1 Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, 2009 A cura dell’Ufficio stampa, comunicazione e promozione Coincidenze e citazioni a cura di Giulia Bassi Fonti delle citazioni: Ferruccio Busoni, Lo sguardo lieto, Il Saggiatore, Milano 1977; Andrew Porter, Hector Berlioz, musica in fiamme, in www.sapere.it; Alberto Savinio, Scatola sonora, Einaudi, Torino 1977; Enzo Siciliano, Carta per musica, Mondadori, Milano 2004; Robert Schumann, La musica romantica, Einaudi, Torino 1978; Richard Wagner, Il libro bruno. Note di diario 1865-1882, Passigli, Firenze 1992; ‘Verdi da Nabucco ai Vespri Siciliani’ in Musica e Dossier, dicembre 1989, Giunti, Firenze. L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti di riproduzione per le immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte. 2 Teatro Municipale Valli 7 gennaio 2009, ore 20.30 Richard Wagner Preludio e Morte di Isotta, da Tristano e Isotta Giuseppe Verdi Ballabili dell’Atto III, da Macbeth Hector Berlioz Sinfonia fantastica op. 14 I. Sogni, passioni (Largo. Allegro agitato e appassionato assai) II. Un ballo (Valse: Allegro non troppo) III. Scena nei campi (Adagio) IV. Marcia al supplizio (Allegretto non troppo) V. Sogno di una notte del Sabba (Larghetto. Allegro) Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Gianandrea Noseda direttore 3 4 Un saggio di Roberto Scoccimarro 5 Ludwig e Malvina Schnorr von Carolsfied, Tristano e Isotta nel 1865 Il bisogno più urgente e più forte dell’uomo perfetto e artista è di comunicare se stesso – in tutta la pienezza della sua natura – all’intera comunità. E non può arrivare a tanto se non nel dramma. Richard Wagner Questo teatro (Tristano e Isotta) che ha nella musica la sua giustificazione impone una drammaturgia affatto diversa da quella convenzionale. Essa non è per così dire di tipo lineare, ma circolare. Gli eventi non sono rappresentati dal dramma, ma evocati dalla musica. E si tratta di una evocazione nella quale, grazie al sistema dei Leitmotive elevato all’ennesima potenza, quasi tutto si gioca sull’anticipazione e sulla memoria, come se a mancare fosse proprio l’istante vissuto nel presente. Sergio Sablich Il signor Wagner ha dei meravigliosi momenti ma dei brutti quarti d’ora. Gioacchino Rossini Wagner stesso, lo hanno notato molti studiosi, ha messo in rilievo come il suo modo di procedere fosse fondamentalmente diverso da quello consueto al drammaturgo e al poeta, quale pure egli era. Laddove questi avrebbe spiegato fin dall’inizio i fatti principali relativi ai personaggi in modo da suscitare nell’ascoltatore una reazione emotiva di fronte a loro, al loro sfondo, ai loro casi, per poi seguirli passo passo, a stazioni regolari, fino alla fine, al musicista è dato di penetrare d’un colpo direttamente nel nucleo emotivo: tale è il potere della musica. Sergio Sablich 6 La musica nel dramma Tratto comune alle composizioni del concerto odierno è la loro appartenenza alla dimensione del dramma musicale e, a un tempo, l’uso del mezzo espressivo esclusivamente strumentale. Se l’osservazione appare scontata per il Vorspiel und Liebestod, distillato orchestrale dal Tristan und Isolde wagneriano, o per le danze dal Macbeth composte da Verdi nel 1865, la teatralità della Symphonie fantastique è fenomeno più mediato, perché in essa il dramma ha luogo su un palcoscenico tutto mentale. Le parole di Berlioz, contenute nel programma letterario da lui approntato quale ausilio all’ascolto della sinfonia, rendono al meglio la qualità teatrale e narrativa della composizione: il programma dovrebbe essere considerato «come il testo parlato di un’opera, utile al fine di accompagnare i pezzi musicali, di cui motiva il carattere e l’espressione». Dopo il 1859, quando la creazione del Tristan si era conclusa, Wagner era alla ricerca di un teatro europeo disposto ad affrontare l’ardua impresa della realizzazione scenica, incorrendo più volte in rifiuti motivati dalla presunta ineseguibilità del lavoro. Solo grazie all’intervento del principe Ludwig di Baviera, l’obiettivo fu raggiunto nel 1865 al Nationaltheater di Monaco. Negli anni precedenti il compositore aveva cercato di promuovere la partitura preparando nel 1859 per Parigi una versione da concerto del Vorspiel; quattro anni più tardi si aggiunse l’idea di unire il preludio all’epilogo dell’opera, il Liebestod, con o senza la presenza della voce femminile. Le battute iniziali del Vorspiel, contenenti il Tristan-Akkord, hanno dato vita a un dibattito pressoché inesauribile, che partendo da nozioni di armonia ha finito per investire, per forza di cose, la drammaturgia complessiva dell’“azione in tre atti”. Sebbene oggi prevalga l’idea che l’armonia tristaniana, in rapporto alla dissoluzione della tonalità tradizionale, costituisca un momento di transizione, se non di aperta rottura, non sempre gli storici hanno visto nella combinazione verticale di suoni forse più discussa della musica “dotta” la portata dirompente sottolineata da altre chiavi di lettura. Nelle prime battute del preludio è contenuto in germe il dramma tutto interiore della Sehnsucht (male del desiderio, struggimento) e della morte-notte-annientamento, unico luogo in cui l’aspirazione di due esseri all’unione assoluta può essere esaudita. Due fra le analisi dell’accordo appaiono tra loro agli antipodi, la lettura del compositore Vincent d’Indy (1851-1931), risalente al 1903, e quella del musicologo Allen Forte, esposta nel 1988. D’Indy elimina ogni nota apparentemente superflua dai due accordi della cellula sintattica iniziale, e vede così in essa una semplice successione IV-V nella tonalità di La minore. Questa visione tralascia proprio ciò che nelle armonie tristaniane è elemento strutturale, vale a dire le appoggiature e in genere le note che, in un’ottica di tipo tonale, 7 Verdi Eccoti lo scherzo del Macbeth! Questa tragedia è una delle più grandi tragedie umane!... Lo schizzo è netto: senza convenzione, senza stento e breve. Ti raccomandi i versi: che essi pur siano brevi. Quanto più saranno brevi, quanto più troverai effetto… Oh ti raccomando, non trascurarmi questo Macbeth, te ne prego inginocchiato se non altro curalo per me e per la mia salute che ora è ottima ma che diventa subito cattiva se mi fai inquietare…Brevità e sublimità… Giuseppe Verdi a Francesco Maria Piave Quello che Wagner impiegherebbe tre quarti d’ora a raccontare, analizzare, approfondire, Verdi riesce a comunicartelo in un istante, con una fiammata che ti abbaglia, magari senza la finezza wagneriana, ma con un’efficacia teatrale irresistibile. Giuseppe Sinopoli Forse nessun’altra opera di Verdi più e meglio di Macbeth sta a indicare il lungo – benché faticoso – svolgimento della critica verdiana degli ultimi decenni: dai più grossolani fraintendimenti, dalle valutazioni più affrettate e superficiali al riconoscimento di Macbeth quale una delle massime creazioni tragiche del maestro, superiore per molti aspetti al capolavoro shakespeariano dell’ultima maturità, Otello. Giuseppe Pugliese 8 verrebbero considerate secondarie. È un po’ come percepire solo due colori primari laddove si offre alla nostra osservazione uno spettro di colori cangiante. Ma proprio il trascolorare, inteso come arte della transizione (Kunst des Übergangs) è fatto fondamentale della poetica tristaniana, concernente tanto gli avvenimenti armonici e la strumentazione, quanto l’idea del dissolvimento dell’essere. All’estremo opposto si colloca l’analisi di Allen Forte, che sente l’accordo come un aggregato atonale, fattore di massima instabilità, e soprattutto lo considera come parte di una struttura lineare, in cui i silenzi hanno la stessa importanza dei suoni. Dopo la triplice enunciazione della cellula cromatica alternata a pause, la musica innesca un’articolazione per grandi campate melodiche, raggiunge un punto tensivo culminante in un fortissimo, per poi diminuire gradualmente ritornando al pianissimo (allmählich im Zeitmaß etwas zurückhaltend, “gradualmente un poco ritenuto”), generando così una forma di transizione sul piano della macrostruttura – di fatto una parabola emozionale. Il materiale di queste ondate melodiche è derivato dalle battute iniziali, con ricorso al moto retrogrado e al moto contrario. In questo modo, i motivi riconducono indirettamente al cromatismo delle misure d’apertura, in un vortice di rimandi interni che è inebriante per l’intelletto e per i sensi. Nella scena finale dell’opera, il Liebestod (“Morte d’amore”), che Wagner chiamava anche “Isoldens Verklärung” (“Trasfigurazione di Isolde”), la protagonista rivede l’amato risorto, e vive una condizione psichica transitoria che forse potrebbe essere vista come sublimazione della perdita; ma oltre questa interpretazione, la poetica wagneriana, all’altezza del Tristan, concepisce la Morte/Notte quale unica dimensione reale in cui l’amore autentico e la negazione del binomio Mendacia/Giorno trovano finalmente realizzazione. Gli incisi melodici contenuti nel Liebestod sono prefigurati nel corso del secondo atto. Prima del duetto “Oh sink hernieder, Nacht der Liebe” (“Oh scendi, notte dell’amore”), in un intermezzo orchestrale il flauto anticipa il gruppetto e la melodia discendente di una quinta; dopo l’avvertimento di Brangäne ai due amanti, le voci dei protagonisti cantano un disegno cromatico derivato dalla cellula motivica del Tristan-Akkord, accresciuto di tensione per iterazione, nonché un seconda linea discendente in Si maggiore, che nel Liebestod sarà saldata al gruppetto appena menzionato. Gli elementi generatori dell’epilogo sono dunque presenti già nel Preludio e nella scena in cui gli amanti pregustano il dissolvimento l’uno nell’altro. Nella scena finale questi elementi vengono portati a una sorta di spasimo febbricitante, un’ebbrezza che è il sentimento del dolore nella riconciliazione. La cellula cromatica potenzialmente “atonale” si espande nel vortice di una climax, ma essa è ora inserita in un contesto di chiara stabilizzazione armonica: il Si maggiore con- 9 clusivo, accompagnato per l’ultima volta dalle quattro, fatidiche note dell’inizio, sigla nel rassicurante ambito della tonalità questa cellula sintattica/nodo poetico, che nel complesso del dramma si situa in una zona – ancora una volta – di transizione fra la tonalità stessa e la sua futura dissoluzione. La composizione delle danze per il terzo atto del Macbeth risale alla rielaborazione del melodramma che Verdi preparò per l’Opéra di Parigi diciotto anni dopo la prima versione. Un’opera nata in Italia che ambisse ad affermarsi nella capitale culturale europea non poteva venir meno alla consuetudine dell’inserzione di uno spazio coreutico. Il “Ballo” per il Macbeth rinnovato, lungi però dall’essere una mera operazione di routine, risponde con la massima congruenza drammatica al colore plumbeo della partitura. Ci troviamo nel terzo atto. Consultate da Macbetto, le streghe si riuniscono, danzano e profetizzano i regni futuri nella “Grande scena delle apparizioni”. Dopo il coro introduttivo, il Ballo prevede l’ingresso di “spiriti, diavoli, streghe che danzano intorno alla caldaja”. La prima danza ha una chiara parentela motivica con la “musica villereccia” del primo atto, con la quale si annunciava l’arrivo del re Duncano; di quella musica essa rappresenta ora il côté sinistro, accelerato e in tonalità minore. L’inno seguente, durante il quale gli esseri oltremondani smettono di danzare, è un’invocazione alla dea Ecate. Qui compare una melodia spiegata degli archi bassi, che viene ripetuta accompagnata dai disegni staccati dei violini, quando la dea “annunzia che il re Macbetto verrà a interrogare [le streghe] sul suo destino, e dovranno soddisfarlo” e che “Se le visioni abbattessero troppo i suoi sensi, esse evocheranno gli spiriti aerei per risvegliarlo”. Scomparsa la dea, irrompe un “Valzer” quasi selvaggio, Allegro vivacissimo, cui non si accompagna alcuna didascalia scenica. Solo quando esso passa dal Mi minore al Mi maggiore e aumenta ancora in velocità, il libretto ci informa che “Tutti circondano la caldaja, e prendendosi per le mani l’un l’altro, formano un circolo danzando”. Dopo la scena delle apparizioni, nel “Coro e Ballabile”, le danze vere e proprie trovano un breve proseguimento. Le streghe evocano qui gli spiriti dell’aria (“Ondine e silfidi”), cosicché Macbetto, che ha effettivamente perso i sensi, all’inizio della scena seguente rinviene. Non solo dunque le danze sono corredate di una partitura scenica che entra nei dettagli; esse incorniciano la fondamentale scena in cui Macbetto, attraverso il contatto ultraterreno, ha l’ultima possibilità di riprendere la percezione del reale. Da qui in poi egli e Lady Macbeth non agiscono più con fredda premeditazione, ma sono accecati da una furia disperata e incontrollabile. 10 Il dramma nella musica Sono risapute le circostanze biografiche in cui nacque la Symphonie fantastique, che Berlioz portò a termine nel 1830, poco dopo aver vinto il Prix de Rome. Nel 1827, dopo aver assistito alle recite di Hamlet e di Romeo and Juliet, Berlioz scoprì Shakespeare e si innamorò dell’attrice Harriet Smithson, interprete di Ofelia e Giulietta. Alcune delle molteplici esperienze culturali del compositore in quegli anni influirono sulla gestazione del lavoro. Il programma letterario della sinfonia, oggi considerato parte integrante del processo creativo, fa riferimento al René di Chateaubriand, nel momento in cui descrive lo stato psicologico del giovane musicista, «affetto da quella malattia morale che un celebre scrittore ha definito vague des passions»; alla riscrittura in francese di De Musset delle Confessions of an English Opium Eater di De Quincey rimandano l’incontro dell’amata nel secondo movimento, Un bal, e la fosca visione generata dall’oppio nella Marche au Supplice; mentre l’episodio del Sogno della notte di Valpurga dal Faust di Goethe è alla base dell’ultimo movimento, Songe d’une Nuit du Sabbat. L’introduzione di Rêveries-Passions, un Largo, è un’apertura di sipario che carica di aspettative l’ascoltatore. Il tema è imparentato con la successiva idée fixe, immagine della donna amata e perno strutturale e drammatico di tutto il racconto sinfonico. L’episodio centrale interrompe la meditazione con uno slancio di euforia intrattenibile, per poi ricondurre al tema del Largo, variato grazie al ricamo in arpeggi dei violini. Quando la cadenza potrebbe condurre direttamente all’attacco dell’Allegro in Do maggiore, un lungo pedale di La bemolle dilata la transizione a scopo retorico, aumentando la tensione prima del movimento veloce. La presenza di un segno di ritornello all’interno dell’Allegro agitato e appassionato assai, fin dalla prima analisi di Robert Schumann, ha dato adito a riferimenti alla forma-sonata. Solo a partire dagli anni Settanta del 900 sono state presentate proposte interpretative divergenti, quali la forma ciclica e il rondò. Di fatto Berlioz, quando vuole, sa ben utilizzare il linguaggio ereditato dal sinfonismo classico-romantico; ma la presenza dell’idée fixe, per impatto emotivo e spesso per ruolo formale, prevale sulla presenza di materiali motivici secondari e sui meccanismi più rodati della tensione tonale tradizionale. In particolare, l’apparizione integrale dell’idée fixe sulla dominante, momento di stabilità tonale proprio laddove una sezione di sviluppo sonatistico prevederebbe il massimo della tensione, ha relativizzato le analisi legate alla forma-sonata. L’Allegro raggiunge in effetti l’acme molto più tardi, con la riaffermazione dell’idée fixe in Do maggiore, a piena orchestra e in valori ritmici diminuiti. 11 Berlioz ritratto da Émile Signol, 1832 Senza alcun dubbio il nostro tempo non ha prodotto un’altra opera in cui, come in questa, le relazioni simili di battuta e di ritmo siano state più liberamente unite e usate colle dissimili. La fine della frase non corrisponde quasi mai al principio, né la risposta alla domanda. Tutto ciò è così caratteristico di Berlioz, così naturale al suo carattere meridionale e così straniero a noialtri del Nord, che son ben da scusare e da spiegare la spiacevole impressione del primo momento e l’accusa d’oscurità. Schumann sulla Fantastica Come sai, nel mio gusto musicale ho superato prima di tutto Schumann e Mendelssohn, ho misconosciuto Liszt, poi l’ho adorato, poi l’ho ammirato più pacatamente; sono stato ostile a Wagner, l’ho guardato poi con stupefazione e infine mi sono scostato da lui, da buon latino; mi sono lasciato sopraffare da Berlioz e - cosa tra le più difficili - ho imparato a distinguere il buon Beethoven da quello cattivo. Ferruccio Busoni 12 Un episodio collocato nella zona considerata “sviluppo” appare concentrare al meglio l’alterità di Berlioz e a un tempo la sua vicinanza rispetto ai principi del sinfonismo tedesco. L’oboe è in primo piano con una melodia del tutto nuova, ma sotto questa linea si dipanano imitazioni delle viole e dei violoncelli, tutte formate dalla testa dell’idée fixe. Il risultato è una progressione in cui si perde per un istante la percezione di un centro tonale, ciò che genera quasi una sensazione di vertigine: è un episodio in cui il lavorio tematico e un oggetto sonoro estraneo si combinano e integrano. Le atmosfere mondane del secondo movimento, Un bal, sono introdotte da Berlioz con queste parole: «L’artista è portato dalle più diverse circostanze della vita nel mezzo del tumulto di una festa, nella pacifica contemplazione delle bellezze della natura; ma dappertutto, nella città, nei campi, l’immagine a lui cara viene a presentarglisi e a provocare turbamento nel suo animo.» Il ballo in questione è il valzer, con il quale viene costruita una struttura tripartita preceduta da un’introduzione e da una coda, quest’ultima di proporzioni tali da aver fatto parlare di sviluppo e di spostamento della climax verso la fine del movimento, come già accade nell’Allegro. L’idée fixe appare una prima volta nella sezione mediana, trascinata nel vortice del valzer, di cui assume il metro, e con il cui tema entra in contrappunto. Quando, nella coda, l’idée fixe compare una seconda volta, essa è limitata alle sue prime due frasi, ed è privata di un sostegno orchestrale, cosicché essa assume qui un valore più evocativo che di costruzione della struttura formale, come invece accaduto fino a questo momento. Situata al centro della composizione, la Scêne aux champs ne è l’unico movimento lento. In essa si esprime un sentimento di quieta immersione nella Natura, intesa – in senso rousseauiano – quale dimensione agli antipodi rispetto alla mondanità cittadina del Bal; un luogo di pace incontaminata, soggettivizzato attraverso l’immagine della donna amata. «Trovandosi una sera in campagna, egli sente da lontano due pastori che dialogano in un ranz des vaches; questo duo pastorale, il luogo della scena, il leggero stormire delle fronde dolcemente agitate dal vento, qualche motivo di speranza che ha concepito da poco, tutto concorre a rendere al suo cuore una calma inusuale, a donare alle sue idee un colore più sorridente. Egli riflette sul suo isolamento; spera di non essere presto più solo ... Ma se ella lo ingannasse! [...] Alla fine, uno dei due pastori riprende il ranz des vaches; l’altro non gli risponde più ... Rumore lontano di tuoni... solitudine... silenzio. » Che si voglia vedere in questo movimento una struttura tripartita o un tema con variazioni, i due eventi determinanti sono il “duo pastorale”, incarnato da oboe e corno – prima ancora che successione di frasi, rapporto tra oggetti sonori nello spazio; e la nuova funzione dell’idée fixe, che qui turba lo 13 sviluppo della placida e regolare melodia principale, presentandosi contemporaneamente a una nuova, corrusca linea degli archi bassi. Quest’ultima, aumentando in concitazione, prevarica sull’idée fixe interrompendola. Lo scenario si svuota, e al posto del secondo pastore, cioè del corno, si odono i timpani-tuoni, che preparano anche l’apertura, sempre affidata ai timpani, della Marche au Supplice. Questo e il movimento finale, Songe d’une nuit du Sabbat, sono presentati da Berlioz come visioni scaturite nella mente del musicista dall’assunzione dell’oppio. È su questo presupposto che si basa la loro dimensione così fortemente rappresentativa – dai tratti talora orrorifici – , cui fa riscontro un distacco più netto dai principi del sinfonismo, nonché una diversa prospettiva assunta dal soggetto narrante. L’elaborazione motivica cede in effetti il posto a un’organizzazione di eventi sonori volutamente frammentati e successivamente ricomposti in una logica formale, eventi che includono anche elementi “realistici”, quali campane, il canto sacro, marce. Quanto alla nuova posizione psicologica del soggetto, il giovane musicista, in seguito all’effetto dello stupefacente e al passaggio alla dimensione onirica, non vive più stati d’animo, ma situazioni, e diviene personaggio sdoppiato tra colui che sta sognando e immagine di sé stesso, vittima degli eventi, osservata dalla propria coscienza. «Avendo acquisito la certezza che il suo amore viene ignorato, l’artista si avvelena con l’oppio. La dose del narcotico, troppo debole per portarlo alla morte, lo fa sprofondare in un sonno accompagnato dalle più inquietanti visioni. Egli sogna di aver ucciso colei che amava, di essere condannato, condotto al supplizio e di assistere alla sua propria esecuzione. Il corteo avanza al suono di una marcia tanto cupa e selvaggia, quanto brillante e solenne, durante la quale un rumore sordo di passi gravi segue senza transizione agli scoppi più fragorosi. Alla fine della marcia, le quattro prime misure della idée fixe ritornano come un ultimo pensiero d’amore interrotto dal colpo fatale.» Il programma diviene qui più dettagliato, al punto che fin dal primo ascolto tutti gli elementi narrativi sono rintracciabili nel percorso sonoro: il rumore di passi nelle sestine dell’inizio, il corteo nell’austero e squadrato tema discendente degli archi bassi, poi ripresentato per moto contrario e contrappuntato da diverse contromelodie. Dopo il risuonare della marcia a piena orchestra, ha inizio un processo di frantumazione del primo tema, quello del corteo; fino a quando non compare l’idée fixe, che suonata senza accompagnamento prima della conclusione-esecuzione, è pura immagine emotiva. «Egli si vede in un sabba, nel mezzo di un’orribile folla di ombre, di streghe e di mostri di tutte le specie riuniti per i suoi funerali. Rumori estranei, gemiti, scoppi di risa, grida lontane alle quali sembrano rispondere altre grida. La melodia amata riappare ancora, ma essa ha perduto il suo carattere di nobiltà 14 e timidezza; non è più che un’aria di danza ignobile, triviale e grottesca: è lei che raggiunge il sabba... Fremiti di gioia al suo arrivo... ella si mescola all’orgia diabolica... rintocchi funebri... parodia burlesca del Dies irae, danza del sabba. La danza del sabba e il Dies irae insieme.» Dopo un’introduzione-sipario al Songe, l’idée fixe viene suonata dal clarinetto, ma essa ora è deformata in una sorta di tarantella; acciaccature e trilli rendono la sua nuova sembianza una smorfia demoniaca. L’arrivo dell’amata non è qui proiezione della mente, ma presenza reale all’interno del sogno: tanto più inquietante è la sua metamorfosi dallo slancio passionale del primo movimento allo sberleffo. Appena il tempo per uno scoppio dell’orchestra, poi la versione deforme dell’idée fixe torna completa, in una combinazione cameristica che è un esempio della maestria del Berlioz orchestratore: clarinetto in Mi bemolle e ottavino suonano la melodia, oboi e clarinetto in Do l’accompagnamento che marca il tempo composto, mentre fagotto e archi bassi dipanano semicrome in un fitto contrappunto ritmico. Da questo momento inizia la prefigurazione del tema della Ronde du Sabbat, presentato a frammenti, così da imprimersi nella memoria dell’ascoltatore prima che esso si concretizzi come materiale compiuto. L’enunciazione del Dies irae avviene prima nei canonici valori lunghi, poi diminuita e una terza volta contaminata dal modello grottesco della tarantella: la “melodia amata”, passata ormai per lo specchio deformante della coscienza alterata dall’oppio, è in grado di deformare a sua volta la sequenza medioevale. Finalmente il tema della Ronde assume la sua identità, dopo essere stato a lungo centellinato: esso è il soggetto di una Fuga, completa di controsoggetto. Una mutazione in forma cromatica del soggetto e il risuonare in pianissimo della sequenza danno luogo a un episodio di tensione graduata al massimo, che sfocia nella sovrapposizione del Dies irae e del tema della Ronde. A questo punto, raggiunto l’apice dissacratorio della Fantastique, il tema-soggetto di Fuga viene influenzato dal Dies irae, nel senso che viene riproposto in valori aumentati. Se l’idée in forma danzereccia influisce dunque sulla metamorfosi-irrisione del Dies irae, quest’ultimo, da parte sua, trasmette qualcosa della sua solennità alla Ronde: il sacro viene profanato, mentre la danza orgiastica si eleva ad adorazione del profano. 15 Coincidenze 1830 Berlioz, Sinfonia fantastica (1829-1830) Berlioz, Sardanapale, cantata Auber, Fra Diavolo Paganini, Quei giorni felici, per voce solista, coro e pianoforte; Concerti per violino n.4 e n.5; Moto Perpetuo, per violino ed orchestra Donizetti, Anna Bolena Bellini, I Capuleti e i Montecchi Glinka, Quartetto per archi Mendelssohn, Hebrides, ouverture da concerto; Sinfonia n.5 “La riforma”; Diciotto Lieder Chopin, Concerto per pianoforte n.1; Nove Mazurke per pianoforte (1830-1831); Notturno n.16 per pianoforte Schumann, Tema e Variazioni sul tema Abegg per pianoforte Liszt, Concerto per pianoforte (1830-1849) Scissione degli Stati Uniti di Colombia in tre stati: Ecuador, Colombia e Venezuela. Viene presentato a Carlo X di Francia l’indirizzo dei 221, per chiedere le dimissioni del ministero e l’introduzione in Francia di un regime parlamentare. L’esercito francese sbarca a Sidi Ferruj vicino ad Algeri e dà il via alla conquista dell’Algeria. A Parigi la Rivoluzione di Luglio costringe all’esilio Carlo X, sostituito con Luigi Filippo. Il Belgio proclama la sua indipendenza dai Paesi Bassi. Il 13 novembre a Genova, Giuseppe Mazzini viene arrestato e chiuso in carcere nella fortezza del Priamar di Savona. Rivolta di Novembre: i polacchi chiedono l’indipendenza dall’Impero russo. La Grecia diviene indipendente dall’Impero Ottomano. Istituita la prima linea ferroviaria Liverpool-Manchester, nel Regno Unito, lunga 14 Km. Viene fondata negli USA la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni. 1859 Wagner: Preludio e Morte di Isotta (Tristano e Isotta, 1857-1859) Meyerbeer, Dinorah, opera Liszt, Hamlet poema sinfonico; Die Ideale, per orchestra Verdi, Un ballo in maschera (prima rappresentazione) Brahms, Marienlieder, per coro a quattro voci miste; Quartetto d’archi n.1 e n.2 16 Saint-Saëns, Concerto per violino n.1 Bizet, Don Procopio Musorgskij, Marcia di Sciamie, per solista, coro ed orchestra; Improvviso appassionato per pianoforte Karl Marx pubblica Per la Critica dell’Economia Politica. Frédéric Mistral (Premio Nobel nel 1904) pubblica il poema Mirèio, interamente scritto in lingua provenzale. Ivan Turgenev dà alle stampe Nido di nobili, implacabile analisi della vita e dei misfatti della casta nobiliare russa. Bernhard Riemann pubblica un articolo in cui espone l’Ipotesi di Riemann. L’Austria dichiara guerra al Regno di Sardegna e la Francia dichiara guerra all’Austria; Napoleone III assume ad Alessandria il comando delle truppe sarde e francesi. Dal 20 maggio all’8 giugno si registrano diverse battaglie: Montebello con vittoria dei franco-piemontesi; San Fermo, vittoria dei Cacciatori e liberazione di Como; Palestro, vittoria di Vittorio Emanuele II; Turbino; Magenta; Boffalora; Melegnano. Vittorio Emanuele II e Napoleone III entrano a Milano. A Perugia i mercenari svizzeri di Pio IX abbattono il Governo Provvisorio che chiede l’indipendenza dallo Stato Pontificio e dopo essere entrati in città risalgono verso il centro massacrando sia i cittadini armati che le famiglie rifugiate nelle case. A seguito della Battaglia di Solferino si firma l’Armistizio di Villafranca tra Austria e Francia a cui aderisce il Regno di Sardegna. Con la Pace di Zurigo l’Austria cede la Lombardia alla Francia che la passa al Regno di Sardegna in cambio della Savoia e del Nizzardo. Esce il primo numero del quotidiano La Nazione, di Firenze. Inaugurazione della linea ferroviaria Piacenza-Bologna. Una sentenza della Corte di Cassazione francese vieta l’uso della lingua italiana in Corsica. Si registra la più grande tempesta solare che sia mai stata registrata da strumento umano. Il naturalista britannico Charles Darwin pubblica L’origine delle specie, un libro che sostiene che gli organismi si sono evoluti gradualmente attraverso la selezione naturale (la prima edizione verrà subito esaurita). Costruzione del primo pozzo di petrolio in Titusville (Pennsylvania, Stati Uniti). 1865 Verdi, Ballabili dal II atto, da Macbeth Nascono Dukas, Glazunov e Sibelius Thomas, Marcia religiosa, per orchestra Wagner, Tristan und Isolde (prima rappresentazione) Gounod, Chant des compagnons 17 Franck, La torre di Babele, oratorio Brahms, Trio per pianoforte, violino e corno Bizet, Ivan il Terribile, opera; Caccia fantastica, per pianoforte Dvorak, Sinfonie n.1 e n.2; Concerto per violoncello in la maggiore; I Cipressi, scritta per quartetto d’archi in seguito trascritta per voce e pianoforte; Quintetto per clarinetto Massenet, Suite per orchestra n. 1 Grieg, In Autunno, ouverture da concerto; Sonata per violino n.1 In Italia vengono approvate le leggi sull’unificazione amministrativa e giudiziaria, si diffondono le organizzazioni dei lavoratori, nel meridione si diffonde il colera. Vengono promulgati il primo codice civile e il codice del commercio. Termina la Guerra di secessione americana con la sconfitta degli Stati Confederati d’America. Negli Stati Uniti nasce il primo nucleo del Ku Klux Klan. Il Congresso degli Stati Uniti abolisce la schiavitù con il XIII emendamento. Abraham Lincoln, 16° presidente degli Stati Uniti, viene assassinato e viene nominato presidente Andrew Johnson. Gregor Mendel enuncia per la prima volta le sue leggi sull’ereditarietà. Rockfeller fonda nell’Ohio la sua prima raffineria di petrolio. Fonti: Cronologia universale, Roma, Newton Compton, 1996. Dizionario della musica e dei musicisti, Utet, 1994. www.musicweb.uk.net/Classpedia/index.htm 18 La Sinfonia fantastica nelle Memorie di Berlioz da: Hector Berlioz, Memorie, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1989 19 Berlioz Osservo innanzi tutto ch’io posso giudicare soltanto dalla riduzione per pianoforte, in cui però sono indicati gli strumenti nei passi più importanti. Ma se anche non vi fossero, tutto mi pare così orchestralmente intuito e pensato, ogni strumento è così chiaramente a suo posto, vorrei dire usato nella sua forza sonora, originale, che un buon musicista potrebbe, eccettuate, s’intende, le nuove combinazioni e i nuovi effetti orchestrali, in cui Berlioz si dice sia veramente geniale, riuscire a compiere lui stesso una discreta partitura. (...) Sebbene Berlioz trascuri il particolare e lo sacrifichi al tutto, egli attende però con molta cura a renderlo ingegnoso e finemente lavorato. Ma non spreme i suoi temi fino all’ultima goccia e non ci toglie, come spesso fanno gli altri, il piacere d’una bella idea con una noiosa modulazione tematica; egli s’accontenta di accennare che saprebbe compiere un lavoro più rigoroso, s’egli volesse, e al momento opportuno, schizzi brevi e ricchi di spirito. Egli esprime le sue più belle idee una volta sola, per lo più, e quasi come di passata. Schumann sulla Fantastica di Berlioz Berlioz fu il peggiore musicista fra i grandi compositori; possedeva un genio sorprendente, ma non era in grado di armonizzare un semplice valzer in maniera corretta. Maurice Ravel 20 Debbo ancora segnalare uno degli avvenimenti più rimarchevoli della mia vita: la strana e profonda impressione che ricevetti quando lessi per la prima volta il Faust di Goethe, tradotto in francese da Gerard de Nerval. Il meraviglioso libro mi affascinò fin dal primo istante; non lo abbandonai più; lo leggevo senza sosta, a tavola, a teatro, per la strada, dovunque. La traduzione in prosa conteneva qualche frammento in versi, canzoni, inni, ecc. Cedetti alla tentazione di porli in musica, e non appena venuto a capo di questa difficile impresa, senza aver prima inteso neanche una nota della mia partitura, ebbi la sciocca idea di farla stampare... a mie spese. Alcuni esemplari di quest’opera, pubblicati a Parigi con il titolo di Otto scene del Faust, si diffusero in tale forma. Ne arrivò uno tra le mani di Marx, il celebre critico e teorico di Berlino, che ebbe la bontà di scrivermi in proposito una lettera benevola. Questo insperato incoraggiamento, di provenienza tedesca per di più, come si può ben immaginare mi fece un immenso piacere; tuttavia non mi illuse troppo a lungo sui numerosi ed enormi difetti di quell’opera — anche se alcune idee mi parvero più tardi avere ancora un qualche valore, visto che le ho poi conservate, sviluppandole in modo completamente diverso, nella mia leggenda La dannazione di Faust — che, in fin del conti, era incompleta e scritta piuttosto male. A partire dall’istante in cui mi fui completamente convinto dell’esattezza del mio giudizio, mi affrettai a riunire tutti gli esemplari delle Otto scene del Faust che potei trovare e li distrussi. (...) Immediatamente dopo questa composizione sul Faust, e sempre sotto l’influenza del poema di Goethe, scrissi la mia Sinfonia fantastica, incontrando parecchie difficoltà in alcune parti, ma con una incredibile facilità in altre. Così l’adagio (Scena campestre), che impressiona sempre così profondamente il pubblico e me stesso, mi affaticò per più di tre settimane; lo abbandonai e lo ripresi due o tre volte. La Marcia al supplizio, al contrario, fu scritta in una notte. Comunque, nel corso di parecchi anni, ho apportato molti ritocchi ad entrambi questi brani così come a tutti gli altri della medesima opera. Il Théâtre des Nouveautés, che aveva allora cominciato da qualche tempo a rappresentare delle operas-comiques, disponeva di una orchestra più che buona diretta da Bloc. Costui mi convinse a proporre la mia nuova opera ai direttori di quel teatro e organizzare con loro un concerto allo scopo di farla ascoltare. Essi acconsentirono, sedotti esclusivamente dalla stranezza del programma della sinfonia, che parve loro atto a esercitare curiosità sulla folla. Ma, dato che aspiravo a ottenere una esecuzione grandiosa, invitai dall’esterno oltre ottanta artisti, i quali, insieme a quelli dell’orchestra di Bloc, venivano a formare un totale di centotrenta musicisti. Non vi erano strutture adatte a sistemare in modo conveniente una tale massa strumentale; non v’era nè l’arredo neces- 21 sario, nè le panche per sedersi e neppure i leggii. Con il sangue freddo tipico delle persone che non hanno la minima idea di quali siano le difficoltà, a tutte le mie domande in proposito i direttori rispondevano: «State tranquillo, metteremo a posto ogni cosa, disponiamo d’un macchinista intelligente». Ma quando arrivò il giorno della prova, quando i miei centotrenta strumentisti vollero disporsi sulla scena, non si seppe più dove metterli. Ricorsi all’espediente di sistemare la piccola orchestra in basso, fu tanto se i violini riuscirono a starci tutti. Sulla scena scoppiò un tumulto da fare diventar pazzo un autore anche più calmo di me. Si chiedevano i leggii, i falegnami tentavano di confezionare precipitosamente qualcosa che potesse prenderne il posto; il macchinista bestemmiava cercando i suoi spezzati e i suoi portanti; qui si gridava per delle sedie, lì per degli strumenti, di là per delle candele; mancavano corde ai contrabbassi; non v’era spazio per i timpani, ecc. L’inserviente dell’orchestra non sapeva più a chi dar retta; Bloc e io ci facevamo in quattro, in sedici, in trentadue; ogni sforzo fu vano! non si riuscì in nessun modo a ristabilire l’ordine, e si trattò così d’una vera e propria disfatta, un passaggio della Beresina dei musicisti. Nonostante ciò, Bloc, in mezzo a tutto questo caos, volle provare due brani, «per dare ai direttori — diceva — un’idea della sinfonia». Provammo alla bell’e meglio, con l’orchestra in completo fallimento, il Ballo e la Marcia al supplizio. Quest’ultimo brano suscitò tra gli esecutori clamori e applausi frenetici. E tuttavia il concerto non ebbe luogo. Spaventati da uno scompiglio simile, i direttori indietreggiarono di fronte all’impresa. Bisognava fare dei preparativi troppo considerevoli e troppo lunghi; non avevano idea che occorressero tante cose per una sinfonia. E tutto il mio piano venne rovesciato per mancanza di leggii e di qualche panca... Fu a partire da quel momento ch’io cominciai a preoccuparmi tanto del materiale dei miei concerti. Conosco fin troppo bene a quanti e a quali disastri si può andare incontro per colpa della minima negligenza a riguardo. (dal cap. XXVI) Malgrado le pressanti richieste che indirizzai al ministro dell’Interno perché mi dispensasse dal viaggio in Italia, al quale m’obbligava la mia qualità di laureato dell’Istituto, dovetti rassegnarmi a partire per Roma. Tuttavia non volli lasciare Parigi senza avere prima riproposto al pubblico la mia cantata Sardanapalo, il cui finale era stato precipitato negli abissi al momento dell’assegnazione dei premi dell’Istituto. Di conseguenza organizzai un concerto al Conservatorio, nel quale quest’opera accademica figurò al fianco della Sinfonia fantastica, che ancora non era stata mai intesa. Habeneck 22 s’incarico di dirigere questo concerto per il quale tutti gli esecutori, con una disponibilità per la quale non potrò essere mai abbastanza grato, mi prestarono per la terza volta la loro collaborazione gratuita. Fu alla vigilia di quel giorno che Liszt venne a trovarmi. Non ci conoscevamo ancora. Gli parlai del Faust di Goethe, ch’egli mi confessò di non avere ancora letto, e per il quale si appassionò poi quanto me. Provammo una viva simpatia reciproca, e da quel momento il nostro legame non ha fatto che stringersi e consolidarsi di più. Assistette a questo concerto, facendosi notare da tutto l’auditorium per i suoi applausi e il suo entusiasmo. Senza dubbio l’esecuzione non era priva di difetti: con due sole prove non si poteva certo ottenere una perfetta resa di opere tanto complesse. Nell’insieme tuttavia fu sufficientemente buona perché di esse si intendessero almeno le linee essenziali. Tre brani della sinfonia, Il Ballo, La marcia al supplizio e Il Sabba, fecero una sensazione enorme. In particolare, La marcia al suppizio sconvolse la sala. La Scena campestre non produsse invece alcun effetto. E’ ben vero ch’essa somigliava ben poco a quel che è oggi. Presi immediatamente la risoluzione di riscriverla, e Ferdinand Hiller, che allora si trovava a Parigi, mi diede a riguardo preziosi consigli dei quali ho cercato di profittare. La cantata fu eseguita correttamente; l’incendio prese fuoco, il crollo ebbe luogo; il successo fu grandissimo. Qualche giorno dopo gli aristarchi della stampa si pronunciarono con passione, chi a favore, chi contro di me. Ma i rimproveri che mi rivolgeva la critica ostile, in luogo di indirizzarsi sui difetti palesi e reali delle due opere ascoltate nel corso del concerto, difetti assai gravi e ai quali ho poi posto rimedio nella sinfonia, con tutta la cura di cui son capace, rielaborando la mia partitura per parecchi anni, questi rimproveri, dicevo, cadevano quasi tutti a sproposito. Si indirizzavano vuoi su delle idee assurde che mi si attribuivano e che io non ho mai avute, vuoi sull’asprezza di alcune modulazioni che non esistono, vuoi sull’inosservanza sistematica di alcune regole fondamentali dell’arte che avevo religiosamente osservate e sull’assenza di alcuni procedimenti musicali che erano impiegati esclusivamente in quei passaggi dove per l’appunto ne veniva negata la presenza. Del resto, debbo confessarlo, anche i miei partigiani mi hanno ben spesso attribuito delle intenzioni assolutamente ridicole, ch’io non ho mai avuto. A partire da quel momento, il numero delle insensatezze, delle follie, delle stravaganti sistematizzazioni, delle sciocchezze e degli abbagli che son stati dispensati dalla critica francese per esaltare o fare a pezzi le mie opere, supera tutto quello che si può immaginare. Due o tre uomini soltanto hanno fin dall’inizio parlato di me con una saggia e intelligente riserva. Ma i critici chiaroveggenti, dotati di 23 Una caricatura di Gustavo Doré del 1850: Berlioz dirige una sua opera 24 sapere, di sensibilità, di immaginazione e di imparzialità, capaci di giudicarmi con giusto metro, di apprezzare esattamente la portata dei miei tentativi e l’indirizzo del mio spirito, non sono oggi tanto facili da trovare. In ogni caso non esistevano affatto nei primi anni della mia carriera: d’altronde le rare e imperfette esecuzioni dei miei saggi avrebbero lasciato loro parecchio da indovinare. Quanto vi era allora in Parigi di giovani dotati di un po’ di cultura musicale e di quel sesto senso che si usa chiamare il senso artistico, che fossero o no dei musicisti, mi comprendeva meglio e più in fretta di questi freddi prosatori pieni di vanità e di pretenziosa ignoranza. I professori di musica, le cui opere ottuse venivano aspramente attaccate e derise da qualche procedimento del mio stile, cominciarono ad avermi in orrore. Li esasperava soprattutto la mia empietà riguardo taluni dogmi scolastici. E Dio sa se vi è qualcosa di più violento e accanito di un simile fanatismo. Si può ben immaginare quale collera dovessero causare a Cherubini le questioni eterodosse sollevate a mio riguardo, e tutto quel rumore di cui io ero la causa. I suoi fidi gli avevan fatto il resoconto dell’ultima prova dell’abomimevole sinfonia; l’indomani Cherubini stava passando davanti alla porta della sala dei concerti nel momento stesso in cui vi entrava il pubblico, quando qualcuno, fermandolo, gli disse: «Ebbene, signor Cherubini, non venite a sentire l’ultima composizione di Berlioz?». «Non ho bisogno d’andare a imparare quel che non si deve fare, io!» rispose, coll’aria di un gatto al quale si vuol fare ingoiare della mostarda. (dal cap. XXXI) 25 Interpreti Gianandrea Noseda ha assunto la carica di Direttore Musicale del Teatro Regio di Torino a partire dal Settembre 2007, suggellando così una relazione artistica di grande successo iniziata con Il matrimonio al convento di Prokofiev nel 2004 e proseguita con il Don Giovanni nel 2005 e con Rusalka di Dvorak nel 2007. Nella sua prima stagione ha diretto Falstaff e una sconvolgente nuova produzione di Salome per la regia di Robert Carsen mentre porterà per la prima volta i complessi del Teatro Regio in tournée in Germania, primo passo di una serie di impegni internazionali che culmineranno con la residenza in Giappone nell’estate del 2010. Chief Conductor della BBC Philharmonic di Manchester dopo quattro stagioni come Principal Conductor, Gianandrea Noseda era diventato nel 1997 il primo Direttore Ospite Principale straniero nella storia del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo; tra gli incarichi assunti in questi anni ricordiamo quello di Direttore Principale dell’Orquesta de Cadaqués in Spagna dal 1998, di Direttore Ospite Principale della Rotterdam Philharmonic tra il 1999 e il 2003 e di Primo Direttore Ospite dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI dal 2003 al 2006. Dal 2001 è inoltre Direttore Artistico delle Settimane Musicali di Stresa e del Lago Maggiore. Nato a Milano, dove ha compiuto gli studi musicali di pianoforte, composizione e direzione d’orchestra, Gianandrea Noseda ha già diretto le maggiori orchestre del mondo: negli Stati Uniti la Filarmonica di New York e le orchestre sinfoniche di Pittsburgh, Cincinnati e Boston, in Canada la Toronto Sym- 26 phony e la Montreal Symphony, in Inghilterra la City of Birmingham Symphony Orchestra e la Chamber Orchestra of Europe, in Scandinavia la Swedish Radio Symphony, la Oslo Philarmonic, la Finnish Radio Symphony e la Danish Radio Symphony, in Francia l’Orchestre National du Capitole de Toulouse e l’Orchestre National de France, in Germania la Deutsches-Symphonie Orchester di Berlino, in Italia l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e la Filarmonica della Scala. In Giappone dirige regolarmente la Tokyo Symphony e la NHK Symphony. Con la Filarmonica di Israele ha debuttato nel Giugno 2007. Nel Maggio 2008 ha debuttato con la London Symphony Orchestra al Barbican Center; ha diretto i complessi del Teatro Mariinskij in tournée e a San Pietroburgo, in nuove produzioni di opera e di balletto; intensa è la collaborazione con la Metropolitan Opera di New York. Come Direttore Principale della BBC Philharmonic, registra a Manchester per Radio 3, dirige alla Bridgewater Hall, si presenta ogni anno ai PROMS di Londra. Con il Ciclo completo delle Sinfonie di Beethoven trasmesse in diretta radiofonica dalla BBC nel giugno 2005, Gianandrea Noseda e la BBC Philharmonic hanno compiuto un’impresa che ha cambiato le modalità della comunicazione della musica classica: quasi un milione e mezzo di utenti che hanno scaricato le Nove sinfonie dalla rete. Quest’anno è stata la volta delle Sinfonie di Ciaikovskij e di Schumann, che la casa discografica Chandos Records, in collaborazione con la BBC, ha messo in linea sul proprio sito a disposizione del pubblico di tutto il mondo. Registra in esclusiva per l’etichetta Chandos: oltre 15 i titoli registrati che vanno da Prokofiev, Respighi, Karlowicz, Dallapiccola, Dvorak a Sho- stakovich, Liszt, Smetana e Mahler. Per Deutsche Grammaphon ha inciso con la Filarmonica di Vienna il primo album del soprano Anna Netrebko. L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai è nata nel 1994: i primi concerti furono diretti da Georges Prêtre e Giuseppe Sinopoli. Jeffrey Tate è stato Primo Direttore ospite dal 1998 al 2002, assumendo quindi il titolo di Direttore onorario. Dal 2001 al 2007 Rafael Frühbeck de Burgos è stato Direttore principale. Nel triennio 2003-2006 Gianandrea Noseda è stato Primo Direttore ospite. Dal 1996 al 2001 Eliahu Inbal è stato Direttore onorario dell’Orchestra. Altre presenze significative sul podio dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai sono state quelle di Carlo Maria Giulini, Wolfgang Sawallisch, Mstislav Rostropovic, Myung-Whun Chung, Riccardo Chailly, Lorin Maazel, Zubin Mehta, Yuri Ahronovitch, Marek Janowski, Dmitrij Kitaenko, Aleksandr Lazarev, Valery Gergiev, Gerd Albrecht, Yutaka Sado, Mikko Franck. L’Orchestra tiene a Torino regolari stagioni concertistiche, affiancandovi spesso cicli primaverili o speciali: fra questi fortunatissimo quello dedicato alle nove Sinfonie di Beethoven dirette da Rafael Frühbeck de Burgos nel giugno 2004. Dal febbraio 2004 si svolge a Torino il ciclo Rai NuovaMusica: una rassegna dedicata alla produzione contemporanea che si articola in concerti sinfonici e da camera. L’Orchestra svolge una ricca attività discografica, specialmente in campo contemporaneo. Dai suoi concerti dal vivo sono spesso ricavati cd e dvd. Numerosi premi e riconoscimenti sono stati conferiti all’OSN sia in ambito discografico, sia per produzioni e rassegne specifiche. 27 28