1
Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2009
A cura dell’Ufficio stampa, comunicazione e promozione
Coincidenze e citazioni a cura di Giulia Bassi
Fonti delle citazioni: Ferruccio Busoni, Lo sguardo lieto, Il Saggiatore, Milano 1977; Andrew Porter, Hector Berlioz, musica in fiamme, in www.sapere.it; Alberto Savinio, Scatola sonora, Einaudi, Torino 1977; Enzo Siciliano,
Carta per musica, Mondadori, Milano 2004; Robert Schumann, La musica romantica, Einaudi, Torino 1978;
Richard Wagner, Il libro bruno. Note di diario 1865-1882, Passigli, Firenze 1992; ‘Verdi da Nabucco ai Vespri
Siciliani’ in Musica e Dossier, dicembre 1989, Giunti, Firenze.
L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti di riproduzione per le
immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
2
Teatro Municipale Valli
7 gennaio 2009, ore 20.30
Richard Wagner
Preludio e Morte di Isotta, da Tristano e Isotta
Giuseppe Verdi
Ballabili dell’Atto III, da Macbeth
Hector Berlioz
Sinfonia fantastica op. 14
I. Sogni, passioni (Largo. Allegro agitato e appassionato assai)
II. Un ballo (Valse: Allegro non troppo)
III. Scena nei campi (Adagio)
IV. Marcia al supplizio (Allegretto non troppo)
V. Sogno di una notte del Sabba (Larghetto. Allegro)
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Gianandrea Noseda direttore
3
4
Un saggio
di Roberto Scoccimarro
5
Ludwig e Malvina Schnorr von Carolsfied, Tristano e Isotta nel 1865
Il bisogno più urgente e più forte dell’uomo perfetto e artista è di comunicare se stesso
– in tutta la pienezza della sua natura – all’intera comunità. E non può arrivare a tanto
se non nel dramma.
Richard Wagner
Questo teatro (Tristano e Isotta) che ha nella musica la sua giustificazione impone una
drammaturgia affatto diversa da quella convenzionale. Essa non è per così dire di tipo
lineare, ma circolare. Gli eventi non sono rappresentati dal dramma, ma evocati dalla
musica. E si tratta di una evocazione nella quale, grazie al sistema dei Leitmotive elevato all’ennesima potenza, quasi tutto si gioca sull’anticipazione e sulla memoria, come
se a mancare fosse proprio l’istante vissuto nel presente.
Sergio Sablich
Il signor Wagner ha dei meravigliosi momenti ma dei brutti quarti d’ora.
Gioacchino Rossini
Wagner stesso, lo hanno notato molti studiosi, ha messo in rilievo come il suo modo
di procedere fosse fondamentalmente diverso da quello consueto al drammaturgo e al
poeta, quale pure egli era. Laddove questi avrebbe spiegato fin dall’inizio i fatti principali relativi ai personaggi in modo da suscitare nell’ascoltatore una reazione emotiva di
fronte a loro, al loro sfondo, ai loro casi, per poi seguirli passo passo, a stazioni regolari,
fino alla fine, al musicista è dato di penetrare d’un colpo direttamente nel nucleo emotivo: tale è il potere della musica.
Sergio Sablich
6
La musica nel dramma
Tratto comune alle composizioni del concerto odierno è la loro appartenenza
alla dimensione del dramma musicale e, a un tempo, l’uso del mezzo espressivo esclusivamente strumentale. Se l’osservazione appare scontata per il Vorspiel
und Liebestod, distillato orchestrale dal Tristan und Isolde wagneriano, o per le
danze dal Macbeth composte da Verdi nel 1865, la teatralità della Symphonie
fantastique è fenomeno più mediato, perché in essa il dramma ha luogo su un
palcoscenico tutto mentale. Le parole di Berlioz, contenute nel programma
letterario da lui approntato quale ausilio all’ascolto della sinfonia, rendono
al meglio la qualità teatrale e narrativa della composizione: il programma
dovrebbe essere considerato «come il testo parlato di un’opera, utile al fine di
accompagnare i pezzi musicali, di cui motiva il carattere e l’espressione».
Dopo il 1859, quando la creazione del Tristan si era conclusa, Wagner era
alla ricerca di un teatro europeo disposto ad affrontare l’ardua impresa della
realizzazione scenica, incorrendo più volte in rifiuti motivati dalla presunta
ineseguibilità del lavoro. Solo grazie all’intervento del principe Ludwig di
Baviera, l’obiettivo fu raggiunto nel 1865 al Nationaltheater di Monaco.
Negli anni precedenti il compositore aveva cercato di promuovere la partitura
preparando nel 1859 per Parigi una versione da concerto del Vorspiel; quattro
anni più tardi si aggiunse l’idea di unire il preludio all’epilogo dell’opera, il
Liebestod, con o senza la presenza della voce femminile.
Le battute iniziali del Vorspiel, contenenti il Tristan-Akkord, hanno dato vita
a un dibattito pressoché inesauribile, che partendo da nozioni di armonia
ha finito per investire, per forza di cose, la drammaturgia complessiva dell’“azione in tre atti”. Sebbene oggi prevalga l’idea che l’armonia tristaniana, in
rapporto alla dissoluzione della tonalità tradizionale, costituisca un momento
di transizione, se non di aperta rottura, non sempre gli storici hanno visto
nella combinazione verticale di suoni forse più discussa della musica “dotta” la
portata dirompente sottolineata da altre chiavi di lettura. Nelle prime battute
del preludio è contenuto in germe il dramma tutto interiore della Sehnsucht
(male del desiderio, struggimento) e della morte-notte-annientamento, unico
luogo in cui l’aspirazione di due esseri all’unione assoluta può essere esaudita.
Due fra le analisi dell’accordo appaiono tra loro agli antipodi, la lettura del
compositore Vincent d’Indy (1851-1931), risalente al 1903, e quella del musicologo Allen Forte, esposta nel 1988. D’Indy elimina ogni nota apparentemente superflua dai due accordi della cellula sintattica iniziale, e vede così in
essa una semplice successione IV-V nella tonalità di La minore. Questa visione tralascia proprio ciò che nelle armonie tristaniane è elemento strutturale,
vale a dire le appoggiature e in genere le note che, in un’ottica di tipo tonale,
7
Verdi
Eccoti lo scherzo del Macbeth! Questa tragedia è una delle più grandi tragedie umane!... Lo schizzo è netto: senza convenzione, senza stento e breve. Ti raccomandi i
versi: che essi pur siano brevi. Quanto più saranno brevi, quanto più troverai effetto…
Oh ti raccomando, non trascurarmi questo Macbeth, te ne prego inginocchiato se non
altro curalo per me e per la mia salute che ora è ottima ma che diventa subito cattiva
se mi fai inquietare…Brevità e sublimità…
Giuseppe Verdi a Francesco Maria Piave
Quello che Wagner impiegherebbe tre quarti d’ora a raccontare, analizzare, approfondire, Verdi riesce a comunicartelo in un istante, con una fiammata che ti abbaglia,
magari senza la finezza wagneriana, ma con un’efficacia teatrale irresistibile.
Giuseppe Sinopoli
Forse nessun’altra opera di Verdi più e meglio di Macbeth sta a indicare il lungo – benché faticoso – svolgimento della critica verdiana degli ultimi decenni: dai più grossolani fraintendimenti, dalle valutazioni più affrettate e superficiali al riconoscimento di
Macbeth quale una delle massime creazioni tragiche del maestro, superiore per molti
aspetti al capolavoro shakespeariano dell’ultima maturità, Otello.
Giuseppe Pugliese
8
verrebbero considerate secondarie. È un po’ come percepire solo due colori
primari laddove si offre alla nostra osservazione uno spettro di colori cangiante. Ma proprio il trascolorare, inteso come arte della transizione (Kunst des
Übergangs) è fatto fondamentale della poetica tristaniana, concernente tanto
gli avvenimenti armonici e la strumentazione, quanto l’idea del dissolvimento
dell’essere. All’estremo opposto si colloca l’analisi di Allen Forte, che sente
l’accordo come un aggregato atonale, fattore di massima instabilità, e soprattutto lo considera come parte di una struttura lineare, in cui i silenzi hanno la
stessa importanza dei suoni.
Dopo la triplice enunciazione della cellula cromatica alternata a pause, la
musica innesca un’articolazione per grandi campate melodiche, raggiunge un
punto tensivo culminante in un fortissimo, per poi diminuire gradualmente
ritornando al pianissimo (allmählich im Zeitmaß etwas zurückhaltend, “gradualmente un poco ritenuto”), generando così una forma di transizione sul
piano della macrostruttura – di fatto una parabola emozionale. Il materiale di
queste ondate melodiche è derivato dalle battute iniziali, con ricorso al moto
retrogrado e al moto contrario. In questo modo, i motivi riconducono indirettamente al cromatismo delle misure d’apertura, in un vortice di rimandi
interni che è inebriante per l’intelletto e per i sensi.
Nella scena finale dell’opera, il Liebestod (“Morte d’amore”), che Wagner
chiamava anche “Isoldens Verklärung” (“Trasfigurazione di Isolde”), la protagonista rivede l’amato risorto, e vive una condizione psichica transitoria che
forse potrebbe essere vista come sublimazione della perdita; ma oltre questa
interpretazione, la poetica wagneriana, all’altezza del Tristan, concepisce la
Morte/Notte quale unica dimensione reale in cui l’amore autentico e la negazione del binomio Mendacia/Giorno trovano finalmente realizzazione.
Gli incisi melodici contenuti nel Liebestod sono prefigurati nel corso del
secondo atto. Prima del duetto “Oh sink hernieder, Nacht der Liebe” (“Oh
scendi, notte dell’amore”), in un intermezzo orchestrale il flauto anticipa il
gruppetto e la melodia discendente di una quinta; dopo l’avvertimento di
Brangäne ai due amanti, le voci dei protagonisti cantano un disegno cromatico derivato dalla cellula motivica del Tristan-Akkord, accresciuto di tensione
per iterazione, nonché un seconda linea discendente in Si maggiore, che nel
Liebestod sarà saldata al gruppetto appena menzionato. Gli elementi generatori dell’epilogo sono dunque presenti già nel Preludio e nella scena in cui gli
amanti pregustano il dissolvimento l’uno nell’altro. Nella scena finale questi
elementi vengono portati a una sorta di spasimo febbricitante, un’ebbrezza
che è il sentimento del dolore nella riconciliazione. La cellula cromatica
potenzialmente “atonale” si espande nel vortice di una climax, ma essa è ora
inserita in un contesto di chiara stabilizzazione armonica: il Si maggiore con-
9
clusivo, accompagnato per l’ultima volta dalle quattro, fatidiche note dell’inizio, sigla nel rassicurante ambito della tonalità questa cellula sintattica/nodo
poetico, che nel complesso del dramma si situa in una zona – ancora una volta
– di transizione fra la tonalità stessa e la sua futura dissoluzione.
La composizione delle danze per il terzo atto del Macbeth risale alla rielaborazione del melodramma che Verdi preparò per l’Opéra di Parigi diciotto anni
dopo la prima versione. Un’opera nata in Italia che ambisse ad affermarsi nella
capitale culturale europea non poteva venir meno alla consuetudine dell’inserzione di uno spazio coreutico. Il “Ballo” per il Macbeth rinnovato, lungi
però dall’essere una mera operazione di routine, risponde con la massima
congruenza drammatica al colore plumbeo della partitura.
Ci troviamo nel terzo atto. Consultate da Macbetto, le streghe si riuniscono,
danzano e profetizzano i regni futuri nella “Grande scena delle apparizioni”.
Dopo il coro introduttivo, il Ballo prevede l’ingresso di “spiriti, diavoli, streghe
che danzano intorno alla caldaja”. La prima danza ha una chiara parentela
motivica con la “musica villereccia” del primo atto, con la quale si annunciava
l’arrivo del re Duncano; di quella musica essa rappresenta ora il côté sinistro,
accelerato e in tonalità minore. L’inno seguente, durante il quale gli esseri
oltremondani smettono di danzare, è un’invocazione alla dea Ecate. Qui compare una melodia spiegata degli archi bassi, che viene ripetuta accompagnata
dai disegni staccati dei violini, quando la dea “annunzia che il re Macbetto
verrà a interrogare [le streghe] sul suo destino, e dovranno soddisfarlo” e che “Se
le visioni abbattessero troppo i suoi sensi, esse evocheranno gli spiriti aerei per
risvegliarlo”. Scomparsa la dea, irrompe un “Valzer” quasi selvaggio, Allegro vivacissimo, cui non si accompagna alcuna didascalia scenica. Solo quando esso
passa dal Mi minore al Mi maggiore e aumenta ancora in velocità, il libretto ci
informa che “Tutti circondano la caldaja, e prendendosi per le mani l’un l’altro,
formano un circolo danzando”. Dopo la scena delle apparizioni, nel “Coro e
Ballabile”, le danze vere e proprie trovano un breve proseguimento. Le streghe
evocano qui gli spiriti dell’aria (“Ondine e silfidi”), cosicché Macbetto, che ha
effettivamente perso i sensi, all’inizio della scena seguente rinviene. Non solo
dunque le danze sono corredate di una partitura scenica che entra nei dettagli;
esse incorniciano la fondamentale scena in cui Macbetto, attraverso il contatto ultraterreno, ha l’ultima possibilità di riprendere la percezione del reale. Da
qui in poi egli e Lady Macbeth non agiscono più con fredda premeditazione,
ma sono accecati da una furia disperata e incontrollabile.
10
Il dramma nella musica
Sono risapute le circostanze biografiche in cui nacque la Symphonie fantastique, che Berlioz portò a termine nel 1830, poco dopo aver vinto il Prix
de Rome. Nel 1827, dopo aver assistito alle recite di Hamlet e di Romeo and
Juliet, Berlioz scoprì Shakespeare e si innamorò dell’attrice Harriet Smithson,
interprete di Ofelia e Giulietta. Alcune delle molteplici esperienze culturali del compositore in quegli anni influirono sulla gestazione del lavoro. Il
programma letterario della sinfonia, oggi considerato parte integrante del
processo creativo, fa riferimento al René di Chateaubriand, nel momento
in cui descrive lo stato psicologico del giovane musicista, «affetto da quella
malattia morale che un celebre scrittore ha definito vague des passions»; alla
riscrittura in francese di De Musset delle Confessions of an English Opium Eater di De Quincey rimandano l’incontro dell’amata nel secondo movimento,
Un bal, e la fosca visione generata dall’oppio nella Marche au Supplice; mentre
l’episodio del Sogno della notte di Valpurga dal Faust di Goethe è alla base
dell’ultimo movimento, Songe d’une Nuit du Sabbat.
L’introduzione di Rêveries-Passions, un Largo, è un’apertura di sipario che
carica di aspettative l’ascoltatore. Il tema è imparentato con la successiva idée
fixe, immagine della donna amata e perno strutturale e drammatico di tutto
il racconto sinfonico. L’episodio centrale interrompe la meditazione con uno
slancio di euforia intrattenibile, per poi ricondurre al tema del Largo, variato
grazie al ricamo in arpeggi dei violini. Quando la cadenza potrebbe condurre
direttamente all’attacco dell’Allegro in Do maggiore, un lungo pedale di La
bemolle dilata la transizione a scopo retorico, aumentando la tensione prima
del movimento veloce.
La presenza di un segno di ritornello all’interno dell’Allegro agitato e appassionato assai, fin dalla prima analisi di Robert Schumann, ha dato adito a
riferimenti alla forma-sonata. Solo a partire dagli anni Settanta del 900 sono
state presentate proposte interpretative divergenti, quali la forma ciclica e il
rondò. Di fatto Berlioz, quando vuole, sa ben utilizzare il linguaggio ereditato
dal sinfonismo classico-romantico; ma la presenza dell’idée fixe, per impatto
emotivo e spesso per ruolo formale, prevale sulla presenza di materiali motivici secondari e sui meccanismi più rodati della tensione tonale tradizionale.
In particolare, l’apparizione integrale dell’idée fixe sulla dominante, momento
di stabilità tonale proprio laddove una sezione di sviluppo sonatistico prevederebbe il massimo della tensione, ha relativizzato le analisi legate alla
forma-sonata. L’Allegro raggiunge in effetti l’acme molto più tardi, con la
riaffermazione dell’idée fixe in Do maggiore, a piena orchestra e in valori
ritmici diminuiti.
11
Berlioz ritratto da Émile Signol, 1832
Senza alcun dubbio il nostro tempo non ha prodotto un’altra opera in cui, come in
questa, le relazioni simili di battuta e di ritmo siano state più liberamente unite e usate
colle dissimili. La fine della frase non corrisponde quasi mai al principio, né la risposta
alla domanda. Tutto ciò è così caratteristico di Berlioz, così naturale al suo carattere
meridionale e così straniero a noialtri del Nord, che son ben da scusare e da spiegare la
spiacevole impressione del primo momento e l’accusa d’oscurità.
Schumann sulla Fantastica
Come sai, nel mio gusto musicale ho superato prima di tutto Schumann e Mendelssohn, ho misconosciuto Liszt, poi l’ho adorato, poi l’ho ammirato più pacatamente;
sono stato ostile a Wagner, l’ho guardato poi con stupefazione e infine mi sono scostato da lui, da buon latino; mi sono lasciato sopraffare da Berlioz e - cosa tra le più
difficili - ho imparato a distinguere il buon Beethoven da quello cattivo.
Ferruccio Busoni
12
Un episodio collocato nella zona considerata “sviluppo” appare concentrare
al meglio l’alterità di Berlioz e a un tempo la sua vicinanza rispetto ai principi
del sinfonismo tedesco. L’oboe è in primo piano con una melodia del tutto
nuova, ma sotto questa linea si dipanano imitazioni delle viole e dei violoncelli, tutte formate dalla testa dell’idée fixe. Il risultato è una progressione in
cui si perde per un istante la percezione di un centro tonale, ciò che genera
quasi una sensazione di vertigine: è un episodio in cui il lavorio tematico e un
oggetto sonoro estraneo si combinano e integrano.
Le atmosfere mondane del secondo movimento, Un bal, sono introdotte da
Berlioz con queste parole: «L’artista è portato dalle più diverse circostanze della vita nel mezzo del tumulto di una festa, nella pacifica contemplazione delle
bellezze della natura; ma dappertutto, nella città, nei campi, l’immagine a lui
cara viene a presentarglisi e a provocare turbamento nel suo animo.»
Il ballo in questione è il valzer, con il quale viene costruita una struttura
tripartita preceduta da un’introduzione e da una coda, quest’ultima di proporzioni tali da aver fatto parlare di sviluppo e di spostamento della climax
verso la fine del movimento, come già accade nell’Allegro. L’idée fixe appare
una prima volta nella sezione mediana, trascinata nel vortice del valzer, di cui
assume il metro, e con il cui tema entra in contrappunto. Quando, nella coda,
l’idée fixe compare una seconda volta, essa è limitata alle sue prime due frasi,
ed è privata di un sostegno orchestrale, cosicché essa assume qui un valore più
evocativo che di costruzione della struttura formale, come invece accaduto
fino a questo momento.
Situata al centro della composizione, la Scêne aux champs ne è l’unico movimento lento. In essa si esprime un sentimento di quieta immersione nella
Natura, intesa – in senso rousseauiano – quale dimensione agli antipodi
rispetto alla mondanità cittadina del Bal; un luogo di pace incontaminata,
soggettivizzato attraverso l’immagine della donna amata.
«Trovandosi una sera in campagna, egli sente da lontano due pastori che
dialogano in un ranz des vaches; questo duo pastorale, il luogo della scena, il
leggero stormire delle fronde dolcemente agitate dal vento, qualche motivo di
speranza che ha concepito da poco, tutto concorre a rendere al suo cuore una
calma inusuale, a donare alle sue idee un colore più sorridente. Egli riflette sul
suo isolamento; spera di non essere presto più solo ... Ma se ella lo ingannasse!
[...] Alla fine, uno dei due pastori riprende il ranz des vaches; l’altro non gli
risponde più ... Rumore lontano di tuoni... solitudine... silenzio. »
Che si voglia vedere in questo movimento una struttura tripartita o un tema
con variazioni, i due eventi determinanti sono il “duo pastorale”, incarnato
da oboe e corno – prima ancora che successione di frasi, rapporto tra oggetti sonori nello spazio; e la nuova funzione dell’idée fixe, che qui turba lo
13
sviluppo della placida e regolare melodia principale, presentandosi contemporaneamente a una nuova, corrusca linea degli archi bassi. Quest’ultima,
aumentando in concitazione, prevarica sull’idée fixe interrompendola. Lo
scenario si svuota, e al posto del secondo pastore, cioè del corno, si odono
i timpani-tuoni, che preparano anche l’apertura, sempre affidata ai timpani,
della Marche au Supplice.
Questo e il movimento finale, Songe d’une nuit du Sabbat, sono presentati
da Berlioz come visioni scaturite nella mente del musicista dall’assunzione
dell’oppio. È su questo presupposto che si basa la loro dimensione così fortemente rappresentativa – dai tratti talora orrorifici – , cui fa riscontro un
distacco più netto dai principi del sinfonismo, nonché una diversa prospettiva
assunta dal soggetto narrante. L’elaborazione motivica cede in effetti il posto
a un’organizzazione di eventi sonori volutamente frammentati e successivamente ricomposti in una logica formale, eventi che includono anche elementi
“realistici”, quali campane, il canto sacro, marce. Quanto alla nuova posizione
psicologica del soggetto, il giovane musicista, in seguito all’effetto dello stupefacente e al passaggio alla dimensione onirica, non vive più stati d’animo,
ma situazioni, e diviene personaggio sdoppiato tra colui che sta sognando e
immagine di sé stesso, vittima degli eventi, osservata dalla propria coscienza.
«Avendo acquisito la certezza che il suo amore viene ignorato, l’artista si avvelena con l’oppio. La dose del narcotico, troppo debole per portarlo alla morte,
lo fa sprofondare in un sonno accompagnato dalle più inquietanti visioni.
Egli sogna di aver ucciso colei che amava, di essere condannato, condotto al
supplizio e di assistere alla sua propria esecuzione. Il corteo avanza al suono di
una marcia tanto cupa e selvaggia, quanto brillante e solenne, durante la quale
un rumore sordo di passi gravi segue senza transizione agli scoppi più fragorosi. Alla fine della marcia, le quattro prime misure della idée fixe ritornano
come un ultimo pensiero d’amore interrotto dal colpo fatale.»
Il programma diviene qui più dettagliato, al punto che fin dal primo ascolto
tutti gli elementi narrativi sono rintracciabili nel percorso sonoro: il rumore
di passi nelle sestine dell’inizio, il corteo nell’austero e squadrato tema discendente degli archi bassi, poi ripresentato per moto contrario e contrappuntato
da diverse contromelodie. Dopo il risuonare della marcia a piena orchestra, ha
inizio un processo di frantumazione del primo tema, quello del corteo; fino a
quando non compare l’idée fixe, che suonata senza accompagnamento prima
della conclusione-esecuzione, è pura immagine emotiva.
«Egli si vede in un sabba, nel mezzo di un’orribile folla di ombre, di streghe e
di mostri di tutte le specie riuniti per i suoi funerali. Rumori estranei, gemiti,
scoppi di risa, grida lontane alle quali sembrano rispondere altre grida. La
melodia amata riappare ancora, ma essa ha perduto il suo carattere di nobiltà
14
e timidezza; non è più che un’aria di danza ignobile, triviale e grottesca: è lei
che raggiunge il sabba... Fremiti di gioia al suo arrivo... ella si mescola all’orgia
diabolica... rintocchi funebri... parodia burlesca del Dies irae, danza del sabba.
La danza del sabba e il Dies irae insieme.»
Dopo un’introduzione-sipario al Songe, l’idée fixe viene suonata dal clarinetto,
ma essa ora è deformata in una sorta di tarantella; acciaccature e trilli rendono
la sua nuova sembianza una smorfia demoniaca. L’arrivo dell’amata non è qui
proiezione della mente, ma presenza reale all’interno del sogno: tanto più inquietante è la sua metamorfosi dallo slancio passionale del primo movimento
allo sberleffo. Appena il tempo per uno scoppio dell’orchestra, poi la versione
deforme dell’idée fixe torna completa, in una combinazione cameristica che è
un esempio della maestria del Berlioz orchestratore: clarinetto in Mi bemolle
e ottavino suonano la melodia, oboi e clarinetto in Do l’accompagnamento
che marca il tempo composto, mentre fagotto e archi bassi dipanano semicrome in un fitto contrappunto ritmico. Da questo momento inizia la prefigurazione del tema della Ronde du Sabbat, presentato a frammenti, così da
imprimersi nella memoria dell’ascoltatore prima che esso si concretizzi come
materiale compiuto. L’enunciazione del Dies irae avviene prima nei canonici valori lunghi, poi diminuita e una terza volta contaminata dal modello
grottesco della tarantella: la “melodia amata”, passata ormai per lo specchio
deformante della coscienza alterata dall’oppio, è in grado di deformare a sua
volta la sequenza medioevale. Finalmente il tema della Ronde assume la sua
identità, dopo essere stato a lungo centellinato: esso è il soggetto di una Fuga,
completa di controsoggetto. Una mutazione in forma cromatica del soggetto e il risuonare in pianissimo della sequenza danno luogo a un episodio di
tensione graduata al massimo, che sfocia nella sovrapposizione del Dies irae
e del tema della Ronde. A questo punto, raggiunto l’apice dissacratorio della
Fantastique, il tema-soggetto di Fuga viene influenzato dal Dies irae, nel senso
che viene riproposto in valori aumentati. Se l’idée in forma danzereccia influisce dunque sulla metamorfosi-irrisione del Dies irae, quest’ultimo, da parte
sua, trasmette qualcosa della sua solennità alla Ronde: il sacro viene profanato,
mentre la danza orgiastica si eleva ad adorazione del profano.
15
Coincidenze
1830
Berlioz, Sinfonia fantastica (1829-1830)
Berlioz, Sardanapale, cantata
Auber, Fra Diavolo
Paganini, Quei giorni felici, per voce solista, coro e pianoforte; Concerti per violino
n.4 e n.5; Moto Perpetuo, per violino ed orchestra
Donizetti, Anna Bolena
Bellini, I Capuleti e i Montecchi
Glinka, Quartetto per archi
Mendelssohn, Hebrides, ouverture da concerto; Sinfonia n.5 “La riforma”; Diciotto
Lieder
Chopin, Concerto per pianoforte n.1; Nove Mazurke per pianoforte (1830-1831);
Notturno n.16 per pianoforte
Schumann, Tema e Variazioni sul tema Abegg per pianoforte
Liszt, Concerto per pianoforte (1830-1849)
Scissione degli Stati Uniti di Colombia in tre stati: Ecuador, Colombia e Venezuela.
Viene presentato a Carlo X di Francia l’indirizzo dei 221, per chiedere le dimissioni
del ministero e l’introduzione in Francia di un regime parlamentare.
L’esercito francese sbarca a Sidi Ferruj vicino ad Algeri e dà il via alla conquista dell’Algeria.
A Parigi la Rivoluzione di Luglio costringe all’esilio Carlo X, sostituito con Luigi
Filippo.
Il Belgio proclama la sua indipendenza dai Paesi Bassi.
Il 13 novembre a Genova, Giuseppe Mazzini viene arrestato e chiuso in carcere nella
fortezza del Priamar di Savona.
Rivolta di Novembre: i polacchi chiedono l’indipendenza dall’Impero russo.
La Grecia diviene indipendente dall’Impero Ottomano.
Istituita la prima linea ferroviaria Liverpool-Manchester, nel Regno Unito, lunga 14 Km.
Viene fondata negli USA la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni.
1859
Wagner: Preludio e Morte di Isotta (Tristano e Isotta, 1857-1859)
Meyerbeer, Dinorah, opera
Liszt, Hamlet poema sinfonico; Die Ideale, per orchestra
Verdi, Un ballo in maschera (prima rappresentazione)
Brahms, Marienlieder, per coro a quattro voci miste; Quartetto d’archi n.1 e n.2
16
Saint-Saëns, Concerto per violino n.1
Bizet, Don Procopio
Musorgskij, Marcia di Sciamie, per solista, coro ed orchestra; Improvviso appassionato
per pianoforte
Karl Marx pubblica Per la Critica dell’Economia Politica.
Frédéric Mistral (Premio Nobel nel 1904) pubblica il poema Mirèio, interamente
scritto in lingua provenzale.
Ivan Turgenev dà alle stampe Nido di nobili, implacabile analisi della vita e dei
misfatti della casta nobiliare russa.
Bernhard Riemann pubblica un articolo in cui espone l’Ipotesi di Riemann.
L’Austria dichiara guerra al Regno di Sardegna e la Francia dichiara guerra all’Austria;
Napoleone III assume ad Alessandria il comando delle truppe sarde e francesi.
Dal 20 maggio all’8 giugno si registrano diverse battaglie: Montebello con vittoria dei
franco-piemontesi; San Fermo, vittoria dei Cacciatori e liberazione di Como; Palestro,
vittoria di Vittorio Emanuele II; Turbino; Magenta; Boffalora; Melegnano.
Vittorio Emanuele II e Napoleone III entrano a Milano.
A Perugia i mercenari svizzeri di Pio IX abbattono il Governo Provvisorio che chiede
l’indipendenza dallo Stato Pontificio e dopo essere entrati in città risalgono verso il
centro massacrando sia i cittadini armati che le famiglie rifugiate nelle case.
A seguito della Battaglia di Solferino si firma l’Armistizio di Villafranca tra Austria e
Francia a cui aderisce il Regno di Sardegna.
Con la Pace di Zurigo l’Austria cede la Lombardia alla Francia che la passa al Regno di
Sardegna in cambio della Savoia e del Nizzardo.
Esce il primo numero del quotidiano La Nazione, di Firenze.
Inaugurazione della linea ferroviaria Piacenza-Bologna.
Una sentenza della Corte di Cassazione francese vieta l’uso della lingua italiana in
Corsica.
Si registra la più grande tempesta solare che sia mai stata registrata da strumento
umano.
Il naturalista britannico Charles Darwin pubblica L’origine delle specie, un libro che
sostiene che gli organismi si sono evoluti gradualmente attraverso la selezione naturale
(la prima edizione verrà subito esaurita).
Costruzione del primo pozzo di petrolio in Titusville (Pennsylvania, Stati Uniti).
1865
Verdi, Ballabili dal II atto, da Macbeth
Nascono Dukas, Glazunov e Sibelius
Thomas, Marcia religiosa, per orchestra
Wagner, Tristan und Isolde (prima rappresentazione)
Gounod, Chant des compagnons
17
Franck, La torre di Babele, oratorio
Brahms, Trio per pianoforte, violino e corno
Bizet, Ivan il Terribile, opera; Caccia fantastica, per pianoforte
Dvorak, Sinfonie n.1 e n.2; Concerto per violoncello in la maggiore; I Cipressi,
scritta per quartetto d’archi in seguito trascritta per voce e pianoforte; Quintetto per
clarinetto
Massenet, Suite per orchestra n. 1
Grieg, In Autunno, ouverture da concerto; Sonata per violino n.1
In Italia vengono approvate le leggi sull’unificazione amministrativa e giudiziaria,
si diffondono le organizzazioni dei lavoratori, nel meridione si diffonde il colera.
Vengono promulgati il primo codice civile e il codice del commercio.
Termina la Guerra di secessione americana con la sconfitta degli Stati Confederati
d’America.
Negli Stati Uniti nasce il primo nucleo del Ku Klux Klan. Il Congresso degli Stati
Uniti abolisce la schiavitù con il XIII emendamento.
Abraham Lincoln, 16° presidente degli Stati Uniti, viene assassinato e viene nominato
presidente Andrew Johnson.
Gregor Mendel enuncia per la prima volta le sue leggi sull’ereditarietà.
Rockfeller fonda nell’Ohio la sua prima raffineria di petrolio.
Fonti: Cronologia universale, Roma, Newton Compton, 1996. Dizionario della musica e dei musicisti, Utet, 1994.
www.musicweb.uk.net/Classpedia/index.htm
18
La Sinfonia fantastica
nelle Memorie di Berlioz
da: Hector Berlioz, Memorie, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1989
19
Berlioz
Osservo innanzi tutto ch’io posso giudicare soltanto dalla riduzione per pianoforte,
in cui però sono indicati gli strumenti nei passi più importanti. Ma se anche non vi
fossero, tutto mi pare così orchestralmente intuito e pensato, ogni strumento è così
chiaramente a suo posto, vorrei dire usato nella sua forza sonora, originale, che un
buon musicista potrebbe, eccettuate, s’intende, le nuove combinazioni e i nuovi effetti
orchestrali, in cui Berlioz si dice sia veramente geniale, riuscire a compiere lui stesso
una discreta partitura. (...) Sebbene Berlioz trascuri il particolare e lo sacrifichi al tutto,
egli attende però con molta cura a renderlo ingegnoso e finemente lavorato. Ma non
spreme i suoi temi fino all’ultima goccia e non ci toglie, come spesso fanno gli altri,
il piacere d’una bella idea con una noiosa modulazione tematica; egli s’accontenta di
accennare che saprebbe compiere un lavoro più rigoroso, s’egli volesse, e al momento
opportuno, schizzi brevi e ricchi di spirito. Egli esprime le sue più belle idee una volta
sola, per lo più, e quasi come di passata.
Schumann sulla Fantastica di Berlioz
Berlioz fu il peggiore musicista fra i grandi compositori; possedeva un genio sorprendente, ma non era in grado di armonizzare un semplice valzer in maniera corretta.
Maurice Ravel
20
Debbo ancora segnalare uno degli avvenimenti più rimarchevoli della mia
vita: la strana e profonda impressione che ricevetti quando lessi per la prima
volta il Faust di Goethe, tradotto in francese da Gerard de Nerval. Il meraviglioso libro mi affascinò fin dal primo istante; non lo abbandonai più; lo
leggevo senza sosta, a tavola, a teatro, per la strada, dovunque. La traduzione
in prosa conteneva qualche frammento in versi, canzoni, inni, ecc. Cedetti
alla tentazione di porli in musica, e non appena venuto a capo di questa
difficile impresa, senza aver prima inteso neanche una nota della mia partitura, ebbi la sciocca idea di farla stampare... a mie spese. Alcuni esemplari di
quest’opera, pubblicati a Parigi con il titolo di Otto scene del Faust, si diffusero
in tale forma. Ne arrivò uno tra le mani di Marx, il celebre critico e teorico
di Berlino, che ebbe la bontà di scrivermi in proposito una lettera benevola.
Questo insperato incoraggiamento, di provenienza tedesca per di più, come
si può ben immaginare mi fece un immenso piacere; tuttavia non mi illuse
troppo a lungo sui numerosi ed enormi difetti di quell’opera — anche se alcune idee mi parvero più tardi avere ancora un qualche valore, visto che le ho
poi conservate, sviluppandole in modo completamente diverso, nella mia leggenda La dannazione di Faust — che, in fin del conti, era incompleta e scritta
piuttosto male. A partire dall’istante in cui mi fui completamente convinto
dell’esattezza del mio giudizio, mi affrettai a riunire tutti gli esemplari delle
Otto scene del Faust che potei trovare e li distrussi. (...)
Immediatamente dopo questa composizione sul Faust, e sempre sotto l’influenza del poema di Goethe, scrissi la mia Sinfonia fantastica, incontrando
parecchie difficoltà in alcune parti, ma con una incredibile facilità in altre.
Così l’adagio (Scena campestre), che impressiona sempre così profondamente
il pubblico e me stesso, mi affaticò per più di tre settimane; lo abbandonai e
lo ripresi due o tre volte. La Marcia al supplizio, al contrario, fu scritta in una
notte. Comunque, nel corso di parecchi anni, ho apportato molti ritocchi ad
entrambi questi brani così come a tutti gli altri della medesima opera.
Il Théâtre des Nouveautés, che aveva allora cominciato da qualche tempo a
rappresentare delle operas-comiques, disponeva di una orchestra più che buona
diretta da Bloc. Costui mi convinse a proporre la mia nuova opera ai direttori
di quel teatro e organizzare con loro un concerto allo scopo di farla ascoltare.
Essi acconsentirono, sedotti esclusivamente dalla stranezza del programma
della sinfonia, che parve loro atto a esercitare curiosità sulla folla. Ma, dato
che aspiravo a ottenere una esecuzione grandiosa, invitai dall’esterno oltre ottanta artisti, i quali, insieme a quelli dell’orchestra di Bloc, venivano a formare
un totale di centotrenta musicisti. Non vi erano strutture adatte a sistemare
in modo conveniente una tale massa strumentale; non v’era nè l’arredo neces-
21
sario, nè le panche per sedersi e neppure i leggii. Con il sangue freddo tipico
delle persone che non hanno la minima idea di quali siano le difficoltà, a
tutte le mie domande in proposito i direttori rispondevano: «State tranquillo,
metteremo a posto ogni cosa, disponiamo d’un macchinista intelligente». Ma
quando arrivò il giorno della prova, quando i miei centotrenta strumentisti
vollero disporsi sulla scena, non si seppe più dove metterli. Ricorsi all’espediente di sistemare la piccola orchestra in basso, fu tanto se i violini riuscirono a starci tutti. Sulla scena scoppiò un tumulto da fare diventar pazzo un
autore anche più calmo di me. Si chiedevano i leggii, i falegnami tentavano
di confezionare precipitosamente qualcosa che potesse prenderne il posto;
il macchinista bestemmiava cercando i suoi spezzati e i suoi portanti; qui si
gridava per delle sedie, lì per degli strumenti, di là per delle candele; mancavano corde ai contrabbassi; non v’era spazio per i timpani, ecc. L’inserviente
dell’orchestra non sapeva più a chi dar retta; Bloc e io ci facevamo in quattro,
in sedici, in trentadue; ogni sforzo fu vano! non si riuscì in nessun modo a
ristabilire l’ordine, e si trattò così d’una vera e propria disfatta, un passaggio
della Beresina dei musicisti.
Nonostante ciò, Bloc, in mezzo a tutto questo caos, volle provare due brani,
«per dare ai direttori — diceva — un’idea della sinfonia». Provammo alla
bell’e meglio, con l’orchestra in completo fallimento, il Ballo e la Marcia al
supplizio. Quest’ultimo brano suscitò tra gli esecutori clamori e applausi frenetici. E tuttavia il concerto non ebbe luogo. Spaventati da uno scompiglio
simile, i direttori indietreggiarono di fronte all’impresa. Bisognava fare dei
preparativi troppo considerevoli e troppo lunghi; non avevano idea che occorressero
tante cose per una sinfonia.
E tutto il mio piano venne rovesciato per mancanza di leggii e di qualche
panca... Fu a partire da quel momento ch’io cominciai a preoccuparmi tanto
del materiale dei miei concerti. Conosco fin troppo bene a quanti e a quali
disastri si può andare incontro per colpa della minima negligenza a riguardo.
(dal cap. XXVI)
Malgrado le pressanti richieste che indirizzai al ministro dell’Interno perché
mi dispensasse dal viaggio in Italia, al quale m’obbligava la mia qualità di
laureato dell’Istituto, dovetti rassegnarmi a partire per Roma.
Tuttavia non volli lasciare Parigi senza avere prima riproposto al pubblico
la mia cantata Sardanapalo, il cui finale era stato precipitato negli abissi al
momento dell’assegnazione dei premi dell’Istituto. Di conseguenza organizzai un concerto al Conservatorio, nel quale quest’opera accademica figurò al
fianco della Sinfonia fantastica, che ancora non era stata mai intesa. Habeneck
22
s’incarico di dirigere questo concerto per il quale tutti gli esecutori, con una
disponibilità per la quale non potrò essere mai abbastanza grato, mi prestarono per la terza volta la loro collaborazione gratuita.
Fu alla vigilia di quel giorno che Liszt venne a trovarmi. Non ci conoscevamo
ancora. Gli parlai del Faust di Goethe, ch’egli mi confessò di non avere ancora
letto, e per il quale si appassionò poi quanto me. Provammo una viva simpatia
reciproca, e da quel momento il nostro legame non ha fatto che stringersi e
consolidarsi di più.
Assistette a questo concerto, facendosi notare da tutto l’auditorium per i
suoi applausi e il suo entusiasmo. Senza dubbio l’esecuzione non era priva di
difetti: con due sole prove non si poteva certo ottenere una perfetta resa di
opere tanto complesse. Nell’insieme tuttavia fu sufficientemente buona perché di esse si intendessero almeno le linee essenziali. Tre brani della sinfonia,
Il Ballo, La marcia al supplizio e Il Sabba, fecero una sensazione enorme. In
particolare, La marcia al suppizio sconvolse la sala. La Scena campestre non
produsse invece alcun effetto. E’ ben vero ch’essa somigliava ben poco a quel
che è oggi. Presi immediatamente la risoluzione di riscriverla, e Ferdinand
Hiller, che allora si trovava a Parigi, mi diede a riguardo preziosi consigli dei
quali ho cercato di profittare.
La cantata fu eseguita correttamente; l’incendio prese fuoco, il crollo ebbe
luogo; il successo fu grandissimo. Qualche giorno dopo gli aristarchi della
stampa si pronunciarono con passione, chi a favore, chi contro di me. Ma i
rimproveri che mi rivolgeva la critica ostile, in luogo di indirizzarsi sui difetti
palesi e reali delle due opere ascoltate nel corso del concerto, difetti assai gravi
e ai quali ho poi posto rimedio nella sinfonia, con tutta la cura di cui son
capace, rielaborando la mia partitura per parecchi anni, questi rimproveri,
dicevo, cadevano quasi tutti a sproposito. Si indirizzavano vuoi su delle idee
assurde che mi si attribuivano e che io non ho mai avute, vuoi sull’asprezza
di alcune modulazioni che non esistono, vuoi sull’inosservanza sistematica di
alcune regole fondamentali dell’arte che avevo religiosamente osservate e sull’assenza di alcuni procedimenti musicali che erano impiegati esclusivamente
in quei passaggi dove per l’appunto ne veniva negata la presenza. Del resto,
debbo confessarlo, anche i miei partigiani mi hanno ben spesso attribuito
delle intenzioni assolutamente ridicole, ch’io non ho mai avuto. A partire da
quel momento, il numero delle insensatezze, delle follie, delle stravaganti sistematizzazioni, delle sciocchezze e degli abbagli che son stati dispensati dalla
critica francese per esaltare o fare a pezzi le mie opere, supera tutto quello che
si può immaginare. Due o tre uomini soltanto hanno fin dall’inizio parlato di
me con una saggia e intelligente riserva. Ma i critici chiaroveggenti, dotati di
23
Una caricatura di Gustavo Doré del 1850: Berlioz dirige una sua opera
24
sapere, di sensibilità, di immaginazione e di imparzialità, capaci di giudicarmi
con giusto metro, di apprezzare esattamente la portata dei miei tentativi e
l’indirizzo del mio spirito, non sono oggi tanto facili da trovare. In ogni caso
non esistevano affatto nei primi anni della mia carriera: d’altronde le rare
e imperfette esecuzioni dei miei saggi avrebbero lasciato loro parecchio da
indovinare.
Quanto vi era allora in Parigi di giovani dotati di un po’ di cultura musicale e
di quel sesto senso che si usa chiamare il senso artistico, che fossero o no dei
musicisti, mi comprendeva meglio e più in fretta di questi freddi prosatori
pieni di vanità e di pretenziosa ignoranza. I professori di musica, le cui opere
ottuse venivano aspramente attaccate e derise da qualche procedimento del
mio stile, cominciarono ad avermi in orrore. Li esasperava soprattutto la mia
empietà riguardo taluni dogmi scolastici. E Dio sa se vi è qualcosa di più violento e accanito di un simile fanatismo. Si può ben immaginare quale collera
dovessero causare a Cherubini le questioni eterodosse sollevate a mio riguardo, e tutto quel rumore di cui io ero la causa. I suoi fidi gli avevan fatto il
resoconto dell’ultima prova dell’abomimevole sinfonia; l’indomani Cherubini
stava passando davanti alla porta della sala dei concerti nel momento stesso in
cui vi entrava il pubblico, quando qualcuno, fermandolo, gli disse: «Ebbene,
signor Cherubini, non venite a sentire l’ultima composizione di Berlioz?».
«Non ho bisogno d’andare a imparare quel che non si deve fare, io!» rispose,
coll’aria di un gatto al quale si vuol fare ingoiare della mostarda.
(dal cap. XXXI)
25
Interpreti
Gianandrea Noseda ha assunto la carica
di Direttore Musicale del Teatro Regio
di Torino a partire dal Settembre 2007,
suggellando così una relazione artistica
di grande successo iniziata con Il matrimonio al convento di Prokofiev nel 2004
e proseguita con il Don Giovanni nel
2005 e con Rusalka di Dvorak nel 2007.
Nella sua prima stagione ha diretto
Falstaff e una sconvolgente nuova produzione di Salome per la regia di Robert
Carsen mentre porterà per la prima volta
i complessi del Teatro Regio in tournée
in Germania, primo passo di una serie
di impegni internazionali che culmineranno con la residenza in Giappone
nell’estate del 2010.
Chief Conductor della BBC Philharmonic di Manchester dopo quattro stagioni
come Principal Conductor, Gianandrea
Noseda era diventato nel 1997 il primo
Direttore Ospite Principale straniero
nella storia del Teatro Mariinskij di San
Pietroburgo; tra gli incarichi assunti in
questi anni ricordiamo quello di Direttore Principale dell’Orquesta de Cadaqués
in Spagna dal 1998, di Direttore Ospite
Principale della Rotterdam Philharmonic tra il 1999 e il 2003 e di Primo Direttore Ospite dell’Orchestra Sinfonica
Nazionale della RAI dal 2003 al 2006.
Dal 2001 è inoltre Direttore Artistico
delle Settimane Musicali di Stresa e del
Lago Maggiore.
Nato a Milano, dove ha compiuto gli
studi musicali di pianoforte, composizione e direzione d’orchestra, Gianandrea Noseda ha già diretto le maggiori
orchestre del mondo: negli Stati Uniti la
Filarmonica di New York e le orchestre
sinfoniche di Pittsburgh, Cincinnati
e Boston, in Canada la Toronto Sym-
26
phony e la Montreal Symphony, in
Inghilterra la City of Birmingham Symphony Orchestra e la Chamber Orchestra
of Europe, in Scandinavia la Swedish
Radio Symphony, la Oslo Philarmonic,
la Finnish Radio Symphony e la Danish
Radio Symphony, in Francia l’Orchestre
National du Capitole de Toulouse e l’Orchestre National de France, in Germania
la Deutsches-Symphonie Orchester di
Berlino, in Italia l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e la
Filarmonica della Scala. In Giappone
dirige regolarmente la Tokyo Symphony
e la NHK Symphony. Con la Filarmonica di Israele ha debuttato nel Giugno
2007. Nel Maggio 2008 ha debuttato
con la London Symphony Orchestra al
Barbican Center; ha diretto i complessi
del Teatro Mariinskij in tournée e a San
Pietroburgo, in nuove produzioni di
opera e di balletto; intensa è la collaborazione con la Metropolitan Opera di New
York. Come Direttore Principale della
BBC Philharmonic, registra a Manchester per Radio 3, dirige alla Bridgewater
Hall, si presenta ogni anno ai PROMS di
Londra. Con il Ciclo completo delle Sinfonie di Beethoven trasmesse in diretta
radiofonica dalla BBC nel giugno 2005,
Gianandrea Noseda e la BBC Philharmonic hanno compiuto un’impresa che ha
cambiato le modalità della comunicazione della musica classica: quasi un milione
e mezzo di utenti che hanno scaricato le
Nove sinfonie dalla rete. Quest’anno è
stata la volta delle Sinfonie di Ciaikovskij
e di Schumann, che la casa discografica
Chandos Records, in collaborazione
con la BBC, ha messo in linea sul proprio sito a disposizione del pubblico di
tutto il mondo. Registra in esclusiva per
l’etichetta Chandos: oltre 15 i titoli registrati che vanno da Prokofiev, Respighi,
Karlowicz, Dallapiccola, Dvorak a Sho-
stakovich, Liszt, Smetana e Mahler. Per
Deutsche Grammaphon ha inciso con la
Filarmonica di Vienna il primo album
del soprano Anna Netrebko.
L’Orchestra Sinfonica Nazionale della
Rai è nata nel 1994: i primi concerti furono diretti da Georges Prêtre e Giuseppe
Sinopoli. Jeffrey Tate è stato Primo Direttore ospite dal 1998 al 2002, assumendo
quindi il titolo di Direttore onorario.
Dal 2001 al 2007 Rafael Frühbeck de
Burgos è stato Direttore principale. Nel
triennio 2003-2006 Gianandrea Noseda
è stato Primo Direttore ospite. Dal 1996
al 2001 Eliahu Inbal è stato Direttore
onorario dell’Orchestra.
Altre presenze significative sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
sono state quelle di Carlo Maria Giulini,
Wolfgang Sawallisch, Mstislav Rostropovic, Myung-Whun Chung, Riccardo
Chailly, Lorin Maazel, Zubin Mehta,
Yuri Ahronovitch, Marek Janowski,
Dmitrij Kitaenko, Aleksandr Lazarev,
Valery Gergiev, Gerd Albrecht, Yutaka
Sado, Mikko Franck.
L’Orchestra tiene a Torino regolari stagioni concertistiche, affiancandovi spesso
cicli primaverili o speciali: fra questi
fortunatissimo quello dedicato alle nove
Sinfonie di Beethoven dirette da Rafael
Frühbeck de Burgos nel giugno 2004.
Dal febbraio 2004 si svolge a Torino il
ciclo Rai NuovaMusica: una rassegna
dedicata alla produzione contemporanea
che si articola in concerti sinfonici e da
camera.
L’Orchestra svolge una ricca attività
discografica, specialmente in campo contemporaneo. Dai suoi concerti dal vivo
sono spesso ricavati cd e dvd. Numerosi
premi e riconoscimenti sono stati conferiti all’OSN sia in ambito discografico,
sia per produzioni e rassegne specifiche.
27
28
Scarica

Programma di Sala