Comunità Pastorale Regina degli Apostoli
Parrocchie di Bernareggio, Villanova, Aicurzio, Sulbiate
Anno della fede: scuola della Parola
"La tua fede ti ha salvato"
Pagine del Vangelo di Marco nell'Anno della Fede
Quinto incontro: Lunedì 18 febbraio 2013 - Chiesa parrocchiale di Villanova
E si meravigliava della loro incredulità (Mc 6, 1 – 6a)
1
Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. 2Giunto il sabato, si mise a
insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli
vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli
compiuti dalle sue mani? 3Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo,
di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. 4 Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria,
tra i suoi parenti e in casa sua». 5 E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le
mani a pochi malati e li guarì. 6a E si meravigliava della loro incredulità.
se dicesse “anche se non riuscite a vincere il
male, almeno state uniti, state in comunione
tra voi”. Invece, dopo questa esperienza di
comunione perfetta,, Gesù ne fa una diabolica, quella di questo brano che abbiamo ascoltato: un’esperienza di disunione e di rifiuto.
Dice: “Venne nella sua patria”. Da Cafarnao a
Nazareth il viaggio non è lunghissimo: si va
appunto in mezzo a questo paesaggio verde
della Galilea, passando per il villaggio di Magdala, che è il luogo che poi ha dato il nome a
Maria, fino a Nazareth Questo era il paese
dove Gesù era cresciuto e che viene considerato la patria di Gesù. Qualcuno, a mia opinione esagerando, è arrivato a mettere in discussione addirittura la nascita di Gesù a Betlemme perché sembra improbabile un viaggio
di quella lunghezza con una donna incinta. In
realtà, invece, l’appellativo “il Nazareno” sarà
per tutta la vita un marchio indelebile per Gesù. Sarà anche un insulto: nel Vangelo di
Giovanni ci viene riportato un proverbio “cosa mai può venire di buono da Nazareth?”
Nazareth si trova al nord e l’idea era che, i
giudei, quelli puri, fossero solo a sud a Gerusalemme quindi quelli del sud disprezzavano
abbondantemente quelli del nord. Era al contrario che da noi, ma siamo ancora a quelle
storie lì di “Benvenuti al Sud” e “Benvenuti al
Nord”: da duemila anni non è cambiato niente. Nazareth poi era proprio un paesino.
Quando ero a Busto, i “cittadini” indicavano
RIFLESSIONE DI DON LUCA
Introduzione
Affrontiamo il brano che abbiamo davanti.
Stasera sono anche pochi versetti e, se guardate sul libretto, viene indicato capitolo 6, versetti 1 – 6a: in effetti i versetti del Vangelo,
per gli esperti, possono anche essere suddivisi
coma a, b o c. In questo caso non ho capito
perché abbiano messo il versetto 6a e non il b
che invece può centrare anche lui con questo
brano e che vi leggerò poi. Facciamo passare
la lectio di questo racconto semplice, avete
visto che non è lungo e non c’è una vicenda di
incontro e di dialogo come l’altra volta. Qui
c’è un mugugno da parte dei nazareni (o qualcuno scrive nazaretani) e c’è Gesù di Nazareth che risponde. Probabilmente si saranno
detti queste cose anche nello stesso dialetto.
Nazareth
Al versetto 1 dice: “Partì di là”. Eh, ma di là
dove? Si tratta proprio del continuo del brano
dell’altra volta quindi, probabilmente, Cafarnao dove Gesù ha trovato quella donna con il
flusso di sangue continuo che voleva toccarlo
(“anche solo se riesco a sfiorare il suo mantello sarò guarita”) e dove è stato nella casa di
Giairo. Il contrasto è forte perché in casa di
Giairo, come vi dicevo l’altra volta, sono in
sette quindi il numero perfetto. Gesù davanti
al male fa un’esperienza di comunione: come
1
Gesù arriva a Nazareth, a casa sua, dove trova
gli amici con cui è cresciuto, ha studiato, ha
mangiato insieme: allora si faceva così, la casa era soltanto il luogo dove andare a dormire
e si viveva fuori insieme agli altri. Immaginate di ritrovare i vostri amici dopo magari un
anno che siete in giro e… poi vi accolgono
così. Gesù, da bravo ebreo, il sabato va in sinagoga. La sinagoga, di per sé, non è un luogo ma, nella mentalità ebraica, è un modo per
stare insieme, anzi, il modo privilegiato di stare insieme. Si fa sinagoga quando si è almeno
in cinque: il maestro e quattro discepoli. Gesù, infatti, all’inizio chiamerà soltanto quattro
discepolo: vuole fare anche lui “sinagoga”.
Dopo questi rifiuti, invece, si ritira sul monte
e ne chiama dodici perché stessero con lui e
per mandarli a predicare. Dopo il rifiuto, Gesù
“si rompe” e rompe anche con la tradizione:
dice “io, in continuità con la parola di Dio
dell’Antico Testamento, adesso fondo una cosa nuova”. La chiamata dei dodici, la Chiesa,
significava dire che c’è un nuovo Israele, c’è
qualcosa di nuovo.
quelli di Oleggio e dicevano: “A Oleggio uno
è scemo e l’altro è peggio” (poi ho scoperto
che fa rima anche con Bernareggio, lasciamo
stare, però così sapete cosa mi viene in mente
ogni tanto).
Gli abitanti di Nazareth
Quello che è successo a Nazareth, per Gesù
non è stata solo una delusione per il rifiuto di
fede. Il Vangelo ci dice che Lui era andato
con i suoi discepoli che non erano di Nazareth, ma di Cafarnao o di altre zone intorno al
lago (Nazareth non è sul lago). Questa gente,
pescatori, saranno stati contenti di andare a
vedere la casa di Gesù, e pensate con quanto
orgoglio Gesù quel giorno porti i suoi amici
ad incontrare sua madre. Quando uno ti presenta la mamma, ti porta a casa sua: è importante mettere nella riflessione questa idea perché si capisce ancor di più la scocciatura di
Gesù al momento del rifiuto. Non solo i nazareni non ascoltano la Parola di Dio, ma rifiutano anche l’uomo e l’affetto a Gesù.. Lui fa
una figuraccia davanti ai suoi e i suoi compaesani si comportano per lo meno da maleducati o da zotici.
“E rimanevano stupiti”
Qui, ancora in sinagoga, Gesù inizia ad insegnare e dice quello che dice sempre. Molti, i
suoi amici e la sua gente dice il Vangelo, “rimangono stupiti”. In questo caso non è tanto
lo stupore gioioso, potremmo tradurre con
“rimasero perplessi”. Orca, stai attento che
quello che ci hanno detto è vero! Questo qui è
andato fuori di testa. Al capitolo 3 si dice addirittura che abbiano preso a braccetto la madre e i suoi parenti siano andati a prenderlo.
Nel brano del paralitico si dice: “Andarono a
prenderlo perché dicevano: è fuori di sé”.
Quindi già i parenti sono tornati a casa e hanno detto “Si, è vero, è fuori”, ora anche i suoi
amici iniziano a dire: “è fuori, non è più lui,
che cosa ha combinato, che incontro ha avuto,
che coscienza di sé ha preso per venire qua a
raccontare queste robe?” E immaginate il cerchio della gente intorno che gli punta lo
sguardo. Non so se avete mai provato ad avere qualcuno che vi guardasse con commiserazione, come a dire “sei un poverino”. Sembrano dire a Gesù: “È arrivato questo qui ad
insegnarci tutto, da dove gli vengono queste
cose, e che sapienza è questa, e i prodigi?”
La sinagoga
Era “giunto il sabato”: Gesù, da pio israelita,
si mette in fila con gli altri e va alla sinagoga.
Chi di voi è stato nella sinagoga di Nazareth
si ricorda che è meno della metà di questa
chiesa, un luogo piccolissimo. Nazareth allora
avrà avuto, esagerando, 400 abitanti o 300 dice qualcuno. Però tutti andavano alla sinagoga: c’erano i separé per le donne e i bambini,
anche i maschi fino ai dodici anni, gli uomini
invece entravano nella vera e propria sinagoga
dove si srotolavano i testi della legge. Su questo racconto il Vangelo di Luca (al capitolo 4)
è più ricco di particolari: ci dice che Gesù
prende il rotolo, legge il profeta Isaia e subito
dopo spiega. Nel Vangelo di Luca, questo episodio finisce addirittura più male perché
Gesù alla fine viene portato sul dirupo per essere buttato di sotto (e siamo solo all’inizio
del Vangelo in Luca). In Marco, invece, c’è
già stato il rifiuto dei dottori della legge, dei
farisei, dei sadducei e degli scribi che hanno
iniziato a dire alla gente: “Guardate di stare
alla larga da questo qui anche se fa queste
scene, questi gesti e guarisce la gente”.
2
quindi Maria avrebbe avuto altri figli: Giacomo, Joseph, Giuda, Simone e le sue sorelle. In
realtà, molto più semplicemente, nella mentalità ebraica per fratelli e sorelle si intendevano
i cugini e la parentela perché erano molto legati. Si poteva anche lasciare un figlio tre
giorni in carovana senza sapere dov’era, tanto
c’era qualche fratello o sorella, qualche parente che lo teneva lì.
L’insinuazione è comunque pesante. E provate a pensare a Gesù che in quel momento si
sente dire: “Ma tu sei il figlio di quella? E
vieni qua a dirci sta roba?” Tant’è che il nome
di Maria non viene mai pronunciato nel Vangelo di Marco: si dice sempre “la madre”.
Maria viene usato solo come insulto, e Gesù
ha provato questa roba qui.
“Ed era per loro - dice alla fine del versetto 3
- motivo di scandalo”. Lo “scandalos”, in greco, è semplicemente la pietra, il sasso. Però
camminate scalzi con i sandali o i calzari (io
ho provato perché uso spesso i sandali o penso anche alle suore di Villanova che sono un
esempio, ancora coi sandali) e prendete dentro
un sasso appuntito… ecco, la sensazione è
proprio questa: di dolore, ma anche di rabbia.
Quindi loro sono rabbiosi e il motivo di scandalo è verso questo qui che è il figlio di … e
che fa il signor “so tutto io”, ma è un falegname, e basta guardagli le mani, ma adesso
fa i prodigi: gliene hanno dette di tutti i colori.
Le mani del falegname
Ecco, parlando di sapienza e di prodigi: la sapienza è interiore, i prodigi sono invece le cose che fai, esteriori. Quindi per loro Gesù è
ormai negato dentro e fuori: è malato. “Che
sapienza è questa” è uno sfottò per dire che è
arrivato il signor “so tutto io”. I prodigi sono
compiuti dalle sue mani ed è interessante questo particolare perché poi torna alla fine, al
versetto 5 quando Gesù impone le mani. Oggi, pregando, a me ha colpito molto questa
cosa di Gesù e delle sue mani. Le mani di Gesù non erano le mani di papa Benedetto o del
card. Scola, cioè di chi ha studiato. Al versetto 3, infatti, si riporta che “costui è il falegname”. Come se dicessero a Gesù: “”tu hai
le mani da falegname e vieni qua a fare il sapiente?” Il falegname era un buon mestiere,
era un artigiano, ma non è un dotto e quindi
scatta il giudizio perché non è uno di quelli
che avete visto anche voi in Israele con i “truciolini”, che non lavorano perché devono studiare la Torah. Gesù ha lavorato e non esiste
che uno che abbia lavorato invece che di studiare come noi, possa venire a dirci… vedete
che le dinamiche umane sono sempre quelle?
Figlio di Maria
E poi, attenzione, passano all’insulto: avete
visto la parolaccia al versetto 5? “Non è costui
il falegname, il figlio di Maria?” Non è un
modo di identificarlo: gli ebrei, anche se il
papà era morto, venivano indicai sempre come figli del papà. Abbiamo per esempio Bartimeo, il cieco, dove bar in ebraico significa
proprio “figlio”, quindi Bartimeo è il figlio di
Timeo e Barabba è il figlio del padre “Abba”.
A Gesù dovrebbero dire “BarJoseph”, invece
dicono “BarMiriam” perché lì tutti lo sanno
come era andata la storia e Gesù, prima della
croce del Calvario, aveva la croce sulla schiena di essere figlio di quella “poco di buono”,
ecco la parolaccia, di quella sgualdrina che,
non essendo ancora andata a vivere insieme a
Giuseppe, era rimasta incinta. E poi lei, Gioachino e Anna, i suoi genitori, avevano raccontato la strana storia di una visione e Giuseppe,
un po’ tonto, l’aveva bevuta. Qui i nazareni
stanno dicendo proprio questo: “Costui non è
il figlio di quella là?
Poi si parla di fratelli e di sorelle. Per alcuni
l’insinuazione potrebbe essere pesante, perché
Il profeta
E Gesù, con serenità ragguardevole, dice: “Un
profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. Il profeta
non è colui che anticipa il futuro, questa è una
versione distorta che abbiamo oggi della parola “profeta”. “Pro”-“feta”, “pro” “fenì” vuol
dire: dire davanti. È colui che dice davanti a
Dio e davanti al popolo. È colui che testimonia la parola che ascolta da Dio e la riversa sul
popolo. Questa è la profezia: interpretare
quella Parola per l’oggi della gente che si ha
davanti. E il profeta Gesù è disprezzato a Nazareth e guardate l’insistenza: al versetto 4 si
dice “sua patria”, poi “suoi parenti”, “casa
sua”. E si conclude all’inizio del versetto 5:
“E lì non poteva compiere”.
Viene in mente il prologo del Vangelo di
Giovanni, quello che si legge la notte di Natale: “Venne nel mondo la luce vera, quella che
3
Marco Gesù non dice niente, ma Gesù che fa?
Ecco il 6b: “Percorreva i villaggi lì intorno insegnando”.
illumina ogni uomo, e il mondo non lo riconobbe. Venne tra i suoi, tra la sua gente, e i
suoi non l’hanno accolto”. Lì era l’inizio, una
profezia appunto, una parola di Dio che annuncia che per Gesù questa Parola si incarnerà in un rifiuto. Qui Gesù sperimenta questo
rifiuto, lo vive sulla pelle e lo dice perché lo
sapeva. Probabilmente avrà anche pensato:
“Ma perché ho portato qui i miei amici? Io lo
sapevo che mi avrebbero rifiutato, ma ci ho
provato lo stesso. E anche a voi che siete i
miei, questo Vangelo andava detto. Andava
detto anche a voi che siete duri come la strada
su cui il seminatore butta lo stesso il seme”.
Gesù poteva sperare almeno in un interstizio
dell’asfalto, che qualcosa si potesse infilare,
ma non gli è andata bene, non ha trovato neanche una crepa dove il seme della sua Parola
potesse attecchire in quelle teste dure.
La rottura con la tradizione
Ricordate che era anche giorno di sabato? Il
sabato aveva delle regole da rispettare. Lo dice anche il Vangelo quando le donne vanno al
sepolcro “fecero il cammino quanto permesso
in un giorno di sabato” e così anche i discepoli di Emmaus. Invece Gesù si fa beffe della
tradizione perché dice: “Se la vostra tradizione vi ha conciato così, tenetevela voi”. E lui
va in giro, infrange la regola del sabato perché
ha un Vangelo più importante da portare a chi
vuol raccoglierlo. I miei non lo vogliono,
stiano lì, che si arrangino. È quella che nel
Vangelo di Marco si chiama “bestemmia contro lo Spirito Santo”. Quando cioè Gesù dice
che tutti i peccai saranno perdonati (e vai!).
ma chi avrà bestemmiato lo Spirito Santo non
sarà perdonato in eterno. E non è che io devo
dire una parola e poi dire Spirito Santo e allora bestemmio, questa bestemmia contro lo
Spirito Santo è un atteggiamento di chiusura
scelta e deliberata a qualsiasi cambiamento, a
qualsiasi incontro, a qualsiasi cosa che viene
proposta. Una scelta di chiusura deliberata
come questa, come può essere perdonata?
L’hai deciso tu! Io volevo perdonarti, ma tu
non vuoi… e allora allarghi le braccia perché
la libertà dell’altro è sovrana e se ha deciso di
non aprirsi…
Quante esperienze avete fatto così? Magari
qualche vostro figlio o figlia… allora allarghi
le braccia e puoi dire solo: “Signore te
l’affido, un giorno capirà”.
La fede
E si dice ancora “Non poteva compiere”, ma
allora cosa fa? Fa una cosa interessante: impose le mani, le sue mani da falegname, e le
usa sui malati. Il contrasto è forte tra chi non
ha colto (i suoi amici) e chi invece è sofferente. Come con la donna emorroissa o con Giairo, il capo della sinagoga che è disperato, chi
ha bisogno viene ascoltato da Gesù e il bisogno viene trasformato in desiderio di incontro.
I compaesani di Nazareth, invece, non hanno
alcun desiderio perché non hanno scoperto il
loro bisogno di mettersi in discussione, di
cambiare, di aprirsi. E poi c’è quella frase
tremenda: “Si meravigliava della loro incredulità”. Incredulità è una parola che in italiano
forse non rende l’idea. Il credulone non centra
con la fede, invece la parola greca indica la
mancanza di fede. La fede non è soltanto un
fattore intellettuale, in questa parola evangelica c’è anche un’adesione di vita. Gesù cioè si
meraviglia perché non hanno nulla a cui aderire, non hanno un legame intellettuale o affettivo, non hanno un legame relazionale con
Dio che è venuto a dirgli qualcosa. E questo è
il versetto 6a. E perché, secondo me, avrebbero dovuto metterlo anche il versetto 6b? Perché finisce così: il Vangelo di Luca dice che,
dopo che l’hanno portato sul dirupo, Gesù a
testa alta si gira, cammina in mezzo a loro e
se ne va. È Signore non solo con la S maiuscola, ma anche con la minuscola. E anche in
Il pregiudizio
Arriviamo a meditare su tre punti semplici.
Il primo è evidentissimo, ma vorrei che questa
sera facessimo quelli umili e semplici e ci
preghiamo su, anche su questa cosa.
Primo: impariamo che giudicare prima di conoscere è un peccato grave che grida vendetta
al cospetto di Dio. Stasera questi nazareni ci
fanno pena e vomito perché si rifanno
all’esperienza del passato (figlio di Maria, falegname), ma giudicare prima di conoscere
dovrebbe farci venire la nausea ogni volta che
ci succede. Dovremmo invece riscoprire le
capacità di ascoltare e di lasciare all’altro la
4
capitali. Se comprate quel libro bellissimo che
vi avevo consigliato su “Il soffio” viene spiegato bene: prima erano otto perché c’era anche la tristezza. E quando sei triste, sei preda
del demonio e questi nazareni sono proprio
tristi. Io penso che come cristiani dobbiamo
chiederci se in questo momento, con la Chiesa, la politica, la finanza un po’ così, se anche
noi ci attacchiamo a questo coro.
Gesù, invece, davanti al coro dei tristi e dei
lamentosi che fa? Sta con quelli che soffrono
e impone le mani ai malati, gira nei villaggi a
parlare del Vangelo, della buona notizia. Penso che come cristiani, ci pregavo su in questi
giorni, forse abbiamo questa missione adesso:
non di quelli che non vedono i problemi, ma
di quelli che vedono la luce nonostante il buio
che c’è intorno. E c’è la luce perché io mi fido
più di Cristo che dei nazareni, mi fido più di
Cristo che dei “tristoni” di turno, mi fido più
della Parola di salvezza di Gesù di quello che
il mondo vuole propinarci.
possibilità di stupire ancora una volta. Qualcuno parla di “cristallizzazione” dei rapporti
quando sì chiude qualsiasi ragionamento.
Questo è un rischio grandissimo, io penso,
soprattutto in un rapporto di matrimonio, ma
in qualsiasi collaborazione. Spesso si arriva a
dire: “So già come sei”. Invece no, aspetta,
fammi parlare, ascoltami. Anche nei nostri
ambienti cattolici, quando diciamo che la
Chiesa deve cambiare, deve convertirsi: cominciamo noi. Nei nostri ambienti cattolici
siamo bravissimi a giudicare senza ascoltare.
Siamo dei campioni, siamo dei nazareni
D.O.C., spesso abbiamo la cittadinanza onoraria. E chi è fuori delle nostre comunità cristiane, questa cosa la soffre.
Una nuova visione di Dio
Secondo: questa sera mettiamo in discussione
anche la nostra visione di Dio. Stiamo vivendo l’anno della fede, siamo a metà, in Quaresima. Non è che siamo incartati a volte su una
visione di Dio che è “vecchia come il cucco”?
Questa visione, con Gesù, non ha nulla a che
fare perché ragioniamo ancora con il Dio che
premia i buoni, castiga i cattivi: robe vecchie.
“Cosa ho fatto per meritarmi questa cosa”,
“prega il Signore così…”. Prega per chiedere
la fede! Per aprirti alla novità del Vangelo di
Gesù! Forse sarebbe bello chiedersi quanto
sta crescendo la mia consapevolezza che
l’incontro con Cristo non è una religione, ma
l’incontro con una persona che è mia contemporanee, mia compaesana, che conosco.
Quanto sta maturando questa consapevolezza?
Il falegname e la croce
Oggi non metteremo l’Eucarestia sull’altare
ma disponiamo la croce, perché? Oggi, mentre pregavo lì in chiesa da solo fino alle sette e
mezza (ho anche questa fortuna ogni tanto),
guardavo il crocifisso che c’è nella chiesa di
Bernareggio. Guardavo questo corpo nudo in
croce e dicevo: chissà che sensazione ha avuto lui, il falegname, che avrà iniziato a lavorare a dieci anni in bottega con suo padre, e ha
continuato fino ai quaranta, anno in cui ha iniziato la sua missione. Per trent’anni Gesù ha
lavorato in falegnameria e, alla fine, l’hanno
sdraiato sulla croce. Per un falegname morire
inchiodato al legno (e non è un infortunio sul
lavoro), vuol dire morire sul materiale che hai
lavorato… non vi colpisce questa cosa? La
sensazione di sentire l’odore del legno, di averlo accarezzato con le mani, di essersi anche scheggiato le dita e sentirlo ora sulla
schiena. Il lavoro pesante, magari odiato per
trent’anni ma che si doveva fare per vivere,
diventa uno strumento d’amore. Il Padre te lo
chiede: quello che hai odiato e faticato, diventa dono d’amore, lì appeso al legno. E mi piace pensare allora che stasera abbiamo sentito
la storia di un gran rifiuto dei nazareni, ma allora penso che più grande del rifiuto del papa
ci sia stato il rifiuto dell’umanità ai piedi della
Cristiani felici
Terza e ultima cosa: una frase del Concilio
che questi nazareni mi aiutano a tirare fuori.
Giovanni XXIII detto il papa buono (anche se
non penso che gli altri fossero delle iene, ha
detto “date una carezza ai vostri figli” ma cosa doveva dire? “Andate a casa e menate i vostri bambini?”) ha detto una cosa bellissima:
“i segni dei tempi”. Il Concilio doveva aiutare
i cristiani a cogliere “i segni dei tempi”. Cosa
fanno invece questi nazaretani? Sono quelli
che papa Giovanni avrebbe chiamato 50 anni
fa al Concilio “i profeti di sventura”, i negativi, i pessimisti, i tristi.
Io non so perché ad un certo punto, forse per
fare il numero sette, hanno tolto uno dei vizi
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croce di Gesù, il rifiuto che noi facciamo
quando guardiamo la croce, non so quanto
volte in casa nostra o nelle nostre chiese, senza riconoscere l’amore di Gesù. Dobbiamo
sempre riconoscere che lui ha scelto di cambiare il dolore, la fatica e il sangue in amore
per me. Ma perché l’ha fatto? Noi nelle preghiere vogliamo sempre risposte, invece le
preghiere servono a farsi domande: Perché
l’hai fatto? Per me! Caspita.
Vi invito allora a mettervi lì davanti alla croce
e lasciar venir fuori in questa Quaresima la
voglia di stare davanti alla croce quando possiamo, quando riusciamo, e farci questa domanda: guarda questo falegname, addirittura
sulla croce gli hanno stampato “Gesù Nazareno – e dai! – Re dei giudei”. E lui ha detto:
io faccio il mio per amore e basta, tutti si lamentano e piangono ma io no, ho solo voglia
di volerti bene. Pare che dalla croce ci dica
così stasera il Signore…
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E si meravigliava della loro incredulità