, Niels!». «Grazie, professore - disse lui entrando Niels Bohr (1885-1962) - spero di non disturbarla...». «Lei disturba sempre, Bohr, e in questo è davvero un artista» gli fece di rimando il Nostro. «Insomma, e non mi faccia perdere tempo: cosa c’è di tanto urgente?». «Un’idea, professore, un’idea che vorrei discutere con lei» rispose Niels. «Bene, sentiamola» lo sollecitò Sierpinskij, desideroso di finirla quanto prima. «Dunque, professore - principiò ad esporre il Bohr - come ella ben sa, si era proposto un modello dell’atomo consistente in un melange di cariche positive circondato da cariche negative. In altre parole, il volume dell’atomo è supposto riempito da un mare di tali cariche in quantità tale che il risultato del tutto sia uno stato neutro, come poi è dato a vedere. Il professor Rutherford ha eseguito un esperimento per verificare la bontà di questo modello. Egli ha bombardato, con particelle alfa emesse da un materiale radioattivo, una lamina d’oro, ottenendo risultati sorprendenti. Infatti, se il predetto modello rispondesse a realtà, quando una di queste particelle incontrasse un atomo, questa dovrebbe essere deflessa non più di tanto dalla sua traiettoria. Invece, come il professor Rutherford ha registrato, le deflessioni sono ben più consistenti. E questo fa pensare che le cariche positive siano concentrate al centro dell’atomo in un piccolissimo volume di spazio». «Ne sono a conoscenza, ovviamente» osservò acido Sierpinskij, infastidito da un incipiente mal di pancia, conseguenza dello svolgimento parziale delle sue funzioni così brutalmente interrotte da colui che ora stava parlandogli. «Comunque - proseguì - a parte questo, e a parte il fatto che io dubito ancora dell’esistenza di atomi e di molecole, dov’è il problema?». «Il problema - proseguì Bohr - è che, se così fosse, per aversi uno stato di stabilità le cariche negative, gli elettroni, dovrebbero ruotare intorno al nucleo; ma se esse girassero intorno al nucleo, inevitabilmente irraggerebbero energia. Di conseguenza, perdendo energia, precipiterebbero verso il nucleo stesso. E al proposito, mi sono fatto un po’ di conti: sembrerebbe questo un processo quasi istantaneo. Ma la materia è stabile. E allora come la mettiamo?». E ciò detto, il Bohr prese a guardarlo fisso, aspettando una sua risposta. Sierpinskij, intanto, anche a causa del persistente fastidio viscerale, come pure per un certo sudorino freddo che gli stava imperlando la fronte, sentì crescere esponenzialmente il suo odio per il Bohr. Decise così che quello era il momento propizio per togliersi di torno una volta per tutte il maleducato seccatore che stava lì dinanzi a vampirizzarlo, a complicargli la vita. Era davvero furibondo il Sierpinskij, come poche volte gli era capitato. L’urgenza, dunque, riguardava un modello dell’atomo! E non poteva aspettare a parlargliene? No, figuriamoci! Se la mattina non fosse venuto subito a cercarlo nel bagno, magari sarebbe andata in fiamme Berlino!!! «Mio caro Bohr - cominciò lentamente, trasudando ostilità nel tono e nella cadenza della voce - Lei non è solo un essere spregevole, disgustoso ed invadente: è anche un cattivo fisico, perché non riesce a vedere le cose nella loro interezza. E questo è tanto più grave in uno che si picca di essere un conoscitore delle dottrine orientali. Gli elettroni non cadono nel nucleo per un semplice fatto: ché continuano a girare, a girare. E sa perché? Perché dei rompiscatole insistono a seccare l’atomo, bombardandolo con le particelle più diverse, lui che se ne sta tranquillo per i fatti suoi! E all’atomo girano gli elettroni, caspita se gli girano!». A questo suo dire, il volto di Niels cominciò a sbiancare. Resosi conto del fatto, l’ira del Sierpinskij invece di placarsi crebbe. «Questo fenomeno avviene anche nel mio caso» proseguì. «Io sto in pace con me stesso e lei si industria a turbare questa pace. E questo mi irrita, sommamente. E irritandomi - continuò alzando il tono della voce - le mie palle si mettono a girare... girano, girano, girano; e questo giramento non si arresta mai: continua, continua sempre. Mi capita anche con altre persone, certo; ma mai come con lei! Ecco - disse tracciando ripetutamente col braccio un circolo nell’aria - questo è il caratteristico ‘giramento’ che mi deriva dal Fiondiskij. E questo - continuò, girando il braccio più velocemente - è l’effetto che mi provoca la sola presenza dell’Enzensberger. Ma questo qua supera tutti: ecco l’effetto 87 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA che lei mi provoca, Bohr!». E prese a roteare vorticosamente il braccio, quasi fosse stato colpito da un attacco. «Ad ognuno di voi corrisponde un ‘giramento’. E il suo, è il massimo! Scompaia dalla mia vita, Niels, scompaia per sempre!!!» concluse gridando. E ciò detto, si alzò rapidamente, avviandosi con passo spedito (quasi di corsa) verso i bagni del piano. Colà giunto, riuscì finalmente a liberarsi di quanto ancora gli era rimasto in corpo. Nel mentre, seduto nel ‘pensatoio’, il Sierpinskij – ora più calmo - non poté non riandare con la mente a quanto era appena accaduto: «Certo, ho davvero esagerato» rifletté. «Povero, Niels: l’ho trattato assai duramente, anche con modi volgari. E che termini ho usato, mio dio! Sono stato davvero ingiusto. In fondo, egli è un giovane entusiasta, che vuole apprendere, che sta facendosi strada nella vita. Prima o poi dovrò scusarmi con lui». E sentendosi ormai ben rinfrancato, uscì dal gabinetto per procedere nel rituale igienico che segue l’espletamento di certe funzioni. Datasi infine una rinfrescatina al viso, ritornò tranquillo nel suo studio. Con sua grande sorpresa, vi trovò ancora il Bohr che stava tracciando su un foglio una serie di circoli, accompagnati accanto da alcune formule. «Girano, girano... qua... e qua…» diceva tra sé e sé. E scòrtolo, esclamò: «Lei è un genio, professore, un genio!!! E il suo metodo didattico... proseguì - ... la sua capacità di reificare i concetti... è quanto di più efficace io abbia mai avuto modo di incontrare. Lei 88 ha assolutamente ragione» proseguì guardandolo con occhi in cui gioia ed esaltazione si alternavano «Gli elettroni girano, girano, girano... ognuno sulla sua orbita... le orbite sono quantizzate!!!».3 E detto questo, raccolte le sue carte, uscì trafelato dallo studio del Sierpinskij, senza nemmeno salutarlo. Il nostro rimase a lungo in silenzio. «Cosa mai avrà trovato di così interessante Bohr nella mia sfuriata di prima?» si chiese. «E che idea crede io gli abbia dato?». «Certo - rifletté ancora - non so proprio immaginare come egli possa aver risolto il suo problema. Tuttavia, una cosa è sicura: la prossima volta con cotiche e fagioli dovrò andarci più piano!». 3 All’epoca si era visto, tramite una tecnica detta ‘spettroscopia’, che gli atomi emettono (o assorbono) solo luce di certi colori. Addirittura, ogni tipo di atomo risultava avere un suo caratteristico insieme di colori; e quelli emessi coincidevano con quelli assorbiti. Tramite queste ‘impronte digitali’ degli atomi fu possibile rispondere alla domanda: “Di cosa sono fatte le stelle?”. Ipotizzando che gli elettroni potessero ruotare intorno al nucleo dell’atomo solo su certe orbite (da qui la ‘quantizzazione’), Bohr mostrò che i detti colori corrispondevano alle differenze energetiche tra due qualsiasi di queste orbite. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 47. Un ingegno... infinito * * IMPORTANTE!!! Prima di leggere questo raccontino è necessario procedere ad una potente ‘vaccinazione’, onde evitare tragici effetti collaterali. A tal uopo si legga con attenzione: A.A. Fraenkel, “Teoria degli Insiemi e Logica”, Ubaldini Editore, 1970. P resso l’Università di Berlino si addottorò nel 1867 un ragazzo russo di ingegno invero assai brillante. Si chiamava costui Georg Ferdinand Ludwig Philipp Cantor. Nato a San Pietroburgo, si era poi trasferito con la famiglia, ancor giovinetto, in Germania. Sierpinskij aveva avuto modo di conoscerlo in quanto egli era figlio della musicista russa Maria Anna Bohm, cara amica di sua madre, Maria Sonja Kolkolowska, anch’ella valente concertista. Era solito il Cantor, come molti altri, chiedere consigli al Sierpinskij sulle ricerche che stava portando avanti; e il Nostro non mancava di seguire l’attività del giovane con grande simpatia ed ammirazione, dandogli talora anche spunti di interesse. Un certo giorno egli si presentò nello studio del Nostro chiedendogli disponibilità per un colloquio. «Sarebbe per me della massima importanza, professore» gli disse. «Ho tutta la mattinata libera, carissimo» rispose Sierpinskij, invitandolo ad accomodarsi. «Discutere con lei, ragazzo mio, è per me sempre un grande piacere. Si tratta di quelle sue straordinarie idee sulla continuità?» lo interrogò. «Veramente, no, professore: volevo parlarle dell’Infinito»1 chiarì con malce1 Il concetto di ‘infinito’ ha sempre creato seri problemi, almeno fino a quando Cantor non lo ha un poco addomesticato. ‘La Parte è minore del Tutto’ sentenziava Aristotele. Parole sante, ma se questo ‘tutto’ è finito. Un ‘tutto’ infinito appare comportarsi invece in modo strano. Al proposito, già i geometri greci avevano mostrato come si potessero mettere in corrispondenza biunivoca i punti di due segmenti di diversa lunghezza. Dunque, i due segmenti, contro ogni evidenza e logica, avevano lo stesso numero di punti! Galileo Galilei (sì, proprio lui) mostrò successivamente come i numeri interi potessero essere messi in corrispondenza biunivoca con una loro parte (ad es. possiamo far corrispondere ad ogni numero intero il suo quadrato, o il suo cubo, o il suo doppio, ecc.). Ora, se consideriamo i doppi, da una parte si ha l’insieme dei numeri interi, cioè 1, 2, 3,..., dall’altra i loro doppi, 2, 4, 6, ..., ovvero i numeri pari. Sicché, gli interi (che possiamo immaginare come formati dai numeri pari e dai numeri dispari) appaiono tanti quanto una loro parte (i soli pari). Si era così dinanzi al paradosso che negli insiemi infiniti il ‘tutto’ e la ‘parte’ potevano presentare la stessa numerosità. Cantor, riflettendo, ritenne essere la cosa non già un’assurdità, quanto una precisa proprietà degli insiemi infiniti. Sicché egli pervenne alla definizione di insieme infinito lato imbarazzo Cantor. «Georg, Georg - lo redarguì il Nostro - queste sue elucubrazioni sull’infinito attuale mi sanno tanto di metafisica!». «No, no, professore - protestò questi - è pura matematica, glielo assicuro. Ieri sera poi ho avuto un’intuizione che mi sembra straordinaria: proprio di questa volevo parlarle». «E sentiamola» acconsentì il Nostro. «Coraggio, Georg» lo sollecitò. «Dunque... la scorsa volta le ho mostrato come fosse possibile mettere in corrispondenza biunivoca i numeri razionali con i numeri interi. I razionali hanno quindi la stessa potenza di questi ultimi» cominciò. «Lo ricordo» assentì il Sierpinskij. «Una dimostrazione davvero ingegnosa» sottolineò. «Sì, certo... - proseguì Cantor - ma questo è niente... insomma, ieri sera, mentre stavo cenando, mi è venuto in mente di fare la stessa cosa con i numeri reali. Sicché, dopo aver bevuto un buon bicchiere di porto, mi sono messo comodo a pensare su come affrontare il problema. Decisamente - proseguì - qui le cose sono un poco più complicate. Mi sono concentrato su un sottoinsieme dei numeri reali, quelli compresi tra 0 e 1, il che non è certo limitativo. Ebbene, ho formulato l’ipotesi che essi in tale intervallo fossero in corrispondenza biunivoca con gli interi. Ora, e questa è l’idea - disse poi, prendendo un foglio di carta su cui scrisse prestamente una serie di numeri - ho immaginato di costruire, operando su questa tabella di tutti i numeri reali compresi tra 0 ed 1, un particolare numero. Ho usato nel farlo il seguente procedimento: a parte lo zero iniziale, la prima cifra decimale di tale numero è data dalla prima cifra decimale del primo numero reale della tabella; la seconda cifra, dalla seconda cifra del secondo reale; e così via. Questo numero è quindi dato dalle cifre che compaiono sulla diagonale della tabella stessa, come si può vedere dallo schema» continuò, mostrando al Nostro l’appunto che aveva preparato. L’attenzione del Sierpinskij era al massimo. «La sto seguendo, Georg. Continui, la prego». «Ebbene - riprese questi - tale numero è certamente da qualche parte nella tabella. Ora però, se io cambio in questo numero la prima cifra decimale, la seconda, la terza, e così via, detto numero differisce da tutti come: “un insieme che può essere messo in corrispondenza biunivoca con una sua parte”. Successivamente, grazie al concetto di ‘insieme potenza’ di un insieme, egli scoprì che dato un certo insieme infinito si poteva, partendo da esso, costruire un insieme... ancora più infinito. Insomma, di insiemi infiniti ce ne sono... infiniti, di potenza via via crescente. 89 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA gli altri in quanto differisce da ognuno di questi almeno per la cifra cambiatane in corrispondenza. In conclusione, il numero così definito è un numero reale compreso tra 0 ed 1, ma non è in tabella. Ma questo è assurdo perché per costruzione la tabella in questione deve necessariamente comprendere tutti i numeri reali compresi tra 0 ed 1! Ne consegue, almeno a mio parere, che la premessa risulta falsa, e quindi che non è possibile creare una corrispondenza biunivoca tra numeri reali e numeri interi. Gli interi evidentemente non bastano, cioè l’infinità dei reali, la loro potenza, è superiore a quella degli interi. Ho chiamato questa tecnica ‘Procedimento diagonale’» concluse. La tabella mostrata da Cantor al Sierpinskij, dove compare il ‘procedimento diagonale’. Sierpinskij non disse nulla, ma si alzò dalla sua poltrona e prese a girare per la stanza con fare assorto. «Caro Georg disse ad un tratto - sono davvero ammirato dal suo acume. Anche apprezzandola molto, credo di averla sottovalutata. Ingegnoso, davvero ingegnoso. Tuttavia... ragioniamo... una cosa mi lascia perplesso: se invece che da numeri reali mi immagino la stessa tabella formata da numeri razionali (che so già con una dimostrazione costruttiva, la sua, essere in corrispondenza biunivoca con i numeri interi) ed applico il suo procedimento, spunta fuori un razionale non compreso nella tabella. Addirittura, se immagino una tabella di interi, tipo questa - e la disegnò prontamente sulla lavagna - applicando il metodo diagonale viene fuori un intero che non è in tabella...» concluse pensoso. 90 La tabella, disegnata alla lavagna dal Sierpinskij, dove il procedimento diagonale di Cantor è applicato ai numeri interi, scritti dal Nostro in una forma particolare onde mostrare chiaramente l’applicazione del procedimento. «Mi sta dando buoni motivi per riflettere, professore...» gli fece Cantor un poco mesto. «Mi sembrava troppo bello!» soggiunse. «È bello, bellissimo, Georg» lo rincuorò Sierpinskij. «E insista. Io, che l’ho sempre scoraggiata ad occuparsi dell’infinito, sono ora a spronarla. Tenga duro: non è che l’inizio. Come lei ben sa, le strade importanti sono tutte in salita. Se lei si fida del mio ‘naso’, io credo che da questa sua intuizione verranno fuori risultati epocali. Solo, se mi permette la battuta, stia attento a non scontrarsi con Santa Madre Chiesa, che non ha mai visto di buon occhio queste speculazioni sull’infinito attuale. E adesso, data l’ora, se lei non ha impegni sarei felice di invitarla a pranzo» gli propose. «Ne sarò onorato... sempre se non disturbo» fece timidamente Cantor, un poco rincuorato. E, continuando a discutere sulla nuova idea di Georg, si avviarono verso il ristorante “Vecchia Varsavia”, gestito da un amico d’infanzia del Sierpinskij che, per gli strani casi della vita, era venuto anche lui a stabilirsi a Berlino. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 48. Evoluzione o Creazionismo? D opo un fitto scambio di lettere, finalmente Charles Darwin riuscì a farsi ricevere dal Sierpinskij. Era costui uno studioso piuttosto chiacchierato nel mondo accademico per via della sua teoria dell’Evoluzione delle Specie. Egli sosteneva infatti che la natura premia gli organismi che meglio si adattano all’ambiente e punisce gli altri, facendo sì che i primi si riproducano in numero maggiore dei restanti. In questo modo, col tempo, i meno favoriti scompaiono. Questo processo, supposto omnipresente, seleziona tra le specie quelle più adatte a sopravvivere. Morale della favola, sempre secondo Darwin, il mondo animale e vegetale che ci troviamo intorno, vivo o fossile che sia, viene (o è stato) determinato da questo meccanismo. Insomma, una sorta di precetto evangelico: «Chi ha molto riceverà ancor di più; ma a chi ha poco sarà portato via anche quel poco che ha».1 Il problema che affliggeva il Darwin non era costituito tanto dalla teoria in sé, peraltro da lui supportata con innumerevoli osservazioni e copioso materiale raccolto durante i suoi viaggi,2 quanto dalle conseguenze della teoria stessa. Una delle più imbarazzanti era che in questa visione dell’evolversi del mondo l’uomo risultava necessariamente discendere dalle scimmie. E questa era la pietra dello scandalo non solo per gli accademici e i benpensanti, ma soprattutto per i ‘creazionisti’ che trovavano la cosa in contrasto con le Sacre Scritture, principalmente con quanto descritto nel libro biblico della Genesi. Ora, essendosi il Sierpinskij dichiarato nel corso di un importante simposio ‘possibilista’ sulla teoria del Darwin, ma avendola nel contempo aspramente criticata a favore del creazionismo, il buon Charles era partito da Londra per incontrarlo e comprendere meglio cosa egli davvero avesse in mente. «Anche se lei resterà sommamente sorpreso, amico mio gli disse scherzosamente il Sierpinskij accogliendolo nel suo studio - io sono un fautore della sua teoria: lei caro Darwin è la prova vivente che l’Uomo discende dalle scimmie!».3 1 Vangelo secondo S. Luca, 19, 26. 2 In particolare nel suo viaggio intorno al mondo sulla nave HMS Beagle, all’inizio degli anni ’30 del XIX secolo. 3 In effetti, il Darwin fu spesso oggetto di feroci vignette satiriche che lo ritraevano (senza soverchie difficoltà) con aspetto scimmiesco. E così detto, prese a dargli amichevoli pacche sulle spalle, indicandogli nel contempo una poltrona su cui accomodarsi. Bisogna dire che, nonostante la sua flemma tipicamente inglese, il Darwin ci restò molto male in quanto era stato spesso fatto oggetto di pungenti vignette satiriche che mettevano in risalto il suo viso decisamente scimmiesco. Peraltro, le ‘amichevoli’ pacche del Nostro, di Haschleckiana memoria,4 gli avevano quasi slogato la spalla. Comunque, non fece commenti. Dopo essersi seduto sulla comoda poltrona, principiò a parlare con voce ferma e profonda: «Caro professore, ho sollecitato questo colloquio per capire se lei vede qualche possibilità nella mia teoria, oppure se l’avversa. Cosa ella veramente pensi non mi è ancora chiaro. So di suoi giudizi favorevoli, come pure di sue dure critiche. Non avendo potuto partecipare all’incontro dove ella ha esternato queste sue convinzioni, e non essendo riuscito ad avere da persone presenti chiari resoconti, eccomi qua per ascoltare da lei direttamente le sue idee in proposito. E le sono sin d’ora infinitamente grato per il tempo che ha deciso di dedicarmi» concluse. «Caro Darwin - prese a dire il Sierpinskij, cui non era sfuggito il moto di dispetto dell’uomo alla sua iniziale battuta spero non si sia offeso per la mia innocente facezia di prima. Le sia questa, anzi, una misura della mia benevolenza nei suoi confronti. Ma veniamo alla sua teoria. Cosa ne penso? Difficile dirlo. Sto ancora meditandoci su. Ragion per cui, al massimo, le potrò esporre alcune mie riflessioni, lasciando a lei, poi, di trarne conseguenze. Sempre, naturalmente, se le può far piacere e tornare utile» concluse. «Mi sarà certo utilissimo, professore» rispose premuroso il Darwin. «La sua onestà intellettuale è fuor di dubbio, come pure è proverbiale la sua capacità di analisi. Ogni cosa che mi dirà sarà sicuramente preziosa» soggiunse. «Bene, molto bene» riprese Sierpinskij. “Intanto, sono io a ringraziarla di essere venuto a trovarmi a Berlino. La sua visita mi onora in quanto lei gode della mia stima, che io sia o meno a favore della sua teoria. Detto questo, caro Charles, mi permetta di chiamarla amichevolmente così, io mi trovo di fronte a questa sua idea dell’evoluzione un poco come l’asino di Buridano5: essa mi sembra da un lato un’i4 A tale inquietante consuetudine il Sierpinskij era stato avviato dal barone Jaroslav Haschleck, durante il suo soggiorno praghese. 5 Le ingiustizie della vita! Giovanni Buridano, illustre filosofo del XIV 91 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Charles Darwin (1809-1882) potesi che chiarisce una miriade di fatti, ma nel contempo mi appare anche in contrasto con il Calcolo delle Probabilità. Vengo meglio a spiegarmi» precisò. «Con il calcolo delle probabilità?!?» lo interruppe sorpreso il Darwin. «Dopo» fece Sierpinskij. «Questo lo vediamo dopo. Partiamo invece dall’inizio. Dunque, nei suoi trattati ‘Origine delle Specie’ e ‘Origine dell’Uomo’, io trovo che vi siano solide basi per poter definire questa sua teoria come ‘scientifica’, e quindi degna della massima considerazione in campo accademico. E queste basi sono date soprattutto dal materiale da lei raccolto nei suoi viaggi, come pure dai ragionamenti assai razionali e convincenti con cui ella supporta i collegamenti da trarsi tra quanto testimoniato dai materiali stessi. Peraltro, con la mia fedele pascalina mi sono anche fatto un po’ di conti, ipotizzando due specie presenti in uno stesso territorio, l’una con chance riproduttiva del 51%, l’altra con una chance simile, ma leggerissimamente minore, del 49%. Orbene, pur non tenendo conto delle quantità necessariamente limitate di cibo disponibile, come messo in luce dal Malthus6, sec., è conosciuto oggi da tutti... per via dell’asino. 6 Thomas Robert Malthus sosteneva infatti che mentre la popolazione cresce in progressione geometrica, la disponibilità di alimenti aumenta 92 si vede facilmente che anche solo dopo 20-30 generazioni questo piccolissimo vantaggio basta a far sì che la popolazione totale sia in prevalenza costituita da individui della prima specie. È certo un modello matematico assai rozzo; ma la dice lunga. In conclusione, per questa parte della medaglia io credo si possa dire che né satira né tradizione possano autorizzare alcuno a rigettare a priori la sua teoria. Ma come in ogni medaglia - proseguì il Nostro - c’è anche l’altra faccia, che poi è quella del calcolo delle probabilità, cui le accennavo all’inizio. Quali sono, mio caro Charles, le sue conoscenze in merito?» gli chiese a bruciapelo. «Poco o niente, professore...» gemé il Darwin. «Bene... cioè male» osservò severo Sierpinskij. «Comunque... nulla di irreparabile: cercherò di spiegarle i concetti del Calcolo a mano a mano che svolgerò le mie considerazioni» lo rinfrancò. «Cominciamo quindi a preparare il terreno con un esempio: un nostro amico un certo giorno ci dice: ‘Mi è successo un fatto incredibile: ho lanciato trenta volte una moneta ed è uscita sempre testa! Ho pensato che la moneta avesse testa sui due lati o che fosse massimamente sbilanciata. Ho controllato: la moneta aveva una testa e una croce; ed era regolare. È davvero incredibile!’. Orbene, lei, Darwin, crederebbe a questo amico?» lo interrogò il Nostro. «Beh... se fosse uomo dabbene, di provata probità... - cominciò questi - sì, gli crederei. Il fatto, comunque, resterebbe sempre straordinario» concluse. «Anche se posso in parte essere d’accordo con lei, vista l’ipotizzata onestà dell’amico - osservò il Nostro - io ritengo farebbe molto male a credergli. Ragioniamo: se la moneta fosse effettivamente equilibrata, la probabilità che su un lancio esca testa sarebbe pari a 0.5. Che escano due teste in due lanci allora questa sarà, per l’indipendenza dei lanci, pari a 0.5 ⋅ 0.5 = 0.5 2 = 0.25 . E così via. Quindi, la probabilità di ottenere N teste in N lanci sarà: Pr( N testesu N lanci ) = 0.5 ⋅ 0.5 ⋅ 0.5 ⋅ 0.5 ⋅ 0.5... = 0.5 N . Sicché, la probabilità che escano 30 teste in 30 lanci varrà 0.5 30 = 9.313225746 ⋅ 10 −10 , ovvero qualcosa come una su mille miliardi. Decisamente, l’amico o sta mentendo o crede (erroneamente) che siano uscite di fila 30 teste. Diciamo che se lo è sognato» tagliò corto. Darwin non perdeva una parola di quello che Sierpinskij stava dicendo. invece in progressione aritmetica. Al proposito, Johnathan Swift suggerì nel suo ‘A modest proposal’ di destinare alle macellerie i bambini paffuti e grassottelli. In questo modo, sosteneva, si otterrebbero due effetti virtuosi: da una parte diminuire le bocche da sfamare; dall’altra aumentare la disponibilità di cibo. Per motivi difficili da spiegare, l’idea di Swift non ha mai trovato applicazione. Poi, non lamentiamoci se le cose vanno male. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Michelangelo, particolare della Creazione di Adamo «Applichiamo ora il ragionamento visto alla sua teoria - proseguì con calma il Nostro - e prendiamo un volontario della sua Londra, mister George Brown. George Brown, come noi tutti, ha avuto un padre, un nonno, un bisnonno, un trisavolo, e tutta la serie di arcavoli che lo hanno preceduto. Egli, poi, è di sesso maschile, come si deduce dal nome di battesimo. Orbene, quando suo padre e sua madre lo generarono, qual era la probabilità che egli risultasse poi di sesso maschile? Stando alle statistiche, un poco più del 50%. Ora, ponendo per semplicità questa probabilità pari al 50% (0.50), lo stesso ragionamento possiamo farlo per il padre di George Brown. Ma anche per il nonno... per il bisnonno... e così via. Abbiamo quindi una catena tipo quella prima vista per i lanci della moneta: 0.5 (George Brown) x 0.5 (padre) x 0.5 (nonno) x 0.5 (bisnonno) x ... 0.5 (arcavolo i-esimo)... x ecc. ecc. , sino al primo Brown che, peccando dietro una siepe con la sua compagna, ha dato origine alla ‘catena’. Facendo partire l’apparizione di questo progenitore a 100.000 anni da oggi, e ipotizzando tre generazioni a secolo, fanno tremila generazioni, ovvero tremila mister Brown che si sono passati nel tempo il testimone. Andando a fare i conti, e tenendo bene a mente il calcolo prima fatto per i lanci della moneta, la probabilità della catena di tremila maschi il cui ultimo discendente è George 3000 , ovvero in pratica a zero. Brown è quindi pari a 0 .5 In definitiva, l’evento appare non solo improbabile, ma assolutamente impossibile. È quindi razionale concludere che George Brown... non esiste. Questo stesso discorso, evidentemente, possiamo farlo per ciascuno di noi, maschio o femmina che si sia. Morale della favola: alla domanda “Esistiamo?” possiamo rispondere con un bel “No!”, granitico ed incontrovertibile. Tuttavia, siamo ben coscienti di esistere. E allora, come mai questa esistenza, da noi inequivocabilmente percepita, si trova a venir negata da un puro ragionamento deduttivo, di verità incontrovertibile? Evidentemente perché l’ipotesi di partenza è sbagliata: N è troppo grande». «Di conseguenza - concluse Sierpinskij - il Creazionismo, ponendo temporalmente più vicina a noi la data di comparsa dell’uomo sulla terra, e quindi sottendendo un N minore, appare più plausibile della sua teoria dell’Evoluzione; e tra i diversi creazionismi, quello che afferma che il mondo è stato creato un’ora fa, noi compresi con tutti i nostri ricordi, è quello che – razionalmente – appare il più convincente di tutti».7 Detto questo, il Nostro si accese un sigaro, aspettando domande dal Darwin. Purtroppo, non è dato a sapere cosa questi obiettò, e nemmeno se obiezioni vi furono. Quello che registrano le cronache è che l’inglese fu visto ripartire il pomeriggio dalla stazione di Berlino, né ebbe più la ventura di incontrarsi ancora con Sierpinskij. 7 “Supponiamo che il mondo sia stato creato un’ora fa. Tutti i ricordi e le altre tracce degli eventi ‘precedenti’ della nostra vita sono stati ugualmente creati un’ora fa per uno scherzo personale del Creatore. Come fate a dimostrare che non è vero?”. Questo problema fu proposto da Bertrand Russell nel 1921 (Nota: riteniamo utile raccomandare a tutti coloro che protesteranno per l’incongruenza delle date, magari sulla base del trascurabile fatto che nel 1921 Darwin era già morto, di evitare di rompere le scatole, ora e nel seguito). 93 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 49. L’Inesistenza dell’Etere T ra i tanti giovani che chiedevano talora di incontrarlo, uno era particolarmente caro al Sierpinskij. Si trattava di un ragazzo di Ulm, certo Albert Einstein,1 laureatosi in fisica e da qualche tempo impiegato all’ufficio brevetti di Berna. Il loro primo incontro non fu dei migliori (per l’Einstein, intendiamo). Il giovane Albert, avendo elaborato una complessa teoria per il trattamento statistico dei sistemi, dopo uno scambio di lettere si era recato a Berlino per esporla al Sierpinskij ed avere da lui un parere. Terminati i consueti convenevoli, l’Einstein, usando l’ampia lavagna dello studio del Nostro, espose a questi la sua teoria. E alla fine, deposto il gessetto accanto alla cimosa, si sedette aspettandone i commenti. Il Sierpinskij rimase molto colpito dalla “lezione” di Albert. Il giovane era stato chiaro, 1 Albert Einstein, nato ad Ulm il 1879 e morto a Princeton il 1955. Difficile parlarne. Quest’uomo è stato davvero un punto singolare nella storia della nostra specie, sia per quel che riguarda la scienza, sia per quel che concerne la filosofia. “Albert Einstein, scienziato e filosofo” si intitola appunto una raccolta di lavori in suo onore, dove compare anche una sua autobiografia scientifica. Difficile parlarne, si diceva. E questo perché il suo contributo alla conoscenza è stato così ampio e determinante che, letteralmente, non si sa da dove cominciare volendolo descrivere. Ma non possiamo esimerci dal farlo, sia pur sommariamente. Sicché, partiamo dall’inizio. Ancor giovinetto, fresco di studi (si laureò nel 1900), ritrovò da sé, non avendone avuto notizia, i risultati ottenuti da Boltzmann e da Gibbs nella teoria cinetico-molecolare della termodinamica e nella meccanica statistica. Concepire tali ardui concetti, sistematizzandoli per giunta, non poteva non testimoniare che il cervello del giovane era davvero fuori dell’ordinario. Anche se la produzione scientifica di Einstein si fosse limitata solo a questo, il suo nome avrebbe dovuto essere inciso comunque a lettere d’oro negli annali della scienza. Tutti i suoi lavori hanno lasciato profonda traccia. Per citarne solo alcuni tra i più importanti, a lui dobbiamo: la prova dell’esistenza delle molecole (lavoro sul moto browniano); la dimostrazione della natura quantistica dei fenomeni (lavoro sull’effetto fotoelettrico); un nuovo concetto di tempo e di spazio (Relatività ristretta); l’equivalenza massa-energia (la sua nota formula: E=mc2); la rappresentazione geometrica della gravità (Relatività generale); il principio del laser (lavoro sull’emissione stimolata); la statistica dei bosoni (statistica di Bose-Einstein). Pur essendone nei fatti il padre, Einstein considerò sempre la meccanica quantistica come una descrizione provvisoria dei fenomeni (tuttavia, questo suo punto di vista, che lo vide spesso in polemica con Bohr e la sua scuola, non sembra oggi corretto alla luce dei risultati di esperimenti basati sul teorema di John Bell). Negli ultimi anni della sua vita tentò di realizzare una Teoria Unificata delle forze della natura. Queste sue ricerche non ebbero successo (il problema non facile, che è ancora alla base dell’unificazione, è mettere d’accordo la meccanica quantistica, intrinsecamente discreta, con la relatività generale, di per sé continua). Questo campo di ricerca, dopo essere stato un poco trascurato, è ritornato da qualche decennio all’attenzione dei fisici. 94 sintetico, financo un poco ironico in certi punti. Dimostrava una maturità inconsueta per i suoi anni. E questa sua teoria, peraltro, era assai complessa e ben articolata. Purtroppo (c’è spesso un ”purtroppo”) essa non costituiva una novità. «Caro Einstein - prese a dire il Sierpinskij - sono davvero colpito da quanto ella mi ha testé presentato. Lei ha un nome singolare: traducendolo letteralmente, significa ‘Una pietra’. Ebbene, parafrasando il Vangelo, se mi è concesso, non sarei stupito se un giorno questa pietra fosse una di quelle alla base della fisica. È un augurio che le rivolgo, naturalmente. E lo faccio perché il suo cervello, ragazzo mio, mostra di essere di prim’ordine. La sua teoria è davvero seducente, e assai complessa: tuttavia, già altri l’hanno esposta. In particolare, intendo riferirmi al prof. Gibbs.2 Mi duole doverle dire che la meccanica statistica è già stata da lui compiutamente formulata anni or sono. L’ha pubblicata su una rivista americana; e questo probabilmente spiega come mai lei non ne abbia avuto notizia». Einstein restò allibito. «Mi sembrava troppo bello...»3 disse con un fil di voce. «Coraggio, ragazzo mio - lo rincuorò il Nostro - capita a tutti, è successo anche a me, tante volte. L’importante, però, è che succeda. In fondo, pensare indipendentemente da altri cose notevoli ci fornisce una misura del nostro valore: che altri le abbiano già pensate, mi creda, è marginale». «Grazie, Maestro» rispose mestamente Albert. «Lei è molto generoso ed anche, se posso permettermi, affettuoso nei miei confronti. Comprendo quanto sia vero ciò che lei mi dice. Solo che ora, non lo nascondo, il mio morale è proprio a terra». «Diamine!» esclamò il Sierpinskij. «Questo è un successo, non certo un fallimento: lo ricordi sempre. Ma, tornando ai suoi studi, mi parli delle altre idee che senza dubbio sta sviluppando». «Non vorrei approfittare, professore, incomodandola ulteriormente» osservò il giovane. «Incomodarmi? Sta scherzando?» replicò il Nostro, sorridendogli. «Lei per me, Albert, è una boccata d’aria. Mi racconti, mi racconti». 2 Si tratta di Josiah Willard Gibbs. Una sua gustosa frase è ricordata da J.D. Barrow: ‘Un matematico può dire quello che gli pare, ma un fisico dev’essere almeno parzialmente sano di mente’ (citato da J.D. Barrow in: “Da zero a infinito, la grande storia del nulla”, Mondadori, 2001). 3 “Non conoscendo le precedenti ricerche di Boltzmann e Gibbs, che avevano già esaurito l’argomento, sviluppai la meccanica statistica e la teoria cinetico-molecolare della termodinamica che si basava su di essa” (A. Einstein, ‘Note autobiografiche’, in “Albert Einstein, scienziato e filosofo” a cura di Paul A. Schilpp, pag. 25, ed. Boringhieri, Torino, 1958). VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA «Invero, sto da tempo meditando sul moto browniano: se si riuscisse a descrivere bene il fenomeno io credo si potrebbe mettere in evidenza l’esistenza delle molecole. Il movimento delle particelle in sospensione è una sorta di moto perpetuo. A mio parere, esso non può che riflettere il movimento delle molecole del liquido che, urtando continuamente le particelle, così lo determinano». «Francamente - gli disse il Sierpinskij - io non credo molto all’esistenza delle molecole; tuttavia, se mai lei riuscisse a descrivere il moto browniano, sarei pronto a convertirmi». «Ma quale approccio seguire, professore?» lo interrogò Einstein. «E lei me lo chiede? Mi meraviglio!» rispose con studiata enfasi il Sierpinskij. «Applichi al moto browniano la Meccanica Statistica di cui mi ha appena parlato e poi vedremo». «In effetti, ha ragione professore: non ci avevo pensato» assentì Einstein. «Ora, mi racconti di altri suoi interessi» lo incoraggiò il Nostro. «È un piacere conversare con lei, ragazzo mio». «E per me è un privilegio, professore» precisò Einstein. «Un altro fatto che mi ha colpito - proseguì - è che non si riesca a mettere in evidenza la presenza dell’Etere. L’esperimento di Michelson, ormai ultraverificato, mi ha lasciato assai interdetto: dell’Etere nessuna traccia. Eppure, i livelli di precisione delle misure raggiunti sono tra i più elevati. Se l’Etere non esiste, io credo bisognerà rivisitare molti concetti, quello di ‘tempo’ ad esempio. Secondo lei, l’Etere c’è o no?» concluse. «Ho riflettuto molto sulla cosa, perché di certo i risultati di Michelson appaiono ben strani» prese a dire il Sierpinskij. «Vuole una risposta rigorosa, il che implicherebbe almeno un paio d’ore, o una risposta spiritosa che comunque giunge alle stesse conclusioni?». «Vada per la risposta spiritosa, professore» sorrise divertito l’Einstein. «Per come mi sento adesso servirà anche da terapia». «Molto bene» riprese Sierpinskij. «Se l’Etere permeasse tutto il mondo esistente, cosa avverrebbe, Albert?» gli domandò. «Non so dirle, professore...» fece titubante Einstein. «Nei fatti, sono qua a chiederglielo». «Eppure, ragazzo mio, è semplice» gli disse di rimando Sierpinskij. «Se l’Etere fosse in ogni dove, noi saremmo tutti... perennemente anestetizzati, completamente incoscienti. Ma siccome siamo coscienti, e siamo anche coscienti di questo nostro essere coscienti, ciò significa che l’Etere non permea ogni cosa. E poiché basta pochissimo etere per dare gli effetti che sappiamo, con grande probabilità l’Etere non esiste. Esso è quindi un’ipotesi non necessaria, di cui bisogna fare a meno. Ogni teoria includente l’Etere è quindi verosimilmente fallace» concluse trionfante. A questo suo dire, l’Einstein prese a ridere di gusto. «Me lo ricorderò, professore» gli disse continuando a ridacchiare. «Questa è la più bella lezione di fisica che mi sia mai capitato di ascoltare». «Comunque - proseguì il Sierpinskij - parlando ora seriamente: visto che l’Etere non c’è, altrimenti Michelson l’avrebbe messo in evidenza, quali conseguenze se ne debbono trarre? Lei mi parlava di rivisitare il concetto di tempo: per quale ragione?» gli chiese. «Ha a che fare con le equazioni di Maxwell. Ma sarebbe un po’ lungo a spiegarsi, professore. E purtroppo, tra poco debbo prendere il treno per tornare a Berna. Sa com’è... il servizio...» rispose spiaciuto il giovane. «Bene - fece il Nostro, apprestandosi a congedarlo - ci sarà altra occasione. Insista, Einstein. Farsi strada non è facile. Ma lei ha delle buone idee e un cervello idoneo per svilupparle. Solo, non si faccia scoraggiare dagli insuccessi e dalle inevitabili difficoltà: sono un banale rumore di fondo della vita». E mentre si stringevano la mano, Einstein lo guardò fisso negli occhi e gli disse «Grazie, professore, grazie per il suo incoraggiamento: non mi capita spesso».4 Molti anni dopo, Albert Einstein scrisse da Princeton una lunga lettera al Sierpinskij, inviandogli anche alcuni estratti di suoi lavori, con dedica. «Come vede, professore, i suoi consigli mi sono stati molto utili» gli diceva. «Non è che ne ha altri per un ricercatore ormai non più tanto giovane?». Sierpinskij gli rispose con una cartolina, che fu poi religiosamente conservata per il resto della vita dal destinatario. In essa il Nostro diceva soltanto: «Caro Einstein, in effetti un consiglio da darle l’avrei. E basta! Lasci trovare qualcosa anche ad altri!». In serata, solo nello studio, il Sierpinskij prese a riflettere sull’incontro avuto con l’Einstein: «Che bravo giovane» si disse. «Averlo con me a Berlino...». Poi, ad un certo punto, cominciò a sghignazzare: «Forse avrei dovuto raccontarglielo... ma come avrei potuto?». E mentre la risarella continuava a scuoterlo, ripensò a quando aveva dovuto gettare nel cestino della carta straccia una sua ponderosa memoria di circa 300 pagine, intitolata “Principi di Meccanica Statistica”, dopo aver letto in una rivista canadese una lunga monografia a firma di un certo Gibbs, che illustrava in forma più chiara e più completa gli stessi concetti contenuti nel suo lavoro. 4 In effetti, non sembra che egli fosse molto considerato all’Ufficio Brevetti di Berna. Si narra che quando nel 1909 informò il suo capo che avrebbe rinunciato all’impiego poiché l’università di Zurigo lo aveva chiamato a ricoprire la cattedra di Fisica Teorica, questi gli gridò: «Herr Einstein, non fate scherzi stupidi; nessuno potrebbe credere ad una simile assurdità». D’altra parte, per ogni incredulo c’è sempre qualcuno che ha fede. Quando si presentò anni prima ad un colloquio con il direttore dell’Ufficio Brevetti di Berna (grazie ad una segnalazione del suo amico Grossman), questi gli chiese: «Herr Einstein, che cosa sa lei dei brevetti?». «Niente» rispose candidamente il Nostro. Ora, invece di congedarlo – come sarebbe stato ragionevole – quel tal direttore prese con lui a discutere di argomenti scientifici e tecnici. E alla fine del colloquio lo assunse come capufficio, con uno stipendio di 3.000 franchi all’anno che, per l’epoca, era davvero una ‘bella sommetta’, come direbbe il nostro grande Mike Bongiorno (rif. A. Bertin, “Einstein: la vita, il pensiero, i testi esemplari”, Sansoni, 1971). 95 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 50. Pauli e Fiondiskij: attenti a quei due S u suggerimento del Bohr, come pure di altri eminenti fisici dell’epoca, si recò a Berlino per passarvi un periodo di studio con il Sierpinskij un certo Wolfgang Pauli.1 Costui era stato caldamente raccomandato al Nostro anche da un suo grande amico, Arnold Sommerfeld, che seguiva il giovane praticamente da sempre.2 Era il Pauli un ragazzo assai simpatico, leggermente grassottello come spesso lo sono alcuni austriaci. Ma, decisamente, egli non era una persona normale. Dopo averci parlato un paio d’ore, il Sierpinskij gli disse: «Caro Wolfgang, poche volte mi sono trovato in imbarazzo, come ora mi trovo con lei». «Non sono all’altezza, professore?» chiese preoccupato lui. «No, per carità!» gli rispose sorridendo il Sierpinskij. «Lei va benissimo: sono io che non sono alla sua altezza». «Mi sta prendendo in giro, forse?» fece il Pauli un poco confuso. «Mai stato più serio di adesso» precisò il Nostro. «Lei è un distillato di eccellenza, mio caro. Prevedo che la fisica le dovrà molto in futuro. La sua giovane età contrasta con la maturità che lei ha raggiunto. Io sono ben felice di averla qui con me, anzi ne sono onorato. Solo, mi chiedo, in quale modo potrò giovarle. Dovrò pensarci attentamente, caro Wolfgang, e non sarà compito semplice». Pauli rimase in silenzio, decisamente preso alla sprovvista. «Non sta scherzando, allora?» disse con un fil di voce. «Amico mio - gli rispose in tono deciso il Sierpinskij - su queste cose io non scherzo mai. E poi, non prendiamoci in giro: lei è ben cosciente di essere una persona eccezionale. Quello che io le sto dicendo, e di questo può anche ringraziarmi in quanto le sto dando una mia precisa valutazione, è che lei è un genio. Ammetterà - soggiunse poi - che non è facile prendersi cura di un genio e sollecitarlo ad esprimere le sue qualità. 1 Si tratta di Wolfgang Ernst Pauli (Vienna, 1900; Zurigo, 1958), un gigante della fisica, premio Nobel nel 1945. Pauli è stato uno dei padri fondatori della meccanica quantistica. A lui si debbono tra l’altro il Principio di Esclusione e l’ipotesi dell’esistenza del neutrino. 2 Genio davvero assai precoce, nel 1921 scrisse un trattato sulla teoria della relatività, ancora oggi attuale. Nella prefazione dell’opera, Sommerfeld, che ne era l’editore, sentì la necessità di garantire per lui, data la sua giovane età: Sommerfeld... “come editore di questo volume dell’Enciclopedia si assumeva la responsabilità della mia opera”, scriverà Pauli nella prefazione all’edizione italiana del libro, “Teoria della Relatività”, Boringhieri, 1958). Si osservi, incidentalmente, che si è in presenza di un ulteriore fatto corroborante il carattere iettatorio dei ‘giubilei’: come avvenne per Einstein, Pauli morì proprio nell’anno in cui scrisse la detta prefazione. 96 Di geni ne ho conosciuti molti; però un genio in casa non mi era mai capitato. Ma, ricordi sempre Wolfgang quello che le dico: non è tutto rose e fiori. Lei ha anche una grandissima responsabilità morale verso la comunità scientifica: quella di manifestare concretamente questo suo essere genio». Wolfgang, che non aveva perso una parola, si avvicinò lentamente al Sierpinskij e gli chiese: «Posso abbracciarla, professore?». «Perché no» gli rispose il Nostro. «Visto che non c’è niente di meglio, se lei si accontenta...». Al che al Pauli sfuggì una risata; e abbracciandolo gli sussurrò: «Grazie per le sue parole: cercherò di non deluderla». «Se vorrà deludermi, caro Wolfgang, dovrà mettercela tutta» osservò il Nostro. «Ma ora basta con gli abbracci, altrimenti sembrerà, come mi disse in una certa occasione Napoleone Bonaparte, che ci si voglia fidanzare. Mettiamoci al lavoro». E detto questo cominciarono a parlare di fisica, in special modo di alcune recenti idee che il Pauli stava cercando di sviluppare. Mentre discutevano su un aspetto tecnico legato ai livelli energetici dell’atomo di idrogeno, Wolfgang disse al Sierpinskij: «Il professor Bohr mi ha detto che è stato lei a suggerirgli di quantizzare le orbite elettroniche». «Macché - osservò il Nostro - io intendevo ben altro: è Niels che è convinto della cosa, a tal punto che voleva farmi firmare con lui l’articolo».3 «Eppure - proseguì Wolfgang - in molti mi hanno raccontato di aver avuto da lei spunti importanti». «Ha inteso male, ragazzo mio» ridacchiò il Sierpinskij. «Intendevano ‘spuntini’ in quanto, come avrà modo di rendersi conto, la mia conoscenza dei ristoranti berlinesi è davvero eccezionale. Sicché, affinché anche lei ne possa in futuro parlare con qualche giovanotto di talento, mi pregio di invitarla a cena, ché s’è fatto un poco tardi». Pauli rise di gusto e accettò volentieri. «Ma come fa alla sua età ad avere questo spirito e questa energia, professore?» gli domandò. «Buona salute, caro Wolfgang, solo buona salute, fisica e mentale» rispose, come suo solito il Nostro. «Ha ragione, professore» fece serio il Pauli. «E se la tenga stretta questa sua buona salute, ché non si può mai sapere. Mi ricordo mio nonno: mai avuto un raffreddore in vita sua. Poi, in una settimana se n’è andato!». A questo dire, il Sierpinskij si sentì profondamente inquieto; e per calmarsi non esitò a mettere in atto un rituale scaramantico piuttosto volgarotto, appreso a Roma 3 Si veda l’episodio ‘La quantizzazione delle orbite’, in questo stesso volume. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA da un certo Ercole Proietti, il quale soleva praticarlo tutte le volte che nella sua osteria entrava tal Aristide Zanotti, che in Trastevere godeva fama di menagramo. «Andiamo, andiamo, altrimenti rischiamo di non trovare posto nel locale dove voglio portarla» tagliò corto Sierpinskij, alzandosi. E mentre si avviavano verso il ristorante “Vecchia Varsavia”, pensò tra sé e sé: «Ma portasse jella?».4 Che in effetti questa ipotesi fosse plausibile fu poi confermato da una forte febbre, insortagli improvvisamente dopo qualche ora, che lo tenne a letto per due settimane. Quando si fu rimesso, il Nostro si riaffacciò in Facoltà. Mentre stava entrando nella sua stanza, lo raggiunse l’Enzensberger. «Come sta, professore?» gli chiese premuroso. «Un poco meglio, grazie. Ci sono novità?» domandò il Sierpinskij. «Molte, e non buone» rispose Noam. «Ha saputo della biblioteca?» aggiunse. «No. Che è successo?» fece allarmato il Nostro. «Nulla... nel senso che non è rimasto nulla» riferì l’Enzensberger. «Un incendio, rapido e devastante» precisò poi. «Madonna santa!» esclamò il Nostro. «E adesso come si fa? Poveri nostri libri! E che altro è successo?». «C’è stata un’esplosione nel laboratorio di chimica: due ustionati gravi» principiò ad elencare il Noam. «Una lavagna è caduta addosso ad uno studente del corso di algebra: trauma cranico. Un bidello della facoltà di filosofia è ruzzolato per le scale; ed è ancora ricoverato. L’insegnante di letteratura slava è stata travolta da una carrozza mentre stava venendo...». «Stop, stop» lo interruppe Sierpinskij. «Ma che sta succedendo, Noam? Una sequenza come questa è assolutamente improbabile!». «Veramente - rispose a voce bassa l’Enzensberger - io un’ipotesi ce l’avrei». «E quale?» chiese curioso il Nostro. «Vede, professore - riprese Noam, sempre mantenendo lo stesso tono di voce - mentre lei era ammalato, quel nuovo ricercatore... ». «Pauli?» interloquì Sierpinskij. «Non lo nomini, professore!» implorò l’Enzensberger. «Dunque... egli... ha fatto amicizia con il Fiondiskij: praticamente stanno sempre insieme a discutere della probabilità di eventi... improbabili, a carattere disastroso. Mi capitò di sentirli parlare di incendi e, zac!, è successo il fatto della biblioteca. Poi di incidenti, e sono accadute tutte le altre cose. Sono combinazioni, certamente, ma c’è da inquietarsi. Non per allarmarla - proseguì - ma sono molto contento di vederla in buona salute perché li ho sentiti parlare anche di lei durante la sua malattia...». A quel dire il 4 In effetti, Pauli qualcosa di strano addosso ce l’aveva. A tal punto che, dai e dai, tra i fisici cominciò a circolare l’espressione ‘Effetto Pauli’. Con questo si indicava l’irragionevole malfunzionamento di apparecchiature, elettriche o meccaniche che fossero, che inevitabilmente si verificava quando Wolfgang Pauli si trovava nel raggio di una ventina di chilometri. Scrive al proposito Victor Weisskopf, che fu a lungo suo assistente: «C’è poi il famoso ‘effetto Pauli’ che seguiva Pauli dovunque egli andasse. O almeno così si dice. Si diceva che persino la sua presenza nella stessa città poteva far fallire degli esperimenti. Una volta in cui Pauli era atteso in un laboratorio a Milano, i fisici decisero di fargli una burla. Collegarono una porta a dei fili elettrici così che, quando Pauli l’avesse aperta, si udisse nel laboratorio una fragorosa esplosione. Essi fecero varie prove per essere sicuri che funzionasse. Ma quando Pauli arrivò e aprì la porta, non accadde nulla» (V. Weisskopf, “Le gioie della scoperta”, pag. 100, Garzanti, 1992). Sierpinskij non poté fare a meno di praticare il rituale del Proietti, in dose doppia. «Permette che lo faccia anch’io, professore?» gli chiese Noam, avendolo scorto intento nell’operazione. «Faccia pure: è altamente consigliabile in certe situazioni». E mentre praticava il rituale di scongiuro, l’Enzensberger proseguì: «L’uno diceva: ‘Ce la farà?’; e l’altro replicava: ‘Certo che a quell’età può succedere di tutto. Io glielo avevo detto!’. Mi creda, ho temuto per lei, professore!». Anche al Sierpinskij capitò un giorno, non visto, di ascoltare un dialogo tra il Pauli e il Fiondiskij. «La vedo assai preoccupato, Janik» gli diceva Wolfgang. «In effetti così è, professore» rispose lui. «Da tre settimane tutto mi sta andando incredibilmente bene. Sono sulle spine: che scherzo starà preparandomi il Destino?». «Ha ragione, Maestro, non ci avevo mai pensato!» osservò il Pauli. «Se tutto va bene, è certo che prima o poi andrà male; e stando le cose come stanno, sarà più prima che poi» concluse. «Non solo - aggiunse Janik - ma sarà anche a caro prezzo, perché il Destino presenterà un conto particolarmente oneroso onde pareggiare la faccenda. Tutto si paga; e non c’è rimedio». Inutile dire che il Nostro decise subito di allontanarsi a buon passo; e mentre così faceva non poté fare a meno di riflettere sul fatto che il Pauli avesse chiamato ‘Maestro’ il Fiondiskij. «Siamo proprio ai massimi livelli» pensò. «Speriamo che non facciano massa critica...». Come dio volle, Wolfgang rientrò a Copenhagen.5 E d’incanto tutto tornò come prima: gli esperimenti andavano a buon fine, i matracci non esplodevano più, la gente non inciampava rovinosamente, le carrozze non travolgevano gli insegnanti, le lavagne non schiacciavano inoffensivi studenti: financo i bidelli smisero di ruzzolare per le scale. «Evidentemente - disse Sierpinskij all’Enzensberger - da solo Janik non ha abbastanza potenza». «Speriamolo» fece Noam. «Io, comunque, con il suo permesso, vorrei procedere ancora a praticare il rituale che le insegnò quel tal Ercole Proietti, di cui ella mi parlò più volte». «È un’ottima idea» osservò il Nostro. Si narra che quella volta, nel corso del rito propiziatorio, l’Enzensberger fu udito mormorare «Terque, quaterque...». Comunque, in tutte le cose che avvengono c’è sempre del buono. E in questo caso va detto che proprio per via della catena dei nefasti eventi che accaddero in quel periodo all’università di Berlino, il Ministero degli Interni diede avvio al primo nucleo di quello che poi divenne il Servizio di Protezione Civile di Germania. 5 Certamente, col tempo Pauli deve essersi reso conto di qualcosa. Non a caso, infatti, poi collaborò per decenni con C.G. Jung allo studio del problema della ‘sincronicità’, ovvero del contemporaneo presentarsi di eventi, tra loro strettamente collegati, ma non in modo causale. Le ‘coincidenze’, per intenderci, tipo parlare di una persona che non si vede da tempo e poi trovarsela lì a breve davanti. Comunque, a nostro parere, appare arduo ridurre l’ampio materiale sperimentale raccolto sull’effetto Pauli ad una mera serie di coincidenze. 97 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 51. Sierpinskij e il pazzo D urante la calda estate romana il Sierpinskij amava recarsi tutti i mercoledì al mare, in particolar modo sul litorale prospicente la Città Eterna, un luogo che, narra la leggenda, fu scoperto da un gruppo di turisti veneti che, estasiati di fronte a tanta beltà esclamarono stupiti «Ostia!!». Lungo i ventuno chilometri che separano Roma dalla città balneare il Nostro fece una sosta prandiale, stimolato in questo dalla calura di agosto. Assiso su un sasso il Sierpinskij stava baloccandosi nella sua lettura preferita, “Il lustro enigmistico”, un’agile pubblicazione quinquennale in 55 tomi riguardante sciarade, rebus, cruciverba e tutto quanto necessiti la nostra pulsione a mortificarsi di fronte all’umana ignoranza, ed ecco apparire all’orizzonte un uomo vestito assai stranamente, con una lunga tunica e una corona di alloro in testa. «Miserere di me - disse al Sierpinskij lo strano tipo - qual che tu sia, od omo od omo certo». Ritenendo che fosse scappato dal vicino manicomio circondariale di Casal de’ Pazzi, non gli diede tanto credito; però, notando il suo aspetto emaciato, il Nostro gli offrì della lonza che gli aveva regalato il Proietti. Sfamatosi alquanto, lo strano tipo chiese al Sierpinskij se per caso non avesse visto la sua cagna Beatrice, una lupa “agile e presta molto”, alla quale si professava particolarmente affezionato. «No, non mi sembra di aver visto alcuna cagna; però lungo il tragitto ho scorto alcune meretrici; magari puoi chiedere a loro, forse sanno dirti qualcosa». «Ahi serva Italia, di dolore ostello - inveì in uno strano accento toscano il viandante solitario - nave sanza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincia ma bordello!!!». A questo punto il Sierpinskij ebbe un fremito di inquietudine, un misto di paura e pena per lo strano interlocutore che aveva incontrato. Pensando che fosse un agente delle tasse camuffato1 il Nostro ritenne cosa saggia simulare un’altra identità, cosa che del resto gli riusciva assai bene. Cominciò, quindi, a biascicare qualcosa in un dialetto dell’oltrepò pavese, che imparò a suo tempo da un bucolico contadino di Portogruaro, tale Virgilio d’Enea, noto frequentatore di postriboli e necrofilo praticante. «Mi son un gran fio de troia, ghe 1 Ricordiamo che il Sierpinskij ha avuto in corso una causa per evasione fiscale che si è protratta per anni, fino a cadere in prescrizione in seguito alla recente sanatoria del governo Prodi che, cercando fondi per una manovrina fiscale decise di fare, citando - ironia della sorte - proprio il Sierpinskij, pari e patta. 98 penso che ti debba andar all’Inferno», disse il Sierpinskij per intimorire lo strano tipo, scimmiottando penosamente un dialetto lombardo, retaggio di frequentazioni intrise di fumo ed esalazioni di alcol che affioravano dalla Taverna Ugolina. 2 «Grazie amico mio, e non de la Ventura»3 sentenziò sibillino quello strano personaggio. «Mi hai dato una traccia che avrò agio di seguire molto volentieri. Questo era proprio ciò di cui abbisognavo». Detto questo sparì in una selva oscura. Le cronache attuali, in sorprendente analogia con quelle dell’epoca, narrano che in località Infernetto, per l’appunto nei pressi ove questo episodio ebbe luogo, sovente si vede vagare uno strano personaggio, di corporatura robusta, che, chino sotto il peso della scienza, va biascicando frasi sconnesse, citando Wittgenstein, Popper e il Gòlgota nella vana speranza di trovare anch’egli una traccia buona. 2 Squallido locale ove il Sierpinskij amava recarsi con il d’Enea a gozzovigliare e fare pantagruelici bagordi. In seguito ad un violento alterco con un malavitoso del posto, tale Filippo Argenti, gli fu recapitata un’ordinanza del sindaco di Portogruaro ove si ingiungeva di allontanarsi. Di questo fuggevole periodo rimangono solo brevi tracce nei suoi diari, ma in uno scritto apocrifo, a lui successivamente attribuito, il “De fellationis natura iuxta propria principia” si legge: “Con il Virgilio ci davamo ai baccanali più sfrenati, tracimando vizio in tutti i suoi appalesamenti. In vero era abilissima complice, musa aspiratrice dei nostri peccati, la giovane proprietaria dell’osteria Ada Succhia la Ceppa le cui evidenti nobili origini si riflettevano nella nobile arte di cui ella era magistrale interprete”. 3 Chiara allusione alla soubrette Simona Ventura che di lì a 170 anni farà molto successo in televisione, apparecchio che, comunque, doveva ancora essere inventato (vedi “Il Sierpinskij e la realtà catodica”, vol. XXVII, pp. 12.305-57.000, ed. Bignami, Firenze 1849. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 52. Il cieco in una stanza Da poco entrati i bersaglieri a Porta Pia, Taddeus Sierpinskij, divenuto in seguito alle accese ramanzine del vescovo Vladimir Locatoskji1 fervente sostenitore della curia papale, fu costretto a scappare dalla città per evitare le persecuzioni sabaude. Tramite la conoscenza del segretario della sezione ligure del Totany Club, tale Antonio De Fecato2, riuscì a farsi ospitare presso la casa di cura Beata Vergine del Carmelo di Rapallo, gestita, sin da quei tempi dai signori Paoli. Fu questo per il Nostro un periodo breve ma amaro, pregno di profonde riflessioni sulle caducità umane poiché in breve tempo gli si parò incontro un autentico campionario di miserie. Fra tutti gli ospiti della casa di cura il Sierpinskij rimase colpito da un anziano tenore, Luciano Panzerotti, cieco dalla nascita. Con il Panzerotti il Sierpinskij amava dilettarsi in profonde disquisizioni sull’etica del canto; e da questi il nostro mutuò la sua passione per la musica lirica. Il vecchio tenore soffriva assai per i suoi problemi vescicali; e non avendo grande capacità di sopportazione dei malanni fisici si abbatteva facilmente. Ma bastava un niente per farlo riprendere d’animo. Il Sierpinskij si commosse sino alle lacrime quando egli, dopo aver avuto giovamento da una tisana rinfrescante preparatagli dalla signora Paoli, improvvisò un canto struggente: “Malva, solo per te la mia canzone vola...”: queste le gioiose parole che il Panzerotti quasi gridava su una melodia in tonalità maggiore, davvero toccante. Un giorno il Sierpinskij accompagnò il suo anziano amico da un famoso dottore a Genova in quanto l’enuresi notturna di cui soffriva il Panzerotti era sempre più fonte di innumerevoli disagi, tanto che una sera, in un momento di sconforto fu sentito cantare «... all’alba piscerò, piscerò, piiisceerooooò». Il dottore era un tipo molto schivo, di poche parole, tanto che dopo una visita sommaria lo liquidò scrivendo la seguente ricetta medica: in caso di perdite importanti, inserire del siero, altrimenti peggio per lui. Usciti dallo studio del dottore il Sierpinskij notò alcuni giovani che prendevano a calci una palla di pezza e chiese all’amico di quale strano gioco si trattasse. «Mode del momento» glissò il Panzerotti. «Quando Nipote del cardinal Lokatoskji, mentore del Nostro regnante Pio VII. 1 2 Architetto romano. Di lui si ricordano pregevoli studi quali: “Il ponte sullo stretto di Messina: un’opera imminente”, Bulzoni, Pampeago, 1855; “Opere sicure: il Vajont”, Il Mulino, Poggibonsi, 1861; “Il Belice e l’Irpinia: due esempi di pianificazione antisismica”, Sansoni, Portogruaro, 1847. mai prendere a calci una palla nel Regno d’Italia avrà successo? Vedrai, credi a me figliolo, tra vent’anni giocheranno tutti alla pallacorda o a ruzzola. Questi si che sono sport maschi!!!». Sarà, ma al nostro quel gioco strano affascinava assai. Guardando fisso un ragazzo che palleggiava, ebbe come una sensazione di vertigine, vide l’immagine del giovane sfumarsi prima, e poi ricostruirsi con delle sembianze differenti. Di questo episodio non vi è traccia nei suoi diari né nelle sue opere; tuttavia annotiamo un curioso episodio che è stato riportato dalla Gazzetta dello Sport. Durante i recenti mondiali di calcio, il commissario tecnico della nazionale Cesare Maldini, assediato dai giornalisti bramosi di sapere quale fosse la formazione che avrebbe schierato, venne alle mani con uno di loro. Accorsero molte persone per dividerli e, quando le acque si calmarono, Aldo Biscardi, presente al deprecabile episodio, raccattò per terra un bigliettino sgualcito, appena leggibile. Gettato uno sguardo distratto sul pezzo di carta, il Biscardi trasecolò. Solo lui avrebbe avuto la soluzione del rebus che in quei giorni angosciava milioni di Italiani: sul foglio lesse In caso di partite importanti inserire Del Piero, altrimenti Baggio per lui. Sappiamo tutti come andò a finire quel mondiale e ciò getta una luce sinistra sulle capacità di certi giornalisti e sull’attendibilità degli organi di stampa in generale. Gli ultimi giorni del suo soggiorno a Rapallo furono molto tristi per il Sierpinskij in quanto si spense, alla veneranda età di 132 anni, il Panzerotti. Il Nostro, per omaggiarne la memoria, volle scrivere un requiem in onore del suo illustre amico (che, cieco e morente, trascorse le ultime settimane di vita chiuso nella sua camera). Di questo brano non è rimasta copia; tuttavia, annota il Sierpinskij nei suoi diari: «Era, invero una canzone assai banale che, per verecondia, non ebbi il coraggio di concludere. Già il titolo, ‘Il cieco in una stanza’, era triste di per sé; e poi... le parole: come avrebbe mai potuto credere la gente che a Rapallo esistessero stanze senza pareti! Feci omaggio del manoscritto ai signori Paoli che mi avevano tanto amorevolmente ospitato presso la loro struttura di ricovero, pregandoli di usarlo come combustibile per il prossimo inverno. Fiducioso che tale richiesta sarebbe stata gioiosamente accolta, mi accomiatai da loro e mi diressi in Francia». 99 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA 53. Kolmogorov e Smirnov T addeus Sierpinskij, giovane ufficiale dell’esercito di Napoleone, avendo paura dei pericoli ai quali sarebbe andato incontro, decise di disertare, scappando nella steppa russa dove possedeva una modesta isba sulle sponde della Beresina. In quel posto dimenticato da Dio, pensava, avrebbe trascorso in tranquillità gli anni della guerra. Sfortunatamente, Dio aveva la memoria lunga e fu così che proprio in quel punto, ove la Beresina era più stretta, Napoleone decise di attraversare il fiume durante la sua tragica ritirata. Il Sierpinskij fu così catturato dal sopraggiungente esercito russo e internato nel campo di prigionia di Dniepropetrovsk. Qui fece la conoscenza di colui che poi passò alla storia come il grande teorico dei flussi di fortuna, l’ungherese Tamas Deretany, con il quale scrisse l’opera, ormai famosissima, “La legge di Coulomb”. In questa fase della sua vita, tuttavia, particolare importanza rivestirono due caporali dell’esercito russo addetti alla distribuzione delle vettovaglie, Vassilj Kolmogorov e Igor Smirnov,1 i quali, dovendo passare di grado, avevano la necessità di sostenere un esame di balistica che prevedeva, chiaramente, una solida base di 1 Per uno strano caso del destino, i due erano il nonno di Andrei Nicolaevic Kolmogorov e il bisnonno di Vladimir Ivanovic Smirnov. Come i loro avi, questi rampolli ebbero modo di lavorare insieme e inventarono un test statistico epocale, oggi noto con il nome di: ’Test di Kolmogorov & Smirnov’. 100 matematica. Il caso volle che l’unico esperto presente fosse proprio il detenuto Taddeus Sierpinskij il quale cominciò a dare loro ripetizioni di analisi e geometria. Kolmogorov e Smirnov impararono in fretta, e bene; tuttavia, al concorso non entrarono neanche in graduatoria perché la commissione all’ultimo momento decise che titolo irrinunciabile sarebbe stata la conoscenza, scritta e parlata, della lingua ungherese. Indovinate chi vinse quel concorso? È quasi inutile farne il nome. Il nostro amico Deretany (di lui stiamo ovviamente parlando), finita la guerra si trasferì a Budapest, dove gli fu affidata – grazie anche a velate pressioni dello zar - la cattedra di filosofia teoretica. Ebbe anche un consistente vitalizio per i servigi prestati nell’artiglieria russa, pare di 150.000 fiorini all’anno; ma su queste futili banalità amiamo sorvolare per non ammorbare ulteriormente i nostri lettori. Kolmogorov e Smirnov, rimasti scottati da questa esperienza, decisero che essere addetti alla distribuzione delle vettovaglie per tutta la vita non sarebbe stato un compito adatto alle loro potenzialità: d’ora in avanti avrebbero fatto in modo di lavorare solo con gli alti ufficiali. Gli storiografi raccontano che fu in questa occasione che Kolmogorov pronunciò l’ormai storica frase: «Me ne frego delle distribuzioni, tanto lavoro con i ranghi».2 2 M. Margius, “Vita di Taddeus Sierpinskij: una sintesi critica”, pp. 6.547, Persichelli & Persichelli, Milano, 1997. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Appendice I. Personaggi, Luoghi, Approfondimenti, Pettegolezzi Backus Alan: logico-matematico, professore del Sierpinskij all’università di Parigi. In polemica col Nostro, abbandonò l’insegnamento dandosi all’agricoltura e alla ristorazione. Celebre il suo locale enogastronomico ‘Il Paradiso dell’Induzione’, sito nella sua fattoria di Dresda. Sembra sia stato uno dei primi a sviluppare colture rigorosamente biologiche. In questo fu assai facilitato dal fatto che i pesticidi non erano stati ancora inventati. Backus John W.: ricercatore presso l’IBM. Discendente (nella nostra sceneggiata) di Alan Backus. Inventore del linguaggio di programmazione FORTRAN (acronimo di FORmula TRANslator). L’avvento di questo linguaggio artificiale, simil-umano, ha permesso a molti ricercatori di scrivere direttamente i programmi di calcolo dei propri algoritmi, senza particolari difficoltà (prima bisognava stenderli in linguaggio comprensibile dalla macchina, compito assai laborioso e noioso in quanto totalmente distante dal nostro modo più sintetico di formulare pensieri). In sostanza, il ‘trucco’ sta nell’insegnare al calcolatore (mediante apposita procedura, che si realizza una volta per tutte) a leggere i programmi stesi in un linguaggio a noi più congeniale e a tradurselo poi in quello più ostico (per noi) proprio del calcolatore stesso. Il lavoro di Backus e del suo gruppo ha prodotto davvero una profonda rivoluzione. Di linguaggi ne sono poi stati inventati una marea. La gran parte di questi è ad oggi gloriosamente defunta. Il FORTRAN, invece, nonostante la sua veneranda età, gode ancora di ottima salute e continua ad essere assai usato in ambito scientifico. E con grande profitto, soprattutto dai fisici. Bell John Steward: fisico del CERN. Con un suo importante teorema gettò le basi per effettuare un esperimento cruciale atto a valutare se la meccanica quantistica fosse o meno completa. Nei fatti, dai risultati ottenuti, contrariamente a quanto Albert Einstein, Boris Podolsky e Nathan Rosen avevano sottilmente argomentato con un gedankenexperiment (esperimento concettuale) in “Can Quantum-Mechanical description of phisical reality be considered complete?”, Phys. Rev. 47, 777-780 (1935), la descrizione della natura fornita dalla meccanica quantistica sembra essere completa. Vale la pena segnalare che una formulazione sostanziale, ma non completamente corretta, dell’EPR (così viene in gergo indicato il ragionamento sotteso dal gedankenexperiment, dalle iniziali dei nomi dei suoi autori) fu pubblicata da Karl Popper anni prima. Popper ebbe anche occasione di discu- terne direttamente con Einstein. Piace ricordare che il buon Karl dichiarò che Einstein era pervenuto alle sue stesse considerazioni, indipendentemente dal lavoro da lui prodotto, in quanto non aveva avuto modo di conoscerlo. Pensando alle tante squallide polemiche sulla priorità delle idee (basti per tutte quella tra Newton e Leibniz a proposito del calcolo infinitesimale) questa posizione di Karl Popper non può che fare piacere. Bernoulli Jakob: matematico svizzero del XVII secolo. Fondamentali i risultati da lui ottenuti in molti campi, in special modo nel Calcolo delle Probabilità. Ebbe rapporti assai difficili con suo figlio Daniel, che lo accusò di essersi appropriato di una sua fondamentale equazione di idrodinamica. Vero o falso che sia, fatto sta che il Jakob, come pure il Daniel sono dei giganti della matematica. Peraltro, altri membri della famiglia si distinsero a tal punto nel campo che oggi in matematica si parla dei ‘Bernoulli’. Bernoulli Salvatore: figlio di Isaia Bernoulli, pronipote di Jacob Bernoulli. Acquistò dal padre morente un quaderno dello Jakob, dove veniva descritto dettagliatamente un gioco assai favorevole per il banco. Ne trasse grande vantaggio trasformandolo in un’attrazione da Luna Park. Entrato in società con Noam Enzensberger, divenne uno degli uomini più ricchi dell’epoca. Bohr Niels Henrik David: è stato uno dei padri della fisica quantistica. Lavorò con Rutherford. Fondò poi a Copenhagen un Istituto di Fisica Teorica, all’interno del quale crebbe una sua scuola (la scuola di Copenhagen, di cui fece parte tra gli altri anche Werner Heisemberg, premio Nobel per il principio di indeterminazione). George Gamow racconta nella sua ‘Biografia della Fisica’ che Bohr era straordinariamente lento nel comprendere le cose. Sarà pure: ma una volta che Einstein, durante un congresso, gli pose una difficilissima questione, lavorandoci sopra tutta la notte riuscì a confutare la sua sottile argomentazione con altrettanto sottile ragionamento. Un poco strano doveva però esserlo: a parte il suo patologico amore per il cinema, congiunto ad una totale incapacità di seguire la trama dei film, sempre il Gamow narra che una notte svegliò lui e Leon Rosenfeld (un altro fisico) per comunicare loro di essere riuscito a trovare il nome di una città che compariva nelle parole crociate con cui si erano dilettati quella sera. Gli fu assegnato nel 1922 il premio Nobel per la Fisica per il suo modello dell’atomo ad orbite quantizzate. Sull’interpretazione da dare alla mecca101 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA nica quantistica, tra Bohr e Einstein ci fu sempre polemica. Einstein la considerava, infatti, una rappresentazione provvisoria della natura, per via del suo carattere probabilistico. Al proposito, nel 1926 gli scrisse una lettera in cui diceva: «Dio non gioca a dadi!». Bohr gli rispose: «Non solo Dio gioca a dadi, ma bara pure». Le recenti acquisizioni sperimentali portano, come visto, a dare ragione a Bohr. Non è stato tuttavia ancora chiarito se Dio effettivamente bari (il Sant’Uffizio sta ancora indagando al proposito, naturalmente sul Bohr). Bonaparte Napoleone: militare di origini còrse (era nato ad Ajaccio). Ebbe vita assai movimentata; e la movimentò anche a molti altri. Più noto come fratello di Maria Paolina Bonaparte, morì nell’isola di Sant’Elena, pare in seguito ad un incidente stradale. Bonaparte Maria Paolina: avvenente e procace sorella del Napoleone. Ebbe con il Sierpinskij una lunga e complicata relazione. Sembra che a lei si riferisca l’aforisma del Nostro: “Nell’amore non c’è niente di buono, tranne la carne” (Kurt Giravoltoski ha comunque mostrato che trattasi di un ennesimo volgare plagio, essendo tale pensiero già stato formulato da Buffon). Quando conobbe la Paolina, Sierpinskij la definì ‘una borghese’. E fu facile profeta. Infatti, dopo aver sposato, su insistenza del fratello, il generale Victor Emanuel Leclerc, rimase presto vedova (Victor, affetto da un vizio cardiaco, non resse all’impatto). Convolò allora a nuove nozze con il principe romano Camillo Filippo Ludovico Borghese, di tempra ben più robusta del Leclerc, e piuttosto vivace come lei. Boole George: grande logico ed importante matematico inglese. Autore del noto “An investigation of the Laws of Thougth, on wich are founded the Mathematical Theories of Logic and Probability”. L’algebra booleana è attualmente utilizzata in moltissimi settori teorici ed applicativi. La sua opera fu poi ampliata da August De Morgan, quello delle ‘Leggi di De Morgan’, che qui brevemente ricordiamo per comodità del lettore: I) ‘La negazione di un’unione coincide con l’intersezione delle negazioni’; II) ‘La negazione di una intersezione coincide con l’unione delle negazioni’. In verità ci sono anche le leggi di De Morgan inverse, che qui non riportiamo, pur sapendo che la cosa dispiacerà ai più attenti. Vale la pena osservare che il ‘Principio di dualità degli aforismi del Sierpinskij’ ha molto a che vedere con questi concetti. Per gli amanti del genere: Boole morì a soli 49 anni, in seguito alle complicazioni derivategli da un banale raffreddore. Boroswskij Cristiana: baronessa prussiana. Avvenente fanciulla di cui il Sierpinskij era segretamente infatuato. Al tempo gli raccomandò caldamente il giovine Noam Enzensberger, fatto mai perdonatole dal Nostro. Bortoli Antonio: decano dei gondolieri, grande compagno di bevute del Sierpinskij durante il suo soggiorno veneziano. Usava apostrofare il Nostro con il termine ‘Benedéto’. Morì, ancora nel fiore degli anni, per cirrosi alcolica. Brunozjievicz Oderzio: ordinario di letteratura polacca 102 all’università di Cracovia. È stato il maggior commentatore dell’opera poetica del Sierpinskij, a tratti assai critico. Buraskowskij Helena: giovinetta di Cracovia di cui fu innamorato il Sierpinskij ancora adolescente. Tenne molto sulla corda il Nostro (che le scrisse ardenti poesie) senza mai prendere una decisione. La loro storia finì quando Sierpinskij si trasferì a Parigi. La Buraskowskij sposò poi il barone Mattia Kafonscii, uomo squattrinato e volgare, da cui ebbe 14 figli. Buddha (‘Il Risvegliato’): (si tratta di Siddhartha Gotama, nato intorno al 565 a.C., figlio di un raja indiano, asceta, fondatore della dottrina buddista). Abbandonata la famiglia, si diede alla meditazione. Fu illuminato a 35 anni mentre stava sotto un fico (da quel che si racconta, pare cosa analoga sia successa a Newton, però stando sotto un melo). Lo zen (buddismo zen) è un’espressione della sua dottrina. Della vita di Buddha si sa più o meno tutto. Un fatto poco noto, scoperto dal Sierpinskij, è che a lui si devono le tabelline 2x2. Si tratta delle tabelle utilizzate in statistica (descrittiva e induttiva) con cui si studia la relazione tra due caratteristiche dicotomiche, in genere nominali. Dice infatti il Buddha ai suoi discepoli (Sutta Pitaka, Majjhima Nikaya, 46): «Quattro specie di modi di vivere vi sono: il modo di vivere che porta male presente così come male futuro; il modo di vivere che porta bene presente e male futuro; il modo di vivere che porta male presente e bene futuro; il modo di vivere che porta bene presente così come bene futuro». Il Buddha parla ai suoi bhikkhu in termini non quantitativi, perché non li informa sulla prevalenza di queste quattro possibilità; ma tratteggia una situazione generale dove tutti e quattro gli stati possono presentarsi, riassumibile con una tabellina 2x2 di questo tipo: Presente\Futuro Male Bene Male a c Bene b d Va tuttavia ricordato che, più o meno negli stessi anni, anche Parmenide, quando diceva che «L’Essere è e non può non essere; il non-Essere non è e non può essere» tratteggiava una tabellina 2x2, in cui però due box sono proibiti: Stato/Possibilità Essere non-Essere Essere a 0 non-Essere 0 d Buddha è morto in età avanzata per aver mangiato carne guasta. Questo, se da una parte spiega l’inclinazione dei suoi seguaci per una dieta vegetariana, getta luce sinistra sul reale insegnamento contenuto nel racconto zen in cui il saggio Banzan interroga un macellaio (v. in questo stesso libro). Bvdgoszcz: ridente paesino a nord-ovest di Varsavia (Polonia), ove durante il regno di Stanislao II Augusto Poniatowski ebbe i natali il Sierpinskij. Cacace Melchiorre: astronomo napoletano. Andò come professore in visita a Varsavia ed ebbe l’avventura di trovar- VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA si a Bvdgoszcz il giorno della nascita del Sierpinskij. Tornato in Italia sposò, non senza qualche esitazione, Carmela Lo Castro, un’avvenente giovane di Catania da cui ebbe quattro figli. In tarda età, grazie alla liquidazione, si trasferì a Procida dove, insieme a moglie e figli, aprì un piccolo albergo, il noto ‘Cacace Lo Castro & Figli’, ancor oggi attivo. Cantor Georg Ferdinand Ludwig Philipp: gigante della matematica del XIX secolo. A lui si debbono contributi fondamentali sulla continuità, la teoria degli insiemi, l’infinito attuale. I suoi interessi per gli Infiniti (che chiamò ‘Transfiniti’ su consiglio del Santo Uffizio) lo portarono a interpretazioni mistiche, che acuirono le sue continue crisi depressive. Non tutti riuscirono all’epoca a comprendere la sua grandezza. Ad esempio, Leopold Kronecker (il grande matematico che affermava: «Dio ha creato i numeri interi: tutto il resto è opera dell’uomo») definì questi suoi lavori ‘privi di senso’. La cosa non deve sorprendere, data l’epoca. In fisica, ad esempio, c’era molta gente che ancora rifiutava di credere negli atomi e nelle molecole o che riteneva che tutto fosse ormai stato scoperto e restasse solo da mettere a punto i particolari (in verità, ogni tanto, anche oggi, c’è qualche buontempone che se ne esce con la ‘fine della fisica’). Questo grande e sfortunato genio finì sul lastrico per un rovescio finanziario e, aggravatesi le sue condizioni mentali, morì in un istituto psichiatrico nel 1918. Cartesio Renato (René Descartes): filosofo e matematico francese. Ridusse la geometria all’aritmetica, dimostrandone l’equivalenza tramite uno schema di corrispondenza ottenuto con un sistema di assi, chiamati oggi (per straordinaria coincidenza) assi cartesiani. Amava starsene a poltrire nel proprio letto sino a mezzogiorno. E proprio in quelle ore di totale tranquillità concepì le sue idee migliori, matematiche e filosofiche. Purtroppo, alla regina Cristina di Svezia, donna per altri versi gradevolissima, venne l’idea di studiare ‘metafisica’ sotto la sua direzione. Lo invitò perciò a raggiungerla a Stoccolma, cosa che il Cartesio fece senza esitare («Signorsì, Maestà», le avrà probabilmente risposto, data l’epoca). Orbene, questa deliziosa fanciulla coronata, presa da innumerevoli impegni, fissò l’orario delle lezioni nell’unico spazio libero rimastole, ovvero alle quattro di mattina. Vuoi per il cambiamento di abitudini, vuoi per il freddo della madonna che a quell’ora c’è a Stoccolma, il Cartesio si ammalò di broncopolmonite e passò a mondo migliore. Aveva appena 53 anni, non tanti nemmeno per l’epoca (naturalmente, standardizzando per sesso e ceto sociale). Duole che il Cartesio non abbia dato ascolto ad un suo amico, certo Pasquale Esposito, matematico napoletano all’epoca suo ospite, il quale appena seppe della decisione da lui presa gli disse: «Renà, quanto si fesso!». Casanova Antonio: influente prelato polacco, figlio naturale di Giacomo Casanova e della ballerina veneziana Anna Binetti. L’abate Casanova fu protagonista di un’amicizia con Maria Sonja Kolkolowska, madre del Sierpinskij, assai chiacchierata all’epoca. Tornato allo stato secolare, andò a vivere in Brasile. Di lui più nulla si seppe. Casanova Giacomo: avventuriero veneziano del XVIII se- colo, sedicente cavaliere de Seingalt. Ebbe una vita intensa e movimentata, ben descritta nelle sue memorie. Inventore del Lotto moderno, è passato alla storia principalmente come ‘sciupafemmine’. Si tratta di una calunnia infame, di una fesseria totale: basta leggere le sue ‘Memorie’ per rendersi conto dell’affetto, simpatia e rispetto che egli aveva per le donne (tra l’altro, si premurò di accasare, e bene, quasi tutte le sue amanti). Le ‘Memorie’ di Casanova sono davvero splendide, un vero viaggio nel tempo. Leggendole infatti si vive, letteralmente, nel settecento, in compagnia del Casanova e di importanti personaggi (re, regine, intellettuali, quali Voltaire) che egli ebbe occasione di conoscere e frequentare. Coberty Andreas: militare francese, evirato per una grave ferita nel corso della battaglia di Waterloo. Noto per aver procurato al Sierpinskij, per futili motivi, un grave trauma cranico. Ritornato alla vita civile, ebbe un discreto successo interpretando ruoli femminili in una compagnia teatrale dell’epoca. Composki Igor: compagno di corso del Sierpinskij all’università di Parigi. Uno dei migliori allievi del Backus, celebre per i chiarissimi appunti che era solito prendere a lezione. Alle sue accurate note si deve la puntuale conoscenza delle polemiche che sorsero tra il Backus e il Nostro. Laureato a pieni voti, accumulò una discreta fortuna inventando e mettendo in commercio un’eccellente gomma per cancellare. Darwin Charles: padre della teoria dell’evoluzione basata sulla selezione delle specie. Nonostante le prove documentali che la supportano, ancor oggi tale teoria viene combattuta da tradizionalisti che ad essa contrappongono il creazionismo. Recentemente, si è persino giunti a formulare... un ‘creazionismo scientifico’. Il Sierpinskij trovò una ingegnosa dimostrazione probabilistica a favore di quest’ultima dottrina, che tuttavia in seguito sconfessò. A suo dire, questa marcia indietro fu dovuta al fatto che le prove sperimentali raccolte a favore dell’evoluzione gli apparivano più convincenti del ragionamento deduttivo da lui proposto in appoggio al creazionismo. In realtà, nella detta dimostrazione compare l’errore concettuale più macroscopico mai commesso dal Nostro in tutta la sua carriera. De Broglie Louis: fisico e principe francese. A lui si deve la dualità onda-corpuscolo, esposta nella sua tesi di laurea. De Fecato Antonio: Architetto romano, precursore della programmazione urbanistica e della messa in sicurezza delle Grandi Opere. Fondamentali i suoi contributi, tra i quali vale la pena ricordare i trattati (ancor oggi attuali): ‘Il Belice e l’Irpinia: due esempi di pianificazione antisismica’, Sansoni, Portogruaro, 1847; ‘Il ponte sullo stretto di Messina: un’opera imminente’, Bulzoni, Pampeago, 1855; ‘Opere sicure: il Vajont’, Il Mulino, Poggibonsi, 1861. De Finetti Bruno: matematico ed attuario. Fu il fondatore del punto di vista soggettivo della teoria delle probabilità. Un gigante del pensiero e della scienza. Deretany Tamas: barone ungherese, Gran Maestro dell’Ordine dello Scacco Matto, titolare della cattedra di filosofia teoretica dell’università di Budapest, autore (col Sierpinskij) del noto trattato ‘La legge di Coulomb’. Fu amico 103 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA devoto del Nostro. Dirac Paul Maurice: padre della meccanica quantistica relativistica. Premio Nobel per la Fisica nel 1933. Di carattere assai chiuso, ragionava in termini logici esasperati. A questo proposito, George Gamow racconta nella sua ‘Biografia della Fisica’ che al termine di una conferenza il Dirac chiese ai presenti se ci fossero delle domande. Al che, un tapino gli disse di non aver capito come avesse ricavato una certa formula. Egli rispose secco: «Questa non è una domanda, ma un’affermazio- Albert Einstein ne». E poi rivolto al pubblico: «Prego, la prossima domanda» (a voler fare i precisini, il Dirac avrebbe dovuto ripetere: «Ci sono domande?», in quanto ‘prossima’ implica che ce ne sia stata già una prima). Aveva uno spiccato senso estetico della matematica. Arrivò ad affermare che è più importante avere nelle proprie equazioni la bellezza che non l’accordo con l’esperimento (no, non era matto da legare: semplicemente, intendeva che una formula ‘bella’ aveva un’elevata probabilità di essere anche ‘vera’. Sicché se qualche conto non tornava al momento, sarebbe verosimilmente tornato poi, ad esempio in base ai risultati di nuovi esperimenti). Consigli per gli acquisti Approfittiamo di questa occasione per segnalare ai molti sprovveduti che ci stanno leggendo che il noto libro del Dirac ‘I principi della Meccanica Quantistica’ non è un racconto ‘fantasy’. Di ‘Princìpi’ si tratta, non di ‘Prìncipi’. Fate quindi attenzione in quanto, una volta acquistatolo, nessun libraio lo riprenderà indietro, nemmeno per una permuta. Einstein Albert: nato ad Ulm il 1879 e morto a Princeton il 1955. Difficile parlarne. Quest’uomo è stato davvero un punto singolare nella storia della nostra specie, sia per quel che riguarda la scienza, sia per quel che concerne la filosofia. “Albert Einstein, scienziato e filosofo” si intitola appunto una raccolta di lavori in suo onore, dove compare anche una sua autobiografia scientifica. Difficile parlarne, si diceva. E questo perché il suo contributo alla conoscenza è stato così ampio, profondo e determinante che, letteralmente, non si sa da dove cominciare volendolo descrivere. Ma non pos104 siamo esimerci dal farlo, sia pur sommariamente. Sicché, partiamo dall’inizio. Cominciò a parlare tardissimo, a setteotto anni, tanto da far pensare fosse mentalmente ritardato. Evidentemente, sino a quel momento, non aveva nulla di intelligente da dire. Da bambino ebbe rapporti non buoni con la scuola dell’epoca, insegnanti e metodi didattici. Per sua fortuna, a seguirlo ed instradarlo con buone letture ci fu uno zio ingegnere, fratello del padre. Ancor giovinetto, fresco di studi (si laureò nel 1900), ritrovò da sé, non avendone notizia, i risultati ottenuti da Boltzmann e da Gibbs nella teoria cinetico-molecolare della termodinamica e nella meccanica statistica. Concepire tali ardui concetti, sistematizzandoli per giunta, non poteva non testimoniare come il cervello del giovane fosse davvero fuori dell’ordinario. Anche se la produzione scientifica di Einstein si fosse limitata solo a questo, il suo nome avrebbe dovuto essere inciso a lettere d’oro negli annali della scienza. Tutti i lavori di Einstein hanno lasciato traccia. Per citarne solo alcuni tra i più importanti, a lui dobbiamo: la prova dell’esistenza delle molecole (lavoro sul moto browniano); la dimostrazione della natura quantistica dei fenomeni (lavoro sull’effetto fotoelettrico); un nuovo concetto di tempo e di spazio (Relatività ristretta); l’equivalenza massa-energia (la sua nota formula: E=mc2); l’interpretazione geometrica della gravità (Relatività generale); il principio del laser (lavoro sull’emissione stimolata); la statistica dei bosoni (statistica di Bose-Einstein). Pur essendone nei fatti uno dei padri, Einstein considerò sempre la meccanica quantistica come una descrizione provvisoria dei fenomeni (tuttavia, questo suo punto di vista, che lo vide spesso in polemica con Bohr e la sua scuola, non sembra oggi corretto alla luce dei risultati di esperimenti basati sul teorema di John Bell). Negli ultimi anni della sua vita tentò di realizzare una Teoria Unificata delle forze della natura. Queste sue ricerche non ebbero successo (il problema non facile, attualmente ancora irrisolto, che è alla base dell’unificazione, è mettere d’accordo la meccanica quantistica, intrinsecamente discreta, con VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA la relatività generale, di per sé continua). Questo campo di ricerca, dopo essere stato un poco trascurato, è ritornato da qualche decennio all’attenzione dei fisici. Possiamo dire, come egli stesso affermò, che Einstein ebbe sempre buon fiuto per individuare i problemi cruciali della fisica. Pur essendo un buon matematico (anche se più volte affermò il contrario) diffidava assai di un uso eccessivo del formalismo. Al proposito coniò il termine specifico “Ixismi’ (in tedesco Ixerei), che utilizzava spesso parlando di lavori che contenevano troppe complicazioni matematiche ma poca fisica (rif. George Gamow in “Trent’anni che sconvolsero la fisica”, nota al testo n° 11). Fu sempre molto attento ai problemi dell’insegnamento, in particolare a quelli degli insegnanti, nel bene e nel male: «Numerose sono le cattedre universitarie, ma rari gli insegnanti saggi e nobili» (rif. ‘Come io vedo il Mondo’, pag. 22); «L’insegnante non può usare la soddisfazione personale per riempire lo stomaco dei suoi figli» (rif. “Come io vedo il Mondo”, pag. 86). La sua visione dello Stato era decisamente a favore dell’individuo («Lo Stato è fatto per l’uomo e non l’uomo per lo Stato», rif. “Come io vedo il Mondo”, pag. 124). Fu sempre nemico giurato delle regole inutili o improduttive («La burocrazia è la tomba di ogni iniziativa», rif. “Come io vedo il Mondo”, pag. 100). Essendo un convinto pacifista non ebbe mai in simpatia i militari; e ci andò giù pesante («Che un uomo trovi piacere nel marciare per quattro al suono di una banda, è quanto basta per meritargli il mio disprezzo. Costui solo per errore ha ricevuto un cervello; un midollo spinale è tutto ciò di cui avrebbe bisogno», rif. “Come io vedo il Mondo”, pag. 15). Da tutto questo può comprendersi come, a parte l’antisemitismo, tra Einstein e il nazismo non potesse correre buon sangue. Sicché, appena gli fu possibile espatriò negli Stati Uniti. Quando dichiarò che sarebbe ivi rimasto, in Germania furono assai contenti: “Buone notizie da Einstein: non ritorna più”, titolò un giornale di Berlino. Fu sempre sprezzante verso i valori prevalenti delle nostre società («Io non ho mai guardato all’agiatezza e alla felicità come a fini assoluti (un ideale etico, questo, peculiare ai porci)», rif. “Come io vedo il Mondo”, pag. 13). Alla fine della sua vita, informato del grave stato di salute in cui si trovava, rifiutò le cure eroiche che i medici gli proponevano; e si spense serenamente. Era il 18 aprile 1955. In quel mentre, in Italia, stava andando in stampa, curato da Mario Pantaleo, uno splendido volume celebrativo “Cinquant’anni di Relatività”, che gli amici italiani avevano voluto dedicargli. Fatto importante ed amaro insieme, questo volume contiene l’ultimo scritto scientifico di Albert Einstein, che egli aveva voluto inviare agli amici come riconoscimento e contributo all’iniziativa. Erdös Paul: una persona straordinaria, seria, strana, adorabile, infaticabile. Erdös è stato uno dei più grandi matematici di ogni tempo, primieramente nella teoria dei numeri. Ungherese di nascita, sempre in giro per il mondo, cercava di carpire conoscenza dal ‘libro del Vecchio’, come soleva ripetere riferendosi a un Dio che su un proprio calepino ha appuntati tutti i teoremi matematici. Amava alla follia i bambini, che soleva chiamare ‘epsilon’. Il matematico, diceva Erdös, è un tale che trasforma caffè in teoremi. Paul Hoffman ha scritto un affascinante libro sulla sua vita (‘L’uomo che amava solo i numeri’, pp. 276, Mondadori, 1999). Enzensberger Noam: uno degli allevi prediletti del Sierpinskij. Principe di nascita, degli Enzensberger di Brandeburgo, si laureò all’università di Berlino in fisica, chimica, biologia, medicina, filosofia, antropologia, psicologia, geologia, ingegneria, economia, lettere antiche e moderne. Fu un campione di sciabola, accanito giocatore di carte e noto dongiovanni. Attento gestore delle fortune pervenutegli dalla sua famiglia, amava a tempo perso gestire condominii. Scrisse innumerevoli libri e trattati, tra cui vale la pena ricordare: ‘Le mie pigioni’, ‘Lo sconto, un moderno flagello’, ‘Mille trucchi per una proficua gestione del condominio’, ‘Il matrimonio: un continuo sperpero’, ‘Il vino: dall’impianto del vigneto alla commercializzazione del prodotto’, ‘La funzione sociale dell’usura’, ‘Come vincere (sempre) a poker’, ‘I miei duelli’, ‘Applicazione delle finzioni analitiche all’econometria’ (non è un refuso: si tratta proprio di ‘finzioni’, non di ‘funzioni’). Particolarmente toccante, tra i suoi scritti non tecnici, è poi il libro di poesie ‘Io ho quel che ha Donato’, composto di getto appena seppe che lo zio Donato Filippo Gustavo Ermanno dei principi Enzensberger di Brandeburgo, lo aveva nominato suo erede universale. Eulero (Leonhard Euler): svizzero, nato a Basilea nel 1707. Fu uno dei più grandi matematici di tutti i tempi. Riformò le notazioni matematiche, e scrisse, scrisse, su tutto. Insomma, un gigante della scienza e della cultura del XVIII secolo. Autore di oltre 800 pubblicazioni, morì nel 1783 a San Pietroburgo. Ferocinov Igor: abate ed educatore. Fu ribattezzato ‘Igor Stalin’ (Stalin in russo vuol dire d’acciaio) per la sua severità. Autore di un noto trattato sulla gestione dei beni ecclesiastici, che fu utilizzato da Santa Romana Chiesa fin verso il 1940. Fiondiskij Janik: altro allievo prediletto del Sierpinskij. Fu un precursore di Murphy e della sua legge. In realtà il Fiondiskij andò molto al di là del pensiero del Murphy, che egli definiva ‘di cauto ottimismo’. Fisher Ronald Aylmer: gigante della statistica moderna. Nato nel 1890 a Londra, si laureò brillantemente in matematica a Cambridge. Entrò più tardi a far parte come statistico della gloriosa Rothamsted Agricultural Experiment Station, costituita nel Regno Unito sin dal 1837. La gran parte delle idee fondamentali della statistica moderna (test statistici, analisi della varianza, randomizzazione, design degli esperimenti, verosimiglianza, ecc.) sono sue. Non a caso per questa attività fu poi fatto ‘Sir’ dalla Corona. Fisher è morto ad Adelaide nel 1962. Fornikoski Gerolamo: pio religioso di Cracovia. Tolse dalla strada Filippa Polya, avviandola alla vita monastica (ella prese poi il nome di Madre Filippina delle Grazie Ripetute). Morì di crepacuore quando seppe che la Polya aveva 105 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA deciso di tornare allo stato laico per sposare padre Ilarius Nebuloski, suo confessore. Francioskii Greta: funzionario del comune di Berlino. Sembra sia stata amante del matematico Leonard Euler, durante il periodo in cui questi insegnò a Berlino. La Francioskii introdusse l’Eulero ai misteri della burocrazia (come suggerisce la dedica alla stessa di una importante opera dell’esimio personaggio). Greta Francioskii è nota soprattutto per il suo pregevole trattatello di ricerca operativa: ‘L’influenza della dislocazione degli uffici su piani diversi nella durata dell’iter di una pratica’, 2.582 pp., Kupper, Berlino, 1832. Nota per i meno smaliziati: sono tutte balle, perché il racconto contenuto in questo nostro libro, dove i due personaggi figurano, è ambientato nella prima metà dell’ottocento; e, ahimé, Eulero è morto nel 1783. Frege Friedrich Ludwig Gottlob: è considerato, insieme a Giuseppe Peano, il fondatore della moderna logica matematica. Espresse parte delle sue idee nei ‘Principi dell’Aritmetica’, due volumi, il primo del 1893, l’altro del 1902. Fu mentre questo secondo volume stava per andare alle stampe che gli giunse la lettera di Bertrand Russell, contenente la famosa antinomia che mostrava esservi una contraddizione nella teoria esposta nei ‘Principi’. Galilei Galileo: sommo fisico italiano, iniziatore del moderno metodo scientifico. Ebbe diversi problemi con Santa Madre Chiesa per via delle sue ardite teorie, ardite perché non in accordo con le Scritture. Fu addirittura processato e costretto ad aggiustare il tiro («con cuore sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li suddetti errori et heresie […] e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa haver di me simil sospitione, ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto d’heresia, lo denuntiarò a questo S. Offizio», in: P. Rossi ‘La nascita della scienza moderna in Europa’). Nel XX secolo, durante il ‘ventennio’, fu oggetto di nuova ingiuria da parte del fascismo che ne mutò il nome in Galileo Galivoi. Per il principio della media, una sessantina di anni dopo, fu riabilitato dal Papa, che ebbe modo di spiegare come la faccenda ‘Galileo’ fosse nata da un ‘intervento indebito’ da parte della Chiesa. D’altronde, questa riabilitazione (sia pur postuma e piuttosto differita) era da attendersi in quanto, come ha scritto qualcuno: ‘è nel seno della Chiesa di Cristo che ha avuto origine la Scienza’. Gauss Karl Friedrich: gigante della matematica del XVIII-XIX secolo. In particolare, nei suoi studi determinò la curva degli errori, la cosiddetta curva ‘a campana’, oggi nota come distribuzione normale ovvero, in suo onore, distribuzione gaussiana. A lui si deve la nota frase gergale, molto in uso a Roma, ‘stare in campana’. Gibbs Josiah Willard: fondatore della meccanica statistica. Per sua, e nostra, fortuna evitò di suicidarsi come altri cultori della materia (vedi Ludwig Boltzmann e Paul Ehrenfest). Decisamente, aveva i piedi per terra, come fa presumere una sua acuta frase: «Un matematico può dire quello che gli pare, ma un fisico deve essere almeno parzialmente sano di mente» (citata da John D. Barrow in “The book of 106 Nothing”, Jonathan Cape 2000; trad. italiana: “Da zero a infinito: la grande storia del nulla”, Mondadori, Milano 2001). Giravoltoski Kurt: massimo commentatore degli aforismi e degli adentrismi del Sierpinskij. È stato proposto ben 14 volte al premio Nobel per la letteratura, senza mai vincerlo. In questo sembra ci sia (spiace dirlo) lo zampino del Nostro, il quale non gli perdonò mai l’acida battuta «A quando ‘Cave canem’?» che il Giravoltoski gli gridò in faccia dopo aver scoperto che un aforisma in latino che il Sierpinskij spacciava per suo (‘Ab amico riconciliato cave’) era invece di dominio pubblico. Gödel Kurt: sommo logico austriaco. Mostrò, tra l’altro, che un sistema formale consistente, e sufficientemente ricco, non può dimostrare la propria consistenza. Fu amico di Albert Einstein, con il quale passò molti anni a Princeton. Sposò una bellissima ragazza, Adele Porkert, una ballerina di cui si era innamorato da giovane, che ebbe sempre nei suoi confronti un grande affetto. Una coppia improbabile, certamente; ma quanto fosse importante per Gödel l’amore di Adele lo dimostra il fatto che alla morte di lei egli si lasciò andare; e, fissatosi sull’idea che qualcuno volesse avvelenarlo, morì di denutrizione. Gossett William Sealey: laureatosi in matematica e in chimica, fu assunto alla Arthur Guinness Son and Company nel 1899, dove si occupò, tra l’altro, del controllo di qualità della birra ivi prodotta. Operò prima a Dublino, successivamente a Londra. Pubblicò il suo lavoro più famoso sotto lo pseudonimo di ‘Student’. Ecco perché oggi si parla della distribuzione t di Student o del test t di Student. In un certo senso, il Gossett è il padre del trattamento statistico dei piccoli campioni. Per gli amanti del genere, nel 1934 fu vittima di un grave incidente stradale, dal quale comunque si riprese. È morto nel 1937. Haschleck Jaroslav: barone praghese di cui il Sierpinskij fu ospite in gioventù. Soleva dare delle formidabili pacche sulle spalle dei tapini che gli giungevano a tiro. Il Nostro fu purtroppo contagiato da questa deprecabile abitudine del barone, che non riuscì a togliersi se non in tarda età. L’Haschleck morì inspiegabilmente per traumatismo diffuso nel periodo in cui fu suo ospite Primo Carnera. Insakowski Gaetano: direttore didattico della scuola elementare di Bvdgoszcz in cui studiò il Sierpinskij. Fu l’amante della famosa ballerina dell’Opera di Varsavia, Elena Popposkwa. Morì suicida. Iaouè: protagonista di un’opera collettiva, nota col titolo ‘La Bibbia’, trasposta anche in numerose versioni cinematografiche. Si tratta del massimo successo editoriale di tutti i tempi (ancor oggi ne vengono vendute ogni anno milioni di copie). Non è noto chi si sia inventato il nome Iaouè: probabilmente si tratta di un gioco linguistico poiché l’alfabeto della lingua originale utilizzata dai diversi coautori (l’ebraico) non possiede le vocali. La cosa non è banale, in quanto viene così lasciata al lettore, sulla base del contesto, l’interpretazione di molte parole. Insomma, in presenza di una ‘L’ (ammesso che in ebraico ci sia... sarà la lamed?), uno po- VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA trebbe leggerci ‘aLa’ come pure ‘aiuoLe’. Essendo il detto nome (Iaouè) interamente composto da vocali, inizialmente gli autori utilizzarono uno spazio bianco per indicarlo. Dopo le numerose proteste di lettori che in certi punti non riuscivano più a seguire il filo del discorso, uno dei primi editori del testo introdusse la scrittura ‘Yhwh’, che più o meno suona in ebraico come ‘Iaouè’. Si veda al proposito il Van Gogh, Natura morta con Bibbia gustosissimo articolo di Piergiorgio Odifreddi ‘Antropitechi e Teopitechi’, disponibile su Internet, su cui è basato questo nostro commento. Jones Moralty Elizabeth: logica inglese. Compagna di merende e amante del Sierpinskij durante il suo soggiorno a Cambridge. Soleva chiamare il Nostro col nomignolo ‘Cicci’, fatto che il Nostro si guardò bene dal segnalare nei suoi ‘Diari’. Kolkolowska Maria Sonja: madre del Sierpinskij. Eccellente concertista dell’epoca, valente insegnante di tecnica pianistica e di composizione. Iniziò all’arte della musica il figlio Taddeus. Pur essendo donna assai avvenente, fu molto trascurata dal marito Cornelius Sierpinskij. Si dice abbia avuto una storia con l’abate Antonio Casanova. Kolmogorov Andrei Nicolaevic: illustre matematico russo del XX secolo. Fu il primo a chiarire in modo convincente il concetto di ‘casualità’. A lui si deve la Teoria Assiomatica della Probabilità. Insieme a Vladimir Ivanovic Smirnov costruì il noto test statistico che porta il nome dei due. A quest’ultimo proposito, giova ricordare che, a differenza del test χ2 il test di Kolmogorov & Smirnov è ben protetto da valori attesi prossimi a zero. Infatti esso lavora sulle differenze tra le distribuzioni cumulative (dell’atteso e dell’osservato, nel caso di un campione; dei due osservati, nel caso di due campioni). Nei fatti, essi hanno determinato, nell’ipotesi nulla, la distribuzione della massima differenza tra le cumulative. Ed è a questo test che si fa spesso riferimento al fine di poter scrivere sui propri lavori il sospirato p< di qualcosa (purché questo qualcosa sia inferiore a 0.05). Lao-tzu: (Lao-tse, maestro Lao, 570-490 a.C.). Fondatore del taoismo, i cui principi sono contenuti nella sua (unica) opera: “Il libro della Norma e della sua Azione” (Tao-teking). Sembra che il maestro Lao sia stato sollecitato a scrivere (dipingere?) i propri pensieri da una guardia di confine, da lui incontrata mentre stava espatriando. Secondo Lao-tzu, la saggezza sta nell’inazione, nella contemplazione del Tao, l’indefinibile. A proposito di Lao-tzu e del Tao, c’è una gustosa poesia poesia di Po (772-846 Chu-i d.C.), intitolata ‘I Filosofi: Lao-tzu’. «Quelli che parlano non sanno niente. / Quelli che sanno son silenziosi. / Queste parole, così mi dicono, / furono scritte da Lao-tzu. / Se dobbiam credere che Lao-tzu / fosse egli stesso ‘uno che sa’, / come sarà che scrisse un libro / che conta cinquemila parole?» (v. ‘Liriche cinesi’, pag. 223, a cura di Giorgia Valensin, con prefazione di Eugenio Montale, Einaudi, 1962). A proposito del fatto che chi parla non sa niente e chi sa tutto tace, proprio in quegli anni in cui Laotzu manifestava cotal convinzione, Buddha osservava: «È un detto antico, non uno nuovo: criticano chi sta in silenzio, criticano chi parla troppo e criticano anche chi parla con moderazione. Non c’è nessuno al mondo che non sia criticato» (Buddha, Dhammapada). Lio-kan: maestro e poeta zen. Autore del fondamentale trattato “Il Tao, ovvero l’Indefinibile”. Fu proprio sotto la guida di Lio-kan Tzu che il Sierpinskij studiò lo zen durante il suo soggiorno in Cina. Il Nostro chiese spesso al maestro Lio-kan cosa c’entrasse mai il Tao con il buddismo Zen. Ma non ebbe mai risposta da lui. Litanov Baldassarre: titolare della cattedra di Meccanica Celeste dell’università di Cracovia. Con Gaspare Visturoff e Melchiorre Cacace era a Bvdgoszcz il giorno della nascita del Sierpinskij. Uomo assai pio, morì travolto da un cavallo. Locatoskji Jgor: monsignore polacco, assai influente in Vaticano, di cui il Sierpinskij fu dipendente durante il suo soggiorno a Roma. Il Locatoskji fu poi fatto vescovo e indi cardinale. Non ebbe rapporti facili con il Nostro, anche a causa di certe sue frequentazioni egli riteneva non opportune. Malthus Thomas Robert: fu il primo a notare che mentre la popolazione cresce in progressione geometrica, la disponibilità di alimenti aumenta invece in progressione aritmetica. Una soluzione pratica a questo scottante problema fu trovata da Johnathan Swift, il quale la pubblicò nel suo noto saggio di economia ‘A modest proposal’ (‘Una modesta proposta per prevenire che i bambini della povera gente divengano un peso per i loro genitori o per il paese e per far sì che essi sia107 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA no di pubblico beneficio’, S. Harding Ed., Dublino, 1729). In sostanza, Swift propone di vendere all’incanto bambini paffuti e grassottelli onde, dopo opportuna preparazione, farne uso alimentare. Come egli mostra nel suo scritto, tutto questo sarebbe di grande giovamento per le famiglie più povere, farebbe aumentare la ricchezza nazionale, stimolerebbe il commercio e, non ultimo, rinsalderebbe i rapporti coniugali, vedendo i mariti nelle mogli fonte di sicuro reddito. Inspiegabilmente, questa geniale idea di Swift non ha mai trovato applicazione. Markov Siergeij: allievo prediletto del Sierpinskij. A lui si deve la ‘Teoria della Probabilità Estetica’. Amante della fotografia, della ginnastica, del ballo, dei vini del Trentino e delle belle donne, alternò sistematicamente le attività mondane con quelle scientifiche. Fondamentale il suo: ‘Trattato sui colori: dal verde pisello al fucsia spinto’, ad oggi insuperato. Maxwell James Clerk: poeta della fisica; e non c’è altro modo di definirlo. Le sue celebri equazioni, che per estrema combinazione sincronica sono state chiamate ‘Equazioni di Maxwell’, sono un vero e proprio poema della Natura. Miao Chian: maestro e poeta zen. Con lui studiò da giovane il maestro Lio-kan. Miao Chian era, purtroppo, della vecchia scuola. Ai fini di una sua corretta educazione, Lio-kan si prese da lui, per anni, un’interminabile sequela di bastonate. Fortunatamente, a differenza di altri allievi, sopravvisse. Mosè: ingegnere idraulico dell’antico Egitto. Progettò e costruì un’imponente opera per l’attraversamento del Mar Rosso, collaudandola felicemente con i suoi operai. Purtroppo, dopo solo qualche ora dall’inaugurazione l’opera cedette, e i numerosi carri ivi transitanti furono travolti dalle acque. Ricercato dai funzionari del Faraone per disastro doloso, il Mosè, con le sue maestranze, riparò in Palestina e non fece più ritorno in Egitto. Unendo ingegneria e diritto realizzò poi le famose ‘Tavole della Legge’, per le quali viene ancor oggi ricordato. Mozart Wolfgang Amadeus: musicista sommo e compagno di bagordi del Sierpinskij a Vienna. Il Nostro lo amò fraternamente e lo ammirò moltissimo. Un giudizio di Wolfy su una sua sonatina giovanile, tuttavia, lo ferì profondamente. Nebuloski Ilarius: religioso di origine ucraina, insegnante di logica nel seminario di Cracovia e successivamente professore di Logica presso l’università di Lvov. Abbandonati gli ordini, sposò poi Madre Filippina delle Grazie Ripetute, al secolo Filippa Polya, da cui ebbe 11 figli. Panzerotti Luciano: tenore del XIX secolo, cieco dalla nascita, di cui il Sierpinskij fu amico durante il suo soggiorno a Rapallo. Per lui il Nostro scrisse una struggente canzone: ‘Il cieco in una stanza’, che poi donò ai signori Paoli, gestori della casa di cura ‘Beata Vergine del Carmelo’, ove Egli e il Panzerotti erano ospiti. Peano Giuseppe: uno dei padri della moderna logica matematica, insieme a Gottlob Frege. Bertrand Russell, dopo averlo ascoltato durante un congresso, fu particolarmente influenzato dalle sue idee. Poliakoswa Adele: baronessa polacca, amante del padre 108 del Sierpinskij, di Napoleone Bonaparte, e di altri che non è qui possibile ricordare per motivi di spazio. Si narra che, dopo averle somministrato l’estrema unzione, il suo confessore ebbe a dire: ‘Quanto bene ha fatto questa donna nella sua vita!’. Proietti Assunta: moglie di Ercole Proietti, oste di Trastevere. Insegnò al Sierpinskij a preparare in modo eccezionale i fagioli con le cotiche. Proietti Ercole: oste di Trastevere, detto ‘er faciolaro’, compagno di bevute (e suocero) del Nostro. Condannato per furto di limòsine nella chiesa di S. Pietro in Montorio, morì decapitato ad opera di Mastro Titta. Sembra che un diverbio tra Pio VII e il Sierpinskij non sia stato estraneo a tale severa condanna. Proietti Maria: figlia di Ercole Proietti. Già fidanzata con certo Romolo Riccardi, sposò poi il Sierpinskij. Riccardi Romolo: trasteverino puro sangue, detto ‘er ciriola’ per le sue spettacolose capacità natatorie (salvò dal Tevere più di 40 persone che stavano annegando). Fu per qualche tempo fidanzato con Maria Proietti, amore osteggiato dal padre di questa, che lo riteneva un fannullone e ‘un morto de fame’. Scoperto dalla Proietti ad amoreggiare in strada con tale Annunziata Ripa, fu da lei abbandonato. In seguito, sposata l’Annunziata, il Riccardi riuscì con la sua dote ad attrezzare un vecchio barcone a ristorante, dove lui serviva e lei cucinava. L’impresa andò benissimo e ancora oggi qualcuno con nostalgia ricorda: ‘Quanto se magnava bene dar ciriola!’. Riscriposkij Enos: compagno di studi del Sierpinskij al seminario di Cracovia. Noto per gli eccellenti appunti che soleva prendere a lezione. Divenne socio di Igor Composki nella produzione e vendita di note gomme per cancellare. Russell Bertrand Arthur William: conte inglese, premio Nobel per la letteratura, matematico, logico, filosofo, ardente pacifista (si fece al proposito quattro anni e mezzo di galera). Ebbe quattro mogli e una musa ispiratrice (la diletta Lady Ottoline Morrell). Schleiermacher Hans Peter: campione di scacchi, della cui fidanzata il Sierpinskij fu occasionale amante. Sierpinski Waclaw: colosso della matematica del XX secolo. A causa del suo nome (sempre nella nostra sceneggiata) ebbe da giovane acuti contrasti con il Sierpinskij. Sierpinskij Cornelius: padre del Taddeus. Appassionato di briscola scoperta, come pure delle belle donne, trascurò non poco la moglie (la quale, persa la pazienza, in molte occasioni, gli rese la pariglia). Sierpinskij Taddeus: (Nome completo: Taddeus Morfeo Karl Augustus Gilberto, Francesco, Adalberto Maria, Pierferdinando, Bachisiu Alicio, Alfredo, Giorgio, Giovanni, Vercingetorige Sierpinskij). Il protagonista della nostra Opera. Smirnov Vladimir Ivanovic: insigne matematico russo. Con Kolmogorov mise a punto un test statistico di carattere assai generale, il test di Kolmogorov-Smirnov. Sukolova Olga: seguì i corsi del Sierpinskij a Berlino, laureandosi poi in matematica. Divenne famosa posando di- VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA scinta per i calendari della Krupp (i primi del genere). Girò negli USA numerosi film hard-core, pervenendo a discreta fama (nell’ambiente era nota come ‘Olga Profonda’). Vinse infine un concorso all’università di Los Angeles. Da allora si dedica esclusivamente alla ricerca matematica. Swift Johnathan: scrittore irlandese autore di numerosi saggi e, soprattutto, di un libro, ‘I viaggi di Gulliver’, assai profondo per molteplici aspetti. Ironia della sorte, nell’immaginario collettivo esso è considerato ancor oggi un libro per bambini. In un altro saggio, Swift fornì una risposta operativa ai problemi sollevati da Malthus (si veda il suo ‘Una modesta proposta’). Per appassionati di ufologia: diciamocelo pure, di balle ufologiche ne circolano tante. Tuttavia, alcuni fatti sono davvero sorprendenti. Uno di questi è contenuto proprio nei ‘Viaggi di Gulliver’ dove Swift afferma che Marte ha due satelliti e ne descrive masse e periodi. Siamo nel 1727 e Deimos e Fobos (così sono stati chiamati questi due corpi catturati, sembra, dall’attrazione gravitazionale di quel pianeta) all’epoca non erano stati ancora scoperti: lo farà Asaph Hall solo nel 1877. Scrive Swift (parlando degli astronomi laputiani): «Hanno pure scoperto due stelle minori, o satelliti, che girano intorno a Marte, dei quali il più vicino dista dal centro del pianeta principale esattamente tre volte il suo diametro, e il più lontano cinque; il primo compie il suo giro in dieci ore, il secondo in ventuno e mezzo» (J. Swift ‘I viaggi di Gulliver’, pag. 180, Biblioteca Universale Rizzoli, 1952). I dati di Swift non sono proprio così esatti, ma ci si può anche accontentare: le 3 volte sono in realtà 1.37 volte; le 5 volte, sono 3.4; le 10 ore, 7.4; le 21.5, 30.3. Si è trattato dunque di un contatto con gli alieni o siamo solo in presenza di una straordinaria combinazione sincronica? Al lettore l’ardua sentenza. Vanoskii Decio: granduca polacco. Amante delle donne e dei cavalli, insegnò al Sierpinskij a frantumare il bicchiere dopo aver bevuto. A causa di questa sua abitudine, come pure del suo uso smodato di superalcolici, andò in rovina. Morì in un duello con tal Kurd Gross, che gli aveva gettato ai piedi, con disprezzo, un tallero per pagarsi da bere. È da questo episodio che fu tratto poi il film ‘Un dollaro d’onore’. Visturoff Gaspare: direttore della specula governativa di Varsavia. Uomo assai pio, si recò – sembra ispirato da un sogno - a Bvdgoszcz il giorno della nascita del Sierpinskij per osservare una cometa. È stato fatto ‘Beato’ nel 1932. Whitehead Alfred North: eminente filosofo inglese. Autore, con Russell, dei ‘Principia Mathematica’. Wittgenstein Ludwig: filosofo austriaco. Laureato in ingegneria, specializzato in aeronautica. Interessatosi ai fondamenti della matematica, andò a Cambridge e divenne allievo (prediletto) di Bertrand Russell. Wittgenstein è stato un punto di riferimento per molti scienziati e pensatori della prima metà del XX secolo (e anche dopo). Caso più unico che raro, propose due diverse teorie filosofiche, una esposta nel ‘Tractatus logico-philosophicus’, l’altra nelle ‘Osservazioni Filosofiche’. Di intelligenza davvero eccezionale, fu uomo assai coerente con le sue idee (ad esempio, rinunciò all’in- gente, davvero ingente, eredità paterna). La lettura delle sue opere è piuttosto difficile, ma vale la pena sforzarsi. Non si può non provare simpatia ed ammirazione per lui. Basti al proposito citare alcune sue riflessioni, contenute in ‘Pensieri diversi’ (‘Vermischte Bemerkugen’, traduzione italiana della RCS, Milano, 2001): “Gli animali si avvicinano se sono chiamati per nome. Esattamente come gli uomini” (questo pensiero fu completato dal Sierpinskij che fece notare come anche gli uomini si avvicinano se sono chiamati per nome. Esattamente come gli animali); “Non temere mai di dir cose insensate! Ma ascoltale bene, quando le dici” (il Sierpinskij soleva osservare: «Non faccio altro che ascoltarmi dalla nascita»); “Ciò che è grazioso non può essere bello” (Siergeij Markov pose questo aforisma del Wittgenstein come sottotitolo al suo celebre ‘Trattato sui colori: dal verde pisello al fucsia spinto’); “L’ambizione è la morte del pensiero” (Il Sierpinskij lo rielaborò come: ‘La morte del pensiero apre la porta all’ambizione’); “Freud, con le sue fantasiose pseudo-spiegazioni (e proprio perché sono ingegnose), ha reso un pessimo servizio. (Ogni asino ha ora a disposizione queste immagini per ‘spiegare’ con il loro aiuto manifestazioni patologiche)”; “I nostri bambini imparano già a scuola che l’acqua è composta dai gas idrogeno e ossigeno, o lo zucchero di carbonio, idrogeno e ossigeno. Chi non capisce queste cose è uno stupido. Le questioni più importanti vengono occultate”; “Mi aspettavo una sorpresa, tornando a casa, ma non c’era alcuna sorpresa per me. Così, naturalmente, fui sorpreso”; “Quasi tutti i miei pensieri sono un po’ spiegazzati”; “Destino e legge naturale sono in contrasto. La legge naturale vogliamo conoscerla a fondo e applicarla, il destino no” (il Sierpinskij fu sempre in disaccordo con questa dichiarazione del Wittgenstein; e scrisse al proposito un saggio in cui mostrava come la gente abbia più predisposizione ad interrogare chiromanti che non ad applicarsi alle scienze); “Discendi sempre dalle nude alture dell’intelligenza nelle valli verdeggianti della stupidità” (Sierpinskij osservò che però è bene non prenderci gusto). Zipidijz Alexius: insegnante del Sierpinskij nella scuola elementare di Bvdgoszcz, noto amministratore di condominii della zona. Divenne alto funzionario del Ministero dell’Educazione polacco. Fu poi travolto da uno scandalo, in relazione al prezzo gonfiato dei libri scolastici, da cui però uscì senza danni. Detestava il Sierpinskij, che definiva un ‘furbastro arrogante’. 109 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Appendice II. Aforismi scelti (e commentati) di Taddeus Sierpinskij SELEZIONE E CHIOSE A CURA DI M. MARGIUS E F. TAGJ “Tutti i bambini nascono intelligenti; poi, vanno a scuola” la sua nota relazione con Ambra Cicchitelli, cantante e ballerina italiana. (Taddeus Sierpinskij) Nota dei Curatori Abbiamo qui nel seguito riportato un’accurata selezione degli aforismi del Sierpinskij, che lui soleva chiamare “Pillole quotidiane di saggezza per cominciare bene la giornata”. Nel far questo, va detto che si è dovuto procedere ad una drastica scelta – spesso dolorosa – tra le 127.482 gemme di pensiero che Egli ha voluto regalarci durante il Suo fecondo operare. Tuttavia, poiché la nostra trattazione non ha intenti agiografici, ma critici, si troveranno anche alcuni aforismi che il Sierpinskij spacciò per suoi, fatto che lascia ancora interdetti moltissimi studiosi, ma non increduli grazie anche alla schiacciante mole di prove documentali raccolte in questo senso da K. Giravoltoski in oltre trentadue anni di ricerche. Come il lettore accorto non tarderà a scoprire, abbiano tralasciato del tutto gli adentrismi del Sierpinskij: e questo, desideriamo rimarcarlo, esclusivamente per via dei limiti concessi al presente volume dall’Editore. 110 “Lo sciupafemmine non ha mai problemi con le donne. È questo un fatto ben dimostrato”. Il Sierpinskij scrisse l’aforisma dopo un sofferto confronto tra le sue esperienze giovanili e quelle degli anni della maturità. “Alcune donne non sanno ben distinguere l’amore dall’erezione”. Questo pensiero, invero assai duro, nasce verosimilmente da amare esperienze del Nostro (si pensa in particolare alla sua tormentata relazione con Paolina Bonaparte). Di diversa opinione si mostra K. Giravoltoski il quale, invocando un refuso, ha sempre sostenuto trattarsi di ‘elezione’ non già di ‘erezione’. Egli è infatti convinto che il Sierpinskij abbia voluto qui mettere in luce la scarsa propensione delle donne per la politica. Questo punto di vista del Giravoltoski, comunque, non è condiviso da alcuno. LE DONNE & L’AMORE “Se una donna vuole annientarti, basta che ti dica: Per me sei come un fratello”. Il pensiero fu ispirato da ripetuti eventi in cui incorse il Fiondiskij, a cominciare dalla sua sfortunata storia con Justine. “Di due meretrici, di eguali fattezze, stessa età e simile perizia, è da preferire quella che costa meno”. T. Sierpinskij, “Il rasoio di Onan”, Sperling & Kupfer, Bangkok, 1969. “Non ho mai capito le donne. E ho perso, da tempo, la speranza di capirle”. T. Sierpinskij, “Dio, Wittgenstein, le donne e quant’altro non ho compreso nella vita”, Springer, Berlino, 1952. “Non è che le donne siano tutte leggiere; però, una certa tendenza ce l’hanno”. Sierpinskij non ha mai chiarito cosa intendesse per “leggiere”. Certamente, non trattasi del peso corporeo, in quanto le donne hanno spiccata tendenza ad ingrassare con l’età. “Le donne si dividono in due classi: una metà che crede di avere il seno troppo piccolo, l’altra metà che crede di averlo troppo grande”. T. Sierpinskij, “Le funzioni trigonometriche”, Sin Kos Ed., Pechino, 1869. “Quando si ama una donna oltre se stessi, allora diventa altamente probabile divenire oggetto di dileggio da parte sua. Ogni femmina, infatti, quando è totalmente sicura dell’amore di un uomo, tende a farne uno zimbello”. Questo pensiero, almeno in base a quanto riportato nei “Diari”, sintetizza una dolorosa esperienza del Sierpinskij, “Ogni seno ha una sua poesia”. Questo delicato aforisma del Sierpinskij è contestato da K. Giravoltoski che, come in altri casi, lo attribuisce ad un refuso. Questo autore sostiene infatti che di ‘senno’ si tratta, non di ‘seno’. Pur non essendo in completo disaccordo con lui, non possiamo però non rilevare che se davvero di ‘senno’ VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA si trattasse, ci troveremmo di fronte ad una frase scialba e, diciamolo pure, di scarsa concettualità. “L’amante è come un trattamento d’emergenza: il cuore continua a battere, ma la prognosi è sempre riservata”. T. Sierpinskij, “Manuale di Primo Soccorso”, Masson Ed., Milano, 1933. “Nei fatti, quello che distingue nel far sesso l’uomo dagli altri animali è soltanto la fellatio. Di certo, tale pratica implica un atto di fiducia che solo un’attività corticale di livello superiore può sostenere”. T. Sierpinskij, “Trattato di antropologia culturale”, Masson Ed., Milano, 1933. “Più le donne si spogliano, meno esse attraggono. Tanto più una donna si mostra, tanto meno resta all’uomo spazio per la fantasia”. Tra il dire e il fare... come notano numerosi commentatori questo concetto, così efficacemente espresso dal Sierpinskij, fa a pugni con il comportamento tenuto dal Nostro in molte delle sue relazioni con donne che amavano mostrarsi sino all’eccesso. Per tutte valga Paolina Bonaparte che, addirittura, posò nuda per il Canova (vedi la famosa statua conservata in Roma presso il museo Borghese). “A ben pensarci, in fondo, l’uomo fa l’amore con il proprio cervello”. Aforisma assai oscuro, che si presta a molteplici interpretazioni, talora imbarazzanti. Voleva il Sierpinskij parlare dell’idealizzazione della donna o riferirsi alla masturbazione? “È cosa assai strana come la vita sia a volte avara con i più meritevoli e prodiga con chi, invece, è stato baciato già dalla fama. Dei miei compagni di giochi, due ne ricordo in particolare: Cantor e un certo Luigi Orgamski, che di tutti noi era certamente il più dotato. Del primo sappiamo tutto, ma dell’opera dell’altro, medico di un paesino vicino Poznan, nulla si sa. Eppure, almeno la metà dell’umanità gli deve essere grata”. T. Sierpinskij, “Il punto Gigi”, Il Saggiatore, Varsavia, 1912. “L’angoscia di ogni uomo non sposato è pensare di dover, poi, riaccompagnare a casa la propria diletta. Quella di un uomo sposato è, invece, la certezza di non poterla riaccompagnare, dopo, da nessuna parte”. Plagio, essendo da sempre di dominio pubblico. Lo riportiamo in quanto il Nostro lo utilizzò in moltissime occasioni. “Un tempo avevo paura che le donne mi dicessero di no; ora, temo che mi dicano di sì”. T. Sierpinskij, “Trattato sull’invecchiamento”, Borland Ed., Magonza, 1873. “Vorrei poter comprendere le donne; ma, forse, non c’è assolutamente nulla da comprendere”. T. Sierpinskij, “Dio, Wittgenstein, le donne e quant’altro non ho compreso nella vita”, Springer, Berlino, 1952. “Ogni donna è, in fondo, una bambina. Peccato che il più delle volte si trovi dinanzi un cretino, con una stramaledetta paura di essere se stesso”. Da alcuni commentatori fu a suo tempo fatto notare al Nostro che, letteralmente, l’aforisma parla di un cretino che ha paura di essere un cretino. Sierpinskij non ha mai risposto a queste critiche. “Perdere capelli è per l’uomo fonte di profonda disperazione. Da quello che ho potuto osservare nel corso della mia vita, tuttavia, mi sembra che le donne giudichino ben poco l’uomo dalla fluenza della sua capigliatura”. T. Sierpinskij, “100 consigli per Janik Fiondiskij”, Del Prado Ed., Milano 1896. Il Nostro era solito indicare questa sua operetta come “Il libro inutile”. “Una donna mi ha fatto soffrire alla morte. Non riesco ad odiarla; ma non riesco più nemmeno ad amarla come una volta: anche alla stupidità c’è un limite”. Non è noto chi sia l’ispiratrice di questa confessione del Sierpinskij. Peraltro, come più volte fatto notare da K. Giravoltoski, critico ed esegeta del Nostro, non è nemmeno chiaro a chi vada attribuita la ‘stupidità’ cui fa cenno il pensiero, se alla donna o se al Sierpinskij stesso. “Il primo amore non si scorda mai. E, forse, determina tutto il resto”. T. Sierpinskij, “Non per far lo piacer mio...”, poesie e pensieri, Rossignoli Ed., Varsavia, 1842. “Se una donna si concede a tutti, allora diciamo che è una ‘puttana’; se si concede a tutti, ma non a noi, allora la cataloghiamo come ‘figlia di puttana’; se promette di concedersi, ma poi non lo fa mai, diciamo che è una ‘stronza’; se decide di concedersi... a te, solo a te, sempre a te... allora è una ‘rompipalle’. Pur non essendo in senso stretto una partizione, il tutto appare come un buon criterio classificatorio delle femmine che si incontrano nella vita”. Ancora un plagio del Sierpinskij. Si tratta infatti della nota classificazione tetracorica del Baccini. Per comodità del lettore, richiamiamo qui appresso il concetto di “partizione”. Siano dati, in uno spazio S, n eventi {E i }. Se detti eventi sono tali che: - risultano a due a due incompatibili, cioè E I ∩ E j = ∅ per ogni i ≠ j ; - la loro unione è l’evento certo, ovvero E 1 ∪ E 2 ∪ ... ∪ E n = S ; allora diremo che detti eventi formano una partizione di S. 111 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA GENITORI & FIGLI “Non si comprende mai a fondo l’importanza di un padre, se non dopo averlo perduto”. T. Sierpinskij, “Riflessioni sulla mia vita”, Kruger & Praxis, Vienna, 1863. “Puoi sentirti immortale, combattere da solo contro il Mondo, sfidare il Destino: ma un figlio ti ammazza con una parola”. T. Sierpinskij, “Ulteriori riflessioni sulla mia vita”, Kruger & Praxis, Vienna, 1953. “Lo zio è il padre dei vizi”. K. Giravoltoski, stavolta però sbagliandosi, lo attribuisce a Bertrand Russell, e cita al proposito un libro di quest’ultimo: “Elogio dell’ozio” (Ed. TEA, 1997). Per suffragare la sua tesi, invoca il solito refuso, ora nel titolo del libro del Russell. Dopo questo ‘infortunio’, riconosciuto poi da lui stesso, la credibilità del Giravoltoski è sensibilmente scemata tra gli addetti ai lavori. un dopo, tra l’essere in atto e l’essere in potenza, tra un interno e un esterno”. T. Sierpinskij (a cura di), “Petone l’Aerofagita: de flatulenza”, Il Mulino, Correggio (RE), 1933. “Le strade importanti sono tutte in salita”. T. Sierpinskij “Vita: istruzioni per l’uso”, Rusconi Ed., Milano, 1946. “Cos’è un genetliaco se non un altro punto della curva che giace sul piano della vita? Derivala, e scoprirai se puoi guardare con sguardo fiero il passato e con ottimismo il futuro”. T. Sierpinskij “Tractatus logicus mathaematicus”, Einaudi, Torino, 1901. “Le parole vere non piacciono mai; e le parole belle ingannano sempre”. Questo aforisma, duole dirlo, è spudoratamente ripreso dal “Libro della Norma” di Lao-Tse, dove è scritto “Le parole vere non sono belle, e le belle parole non sono vere” (Lao-Tse “Il libro della Norma e della sua Azione”, pag. 59, Rizzoli-BUR, 1962). LA VITA E LA GENTE “Vivere aiuta a vivere”. È questo uno dei pensieri più profondi del Sierpinskij. K. Giravoltoski si riferisce ad esso chiamandolo “L’Imo”. “Adoro Roma, e adoro i romani: nulla può stupirli. In un certo senso, l’Impero è rimasto”. T. Sierpinskij, “Ricordo di Ercole Proietti”, Ed. ‘I Romanisti’, Roma, 1843. “Detesto la gente; forse, perché detesto me stesso”. T. Sierpinskij, “Introspezioni”, Rocco Ed., Roma, 1986. “A volte, essere soltanto un galantuomo non basta”. T. Sierpinskij, “Avanti, Popolo”, Volkoff Ed., Mosca, 1887. “La gente in genere non pensa; e quando pensa, pensa male”. T. Sierpinskij, “Sociologia di massa”, MIT Ed., New York, 1929. “È cosa mirabile come nel passaggio dalla potenza all’atto vi sia un quid del quale non ancora possiamo avere contezza. Pur tuttavia, un certo carattere ricorsivo insito in natura, che dal più grande si riverbera nel più piccolo procedendo come tra sistole e diastole, fa sì che, come nella fisiologia umana abbiamo un prima e un dopo, un interno e un esterno, solidi, liquidi e gas in mirabile commistione, in tal modo l’universo, così come noi lo conosciamo, essendo ontologicamente simile a noi, deve essere frutto di una trasposizione di stato, tra un prima e 112 “La pésca è una scuola di vita, perché ci rende coscienti. Può andar bene, può andar male; ma qualcosa, nel bene e nel male, dipende sempre da noi stessi. La medesima cosa non può dirsi della pèsca, che al massimo fa bene alla salute per via delle vitamine”. T. Sierpinskij, “L’arte della pésca e della sua azione”, Zanichelli, Bologna 1907. “La vita, indubbiamente, spaventa. Vivere, di certo, è il mestiere più difficile che ci sia al mondo”. T. Sierpinskij, “Arti e mestieri della bassa Val Padana”, Bossi Ed., Brescia, 1927. “Farsi buone domande, non è difficile; il vero dramma è darsi risposte adeguate”. Dopo una lunga discussione con l’Enzensberger, il quale con argomenti capziosi continuava ad attaccare il concetto sotteso dall’aforisma, il Sierpinskij risolse la questione coniandone un altro: “Darsi buone risposte, non è difficile; il vero dramma è farsi domande adeguate”. È da questo episodio che nacque poi il “Principio di dualità degli aforismi del Sierpinskij”, ripreso successivamente anche dalla Teoria degli Insiemi e dall’Algebra Moderna. “Qualche uomo, talora, riflette sui propri errori; e chiama questo ‘esperienza’. La maggior parte di noi, tuttavia, non indulge in cotale sgradevole esercizio, rimanendo fedele al comportamento di sempre”. Citato in: K. Giravoltoski, “Aforismi e Adentrismi di T. Sierpinskij”, pag. 23, Sperler & Drugs, Bonn, 1942. “Si fa presto a chiamare ‘importanti’ le cose che ci in- VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA teressano”. T. Sierpinskij, “Diari”, Pelliconi Ed., Bolzano 1898 (anche in F. Tagj, A. Pitidix “Valutazione epidemiologica dei costi sociali quale strumento predittivo”, Atti del convegno “I costi sociali degli incidenti stradali “ , Roma, 26 giugno 1998. “Conosco un tale a cui se chiedi Cos’è la memoria?, ci pensa un poco su e poi ti risponde: Mi dispiace, ma non me lo ricordo”. Questa riflessione fu ispirata al Nostro dal Fiondiskij un giorno in cui questi dimenticò il suo nome (il suo, non quello di Sierpinskij). L’AMICIZIA “L’amicizia è quella cosa che, prima o poi, un certo giorno ti sorprende; e ti fa dire Come mai non me ne sono accorto prima?. T. Sierpinskij, “Dagli amici mi salvi Iddio: riflessioni su Cicerone”, Ricottoswiji Eds., Varsavia, 1988. “Poche situazioni mi fanno sorridere come quella di un uomo e una donna che ti dicono: No, no: siamo soltanto amici!”. T. Sierpinskij, “Le relazioni pericolose”, Dupont, Paris, 1911. “Una donna con troppi amici, o fa becco il marito, o ha un gran desiderio di farlo becco, ma non osa”. T. Sierpinskij, “Le relazioni pericolose: seconda fase”, Dupont, Paris, 1917. “Noi siamo una coppia aperta: a risentire certe cretinate degli anni ’60-’70 si resta quasi increduli”. T. Sierpinskij, “Amare il prossimo”, Duart, Lione, 1999. “La vera amicizia non chiede nulla. Tutto quello che chiede qualcosa, questo non è mai amicizia”. Secondo alcuni commentatori, l’aforisma sembra doversi attribuire all’Enzensberger. K. Giravoltoski ha prodotto a favore di tale tesi una circostanziata documentazione. “I nostri peggiori nemici sono, in fondo, i nostri migliori amici: nessuno come loro, quando essi ci attaccano, è infatti in grado di segnalarci così chiaramente i nostri punti deboli”. T. Sierpinskij, “Perché non sono solipsista”, Darmount, Lione, 1921. Recentemente, K. Giravoltoski ha trovato di questo aforisma un’ulteriore versione, autografa del Nostro: “Molto spesso i nemici divengono preziosi amici, perché sono i soli ad indicarci impietosamente i nostri lati deboli”. “Non c’è cosa peggiore che sentire un amico lodare la bellezza di una donna che ci ha infranto il cuore”. T. Sierpinskij, “Dagli amici mi salvi Iddio: riflessioni su Cicerone”, Ricottoswiji Eds., Varsavia, 1988. “Ab amico riconciliato cave”. Come dire ‘Attento all’amico con cui hai fatto pace’. Il Sierpinskij si gloriò sempre di questo ‘suo’ aforisma. Ne andava orgoglioso: diceva che era pieno di saggezza ed esperienza. È imbarazzante riferirlo, ma K. Giravoltoski ha prodotto incontrovertibili prove documentali che trattasi di un plagio. Plagio, peraltro, assai maldestro, in quanto questa sentenza si trova anche in raccolte largamente diffuse di proverbi, motti e detti latini (si veda ad esempio, F. Fava, C. Mischiatti “In labore fructus”, pag. 14, Libreria Meravigli Editrice, Vimercate, 1987). Ci fu al proposito una cruda polemica tra il Giravoltoski e il Sierpinskij: il Nostro gli mandò a dire, giurando e spergiurando, che di una coincidenza si trattava; Giravoltoski rispose secco: “A quando ‘Cave canem’?”. Pur essendosi riconciliati, i due - forse memori dell’avvertimento segnalato dal motto della discordia - hanno sempre poi evitato di incontrarsi. LA MUSICA “Alcuni affermano essere la musica una sintassi senza semantica. Questo è profondamente falso. Costoro, infatti, dovrebbero allora spiegare perché un accordo maggiore induce buonumore, mentre un accordo minore suscita tristezza”. T. Sierpinskij, “Trattato di Estetica Musicale”, Edizioni Ricordi, Milano, 1888. “Alcuni virtuosi sono talmente bravi che riescono a produrre esecuzioni perfette senza vi sia traccia di musica”. Sembra che il Sierpinskij abbia formulato questo pensiero dopo aver assistito ad un concerto di F. Liszt. “Nessuna situazione è tanto tragica come quella di ritrovarsi ‘secondo violino’ “. T. Sierpinskij, “L’Arte di essere Primo”, Ed. Passaperdiqua, Novara, 1878. “L’ipoacusia di cui soffro mi ruba molto del gusto di ascoltare buona musica. Di fronte a certe esecuzioni, tuttavia, non posso che rallegrarmi con me stesso del malanno che m’è capitato”. T. Sierpinskij, “Fischi per fiaschi: ricordi di un ipoudente”, Ed. Mediche Salisburghesi, Salisburgo, 1863. “Clarinetto: strumento di tortura maneggiato da una o più persone con tappi nelle orecchie. Solo due strumenti sono peggio di un clarinetto: due clarinetti”. K. Giravoltoski ha purtroppo dimostrato che questo gustoso aforisma è stato letteralmente copiato dal Nostro. Esso compare infatti a pag. 58 del libro di Ambrose Bierce, “Il 113 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA dizionario del Diavolo”, La Spiga Ed., 1995. Egli ha anche mostrato che la stessa cosa è avvenuta col noto “Aforisma della fisarmonica”, da sempre attribuito al Sierpinskij, ma anch’esso del Bierce (‘Fisarmonica: strumento che spesso stimola l’istinto omicida latente in noi’, Ambrose Bierce, “Il dizionario del Diavolo”, pag. 105, La Spiga Ed., 1995). SESSO E DINTORNI “Essere coltivatore diretto, non implica necessariamente omosessualità”. T. Sierpinskij “Non sempre il ‘diverso’ è diverso”, in “Trappole del linguaggio”, J. K. Moore ed., Kroster, Varsavia, 1873. “Era timido, ma così timido, che quando si masturbava nel bagno copriva con un asciugamano lo specchio”. Secondo il Giravoltoski più che di un pensiero si tratta di un fatto reale, confessato al Sierpinskij da certo Lapo Fiorelli, suo allievo a Berlino. lag Eds., Vienna, 1932 “Più conosco gli uomini, più amo le donne”. È questa, forse, la massima più profonda del Sierpinskij. Non a caso il Giravoltoski la indica come “L’Imo Assoluto”. “Per quanto la cosa preoccupi non pochi, è facile fare sesso la prima volta. Il difficile è smettere poi”. T. Sierpinskij, “Vecchie e nuove Dipendenze”, Maria Giovanna Ed., Bogotà, 1993. “A Roma si dice: Fatte er nome, e frégatene!. Ma il detto vale anche in senso negativo. Ne sanno qualcosa Onan e Casanova, l’uno passato alla storia come segaiolo, l’altro come sciupafemmine”. Questo modo di dire, tipico dei trasteverini, fu appreso dal Sierpinskij direttamente da Ercole Proietti un giorno in cui gli chiese come mai il vino della sua locanda non fosse più quello di una volta. IL MATRIMONIO “La prima, la si fa per bisogno; la seconda, per piacere; la terza, per raccontarla”. Citazione che il Sierpinskij si attribuì spudoratamente (è da millenni di pubblico dominio). Egli smise di utilizzarla dopo che gli fu chiesto ingenuamente dal Fiondiskij: “E la quarta?”. “Paura è non riuscire per la prima volta a fare la seconda. Terrore, invece, è non riuscire a fare la prima per la seconda volta”. Anche questo aforisma risulta di pubblico dominio. Ciononostante, il Sierpinskij lo spacciò a lungo come suo, citandolo in qualunque occasione gli fosse possibile farlo. Fatto assai strano, su cui si sta ancora indagando, è che Egli smise poi, improvvisamente, di farne uso. “Cos’è un amore senza pene?”. T. Sierpinskij, “Note dal Fronte e sulla fronte”, DuPont & TrePont, Paris, 1824 “Lo scorrere del tempo è inesorabile: da superdotato ti ritrovi superdatato”. T. Sierpinskij, “Introduzione allo studio dello spazio quadridimensionale di Minkowski”, Warner Eds., New York, 1919. “Un tempo sognavo femmine discinte con le quali, inevitabilmente, mi congiungevo. Ora sogno epiche battaglie, dove combatto sempre in prima linea, ricoprendomi di gloria. Il mio psicoanalista mi ha spiegato che si tratta della ‘sindrome da caduta della t’. Infatti, egli afferma, da giovane facevo sogni erotici; adesso faccio solo sogni eroici”. T. Sierpinskij, “Che cos’è la psicanalisi”, Kumper & Ver114 “Il matrimonio è un passo avventato, che nasce dal desiderio di possesso dell’altro. La tendenza a possedere, non a donarsi, forse spiega i problemi che, inevitabilmente, succedono al matrimonio stesso”. T. Sierpinskij, “Matrimonio e convivenza”, Ed. Paoline, Roma, 1944, “Non esito a definire ‘salto quantico’ il cambiamento di una donna dopo il matrimonio”. T. Sierpinskij, “Trattato di Meccanica Quantistica”, Guarnieri, Vercelli, 1937, LA RELIGIONE “Un prete, col tempo e con la fede, può forse diventare un sacerdote; più difficilmente, io credo, che un sacerdote possa un giorno ritrovarsi prete”. T. Sierpinskij, “La crasi delle vocazioni”, Ed. Paoline, Roma, 1943. K. Giravoltoski sostiene da tempo esserci un refuso nel titolo di questo libro. “Signore, io sono qua a pregarTi. Ascoltami e dammi la forza di essere migliore, affinché possa aiutare i miei simili prima di tornare a Te (il più tardi possibile, comunque)”. Antica invocazione Veda che il Sierpinskij apprese dal maestro Liu-kan durante il suo soggiorno di studio in Cina. “Probabilmente, Dio ignora la nostra esistenza. Ma se così non fosse... allora è un vecchio sadico” . T. Sierpinskij, “Io e Dio”, Ed. Paoline, Roma, 1983. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA MEDICINA & SALUTE “Vita: tipica malattia cronicodegenerativa, ad esito invariabilmente mortale”. T. Sierpinskij, “Trattato di Medicina Generale”, Unimed Ed., Pescasseroli, 1997 “Ho conosciuto un medico che di fronte ad ogni malanno diceva inevitabilmente al meschino di turno: Dormici sopra!. E lo diceva anche a chi soffriva di insonnia”. T. Sierpinskij, “Ricordi sanitari”, Rocco Ed., Forlimpopoli, 1973. “Un altro medico da me conosciuto era assai contrario all’uso di farmaci. Il suo cavallo di battaglia era infatti: Non prendere niente: tanto poi ti passa!. Probabilmente, tra quanti incontrati nella mia vita, è quello che ha fatto meno danni”. T. Sierpinskij, “Nuovi ricordi sanitari”, Rocco Ed., Forlimpopoli, 1975. “Un medico condotto con cui ebbi ventura di familiarizzare, soleva rincuorare i suoi pazienti, anche gravi, dicendo loro Non abbatterti: pensa alla salute!”. T. Sierpinskij, “Ancor più nuovi ricordi sanitari”, Rocco Ed., Forlimpopoli, 1977. “Si è timidi finché si dà importanza agli altri”. T. Sierpinskij, “Se stessi in 118 lezioni”, Unimed Ed., Pescasseroli, 1963. “Il problema dell’ingrassare? Alimentare, Watson”. T. Sierpinskij, “Sherlock Holmes e il dietologo assassino”, Pinguin Press, Oxford, 1865. SCUOLA, STUDIO & CULTURA “Tutti i bambini nascono intelligenti; poi, vanno a scuola”. È questo l’aforisma più famoso di Taddeus Sierpinskij. Il più vero, il più amaro. mistica’ (in particolare delle rubriche ‘Strano, ma vero’ e ‘L’edipeo enciclopedico’) può fare di ognuno di noi il dominatore di qualunque conversazione”. T. Sierpinskij, “Inchiodare il salotto”, Annabella Edizioni, Milano, 1998. “Non è importante leggere, ma rileggere, avendo buon naso nel capire quel che va attentamente riletto”. T. Sierpinskij, “Leggere per imparare, imparare a leggere”, Edizioni Ricordi, Milano, 1998. “Apparire uomo di grande cultura, non è difficile: basta mandare a mente una ventina di citazioni e intervallare ogni tanto con queste le proprie argomentazioni. Ovviamente, i riferimenti dovranno essere relativi a scrittori o poeti sconosciuti ai più”. T. Sierpinskij, “Corso avanzato di Strategie Culturali”, Orakoff ed., Mosca, 1998. “La Censura è sempre riprovevole: è inaccettabile che qualcuno stabilisca quello che un altro debba leggere o vedere o raccontare”. Scritto dal Nostro dopo la messa all’indice del Suo agile volumetto: T. Sierpinskij, “Ateismo fai-da-te”, Ed. Paoline, Roma 1845. SOLDI E LAVORO “Mi raccontava, sconsolato, il mio libraio che prima di me era passata una signora ad ordinargli Un metro e mezzo di libri rilegati in rosso”. L’episodio, come si apprende nei Diari, fu riferito al Sierpinskij da tal Nicola, proprietario della libreria “La Scaletta”, sita a Roma in viale Ippocrate. “Una costante e attenta lettura de ‘La Settimana Enig- “Se incontro quel tale che ha messo in giro la voce che i soldi non fanno la felicità, giuro che gli spacco la faccia!”. T. Sierpinskij, “Cattivi Maestri”, Milton & Guest Eds., Chicago, 1922. “Il lavoro debilita l’uomo”. T. Sierpinskij, “Effetti collaterali nella produzione di 115 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA beni”, Oxford Press., UK, 1922. LA MORTE “Il danaro non fa la felicità? È vero: contribuisce, infatti, solo al 90%”. T. Sierpinskij, “Trattato di Econometria”, Milton & Guest Eds., Chicago, 1926. “È vero, tutti dobbiamo morire: ma non spingete, per favore!”. Sembra che questa frase sia stata detta per la prima volta da Sierpinskij nel corso della battaglia di Waterloo. “Conosco non poche persone che riprovano con disgusto il comportamento di Giuda, soprattutto per essersi accontentato di soli 30 danari”. T. Sierpinskij, “Modelli deterministici, stocastici e stocastico-deterministici nella teoria dei giochi e delle decisioni”, Milton & Guest Eds., Chicago, 1936. “Tre firme ispirano sempre fiducia, perfino allo strozzino” . Di questo indovinato aforisma del Sierpinskij si appropriò spudoratamente Oscar Wilde, spacciandolo per suo (v., per es., O. Wilde “Sebastian Melmoth Aphorisms”, pag. 57, Newton Ed., 1997). Quando il Sierpinskij lo seppe, avviò una causa per plagio contro il Wilde. Il processo andò avanti per diversi anni, finché il Nostro non ritirò la denuncia, impietosito dalla drammatica situazione in cui Wilde era venuto a trovarsi in seguito all’accusa di omosessualità mossagli dal marchese Queensberry. Noam Enzensberger scrisse un saggio su questo aforisma del Nostro. Sembra, peraltro, che lo abbia più volte messo in pratica per certi suoi affari. “Il modo migliore per uccidere un’amicizia è chiedere un prestito all’amico”. Riflessione suggerita al Sierpinskij dall’Enzensberger, come si evince dai “Diari”. K. Giravoltoski sostiene, anche in questo caso, esserne l’autore lo stesso Enzensberger. “È vero che il danaro non fa la felicità; ma riesce a tenere lontano da noi una serie infinita di rotture di scatole”. T. Sierpinskij, “Secondo Trattato di Econometria”, Milton & Guest Eds., Chicago, 1957. LA GUERRA “In tema di Guerre Mondiali, io penso che l’uomo possa contare soltanto fino a tre”. T. Sierpinskij, “Strategie e Decisioni”, Milton & Guest Eds., Chicago, 1946 “Quando sono gli altri a morire, non è difficile mostrar coraggio in guerra”. T. Sierpinskij, “Armiamoci e partite!”, Fiaccola Ed., Roma, 1936 “Detesto i Fondamentalisti: li ammazzerei tutti!”. T. Sierpinskij, “La forza della ragione e la ragione della forza”, Farulli Ed., Roma, 1996 116 ANIMALI “Gli animali hanno un’anima?. Ecco un tipo di domanda che può farsi soltanto chi non ha mai posseduto un cane o un gatto”. T. Sierpinskij, “Etologia pratica”, Ed. Wrstzi, Varsavia, 1859 “Panda rei…: Eraclito, il primo ecologista della Storia”. T. Sierpinskij, “Verso un disequilibrio globale”, Ed. MIT, New York, 1860 FAME “Viviamo in un mondo di affamati: i quattro quinti, perché non hanno abbastanza cibo da mangiare; il quinto restante, perché deve abbassare il proprio colesterolo”. T. Sierpinskij, “Così va il mondo”, Ed. FAO, Roma, 1959. “Un giorno di digiuno a settimana, per mantenerci in linea e per comprendere meglio coloro che non digiunano per scelta”. T. Sierpinskij, “Più sani, più belli, più buoni”, Ed. ERI, Roma, 1979. SORTE, PROBABILITÀ E STATISTICA “Se mi dicono Quanto stai bene!, mi viene da fare pesanti scongiuri. È questa, a mio parere, una misura di come temiamo il futuro”. T. Sierpinskij, “La jella esiste?”, Ed. Cuomo, Napoli, 1899. “Quando su cento persone, gli imbecilli sono venti, l’effetto complessivo è in fondo positivo, poiché essi allertano gli altri ottanta, tenendoli ben svegli. Se, invece, gli imbecilli sono ottanta su cento, allora tutto è perduto, in particolare per i restanti venti”. T. Sierpinskij, “Statistica per la Sociologia”, Ed. Veschi, Roma, 1941. “Ero seriamente preoccupato, come capita a chi vuole stipulare un’assicurazione sulla propria vita e l’assicuratore si fa sistematicamente negare”. T. Sierpinskij, “Lezioni di Matematica Attuariale”, Ed. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Esiste quindi una precisa relazione tra le conoscenze matematiche e la comprensione della statistica”. Ripreso da: T. Sierpinskij, “Relazione riservata per il Ministro della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana sui risultati degli esami di maturità dell’anno scolastico 20072008”. Si tratta in assoluto, lo si noti bene, dell’ultimo documento prodotto dal Sierpinskij prima di passare a miglior vita. “La differenza tra un eterosessuale ed un omosessuale è che l’uno prende la vita a priori, l’altro a posteriori”. T. Sierpinskij, “Probabilità soggettiva versus probabilità frequentistica”, Ed. Veschi, Roma, 1939 SCIENZA E TECNICA Veschi, Roma, 1940. “La probabilità è essenzialmente una misura di speranza. Tenendo conto, però, di come in genere le nostre speranze trovino poi rispondenza nei fatti, viene da pensare che questa grandezza sia piuttosto una quantificazione perversa del nostro futuro grado di delusione”. T. Sierpinskij, “Probabilità soggettiva versus probabilità frequentistica”, Ed. Veschi, Roma, 1939. “Approccio bayesiano: tecnica per rimorchiare alle feste, se gli invitati sono pochi e conoscete bene il giro”. T. Sierpinskij, “Concrete applicazioni della statistica”, Ed. Kargoff, Leningrado, 1951. “Un ottimista è colui che crede di vivere nel migliore dei mondi; il pessimista, invece, sa che è vero. Che è vero, lo sa anche lo psicotico, solo che ci si incazza da morire”. Non particolarmente originale. La chiusa, tuttavia, è certamente del Sierpinskij. “Ora et elabora”. T. Sierpinskij, “Trattato di Analisi Numerica”, Ed. Verlag, Berlino, 1954. “Cinque studenti su quattro zoppicano matematica. Il 125% degli studenti, poi, non capisce nulla di statistica. “Il tecnico risolve i problemi; il genio, li crea”. T. Sierpinskij, dopo un suo tentativo di riparare il videoregistratore. “Se crea problemi subito, è Tecnica; se li crea dopo, allora è Scienza”. Anche questo aforisma fu attaccato duramente dall’Enzensberger, il quale si profuse in argomentazioni le più diverse, ma tutte decisamente irragionevoli. Sierpinskij riuscì brillantemente a tacitarlo producendo con il suo ‘principio di dualità’ l’aforisma parallelo: “Se crea problemi subito, è Scienza; se li crea dopo, allora è Tecnica”. MASSIMI SISTEMI “La verità sta nel mezzo; ed è per questo che viene sempre schiacciata”. T. Sierpinskij, “Trattato di logica modale”, Ed. Paoline, Roma, 1917. Vedi anche T. Sierpinskij, “Le leggi della Logica e la logica delle Leggi”, Giuffrè, 1942. “Prima o poi, ogni pettine incontra il nodo”. T. Sierpinskij, “Riflessioni filosofiche”, Water & Winter, Cambridge, 1911. “A chi non ha dubbi restano, purtroppo, soltanto certezze”. T. Sierpinskij, “Nuovi orizzonti della Ricerca Operativa”, Open House ed., Los Angeles, 1937. 117 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Papavero da oppio “Una panzana raccontata pubblicamente quattro volte diviene presto notoria verità”. T. Sierpinskij, “La nascita delle Leggende Metropolitane”, One & Two eds., Washington, 1947. Anche in: T. Sierpinskij, “L’arte della Comunicazione”, Muller Ed., Vienna, 1958. sterdam, 1921. “Il problema non sta nel volere, ma nel voler volere e nel poter volere”. T. Sierpinskij, “Vittorio Alfieri: chi era costui?”, Chiovelli, Cuneo, 1845. Si osservi che Ludwig Wittgenstein riteneva, in base a sue considerazioni sul linguaggio, che non si potesse ‘voler volere’. “L’intelligenza… dovrebbe essere usata con moderazione. Per sé, per gli altri”. T. Sierpinskij, “Comportamenti razionali”, Crescitelli ed., Roma, 1899. “Ancora oggi mi stupisco del fatto che, pur essendo in genere abbastanza intelligente, a volte insisto con grande tenacia nella stupidità”. È questa una delle maggiori autocritiche del Sierpinskij. “Non c’è niente di meglio per distendersi, che sentirsi ogni tanto un po’ imbecilli. L’importante è non prenderci troppo gusto”. Sembra che a questo aforisma del Sierpinskij si sia ispirato Wittgenstein: “Discendi sempre dalle nude alture dell’intelligenza nelle valli verdeggianti della stupidità” (L. Wittgenstein, ‘Pensieri diversi’ (Vermischte Bemerkugen), RCS, Milano, 2001). “Ognuno è una storia. E la storia è sempre unica”. T. Sierpinskij, “Che cos’è la Vita?”, Kummer, Berlino, 1933. “Assioma: luogo comune fatto Papa”. T. Sierpinskij, “Sistemi formali e dintorni”, Mardeen, Am118 “Quando l’Universo si è stancato del rasoio di Ockham, ha creato la coscienza”. T. Sierpinskij, “Oltre il lambda calcolo”, University Press, Miami, 1963. “L’importante non è partecipare: è vincere”. T. Sierpinskij, “Se stessi in 24 ore”, Unimed Ed., Pescasseroli, 1953. “Dovrebbe esserci, in genere, più rispetto per i problemi”. T. Sierpinskij, “Dalla logica alla metalogica”, Tuminelli, Roma, 1922. ALCOL & DROGHE “Se Marx fosse qui oggi, direbbe che è l’oppio la religione dei popoli”. T. Sierpinskij, “Da Marx a Xram”, Grather & Ingrather Eds., Newcastle, 1985. “Alcol, droghe, sigarette, sesso e cioccolata: facile cominciare, difficile smettere”. T. Sierpinskij, “Vecchie e nuove Dipendenze”, Maria Giovanna Ed., Bogotà, 1993. VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA Appendice III. Indicazioni operative per un Primo Soccorso I testi sottoriportati sono da utilizzare prontamente in caso di intossicazione culturale acuta. Come si è potuto constatare, effettuando uno studio epidemiologico longitudinale, sia su soggetti che si sono offerti di leggere le bozze, sia su altri soggetti che non lo hanno fatto, si possono manifestare talora non solo forme di intossicazione lieve o moderata (Rischio Relativo pari a 4), ma anche forme di intossicazione maggiore (R.R.: 34), sino allo shock anafilattico (R.R.: 342), dove bisogna procedere senza esitare un istante. Per ognuna di queste eventualità (lo ripetiamo: non appena ci si renda conto della sopravvenuta situazione critica bisogna intervenire immediatamente!!!) va somministrato al soggetto il contenuto del corrispondente volume, specifico per eziologia e gravità della sindrome, come da tabella sottoriportata. In caso di incoscienza del paziente, o mentre si effettuano manovre di rianimazione cardio-polmonare (CPR), sarà bene che qualcuno legga ad alta voce alcuni passi del volume così individuato, possibilmente scelti a caso. L’efficacia di quest’ultimo intervento terapeutico non è stata ancora validata dal Cochrane Network; ma, chissenefrega, fatelo lo stesso. Qualora, purtroppo, il soggetto dovesse considerarsi perduto, abbiamo inserito anche alcune letture da tenersi in sua memoria. La speranza che sta dietro questa scelta, invero un poco macabra, è che queste possano essere utili a chi resta. INTOSSICAZIONE LIEVE Filosofia: L. De Crescenzo, “Storia della Filosofia” (vari volumi), Mondadori, vari anni. Logica: L. Carroll, “Il gioco della Logica”, Astrolabio, 1969 (anche: E. Carruccio “Mondi della Logica”, Zanichelli, 1974). Matematica: R. Courant, H. Robbins, “Che cos’è la Matematica?”, Boringhieri, 1950 (anche: E. Stabler, “Il pensiero Matematico”, Boringhieri, 1970). Probabilità e Statistica: S. Lipschutz, “Calcolo delle Probabilità”, ETAS, 1975 (anche: M.R. Spiegel, “Probabilità e Statistica”, ETAS, 1979). Fisica: I. Asimov, “Il libro di Fisica”, Mondadori, 1986. Biologia: H.J. Bogen, “La Biologia moderna illustrata”, Rizzoli, 1968. Religioni: A. Watts, “Lo Zen”, Bompiani, 1959 (anche: E. Schuré, “I Grandi Iniziati”, Laterza, 1952). INTOSSICAZIONE MODERATA Filosofia: E. Severino, “Antologia Filosofica”, Rizzoli, 1997. Logica: P. Odifreddi, “Il Diavolo in Cattedra”, Einaudi, 2003. Matematica: D. Hilbert, S. Cohn-Vossen, “Geometria intuitiva”, Boringhieri, 1960. Probabilità e Statistica: I. Hacking, “L’emergenza della Probabilità”, Il Saggiatore, 1987 (anche: D. Costantini, M.A. Penco, U. Garibaldi, “Introduzione alla Statistica”, Muzzio Ed., 1992). Fisica: A. Einstein, L. Infeld, “L’Evoluzione della Fisica”, Boringhieri, 1965. Biologia: W.D. Stansfield, “Genetica”, ETAS, 1976. Religioni: K. Armstrong, “Storia di Dio”, Marsilio, 1998. INTOSSICAZIONE GRAVE Filosofia: B. Russell, “I problemi della Filosofia”, Feltrinelli, 1969. Logica: E.J. Lemmon, “Elementi di Logica”, Laterza, 1986. Matematica: P. Odifreddi, “La Matematica del Novecento”, Einaudi, 2000. Probabilità e Statistica: I. Hacking, “Introduzione alla Probabilità e alla Logica Induttiva”, Il Saggiatore, 2005. Fisica: B. Russell, “L’ABC della Relatività”, Longanesi, 1960. Biologia: W.F. Bodmer, L.L. Cavalli-Sforza, “Genetica, Evoluzione, Uomo”, 3 volumi, Mondadori, 1977. Religioni: H. Kung, “Teologia in cammino”, Mondadori, 1987 (anche: P. Odifreddi, “Il Vangelo secondo la Scienza”, Einaudi, 1999). SHOCK ANAFILATTICO Filosofia: K.R. Popper, “Il mondo di Parmenide”, Edizioni PIEMME, 1998. Logica: R. Carnap, “Introduzione alla Logica simbolica”, La Nuova Italia, 1978. Matematica: B.R. Gelbaum, “Controesempi in analisi 119 VITA E OPERE DI TADDEUS SIERPINSKIJ (1769-2015) - UNA BIOGRAFIA CRITICA matematica”, Mursia, 1979. Probabilità e Statistica: A. Paupolis, “Probabilità, variabili aleatorie e processi stocastici”, Boringhieri, 1973. Fisica: R. Penrose, “La strada che porta alla Realtà”, 1.114 pp., Rizzoli, 2006. Biologia: G.G. 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Rossi (a cura di), “Storia della Scienza”, 8 volumi, UTET, 1988. L. Geymonat (a cura di), “Storia del pensiero Filosofico e Scientifico”, 9 volumi, Garzanti, 1970.