SPETTACOLI L’ECO DI BERGAMO LUNEDÌ 13 OTTOBRE 2008 29 «I Puritani», il soprano star della serata La voce elegante dell’australiana Jessica Pratt ha caratterizzato tutte le tre ore di spettacolo: qualche fischio ingeneroso Plauso prevalente sui dissensi per il ritorno dell’opera di Bellini al Donizetti dopo oltre trent’anni. Replica domani ■ Che sia stato per contagio dell’argomento messo in scena o altro, fatto sta che I Puritani visti ieri sera a Bergamo, dopo oltre trent’anni di assenza dal teatro Donizetti (l’ultima volta nel 1977), si sono caratterizzati per le divisioni tra il pubblico. Applausi e dissensi hanno contrassegnato un po’ tutto il percorso dell’ultimo capolavoro belliniano, che domani sera (alle 20,30) sarà replicato per il Bergamo Musica Festival Gaetano Donizetti. Intendiamoci, il plauso e anche gli entusiasmi sono stati prevalenti sui dissensi – ma una parte degli spettatori non ha mancato di far sentire pesantemente (anche in modo greve) il suo scontento. Alla fine anche la star della serata, il soprano australiano Jessica Pratt, non è riuscita ad evitare qualche, sinceramente ingeneroso, fischio isolato. Eppure proprio lei, l’eroina romantica che Bellini porta dalla gioia alla follia e poi viceversa, ha caratterizzato tutte le tre ore abbondanti di spettacolo. Voce elegante, colore molto bello e limpido, acuti sempre facili (abbiamo contato almeno una mezza dozzina di mi bemolle sovracuti), agilità cristalline e ineccepibili, fraseggio scorrevole e mai forzato. E per giunta, cosa che non guasta, una bella presenza scenica. Insomma, una primadonna con le carte in regola per svolgere l’impervia parte. Per altro ardue sono tutte le prime parti de I Puritani. E chi in effetti ha dimostrato di non reggere il ruolo è stato proprio il suo amato Arturo, alias il tenore Giorgio Casciarri. Anche in questo caso la parte è di quelle che fan tremare i polsi: Casciarri – che è arrivato in corso d’opera meno di una settimana fa per sostituire il collega designato, il sudcoreano Ji Miung Hoon – ha in sua dote gli acuti che brillano anche nella sua parte. Ma il timbro chiaro della sua voce gioca molto su aggressività e forza, cosicché più di una volta ci sono stati cambi di colore bruschi e fraseggi poco aggraziati, non in linea con quello che Il tenore Giorgio dovrebbe esser un belcanto Casciarri, dopo suadente. Dopo alcuni inalcuni inciampi ciampi verso la fine del I atto, verso la fine del I Casciarri si è ripreso ammirevolmente nel III atto (nel seatto, si è ripreso condo Arturo non compare), ammirevolmente gestendo al meglio le sue risorse e limitando le pecche. nel III. Bene il Si sono mossi complessivabaritono Accurso mente bene gli altri due, il baritono Roberto Accurso, nei e il basso Iori panni di Riccardo, antagonista di Arturo: voce omogenea ed elegante, timbro pastoso, ha proposto un fraseggio arioso e ben gestito. E poi il basso Enrico Giuseppe Iori, nei panni di Giorgio Valton, all’inizio un po’ freddo, poi via via capace di coniugare fraseggi rotondi e credibile veemenza. Entrambi hanno trovato un plauso sostanziale da parte degli spettatori. Buona la prova del secondo soprano Annalisa Carbonara, Enrichetta espressiva, e coerenti i contributi delle altre parti. Complessivamente discreta la parte del coro del Festival, preparato dal Fabio Tartari, e dell’orchestra – una buona prova pur con alcuna distrazione – che il direttore Marcello Rota ha guidato con puntualità ed energia ritmica. Anche a lui non sono mancati i fischi, probabilmente per un limite – qua e là emerso – nel dosare le sonorità: a volte l’orchestra sovrastava il coro e anche il palcoscenico nell’insieme. Ma complessivamente si è trattato di una guida di buon livello. E curiosamente qualche fischio è arrivato anche al regista Paolo Panizza. Curiosamente perché Panizza ha puntato, in modo inequivocabile, su una regia tradizionale, se non tradizionalista. Ed è noto come i melomani siano fondamentalmente legati alle tradizioni: se contestano la regia è se mai per le novità. Panizza ha seguito molto fedelmente le indicazioni di libretto, scegliendo un’Inghilterra gotica dai paesaggi indubbiamente affascinanti. Forse qualcuno si sarà chiesto il significato dei rami spogli su sfondo viola nel secondo atto, nel cuore della follia di Elvira, oppure la sua danza fuor di senno in fondo alla scena sulle note del preludio. Ma è indubitabile che nella strada scelta Panizza abbia fatto le cose con cura e per bene: tutti si muovevano con cognizione e con pertinenza, anche nelle scene di massa la vivacità appagava indubbiamente l’occhio, con un corredo di costumi (di Simona Morresi) indubbiamente eleganti. Bernardino Zappa IIIII AL CONCA VERDE L’omaggio a Olmi Torna il primo film Ultimo appuntamento questa sera (ore 21) con i film per l’«Omaggio a Ermanno Olmi» al cinema Conca Verde, un’iniziativa nata in coincidenza con l’assegnazione al regista bergamasco del Leone d’oro alla carriera a Venezia. Sarà riproposto, a grande richiesta, «Il tempo si è fermato», già presentato il 16 settembre scorso. Girato da Olmi nel 1960, durante l’inverno, presso una grande diga vicino all’Adamello, il film racconta le vicende quotidiane dei due guardiani, uno anziano (Natale Rossi) l’altro giovanissimo (Roberto Seveso). I rapporti tra i due sono in principio caratterizzati da un certo imbarazzo, anche per via dell’età, ma a poco a poco troveranno un modus vivendi. È il primo lungometraggio di Olmi che, prima, aveva girato una serie di documentari per la Edisonvolta, la società per la quale lavorava. È un racconto di comportamenti, di impressioni, di sensazioni, e di emozioni (ad alta quota). Ingresso promozionale euro 3,50. STAGIONE LIRICA Il soprano Jessica Pratt e il tenore Giorgio Casciarri (foto Rossetti) «Doccia», l’orrore Elena Vittoria nel disco per Amnesty dei campi nazisti La giovane cantautrice bergamasca unica esordiente nella compilation ■ La giovane cantautrice bergamasca Elena Vittoria, già vincitrice della XI edizione di «Voci per la Libertà - Una canzone per Amnesty» lo scorso luglio, sarà l’unica esordiente inserita nella compilation di Amnesty, 17x60, in uscita il prossimo 31 ottobre, prodotta e distribuita da Cni Music. La raccolta conterrà una selezione di sedici brani firmati da altrettanti big (Daniele Silvestri, Ivano Fossati, Modena City Ramblers, Paola Turci, Samuele Bersani, Sud Sound System, Eugenio Bennato, Niccolò Fabi, Mariella Nava, Gianmaria Testa, Giorgio Canali, Enzo Avitabile, Antonella Ruggiero, Subsonica, Jovanotti, Max Gazzé) e raccolti da Amnesty International in occasione del 60° anniversario per la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite proclamava trenta articoli che riconoscono ad ogni persona il diritto di vivere, la libertà di movimento, di pensiero, di culto, di opinione, di associazione. La Sezione italiana di Amnesty International ha pensato di celebrare questo anniversario con una raccolta di brani a tema sociale e umani- La giovane cantautrice bergamasca Elena Vittoria tario, firmati negli ultimi quattro anni da diciassette artisti italiani di grande fama e prestigio. Tra le canzoni contenute nel disco spicca Peacock, piccola gemma folk rock che Elena Vittoria dedica alla figura di Aung San Suu Kyi, donna simbolo dell’opposizione democratica al regime militare in Myanmar e premio Nobel per la pace nel 1991. La cantante descrive la propria composizione come «una poe- sia surreale, nata dagli eventi occorsi in Myanmar lo scorso inverno e filtrati attraverso la mia vena onirica. Spicca la figura femminile di Aung San Suu Kyi, che incarna il mantra e l’amore, gioiello di cui parla la mia Peacock». La partecipazione a questa importante uscita discografica rappresenta un ulteriore passo in avanti ed una conferma del talento di Elena Vittoria – classe 1980, laureata al- l’Accadema di Belle Arti «Giacomo Carrara» – che ha esordito nel 2005 con l’album intitolato Trip, contenente dieci pezzi originali in lingua inglese ispirati alle atmosfere dark, rock e folk. Segue un’intensa attività live, come supporter di gruppi storici nazionali e internazionali, fra cui Modena City Ramblers e Fairport Convention, la vittoria del concorso Nuovi Suoni Live a Bergamo e la selezione (nel 2008) per i più prestigiosi festival del Nord Italia: ItaliaWave, Heineken Jamming Festival Contest, Senza Etichetta (presidente di giuria Mogol), Premio Janis Joplin - Just like a woman. Storia recente è il primo posto a «Voci per la Libertà 2008» e al «Cornetto Free Music Audition 2008», con la conseguente apertura del concerto di Zucchero al Velodromo di Palermo. Attualmente Elena Vittoria è impegnata sia in un programma di concerti dal vivo, che la vedono protagonista alla chitarra e al pianoforte (anche accompagnata da una band), sia nell’arrangiamento e produzione di un nuovo album in italiano. Fabio Rapizza Il trio di Mirabassi applaudito ospite «alternativo» alla Greppi Se jazz e classica sono in armonia ■ Curioso davvero il clarinettista Gabriele Mirabassi. Ospite «alternativo» con il suo Trio – gli eccellenti Paolo Alfonsi alla chitarra e Salvatore Maiore al contrabbasso – ai Concerti d’Autunno in Sala Greppi, Mirabassi, che già aveva espresso il concetto in una intervista al nostro quotidiano, ha ribadito il concetto agli astanti. Il jazz è un mondo che offre possibilità e flessibilità non consentite alla musica «classica». Da un punto di vista materiale è vero, ma oggi tutti sanno che i «mostri sacri», da Mozart a Beethoven, erano eccellenti improvvisatori – si pensi ad esempio alle cadenze dei concerti pianistici – e che tale pratica era naturale ben prima dell’avvento della musica afroamericana, che è un vero e proprio genere con caratteristiche definite. Ma al di là di questioni di questo genere, è stata la proposta stes- sa di Mirabassi a proporre indicazioni davvero originali e, se possibile, abbastanza divergenti dal mondo del jazz in senso stretto. La sequenza di brani del progetto «Canto d’ebano» aveva tutta la morbida cantabilità e la soffusa persuasione di brani cantautorali, poco inclini al più noto linguaggio armonico afroamericano. Del resto, tutti e tre i musicisti sul palco della Greppi hanno una formazione schiettamente «classica», accademica. Spesso affiorano anime nostalgiche, toni lenti e suadenti, sospesi in mezzetinte impalpabili. Musica che a volte parla di jazz, ma sempre a mezza via con altri percorsi. Certo non c’è l’ambizione della grande architettura, vedi la «classica», ma le stesse valenze cameristiche e narrative si trovano pari pari in tante musiche che ben potrebbero dirsi tali. La cosa che più colpisce, sorretta dall’infallibile sintonia e dall’affiatamento pressoché istintivo, è il colore del suono. Sì, c’era l’amplificazione, capace soprattutto di calibrare al livello degli altri due le sonorità della chitarra, ma era davvero così ben gestita che a fatica se ne percepiva la presenza: e il suono viaggiava pieno e avvolgente. Quello del clarinetto su tutti: un colore morbidissimo ed elastico, ricco di armonici e pastoso, mai aggressivo o percussivo. Insomma un suono ideale per il repertorio classico, per l’ultimo Brahms piuttosto che per l’inarrivabile Concerto di Mozart. Curioso allora rimarcare tanto le differenze tra jazz e suddetta classica. Noi, se mai, abbiamo trovato, felicemente, molti punti comuni, condividendo il plauso del numeroso pubblico della Greppi. B. Z. Gabriele Mirabassi e Salvatore Maiore in Sala Greppi per i Concerti d’Autunno ■ «Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. (…) Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso». Questa citazione da La notte di Elie Wiesel, insieme ad altri brevi testi di Primo Levi, dello storico dell’arte Sandro Scarrocchia e dai libri biblici di Naum e di Gioele, ricorre in Brausebad («Doccia»), rappresentato giovedì e venerdì sera all’ex scuola elementare Manzoni di via Cantù, al Villaggio degli Sposi. Ispirato al ciclo dell’artista Maurizio Bonfanti Brausebad: cinque porte in memoria della Shoah, lo spettacolo ha concluso il corso di primo livello condotto da Pierluigi Castelli e Samuele Farina di Àrhat Teatro: in questa occasione i dieci giovani attori del corso (nove ragazze e un ragazzo) hanno evocato sulla scena l’abominio dei campi di sterminio nazisti, in cui, all’esterno delle camere a gas, compariva appunto la rassicurante quanto ingannevole scritta «docce». Opportunamente, considerati i tempi della rappresentazione, il regista Castelli ha scelto di non procedere in chiave narrativa o «storica», privilegiando invece un aspetto peculiare della Shoah, ovvero il sistematico annullamento della personalità dei detenuti nei Lager. «Brausebad» Questa dimensione è stata resa mediante i corpi degli attori, con una gestualità a tratti frenetica e brutale, a tratti quasi bloccata, a richiamare – secondo la lezione di Theodor W. Adorno e Imre Kertész – l’impossibilità di narrare secondo le categorie dell’umanesimo tradizionale l’orrore del genocidio. Brausebad (che sarà ancora rappresentato nel mese di novembre alla presenza di Hanna Kugler Weiss, superstite di Auschwitz) costituiva in effetti lo spettacolo inaugurale di «Essenze», una rassegna «fra teatro e musica» proposta da Àrhat Teatro al pubblico di Bergamo: l’altra sera, dopo un concerto polistrumentale di Alessandro Verrecchia vi è stata la prima assoluta nella nostra città di Fiori, studio/rapsodia drammatica ispirata a Les fleurs du mal di Baudelaire e interpretata da Samuele Farina. Questo «studio», già presentato in Italia e in Francia, ha ricevuto in occasione della rassegna del teatro di strada «Mercantia» dello scorso luglio una lusinghiera recensione dal quotidiano La Nazione, che l’ha incluso tra i quattro migliori eventi sui duecento complessivi del festival. Ieri sera, infine, all’ex scuola elementare Manzoni, conferenza sul tema «Di segni e di emozioni. La danza del teatro e dello spettatore», con interventi di Walter Fornasa (docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Bergamo) e Roberto Pellerey (docente di Semiotica all’Università di Genova); è seguita un’ulteriore rappresentazione di Fiori. Giulio Brotti