www.masterimpresa.it il Punt Fatti, notizie e riflessioni dalla Scuola d’Impresa della Facoltà di Ingegneria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 » Da Henry Ford a Mikhail Gorbaciov Ovvero la dimensione strutturale della leadership ........................... 6 » Manuale di direzione Il punto scientifico ........................... 9 » Socrate ci insegna a dialogare Il punto letterario ........................... 13 » Decisioni a razionalità integrata Un nuovo approccio alla strategia d’impresa ........................... 15 » Era mio padre Match Point . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . DICEMBRE 2011 Anno V, Numero IV Direttore responsabile: Agostino La Bella Redazione: Maria Assunta Barchiesi, Elisa Battistoni, Guendalina Capece, Marco Greco, Cristina Landi, Federica Lorini, Gianluca Murgia, Paola Pasqualino Progetto grafico, copertina e impaginazione: Silvia Castellan pagina 2 DA HENRY FORD A MIKHAIL GORBACIOV ovvero la dimensione strutturale della leadership il Punto Fisso , di Agostino La Bella «Voglio costruire un’automobile per le famiglie americane. Dovrà essere prodotta con i migliori materiali e la migliore manodopera disponibili sul mercato, e dovrà essere abbastanza a buon mercato perché tutti coloro che abbiano un lavoro decoroso possano averla, per riuscire a godere dei grandi spazi che Dio ci ha dato.» Questa frase sintetizza la visione di Henry Ford, un leader eccellente nella dimensione strutturale. Per realizzare questa visione Ford sfidò non solo la lobby dei costruttori automobilistici già sul mercato, che volevano impedirgli la produzione della sua Modello T, ma anche alcune delle persone più ricche e potenti degli Stati Uniti. Questa battaglia, vinta solo nel 1911, ne fece un eroe molto popolare. Nei diciannove anni in cui il Modello T restò in produzione ne vennero vendute oltre sedici milioni di unità, circa la metà della produzione mondiale di automobili nello stesso periodo. La produzione era assicurata dall’impianto più avanzato del mondo, che incorporava tutte le più recenti innovazioni tecnologiche, inclusa la catena di montaggio, capace di produrre un’automobile ogni 23 secondi. Ford sfruttò il successo commerciale anche per aumentare le paghe: nel 1914 il salario minimo dei suoi operai era di 5 dollari l’ora, contro una media di 2,34 per l’industria americana dell’auto. Continuò a investire in impianti sempre più grandi e più moderni e a tagliare i prezzi di vendita per favorire la diffusione dell’automobile, tanto da venir portato in tribunale dagli azionisti di minoranza e da essere costretto, nel 1920, ad acquistare tutte le quote azionarie: mai nell’industria americana una sola persona aveva controllato al 100% un’impresa di tali dimensioni. Ford non era solo un genio della meccanica e un imprenditore, ma un leader che eccelleva sia sotto il profilo strutturale, sia sotto quello simbolico. Sotto il profilo strutturale per la capacità di introdurre prima di altri nuove architetture organizzative, individuandone con chiarezza le implicazioni strategiche: ricercare il profitto non nei prezzi elevati e nei bassi salari, ma nella produzione di massa e nelle il Punto Fisso conseguenti economie di scala. Sotto il profilo simbolico per la tenacia con cui ha per tutta la vita aderito alla sua visione, che poi è diventata il filo conduttore di quello che sarà definito “il sogno americano”. Dalla visione di Ford è nata la “società dei consumi”. Prima di allora, infatti, le persone potevano essere collocate con sufficiente approssimazione in due grandi classi, i produttori e i consumatori, che avevano solo qualche modesta sovrapposizione. Ford contribuì forse più di chiunque altro a modificare questo paradigma, trasformando i produttori in consumatori. Tuttavia, le carenze dal punto di vista politico e delle risorse umane ne provocheranno il declino. Infatti, nel momento in cui la produzione di massa diventa il paradigma comune a tutte le grandi imprese americane, Ford non riesce a fare il salto di qualità verso una struttura organizzativa meno autoritaria, accentrata e paternalistica: nel 1936 la sua azienda sarà solo terza sul mercato americano. Nonostante queste carenze, che sottolineano l’importanza di un’armonica combinazione delle quattro dimensioni della leadership, Henry Ford rimarrà nella storia dei consumi di massa e dell’industria americana come la mente “visionaria” e la forza creativa che ha contribuito in pochi decenni a cambiarne le caratteristiche economiche e sociali. La dimensione strutturale è importante perché il leader non può limitarsi a governare i processi di cambiamento guidando le persone verso il conseguimento di nuovi e più desiderabili assetti, ma deve anche fornire gli indirizzi per la progettazione organizzativa del futuro, per le nuove strategie, per i nuovi meccanismi di decisione. Non può quindi ignorare gli aspetti strutturali legati al funzionamento della macchina organizzativa, se non altro perché da essi dipende la prestazione com- pagina 3 plessiva nel perseguimento della visione e delle strategie. Gli aspetti da considerare sono essenzialmente tre. Il primo, e più ovvio, si riferisce all’ambiente in cui l’organizzazione opera (ad esempio, struttura di mercato, competitori, regolamentazione, norme, tecnologia, ecc.). Il secondo riguarda l’insieme intricato e complesso delle forze interne che condizionano i comportamenti e il funzionamento della struttura e che agiscono in forme e direzioni che possono essere anche parecchio conflittuali e contrastanti. Infatti, prestazioni eccellenti possono essere ottenute solo comprendendone in pieno i meccanismi di azione e le implicazioni operative, e attuando gli interventi opportuni per governarle allineandole al massimo possibile verso gli obiettivi dell’organizzazione. Ciò vale, in particolare, per l’uso sapiente e consapevole della leva gerarchica. Se è vero, infatti, che le gerarchie diventano sempre più appiattite, è anche vero che un giusto livello di potere “legittimo”, cioè proporzionato al ruolo e codificato da regolamenti e norme, conferisce visibilità e contribuisce a generare rispetto. Senza un adeguato livello di autorità formale perde senso persino il concetto di “organizzazione”. Il famoso gangster Al Capone ha ben sintetizzato questa necessità con la frase: “… con un sorriso si fa molta strada, ma con un sorriso e una pistola si va molto più lontano”. Il terzo aspetto riguarda la moltitudine di decisioni che vengono continuamente assunte sulla base dei meccanismi, più o meno proceduralizzati, che costituiscono il cervello e il sistema nervoso di un’organizzazione. Quasi sempre i soggetti coinvolti sono numerosi e sono costretti a operare in condizioni di razionalità limitata. Il tipo di interazione che si stabilisce tra tali soggetti contribuisce molto a configurare la soluzione. Le decisioni impor- «Dalla visione di Ford è nata la società dei consumi. Prima le persone potevano essere collocate con sufficiente approssimazione in due grandi classi, i produttori e i consumatori. Ford contribuì forse più di chiunque altro a modificare questo paradigma, trasformando i produttori in consumatori. » il Punto Fisso tanti sono infatti frutto di un lavoro di gruppo e risultano influenzate dalla formazione di coalizioni tra gli stakeholder. In molti di questi casi le tecniche di decisione sviluppate nell’ambito della Ricerca Operativa o della Management Science perdono efficacia dal punto di vista “ottimizzante”. Tali strumenti, infatti, eccellenti per la soluzione di problemi anche di grande complessità e dimensione, purché chiaramente formulabili e con variabili misurabili, assumono spesso, di fronte a decisioni di portata strategica, validità esclusivamente dal punto di vista della produzione di materiali di analisi da porre all’attenzione del decisore, che lavora soprattutto sulla base del suo intuito e della sua esperienza. È nell’ambito di questa tipologia di processi decisionali che diventa importante poter contare su una guida. Metaforicamente si può dire che, come durante una tempesta serve un marinaio che tenga saldo il timone, così in queste circostanze è essenziale la funzione del leader: non è detto che ciò basti ad assicurare la sopravvivenza, ma certo ne aumenta le probabilità. La progettazione dei meccanismi di decisione è molto importante, perché dalle scelte che essi compiono (o non compiono) dipendono le prestazioni dell’organizzazione. La capacità di misurarsi con la dialettica interna di organi di questo tipo, divenendo figure di riferimento sul piano della persuasione e aggregazione, è fondamentale per l’esercizio di un ruolo di leadership in qualunque contesto. Occorre anche tenere sotto controllo il numero e la dimensione degli organi decisionali. Infatti, l’influenza del numero di componenti di un qualunque contesto decisionale è stata studiata empiricamente, rilevando come all’aumentare del numero si ha progressivamente non solo una perdita di efficienza (meno decisioni nell’unità di tempo) ma anche una diminuzione della qualità delle decisioni pagina 4 stesse. C. Northcote Parkinson, in un famoso libretto degli anni Sessanta, ha affermato che cinque è il numero massimo oltre il quale cominciano a svilupparsi effetti perversi: dalla difficoltà di stabilire la data delle riunioni, alla sindrome della prima donna, alla formazione di fazioni interne, alla rappresentanza di interessi troppo minuti (che di solito comporta pressioni per un ulteriore aumento dei componenti). Proprio a causa dell’eccessivo frazionamento degli interessi rappresentati diventa più difficile centrare l’attenzione sugli aspetti più rilevanti e finiscono con l’occupare tempo eccessivo questioni assolutamente marginali. Può anche succedere che le persone migliori trovino poco gratificante la partecipazione al processo di decisione e preferiscano dedicarsi ad altre attività che ritengono più produttive. Gli organi preposti si avvitano così in una spirale in cui all’aumento del numero corrisponde anche una diminuzione della qualità dei membri: partecipano solo quelli con forti interessi diretti e/o con meno opportunità alternative. Parkinson, studiando l’evoluzione del numero dei membri di gabinetto in alcuni Paesi, ha anche evidenziato come all’aumento del numero corrisponda un declino di prestigio e influenza. Così come una leadership esclusivamente strutturale non può mantenersi nel tempo, una carenza strutturale è altrettanto difficile da sostenere e nel medio periodo può comportare seri danni all’organizzazione. Un clamoroso esempio è quello di Mikhail Gorbaciov, eletto nel 1985 Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, l'incarico più alto nella gerarchia di partito e nel paese. Gorbaciov avvia uno straordinario processo di cambiamento basandosi su due parole d’ordine che avranno eco mondiale: glasnost' (trasparenza) e perestrojka (ristrutturazione). Questa radicale trasformazione genera anche un sostanziale mutamento «...come durante una tempesta serve un marinaio che tenga saldo il timone, così nei processi decisionali complessi è essenziale la funzione del leader: non è detto che ciò basti ad assicurare la sopravvivenza, ma certo ne aumenta le probabilità.» il Punto Fisso nello scenario internazionale, giocando un ruolo fondamentale nel porre fine alla Guerra fredda, arrestando la corsa agli armamenti ed eliminando il rischio di un conflitto nucleare. Il 15 marzo del 1990 il Congresso dei rappresentanti del popolo dell'URSS elegge Gorbaciov Presidente dell'Unione Sovietica. Il 15 ottobre dello stesso anno gli viene assegnato il Premio Nobel per la pace. È, almeno in patria, il culmine della carriera e della popolarità di pagina 5 Gorbaciov. Abilissimo nella dimensione politica e simbolica, Gorbaciov fallisce però nella riorganizzazione concreta del complesso apparato sociale, industriale e militare dell’Unione Sovietica; fallisce anche nella scelta delle persone, e la transizione verso la democrazia e l’economia di mercato si accompagna in Russia a un peggioramento, che assume in alcuni casi aspetti drammatici, delle condizioni di vita, a un aumento della criminalità e alla perdita di prestigio internazionale. Il 25 dicembre del 1991 Gorbaciov rassegna le sue dimissioni da Capo dello Stato. Si ricandiderà nel 1995 alle elezioni presidenziali, ma otterrà solo lo 0,5% dei voti. Come Henry Ford, Mikhail Gorbaciov è una delle persone che hanno contribuito a cambiare il mondo. È riuscito a tanto in virtù della sua visione, delle eccezionali capacità di comunicazione, di un’incredibile opera di mediazione e persuasione attuata pazientemente all’interno della vetusta e ingessata gerarchia dell’Unione Sovietica per ottenere riforme di portata storica. Infine, ha interpretato e personificato il cambiamento davanti agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, rendendolo credibile anche a livello internazionale. Tuttavia Gorbaciov, e insieme a lui tutta l’ex Unione Sovietica, ha pagato le evidenti carenze nelle altre dimensioni della leadership. Ciò, naturalmente, non attenua gli indiscutibili meriti del leader che ha tracciato una nuova via per la sua gente e ha modificato in modo irreversibile il futuro del mondo. Agostino La Bella «Mikhail Gorbaciov ha interpretato e personificato il cambiamento davanti agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, rendendolo credibile anche a livello internazionale..» pagina 6 MANUALE DI DIREZIONE D’IMPRESA a dicembre in libreria il Punto Scientifico , di Agostino La Bella e Guendalina Capece Agostino La Bella, Guendalina Capece, Manuale di direzione d’impresa , Franco Angeli Editore Questo libro è il frutto di un impegno collettivo da parte della nostra Scuola d’Impresa, oltre che di molti anni di ricerca, di insegnamento e di consulenza. Pur in presenza di una vastissima letteratura, abbiamo infatti percepito in modo sempre più forte nel tempo la mancanza di un manuale in cui le molte tematiche di cui abbiamo sperimentato sul campo l’importanza teorica e pratica venissero affrontate in modo organico e integrato, facendo riferimento allo stato dell’arte e alle best practices a livello internazionale. È nato così il progetto di questo Manuale di direzione. Un libro pensato per l’insegnamento avanzato, in ambito sia istituzionale che executive, e per la consultazione da parte di coloro che sono professionalmente impegnati in funzioni manageriali. Un libro basato su un robusto impianto teorico in grado di fornire al lettore metodologie, strumenti e tecniche operative indispensabili per l’analisi e per il problem solving nell’ottica integrata propria della direzione aziendale. La trattazione, infatti, non solo permette una migliore comprensione dei meccanismi di governance già implementati dalle organizzazioni, ma offre anche un valido supporto alla progettazione di nuovi strumenti che tengano conto in maniera esplicita degli ultimi progressi delle scienze manageriali. Il framework di riferimento è quello dell’organizational behaviour che permette di inquadrare in un approccio unificante i temi della cultura organizzativa del potere della comunicazione, della negoziazione, dei processi decisionali, della creatività, della leadership, della gestione del cambiamento e il Punto Scientifico della valorizzazione del capitale umano e sociale. Nel volume tutti questi aspetti vengono analizzati approfonditamente, mostrando come possano essere utilizzati come efficaci strumenti di direzione in grado di migliorare sia la performance del singolo individuo, sia quella dei gruppi e delle altre strutture collettive presenti all’interno dell’organizzazione, incidendo notevolmente sul successo competitivo. Dirigere un’impresa significa stabilire obiettivi e raggiungerli gestendo persone e risorse in modo efficace ed efficiente. Per questo è necessario essere in grado di proporre una “visione”, definire strategie, sviluppare l’organizzazione nelle sue componenti umane - attraverso il dialogo con shareholder e stakeholder - e strutturali, comprendere il mercato nazionale e internazionale per valorizzare gli asset aziendali, mantenere l’equilibrio in periodi caotici e turbolenti e, anzi, da questi ricavare nuove energie e motivazioni. Oltre all’eccellenza nelle competenze manageriali è necessario avere il carisma del leader, l’umiltà intellettuale di chi deve comprendere gli ambienti interno ed esterno senza pregiudizi, la sensibilità di chi deve essere in grado di delegare e motivare, il coraggio di chi deve a volte decidere anche senza consenso, l’onestà di chi deve operare nel rispetto delle procedure, la creatività di chi deve uscire dagli schemi correnti per risolvere, innovare e raggiungere risultati e vantaggio competitivo duraturi nel tempo. La sfida è complessa. Il percorso di apprendimento proposto nel libro è una palestra utile per allenarsi nel difficile compito di eccellere sia personalmente che come team e, di conseguenza, come organizzazione. Il primo capitolo riguarda i sistemi di governance dell’impresa moderna. L’attenzione è rivolta agli strumenti inerenti soprattutto la pagina 7 gestione delle risorse umane considerate da un numero sempre maggiore di imprese le vere fonti del vantaggio competitivo. Il capitolo introduce, inoltre, tutti gli argomenti che costituiscono il manuale e che vengono approfonditi successivamente. Il secondo capitolo analizza i modelli di corporate governance, che, insieme alla struttura organizzativa, definiscono la modalità con la quale è regolato il potere all’interno delle imprese. La distribuzione del potere svolge un ruolo cruciale in quanto potenziale fonte di comportamenti opportunistici che possono avere un impatto notevole sulle strategie e sui risultati dell’impresa. Il terzo capitolo riguarda la diagnosi e il cambiamento del clima aziendale come strumento per valorizzare il rapporto tra impresa e dipendenti. La grande sfida della psicologia del lavoro degli ultimi anni è stata quella di organizzare il lavoro non solo dal punto di vista produttivo, ma anche dal punto di vista della soddisfazione e del benessere, ritenuti indispensabili a migliorare la qualità della vita lavorativa e le prestazioni. Il quarto capitolo sottolinea l’importanza della comunicazione interpersonale, indispensabile per facilitare i processi decisionali, gestionali e produttivi dell’impresa. L’obiettivo è quello di fornire indicazioni teoriche e pratiche per aumentare l’efficacia comunicativa individuale sia nella vita professionale, sia in quella sociale. Il quinto capitolo descrive le principali caratteristiche del conflitto organizzativo inteso come naturale divergenza di interessi o opinioni e considerato tra le principali cause di inefficienza organizzativa. Viene fornita, anche attraverso esempi numerici e applicativi, un’ampia trattazione sulla negoziazione, strumento fondamentale per la risoluzione dei conflitti e, quindi, per la conduzione di trattative di successo. Il sesto capitolo illustra il funzionamento dell’Analytic Hierarchy Process (AHP), metodologia multicriterio in grado di fornire un supporto alle decisioni in si- «Dirigere un’impresa significa stabilire obiettivi e raggiungerli gestendo persone e risorse in modo efficace ed efficiente. » il Punto Scientifico tuazioni di difficile strutturazione del problema, di razionalità limitata e di pluralità di criteri anche parzialmente contrastanti fra loro. Insieme alla trattazione teorica vengono proposti esempi pratici di applicazione in grado di chiarire l’utilizzo di questo utile strumento. Il settimo capitolo analizza la creatività e l’innovazione come base per il successo: infatti la vera differenza in contesti altamente competitivi è costituita dalle idee e dalla capacità di combinarle in modo diverso e originale per creare valore. L’ottavo capitolo riguarda la gestione del cambiamento e ha l’obiettivo di descrivere gli strumenti idonei per una adeguata programmazione delle fasi di trasformazione. Negli ultimi anni le aziende hanno migliorato significativamente le capacità di definire obiettivi e strategie, ma hanno ancora la necessità di essere assistite nella valutazione e nella gestione coordinata di tutte le variabili che incidono sulle fasi di cambiamento. Inoltre, la trasformazione richiede la considerazione dell’impatto organizzativo dei cambiamenti, con una specifica attenzione sulle risorse umane. Il nono capitolo analizza le problematiche connesse alla motivazione e agli incentivi, sottolineando l’importanza della scelta di leve efficaci. Progettare una buona struttura organizzativa è, infatti, necessario ma non sufficiente. Sono le persone che fanno la reale differenza in termini di prestazioni con le loro attitudini, percezioni, emozioni e aspirazioni. Un buon sistema motivazionale facilita i dipendenti mettendoli in condizione di rendere al meglio, valorizzandone le potenzialità e creando le condizioni per la costituzione di una squadra vincente. Il decimo capitolo riguarda la direzione aziendale e il modello di corporate governan- pagina 8 ce delle imprese italiane con particolare riferimento alla spiegazione del significativo divario nella crescita del PIL rispetto alla media dei Paesi dell’Area Euro negli ultimi vent’anni e della preoccupante diminuzione della quota nazionale sul commercio mondiale. La diffusione del modello latino di governance nelle imprese italiane ha infatti contribuito a frenare la loro crescita, determinando lo sviluppo di un sistema produttivo composto quasi esclusivamente da organizzazioni di piccole dimensioni, spesso inadatte a fronteggiare adeguatamente la competizione globale. Il volume è adatto alla consultazione, all’uso come manuale didattico per corsi avanzati e, anche, alla fruizione individuale da parte di chi voglia apprendere o approfondire i fondamenti della direzione d’impresa. Data la completezza e l’ampiezza degli argomenti trattati è possibile delineare diversi percorsi di apprendimento mirati, ad esempio, ai temi della leadership, della gestione del cambiamento, dei sistemi motivazionali, della gestione e risoluzione dei conflitti. Un ringraziamento speciale va agli straordinari studenti di Ingegneria Gestionale a “Tor Vergata” che, inconsapevoli, hanno partecipato alla sperimentazione didattica dei vari argomenti che compongono il volume e che, attraverso la loro creatività, le loro domande, le loro osservazioni e i loro riscontri ci hanno permesso di migliorare e di arricchire non solo le lezioni e i contenuti di quest’opera, ma anche noi stessi. Agostino La Bella Guendalina Capece «Il volume è adatto alla consultazione, all’uso come manuale didattico per corsi avanzati e, anche, alla fruizione individuale da parte di chi voglia apprendere o approfondire i fondamenti della direzione d’impresa.» pagina 9 SOCRATE CI INSEGNA A DIALOGARE il Punto letterario , di Federica Lorini «Una vita senza ricerca non è degna per l'uomo di essere vissuta» (Platone, Apologia di Socrate, capitolo XXVIII). Fin dall’antichità è pervenuto a noi un quadro della figura del filosofo Socrate così complessa e allusiva che praticamente ogni epoca umana ha avuto modo di trovarvi esempi e appartenenze e ogni quesito una propria risposta. Oggi vorrei, tuttavia, soffermarmi su un unico aspetto: la comunicazione e più precisamente il dialogo socratico e le possibilità di utilizzo nel quotidiano. E’ noto che il grande passo avanti condotto da Socrate rispetto ai sofisti fu proprio quello di proporre un metodo di indagine fondato su argomentazioni discorsive, snelle ed efficaci, un dialogo tra persone sinceramente decise a sviscerare il problema in esame. Il discorso socratico muove dall’opinione dell’altro, non vi è il gusto della prevaricazione, ma, al contrario, il desiderio di andare incontro all’interlocutore perché si configura come una discussione strutturata su domande e risposte tra persone associate dal comune interesse alla ricerca. Non a caso è stato definito “maieutico” ossia “ostetrico”: come la levatrice non possiede un figlio da donare alla madre ma può aiuta re quest’ultima a partorirlo, allo stesso modo Socrate non possiede alcuna scienza già costruita da imporre al discepolo ma può aiutare questo a fare chiarezza nella propria intima consapevolezza. Il metodo socratico, oltre che dialogico e dialettico è anche, infatti, esortativo, ossia rivolto all’arricchimento della personalità umana in tutta la sua complessità. Complessità nel senso che Socrate è fortemente convinto che non esistano cose in sé buone o cattive o comportamenti intrinsecamente giusti o sbagliati: entrambi sono qualificati solo ed esclusivamente dalle intenzioni che hanno dato loro luogo e dal senso che essi assumono nelle singole situazioni. Il relativo giudizio, dunque, non può essere determinato dal contenuto ma solo dalla loro modalità di espressione nel tempo e nello spazio. Secondo tali premesse, Socrate dovette provvedere a una profonda riforma del pensiero greco e delle forme logiche in cui esso era solito esprimersi. Quest’ultimo aveva sempre posto l’accento sulla realtà esistente, sulla logica delle cose, sulla contingenza, mentre Socrate spostava l’attenzione sulla mutevolezza della diversità. Negli ultimi decenni il dialogo socratico è stato pro- il Punto Letterario fondamente studiato, adottato e applicato alla comunicazione contemporanea, come uno dei metodi più efficaci di interazione e confronto attraverso il potere delle parole nelle organizzazioni di ogni tipo. È una pratica particolarmente consolidata in Germania, dove ha trovato attuazione grazie a Leonard Nelson all’inizio degli anni Venti, e in Gran Bretagna in cui si è diffusa ampiamente molto tempo prima dell’arrivo della Consulenza filosofica. In che cosa consiste sostanzialmente? Si tratta di un metodo formale attraverso il quale un gruppo di persone guidate da un consulente si pone come obiettivo la risposta a un quesito di ordine generale. Diviene, cioè, una sorta di analisi congiunta su un tema più o meno specifico, il cui obiettivo non è quello di convincere o impressionare i partecipanti, bensì aiutarli a raggiungere insieme un livello più alto di pensiero rispetto a quello che potrebbe raggiungere la singola persona, per arrivare alla costruzione di una visione congiunta e condivisa durante tutto il percorso. Il raggiungimento della risposta unanime non può che creare un profondo e sincero senso di compattezza e affiatamento nel team dei partecipanti. Rispetto all’antichità, il dialogo socratico è stato corredato, naturalmente, di nuove regole piuttosto rigide. La Philosophical Academy di Bonn, ad esempio, illustra sette regole standard: una prevede che i partecipanti possano parlare solo della propria esperienza diretta, un’altra che gli esempi trattati nel dialogo debbano essere semplici e confacenti alla pagina 10 conversazione stessa, un’altra ancora abolisce i lunghi monologhi e così via. Naturalmente il fine del dialogo è quello di passare, in breve tempo, dall’analisi di esempi concreti e circoscritti a una definizione più generale e valida, guadagnata attraverso il consenso di tutti. Si tratta, dunque, di una pratica che permette di facilitare l’ascolto proprio e degli altri in un mondo che sembra aver dimenticato il dialogo in favore del monologo e che insegna a pensare prendendosi i giusti tempi, senza giudicare o mettersi in contrasto con l’altro bensì cercando, insieme, una soluzione comune. Il dialogo socratico mostra anche come tutte le aziende, piccole o grandi che siano, pubbliche o private altro non siano che luoghi dove si apprende continuamente e dove, se ben indirizzati e disposti, è possibile evolvere tanto a livello professionale quanto a quello personale. Ecco allora che in un momento storico in cui l’importanza del lavoro nelle nostre vite ha progressivamente assorbito quei valori umani che, un tempo, venivano condivisi con amici e familiari, in un periodo in cui l’ideologia dell’eccellenza, della performance a tutti i costi, dell’urgenza permanente, ha avuto la meglio su tutto, Socrate ci insegna ad apprezzare di nuovo tutta la bellezza e l’universalità della semplicità e della comunicazione. Federica Lorini «...una pratica che permette di facilitare l’ascolto proprio e degli altri in un mondo che sembra aver dimenticato il dialogo in favore del monologo e che insegna a pensare prendendosi i giusti tempi, senza giudicare o mettersi in contrasto con l’altro bensì cercando, insieme, una soluzione comune.» pagina 11 SFOGLIANDO QUA E LÀ... di Federica Lorini Rivoluzione in cucina. A tavola con Stalin: il libro del cibo gustoso e salutare, di Ljiljana Avirovic Forse non tutti sanno che Stalin fece pubblicare nel 1939, e successivamente nel ’53 e nel ’54, il Libro del cibo sano e salutare. Il testo, per esplicita volontà di Stalin che ne curò la prefazione, doveva attestare la «Rivoluzione in cucina» e documentare «la massima affermazione del costante progresso delle necessità materiali e culturali della società» promosso dal Partito Comunista, coronando «la felice realizzazione dei piani quinquennali» con il «benessere, la felicità e la gioia di vivere» procurati ai lavoratori e in particolare alle donne. Sostanzialmente lo scopo era quello di essere d'aiuto alla buona padrona di casa sovietica, facendole risparmiare tempo e fatica, assistendola nella preparazione di cibi sani per la famiglia, utilizzando prodotti dell'industria alimentare sovietica. A distanza di tanti anni il Libro del cibo sano e salutare ci viene proposto da Ljiljana Avirovic arricchito anche da una lucida analisi della terribile storia sovietica di quegli anni. Attraverso questa nuova luce, infatti, il libro di cucina diviene semplicemente una nota a piè di pagina della storia dell’Unione Sovietica e del tragico pervertimento e/o fallimento dei suoi proclamati valori. Esemplare l’elenco delle pietanze offerte da Stalin a Tito il 21 settembre del 1944: caviale rosso, storione e murena marinati, cetrioli leggermente sottaceto, gulasch alla georgiana nel vino con gnocchetti, pollo allo spiedo alla russa, funghi conservati, frittelle, mirtilli, pane e vino: ingredienti dell’abbuffata dei potenti che si spartivano la torta, illudendosi di spartirsi il mondo. Perché leggerlo? Per capire e per guardare alla storia di una Nazione anche attraverso le sue perversioni culinarie. Un libro che può essere sfogliato come una sorta di amarcord della gastronomia sovietica, ma anche come un ricettario che, secondo le parole della curatrice non ha perduto nulla della sua attualità. Momenti di trascurabile felicità, di Francesco Piccolo «Quando la donna con cui dormo ha capito che ognuno deve dormire dal suo lato. Che ci si può abbracciare prima, o quando ci svegliamo la mattina, ma quando si dorme bisogna stare ognuno per i fatti suoi. Dividendo il letto con la stessa meticolosità con cui si tracciava la linea di divisione del banco con il compagno di banco, a scuola.» Questo è uno dei tanti e deliziosi momenti di trascurabile felicità narrati da Francesco Piccolo in questo breve ma prezioso catalogo dell’allegria di vivere. Con uno stile semplice e con il gusto tutto italiano per la divagazione l’autore mette a nudo con spietato umorismo i piaceri più inconfessabili, le debolezze con le quali prima o poi tutti noi dobbiamo fare i conti, i tic e le manie di chi ci circonda e di noi stessi. Ecco allora un ricco catalogo di epifanie, di momenti speciali in cui un qualsiasi oggetto della vita comune, una persona, un episodio diventa “rivelatore” del vero significato della vita a chi percepisce il suo valore simboli il Punto Letterario pagina 12 co. Pagina dopo pagina, momento dopo momento, incontro dopo incontro, si finisce per venire travolti da un’inarrestabile ondata di divertimento e di benessere: un po’ come quando scopri con soddisfazione che un amico ha ripreso in poco tempo tutti i chili persi con una dieta faticosissima che, per qualche giorno, sei stato tentato di fare anche tu o quando ti accorgi quanto sono preziosi quei giorni di agosto in cui tutti vanno in vacanza e tu sei finalmente padrone della città. Perché leggerlo? Perché è divertentissimo e incredibilmente vero. Perché è un prontuario di veloci e piacevoli momenti condivisibili. Perché è scorrevole e sorretto da una capacità descrittiva acutissima… perché tra i tanti momenti descritti c’è anche la felicità che si prova con La prima e l'ultima pagina di un libro. Ossa nel deserto , di Sergio Gonzàlez Rodrìguez Si tratta di un libro che parla di un fenomeno molto poco conosciuto ma le cui cifre fanno venire i brividi. Sarebbero oltre 500 le donne assassinate a Ciudad Juárez dal 1993 a oggi e oltre 600 quelle scomparse nel nulla. Parliamo di un vero e proprio “femminicidio” che si consuma in un polveroso angolo del Messico, al confine con gli Stati Uniti e che vede anche la triste connivenza delle autorità locali. Una storia che rischiava di rimanere nascosta se non fosse intervenuto Sergio Gonzàlez Rodrìguez con il libro Ossa nel deserto, riassunto delle lunghe indagini e cronaca impietosa della drammatica vicenda. Dalle parole del giornalista e di altri colleghi, insieme a lui, emerge l’esistenza di una sorta di gruppo di potere a Ciudad Juárez legato al narcotraffico, al potere economico e politico, e con agganci influenti a ogni livello nel governo centrale del Messico. Gli omicidi in serie sono cominciati, non a caso, più o meno in concomitanza con l’entrata in vigore del trattato di libero commercio (Nafta) tra Messico, Stati Uniti e Canada, all’inizio degli anni Novanta. In quel periodo si pensava che tale trattato avrebbe significato la rottura di privilegi consolidati lungo la frontiera, legati al contrabbando e al traffico di droga. I poteri radicati sul territorio iniziarono a sentirsi minacciati nelle loro attività e, per difendersi, hanno iniziato a cercare di creare un clima di insicurezza tale da convincere i governi a non firmare il Nafta o almeno da mantenere lo status quo alla frontiera. Per questo, forse, si è cominciato a uccidere le operaie delle maquilas (fabbriche a capitale straniero dove viene impiegata mano d’opera locale a basso costo). Quasi sempre, infatti, le vittime prescelte erano donne con certe caratteristiche: giovane età, more, spesso immigrate senza radici nella zona. Venivano uccise in modo quasi rituale e a intervalli simili. Il territorio, inoltre, era assolutamente fertile. Ciudad Juárez è una città di frontiera, dove si pratica il turismo sessuale e dove c’è un flusso continuo e organizzato di delinquenti e criminali da entrambi i lati della frontiera. È un luogo di contrabbando in cui, durante gli anni del proibizionismo negli Stati Uniti, gli americani si riversavano per consumare droga e alcol. Poi negli anni Ottanta e Novanta è arrivato il narcotraffico con il micidiale Cartello di Juárez e la vita di ogni singolo abitante ha perso valore, a maggior ragione se appartenente al genere femminile. Perché leggerlo? Perché in esso c’è tutto, comprese venti agghiaccianti pagine dedicate solo all’elenco di nomi, età e condizioni di ritrovamento del cadavere. Perché è almeno un omaggio postumo alle centinaia di vittime innocenti di assassini e di una cultura in cui basta nascere donne per perdere ogni diritto al rispetto, ogni diritto alla dignità e ogni diritto alla vita. pagina 13 DECISIONI A INTEGRATA RAZIONALITÀ un nuovo approccio alla strategia d’impresa a che Punto è l’Impresa? Sessione di Studi in occasione della consegna dei Diplomi di Magister Artis in Ingegneria dell’Impresa e del conferimento dei “Master Executive Awards”. 16 gennaio 2012, ore 16:30 Dipartimento di Ingegneria dell’Impresa, Università di Roma “Tor Vergata”, Via del Politecnico 1, 00133 Roma Nella storia del Nobel due psicologi hanno ottenuto il premio in economia. Il primo è Herbert Simon, che ottenne il Nobel nel 1978. Il secondo è Daniel Kahneman, che l’ha ottenuto nel 2002. Un filo rosso lega i due vincitori. Il primo ha avviato negli anni Quaranta e Cinquanta un nuovo approccio agli studi organizzativi proponendo di sostituire l’attore economico perfettamente razionale, caro agli studi economici di inizio secolo, con l’ipotesi di un attore economico che decide sulla base di una razionalità limitata. Limiti dovuti all’incapacità di acquisire tutte le informazioni necessarie e di elaborarle compiutamente per produrre decisioni ottimali. Kahneman, insieme a Tversky, negli anni Settanta e Ottanta dimostrano con ingegnosi esperimenti di psicologia cognitiva che anche in condizioni di completezza di informazioni e di capacità di calcolo illimitata l’ipotesi di razionalità assoluta non è plausibile. Essi mostrano che, nelle decisioni quotidiane, viene utilizzato un insieme di “scorciatoie” che consentono di semplificare il problema decisionale: si tratta di “tunnel cognitivi” in cui prevalgono l’insensibilità al caso, l’uso di frame non pertinenti, l’eccessiva sensibilità alle perdite e modelli di ancoraggio decisionali sbagliati. Perché abbiamo limiti così forti nell’uso delle nostre capacità razionali? La risposta sta emergendo negli ultimi anni da un campo inatteso, cioè dagli studi dei neurologi sul funzionamento del cervello. Utilizzando tecniche avanzate di brain imaging, sono state individuate le aree del cervello coinvolte nei processi di apprendimento e nell’esecuzione di task decisionali e valutativi con un dettaglio prima sconosciuto. Il brain imaging sta giocando lo stesso ruolo dell’invenzione del telescopio e del microscopio. Ha reso visibile un universo prima inaccessibile: quello dei a che Punto è l’impresa nostri processi cerebrali. Oggi è possibile congiungere lo studio dei comportamenti e dei processi cognitivi con lo studio dei processi elettrochimici delle reti neuronali e delle molecole coinvolte nei processi di comunicazione cerebrale. Un risultato importante di quest’area di studi è la scoperta che nei processi cognitivi superiori (valutare, decidere, pianificare, ragionare) è coinvolta non solo la corteccia frontale, sede del pensiero razionale, ma anche l’amigdala e l’ipotalamo, responsabili delle nostre emozioni. La parte razionale e la parte emozionale del nostro cervello sono messe in comunicazione da una piccola area, la corteccia orbitofrontale. Il risultato è che il pensiero razionale non opera mai in isolamento, ma è sempre fortemente condizionato dalle emozioni. E dunque un attore economico puramente razionale in realtà non esiste. Le nostre decisioni, i nostri ragionamenti sono sempre colorati da emozioni. Questa integrazione di ragione ed emozione spiega i nostri tunnel cognitivi. Ma non finisce qui. Le stesse ricerche dimostrano che un individuo che non riesce a integrare ragione ed emozione a causa di traumi cerebrale sarà incapace di decidere. Infatti una ragione senza emozione si perde nel labirinto dei dati dell’esperienza e delle alternative decisionali. Il puro calcolo è insufficiente a produrre un’azio-ne. La decisione ha sempre bisogno di una spinta emotiva. E non pagina 14 sempre la spinta va nella direzione migliore, come è dimostrato dall’esistenza dei tunnel cognitivi. Dall’insieme di tali ricerche emerge un nuovo modello di attore aziendale, che decide e agisce consapevolmente sulla base di una forte ed equilibrata integrazione tra fattori razionali ed emozionali. Quali saranno le conseguenze di una tale scoperta sul pensiero manageriale e sulla progettazione di sistemi gestionali? Pensiamo ai sistemi di valutazione, ai modelli decisionali, al pensiero strategico, che tendono a concentrarsi su aspetti codificabili e calcolabili, lasciando sullo sfondo come fastidiose interferenze gli aspetti emozionali. L’integrazione delle spinte emozionali nei nuovi approcci manageriali costituisce un terreno tutto ancora da esplorare. In questa sessione, in onore dei nuovi Master in Ingegneria dell’Impresa e dei vincitori dei “Master Executive Awards”, ne discutono accademici, imprenditori e manager. Come sempre, il dibattito sarà introdotto da Agostino La Bella e Giuseppe Zollo. «... emerge un nuovo modello di attore aziendale, che decide e agisce consapevolmente sulla base di una forte ed equilibrata integrazione tra fattori razionali ed emozionali.» Per informazioni: Sig.ra Sara Parisi [email protected] 06.72597361 – 06.72597302 pagina 15 ERA MIO PADRE Match Point , di Gianluca Murgia Ultimamente, questa rubrica di “management spiegato attraverso il cinema” è stata dedicata esclusivamente all’analisi della medesima tematica, la negoziazione. Non è stato facile riuscire a intrattenervi per ben sei numeri; per sviscerare i diversi aspetti dell’argomento mi sono avvalso molto dell’esperienza maturata negli anni di insegnamento per il corso di “Tecniche di negoziato”, nell’ambito del Master in Ingegneria dell’Impresa. Purtroppo, non posso dirmi altrettanto esperto su altre tematiche, per cui, a partire da questo numero di “Match point”, mi limiterò a serie più brevi di articoli. In particolare, in questo numero, intendo presentare la distinzione fra il coaching, il counseling e il mentoring. Volendo proseguire con la promozione occulta dei nostri prodotti, tale questione è brillantemente spiegata nel capitolo La gestione del cambiamento di Massimiliano Maria Schiraldi, all’interno del libro Direzione d’impresa, curato da Agostino La Bella e Guendalina Capece, Franco Angeli Editore. Come evidenziato nel libro, il coaching, il counseling e il mentoring evidenziano fenomeni estremamente differenti, anche se spesso, nella vulgata comune, si tende a confonderli. Il coaching rappresenta un processo, guidato da un coach, attraverso il quale uno o più soggetti (coachee) imparano o migliorano un metodo di lavoro, necessario per affrontare determinati problemi. Il coach si comporta come un vero e proprio allenatore, insegna tutte le tecniche connesse a un dato metodo e si impegna affinché i suoi allievi le apprendano seguendo un percorso graduale, definito sulla base delle loro caratteristiche personali. Un coach, come Frankie Dunn (Clint Eastwood) in Million dollar baby, diretto dallo stesso Eastwood, cura tutti gli aspetti del metodo, dalla respirazione al movimento dei piedi e dei pugni, insegnando come stare in piedi e tenere allineate le spalle, come stare in equilibrio e farlo perdere all’avversario, come essere veloci sfruttando l’elasticità dei piedi, come piegare le ginocchia quando si fa partire un diretto, come non permettere all’avversario di farti arretrare e come fargli passare la voglia di inseguirti. Il coach deve spesso adoperarsi per motivare adeguatamente il coachee, ma nel caso di Maggie Fitzgerald (Hilary Swank) la sua motivazione intrinseca, dovuta a un’esistenza disperata, non richiede alcun supporto da parte di Dunn. La sua abnegazione nell’allenamento continuo, unita al suo talento, non saranno sufficienti, però, a garantirle il successo finale, confermando come «tutto, nella boxe, funzioni al contrario». Match Point In Million dollar baby il coach si occupa sostanzialmente di rafforzare le tecniche del coachee, ma in altri casi l’apprendimento di un metodo di lavoro richiede inevitabilmente che vengano affrontate anche problematiche più complesse, che riguardano la personalità e, talvolta, l’inconscio stesso del coachee. In questi casi, il coach deve avere competenze sufficienti per effettuare una diagnosi psicologica del coachee, accompagnando quindi l’insegnamento del metodo di lavoro con un adeguato trattamento delle problematiche interiori che incidono sull’apprendimento. Un caso simile è descritto nel film Il discorso del re di Tom Hooper, che racconta il lungo e faticoso percorso affrontato dal principe Albert di York (Colin Firth) nel tentativo di apprendere l’arte del public speaking, superando l’annoso problema della balbuzie, che lo attanaglia da anni e che rischia di compromettere la sua immagine regale. Dopo aver consultato diversi rinomati logopedisti, il principe accetta di rivolgersi a Lionel Logue (Geoffrey Rush), un terapista australiano dai metodi non ortodossi e controversi. Logue, fin dall’inizio, cerca di comprendere la natura psicologica del problema del principe, ma solo dopo essersi guadagnato la sua fiducia, potrà avviare una terapia anzitutto tecnica, dagli scioglilingua agli esercizi fisici per rafforzare il diaframma e per sciogliere la mascella, che via via verrà estesa anche fino alla diagnosi e al trattamento dei problemi psicologici sottostanti alla balbuzie. Solo attraverso il supera- pagina 16 mento di questi ultimi, il principe, ormai diventato re Giorgio VI d’Inghilterra, riuscirà a pronunciare brillantemente un discorso decisivo in un momento estremamente drammatico per il suo Paese e l’intera Europa. Come evidenziato dai casi descritti, l’intervento del coach è mirato all’apprendimento di un metodo di lavoro, principalmente attraverso l’esercizio costante del coachee. Differentemente, il counselor punta direttamente alla risoluzione di un problema contingente, favorendo una migliore diagnosi della situazione e indicando alcune possibili soluzioni da implementare. In sostanza, egli si comporta come un consulente chiamato da un’azienda per risolvere un problema che questa non è in grado di affrontare; è colui che «risolve i problemi», esattamente come il celeberrimo Mister Wolf (Harvey Keitel) in Pulp Fiction di Quentin Tarantino. Mister Wolf viene chiamato quando Vincent Vega (John Travolta) uccide accidentalmente un uomo all’interno dell’auto del suo complice, Jules Winnfield (Samuel L. Jackson). L’automobile viene temporaneamente ospitata a casa di Jimmie Dimmick (Quentin Tarantino), un amico di Winnfield, ma entro un’ora e un quarto dovrà uscire ripulita, in modo da evitare di attirare l’attenzione della polizia. Wolf si precipita nel luogo dell’accaduto e, dopo una veloce analisi della situazione, elabora e implementa una soluzione in quaranta minuti, negoziando alcuni dettagli con Dimmick e ricorrendo, quando necessario, a un atteggiamento estremamente assertivo nei confronti di Vega e Winnfield. Match Point Se il coach e il counselor intervengono su aspetti mirati, rispettivamente il metodo di lavoro e la soluzione a un problema, il mentor ha un approccio più ampio e duraturo, volto a uno sviluppo personale complessivo del suo protégé. Gli esempi cinematografici di rapporto tra mentor e protégé sono innumerevoli, anche perché, in senso ampio, anche i rapporti tra padri e figli rientrano in questa tipologia. Uno dei più significativi è, senza dubbio, quello tra Obi-Wan Kenobi (Ewan McGregor) e Anakin Skywalker (Jake Lloyd da bambino, Hayden Christensen da giovane) descritto nei primi episodi della saga di Star Wars diretta da George Lucas. I due si conoscono nel pianeta Tatooine quando Anakin è uno schiavo che, pur avendo solo nove anni, sembra dotato di un talento straordinario. In seguito alla morte del suo maestro, Obi-Wan promette di prendersi cura direttamente dell’addestramento di Anakin, nonostante la contrarietà esplicitata dal leader dei cavalieri Jedi, il maestro Yoda. L’educazione Jedi non è interessata solo all’apprendimento delle tecniche di combattimento, ma mira anche a un pieno controllo dei propri sentimenti, evitando quelli, come la paura, che possono indurre un cavaliere verso il «lato oscuro della Forza». Tuttavia, il limite di tutte le azioni di mentoring sta nel fatto che esso non può imporre modelli di vita lontani dalla personalità e dai valori profondi del protégé; un mentor efficace deve basarsi anzitutto sulla maieutica, ossia sulla capacità di far emergere pensieri, e infine modelli di vita, prettamente personali. In questo senso, il profondo senso di paura della morte che cova all’interno di Anakin sarà la leva decisiva che, nel terzo film della saga La vendetta dei Sith, verrà utilizzata dal Cancelliere Palpatine (Ian McDiarmid) per portarlo definitivamente a tradire gli altri Jedi. Le capacità di mentoring di Palpatine sono rafforzate, oltre che dalla pagina 17 prospettiva di immortalità che induce in Anakin, dal senso di ammirazione che il giovane Jedi nutre nei suoi confronti. In altri casi, il mentor può utilizzare un metodo del tutto opposto, volto piuttosto a fare sì che il protégé sviluppi sentimenti negativi nei suoi confronti. Questa scelta può essere utilizzata nei contesti in cui il senso di subordinazione e di cameratismo viene considerato fondamentale, anche se può portare allo sviluppo di sentimenti di odio. L’efficacia, oltre che l’umanità, di tale metodo è comunque assai discutibile, come dimostra la fine di uno dei suoi massimi propugnatori cinematografici, il Sergente Maggiore Hartman (Ronald Lee Ermey) in Full Metal Jacket di Stanley Kubrick… Gianluca Murgia «Il coaching rappresenta un processo, guidato da un coach, attraverso il quale uno o più soggetti (coachee) imparano o migliorano un metodo di lavoro, necessario per affrontare determinati problemi.» pagina 18 l’Appunto MASTER UNIVERSITARIO DI II LIVELLO IN INGEGNERIA DELL’IMPRESA Sono in scadenza i termini per le iscrizioni alla XIII edizione del Master Universitario di II livello in Ingegneria dell’Impresa, canali aula, blended e on-line, diretti dal Prof. Agostino La Bella, Prorettore per l'Organizzazione e lo Sviluppo dell'Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. Il Master è certificato per la qualità dei servizi didattici ISO 9001. Iscrizione: entro 20 dicembre 2011 Inizio lezioni: gennaio 2012 Il Master è destinato a laureati in discipline tecniche scientifiche o economico-sociali, dirigenti e quadri di aziende ed enti pubblici e privati che desiderino aggiornare la propria preparazione su argomenti inerenti l'organizzazione e la gestione d'impresa. Lezioni Aula: 5 ore di lezioni settimanali, erogate il venerdì pomeriggio. Il programma verrà svolto interamente in aula, presso le strutture della Facoltà di Ingegneria. Blended: 10 ore di lezioni settimanali suddivise in due pomeriggi. Il mercoledì i corsi saranno erogati on-line mentre il venerdì pomeriggio le lezioni saranno fruibili in aula. Web: lezioni accessibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7; interattività costante con i docenti in modalità asincrona. Il sabato mattina sono previsti incontri facoltativi con i docenti dei corsi. Attività Outdoor Durante il Master verranno organizzate attività al di fuori del Campus universitario con il duplice obiettivo di fornire ulteriori occasioni di incontro che favoriscano l’integrazione dei partecipanti e l’applicazione concreta di alcuni dei concetti acquisiti durante i corsi in ambienti che riproducono metaforicamente situazioni di business. La partecipazione a questo tipo di attività è facoltativa. Il costo del Master è di 7.900 Euro. Per le aziende che intenderanno iscrivere i propri dipendenti sono previsti finanziamenti e agevolazioni. Per maggiori informazioni contattare la segreteria del Master. La domanda di ammissione al Master (da scaricare dal sito www.masterimpresa.it), non vincolante ai fini dell'immatricolazione, potrà essere inviata via e-mail all'indirizzo: [email protected] Per ulteriori informazioni: Segreteria del Master in Ingegneria dell'Impresa Tel +39 6 7259.7361 - 7302 Fax +39 6 7259.7305 E-mail: [email protected] Sito : www.masterimpresa.it il Prossimo Punto pagina 19 Nel prossimo numero a metà marzo… • Un nuovo avvincente editoriale sul tema della leadership • Curiosità e suggerimenti letterari • Un nuovo intrigante articolo dedicato al mondo cinematografico in Match Point . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il punto augura a tutti i suoi lettori un buon Natale e un felice Anno Nuovo ricco di soddisfazioni e di sogni realizzati.