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Dopo aver lavorato a Torino per circa due anni, ritornato a Bronte, collaborò, allora ventisettenne, con il prestigioso quindicinale Il Ciclope. In genere, firmava i suoi articoli con lo pseudonimo "sdib" e con questa sigla troviamo una divertente “Storia di Bronte”, uscita dalla fantasia di Sam, pubblicata a puntate in tre successivi numeri usciti nei mesi di Ottobre e Novembre 1948. La sua collaborazione al quindicinale (direttore dell’epoca era Giuseppe Bonina) durò solo un paio di anni. Come tanti altri collaboratori del quindicinale, nel 1950, Salvatore Di Bella lasciava, infatti, Bronte alla ricerca di un lavoro. A trent’anni spiccava il volo verso l’Australia dove (lui la definisce “la sua seconda patria”), ha vissuto per oltre quarant’anni affermandosi ben presto come un importante costruttore edile. Lì, infatti, dopo aver iniziato con successo parecchie attività industriali, ha fondato la Di Bella Construction Pty Ltd, dedicandosi con successo alla costruzione di ville e appartamenti di lusso nei migliori quartieri di Sydney. Quando, abbandonata l’attività edilizia, ha appeso al classico chiodo progetti e mattoni, ha preferito ritornare nel suo paese natale dove, novantatreenne, oggi vive. Sam Di Bella, parla e scrive fluentemente l'inglese (ed in questa lingua ha tradotto molte pagine del nostro sito), è stato uno dei quattro fondatori dell’Associazione Bronte Insieme ed è stato anche presidente dello storico “Circolo di cultura E. Cimbali”, l’antico “Casino de’ civili” di Bronte. Questo “strano diario”, come Sam lo definisce, è, in qualche modo, un ritorno alle origini; un ritorno anche allo scrivere scavando nella sua memoria, un riprendere la penna lasciata nel 1950 per la ricerca di un lavoro che, allora come oggi, Bronte non riusciva ad offrire. Oggi Sam, novantatreenne, vive dei ricordi che ha voluto donarci e che noi giriamo a tutti i nostri visitatori. Grazie Sam Settembre 2013 Ass.B.I. 2 - Antonio Antonuzzo, Boschi, miniera, catena di montaggio: autobiografia di un militante sindacale, Collana Sapere, Nuove Edizioni Operaie, Roma 1981 dal sito www.bronteinsieme.it La breve vicenda di Antonio Antonuzzo, nato nel 1938, secondo di cinque figli d'una famiglia contadina di Bronte, descritta da Paul Ginsborg nel suo libro “Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi” (Einaudi Scuola, Milano Febbraio 1996, pp. 370), può benissimo rappresentare il simbolo di un periodo della nostra storia. Può essere l’emblema degli anni che vanno dal 1950 al 1955, che videro migliaia di brontesi lasciare il proprio paese, costretti a cambiare vita ed abitudini, alla ricerca di un qualsiasi lavoro e di un futuro migliore. Si ripeteva ancora una volta in quegli anni, ma in scala più grande, l’emigrazione degli anni 19041905 quando lasciarono Bronte verso altri continenti oltre 400 persone. Le attività agricole che fino all’immediato dopoguerra erano state l’unico sostegno delle famiglie, non consentivano più nessuna tranquillità economica nè una vita decente, non riuscivano più a soddisfare le necessità e le nuove esigenze della famiglie o il futuro dei figli. E la popolazione brontese in quegli anni aveva raggiunto il top: alla fine del 1950, quando erano emigrati in 317, contava 22.119 abitanti; un anno dopo, alla fine del 1951, la popolazione era scesa a 20.791 abitanti (oltre 1.300 avevano lasciato il paese alla ricerca di un lavoro). Furono anni di emigrazione, di distacco di tanti padri e figli dagli affetti più cari e di privazioni e sacrifici inimmaginabili, ma rappresentarono anche con le rimesse che giungevano mensilmente dall’estero, un toccasana per la magra economia e per le condizioni di vita di moltissime famiglie brontesi. Gli anni successivi han visto anche da noi un risveglio economico grazie proprio alle rimesse di denaro che gli emigrati facevano mensilmente. I risparmi depositati nel “libretto” alla posta o alla Banca Mutua rappresentavano il riscatto, il sogno del ritorno, della nuova casa e di una vita migliore. Molti (in genere i padri) furono quelli che negli anni successivi ritornarono a ricongiungersi con le loro famiglie; tanti (i giovani) riuscirono invece ad adattarsi nelle nuove comunità, trovarono migliori condizioni di vita e vivono tutt’ora perfettamente integrati in altri luoghi. Leggendo nei brani di Ginsborg l’accoglienza ed il trattamento riservati nel Nord o all’estero ai nostri emigrati, oggi ci accorgiamo che da allora non è cambiato nulla: cinquant’anni dopo, li rivediamo in casa nostra nei panni dei nuovi arrivati, “gli extra comunitari”. «Da Paese agricolo - scrive l’editore nella premessa del libro di Ginsburg - a Paese industriale avanzato: è questo il cammino dell'Italia nei cinquant'anni dalla fine della guerra a oggi attraverso un ampio, spesso convulso processo di modernizzazione che ha radicalmente trasformato il nostro Paese, da un lato diffondendo benessere, dinamismo e multiformi opportunità, dall'altro confermando (quando non accentuando) antichi mali e problemi dello Stato e della società italiana». Il saggio di Paul Ginsborg, - continua - «ricostruisce forme e linee evolutive del nostro recente passato, offrendo un quadro puntuale di quel complesso intreccio di novità e persistenze che ha accompagnato lo sviluppo dell'Italia repubblicana…». Le vicende di Antonio Antonuzzo sono narrate nel capitolo settimo, dedicato al periodo tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, quello del «miracolo economico» e della fuga dalle campagne. Paul Ginsborg descrive «il grande fenomeno dell’emigrazione soprattutto dalla campagna alla città, dalle regioni del Sud verso il “triangolo industriale” (ma anche verso l’Europa nord-occidentale), coi suoi effetti drammatici di sradicamento, di difficile integrazione, di precarie condizioni di vita nelle nuove sedi. E prende ad esempio il caso di «Antonio Antonuzzo, nato nel 1938, secondo di cinque figli d'una famiglia contadina di Bronte.» 3 - Adolfo Rossi, Un italiano in America, Ed. Trabant, 2014, Brindisi Nel 1879 Adolfo Rossi ha soltanto ventuno anni. Vive nel suo paese in provincia di Rovigo e ha da poco trovato un impiego nelle Poste. Tuttavia, preso da una voglia di avventura giovanile, tormentato da una “nostalgia dell’ignoto”, lascia tutto e si imbarca per New York. Sono gli anni della grande emigrazione dall’Italia agli Stati Uniti e il nostro, che ha potuto studiare e non è spinto dalla fame, condividerà la sorte dei braccianti e degli artigiani osservando tutto con l’occhio lucido del cronista. Scritto al suo ritorno in patria, Un Italiano in America è un vivace spaccato dell’emigrazione italiana, un documento importante per non dimenticare il periodo non lontano in cui, come recita una frase in voga, “gli Albanesi eravamo noi.” - Giuseppe Fava, Passione di Michele, Ed. Mesogea (collana La piccola) 2009 “Passione di Michele” è l'ultimo romanzo scritto da Giuseppe Fava. Vi si narra la storia di Michele Calafiore, ragazzo di Palma di Montechiaro che emigra in Germania sperimentando sulla propria pelle il conflitto tra due mondi, l'impatto con il miraggio della città e della civiltà del benessere. Memoria e vita quotidiana, sentimenti e paesaggi segnano, in una narrazione realistica e incalzante, le tappe di uno sradicamento che culmina in un delitto e in un processo dagli esiti grotteschi. L'estrema incursione di un destino assurdo nella passione di Michele. Con il titolo "Palermo or Wolfsburg", da questo romanzo, il regista Werner Schroeter ha realizzato il film vincitore dell'Orso d'Oro al Festival di Berlino 1980. 4