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il Punt
Fatti, notizie e riflessioni dalla Scuola d’Impresa della Facoltà di Ingegneria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2 » Da Henry Ford a Mikhail Gorbaciov
Ovvero la dimensione strutturale della leadership
...........................
6 » Manuale di direzione
Il punto scientifico
...........................
9 » Socrate ci insegna a dialogare
Il punto letterario
...........................
13 » Decisioni a razionalità integrata
Un nuovo approccio alla strategia d’impresa
...........................
15 » Era mio padre
Match Point
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DICEMBRE 2011
Anno V, Numero IV
Direttore responsabile: Agostino La Bella
Redazione: Maria Assunta Barchiesi, Elisa Battistoni, Guendalina Capece,
Marco Greco, Cristina Landi, Federica Lorini, Gianluca Murgia, Paola Pasqualino
Progetto grafico, copertina e impaginazione: Silvia Castellan
pagina 2 DA HENRY FORD A MIKHAIL
GORBACIOV
ovvero la dimensione strutturale della leadership
il Punto Fisso , di Agostino La Bella
«Voglio costruire un’automobile per le famiglie americane. Dovrà essere prodotta con i
migliori materiali e la migliore manodopera
disponibili sul mercato, e dovrà essere abbastanza a buon mercato perché tutti coloro che
abbiano un lavoro decoroso possano averla,
per riuscire a godere dei grandi spazi che Dio
ci ha dato.»
Questa frase sintetizza la visione di Henry
Ford, un leader eccellente nella dimensione
strutturale. Per realizzare questa visione Ford
sfidò non solo la lobby dei costruttori automobilistici già sul mercato, che volevano impedirgli la produzione della sua Modello T,
ma anche alcune delle persone più ricche e
potenti degli Stati Uniti. Questa battaglia, vinta solo nel 1911, ne fece un eroe molto popolare.
Nei diciannove anni in cui il Modello T restò
in produzione ne vennero vendute oltre sedici
milioni di unità, circa la metà della produzione mondiale di automobili nello stesso periodo.
La
produzione
era
assicurata
dall’impianto più avanzato del mondo, che incorporava tutte le più recenti innovazioni tecnologiche, inclusa la catena di montaggio, capace di produrre un’automobile ogni 23 secondi. Ford sfruttò il successo commerciale
anche per aumentare le paghe: nel 1914 il salario minimo dei suoi operai era di 5 dollari
l’ora, contro una media di 2,34 per l’industria
americana dell’auto. Continuò a investire in
impianti sempre più grandi e più moderni e a
tagliare i prezzi di vendita per favorire la diffusione dell’automobile, tanto da venir portato in tribunale dagli azionisti di minoranza e
da essere costretto, nel 1920, ad acquistare
tutte le quote azionarie: mai nell’industria
americana una sola persona aveva controllato
al 100% un’impresa di tali dimensioni.
Ford non era solo un genio della meccanica e
un imprenditore, ma un leader che eccelleva
sia sotto il profilo strutturale, sia sotto quello
simbolico. Sotto il profilo strutturale per la
capacità di introdurre prima di altri nuove architetture organizzative, individuandone con
chiarezza le implicazioni strategiche: ricercare il profitto non nei prezzi elevati e nei bassi
salari, ma nella produzione di massa e nelle
il Punto Fisso
conseguenti economie di scala. Sotto il profilo
simbolico per la tenacia con cui ha per tutta la
vita aderito alla sua visione, che poi è diventata il filo conduttore di quello che sarà definito
“il sogno americano”.
Dalla visione di Ford è nata la “società dei
consumi”. Prima di allora, infatti, le persone
potevano essere collocate con sufficiente approssimazione in due grandi classi, i produttori e i consumatori, che avevano solo qualche
modesta sovrapposizione. Ford contribuì forse
più di chiunque altro a modificare questo paradigma, trasformando i produttori in consumatori. Tuttavia, le carenze dal punto di vista
politico e delle risorse umane ne provocheranno il declino. Infatti, nel momento in cui la
produzione di massa diventa il paradigma
comune a tutte le grandi imprese americane,
Ford non riesce a fare il salto di qualità verso
una struttura organizzativa meno autoritaria,
accentrata e paternalistica: nel 1936 la sua azienda sarà solo terza sul mercato americano.
Nonostante queste carenze, che sottolineano
l’importanza di un’armonica combinazione
delle quattro dimensioni della leadership,
Henry Ford rimarrà nella storia dei consumi
di massa e dell’industria americana come la
mente “visionaria” e la forza creativa che ha
contribuito in pochi decenni a cambiarne le
caratteristiche economiche e sociali.
La dimensione strutturale è importante perché
il leader non può limitarsi a governare i processi di cambiamento guidando le persone
verso il conseguimento di nuovi e più desiderabili assetti, ma deve anche fornire gli indirizzi per la progettazione organizzativa del futuro, per le nuove strategie, per i nuovi meccanismi di decisione. Non può quindi ignorare
gli aspetti strutturali legati al funzionamento
della macchina organizzativa, se non altro
perché da essi dipende la prestazione com-
pagina 3
plessiva nel perseguimento della visione e
delle strategie. Gli aspetti da considerare sono
essenzialmente tre. Il primo, e più ovvio, si
riferisce all’ambiente in cui l’organizzazione
opera (ad esempio, struttura di mercato, competitori, regolamentazione, norme, tecnologia,
ecc.). Il secondo riguarda l’insieme intricato e
complesso delle forze interne che condizionano i comportamenti e il funzionamento della
struttura e che agiscono in forme e direzioni
che possono essere anche parecchio conflittuali e contrastanti. Infatti, prestazioni eccellenti possono essere ottenute solo comprendendone in pieno i meccanismi di azione e le
implicazioni operative, e attuando gli interventi opportuni per governarle allineandole al
massimo possibile verso gli obiettivi
dell’organizzazione. Ciò vale, in particolare,
per l’uso sapiente e consapevole della leva
gerarchica. Se è vero, infatti, che le gerarchie
diventano sempre più appiattite, è anche vero
che un giusto livello di potere “legittimo”,
cioè proporzionato al ruolo e codificato da regolamenti e norme, conferisce visibilità e contribuisce a generare rispetto. Senza un adeguato livello di autorità formale perde senso
persino il concetto di “organizzazione”. Il famoso gangster Al Capone ha ben sintetizzato
questa necessità con la frase: “… con un sorriso si fa molta strada, ma con un sorriso e
una pistola si va molto più lontano”.
Il terzo aspetto riguarda la moltitudine di decisioni che vengono continuamente assunte
sulla base dei meccanismi, più o meno proceduralizzati, che costituiscono il cervello e il
sistema nervoso di un’organizzazione. Quasi
sempre i soggetti coinvolti sono numerosi e
sono costretti a operare in condizioni di razionalità limitata. Il tipo di interazione che si stabilisce tra tali soggetti contribuisce molto a
configurare la soluzione. Le decisioni impor-
«Dalla visione di Ford è nata la società dei consumi.
Prima le persone potevano essere collocate con sufficiente approssimazione in due grandi classi, i produttori e i consumatori. Ford contribuì forse più di
chiunque altro a modificare questo paradigma, trasformando i produttori in consumatori. »
il Punto Fisso
tanti sono infatti frutto di un lavoro di gruppo
e risultano influenzate dalla formazione di coalizioni tra gli stakeholder. In molti di questi
casi le tecniche di decisione sviluppate
nell’ambito della Ricerca Operativa o della
Management Science perdono efficacia dal
punto di vista “ottimizzante”. Tali strumenti,
infatti, eccellenti per la soluzione di problemi
anche di grande complessità e dimensione,
purché chiaramente formulabili e con variabili
misurabili, assumono spesso, di fronte a decisioni di portata strategica, validità esclusivamente dal punto di vista della produzione di
materiali di analisi da porre all’attenzione del
decisore, che lavora soprattutto sulla base del
suo intuito e della sua esperienza. È
nell’ambito di questa tipologia di processi decisionali che diventa importante poter contare
su una guida. Metaforicamente si può dire
che, come durante una tempesta serve un marinaio che tenga saldo il timone, così in queste
circostanze è essenziale la funzione del
leader: non è detto che ciò basti ad assicurare la sopravvivenza, ma certo ne aumenta le
probabilità.
La progettazione dei meccanismi di decisione
è molto importante, perché dalle scelte che
essi compiono (o non compiono) dipendono
le prestazioni dell’organizzazione. La capacità
di misurarsi con la dialettica interna di organi
di questo tipo, divenendo figure di riferimento
sul piano della persuasione e aggregazione, è
fondamentale per l’esercizio di un ruolo di
leadership in qualunque contesto.
Occorre anche tenere sotto controllo il numero e la dimensione degli organi decisionali.
Infatti, l’influenza del numero di componenti
di un qualunque contesto decisionale è stata
studiata empiricamente, rilevando come
all’aumentare del numero si ha progressivamente non solo una perdita di efficienza (meno decisioni nell’unità di tempo) ma anche
una diminuzione della qualità delle decisioni
pagina 4 stesse. C. Northcote Parkinson, in un famoso
libretto degli anni Sessanta, ha affermato che
cinque è il numero massimo oltre il quale
cominciano a svilupparsi effetti perversi: dalla difficoltà di stabilire la data delle riunioni,
alla sindrome della prima donna, alla formazione di fazioni interne, alla rappresentanza di
interessi troppo minuti (che di solito comporta pressioni per un ulteriore aumento dei
componenti). Proprio a causa dell’eccessivo
frazionamento degli interessi rappresentati diventa più difficile centrare l’attenzione sugli
aspetti più rilevanti e finiscono con l’occupare
tempo eccessivo questioni assolutamente
marginali. Può anche succedere che le persone migliori trovino poco gratificante la partecipazione al processo di decisione e preferiscano dedicarsi ad altre attività che ritengono
più produttive. Gli organi preposti si avvitano
così in una spirale in cui all’aumento del
numero corrisponde anche una diminuzione
della qualità dei membri: partecipano solo
quelli con forti interessi diretti e/o con meno
opportunità alternative. Parkinson, studiando
l’evoluzione del numero dei membri di gabinetto in alcuni Paesi, ha anche evidenziato
come all’aumento del numero corrisponda un
declino di prestigio e influenza.
Così come una leadership esclusivamente
strutturale non può mantenersi nel tempo, una
carenza strutturale è altrettanto difficile da sostenere e nel medio periodo può comportare
seri danni all’organizzazione. Un clamoroso
esempio è quello di Mikhail Gorbaciov, eletto
nel 1985 Segretario Generale del Comitato
Centrale del Partito Comunista dell’Unione
Sovietica, l'incarico più alto nella gerarchia di
partito e nel paese. Gorbaciov avvia uno straordinario processo di cambiamento basandosi
su due parole d’ordine che avranno eco mondiale: glasnost' (trasparenza) e perestrojka (ristrutturazione). Questa radicale trasformazione genera anche un sostanziale mutamento
«...come durante una tempesta serve un marinaio
che tenga saldo il timone, così nei processi decisionali complessi è essenziale la funzione del leader:
non è detto che ciò basti ad assicurare la sopravvivenza, ma certo ne aumenta le probabilità.»
il Punto Fisso
nello scenario internazionale, giocando un
ruolo fondamentale nel porre fine alla Guerra
fredda, arrestando la corsa agli armamenti ed
eliminando il rischio di un conflitto nucleare.
Il 15 marzo del 1990 il Congresso dei rappresentanti del popolo dell'URSS elegge Gorbaciov Presidente dell'Unione Sovietica. Il 15
ottobre dello stesso anno gli viene assegnato il
Premio Nobel per la pace. È, almeno in patria,
il culmine della carriera e della popolarità di
pagina 5
Gorbaciov. Abilissimo nella dimensione politica e simbolica, Gorbaciov fallisce però nella
riorganizzazione concreta del complesso apparato sociale, industriale e militare
dell’Unione Sovietica; fallisce anche nella
scelta delle persone, e la transizione verso la
democrazia e l’economia di mercato si accompagna in Russia a un peggioramento, che
assume in alcuni casi aspetti drammatici, delle
condizioni di vita, a un aumento della criminalità e alla perdita di prestigio internazionale.
Il 25 dicembre del 1991 Gorbaciov rassegna
le sue dimissioni da Capo dello Stato. Si ricandiderà nel 1995 alle elezioni presidenziali,
ma otterrà solo lo 0,5% dei voti.
Come Henry Ford, Mikhail Gorbaciov è una
delle persone che hanno contribuito a cambiare il mondo. È riuscito a tanto in virtù della
sua visione, delle eccezionali capacità di comunicazione, di un’incredibile opera di mediazione e persuasione attuata pazientemente
all’interno della vetusta e ingessata gerarchia
dell’Unione Sovietica per ottenere riforme di
portata storica. Infine, ha interpretato e personificato il cambiamento davanti agli occhi
dell’opinione pubblica mondiale, rendendolo
credibile anche a livello internazionale. Tuttavia Gorbaciov, e insieme a lui tutta l’ex
Unione Sovietica, ha pagato le evidenti carenze nelle altre dimensioni della leadership. Ciò,
naturalmente, non attenua gli indiscutibili meriti del leader che ha tracciato una nuova via
per la sua gente e ha modificato in modo irreversibile il futuro del mondo.
Agostino La Bella
«Mikhail Gorbaciov ha interpretato e personificato il
cambiamento davanti agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, rendendolo credibile anche a livello internazionale..»
pagina 6 MANUALE DI DIREZIONE
D’IMPRESA
a dicembre in libreria
il Punto Scientifico , di Agostino La Bella e Guendalina Capece
Agostino La Bella, Guendalina Capece, Manuale di direzione d’impresa , Franco Angeli Editore
Questo libro è il frutto di un impegno collettivo da parte della nostra Scuola d’Impresa, oltre che di molti anni di ricerca, di insegnamento e di consulenza. Pur in presenza di una
vastissima letteratura, abbiamo infatti percepito in modo sempre più forte nel tempo la
mancanza di un manuale in cui le molte tematiche di cui abbiamo sperimentato sul campo
l’importanza teorica e pratica venissero affrontate in modo organico e integrato, facendo
riferimento allo stato dell’arte e alle best
practices a livello internazionale.
È nato così il progetto di questo Manuale di
direzione.
Un
libro
pensato
per
l’insegnamento avanzato, in ambito sia istituzionale che executive, e per la consultazione
da parte di coloro che sono professionalmente
impegnati in funzioni manageriali. Un libro
basato su un robusto impianto teorico in grado
di fornire al lettore metodologie, strumenti e
tecniche operative indispensabili per l’analisi
e per il problem solving nell’ottica integrata
propria della direzione aziendale. La trattazione, infatti, non solo permette una migliore
comprensione dei meccanismi di governance
già implementati dalle organizzazioni, ma offre anche un valido supporto alla progettazione di nuovi strumenti che tengano conto in
maniera esplicita degli ultimi progressi delle
scienze manageriali.
Il framework di riferimento è quello
dell’organizational behaviour che permette di
inquadrare in un approccio unificante i temi
della cultura organizzativa del potere della
comunicazione, della negoziazione, dei processi decisionali, della creatività, della
leadership, della gestione del cambiamento e
il Punto Scientifico
della valorizzazione del capitale umano e sociale. Nel volume tutti questi aspetti vengono
analizzati approfonditamente, mostrando come possano essere utilizzati come efficaci
strumenti di direzione in grado di migliorare
sia la performance del singolo individuo, sia
quella dei gruppi e delle altre strutture collettive presenti all’interno dell’organizzazione,
incidendo notevolmente sul successo competitivo.
Dirigere un’impresa significa stabilire obiettivi e raggiungerli gestendo persone e risorse in
modo efficace ed efficiente. Per questo è necessario essere in grado di proporre una “visione”,
definire
strategie,
sviluppare
l’organizzazione nelle sue componenti umane
- attraverso il dialogo con shareholder e stakeholder - e strutturali, comprendere il mercato nazionale e internazionale per valorizzare
gli asset aziendali, mantenere l’equilibrio in
periodi caotici e turbolenti e, anzi, da questi
ricavare nuove energie e motivazioni. Oltre
all’eccellenza nelle competenze manageriali è
necessario avere il carisma del leader,
l’umiltà intellettuale di chi deve comprendere
gli ambienti interno ed esterno senza pregiudizi, la sensibilità di chi deve essere in grado
di delegare e motivare, il coraggio di chi deve
a volte decidere anche senza consenso,
l’onestà di chi deve operare nel rispetto delle
procedure, la creatività di chi deve uscire dagli schemi correnti per risolvere, innovare e
raggiungere risultati e vantaggio competitivo
duraturi nel tempo. La sfida è complessa. Il
percorso di apprendimento proposto nel libro
è una palestra utile per allenarsi nel difficile
compito di eccellere sia personalmente che
come team e, di conseguenza, come organizzazione.
Il primo capitolo riguarda i sistemi di governance dell’impresa moderna. L’attenzione è
rivolta agli strumenti inerenti soprattutto la
pagina 7
gestione delle risorse umane considerate da
un numero sempre maggiore di imprese le vere fonti del vantaggio competitivo. Il capitolo
introduce, inoltre, tutti gli argomenti che costituiscono il manuale e che vengono approfonditi successivamente. Il secondo capitolo
analizza i modelli di corporate governance,
che, insieme alla struttura organizzativa, definiscono la modalità con la quale è regolato il
potere all’interno delle imprese. La distribuzione del potere svolge un ruolo cruciale in
quanto potenziale fonte di comportamenti opportunistici che possono avere un impatto notevole sulle strategie e sui risultati
dell’impresa. Il terzo capitolo riguarda la diagnosi e il cambiamento del clima aziendale
come strumento per valorizzare il rapporto tra
impresa e dipendenti. La grande sfida della
psicologia del lavoro degli ultimi anni è stata
quella di organizzare il lavoro non solo dal
punto di vista produttivo, ma anche dal punto
di vista della soddisfazione e del benessere,
ritenuti indispensabili a migliorare la qualità
della vita lavorativa e le prestazioni. Il quarto
capitolo sottolinea l’importanza della comunicazione interpersonale, indispensabile per
facilitare i processi decisionali, gestionali e
produttivi dell’impresa. L’obiettivo è quello
di fornire indicazioni teoriche e pratiche per
aumentare l’efficacia comunicativa individuale sia nella vita professionale, sia in quella sociale. Il quinto capitolo descrive le principali
caratteristiche del conflitto organizzativo inteso come naturale divergenza di interessi o
opinioni e considerato tra le principali cause
di inefficienza organizzativa. Viene fornita,
anche attraverso esempi numerici e applicativi, un’ampia trattazione sulla negoziazione,
strumento fondamentale per la risoluzione dei
conflitti e, quindi, per la conduzione di trattative di successo. Il sesto capitolo illustra il
funzionamento dell’Analytic Hierarchy Process (AHP), metodologia multicriterio in grado di fornire un supporto alle decisioni in si-
«Dirigere un’impresa significa stabilire obiettivi e
raggiungerli gestendo persone e risorse in modo efficace ed efficiente. »
il Punto Scientifico
tuazioni di difficile strutturazione del problema, di razionalità limitata e di pluralità di criteri anche parzialmente contrastanti fra loro.
Insieme alla trattazione teorica vengono proposti esempi pratici di applicazione in grado
di chiarire l’utilizzo di questo utile strumento.
Il settimo capitolo analizza la creatività e
l’innovazione come base per il successo:
infatti la vera differenza in contesti altamente
competitivi è costituita dalle idee e dalla capacità di combinarle in modo diverso e originale per creare valore. L’ottavo capitolo riguarda la gestione del cambiamento e ha
l’obiettivo di descrivere gli strumenti idonei
per una adeguata programmazione delle fasi
di trasformazione. Negli ultimi anni le aziende hanno migliorato significativamente le capacità di definire obiettivi e strategie, ma
hanno ancora la necessità di essere assistite
nella valutazione e nella gestione coordinata
di tutte le variabili che incidono sulle fasi di
cambiamento. Inoltre, la trasformazione richiede la considerazione dell’impatto organizzativo dei cambiamenti, con una specifica
attenzione sulle risorse umane. Il nono capitolo analizza le problematiche connesse alla
motivazione e agli incentivi, sottolineando
l’importanza della scelta di leve efficaci. Progettare una buona struttura organizzativa è,
infatti, necessario ma non sufficiente. Sono le
persone che fanno la reale differenza in termini di prestazioni con le loro attitudini, percezioni, emozioni e aspirazioni. Un buon sistema motivazionale facilita i dipendenti mettendoli in condizione di rendere al meglio, valorizzandone le potenzialità e creando le condizioni per la costituzione di una squadra vincente. Il decimo capitolo riguarda la direzione
aziendale e il modello di corporate governan-
pagina 8 ce delle imprese italiane con particolare riferimento alla spiegazione del significativo divario nella crescita del PIL rispetto alla media
dei Paesi dell’Area Euro negli ultimi
vent’anni e della preoccupante diminuzione
della quota nazionale sul commercio mondiale. La diffusione del modello latino di governance nelle imprese italiane ha infatti contribuito a frenare la loro crescita, determinando
lo sviluppo di un sistema produttivo composto
quasi esclusivamente da organizzazioni di
piccole dimensioni, spesso inadatte a fronteggiare adeguatamente la competizione globale.
Il volume è adatto alla consultazione, all’uso
come manuale didattico per corsi avanzati e,
anche, alla fruizione individuale da parte di
chi voglia apprendere o approfondire i fondamenti della direzione d’impresa. Data la
completezza e l’ampiezza degli argomenti
trattati è possibile delineare diversi percorsi di
apprendimento mirati, ad esempio, ai temi
della leadership, della gestione del cambiamento, dei sistemi motivazionali, della gestione e risoluzione dei conflitti.
Un ringraziamento speciale va agli straordinari studenti di Ingegneria Gestionale a “Tor
Vergata” che, inconsapevoli, hanno partecipato alla sperimentazione didattica dei vari argomenti che compongono il volume e che, attraverso la loro creatività, le loro domande, le
loro osservazioni e i loro riscontri ci hanno
permesso di migliorare e di arricchire non solo le lezioni e i contenuti di quest’opera, ma
anche noi stessi.
Agostino La Bella
Guendalina Capece
«Il volume è adatto alla consultazione, all’uso come
manuale didattico per corsi avanzati e, anche, alla
fruizione individuale da parte di chi voglia apprendere
o approfondire i fondamenti della direzione
d’impresa.»
pagina 9
SOCRATE CI INSEGNA A
DIALOGARE
il Punto letterario , di Federica Lorini
«Una vita senza ricerca non è degna per l'uomo di essere vissuta» (Platone, Apologia di
Socrate, capitolo XXVIII).
Fin dall’antichità è pervenuto a noi un quadro
della figura del filosofo Socrate così complessa e allusiva che praticamente ogni epoca
umana ha avuto modo di trovarvi esempi e
appartenenze e ogni quesito una propria risposta. Oggi vorrei, tuttavia, soffermarmi su
un unico aspetto: la comunicazione e più precisamente il dialogo socratico e le possibilità
di utilizzo nel quotidiano. E’ noto che il grande passo avanti condotto da Socrate rispetto ai
sofisti fu proprio quello di proporre un metodo di indagine fondato su argomentazioni discorsive, snelle ed efficaci,
un dialogo tra persone sinceramente decise a sviscerare il problema in esame.
Il discorso socratico muove
dall’opinione
dell’altro,
non vi è il gusto della prevaricazione, ma, al contrario, il desiderio di andare
incontro all’interlocutore
perché si configura come
una discussione strutturata
su domande e risposte tra
persone associate dal comune interesse alla ricerca.
Non a caso è stato definito
“maieutico” ossia “ostetrico”: come la levatrice non
possiede un figlio da donare alla madre ma può aiuta re quest’ultima a partorirlo, allo stesso modo
Socrate non possiede alcuna scienza già costruita da imporre al discepolo ma può aiutare
questo a fare chiarezza nella propria intima
consapevolezza.
Il metodo socratico, oltre che dialogico e dialettico è anche, infatti, esortativo, ossia rivolto
all’arricchimento della personalità umana in
tutta la sua complessità. Complessità nel senso che Socrate è fortemente convinto che non
esistano cose in sé buone o cattive o comportamenti intrinsecamente giusti o sbagliati: entrambi sono qualificati solo ed esclusivamente
dalle intenzioni che hanno dato loro luogo e
dal senso che essi assumono nelle singole situazioni. Il relativo giudizio, dunque, non può
essere determinato dal contenuto ma solo dalla loro
modalità di espressione nel
tempo e nello spazio. Secondo tali premesse, Socrate dovette provvedere a una
profonda riforma del pensiero greco e delle forme
logiche in cui esso era solito esprimersi. Quest’ultimo
aveva
sempre
posto
l’accento sulla realtà esistente, sulla logica delle cose, sulla contingenza, mentre
Socrate
spostava
l’attenzione sulla mutevolezza della diversità.
Negli ultimi decenni il dialogo socratico è stato pro-
il Punto Letterario
fondamente studiato, adottato e applicato alla
comunicazione contemporanea, come uno dei
metodi più efficaci di interazione e confronto
attraverso il potere delle parole nelle organizzazioni di ogni tipo. È una pratica particolarmente consolidata in Germania, dove ha trovato attuazione grazie a Leonard Nelson
all’inizio degli anni Venti, e in Gran Bretagna
in cui si è diffusa ampiamente molto tempo
prima dell’arrivo della Consulenza filosofica.
In che cosa consiste sostanzialmente? Si tratta
di un metodo formale attraverso il quale un
gruppo di persone guidate da un consulente si
pone come obiettivo la risposta a un quesito
di ordine generale. Diviene, cioè, una sorta di
analisi congiunta su un tema più o meno specifico, il cui obiettivo non è quello di convincere o impressionare i partecipanti, bensì aiutarli a raggiungere insieme un livello più alto
di pensiero rispetto a quello che potrebbe raggiungere la singola persona, per arrivare alla
costruzione di una visione congiunta e condivisa durante tutto il percorso. Il raggiungimento della risposta unanime non può che
creare un profondo e sincero senso di compattezza e affiatamento nel team dei partecipanti.
Rispetto all’antichità, il dialogo socratico è
stato corredato, naturalmente, di nuove regole
piuttosto rigide. La Philosophical Academy di
Bonn, ad esempio, illustra sette regole standard: una prevede che i partecipanti possano
parlare solo della propria esperienza diretta,
un’altra che gli esempi trattati nel dialogo
debbano essere semplici e confacenti alla
pagina 10 conversazione stessa, un’altra ancora abolisce
i lunghi monologhi e così via. Naturalmente il
fine del dialogo è quello di passare, in breve
tempo, dall’analisi di esempi concreti e circoscritti a una definizione più generale e valida,
guadagnata attraverso il consenso di tutti.
Si tratta, dunque, di una pratica che permette
di facilitare l’ascolto proprio e degli altri in un
mondo che sembra aver dimenticato il dialogo
in favore del monologo e che insegna a pensare prendendosi i giusti tempi, senza giudicare
o mettersi in contrasto con l’altro bensì cercando, insieme, una soluzione comune. Il dialogo socratico mostra anche come tutte le
aziende, piccole o grandi che siano, pubbliche
o private altro non siano che luoghi dove si
apprende continuamente e dove, se ben indirizzati e disposti, è possibile evolvere tanto a
livello professionale quanto a quello personale.
Ecco allora che in un momento storico in cui
l’importanza del lavoro nelle nostre vite ha
progressivamente assorbito quei valori umani
che, un tempo, venivano condivisi con amici e
familiari, in un periodo in cui l’ideologia
dell’eccellenza, della performance a tutti i costi, dell’urgenza permanente, ha avuto la meglio su tutto, Socrate ci insegna ad apprezzare
di nuovo tutta la bellezza e l’universalità della
semplicità e della comunicazione.
Federica Lorini
«...una pratica che permette di facilitare l’ascolto
proprio e degli altri in un mondo che sembra aver
dimenticato il dialogo in favore del monologo e che
insegna a pensare prendendosi i giusti tempi, senza giudicare o mettersi in contrasto con l’altro
bensì cercando, insieme, una soluzione comune.»
pagina 11
SFOGLIANDO QUA E LÀ...
di Federica Lorini
Rivoluzione in cucina. A tavola con Stalin: il libro
del cibo gustoso e salutare, di Ljiljana Avirovic
Forse non tutti sanno che Stalin fece pubblicare nel 1939, e successivamente
nel ’53 e nel ’54, il Libro del cibo sano e salutare. Il testo, per esplicita volontà di Stalin che ne curò la prefazione, doveva attestare la «Rivoluzione in
cucina» e documentare «la massima affermazione del costante progresso
delle necessità materiali e culturali della società» promosso dal Partito Comunista, coronando «la felice realizzazione dei piani quinquennali» con il
«benessere, la felicità e la gioia di vivere» procurati ai lavoratori e in particolare alle donne. Sostanzialmente lo scopo era quello di essere d'aiuto alla buona padrona di casa
sovietica, facendole risparmiare tempo e fatica, assistendola nella preparazione di cibi sani per la
famiglia, utilizzando prodotti dell'industria alimentare sovietica.
A distanza di tanti anni il Libro del cibo sano e salutare ci viene proposto da Ljiljana Avirovic arricchito anche da una lucida analisi della terribile storia sovietica di quegli anni. Attraverso questa
nuova luce, infatti, il libro di cucina diviene semplicemente una nota a piè di pagina della storia
dell’Unione Sovietica e del tragico pervertimento e/o fallimento dei suoi proclamati valori. Esemplare l’elenco delle pietanze offerte da Stalin a Tito il 21 settembre del 1944: caviale rosso, storione
e murena marinati, cetrioli leggermente sottaceto, gulasch alla georgiana nel vino con gnocchetti,
pollo allo spiedo alla russa, funghi conservati, frittelle, mirtilli, pane e vino: ingredienti
dell’abbuffata dei potenti che si spartivano la torta, illudendosi di spartirsi il mondo.
Perché leggerlo? Per capire e per guardare alla storia di una Nazione anche attraverso le sue
perversioni culinarie. Un libro che può essere sfogliato come una sorta di amarcord della gastronomia sovietica, ma anche come un ricettario che, secondo le parole della curatrice non ha perduto
nulla della sua attualità. Momenti di trascurabile felicità, di Francesco Piccolo
«Quando la donna con cui dormo ha capito che ognuno deve dormire dal suo lato. Che ci si può abbracciare prima, o quando ci svegliamo la mattina, ma quando si dorme bisogna stare ognuno per i
fatti suoi. Dividendo il letto con la stessa meticolosità con cui si tracciava la
linea di divisione del banco con il compagno di banco, a scuola.»
Questo è uno dei tanti e deliziosi momenti di trascurabile felicità narrati da
Francesco Piccolo in questo breve ma prezioso catalogo dell’allegria di vivere. Con uno stile semplice e con il gusto tutto italiano per la divagazione
l’autore mette a nudo con spietato umorismo i piaceri più inconfessabili, le
debolezze con le quali prima o poi tutti noi dobbiamo fare i conti, i tic e le
manie di chi ci circonda e di noi stessi.
Ecco allora un ricco catalogo di epifanie, di momenti speciali in cui un
qualsiasi oggetto della vita comune, una persona, un episodio diventa “rivelatore” del vero significato della vita a chi percepisce il suo valore simboli il Punto Letterario
pagina 12 co. Pagina dopo pagina, momento dopo momento, incontro dopo incontro, si finisce per venire travolti da un’inarrestabile ondata di divertimento e di benessere: un po’ come quando scopri con soddisfazione che un amico ha ripreso in poco tempo tutti i chili persi con una dieta faticosissima che,
per qualche giorno, sei stato tentato di fare anche tu o quando ti accorgi quanto sono preziosi quei
giorni di agosto in cui tutti vanno in vacanza e tu sei finalmente padrone della città.
Perché leggerlo? Perché è divertentissimo e incredibilmente vero. Perché è un prontuario di veloci e piacevoli momenti condivisibili. Perché è scorrevole e sorretto da una capacità descrittiva
acutissima… perché tra i tanti momenti descritti c’è anche la felicità che si prova con La prima e
l'ultima pagina di un libro.
Ossa nel deserto , di Sergio Gonzàlez Rodrìguez
Si tratta di un libro che parla di un fenomeno molto poco conosciuto ma le
cui cifre fanno venire i brividi. Sarebbero oltre 500 le donne assassinate a
Ciudad Juárez dal 1993 a oggi e oltre 600 quelle scomparse nel nulla. Parliamo di un vero e proprio “femminicidio” che si consuma in un polveroso
angolo del Messico, al confine con gli Stati Uniti e che vede anche la triste
connivenza delle autorità locali. Una storia che rischiava di rimanere nascosta se non fosse intervenuto Sergio Gonzàlez Rodrìguez con il libro Ossa
nel deserto, riassunto delle lunghe indagini e cronaca impietosa della
drammatica vicenda. Dalle parole del giornalista e di altri colleghi, insieme
a lui, emerge l’esistenza di una sorta di gruppo di potere a Ciudad Juárez legato al narcotraffico, al potere economico e politico, e con agganci influenti
a ogni livello nel governo centrale del Messico.
Gli omicidi in serie sono cominciati, non a caso, più o meno in concomitanza con l’entrata in vigore
del trattato di libero commercio (Nafta) tra Messico, Stati Uniti e Canada, all’inizio degli anni Novanta. In quel periodo si pensava che tale trattato avrebbe significato la rottura di privilegi consolidati lungo la frontiera, legati al contrabbando e al traffico di droga. I poteri radicati sul territorio iniziarono a sentirsi minacciati nelle loro attività e, per difendersi, hanno iniziato a cercare di creare un
clima di insicurezza tale da convincere i governi a non firmare il Nafta o almeno da mantenere lo
status quo alla frontiera. Per questo, forse, si è cominciato a uccidere le operaie delle maquilas
(fabbriche a capitale straniero dove viene impiegata mano d’opera locale a basso costo). Quasi
sempre, infatti, le vittime prescelte erano donne con certe caratteristiche: giovane età, more, spesso
immigrate senza radici nella zona. Venivano uccise in modo quasi rituale e a intervalli simili. Il territorio, inoltre, era assolutamente fertile. Ciudad Juárez è una città di frontiera, dove si pratica il turismo sessuale e dove c’è un flusso continuo e organizzato di delinquenti e criminali da entrambi i
lati della frontiera. È un luogo di contrabbando in cui, durante gli anni del proibizionismo negli Stati Uniti, gli americani si riversavano per consumare droga e alcol. Poi negli anni Ottanta e Novanta
è arrivato il narcotraffico con il micidiale Cartello di Juárez e la vita di ogni singolo abitante ha perso valore, a maggior ragione se appartenente al genere femminile.
Perché leggerlo? Perché in esso c’è tutto, comprese venti agghiaccianti pagine dedicate solo
all’elenco di nomi, età e condizioni di ritrovamento del cadavere. Perché è almeno un omaggio postumo alle centinaia di vittime innocenti di assassini e di una cultura in cui basta nascere donne per
perdere ogni diritto al rispetto, ogni diritto alla dignità e ogni diritto alla vita.
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DECISIONI A
INTEGRATA
RAZIONALITÀ
un nuovo approccio alla strategia d’impresa
a che Punto è l’Impresa?
Sessione di Studi in occasione della consegna dei Diplomi di Magister
Artis in Ingegneria dell’Impresa e del conferimento dei “Master
Executive Awards”.
16 gennaio 2012, ore 16:30
Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa, Università di Roma “Tor Vergata”, Via del Politecnico 1,
00133 Roma
Nella storia del Nobel
due psicologi hanno
ottenuto il premio in
economia. Il primo è
Herbert Simon, che
ottenne il Nobel nel
1978. Il secondo è
Daniel
Kahneman,
che l’ha ottenuto nel
2002. Un filo rosso
lega i due vincitori. Il
primo ha avviato negli anni Quaranta e Cinquanta un nuovo approccio agli studi organizzativi proponendo di
sostituire l’attore economico perfettamente
razionale, caro agli studi economici di inizio
secolo, con l’ipotesi di un attore economico
che decide sulla base di una razionalità limitata. Limiti dovuti all’incapacità di acquisire
tutte le informazioni necessarie e di elaborarle compiutamente per produrre decisioni
ottimali.
Kahneman, insieme a Tversky, negli anni Settanta e Ottanta dimostrano con ingegnosi
esperimenti di psicologia cognitiva che anche
in condizioni di completezza di informazioni
e di capacità di calcolo illimitata l’ipotesi di
razionalità assoluta non è plausibile. Essi mostrano che, nelle decisioni quotidiane, viene
utilizzato un insieme di “scorciatoie” che consentono di semplificare il problema decisionale: si tratta di “tunnel cognitivi” in cui prevalgono l’insensibilità al caso, l’uso di frame non
pertinenti, l’eccessiva sensibilità alle perdite e
modelli di ancoraggio decisionali sbagliati.
Perché abbiamo limiti così forti nell’uso delle
nostre capacità razionali? La risposta sta
emergendo negli ultimi anni da un campo
inatteso, cioè dagli studi dei neurologi sul
funzionamento del cervello. Utilizzando tecniche avanzate di brain imaging, sono state
individuate le aree del cervello coinvolte nei
processi di apprendimento e nell’esecuzione
di task decisionali e valutativi con un dettaglio prima sconosciuto. Il brain imaging sta
giocando lo stesso ruolo dell’invenzione del
telescopio e del microscopio. Ha reso visibile
un universo prima inaccessibile: quello dei
a che Punto è l’impresa
nostri processi cerebrali. Oggi è possibile
congiungere lo studio dei comportamenti e
dei processi cognitivi con lo studio dei processi elettrochimici delle reti neuronali e delle
molecole coinvolte nei processi di comunicazione cerebrale.
Un risultato importante di quest’area di studi
è la scoperta che nei processi cognitivi superiori (valutare, decidere, pianificare, ragionare) è coinvolta non solo la corteccia frontale,
sede del pensiero razionale, ma anche
l’amigdala e l’ipotalamo, responsabili delle
nostre emozioni. La parte razionale e la parte
emozionale del nostro cervello sono messe in
comunicazione da una piccola area, la corteccia orbitofrontale. Il risultato è che il pensiero
razionale non opera mai in isolamento, ma è
sempre fortemente condizionato dalle emozioni. E dunque un attore economico puramente razionale in realtà non esiste. Le nostre
decisioni, i nostri ragionamenti sono sempre
colorati da emozioni. Questa integrazione di
ragione ed emozione spiega i nostri tunnel
cognitivi. Ma non finisce qui. Le stesse ricerche dimostrano che un individuo che non riesce a integrare ragione ed emozione a causa di
traumi cerebrale sarà incapace di decidere. Infatti una ragione senza emozione si perde nel
labirinto dei dati dell’esperienza e delle alternative decisionali. Il puro calcolo è insufficiente a produrre un’azio-ne. La decisione ha
sempre bisogno di una spinta emotiva. E non
pagina 14 sempre la spinta
va nella direzione
migliore, come è
dimostrato dall’esistenza dei tunnel
cognitivi.
Dall’insieme
di
tali ricerche emerge un nuovo modello di attore aziendale, che decide e agisce consapevolmente sulla base di una forte ed equilibrata integrazione
tra fattori razionali ed emozionali. Quali saranno le conseguenze di una tale scoperta sul
pensiero manageriale e sulla progettazione di
sistemi gestionali? Pensiamo ai sistemi di valutazione, ai modelli decisionali, al pensiero
strategico, che tendono a concentrarsi su
aspetti codificabili e calcolabili, lasciando sullo sfondo come fastidiose interferenze gli
aspetti emozionali. L’integrazione delle spinte
emozionali nei nuovi approcci manageriali
costituisce un terreno tutto ancora da esplorare. In questa sessione, in onore dei nuovi
Master in Ingegneria dell’Impresa e dei vincitori dei “Master Executive Awards”, ne discutono accademici, imprenditori e manager.
Come sempre, il dibattito sarà introdotto da
Agostino La Bella e Giuseppe Zollo.
«... emerge un nuovo modello di attore aziendale, che decide e agisce consapevolmente sulla
base di una forte ed equilibrata integrazione tra
fattori razionali ed emozionali.»
Per informazioni: Sig.ra Sara Parisi
[email protected]
06.72597361 – 06.72597302
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ERA MIO PADRE
Match Point , di Gianluca Murgia
Ultimamente, questa rubrica di “management
spiegato attraverso il cinema” è stata dedicata
esclusivamente all’analisi della medesima tematica, la negoziazione. Non è stato facile
riuscire a intrattenervi per ben sei numeri; per
sviscerare i diversi aspetti dell’argomento mi
sono avvalso molto dell’esperienza maturata
negli anni di insegnamento per il corso di
“Tecniche di negoziato”, nell’ambito del
Master in Ingegneria dell’Impresa. Purtroppo,
non posso dirmi altrettanto esperto su altre
tematiche, per cui, a partire da questo numero
di “Match point”, mi limiterò a serie più brevi
di articoli.
In particolare, in questo numero, intendo presentare la distinzione fra il coaching, il counseling e il mentoring. Volendo proseguire con
la promozione occulta dei nostri prodotti, tale
questione è brillantemente spiegata nel capitolo La gestione del cambiamento di Massimiliano Maria Schiraldi, all’interno del libro Direzione d’impresa, curato da Agostino La
Bella e Guendalina Capece, Franco Angeli
Editore. Come evidenziato nel libro, il coaching, il counseling e il mentoring evidenziano fenomeni estremamente differenti, anche
se spesso, nella vulgata comune, si tende a
confonderli.
Il coaching rappresenta un processo, guidato
da un coach, attraverso il quale uno o più
soggetti (coachee) imparano o migliorano un
metodo di lavoro, necessario per affrontare
determinati problemi. Il coach si comporta
come un vero e proprio allenatore, insegna
tutte le tecniche connesse a un dato metodo e
si impegna affinché i suoi allievi le apprendano seguendo un percorso graduale, definito
sulla base delle loro caratteristiche personali.
Un coach, come Frankie Dunn (Clint
Eastwood) in Million dollar baby, diretto dallo stesso Eastwood, cura tutti gli aspetti del
metodo, dalla respirazione al movimento dei
piedi e dei pugni, insegnando come stare in
piedi e tenere allineate le spalle, come stare in
equilibrio e farlo perdere all’avversario, come
essere veloci sfruttando l’elasticità dei piedi,
come piegare le ginocchia quando si fa partire
un diretto, come non permettere all’avversario
di farti arretrare e come fargli passare la voglia di inseguirti. Il coach deve spesso adoperarsi per motivare adeguatamente il coachee,
ma nel caso di Maggie Fitzgerald (Hilary
Swank) la sua motivazione intrinseca, dovuta a un’esistenza disperata, non richiede alcun
supporto da parte di Dunn. La sua abnegazione nell’allenamento continuo, unita al suo talento, non saranno sufficienti, però, a garantirle il successo finale, confermando come «tutto, nella boxe, funzioni al contrario».
Match Point
In Million dollar baby il
coach si occupa sostanzialmente di rafforzare le
tecniche del coachee, ma in
altri casi l’apprendimento
di un metodo di lavoro richiede inevitabilmente che
vengano affrontate anche
problematiche più complesse, che riguardano la
personalità e, talvolta,
l’inconscio stesso del coachee. In questi casi, il
coach deve avere competenze sufficienti per effettuare una diagnosi psicologica del coachee, accompagnando quindi l’insegnamento del metodo di
lavoro con un adeguato
trattamento delle problematiche interiori che
incidono sull’apprendimento. Un caso simile
è descritto nel film Il discorso del re di Tom
Hooper, che racconta il lungo e faticoso percorso affrontato dal principe Albert di York
(Colin Firth) nel tentativo di apprendere l’arte
del public speaking, superando l’annoso problema della balbuzie, che lo attanaglia da anni
e che rischia di compromettere la sua immagine regale. Dopo aver consultato diversi rinomati logopedisti, il principe accetta di rivolgersi a Lionel Logue
(Geoffrey Rush), un terapista australiano dai metodi
non ortodossi e controversi. Logue, fin dall’inizio,
cerca di comprendere la
natura psicologica del problema del principe, ma solo
dopo essersi guadagnato la
sua fiducia, potrà avviare
una terapia anzitutto tecnica, dagli scioglilingua agli
esercizi fisici per rafforzare
il diaframma e per sciogliere la mascella, che via via
verrà estesa anche fino alla
diagnosi e al trattamento
dei problemi psicologici
sottostanti alla balbuzie.
Solo attraverso il supera-
pagina 16 mento di questi ultimi, il
principe, ormai diventato re
Giorgio VI d’Inghilterra,
riuscirà a pronunciare brillantemente un discorso decisivo in un momento estremamente drammatico per il
suo Paese e l’intera Europa.
Come evidenziato dai casi
descritti, l’intervento del
coach è mirato all’apprendimento di un metodo di
lavoro, principalmente attraverso l’esercizio costante del
coachee. Differentemente, il
counselor punta direttamente alla risoluzione di un problema contingente, favorendo una migliore diagnosi
della situazione e indicando
alcune possibili soluzioni da implementare. In
sostanza, egli si comporta come un consulente
chiamato da un’azienda per risolvere un problema che questa non è in grado di affrontare;
è colui che «risolve i problemi», esattamente
come il celeberrimo Mister Wolf (Harvey
Keitel) in Pulp Fiction di Quentin Tarantino.
Mister Wolf viene chiamato quando Vincent
Vega (John Travolta) uccide accidentalmente
un uomo all’interno dell’auto del suo complice, Jules Winnfield (Samuel L. Jackson).
L’automobile viene temporaneamente ospitata a casa
di Jimmie Dimmick (Quentin Tarantino), un amico di
Winnfield, ma entro un’ora
e un quarto dovrà uscire ripulita, in modo da evitare di
attirare l’attenzione della
polizia. Wolf si precipita nel
luogo dell’accaduto e, dopo
una veloce analisi della situazione, elabora e implementa una soluzione in quaranta minuti, negoziando alcuni dettagli con Dimmick e
ricorrendo, quando necessario, a un atteggiamento
estremamente assertivo nei
confronti
di
Vega
e
Winnfield.
Match Point
Se il coach e il counselor intervengono su
aspetti mirati, rispettivamente il metodo di lavoro e la soluzione a un problema, il mentor
ha un approccio più ampio e duraturo, volto a
uno sviluppo personale complessivo del suo
protégé. Gli esempi cinematografici di rapporto tra mentor e protégé sono innumerevoli,
anche perché, in senso ampio, anche i rapporti
tra padri e figli rientrano in questa tipologia.
Uno dei più significativi è, senza dubbio,
quello tra Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor)
e Anakin Skywalker (Jake Lloyd da bambino,
Hayden Christensen da giovane) descritto nei
primi episodi della saga di Star Wars diretta
da George Lucas. I due si conoscono nel pianeta Tatooine quando Anakin è uno schiavo
che, pur avendo solo nove anni, sembra dotato
di un talento straordinario. In seguito alla
morte del suo maestro, Obi-Wan promette di
prendersi cura direttamente dell’addestramento di Anakin, nonostante la contrarietà
esplicitata dal leader dei cavalieri Jedi, il maestro Yoda. L’educazione Jedi non è interessata solo all’apprendimento delle tecniche di
combattimento, ma mira anche a un pieno
controllo dei propri sentimenti, evitando quelli, come la paura, che possono indurre un cavaliere verso il «lato oscuro della Forza». Tuttavia, il limite di tutte le azioni di mentoring
sta nel fatto che esso non può imporre modelli
di vita lontani dalla personalità e dai valori
profondi del protégé; un mentor efficace deve
basarsi anzitutto sulla maieutica, ossia sulla
capacità di far emergere pensieri, e infine
modelli di vita, prettamente personali. In questo senso, il profondo senso di paura della
morte
che
cova
all’interno
di
Anakin sarà la leva decisiva che, nel terzo
film della saga La vendetta dei Sith, verrà utilizzata dal Cancelliere Palpatine (Ian
McDiarmid) per portarlo definitivamente a
tradire gli altri Jedi. Le capacità di mentoring
di Palpatine sono rafforzate, oltre che dalla
pagina 17
prospettiva di immortalità che induce in Anakin, dal senso di ammirazione che il giovane
Jedi nutre nei suoi confronti.
In altri casi, il mentor può utilizzare un metodo del tutto opposto, volto piuttosto a fare sì
che il protégé sviluppi sentimenti negativi nei
suoi confronti. Questa scelta può essere utilizzata nei contesti in cui il senso di subordinazione e di cameratismo viene considerato
fondamentale, anche se può portare allo sviluppo di sentimenti di odio. L’efficacia, oltre
che l’umanità, di tale metodo è comunque assai discutibile, come dimostra la fine di uno
dei suoi massimi propugnatori cinematografici, il Sergente Maggiore Hartman (Ronald
Lee Ermey) in Full Metal Jacket di Stanley
Kubrick…
Gianluca Murgia
«Il coaching rappresenta un processo, guidato da un
coach, attraverso il quale uno o più soggetti
(coachee) imparano o migliorano un metodo di lavoro,
necessario per affrontare determinati problemi.»
pagina 18 l’Appunto
MASTER UNIVERSITARIO DI II LIVELLO
IN INGEGNERIA DELL’IMPRESA
Sono in scadenza i termini per le iscrizioni alla XIII edizione del Master Universitario di II livello in Ingegneria dell’Impresa, canali aula, blended e on-line, diretti dal Prof. Agostino La Bella,
Prorettore per l'Organizzazione e lo Sviluppo dell'Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.
Il Master è certificato per la qualità dei servizi didattici ISO 9001.
Iscrizione: entro 20 dicembre 2011
Inizio lezioni: gennaio 2012
Il Master è destinato a laureati in discipline tecniche scientifiche o economico-sociali, dirigenti e
quadri di aziende ed enti pubblici e privati che desiderino aggiornare la propria preparazione su argomenti inerenti l'organizzazione e la gestione d'impresa.
Lezioni
Aula: 5 ore di lezioni settimanali, erogate il venerdì pomeriggio. Il programma verrà svolto interamente in aula, presso le strutture della Facoltà di Ingegneria.
Blended: 10 ore di lezioni settimanali suddivise in due pomeriggi. Il mercoledì i corsi saranno erogati on-line mentre il venerdì pomeriggio le lezioni saranno fruibili in aula.
Web: lezioni accessibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7; interattività costante con i docenti in modalità
asincrona. Il sabato mattina sono previsti incontri facoltativi con i docenti dei corsi.
Attività Outdoor
Durante il Master verranno organizzate attività al di fuori del Campus universitario con il duplice
obiettivo di fornire ulteriori occasioni di incontro che favoriscano l’integrazione dei partecipanti e
l’applicazione concreta di alcuni dei concetti acquisiti durante i corsi in ambienti che riproducono
metaforicamente situazioni di business.
La partecipazione a questo tipo di attività è facoltativa.
Il costo del Master è di 7.900 Euro.
Per le aziende che intenderanno iscrivere i propri dipendenti sono previsti finanziamenti e agevolazioni. Per maggiori informazioni contattare la segreteria del Master.
La domanda di ammissione al Master (da scaricare dal sito www.masterimpresa.it), non vincolante ai fini dell'immatricolazione, potrà essere inviata via e-mail all'indirizzo:
[email protected]
Per ulteriori informazioni:
Segreteria del Master in Ingegneria dell'Impresa
Tel +39 6 7259.7361 - 7302
Fax +39 6 7259.7305
E-mail: [email protected]
Sito : www.masterimpresa.it
il Prossimo Punto
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Nel prossimo numero a metà marzo… • Un nuovo avvincente editoriale sul tema della leadership
• Curiosità e suggerimenti letterari
• Un nuovo intrigante articolo dedicato al mondo cinematografico in Match Point
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il punto augura a tutti i suoi lettori un buon Natale e un felice
Anno Nuovo ricco di soddisfazioni e di sogni realizzati.
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Il punto 20 - Agostino La Bella