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La Bibbia
di Gerusalemme
Edizione oro con versione on-line da scaricare
di Nuovo Verbum
er celebrare il loro 50° anniversario, le EDB propongono l’interessante
abbinamento tra Libro e Web. La Bibbia classica, in tela rossa, è
arricchita da Nuovo Verbum, scaricabile attraverso un codice di registrazione,
che consente l’accesso a funzionalità speciali on-line, a tutti i testi biblici e ai
commenti in formato digitale, e insieme l’utilizzo di aggiornati strumenti di
ricerca, studio e lavoro.
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2012
quindicinale di attualità e documenti
11
Documenti
321 La famiglia: il lavoro e la festa
Le parole di Benedetto XVI a Milano per il VII Incontro mondiale delle
famiglie; la relazione di mons. Ravasi al Congresso teologico-pastorale.
334 Per la trasparenza finanziaria
La Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano modificano e integrano
la Legge del dicembre 2010 per il contrasto delle attività finanziarie illegali.
362 Chierici e minori: linee guida CEI
Sollecitate dalla Congregazione per la dottrina della fede, le linee guida per
i casi di violenza dei preti sui minori mettono al centro il ruolo del vescovo.
373 Chiese d’Africa nella storia
I teologi sudafricani sul dopo-apartheid nel centenario di fondazione dell’ANC;
messaggio di pace congiunto dei vescovi cattolici e anglicani del Sud Sudan.
www.dehoniane.it
EDB
Via Nosadella 6 - 40123 Bologna
Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099
Anno LVII - N. 1124 - 1 giugno 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione
e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
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quindicinale di attualità e documenti
JEAN-DANIEL CAUSSE - ÉLIAN CUVILLIER - ANDRÉ WÉNIN
D
ocumenti
1.6.2012 - n. 11 (1124)
Caro lettore,
questo numero contiene i testi di
alcuni interventi – in primo luogo
quelli di Benedetto XVI – al
«Family 2012», il VII Incontro
mondiale delle famiglie che si è
celebrato per la terza volta in Italia,
a Milano, sul tema: «La famiglia: il
lavoro e la festa». Ma in quegli stessi
giorni un grave terremoto ha segnato
porzioni di territorio che alla
redazione del Regno sono, per
evidenti ragioni, particolarmente
familiari; e il fatto che le immagini
delle antiche chiese al centro dei paesi
e dei moderni capannoni ai loro
margini, le une e gli altri distrutti,
siano state quelle che hanno
simboleggiato la tragedia, con il loro
carico di lutti, è parsa una sfida al
tema del vicino raduno milanese.
Come già annunciato sul n. 10, Il
Regno si unisce alle numerose
iniziative di preghiera e di solidarietà
messe in atto da «Family 2012» e da
tutta la Chiesa italiana in risposta al
sisma dell’Emilia, e invita i lettori a
fare altrettanto.
R
Benedetto XVI
321
Tra lavoro e festa
{ VII Incontro mondiale
delle famiglie, Milano,
30 maggio – 3 giugno 2012 }
Dare casa alla salvezza
(Il card. G. Ravasi al Congresso
teologico-pastorale)
Sul fondamento della legge
naturale (Benedetto XVI incontra
le autorità milanesi)
Le domande delle famiglie,
le risposte del papa
(Festa delle testimonianze)
Costruire la famiglia è costruire
la Chiesa (Omelia alla messa
a Bresso, Milano)
Santa Sede
334
Contro le attività illegali
in campo finanziario / 2
{ Pontificia commissione per
lo Stato della Città del Vaticano }
IOR: sfiducia al presidente
(Santa Sede; Carl Anderson)
Studi e commenti
354
Il processo decisionale
nella Chiesa
{ J.I. Arrieta, segretario del
Pontificio consiglio per i testi
legislativi }
Violenza divina
Chiesa in Italia
362
Un problema esegetico e antropologico
Chierici e minori: linee guida
{ Episcopato italiano }
367
Per una maturità umana
e credente
{ Comunicato finale della LXIV
Assemblea generale della CEI }
371
Abbiamo tanta strada da fare
{ Lettera di don J. Carron,
presidente della Fraternità di
Comunione e liberazione }
Chiese nel mondo
373
Una parola all’ANC, oggi
{ Riflessioni teologiche ed etiche
del gruppo Kairos Sudafrica }
381
Abbiamo un sogno di pace,
giustizia e libertà
{ Messaggio di pace dei vescovi
cattolici e anglicani del Sud
Sudan }
«EPIFANIA DELLA PAROLA»
pp. 184 - € 17,50
EDB
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!!!!"!!
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quindicinale di attualità e documenti
JEAN-DANIEL CAUSSE - ÉLIAN CUVILLIER - ANDRÉ WÉNIN
D
ocumenti
1.6.2012 - n. 11 (1124)
Caro lettore,
questo numero contiene i testi di
alcuni interventi – in primo luogo
quelli di Benedetto XVI – al
«Family 2012», il VII Incontro
mondiale delle famiglie che si è
celebrato per la terza volta in Italia,
a Milano, sul tema: «La famiglia: il
lavoro e la festa». Ma in quegli stessi
giorni un grave terremoto ha segnato
porzioni di territorio che alla
redazione del Regno sono, per
evidenti ragioni, particolarmente
familiari; e il fatto che le immagini
delle antiche chiese al centro dei paesi
e dei moderni capannoni ai loro
margini, le une e gli altri distrutti,
siano state quelle che hanno
simboleggiato la tragedia, con il loro
carico di lutti, è parsa una sfida al
tema del vicino raduno milanese.
Come già annunciato sul n. 10, Il
Regno si unisce alle numerose
iniziative di preghiera e di solidarietà
messe in atto da «Family 2012» e da
tutta la Chiesa italiana in risposta al
sisma dell’Emilia, e invita i lettori a
fare altrettanto.
R
Benedetto XVI
321
Tra lavoro e festa
{ VII Incontro mondiale
delle famiglie, Milano,
30 maggio – 3 giugno 2012 }
Dare casa alla salvezza
(Il card. G. Ravasi al Congresso
teologico-pastorale)
Sul fondamento della legge
naturale (Benedetto XVI incontra
le autorità milanesi)
Le domande delle famiglie,
le risposte del papa
(Festa delle testimonianze)
Costruire la famiglia è costruire
la Chiesa (Omelia alla messa
a Bresso, Milano)
Santa Sede
334
Contro le attività illegali
in campo finanziario / 2
{ Pontificia commissione per
lo Stato della Città del Vaticano }
IOR: sfiducia al presidente
(Santa Sede; Carl Anderson)
Studi e commenti
354
Il processo decisionale
nella Chiesa
{ J.I. Arrieta, segretario del
Pontificio consiglio per i testi
legislativi }
Violenza divina
Chiesa in Italia
362
Un problema esegetico e antropologico
Chierici e minori: linee guida
{ Episcopato italiano }
367
Per una maturità umana
e credente
{ Comunicato finale della LXIV
Assemblea generale della CEI }
371
Abbiamo tanta strada da fare
{ Lettera di don J. Carron,
presidente della Fraternità di
Comunione e liberazione }
Chiese nel mondo
373
Una parola all’ANC, oggi
{ Riflessioni teologiche ed etiche
del gruppo Kairos Sudafrica }
381
Abbiamo un sogno di pace,
giustizia e libertà
{ Messaggio di pace dei vescovi
cattolici e anglicani del Sud
Sudan }
«EPIFANIA DELLA PAROLA»
pp. 184 - € 17,50
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enedetto XVI |
FAMIGLIA
Tra lavoro
e festa
VII Incontro mondiale delle famiglie,
Milano, 30 maggio – 3 giugno 2012
«Famiglia, lavoro, festa: tre doni di Dio,
tre dimensioni della nostra esistenza
che devono trovare un armonico equilibrio. (…) Privilegiate sempre la logica dell’essere rispetto a quella dell’avere: la prima costruisce, la seconda finisce per distruggere»: nel pieno
dei Vatileaks, la fuoriuscita dei documenti riservati vaticani, il papa ha preso parte a tre dei cinque giorni del VII
Incontro mondiale delle famiglie ospitato a Milano, concludendo con queste
parole l’omelia alla messa di domenica
3 giugno, celebrata nel parco di Bresso. Preceduto dal Congresso teologicopastorale (30.5-1.6) – di cui pubblichiamo la relazione del card. G. Ravasi
– l’incontro è stato nelle parole del pontefice una «festa di Dio, [una] comunione della famiglia di Dio che noi
siamo», una «grande esperienza ecclesiale», esprimendo egli visibilmente
– anche nelle risposte date a braccio
durante la «Festa delle testimonianze»
del sabato sera – la propria soddisfazione per una manifestazione sincera
di Chiesa come luogo dove le famiglie
si sentono a casa, senza dimenticare
aspetti problematici come quello del
ruolo dei divorziati risposati nelle comunità ecclesiali.
Stampa (4.6.2012) da sito web www.family2012.com; titolazione redazionale.
IL REGNO -
DOCUMENTI
11/2012
Dare casa alla salvezza
Il card. G. Ravasi al Congresso
teologico-pastorale
Non può restare nascosta una casa collocata sul crinale di un monte: parafrasando una celebre immagine
del Discorso della montagna (cf. Mt 5,14), poniamo al
centro della nostra riflessione un simbolo radicale nella
stessa storia dell’umanità, la casa, un segno che s’affaccia
ben 2.092 volte col vocabolo ebraico bajit/bet nell’Antico
Testamento e 209 volte nel Nuovo Testamento sotto le
parole analoghe oikos e oikia, accompagnate da uno
sciame di circa 40 termini derivati.
Dal crinale, dove svetta la casa simbolica che vogliamo
delineare, si diramano due versanti che costituiscono il titolo stesso del nostro tema: da un lato, ecco l’alfa della
creazione, che si distende lungo la traiettoria della storia;
dall’altro lato, ascende il versante arduo dell’omega, ossia
della festa piena della salvezza, l’escatologia, la meta attesa ove il «non ancora» della storia si trasformerà
nell’«ora» perfetta della redenzione compiuta e la Gerusalemme terrena si muterà nella nuova Gerusalemme celeste.
Alle fondamenta
«Toda casa es un candelabro / donde arden con aislada
llama las vidas» («Ogni casa è un candelabro dove ardono in fiamma appartata le vite»). Forse questo verso
era sbocciato nella mente del giovane Jorge Luis Borges,
il famoso scrittore argentino, mentre ventiquattrenne passeggiava per una «strada ignota» della sua città, dato che
la raccolta poetica s’intitola appunto Fervor de Buenos
Aires (Impr. Serrantes, Buenos Aires 1923; trad. it. Fervore di Buenos Aires, Adelphi, Milano 2010). Ed effettivamente le mura dei palazzi celano al loro interno tante
fiamme «appartate» (aislada), cioè vite isolate nelle loro
solitudini o nei loro drammi, famiglie unite nell’amore o
scavate dalle divisioni, benestanti o curve sotto l’incubo
della povertà o dell’assenza di lavoro.
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enedetto XVI
La «casa», infatti, in molte lingue non è soltanto l’edificio di mattoni, di pietra e di cemento o la capanna o la
tenda in cui si dimora (e la mancanza di una casa è un
elemento drammatico di dispersione esistenziale), ma è
anche chi vi abita, è il «casato» fatto di persone vive e di
generazioni. Anzi, talora la «casa» per eccellenza è persino il tempio, residenza terrestre di Dio.
Suggestivo, al riguardo, è il rimando di allusioni che
regge l’oracolo del profeta Natan: al re Davide che vuole
erigere una «casa» («bajit») al Signore, ossia un tempio
in Gerusalemme, Dio replica affermando che sarà lui
stesso a edificare per il re una «casa» («bajit»), una discendenza familiare, quindi un «casato» che aprirà una
storia destinata ad approdare al Messia (cf. 2Sam 7).
La «casa» simbolica che stiamo per costruire partecipa di questa visione: è lo spazio che custodisce «l’intima
comunità di vita e di amore» » (Gaudium et spes n. 48;
AA 11; EV 1/1471), «la prima e vitale cellula della società» (Apostolicam actuositatem n. 11; EV 1/955), come
il concilio Vaticano II definisce la famiglia. È il segno dell’esistenza umana che si compie nella libera relazione interpersonale d’amore, come suggeriva lo scrittore inglese
Gilbert K. Chesterton nel suo scritto Fancies versus Fads
(Methuen & Co., Londra 1923): «La famiglia è il test
della libertà umana perché è l’unica cosa che l’uomo libero fa da sé e per sé».
Già Aristotele, nella sua Politica, considerava la famiglia
come la struttura istituita dalla natura stessa per provvedere all’esistenza piena della persona.
È spesso ripresa la nota che il famoso antropologo
Claude Lévi-Strauss ha posto nel cuore del suo saggio
sulla famiglia nella raccolta Race et histoire (UNESCO,
Parigi 1952; trad. it. Razza e storia e altri studi di antropologia, Einaudi, Torino 1967): «La famiglia come
unione più o meno durevole, socialmente approvata, di
un uomo, una donna e i loro figli (…) è un fenomeno universale, reperibile in ogni e qualunque tipo di società».
Questa convinzione è sperimentalmente confermata
anche nella società contemporanea, nonostante le apparenze contrarie, come si evince dalla quarta indagine
degli «European Values Studies» (2009; cf. Regno-att.
8,2012,243). Da essa risulta che l’84% dei cittadini europei (e il 91% degli italiani) considera fondamentale la famiglia e inaspettatamente 46 paesi su 47 la collocano al
primo posto tra le realtà sociali più importanti, prima ancora del lavoro, delle relazioni amicali, della religione e
della politica.
La «casa» è, perciò, un emblema vivo e vivente che
attinge all’antropologia autentica, non solo religiosa, la
quale vede nella creatura umana non una monade chiusa
in sé stessa, ma una cellula in relazione con un corpo più
vasto, un orizzonte aperto che accoglie e si espande. In
pratica, come vedremo, l’umanità si rivela «duale», dotata di una necessità strutturale di dialogo con l’altro.
Ha, quindi, un suo fondo di verità l’enfatica intemerata che lo scrittore francese André Gide scagliava nella
sua opera Nourritures terrestres (Société du Mercure de
France, Parigi 1897; trad. it. Nutrimenti terrestri, Mondadori, Milano 1948): «Famiglie, vi odio! Focolari chiusi,
porte serrate, geloso possesso della felicità!».
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IL REGNO -
DOCUMENTI
11/2012
Purtroppo, venendo meno alla sua vocazione sociale,
la famiglia adotta spesso – soprattutto nella vicenda contemporanea – come emblema la porta blindata, così da
rinchiudersi in se stessa, perdendo il suo respiro genuino,
la sua identità primigenia, ignorando chi sta fuori di
quella cortina di ferro protettiva che si tramuta in prigione.
L’alleanza coniugale
Andando oltre, dobbiamo ricordare che la «casa» –
famiglia è anche, come si diceva, l’analogia per definire il
tempio ove si raduna la famiglia che ha per padre Dio. È
per questo che uno dei vocaboli per indicare il santuario
di Sion è appunto bajit e nel Nuovo Testamento entra in
scena la kat’oikon ekklesia, l’ecclesia domestica, ove lo spazio vitale di una famiglia si può trasformare in sede dell’eucaristia, della presenza di Cristo assiso alla stessa
mensa (cf. 1Cor 16,19; Rm 16,5; Col 4,15; Fm 2; cf.
Lumen gentium n. 11). Indimenticabile è la scena dipinta
dall’Apocalisse: «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno
ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20).
Iniziamo, allora, a far sorgere la «casa» simbolica e
vivente che sta su quella vetta dalla quale si dipartono i
due versanti della felicità della creazione e della festa della
salvezza. È necessario partire dalle fondamenta solide,
gettate sulla roccia del monte (cf. Mt 7,24-25). La base è
ovviamente costituita dalla coppia che è la radice dalla
quale si leva il tronco della famiglia. Non è possibile ora
né è necessario definire questo fondamento attraverso
una compiuta teologia nuziale. Ci accontenteremo di rimandare a un testo biblico che è l’incipit stesso delle Scritture e, quindi, della creazione.
Esso è desunto da quella pagina che contiene il progetto che il Creatore ha accarezzato come suo ideale e
che ha proposto alla libertà della creatura umana. Questo disegno primordiale emerge nel capitolo 2 della Genesi e s’affida a una sorta di collana di perle lessicali
ebraiche, che ora cercheremo di far brillare in modo essenziale davanti ai nostri occhi attraverso un settenario
di termini.
La prima parola è «‘ezer», letteralmente un «aiuto» offerto nel momento più critico e, quindi, diventa risolutivo
e indispensabile. Nel nostro caso c’è un incubo che sta attanagliando l’uomo appena uscito dalle mani di Dio: è la
solitudine-isolamento, che spegne quella vitalità ad extra
strutturale per la persona. «Non è bene che l’uomo sia
solo: voglio fargli un ‘ezer che gli corrisponda», esclama
infatti il Creatore (Gen 2,18).
Com’è noto, non è sufficiente all’uomo avere accanto
gli animali, che sono pure una simpatica presenza nell’orizzonte terrestre: l’uomo non trovò in essi «un aiuto
(‘ezer) che gli corrispondesse» (2,20). Come ha cercato di
rendere questo termine un esegeta, Jean-Louis Ska, ciò
di cui ha bisogno l’uomo è «un allié qui soit son homologue» (J.-L. SKA, «“Je vais lui faire un allié qui soit son homologue” [Gen 2,18]. A propos du terme ‘ezer – aide», in
Biblica 65[1984], 233-238).
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È, dunque, un aiuto vivo e personale, un alleato nel
quale egli possa fissare gli occhi negli occhi, anche in un
dialogo silenzioso perché – come suggerisce un testo attribuito al grande Pascal – nella fede come nell’amore i silenzi sono più eloquenti delle parole; nei due innamorati
che si guardano negli occhi in silenzio l’inesprimibile si
fa esplicito, l’ineffabile si rivela.
Ecco, allora, la seconda formula «ke-negdo», tradotta
di solito con un «simile» o «corrispondente» aiuto. In realtà, il suo significato di base suona letteralmente così:
«come di fronte». È appunto quella parità di sguardi a
cui si accennava. Finora l’uomo ha guardato verso l’alto,
cioè verso la trascendenza, verso quel Dio che gli ha infuso il respiro vitale, gli ha donato «la fiaccola» della coscienza che «scruta dentro, fin nell’intimo» (Pr 20,27), lo
ha insignito della libertà, collocandolo all’ombra dell’«albero della conoscenza del bene e del male».
L’uomo ha poi guardato in basso, verso quegli animali
che rivolgevano a lui il loro muso in attesa di ricevere un
nome (cf. Gen 2,19-20). Ora, invece, cerca un volto davanti a sé, un «tu», «il primo dei beni, un aiuto adatto a
lui e una colonna d’appoggio», come dice il Siracide
(36,26), ma come meglio esclama la donna del Cantico
dei cantici, un essere col quale è possibile comporre una
piena reciprocità di donazione: «Il mio amato è mio e io
sono sua (…) Io sono del mio amato e il mio amato è
mio» (2,16; 6,3: l’originale ebraico è musicalmente rimato
e ritmato sul suono «o» e «i» che denotano i due pronomi
interpersonali, «lui» e «io», «dodi li wa’ani lo… ’ani ledodi wedodi li»).
Passiamo, così, al terzo vocabolo che in questo caso è
un simbolo: è quella «costola» sulla quale si sono ricamate tante ironie antifemminili. L’intervento creativo divino avviene all’interno di un «sonno», che nella Bibbia
è segno di un’esperienza trascendente, è la sede delle rivelazioni e delle visioni, è l’ambito in cui Dio è protagonista rispetto alla sua creatura.
Ebbene, lo svelamento del valore di quell’azione divina ha luogo al risveglio, quando l’uomo intona quel
canto d’amore primigenio che verrà declinato nella storia in infinite forme e formule differenti: «Questa volta è
osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne» (2,23). Carne
e ossa sono le componenti strutturali del corpo umano
che, nell’antropologia biblica, è il segno della persona
nella sua pienezza comunicativa (non abbiamo un corpo
ma siamo un corpo).
Si spiega, così, il simbolo della «costola»: essa indica
la piena parità strutturale e costitutiva tra uomo e donna.
Non per nulla, in sumerico «ti» designa sia la «costola»
sia la «vita» trasmessa dalla donna. E questo ci conduce
spontaneamente al quarto termine che s’intreccia intimamente con la quinta locuzione ed entrambi risuonano
in Gen 2,24: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si
unirà a sua moglie e i due saranno un’unica carne».
È evidente che l’Adamo (in ebraico con l’articolo ha’adam), protagonista del passo, è l’Uomo di tutti i tempi
e di tutte le regioni del nostro pianeta: egli con la sua
donna dà origine a una nuova famiglia, definita appunto
attraverso i due vocaboli che ora sottolineiamo.
Da un lato, c’è il verbo «dabaq», «unirsi», che lette-
ralmente raffigura una stretta sintonia, un attaccamento
fisico e interiore, tant’è vero che lo si adotta persino per
descrivere l’unione mistica con Dio: «Il mio essere si tiene
stretto (dabaq) a te», canta l’orante del Sal 63,9. Per questo san Paolo afferma che «chi si unisce alla prostituta
forma con essa un solo corpo (…), ma chi si unisce al Signore forma con lui un solo spirito» (1Cor 6,16.17).
Col verbo dabaq si ha, quindi, l’atto sessuale sia nella
sua dimensione corporea sia nella sua celebrazione
d’amore, di donazione totale della coppia. D’altro lato,
ecco appunto la formula finale «un’unica carne » («basar
’ehad») che definisce visivamente quel dabaq e che apre il
discorso forse alla componente successiva della «casa»
che stiamo innalzando: infatti, per l’esegeta tedesco Gerhard von Rad, l’«unica carne» è anche il figlio che nascerà dai due e che porterà in sé, unendole, non solo
geneticamente, ma anche spiritualmente le due realtà dei
suoi genitori.
Possiamo, allora, concludere il disegno delle fondamenta della «casa» – famiglia con l’ultimo sguardo a questa coppia e al loro nome che ci presenta le ultime due
parole: la donna «la si chiamerà ’isshah , perché da ’ish
[l’uomo] è stata tratta» (2,23). Non c’è bisogno di spiegare
come l’autore sacro abbia voluto ricordarci che queste due
persone che costituiscono la coppia sono uguali nella loro
dignità radicale, ma differenti nella loro identità individuale: ’ish è l’uomo nella sua realtà specifica e ’isshah è lo
stesso termine ma al femminile, svelando così come la
donna e l’uomo siano entrambi persone umane, pur nella
diversità dei loro generi sessuali. La pienezza dell’umanità
è in questa uguaglianza fatta di reciprocità necessaria, dialogica e complementare. La persona umana è, quindi,
«duale» ed è così che realizza la sua autentica «identità».
Abbiamo, dunque, inanellato un settenario di vocaboli che reggono la base da cui sorge la famiglia, ossia la
coppia: ‘ezer-aiuto indispensabile, che è ke-negdo, ci sta di
fronte alla pari, simbolicamente raffigurato nella «costola», cioè nella stessa componente strutturale dell’essere
umano; l’uno e l’altra si abbracciano (dabaq), divenendo
«una carne unica» («basar ’ehad») e recando i nomi
uguali ma non identici di ’ish e di ’isshah.
A suggello facciamo risuonare un appello intenso del
Talmud, la grande raccolta della tradizione religiosa giudaica: «State molto attenti a far piangere una donna perché Dio conta le sue lacrime! La donna è uscita dalla
costola dell’uomo, non dai piedi perché dovesse essere pestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco
per essere uguale, un po’ più in basso del braccio per essere protetta, e dal lato del cuore per essere amata».
Nel cristianesimo, poi, questa unità d’amore riceve un
suggello trascendente ulteriore che l’apostolo Paolo
chiama «mistero» (Ef 5,32) e la teologia «sacramento».
In modo illuminante il teologo martire del nazismo Dietrich Bonhoeffer così commenterà questo trapasso: «Il
matrimonio è più del vostro amore reciproco (…). Finché siete voi soli ad amarvi, il vostro sguardo si limita nel
riquadro isolato della vostra coppia. Entrando nel matrimonio siete invece un anello della catena di generazioni
che Dio chiama al suo regno» (D. BONHOEFFER, Widerstand und Ergebung: Briefe und Aufzeichnungen aus der
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DOCUMENTI
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enedetto XVI
Haft, C. Kaiser, Monaco 1951; trad. it. Resistenza e resa.
Lettere e appunti dal carcere, Bompiani, Milano 1969).
Pietre vive
Quando san Pietro tratteggia «l’edificio spirituale»
della comunità ecclesiale, descrive le sue ideali pareti
come costituite da lithoi zontes, «pietre vive», che s’aggregano attorno alla «pietra viva» fondamentale che è
Cristo (cf. 1Pt 2,4-5). Raccogliamo questa simbologia e
la applichiamo alla casa che stiamo innalzando, quella
della famiglia. Anche nel Cantico dei cantici, che è per
eccellenza il poema dell’amore, si leva un «muro» al quale
è appoggiato l’amato e questa parete è detta in ebraico
«kotel» (Ct 2,9), che è lo stesso termine con cui oggi si denomina il muro del tempio di Gerusalemme davanti al
quale l’Israele prega il Signore.
Ebbene, quali sono le «pietre vive» che compongono
le pareti della famiglia innalzandola verso l’alto, l’oltre, il
futuro? Sono i figli. È curioso notare che, statisticamente
parlando, la parola che ricorre più volte nell’Antico Testamento – al di là delle congiunzioni, gli articoli, le preposizioni e gli avverbi, e dopo il nome divino JHWH
(6.828 volte) – è il vocabolo «ben», «figlio», che risuona
per 4.929 volte!
Il legame di ben con la casa risulta diretto e intimo se
si tiene conto che il verbo «costruire, edificare» in ebraico
è banah, e la rappresentazione più incisiva di questo vincolo stretto è nella miniatura poetica del Salmo 127: «Se
il Signore non costruisce (banah) la casa, invano si affaticano i costruttori (…). Ecco eredità del Signore sono i figli
(ben), è sua ricompensa il frutto del grembo. Come frecce
in mano a un guerriero sono i figli (ben) avuti in giovinezza. Beato l’uomo che ne ha piena la faretra: non dovrà
vergognarsi quando verrà alla porta a trattare con i propri nemici» (1.3-5).
Certamente il Salmo riflette una società di stampo
agrario ove le braccia per il lavoro nei campi e negli scontri tribali erano decisive. La scena finale è tipicamente
orientale: il padre, simile a uno sceicco, attorniato dalla
sua folta e vigorosa prole, quasi fosse una guardia del
corpo, incute timore quando si presenta alla porta davanti ai suoi avversari. Già nella Sapienza di Ani, un testo
egizio del XIII secolo a.C., si leggeva: «L’uomo i cui figli
sono numerosi è salutato rispettosamente e temuto a
causa dei suoi figli». La pienezza della famiglia è tendenzialmente affidata alla discendenza.
Tuttavia, per approfondire questo tema in chiave teologica, raccogliamo l’invito stesso di Cristo che spinge, per
parlare della famiglia, a risalire «ap’ arches», «in principio»,
e ritorniamo alla Genesi, a un passo del primo racconto
della creazione posto proprio in apertura alla Bibbia.
Là si legge questa frase: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina
li creò» (1,27). Lo schema del parallelismo tipico della letteratura semitica rivela che «immagine di Dio» ha come
parallelo esplicativo proprio la coppia «maschio e femmina». Dio, allora, è sessuato e accanto a lui si asside una
compagna divina, come l’Ishtar-Astarte babilonese?
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Ovviamente no, sapendo con quanta nettezza la
Bibbia rifiuti come idolatrica questa concezione diffusa
tra gli indigeni cananei della Terra santa. Dio resta trascendente, ma è creatore e la fecondità della coppia
umana è «immagine» viva ed efficace dell’atto creativo
divino, ne è un segno visibile; la coppia che genera è la
vera «statua» (non quella di pietra o d’oro che il Decalogo proibisce) che raffigura il Dio creatore e salvatore.
L’amore fecondo è, perciò, il simbolo della realtà intima di Dio e proprio per questo il racconto della Genesi,
secondo la cosiddetta «Tradizione sacerdotale», è tutto
scandito sulle sequenze genealogiche (cf. 1,28; 2,4; 9,1.7;
10; 17,2.16; 25,11; 28,3; 35, 9.11; 47,27; 48,3-4): la capacità di generare della coppia umana è la via sulla quale
si snoda la storia della salvezza.
Possiamo, anzi, dire che l’intera Bibbia è per molti
versi un’ininterrotta storia di famiglie. È, però, da notare
che, accanto all’«immagine» («selem»), si parla anche di
«somiglianza» («demût»), un modo per sottolineare la
non-identità totale fra divinità e umanità; esiste una distanza, marcata proprio da questo secondo vocabolo:
«Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra
somiglianza» (1,26). Il mistero di Dio ci trascende, ci precede e ci eccede.
Sta di fatto, però, che la relazione generativa umana
diverrà l’analogia illuminante per scoprire il mistero di
Dio: fondamentale al riguardo è la visione trinitaria cristiana che introduce in Dio un Padre, un Figlio e lo Spirito d’amore. Dio-Trinità è comunione d’amore e la
famiglia ne è il riflesso vivente. E come i tre umani, uomodonna-figlio, sono «una cosa sola», così Padre-FiglioSpirito sono un unico Dio.
Le parole di Giovanni Paolo II, pronunciate il 28 gennaio 1979, durante il suo viaggio apostolico in Messico,
sono illuminanti: «Il nostro Dio nel suo mistero più intimo non è una solitudine, bensì una famiglia, dato che ha
in sé paternità, filiazione e l’essenza della famiglia che è
l’amore. Questo amore, nella famiglia divina, è lo Spirito
Santo. Il tema della famiglia non è quindi estraneo al
tema dello Spirito Santo» (GIOVANNI PAOLO II; Omelia a
Puebla de Los Angeles). L’analogia trinitaria, come è noto,
ha poi una declinazione cristologico-ecclesiale da parte
di san Paolo riguardo al «mistero» dell’unione nuziale (cf.
Ef 5,21-33).
Infine, dobbiamo ricordare che sulle pareti di pietre
vive della casa familiare sono incise due epigrafi che delineano l’impegno vitale morale dei suoi abitanti. Sono i
due comandamenti capitali della famiglia. Da un lato,
ecco il precetto nuziale della fedeltà: «Non commetterai
adulterio» (Es 20,14), ricondotto da Cristo alla pienezza
del progetto divino originario dell’amore totale e indissolubile (cf. Mt 5,27-28; 19,3-9).
D’altro lato, ecco il comandamento sociale: «Onora
tuo padre e tua madre» (Es 20,12), dove la figura paternomaterna incarna tutta la complessa rete delle relazioni
sociali, essendo appunto la famiglia la cellula germinale
del tessuto comunitario. E naturalmente queste due ideali
epigrafi ricevono il loro commento in tante pagine bibliche e in tanti insegnamenti del magistero ecclesiale sulla
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famiglia, a partire dalle celebri «tavole domestiche» paoline (cf. Ef 5,21-6,9; Col 3,18-4,1).
Le tre stanze della casa:
dolore, lavoro, festa
Una casa è costituita da spazi diversi in cui si consuma
l’esistenza dei suoi abitanti. Noi ora evochiamo tre locali
simbolici e lo facciamo in modo molto essenziale, consapevoli in realtà che in essi si nascondono opere e giorni
ora monotoni ora esaltanti.
La prima è la stanza del dolore. Aveva ragione Tolstoj
quando, nel suo celebre romanzo Anna Karenina, affermava che «le famiglie felici si somigliano tutte; le famiglie infelici sono infelici ciascuna a modo suo» (incipit).
La Bibbia stessa ne è testimone costante, a partire dalla
brutale violenza fratricida di Caino su Abele e dalle liti tra
i figli e le spose degli stessi patriarchi Abramo, Isacco,
Giacobbe, per passare poi alla tragedia che insanguina la
famiglia di Davide col figlio Assalonne aspirante parricida, fino a giungere alle molteplici difficoltà che costellano quel mirabile racconto familiare che è il libro di
Tobia o a quell’amara confessione di Giobbe abbandonato e isolato: «I miei fratelli si sono allontanati da me,
persino i miei familiari mi sono diventati estranei. (…) Il
mio fiato è ripugnante per mia moglie e faccio ribrezzo ai
figli del mio grembo» (Gb 19, 13.17).
Lo stesso Gesù nasce all’interno di una famiglia di
profughi, entra nella casa di Pietro ove la suocera è malata, si lascia coinvolgere dal dramma della morte nella
casa di Giairo o in quella di Lazzaro, ascolta il grido disperato della vedova di Nain o del padre dell’epilettico di
un villaggio ai piedi del monte della Trasfigurazione.
Nelle loro case incontra pubblicani come Matteo-Levi
e Zaccheo, o peccatrici come la donna che s’introduce
nella casa di Simone il lebbroso; conosce le ansie e le tensioni delle famiglie travasandole nelle sue parabole: dai figli
che lasciano le case per tentare l’avventura (cf. Lc 15,11-32)
fino ai figli difficili dai comportamenti inspiegabili (cf. Mt
21,28-31) o a quelli vittima di violenza (cf. Mc 12,1-9).
E s’interessa anche di nozze che corrono il rischio di
diventare imbarazzanti per assenza di vino o di ospiti (cf.
Gv 2,1-10; cf. Mt 22,1-10), così come conosce l’incubo
per lo smarrimento di una moneta in una famiglia povera (cf. Lc 15,8-10).
Si potrebbe continuare a lungo nel descrivere la vastità della stanza del dolore, naturalmente giungendo fino
ai nostri giorni quando le pareti domestiche registrano
spesso la decostruzione dell’intero edificio familiare in
una sorta di terremoto. La lista delle antiche lacerazioni
dei divorzi, ribellioni, infedeltà, aborti e così via si allarga
a nuovi fenomeni socio-culturali come l’individualismo, la
privatizzazione, i sorprendenti e non di rado sconcertanti
percorsi bioetici della fecondazione in vitro, dell’utero in
affitto, della coppia omosessuale e delle relative adozioni,
delle teorie sul «gender», della clonazione, della monogenitorialità, della pornografia e via dicendo.
Una lista di realtà che scuote l’impianto tradizionale
della famiglia e che rende la casa un qualcosa di «li-
quido», plasmabile in forme molli e mutevoli che impongono continue riflessioni di natura culturale, sociale
ed etica. Noi ci fermiamo qui, affidando ad altri questa visita ardua allo spazio delle difficoltà e degli interrogativi,
uno spazio dai confini incerti che lo rendono contenitore
di «mondovisioni» diverse, di veri e propri «multiversi»
incontenibili.
Accanto, però, troviamo subito un altro locale ove
ferve l’opera umana, ma che, purtroppo, non di rado ai
nostri giorni si fa deserto e sembra aprire le sue porte
quasi automaticamente alla camera della sofferenza appena descritta. Parliamo, infatti, della stanza del lavoro.
Nel progetto divino della creazione da cui siamo partiti l’uomo era invitato a «prendere possesso» («kabash»)
e a «governare» («radah») il creato, simbolicamente rappresentato come un giardino ricco, fertile e popoloso:
«Riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del
mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che
striscia sulla terra» (Gen 1,28).
Anzi, si ribadiva – usando in ebraico i verbi stessi del
culto e dell’alleanza con Dio, «‘abad» e «shamar», «servire» e «osservare» – che «il Signore Dio prese l’uomo e
lo collocò nel giardino di Eden, perché lo coltivasse
(‘abad) e lo custodisse (shamar)» (2,15). Dopo tutto, la
stessa rappresentazione del Creatore è quella di un lavoratore che opera («bara’», «creare», è il verbo dell’artigiano) per una settimana lavorativa di sei giorni (cf. 1,1),
o anche di un pastore (cf. Sal 23) o di un contadino (cf. Sal
65,10-14), o di un tessitore o di un vasaio che modella il
suo capolavoro tessile o fittile (cf. Gen 2,7; Ger 18,6; Sal
139, 13-16; Gb 10,8-11).
Egli nella sua opera di creazione non è certo simile a
un guerriero distruttore come si aveva, invece, nelle antiche cosmologie del Vicino Oriente. È in questa luce che
il salmista dipinge un delizioso interno familiare che ha al
centro una festosa tavolata ove è assiso il padre che può
nutrire se stesso, la sua sposa, comparata a una vite feconda, e i figli, vigorosi virgulti d’olivo, attraverso la fatica
delle sue mani (cf. Sal 128, 2-3). È una felicità che nasce
dall’impegno pesante del lavoro («labor» in latino è anche
«travaglio», come nel francese «travail», e deriva dalla
radice indoeuropea labh- che designa un «afferrare» per
trasformare).
È una serenità che dilaga anche nella società e nelle
generazioni future: «Possa tu vedere il bene di Gerusalemme. (…) Possa tu vedere i figli dei tuoi figli!» (Sal 128,
5.6). Il lavoro, infatti, è un dono divino, come suggerisce
il salmo precedente, il 127, quello del padre e dei figli a
cui abbiamo già accennato: «Se il Signore non vigila sulla
città (…), invano vi alzate di buon mattino e tardi andate
a riposare, voi che mangiate un pane di fatica» (127,1.2).
Ne è consapevole anche la materfamilias il cui ritratto suggella il libro dei Proverbi, donna sapiente e fedele a Dio il cui lavoro è celebrato in tutti i particolari
quotidiani, così da attirarsi la lode del marito e dei figli
(cf. Pr 31,10-31). Lo stesso apostolo Paolo sarà orgoglioso dell’aver vissuto senza esser di peso a nessuno con
l’opera delle sue mani, tanto da imporre la regola ferrea:
«Chi non vuole lavorare neppure mangi» (2Ts 3,10; cf.
At 18,3).
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Detto questo, si comprende che la disoccupazione e la
precarietà si trasformano in sofferenza, come si registra
nel delicato ed emozionante libretto di Rut e come ricorda Gesù nella parabola dei lavoratori a giornata, seduti in ozio forzato nella piazza del villaggio (cf. Mt
20,1-16), o come egli sperimenta nel fatto stesso di essere
circondato spesso da miserabili e da affamati, così com’era accaduto al profeta Elia che si era trovato davanti
una vedova col figlio sfiniti dalla fame (cf. 1Re 17,7-18).
È ciò che la società contemporanea sta vivendo in
modo talora tragico e questa assenza di lavoro si trasforma in un vero e proprio attentato alla solidità della
«casa» – famiglia. Non bisogna neppure dimenticare la
degenerazione che il peccato introduce nella società,
quando l’uomo si comporta da tiranno nei confronti della
natura, devastandola, sfruttandola egoisticamente e brutalmente, secondo norme dispotiche, così da rendere il
lavoro una cupa alienazione, segnata dal sudore personale, dalla desertificazione del suolo (cf. Gen 3,17-19) e
dagli squilibri economico-sociali contro i quali si leverà
forte e chiara la denuncia costante dei profeti, a cominciare da Elia (cf. 1Re 21) e Amos per giungere fino allo
stesso Gesù (cf. ad es. Lc 12,13-21; 16,1-31).
L’arricchimento sfrenato, fonte di ingiustizie, è alla
fine un’idolatria, come scriveva il teologo Paul Beauchamp, nella sua opera La legge di Dio: «O l’uomo adora
Dio perché è Dio che lo ha fatto, o l’uomo adora l’idolo
perché è lui stesso ad averlo fatto. Io adoro colui che mi
ha fatto o adoro colui che ho fatto. (…) L’idolatria colpisce il lavoro, come certe malattie colpiscono più alcuni
organi che altri» (P. BEAUCHAMP, La loi de Dieu, Editions
du Seuil, Parigi 1999; trad. it. Piemme, Casale Monferrato [AL] 2000, 62).
C’è, però, una terza e ultima camera della nostra
«casa» simbolica: è la stanza della festa e della gioia familiare. Essa, come suggeriva il filosofo Soeren Kierkegaard, deve avere la porta che «si apre verso l’esterno così
che può essere richiusa solo andando fuori da sé stessi».
E comunicare con l’esterno può essere complesso e faticoso perché si presentano fenomeni inediti come la globalizzazione, la civiltà digitale con la sua rete che avvolge
il globo, il fermento della scienza che non teme di inoltrarsi lungo sentieri d’altura come nel caso delle neuroscienze e delle biotecnologie, l’incontro con volti diversi e
il cosiddetto «meticciato» delle culture e via elencando.
Questa molteplicità d’esperienze è, però, feconda e
può arricchire la festa della famiglia, qualora essa sappia
custodire nel dialogo la sua identità cristiana in forma
non aggressiva e integralistica, ma sappia anche non stingersi e scolorirsi in un generico e vago sincretismo. Bisogna, quindi, ricordare che l’ingresso in questa stanza
solare avviene non di rado dopo una lunga attesa e un’intensa preparazione, come affermava in modo suggestivo
nel suo Journal lo scrittore francese Jules Renard: «Se si
vuol costruire la casa della felicità, ci si deve ricordare che
la stanza più grande dev’essere la sala d’attesa» (J. RENARD, Journal, Gallimard, Parigi 1935; trad. it. Diario,
Editoriale Domus, Milano 1945).
Questo spazio gioioso è collegato e adiacente al locale
del lavoro. A questo proposito è significativo ancora una
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volta il racconto d’apertura della creazione secondo la
Genesi. In quella pagina emerge un elemento simbolico
dialettico che raccorda appunto lavoro e festa. L’uomo è
considerato il vertice della creazione: non è solo una realtà «bella/buona» («tôb») come le altre creature, ma è
«molto bella/buona» (Gen 1,31).
Ecclesia domestica
Eppure egli è creato il sesto giorno e il sei, nella simbologia numerica biblica, è indizio d’imperfezione, essendo il sette il segno della pienezza. L’uomo è, quindi,
prigioniero del limite temporale, spaziale, fisico e metafisico. Tuttavia, può evadere dal carcere della sua natura
creaturale e della stessa ferialità: lo fa quando celebra il
sabato, il settimo giorno, la festa, la liturgia, la preghiera.
Quel giorno, infatti, è il tempo di Dio, l’orizzonte trascendente in cui egli «riposa» nella pienezza della sua gloria. Per questo, il sabato è tratteggiato dalla Genesi come
un tempio che viene «benedetto» e «consacrato»: «Dio
benedisse il settimo giorno e lo consacrò» (2,3), rendendolo la sede della vita piena e perfetta, il tempio nel
tempo, scandito dall’eternità.
L’uomo e la donna, quando celebrano la liturgia festiva, entrano nel tempio/tempo eterno divino. Come
scriveva il pensatore mistico ebreo Abraham J. Heschel
nel suo noto testo The Sabbath, «per sei giorni viviamo
sotto la tirannia delle cose dello spazio; il sabato ci mette
in sintonia con la santità del tempo. In questo giorno
siamo chiamati a partecipare a ciò che è eterno nel
tempo, a volgerci dai risultati della creazione al mistero
della creazione, dal mondo della creazione alla creazione
del mondo» (A.J. HESCHEL, The Sabbath, Farrar, Straus
and Giroux, New York 1951; trad. it. Il sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, Rusconi, Milano 1972).
In questa linea è significativo registrare nella duplice
redazione del Decalogo la diversa motivazione che giustifica la festa sabbatica. Da un lato, in Dt 5,12-15 si sottolinea l’uscita dal regime del lavoro feriale, rievocando la
liberazione dall’alienazione dell’oppressiva schiavitù egizia; d’altro lato, in Es 20,8-11 si celebra l’ingresso nel riposo perfetto ed eterno del settimo giorno «benedetto e
consacrato» da Dio dopo i sei giorni della creazione. La
festa è, quindi, liberazione dal limite e partecipazione all’eternità, è comunione con Dio che strappa la creatura
umana dal sesto giorno e la introduce nella festa del settimo ove essa «riposa» come Dio.
È per questo che la Lettera agli Ebrei dipinge la vita
eterna come un sabato senza fine, non più compresso
dalla fuga del tempo né occupato dagli idoli terreni o
striato dal peccato umano (3,7-4,11). È per questo che
l’apocrifo giudaico Vita di Adamo ed Eva afferma che «il
settimo giorno è il segno della risurrezione e del mondo
futuro». È per questo che la festa primaria dell’Israele biblico, la Pasqua, è di sua natura familiare ed è collocata
nello spazio della tenda domestica (cf. Es 12): essa è la celebrazione dell’uscita-esodo dal lavoro oppressivo imposto dal faraone ed è l’avvio dell’ingresso nella terra
promessa che diventa un simbolo della patria celeste,
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come appare esplicitamente nella trama sia del Libro
della sapienza sia dell’Apocalisse.
È per questo, come si è già ricordato in apertura, che
la celebrazione eucaristica delle origini cristiane aveva
come sede proprio l’ecclesia domestica e come contorno il
convito familiare (cf. 1Cor 11,17-33). Era là che i genitori diventavano i primi araldi della fede per i loro figli.
Già nell’antico Israele la famiglia era il luogo della catechesi: è ciò che brilla nel racconto della celebrazione pasquale e che sarà esplicitato nella «haggadah» giudaica,
ossia nella «narrazione» dialogica che accompagna il rito
pasquale.
Anzi, il Salmo 78 esalta l’annuncio familiare della
fede: «Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri
ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri
figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto. Ha stabilito un insegnamento in Giacobbe, ha
posto una legge in Israele, che ha comandato ai nostri
padri di far conoscere ai loro figli, perché la conosca la generazione futura, i figli che nasceranno. Essi poi si alzeranno a raccontarlo ai loro figli, perché ripongano in Dio
la loro fiducia e non dimentichino le opere di Dio, ma custodiscano i suoi comandi» (78, 3-7).
Pertanto, la festa autentica non è né un orizzonte
vuoto e inerte, come Tacito bollava il sabato degli ebrei,
né è un mero week-end, ma è un evento positivo, è segno
di una trascendenza resa disponibile alla creatura, è dono
di una comunione con Dio, è la requies aeterna che i cristiani augurano ai loro defunti e che è già pregustata nella
liturgia terrena del «giorno del Signore», la «domenica»
(Ap 1,10).
Possiamo, dunque, affermare con Benedetto XVI che
«il lavoro e la festa sono intimamente collegati con la vita
delle famiglie: ne condizionano le scelte, influenzano le
relazioni tra coniugi e tra i genitori e i figli, incidono sul
rapporto della famiglia con la società e con la Chiesa. La
sacra Scrittura (cf. Gen 1-2) ci dice che la famiglia, il lavoro e il giorno festivo sono doni e benedizioni di Dio per
aiutarci a vivere un’esistenza pienamente umana» (BENEDETTO XVI, Lettera per il VII Incontro mondiale delle
famiglie, 23.8.2010).
Queste parole del papa, desunte dalla Lettera per il VII
Incontro mondiale delle famiglie, riassumono la nostra visita ideale nella sala della festa che si apre nella casa simbolica che abbiamo descritto. Ricorrendo al celebre
motto benedettino, possiamo dire che il labora dell’impegno feriale si deve aprire all’ora della liturgia festiva, conservando comunque l’unità dell’Ora et labora settimanale.
La porta della «casa» – famiglia si spalanca, quindi,
anche sull’altro versante del monte ove essa è posta, un
versante illuminato dal sole dell’eternità e dell’infinito.
Detto in altri termini, la stanza della festa ha davanti a sé
una terrazza che s’affaccia sul cielo e sul futuro escatologico, quando tutte le tribù d’Israele e una moltitudine immensa e innumerevole di ogni nazione, famiglia, popolo
e lingua staranno tutte in piedi davanti al trono e davanti
all’Agnello, avvolte in vesti candide, con rami di palma
nelle loro mani (cf. Ap 7,4-9).
Sarà, quindi, la liturgia perfetta, la festa eterna, il fu-
turo definitivo che era prefigurato proprio dai figli che
evocavano nella storia la novità, l’alterità, la continuità
temporale, l’attesa, la progettualità. A quella «immortalità» affidata alle generazioni che si distendono nel tempo
succede ora la vera e piena immortalità, la pasqua che
non ha tramonto: «In quel giorno non vi sarà né luce né
freddo né gelo: sarà un unico giorno, solo il Signore lo
conosce; non ci sarà né giorno né notte e verso sera risplenderà la luce» (Zc 14, 6-7); la città non avrà «bisogno
della luce del sole né della luce della luna, la gloria di Dio
la illumina e la sua lampada è l’Agnello» (Ap 21,23). Allora si chiuderà per sempre la «stanza del dolore» perché
Dio «asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà
più la morte né lutto né lamento né affanno perché le
cose di prima sono passate» (Ap 21,4).
Mentre contempliamo la «casa» – famiglia che dovremmo erigere nella nostra storia sulla scia del desiderio
che Dio ha espresso nelle Scritture, risuona un’ultima parola: è quella della speranza, virtù molto realistica, come
affermava il poeta francese Charles Péguy che a essa ha
dedicato un poemetto, Le porche du mystère de la deuxième
vertu (Il portico del mistero della seconda virtù, 1911): «È
sperare la cosa difficile / a voce bassa e vergognosamente.
/ E la cosa facile è disperare / ed è la grande tentazione»
(trad. it. in Misteri, Jaca Book, Mialno 1984).
Certo, è arduo edificare e tener salda questa casa,
come ripeteva il grande Montaigne (1533-1592) nei suoi
Saggi, perché «governare una famiglia è poco meno difficile che governare un regno» (Adelphi, Milano 1998).
Eppure, l’amore fiducioso e generoso può compiere miracoli.
Persino un pessimista come il drammaturgo norvegese
Henrik Ibsen, nella sua amara Casa di bambola (1879),
non esitava a riconoscere – sia pure al negativo – che la
vita di famiglia perde ogni libertà e bellezza quando si
fonda solo sul principio dell’io ti do e tu mi dai. Cristo ha
introdotto, invece, quest’altro principio: non c’è amore
più grande di colui che dà la vita per la persona che ama
(cf. Gv 15,13), varcando così la stessa legge, pur alta,
dell’«amare il prossimo come sé stessi».
Immaginiamo, allora, d’intuire in finale, in una stanza
della nostra casa simbolica, quel delizioso quadretto che
il salmista ha abbozzato soltanto con 11 vocaboli in un
testo composto di sole 30 parole ebraiche. È il Salmo 131
che introduce nella famiglia e nella fede quella virtù che
ai nostri giorni è brutalmente ignorata, la tenerezza.
Come accade altrove nella Bibbia (cf. ad es. Es 4,22;
Is 49,15; Sal 27,10), il legame tra il fedele e il suo Signore
è modellato sul rapporto genitoriale. Qui è la dolce e tenera intimità che intercorre tra una madre e il suo bambino. Non si tratta, però, di un neonato che, dopo essere
stato allattato, dorme placido tra le braccia della sua
mamma, bensì – come esplicita il vocabolo ebraico
«gamul» – è di scena un bimbo «svezzato» che s’attacca
consapevolmente alla madre che lo porta sul dorso, in
una relazione di intimità cosciente e non meramente biologica.
Canta, dunque, il salmista: l’anima mia è quieta e serena,
«come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un
bimbo svezzato è in me l’anima mia» (131,2). In dissolvenza
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potremmo far scorrere un’altra scenetta parallela, quella di
un padre profeta, Osea, il quale metteva in bocca a Dio padre questo soliloquio familiare che immaginiamo d’intravedere anch’esso da una delle finestre della nostra «casa»
simbolica: «Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato».
Gli «insegnavo a camminare tenendolo per mano». Lo attiravo «con legami di bontà, con vincoli d’amore». Ero «come
chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare» (Os 11,1.3.4).
Con quest’ultimo sguardo che intreccia fede e amore,
grazia e impegno, famiglia umana e Trinità divina, contempliamo per l’ultima volta la casa che la parola di Dio
affida alle mani dell’uomo, della donna e dei figli perché
compongano «una comunione di persone, segno e immagine della comunione del Padre e del Figlio nello Spirito Santo. La sua attività procreatrice ed educativa è il
riflesso dell’opera creatrice del Padre. La famiglia è chiamata a condividere la preghiera e il sacrificio di Cristo. La
preghiera quotidiana e la lettura della parola di Dio corroborano in essa la carità» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2205).
Milano, 30 maggio 2012.
GIANFRANCO card. RAVASI
Sul fondamento
della legge naturale
Benedetto XVI incontra le autorità milanesi
Illustri signori!
Vi sono sinceramente grato per questo incontro, che
rivela i vostri sentimenti di rispetto e di stima verso la
Sede apostolica e, in pari tempo, consente a me, in qualità di pastore della Chiesa universale, di esprimere a voi
apprezzamento per l’opera solerte e benemerita che non
cessate di promuovere per un sempre maggiore benessere
civile, sociale ed economico delle laboriose popolazioni
milanesi e lombarde.
Grazie al cardinale Angelo Scola che ha introdotto
questo momento. Nel rivolgere il mio deferente e cordiale
saluto a voi, il mio pensiero corre a colui che è stato vostro illustre predecessore, sant’Ambrogio, governatore –
consularis – delle province della Liguria e dell’Aemilia,
con sede nella città imperiale di Milano, luogo di transito
e di riferimento – diremmo oggi – europeo.
Prima di essere eletto, in modo inaspettato e assolutamente contro il suo volere perché si sentiva impreparato,
vescovo di Mediolanum, egli ne era stato il responsabile
dell’ordine pubblico e vi aveva amministrato la giustizia.
Mi sembrano significative le parole con cui il prefetto
Probo lo invitò come consularis a Milano; gli disse, infatti: «Va’ e amministra non come un giudice, ma come
un vescovo».
Ed egli fu effettivamente un governatore equilibrato e
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illuminato che seppe affrontare con saggezza, buon senso
e autorevolezza le questioni, sapendo superare contrasti e
ricomporre divisioni. Vorrei proprio soffermarmi brevemente
su alcuni principi, che egli seguiva e che sono tuttora preziosi per quanti sono chiamati a reggere la cosa pubblica.
Nel suo commento al Vangelo di Luca, sant’Ambrogio ricorda che «l’istituzione del potere deriva così bene
da Dio, che colui che lo esercita è lui stesso ministro di
Dio» (Expositio Evangelii secundum Lucam, IV, 29). Tali
parole potrebbero sembrare strane agli uomini del terzo
millennio, eppure esse indicano chiaramente una verità
centrale sulla persona umana, che è solido fondamento
della convivenza sociale: nessun potere dell’uomo può
considerarsi divino, quindi nessun uomo è padrone di un
altro uomo. Ambrogio lo ricorderà coraggiosamente all’imperatore scrivendogli: «Anche tu, o augusto imperatore, sei un uomo» (Epistula 51,11).
Un altro elemento possiamo ricavare dall’insegnamento di sant’Ambrogio. La prima qualità di chi governa
è la giustizia, virtù pubblica per eccellenza, perché riguarda il bene della comunità intera. Eppure essa non
basta. Ambrogio le accompagna un’altra qualità: l’amore
per la libertà, che egli considera elemento discriminante
tra i governanti buoni e quelli cattivi, poiché, come si
legge in un’altra sua lettera, «i buoni amano la libertà, i
reprobi amano la servitù» (Epistula 40, 2).
La libertà non è un privilegio per alcuni, ma un diritto per tutti, un diritto prezioso che il potere civile deve
garantire. Tuttavia, libertà non significa arbitrio del singolo, ma implica piuttosto la responsabilità di ciascuno. Si
trova qui uno dei principali elementi della laicità dello
stato: assicurare la libertà affinché tutti possano proporre
la loro visione della vita comune, sempre, però, nel rispetto dell’altro e nel contesto delle leggi che mirano al
bene di tutti.
D’altra parte, nella misura in cui viene superata la
concezione di uno stato confessionale, appare chiaro, in
ogni caso, che le sue leggi debbono trovare giustificazione
e forza nella legge naturale, che è fondamento di un ordine adeguato alla dignità della persona umana, superando una concezione meramente positivista dalla quale
non possono derivare indicazioni che siano, in qualche
modo, di carattere etico (cf. BENEDETTO XVI, Discorso al
Parlamento tedesco, 22.9.2011).
Lo stato è a servizio e a tutela della persona e del suo
«ben-essere» nei suoi molteplici aspetti, a cominciare dal
diritto alla vita, di cui non può mai essere consentita la
deliberata soppressione. Ognuno può allora vedere come
la legislazione e l’opera delle istituzioni statuali debbano
essere in particolare a servizio della famiglia, fondata sul
matrimonio e aperta alla vita, e altresì riconoscere il diritto primario dei genitori alla libera educazione e formazione dei figli, secondo il progetto educativo da loro
giudicato valido e pertinente. Non si rende giustizia alla
famiglia, se lo stato non sostiene la libertà d’educazione
per il bene comune dell’intera società.
In questo esistere dello stato per i cittadini, appare
preziosa una costruttiva collaborazione con la Chiesa,
senza dubbio non per una confusione delle finalità e dei
ruoli diversi e distinti del potere civile e della stessa
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Chiesa, ma per l’apporto che questa ha offerto e tuttora
può offrire alla società con la sua esperienza, la sua dottrina, la sua tradizione, le sue istituzioni e le sue opere
con cui si è posta al servizio del popolo.
Basti pensare alla splendida schiera dei santi della carità, della scuola e della cultura, della cura degli infermi
ed emarginati, serviti e amati come si serve e si ama il Signore. Questa tradizione continua a dare frutti: l’operosità
dei cristiani lombardi in tali ambiti è assai viva e forse ancora più significativa che in passato. Le comunità cristiane
promuovono queste azioni non tanto per supplenza, ma
piuttosto come gratuita sovrabbondanza della carità di
Cristo e dell’esperienza totalizzante della loro fede.
Il tempo di crisi che stiamo attraversando ha bisogno, oltre che di coraggiose scelte tecnico-politiche, di
gratuità, come ho avuto modo di ricordare: «La “città
dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e
di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di
gratuità, di misericordia e di comunione» (BENEDETTO
XVI, lett. enc. Caritas in veritate, 29.6.2009, n. 6;
Regno-doc. 15,2009,459).
Possiamo raccogliere un ultimo prezioso invito da sant’Ambrogio, la cui figura solenne e ammonitrice è intessuta nel gonfalone della città di Milano. A quanti
vogliono collaborare al governo e all’amministrazione
pubblica, sant’Ambrogio richiede che si facciano amare.
Nell’opera De officiis egli afferma: «Quello che fa l’amore,
non potrà mai farlo la paura. Niente è così utile come
farsi amare» (II, 29). D’altra parte, la ragione che, a sua
volta, muove e stimola la vostra operosa e laboriosa presenza nei vari ambiti della vita pubblica non può che essere la volontà di dedicarvi al bene dei cittadini, e quindi
una chiara espressione e un evidente segno di amore.
Così, la politica è profondamente nobilitata, diventando
una elevata forma di carità.
Illustri Signori! Accogliete queste mie semplici considerazioni come segno della mia profonda stima per le istituzioni che servite e per la vostra importante opera. Vi
assista, in questo vostro compito, la continua protezione
del Cielo, della quale vuole essere pegno e auspicio la benedizione apostolica che imparto a voi, ai vostri collaboratori e alle vostre famiglie. Grazie.
Milano, arcivescovado, 2 giugno 2012.
BENEDETTO XVI
Le domande
delle famiglie,
le risposte del papa
Festa delle testimonianze
1. CAT TIEN: « Ciao, papa. Sono Cat Tien, vengo dal
Vietnam. Ho sette anni e ti voglio presentare la mia famiglia. Lui è il mio papà, Dan, e la mia mamma si
chiama Tao, e lui è il mio fratellino Binh. Mi piacerebbe
tanto sapere qualcosa della tua famiglia e di quando eri
piccolo come me…».
BENEDETTO XVI: «Grazie, carissima, e, ai genitori,
grazie di cuore. Allora, hai chiesto come sono i ricordi
della mia famiglia: sarebbero tanti! Volevo dire solo poche
cose.
Il punto essenziale per la famiglia era per noi sempre
la domenica, ma la domenica cominciava già il sabato
pomeriggio. Il padre ci diceva le letture, le letture della
domenica, da un libro molto diffuso in quel tempo in
Germania, dove erano anche spiegati i testi. Così cominciava la domenica: entravamo già nella liturgia, in atmosfera di gioia. Il giorno dopo andavamo a Messa. Io sono
di casa vicino a Salisburgo, quindi abbiamo avuto molta
musica – Mozart, Schubert, Haydn – e quando cominciava il Kyrie era come se si aprisse il cielo.
E poi a casa era importante, naturalmente, il grande
pranzo insieme. E poi abbiamo cantato molto: mio fratello è un grande musicista, ha fatto delle composizioni
già da ragazzo per noi tutti, così tutta la famiglia cantava.
Il papà suonava la cetra e cantava; sono momenti indimenticabili.
Poi, naturalmente, abbiamo fatto insieme viaggi, camminate; eravamo vicino a un bosco e così camminare nei
boschi era una cosa molto bella: avventure, giochi eccetera. In una parola, eravamo un cuore e un’anima sola,
con tante esperienze comuni, anche in tempi molto difficili, perché era il tempo della guerra, prima della dittatura, poi della povertà. Ma questo amore reciproco che
c’era tra di noi, questa gioia anche per cose semplici era
forte e così si potevano superare e sopportare anche queste cose.
Mi sembra che questo fosse molto importante: che
anche cose piccole hanno dato gioia, perché così si esprimeva il cuore dell’altro. E così siamo cresciuti nella certezza che è buono essere un uomo, perché vedevamo che
la bontà di Dio si rifletteva nei genitori e nei fratelli. E, per
dire la verità, se cerco d’immaginare un po’ come sarà in
Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia.
Così, in questo contesto di fiducia, di gioia e di amore
eravamo felici e penso che in Paradiso dovrebbe essere simile a come era nella mia gioventù. In questo senso spero
di andare “a casa”, andando verso l’“altra parte del
mondo”».
2. Serge Razafinbony e Fara Andrianombonana.
SERGE: «Santità, siamo Fara e Serge, e veniamo dal Madagascar. Ci siamo conosciuti a Firenze dove stiamo studiando, io ingegneria e lei economia. Siamo fidanzati da
quattro anni e non appena laureati sogniamo di tornare
nel nostro Paese per dare una mano alla nostra gente,
anche attraverso la nostra professione».
FARA: «I modelli famigliari che dominano l’Occidente
non ci convincono, ma siamo consci che anche molti tradizionalismi della nostra Africa vadano in qualche modo
superati. Ci sentiamo fatti l’uno per l’altro; per questo vogliamo sposarci e costruire un futuro insieme. Vogliamo
anche che ogni aspetto della nostra vita sia orientato dai
valori del Vangelo. Ma parlando di matrimonio, Santità,
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c’è una parola che più d’ogni altra ci attrae e allo stesso
tempo ci spaventa: il “per sempre”».
BENEDETTO XVI: «Cari amici, grazie per questa testimonianza. La mia preghiera vi accompagna in questo
cammino di fidanzamento e spero che possiate creare,
con i valori del Vangelo, una famiglia “per sempre”. Lei
ha accennato a diversi tipi di matrimonio: conosciamo il
“mariage coutumier” dell’Africa e il matrimonio occidentale. Anche in Europa, a dire la verità, fino all’Ottocento,
c’era un altro modello di matrimonio dominante, come
adesso: spesso il matrimonio era in realtà un contratto tra
clan, dove si cercava di conservare il clan, di aprire il futuro, di difendere le proprietà, eccetera. Si cercava l’uno
per l’altro da parte del clan, sperando che fossero adatti
l’uno all’altro. Così era in parte anche nei nostri paesi.
Il secondo vino: la fedeltà
Io mi ricordo che in un piccolo paese, nel quale
sono andato a scuola, era in gran parte ancora così.
Ma poi, dall’Ottocento, segue l’emancipazione dell’individuo, la libertà della persona, e il matrimonio non è
più basato sulla volontà di altri, ma sulla propria scelta;
precede l’innamoramento, diventa poi fidanzamento e
quindi matrimonio.
In quel tempo tutti eravamo convinti che questo
fosse l’unico modello giusto e che l’amore di per sé garantisse il “sempre”, perché l’amore è assoluto, vuole
tutto e quindi anche la totalità del tempo: è “per sempre”. Purtroppo, la realtà non era così: si vede che l’innamoramento è bello, ma forse non sempre perpetuo,
così com’è il sentimento: non rimane per sempre.
Quindi, si vede che il passaggio dall’innamoramento
al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisioni, esperienze interiori.
Come ho detto, è bello questo sentimento dell’amore, ma dev’essere purificato, deve andare in un
cammino di discernimento, cioè devono entrare anche
la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e volontà. Nel Rito del matrimonio, la Chiesa
non dice: “Sei innamorato?”, ma “Vuoi”, “Sei deciso”.
Cioè: l’innamoramento deve divenire vero amore
coinvolgendo la volontà e la ragione in un cammino,
che è quello del fidanzamento, di purificazione, di più
grande profondità, così che realmente tutto l’uomo,
con tutte le sue capacità, con il discernimento della ragione, la forza di volontà, dice: “Sì, questa è la mia
vita”. Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino
è bellissimo: è l’innamoramento.
Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo
vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un
amore definitivo che diventi realmente “secondo vino”
è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io non
sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici.
Questo, tutta la personalizzazione giusta, la comunione di vita con altri, con famiglie che si appoggiano
l’una all’altra, è molto importante e solo così, in que-
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sto coinvolgimento della comunità, degli amici, della
Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va
per sempre. Auguri a voi!».
Ai politici: non promet tete invano
3. Famiglia Paleologos. NIKOS: «Kalispera! Siamo
la famiglia Paleologos. Veniamo da Atene. Mi chiamo
Nikos e lei è mia moglie Pania. E loro sono i nostri due
figli, Pavlos e Lydia.
Anni fa con altri due soci, investendo tutto ciò che
avevamo, abbiamo avviato una piccola società d’informatica. Al sopravvenire dell’attuale durissima crisi economica, i clienti sono drasticamente diminuiti e quelli
rimasti dilazionano sempre più i pagamenti. Riusciamo a malapena a pagare gli stipendi dei due dipendenti, e a noi soci rimane pochissimo: così che, per
mantenere le nostre famiglie, ogni giorno che passa
resta sempre meno. La nostra situazione è una tra le
tante, fra milioni di altre. In città la gente gira a testa
bassa; nessuno ha più fiducia di nessuno, manca la speranza».
PANIA: «Anche noi, pur continuando a credere nella
provvidenza, facciamo fatica a pensare a un futuro per
i nostri figli. Ci sono giorni e notti, santo padre, nei
quali viene da chiedersi come fare a non perdere la
speranza. Cosa può dire la Chiesa a tutta questa gente,
a queste persone e famiglie senza più prospettive?».
BENEDETTO XVI: «Cari amici, grazie per questa testimonianza che ha colpito il mio cuore e il cuore di
noi tutti. Che cosa possiamo rispondere? Le parole
sono insufficienti. Dovremmo fare qualcosa di concreto
e tutti soffriamo del fatto che siamo incapaci di fare
qualcosa di concreto.
Parliamo prima della politica: mi sembra che dovrebbe crescere il senso della responsabilità in tutti i
partiti, che non promettano cose che non possono realizzare, che non cerchino solo voti per sé, ma siano responsabili per il bene di tutti e che si capisca che
politica è sempre anche responsabilità umana, morale
davanti a Dio e agli uomini.
Poi, naturalmente, i singoli soffrono e devono accettare, spesso senza possibilità di difendersi, la situazione com’è. Tuttavia, possiamo anche qui dire:
cerchiamo che ognuno faccia il suo possibile, pensi a
sé, alla famiglia, agli altri, con grande senso di responsabilità, sapendo che i sacrifici sono necessari per andare avanti.
Terzo punto: che cosa possiamo fare noi? Questa è
la mia questione, in questo momento. Io penso che
forse gemellaggi tra città, tra famiglie, tra parrocchie,
potrebbero aiutare. Noi abbiamo in Europa, adesso,
una rete di gemellaggi, ma sono scambi culturali, certo
molto buoni e molto utili, ma forse ci vogliono gemellaggi in altro senso: che realmente una famiglia dell’Occidente, dell’Italia, della Germania, della Francia… assuma la responsabilità d’aiutare un’altra
famiglia. Così anche le parrocchie, le città: che realmente assumano responsabilità, aiutino in senso con-
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creto. E siate sicuri: io e tanti altri preghiamo per voi,
e questo pregare non è solo dire parole, ma apre il
cuore a Dio e così crea anche creatività nel trovare soluzioni. Speriamo che il Signore ci aiuti, che il Signore
vi aiuti sempre! Grazie».
dell’uomo, difendendo la domenica e le feste come giorni
di Dio e così giorni per l’uomo. Auguri a voi! Grazie».
Aiutare le famiglie a fare famiglia
5. Famiglia Araujo (Porto Alegre). MARIA MARTA:
«Santità, come nel resto del mondo, anche nel nostro
Brasile i fallimenti matrimoniali continuano ad aumentare». Mi chiamo Maria Marta, lui è Manoel Angelo.
Siamo sposati da 34 anni e siamo già nonni. In qualità di
medico e psicoterapeuta familiare incontriamo tante famiglie, notando nei conflitti di coppia una più marcata
difficoltà a perdonare e ad accettare il perdono, ma in diversi casi abbiamo riscontrato il desiderio e la volontà di
costruire una nuova unione, qualcosa di duraturo, anche
per i figli che nascono dalla nuova unione».
MANOEL ANGELO: «Alcune di queste coppie di risposati vorrebbero riavvicinarsi alla Chiesa, ma quando si
vedono rifiutare i sacramenti la loro delusione è grande.
Si sentono esclusi, marchiati da un giudizio inappellabile.
Queste grandi sofferenze feriscono nel profondo chi
ne è coinvolto; lacerazioni che divengono anche parte del
mondo, e sono ferite anche nostre, dell’umanità tutta.
Santo padre, sappiamo che queste situazioni e che queste
persone stanno molto a cuore alla Chiesa: quali parole e
quali segni di speranza possiamo dare loro?».
BENEDETTO XVI: «Cari amici, grazie per il vostro lavoro di psicoterapeuti per le famiglie, molto necessario.
Grazie per tutto quello che fate per aiutare queste persone sofferenti.
In realtà, questo problema dei divorziati risposati è
una delle grandi sofferenze della Chiesa d’oggi. E non
abbiamo ricette semplici. La sofferenza è grande e possiamo solo aiutare le parrocchie, i singoli ad aiutare queste persone a sopportare la sofferenza di questo divorzio.
Io direi che molto importante sarebbe, naturalmente,
la prevenzione, cioè approfondire fin dall’inizio l’innamoramento in una decisione profonda, maturata; inoltre,
l’accompagnamento durante il matrimonio, affinché le
famiglie non siano mai sole ma siano realmente accompagnate nel loro cammino.
E poi, quanto a queste persone, dobbiamo dire –
come lei ha detto – che la Chiesa le ama, ma esse devono
vedere e sentire questo amore. Mi sembra un grande
compito di una parrocchia, di una comunità cattolica, di
fare realmente il possibile perché esse sentano di essere
amate, accettate, che non sono “fuori” anche se non possono ricevere l’assoluzione e l’eucaristia: devono vedere
che anche così vivono pienamente nella Chiesa.
Forse, se non è possibile l’assoluzione nella confessione, tuttavia un contatto permanente con un sacerdote,
con una guida dell’anima, è molto importante perché
possano vedere che sono accompagnati, guidati. Poi è
anche molto importante che sentano che l’eucaristia è
vera e partecipata se realmente entrano in comunione
con il corpo di Cristo.
Anche senza la ricezione «corporale» del sacramento,
possiamo essere spiritualmente uniti a Cristo nel suo cor-
4. Famiglia Jay e Anna Rerrie. JAY: «Viviamo vicino a
New York. Mi chiamo Jay, sono di origine giamaicana e
faccio il contabile. Lei è mia moglie Anna ed è insegnante
di sostegno. E questi sono i nostri sei figli, che hanno dai
2 ai 12 anni. Da qui può ben immaginare, santità, che la
nostra vita, è fatta di perenni corse contro il tempo, di affanni, di incastri molto complicati...
Anche da noi, negli Stati Uniti, una delle priorità assolute è mantenere il posto di lavoro, e per farlo non bisogna badare agli orari, e spesso a rimetterci sono proprio
le relazioni famigliari».
ANNA: «Certo non sempre è facile... L’impressione,
santità, è che le istituzioni e le imprese non facilitano la
conciliazione dei tempi di lavoro coi tempi della famiglia.
Santità, immaginiamo che anche per lei non sia facile
conciliare i suoi infiniti impegni con il riposo. Ha qualche
consiglio per aiutarci a ritrovare questa necessaria armonia? Nel vortice di tanti stimoli imposti dalla società contemporanea, come aiutare le famiglie a vivere la festa
secondo il cuore di Dio?».
BENEDETTO XVI: «Grande questione, e penso di capire questo dilemma tra due priorità: la priorità del posto
di lavoro è fondamentale, e la priorità della famiglia. E
come riconciliare le due priorità. Posso solo cercare di
dare qualche consiglio.
Il primo punto: ci sono imprese che permettono quasi
qualche extra per le famiglie – il giorno del compleanno
eccetera – e vedono che concedere un po’ di libertà, alla
fine va bene anche per l’impresa, perché rafforza l’amore
per il lavoro, per il posto di lavoro. Quindi, vorrei qui invitare i datori di lavoro a pensare alla famiglia, a pensare
anche ad aiutare affinché le due priorità possano essere
conciliate.
Secondo punto: mi sembra che si debba naturalmente
cercare una certa creatività, e questo non è sempre facile.
Ma almeno, ogni giorno portare qualche elemento di
gioia nella famiglia, di attenzione, qualche rinuncia alla
propria volontà per essere insieme famiglia, e di accettare
e superare le notti, le oscurità delle quali si è parlato
anche prima, e pensare a questo grande bene che è la famiglia e così, anche nella grande premura di dare qualcosa di buono ogni giorno, trovare una riconciliazione
delle due priorità.
E finalmente, c’è la domenica, la festa: spero che sia
osservata in America, la domenica. E quindi, mi sembra
molto importante la domenica, giorno del Signore e, proprio in quanto tale, anche “giorno dell’uomo”, perché
siamo liberi. Questa era, nel racconto della creazione, l’intenzione originale del Creatore: che un giorno tutti siano
liberi. In questa libertà dell’uno per l’altro, per se stessi, si
è liberi per Dio. E così penso che difendiamo la libertà
La grande sofferenza
dei separati e divorziati
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po. E far capire questo è importante. Che realmente trovino la possibilità di vivere una vita di fede, con la parola di Dio, con la comunione della Chiesa e possano vedere
che la loro sofferenza è un dono per la Chiesa, perché servono così a tutti anche per difendere la stabilità dell’amore,
del matrimonio; e che questa sofferenza non è solo un tormento fisico e psichico, ma è anche un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede.
Penso che la loro sofferenza, se realmente interiormente accettata, sia un dono per la Chiesa. Devono saperlo, che proprio così servono la Chiesa, sono nel cuore
della Chiesa. Grazie per il vostro impegno».
In chiusura, il papa ha rivolto un saluto a un gruppo
di terremotati collegati in diretta con Milano.
BENEDETTO XVI: «Cari amici, voi sapete che noi sentiamo profondamente il vostro dolore, la vostra sofferenza; e, soprattutto, io prego ogni giorno che finalmente
finisca questo terremoto. Noi tutti vogliamo collaborare
per aiutarvi: siate sicuri che non vi dimentichiamo, che
facciamo ognuno il possibile per aiutarvi – la Caritas,
tutte le organizzazioni della Chiesa, lo stato, le diverse comunità – ognuno di noi vuole aiutarvi, sia spiritualmente
nella nostra preghiera, nella nostra vicinanza di cuore, sia
materialmente e prego insistentemente per voi. Dio vi
aiuti, ci aiuti tutti! Auguri a voi, il Signore vi benedica!».
Costruire la famiglia
è costruire la Chiesa
Omelia alla messa a Bresso (MI)
Venerati fratelli, illustri autorità, cari fratelli e sorelle!
È un grande momento di gioia e di comunione quello
che viviamo questa mattina, celebrando il sacrificio eucaristico. Una grande assemblea, riunita con il successore
di Pietro, formata da fedeli provenienti da molte nazioni.
Essa offre un’immagine espressiva della Chiesa, una e
universale, fondata da Cristo e frutto di quella missione,
che, come abbiamo ascoltato nel Vangelo, Gesù ha affidato ai suoi apostoli: andare e fare discepoli tutti i popoli,
«battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 28,18-19).
Saluto con affetto e riconoscenza il cardinale Angelo
Scola, arcivescovo di Milano, e il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia,
principali artefici di questo VII Incontro mondiale delle
famiglie, come pure i loro collaboratori, i vescovi ausiliari
di Milano e gli altri presuli.
Sono lieto di salutare tutte le autorità presenti. E il
mio abbraccio caloroso va oggi soprattutto a voi, care famiglie! Grazie della vostra partecipazione!
Nella seconda Lettura, l’apostolo Paolo ci ha ricordato che nel battesimo abbiamo ricevuto lo Spirito Santo,
il quale ci unisce a Cristo come fratelli e ci relaziona al
Padre come figli, così che possiamo gridare: «Abbà!
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Padre!» (Rm 8,15; cf. 8,17). In quel momento ci è stato
donato un germe di vita nuova, divina, da far crescere
fino al compimento definitivo nella gloria celeste; siamo
diventati membri della Chiesa, la famiglia di Dio, «sacrarium Trinitatis» – la definisce sant’Ambrogio –, popolo che – come insegna il concilio Vaticano II – deriva
la sua unità dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (cf. cost. dogm. Lumen gentium, n. 4).
La solennità liturgica della santissima Trinità, che oggi
celebriamo, ci invita a contemplare questo mistero, ma ci
spinge anche all’impegno di vivere la comunione con Dio
e tra noi sul modello di quella trinitaria. Siamo chiamati
ad accogliere e trasmettere concordi le verità della fede;
a vivere l’amore reciproco e verso tutti, condividendo
gioie e sofferenze, imparando a chiedere e concedere il
perdono, valorizzando i diversi carismi sotto la guida dei
pastori. In una parola, ci è affidato il compito di edificare
comunità ecclesiali che siano sempre più famiglia, capaci
di riflettere la bellezza della Trinità e di evangelizzare non
solo con la parola, ma direi per «irradiazione», con la
forza dell’amore vissuto.
Chiamata a essere immagine del Dio unico in tre persone non è solo la Chiesa, ma anche la famiglia, fondata
sul matrimonio tra l’uomo e la donna. In principio, infatti, «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di
Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse
e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi» (Gen 1,27-28).
Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina, con
pari dignità, ma anche con proprie e complementari caratteristiche, perché i due fossero dono l’uno per l’altro, si
valorizzassero reciprocamente e realizzassero una comunità
d’amore e di vita. L’amore è ciò che fa della persona umana l’autentica immagine della Trinità, l’immagine di Dio.
Cari sposi, nel vivere il matrimonio voi non vi donate
qualche cosa o qualche attività, ma la vita intera. E il vostro amore è fecondo innanzitutto per voi stessi, perché
desiderate e realizzate il bene l’uno dell’altro, sperimentando la gioia del ricevere e del dare. È fecondo poi nella
procreazione, generosa e responsabile, dei figli, nella cura
premurosa per essi e nell’educazione attenta e sapiente.
È fecondo infine per la società, perché il vissuto familiare è la prima e insostituibile scuola delle virtù sociali,
come il rispetto delle persone, la gratuità, la fiducia, la responsabilità, la solidarietà, la cooperazione. Cari sposi,
abbiate cura dei vostri figli e, in un mondo dominato dalla
tecnica, trasmettete loro, con serenità e fiducia, le ragioni
del vivere, la forza della fede, prospettando loro mete alte
e sostenendoli nelle fragilità.
Ma anche voi figli, sappiate mantenere sempre un
rapporto di profondo affetto e di premurosa cura verso i
vostri genitori, e anche le relazioni tra fratelli e sorelle
siano opportunità per crescere nell’amore. Il progetto di
Dio sulla coppia umana trova la sua pienezza in Gesù
Cristo, che ha elevato il matrimonio a sacramento.
Cari sposi, con uno speciale dono dello Spirito Santo,
Cristo vi fa partecipare al suo amore sponsale, rendendovi segno del suo amore per la Chiesa: un amore fedele
e totale. Se sapete accogliere questo dono, rinnovando
ogni giorno, con fede, il vostro «sì», con la forza che viene
dalla grazia del Sacramento, anche la vostra famiglia
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vivrà dell’amore di Dio, sul modello della santa famiglia
di Nazaret.
Care famiglie, chiedete spesso, nella preghiera, l’aiuto
della Vergine Maria e di san Giuseppe, perché vi insegnino ad accogliere l’amore di Dio come essi lo hanno
accolto. La vostra vocazione non è facile da vivere, specialmente oggi, ma quella dell’amore è una realtà meravigliosa, è l’unica forza che può veramente trasformare,
il cosmo, il mondo. Davanti a voi avete la testimonianza
di tante famiglie, che indicano le vie per crescere nell’amore: mantenere un costante rapporto con Dio e partecipare alla vita ecclesiale, coltivare il dialogo, rispettare
il punto di vista dell’altro, essere pronti al servizio, essere
pazienti con i difetti altrui, saper perdonare e chiedere
perdono, superare con intelligenza e umiltà gli eventuali
conflitti, concordare gli orientamenti educativi, essere
aperti alle altre famiglie, attenti ai poveri, responsabili
nella società civile.
Sono tutti elementi che costruiscono la famiglia. Viveteli con coraggio, certi che, nella misura in cui, con
il sostegno della grazia divina, vivrete l’amore reciproco e verso tutti, diventerete un Vangelo vivo, una
vera Chiesa domestica (cf. es. ap. Familiaris consortio,
n. 49). Una parola vorrei dedicarla anche ai fedeli che,
pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla
famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione. Sappiate che il papa e la
Chiesa vi sostengono nella vostra sofferenze e fatica.
Vi incoraggio a rimanere uniti alle vostre comunità,
mentre auspico che le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza.
La gratuità della festa
Nel libro della Genesi, Dio affida alla coppia umana
la sua creazione, perché la custodisca, la coltivi, la indirizzi secondo il suo progetto (cf. 1,27-28; 2,15). In questa indicazione della sacra Scrittura possiamo leggere il
compito dell’uomo e della donna di collaborare con Dio
per trasformare il mondo, attraverso il lavoro, la scienza
e la tecnica. L’uomo e la donna sono immagine di Dio
anche in questa opera preziosa, che devono compiere
con lo stesso amore del Creatore.
Noi vediamo che, nelle moderne teorie economiche,
prevale spesso una concezione utilitaristica del lavoro,
della produzione e del mercato. Il progetto di Dio e la
stessa esperienza mostrano, però, che non è la logica
unilaterale dell’utile proprio e del massimo profitto
quella che può concorrere a uno sviluppo armonico, al
bene della famiglia e a edificare una società più giusta,
perché porta con sé concorrenza esasperata, forti disuguaglianze, degrado dell’ambiente, corsa ai consumi,
disagio nelle famiglie.
Anzi, la mentalità utilitaristica tende a estendersi
anche alle relazioni interpersonali e familiari, riducendole a convergenze precarie di interessi individuali e
minando la solidità del tessuto sociale.
Un ultimo elemento. L’uomo, in quanto immagine
di Dio, è chiamato anche al riposo e alla festa. Il rac-
conto della creazione si conclude con queste parole:
«Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro
che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo
lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno
e lo consacrò» (Gen 2,2-3).
Per noi cristiani, il giorno di festa è la domenica,
giorno del Signore, Pasqua settimanale. È il giorno
della Chiesa, assemblea convocata dal Signore attorno
alla mensa della Parola e del sacrificio eucaristico,
come stiamo facendo noi oggi, per nutrirci di lui, entrare nel suo amore e vivere del suo amore.
È il giorno dell’uomo e dei suoi valori: convivialità,
amicizia, solidarietà, cultura, contatto con la natura,
gioco, sport. È il giorno della famiglia, nel quale vivere
assieme il senso della festa, dell’incontro, della condivisione, anche nella partecipazione alla santa messa.
Care famiglie, pur nei ritmi serrati della nostra
epoca, non perdete il senso del giorno del Signore! È
come l’oasi in cui fermarsi per assaporare la gioia dell’incontro e dissetare la nostra sete di Dio.
Famiglia, lavoro, festa: tre doni di Dio, tre dimensioni della nostra esistenza che devono trovare un armonico equilibrio. Armonizzare i tempi del lavoro e le
esigenze della famiglia, la professione e la maternità, il
lavoro e la festa, è importante per costruire società dal
volto umano. In questo privilegiate sempre la logica
dell’essere rispetto a quella dell’avere: la prima costruisce, la seconda finisce per distruggere.
Occorre educarsi a credere, prima di tutto in famiglia, nell’amore autentico, quello che viene da Dio e ci
unisce a lui e proprio per questo «ci trasforma in un
noi, che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una
cosa sola, fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti”
(1Cor 15,28)» (BENEDETTO XVI, lett. enc. Deus caritas est, n. 18; Regno-doc. 1,2006 [Suppl.],72). Amen.
Al termine della celebrazione eucaristica, il papa ha
recitato la preghiera dell’Angelus che ha accompagnato
dalle seguenti parole.
Cari fratelli e sorelle! Non trovo parole per ringraziare per questa festa di Dio, per questa comunione
della famiglia di Dio che noi siamo. Alla fine di questa
celebrazione, un grande grazie a Dio che ci ha donato
questa grande esperienza ecclesiale.
Da parte mia, rivolgo un sentito ringraziamento a
tutti coloro che hanno lavorato per questo evento, a partire dal cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio consiglio per la famiglia – grazie, eminenza! –, e dal
cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano – grazie!
Anche per questo bel tempio di Dio che ci ha donato. Ringrazio tutti i responsabili dell’organizzazione
e tutti i volontari. E sono lieto d’annunciare che il prossimo Incontro mondiale delle famiglie avrà luogo nel
2015, a Philadelphia, negli Stati Uniti d’America. Saluto l’arcivescovo di Philadelphia, mons. Charles Chaput, e lo ringrazio fin d’ora per la disponibilità offerta.
Bresso (MI), Parco Nord, 3 giugno 2012.
BENEDETTO XVI
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CITTÀ DEL VATICANO
Contro le
attività illegali
in campo finanziario/2
Legge n. CLXVI
Pontificia commissione per lo Stato
della Cit tà del Vaticano
Modifiche e integrazioni
alla Legge del 30 dicembre 2010, n. CXXVII
Perno dell’azione intrapresa dalla Santa Sede e dallo Stato della Città del Vaticano (SCV) per allinearsi agli standard
richiesti in ambito internazionale in
materia di contrasto delle attività finanziarie illegali, la Legge del 30 dicembre 2010, n. CXXVII (Regno-doc.
3,2011,78ss; Regno-att. 4,2011,73ss) ha
ricevuto «modifiche e integrazioni» con
il Decreto del 25 gennaio 2012, n. CLIX,
convertito in legge il 24 aprile 2012 e finalmente pubblicato dal Governatorato SCV. Anche a uno sguardo non tecnico appare evidente che si tratta di una
complessiva riscrittura. In particolare
risultano del tutto diversi l’intero capo
I, che si arricchisce di un capo I bis «Autorità competenti», e il capo II «Disposizioni penali in materia di riciclaggio». Anche i capi V «Obblighi di adeguata verifica», VI «Obblighi di registrazione e conservazione» e XI «Sanzioni amministrative», così come alcuni articoli dei capi dal VII all’XI risultano
decisamente ampliati. La legge, così
modificata, è – insieme alle altre misure di fine 2010 – tuttora all’esame degli
organismi internazionali dal cui giudizio dipende l’ingresso dello Stato della
Città del Vaticano e della Santa Sede nella cosiddetta white list dei paesi virtuosi in questo ambito.
Stampa (31.5.2012) da sito web www.vaticanstate.va.
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La Pontificia commissione per lo Stato della Città del
Vaticano
– vista la Legge fondamentale dello Stato della Città del
Vaticano, art. 7, comma 2, del 26 novembre 2000;
– vista la Legge sulle fonti del diritto del l° ottobre 2008,
n. LXXI;
– visto il Decreto del presidente del Governatorato dello
Stato della Città del Vaticano, n. CLIX, con il quale sono
promulgate modifiche e integrazioni alla Legge concernente
la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo del 30 dicembre 2010, n. CXXVII;
– visto che sono fatte salve le disposizioni contenute nei
regolamenti e nelle istruzioni adottate dall’Autorità di informazione finanziaria prima del 26 gennaio 2012, in
quanto compatibili con la Legge del 30 dicembre 2010, n.
CXXVII, come modificata e integrata dal Decreto del presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano del 25 gennaio 2012, n. CLIX;
ha approvato la seguente legge.
Articolo 1
Sono confermate le disposizioni contenute nel Decreto
del presidente del Governatorato dello Stato della Città del
Vaticano del 25 gennaio 2012, n. CLIX, con le quali sono
promulgate modifiche e integrazioni alla Legge concernente
la prevenzione e il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose e del finanziamento del terrorismo del 30 dicembre 2010, n. CXXVII, secondo il testo allegato che
costituisce parte integrante della presente legge.
Articolo 2
Sono abrogate le disposizioni incompatibili o in contrasto con la presente legge.
Articolo 3
La presente legge entra in vigore il 24 aprile 2012.
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Il testo della presente legge è stato sottoposto al sommo
pontefice il 13 aprile 2012.
L’originale della legge medesima, munito del sigillo dello
stato, sarà depositato nell’Archivio delle leggi dello Stato
della Città del Vaticano e il testo corrispondente sarà pubblicato nel Supplemento degli Acta apostolicae sedis, mandandosi a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare.
petenti ed i soggetti tenuti al rispetto degli obblighi stabiliti
dalla presente legge, ai fini della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
– favorire la collaborazione attiva tra le Autorità competenti a livello interno e internazionale ai fini della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e del finanziamento
del terrorismo;
ha ordinato e ordina quanto appresso da osservarsi come
legge dello Stato:
Città del Vaticano, ventiquattro aprile duemiladodici.
✠ GIUSEPPE card. BERTELLO,
presidente
visto
✠ GIUSEPPE SCIACCA,
vescovo tit. di Vittoriana,
segretario generale
Allegato
Decreto n. CLIX
La Pontificia commissione per lo Stato della Città del
Vaticano
– visto il Trattato del Laterano, sottoscritto in Roma, fra
la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929;
– vista la Legge fondamentale dello Stato della Città del
Vaticano del 26 novembre 2000;
– vista la Legge sulle fonti del diritto del l° ottobre 2008,
n. LXXI;
– vista la Legge sull’ordinamento economico, commerciale
e professionale del 7 giugno 1929, n. V;
considerato che:
– il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo sono fenomeni in costante evoluzione, anche sul piano tecnologico,
minacciando la stabilità, l’integrità e il funzionamento regolare dei settori economico e finanziario, nonché la reputazione degli operatori economici e finanziari;
– ogni giurisdizione è chiamata a fornire il proprio contributo, adeguando l’ordinamento interno e cooperando a
livello internazionale ai fini della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
– la Convenzione monetaria tra lo Stato della Città del
Vaticano e l’Unione Europea del 17 dicembre 2009 prevede
l’adozione di adeguate misure ai fini della prevenzione e del
contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
tenuto conto che:
– nello Stato vige un regime di monopolio pubblico nei
settori economico, finanziario e professionale;
allo scopo di:
– adeguare l’ordinamento interno dello Stato alla normativa internazionale in materia di prevenzione e contrasto
del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
– promuovere la trasparenza e l’integrità dei settori economico, finanziario e professionale;
– sostenere la collaborazione attiva tra le Autorità com-
Capo I
Definizioni, principi generali
e ambito di applicazione
Articolo 1
Definizioni
Ai soli fini della presente legge, si intende per:
1. «attività svolta professionalmente»: un’attività economica organizzata, esercitata in maniera abituale, al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi, svolta in
nome e per conto di terzi;
2. «autorità pubblica»: organismo o ente che, in base all’ordinamento interno, svolge, direttamente o indirettamente, un’attività istituzionale espressione dell’autorità
sovrana;
3. «persona giuridica»: ogni persona giuridica, qualunque sia la natura e l’attività, incluse le fondazioni e i trust,
non rientrante nella definizione di autorità pubblica;
4. «riciclaggio»:
a) gli atti di cui all’articolo 421 bis del Codice penale; b) il
concorso in uno degli atti di cui all’articolo 421 bis del Codice penale, l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare
qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione;
5. «reato presupposto»: uno dei reati presupposto del riciclaggio contenuti nei seguenti articoli del Codice penale:
138 bis (associazioni con finalità di terrorismo o di eversione); 138 ter (finanziamento del terrorismo); 138 quater
(arruolamento con finalità di terrorismo o di eversione); 138
quinquies (addestramento ad attività con finalità di terrorismo o di eversione); 138 sexies (attentato per finalità di terrorismo o di eversione); 138 septies (atti di terrorismo o di
eversione con armi o dispositivi esplodenti o letali); 145-154
(delitti contro la libertà individuale); 171-174 (corruzione);
248-249 (associazione per delinquere); 256-258 (falsità in
monete e carte di pubblico credito); 295-297 (frodi nei commerci, nelle industrie e negli incanti); 299 bis (abuso di informazioni privilegiate); 299 ter (manipolazione del
mercato); 311 bis (pirateria); 326 bis (produzione, traffico e
detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope); 326
ter (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope); 326 quinquies (prescrizioni abusive);
331-339 (delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie); 364-371 (omicidio); 372-375 (lesioni personali); 402404 (furto); 406-412 (rapina, estorsione e ricatto); 413 (truffa
e altre frodi); 416 bis (malversazione a danno dello stato);
416 ter (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni
pubbliche); 416 quater (indebita percezione di erogazioni a
danno dello stato); 417-420 (appropriazione indebita); 421
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(ricettazione); 422 (usurpazione); 459 bis (contrabbando);
460-470 (contravvenzioni concernenti le armi e i dispositivi
esplodenti o letali); 472 bis (reati contro l’ambiente); 472 ter
(attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti); nonché
ogni fattispecie di reato punita dal Codice penale, nel minimo, con la reclusione o l’arresto pari o superiore a sei mesi,
o nel massimo, con la reclusione o l’arresto pari o superiore
a un anno;
6. «atti con finalità di terrorismo»: ai fini degli articoli
138 bis, ter, quater, quinquies, sexies e septies del Codice penale, le condotte destinate a procurare la morte o gravi lesioni personali ai civili o alle persone che non partecipano
direttamente alle ostilità in caso di conflitto armato, che, per
loro natura o contesto, sono compiute allo scopo di:
a) intimidire una popolazione; b) costringere le autorità
pubbliche o un’organizzazione internazionale a compiere o
astenersi dal compiere un qualsiasi atto;
7. «atti con finalità di eversione»: ai fini degli articoli 138
bis, ter, quater, quinquies, sexies e septies del Codice penale, le
condotte destinate a procurare la morte o lesioni personali
ai civili o alle persone che non partecipano direttamente alle
ostilità in caso di conflitto armato, che, per loro natura o
contesto, sono compiute allo scopo di destabilizzare le strutture politiche, costituzionali, economiche e sociali fondamentali di uno stato o di un’organizzazione internazionale;
8. «finanziamento del terrorismo»:
a) gli atti di cui all’articolo 138 ter del Codice penale; b) il
concorso in uno degli atti di cui all’articolo 138 ter del Codice
penale, l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di
perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno
a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione;
9. «armi o dispositivi esplodenti o letali»: le armi o i dispositivi:
a) esplodenti o incendiari concepiti per causare la morte,
gravi lesioni personali o ingenti danni materiali, o in grado
di causarli; b) concepiti per causare la morte o gravi lesioni
personali, o in grado di causarli, mediante l’emissione, la
propagazione o l’impatto di prodotti chimici tossici, di
agenti biologici, tossine o sostanze analoghe, o di radiazioni
o materiali radioattivi;
10. «denaro contante»:
a) il denaro contante (banconote e monete in circolazione come mezzo di scambio); b) i titoli emessi o negoziabili al portatore, inclusi gli assegni turistici, gli assegni, i titoli
all’ordine e i mandati di pagamento emessi o girati senza
restrizioni a favore di un beneficiario fittizio o emessi o girati
in maniera tale che il relativo titolo si trasmetta alla consegna, nonché i titoli incompleti, firmati ma privi del nome
del beneficiario;
11. «beni»: i beni di qualsiasi tipo, materiali o immateriali, mobili o immobili, e i documenti o gli strumenti aventi
valore legale, in qualsiasi forma, anche elettronica o digitale, recanti un diritto, titolo o interesse sui beni medesimi;
12. «risorse economiche»: le attività e le utilità di qualsiasi tipo, materiali o immateriali, mobili o immobili, inclusi
gli accessori, le pertinenze e i frutti, che non sono beni ma
che possono essere utilizzate per ottenere beni o servizi;
13. «soggetti individuati»: le persone fisiche, le persone
giuridiche, le associazioni e qualsiasi tipo di gruppo o entità
individuati come destinatari del congelamento di beni o
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altre risorse economiche ai sensi dell’articolo 24 della presente legge;
14. «congelamento»:
a) con riferimento ai beni, il divieto di movimentazione,
trasferimento, modifica, utilizzo o gestione dei beni o di accesso a essi, così da modificarne il volume, l’importo, la collocazione, la proprietà, il possesso, la natura, la destinazione
o qualsiasi altro cambiamento che consente l’uso dei beni,
compresa la gestione di portafogli titoli; b) con riferimento
alle risorse economiche, il divieto di movimentazione, trasferimento, modifica, utilizzo o gestione delle risorse economiche, incluse la vendita, la locazione o la costituzione di
qualsiasi altro diritto reale o di garanzia, al fine di ottenere
in qualsiasi modo beni o servizi;
15. «titolare effettivo»: la persona o le persone fisiche
per conto delle quali è realizzata una prestazione o transazione, ovvero, in caso di società o persona giuridica, la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, sono titolari
o controllano la società o persona giuridica, o ne risultano
beneficiari secondo i criteri di cui all’Allegato della presente
legge;
16. «dati identificativi»: il nome e il cognome, il luogo e
la data di nascita, l’indirizzo e gli estremi del documento di
identificazione o, nel caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, la denominazione e la sede legale;
17. «prestatori di servizi relativi a società o persone giuridiche»: ogni persona fisica o giuridica che svolge professionalmente una delle attività elencate nell’articolo 2,
comma 1, lettera b), numero ii), della presente legge;
18. «persone politicamente esposte»: persone che occupano o che hanno occupato importanti cariche pubbliche, come pure i loro familiari diretti o coloro con i quali
tali persone intrattengono notoriamente stretti legami, individuate sulla base dei criteri di cui all’Allegato della presente legge;
19. «sostanze stupefacenti o psicotrope»: qualsiasi elemento o sostanza, naturali o sintetici, i cui principi attivi possono provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali o
effetti simili sul sistema nervoso centrale;
20. «banca di comodo»: banca o ente creditizio che
svolge attività simili, che sia stato costituito in uno stato in cui
non ha alcuna presenza fisica e che consenta di esercitare la
direzione e una gestione reale e che non sia collegato ad
alcun gruppo finanziario regolamentato;
21. «conti correnti di corrispondenza»: conti tenuti dalle
banche, di norma su base bilaterale, per il regolamento dei
servizi interbancari (rimesse di effetti, assegni circolari e bancari, ordini di versamento, giri di fondi, rimesse documentate e altre transazioni);
22. «prestatore di servizi di pagamento»: persona fisica
o giuridica le cui attività comprendono la prestazione di servizi di pagamento o di trasferimento di fondi;
23. «servizi di pagamento»: servizi che permettono l’esecuzione di depositi, prelievi, transazioni e ordini di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, relativamente a un
conto di pagamento, ovvero l’emissione e/o l’acquisizione di
strumenti di pagamento e le rimesse di denaro contante;
24. «trasferimento di fondi»: transazione effettuata per
conto di un ordinante, per via elettronica, da un prestatore
di servizi di pagamento, allo scopo di mettere i fondi a di-
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sposizione del beneficiario del pagamento presso un prestatore di servizi di pagamento; l’ordinante e il beneficiario del
pagamento possono essere la medesima persona;
25. «rapporto»: rapporto d’affari, ossia un rapporto di
natura professionale o commerciale, che sia correlato con le
attività professionali svolte dai soggetti di cui all’articolo 2,
comma 1, e che, nel momento della sua instaurazione, si
presuma possa avere una certa durata;
26. «prestazione»: prestazione di natura professionale o
commerciale correlata con una delle attività svolte dai soggetti di cui all’articolo 2, comma 1;
27. «transazione»:
a) la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento; b) per i soggetti indicati nell’articolo 2, comma 1,
lettera c), un’attività determinata o determinabile, finalizzata a un obiettivo di natura finanziaria o patrimoniale modificativo della situazione giuridica esistente, da realizzare
tramite una prestazione professionale;
28. «transazione collegata»: una transazione, ancorché
autonoma, che unitamente a un’altra o ad altre costituisca
una transazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore a euro 15.000, effettuate in momenti diversi e in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette
giorni lavorativi;
29. «mezzi di pagamento»: denaro contante, assegni
bancari e postali, assegni circolari e altri titoli a essi assimilabili o equiparabili, ordini di accreditamento o di pagamento, carte di credito e altre carte di pagamento, nonché
ogni altro strumento che consenta di trasferire, movimentare o acquisire, anche per via telematica, fondi, valori o disponibilità finanziarie;
30. «strumenti finanziari»: valori mobiliari; strumenti
del mercato monetario; quote di organismi di investimento
collettivo; contratti di opzione; strumenti finanziari derivati.
Articolo 1 bis
Trasparenza e integrità
dei settori economico, finanziario e professionale
Al fine di tutelare e promuovere l’integrità e la trasparenza dei settori economico, finanziario e professionale,
nello Stato sono vietati:
a) l’apertura o la tenuta di conti, depositi, libretti di risparmio o analoghi rapporti, anonimi o cifrati o intestati a
nomi fittizi o di fantasia; b) l’apertura o la tenuta di conti di
corrispondenza con una banca di comodo, ovvero l’apertura o il mantenimento di conti di corrispondenza con una
banca o con un ente creditizio o finanziario che, in maniera
pubblicamente nota, consentano a una banca di comodo di
utilizzare i propri conti; c) l’apertura di case da gioco.
Articolo 1 ter
Ordinamento generale e diritto alla riservatezza
1. Le politiche, le misure e le procedure richieste dalla
presente legge allo scopo della prevenzione e del contrasto
del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo sono adottate e attuate in maniera coerente:
a) al contesto sociale e al regime di monopolio pubblico
vigente nello Stato nei settori economico, finanziario e professionale; b) alla natura istituzionale dei soggetti obbligati ai
sensi dell’articolo 2, comma 1; c) al rischio connesso alla categoria di controparte o alla tipologia di rapporto, di prestazione o di transazione.
2. Le disposizioni della presente legge sono interpretate
e attuate in maniera conforme ai principi generali dell’ordinamento canonico, primaria fonte interpretativa e normativa e dell’ordinamento dello Stato.
3. Le disposizioni della presente legge sono attuate senza
pregiudizio del diritto alla riservatezza, come tutelato dai
principi generali e dalle norme fondamentali dell’ordinamento vigente, fatte salve le eccezioni espressamente stabilite dalla presente legge ai fini della collaborazione e dello
scambio di informazioni tra le autorità competenti per la
prevenzione e il contrasto del riciclaggio e del finanziamento
del terrorismo.
Articolo 2
Ambito di applicazione
1. Sono tenuti a osservare gli obblighi di adeguata verifica, di registrazione e conservazione, nonché di segnalazione delle transazioni sospette:
a) tutti i soggetti, siano essi persone fisiche o giuridiche,
che svolgono professionalmente una delle seguenti attività:
i) raccolta pubblica di depositi o di fondi rimborsabili; ii)
concessione di prestiti; iii) leasing finanziario; iv) trasferimento di fondi; v) emissione e gestione di mezzi di pagamento; vi) rilascio di garanzie e di impegni di firma; vii)
intermediazione per qualsiasi tipologia di strumenti finanziari, cambi e contratti su tassi di cambio o d’interesse; viii)
partecipazione all’emissione di titoli e offerta di servizi finanziari connessi; ix) gestione di portafogli titoli sia individuali sia collettivi; x) raccolta e gestione di denaro contante
o altri titoli; xi) qualsiasi altra forma di investimento, di amministrazione o di gestione di denaro contante, di beni o risorse economiche; xii) offerta di contratti di assicurazione
sulla vita o di investimenti assicurativi connessi; xiii) operazioni di cambio;
b) i seguenti professionisti:
i) avvocati, notai, revisori dei conti, consulenti contabili
e tributari esterni, quando prestano la loro opera o partecipano a una qualsiasi operazione finanziaria o immobiliare o assistono qualcuno nella progettazione o nella
realizzazione di operazioni riguardanti: 1’acquisto e la
vendita di beni immobili o imprese; la gestione di denaro,
strumenti finanziari o altri beni o altre risorse economiche; 1’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di risparmio o conti titoli; l’organizzazione dei contributi
necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società o persone giuridiche; ii) prestatori di servizi relativi a società o persone giuridiche, quando
costituiscono una società o persona giuridica; occupano
la funzione di dirigente, di amministratore o di socio di
una società, o una funzione analoga in una persona giuridica, o provvedono affinché un’altra persona occupi tale
posizione; forniscono una sede legale, un indirizzo commerciale, amministrativo o postale e altri servizi connessi
a una società o persona giuridica; occupano la funzione di
fiduciario in un trust espresso o in un ente analogo o provvedono affinché un’altra persona occupi tale posizione;
esercitano il ruolo di azionista per conto di terzi o prov-
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IOR: sfiducia al presidente
L
a Legge del 30.12.2010, n. CXXVII e le successive modifiche
riportate in queste pagine non lo citano mai esplicitamente,
ma l’Istituto per le opere di religione (IOR) riveste con tutta evidenza un ruolo centrale nel contrasto delle attività illegali in
campo finanziario su cui la Santa Sede si è particolarmente impegnata in questi anni (cf. il Comunicato della Segreteria di stato
del 30.12.2010, n. 5; Regno-doc. 3,2011,77). Anche la nomina di Ettore Gotti Tedeschi alla presidenza dello IOR, nel settembre
2009, era stata presentata e interpretata sotto questo segno. Ha
destato pertanto clamore la notizia, annunciata dalla Sala
stampa della Santa Sede il 24 maggio con una dichiarazione
(www.vatican.va), che Gotti Tedeschi era stato oggetto di una
«mozione di sfiducia» da parte del Consiglio di sovrintendenza
dell’IOR, seguita poche ore dopo dalla pubblicazione, sul Corriere della sera, della «notifica e promemoria del voto alla risoluzione e di sfiducia», indirizzata dal medesimo Consiglio al presidente uscente (traduzione dall’inglese dal blog di S. Magister
«Settimo cielo»: http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/). Per un’analisi della vicenda, anche in relazione alle ripetute fughe di documenti avvenute nella Santa Sede in questi
mesi, cf. ampiamente Regno-att. 10,2012,304.
Dichiarazione della Santa Sede
Il 24 maggio 2012 il Consiglio di sovrintendenza dell’Istituto per
le opere di religione (IOR) si è riunito in sessione ordinaria. Fra i temi
in agenda, c’era ancora una volta la governance dell’Istituto. Nel
tempo, questa ha destato progressiva preoccupazione nel Consiglio e, nonostante ripetute comunicazioni in tal senso al prof. Gotti
Tedeschi, presidente dell’IOR, la situazione è ulteriormente deteriorata.
vedono affinché un’altra persona occupi tale posizione,
purché non si tratti di una società ammessa alla quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta agli obblighi di comunicazione.
Al fine di tutelare il segreto professionale, l’obbligo di
segnalazione di transazioni sospette non si applica ai professionisti indicati nella lettera b), numero i), per le informazioni che essi ricevono nel corso dell’esame della
posizione giuridica dell’assistito o nella difesa o rappresentanza del medesimo in una mediazione, in un arbitrato o
in un procedimento di natura giudiziaria o amministrativo, compresa la consulenza sull’eventualità di avviare o
evitare un procedimento, qualunque sia il momento in cui
si ricevono le informazioni.
c) i seguenti soggetti: i) agenti immobiliari, in caso di
transazione per la compravendita di beni immobili; ii)
commercianti di metalli o di pietre preziose, in caso di
transazione di importo pari o superiore a euro 15.000.
2. Le autorità pubbliche, qualora siano a conoscenza,
sospettino o abbiano motivi ragionevoli di sospettare che
denaro contante, beni o altre risorse economiche siano i
proventi di un reato, o che siano in corso o che siano stati
compiuti o tentati atti finalizzati al riciclaggio o al finanziamento del terrorismo, inviano una segnalazione all’Autorità di informazione finanziaria.
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Dopo una delibera, il Board (composto, oltre che dal presidente
Gotti Tedeschi, da R.H. Schmitz, C.A. Anderson, A.M. Marocco e M. Soto
Serrano; ndr) ha adottato all’unanimità un voto di sfiducia del presidente, per non avere svolto varie funzioni di primaria importanza per
il suo ufficio. Su tale base è stata rilasciata la seguente dichiarazione:
«Nella sede di riunione ordinaria di questo Consiglio di sovrintendenza dell’Istituto per le opere di religione, il 24 maggio 2012, alle ore
14, questo Consiglio ha adottato una mozione di sfiducia del presidente
Gotti Tedeschi e ha raccomandato la cessazione del suo mandato quale
presidente e membro del Consiglio. I membri del Consiglio sono rattristati per gli avvenimenti che hanno condotto al voto di sfiducia, ma
considerano che quest’azione sia importante per mantenere la vitalità
dell’Istituto. Il Consiglio adesso guarda avanti, al processo di ricerca di
un nuovo ed eccellente presidente, che aiuterà l’Istituto a ripristinare
efficaci e ampie relazioni fra l’Istituto e la comunità finanziaria, basate
sul mutuo rispetto di standard bancari internazionalmente accettati».
Domani si riunirà la Commissione cardinalizia (di vigilanza sullo
IOR; presieduta dal card. T. Bertone e composta dai cardd. T.P. Toppo,
O.P. Scherer, J.-L. Tauran e A. Nicora; ndr) per trarre le conseguenze della
delibera del Consiglio e decidere i passi più opportuni per il futuro.
Notifica e promemoria
del Consiglio di sovrintendenza dello IOR
A Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto per le opere di religione,
da Carl Anderson, membro del Consiglio di sovrintendenza. Data: 24
maggio 2012. Soggetto: Governance.
Questa notifica e promemoria della sessione ordinaria del Consiglio di sovrintendenza le rende note e le fornisce le ragioni per cui, nella
sua qualità di presidente dell’Istituto, ha ricevuto un voto di sfiducia dai
Articolo 2 bis
Filiali, succursali ed enti controllati
1. Le filiali e le succursali dei soggetti di cui all’articolo
2, comma 1, nonché gli enti da questi controllati, in maniera esclusiva o congiunta, diretta o indiretta, situati in un
altro stato, sono sottoposti agli obblighi stabiliti dalla presente legge.
2. Nei casi in cui gli obblighi stabiliti dallo stato estero
non siano equivalenti a quelli stabiliti dalla presente legge,
le filiali, succursali o enti controllati, operano in conformità
agli obblighi stabiliti dalla presente legge, nei limiti consentiti dall’ordinamento dello stato estero.
3. Nei casi in cui gli obblighi stabiliti dallo stato estero
non siano equivalenti a quelli stabiliti dalla presente legge,
le filiali, succursali o enti controllati informano l’Autorità di
informazione finanziaria.
Articolo 2 ter
Organizzazione e formazione del personale
1. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, adottano adeguate politiche, assetti organizzativi, misure e procedure ai
fini della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, aggiornandoli anche sulla base
dello sviluppo della tecnologia e dei fenomeni del riciclaggio
e del finanziamento del terrorismo.
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membri di questo Consiglio, nella giornata di oggi, 24 maggio 2012, e registra i fatti relativi. Questo promemoria le viene fornito a motivo
delle circostanze singolari del suo abbandono dell’edificio dell’Istituto
nel corso della sessione del Consiglio.
Il Consiglio ha iniziato la sua sessione ordinaria alle 14, o poco più
tardi, per discutere, tra le altre cose, della questione della governance
dell’Istituto. L’incontro si è tenuto negli uffici dell’Istituto, come di
consueto, e in inglese, come da abitudine. Erano a disposizione anche
servizi di traduzione. Tutti i membri e officiali del Consiglio erano presenti all’inizio dei lavori.
Durante la riunione, lei ha sollevato sua sponte la questione della
governance dell’Istituto e le è stata data l’opportunità di parlare liberamente su tale questione, una materia che era stata regolarmente
messa in agenda. Lei ha parlato per più di 70 minuti. Il Consiglio ha preso
in considerazione ciascuna delle sue questioni, le ha consentito di
esporre le sue osservazioni senza essere interrotto, e poi si è impegnato
in ulteriori discussioni.
Successivamente, le è stato chiesto se aveva qualche altra questione
o informazione che desiderava fornire, prima che il Consiglio procedesse
con la governance messa in agenda, i cui motivi le sono stati spiegati.
Lei ha dichiarato che non aveva altre questioni. Allora il Consiglio le ha
chiesto di lasciare la sessione, in attesa delle sue valutazioni e del voto.
Verso le 15.40 è stata presentata in Consiglio una mozione di sfiducia. I membri hanno discusso e valutato la mozione, e hanno esposto, assieme alla risoluzione di sfiducia, le relative motivazioni. Le motivazioni erano basate su informazioni note ai membri del Consiglio.
Durante la discussione, alle 16 lei ha abbandonato l’edificio dell’Istituto
senza darne avviso e senza aspettare di ricevere sia la notizia sia i risultati del voto di sfiducia.
I motivi della decisione del Consiglio sono stati letti e messi a verbale, e trattati come basi distinte per il voto di sfiducia. Le basi sono
state regolarmente registrate nel verbale della sessione e includono: l’incapacità di adempiere i doveri di base che spettano al presidente; l’incapacità di tenersi informato sulle attività dell’Istituto e di tenerne in-
2. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, selezionano
coloro che svolgono funzioni di amministrazione, direzione
e controllo, tra persone in possesso di adeguata competenza
e professionalità.
3. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, adottano politiche e misure per garantire un adeguato livello professionale del personale, dei consulenti e dei collaboratori, a
qualsiasi titolo, al fine della corretta ed efficace attuazione
degli obblighi stabiliti dalla presente legge.
Le misure comprendono programmi di formazione e di
aggiornamento in materia di prevenzione del riciclaggio e
del finanziamento del terrorismo.
Articolo 2 quater
Registrazione delle persone giuridiche
1. Le persone giuridiche aventi sede legale nello Stato,
qualunque sia la loro natura e attività, a norma delle disposizioni dell’ordinamento vigente, sono registrate presso il
Governatorato, dove sono conservati e aggiornati i dati e le
informazioni relativi alla natura, all’attività, all’organizzazione, agli organi di amministrazione, di direzione e di controllo.
2. Il registro di cui al comma 1 è accessibile alle autorità
competenti ai fini della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
formato il Consiglio, l’abbandono e la mancata presenza alle sessioni
del Consiglio; il mostrare mancanza di prudenza e precisione in dichiarazioni riguardanti l’Istituto; l’incapacità di fornire qualsiasi precisa spiegazione sulla diffusione di documenti conosciuti come in
possesso del presidente; la diffusione di notizie inesatte riguardanti
l’Istituto; l’incapacità di rappresentare pubblicamente e difendere
l’Istituto di fronte a notizie inesatte da parte dei media, il creare divisioni nell’Istituto e l’alienarsi i suoi componenti, il comportamento personale sempre più bizzarro (erratic; ndt).
Il Consiglio ha anche esaminato le affermazioni fatte da lei durante la sessione del 24 maggio 2012 e ha stabilito che una o più di
tali affermazioni non erano corrette. Il Consiglio ha preso nota in
modo speciale delle sue precedenti assenze, non scusate né spiegate, dalle sessioni del Consiglio e ha ulteriormente stabilito che le
affermazioni da lei fatte durante la sessione odierna hanno confermato la sua precedente incapacità di fornire piena e adeguata informazione al Consiglio nel passato.
Intorno alle 17, il Consiglio ha votato che le sopra menzionate
motivazioni formavano la base per l’adozione della risoluzione di sfiducia, che stabilisce come segue:
«Questo Consiglio di sovrintendenza dell’Istituto per le opere
di religione non ripone più fiducia nel presidente Ettore Gotti Tedeschi, e raccomanda la cessazione del suo mandato come presidente e membro di questo Consiglio».
Avendo adottata la risoluzione, gli atti e i documenti relativi a
questa materia sono stati, sulla base di mozioni, trattenuti da me
come segretario di queste sessioni e trasmessi intatti in copie autentiche alla Commissione cardinalizia sia per una valutazione sia
per le conseguenze della decisione del Consiglio.
Questa parte della sessione del Consiglio è stata temporaneamente aggiornata alle 17.30, con i restanti punti dell’agenda da esaminare successivamente.
CARL ANDERSON, membro
Capo I bis
Autorità competenti
Articolo 2 quinquies
Segreteria di stato
1. La Segreteria di stato è competente per la definizione
delle politiche ai fini della prevenzione e del contrasto del
riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. In tali settori,
promuove la collaborazione tra le autorità della Santa Sede
e dello Stato competenti nella prevenzione e nel contrasto
del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
2. La Segreteria di stato cura l’adesione della Santa Sede
a trattati e accordi internazionali, nonché le relazioni e la
partecipazione della Santa Sede alle istituzioni e organismi
internazionali competenti nel definire le norme e le buone
pratiche in materia di prevenzione e di contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
Articolo 2 sexies
Pontificia commissione per lo Stato
della Città del Vaticano
La Pontificia commissione per lo Stato della Città del
Vaticano è competente per l’adozione di regolamenti generali di attuazione della presente legge.
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Articolo 2 septies
Autorità di informazione finanziaria
1. L’Autorità di informazione finanziaria svolge le funzioni stabilite dalla presente legge con autonomia e indipendenza operative e, in attuazione di tali principi, è dotata
di adeguate risorse.
2. Con riferimento all’attività di vigilanza sui soggetti di
cui all’articolo 2, comma 1, l’Autorità di informazione finanziaria:
a) vigila ai fini del rispetto degli obblighi stabiliti dalla
presente legge ai fini della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo;
b) verifica, anche mediante ispezioni, l’adeguatezza e
l’efficacia delle politiche, degli assetti organizzativi, delle misure e delle procedure adottate in attuazione dell’articolo 2
ter ai fini della prevenzione e del contrasto del riciclaggio e
del finanziamento del terrorismo.
Le ispezioni sono disciplinate con regolamento della
Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano.
L’Autorità di informazione finanziaria può stipulare protocolli d’intesa con i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1,
ai fini delle attività di cui alle lettere a) e b).
c) emana linee guida e disposizioni di attuazione in materia di:
i) obblighi di adozione di politiche, assetti organizzativi,
misure e procedure stabiliti dall’articolo 2 ter; ii) obblighi di
adeguata verifica, di registrazione e conservazione, e di segnalazione di transazioni sospette, stabiliti dai Capi V, VI
e·VII; iii) trasferimento di fondi.
3. Con riferimento alle segnalazioni di transazioni sospette, l’Autorità di informazione finanziaria:
a) riceve le segnalazioni di transazioni sospette; b) effettua l’analisi finanziaria delle segnalazioni di transazioni sospette ricevute; c) trasmette al promotore di giustizia le
informazioni che ritiene sufficientemente fondate e che integrino possibili casi di riciclaggio o di finanziamento del
terrorismo; d) accede, in maniera tempestiva, alle informazioni di natura finanziaria, amministrativa o investigativa
necessarie ai fini dell’efficace svolgimento delle funzioni di
cui alle lettere b) e c); e) emana linee guida per agevolare la
segnalazione di transazioni sospette e fornisce ai soggetti di
cui all’articolo 2, comma 1, indicazioni sulle modalità di segnalazione, inclusa la proposta di moduli e di procedure da
seguire nella segnalazione; f) elabora e diffonde modelli e
schemi di comportamenti anomali sul piano economico o finanziario, riferibili a possibili attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo; g) fornisce ai soggetti di cui
all’articolo 2, comma 1, informazioni aggiornate circa le attività di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, anche
al fine di agevolare la formazione del personale dei soggetti
tenuti alla segnalazione di transazioni sospette; h) sospende
per un massimo di cinque giorni lavorativi, qualora ciò non
pregiudichi le indagini dell’autorità giudiziaria, le transazioni sospette per motivi di riciclaggio o di finanziamento
del terrorismo, anche su richiesta dell’autorità giudiziaria,
dando immediata notizia della sospensione alla medesima
autorità.
4. L’Autorità di informazione finanziaria, avvalendosi
anche delle informazioni raccolte nell’esercizio delle attività
di cui al comma 3:
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a) svolge analisi e studi anche su specifiche anomalie, riferibili a ipotesi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, su particolari settori o singole realtà dell’economia e
della finanza ritenuti a rischio; b) pubblica rapporti periodici, contenenti statistiche e informazioni non coperte dal
segreto d’ufficio e connesse all’esercizio della propria attività.
5. Tutti i dati, le informazioni e i documenti in possesso
dell’Autorità di informazione finanziaria:
a) sono conservati con sistemi che garantiscano la loro sicurezza e integrità; b) sono coperti dal segreto d’ufficio salvo
i casi di comunicazione o scambio di informazioni tra autorità competenti, nei casi stabiliti dalla presente legge e nei
limiti consentiti dall’ordinamento vigente.
6. L’Autorità di informazione finanziaria applica le sanzioni amministrative pecuniarie nei casi stabiliti dall’articolo
42.
7. L’Autorità di informazione finanziaria, con il nulla
osta della Segreteria di stato, stipula protocolli d’intesa con
analoghe autorità di altri stati ai fini dello scambio di informazioni relative a transazioni sospette di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
8. Il presidente dell’Autorità di informazione finanziaria,
entro il 31 marzo di ogni anno, trasmette al segretario di
stato un rapporto sull’attività svolta dall’Autorità nell’anno
solare precedente.
Al rapporto è unita una relazione dettagliata sulle risorse
impiegate dall’Autorità nello svolgimento delle proprie funzioni e di ogni attività a queste connesse.
9. Le linee guida e le disposizioni di attuazione dell’Autorità di informazione finanziaria sono pubblicati nei Supplementi degli Acta apostolicae sedis.
Articolo 2 octies
Corpo della Gendarmeria
1. Il corpo della Gendarmeria svolge indagini ai fini
della prevenzione e del contrasto dell’attività criminosa, inclusi il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, nei limiti
delle proprie competenze stabilite dall’ordinamento vigente.
2. Il corpo della Gendarmeria cura la formazione e
l’aggiornamento professionale di tutti i suoi membri, sia
superiori sia agenti, sui fenomeni del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo e adotta tecniche avanzate di
indagine per l’efficacia della propria attività nella prevenzione e nel contrasto del riciclaggio e del finanziamento del
terrorismo.
3. Il corpo della Gendarmeria, con il nulla osta della Segreteria di stato, stipula protocolli d’intesa con analoghe autorità di altri stati, ai fini della prevenzione e del contrasto
dell’attività criminosa, del riciclaggio e del finanziamento
del terrorismo.
Capo II
Disposizioni penali in materia di riciclaggio
Articolo 3
Riciclaggio e auto-riciclaggio
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo X «Dei delitti contro la proprietà» capo V alla ru-
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brica «Della ricettazione» è aggiunto «del riciclaggio, dell’auto-riciclaggio e dell’impiego dei proventi di attività
criminose». Nello stesso capo, dopo l’art. 421 è aggiunto
l’articolo 421 bis del seguente tenore:
421 bis. 1. Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 421:
a) sostituisce, converte o trasferisce denaro contante,
beni o altre risorse economiche, sapendo che essi provengono da un reato presupposto o dal concorso in un
reato presupposto, allo scopo di occultare o dissimulare
l’origine illecita degli stessi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività criminale a sottrarsi alle conseguenze
giuridiche delle proprie azioni; b) occulta o dissimula la
reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà di denaro contante, beni o altre risorse
economiche, o dei diritti sugli stessi, sapendo che essi provengono da un reato presupposto o dal concorso ad un
reato presupposto; c) acquista, possiede, detiene o utilizza
denaro contante, beni o altre risorse economiche, sapendo, al momento della loro ricezione, che essi provengono da un reato presupposto o dal concorso a un reato
presupposto;
è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e
con la multa da euro 1.000 a euro 15.000.
2. Il riciclaggio sussiste qualunque sia il valore del denaro contante, dei beni o delle risorse economiche che
provengono dal reato presupposto, anche qualora non vi
sia stata la condanna per tale reato.
3. Il riciclaggio sussiste anche quando l’autore è lo
stesso del reato presupposto.
4. Il riciclaggio sussiste anche quando il delitto da cui
provengono il denaro contante, i beni o le risorse economiche è stato commesso in un altro stato.
5. Nei casi di condanna, il giudice dispone la confisca:
a) del prodotto, diretto o indiretto, del riciclaggio, inclusi tutti i mezzi utilizzati o che si intendevano utilizzare
a tal fine; b) del profitto o altro beneficio derivanti, direttamente o indirettamente, dai proventi dal delitto antecedente al riciclaggio.
6. Quando non è possibile procedere alla confisca di
quanto indicato al comma 5, lettere a) e b), il giudice dispone la confisca di denaro contante, beni o risorse economiche di valore equivalente, che risultino essere di
proprietà o posseduti dal condannato, in maniera esclusiva o congiunta, direttamente o indirettamente, fatti salvi
i diritti dei terzi in buona fede.
7. Il denaro contante, i beni e le risorse economiche
oggetto di confisca di cui ai commi 5 e 6, tenuto conto di
eventuali accordi internazionali di ripartizione, sono acquisiti dalla Santa Sede e devoluti alle opere di religione
e di carità del sommo pontefice.
8. Il giudice adotta misure cautelari, incluso il sequestro, al fine di prevenire la vendita, il trasferimento o disposizione del denaro contante, dei beni o delle risorse
economiche possibile oggetto di confisca, nonché provvedimenti che consentano alle autorità competenti di
identificare, rintracciare e congelare il denaro contante, i
beni o le risorse economiche possibile oggetto di confisca, fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede.
Articolo 3 bis
Impiego dei proventi di attività criminose
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo X «Dei delitti contro la proprietà» capo V alla rubrica
«Della ricettazione» è aggiunto «del riciclaggio, dell’autoriciclaggio e dell’impiego dei proventi di attività criminose».
Nello stesso capo dopo l’articolo 421 bis è aggiunto l’articolo 421 ter del seguente tenore:
421 ter. 1. Chiunque impiega in attività economiche o
finanziarie denaro contante, beni o altre risorse economiche provenienti da un delitto, è punito con la reclusione da
quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.000 a euro
15.000.
2. Nei casi di condanna, si applicano i commi 5,6,7, e 8
dell’articolo 421 bis.
Capo III
Altre fat tispecie delit tuose
Articolo 4
Associazioni con finalità di terrorismo o di eversione
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo I «Dei delitti contro la sicurezza dello Stato» dopo il
capo IV «Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il capo V «Altre misure per prevenire e contrastare
il terrorismo» nel cui ambito è inserito l’articolo 138 bis del
seguente tenore:
138 bis. 1. Chiunque promuove, costituisce, organizza
o dirige associazioni che si propongono il compimento di
atti con finalità di terrorismo o di eversione, è punito con la
reclusione da cinque a quindici anni.
2. La finalità di terrorismo sussiste anche quando gli atti
di violenza sono rivolti contro un altro stato, un’istituzione
o organismo internazionale, o quando si sono svolti in un
altro stato.
3. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria
la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego, fatti salvi
i diritti dei terzi in buona fede.
4. Quando non è possibile procedere alla confisca di
quanto indicato al comma 3, il giudice dispone la confisca
di denaro contante, beni o risorse economiche di valore
equivalente, che risultino essere di proprietà o posseduti dal
condannato, in maniera esclusiva o congiunta, direttamente
o indirettamente, fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede.
5. Le cose oggetto di confisca di cui ai commi 3 e 4, tenuto conto di eventuali accordi internazionali di ripartizione, sono acquisiti dalla Santa Sede e devoluti alle opere
di religione e di carità del sommo pontefice e destinati, almeno in parte, all’assistenza delle vittime del terrorismo e
delle loro famiglie.
6. Il giudice adotta misure cautelari, incluso il sequestro,
al fine di prevenire la vendita, il trasferimento o disposizione
del denaro contante, dei beni o delle risorse economiche
possibile oggetto di confisca, nonché provvedimenti che consentano di identificare, rintracciare e congelare il denaro
contante, i beni o le risorse economiche possibile oggetto di
confisca, fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede.
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Articolo 4 bis
Finanziamento del terrorismo
Nel Codice penale, al libro Il «Dei delitti in ispecie» titolo
I «Dei delitti contro la sicurezza dello Stato» dopo il capo IV
«Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il capo
V «Altre misure per prevenire e contrastare il terrorismo»
nel cui ambito è inserito l’articolo 138 ter del seguente tenore:
138 ter. 1. Chiunque, con qualsiasi atto illecito e doloso, in maniera diretta o indiretta, raccoglie, eroga, deposita o custodisce denaro contante, beni o altre risorse
economiche, in qualunque modo realizzati, con l’intenzione
che essi saranno utilizzati o sapendo che essi saranno utilizzati, in tutto o in parte, al fine di compiere una o più condotte con finalità di terrorismo o in ogni caso diretti a
favorire il compimento di una o più condotte con finalità di
terrorismo, indipendentemente dall’utilizzo dei beni o delle
risorse economiche per la commissione o il tentativo delle
condotte medesime, è punito con la reclusione da cinque a
quindici anni.
2. Il reato sussiste sia che gli atti siano rivolti a finanziare
associazioni, sia che gli atti siano rivolti a finanziare una o
più persone fisiche.
3. La finalità di terrorismo sussiste anche quando gli atti
sono rivolti contro un altro stato, un’istituzione o organismo
internazionale, o quando si sono svolti in un altro stato.
4. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria
la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego, fatti salvi
i diritti dei terzi in buona fede.
5. Quando non è possibile procedere alla confisca di
quanto indicato al comma 4, il giudice dispone la confisca
di denaro contante, beni o risorse economiche di valore
equivalente, che risultino essere di proprietà o posseduti dal
condannato, in maniera esclusiva o congiunta, direttamente
o indirettamente, fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede.
6. Le cose oggetto di confisca di cui ai commi 4 e 5, tenuto conto di eventuali accordi internazionali di ripartizione, sono acquisiti dalla Santa Sede e devoluti alle opere
di religione e di carità del sommo pontefice e destinati, almeno in parte, all’assistenza delle vittime del terrorismo e
delle loro famiglie.
7. Il giudice adotta misure cautelari, incluso il sequestro,
al fine di prevenire la vendita, il trasferimento o disposizione
del denaro contante, dei beni o delle risorse economiche
possibile oggetto di confisca, nonché provvedimenti che consentano di identificare, rintracciare e congelare il denaro
contante, i beni o le risorse economiche possibile oggetto di
confisca, fatti salvi i diritti dei terzi in buona fede.
Articolo 5
Arruolamento con finalità di terrorismo
o di eversione
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo I «Dei delitti contro la sicurezza dello Stato» dopo il
capo IV «Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il capo V «Altre misure per prevenire e contrastare
il finanziamento del terrorismo» nel cui ambito è inserito
l’articolo 138 quater del seguente tenore:
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138 quater. 1. Chiunque, fuori dai casi di cui all’articolo 138 bis, arruola una o più persone per il compimento
di atti con finalità di terrorismo o di eversione ovvero di sabotaggio di servizi o installazioni pubblici essenziali, è punito
con la reclusione da sette a quindici anni.
2. Il delitto sussiste anche quando gli atti sono rivolti
contro un altro stato, un’istituzione o organismo internazionale, o quando si sono svolti in un altro stato.
Articolo 6
Addestramento ad attività con finalità
di terrorismo o di eversione
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo I «Dei delitti contro la sicurezza dello Stato» dopo il
capo IV «Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il capo V «Altre misure per prevenire e contrastare
il finanziamento del terrorismo» nel cui ambito è inserito
l’articolo 138 quinquies del seguente tenore:
138 quinquies. 1. Chiunque, fuori dai casi di cui all’articolo 138 bis, addestra o comunque fornisce istruzioni
sulla preparazione o sull’uso armi o dispositivi esplodenti o
letali, nonché di ogni altra tecnica o metodo per il compimento di atti con finalità di terrorismo o di eversione ovvero
di sabotaggio di servizi o installazioni pubblici essenziali, è
punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La stessa
pena si applica nei confronti della persona addestrata.
2. Il delitto sussiste anche quando gli atti sono rivolti
contro un altro stato, un’istituzione o organismo internazionale, o quando si sono svolti in un altro stato.
Articolo 7
Attentati per finalità di terrorismo o di eversione
Nel Codice penale, al libro 11 «Dei delitti in ispecie» titolo I «Dei delitti contro la sicurezza dello Stato» dopo il
capo IV «Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il capo V «Altre misure per prevenire e contrastare
il finanziamento del terrorismo» nel cui ambito è inserito
l’articolo 138 sexies del seguente tenore:
138 sexies. 1. Chiunque, compiendo atti con finalità di
terrorismo o di eversione, attenta alla vita o all’incolumità di
una o più persone civili che non partecipano direttamente
alle ostilità in caso di conflitto armato, è punito, nel primo
caso, con la reclusione non inferiore ad anni venti e, nel secondo caso, con la reclusione non inferiore ad anni sei.
2. Il delitto sussiste anche quando gli atti sono rivolti
contro un altro stato, un’istituzione o organismo internazionale, o quando si sono svolti in un altro stato.
Articolo 8
Atti di terrorismo o di eversione con armi
o dispositivi esplodenti o letali
Nel Codice penale, al libro 11 «Dei delitti in ispecie» titolo I «Dei delitti contro la sicurezza dello Stato» dopo il
capo IV «Disposizioni comuni ai capi precedenti» è aggiunto il capo V «Altre misure per prevenire e contrastare
il finanziamento del terrorismo» nel cui ambito è inserito
l’articolo 138 septies del seguente tenore:
138 septies. 1. Salvo che non costituisca più grave
reato, chiunque compie atti con finalità di terrorismo o di
eversione diretti a danneggiare cose mobili o immobili altrui
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o pubblici, mediante l’uso di armi o dispositivi esplodenti o
letali, è punito con la reclusione da due a cinque anni.
2. Il delitto sussiste anche quando gli atti sono rivolti
contro un altro stato, un’istituzione o organismo internazionale, o quando si sono svolti in un altro stato.
Articolo 9
Malversazione a danno dello Stato
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo X «Dei delitti contro la proprietà» capo III «Truffa e
altre frodi» dopo l’articolo 416 è aggiunto l’articolo 416 bis
del seguente tenore:
416 bis. Chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico
o istituzione contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o
allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità, è punito con la reclusione da sei
mesi a quattro anni.
Articolo 10
Truffa aggravata per il conseguimento
di erogazioni pubbliche
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo X «Dei delitti contro la proprietà» capo III «Truffa e
altre frodi» dopo l’articolo 416 bis è aggiunto l’articolo 416
ter del seguente tenore:
416 ter. La pena è della reclusione da uno a sei anni e
si procede d’ufficio se il fatto di cui all’articolo 413 riguarda
contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o
elargiti dallo Stato, da altri enti pubblici o istituzioni.
Articolo 11
Indebita percezione di erogazioni
a danno dello Stato
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo X «Dei delitti contro la proprietà» capo III «Truffa ed
altre frodi» dopo l’articolo 416 ter è aggiunto l’articolo 416
quater del seguente tenore:
416 quater. Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’articolo 413, chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti
cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni
dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello
stesso tipo, comunque denominate, concessi o elargiti dallo
Stato, da altri enti pubblici o istituzioni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se i fatti previsti sono di particolare tenuità le pene sono
diminuite.
Articolo 12
Abuso di informazioni privilegiate
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VI «Dei delitti contro la fede pubblica» dopo il capo V
«Delle frodi nei commerci, nelle industrie e negli incanti» è
aggiunto il capo V bis «Abuso di informazioni privilegiate e
manipolazione del mercato» nel cui ambito è collocato l’articolo 299 bis del seguente tenore:
299 bis. 1. È punito con la reclusione da uno a sei anni
e con la multa da euro 20.000 a euro 3.000.000 chiunque,
essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione
della sua qualità di membro di organi di amministrazione,
direzione o controllo dell’emittente, della partecipazione al
capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o di un ufficio:
a) acquista, vende o compie altre attività, direttamente o
indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi, su
strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime;
b) comunica tali informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della professione, della funzione o
dell’ufficio; c) consiglia o induce altri, sulla base di esse, al
compimento di taluna delle attività indicate nella lettera a).
2. La stessa pena di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo in possesso di informazioni privilegiate a motivo
della preparazione o esecuzione di attività delittuose compie
taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1.
3. Il giudice può aumentare la multa sino al triplo o al
maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del
fatto, per le qualità personali del colpevole o per l’entità del
prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata al massimo.
Articolo 13
Manipolazione del mercato
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VI «Dei delitti contro la fede pubblica» dopo il capo V
«Delle frodi nei commerci, nelle industrie e negli incanti» è
aggiunto il capo V bis «Abuso di informazioni privilegiate e
manipolazione del mercato» nel cui ambito è collocato l’articolo 299 ter del seguente tenore:
299 ter. l. Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei
a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti
finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con
la multa da euro 20.000 a euro 5.000.000.
2. Il giudice può aumentare la multa sino al triplo o al
maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito dal reato quando, per la rilevante offensività del
fatto, per le qualità personali del colpevole o per l’entità del
prodotto o del profitto conseguito dal reato, essa appare inadeguata anche se applicata nel massimo.
Articolo 14
Tratta di persone
Nel Codice penale, al libro 11 «Dei delitti in ispecie» titolo 11 «Dei delitti contro la libertà» capo III «Dei delitti
contro la libertà individuale» è aggiunto l’articolo 145 bis
del seguente tenore:
145 bis. 1. Chiunque commette tratta di persona che
si trova nelle condizioni di cui all’articolo 145 ovvero, al fine
di commettere i delitti di cui al medesimo articolo, la induce
mediante inganno o la costringe con violenza, minaccia,
abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o
dietro promessa o dazione di somme di denaro contante o
di altri vantaggi alla persona che su di essa ha autorità, a
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fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello
Stato o a trasferirsi al suo interno, è punito con la reclusione
da otto a vent’anni.
2. La pena è aumentata da un terzo alla metà se i fatti
di cui al comma 1 sono commessi in danno di minore degli
anni diciotto o sono diretti alla sfruttamento della prostituzione o al fine di sottoporre la persona offesa al prelievo di
organi.
Articolo 15
Vendita di prodotti industriali con segni mendaci
Nel Codice penale, all’articolo 295, commi 1 e 2, la sanzione è rispettivamente così modificata «con la reclusione
fino a un anno o con la multa fino a euro 10.000» e «con la
reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro
20.000».
Articolo 16
Fabbricazione, introduzione, vendita
e detenzione di armi nello Stato
1. All’articolo 460 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
2. All’articolo 461 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
3. All’articolo 462 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
4. All’articolo 463 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
5. All’articolo 464 la sanzione è così modificata, nel
comma 1, «con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda
da euro 500 a euro 2.000», nel comma 2, «con l’arresto fino
a due anni e sei mesi e con l’ammenda da euro 1.000 a euro
3.000», nel comma 3, «con l’arresto fino a tre anni e con
l’ammenda da euro 3.000 a euro 5.000».
6. All’articolo 466 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
7. All’articolo 467 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000» e «nei casi più gravi con l’arresto fino a due
anni e sei mesi e con l’ammenda da euro 1.000 a euro
3.000».
8. All’articolo 468 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
9. All’articolo 469 la sanzione è così modificata «con
l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da euro 500 a
euro 2.000».
Articolo 17
Contrabbando
Nel Codice penale, al libro III «Delle contravvenzioni in
ispecie» titolo I «Delle contravvenzioni concernenti l’ordine
pubblico» è aggiunto il capo X «Contrabbando» nel cui ambito è collocato l’articolo 459 bis del seguente tenore:
459 bis. 1. È punito con l’arresto sino a due anni o, in
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alternativa, con la multa non minore di due e non maggiore
di dieci volte i diritti dovuti chiunque:
a) introduce merci estere attraverso il confine di terra in
violazione delle prescrizioni, divieti e limitazioni stabiliti nel
comma 2; b) è sorpreso con merci nascoste sulla persona o
nei bagagli o nei colli o nelle suppellettili o fra merci di altro
genere od in qualunque mezzo di trasporto, per sottrarle
alla visita doganale; c) asporta merci dagli spazi doganali
senza aver pagato i diritti dovuti o senza averne garantito il
pagamento; d) porta fuori del territorio doganale, nelle condizioni previste nelle lettere precedenti, merci nazionali o
nazionalizzate soggette ai diritti di confine.
2. Le merci possono attraversare la linea doganale soltanto nei punti stabiliti dall’ordinamento vigente.
3. Il confine con lo stato italiano costituisce la linea doganale.
4. Il territorio circoscritto dalla linea doganale costituisce il territorio doganale.
5. Sono spazi doganali i locali in cui funziona un servizio di dogana, nonché le aree sulle quali la dogana esercita
la vigilanza e il controllo a mezzo dei suoi organi. La delimitazione degli spazi doganali è stabilita, tenendo conto
della situazione di ciascuna località, dall’autorità doganale.
6. Si considerano diritti tutti quei diritti che la dogana è
tenuta a riscuotere in forza di una legge dello Stato.
7. Gli organi doganali, per assicurare l’osservanza delle
disposizioni stabilite nel presente articolo, possono:
a) procedere alla ispezione dei mezzi di trasporto di qualsiasi genere che attraversano la linea doganale in corrispondenza degli spazi doganali o che circolano negli spazi
stessi; b) procedere alla ispezione dei bagagli e degli altri oggetti in possesso delle persone che attraversano la linea doganale in corrispondenza degli spazi doganali o che
circolano negli spazi stessi; c) invitare coloro che per qualsiasi
motivo circolano nell’ambito degli spazi doganali a esibire
gli oggetti e i valori portati sulla persona; in caso di rifiuto e
ove sussistano fondati motivi di sospetto, l’autorità doganale
può disporre, con provvedimento scritto dettagliatamente
motivato, che le suddette persone vengano sottoposte a perquisizione personale; della perquisizione è redatto processo
verbale che, insieme al provvedimento anzidetto, deve essere trasmesso entro quarantotto ore al promotore di giustizia; questi, se riconosce legittimo il provvedimento, lo
convalida entro le quarantotto ore successive.
Articolo 18
Reati contro l’ambiente
Nel Codice penale, al libro III «Delle contravvenzioni in
ispecie» titolo II «Delle contravvenzioni concernenti l’incolumità pubblica» dopo il capo II «Della rovina e delle
omesse riparazioni di edifizii» è aggiunto il capo II bis «Della
tutela dell’ambiente» nel cui ambito è collocato l’articolo
472 bis del seguente tenore:
472 bis. 1. È punito con la pena dell’arresto da sei mesi
a un anno o con la l’ammenda da euro 2.600 a euro 26.000
chiunque cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo,
delle acque superficiali o delle acque sotterranee.
2. Alla stessa pena prevista dal comma 1 soggiace chiunque cagiona l’inquinamento atmosferico.
3. Si applica la pena dell’arresto da un anno a due anni
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e la pena dell’ammenda da euro 5.200 a euro 52.000 se l’inquinamento è provocato da sostanze pericolose.
Articolo 19
Attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti
Nel Codice penale, al libro III «Delle contravvenzioni in
ispecie» titolo II «Delle contravvenzioni concernenti l’incolumità pubblica» dopo il capo II «Della rovina e delle
omesse riparazioni di edifizii» è aggiunto il capo II bis «Della
tutela dell’ambiente» nel cui ambito è collocato l’articolo
472 ter del seguente tenore:
472 ter. 1. Chiunque, al fine di conseguire un ingiusto
profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi
e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, importa, o, comunque, gestisce abusivamente ingenti quantitativi
di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni.
2. Se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la
pena della reclusione da tre a otto anni.
Articolo 20
Produzione, traffico e detenzione illeciti
di sostanze stupefacenti o psicotrope
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VII «Dei delitti contro l’incolumità pubblica» dopo il
capo III «Dei delitti contro la sanità e l’alimentazione pubblica» è aggiunto il capo III bis «Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope» nel cui ambito è collocato
l’articolo 326 bis del seguente tenore:
326 bis. 1. Chiunque, senza esservi autorizzato, coltiva,
produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in
vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura
ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope è punito
con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro
26.000 a euro 260.000.
2. Con le medesime pene di cui al comma 1 è punito
chiunque, senza esservi autorizzato, importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo, o, comunque illecitamente
detiene sostanze stupefacenti o psicotrope che per quantità
appaiono destinate a un uso non esclusivamente personale.
In questa ultima ipotesi, le pene suddette sono diminuite da
un terzo alla metà.
3. Quando, per i mezzi, per la modalità o le circostanze
dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, i
fatti previsti dal presente articolo sono di lieve entità, si applicano le pene della reclusione da uno a sei anni e della
multa da euro 3.000 a euro 26.000.
4. La pena è aumentata se il fatto è commesso da tre o
più persone in concorso tra loro.
5. Le pene previste dal presente articolo sono diminuite
dalla metà a due terzi per chi si adopera al fine di evitare
che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori,
anche aiutando concretamente l’autorità giudiziaria nella
sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti.
Articolo 21
Associazione finalizzata al traffico illecito
di sostanze stupefacenti o psicotrope
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VII «Dei delitti contro l’incolumità pubblica» dopo il
capo III «Dei delitti contro la sanità e l’alimentazione
pubblica» è aggiunto il capo III bis «Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope» nel cui ambito è collocato l’articolo 326 ter del seguente tenore:
326 ter. 1. Quando tre o più persone si associano allo
scopo di commettere più delitti tra quelli previsti dall’articolo 326 bis, chi promuove, costituisce, dirige, organizza
o finanzia l’associazione è punito per ciò solo con la reclusione non inferiore a venti anni.
Chi partecipa all’associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni.
2. La pena è aumentata se il numero degli associati è
di dieci o più, o se tra i partecipanti vi sono persone dedite
all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.
3. Se l’associazione è armata la pena, nei casi indicati
dal comma 1, non può essere inferiore a ventiquattro anni
di reclusione. L’associazione si considera armata quando
i partecipanti hanno la disponibilità di armi o dispositivi
esplodenti o letali, anche se occultati o tenuti in luogo di
deposito.
4. Le pene previste dal presente articolo sono diminuite dalla metà a due terzi per chi si sia efficacemente
adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre
all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti.
Articolo 22
Aggravanti e confisca
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo VII «Dei delitti contro l’incolumità pubblica» dopo il
capo III «Dei delitti contro la sanità e l’alimentazione
pubblica» è aggiunto il capo III bis «Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope» nel cui ambito è collocato l’articolo 326 quater del seguente tenore:
326 quater. 1. Le pene previste per i delitti di cui all’articolo 326 bis sono aumentate da un terzo alla metà: a)
nei casi in cui le sostanze stupefacenti e psicotrope sono
consegnate o comunque destinate a persona di età minore
di anni diciotto; b) per chi ha indotto a commettere il
reato, o a cooperare nella commissione del reato, persona
dedita all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope; c) se il
fatto è stato commesso da persona armata o camuffata; d)
se le sostanze stupefacenti o psicotrope sono adulterate o
commiste ad altre in modo che ne risulti accentuata la potenzialità lesiva.
2. Se il fatto riguarda quantità ingenti di sostanze stupefacenti o psicotrope le pene sono aumentate dalla metà
a due terzi.
3. L’autorità giudiziaria con la condanna dispone la
confisca delle sostanze stupefacenti e psicotrope e ne ordina la distruzione.
Articolo 23
Prescrizioni abusive
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie» titolo
VII «Dei delitti contro l’incolumità pubblica» dopo il capo
III «Dei delitti contro la sanità e l’alimentazione pubblica»
è aggiunto il capo III bis «Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope» nel cui ambito è collocato l’articolo 326
quinquies del seguente tenore:
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326 quinquies. 1. Le pene previste dall’articolo 326
bis si applicano altresì a carico del medico chirurgo che rilascia prescrizioni delle sostanze stupefacenti o psicotrope
ivi indicate per uso non terapeutico.
2. Le pene previste dall’articolo 326 bis non si applicano
alle farmacie per quanto riguarda 1’acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope e, sulla base di prescrizioni mediche,
per l’acquisto, la vendita o la cessione di dette sostanze in
dose e forma di medicamenti.
Articolo 23 bis
Pirateria
Nel Codice penale, al libro II «Dei delitti in ispecie», titolo
VII «Dei delitti contro l’incolumità pubblica», capo I «Dell’incendio, della inondazione, della sommersione e di altri
delitti di comune pericolo», dopo l’articolo 311 è aggiunto
l’articolo 311 bis del seguente tenore:
311 bis. 1. Il sequestro, la rapina o qualsiasi atto illecito
di violenza commessi a fini privati dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave o di un aeromobile privati, e rivolti contro un’altra nave o aeromobile o contro persone o beni da essi
trasportati, è punito con la reclusione da dieci a venti anni.
2. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria
la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego, fatti salvi
i diritti dei terzi in buona fede.
Capo IV
Misure per la prevenzione e il contrasto
del finanziamento del terrorismo
Articolo 24
Misure per il contrasto del finanziamento
del terrorismo e nei confronti delle attività
che minacciano la pace e la sicurezza internazionale
1. Al fine di prevenire e contrastare il finanziamento del
terrorismo e delle attività che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, la Segreteria di stato iscrive in un’apposita lista, soggetti individuati come destinatari del
congelamento di beni o altre risorse economiche, anche
sulla base delle risoluzioni rilevanti del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite.
La Segreteria di stato aggiorna la lista ed eventualmente
cancella dalla lista i soggetti individuati, anche sulla base
delle risoluzioni rilevanti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
2. L’Autorità di informazione finanziaria, con proprio
provvedimento, dispone immediatamente, e senza preavviso, il congelamento dei beni e delle risorse economiche di
proprietà, posseduti o detenuti, in maniera esclusiva o congiunta, diretta o indiretta, dai soggetti individuati dalla Segreteria di stato.
Il congelamento è subito comunicato ai soggetti di cui
all’articolo 2, comma 1, e ha effetto immediato.
Il provvedimento dell’Autorità di informazione finanziaria definisce i termini, le condizioni e i limiti del congelamento, anche ai fini della tutela dei diritti dei terzi in
buona fede.
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3. La Segreteria di stato:
a) acquisisce dalle autorità competenti, interne e internazionali, ogni informazione utile allo svolgimento
dei compiti di cui al comma 1; b) stabilisce collegamenti
con le autorità degli altri stati o internazionali al fine di
contribuire al necessario coordinamento internazionale;
c) formula alle competenti autorità internazionali proposte di individuazione di soggetti. Quando, sulla base
delle informazioni acquisite ai sensi delle lettere a) e b),
sussistono elementi sufficienti per formulare proposte di
individuazione di soggetti alle competenti autorità internazionali, e sussiste il rischio che i beni o le risorse economiche possibile oggetto di congelamento possano essere occultati o utilizzati per il finanziamento del
terrorismo, la Segreteria di stato ne fa segnalazione al
promotore di giustizia e all’Autorità di informazione finanziaria per l’adozione di misure cautelari; d) formula
alle competenti autorità internazionali proposte di cancellazione dalle liste dei soggetti individuati, anche sulla
base degli esiti dei ricorsi presentati dai soggetti interessati ai sensi del comma 4.
4. Il Tribunale riceve e valuta i ricorsi per l’esenzione
dal congelamento di beni o di risorse economiche presentate
dai soggetti interessati, anche ai fini della tutela dei diritti
dei terzi in buona fede.
Articolo 25
Effetti del congelamento
1. I beni sottoposti a congelamento non possono costituire oggetto di alcun atto di trasferimento, disposizione o
utilizzo.
2. Le risorse economiche sottoposte a congelamento
non possono costituire oggetto di alcun atto di trasferimento,
disposizione o utilizzo al fine di ottenere in qualsiasi modo
beni o servizi.
3. Sono nulli gli atti posti in essere in violazione dei divieti di cui ai commi 1 e 2.
4. È vietato mettere direttamente o indirettamente beni
o altre risorse economiche a disposizione dei soggetti individuati o destinarli a loro vantaggio.
5. È vietato il concorso consapevole in attività aventi lo
scopo, diretto o indiretto, di aggirare le misure di congelamento.
6. Il congelamento non pregiudica gli effetti di eventuali
provvedimenti di sequestro o confisca, adottati nell’ambito
di un procedimento di natura giudiziaria o amministrativo,
avente ad oggetto i medesimi beni o risorse economiche.
7. Il congelamento dei beni o delle risorse economiche
o 1’omissione o il rifiuto della prestazione di servizi finanziari ritenuti, in buona fede, conformi alla presente legge,
non comportano alcun genere di responsabilità per la persona fisica o giuridica che li pone in essere, inclusi i rappresentanti legali, amministratori, direttori, dipendenti,
consulenti o collaboratori a qualsiasi titolo, salvo i casi di
grave negligenza.
Articolo 26
Obblighi di comunicazione
I soggetti indicati nell’articolo 2, comma 1, lettera a), comunicano all’Autorità di informazione finanziaria, entro
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trenta giorni dalla data di emanazione del provvedimento di
cui all’articolo 24, comma 2:
a) le misure adottate ai sensi del presente capo, indicando
i soggetti coinvolti, l’ammontare e la natura dei beni o delle
risorse economiche; b) le informazioni relative ai rapporti,
alle prestazioni o alle transazioni, nonché ogni altro dato disponibile, riconducibile ai soggetti individuati o, sulla base di
eventuali indicazioni ricevute, in via di individuazione.
Articolo 27
Custodia, amministrazione e gestione
delle risorse economiche oggetto di congelamento
1. L’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica provvede direttamente o mediante la nomina di un
custode o di un amministratore alla custodia o all’amministrazione dei beni o risorse economiche oggetto di congelamento.
Essa può compiere, direttamente ovvero mediante un
custode o un amministratore, tutti gli atti di ordinaria amministrazione. Per gli atti di straordinaria amministrazione
è necessario il nulla osta della Prefettura degli affari economici della Santa Sede.
2. Qualora, nell’ambito di procedimenti giudiziari o amministrativi, vengano adottati provvedimenti di sequestro o
di confisca aventi a oggetto i beni o risorse economiche di
cui al comma 1 del presente articolo, alla gestione provvede
l’autorità che ha disposto il sequestro o la confisca.
3. Il custode o l’amministratore operano sotto il diretto
controllo dell’Amministrazione del patrimonio della sede
apostolica.
Il custode o l’amministratore svolgono la loro attività seguendo le direttive dell’Amministrazione del patrimonio
della sede apostolica, redigendo relazioni periodiche e presentando un rendiconto al termine della loro attività.
4. Le spese di custodia o di amministrazione, incluso il
compenso del custode o dell’amministratore, sono ricavate
dai beni o risorse economiche custoditi o amministrati oppure dai beni o risorse economiche da queste derivanti.
5. L’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica trasmette alla Segreteria di stato relazioni periodiche
sullo stato dei beni o risorse economiche e sulle attività compiute.
6. In caso di cancellazione dei soggetti dalla lista, o di
annullamento del congelamento disposto dal Tribunale, la
Segreteria di stato chiede al corpo della Gendarmeria di
darne comunicazione all’interessato ai sensi degli articoli
170 e seguenti del Codice di procedura civile.
Con la medesima comunicazione, l’interessato è invitato
a prendere in consegna i beni o risorse economiche entro
sei mesi dalla data della comunicazione ed è informato sulle
attività svolte ai sensi del comma 8.
7. Nel caso di beni immobili o mobili registrati, analoga
comunicazione è trasmessa alle autorità competenti ai fini
della cancellazione del congelamento nei pubblici registri.
8. Cessate le misure di congelamento e finché non ha
luogo la presa di consegna da parte degli interessati, l’Amministrazione del patrimonio della sede apostolica provvede
alla custodia o all’amministrazione dei beni o risorse economiche con le modalità di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5.
9. Se l’interessato non chiede la consegna dei beni o ri-
sorse economiche nei sei mesi successivi alla comunicazione
di cui al comma 6, i medesimi beni o risorse economiche, tenuto conto di eventuali accordi internazionali di ripartizione, sono acquisiti dalla Santa Sede e devoluti alle opere
di religione e di carità del sommo pontefice e destinati, almeno in parte, a sostenere le vittime del terrorismo e le loro
famiglie.
10. Il provvedimento che dispone l’acquisizione è comunicato all’interessato ed è trasmesso alle autorità competenti con le stesse modalità di cui al comma 7.
Capo V
Obblighi di adeguata verifica
Articolo 28
Casi di applicazione
1. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e c),
eseguono gli obblighi di adeguata verifica:
a) quando instaurano un rapporto; b) quando eseguono
transazioni occasionali il cui importo sia pari o superiore a
euro 15.000, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una transazione unica o con più transazioni tra
loro collegate; c) quando effettuano un trasferimento di
fondi il cui importo sia pari o superiore ad euro 1.000; d)
quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del
terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile; e) quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti
ai fini dell’identificazione della controparte.
2. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), eseguono gli obblighi di adeguata verifica:
a) quando la prestazione professionale ha per oggetto
mezzi di pagamento, beni o altre risorse economiche di valore pari o superiore a euro 15.000; b) quando eseguono
prestazioni professionali occasionali che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di
importo pari o superiore a euro 15.000, indipendentemente
dal fatto che siano effettuate con una transazione unica o
con più transazioni tra loro collegate; c) tutte le volte che la
transazione sia di valore indeterminato o non determinabile. Ai fini dell’obbligo di adeguata verifica, la costituzione,
gestione o amministrazione di società o altre persone giuridiche integra in ogni caso una transazione di valore non determinabile; d) quando vi è sospetto di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile; e) quando vi
sono dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione della controparte.
I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), attuano gli obblighi di adeguata verifica anche nello svolgimento della propria attività in forma individuale, associata
o societaria.
3. Gli obblighi di adeguata verifica sussistono per tutta
la durata del rapporto, e includono il controllo delle transazioni eseguite durante il medesimo rapporto, anche al fine
di assicurare che la transazione sia coerente alla categoria e
al profilo di rischio della controparte e della sua attività.
4. Gli obblighi di adeguata verifica devono essere ese-
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guiti anche con riguardo ai rapporti esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
Articolo 28 bis
Approccio basato sul rischio
1. Gli obblighi di adeguata verifica sono assolti in maniera proporzionale al rischio connesso alla categoria di controparte o alla tipologia di rapporto, di prestazione o di
transazione.
2. Per la valutazione del rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, i soggetti di cui all’articolo 2,
comma 1, osservano le linee guida dell’Autorità di informazione finanziaria.
3. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, prestano
particolare attenzione al rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo connesso a prestazioni, transazioni o prodotti finanziari che favoriscono l’anonimato e
adottano le misure eventualmente necessarie per impedirne l’utilizzo per scopo di riciclaggio o di finanziamento
del terrorismo.
Articolo 28 ter
Obblighi della controparte
1. La controparte fornisce ai soggetti di cui all’articolo 2,
comma 1, tutti i documenti, i dati e le informazioni necessari per l’adempimento degli obblighi di adeguata verifica.
2. La controparte fornisce altresì tutti i documenti, i dati
e le informazioni necessari per l’identificazione del titolare
effettivo.
Articolo 29
Modalità e contenuto degli obblighi
di adeguata verifica
1. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e c),
adempiono agli obblighi di adeguata verifica prima di instaurare un rapporto o di compiere una prestazione oppure
una transazione.
2. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b),
adempiono agli obblighi di adeguata verifica nella fase iniziale di valutazione della posizione della controparte.
3. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, identificano
la controparte, sia persona fisica, sia persona giuridica, e verificano tale identità anche sulla base di documenti, dati e informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente.
Nel caso di persone giuridiche, la verifica include anche
la natura giuridica, la denominazione e la sede legale, l’identità di coloro che svolgono la funzione di legali rappresentanti, di amministratori o di direttori.
I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, richiedono alla
controparte, sia persona fisica, sia persona giuridica, i documenti, i dati e le informazioni necessari ai fini dell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica. Le informazioni
includono la causale del rapporto.
4. Qualora non sia possibile rispettare gli obblighi di
adeguata verifica, è proibito instaurare il rapporto ed eseguire la prestazione o la transazione. Qualora il rapporto
sia già in corso, i soggetti chiudono il rapporto medesimo. In
tutti i casi, i soggetti obbligati valutano se effettuare la segnalazione di transazione sospetta all’Autorità di informazione finanziaria.
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Articolo 29 bis
Titolare effettivo
1. Nell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica,
i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, individuano e identificano il titolare effettivo, del quale verificano l’identità,
anche sulla base di documenti, dati e informazioni ottenuti
da una fonte affidabile e indipendente.
2. Nel caso di società o persona giuridica, ai fini della
identificazione del titolare effettivo, occorre altresì:
a) accertare la titolarità e il controllo della società o persona giuridica; b) identificare e verificare la persona fisica o
le persone fisiche che, in ultima istanza, sono titolari o controllano la persona giuridica, o ne risultano beneficiari secondo i criteri di cui all’Allegato alla presente legge.
Articolo 29 ter
Delegati
Nell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica, i
soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, accertano che coloro
i quali intendono rappresentare e agire in nome e per conto
della controparte, persona sia fisica, sia giuridica, siano adeguatamente autorizzati, identificandone e verificandone
l’identità, anche sulla base di documenti, dati e informazioni
ottenuti da una fonte affidabile e indipendente.
Articolo 30
Obblighi semplificati ed esenzioni
1. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, sono esenti
dagli obblighi di adeguata verifica se la controparte è un
ente creditizio o finanziario situato in uno stato che imponga
obblighi equivalenti a quelli stabiliti dalla presente legge.
2. La Segreteria di stato, con proprio provvedimento,
identifica gli stati che impongono obblighi equivalenti a
quelli stabiliti dalla presente legge.
3. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, sono esenti
dagli obblighi di adeguata verifica se la controparte è un’autorità pubblica.
4. Nei casi di cui ai commi 1 e 3, i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, raccolgono comunque informazioni sufficienti a stabilire se la controparte rientra nelle categorie
stabilite dai medesimi commi 1 e 3.
5. Gli obblighi semplificati di adeguata verifica non si
applicano qualora vi sia il sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o qualora si abbia motivo di ritenere che la verifica effettuata non sia attendibile o non
consenta l’acquisizione delle informazioni necessarie.
6. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, sono esenti
dagli obblighi di adeguata verifica, in relazione a:
a) contratti di assicurazione sulla vita il cui premio annuale non sia superiore a euro 1.000 o il cui premio unico
sia di importo non superiore ad euro 2.500; b) forme pensionistiche complementari, a condizione che esse non prevedano clausole di riscatto e non possano servire da garanzia
per un prestito; c) regimi di pensione obbligatoria e complementare o sistemi simili che versino prestazioni di pensione, per i quali i contributi siano versati tramite deduzione
dal reddito e le cui regole non permettano ai beneficiari, se
non dopo il decesso del titolare, di trasferire i propri diritti;
d) titolari effettivi di conti collettivi gestiti da notai o professionisti che svolgono funzioni simili in un altro stato, purché
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siano soggetti, in materia di prevenzione e di contrasto del
riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, a obblighi
equivalenti a quelli stabiliti dalla presente legge; e) moneta
elettronica, nel caso in cui, se il dispositivo non è ricaricabile,
l’importo massimo memorizzato sul dispositivo non ecceda
euro 150, oppure nel caso in cui, se il dispositivo è ricaricabile, sia imposto un limite di euro 2.500 sull’importo totale
trattato in un anno civile, fatta eccezione per il caso in cui un
importo pari o superiore a euro 1.000 sia rimborsato al detentore nello stesso anno civile.
7. L’Autorità di informazione finanziaria, con proprio
provvedimento, autorizza i soggetti di cui all’articolo 2,
comma 1, a non applicare gli obblighi di adeguata verifica
in relazione a categorie di controparti, tipologie di rapporti,
di prestazioni o di transazioni caratterizzati da un basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
L’autorizzazione è concessa sulla base dei criteri stabiliti
nell’Allegato alla presente legge.
Articolo 31
Obblighi rafforzati
1. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, rafforzano
gli obblighi di adeguata verifica, nelle situazioni che, per loro
natura, presentano un rischio più elevato di riciclaggio o di
finanziamento del terrorismo, e comunque nei casi indicati
nei commi 2, 4 e 5 del presente articolo.
2. Quando la controparte non è fisicamente presente, i
soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, adottano una o più
fra le seguenti misure:
a) accertare l’identità della controparte con cui instaurano il rapporto tramite elementi supplementari, anche sulla
base di documenti, dati e informazioni ottenuti da una fonte
affidabile e indipendente; b) adottare misure supplementari
per la verifica o la certificazione dei documenti forniti o richiedere una certificazione di conferma da parte di un ente
creditizio o finanziario soggetto a obblighi equivalenti a
quelli stabiliti dalla presente legge; c) assicurarsi che il primo
pagamento relativo alla transazione sia effettuato tramite un
conto intestato alla controparte con cui si instaura il rapporto presso un ente creditizio o finanziario soggetto a obblighi equivalenti a quelli stabiliti dalla presente legge.
3. Gli obblighi di identificazione e di adeguata verifica,
anche quando la controparte non è fisicamente presente, si
considerano comunque assolti nei seguenti casi:
a) qualora l’identificazione sia già avvenuta in relazione
a un rapporto in essere, purché le informazioni esistenti risultino aggiornate; b) per le transazioni effettuate con sistemi
di cassa continua o di sportelli automatici, per corrispondenza o attraverso soggetti che svolgono attività di trasporto
di valori mediante carte di pagamento; tali transazioni sono
imputate al soggetto titolare del rapporto al quale ineriscono; c) per la controparte i cui dati identificativi e le altre
informazioni da acquisire risultino da atto pubblico, da scrittura privata autenticata o da atti idonei a fornire certezza
giuridica; d) per la controparte i cui dati identificativi e le
altre informazioni da acquisire risultino da dichiarazione di
una Rappresentanza pontificia della Santa Sede.
4. In caso di conti di corrispondenza con banche o enti
creditizi o finanziari di un altro stato, i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1 devono:
a) raccogliere sull’ente corrispondente informazioni
sufficienti per comprendere pienamente la natura delle
sue attività e per determinare, sulla base di pubblici registri, elenchi, atti e documenti accessibili al pubblico, la
sua reputazione e la qualità della vigilanza cui è soggetto;
b) valutare l’adeguatezza della normativa, degli obblighi
e dei controlli vigenti nello stato estero in materia di prevenzione e contrasto del riciclaggio e del finanziamento
del terrorismo; c) ottenere, prima di aprire il conto, l’autorizzazione del superiore o direttore responsabile o di un
suo delegato, prima di aprire un nuovo conto di corrispondenza; d) definire in forma scritta i termini dell’accordo con l’ente corrispondente, inclusi i rispettivi diritti
e doveri; e) assicurarsi che l’ente corrispondente abbia verificato l’identità della controparte avente un accesso diretto ai conti di passaggio, abbia costantemente assolto
gli obblighi di adeguata verifica e che, su richiesta, possa
fornire i dati ottenuti a seguito dell’assolvimento dei medesimi obblighi.
5. Con riferimento ai rapporti instaurati con persone
politicamente esposte, o alle prestazioni e alle transazioni
effettuati in nome e per conto di persone politicamente
esposte, i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, devono:
a) disporre di adeguate procedure per determinare se la
controparte sia una persona politicamente esposta; b) ottenere, prima di instaurare un rapporto, o di eseguire una
prestazione o una transazione, l’autorizzazione del superiore o direttore responsabile o di un suo delegato. Tale
autorizzazione è richiesta anche per la continuazione del
rapporto, nel caso la controparte assuma successivamente
lo status di persona politicamente esposta; c) adottare ogni
misura adeguata per stabilire l’origine del denaro contante,
dei beni o delle risorse economiche impiegati; d) assicurare un controllo continuo e rafforzato.
Capo VI
Obblighi di registrazione e conservazione
Articolo 32
Obblighi di registrazione e conservazione
I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, conservano i documenti, i dati e le informazioni che hanno acquisito nell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica, anche al
fine di consentire all’autorità giudiziaria la ricostruzione dei
rapporti, prestazioni e transazioni nella eventualità di un
procedimento penale.
Articolo 33
Contenuto degli obblighi
1. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, con riferimento all’adempimento dell’adeguata verifica conservano,
per un periodo di cinque anni dalla fine del rapporto, o
dall’esecuzione della prestazione o della transazione, le informazioni e i documenti acquisiti, inclusa la corrispondenza, le scritture e le registrazioni eseguite.
2. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, con riferimento ai rapporti, alle prestazioni e alle transazioni, registrano e conservano, per un periodo di cinque anni dalla
fine del rapporto, o dall’esecuzione della prestazione o
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della transazione, i dati identificativi della controparte, del
titolare effettivo e dei delegati, la data, l’importo, la tipologia del rapporto, della prestazione o della transazione, i
mezzi di pagamento utilizzati. Con riferimento ai rapporti,
i soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, registrano anche
la causale.
3. Le informazioni di cui al comma 2 sono registrate
tempestivamente e, comunque, non oltre le quarantotto
ore successive allo svolgimento della prestazione o della
transazione ovvero dall’apertura, dalla variazione e dalla
chiusura del rapporto.
4. Il termine di cinque anni stabilito ai commi 1 e 2
può essere esteso su richiesta dell’autorità giudiziaria.
5. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, fatti salvi i
limiti di tempo stabiliti al comma 1, adottano sistemi di registrazione e conservazione che consentano loro di rispondere in maniera efficace e rapida alle richieste delle
autorità competenti.
6. I soggetti di cui all’articolo 2, comma l, adottano sistemi di registrazione e conservazione che consentano di
tenere aggiornati i dati e le informazioni raccolti nell’adempimento degli obblighi di adeguata verifica, con particolare riferimento alle categorie di controparti e alle
tipologie di rapporti, di prestazioni e di transazioni che
comportano un alto rischio.
Capo VII
Obblighi di segnalazione
Articolo 34
Segnalazione di transazioni sospette
1. I soggetti di cui all’articolo 2 inviano una segnalazione all’Autorità di informazione finanziaria qualora
siano a conoscenza, sospettino o abbiano motivi ragionevoli di sospettare che denaro contante, beni o altre risorse
economiche siano i proventi di attività criminose, che siano
in corso o che siano stati compiuti o tentati atti di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
Il sospetto è desunto dalle caratteristiche, entità e natura della transazione o da qualsiasi altra circostanza conosciuta in ragione dell’attività svolta, tenuto conto anche
della capacità economica e dell’attività svolta dal soggetto,
persona sia fisica, sia giuridica, cui la transazione è riferita,
in base agli elementi a disposizione, acquisiti nell’ambito
dell’attività svolta ovvero a seguito del conferimento di un
incarico.
2. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, devono prestare particolare attenzione alle transazioni complesse, di
valore notevole e inusuale rispetto alla controparte, o difficilmente riconducibili a un fine lecito, individuate anche
sulla base delle linee guida emanate dall’Autorità di informazione finanziaria.
3. Le segnalazioni sono effettuate appena il soggetto
tenuto alla segnalazione viene a conoscenza degli elementi
di sospetto e, ove possibile, prima di eseguire la prestazione
o la transazione.
La segnalazione di transazione sospetta è effettuata
qualunque sia il valore della transazione, e senza riguardo
degli eventuali aspetti di natura fiscale.
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4. La segnalazione in buona fede delle transazioni sospette, incluse le informazioni a esse correlate, non comporta alcuna forma di responsabilità per i soggetti a essa
tenuti, o per i loro rappresentanti legali, amministratori,
direttori, dipendenti, consulenti e collaboratori a qualsiasi
titolo, né costituisce violazione del segreto in materia finanziaria o professionale o di eventuali restrizioni alla comunicazione imposte da disposizioni di natura legislativa,
amministrativa o contrattuale.
Articolo 35
Obbligo di astensione
1. I soggetti di cui all’articolo 2, comma 1, si astengono
dall’eseguire le prestazioni o le transazioni qualora siano a
conoscenza, sospettino o abbiano motivi ragionevoli di sospettare che denaro contante, beni o altre risorse economiche siano i proventi di attività criminose, o che siano in corso
o che siano stati compiuti o tentati atti di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
2. Nei casi in cui l’astensione non sia possibile o potrebbe ostacolare le indagini dell’autorità giudiziaria, i soggetti tenuti alla segnalazione la inviano immediatamente
dopo aver eseguito la prestazione o la transazione.
Articolo 36
Divieto di comunicazione
I soggetti segnalanti e i loro rappresentanti legali, amministratori, direttori, dipendenti, consulenti e collaboratori
a qualsiasi titolo, e chiunque ne sia a conoscenza, non possono comunicare al soggetto interessato o a terzi la segnalazione di transazioni sospette, incluse le informazioni a esse
correlate, né che è in corso o che può essere svolta un’indagine in materia di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
Articolo 36 bis
Analisi e trasmissione delle segnalazioni
1. L’Autorità di informazione finanziaria, con riferimento alle segnalazioni di transazioni sospette ricevute:
a) effettua l’analisi finanziaria; b) richiede ulteriori informazioni ai soggetti che hanno effettuato la segnalazione;
c) archivia le segnalazioni che ritiene infondate, mantenendone evidenza per dieci anni con sistemi che garantiscano
la sicurezza delle informazioni e che consentano le indagini
dell’autorità giudiziaria in caso di procedimento penale; d)
trasmette al promotore di giustizia le informazioni che ritiene sufficientemente fondate e che integrino possibili casi
di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Delle segnalazioni trasmesse viene mantenuta evidenza per dieci
anni con sistemi che garantiscano la sicurezza delle informazioni e che consentano le indagini e l’attività dell’autorità
giudiziaria nel caso di un procedimento penale; e) comunica al soggetto segnalante l’archiviazione della segnalazione.
2. Il promotore di giustizia informa l’Autorità di informazione finanziaria circa le segnalazioni di transazioni sospette archiviate.
3. La trasmissione delle segnalazioni e le successive comunicazioni sono sottoposte agli stessi divieti di comunicazione di cui all’articolo 36.
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Articolo 37
Tutela della riservatezza
1. I soggetti tenuti alla segnalazione adottano adeguate
misure per assicurare la massima riservatezza dell’identità
delle persone che effettuano la segnalazione. Gli atti e i documenti in cui sono indicate le generalità di tali persone
sono custoditi sotto la diretta responsabilità del legale rappresentante o di un suo delegato.
2. La trasmissione delle segnalazioni di transazioni sospette, le eventuali richieste e gli scambi di informazioni tra
l’Autorità di informazione finanziaria e l’autorità giudiziaria avvengono con modalità idonee a garantire la sicurezza
e l’integrità delle informazioni, nonché il loro utilizzo nei limiti consentiti dalla presente legge e dall’ordinamento vigente.
3. Il promotore di giustizia, l’Autorità di informazione finanziaria e il corpo della Gendarmeria stipulano protocolli
d’intesa al fine di garantire la sicurezza dello scambio delle
informazioni e la massima riservatezza dell’identità dei soggetti che effettuano le segnalazioni.
4. In caso di trasmissione di una segnalazione di transazione sospetta o di denuncia di reato al promotore di giustizia, l’identità delle persone fisiche che hanno effettuato la
segnalazione, anche qualora sia conosciuta, non è menzionata.
5. L’identità delle persone fisiche può essere rivelata solo
quando l’autorità giudiziaria, con provvedimento motivato,
lo ritenga indispensabile ai fini dell’accertamento dei reati
per i quali si procede.
6. Fuori dalle ipotesi di cui al comma 5, in caso di sequestro di atti o documenti si adottano le necessarie cautele
per assicurare la riservatezza dell’identità delle persone fisiche che hanno effettuato le segnalazioni.
Articolo 37 bis
Segreto in materia finanziaria
1. Tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso dei
soggetti indicati nell’articolo 2, comma 1, dei loro rappresentanti legali, amministratori, direttori, dipendenti, consulenti e collaboratori a qualsiasi titolo, in ragione dell’esercizio delle attività elencate nel medesimo articolo 2, comma
1, sono coperti dal segreto in materia finanziaria.
2. Il segreto in materia finanziaria non deve essere di
ostacolo all’attività e alla richiesta di informazioni delle autorità competenti per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
Capo VIII
Trasferimento di fondi
Articolo 38
Trasferimento di fondi
1. Fatte salve le soglie e le deroghe stabilite dall’articolo
28, comma 1, lettera c), in caso di trasferimento di fondi, i
prestatori di servizi di pagamento dell’ordinante e del beneficiario, nonché i prestatori intermediari di servizi di pagamento, sono tenuti ad adempiere agli obblighi di
adeguata verifica, di registrazione e conservazione, con riferimento ai seguenti dati relativi all’ordinante:
a) nome e cognome; b) data e luogo di nascita; c) indirizzo; d) numero di conto.
2. L’Autorità di informazione finanziaria emana linee
guida e disposizioni di attuazione sul trasferimento di fondi,
anche sulla base della vigente normativa internazionale ed
europea.
Capo IX
Denaro contante
Articolo 39
Dichiarazione di trasferimento di denaro contante
1. Ogni persona che entra o esce dallo Stato trasportando denaro contante di importo pari o superiore al limite stabilito dalla Pontificia commissione per lo Stato
della Città del Vaticano, anche sulla base della normativa europea vigente in materia, è tenuto a una dichiarazione in forma scritta all’Autorità di informazione
finanziaria.
2. La dichiarazione di cui al comma 1 contiene: a) i
dati identificativi del dichiarante, del proprietario e del
destinatario del denaro contante; b) l’importo del denaro
contante e la sua origine; c) l’itinerario seguito e l’utilizzo
previsto.
3. Le informazioni contenute nella dichiarazione di
cui al comma 2 sono registrate e conservate dall’Autorità
di informazione finanziaria per un periodo di cinque
anni.
4. Il corpo della Gendarmeria effettua verifiche e
ispezioni ai fini dell’attuazione degli obblighi di cui al
comma 1, nei limiti delle proprie competenze stabilite
dall’ordinamento vigente.
Articolo 39 bis
Utilizzo del denaro contante
La Pontificia commissione per lo Stato della Città del
Vaticano fissa con proprio regolamento i limiti all’utilizzo
del denaro contante, anche sulla base della normativa europea vigente in materia.
Capo X
Segreto d’ufficio e scambio di informazioni
Articolo 40
Scambio di informazioni
1. Tutte le informazioni in possesso delle autorità competenti sono coperte dal segreto d’ufficio, senza pregiudizio
per l’attività dell’autorità giudiziaria in caso di procedimento
penale.
2. Le autorità competenti collaborano attivamente e
scambiano informazioni rilevanti ai fini della prevenzione e
del contrasto del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
3. Tutti i dati, le informazioni e i documenti in possesso
delle autorità competenti sono conservati con sistemi che
garantiscano la loro sicurezza e integrità.
4. Sono fatte salve le disposizioni vigenti in materia di segreto pontificio e di segreto di stato.
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Articolo 41
Scambio internazionale di informazioni
1. L’Autorità di informazione finanziaria, a condizioni
di reciprocità e sulla base di protocolli d’intesa, scambia con
analoghe autorità di altri stati informazioni relative a transazioni sospette di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
2. Il segreto d’ufficio e le eventuali restrizioni alla comunicazione non sono di ostacolo allo scambio internazionale di informazioni.
3. Le informazioni fornite o ricevute devono essere utilizzate solo allo scopo della prevenzione e del contrasto del
riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
Capo XI
Sanzioni amministrative
Articolo 42
Sanzioni amministrative pecuniarie
1. Nei casi di violazione degli obblighi di cui agli articoli 1 bis; 2 ter; 25, commi 1, 2, 4 e 5; 26; 27; 28; 28 bis; 28
ter; 29; 29 bis; 29 ter; 30; 31; 32; 33; 34; 35; 36; 37, comma
1; 37 bis; 38; 39; e degli obblighi connessi contenuti nei regolamenti e nelle disposizioni di attuazione adottate sulla
base della presente legge, 1’Autorità di informazione finanziaria applica la sanzione amministrativa pecuniaria, per le
persone fisiche, da euro 10.000 a euro 250.000, e per le persone giuridiche, da euro 10.000 a euro 1.000.000.
2. La sanzione è determinata secondo i criteri stabiliti
dalla Legge n. CCXVII del 14 dicembre 1994.
3. La somma della sanzione è acquisita dalla Santa Sede
e devoluta alle opere di religione e di carità del sommo pontefice.
4. Il soggetto sanzionato può opporsi alle decisioni dell’Autorità di informazione finanziaria con ricorso dinanzi
al giudice unico. Se diverso da persona fisica, il soggetto sanzionato può esercitare il regresso nei confronti della persona
fisica responsabile della violazione.
5. Sono fatte salve le norme in materia di provvedimenti
disciplinari connessi al rapporto di lavoro.
Articolo 42 bis
Responsabilità amministrativa
delle persone giuridiche
1. In caso di condanna per uno dei reati stabiliti dagli articoli 421 bis e 138 ter del Codice penale, l’autorità giudiziaria applica nei confronti delle persone giuridiche una
sanzione amministrativa pecuniaria da euro 20.000 a euro
2.000.000 nel caso in cui:
a) chi è stato condannato rivesta funzioni di rappresentanza legale, amministrazione, dirigenza o funzioni simili; b)
chi è stato condannato è sotto la responsabilità diretta, la vigilanza o il controllo di uno dei soggetti di cui alla lettera a);
c) il reato sia stato commesso nell’interesse della persona giuridica.
2. La persona giuridica non è responsabile nel caso in cui:
a) colui che riveste le funzioni di rappresentanza legale,
amministrazione, dirigenza o funzioni simili, diverso da chi è
stato condannato, ha adottato e attuato politiche, assetti or-
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ganizzativi, misure e procedure adeguati alla prevenzione dei
reati di cui agli articoli 421 bis e 138 ter del Codice penale; b)
il ruolo di vigilanza e controllo interno alla persona giuridica
è stato affidato a organismi o enti terzi rispetto alla medesima
persona giuridica; c) il reato è stato commesso eludendo in
maniera fraudolenta la vigilanza e il controllo interni alla persona giuridica.
3. Oltre alla sanzione amministrativa pecuniaria si applica l’interdizione temporanea dall’attività quando ricorre
almeno una delle seguenti condizioni:
a) la persona giuridica ha tratto dal reato un profitto di
notevole entità; b) la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze dell’organizzazione della
persona giuridica; c) la persona giuridica, nei cinque anni precedenti, ha già ricevuto una sanzione amministrativa pecuniaria per uno dei reati stabiliti dagli articoli 421 bis e 138 ter
del Codice penale.
4. La somma della sanzione è acquisita dalla Santa Sede
e devoluta alle opere di religione e di carità del sommo pontefice.
5. Il presente articolo non si applica alle autorità pubbliche, sia interne, sia di altri stati o internazionali.
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llegato
Articolo 1
Titolare effettivo
Per titolare effettivo s’intende:
1. In caso di persona fisica, la persona o le persone fisiche in nome e per conto delle quali è realizzata una prestazione o transazione.
2. In caso di società:
a) la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima
istanza, possiedano o controllino una società attraverso il
possesso o il controllo diretto o indiretto delle partecipazioni
al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale società,
tramite azioni al portatore; b) la persona o le persone fisiche
che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di
una società.
3. In caso di altre persone giuridiche che amministrano
o distribuiscono fondi:
a) se i beneficiari sono già stati determinati, la persona o
le persone fisiche beneficiarie del patrimonio della persona
giuridica; b) se i beneficiari non sono stati ancora determinati, la persona o le persone fisiche nel cui interesse principale è creata la persona giuridica; c) la persona o le persone
fisiche che esercitano il controllo sul patrimonio della persona giuridica.
Articolo 2
Persone politicamente esposte
1. Per persone fisiche che occupano o hanno occupato
importanti cariche pubbliche s’intendono:
a) i capi di stato, i capi di governo, i ministri, i vice ministri e i sotto-segretari e le persone che esercitano funzioni
simili; b) i membri del Parlamento; c) i membri delle corti supreme, delle corti costituzionali e di ogni altra autorità giu-
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diziaria di alto livello le cui decisioni non sono generalmente
soggette a ulteriore appello, e le persone che esercitano funzioni simili; d) i membri delle corti dei conti e dei consigli di
amministrazione delle banche centrali, e le persone che esercitano funzioni simili; e) gli ambasciatori, gli incaricati d’affari e gli ufficiali di alto livello delle forze armate, e le persone
che esercitano funzioni simili; f) i membri degli organi di
amministrazione, direzione o vigilanza delle società pubbliche, e le persone che esercitano funzioni simili.
In nessuna delle categorie sopra specificate rientrano i
funzionari di livello medio o inferiore. Le categorie di cui
alle lettere da a) a f) includono, se applicabili, le cariche ricoperte a livello internazionale o europeo.
2. Per familiari diretti s’intendono: a) il coniuge; b) i figli
e i loro coniugi; c) coloro che nell’ultimo quinquennio hanno
convissuto con i soggetti di cui alle precedenti lettere, senza
effetti per l’ordinamento canonico e civile; d) i genitori.
3. Ai fini dell’individuazione dei soggetti con i quali le
persone di cui al comma 1 intrattengono notoriamente
stretti legami si fa riferimento a:
a) qualsiasi persona che abbia, notoriamente, la titolarità effettiva congiunta di persone giuridiche o qualsiasi altra
stretta relazione d’affari con una persona politicamente
esposta; b) qualsiasi persona che sia unica titolare effettiva di
persone giuridiche notoriamente create a beneficio di una
persona politicamente esposta.
4. Senza pregiudizio per l’applicazione, in funzione del
rischio, degli obblighi rafforzati di adeguata verifica, quando
una persona ha cessato di occupare importanti cariche pubbliche da un periodo di almeno un anno i soggetti destinatari della presente legge non sono tenuti a considerare tale
persona come politicamente esposta.
Articolo 3
Criteri tecnici ai fini
degli obblighi semplificati di adeguata verifica
1. Ai fini dell’applicazione dell’articolo 30, comma 7, per
categorie di controparti, tipologie di rapporti, prestazioni e
transazioni caratterizzati da un basso rischio di riciclaggio o
di finanziamento del terrorismo, s’intendono:
a) società o enti pubblici o concessionari di un’attività pubblica, a condizione che siano soddisfatti tutti i seguenti requisiti:
i) la controparte è una società o un ente pubblico o concessionario di un’attività pubblica, esercitata in maniera conforme alle concessioni ricevute dalle autorità competenti, e
all’ordinamento interno vigente; ii) l’identità della controparte
è pubblicamente verificabile e certa; iii) l’attività della controparte, nonché le sue pratiche contabili, è trasparente; iv)
la controparte è sottoposta alla vigilanza e al controllo di
un’Autorità pubblica stabilita dal diritto interno.
I criteri indicati ai numeri i)-iv) si applicano alla controparte e non a eventuali enti controllati, i quali devono soddisfare a loro volta i medesimi criteri.
Ai fini dei criteri indicati ai numeri iii) e iv), l’attività esercitata dalla controparte è soggetta a vigilanza e controllo delle
autorità competenti, incluso il potere di effettuare ispezioni;
di richiedere la modifica di politiche, misure e procedure; di
accedere a documenti, dati e informazioni;
b) società o persone giuridiche diversi da quelli di cui alla
precedente lettera a), a condizione che siano soddisfatti tutti
i seguenti requisiti:
i) la controparte è una società o una persona giuridica che
esercita un’attività di natura finanziaria che non ricade nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, comma 1, della presente legge, ma alla quale sia stata estesa l’applicazione della
presente legge; ii) l’identità della controparte è pubblicamente
verificabile e certa; iii) l’attività della controparte, nonché le
sue pratiche contabili, è trasparente; iv) la controparte è sottoposta alla vigilanza e al controllo di un’autorità pubblica
stabilita dal diritto interno.
I criteri indicati ai numeri i)-iv) si applicano alla controparte e non a eventuali enti controllati, i quali devono soddisfare a loro volta i medesimi criteri.
Ai fini dei criteri indicati ai numeri iii) e iv), l’attività esercitata dalla controparte è soggetta a vigilanza e controllo delle
autorità competenti, incluso il potere di effettuare ispezioni;
di richiedere la modifica di politiche, misure e procedure; di
accedere a documenti, dati e informazioni;
c) società quotate aventi sede in uno stato i cui valori mobiliari sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato;
d) transazioni o prodotti anche collegati, a condizione che
siano soddisfatti tutti i seguenti requisiti:
i) la transazione o il prodotto hanno una base contrattuale
scritta; ii) la transazione è eseguita tramite un conto della controparte presso un ente creditizio o finanziario situato in uno
stato che imponga obblighi equivalenti a quelli stabiliti dalla
presente legge; iii) la transazione o il prodotto non sono anonimi e la loro natura è tale da consentire l’adempimento degli
obblighi di adeguata verifica ai sensi dell’articolo 28, comma
1, lettera d) della presente legge; iv) esiste un limite predeterminato di valore massimo del prodotto; v) i vantaggi della
transazione o del prodotto non possono andare a beneficio
di terzi, salvo in caso di decesso, invalidità, sopravvivenza a
una predeterminata età avanzata o circostanze analoghe; vi)
nel caso in cui il prodotto o la transazione prevedono l’investimento di fondi in attività finanziarie o crediti, compresa
l’assicurazione o altro tipo di crediti potenziali, i vantaggi della
transazione o del prodotto sono realizzabili soltanto nel lungo
termine; la transazione o il prodotto non possano essere utilizzati come garanzia; non vengono effettuati pagamenti anticipati; non vengono utilizzate clausole di riscatto e non si
può esercitare il diritto di recesso anticipato.
Ai fini del criterio indicato al numero iv), le soglie stabilite
all’articolo 30, comma 6, lettera a), della presente legge, si applicano anche in caso di polizze assicurative o prodotti di risparmio di natura analoga.
2. L’Autorità di informazione finanziaria, nel valutare se
la controparte o la transazione o il prodotto di cui al comma
1, lettere a), b), c) e d), presentano un basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, valuta con attenzione se la controparte o la transazione o il prodotto sono
particolarmente suscettibili, per loro natura, di uso per fini di
riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. La controparte
o la transazione o il prodotto di cui al comma 1, lettere a), b),
c) e d), non possono essere considerati a basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo in assenza di dati e
informazioni che consentano la ragionevole certezza del
basso rischio.
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DIRITTO CANONICO
Il processo
decisionale
nella Chiesa
Juan Ignacio Arrieta, segretario
del Pontificio consiglio
per i testi legislativi
Q
Spesso non conoscere il modo nel quale
all’interno delle istituzioni ecclesiastiche
vengono prese le decisioni suscita incomprensioni e diffidenza, a volte anche vere e proprie crisi di comunicazione. Ma
in questi processi decisionali c’è una peculiarità «legata alla natura stessa dell’istituzione ecclesiastica e al tipo di
vincoli spirituali sui quali fonda i propri
rapporti, dando ragione del caratteristico contenuto delle decisioni, delle loro
motivazioni, ma anche della forza cogente
che c’è dietro a esse: l’autorità ecclesiastica e la giurisdizione della Chiesa». Inoltre «alla condotta delle istituzioni ecclesiastiche, alle relative decisioni di governo, viene anche chiesta un’esemplare coerenza con gli insegnamenti che la Chiesa stessa proclama». In una relazione su
«La comunicazione all’interno delle istituzioni ecclesiastiche: prendere le decisioni, spiegare le proprie ragioni», nel
corso dell’VIII Seminario professionale
sugli uffici di comunicazione della Chiesa organizzato dalla Pontificia università della Santa Croce (Roma, 16-18.4.
2012), il segretario del Pontificio consiglio per i testi legislativi mons. Juan Ignacio Arrieta ha delineato le caratteristiche
specifiche di tale processo, proponendo
poi alcuni criteri d’orientamento per comunicare le decisioni prese.
Stampa da supporto digitale in nostro possesso. Cf.
Regno-att. 10,2012,302.
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uesto mio intervento intende offrire alcune considerazioni su come vengono prese le decisioni
all’interno delle istituzioni ecclesiastiche. Le
mie saranno idee abbastanza generali, fondate
su quanto stabilito dai documenti normativi
della Chiesa nonché sull’esperienza pratica di governo.
Vorrei premettere, innanzitutto, che questo non è un
argomento che sia stato analizzato nello specifico.1 Se da
un lato sono numerosi gli studi, soprattutto in ambito
aziendale, su come si arrivi a prendere decisioni, nello
specifico ambito della Chiesa questa riflessione non c’è,
quantunque non manchino contributi collaterali, sulla
motivazione degli atti, per esempio, sulla previa consultazione alle persone o agli organi interessati, o sull’atteggiamento che occorre avere nel prendere decisioni ecc.2
Il mio proposito adesso, tenendo conto di quelli che
credo siano i vostri interessi come comunicatori, non è
quello di approfondire l’argomento dal punto di vista tecnico, bensì piuttosto quello d’allargare il più possibile
l’ambito e la diversità di situazioni a cui la problematica
decisionale si può applicare nella Chiesa, cercando di
tratteggiare alcune delle più spiccate caratteristiche, problematiche e limiti che le sono propri.
1. Carat teristiche e modalità
delle decisioni negli enti della Chiesa
Per analizzare l’argomento occorrerebbe, per prima
cosa, riflettere su quale sia la specificità delle istituzioni
ecclesiastiche che ne caratterizza in modo peculiare le decisioni, e le distingue da quelle provenienti da altre entità. Non vorrei soffermarmi adesso su questo aspetto più
astratto della questione, ma non c’è dubbio che occorra
tenerlo sempre presente. Detta peculiarità è certamente
legata alla natura stessa dell’istituzione ecclesiastica e al
tipo di vincoli spirituali sui quali fonda i propri rapporti,
dando ragione del caratteristico contenuto delle decisioni,
delle loro motivazioni, ma anche della forza cogente che
c’è dietro a esse: l’autorità ecclesiastica e la giurisdizione
della Chiesa. Inoltre, e per lo stesso motivo, alla condotta
delle istituzioni ecclesiastiche, alle relative decisioni di governo, viene anche chiesta un’esemplare coerenza con gli
insegnamenti che la Chiesa stessa proclama.
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Tutti questi sono aspetti che inquadrano certamente
l’argomento; ma in questa sede vorrei dare un taglio più
pratico al mio intervento, considerando acquisite le precedenti premesse.
Come vengono prese le decisioni nelle istituzioni ecclesiastiche? Questa sarebbe la prima domanda da porsi;
ed è chiaro che a essa si possa dare solo una risposta generale, perché vi sono diverse condizioni di cui tener
conto. Vediamone alcune.
a) La natura organizzativa dell’ente
V’è da tener conto, innanzitutto, della necessità che
ogni istituzione prenda le proprie decisioni d’accordo
con la propria natura organizzativa. Di conseguenza, essendo diversi i tipi di entità ecclesiastiche, saranno necessariamente differenti le risposte. È differente, ad esempio,
il modo di giungere a una decisione in una diocesi, in
un’università pontificia o in una scuola cattolica, in una
congregazione religiosa o in un’associazione di fedeli, oppure in una fondazione.3
Ognuna di queste entità ha caratteristiche proprie, per
natura e per organizzazione, sicché il meccanismo per
adottare risoluzioni sarà diverso. Ognuna ha i propri statuti, ove vengono indicati quali siano i centri decisionali
e illustrate le procedure di decisione. In alcuni casi gli statuti possono essere particolarmente dettagliati per quanto
riguarda «chi» e «come» adottare le decisioni, anche perché le responsabilità affidate a ognuno di questi enti nella
vita della Chiesa sono diverse, e al loro interno le responsabilità decisionali vengono distribuite anche in maniera differente.
Ognuna di queste entità, soprattutto, ha interessi proprî, e i meccanismi decisionali tengono conto di tali interessi da promuovere e da proteggere. Mentre un’entità
accademica, per esempio, dà particolare attenzione alla
qualità scientifica dei docenti e fa le promozioni sulla valutazione dei «curricula»4 da parte del Senato accademico, in un istituto religioso risulta prioritario, invece,
proteggere l’identità del proprio carisma, soprattutto in
un Capitolo generale, nei confronti di situazioni nuove
che possano verificarsi.5
una conferenza episcopale, pongono anzitutto il problema dell’identificazione dell’organo che deve prendere
le decisioni, in funzione della materia (clero, sacramenti,
associazioni), o del livello e grado di rilevanza della decisione stessa.6
La concessione d’una dispensa riservata alla Santa
Sede è di competenza di un dicastero o di un altro in ragione della materia (e degli altri fattori per determinare la
competenza), e all’interno del dicastero al tipo d’organo
o ufficio – il congresso, il prefetto, la plenaria ecc. – che
venga stabilito. L’approvazione di un’associazione nazionale di fedeli è di competenza, per esempio, della conferenza episcopale secondo il Codice,7 ma è poi lo Statuto
della conferenza stessa e il suo Regolamento a dire se sarà
non già la plenaria di tutti i vescovi del paese, bensì la
Commissione permanente o il Comitato esecutivo (per
generale delega del plenum, se volete), a dover dare detta
approvazione.8
Tutto questo processo è quello che si chiama «individuazione dell’organo», ovvero delle persone concrete che
devono adottare una decisione per conto della curia, dell’università o della conferenza.
c) La rilevanza delle decisioni e la riserva
Alcuni enti, per di più, hanno una complessità organizzativa maggiore di altri. I cosiddetti enti «di curia», organizzati in dipartimenti di natura varia coordinati da
un’istanza centrale, sullo stile della curia romana o di
Secondo anche la loro rilevanza, le decisioni possono
essere ordinarie, o correnti, e straordinarie. Le modalità
decisionali per le prime sono semplici, invece le decisioni
straordinarie richiedono interventi e consultazioni particolari, che a volte sono vincolanti per la decisione finale,
e certamente prolungano l’intero processo.
In questo campo, inoltre, vi sono nella Chiesa, a tutti
i livelli, decisioni riservate all’istanza superiore, alla Santa
Sede o addirittura al papa. L’art. 18 della costituzione
apostolica Pastor bonus ordina che «devono essere sottoposte all’approvazione del sommo pontefice le decisioni
di maggiore importanza, a eccezione di quelle per le quali
sono state attribuite ai capi dei dicasteri speciali facoltà».9
A livello di diocesi, poi, anche se la regola generale
prevede che il vescovo sia competente per tutto ciò che
occorre, alcune materie gli sono state specificamente sottratte e appartengono alla Santa Sede.10 A partire dal
2001, per esempio, un certo numero di reati penali, detti
più gravi, non appartengono più alla competenza dei vescovi o superiori religiosi, ma sono demandati alla giurisdizione della dottrina della fede: sono materie riservate.
Ma lo stesso accade in altri ambiti; per conferire il dottorato honoris causa in un’università cattolica, difatti, occorre ordinariamente il benestare della Congregazione
1
Cf. J.I. ARRIETA, «Considerazioni sull’esercizio della funzione
pubblica ecclesiastica», in Valeat aequitas, Katowice 2000, 39-52.
2
In argomento possono vedersi i vari contributi raccolti nel volume J.I. ARRIETA (a cura di), Discrezionalità e discernimento nel governo
della Chiesa, Venezia 2008. Per un’efficace e ordinata presentazione,
vedi il volume di J. MIRAS, J. CANOSA, E. BAURA, Compendio de derecho
administrativo canónico, EUNSA, Pamplona 2001.
3
Cf. su questo J.I. ARRIETA, Diritto dell’organizzazione ecclesiastica,
Giuffrè, Milano 1997, 17ss, 101ss.
4
Vedi per es. GIOVANNI PAOLO II, cost. ap. Sapientia cristiana sulle
università e facoltà ecclesiastiche, 29.4.1979, art. 28 sulla promozione
dei docenti agli ordini superiori, in AAS 71 (1979), 469-499; EV
6/1386.
5
Cf. Codice di diritto canonico, can. 631. Su questo cf. F.G. MOR-
RISEY, «Comentario ai cann. 631-633», in A. MARZOA, J. MIRAS, R.
RODRIGUEZ OCAÑA (a cura di), Comentario exegético al Código de derecho canónico (ComEx) II/2, Pamplona 32002, 1585-1594.
6
Su questo cf. ARRIETA, Diritto dell’organizzazione ecclesiastica,
109-110.
7
Cf. CIC, can. 312 § 1, 2; cf. L.F. NAVARRO, «Comentario al can.
312», in ComEx II/1, Pamplona 32002, 473-478.
8
Cf. per esempio CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Statuti,
19.10.1998, in Notiziario CEI 1998, 273-301, art 23, u); Regno-doc.
1,1999,30.
9
GIOVANNI PAOLO II, cost. ap. Pastor bonus sulla curia romana,
28.6.1988, art. 18, in AAS 80 (1988), 841-930; EV 11/850.
10
Cf. CIC, can. 381. Cf. anche A. DE LA HERA, «Comentario al
can. 381», in ComEx II/1, Pamplona 32002, 733-740.
b) Individuazione dell’organo decisionale
negli enti complessi
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per l’educazione cattolica, e parimenti per alienare un
bene della diocesi o di un istituto religioso, a partire da
una certa somma – che in Italia è di un milione di euro11–
occorre la licenza della Santa Sede, data nel primo caso
dalla Congregazione per il clero e nell’altro da quella per
i religiosi.
d) Esigenza di consultazioni
e allungamento del processo decisionale
Oltre alle materie la cui decisione è riservata alla superiore istanza, infine, vi sono anche argomenti di particolare rilievo in cui occorre confrontare la decisione
con un organo consultivo. Il fenomeno è presente anche
a tutti i livelli. Nella diocesi, il vescovo non può adottare
da solo determinate decisioni – per esempio erigere una
nuova parrocchia – senza discuterne previamente col
suo Consiglio presbiterale. Lo stesso accade, secondo
quanto stabiliscano gli statuti, per determinate decisioni
in un’associazione o una congregazione religiosa, e
anche a livello di curia romana. L’art. 26 § 1 della costituzione apostolica Pastor bonus, che regola l’organizzazione della curia, stabilisce, per esempio, di favorire
«frequenti rapporti con le Chiese particolari e con gli
organismi di vescovi (conferenze o sinodi episcopali),
chiedendo il loro parere quando si tratta di preparare
documenti di rilevante importanza, aventi carattere generale».
La complessità della questione, dunque, allarga le procedure decisionali, determina l’intervento in posizione
consultiva e anche determinativa di altre istanze e, in definitiva, rende più lenta la decisione e la condiziona.12 Allo
stesso tempo, poi, l’ampliamento delle procedure comporta l’impiego di successivi schemi di uno stesso documento, il bisogno di integrarlo con i contributi dei singoli
consultati e l’intervento di nuove persone di staff.
Il nostro Pontificio consiglio, per esempio, avviò per
indicazione del santo padre un processo di revisione del
Libro VI del Codice di diritto canonico.13 Per due anni
hanno lavorato in successive riunioni una decina di specialisti; poi sono intervenuti una quarantina di canonisti
di tutto il mondo, sul cui contributo è stato preparato uno
schema del nuovo Libro VI inviato alle conferenze episcopali e alle facoltà prima dell’estate del 2011: ai primi
del mese di marzo di quest’anno scadeva il termine dato
loro per consegnare osservazioni, che adesso si stanno finendo di sintetizzare e organizzare per preparare la seguente fase di lavoro.
Nel processo decisionale, infatti, soprattutto se complesso, i tempi sono lunghi. Si pensi, per esempio, che l’assemblea generale di una conferenza episcopale che dovesse discutere una determinata questione si raduna, di
solito, non più di due volte all’anno. Questo è il caso di
quella italiana,14 ma anche di quasi tutte le conferenze numericamente grandi.
e) Il contenuto della decisione
Un’altra peculiare caratteristica delle decisioni delle
istituzioni ecclesiastiche riguarda la forte dimensione spirituale delle motivazioni o del contenuto delle decisioni,
e quindi la singolare componente pastorale e di valori spi-
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rituali ed etici che in questi casi accompagnano il processo deliberativo della ragione per adottare una data risoluzione.15
Ciò non accade, com’è ovvio, con tutte le decisioni, e
in alcune concrete istituzioni, per loro natura, la componente pastorale risulta ovviamente minore, come ad
esempio in un’università o un’associazione di fedeli.
Esistono, perciò, decisioni che sembra possano essere
capite e adottate anche a prescindere dall’elemento spirituale. Gli atti patrimoniali, ad esempio, sono sottoposti
a regole finanziarie e di mercato comuni alla vita economica. Ma anche dette scelte sono necessariamente sottoposte a una più alta motivazione, quali appunto sono i
fini istituzionali della Chiesa, ai quali detti beni sono vincolati come segnala il can. 1254 del Codice di diritto canonico: il culto, il sostentamento del clero e le opere di
apostolato e aiuto ai poveri. Dette finalità forniscono, in
ultima istanza, i parametri conformemente ai quali valutare l’opportunità di un atto patrimoniale di amministrazione straordinaria.16
In altri casi, invece, la componente spirituale o pastorale ha una maggiore entità, e ciò necessariamente comporta di dover riconoscere a chi ha la responsabilità della
decisione una discrezionalità e autonomia, nella valutazione di circostanze e scelte, che spesso risultano difficilmente comunicabili. Solo partecipando in ugual misura
ai componenti e valori che accompagnano la ragione sarà
possibile riuscire a capirla per intero.
2 . Le componenti sogget tive
del processo decisionale
Qualunque processo decisionale richiede il concorso
di diversi soggetti, che agiscono in posizione e con responsabilità diverse. In molte occasioni queste responsabilità vengono stabilite tassativamente dalla legge nella costituzione di determinati uffici; ma accanto a questa, che
potremmo chiamare «organizzazione formale», nella
Chiesa non possiamo ignorare l’esistenza parimenti di
un’«organizzazione informale», che di fatto agisce e condiziona le decisioni, e non necessariamente in maniera illegittima. Il prestigio o l’esperienza personale, per esempio, contano in ogni processo decisionale, e anche nella
Chiesa, come conta la conoscenza delle persone o il credito da queste acquistato per la veracità o l’obiettività delle
loro analisi.
Al di là di ciò, tuttavia, nei processi decisionali ecclesiali possiamo, in termini generali, individuare tre soggetti intervenenti: a) il soggetto che deve adottare la
decisione, b) l’organo col quale deve confrontarsi, c) il doveroso vincolo di comunione che lega il pastore ai propri
colleghi nel ministero: un fattore tipico della Chiesa, quest’ultimo, che l’ultimo concilio ecumenico ha saputo mettere in risalto.
È ovvio che questo schema non è riproducibile allo
stesso modo in tutte le istituzioni ecclesiastiche. Ma in un
modo o nell’altro troviamo quasi sempre – anche in
un’università o in un istituto religioso – la presenza di
questi tre termini soggettivi implicati.
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a) Il soggetto della decisione
Il soggetto che deve prendere una decisione per conto
di un istituto ecclesiastico talvolta sarà una persona fisica,
il titolare di un ufficio – il vescovo, il prefetto di un dicastero –, allorché in altre occasioni sarà un collegio di persone: un tribunale, il Consiglio permanente di una
conferenza episcopale, il Congresso di un dicastero ecc.
In questo secondo caso, se si tratta di un collegio, conta
molto quale sia la natura del collegio, giacché spesso accade che le opinioni dei singoli non valgano allo stesso
modo nel prendere delle decisioni.
Anche se nulla c’è scritto in proposito, non c’è dubbio
che, per ragioni formali o informali, nel Congresso di un
dicastero non conta allo stesso modo il parere del prefetto
o quello di un ufficiale. Nella Segnatura della Penitenzieria apostolica, invece, il penitenziere maggiore è tenuto
ad ascoltare i pareri dei sei prelati consiglieri, ma alla fine
è lui personalmente che prende la decisione. Lo stesso capita col prefetto della Segnatura apostolica nel congresso
del Tribunale. In un Consiglio permanente di una conferenza di vescovi o nella plenaria di un dicastero, invece,
quando occorre votare, normalmente si decide a maggioranza.17
Nei tribunali capita inoltre una questione singolare.
La Rota romana, per esempio, giudica in turni di tre giudici, e la sentenza finale porta il nome del relatore a cui
era stata affidata la causa.18 Non risulta infrequente, in
questi casi, che il parere del relatore sul problema sia
messo in minoranza quando si radunano i tre per definire la questione, e che, di conseguenza, questi debba redigere la motivazione di una sentenza con argomenti che
non condivide personalmente. Questo accade perché, in
questi casi, il giudizio è affidato al collegio e non ai singoli
membri che lo compongono.
Nella generalità delle situazioni, tuttavia, lo schema è
differente: la decisione è affidata a un soggetto personale,
il vescovo è il caso tipico a livello di diocesi, e lui risponde
della disposizione da adottare.
In questi casi, il vescovo è il pastore messo a capo di
una comunità che, per volontà di Cristo, è strutturata in
modo gerarchico. Anche se non è l’unico soggetto della
comunità diocesana, e con lui collabora un presbiterio e
ha un intero popolo di fedeli per realizzare la Chiesa in
quel luogo, solo al vescovo spettano le funzioni apicali di
direzione e di governo, tipiche del munus episcopale. Lo
11
Cf. CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Delibera n° 20, novembre 1998, in Notiziario CEI 1999, 92; cf. CIC, can. 1292 § 1; su questo
vedi J. MANTECÓN, «Comentario al can. 1292», in ComEx IV/1, Pamplona.
12
Vedi su questo J.I. ARRIETA, «L’attività consultiva nell’amministrazione ecclesiastica di governo», in J.I. ARRIETA (a cura di), Discrezionalità e discernimento nel governo della Chiesa, Venezia 2008,
133-152.
13
Cf. PONTIFICIUM CONSILIUM DE LEGUM TEXTIBUS, Schema recognitionis Libri VI Codicis iuris canonici (Reservatum), Typis Vaticanis,
2011.
14
Cf. CEI, Statuti, art. 10; Regno-doc. 1,1999,41.
15
Cf. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, direttorio Apostolorum successores sul ministero pastorale dei vescovi, 22.2.2004, nn. 52 e 69; EV
22/1681s.1719ss. Vedi su questo B. SERRA, «L’equità quale criterio
funzionale alla prudentia iuris nella formazione dell’atto amministrativo discrezionale», in ARRIETA (a cura di), Discrezionalità e discernimento nel governo della Chiesa», 45-78.
stesso capita col papa a livello di Chiesa universale. Perciò, nella diocesi, il vescovo – dal punto di vista sia ecclesiale sia morale – assume una responsabilità che è
personale rispetto alle decisioni assegnategli per ufficio,
che non può né riversare su altri, né tantomeno illudersi
di poter evitare trasferendola, ad esempio, a un organismo collegiale, che potrebbe risultare, diciamo, più democratico.
Nella diocesi il vescovo non è l’unico a prendere decisioni: vi sono i suoi vicari, che il diritto chiama «ordinari», i quali possono adottare alcune decisioni tipiche
del vescovo, come ad esempio concedere dispense, dare
facoltà, realizzare determinati atti giuridici, determinate
nomine ecc. Vi sono tante altre decisioni che il vescovo
può, ovviamente, delegare.19 Ma in tutti questi casi, si
tratti di vicari o di delegati, la loro capacità decisionale
dipende da quello che il vescovo affida loro, e, in ultima
istanza, al vescovo spetta anche il controllo ultimo sul loro
operato.
Mutatis mutandis ciò che si è detto del vescovo serve
anche per quegli altri uffici personali che nelle istituzioni
ecclesiastiche abbiano assegnati ruoli di guida e di direzione di comunità cristiane gerarchiche (cioè guidate da
membri della gerarchia ecclesiastica), di associazioni di
fedeli o di organismi ecclesiali, come una curia o un’assemblea episcopale.
b) Il confronto con istanze collegiali
Il secondo elemento soggettivo nel prendere decisioni
è il consiglio, o i vari tipi di organismi collettivi, con cui il
responsabile personale alla guida di un’entità deve confrontarsi.20
Normalmente il confronto deve aver luogo a proposito di decisioni di maggiore entità, poiché la gestione ordinaria è lasciata all’organo personale di direzione. Quali
siano i suddetti casi è normalmente stabilito dal diritto
comune e dagli statuti, e può avvenire che in funzione del
tipo di provvedimento da adottare l’organo collegiale di
confronto sia differente. Per le questioni economiche,
nella diocesi ad esempio il vescovo si confronta col Collegio di consultori o col Collegio per gli affari economici,
mentre per le questioni ministeriali si confronta col Consiglio presbiterale.
Risulta di capitale importanza, in questi casi, conoscere a quale titolo e in quale posizione intervenga l’or16
A proposito degli atti di amministrazione straordinaria, si veda
la trattazione di J.P. SCHOUPPE, Derecho Patrimonial canónico, Ediciones Universidad de Navarra, Pamplona 2007, 154-188.
17
Cf. J.I. ARRIETA, «La “Legge propria” della Segnatura apostolica», in «In charitate iustitia», rivista giuridica del Tribunale ecclesiastico regionale calabro 17(2009), 33-54; vedi Legge propria del Supremo
tribunale della Segnatura apostolica, art. 6, promulgata da Benedetto
XVI col motu proprio Antiqua ordinazione, 21.6.2008, in AAS
100(2008), 513-538; EV 25/1008.
18
Cf. Normae Quammaxime decet romanae Rotae tribunalis,
18.4.1994, art. 18, in AAS 86 (1994), 508-540; EV 14/968.
19
Cf. CIC, cann. 475ss. Cf. su questo A. VIANA, «Comentario al
can. 475», in ComEx II/2, Pamplona 32002, 1056-1062.
20
Cf. J.I. ARRIETA, «El Colegio de consultores y el consejo presbiteral», in La curia diocesana. La función consultiva. Actas del IV
Simposio sobre la curia diocesana, Salamanca 5-7.2.2002, Salamanca
2002, 115, 144.
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gano collegiale nel prendere decisioni. La posizione di
questi organismi collegiali di confronto è, di norma, solo
di natura consultiva, e la richiesta del loro parere è a
volte facoltativa, lasciata cioè alla valutazione del vescovo o dell’autorità, mentre in altre occasioni viene obbligatoriamente richiesta dalla legge. Per erigere o
sopprimere una parrocchia, ad esempio, il vescovo deve
ascoltare il Consiglio presbiterale.21 Vi sono addirittura
casi in cui il parere del collegio consultato è vincolante,
nel senso che ottenere il suo assenso è condizione per
poter adottare una decisione. Sono casi assai limitati e
ben determinati: ad esempio, quando al vescovo occorre
il parere positivo del Collegio di consultori e del Consiglio diocesano per gli affari economici per la vendita di
beni d’una certa entità e per realizzare atti di amministrazione straordinaria (CIC, can. 1291 § 1). Ma neanche in questi casi cambia il ruolo e la posizione
consultiva dell’organismo collegiale di confronto, nel
senso che la sua delibera collegiale può sì rappresentare
un «veto» alla volontà del vescovo, ma non potrà mai
sostituirsi a essa, nel caso in cui dovesse stabilire che sia
venduta una proprietà diocesana piuttosto che un’altra
per saldare, ad esempio, un debito della diocesi.
Il modo in cui questi organismi collettivi adottano le
proprie decisioni si chiama «delibera», nome che intende
cogliere il processo di riflessione all’interno del collegio
con la partecipazione dei componenti. Non sempre, però,
questo processo dovrà finire con una votazione, e in tanti
casi potrebbe risultare addirittura strumentale procedere
CARLO CIATTINI
Missione della Chiesa
e Dottrina sociale
Presentazione di mons. Mario Toso
I
n questa epoca di crisi economica e finanziaria, il testo è un aiuto a leggere
l’oggi alla luce del Vangelo, assumendo i
principi che stanno alla base della Dottrina
sociale della Chiesa come punto privilegiato
di osservazione e, insieme, come invito ad
attualizzare la Parola di Dio, in vista di un
ripensamento dei modelli di sviluppo.
«OGGI E DOMANI»
pp. 88 - € 8,00
Edizioni Edizioni
Dehoniane
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a una votazione. La votazione è sì imprescindibile quando
il parere del collegio risulta vincolante e occorre esprimere
quale sia la volontà del collegio, ma nella maggioranza dei
casi, invece, il diritto è piuttosto interessato a far sentire al
pastore, al vescovo, la maggior varietà possibile di ragioni e idee. Perciò quando si limita a chiedere di sentire
un organismo – il Consiglio presbiterale, il Collegio dei
consultori ecc. – non occorre affatto una votazione sì/no
che ridurrebbe semplicisticamente le sfumature del problema, ma ciò che risulta di prioritaria importanza è sentire l’opinione di tutti i suoi componenti.22 In questo
modo, inoltre, si evita l’ingiusto effetto psicologico di dare
a un parere consultivo una «forza» di maggioranza di
fronte al vescovo, cosa che il diritto non intendeva fare.
c) Il vincolo di comunione
Il responsabile della decisione e l’organismo collegiale
di confronto sono, nella generalità dei casi, i due principali elementi soggettivi che intervengono in una decisione. Ce ne sono, ovviamente, anche altri, come l’istanza
superiore, qualora occorra un benestare o un controllo
preventivo, oppure una parte della decisione comporti
materie riservate; e vi sono anche i componenti dello
«staff » di governo e i collaboratori di chi prende la decisione, i quali, pur non avendo capacità decisoria vera e
propria, condizionano in maniera evidente una decisione
quando impostano gli studi o le verifiche in un determinato modo o nell’altro.
Al di là di tutto ciò, tuttavia, occorre qui accennare a
un aspetto più astratto che però è diventato, soprattutto
dopo il concilio Vaticano II, di capitale importanza. Si
tratta del rapporto di comunione, o delle esigenze della
comunione. Il Catechismo della Chiesa cattolica dice, per
esempio, che «è proprio della natura sacramentale del
ministero ecclesiale avere un carattere collegiale…, per
questo ogni vescovo esercita il suo ministero in seno al
collegio episcopale, in comunione col vescovo di Roma…;
[e] i sacerdoti esercitano il loro ministero in seno al presbiterio della diocesi, sotto la direzione del loro vescovo».23
Il parametro di comunione introduce nel processo decisionale una sorta di particolare dovere d’allineare i propri criteri decisionali a quelli dei colleghi nel ministero,
soprattutto dei colleghi più vicini in ragione del territorio
o dell’omogeneità dei problemi.24 Ciò non vuol dire che
le decisioni debbano essere le stesse, il che potrebbe essere
contrario alla giustizia che va fatta tenendo conto di tutte
le circostanze che danno singolarità a ogni problema.
Vuol dire, soltanto, che c’è un dovere di adottare criteri
decisionali simili, a meno che non ostino gravi e insindacabili motivi, che ciascun pastore è tenuto a confrontare
con la propria coscienza.
Un principio di questo genere risulta esplicitamente
presente, per esempio, negli statuti delle conferenze episcopali, parlando dei casi in cui i singoli vescovi debbono
assumere una decisione collettiva, pur non avendola votata e anche se non fosse tecnicamente «vincolante».
Salvo motivi gravi e insindacabili, detta decisione dovrebbe essere condivisa per motivi di comunione con gli
altri vescovi.
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Ebbene, questo stesso principio dev’essere parimenti
presente nelle singole decisioni del vescovo come pastore
diocesano.
Questo ritengo sia uno degli apporti più interessanti
del concilio Vaticano II a ciò che in termini generali potremmo chiamare prendere decisioni nella Chiesa: l’influsso che deve sempre esserci del senso comunionale.
Si tratta di una dimensione di giustizia, anche se astratta
e di difficile valutazione, nonché suscettibile di valutazione nel lungo periodo e non nelle singole decisioni.
Una concreta manifestazione di questa esigenza si
trova nel can. 127 del Codice di diritto canonico, che fissa
uno straordinario criterio tutto ecclesiale di governo,
dove vengono bilanciate responsabilità personali indeclinabili e senso della comunione.
Il canone riguarda la rilevanza che un’autorità ecclesiastica deve dare al parere dell’organismo collettivo
col quale deve confrontarsi, e serve per il vescovo e per
un rettore di università, poiché è un criterio di governo
generale. Dopo aver indicato alcuni dei criteri che ho
esposto, a proposito dei pareri che non sono vincolanti,
infatti, il canone dice questo: «Il superiore, sebbene non
sia tenuto da alcun obbligo ad accedere al loro voto,
benché concorde, tuttavia senza una ragione prevalente,
da valutarsi a suo giudizio, non si discosti dal voto delle
stesse, specialmente se concorde».
Non si tratta né di un mandato né di un obbligo giuridico: è piuttosto un consiglio di governo in comunione
rivolto all’autorità con un criterio pratico su come bilanciare il proprio parere e quello dell’organo consultivo, lasciando sempre salva la responsabilità personale
di chi deve assumere l’onere della decisione.
Il criterio è molto importante e, in termini più generali, serve ad accogliere nella Chiesa, che è una struttura gerarchica dove le decisioni sono affidate ai pastori,
il principio di corresponsabilità secondo il quale tutti i
battezzati devono cooperare alla missione della Chiesa.
Ai pastori spetta il dovere di valutare, come atto dovuto
in ragione di giustizia, l’opinione pertinentemente formulata dai restanti loro fedeli.
Questo, indubbiamente, è un fattore che appesantisce la decisione del pastore e rende del tutto insindacabile l’onere del discernimento. Di fronte a determinate
decisioni, infatti, un pastore della Chiesa si viene a trovare comparativamente ben più «solo» di un governante
democratico al quale basti seguire il dettato espresso dal
voto di maggioranza.
Visti grosso modo gli elementi soggettivi della decisione – responsabile, organo di confronto, e contesto comunionale o collegiale –, vediamo adesso le fasi di una
decisione di governo nella Chiesa che il legislatore canonico, secondo quanto risulta dal diritto della Chiesa,
Presupposto per ogni processo decisionale è avere la
capacità giuridica e il potere di decidere: chi non è competente in una materia non può prendere decisioni efficaci su di essa. Per quanto riguarda le diocesi e i vescovi,
poi, s’è già detto che una delle principali novità della
nuova disciplina codiciale uscita dal Vaticano II è quella
di riconoscere al vescovo «tutta la potestà … che è richiesta per l’esercizio del suo ufficio pastorale, fatta eccezione per quelle cause» riservate dal diritto «alla suprema
oppure ad altra autorità ecclesiastica» (CIC, can. 381 §
1), che in alcune concrete materie può essere la conferenza episcopale, decidendo come collegio.26
Della stessa potestà del vescovo per risolvere concrete
questioni godono anche i vicari del vescovo, i quali decidono sì sotto la loro responsabilità, ma sulla base di un
21
Cf. CIC, can. 515 § 2. Cf. anche A. S. SÁNCHEZ-GIL, «Comentario al can. 515», in ComEx II/2, Pamplona 32002, 1200-1206.
22
Cf. ARRIETA, «L’attività consultiva nell’amministrazione ecclesiastica di governo», 149-150.
23
Catechismo della Chiesa cattolica, n. 877.
24
Cf. su questo M. VISIOLI, «La valutazione della comunione nella
provvista canonica», in ARRIETA (a cura di), Discrezionalità e discernimento
nel governo della Chiesa, 215-228; P. PAVANELLO, «La concessione di gra-
zie: aspettative e attese», ivi, 179-186; nonché G. INCITTI, «Momento
prudenziale nell’accettazione dei candidati al sacerdozio», ivi, 229-246.
25
CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Apostolorum successores, n. 69
g); EV 22/1725.
26
Cf. su questo P. MONETA, «Gli strumenti del governo ecclesiastico: l’atto amministrativo», in ARRIETA (a cura di), Discrezionalità e discernimento nel governo della Chiesa», 79-95; nonché E. BAURA, «Atto
amministrativo e limitazione dei diritti», ivi, 187-213.
ha preso in considerazione come elementi distinti legati
ciascuno a interessi degni di tutela.
3. Condizioni e fasi della decisione
secondo il dirit to
Il direttorio per il ministero pastorale dei vescovi,
pubblicato nel febbraio del 2004, riassume, in un periodo che vorrei citare, l’insieme di elementi che occorre
mettere insieme in ogni decisione di governo. Il direttorio parla ai vescovi, ma riassume come vedremo norme
generali che sono nel Codice di diritto canonico, e quindi
servono per qualunque tipo di entità. «Quando si tratta
di adottare provvedimenti straordinari di governo, in
casi singolari, il vescovo, prima di ogni altra cosa, cerchi
le informazioni e le prove necessarie e, soprattutto, nei limiti del possibile, si premuri di ascoltare gli interessati
alla questione. A meno che non si frapponga causa gravissima, la decisione del vescovo dovrà essere redatta per
scritto e consegnata all’interessato. Nell’atto, senza ledere
la buona fama delle persone, dovranno risultare con precisione i motivi, sia per giustificare la decisione, sia per
evitare ogni apparenza d’arbitrarietà ed eventualmente
per permettere all’interessato di ricorrere contro la decisione».25
In sintesi qui troviamo tutte le condizioni e fasi decisionali: 1) come presupposto, occorre che il responsabile
abbia giurisdizione per poter decidere; 2) poi è richiesta
la dovuta informazione e la raccolta di elementi di giudizio; 3) poi occorre seguire le procedure decisionali stabilite e giungere a una decisione; 4) quindi è necessario
motivarla; 5) in determinati casi occorre consegnarla per
scritto e 6) infine, secondo la natura della decisione, è
necessario comunicarla all’interessato.
a) Capacità o potere per decidere
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S
tudi e commenti
potere del vescovo che viene loro affidato al momento
della nomina (cf. CIC, can. 479). Proprio per questo motivo, dunque, «devono riferire al vescovo diocesano sulle
principali attività programmate e attuate e inoltre non
agiscano mai contro la sua volontà e il suo intendimento»
(CIC, can. 480).
Questi sono uffici vicari del vescovo; ma il vescovo o
l’autorità con potere può anche delegare certe competenze ad altre persone: la delega è anche un modo per
trasferire compiti in modo puntuale e sotto maggiori condizioni e controlli da parte di chi delega.
b) Raccolta di informazione
«Prima di dare un decreto singolare (o di prendere
una decisione qualsiasi), l’autorità ricerchi le notizie e le
prove necessarie, e, per quanto possibile, ascolti coloro i
cui diritti possono essere lesi» (CIC, can. 50).27
Anche se le disposizioni legali sono generiche, il buon
senso impone a chi deve governare l’obbligo di raccogliere la necessaria documentazione per poter approfondire le diverse sfaccettature di un problema. Ciò è
particolarmente importante, anche per strette ragioni di
giustizia, qualora possano essere lesi diritti di terzi o
quando la decisione possa avere una maggiore trascendenza.
Non c’è dubbio che, a questo punto, la genericità
della norma lasci molto spazio alla sensibilità di chi governa; ma le esigenze di buon governo impongono più
che mai la necessità d’essere particolarmente attenti all’adeguata comunicazione con gli interessati qualora occorresse aprire un periodo d’informazione pubblica, per
esempio quando si tratti della soppressione di parrocchie, della vendita di chiese aperte al culto ecc.
Potrebbe sembrare che queste esigenze rallentino la
decisione e non siano necessarie, soprattutto se mancassero le alternative; tuttavia sono invece imperativi, determinati dal bisogno di agire in comunione, cercando
in determinati casi di agire coralmente e di giungere se
possibile alla spontanea adesione verso la decisione da
adottare.
c) Procedura e decisione da adottare
Nella Chiesa non c’è una legge di procedura amministrativa generale, come forse sarebbe d’una certa utilità; per decisioni d’un certo genere, tuttavia, soprattutto
di natura penale o che possono modificare diritti, occorre osservare le procedure stabilite.28 È frequente, ad
esempio, che le conferenze episcopali abbiano un regolamento per l’adozione di accordi, ecc.
Quello che, invece, ha molto peso nelle decisioni
delle strutture ecclesiastiche è la prassi, cioè il modo in
cui siano stati decisi in precedenza problemi similari. La
prassi segna criteri generali di attuazione, e serve normalmente a rendere le decisioni più veloci, seguendo
l’esperienza proveniente dai casi anteriori. Talvolta una
prassi molto consolidata di risolvere un problema in un
determinato modo può rendere difficile cogliere che le
circostanze d’insieme siano ormai cambiate e che detta
prassi non serva più.
Al termine della procedura e delle necessarie con-
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sultazioni c’è sempre la decisione propriamente detta,
da adottare da parte di chi ne è responsabile. Essa riunisce, dipendendo dai casi, alte dosi di prudenza e di discernimento per valutare aspetti che sono difficilmente
oggettivabili e, in tanti casi, presuppongono una valutazione molto personale.
Nel caso di una nomina, ad esempio, chi ne è responsabile deve valutare aspetti come l’indice di comunione ecclesiale del candidato – il grado di comunione
richiesto all’ufficiale non di concetto di una curia non è
uguale a quello richiesto al professore di teologia o al vescovo –. In un provvedimento penale, poi, si deve giungere alla «certezza morale» sulla colpevolezza, dopo
attenta valutazione di prove e argomentazioni. Nella nomina di certe cariche, come un vicario generale ecc., c’è
poi una componente fiduciaria strettamente personale,
poiché tali funzioni comporteranno di prender parte nel
governo e nello stile di governo proprio di chi abbia fatto
la nomina.
Molte decisioni, dunque, sono personali e con elevato indice di discrezionalità, anche se non possano essere arbitrarie e, sempreché in qualche maniera possano
ledere il diritto delle persone o le legittime attese, possono essere oggetto di ricorso e quindi di revisione.
Tutte le decisioni di governo impositive, infatti, sono
sempre di foro esterno, e tutte possono essere oggetto di
ricorso alla superiore autorità qualora si ritenesse che vi
sia stata una qualche lesione di diritto.
d) La forma scritta
Affinché una decisione possa essere giuridicamente
intimata, essa dev’essere contenuta in un legittimo documento (CIC, can. 54 § 2). Il can. 51 ordina, infatti, che
il decreto si dia per iscritto, cosa che, in modo più generale, prescrive anche il can. 37: «L’atto amministrativo, che riguarda il foro esterno, si deve consegnare per
scritto».
La forma scritta, come carattere generale degli atti
giuridici, è prescrizione del nuovo Codice, anche se non
comporta l’invalidità degli atti di grazia, come dispense
ecc. Si tratta, principalmente, d’un requisito per l’esecutorietà della decisione, la quale, però, avviene solo dal
momento in cui l’autorità corrispondente abbia apposto la propria firma al documento. Sicché, in tale senso,
la scrittura è un principio di sicurezza giuridica, di buon
governo – poiché obbliga a concretizzare le decisioni –
, ed è anche un modo di protezione degli interessati,
giacché potranno eventualmente farvi ricorso.
Nel caso dell’autorità pontificia c’è, però, l’eccezione
dei cosiddetti oracula vivae vocis o dei rescritti ex audientia: ai cardinali si riconosce la facoltà di poter consegnare per iscritto le decisioni comunicate dal santo
padre in udienza privata, facendo sì che detto documento acquisti il valore e la forza d’una decisione papale.
e) La motivazione
Altro elemento essenziale di una decisione è la motivazione.29 Il can. 51 del CIC dice che «il decreto si
dia per scritto esponendo, almeno sommariamente, le
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motivazioni, se si tratta di una decisione». In ambito
giudiziale e, in generale, in materia decisoria, un decreto senza motivazione non ha valore giuridico (CIC,
can. 1617): secondo il can. 699 § 1 del CIC, ad esempio, il decreto di dimissione di un religioso dall’istituto
è nullo se non è motivato. Ciò non è ugualmente rigoroso nell’ambito amministrativo, di concessione di
grazie ecc., poiché la norma in sé non è irritante. La
Segnatura apostolica, tuttavia, sta propendendo per
un’esigenza crescente della motivazione dei decreti in
generale.
In alcuni casi il mancato motivo può portare addirittura all’invalidità dell’atto. Nel caso della concessione di dispense, per esempio, il can. 90 § 1 del CIC
esige che vi sia «giusta causa» per concedere la dispensa, cosa che dovrà certamente valutare l’autorità
corrispondente. Ma poi il can. prosegue: «Altrimenti
la dispensa [concessa senza giusta causa] è illecita e, se
non fu data dal legislatore stesso o dal suo superiore, è
anche invalida».
Nel ricordare il dovere di motivare le decisioni, poi,
il direttorio per il ministero pastorale dei vescovi del
2004 ricorda una condizione: «Senza ledere la buona
fama delle persone, dovranno risultare con precisione
i motivi, sia per giustificare la decisione, sia per evitare
ogni apparenza di arbitrarietà ed eventualmente permettere all’interessato di ricorrere con la decisione».
Non sempre è possibile, infatti, rendere del tutto espliciti i motivi di una decisione, poiché si potrebbe ledere
la buona fama dell’interessato (cf. CIC, can. 220).
In alcune occasioni eccezionali l’autorità si vede nel
dovere, per evitare lo scandalo dei fedeli, di dichiarare,
ad esempio, una sanzione canonica di sospensione o di
scomunica di un soggetto, cioè, rendendo pubblica una
situazione che era nascosta.
f) Comunicazione della decisione
La decisione, infine, dev’essere comunicata al soggetto interessato, sia a quello che ha fatto la petizione,
sia a chi deve subire la decisione ecc.30
A questo riguardo il can. 54 esige che per poter urgere l’osservanza di un decreto singolare, questo «deve
essere intimato con un legittimo documento a norma
del diritto».
Gravi motivi potrebbero, occasionalmente, costringere a non consegnare un documento all’interessato, e
in tal caso sarà sufficiente comunicarne il contenuto
davanti a testimoni (CIC, can. 55). Lo stesso se l’interessato si rifiutasse senza causa giusta di ricevere la comunicazione: s’intende, allora, che il decreto è stato
regolarmente intimato.
4. A modo di conclusione
Devo fermarmi qui, anche se si potrebbero aggiungere tante altre riflessioni.
Prima di finire, però, tenendo conto delle caratteristiche del presente auditorio, vorrei aggiungere due
considerazioni finali.
La prima riguarda la necessità e la possibilità di ridurre il linguaggio giuridico a termini di «verità» per
poterli comunicare. Le decisioni di governo, quando
sono giuste, possono essere ridotte e presentate in termini di verità. In particolar modo le decisioni della
Chiesa, poiché, d’accordo con la tradizione canonica
plurisecolare, la ragionevolezza dev’essere una delle
note tipiche di una decisione del superiore.
Ragionevolezza significa, qui, confronto con le esigenze di giustizia dettate dalla ragione umana, e il diritto canonico è a questo riguardo particolarmente
fortunato in quanto la legge naturale forma parte integrante dell’ordinamento della Chiesa, e ruolo del pastore e del canonista è darvi vigenza effettiva.
Sicché è del tutto rilevante, nel comunicare una decisione, lasciarsi guidare dagli aspetti concreti di verità,
scomporre le formulazioni «legali» di una decisione,
ed esporre il contenuto in termini di verità, giustizia e
di ragionevolezza.
La seconda osservazione, parimenti molto importante, è quella di saper scoprire e comunicare a quale
titolo e in quale posizione intervengano in una decisione complessa i successivi soggetti che vi prendessero
parte. Talvolta, infatti, si potrebbe cadere nel rischio di
non apprezzare la diversa rilevanza dei diversi protagonisti, potendo, di conseguenza, condurre a un’erronea valutazione dell’intero processo.
Occorre essere ben consapevoli del concreto ostacolo che la cultura democratica, imperante nella generalità dei paesi, rappresenta per capire una società
gerarchica, dove la collaborazione deve sempre rispettare la responsabilità del pastore.
C’è chi partecipa a titolo solo consultivo; c’è chi, invece, interviene come informatore; alcuni intervengono come titolari di un diritto e altri, invece, hanno la
responsabilità davanti alla Chiesa della decisione da
adottare.
Scoprire la posizione di ciascuno nel processo decisionale porta a conoscere il contenuto e i limiti dei rispettivi diritti, e a saperli coniugare con quelli delle
altre persone che devono parimenti intervenire.
JUAN IGNACIO ARRIETA
27
Cf. su questo J. MIRAS, «Comentario al can. 50», in ComEx I,
Pamplona 32002, 557-562.
28
Su questo cf. I. ZUANAZZI, «La procedura di formazione dell’atto amministrativo singolare: esigenze pastorali ed esigenze giuridiche», in ARRIETA (a cura di), Discrezionalità e discernimento nel governo
della Chiesa, 97-131.
29
Vedi su questo J. MIRAS, «Comentario al can. 51», in ComEx I,
Pamplona 32002, 563-566; G. LOBINA, «La motivazione dei decreti
amministrativi, dottrina e giurisprudenza», in Monitor Ecclesiasticus
108(1983), 279-294.
30
Vedi in argomento G. LO CASTRO, «Comunicazione e conoscenza degli atti amministrativi», in ARRIETA (a cura di), Discrezionalità
e discernimento nel governo della Chiesa, 153-161; J.I. ARRIETA, «Cenni
sul ruolo della comunicazione in diritto canonico», in Ius canonicum
in oriente et occidente, Festschrift für Carl Gerold Fürst zum 70. Geburtstag, Peter Lang, Frankfurt am Main 2003, 37-47.
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C
hiesa in Italia |
VIOLENZE SUI MINORI
Chierici e minori:
linee guida
Premessa
Episcopato italiano
Rese note il 22 maggio, in apertura
dell’Assemblea generale della CEI
(Regno-att. 10,2012,296) e presentate ai giornalisti con una conferenza
stampa, le Linee guida per i casi di
abuso sessuale nei confronti di minori
da parte di chierici di cui la Conferenza episcopale italiana si è dotata
costituiscono una «traduzione» – così
dice il sito web ufficiale www.chiesacattolica.it – delle indicazioni date
dalla Congregazione per la dottrina
della fede nel maggio 2011 (Regnodoc. 11,2011,333) affinché tutte le
conferenze episcopali e le conferenze
di religiosi elaborassero entro un
anno uno strumento normativo in
materia il più possibile uniforme
(cf. anche Regno-att. 4,2012,75). Il testo è frutto di una bozza elaborata da
parte della Presidenza della CEI, poi
discussa nei Consigli permanenti di
settembre 2011 e gennaio 2012; è diventato definitivo, dopo che ha ricevuto una sorta di pre-parere positivo
da parte della Santa Sede, con il voto
in assemblea. Al centro vi è la figura
del vescovo: le Linee guida indicano,
da un lato, il corretto percorso canonico che egli deve seguire, e dall’altro
il fatto che egli oggi non possa più esimersi dall’intervenire.
Stampa (22.5.2012) da sito web www.chiesacattolica.it.
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Il triste e grave fenomeno degli abusi sessuali nei
confronti di minori da parte di chierici sollecita un rinnovato impegno da parte della comunità ecclesiale,
chiamata ad affrontare la questione con spirito di giustizia, in conformità alle presenti Linee guida.
In quest’ottica, assume importanza fondamentale
anzitutto la protezione dei minori, la premura verso le
vittime degli abusi e la formazione dei futuri sacerdoti
e religiosi.
Il vescovo che riceve la denuncia di un abuso dev’essere sempre disponibile ad ascoltare la vittima e i
suoi familiari, assicurando ogni cura nel trattare il caso
secondo giustizia e impegnandosi a offrire sostegno spirituale e psicologico, nel rispetto della libertà della vittima d’intraprendere le iniziative giudiziarie che riterrà
più opportune.
Una speciale cura deve essere posta nel discernimento vocazionale dei candidati al ministero ordinato
e delle persone consacrate, nell’iter di preparazione al
diaconato e al presbiterato. Piena osservanza deve essere assicurata alle previsioni contenute nel Decreto generale circa la ammissione in seminario di candidati
provenienti da altri seminari o famiglie religiose della
Conferenza episcopale italiana (27.3.1999), riservando
una rigorosa attenzione allo scambio d’informazioni in
merito a quei candidati al sacerdozio o alla vita religiosa che si trasferiscono da un seminario all’altro, tra
diocesi diverse o tra istituti religiosi e diocesi.
Il vescovo tratterà i suoi sacerdoti come un padre e
un fratello, curandone la formazione permanente e facendo in modo che essi apprezzino e rispettino la castità e il celibato e approfondiscano la conoscenza della
dottrina della Chiesa sull’argomento.
In linea con quanto richiesto dalla Congregazione
per la dottrina della fede nella Lettera circolare per aiutare le Conferenze episcopali nel preparare linee guida per
il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di
minori da parte di chierici del 3.5.2011, il presente testo
è diretto a facilitare la corretta applicazione della normativa canonica vigente in materia nonché a favorire
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un corretto inquadramento della problematica in relazione all’ordinamento dello stato.1
I. Profili canonistici
1. Notizie di condotte illecite
e giudizio di verosimiglianza
Quando il vescovo abbia notizia di possibili abusi in
materia sessuale nei confronti di minori a opera di chierici sottoposti alla sua giurisdizione, deve procedere immediatamente a un’accurata ponderazione circa la verosimiglianza di tali notizie.2 Occorre evitare di dar seguito a informazioni palesemente pretestuose ovvero diffamatorie, o comunque prive di qualsiasi riscontro probatorio plausibile, per cui ogni ulteriore investigazione
appaia «assolutamente superflua» (Codice di diritto canonico [di seguito CIC], can. 1717, § 1).
Restano fermi i vincoli posti a tutela del sigillo sacramentale.
Il giudizio di verosimiglianza andrà condotto quanto più rapidamente possibile, se necessario anche affidando l’incarico a persona idonea di provata prudenza ed esperienza, e curando di tutelare al meglio la riservatezza di tutte le persone coinvolte.
Durante tale fase spetta al prudente discernimento
del vescovo la scelta d’informare o meno il chierico
delle accuse e d’adottare eventuali provvedimenti nei
suoi confronti affinché si eviti il rischio che i fatti delittuosi ipotizzati si ripetano, ferma restando la presunzione d’innocenza fino a prova contraria.3
Qualora, sussistendo la verosimiglianza delle suddette
condotte, l’indagine previa appaia «assolutamente superflua», il vescovo potrà deferire il chierico direttamente
alla Congregazione per la dottrina della fede (cf. CIC can.
1717, § 1; cf. art. 17 Normae de delictis Congregationi pro
doctrina fidei reservatis seu normae de delictis contra fidem necnon de gravioribus delictis).
Nel caso in cui invece escluda la verosimiglianza
delle condotte illecite addebitate a un chierico e decida
perciò di non procedere ulteriormente, il vescovo conserverà nel suo archivio segreto una documentazione
idonea a consentirgli di attestare, ove risultasse necessario, l’attività svolta e i motivi della decisione.
A meno di gravi ragioni in senso contrario, il chierico accusato sia informato delle accuse e abbia l’opportunità di rispondere alle medesime.
Durante l’indagine previa il vescovo dovrà adottare, ove lo ritenga necessario affinché si eviti il rischio che
i fatti delittuosi si ripetano, provvedimenti nei confronti
del chierico accusato, ferma restando la presunzione d’innocenza fino a prova contraria. A tal fine, il semplice
trasferimento del chierico risulta generalmente inadeguato, ove non comporti anche una sostanziale modifica del tipo d’incarico.
Gli effetti dei provvedimenti eventualmente adottati cesseranno per decreto ove non più necessari e cesseranno automaticamente con la fine del processo
penale.4
I provvedimenti andranno presi ricercando per
quanto possibile la cooperazione del chierico interessato, ma senza detrimento della loro efficacia;5 in ogni
caso, l’adozione dei provvedimenti non potrà essere subordinata al consenso del chierico.6
Specie ove l’addebito delle condotte in oggetto non
risulti ormai notorio, dovrà essere adottata ogni idonea cautela intesa a evitare che quei provvedimenti
pongano in pericolo la buona fama del chierico. Dei
provvedimenti assunti, in particolare, non sarà necessario rendere pubblici i motivi, salvo che ne sussistano
valide ragioni.
Delle attività svolte durante l’indagine previa dovrà
essere conservata una completa documentazione, ai
sensi del CIC can. 1719.
Qualora sulla base dell’indagine previa l’addebito
nei confronti del chierico si manifesti tale da configurare un’accusa credibile, il vescovo renderà nota l’indagine alla Congregazione per la dottrina della fede in
base al disposto dell’art. 16 Normae de delictis, così che
la stessa Congregazione possa assumere le decisioni
conseguenti.
Nel caso in cui invece non sussistano le condizioni
perché possa essere formulata un’accusa credibile, il
chierico sottoposto a indagine sarà prosciolto da ogni
addebito e, ove necessario, si farà di tutto per riabilitare
la sua buona fama.
3. Procedura a seguito dell’indagine previa
Nel caso in cui non si sia potuta escludere la verosimiglianza delle notizie di reato si procederà all’indagine previa di cui al CIC can. 1717.
Di norma i delicta graviora devono essere perseguiti
per via«giudiziale» (art. 21, § 1, Normae de delictis;
Regno-doc. 15,2010,465).
Agli ordinari è affidato il primo grado del processo
penale, da compiere secondo le indicazioni della Con-
1
Cf. allegati. Pubblichiamo i canoni citati dal CIC; gli articoli citati
dell’Accordo (18.2.1984 ) che apporta modificazioni al Concordato lateranense (11.2.1929); gli articoli citati del Codice di procedura penale; ndr.
2
Il can. 1717 del Codice di diritto canonico dispone infatti che l’indagine previa abbia luogo quando l’ordinario abbia notizia «almeno
probabile» di un delitto.
3
Nella Guida alla comprensione delle procedure di base della Congregazione per la dottrina della fede riguardo alle accuse di abusi sessuali
si legge: «In realtà, al vescovo locale è sempre conferito il potere di tutelare i bambini limitando le attività di qualsiasi sacerdote nella sua
diocesi. Questo rientra nella sua autorità ordinaria, che egli è sollecitato a esercitare in qualsiasi misura necessaria per garantire che i bambini non ricevano danno, e questo potere può essere esercitato a
discrezione del vescovo prima, durante e dopo qualsiasi procedimento
canonico»; Regno-doc. 9,2010,261.
4
Cf. CIC can. 1722.
5
Escludendo il pericolo di reiterazione dei fatti addebitati, simili
provvedimenti possono produrre effetti favorevoli anche rispetto allo
stesso chierico interessato, assumendo rilievo circa l’adozione di eventuali misure cautelari da parte dell’autorità giudiziaria statale. Si rammenti, in proposito, che per i delitti di prostituzione minorile,
pornografia minorile e violenza sessuale l’art. 275, § 4 del Codice di
procedura penale prevede di regola l’applicazione della custodia cautelare in carcere, «salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che
non sussistono esigenze cautelari».
6
Cf. CIC can. 1722.
2. Indagine previa
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gregazione per la dottrina della fede, la quale costituisce in ogni caso il tribunale di seconda istanza. È necessario pertanto che in ogni diocesi sia costituito il
tribunale diocesano, composto, per quanto riguarda il
caso di specie, da un collegio di tre giudici (cf. CIC can.
1425, §§ 1-2), dal promotore di giustizia e dal notaio.
Salvo dispensa della Congregazione per la dottrina
della fede, tutti i soggetti indicati devono essere sacerdoti provvisti di dottorato in diritto canonico.
Nel caso in cui la Congregazione per la dottrina
della fede disponga di procedere per decreto extragiudiziale,7 il vescovo dovrà nondimeno garantire in modo
pieno al chierico accusato l’esercizio del diritto fondamentale alla difesa.8
Le misure canoniche applicate nei confronti di un
chierico riconosciuto colpevole dell’abuso sessuale di
un minorenne sono generalmente di due tipi: 1) misure
che restringono il ministero pubblico in modo completo o almeno escludendo i contatti con minori. Tali
misure possono essere accompagnate da un precetto
penale; 2) pene ecclesiastiche, fra cui la più grave è la
dimissione dallo stato clericale.
Le pene perpetue non possono essere inflitte o dichiarate attraverso decreto extragiudiziale (CIC can.
1342, § 2). A tal fine il vescovo dovrà comunque rivolgersi alla Congregazione per la dottrina della fede, che
potrà far uso del potere di deferimento della decisione
al sommo pontefice, secondo la previsione dell’art. 21,
§ 2, n. 2 delle Normae de delictis.
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4. Autonomia del procedimento canonico
Il procedimento canonico per gli illeciti in oggetto
è autonomo da quello che si svolga per i medesimi illeciti secondo il diritto dello stato.
Di conseguenza, il vescovo, da un lato, non può far
riferimento ad atti o conclusioni definitive o non definitive del procedimento statale onde esimersi da una
propria valutazione e/o per far valere presunzioni ai
fini del procedimento canonico. Dall’altro lato, anche
se non risulti in atto un procedimento penale nel diritto dello stato (ricomprendendosi in esso anche la fase
delle indagini preliminari), dovrà ugualmente procedere senza ritardo secondo quanto previsto al n. 1 delle
presenti Linee guida, ove abbia avuto notizia di possibili abusi, al giudizio di verosimiglianza e, se necessario, all’indagine previa e all’adozione degli opportuni
provvedimenti cautelari.
Nel caso in cui per gli illeciti in oggetto siano in atto
indagini o sia aperto un procedimento penale secondo
il diritto dello stato, risulterà importante la cooperazione del vescovo con le autorità civili, nell’ambito
delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e civile.
I vescovi sono esonerati dall’obbligo di deporre o
d’esibire documenti in merito a quanto conosciuto o
detenuto per ragione del proprio ministero (cf. Codice
di procedura penale artt. 200 e 256; Accordo (18.2.1984)
che apporta modificazioni al Concordato lateranense
(11.2.1929), tra la Repubblica italiana e la Santa Sede
[L. 25.3.1985, n. 121], artt. 2, § 1, e 4, § 4,).
Eventuali informazioni o atti concernenti un procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria dello stato, ma non possono
costituire oggetto di un ordine di esibizione o di sequestro.
Rimane ferma l’inviolabilità dell’archivio segreto
del vescovo previsto dal CIC can. 489, e devono ritenersi sottratti a ordine d’esibizione o a sequestro anche
registri e archivi comunque istituiti ai sensi del CIC,
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II. Profili penalistici e rapporti con l’autorità civile
5. Cooperazione con l’autorità civile
Meditazioni per la Pentecoste
SEME È LA PAROLA
La Congregazione per la dottrina della fede ha
anche la facoltà di portare direttamente davanti al
santo padre i casi più gravi per la dimissione ex officio.
È opportuno che una documentazione del caso rimanga nell’archivio segreto della Curia (cf. CIC cann.
489, 490, § 1. 1719).
In ogni momento delle procedure disciplinari o penali sarà assicurato al chierico un giusto sostentamento,
nonché la possibilità d’esercitare il fondamentale diritto alla difesa.
Il chierico riconosciuto colpevole potrà attuare un
percorso impegnativo di responsabilizzazione e di serio
rinnovamento della sua vita, anche attraverso adeguati
percorsi terapeutico-riabilitativi e la disponibilità a
condotte riparative.
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salva sempre la comunicazione volontaria di singole informazioni.
Nell’ordinamento italiano il vescovo, non rivestendo
la qualifica di pubblico ufficiale né d’incaricato di pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare
all’autorità giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti oggetto delle presenti Linee guida. L’affermazione presente nella Guida alla
comprensione delle procedure di base della Congregazione
per la dottrina della fede riguardo alle accuse di abusi sessuali e poi ripresa nella Lettera circolare della stessa
Congregazione del 3.5.2011, secondo la quale «va sempre dato seguito alle disposizioni della legge civile per
quanto riguarda il deferimento di crimini alle autorità
preposte, senza pregiudicare il foro interno sacramentale», deve essere intesa in linea con quanto previsto dal
diritto italiano (Regno-doc. 11,2011,335).
essere rimossi dalla loro sede; in essi si custodiscano
con estrema cautela i documenti che devono essere
conservati sotto segreto.
§ 2. Ogni anno si distruggano i documenti che riguardano le cause criminali in materia di costumi, se i
rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da
un decennio con una sentenza di condanna, conservando però un breve sommario del fatto con il testo
della sentenza definitiva.
III. Il servizio della Segreteria generale
della Conferenza episcopale italiana
Can. 1342
§ 1. Ogniqualvolta giuste cause si oppongono a che
si celebri un processo giudiziario, la pena può essere
inflitta o dichiarata con decreto extragiudiziale; rimedi
penali e penitenze possono essere applicati per decreto
in qualunque caso.
§ 2. Per decreto non si possono infliggere o dichiarare pene perpetue; né quelle pene che la legge o il precetto che le costituisce vieta di applicare per decreto.
§ 3. Quanto vien detto nella legge o nel precetto a
riguardo del giudice per ciò che concerne la pena da
infliggere o dichiarare in giudizio, si deve applicare al
superiore, che infligga o dichiari la pena per decreto
extragiudiziale, a meno che non consti altrimenti né si
tratti di disposizioni attinenti soltanto la procedura.
6. Nel quadro normativo brevemente richiamato,
ferma restando la competenza della Congregazione
per la dottrina della fede, la procedura relativa ai singoli casi è di competenza del vescovo del luogo ove i
fatti stessi sono stati commessi.
Nessuna responsabilità, diretta o indiretta, per gli
eventuali abusi sussiste in capo alla Santa Sede o alla
Conferenza episcopale italiana.
La Segreteria generale della Conferenza episcopale italiana assicura la sua disponibilità per ogni esigenza che sarà
rappresentata, in spirito di servizio alle Chiese che sono
in Italia e di condivisa sollecitudine per il bene comune.
Il presente testo è stato approvato dal Consiglio episcopale permanente nella sessione del 23-26.1.2012.
Allegati
I. Normae de delictis Congregationi pro Doctrina
Fidei reservatis seu Normae de delictis
contra fidem necnon de gravioribus delictis
(21.5.2010; qui omesse; Regno-doc. 15,2010,465).
II. Lettera circolare della Congregazione
per la dottrina della fede per aiutare
le Conferenze episcopali nel preparare linee guida
per il trattamento dei casi di abuso sessuale
nei confronti di minori da parte di chierici
(3.5.2011; qui omessa; Regno-doc. 11,2011,333).
III. Dal Codice di diritto canonico
Can. 489
§ 1. Vi sia nella curia diocesana anche un archivio
segreto o almeno, nell’archivio comune, vi sia un armadio o una cassa chiusi a chiave e che non possano
7
Cf. Normae de delictis, art. 21.
Can. 490
§ 1. Solo il vescovo abbia la chiave dell’archivio segreto.
§ 2. Mentre la sede è vacante, l’archivio o l’armadio
segreto non si apra se non in caso di vera necessità
dallo stesso amministratore diocesano.
§ 3. Non siano asportati documenti dall’archivio o
armadio segreto.
Can. 1425
§ 1. Riprovata la consuetudine contraria, al tribunale collegiale di tre giudici sono riservate:
1o le cause contenziose: a) sul vincolo della sacra ordinazione e sugli oneri a essa connessi, b) sul vincolo
del matrimonio, fermo restando il disposto dei cann.
1686 e 1688;
2o le cause penali: a) sui delitti che possono comportare la pena della dimissione dallo stato clericale;
b) per infliggere o dichiarare la scomunica.
§ 2. Il vescovo può affidare le cause più difficili o di
maggiore importanza al giudizio di tre o cinque giudici.
§ 3. Il vicario giudiziale chiami i giudici a giudicare
le singole cause secondo un turno ordinatamente stabilito, a meno che il vescovo in casi singoli non abbia
stabilito diversamente.
§ 4. In primo grado di giudizio, se eventualmente
non si possa costituire un collegio, la Conferenza episcopale, fintantoché perduri tale impossibilità, può permettere che il vescovo affidi la causa a un unico giudice
chierico, il quale si scelga, ove sia possibile, un assessore e un uditore.
8
Cf. CIC can. 1720.
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§ 5. Il vicario giudiziale non sostituisca i giudici una
volta designati se non per gravissima causa, che deve
essere espressa nel decreto.
cizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia
ecclesiastica.
Can. 1717
§ 1. Ogniqualvolta l’ordinario abbia notizia, almeno
probabile, di un delitto, indaghi con prudenza, personalmente o tramite persona idonea, sui fatti, le circostanze e sull’imputabilità, a meno che questa investigazione non sembri assolutamente superflua.
§ 2. Si deve provvedere che con questa indagine non
sia messa in pericolo la buona fama di alcuno.
§ 3. Chi fa l’indagine ha gli stessi poteri ed obblighi
che ha l’uditore nel processo; lo stesso non può, se in
seguito sia avviato un procedimento giudiziario, fare
da giudice in esso.
Articolo 4
4. Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del
loro ministero.
Can. 1719
Gli atti dell’indagine e i decreti dell’ordinario, con
i quali l’indagine ha inizio o si conclude e tutto ciò che
precede l’indagine, se non sono necessari al processo
penale, si conservino nell’archivio segreto della curia.
Can. 1720
Se l’ordinario ha ritenuto doversi procedere con decreto per via extragiudiziale:
1° rende note all’imputato l’accusa e le prove, dandogli possibilità di difendersi, a meno che l’imputato
debitamente chiamato non abbia trascurato di presentarsi;
2° valuti accuratamente con due assessori tutte le
prove e gli argomenti;
3° se consta con certezza del delitto e l’azione criminale non è estinta, emani il decreto a norma dei
cann. 1342-1350, esponendo almeno brevemente le
ragioni in diritto e in fatto.
Can. 1722
L’ordinario per prevenire gli scandali, tutelare la libertà dei testi e garantire il decorso della giustizia, può
in qualunque stadio del processo, udito il promotore di
giustizia e citato l’accusato stesso, allontanare l’imputato dal ministero sacro o da un ufficio o compito ecclesiastico, imporgli o proibirgli la dimora i qualche
luogo o territorio, o anche vietargli di partecipare pubblicamente alla santissima eucarestia; tutti questi provvedimenti, venendo meno la causa, devono essere
revocati, e cessano per il diritto stesso con il venir meno
del processo penale.
IV. Accordo (18.2.1984) che apporta modificazioni
al Concordato lateranense tra la Repubblica
italiana e la Santa Sede (11.2.1929)
Legge 25 marzo 1985, n. 121.
Articolo 2
1. La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa
cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione
pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione
e di santificazione. In particolare è assicurata alla
Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico eser-
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V. Codice di procedura penale
Art. 200 (Segreto professionale)
1. Non possono essere obbligati a deporre su
quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno
l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria:
a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non
contrastino con l’ordinamento giuridico italiano;
b) gli avvocati, i consulenti tecnici e i notai;
c) i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e
ogni altro esercente una professione sanitaria;
d) gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la
legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale.
2. Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti
necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone
deponga.
Art. 256 (Dovere di esibizione e segreti)
1. Le persone indicate negli articoli 200 e 201 devono consegnare immediatamente all’autorità giudiziaria, che ne faccia richiesta, gli atti e i documenti,
anche in originale se così è ordinato, nonché i dati, le
informazioni e i programmi informatici, anche mediante copia di essi su adeguato supporto, e ogni altra
cosa esistente presso di esse per ragioni del loro ufficio,
incarico, ministero, professione o arte, salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto di Stato ovvero di segreto inerente al loro ufficio o professione.
2. Quando la dichiarazione concerne un segreto di
ufficio o professionale, l’autorità giudiziaria, se ha motivo di dubitare della fondatezza di essa e ritiene di non
potere procedere senza acquisire gli atti, i documenti o
le cose indicati nel § 1, provvede agli accertamenti necessari. Se la dichiarazione risulta infondata, l’autorità
giudiziaria dispone il sequestro.
3. Quando la dichiarazione concerne un segreto di
stato, l’autorità giudiziaria ne informa il presidente del
Consiglio dei ministri, chiedendo che ne sia data conferma. Qualora il segreto sia confermato e la prova sia
essenziale per la definizione del processo, il giudice dichiara non doversi procedere per l’esistenza di un segreto di stato.
4. Qualora, entro sessanta giorni dalla notificazione
della richiesta, il presidente del Consiglio dei ministri
non dia conferma del segreto, l’autorità giudiziaria dispone il sequestro.
5. Si applica la disposizione dell’articolo 204.
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CONFERENZA EPISCOPALE
Per una maturità
umana e credente
Comunicato finale
della LXIV Assemblea generale
della CEI
«A una crisi epocale si deve rispondere
con un cambiamento altrettanto epocale». Con questo invito del cardinale presidente, Angelo Bagnasco, si è aperta l’Assemblea generale della CEI, celebrata dal
21 al 25 maggio scorsi nell’Aula del Sinodo della Città del Vaticano. Durante i
lavori, i vescovi si sono concentrati sull’urgenza di «formare persone adulte nella fede». Muovendo dalla «consapevolezza di come oggi la maturità umana e
credente sia tutt’altro che scontata o acquisita una volta per tutte», ci si è interrogati su «come favorire la formazione»,
tanto a livello di atteggiamenti («il servizio, la comunione, la coerenza tra fede
e vita»), che di contenuti (per «superare
il diffuso analfabetismo dottrinale»),
che di scelte. Nel corso dei lavori sono state presentate le Linee guida per i casi di
abuso sessuale nei confronti di minori da
parte di chierici (cf. in questo numero a
p. 362) sollecitate dalla Congregazione
per la dottrina della fede. Con l’approvazione dei «testi propri dell’edizione italiana», è giunto a conclusione anche
l’iter per l’approvazione definitiva da
parte della CEI della «terza edizione
italiana del Messale Romano»; tutto il
materiale «può essere ora presentato
alla Santa Sede per la necessaria recognitio, i cui esiti saranno vincolanti».
L’
Stampa (1.6.2012) da sito web www.chiesacattolica.it.
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intervento del Santo Padre alla LXIV Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) – riunita nell’Aula del Sinodo
della Città del Vaticano dal 21 al 25 maggio
2012 – da una parte ha contribuito a evidenziare la piena sintonia tra il Magistero pontificio e i contenuti della Prolusione offerta dal Card. Angelo Bagnasco;
dall’altra, per molti aspetti ha costituito un’ampia sintesi
del confronto che ha animato il complesso dei lavori assembleari e che trova nel primato della fede la sua cifra essenziale.
Seguendo la scansione programmata dal Consiglio Episcopale Permanente per una recezione ordinata degli Orientamenti pastorali del decennio, i Vescovi hanno approfondito nei gruppi di studio, nel dibattito e nelle conclusioni
assembleari il tema dell’anno in corso, legato alla formazione
degli adulti e della famiglia. Tale lavoro di discernimento
è stato introdotto da una relazione magistrale, avente come
oggetto «Gli adulti nella comunità: maturi nella fede e testimoni di umanità».
Nel quadro del cammino che la Presidenza della CEI ha
promosso nel corso di quest’anno su temi inerenti la Dottrina sociale della Chiesa, un secondo momento di riflessione ne ha messo a fuoco attualità e importanza.
Completando l’opera condotta nelle ultime due Assemblee Generali (Assisi, novembre 2010 e Roma, maggio
2011), i Vescovi hanno esaminato e approvato l’ultima
parte dei materiali della terza edizione italiana del Messale
Romano, giungendo anche alla sua approvazione complessiva.
In Assemblea sono state presentate e rese pubbliche le
Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di
minori da parte di chierici, in sintonia con quanto indicato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Si è quindi dato spazio ad alcune determinazioni in materia giuridico-amministrativa: la presentazione e l’approvazione del bilancio consuntivo della CEI per l’anno 2011,
nonché delle ripartizioni e assegnazioni delle somme derivanti dall’8 per mille per l’anno 2012; la presentazione del
bilancio consuntivo dell’Istituto Centrale per il Sostentamento del Clero per l’anno 2011.
Distinte comunicazioni hanno illustrato la pastorale
delle migrazioni, la comunicazione pubblica e il Seminario
di studio per i Vescovi nell’Anno della Fede.
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Inoltre, sono stati presentati alcuni appuntamenti di rilievo: l’Incontro Mondiale delle Famiglie, la Giornata
della carità del Papa e la Giornata Mondiale della Gioventù. È stato presentato e approvato il calendario delle
attività della CEI per l’anno 2012-2013. L’Assemblea ha
anche eletto il Vice Presidente per l’area Sud, mentre il
Consiglio Episcopale Permanente – riunito nella sessione
del 23 maggio – ha provveduto a una serie di nomine e ha
fissato la data della prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani.
Ai lavori assembleari hanno preso parte 232 membri,
17 Vescovi emeriti, 21 delegati di Conferenze Episcopali Europee, rappresentanti di presbiteri, religiosi, consacrati e
della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali, nonché esperti in ragione degli argomenti trattati. Tra i momenti più significativi vi è stata la Concelebrazione Eucaristica nella Basilica di San Pietro, presieduta da S.Em. il
Card. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi.
1. Per un ripensamento culturale collet tivo
Angustia per una condizione sociale di crisi assai più
ampia di ogni previsione e volontà di farsi prossimo con
parole non scontate di incoraggiamento e di sostegno.
Il Cardinale Presidente, con una lettura apprezzata per
coraggio e prospettiva, ha costruito la sua prolusione assumendo come filo conduttore il cuore del pastore che
avverte la responsabilità di farsi voce ad un tempo realistica ed equilibrata di quanto vive fra il suo popolo. I
Vescovi ne hanno condiviso l’impianto, riprendendolo
e approfondendolo ulteriormente, convinti che le sfide
del tempo presente non possono essere affrontate con
risposte semplicistiche. Al riguardo, tra le priorità rimarcate c’è l’obiettivo dell’accesso al lavoro e, quindi,
di segnali che consentano soprattutto ai giovani di andare oltre l’attuale precarietà.
Nel contempo, l’Assemblea ha evidenziato che,
prima ancora del pur reale bisogno di riforme economiche, c’è quello di un autentico ripensamento culturale collettivo: «A una crisi epocale si deve rispondere
con un cambiamento altrettanto epocale», innanzitutto
di mentalità. L’episcopato ha sottolineato come questo
comporti il superamento della cifra dell’individualismo
e della logica dell’utilitarismo: se un ciclo si è definitivamente interrotto, «il nuovo sarà comunque diverso» e
richiederà «idee, progetti e comportamenti adeguati alla
nuova condizione».
Nella consapevolezza che «ci vuole intelligenza, coraggio e perseveranza per proporre strade concrete, efficaci e percorribili», i pastori della Chiesa che vive in
Italia hanno rinnovato l’impegno a fare fino in fondo la
loro parte. È parte essenziale di questo impegno la tutela
e la promozione della famiglia: ogni «distrazione» su
questo fronte ferisce l’intera società, che «indebolisce il
suo più rilevante cespite di vitalità, di coesione e di futuro» e rischia di perdere quella «bussola irrinunciabile
che orienta ogni dimensione del vivere comune». Di qui
il forte appello dei Vescovi a liberare la domenica dal la-
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voro, a tutela della dignità delle persone – della donna,
soprattutto – e dei tempi della famiglia.
Rientrano in questo compito anche il sostegno formativo, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, di
quanti si impegnano in politica, nonché, più in generale,
l’opera educativa, attenta a far gustare come la gioia del
servizio non ammetta confronti «con il gusto acre dell’avere a scapito del prossimo».
2 . Quella speranza che nasce dalla fede
L’ampia analisi del Cardinale Presidente è stata apprezzata perché riconosciuta innervata da quella speranza che nasce dalla fede e che, anche nelle difficoltà del
presente, sa far emergere le risorse e la vita buona dei credenti. Tale ricchezza è stata unanimemente riconosciuta
nel valore della pastorale ordinaria, che fa della parrocchia «il miracolo di Dio dispiegato sul territorio».
Ripartire da questa esperienza significa affrontare
con «la compagnia buona degli altri» quella solitudine
che è «la madre di tutte le crisi». Più ancora, significa lavorare per superare quella crisi di fede, che non tocca
soltanto i lontani: oggi la stessa Chiesa, infatti, – è stato
evidenziato in Assemblea – non è segnata da un deficit
organizzativo, ma da una preoccupante crisi di fede. Per
affrontarla i Vescovi hanno sottolineato la necessità di
favorire la formazione, valorizzando i contenuti del Catechismo della Chiesa Cattolica, quale via per riprendere
con forza anche l’insegnamento conciliare. Fa parte di
questa priorità anche l’indicazione di rimettere al centro della vita ecclesiale il Magistero pontificio, facendone
uno strumento essenziale per ricostruire un’identità nel
popolo cristiano.
3. At teggiamenti, contenuti e scelte di maturità
La maturità della vita di fede – ossia vivere l’esperienza di Dio nella sequela di Gesù Cristo e nell’appartenenza ecclesiale – è ciò che fa passare da una religiosità
puramente ereditata a una convinzione acquisita in maniera personale. Oltre ogni mediocrità, questa prospettiva richiede, secondo i Vescovi, di saper assumere e
proporre un orizzonte di santità. Nel decennio che la CEI
dedica al primato dell’educazione, la missione più alta
consiste così nel formare coscienze attente ad ascoltare la
chiamata divina e a scoprire in essa la propria identità,
la via per diventare testimoni di umanità compiuta fra gli
uomini di oggi.
Attorno a questo orizzonte – che nella scansione degli
Orientamenti pastorali declina il tema dell’anno in corso
– si è sviluppato un ampio confronto tra i Vescovi, approfondito anche nei lavori di gruppo. Le stesse parole
del Santo Padre, nell’intervento di giovedì 24 maggio in
Assemblea, sono andate in questa direzione: Benedetto
XVI ha esortato l’episcopato a «vegliare e operare perché
la comunità cristiana sappia formare persone adulte nella
fede perché hanno incontrato Gesù Cristo, che è diventato il riferimento fondamentale della loro vita; persone
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ENZO BIANCHI - LUIGI CIOTTI
ERNESTO OLIVERO
che lo conoscono perché lo amano e lo amano perché
l’hanno conosciuto; persone capaci di offrire ragioni solide e credibili di vita».
Muovendo dalla consapevolezza di come oggi la maturità umana e credente sia tutt’altro che scontata o acquisita una volta per tutte, i Vescovi si sono interrogati su
come favorire la formazione, tanto a livello di atteggiamenti, che di contenuti e di scelte.
Tra gli atteggiamenti, che una Chiesa orante e accogliente può sviluppare, hanno indicato il servizio, la comunione, la coerenza tra fede e vita; atteggiamenti da
promuovere anche aiutando a riscoprire il valore del silenzio, la meraviglia verso i doni ricevuti, la libertà dalle
diverse forme di dipendenza, la sobrietà. Quanto ai contenuti di una formazione adeguata agli adulti, la centralità riporta a Gesù Cristo e alla realtà ecclesiale, in un
impegno che porti a superare il diffuso analfabetismo dottrinale, con la proposta anche di figure e di esperienza
vive, esigenti, fraterne.
Solo a queste condizioni l’adulto sarà in grado di assumere quelle scelte che traducono la libertà in opzioni di
fondo e in decisioni precise, rendendolo autenticamente
uomo.
Michele
Pellegrino
Padre della Chiesa padre della città
PREFAZIONE DI FRANCO GARELLI
4. Una Chiesa esper ta in umanità
La quaestio fidei, posta nell’attuale cultura, ha caratterizzato l’apprezzato intervento del Segretario Generale
e l’ampio dibattito che ne è seguito, attorno alla scelta del
tema e delle modalità di preparazione del Convegno ecclesiale nazionale del 2015.
Dopo aver riconosciuto come proprio la fede cristiana
oggi rischi di diventare evanescente, i Vescovi hanno condiviso la necessità di trovare le forme con cui testimoniare
che l’essere credenti crea le condizioni migliori di una vita
piena e riuscita, nonché integrata in una prospettiva elevante ed eterna. Qui si radica la ricchezza della vocazione
battesimale di ogni credente – è stata rimarcato – come
delle vocazioni di speciale consacrazione.
La fede, dunque, come risposta che ricrea l’umano,
capace di fondare un nuovo umanesimo, una nuova umanità, aperta alla bellezza, all’arte, a uno sguardo che sa
riconoscere i segni del Regno già presenti e operanti nella
storia. Del resto, la Chiesa è esperta in umanità (Paolo
VI), proprio perché vive in relazione con Dio; l’icona
evangelica in cui si specchia è l’incontro al pozzo di Gesù
con la donna samaritana (Gv 4), da cui nascono la conversione e la gioia dell’intera città.
Sono tornate puntuali le parole rivolte ai Vescovi da
Benedetto XVI: «Gli uomini vivono di Dio, di Colui che
spesso inconsapevolmente o solo a tentoni ricercano per
dare pieno significato all’esistenza». Il Papa ha quindi aggiunto: «La missione antica e nuova che ci sta innanzi è
quella di introdurre gli uomini e le donne del nostro
tempo alla relazione con Dio, aiutarli ad aprire la mente
e il cuore a quel Dio che li cerca e vuole farsi loro vicino,
guidarli a comprendere che compiere la sua volontà non
è un limite alla libertà, ma è essere veramente liberi, realizzare il vero bene della vita».
A
cavallo degli anni ’60 e ’70, nel periodo travagliato dell’immediato post-concilio e delle lotte
studentesche e operaie, padre Michele Pellegrino fu
chiamato da Paolo VI a guidare l’arcidiocesi di Torino.
Tre testimoni offrono un profilo di questo pastore
straordinario: accomunati dall’averlo conosciuto come
maestro da giovani, sono divenuti punti di riferimento
a livello nazionale nel campo della spiritualità, nella
lotta contro povertà e mafia, nell’educazione all’impegno civile.
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La ricchezza degli interventi in Assemblea sarà ripresa
dal Consiglio Episcopale Permanente del prossimo settembre, chiamato a eleggere il Comitato preparatorio del
Convegno e a definire anche una proposta di titolo che
sarà infine sottoposta all’Assemblea Generale del 2013.
5. Messale Romano, la parola alla Santa Sede
L’Assemblea Generale ha approvato pressoché all’unanimità sia i testi propri dell’edizione italiana, concernenti il corpus delle collette poste in Appendice del
Messale Romano, sia la terza edizione italiana dello stesso
nel suo insieme.
È giunto così a conclusione l’iter per la sua approvazione definitiva da parte della CEI, dopo che la prima
parte era stata esaminata e approvata dalla LXII Assemblea Generale (Assisi, 11.11.2010; cf. Regno-doc.
21,2010,704s) e una seconda parte nel corso della LXIII
Assemblea Generale (Roma, 27.5.2011; cf. Regno-doc.
11,2011,377).
Il materiale complessivo può essere ora presentato alla
Santa Sede per la necessaria recognitio, i cui esiti saranno
vincolanti.
6. Abusi sessuali, le Linee guida
In Assemblea sono state presentate le Linee guida per
i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di
chierici. Il testo – sollecitato a ogni Conferenza Episcopale
dalla Lettera Circolare della Congregazione per la Dottrina della Fede (3.5.2011; cf. Regno-doc. 11,2011,333ss)
e approvato dal Consiglio Episcopale Permanente nella sessione del scorso 23-26 gennaio 2012 – è finalizzato a facilitare la retta applicazione delle norme circa i delicta graviora in questo ambito, alla luce anche della legislazione
italiana.
La protezione dei minori e la premura verso le vittime
degli abusi rimangono la priorità assoluta; a essa si accompagna la cura per la formazione di sacerdoti e religiosi.
Le Linee guida si articolano in una Premessa e in tre
successivi paragrafi, dedicati rispettivamente a delineare
Profili canonistici, Profili penalistici e rapporti con l’autorità civile, nonché Il servizio della Segreteria Generale
della CEI.
7. Adempimenti in materia
giuridico-amministrativa
Come ogni anno, i Vescovi hanno provveduto ad alcuni adempimenti di carattere giuridico-amministrativo.
È così stato presentato e approvato il bilancio consuntivo
della CEI per l’anno 2011, sono stati definiti e approvati
i criteri per la ripartizione delle somme derivanti dall’otto
per mille per l’anno 2012 ed è stato illustrato il bilancio
consuntivo dell’Istituto Centrale per il Sostentamento del
Clero per l’anno 2011.
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8. Comunicazioni e informazioni
Ai Vescovi è stato presentato il nuovo Statuto della Fondazione Migrantes – che recepisce le nuove indicazioni normative della Santa Sede e della CEI – e l’attenzione pastorale
nel mondo delle migrazioni e della mobilità umana, profondamente mutato negli ultimi decenni anche in Italia.
Una comunicazione è stata dedicata all’imminente Incontro Mondiale delle Famiglie (Milano, 30.5–3.6.2012), dedicato al tema «La famiglia: il lavoro e la festa» e impreziosito
dalla presenza del Santo Padre.
È stata presentata in Assemblea una riflessione volta a
condividere alcune linee operative per migliorare la qualità comunicativa e quindi l’immagine della Chiesa veicolata dai media.
Si sono forniti, inoltre, ragguagli sul Seminario di studio per i Vescovi nell’Anno della Fede (Roma, 1214.11.2012). Altre informazioni hanno riguardato la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro (2328.7.2013) e la Giornata per la Carità del Papa (24.6.2012),
appuntamento annuale che esprime il profondo vincolo che
unisce le Chiese in Italia con il successore di Pietro: ne è segno il fatto che, pur nel perdurare degli effetti della crisi economica, i dati relativi al 2011 attestano un ulteriore incremento (+ 1,2%).
Infine, è stato presentato e approvato il calendario delle attività della CEI per l’anno pastorale 2012-2013.
9. Nomine
Nel corso dei lavori, l’Assemblea Generale ha eletto Vice
Presidente della CEI per l’area Sud S.E. Mons. Angelo Spinillo, Vescovo di Aversa.
Il Consiglio Episcopale Permanente, nella sessione del
23 maggio, ha provveduto alle seguenti nomine:
– Presidente del Comitato per i Congressi Eucaristici Nazionali: S.Em. Card. Angelo Bagnasco (Arcivescovo di Genova).
– Delegato della CEI presso la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea (COMECE): S.E. Mons.
Gianni Ambrosio (Vescovo di Piacenza-Bobbio), per un ulteriore triennio.
– Assistente ecclesiastico della Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia: S.E. Mons. Mauro Parmeggiani (Vescovo di Tivoli), per un quinquennio.
– Coordinatore nazionale della pastorale per le comunità cattoliche malgasce in Italia: Padre Pierre Emile Rakotoarisoa si, per un quinquennio.
– Coordinatore nazionale della pastorale per le comunità cattoliche romene di rito latino in Italia: Mons. Anton
Lucaci (Iaşi – Romania), per un ulteriore quinquennio.
– Presidente Nazionale Maschile della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI): Sig. Stefano Nannini,
per un biennio.
Infine, ha fissato la data della prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Torino, 12-15.9.2013).
Roma, 25 maggio 2012.
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MOVIMENTI
Abbiamo
tanta strada
da fare
Lettera di don Julián Carrón,
presidente della Fraternità
di Comunione e liberazione
Se CL «è continuamente identificato
con l’attrattiva del potere… qualche
pretesto dobbiamo aver dato». Tanto è
franca nei contenuti, quanto è diretta
nella forma – una lettera a uno dei più
diffusi quotidiani italiani, La Repubblica – la parola che il presidente della
Fraternità di Comunione e liberazione
(CL), don J. Carrón, ha ritenuto di pronunciare in pubblico lo scorso 1° maggio. Alla sua origine, le inchieste
giudiziarie sulla sanità nella Regione
Lombardia che stanno coinvolgendo,
direttamente o indirettamente, politici
e amministratori notoriamente legati
al movimento fondato da don Giussani, tra cui lo stesso presidente della
Regione Roberto Formigoni. Ed è proprio la preoccupazione di salvaguardare la memoria e il carisma di don
Luigi Giussani – ciò che Claudia Vites,
moglie di uno degli arrestati, aveva definito in una precedente lettera al Corriere della sera il 19 aprile «un sussulto
di gelosia per la propria identità, per
quello che Giussani pensava al momento della fondazione» –, a emergere
con forza da questa lettera, anche in
considerazione del fatto che il 22 febbraio scorso CL e la curia di Milano
avevano annunciato l’avvio dell’iter
della causa di beatificazione.
C
Stampa (4.5.2012) da sito web www.clonline.org.
Sottotitoli redazionali.
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aro direttore,
leggendo in questi giorni i giornali sono
stato invaso da un dolore indicibile dal vedere cosa abbiamo fatto della grazia che
abbiamo ricevuto. Se il movimento di Comunione e
liberazione (CL) è continuamente identificato con
l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che
nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo
incontrato, qualche pretesto dobbiamo aver dato.
E questo sebbene CL sia estranea a qualunque
malversazione e non abbia mai dato vita a un «sistema» di potere. Né valgono le pur legittime considerazioni sulla modalità sconcertante con cui queste
notizie vengono diffuse, attraverso una violazione,
ormai accettata da tutti, delle procedure e delle garanzie pur previste dalla Costituzione.
L’incontro con don Giussani ha significato per
noi la possibilità di scoprire il cristianesimo come
una realtà tanto attraente quanto desiderabile. Per
questo è una grande umiliazione costatare che a
volte per noi non è bastato il fascino dell’inizio per
renderci liberi dalla tentazione di una riuscita puramente umana.
La nostra presunzione di pensare che quel fascino
iniziale bastasse da solo, senza doversi impegnare in
una vera sequela di lui, ha portato a conseguenze
che ci riempiono di costernazione.
Il fatto che don Giussani ci abbia testimoniato
fino alla morte che cosa può essere la vita quando
essa è afferrata da Cristo mostra che non manca
nulla alla sua proposta cristiana. Tanti che lo hanno
conosciuto confermano quello di cui noi, suoi figli,
abbiamo potuto godere in una convivenza più o
meno stretta con lui: che la sua persona traboccava
Cristo.
Questa convinzione ci ha portato a chiedere
l’apertura della causa di canonizzazione, certi del
bene che è stato ed è don Giussani per la Chiesa, per
rispondere alle sfide che il cristianesimo ha oggi davanti a sé. Chiediamo perdono se abbiamo recato
danno alla memoria di don Giussani con la nostra
superficialità e mancanza di sequela.
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hiesa in Italia
Cristo non è sconfit to
dalle nostre sconfit te
Spetterà ai giudici determinare se alcuni errori
commessi da taluni costituiscano anche reati. D’altra
parte, ciascuno potrà giudicare se, tra tanti sbagli,
siamo riusciti a dare un qualche contributo al bene
comune.
Quando un membro soffre, tutto il corpo soffre
con lui, ci ha insegnato san Paolo. Noi, i membri di
questo corpo che è Comunione e liberazione, soffriamo con coloro che sono alla ribalta dei media,
memori della nostra debolezza per non essere stati
abbastanza testimoni nei loro confronti; e questo ci
rende più consapevoli del bisogno che abbiamo
anche noi della misericordia di Cristo.
Tuttavia, con la stessa lealtà con cui riconosciamo
i nostri sbagli, dobbiamo anche ammettere che non
possiamo strappare via dalle fibre del nostro essere
l’incontro che abbiamo fatto e che ci ha plasmato
per sempre. Tutto il male nostro e dei nostri amici
non riesce a cancellare la passione per Cristo che
l’incontro con il carisma di don Giussani ci ha inoculato. La febbre di vita che lui ci ha comunicato è
così grande che nessun limite riesce a eliminarla e ci
consente di guardare tutto il nostro male senza legittimarlo o giustificarlo.
L’avvenimento dell’incontro con Cristo ci ha se-
MASSIMO NARDELLO
I carismi,
forma dell’esistenza
cristiana
Identità e discernimento
D
opo il Vaticano II la Chiesa ha conosciuto
una crescente e vivace presenza di associazioni, movimenti, gruppi. Esaminando
alcune tappe fondamentali, in cui è maturata una migliore comprensione del carisma
e dei criteri per stabilirne l’autenticità, lo
studio offre un percorso storico-biblico e una
riflessione di sintesi.
«NUOVI SAGGI TEOLOGICI»
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Dehoniane
Dehoniane
Bologna Bologna
gnato così potentemente che ci consente di ricominciare sempre, dopo qualsiasi errore, più umili e più
consapevoli della nostra debolezza. Come il popolo
d’Israele, possiamo essere spogliati di tutto, andare
perfino in esilio, ma Cristo, che ci ha affascinato, rimane per sempre. Non è sconfitto dalle nostre sconfitte. Come gli israeliti, dovremo imparare a essere
coscienti della nostra incapacità a salvarci da soli,
dovremo imparare da capo quello che pensavamo
già di sapere, ma nessuno ci può strappare di dosso
la certezza che la misericordia di Dio è eterna. In
quante occasioni ci siamo commossi sentendo don
Giussani parlare del «sì» di Pietro dopo il suo rinnegamento.
«Presenza» come diversità umana
alla sequela di don Giussani
Per questo non abbiamo altra lettura di questi
fatti se non che essi sono un potente richiamo alla
purificazione, alla conversione a colui che ci ha affascinato.
È lui, la sua presenza, il suo instancabile bussare
alla porta della nostra dimenticanza, della nostra distrazione che ridesta in noi ancora di più il desiderio
di essere suoi. Speriamo che il Signore ci dia la grazia di rispondere con semplicità di cuore a tale chiamata. Sarà il modo migliore di testimoniare che la
grazia data a don Giussani è molto più di quanto
noi, suoi figli, riusciamo a mostrare.
Solo così potremo essere nel mondo una presenza
diversa, come tanti tra noi già testimoniano nei loro
ambienti di lavoro, nelle università, nella vita sociale
e in politica o con gli amici, per il desiderio che la
fede non sia ridotta al privato.
Lo sa bene chi ci incontra: resta così colpito che
gli viene voglia di partecipare a quello che è stato
dato a noi. Per questo dobbiamo continuamente riconoscere che «presenza» non è sinonimo di potere
o di egemonia, ma di testimonianza, cioè di una diversità umana che nasce dal «potere» di Cristo di
rispondere alle esigenze inesauribili del cuore dell’uomo. E dovremo ammettere che quello che
cambia la storia è quello che cambia il cuore dell’uomo, come ciascuno di noi sa per propria esperienza.
Questa novità la potremo vivere e testimoniare
solamente se ci mettiamo alla sequela di don Giussani, verificando la fede nell’esperienza, tanto egli
era persuaso che solo se la fede è un’esperienza presente e trova conferma in essa della sua utilità per la
vita, potrà resistere in un mondo in cui tutto, tutto
dice l’opposto.
Abbiamo ancora un lungo cammino davanti e
siamo felici di poterlo percorrere.
don JULIÁN CARRÓN,
presidente della Fraternità
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SUDAFRICA
Una parola
all’ANC, oggi
Riflessioni teologiche ed etiche
del gruppo Kairos Sudafrica
Un gruppo di teologi cristiani del Sudafrica rivolge all’Africa National Congress (ANC), storico movimento antiapartheid e oggi partito di governo, in
occasione del suo centenario, una provocazione e un invito alla riflessione. «Lo
facciamo con stima e gratitudine, ma anche esprimendo, come amici, alcune preoccupazioni». Nel testo, che si colloca
nella tradizione del Documento Kairos
del 1985 (cf. Regno-doc. 1,1986,47ss) ed
è sottoscritto da molti dei firmatari di
allora, si passa in rassegna il ruolo
delle Chiese nella nascita e nello sviluppo dell’ANC e si esprimono – insieme a una sincera confessione delle responsabilità dei cristiani – alcune critiche agli sviluppi della politica dell’ANC
e alle relazioni tra il partito e le Chiese
dopo la fine dell’apartheid. La consapevolezza è quella di un momento critico, nel quale alcune Chiese «si sono
spinte fino a chiedere ai loro membri di
non votare per l’ANC, mentre altre hanno esortato i loro membri in senso opposto. Noi chiediamo una comunicazione più diretta fra i leader ecclesiali e
il governo ANC per risolvere ogni possibile tensione e sviluppare una comprensione comune della relazione fra
Chiese e stato».
M
Stampa (19.1.2012) da sito web kairossouthernafrica.wordpress.com. Nostra traduzione
dall’inglese.
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entre continuiamo a celebrare la venuta
della Parola nel mondo (Gv 1,1) e Dio
fatto uomo, noi, sudafricani e teologi cristiani, desideriamo trasmettere queste parole all’Africa National Congress (ANC),
che si prepara a celebrare, nel 2012, il centenario della
sua fondazione.
Lo facciamo con stima e gratitudine e in spirito di vera
amicizia, congratulandoci con loro, ma anche esprimendo, come amici, alcune preoccupazioni e pregando
che le prossime celebrazioni siano adeguate e non eccessive, considerando i livelli di povertà e disuguaglianza del
nostro paese.
Lo facciamo, sapendo che molti membri dell’ANC
appartengono anche alla comunità cristiana, quindi il documento è scritto per la nostra riflessione comune.
Lo facciamo, sapendo che molti leader cristiani hanno
partecipato attivamente alla formazione e alla promozione dell’ANC nel corso degli anni, per cui continuiamo
a sentirci responsabili dell’esistenza e dell’operato del partito. Nel 1912, i fondatori dell’ANC sognavano un futuro
diverso per tutti gli abitanti del Sudafrica, un futuro nel
quale non vi sarebbero stati più colonizzatori e colonizzati, ma nel quale saremmo stati tutti «una cosa sola»: un
popolo, una nazione, un paese!
Sognavano che sarebbe scomparsa l’ingiustizia imposta dai colonizzatori bianchi ai sudafricani neri. Grazie a
Dio, i sistemi della colonizzazione e dell’apartheid sono
stati debellati e si sono fatti grandi sforzi per migliorare le
condizioni di vita di tutti gli abitanti del Sudafrica, specialmente dei poveri.
Ma nonostante i molti passi avanti, alcune tensioni e
contraddizioni continuano a impedirci di realizzare pienamente quel sogno. Gli effetti del Land Act del 1913
(legge sulla proprietà terriera; ndr) si fanno ancora ampiamente sentire; le disuguaglianze economiche ci schiacciano; abissali livelli di povertà saltano agli occhi.
In quest’anno del centenario, vorremmo sognare ancora un futuro nel quale essere «una cosa sola», uniti
nella nostra diversità. Occorre che quest’unità sia basata
sulla giustizia, sulla pace e sulla rettitudine. Approfittiamo di questa ricorrenza per sognare ancora insieme
questo sogno.
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Una parola di congratulazione
Ci congratuliamo quindi con l’ANC, il più antico movimento di liberazione sul continente africano, che celebra
un importante traguardo della sua storia. Per le sfide che
ha dovuto affrontare nel corso della sua esistenza l’ANC
sarebbe potuto implodere, e invece ha mostrato una sorprendente resistenza. Per questo ci congratuliamo.
Ci congratuliamo per il ruolo cruciale giocato nella liberazione del nostro paese, accanto e insieme agli altri movimenti di liberazione.
Ci congratuliamo con voi per la flessibilità e la lungimiranza con cui avete saputo cambiare via via che le situazioni cambiavano e speriamo che non perdiate mai il
sogno originario e la visione di un Sudafrica unito, non
razziale, non sessista, giusto e democratico.
Una parola di apprezzamento
Apprezziamo il fatto che l’ANC non sia stato fondato
per combattere il sistema dell’apartheid e neppure per governare il Sudafrica, ma per lottare contro l’oppressione
della maggioranza nera durante il regime coloniale degli
inizi del XX secolo.
Apprezziamo il fatto che per quasi 80 anni della sua
storia l’ANC non sia stato il partito che ha governato il Sudafrica, e che in seguito sia stato il primo partito di governo
che ha cercato di tener conto delle necessità della maggioranza dei cittadini sudafricani attraverso, ad esempio, una
politica degli alloggi e un sistema sanitario nazionale. Finché le necessità della maggioranza dei cittadini sudafricani
continueranno a essere al centro dell’attività dell’ANC,
esprimeremo il nostro apprezzamento; se invece si terrà
conto solo delle necessità o delle esigenze di una minoranza, allora esprimeremo la nostra disapprovazione.
Sappiamo che 17 anni non bastano per eliminare gli
strascichi di quasi 350 anni di imperialismo, colonialismo
e apartheid. Siamo convinti che si sarebbe potuto fare di
più, ma apprezziamo le numerose iniziative intraprese per
iniziare a capovolgere i retaggi storici di questo paese.
Apprezziamo anche il fatto che l’ANC sia l’unico partito che ha posto con forza l’accento, per quasi tutta la sua
storia, sulla lotta al razzismo e sull’unità in Sudafrica. Si
tratta di due prospettive continuamente minacciate, sia
dall’interno che dall’esterno dell’ANC, per cui vi chiediamo di avere a cuore questi valori e di rinnovare il vostro
impegno su tali obiettivi non solo a parole, ma con azioni
concrete, così che i nostri figli e nipoti possano vederlo e seguire l’esempio.
Una parola di gratitudine
Ringraziamo Dio per l’ANC: per la sua lunga storia di
resistenza al colonialismo e all’apartheid e per i 17 anni in
cui, come partito di governo, ha assunto iniziative specifiche a favore della maggioranza storicamente povera degli
abitanti del Sudafrica.
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Ringraziamo Dio per la libertà che il popolo del Sudafrica ha potuto ottenere e ci impegniamo a fare tutto il
possibile per mantenere e preservare questa libertà.
Ringraziamo Dio perché oggi milioni di sudafricani
hanno un alloggio e i più poveri e vulnerabili hanno un
piccolo reddito mensile.
Ringraziamo Dio per le continue iniziative volte a
estendere e migliorare la quantità e qualità dell’assistenza
sanitaria per tutti gli abitanti del Sudafrica.
Ringraziamo Dio perché ora tutti i sudafricani sono liberi di esprimere il loro dissenso e di organizzarsi contro
tutto ciò che ritengono contrario ai valori democratici.
Una parola di confessione
Vogliamo confessare che, in questi ultimi cent’anni, le
Chiese cristiane si sono divise sulla questione del colonialismo e dell’apartheid. Sarebbe disonesto da parte nostra
affermare che tutte le Chiese hanno combattuto il colonialismo e l’apartheid, mentre, in realtà, solo parte di esse
lo ha fatto. Una parte sostanziale delle Chiese in Sudafrica
non è sempre stata con voi e con gli altri movimenti di liberazione nella lotta contro il colonialismo e l’apartheid.
Ma alcuni di noi hanno partecipato a queste lotte e il Documento Kairos (1985; cf. Regno-doc. 1,1986,47ss) e la Dichiarazione di Lusaka (1987) del Consiglio ecumenico delle
Chiese sono state le maggiori espressioni di questa solidarietà e unità con il popolo oppresso del Sudafrica.
Vogliamo confessare che spesso le Chiese sono rimaste
spettatrici anche dopo il 1994, quando si è riusciti a chiarire globalmente la situazione. Molte Chiese non hanno
saputo fare i conti col razzismo e il sessismo entro le loro
strutture e pratiche, compresa la disparità fra bianchi e neri
al loro interno.
Vogliamo anche confessare che molti cristiani e Chiese
non hanno interiorizzato la nuova cultura democratica e i
valori della nostra nuova democrazia. Molti si sono richiamati in modo strumentale al messaggio cristiano o per
restare in silenzio o per difendere l’indifendibile del passato come via al perseguimento di gretti interessi politici
nel presente.
Una parola sul cammino delle Chiese
fino al 1912
La comunità cristiana ha avuto un ruolo importante
nella liberazione del nostro paese e anche all’interno dell’ANC; è giusto pertanto ricordare il contributo offerto dai
cristiani. Intendiamo quindi riaffermare e riconfermare il
ruolo dei cristiani nel passato, nel presente e nel futuro del
nostro paese.
Vi sono almeno due modi importanti in cui le Chiese
cristiane hanno contribuito a preparare e sostenere l’ambiente in qui nacque l’ANC nel 1912: l’educazione e la denuncia della strumentalizzazione del Vangelo ai fini della
promozione o della giustificazione della disumanizzazione
dei neri.
L’educazione impartita dalle scuole delle missioni cri-
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stiane ha contribuito a disciplinare le potenzialità intellettuali africane formando persone come John Tengo Jabavu,
John Langalibalele Dube, primo presidente dell’ANC, e il
suo successore Sefako Makgatho e molti, molti altri. Scuole
storiche come Lovedale (1841) e Healdtown (1845) nel
Capo orientale; Adams Mission (1847), Inanda (1869) e
St. Francis (1883) in KwaZulu-Natal; Zonnebloem (1858)
nel Capo occidentale; Tiger Kloof nel Capo settentrionale; Lemana (1875) nel Limpopo, fra molte altre, hanno
modellato e formato molti dei nostri leader.
Sono state queste scuole a offrire una disciplina intellettuale che si sarebbe rivelata importante nello scontro culturale del XX secolo.
Il secondo contributo delle Chiese nella fase preparatoria è scaturito dal portato essenziale del messaggio cristiano secondo il quale ogni persona è creata a immagine
di Dio, e dall’imperativo dell’amore nelle relazioni fra gli
esseri umani. Tale contributo ha consentito ai cristiani neri,
nel XIX secolo, di riconoscere la dissonanza fra la Parola
e la pratica sociale delle Chiese ufficiali. Sull’importanza di
tale riconoscimento torneremo più avanti.
La menzione di queste testimonianze cristiane nella
lotta per la giustizia e la democrazia è, in parte, un riconoscimento del contributo e dell’impegno specifico delle
Chiese cristiane che ha preceduto ed è stato in qualche
modo di fondamento per la formazione dell’ANC.
Dopo la conquista militare, economica, religiosa e politica del Sudafrica da parte delle potenze coloniali, la lotta
si trasferì nella sfera degli intellettuali e strateghi religiosi.
Nel 1861, il rev. Tiyo Soga, primo africano a essere ordinato ministro (della Chiesa presbiteriana; ndr), scriveva: «I
cafri (le popolazioni delle province sud-orientali del Sudafrica, chiamate oggi più propriamente Nguni; ndr) non
hanno titoli legali sulle loro terre. Vedo chiaramente che,
se non si addestrano i giovani in alcune professioni utili,
nient’altro eleverà il nostro popolo ed essi saranno condannati a essere palafrenieri, carrettieri, spaccalegna o
servi di tutti. Se invece insegniamo ai nostri giovani a commerciare, a guadagnare denaro, essi potranno poi disporne
e comprare la terra. Se le persone non sono proprietarie
della terra, non conteranno nulla in questo paese; dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi il commercio se vogliamo
continuare ad avere un futuro come popolo».
Tiyo Soga faceva queste affermazioni oltre 40 anni
prima che Herzog presentasse, nel 1911, quei disegni di
legge che nel 1913 divennero il Land Act, il quale riconosceva agli africani solo il 7% del suolo del Sudafrica. Non
stupisce ciò che scrive Mathole Motshekga: «Quando
venne votata la risoluzione di formare il SANNAC (South
African National Native Congress), il Congresso intonò il
canto Dio realizza la tua promessa, cantando l’inno di Tiyo
Soga, Lizalis’idinga Lakho. E proprio quell’inno continuò
a ispirare la speranza di Oliver Tambo di fronte alle uccisioni dei giovani manifestanti nel 1976, avendo egli adottato il verso che dice: “Guarda la nostra terra – Bona izwe
lakowethu!”».
Lo spirito di Soga generò l’etiopismo nazionalistico,
movimento che riprese dal salmo il riferimento all’«Etiopia
che tenderà le mani a Dio» (Sal 68,32) per incoraggiare il
salto dalle lotte del passato, basate sull’appartenenza et-
nica, a un’agenda non etnica per l’emancipazione africana
– sulla scia delle iniziative intraprese dai rev. Nehemiah
Tile, Mangena Mokone, James Dwane, Jeremiah Mzimba,
Henry Ngeayiya (diventato in seguito cappellano dell’ANC) e della storica Charlotte Makgomo Mannya (in seguito, Maxeke). Il Movimento etiopico influenzò il rev.
John Dube, primo presidente dell’ANC nel 1912, e consegnò alle intercessioni dell’ANC e nazionali l’inno Nkosi Sikelel’ iAfrika («Dio benedica l’Africa»), scritto da Enoch
Sontonga, genero di Abraham Mngqibisa, uno dei fondatori della Chiesa etiopica.
L’importanza delle rivendicazioni ecclesiali, in particolare di quelle sostenute e formalizzate entro la concezione di ispirazione biblica del Movimento etiopico, fu
quella di creare circa 20 anni dopo un ponte critico fra le
disparate rivendicazioni anticoloniali tribali e un ANC non
etnico, e infine di ottenere l’inserimento di un’istanza di
tipo non razziale nella Freedom Charter del 1955. Senza
quest’influenza, la nostra storia sarebbe rimasta molto probabilmente intrappolata nella prevalenza di quelle costruzioni etniche che hanno caratterizzato le politiche di molti
paesi nel nostro continente.
Insieme a tali testimonianze simboliche di fede e coraggio riconosciamo, fin dai giorni di Tiyo Soga, un illustre
schiera di cristiani «militanti» nella lotta: persone del calibro di Enoch Mgijima, Trevor Huddleston di Sophiatown
e Ambrose Reeves, allora vescovo di Johannesburg, che
venne deportato nel 1960 per la sua ferma presa di posizione contro l’apartheid.
Una parola sul nostro comune cammino
a par tire dal 1912
Le prime parole pronunciate alla Conferenza inaugurale dell’ANC, l’8 gennaio 1912 a Bloemfontein, furono
una preghiera seguita dal canto dell’inno Nkosi Sikelel’ iAfrika. Gli ideali originari del movimento erano basati su
una comprensione condivisa di quelli che le Chiese chiamano i «valori evangelici» della giustizia, dell’uguaglianza
e della dignità di ogni uomo davanti a Dio.
L’influenza formativa delle Chiese è evidente in coloro
che convocarono la conferenza e nelle persone che furono
scelte per guidare l’organizzazione; nelle scuole missionarie che provvidero alla loro educazione; nelle risorse che
furono offerte e che permisero all’organizzazione di costituirsi.
Il suo primo presidente, John Langalibalele Dube, era
un ministro della Chiesa (congregazionale; ndr). Molti dei
suoi successori erano membri di Chiese: ricordiamo il rev.
Zaccheus Mahabane, due volte presidente dell’ANC
(1924-1927; 1937-1940) e il canonico rev. James Arthur
Calata (segretario generale dell’ANC dal 1936 al 1949).
Fu per una simile tradizione che Albert Luthuli, presidente
generale dell’ANC fra il 1952 e il 1967, poté affermare con
forza il legame fra la sua fede e il suo impegno nell’ANC:
«Sono nel Congress (l’ANC; ndr) proprio perché sono cristiano. La mia fede cristiana riguardo alla società deve trovare espressione qui e ora, e il Congress è l’avanuardia della
vera lotta (…). Mi sento spinto, essendo cristiano, a parte-
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cipare attivamente alla lotta con altri cristiani, portando
con me il mio cristianesimo e pregando che possa servire
a influenzare in senso positivo il carattere della resistenza».
Queste parole di un venerato antesignano dell’ANC indicano più di qualsiasi analisi storica moderna il legame
fra la comunità cristiana e la fede cristiana nelle lotte del
nostro popolo e nella vita dell’ANC.
Una parola sul nostro comune cammino
a par tire dal 1955
Se l’arcivescovo Trevor Huddleston o il canonico Calata fossero ancora vivi, potrebbero parlarci del loro coinvolgimento, e del coinvolgimento di molti cristiani, nella
stesura della Freedom Charter a Kliptown, nel 1955. Ci parlerebbero degli avvenimenti di Sharpeville e di molti altri.
Potrebbero parlarci delle deportazioni forzate da Sophiatown, il 9 febbraio 1955, e del nuovo nome – Triomf – dato
all’area come punizione dal regime dell’apartheid. Potrebbero sfidarci e chiederci di essere più creativi nella nostra
programmazione e nell’eliminazione della separazione
degli spazi e dei luoghi imposta dal Group Areas Act. Potrebbero ricordarci che la costruzione della coesione sociale e la rinuncia alle enclave razziali ed etniche continua
a essere ostacolata dalla separazione razziale entro le
Chiese e nella società.
Se Beyers Naudé fosse vivo oggi, potrebbe parlarci dei
molti modi in cui la comunità cristiana prese posizione
contro l’apartheid, con gravi conseguenze per se stessa e
per coloro che assunsero una ferma posizione profetica
contro l’apartheid. Potrebbe domandarci che ne è di quella
voce profetica oggi. Potrebbe chiederci se nelle relazioni
tra l’attuale governo a guida ANC e la comunità cristiana,
data la nostra storia, non sarebbe possibile una migliore
distinzione tra il ruolo profetico e la critica costruttiva delle
comunità di fede, da un lato, e un’opposizione a priori, dall’altro.
Oom Bey (lo stesso Christiaan Frederick Beyers Naudé,
teologo sudafricano e attivista anti-apartheid; ndr) ci ricorderebbe che la comunità di fede, in genere, ha sempre
sentito vicinanza con coloro che hanno sacrificato la vita
nella lotta di liberazione; coloro che hanno lasciato casa e
famiglia per lottare per la giustizia sociale; coloro che sono
diventati la roccia attorno alla quale si è organizzata la loro
comunità. Infatti, la teologia della liberazione esprime l’imperativo e l’impegno condiviso della lotta. Tra le eredità
fondamentali di Oom Bey è inclusa la scelta di prendere
spesso dolorose posizioni di coscienza a partire dal contesto della propria gente, dei propri interessi personali e dall’ambiente in cui si è cresciuti e a cui si è affezionati.
Egli ci direbbe che, in questi giorni in cui i valori che
guidarono la lotta di liberazione sono troppo spesso sommersi dall’avidità delle ricchezze e delle posizioni di potere, è salutare ricordarci della società che volevamo
costruire insieme. In un tempo nel quale i responsabili del
movimento si comportano troppo spesso come coloro contro i quali abbiamo lottato insieme, è salutare rinnovare il
nostro comune impegno al servizio. In questo tempo nel
quale la società desidera ardentemente una leadership
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orientata alla giustizia sociale e alla pace, è salutare riflettere insieme, per quanto doloroso questo sia, su ciò che
non abbiamo affrontato dall’avvento della democrazia.
La figura di Albertina Sisulu, una laica cristiana recentemente scomparsa, sarebbe in grado di mettere a confronto il ruolo delle donne nella lotta contro il regime
dell’apartheid e il ruolo delle donne oggi. Ci ricorderebbe
il suo impegno in FedSAW (Federation of South African
Women; ndr) e la sua marcia, insieme a Helen Joseph e ad
altre donne, fino allo Union Buildings per chiedere la giustizia invece della sola rappresentanza. Sfiderebbe il partito
e le Chiese a vedere più chiaramente in che misura il patriarcato continua a permeare le politiche e la vita concreta
delle persone. Chiederebbe a tutti noi di avere un approccio più gender-inclusive in tutto ciò che facciamo, invece di
lasciare gli interessi delle donne al sostegno di certe organizzazioni ecclesiali o della Lega delle donne dell’ANC e
di un ministero che si occupa delle persone disabili, come
se le donne fossero una minoranza nel nostro paese.
Una parola sul nostro comune cammino
a par tire dal 1976
Nel 1975, le Chiese, per bocca dell’allora decano della
cattedrale anglicana St. Mary di Johannesburg, il rev. Desmond Tutu, misero in guardia con alcune lettere aperte il
regime di Vorster dalla crescente collera dei giovani, che
sfociò in una grande sollevazione nel giugno del 1976. Allora fornirono un notevole sostegno e una chiara ispirazione il Consiglio sudafricano delle Chiese (SACC), la
Conferenza episcopale cattolica del Sudafrica (SACBC),
l’Associazione delle Chiese indipendenti africane (AICA).
Molti di noi sono cresciuti in quegli anni, condividendo
la lotta dei giovani contro l’apartheid e affrontando le armi
del regime. Alcuni di quei giovani hanno pagato con la vita
il loro impegno, mentre altri sono ora nelle strutture che
governano la nostra società. Ma una nuova generazione
di giovani sta oggi subendo il peso della disoccupazione,
della malasanità, della mancanza di educazione e di una
generale crisi di speranza in un futuro migliore.
L’arcivescovo emerito Tutu, il dott. Alan Boesak, il rev.
Frank Chikane e molti altri profeti di verità, operanti
principalmente sotto la bandiera del SACC e di alcune organizzazioni mondiali, possono descrivere molto chiaramente quel periodo, come anche quello successivo, perché
spesso furono loro a guidare e ispirare la lotta contro
l’apartheid. Essi presero fermamente posizione non solo
contro il male dell’apartheid, ma spesso anche contro
membri delle comunità di fede che insistevano sulla necessità di mantenere la «distinzione fra Chiesa e politica». A motivo della loro scelta, essi subirono una doppia
persecuzione: da parte del regime dell’apartheid e da
parte di alcuni ambienti delle Chiese.
Le parole di Desmond Tutu alla Commissione Eloff,
nel 1982, ci ricordano come il SACC vedeva il processo di
liberazione: «Mostrerò che l’azione centrale di Gesù mirava a realizzare la riconciliazione fra Dio e noi e anche
fra uomo e uomo (…); a partire da una base teologica e
scritturistica, dimostrerò che apartheid, sviluppo separato
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o comunque lo si chiami, è male, totalmente e integralmente, e non è né cristiano né biblico (…). Se qualcuno
dovesse dimostrarmi che l’apartheid è biblico o cristiano,
l’ho detto in passato e lo ripeto ora, brucerò la mia Bibbia
e smetterò di essere cristiano».
Una parola sul nostro comune cammino
a par tire dal 1983
Il 1983 è una data importante per il Sudafrica, perché
è l’anno in cui si costituì, ispirato da un appello di Alan
Boesak e di altri leader del movimento di liberazione, un
fronte unito contro l’apartheid. Nell’agosto di quell’anno
venne fondato lo United Democratic Front (UDF) e ancora una volta molti leader di Chiese appoggiarono la nascente organizzazione, mentre altri entrarono a far parte
della sua leadership.
Molti dei leader dell’ANC ricorderanno il Documento
Kairos del 1985, seguito da un documento intitolato Violenza: il nuovo Kairos (ancora reperibile sul sito web dell’ANC: www.anc.org.za; cf. Regno-doc. 15,1991,514ss).
Oggi, il documento del 1985 costituisce il fondamento
dell’attività di Kairos Southern Africa, particolarmente in
Sudafrica. Esso continua a essere d’ispirazione in situazioni
particolari, come quella dei cristiani in Palestina. Il documento non si limitò a dichiarare l’apartheid un’eresia, ma
fece un passo avanti: analizzò i presupposti teologici delle
Chiese del tempo e le sfidò a coinvolgersi attivamente nella
resistenza contro l’apartheid, adottando quella che fu chiamata «teologia profetica», ovvero una modalità teologica
completamente nuova (rispetto a quanto suggerito dalla
cosiddetta «teologia della Chiesa», anch’essa definita nel
documento del 1985; cf. Regno-doc. 1,1986,49ss; ndr).
Purtroppo molti cristiani interpretarono quell’appello
soltanto come un invito a coinvolgersi nella lotta contro
l’apartheid, ragione per cui con la fine dell’apartheid venne
meno anche il loro impegno nel rovesciamento dell’ingiustizia sociale ed economica in Sudafrica. Molti ricaddero
nella posizione sostenuta dalla «teologia della Chiesa» ed
ebbe così iniziò il progressivo declino del coinvolgimento dei
cristiani nell’ispirazione e formazione del nuovo Sudafrica.
Una parola sul nostro comune cammino
a par tire dal 1994
Passiamo in rassegna le risposte teologiche in Sudafrica
a partire dal 1994. In vista dell’avvento di una nuova società democratica, non razziale, non sessista, giusta ed
equa, alcuni teologi progressisti, come Villa-Vicencio, cominciarono a parlare di «teologia della ricostruzione» e di
«assiomi intermedi», che avrebbero dovuto consentire il
passaggio della società a una nuova stagione soggetta alla
«forza rinnovatrice del Vangelo», il quale sprona sempre la
società ad andare oltre lo status quo. In questa prospettiva,
alcuni leader cristiani furono forzatamente coinvolti nel
governo per prendere parte al processo di trasformazione
e ricostruzione della nostra società.
I seminari teologici tenuti prima delle elezioni demo-
cratiche del 1994 proposero per i cristiani soluzioni come
quella di una «solidarietà critica» col nuovo governo democratico; in realtà molti attivisti preferirono adottare una
posizione di «distanza critica» dal nuovo stato democratico finendo per trasformarsi in «profeti nel deserto», ovvero in persone che «parlavano con franchezza» al potere,
ma senza avere in sostanza alcun impatto concreto.
I leader della precedente generazione dell’ANC, come
Nelson Mandela, ritenevano le Chiese dei «partner» nell’impegno per la ricostruzione e lo sviluppo della società sudafricana allo stesso modo in cui esse erano state partner dei
movimenti di liberazione dal sistema dell’apartheid. Secondo
Mandela, c’erano aspetti della ricostruzione e dello sviluppo della società – quelli che egli chiamava i «programmi di
risanamento strutturale» dell’anima – che solo le Chiese potevano affrontare. Fu proprio per questo motivo che venne
istituito il Forum nazionale dei leader religiosi.
Mbeki, succeduto a Mandela, trasformò il Forum in un
gruppo di lavoro dei religiosi col governo allo stesso modo
in cui fece col commercio, col sindacato, coi giovani, con
le donne ecc.
Venne elaborato anche un «Programma di rigenerazione morale», presieduto dall’allora vicepresidente Jacob
Zuma. Alcuni avrebbero potuto ritenere rischiose tali collaborazioni, perché potevano evolvere verso una «teologia
di stato».
Lo sviluppo più recente che abbiamo rilevato, prevedendo una ricompensa per coloro che sostengono l’ANC,
specialmente durante le elezioni, si avvicina ancora di più
all’idea di una «teologia di stato», dove alcuni leader di
Chiese sono al «servizio del partito», inteso in senso politico partitico, piuttosto che al «servizio del popolo». In questa situazione, la voce profetica è sacrificata sull’«altare»
del partito e i leader ecclesiali diventano acritici «cantori
delle lodi» del partito.
Per questo le nostre reazioni sono ora cambiate: sebbene molti di noi avessero accolto la nuova situazione con
un atteggiamento definito di «solidarietà critica», ora ci
siamo accorti che la nostra prima e principale solidarietà
deve essere coi più poveri dei poveri e con gli emarginati
nella società.
Allo stesso modo, «parlare con franchezza al potere»
era divenuto uno slogan tra noi, ma ora ci rendiamo conto
che «parlare con franchezza al popolo» e coinvolgerci in
organizzazioni popolari è probabilmente una risposta più
giusta, perché coloro che detengono il potere raramente
accolgono in modo positivo la verità quando viene detta
loro. Speravamo in una trasformazione del linguaggio del
«potere» in linguaggio del «servizio», ma siamo rimasti delusi perché questo non è accaduto in modo significativo.
Entrando nel secondo centenario di vita dell’ANC, speriamo si impari che una posizione acritica delle Chiese verso il partito o verso lo stato non può essere di alcuna utilità
all’attuazione degli obiettivi strategici nazionali. Una rivoluzione democratica nazionale richiede voci critiche e costruttive all’interno della società civile, e questo a salvaguardia
degli obiettivi veramente rivoluzionari del partito, che sono
costantemente minacciati da una natura umana incline a ricadere sempre su interessi settari ed egoistici, invece di perseguire gli interessi del popolo, specialmente dei poveri.
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La «teologia della Chiesa», posizione teologica implicitamente assunta da molti cristiani, dirà probabilmente
che non è affatto necessario per noi criticare il centenario
dell’ANC. Essa vuole che i cristiani siano «neutrali», si concentrino sulla «predicazione del Vangelo», per cui considera quest’esercizio di critica irrilevante. Noi rifiutiamo la
«teologia della Chiesa», perché non possiamo separare la
nostra fede e la nostra vita spirituale dal resto della nostra
vita. Un tale dualismo è controproducente e deve essere
rifiutato da tutti i cristiani.
La «teologia profetica» è invece orientata alla solidarietà e alla lotta con i più poveri dei poveri, perché è lì che
si trova Gesù. Essa concerne anche il «dire la verità al popolo», perché si tratta dell’unico linguaggio che ci renderà
davvero tutti liberi. Questa verità continuerà anche ad abilitarci e ispirarci nella resistenza contro ogni tentativo di
fare della nostra società una società nella quale le voci dei
più poveri siano soffocate e i loro bisogni banalizzati come
mero «diritto».
Nello spirito profetico di Gesù Cristo e nello spirito dell’Amore, bisogna sfidare continuamente i diritti dei ricchi,
dei potenti e di quanti perseguono i loro interessi, perché
è questo oggi lo stile dominante in Sudafrica.
Una parola pastorale all’ANC
Le Chiese sono pienamente consapevoli delle difficoltà
e delle sfide comunitarie e personali che devono affrontare
coloro che sono al governo. Come chi esercita il potere,
anche le Chiese, e specialmente le loro leadership, non sono
immuni dalla tentazione dell’arricchimento e da altre debolezze che ne compromettono l’integrità e la capacità di
fare ciò che è corretto e giusto. Parliamo dunque al partito
che è al governo, e a tutti coloro che esercitano il potere e
l’autorità, partendo da una preoccupazione pastorale che
scaturisce dalla nostra stessa umanità e debolezza.
Ci rivolgiamo specialmente a coloro che vivono momenti di lotta interiore a motivo delle esigenze dell’incarico ricevuto che possono incidere negativamente sulla vita
familiare e sulle relazioni; a coloro che sono tentati di usare
la loro posizione per difendere interessi personali piuttosto che per il bene comune; a coloro che soffrono per ragioni di salute e di benessere o che attraversano momenti
di sofferenza e di lutto.
Siate certi della nostra attenzione e preghiera per voi; ci
auguriamo che possiate anche accettare il nostro consiglio
di cercare prima di tutto il benessere di coloro che vi hanno
eletti a posizioni di leadership per servire; di scegliere e agire
giustamente secondo la vostra coscienza informata dalla
passione per la verità; di amare la misericordia e la giustizia e di rispettare coloro che stanno provando a fare lo
stesso, anche qualora foste in disaccordo con loro.
Una parola di avver timento e preoccupazione
Elenchiamo di seguito una serie di preoccupazioni che
riguardano il nostro paese e l’ANC. Si tratta di osservazioni basate sul nostro discernimento e su ciò che abbiamo
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visto nel corso degli ultimi 17 anni. L’elenco non è esaustivo, così come non lo è neppure le nostra capacità di analisi della situazione.
È necessario che, insieme alla speranza che nutriamo e
al nostro impegno per la costruzione di questa società e di
questo paese, condividiamo con voi anche la nostra profonda preoccupazione per il nostro paese, il nostro popolo,
il nostro futuro. Le cose possono degenerare se non vengono affrontate in modo adeguato e con urgenza. Altri
paesi e situazioni ce lo hanno mostrato e ce lo mostrano
chiaramente. Non dobbiamo credere che per il Sudafrica
le cose debbano necessariamente andare in modo diverso.
1. Le fazioni in seno all’ANC. Mentre l’ANC si prepara
alla sua conferenza nazionale di Mangaung nel dicembre
2012, vediamo perdurare la divisione in fazioni e la possibilità che si chieda ancora una volta ai delegati di votare
per una delle due o tre «liste di candidati». Questa divisione è spesso la conseguenza diretta di una debole concezione della democrazia partecipativa nei nostri partiti
politici. Constatiamo con preoccupazione che la mancanza di unità e la divisione in fazioni all’interno dell’ANC
intaccano la leadership, il governo e l’erogazione dei servizi,
specialmente alle comunità più povere. Inoltre, queste lotte
interne si combattono molto spesso pubblicamente e in
forme irrispettose, anche vergognose, e non di rado violente, mettendo a rischio la vita e la sussistenza di persone
innocenti. Ci preoccupa anche il fatto che la violenza e le
minacce diventino un mezzo per regolare dispute politiche interne e nazionali.
A tale riguardo, il nostro messaggio all’ANC è semplice: «Nessuna città o famiglia divisa in se stessa potrà restare in piedi» (Mt 12,25). Bisogna in tutti i modi evitare
la divisione in fazioni e questo va comunicato dai vertici a
tutti i rami dell’ANC. Noi chiederemo anche ai leader
delle Chiese di diffondere questo messaggio di unità attraverso i canali di comunicazione delle Chiese. Non crediamo che queste divisioni siano nell’interesse del futuro
del Sudafrica. Questa lotta per il potere sembra piuttosto
al servizio di interessi personali o di determinate fazioni e
gruppi e non al servizio della causa del popolo (specialmente dei poveri).
2. La nostra seconda preoccupazione è trovare la miglior
strada possibile, conservando l’unità nella nostra diversità,
verso la giustizia economica e contemporaneamente verso
la riduzione del divario fra i più ricchi e i più poveri in Sudafrica. Riconosciamo la tentazione di alcuni di rimanere
aggrappati ai propri privilegi economici e chiediamo che
un dialogo nazionale sul tema sia organizzato nel più breve tempo possibile. Abbiamo avviato alcune iniziative a riguardo e chiederemo a coloro che di questa situazione hanno detto «ci dispiace», iniziando anche progetti per tradurre
in pratica la loro disponibilità, di farlo concretamente mediante un progetto nazionale e insieme a tutti i sudafricani che possiedono molto più di quanto necessitano. Lo scopo sarà quello di contribuire in modo più significativo alla
riduzione del divario fra ricchi e poveri in Sudafrica e di fare
questo non solo a livello individuale, ma insieme.
3. La nostra terza preoccupazione riguarda le forze di sicurezza e i servizi segreti e il mantenimento di un ordine appropriato e della giusta struttura in seno a queste forze e il le-
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game fra questo (o la sua mancanza) e l’aumento della criminalità. Si tratta di una delle nostre maggiori preoccupazioni del momento. Ciò che è avvenuto in diversi altri paesi (dove i servizi segreti e le forze di sicurezza sono stati manipolati a vantaggio soltanto di una parte nella società) non
vogliamo vederlo accadere in Sudafrica. La politicizzazione delle forze di sicurezza è una ricetta per l’instabilità, la violenza e i conflitti fra forze opposte all’interno dello stato.
4. La corruzione. Il «commercio delle armi» sembra essere stato il nuovo «peccato originale» del Sudafrica e
siamo felici che il problema stia ora ricevendo l’attenzione
che merita. Esso ha distolto la nostra attenzione, la nostra
energia, il nostro tempo e le nostre risorse dai più poveri
dei poveri.
La corruzione incide negativamente sulla psiche e sulla
moralità del nostro popolo, soprattutto sui giovani (convinti ora che corrompere sia l’unico modo per arricchirsi
in fretta e senza molti sforzi). Sembra che la corruzione si
sia diffusa nelle attività politiche del partito, all’interno del
quale essa, utilizzata nelle campagne elettorali, compromette la leadership prima ancora che giunga al governo.
Ci preoccupa anche il modo in cui sono finanziati i partiti e chiediamo una maggiore trasparenza a riguardo, per
non dover scoprire in seguito che durante le elezioni sono
state utilizzate pratiche che la popolazione avrebbe disapprovato.
5. La conservazione di una vera coesione sociale nel
paese. La forte leadership del presidente Mandela orientata
alla costruzione della coesione sociale in Sudafrica deve
continuare. Ringraziamo Dio per il suo esempio e chiediamo a tutti i leader dell’ANC di seguire le sue orme, non
solo per noi stessi, ma anche per essere d’esempio e onorare le aspettative che il resto dell’Africa e la comunità
mondiale hanno espresso nei nostri riguardi.
6. L’insostenibilità di uno stile di vita opulento tipo
«sogno americano». Lo si trova a volte pubblicizzato in Sudafrica ed è il nostro incubo, perché la realizzazione di un
simile «sogno» significa spesso arricchimento personale e
rapido a spese dei più poveri e dell’ecologia. Il fatto di avere
recentemente ospitato in Sudafrica la 17a Conference of
the Parties (l’ultima conferenza dell’ONU sui cambiamenti
climatici, tenutasi a Durban dal 28 novembre al 9 dicembre 2011; ndr), alla vigilia di queste celebrazioni del centenario, deve spronarci ad adottare una posizione e una
cultura risolute al riguardo.
7. I livelli di istruzione piuttosto bassi per la stragrande
maggioranza dei poveri nel nostro paese. In un mondo competitivo sia dal punto di vista industriale che intellettuale
occorre un’istruzione adeguata ed efficace. Come ha detto
Nelson Mandela: «L’educazione è l’arma più potente che
potete usare per cambiare il mondo».
8. Fare della solidarietà con gli oppressi di tutto il mondo
l’elemento chiave delle nostre relazioni internazionali. Le persone nel mondo, specialmente in Africa e nel popolo palestinese, attendono un forte sostegno da parte nostra.
Veniamo da una storia nella quale abbiamo fatto appello
al mondo per la promozione di sanzioni contro un regime
ingiusto; chiediamo all’ANC di proseguire su questa strada
e considerare prioritaria la giustizia per il popolo, piuttosto che il commercio.
9. Rispettare la Costituzione della Repubblica. La nostra
Costituzione viene considerata una delle migliori al mondo
ed è costantemente interpretata dalla nostra Corte costituzionale. Una democrazia sana esige pesi e contrappesi,
e anche se questo può a volte risultare frustrante, noi chiediamo che la Costituzione, la Legge sui diritti del cittadino
e la Corte costituzionale con le sue decisioni, siano tenute
nella massima considerazione da tutti.
Amiamo il nostro paese, il nostro popolo, la nostra
terra, il nostro continente. Con queste parole ci impegniamo a continuare a costruire un futuro migliore per i
suoi figli e per le generazioni future, prendendo sempre più
le distanze dai residui del colonialismo e dell’apartheid,
specialmente dalla disunione che essi promuovevano. Ci
impegniamo a fare ciò che oggi dobbiamo fare per costruire l’unità nel nostro popolo e fra i suoi membri.
Una parola sui recenti sviluppi
fra le Chiese e l’ANC
1. Relazione fra le Chiese e l’ANC. Certe dichiarazioni di
alcune denominazioni si sono spinte fino a chiedere ai loro
membri di non votare per l’ANC, mentre altre hanno esortato i loro membri in senso opposto. Noi chiediamo una
comunicazione più diretta fra i leader ecclesiali e il governo
ANC per risolvere ogni possibile tensione e sviluppare una
comprensione comune della relazione fra Chiese e stato.
Dovremo anche consigliare alle Chiese di essere prudenti
nel loro sostegno o opposizione a un qualsiasi partito politico particolare, compreso l’ANC.
2. La cooptazione attiva di teologi di parte e leader ecclesiali da parte dell’ANC. Come teologi che discernono
l’opera di Dio nel mondo, abbiamo una certa conoscenza
dei tipi di teologia che servono a costruire l’unità fra tutto
il popolo di Dio e di quelli che militano contro il bene comune. Notiamo una preoccupante tendenza nell’ANC a
cooptare e sostenere leader ecclesiali che non hanno chiaramente una prospettiva di liberazione (ma potrebbero essere impegnati nella carità o nello sviluppo o essere disposti
a benedire acriticamente l’ANC). Noi vogliamo semplicemente fare presente la cosa all’ANC e chiedergli di riflettere su questa questione, nel suo proprio interesse e
nell’interesse dei migliori valori e comportamenti morali,
mentre avanziamo nell’edificazione del Sudafrica.
3. Trattamento dell’arcivescovo Tutu. All’inizio di quest’anno siamo stati profondamente delusi dalle iniziative
del governo ANC volte a impedire la visita del Dalai Lama
nel nostro paese in risposta a un invito dell’arcivescovo
emerito Tutu. Ciò che è avvenuto in questo caso è un
esempio di ciò da cui abbiamo messo in guardia in questo
documento: mettere mammona (il denaro) al di sopra di
Dio. Noi crediamo che si dovrebbe aprire un dibattito nazionale su questa questione. Incoraggiamo questo dibattito nella società civile e speriamo che l’ANC voglia tener
conto dei suoi risultati. Non vogliamo che l’ANC sia «come
tutti gli altri governi» del mondo: chiediamo all’ANC di
avere standard più elevati, quelli che renderanno noi cittadini orgogliosi di esso, perché altrimenti non saremo in
grado di giustificare alcun sostegno all’ANC.
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Una parola sulla collocazione
del nostro punto focale
«Cercate anzitutto il regno di Dio» (Mt 6,33) è il nostro
mandato. Con questo intendiamo che il regno di Dio si
realizzerà sulla terra così come è in cielo: un regno di riconciliazione, di giustizia, di pace e bellezza. Noi vediamo
che il mandato ANC è più limitato rispetto a questo, ma
nel nostro contesto è complementare. Perciò chiederemo
sempre al governo in carica di fare più e meglio di ciò che
sta facendo.
Kairos Sudafrica afferma chiaramente che, perlomeno
nel contesto sudafricano, noi convoglieremo le nostre
energie, nel corso dei prossimi dieci anni, sulla riduzione
del divario fra i più ricchi e i più poveri in Sudafrica, cercando di dare più potere a entrambi. Sia i ricchi sia i poveri non devono pensare che si tratta di togliere potere ai
ricchi per darne ai poveri, e neppure che si tratta semplicemente di carità dei ricchi verso i poveri, lasciando i poveri senza alcun potere. Al riguardo una componente
fondamentale sarà il lavoro per l’eliminazione della corruzione, che mina la democrazia che abbiamo conquistato
a così caro prezzo.
Questo richiede anche una democrazia viva nella
quale sarà fondamentale una significativa partecipazione
del popolo alla vita pubblica. Dobbiamo, inoltre, evitare
con tutte le nostre forze di giocare l’interesse di una parte
delle nostre comunità contro quello delle altre, in special
modo ricorrendo a motivazioni razziali, appartenenza
etnica, genere, religione e paese di origine. Dovremmo
essere particolarmente sensibili alla condizione dei rifugiati che sono attirati nel nostro paese dalla ricerca di
una vita migliore e della sicurezza. Queste cose sono
state offerte alle nostre migliaia di esiliati durante gli anni
dell’apartheid.
Preghiamo affinché insieme possiamo fare nuovi sogni
e insieme lavorare per realizzarli: un sogno nel quale non
vi saranno più capanne in Sudafrica; un sogno nel quale
nessuno sia più costretto a coricarsi affamato; un sogno
nel quale gli imprenditori si sentiranno incoraggiati e motivati dall’ambiente creato per loro al fine di avviare nuovi
commerci, nuove industrie e offrire nuovi posti di lavoro;
un sogno nel quale ogni cittadino si sente sicuro e nessun
cittadino viene discriminato a causa della razza o dell’appartenenza etnica; un sogno nel quale l’ambiente è protetto per garantire anche alle future generazioni il
godimento dei frutti della terra.
Questo è il nostro sogno per questo paese, e noi preghiamo che voi possiate fare questo sogno insieme a noi.
gnarci con i concittadini in tutto il mondo, come sudafricani orgogliosi che stanno costruendo un paese per tutti i
loro cittadini.
Perciò l’educazione del nostro popolo è fondamentale.
Bisogna accordare la priorità al settore dell’educazione e
fornire alle nostre scuole, specialmente a quelle che non se
lo possono permettere, infrastrutture moderne e attrezzature sportive e scientifiche. Le Chiese e tutto il settore religioso hanno delle capacità al riguardo, stanno già portando
avanti alcune iniziative e possono contribuire in modo significativo, in collaborazione con altri, ad assicurare che
l’educazione dei nostri bambini e dei nostri giovani raggiunga gli standard più elevati possibili. Guai a coloro che
trascurano l’educazione dei nostri bambini!
I poveri in mezzo a noi, intrappolati nel ciclo della povertà e della nostra incapacità di aiutarli a uscirne, hanno
cominciato a perdere la pazienza. Nessun ricordo delle
lotte passate, per quanto insistente, libererà i poveri della
povertà. Il ciclo della povertà deve essere spezzato con tutti
i mezzi possibili!
Il culto di mammona (denaro) è uno dei segni fondamentali del nostro tempo, per tutti in ogni parte del pianeta, e noi dobbiamo prendere fermamente posizione
contro questa situazione nel nostro paese, se vogliamo assicurare il nostro futuro insieme. La scelta è perentoria:
«Nessuno può servire due padroni; egli amerà sempre
l’uno e ignorerà l’altro» (Mt 6,24).
Una parola di speranza e di benedizione
Noi ci congratuliamo con l’ANC per tutto ciò che ha
fatto in Sudafrica nel corso degli ultimi cento anni. Il movimento è stato una grande fonte di speranza per la stragrande maggioranza del nostro popolo.
La nostra speranza è radicata nel nostro Signore Gesù
Cristo, che ha vinto la morte e per il quale nulla è impossibile.
Oggi noi preghiamo perché, nonostante tutti suoi attuali problemi, l’ANC continui a ispirare speranza, imparando dal passato e operando con determinazione durante
quest’anno di celebrazioni del centenario per cominciare
a sradicare la corruzione, la faziosità, l’individualismo egoistico, le lotte di potere, la mancanza di disciplina e soprattutto lo scandaloso disinteresse per i poveri.
Dio benedica tutti i membri dell’ANC che cercano veramente di fare questo.
Dio benedica l’Africa / custodisca i nostri bambini /
guidi i nostri capi / e ci dia pace. / Per Gesù Cristo. / Amen.
SEGUONO LE FIRME*
Una parola profetica all’ANC
Verrà il tempo in cui la storia della lotta contro il colonialismo e l’apartheid si offuscherà e i giovani guarderanno
avanti piuttosto che indietro. Noi chiediamo all’ANC di
cominciare a incentrare l’attenzione più su questa nuova
epoca che sui giorni nei quali i sudafricani erano invischiati
nella lotta degli uni contro gli altri. Ora vogliamo impe-
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* Alcuni dei firmatari hanno espresso il loro sostegno al documento
senza necessariamente sottoscrivere le espressioni di fede particolari che
lo sostengono e rafforzano. Rispettiamo il loro diritto di farlo e abbiamo
aggiunto i loro nomi, accogliendoli senza distinguere fra loro e quanti si
sentono liberi di esprimere la loro fede così come è contenuta in questo
documento.
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hiese nel mondo | SUD SUDAN
Abbiamo un sogno
di pace, giustizia
e libertà
Messaggio di pace dei vescovi
cattolici e anglicani del Sud Sudan
1.
«Noi sogniamo due stati democratici e
liberi, che… vivano fianco a fianco in solidarietà e reciproco rispetto, celebrino
la loro storia comune e perdonino i torti che possono essersi fatti a vicenda. Sogniamo che le persone non siano più
traumatizzate, che i bambini possano
andare a scuola, …che la malnutrizione e la povertà finiscano, e che cristiani e musulmani possano recarsi in
chiesa o alla moschea liberamente e senza paura. Ora basta. Mai più guerra tra
Sudan e Sud Sudan!». Per scongiurare
la minaccia di una nuova guerra tra i
due stati, l’11 maggio i vescovi cattolici e anglicani del Sud Sudan hanno diffuso un messaggio di pace intitolato
«Abbiamo un sogno di pace, giustizia e
libertà. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt
5,9)». I vescovi invocano dalla comunità internazionale una rinnovata attenzione ai problemi dell’area e una posizione «più equilibrata». E da parte
loro rinnovano l’impegno ecumenico,
perché «durante la guerra civile, la
forza del ruolo delle Chiese sul posto e
nell’azione di convincimento a livello internazionale è dipesa dalla loro unità e
dal loro spirito ecumenico».
Stampa da supporto digitale in nostro possesso.
Nostra traduzione dall’inglese e titolazione. Cf.
anche Regno-att. 10,2012,338.
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Noi, quattordici vescovi rappresentanti le
Chiese anglicana e cattolica del Sud Sudan, ci
siamo incontrati a Yei (Sud Sudan) dal 9 all’11
maggio 2012 per pregare e riflettere insieme
sulla relazione fra le nostre due Chiese, sulle nostre ampie responsabilità ecumeniche e sul ruolo che
possiamo giocare per stabilire la pace e la comprensione fra Sudan e Sud Sudan. Ci rattrista il fatto che i
nostri fratelli vescovi della Repubblica del Sudan non
abbiano potuto partecipare all’incontro a causa dell’attuale situazione politica. Noi restiamo una sola
Chiesa in due nazioni e continuiamo a pregare per loro
e per il loro popolo.
2. Siamo grati per il messaggio di sostegno e incoraggiamento dell’arcivescovo di Canterbury. In questo
suo ultimo anno di permanenza in carica vorremmo
ringraziarlo per il suo impegno a favore della Chiesa e
della popolazione del Sudan e del Sud Sudan e augurargli ogni benedizione per l’avvenire. Abbiamo avuto
il privilegio di avere fra noi l’arcivescovo anglicano di
York, John Sentamu, e assistenti della Conferenza episcopale cattolica del Sudafrica. Accettiamo umilmente
questa dimostrazione di solidarietà da parte della
Chiesa universale.
3. Siamo onorati per la visita della rappresentante
speciale del segretario generale dell’ONU, sig.ra Hilde
Johnson. Le esprimiamo il nostro apprezzamento per
il lavoro della United Nation Mission in South Sudan
(UNMSS), specialmente nel processo di pace nello Jonglei, e anche le nostre preoccupazioni. Salutiamo l’accordo di pace sottoscritto dai capi delle sei comunità
dello stato dello Jonglei e sollecitiamo tutte le parti a
tradurre in pratica le risoluzioni e le raccomandazioni.
4. Abbiamo esaminato il nostro ruolo di leader religiosi, riflettendo sulla personalità di Abramo, padre
nella fede di ebrei, cristiani e musulmani. Abbiamo riconosciuto le sofferenze di Cristo sulla croce, che noi
come cristiani facciamo nostre, ma anche il Cristo gioioso della trasfigurazione, una visione che può rafforzarci in tempi difficili. La nostra preghiera, riflessione
e discernimento ci spingono a scrivere questo messaggio ai nostri cristiani, a tutto il popolo del Sudan e del
Sud Sudan e ai nostri amici della comunità internazionale.
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hiese nel mondo
La lot ta dei popoli emarginati
5. La maggior parte degli ultimi sessant’anni è stata caratterizzata da una lotta per la libertà da parte dei popoli
emarginati all’interno del vecchio stato del Sudan. Questa
lotta ha assunto molte forme. Quella del conflitto violento
è stata solo una di esse. Vi sono stati conferenze, tavole rotonde, negoziati, accordi, processi costituzionali, iniziative
diplomatiche, vari modelli di governance, azioni di pressione, lobbying, dimostrazioni pacifiche, sollevazioni popolari, scioperi, arbitrato, mediazione, boicottaggi, sanzioni,
disobbedienza civile, elezioni e molto altro.
6. La lotta di una parte dei popoli emarginati del
Sudan è culminata in un Comprehensive Peace Agreement
(CPA) e in un referendum che ha riscosso l’ammirazione di
tutto il mondo, e nella nascita pacifica di un nuovo stato,
la Repubblica del Sud Sudan. Nonostante la profonda frustrazione nel Sud Sudan per la mancata applicazione di
molte disposizioni del CPA e nonostante la provocazione
militare da parte di Khartoum, il Sud Sudan ha seguito il
cammino della pace e si è rifiutato di lasciarsi coinvolgere
nuovamente nel conflitto militare.
7. Vogliamo ringraziare la comunità internazionale per
i suoi sforzi per la firma del CPA, il referendum e la nascita del Sud Sudan. Senza il suo incessante sostegno, sarebbe stato difficile per il popolo del Sud Sudan di poter
godere ora della libertà. Fin da quando il mondo ha conosciuto la «guerra dimenticata», i sudanesi del Sud hanno
sempre sentito che la comunità internazionale comprendeva la loro richiesta e sosteneva il loro desiderio di autodeterminazione e libertà.
8. Siamo vicini alle comunità del Sud Sudan e ora ciò
che ascoltiamo da loro ci preoccupa. «Sembra che il popolo del Sud Sudan stia perdendo fiducia nella comunità
internazionale. Abbiamo visto persino dimostrazioni pubbliche contro le Nazioni Unite e il loro segretario generale
Ban Ki Moon. Allo stesso tempo, cominciamo a chiederci
se la comunità internazionale capisca ancora le aspirazioni
del popolo del Sud Sudan», nonché delle comunità emarginate in Sudan. Non siamo politici, ma sentiamo il dovere
di esporre alcuni dei problemi che ascoltiamo dal nostro
popolo. Abbiamo a cuore la nostra buona immagine come
nazione e non vorremmo vederla offuscarsi, per cui invitiamo i nostri amici della comunità internazionale a cercare di comprendere come la gente comune vede la
situazione.
9. Anche prima dell’indipendenza abbiamo assistito all’occupazione militare di Abyei da parte delle Forze armate
del Sudan, in violazione del Protocollo Abyei del CPA. La
popolazione di Abyei «non ha ottenuto il referendum» al
quale ha diritto in base al CPA. Ora ad Abyei «sono presenti dei peacekeepers dell’ONU», ma «la maggior parte
della popolazione è ancora sfollata, vive in condizioni terribili e ha paura di tornare alle proprie case».
10. Abbiamo visto anche una campagna militare contro la popolazione dei monti Nuba e poi del Nilo azzurro,
nonostante l’accordo di pace firmato dal rappresentante
del National Congress Party, ma abrogato dallo stesso partito nel giro di alcuni giorni. Le consultazioni popolari con-
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cordate nel CPA non sono state pienamente effettuate. In
entrambe le aree sta avvenendo un disastro umanitario,
poiché Khartoum bombarda ancora una volta la propria
popolazione civile. Al tempo stesso, prosegue la sua guerra
su un terzo fronte, quello del Darfur.
11. Subito dopo l’indipendenza, le forze armate sudanesi attaccarono il Sud Sudan con mezzi aerei e di terra.
Furono uccisi e feriti civili, bombardati campi profughi e
venne occupata militarmente Jau. Il presidente Salva Kiir
fece eco ai sentimenti della popolazione quando affermò
che il Sud Sudan non voleva la guerra e, come prima dell’indipendenza, le forze del Sudan People’s Liberation Army
(SPLA) non avrebbero risposto alla provocazione militare.
12. Durante quel periodo cessarono i colloqui sul petrolio e corsero voci che Khartoum trattenesse parte delle
rendite petrolifere del Sud Sudan. Certi indizi indussero a
ritenere che il governo a Juba potesse decidere la chiusura
dei pozzi petroliferi, ma forse i segnali non furono sufficientemente chiari e l’allarme non si diffuse ampiamente,
per cui la cosa non venne presa sul serio. Alla fine si decise
di sospendere l’esportazione del petrolio attraverso gli oleodotti sudanesi e di sondare la possibilità di nuovi oleodotti
attraverso il Kenya e l’Etiopia. L’idea galvanizzò il popolo
del Sud Sudan, nonostante le sue implicazioni economiche, in quanto dimostrazione di sovranità. Ma ci preoccupa il fatto che le parti in causa, sia nazionali sia
internazionali, non siano state sufficientemente consultate
e che l’impatto economico della chiusura dei pozzi petroliferi non sia stato pienamente valutato. Chiediamo al governo del Sud Sudan di garantire i servizi di base e il buon
governo nonostante i problemi economici.
La sorprendente reazione
della comunità internazionale
13. Dopo molti mesi di rinuncia a una risposta militare alla provocazione, nell’aprile 2012 le forze del SPLA
hanno finalmente risposto. Hanno inseguito le truppe delle
Forze armate del Sudan che avevano attaccato la Repubblica del Sud Sudan, occupando poi l’area di Heglig, conosciuta anche come Panthou. Secondo il Sud Sudan,
Heglig/Panthou è nel suo territorio in base ai confini stabiliti nel 1956, nonostante che Khartoum lo contesti.
14. A questo punto, i sudanesi del Sud sono stati profondamente sorpresi dalla reazione della comunità internazionale. Sorpresi dalla sua condanna assolutamente
unilaterale della loro azione, nonostante i molti anni di rinuncia da parte loro a rispondere sia alla provocazione militare di Khartoum sia alla mancanza di progressi dei
negoziati. Molti si sono sentiti traditi.
15. Il fatto che questo sia avvenuto sullo sfondo di un
impossibile termine massimo fissato ai sudanesi del Sud
per lasciare il Sudan, di un disastro umanitario per molti
di coloro che cercavano di farlo, di vessazioni e minacce,
interventi degli organi della sicurezza contro i sudanesi del
Sud e l’incendio di chiese, ha indotto il sudanesi del Sud in
entrambi i paesi a sentirsi ancor più colpiti e confusi dall’atteggiamento della comunità internazionale. Era stato
negoziato un accordo per la protezione dei diritti dei cit-
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tadini dei due stati, ma ancora una volta Khartoum lo ha
abrogato.
16. Ciononostante, il governo del Sud Sudan ha dimostrato le sue buone intenzioni ritirando nel giro di pochi
giorni le sue forze da Heglig/Panthou quando la comunità internazionale gli ha chiesto di farlo. Il popolo del Sud
Sudan preferirebbe di gran lunga risolvere pacificamente
mediante arbitrato le dispute sui confini. Esso ricorre a malincuore alla forza come ultimo ripiego per difendere i suoi
interessi. I bombardamenti aerei sul Sud Sudan continuano anche durante il nostro incontro e la preparazione
di questo messaggio. Questa volta sono stati definitivamente verificati da UNMISS. Condanniamo assolutamente i bombardamenti aerei su civili.
17. Il popolo del Sud Sudan e il suo governo lavorano
sodo per costruire un nuovo stato. Vogliono la pace e
hanno bisogno della pace. Hanno sopportato la provocazione militare e politica del loro vicino del Nord. La chiusura dei pozzi petroliferi e l’occupazione militare di
Heglig/Panthou sembrano essere stati due tentativi di rispondere all’evidente fallimento dei negoziati. Noi non crediamo che questo faccia parte di una grande cospirazione
contro il Sudan; è semplicemente un tentativo di difendere
il territorio e la sovranità del nuovo stato.
Tuttavia, consigliamo al governo del Sud Sudan di continuare a rinunciare a reagire e a evitare qualsiasi cosa che
potrebbe essere interpretata come aggressione militare. Ci
preoccupa la corsa agli armamenti in entrambi gli stati.
18. Ci sono giunte voci di sostegno del Sud Sudan a
forze ribelli operanti nei monti Nuba, Nilo azzurro e Darfur. Chiediamo una verifica internazionale di queste voci.
Nel Sud Sudan esistono forti simpatie nei riguardi della condizione del popolo. Queste aree sono state chiamate il
«nuovo Sud», perché lì la popolazione si scontra con la
stessa emarginazione che gravava sui sudanesi del Sud
prima dell’indipendenza. Ma l’empatia con la popolazione
di queste due aree non ha nulla a che vedere con il sostegno
delle forze ribelli che vi operano. Tuttavia sappiamo che esistono milizie ribelli operanti in Sud Sudan e abbiamo le
prove che esse sono state rifornite da Khartoum e che le
forze di sicurezza sudanesi collaborano con loro per rapire
e reclutare con la forza giovani sudanesi del Sud nella Repubblica del Sudan. Questi gruppi hanno chiesto apertamente di rovesciare il governo democraticamente eletto a
Juba. Diversamente dai movimenti ribelli dei monti Nuba e
del Nilo Azzurro, essi non godono apparentemente di alcun
sostegno popolare né combattono per una giusta causa. Nel
Sud Sudan opera tuttora anche il Lord’s Resistance Army e
si sospetta che Khartoum continui ad appoggiarlo.
20. Perciò noi accogliamo con gioia la Risoluzione
2046 del Consiglio di sicurezza dell’ONU (2 maggio 2012).
Notiamo che è stata votata all’unanimità e ringraziamo
tutti i membri del Consiglio di sicurezza. Siamo felici di
vedere finalmente una risoluzione che affronta globalmente molti temi chiave, compresa la questione Abyei; fissa
scadenze e promette sanzioni se queste non vengono rispettate; chiede una demarcazione del confine; crea una
zona cuscinetto per impedire ulteriori scontri. Accogliamo
con gioia il divieto di propaganda incendiaria e ostile e l’insistenza sul dovere del governo di proteggere i suoi cittadini.
21. Chiediamo ai due stati di applicare integralmente
e immediatamente la risoluzione dell’ONU e di riprendere
i negoziati in buona fede sotto gli auspici del Gruppo di attuazione ad alto livello dell’Unione Africana (AUHIP).
22. Riconosciamo che noi sudanesi del Sud non siamo
riusciti a manifestare alla comunità internazionale le nostre
speranze e aspirazioni, in modo che essa potesse comprenderle. Ci impegniamo personalmente e come Chiese
a rinnovare i nostri sforzi per la promozione e la difesa dei
sudanesi del Sud residenti in entrambi i paesi e nella diaspora. Siamo pronti a collaborare con il governo del Sud
Sudan per migliorare la consapevolezza internazionale sui
temi fondamentali.
23. Tuttavia la Chiesa non è solo per i cristiani, né solo
per i sudanesi del Sud. La Chiesa s’identifica con i poveri
e gli oppressi di ogni fede, appartenenza etnica o nazionale, ovunque si trovino. Per questo vogliamo continuare
BRUNO BIGNAMI
Terra, aria,
acqua e fuoco
Riscrivere l’etica ecologica
T
ema quanto mai attuale, la crisi ecologica è crisi etica. Oggi non è condiviso
che le risorse naturali siano a disposizione di
ogni uomo e non possano essere accaparrate
dai più scaltri. Il percorso smaschera logiche
di ingiustizia e privilegio e porta a rivedere,
nella fede, l’approccio umano ai beni essenziali della creazione.
Serve una visione ampia e a lungo termine
19. Crediamo sia importante che i nostri amici della
comunità internazionale assumano una posizione più equilibrata. «Equilibrata» non vuol dire criticare entrambe le
parti allo stesso modo, ma avere piuttosto una visione
ampia e a lungo termine, elaborata dopo un approfondito
studio, e cercare di fare pressione dove serve per portare
una pace giusta e duratura.
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11/2012
«ETICA TEOLOGICA OGGI»
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hiese nel mondo
a sostenere e difendere le comunità emarginate in Sudan,
specialmente quelle del Darfur, dei monti Nuba e del Nilo
azzurro. Noi portiamo al mondo non la voce dei politici,
dei partiti o dei movimenti, bensì la voce della gente comune, che soffre una tragedia umanitaria e la cui dignità
umana e i cui diritti umani non sono rispettati dal suo
stesso governo.
24. Come è noto, Martin Luther King disse: «Ho un
sogno». Anche noi abbiamo un sogno, una visione, una
convinzione. Il nostro sogno è basato sui valori evangelici,
sulla posizione profetica della Chiesa in materia di giustizia e pace, sulla dignità di ogni essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio. Dove gli altri vedono
problemi, noi vediamo la presenza di Dio e le opportunità
che la sua presenza ci offre. «Lo Spirito del Signore è sopra
di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha
mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Il
nostro sogno è un’espressione di questo lieto annuncio.
25. Noi sogniamo due stati democratici e liberi, nei
quali persone di ogni religione, di ogni gruppo etnico, di
ogni cultura e di ogni lingua godano degli stessi diritti
umani basati sulla cittadinanza. Sogniamo due nazioni in
pace l’una con l’altra, che cooperino al meglio per fare
buon uso delle risorse donate da Dio, promuovano la libera interazione fra i loro cittadini, vivano fianco a fianco
in solidarietà e reciproco rispetto, celebrino la loro storia
comune e perdonino i torti che possono essersi fatte a vi-
DIRETTORE RESPONSABILE
CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ
Gianfranco Brunelli
CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI
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Editoriale Dehoniano.
Chiuso in tipografia il 12.6.2012.
Il n. 10 è stato spedito l’8.6.2012;
il n. 9 il 25.5.2012.
In copertina: Benedetto XVI, in due momenti del VII Incontro mondiale delle famiglie (Milano, 30.5-3.6.2012).
L’editore è a disposizione degli aventi diritto che non è
stato possibile contattare, nonché per eventuali e involontarie inesattezze e/o omissioni nella citazione delle
fonti iconografiche riprodotte nella rivista.
cenda. Sogniamo che le persone non siano più traumatizzate, che i bambini possano andare a scuola, che le madri
possano essere ricoverate in ospedale, che la malnutrizione
e la povertà finiscano, e che cristiani e musulmani possano
recarsi in chiesa o alla moschea liberamente e senza paura.
Ora basta. Mai più guerra tra Sudan e Sud Sudan!
26. «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Prendiamo molto seriamente
questa beatitudine e siamo decisi a fare tutto ciò che è in nostro potere per trasformare il nostro sogno in realtà. Noi crediamo che il popolo e il governo del Sud Sudan vogliano
con tutte le loro forze la pace. Crediamo che questo valga
anche per la popolazione e i movimenti di liberazione dei
monti Nuba e del Nilo azzurro. Ma crediamo anche che
non vi sarà pace duratura se tutte le parti in causa non agiranno in buona fede. Occorre costruire la fiducia e questo
richiede la sincerità, per quanto dolorosa possa essere. Invitiamo la comunità internazionale a camminare insieme a
noi sul faticoso sentiero della scoperta della verità nella competizione fra richieste e contro-richieste, accuse e conto-accuse. La invitiamo a comprendere le aspirazioni pacifiche
della gente comune e a riflettere questa consapevolezza nelle
proprie dichiarazioni e azioni.
27. Ci impegniamo anche in un rinnovato sforzo ecumenico per la costruzione della pace. Durante la guerra
civile, la forza del ruolo delle Chiese sul posto e nell’azione
di convincimento a livello internazionale è dipesa dalla loro
unità e dal loro spirito ecumenico. Riconosciamo che dal
ritorno della pace nel 2005 il progetto ecumenico si è indebolito. Le Chiese cattolica e anglicana hanno molto in
comune nella loro storia, teologia e prassi; sono entrambe
membri fondatori del Consiglio delle Chiese del Sudan e
sono entrambe istituzioni internazionali con una grande
influenza nel mondo per il benessere di tutti. Lavorando
insieme crediamo di avere molto da offrire al Consiglio
delle Chiese del Sudan, che si sta ristrutturando per affrontare la nuova realtà dei due stati e che si trova davanti
a nuove sfide, a causa delle attuali tensioni militari e politiche. Abbiamo costituito un comitato per seguire le questioni ecumeniche, sotto la presidenza congiunta dei nostri
due arcivescovi.
28. Dio benedica i due stati e il popolo del Sudan e del
Sud Sudan. Dio benedica tutti voi.
Accettato e sottoscritto dai vescovi della Chiesa cattolica e
della Chiesa episcopaliana del Sudan a Yei, 11 maggio 2012.
SEGUONO LE FIRME*
* I vescovi anglicani: DANIEL DENG BUL, arcivescovo di Juba e primate della Chiesa episcopaliana del Sudan; MOSES DENG BOL, vescovo di Wau; HILARY ADEBA LUATE, vescovo di Yei; ENOCK TOMBE,
vescovo di Rejaf; PETER MUNDE, vescovo di Yambio; JUSTIN BADI,
vescovo di Maridi; BISMARK AVOKAYA, vescovo di Mundiri; ANTHONY POGGO, vescovo di Kajo-Keji. I vescovi cattolici: PAULINO LUKUDU LORO, arcivescovo di Juba; ERKOLANO LODU TOMBE, vescovo
di Yei e vicepresidente della Conferenza dei vescovi cattolici del Sudan;
RUDOLF DENG MAJAK, vescovo di Wau; VINCENT MOJWOK NYIKER, vescovo emerito di Malakal; EDUARDO HIIBORO KUSSALA, vescovo di Tombura/Yambio; ROKKO TABAN MOUSA, amministratore
apostolico di Malakal. Firmata anche da JOHN SENTAMU, arcivescovo
di York, Chiesa d’Inghilterra.
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2012
quindicinale di attualità e documenti
11
Documenti
321 La famiglia: il lavoro e la festa
Le parole di Benedetto XVI a Milano per il VII Incontro mondiale delle
famiglie; la relazione di mons. Ravasi al Congresso teologico-pastorale.
334 Per la trasparenza finanziaria
La Santa Sede e lo Stato della Città del Vaticano modificano e integrano
la Legge del dicembre 2010 per il contrasto delle attività finanziarie illegali.
362 Chierici e minori: linee guida CEI
Sollecitate dalla Congregazione per la dottrina della fede, le linee guida per
i casi di violenza dei preti sui minori mettono al centro il ruolo del vescovo.
373 Chiese d’Africa nella storia
I teologi sudafricani sul dopo-apartheid nel centenario di fondazione dell’ANC;
messaggio di pace congiunto dei vescovi cattolici e anglicani del Sud Sudan.
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e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”
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