Milano, 13 Gennaio 2016
A tutti i Membri della Fondazione Milano per la Scala
I VIAGGI MUSICALI di MILANO PER LA SCALA
GENOVA
Teatro Carlo Felice
Domenica 20 Marzo 2016 - ore 15:30
ROBERTO DEVEREUX
Musica di Gaetano Donizetti
Nuovo allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice
Fondazione Teatro La Fenice e Fondazione Teatro Regio di Parma
Direttore Francesco Lanzillotta
Orchestra Teatro Carlo Felice - Coro Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro Pablo Assante
Regia Alfonso Antoniozzi
Scene Monica Manganelli -Costumi Gianluca Falaschi
PERSONAGGI INTERPRETI
Regina Elisabetta Mariella Devia
Sara Sonia Ganassi
Roberto Devereux Piero Pretti
Il Duca di Nottingham Artur Ruciński
ed inoltre
PALAZZO DUCALE
Appartamento del Doge
MOSTRA “Dagli Impressionisti a Picasso”
I capolavori del Detroit Institute of Arts
Van Gogh, Gauguin, Monet, Cézanne, Degas, Renoir, Matisse, Modigliani, Kandinsky, Picasso
Via Clerici, 5
20121 Milano
Tel. 02.7202.1647
Fax 02.7202.1662
E-mail: [email protected]
Cari Amici,
desideriamo proporvi una gita a Genova per assistere all’opera “Roberto
Devereux” di Gaetano Donizetti.
Programma di massima:
ore 9.30
Ritrovo dei partecipanti in PIAZZA DE ANGELI (MM rossa, lato bus e
parcheggio taxi) e partenza con autobus privato CARMINATI
ore 11.45 ca
Arrivo a Genova
ore 12.00
Palazzo Ducale – Visita della Mostra “Dagli Impressionisti a Picasso”
(con cuffie audioguida)
ore 13.30
Pranzo al CambiCafé, elegante ristorante nel centro storico con una
stupenda sala seicentesca, affrescata da Bernardo Strozzi.
Vico Falamonica, 9 – tel.010/97.52.674 - www.cambicafe.com
ore 15.30
Teatro Carlo Felice, “Roberto Devereux” di Gaetano Donizetti.
Durata circa 3 ore, incluso intervallo
Al termine, rientro a Milano con pullman riservato linea Carminati.
ore 20/20.30
Arrivo previsto a Milano, Piazza De Angeli.
Modalità Prenotazione:
Per informazioni e prenotazioni contattare la Segreteria al n.02-7202.1647 entro
venerdì 29 Gennaio 2016.
Conferma Prenotazione:
La Gita verrà effettuata solo se si raggiungerà un numero minimo di 15 persone
Con i più cordiali saluti.
Il Presidente
Giuseppe Faina
Via Clerici, 5
20121 Milano
Tel. 02.7202.1647
Fax 02.7202.1662
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ROBERTO DEVEREUX
Tragedia lirica in 3 atti
Musica di Gaetano Donizetti
Note del Teatro
Roberto Devereux debuttò al San Carlo di Napoli il 28 ottobre 1837 con un successo che confermò la
predilezione del Donizetti tragico per i grandi soggetti di ambientazione nobiliare: l’opera, infatti, è il terzo
capitolo del cosiddetto “Ciclo delle regine di Tudor”, inaugurato nel 1830 con Anna Bolena (il titolo che
aveva aperto al compositore le porte dei teatri parigini) e proseguito nel 1835 con Maria Stuarda.
Lo stile compositivo di Donizetti si elevava davanti a vicende di amori irrealizzati in ambienti di corte (in
questo caso quello di Elisabetta I e della Contessa Sara di Nottingham per Roberto Devereux, conte di
Essex) e a figure femminili dello spessore drammaturgico delle regine di Tudor: lo testimonia il ruolo di
Elisabetta, considerato uno dei più significativi ritratti di donna del melodramma romantico prima di quelli
verdiani.
E uno dei vertici assoluti del “bel canto”: il finale del primo Atto e quello del terzo (e ultimo) sono tra i più
difficili ed estremi del repertorio belcantistico.
Il libretto, efficace e conciso, è di Salvatore Cammarano, che si basò su uno precedente scritto da Felice
Romani per Saverio Mercadante (ricavato a sua volta dalla tragedia di Jacques-François Ancelot Élisabeth
d’Angleterre).
Opera intensa e potente sia musicalmente che teatralmente, Roberto Devereux va in scena quest’anno in
un nuovo allestimento del Teatro Carlo Felice in coproduzione con la Fondazione Teatro La Fenice.
La regia è affidata ad Alfonso Antoniozzi, baritono di fama mondiale e, dal 2008, anche regista.
Le protagoniste femminili sono Sonia Ganassi (Sara) e Mariella Devia, giudicata una delle più grandi
interpreti viventi del ruolo di Elisabetta.
MOSTRA “Dagli Impressionisti a Picasso”
I capolavori del Detroit Institute of Arts
Note di Palazzo Ducale
Nel 1880, uno dei fondatori del Metropolitan Museum spronava i suoi connazionali americani a “convertire
la carne di maiale in porcellane, il grano e i derivati in ceramiche preziose, le pietre grezze in sculture in
marmo, le partecipazioni alle linee ferroviarie e i proventi dell’industria estrattiva nelle gloriose tele dei
maestri più importanti del mondo”.
Nasce la straordinaria avventura culturale e imprenditoriale del collezionismo statunitense: un inimitabile
scambio tra pubblico e privato, uno scenario del tutto nuovo per il mercato dell’arte internazionale, che
porta alla creazione e al rapido sviluppo di grandi musei, considerati strategici per la crescita culturale
dell’interna nazione.
Con tipico spirito americano, nel giro di pochi decenni, a cavallo del Novecento, si assiste a una vera e
propria competizione per la formazione delle raccolte più complete, per l’acquisizione di opere-chiave, per
la scoperta e la valorizzazione di artisti antichi e moderni. La scintillante Parigi della Belle Époque è il punto
di riferimento principale, ma i collezionisti, i galleristi, gli antiquari, le case d’aste, i direttori dei musei
americani sono impegnati in una continua corsa sostenuta non solo da ingenti risorse economiche, ma
anche da un gusto aperto, libero da pregiudizi. E’ noto, ad esempio, che pittori come gli impressionisti o lo
stesso Matisse sono stati apprezzati e acquistati prima da collezionisti americani (e russi), e solo in seguito
apprezzati anche in Europa!
Via Clerici, 5
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Tel. 02.7202.1647
Fax 02.7202.1662
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Detroit è una delle capitali economiche degli Stati Uniti, storico centro dell’industria automobilistica, tanto
da essere soprannominata “Motor City”: il Detroit Institute of Arts, fondato nel 1885 e più volte ampliato e
rinnovato nel corso dei suoi 130 anni di storia, è da sempre l’epicentro della gloria cittadina, in particolare
quando, negli anni del boom economico, le fabbriche cittadine rappresentavano la locomotiva dell’industria
americana. Già nei primi decenni del ‘900 il museo di Detroit era considerato l’avamposto e la principale via
di accesso delle avanguardie europee negli Stati Uniti.
Oltre a poter contare sulle solide basi del mecenatismo degli industriali, il museo ha potuto contare su una
risorsa che lo contraddistingue rispetto ai musei sorti in altre città degli Stati Uniti. Per oltre vent’anni
(1924-1945), il Detroit Institute of Arts è stato diretto dallo storico dell’arte tedesco William Valentiner.
Grazie a lui, il museo si è aperto a nuovi orizzonti: il gusto e l’esperienza di Valentiner porta a Detroit i primi
Van Gogh e Matisse esposti nei musei americani, e la competenza specifica sull’espressionismo tedesco,
perfino l’amicizia personale con alcuni artisti, consente scelte di altissimo livello anche in questo campo.
Sotto la direzione di Valentiner, il museo ha radicalmente rinnovato la propria sede, e, nel 1937, è stato
anche decorato in modo superbo da un ciclo di dipinti murali di Diego Rivera. Un’altra figura di
straordinaria importanza è quella di Robert H. Tannahill, che ha lasciato numerose opere d’arte (metà dei
dipinti esposti in mostra appartengono alla sua donazione) e un ingente fondo per il costante
accrescimento delle collezioni. Grazie alla convergenza tra il mecenatismo dei privati, fra cui va ricordata
anche la famiglia Ford, e la lungimirante direzione, il Detroit Institute of Arts è dunque saldamente
collocato tra i massimi musei degli Stati Uniti.
Le opere che saranno a lungo esposte nello splendido Appartamento del Doge ripercorrono il tragitto
all’inverso che da Detroit porta al Vecchio Continente. La ricchezza della collezione di arte europea tra XIXX
e XX secolo è data dalla sua completezza e dalla molteplicità dei linguaggi: un dialogo che coinvolge Van
Gogh, Matisse, Monet, Modigliani, Degas, Monet, Manet, Courbet, Otto Dix, Degas, Picasso, Gauguin,
Kandinsky, Cézanne, Renoir. Per la presenza di tutti i protagonisti, e per l’importanza delle opere, è
possibile tracciare l’intera vicenda dell’arte europea dall’impressionismo alle avanguardie.
Il percorso della mostra è costantemente accompagnato da supporti didattici che inseriscono dipinti, artisti
e movimenti nella dinamica storica di cinquanta anni densi di capolavori, organizzati secondo un criterio
cronologico. Si comincia con la grande sala in cui si racconta la nascita del movimento, dell’idea che ha
cambiato per sempre la storia della pittura: l’impressionismo.
La volontà di aprirsi alla luce libera della natura è una conquista che passa attraverso il realismo intenso di
Courbet (Bagnante addormentata presso un ruscello) e le opere piacevolmente narrative di pittori “alla
moda” come Gervex e Carolus-Durand, per approdare alla gloria del colore di un capolavoro di Monet, i
radiosi Gladioli databili intorno al 1876. Altrettanto significativo è il luminoso Sentiero di Camille Pissarro,
che costituisce un autonomo, libero sviluppo dell’impressionismo, riflesso in un ampio paesaggio di
campagna. Significativa è la presenza di tre opere affascinanti di Renoir, a cominciare dalla Donna in
poltrona che coincide con la prima mostra dell’Impressionismo (1874), per giungere a due opere della tarda
maturità, ormai dopo la svolta dell’anno 1900.
Uno spazio autonomo, quasi una vera “mostra nella mostra”, è dedicato alla figura di Edgar Degas, di cui
sono presenti cinque tele, in cui sono sviluppati tutti i temi fondamentali del grande pittore parigino: il
ritratto, i cavalli, le inconfondibili ballerine. In ciascuna di queste tele si riconosce la grande perspicacia del
disegno, con cui Degas fissa espressioni, gesti, sentimenti, con un percorso che è parallelo a quello degli
impressionisti, ma anche di una grande, nobile autonomia.
Segue, subito dopo, un altro spazio monografico, quello che raccoglie quattro straordinari dipinti di Paul
Cézanne. Anche in questo caso, le collezioni del museo di Detroit comprendono tutti i campi di ricerca del
pittore: la figura umana, il paesaggio provenzale nei dintorni di Aix (con una delle ultime versioni della
prediletta Montagna Sainte Victoire), la natura morta, le Bagnanti nel bosco.
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All’opposto di Van Gogh, Cézanne non si lascia travolgere dai sentimenti, ma ritorna più volte sugli stessi
soggetti, indagandone con pazienza la forma, e combinando il colore luminoso degli impressionisti con una
rigorosa logica geometrica ben radicata nella tradizione.
La sala più grande della mostra affronta uno dei temi più delicati e significativo dell’arte di fine Ottocento: il
superamento dell’impressionismo, e l’aprirsi di nuovi orizzonti. La figura-chiave è quella di Vincent Van
Gogh, che trasferendosi in Francia “scopre” la luce, e rispecchia una vicenda umana esaltante ma
terribilmente sofferta in pennellate cariche di materia e di espressione.
La Riva della Oise ad Auvers, del 1890, è un capolavoro che si impone per la esplosiva carica del colore, ma
anche per le dimensioni significative.
Indimenticabile è poi l’Autoritratto con il cappello di paglia (1887), un’esplosione di colore e di emozione,
ma anche un primato assoluto: questa è la prima opera di Van Gogh esposta in un museo degli Stati Uniti.
Immediato e molto intenso è il confronto con l’Autoritratto di Paul Gauguin (1893), meditabondo e un po’
sornione. Alle dinamiche del postimpressionismo partecipano Pierre Bonnard, con l’incantevole Donna con
un cane, e l’originalissimo Odilon Redon, la cui Evocazione di farfalle è uno dei dipinti più suggestivi e
sorprendenti di tutta la mostra.
All’aprirsi del Novecento, Parigi si conferma il centro delle arti e della cultura. I pittori internazionali
convergono sulle due leggere alture di Montmartre e di Montparnasse, alle estremità opposte rispetto al
centro della Ville Lumiére. Prendono corpo gruppi e avanguardie, ma nel suo insieme si parla di una École
de Paris, la “scuola parigina”. Uno dei massimi protagonisti è Henri Matisse, qui presente con tre opere
memorabili, fra cui l’indimenticabile Finestra (1916), in cui un classico interno borghese viene scomposto in
una serie di forme, tra la penombra e la piena luce. Appassionante è il dialogo con i tre ritratti (uno
femminile e due maschili) di Amedeo Modigliani, il raffinato livornese, maestro indiscusso della linea,
capace di evocare sentimenti segreti, con una intensità struggente. Le tele dei francesi Dufy e Rouault e del
bielorusso Soutine confermano la spiccata internazionalità del contesto artistico parigino nei primi due
decenni del XX secolo.
Il gruppo di capolavori delle avanguardie tedesche presenti a Detroit è senza paragoni nei musei
nordamericani. Questa parte della mostra è quasi fisicamente dominata dall’Autoritratto di un ancora
giovanissimo Otto Dix (1912), impressionante per la fermezza grafica e l’espressione decisa. Accanto ad
artisti di spiccata autonomia, come Nolde (Girasoli) e Kokoshka (davvero spettacolari le due vedute di
Dresda e di Gerusalemme), troviamo i protagonisti delle diverse tendenze in cui si articola il movimento
espressionista in Germania. Il “Ponte”, con gli elettrizzanti Paesaggi di Kirchner e di Schmidt Rottluff, e le
figure inquiete di Heckel e Pechstein; la “Nuova oggettività” di Beckmann; e infine la svolta geniale verso
l’astrattismo, carico di colore e di emozione, impressa da Kandinsky, con il precoce Studio per quadro con
forma bianca, del 1913.
La sala monografica dedicata a Pablo Picasso presenta sei tele, in un percorso che attraversa in pratica
l’intera vicenda dell’arte del Novecento, dalla giovanile Testa di Arlecchino (1905) fino alla magmatica
Donna seduta, dipinta nel 1960, quando Picasso era ormai alle soglie degli ottant’anni. Da un capolavoro
all’altro, si seguono le svolte, gli scatti geniali, il continuo dinamismo mentale del grande pittore spagnolo.
Si parte dal periodo blu, ancora legato alle lezioni accademiche, e con il Ritratto di Manuel Pallarés (1909) ci
si ritrova sulle soglie della scomposizione cubista, una indagine sulle forme che si ispira chiaramente a
Cézanne; la natura morta intitolata La bottiglia di Anìs del Mono (1915) è una evoluzione di questa ricerca,
con gli oggetti disposti liberamente nello spazio, riconducibili alle sagome e alle materie essenziali.
Sorprendente è il passaggio successivo, il “classicismo” dei primi anni Venti, conseguenza di un viaggio in
Italia: il grande ritratto di Donna seduta in poltrona ne è un esempio di formidabile intensità e importanza.
La ragazza che legge (1938) ci porta poi nel clima stilistico di Guernica (dipinta l’anno prima), con
l’espressiva deformazione di visi e mani, pur senza perdere la forza intima del personaggio.
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Gita a Genova – Roberto Devereux – 20 marzo 2016