DEL POPOLO il pentagramma ce vo /la .hr dit w.e ww & Cantus noster gaudium magnum musica An no 007 2 III • e mbr n. 7 • Mercoledì, 28 nove di Patrizia Venucci Merdžo Gentilissimi, quale novembre canterino per la nostra Comunità! Tra la rassegna dei cori lussignana e la manifestazione umaghese Canti, suoni e voci degli italiani, d’Istria, Fiume e Dalmazia» c’è stato un dispiego di forze canore e strumentali davvero imponente e incoraggiante. Eventi di successo sotto tutti i profili che per l’ennesima volta hanno evidenziato la grande vitalità e ricchezza culturale e musicale di base della CNI che rappresenta un bene prezioso (non scontato), un veicolo di trasmissione e consolidamento della nostra cultura e tradizione, come pure un momento di grandissima coesione comunitaria. In queste liete feste di casa nostra le sedi comunitarie straripano di pubblico e di esecutori facendoci sentire più vicini, più forti e fiduciosi. Insomma, cantare fa bene alla nostra anima, alla nostra identità ed al nostro comunitario esistere. Tuttavia, mi permetto un piccolo suggerimento: al variegato repertorio delle nostre brave corali andrebbe aggiunto pure quello del Rinascimento, fortemente vincolato alla Grande Cultura squisitamente italiana, agli Eccelsi Musici del Quattrocento, Cinquecento quali Luca Marenzio, Carlo Gesualdo da Venosa, Giovanni Pierluigi da Pale- strina e altri. Un repertorio fondamentale che inevitabilmente determina un salto di qualità e senza il quale non si può parlare di autentica cultura corale. Ma le sfide sono il sale della vita! In occasione della Giornata degli artisti premiati a Istria Nobilissima 2006/2007, tra tante letture e saggi letterari, è stata offerta pure una fuggevole visione della creatività musicale in seno alla CNI. Possiamo pure comprendere che il segmento musicale (composizione), come si presenta al momento attuale, non possa interessare più di tanto; e cioè svincolato da riferimenti letterari e visivi dei poeti e pittori connazionali e in quanto tale non portatore di una valenza identitaria. Una virata decisiva nel senso di una specificità musicale nostra può provenire unicamente dalla riformulazione delle norme di Istria Nobilissima inerenti alla categoria musica, norme che implichino l’uso di testi poetici nostrani, di temi dei grandi compositori istriani del passato e di motivi pittorici degli artisti della CNI. Luigi Donorà, illustre compositore di origini dignanesi - che però con Istria Nobilissima non c’entra nulla - l’ha già fatto; Con il ciclo di liriche “Fiori de lata”, con il brano strumentale “Là dove il Quarnero”, tramite le liriche per can- to e pianoforte su testi della Forlani, di Scotti, e di Schiavato; autentiche piccole gemme degne di entrare nel repertorio internazionale della musica da camera. È questione di “visione”. La “veggenza”, la lungimiranza sono carismi particolari. Ah, ma non dimentichiamoci il 125 esimo della dipartita di Wagner! La Scala il 7 dicembre metterà in scena il “Tristano e Isotta”. C’è stato anche a Zagabria, ma a Fiume Tristano non ci sarà. Definitivamente. Perché “non ci sta”, non ci sta proprio. Non che sia ingrassato; è che il Teatro “ mi si è ristretto”. O meglio, la “fossa” ( termine emblematico eh?) orchestrale. L’hanno tagliata, a fette; durante l’ultima ristruttazione. Per fare posto alla “rotativa”, cioè alla scena rotante. E hanno detto: “Chi s’è visto, s’e’ visto. Chi ha avuto, ha avuto; quelli della fossa (e hanno fatto le corna) si arrangino. E anche Wagner, che il Reno se lo porti!”. E così ci hanno salvato per sempre dalle invasioni barbariche delle orchestrone teutoniche di quel megalomane di Bayreuth. (“Adieu, adieu, mon cher Tristan!) Ma una soluzione ci sarebbe e si chiama “soluzione stratificata”, o “ingegneria spaziale-acrobatica”. Dunque, mettiamo i secondi violini a cavalcioni dei primi, le viole a cavalcioni dei violoncelli, i flautisti si possono accomodare sull’apertura a tazza delle tube nibelunghe, quando non “tuonano”. Quando invece devono “tubare”, i flautisti si aggrappino sul bordo del proscenio con il flauto tra i denti, in posizione fetale, in apnea (con gran giovamento dei bicipiti e del diaframma. Poi possono riatterrare. Sulla tazza. De-li-ca-ta-men-te! Altrimenti potrebbero ‘ostruire’ le tube e strozzare i tubisti). E voilà, il problema è risolto! Ma “l’Olandese volante” ci starebbe di sicuro! Prima di tutto perché l’orchestra teutonica del giovane Wagner è numericamente rarefatta; secondo, essendo “volante”, l’Olandese svolazzerebbe appunto per il teatro (come il fantasma dell’Opera) senza occupare nemmeno un millimetro cubo di scena, dietro che le cui quinte, alla bisogna, si potrebbero collocare i secondi violini ( che comunque – zumpazumpa- non servono a niente.) Ma che ce ne può importare di Wagner! Noi si aspetta “spasmodicamente” “L’ape Maja” di Bruni Bjelinski,!, premiere d’opera per l’infanzia che rientra nel segmento educativo del Teatro fiumano! (Pregasi portare seco pomata antipuntura! Poi ne riparliamo.) Insetticidamente Vostra 2 musica Mercoledì, 28 novembre 2007 VITA NOSTRA La CI di Isola si fregia di una variegata attività musicale Una Comunità protesa al futuro di Astrid Brenko ISOLA - Il coro misto della Comunità degli italiani “Pasquale Besenghi degli Ughi “di Isola prende il nome dall’antica denominazione latina della cittadina istriana. Costituito nel 1975, è il gruppo storico ed un’istituzione di base per la Comunità isolana. Il coro è diretto dal maestro Giuliano Goruppi che ha studiato canto con Fabio Cavalli e Andrea Von Ramm. È diplomato in Composizione corale e direzione di coro. Attualmente dirige il gruppo corale “Voci della tradizione” di Trieste, il coro “Contrà Camolli” di Sacile e il nostro coro misto “Haliaetum “ di Isola. Il gruppo sostiene regolarmente concerti in Slovenia, Croazia, Austria e Italia. Annualmente partecipa ad una ventina tra concerti e rassegne musicali. Dal 1986 il coro partecipa al “Concerto dell’Amicizia”: un incontro divenuto ormai tradizionale e che vede a confronto tre cori di tre diverse città e realtà regionali; il coro misto “Haliaetum” Isola, il “Komorni pevski zbor” di Celje e il coro “Foltej Hartman” di Bleiburg (Austria). A rotazione, il concerto si svolge a Celje, l’anno dopo a Bleiburg e l’anno successivo ad Isola. Altri due sono gli appuntamenti divenuti tradizionali e che vedono il coro “Haliaetum” in veste di ospite di casa e sono: “L’Incontro Internazionale di Cori” arrivato quest’anno alla XX edizione e il “Concerto di Primavera” (XVI edizione). un compositore e direttore di coro di fama ed interesse prettamente locali, ma che si può sicuramente considerare uno dei massimi esponenti della cosiddetta scuola compositiva triestina. Scrisse alcune opere teatrali e sinfoniche, e si dedicò intensamente alla musica corale con composizioni di genere sacro e profano; fu uno dei primi Ughi” va evidenziato l’operare dei laboratori canori, di impostazione vocale come pure i corsi di tastiere elettroniche, chitarra ed altri strumenti. I corsi si svolgono nell’arco dell’anno, ma l’attività viene concentrata soprattutto durante le vacanze scolastiche, quando i bambini e ragazzi non sono tanto impegnati con lo studio. Due sono gli appuntamenti musicali divenuti tradizionali che vedono il coro «Haliaetum» in veste di ospite di casa e sono: «L’Incontro Internazionale di Cori» arrivato quest’anno alla XX edizione e il «Concerto di Primavera» (XVI edizione) Viva la Musica! A conclusione dell’anno, per la gioia di tutti, i piccoli musicisti si presentano con il saggio finale o esibendosi negli spettacoli organizzati nell’ambito della Comunità e al di fuori di essa, e dedicati ai più piccoli ed ai giovani dando prova dei progressi compiuti durante l’anno. Le manifestazioni organizzate dalla nostra Comunità rivolte ai giovani e che sono motivo di pre- Serata musical-letteraria L’intensa attività del “Haliaetum” Per l’anno 2008 sono previste uscite a Buttrio, Bussolengo, Percoto e Trieste nonchè di sostenere dei concerti presso le nostre Comunità dell’Istria e di Fiume con il progetto intitolato “Omaggio ad Antonio Illersberg”. Antonio Illersberg (Trieste, 1882 – 1953) è stato compositori in Italia a dedicarsi in maniera significativa all’elaborazione di temi popolari per coro, tra cui le rapsodie “Vecia Trieste canta”, a voci miste e virili. Largo all’infanzia ed alla gioventù! Nell’ambito della ricca e variegata attività musicale della Comunità “Pasquale Besenghi degli stigio e di crescita comune sono “Viva la musica“, “ Il ballo delle maschere“, “Canzoni sotto l’albero“ , “Arriva Babbo Natale“. Felice e originale connubbio tra Lettere e Musica In seno al Gruppo letterario guidato da Manuel Maurel operano dei veri professionisti; ne fanno parte una pianista, un soprano, un tecnico del suono, tre recitatori ed un regista. Oltre alla nota rappresentazione “Oltre la siepe vedo in tormento degli ulivi”, presentata a Palazzo Nell’ambito dell’attività musicale della Comunità «Pasquale Besenghi degli Ughi» va evidenziato l’operare dei laboratori canori, di impostazione vocale come pure i corsi di tastiere elettroniche, chitarra ed altri strumenti Manzioli, ma anche in diverse Comunità dell’Istria, i protagonisti si cimentano in serate letterarie preparando letture coadiuvate da musiche, come la serata dedicata al noto poeta isolano, Pasquale Besenghi degli Ughi, ricordandolo nei 210 anni dalla nascita. Sempre il gruppo letterario ha ricordato anche la figura e l’opera Frutto della sinergia tra Gruppo Letterario e sezioni musicali sono delle serate di lettura d’autore coadiuvate da musiche, come quella dedicata al noto poeta isolano, Pasquale Besenghi degli Ughi in occasione dei 210 anni della nascita Il coro misto “Haliaetum” di Giosuè Carducci, primo premio Nobel italiano per la letteratura, nel centenario della morte. Per l’anno venturo si prevede la preparazione di una raccolta di brani e scene tratte dalla letteratura umoristica, arricchiti da variazioni musicali. Un’altra novità per l’anno 2008 sono le serate NON C’E’ VERSO - parole e musiche. Serate che vogliono essere un’ occasione per avvicinarsi ad una geografia dell’anima e della mente, dove i luoghi da frequentare corrispondono al desi- derio ed alla necessità degli autori, dei musicisti, dei poeti presenti, del pubblico. Un progetto che vuole proporre idealmente un viaggio nel mondo dell’arte letterari e musicale. Le nostre sezione musicali, inoltre, nell’ambito della propria attività, ospitano pure gruppi di altre Comunità e realtà, offrendo loro spazio e occasione di presentarsi al nostro pubblico, sempre presente, e a tutti coloro - sempre tenendo conto delle nostre possibilità e disponibilità materiali - che desiderano in qualche modo sostenere anche moralmente la Comunità isolana. Comunità che cerca in vari modi di mantenere vivo lo spirito di appartenenza, ma anche, in qualche modo, di premiare lo sforzo e l’impegno che comporta il mantenimento di una realtà non sempre facile, come quella riguardante la cultura della nazionalità italiana. I minicantanti Mercoledì, 28 novembre 2007 MUSICAINTAVOLA Al Circolo delle Generali un miniflash sulla Stagione dell’Ente Lirico Presente e futuro del Teatro Verdi di Fabio Vidali TRIESTE - L’inaugurazione della nuova Stagione Lirica del Teatri Verdi di Trieste è stata preceduta da un’interessante tavola rotonda al Circolo delle Assicurazioni Generali triestino. Titolo: “Presente e futuro del Teatro Verdi di Trieste”. A tale convegno, che prevedeva in coda un libero dibattito con il pubblico presente in sala, hanno partecipato, in ordine d’entrata, il direttore dello Stabile di Prosa “Il Rossetti” Antonio Calenda, i cronisti musicali Rino Alessi e Gianni Gori ed il sovrintendente del Teatro Verdi Giorgio Zanfagnin. Moderatore ed intervistatore il giornalista Giorgio Cesare che ha introdotto i relatori ed avviato il dibattito. Grande curiosità nel salone, anche perché, in sede di conferenza stampa, non s’era dato spazio proprio al consueto dibattito ed ai giornalisti non era stato chiesto altro, se non di fare i portavoce di quanto appreso “ex cathedra”. La curiosità era anche stuzzicata dall’annunciata partecipazione del direttore del Rossetti, il regista Antonio Calenda, il cui inserimento lasciava chiaramente intendere che, nel “presente e futuro” del Teatro Lirico, anche la Prosa del Rossetti avesse la sua parte. Quale Presidente del Circolo, ha fatto gli onori di casa il poeta Claudio Grisancich. lità. Così la pensava invece il grande Maestro istriano Luigi Dallapiccola che “riabilitava” la “validità musicale” anche della più bolsa librettistica per la sua espressività musicale in un “gergo” particolare, sposato indissolubilmente alla vicenda e allo spirito della narrazione. Un “gergo” che va “difeso” per essere pienamente “compreso”. Difesa non necessaria, invece, per l’antico “Gramelot” della Commedia dell’Arte, fatto di un guazzabuglio di varie lingue che, proprio attra- suo giudizio “di caso in caso”. Una posizione che implicitamente suonava come un rifiuto alle motivazioni di Calenda, rifugiandosi sull’occasionalità del giudizio personale, ovvero sulla funzionalità o meno di ogni “aggiornamento”. Una posizione senz’altro più accomodante e non sorretta da precise convinzioni etico estetiche; tale da non innescare alcun dibattito. Al moderatore non rimaneva che proporre al critico un altro tema: “ritiene che Trieste sia anco- Un illuminante intervento Ad Antonio Calenda, il moderatore Cesare aveva suggerito il tema delle “regie del melodramma e del teatro musicale”; tema oggi molto dibattuto e controverso, sia fra gli “addetti ai lavori” che fra il normale pubblico, divisi nettamente fra i fautori dell’”aggiornamento” (spesso e volentieri mistificante) e fra i sostenitori della “tradizione”. Calenda, dopo un’iniziale ed irrinunciabile denuncia delle difficoltà frapposte alla “penetrazione” delle produzioni del “Rossetti” in regione, concretatesi in un vero e proprio “ostracismo”, mentre questo teatro triestino e “regionale” trionfa in trasferta nelle più importanti sedi nazionali e su tali trionfi basa la sua stessa sopravvivenza ed indipendenza economica che le sovvenzioni regionali e nazionali non gli consentirebbero, è entrato appassionatamente nel tema “regie” propostogli. Ha fatto una chiara distinzione fra le più “permissive” regie della Prosa e quelle ben più “vincolanti” dell’Opera e del teatro musicale in genere, vincoli dovuti proprio alla presenza della Musica, una dimensione di “astrazione” che non tollera “aggiornamenti” in chiave naturalistica, cronachistica o veristica. Perché il “linguaggio” operistico è una convenzione che diventa sostanza, poesia e fascino irripetibili, proprio per l’atemporalità della Musica che ne fa l’unica forma di teatro in cui si ama, si soffre, si odia, si combatte e si muore a suon di Musica e Canto, col risultato incredibile di rendere più coinvolgenti del più crudo “verismo” i sentimenti e le passioni così espressi. A pochi “musicisti” si può oggi accreditare simile sensibi- “città prosaicissima”? Sembrerebbe di sì. Toccava poi al critico Gianni Gori che il moderatore Cesare cercava di impegnare in un giudizio “consuntivo e preventivo” sull’attività del Teatro Verdi. Il critico declinava l’offerta definendola un compito “più ragionieristico che artistico”, preferendo lodare senza riserve le scelte operate per la nuova Stagione Lirica, perché “uscite finalmente dal consueto repertorio museale”, proponendo anche alcune “novità” del Novecento, come due operine, una di Weill e Brecht e l’altra di Bernstein, in un’unica serata. Giudizi recepiti dal sovrintendente Zanfagnin come un autentico balsamo. Per obiettività sarebbe da ricordare che, sin dal primo dopoguerra, nelle gestioni dei maestri Barison, Antonicelli, Zafred, de Banfield, Vidusso, non mancarono alcune scelte “attualizzanti”, oltre al solito “repertorio museale”, generalmente molto più “mirate” in campo internazionale ed anche locale, e che la “museificazione” trionfò, invece, dopo la trasformazione degli Enti Lirici in Fondazioni private, a seguito dell’incostituzionale “Riforma Veltroni” che portò al progressivo azzeramento dei teatri lirici, delle orchestre e dei Conservatori italiani. Ma ricordare ciò non è certo producente per la carriera di chi lo fa e perciò stesso diventa oggetto dell’ostracismo di chi attualmente comanda. Più “saggio”, certo, incensare chi provvisoriamente occupa le posizioni di vertice, e prepararsi ad incensare chi loro succederà. Vietato parlare al manovratore Dulcis in fundo, la parola è passata all’attuale sovrintendente del Verdi, Giorgio Zanfagnin. Non si può disconoscere che la sua gestione sia appassionatamente attiva ed abbia portato rilevanti risultati. D’essi il primo, evitare il commissariamento del Teatro Verdi, sorte toccata, invece, al S. Carlo di Napoli. Ma deverso il “suono” e il timbro delle parole inventate, era ed è internazionalmente compreso. La controprova, nella difficile rappresantibilità, oggi, delle tragedie alfieriane, proprio a causa d’un linguaggio tanto datato ed aulico da risultare da solo incomprensibile agli italiani d’oggi. Col supporto d’appropriate musiche, anche le tragedie alfieriane forse sarebbero facilmente comprese con naturalezza. Perciò l’Opera Lirica è l’unica “tragedia popolare italiana”: l’unico contributo italiano al genere tragico d’universale comprensione. Un’ultima chicca in chiusa: puntare sull’”originalità delle proposte, come l’intuizione di una serie d’interventi “corali musicali”. Il coro dovrebbe essere quello del Teatro Verdi, su musiche appositamente composte, forse dal Piovani. La parola ai critici Il moderatore riproponeva quindi il quesito sulle regie liriche al critico Rino Alessi che rifiutava di condividere l’opinione drastica del Calenda, dicendosi più possibilista e rimandando il Chiara distinzione fra le più «permissive» regie della Prosa e quelle ben più «vincolanti» dell’Opera e del teatro musicale in genere, vincoli dovuti proprio alla presenza della Musica, una dimensione di «astrazione» che non tollera «aggiornamenti» in chiave naturalistica, cronachistica o veristica ra una città musicalissima?”. Così la definiva, in un suo libro, il grande violinista Cesare Barison, alludendo alla Trieste dei suoi tempi. In perfetto stile “bipartisan”, il critico interpellato rispondeva che la città era da ritenersi ancora una “città musicale”. Il superlativo assoluto apparteneva invece ai tempi di Barison e la città l’avrebbe perduto per motivi economici a favore della Prosa, ben più facilmente praticabile dalle masse. Una Trieste terminante è stato l’allineamento dei pianeti fra potere politico regionale e vertice teatrale. Grazie a tale allineamento, la Regione ha scucito a favore del teatro un prestito multimiliardario senza interessi; fatto impensabile prima, quando i due pianeti erano in fase di opposizione. Che Zanfagnin, da abile promotore finanziario, abbia saputo indirizzare positivamente questa risorsa, va a tutto suo merito. Riconoscerlo ed enfantizzarlo sarebbe dovere del cronista onesto, meno elegante lo faccia l’interessato. Egli stesso ne ha dato atto alla regione, contrapponendosi alle severe critiche riservatele dal Calenda, ed ha mirato le sue critiche al Comune (di segno opposto) e alla Provincia, rei di assegnare troppo scarsi fondi al Teatro. Ha allineato i successi (di sbigliettamento) della grama Stagione Sinfonica, l’attivo del Festival dell’Operetta, le positive conferme degli abbonamenti. Ha precisato i costi della gestione ordinaria quotidiana del Teatro Verdi (100 mila Euro al giorno), l’aumento degli sponsor, la progressiva “penetrazione” nel territorio regionale, l’inclusione nel Festival di Cipro con una produzione di “Bohéme”, le molte audizioni di giovani cantanti effettuate e una serie di lezioni programmate per istruire i docenti elementari e medi sì da prepararli a spiegare la Lirica ai loro discenti cui, fra l’altro (prove riservate ecc.) sarà dedicata una produzione di “The Fairy Queen” di Purcell, inscenata anche con la loro diretta partecipazione. Iniziative degna d’ogni lode. Ha avocato a se stesso ogni scelta e responsabilità per il nuovo Cartellone Lirico, pur riconoscendo, in subordine, i meriti del direttore artistico e del relativo staff. Ha rivendicato per sé l’orgoglio di considerarsi “il primo impiegato del Teatro, colui che inizia a lavorarvi per primo ed è l’ultimo ad uscirne quotidianamente”. Lo diceva anche l’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo che, malgrado ciò, non riuscì ad evitare il crollo del suo impero. Facciamo le corna, naturalmente, che ciò non si ripeta per il Teatro Verdi. Breve, data l’ora ormai “canonica”, lo spazio concesso al successivo dibattito, portatore di giudizi generalmente positivi riguardo alle scelte del prossimo cartellone lirico. Vi è emerso anche qualche appunto e qualche costruttivo suggerimento. Zanfagnin li ha graditi, come fossero punture d’una tarantola molesta. Col grido di “datemi i soldi e lo farò: adesso devo andare a lavorare in teatro”, è uscito precipitosamente. In fondo gli si chiedeva, per il futuro, maggiore attenzione per la Musica ed i musicisti d’ogni tempo della nostra area geografica (cui tale attenzione non certo era mancata in altre gestioni) magari “a spese” di Weill, Brecht e Bernstein, non certo bisognosi del palcoscenico triestino, con produzioni d’eguale o minor costo per il teatro. Sottolineando, in conformità con i suggerimenti e l’esempio dato dal Calenda, l’”originalità” culturale ed anche attrattiva turististicamente, d’una rivalutazione e riscoperta di talenti nostrani che l’innata passività esterofila dei nostri vertici ha da sempre condannato all’esilio in Paesi più accoglienti ed intelligenti ed al nostrano oblio. Rivendicando loro il dovuto posto nella Storia della Musica europea ed anche mondiale. Se programmata organicamente seriamente e filologicamente, tale riscoperta potrebbe essere una carta vincente. E stupire tutti. Qui e soprattutto “fuori”. Solo sui mezzi di trasporto pubblici è “severamente proibito parlare al manovratore”. 4 Mercoledì, 28 novembre 2007 Mercoledì, 28 novembre 2007 5 IL PERSONAGGIO Il frastagliato percorso musicale di Luigi Donorà e il suo permanente affetto per la terra natale, sua prima linfa vitale e fonte d’ispirazione La musica, realtà atemporale che parla all’uomo di tutti i tempi di Patrizia Venucci Merdžo FIUME – Dignanese di nascita, torinese d'elezione, musicista per scelta e vocazione Luigi Donorà, personalità versatile, curiosa, di apertura mentale cosmopolita ma con un pezzetto d'Istria sempre nel cuore, si racconta con la generosità e la vivezza della persona costantemente volta all'azione, ai progetti del futuro e tuttavia ricca di se- Ho frequentato l’Accademia di Musica Chigiana proprio per approfondire le varie correnti e vedere in che direzione avrei potuto muovermi, secondo la mia preparazone e sensibilità. L’opera, la voce umana, sia corale che solistica mi è sempre stata vicina e la parola,il testo hanno sempre rappresentato un supporto e uno stimolo importantissimo, in Logicamente, come musicista io desidero ritenermi un compositore europeo, mondiale, però giustamente ho voluto dare il mio tributo all’Istria; un contributo sentito come un dovere morale. Può parlarmi delle sue composizioni specificamente‘istriane’, in particolare di 'Fiori de lata'? “Fiori de lata” è un ciclo di tre liriche per voce e pianoforte: “El pianto de me mama”, “L'altarin de me pare” e “La tera arada'”. Nella prima lirica parlo della tristezza di mia madre per la miseria che c'era nel dopoguerra. Ricordo che ci arrivavano i pacchi UNRA con tante leccornie, e per noi bambini era festa. 'L'altarin de pare' è un omaggio a mio padre. In Istria tutti i contadini avevano in casa un altarino. Noi avevamo uno con la statua del Cuor di Gesù. Nella lirica io chiedo E' tutta una presa in giro. Un bluff. Come la musica e l'arte contemporanea. Bisogna stare molto attenti. Tutto è cominciato con John Cage, che ha preso in giro tutti quanti; altrocché Satie, che era un musicista. Beninteso, io sono molto interessato all'esperimento, all'innovazione. Ho scritto infatti delle pittografie musicali per pianoforte tentando una nuova forma di notazione Considero la musica in quanto tale «atemporale» per cui attuale, ieri come oggi. L’arte, la pittura, la musica, la poesia create magari in epoche passate, non appartengono al «ieri», sono sempre «adesso», sono sempre «presente», anche se il modo di percepirle può essere diverso dimenti di uno stratificato retaggio spirituale costruito nel tempo e poggiante su radici profonde che vengono "da lontano". Compositore, pedagogo, pianista, direttore d'orchestra, Luigi Donorà è autore di opere liriche, musiche vocali, strumentali, corali e di musiche sinfoniche che sono state eseguite e si eseguono in diverse città d'Italia, ma pure e con grande successo a New York. La sua inquietudine intellettuale lo ha portato ad allargare il suo interesse verso lo studio della semiografia della nuova musica, scoprendo e sviluppando nel medesimo tempo un sistema di scrittura musicale del quale scrive in "Della nuova tecnica, ossia, del mensularismo e dell’approssimazione (1971) e in "Semiografia della nuova musi- quanto traduco in musica il valore semantico della parola. Tant'è vero che ho pubblicato pure una raccolta di poesie intitolata 'Frammenti di vetro'.Per quanto riguarda la mia produzione, la poetica e la mia sensibilità sono un tutt’uno. Ovviamente ho toccato tante correnti – un compositore-artigiano deve saper scrivere in tutti gli stili - comunque sono partito dal linguaggio tardoromantico e le mie prime composizioni erano delle liriche scritte per Fiorenza Cossotto, che era mia compagna al Conservatorio. Avendo per maestri Dallapiccola, Donatoni, Petrassi ho dovuto conformarmi anche ai loro linguaggi. Ho scritto anche in maniera dodecafonica, però ho lasciato stare perché non è tanto vicina alla mia sensibilità. Tanto di cappello alla musicale e nel 1978 ho pubblicato un libro sull'argomento, 'Semiografia della nuova musica. Autoanalisi'; tuttavia erano frutto di precisi studi, mica cose buttate lì, a casaccio. Si figuri che hanno usato le mie pittografie come motivo decorative per le tapezzerie e moquette della più lussuosa suite di quel famoso hotel milanese vicino alla Scala che ha ospitato tutte le celebrità delLuigi Donorà al pianoforte in una sua recente esecuzione Aveva una memoria formidabile. Si ricordava tutto. Una volta però lo misi quasi in imbarazzo. Dopo una conferenza nella quale aveva parlato del suo ultimo lavoro gli chiesi. “Maestro, ma lei ha usato in questo punto del materiale dal suo 'Ulisse'?” – “E lui mi guarda e con aria un po' stupito:’Si’.” La cosa gli fece piacere perché capì che io studiavo le sue partiture. Non posso definirlo un insegnante; lui teneva delle conferenze sulle sue composizioni…Su I canti di prigionia, I canti di liberazione… Ebbi modo di sentire il suo Piccolo concerto per pianoforte e orchestra con egli stesso al pianoforte, a Torino, e con la direzione di Bruno Maderna. Era un pianista formidabile, bravissimo. A volte era anche divertente; ricordo ad una sua conferenza su Schonberg il suo racconto di un anedotto circa la paura superstiziosa che il padre della dodecafonia aveva per il numero 17 e la sua morte che coincise proprio con il giorno 17. Comunque più che a Schonberg era interessato a Webern, grande intellettuale le cui musiche erano frut- Donatoni, il mio maestro, non si considerava un musicista, ma un tecnico, un ingegnere del suono; come pure Bruno Maderna e Luciano Berio ca. Autoanalisi". Si è accostato alla direzione d’orchestra eseguendo opere proprie e di altri autori contemporanei. Ai premi a concorsi nazionali (Parma 1969, Roma 1968, Roma 1975) e internazionali (Copenaghen 1970) si è aggiunto, come corona di una vita per la musica, il Cavalierato per meriti artistici, insignitogli dal Presidente della Repubblica. Il suo percorso stilistico si presenta molto variegato e ricco… L'artista è soggetto ad una continua evoluzione, però volendo, può tornare anche “indietro”, nel senso che considero la musica in quanto tale “atemporale” e perciò, anche il canto gregoriano quando lo ascolti è “oggi”, è attuale, per cui non mi sono mai posto il problema del, ieri scrivevo così e oggi scrivo in un altro modo. Io seguo unicamente i miei dettami interiori; insomma vado dove mi porta il cuore. Se ieri scrivevo in bitonalità, il giorno dopo, se di umore diverso, posso comporre una lirica anche di tipo romantico. Non mi faccio nessun patema. Ripeto, l’arte, la pittura, la musica, la poesia scritti magari in epoche passate, non appartengono al “ieri”, sono sempre “adesso”, sono sempre “presente”, anche se la percezione dell'arte può essere diversa. dodecafonia di Dallapiccola che diceva tante cose, però credo che questo stile si sia quasi esaurito. Schönberg!, per carità, basta! Era l'espressione di un epoca di crisi, di un animo lacerato, turbato...". Il grande bluff della musica contemporanea Poi queste composizioni senza forma! Per es. Donatoni - che è stato il mio vero maestro, anche al Conservatorio di Torino – non si considerava un musicista, ma un tecnico, un ingegnere del suono; come pure Bruno Maderna e Luciano Berio. Ho parlato tante volte con Marino Zucchero, tecnico del suono dignanese che lavorava allo studio di fonologia di Milano con Berio. Ho frequentato lo studio ed ho capito che Berio faceva il furbo; cercava in tutte le maniere di ottenere degli ‘effetti’. Faceva dei collages registrando musica concreta e musica elettronica. (E se poi viene a mancare la corrente elettrica non so cosa cosa sentiremo?!) Una volta mi mostrò un nastro con su incise delle parolacce, delle bestemmie che poi venivano manipolate e si ottenevano degli effetti. E Berio tutto soddisfatto. E questa sarebbe arte! trascurati, annullati per tutto il periodo del comunismo - come tutto il patrimonio artistico legato alla chiesa - ed ho voluto recuperarli prima del loro definitivo oblio. Per me è stato un dovere morale, una testimonianza in quanto istriano e cattolico. Ho scritto pure delle liriche su testi di Scotti, Schiavato, di Anita Forlani...il brano per orchestra da camera e viola sola “Là dove il Quarnero”, dedicato a Franco Squarcia. Mi parli del suo contribuito alla tragedia delle foibe,'L'urlo dell'abisso', la sua composizione forse più drammatica e complessa. L’urlo dell'abisso è un deferente omaggio alle vittime delle foibe, queste povere creature delle quali nessuno si è ricordato per tanto tempo. Io avevi due cugini che furono infoibati. Ho scritto questa cantata la musica ... e di cui non mi sovviene il nome. Che rapporto aveva con Dallapiccola? Dallapiccolo era intanto una persona di grandissima cultura, un uomo integerrimo e bisognava stare molto attenti come si parlava con lui. Serissimo, incuteva soggezione. E nel contempo era anche molto “strano”. Una volta passeggiavamo nella piazza del Palio, e lui mi fa: “Secondo lei quanti passi dovremo fare per circonvallare la piazza? - Io, un po’ stupito: Ma, non lo so. Trecento passi. Lei cosa dice?- Io dico quattrocento”- fà il Maestro. Il giorno dopo durante una conferen- za all’Accademi Chigiana di Siena, alla presenza di onorevoli e autorità, con mio grande imbarazzo ma anche piacere, raccontò della nostra scomessa... e ha vinto Donorà”. Si dice che Dallapiccola si divertisse, sempre con la sua aria professorale, a prendere un po’ in giro la gente… Si, si. Infatti. Un altro giorno, serissimo, mi fa di punto in bianco: “Ma lei conosce Sirio?”- “Sirio? No, io non conosco nessuno Sirio”- “Ma Sirio è una stella’!- “Ma Maestro!…”- “La si vede solo dalla Germania” - “Scusi, ma io in Germania non ci sono mai stato”. Capisce?!! Era stranissimo. «L’urlo dell’abisso» è un omaggio musicale ai martiri delle foibe sentito come un dovere morale e una protesta interiore contro questo efferando modo di agire to di precisi calcoli e formule matematiche, ricalcando l’intellettualismo degli antichi compositori fiamminghi. Dallapiccola è sempre stato assolutamente coerente con la musica, con se stesso e con il prossimo. Una personalità integerrima. Nelle sue conversazioni con lei ha mai ricordato Pisino, l'Istria? Mai. Non ha mai parlato dell’Istria. Gli dissi: ‘Maestro, noi siamo conterranei!’, lui niente. Solo in un’occasione, in una lettera quando ero arrivato a Torino mi scrisse: ‘Non pensi al periodo dell’esodo… vada oltre, la vita continua’. Comunque, mi ha incoraggiato a non pensare a quel brutto periodo, a tutto quello che avevamo perso… Lui non era un regionalista, era un uomo di mondo, aveva un’apertura grandissima. Sicuramente pensava a Pisino, sua città natale, anzi era sicuramente molto legato, tant'è vero che tutte le sue prime composizioni sono dedicate alla sua terra; ‘Fiori de tapo’ su testi di Biagio Marin, ‘Il canto della Befana’ su testi popolari dell’Istria e altro...; ma non fece pesare mai questo distacco. Anche lui fu esule, a Graz, prima. L'omaggio musicale alla mia Istria Qual'è invece il suo rapporto personale con l’Istria e cosa le ha dedicato in termini di musica? Io ho vissuto il dramma dell’esodo attraverso la sofferenza, la disperazione dei miei genitori. Avevo dodici anni e mezzo quando me ne andati in esilio. Il campo profughi, il dormire per terra, divisi con delle coperte da una società eterogenea nella quale chi rideva, chi bestemmiava, chi cantava ecc. Tutto questo io involontariamente l’ho subito. Tanti me l’hanno detto che nella mia musica si sente una vena malinconica, una nostalgia. L’Istria per me è stata la prima linUn esempio di pittografia musicale di Luigi Donorà La copertina dell’antologia musicale Giuliano-Dalmata curata e contenente pure musiche di Donorà fa vitale, la prima ispirazione. La mia prima opera ‘Filemone e Bauci’ del 1961, è infatti dedicata ‘alla mia cara e dolce Istria’. Scritta su libretto di Gioacchino Forzano – che fu pure il librettista di Puccini. Il libretto in questione infatti doveva essere messo in musica da Puccini e invece capitò nelle mie mani; recante sulle pagine tante annotazioni scritte dal pugno del Maestro stesso. a Gesù come possa farlo contento e decido di fare dei fiori con le lattine della coca-cola ai quali unisco pure degli 'sciuchi', come dico io, ossia fiordalisi, e vedo Gesù soddisfatto. Infine, 'La tera arada', è un omaggio alla fatica del contadino. Mio padre infatti era contadino e quando andava nei campi ad arare andavo con lui ed ho dei ricordi molto vivi. Ricordo poi che a desinare alzava in alto il pane, lo benediceva e diceva: “Adeso, fioi magnè”; e a me che ero bambino, sembrava un cardinale! Poi ho pubblicato un libro di canti tradizionali giuliano dalmati ed ho in preparazione una raccolta di canti popolari in tre volumi. E' in via di realizzazione pure una raccolta di canti patriarchini dell'Istria, ossia di canti liturgici e devozionali popolari - in una specie di latino storpiato - delle terre appartenute alla giurisdizione del Patriarcato di Aquileia. Sono splendidi, di una solennità...! Sono stati per coro, orchestra, solisti e voce recitante. Un omaggio musicale sentito come un dovere morale e una protesta interiore contro questo efferando modo di agire; un po’ come “I canti di prigionia” di Luigi Dallapiccola che avevano il significato di protesta contro le leggi razziali. Per il libretto ho dovuto arrangiarmi da solo perché nessuno, non conoscendola la nostra storia, mi poteva aiutare. I testi sono stati reperiti in diverse fonti e sono in italiano, latino, in dialetto. Per il preludio per es. – un’invenzione per orchestra e voce recitante, un melologo - uso la poesia “Istria” del rovignese Pinider, nella quale si decantata la terra istriana e la vita pacifica dei suoi abitanti ed è una specie di manifesto prima dei tragici eventi; quindi ha inizio la cantata. Tutti i cori sono scritti sulle poesie della poetessa parentina Lina Galli che fanno riferimento ai fatti del 1943-44. Poi ci sono testi di monsignor Santin – la musica contiene parti della liturgia cattolica tra cui il “De profundis” – una sua bellissima preghiera, un’apoteosi della speranza, del Cristo che accoglie le anime di questi poveri martiri. Un bellissimo corale intercalato da voci soliste di baritono e soprano. Dal punto di vista musicale come si presenta? Non ho voluto scegliere un linguaggio d’avanguardia, una scrittura molto spinto. C’e’ una parte all’inizio, quando si narra dell’arresto di queste povere persone che vengono legate due a due per i polsi con il filo di ferro e quindi condotte alla foiba ed infoibate, ecco in quel momento – si sente pure il crepitio delle mitragliatrici – succede una cacofonia, un sovrapporsi di dissonanze che sono nient'altro che il sovrapporsi di pianti, grida, urli, canti, preghiere, bestemmie di disperazione di tutta questa povera gente nel momento della fine. In questo punto uso il “Pater Noster” in latino che man mano con il crescere del dramma si disgrega totalmente sfociando appunto in questo momento dodecafonico nel quale, il pensiero, la mente umana si perdono, non hanno un punto di riferimento, e nell’attimo della caduta nella fossa, anche la musica precipita nel caos. E poi una bellissima melodia, dolce, toccante, cullante, quasi una ninna nanna per queste vittime che fa da contrasto con la morte, con la tragedia. Nel brano impiego ripetutamente melodie gregoriane, parti recitate, corali, la bitonalità - non di tipo “stravinskiano”, ma piuttosto alla Puccini – la poliritmia; un lavoro composito, essenzialmente tradizionale ma con qualche pennellata di modernità. Com’è stato accolto “L’urlo dell’abisso” da parte della critica? Un critico ha scritto una cosa che mi ha fatto accapponare la pelle; e cioè che qui il dolore non è dolore, ma lirismo, poesia. Non pensavo di poter arrivare a tanto. ”L'urlo dell'abisso” è stato eseguito nel 1997 con l'orchestra, il Coro del Teatro Carlo Felice di Genova diretto dal grande Alexander Lazarev e con voci soliste di prestigio tra le quale quella del fiumano Giorgio Surian. Il rapporto con Puccini Lei ama molto Puccini le cui musiche lei cita in diverse sue liriche ed in altre composizioni, tra cui “La dove il Quarnero” Ho avuto sempre un rapporto speciale con il Maestro di Torre del lago. Feci un sogno premonitore, quando ero studente del Conservatorio. Puccini mi apparve in sogno, vicino ad un grande albero, dentro una luce gialla e nebulosa, con il fucile a due canne rivolto in giù - Puccini era stato un grande cacciatore - e un cinguettio d’uccelli. Mi diede una manata sulla spalla e mi disse: “Continua così”. Però l'ho sognato tante altre volte e sempre mi ha fornito indicazioni o rivolto parole di incoraggiamento. Insomma, la sua anima ha sempre un po’ tormentato la mia. E’ stato un po’ il mio spirito guida. Be', con un “santo protettore” di questo calibro non è possibile non percorrere la strada del successo, o meglio, della verità artistica. 6 musica Mercoledì, 28 novembre 2007 L’evoluzione della danza più popolare dell’America Latina nel corso di un secolo: Tango argentino, un pensiero tr di Alessandro Boris Amisich H istoire du tango, di Astor Piazzola, è una splendida composizione in quattro tempi per flauto e chitarra. A differenza di altre suites, che presentano varietà di danze e ritmi, ma sincronia di stile, questa si articola, esattamente al contrario, con unicità di danza (sempre e solo tango), ma con diacronia di stili: i quattro tempi infatti si intitolano rispettivamente Bordel 1900, Cafe 1930, Nightclub 1960 e Concert d’aujourd’hui. E fanno comprendere perfettamente il percorso e l’evoluzione della musica argentina nel corso di un secolo. Le origini del tango La parola tango si diffonde già verso il 1820, ma il termine non ha in origine a che fare con la dan- za, quanto piuttosto con uno strumento a percussione, probabilmente un tamburo, che veniva utilizzato dagli schiavi importati forzatamente dall’Africa. Solo una sessantina di anni più tardi la stessa parola comincerà ad indicare anche una danza. A proposito del termine è comunque interessante notare come un filologo, Ricardo Rodriguez, (che si è occupato dello studio delle lingue degli schiavi importati in Argentina), abbia sta- bilito che la parola tangò identificasse uno spazio chiuso, privato, circolare, dove per entrare si chiede permesso. E lo stesso termine usavano i mercanti di schiavi per indicare lo spazio dove stipavano questi uomini e addirittura il mercato in cui li vendevano. Negli ultimi decenni dell’Ottocento cercano fortuna nella Terra d’Argento centinaia di migliaia di emigranti, (italiani, spagnoli, francesi, tedeschi, ungheresi, slavi, ebrei, arabi): i porti del Rio de La Plata (Montevideo, Rosario e Buenos Aires) in breve tempo si sovraccaricano di uomini provenienti dall’Europa in cerca di fortuna, cui si aggiungono schiavi liberati, indios e argentini di seconda o terza generazione. A cavallo tra XIX e XX secolo Buenos Aires, che di poco superava i 200.000 abitanti, oltrepassa abbondantemente il milione di presenze: si tratta in buona parte di uomini soli, giunti oltreoceano senza famiglia, che condividono tra di loro miseri alloggi in quartieri popolari (orillas). Sensualità conturbante e «underground» Dal punto di vista musicale c’è chi fa derivare il ritmo del tango da quello dell’habanera, che a sua volta sarebbe l’evoluzione di una danza inglese del XVII secolo, diffusasi poi in Francia col nome di contredanse e più tardi in Spagna (contradanza): quindi un lungo viaggio dall’Europa (Inghilterra, Francia e poi Spagna) attraverso Cuba fino al Sudamerica. Qui l’innesto delle abitudini musicali e delle tradizioni degli immigrati europei avrebbe alfine creato il mix conclusivo. Come danza, il tango nasce e si diffonde soprattutto nei bordelli e nelle osterie, (oggi si direbbe “in ambiente underground”) con disapprovazione e disprezzo delle autorità e della buona società. Un grande stuolo di immigrati maschi si trovava a contendersi le poche ballerine, perlopiù prostitute e cameriere, presenti nei locali dove si ballava. La “cura del cliente” da parte delle prostitute porta ad un contatto molto sensuale ed esplicito, soprattutto in questo primo periodo. Dice J.L.Borges che non si sa esattamente in quale città il tango sia nato: forse Buenos Aires, forse invece Montevideo o Rosario, ma di certo si conosce l’indirizzo: la strada delle prostitute! Questa volgarità di fondo si riflette anche nei testi e nei titoli dei primi tanghi: c’è un titolo di una canzone che richiama una misura e fa riferimento all’orgoglio maschile di avere un membro di una certa lunghezza!. Anche il celebre El choclo (la pannocchia) di Angel Villoldo sembrerebbe a prima vista contenere un riferimento sessuale, ma in realtà pare che si tratti del soprannome riferito al colore dei capelli di un amico del Villoldo stesso, cui il brano era dedicato.. Con il 1912, (legge del suffragio universale) le classi si integrano maggiormente e anche l’alta società vuole ballare il tango. Una maggiore libertà, sicuramente, ma il ballo ha ancora un che di proibito e peccaminoso, che comunque attira anche la borghesia e la classe dirigente. Carlos Gardel, un artista che appartiene al patr Dove nasca non si sa (Francia? Uruguay?); quando, nemmeno. Più o meno verso il 1890. Muore invece sicuramente il 24 giugno 1935 in un disastro aereo a Medellin. Passa un’infanzia piuttosto turbolenta nei pressi del mercato di Abasto (quartiere di Buenos Aires) e frequenta le bande giovanili: qualche volta viene anche fermato dalla polizia. Dal 1906, dopo aver abbandonato gli studi, frequenta i teatri e gli Razzano e col chitarrista Francisco Martino (1911-12) incidendo i primi dischi di canzoni popolari argentine. Dopo varie vicissitudini il trio prenderà il nome di Terceto Nacional, per tornare poi ad essere un duo, dalla fine del 1913. Il Duo Nacional Gardel-Razzano si esibisce al prestigioso cabaret Armenonville di Buenos Aires, da cui, si dice, alla fine dello spettacolo gli esecutori fossero portati in trionfo per le strade. Il prestigioso cabaret Armenonville di Buenos Aires ambienti di spettacolo, facendosi notare per la bella voce di baritono e trovando a volte lavoro come macchinista teatrale. Impara anche a suonare la chitarra. Forma un trio col cantante Josè Mille tanghi Data l’8 gennaio 1914 il loro debutto al Teatro Nacional di Buenos Aires: da qui prende avvio un’attività che li porta nei diversi teatri della capitale e delle maggiori città argentine. Poi l’estero; 1915: Teatro Royal di Montevideo e successivo tour in Brasile. Alla fine del 1915 Gardel, nel corso di una rissa, viene ferito da un colpo di pistola: il proiettile farà compagnia al suo polmone per tutta la vita. Riprende ad esibirsi nel 1916. Per la prima volta, cantando all’Empire di Buenos Aires mette in repertorio un tango: è il 1917; il brano è Mi noche triste, di Samuel Castriota e Pascual Contursi: si tratta di un brano versificato in lunfardo; nella sua vita inciderà quasi un migliaio di tanghi. Viene scelto anche come protagonista del primo film del cinema argentino. Con mesi di palestra e di fatica scenderà dagli oltre 100 chili al suo peso forma di 75 chili. Una quattordicenne diverrà la sua fidanzata ufficiale, ma lui non la sposerà mai. Si dice che il fidanzamento sia stato una copertura per la sua omosessualità. Incide con alcune orchestre per la radio argentina. Negli Anni Venti è più volte in Spagna. Nel ’28 è a Parigi (con Josephine Baker), nel ’29 in Italia, Costa Azzurra e ancora Spagna. Con l’avvento del sonoro porta nei suoi film anche la propria musica: in Argentina (’29) e in Europa: ricordiamo il film Luces de Buenos Aires, Esperame, (Aspettami), La cosa es seria e Melodía musica 7 Mercoledì, 28 novembre 2007 dai bassifondi di Buenos Aires alla ribalta del varieté internazionale iste in movimento suale ed erotico. Nel frattempo, però, col film I quattro cavalieri dell’apocalisse Rodolfo Valentino rendeva celebre il tango in tutto il mondo. Con la nascita del tango-canzone (cioè quando il tango assume un testo) si afferma un’equazione che vale quasi “tango = vita”: delusioni, dolori, visione fatalistica della vita, struggimenti, nostalgie, tempi passati, amori lontani, solitudine. La prima partitura di tango fu pubblicata nel 1888. Tra i tanghi storici più celebri ricordiamo El choclo (1905), di Angel Villoldo, La cumparsita (1916) di Gerardo Matos Rodriguez, che parla di una piccola banda che si esibisce in una processione di strada, Caminito (1926) di Juan de Dios Filiberto, dedicato a un vicolo del quartiere della Boca, dove approdavano gli immigrati. Tutti e tre questi testi raccontano di uomini traditi dalle donne che hanno amato. Un altro celebre tango, A media luz (1925), composto da Edgardo Donado, ricorda nostalgicamente una stanzetta con un grammofono che in sottofondo suonava vecchi tanghi, mentre il protagonista teneva una tavola apparecchiata in attesa della donna che amava. (1- continua) Pure l’alta società rimase contagiata dal peccaminoso tango Dai locali malfamati all’alta società Sarà proprio la giovane elite argentina che apprenderà il tango nei locali malfamati ma lo porterà con sé nei suoi viaggi in Europa. E da Parigi, città aperta e plurale, il tango troverà una sua nuova legittimazione anche per ritornare in patria definitivamente sdoganato, nonché per diffondersi in Europa nei cosiddetti tango cafè. Le prime esibizioni di tango negli USA sono del 1912 e già nel 1913 un teologo americano si chiedeva se questa danza non fosse la conferma delle teorie darwiniane, e cioè del fatto che l’uomo discendesse dalla scimmia! Anche l’arcivescovo di Parigi sosteneva che i cristiani non dovessero ballarlo, mentre Benedetto XV, negli stessi anni, lo definiva indecente, oltraggioso, pagano, assassino della famiglia e della vita sociale: ma lo diceva perché il tango…era stato introdotto anche nella residenza papale! Non solo la chiesa, comunque, ma anche le autorità politiche combatterono il tango: il kaiser Guglielmo II si limitò a proibire ai propri ufficiali di ballarlo; a Monaco di Baviera la decisione fu motivata: il ballo fu bandito dalla città in quanto, più che una danza, appariva alle autorità uno stimolo sen- Boca, il quartiere degli emigranti di Buenos Aires rimonio dell’umanità de arrabal, in cui si ascoltano noti tanghi come Melodía de arrabal, Silencio e Me da pena confesarlo. E’ ancora in Europa nel novembre del ’33, da dove parte per gli USA, protagonista di trasmissioni radiofoniche e dei film Cuesta abajo, Mi Buenos Aires querido, Tango en Broadway e Cazadores de estrellas con Bing Crosby; ai primi del 1935 è protagonista dei film El día que me quieras e Tango Bar. Nell’aprile inizia una nuova tournée per Portorico, Venezuela, Colombia: ma all’aeroporto di Medellín, il 24 giugno, il suo aereo, mentre si prepara a decollare, si scontra con un altro aereo fermo sulla pista, con i motori accesi. Carlos Gardel muore carbonizzato e con lui perdono la vita Teatro Nacional di Buenos Aires i suoi chitarristi Guillermo Barbieri e Angel Domingo Riverol nonché il paroliere Alfredo Le Pera. Il suo mausoleo nel cimitero della Chacarita di Buenos Aires è invaso di ex voto e quotidianamente gli altoparlanti diffondono le sue canzoni. Nel 2003 Carlos Gardel è stato dichiarato dall’Unesco Patrimonio Culturale dell’Umanità. 8 musica Mercoledì, 28 novembre 2007 ANEDDOTI...CURIOSITÀ E ALTRO... Campane armoniose Le campane, sia che facciano errare i loro rintocchi armoniosi in una verde vallata alpestre, oppure risuonino tinnule e festose per celebrare una solennità religiosa, o si rivelino meste e gravi in occasione di luttuose circostanze, hanno sempre suscitato un fascino particolare sull’animo umano e celebri musicisti ne introdussero l’uso in parecchi loro lavori. Giuseppe Verdi nel “Miserere” atto IV dell’opera “Il Trovatore” e nella “Scena del bosco” nel III atto del “Falstaff”; Giacomo Puccini, nel famoso “Te Deum” che costituisce il finale dell’atto I della “Tosca” QUIZ e nel preludio del III atto del- eroi”; Respighi; nelle “Fontane la stessa opera, dove il suono di Roma”. argentino delle campane della chiesa romana, saluta il sorgere Un invito a pranzo Un giorno Chopin fu invitadel mattino. Altri esempi interessantissimi dell’applicazione delle campane sono costituiti dal coro “Cristo è risorto” nel III atto dell’opera “Siberia” di Umberto Giordano; da quello d’introduzione e scena della “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni e dal coro e brindisi della stessa opera. L’uso delle campane nei lavori sinfonici è assai meno frequente che non nelle opere teatrali, benché non manchino degli esempi: I. S. Bach: Cantata “Schlage doch, gewunschte Stunde”; F. Liszt: Poema sinfonico “Lamento degli CHISSÀ CHI LO SA? 1. Il pianoforte, oltre ad essere uno degli strumenti solistici per eccellenza, fu usato, ed è usato tuttora, come un mezzo perfetto per comporre musica. Ne hanno fatto uso tanti grandi compositori nella storia della musica, ma non il grande compositore francese, Hector Berlioz (1803-1869), il quale preferiva servirsi… a) della chitarra b) del violino c) dell’organo 2. Quale dei seguenti compositori è considerato fondatore dell’opera inglese? a) William Byrd (15431623) b) Benjamin Britten (19131976) c) Henry Purcell (16591695) 3. L’album “Confessions on a dance floor” è divenuto di recente il disco più venduto di tutti i tempi negli Stati Uniti, prendendo il decennale primato dei Beatles. Parliamo dell’album di… a) Jennifer Lopez b) Madonna c) Susanne Vega nel 1919 dal rinomato compositore croato… a) Blagoje Bersa b) Božidar Kunc c) Ivan de Zajc 7. Il grande Giuseppe Verdi compose il suo magnifico Requiem nel 1873, dedicandolo allo scrittore italiano… a) Arrigo Boito b) Alessandro Manzoni c) Ugo Foscolo 8. Quale dei seguenti personaggi è stato fondatore, vocalist, autore di musica e di testi del famoso gruppo rock inglese Pink Floyd? a) Syd Barrett b) Roger Waters c) David Gilmore 9. Il famoso compositore e direttore d’orchestra americano Leonard Bernstein è autore della musica di un popolare musical, in seguito trasformato in un film di successo che vinse addirittura dieci Oscar, intitolato… a) Jesus Christ Superstar b) Annie c) West Side Story 4. Si chiamano “Capricci” i 24 studi – un’eccezionale scuola di tecnica violinistica - composti dal grande… a) Antonio Vivaldi b) Arcangelo Corelli c) Niccolò Paganini Frederich Chopin to a pranzo da una ricca signora. Il grande musicista, pur non sentendosi bene, per non essere scortese accettò l’invito, ma durante il desinare quasi non toccò cibo. Alla fine del banchetto tutti si raccolsero in una sala in cui era un pianoforte e la padrona di casa invitò Chopin a suonare. Egli si schernì adducendo a motivo la sua indisposizione al che la signora gli fece chiaramente intendere che egli era stato invitato al solo scopo di intrattenere gli ospiti con un concerto. Chopin, allora, con un pallido sorri- Nicolò Paganini 5. Il primo vocalist del megagruppo australiano AC/DC, scomparso tragicamente nel 1980, si chiamava… a) Freddie Mercury b) Bon Scott c) John Lennon 6. Il poema sinfonico “Sunčana polja” fu composto Come nacque la celebre Serenata di Schubert Trovandosi un giorno Schubert con alcuni amici in un’osteria di campagna, dopo colazione si avvicinò incuriosito ad un suo amico che stava leggendo un libro di Shakespeare: il “Cimbellino”. Schubert si fece dare per un momento il libro e cominciò a sfogliarlo, e si fissò su un passo che lo colpì profondamente. Esso dice: “Odi, odi l’allodola nell’etere azzurro!”. Dopo la lettura il grande musicista esclamò: “Mi è venuta una bella melodia, peccato che non abbia della carta da musica!”. Un amico gli presentò il rovescio della lista del conto e Schubert, dopo aver frettolosamente vergato alcuni pentagrammi, tra il frastuono degli avventori dell’osteria e le chiacchiere degli amici scrisse di getto la bellissima Serenata. Fra i suoi vari manoscritti si conserva ancora la famosa lista con la relativa Serenata. Franz Schubert Battutacce E’ difficile fidarsi di uno il cui strumento cambia forma mentre viene suonato. Come si fa a far suonare un trombone come un corno? Si mette una mano nella campana e si sbagliano un sacco di note. -------Come mai il corno è uno strumento divino? Perché un essere umano ci soffia dentro, ma solo Dio sa che cosa ne esce. Il corno è un magico portale, che unisce il mondo delle emozioni con il mondo degli scrocchi. Come fa un cornista a congratularsi con un altro cornista? 1. Ciao, ho suonato quel pezzo l’anno scorso. 2. Ciao, ho suonato quel pezzo al Conservatorio. GIRO GIRO TONDO QUANDO CANTA IL MONDO ZAGABRIA -TEATRO NAZIONALE CROATO Georges Bizet - Carmen Giacomo Puccini - Il Trittico Josip Mandić - Mirjana Claudio Monteverdi - Orfeo RIPRESE Wolfgang Amadeus Mozart - Il flauto magico, Don Giovanni Giuseppe Verdi - Traviata, Nabucco, Un ballo in maschera Gioacchino Rossini - Il barbiere di Siviglia Francis Poulenc - I dialoghi delle carmelitane PRIME DI BALLETTO Sergej Sergejevič Prokofjev - Cenerentola Leonard Bernstein 10. Nonostante le difficoltà oggettive che si sono riscontrate nei secoli precedenti ad affermare una dignità solistica della Viola - uno strumento della famiglia degli archi -, i compositori, seppur non apprezzandone gli strumentisti, ne hanno sempre apprezzato il timbro e il suo movimento interno all’armonia. È noto che la suonavano con particolare gusto i seguenti compositori… a) J.S.Bach, W.A.Mozart e Franz Schubert b) G.F.Händel, L.van Beethoven e Robert Schumann c) J.Haydn, A.Vivaldi e F.B.Mendelssohn so rispose: “Signora, ho mangiato così poco!”. Fryderyk Franciszek Szopen adottò la variante francese Frédéric-François Chopin quando a venti anni lasciò la Polonia, per non tornarvi mai più. Il certificato di battesimo riporta la data di nascita 22 febbraio, ma la famiglia ha sempre dichiarato il 1 marzo, giorno in cui ha sempre festeggiato i compleanni. Probabilmente è stato un errore del prete battezzante nel compilare il certificato. La bella addormentata Marjan Nekak - Staša Zurovac Danse Macabre Nacho Duato, Vasco Wellenkamp, Leo Mujić - Serata d’autore RIPRESE Fran Lhotka - Il diavolo nel villaggio Petar Iljič Čajkovski - Lo schiaccianoci, La bella addormentata, Il lago dei cigni Adolphe Adam - Giselle Leo Delibes - Youri Vamos - Coppélia a Montmartre Gustav Mahler Milko Šparemblek - Canti d’amore e di morte SPALATO -TEATRO NAZIONALE CROATO PRIME d’OPERA Giacomo Puccini - Manon Lescaut Charles-Françoise Gounod Faust RIPRESE Giacomo Puccini - LA BOHÈME Gaetano Donizetti - LUCIA DI LAMMERMOOR Ivan pl. Zajc - Nikola Šubić Zrinjski Gaetano Donizetti - L’elisir d’amore Jakov Gotovac - Ero, lo sposo caduto dal cielo Ivo Tijardović - La piccola Floramy PRIME DI BALLETTO Sergej Prokofjev - Romeo e Giulietta Coreografia di Youri Vamos Igor Stravinski - Pulcinella Coreografia di Kol Simcha SHPIEL ES - Coreografi: Mark Ribaud e Nils Cristi RIPRESE Karen Hačaturjan - Cipollino Rami Be’er - Magum Petar Iljič Čajkovski - Il lago dei cigni, Lo schiaccianoci VIENNA STAATSOPER DICEMBRE - 2007 Vincenzo Bellini - Norma Richard Wagner - Die Walküre Giacomo Puccini - Tosca Modest Mussorgski - Boris Goduno Wiener Staatsoper (foyer) G. Verdi - La Traviata Gaetano DonizettiL’elisir d’amore Gioacchino Rossini - Il barbiere di Siviglia Johann Strauss - Il pipistrello Mozart- Il flauto magico Anno III / n. 7 28 novembre 2007 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA [email protected] Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo / Impaginazione: Annamaria Picco Collaboratori: Astrid Brenko, Helena Labus, Fabio Vidali e Alessandro Boris Amisich Foto: Astrid Brenko Il presente supplemento viene realizzato nell’ambito del Progetto EDIT Più in esecuzione della Convenzione MAE-UPT n.1868 del 22 dicembre 1992 Premessa 8, supportato finanziariamente dall’UI-UPT e dal Ministero Affari Esteri della Repubblica italiana. Soluzioni: 1.a), 2.c), 3.b), 4.c), 5.b), 6.a), 7.b), 8.a), 9.c), 10.a).