FILOLOGIA E STORIA NEGLI STUDI DANTESCHI
DI ALDO VALLONE
Nella Premessa metodologica, che apre il suo recente volume di Ricerche dantesche (Lecce, Milella 1967), mentre fa ancora una volta il
punto sulla necessità di un' indagine unitaria, sincronico - diacronica, dell'intera opera di Dante dalla Vita Nuova alla Commedia, volta cioé
ad abbracciare la complessa vicenda della genesi e dello sviluppo dei motivi psicologici, dei temi culturali, dei problemi di pensiero e di poesia
che maturano nella coscienza dell'uomo e dell'artista in una dinamica di
rapporti col proprio tempo non meno che con la riflessione sul passato,
Aldo Vallone dà ragione della propria attività ventennale di studioso di
Dante, nella duplice direzione di filologo e di storico dell'esegesi, con un
richiamo assai illuminante al primo maestro dello storicismo dell'età moderna, il meridionale Giambattista Vico. Scrive il Vallone: « Una lettura
dell'opera di Dante, che tenga conto della complessità dei temi e della
loro flessione nell'umano sentire del poeta, accerta anche la contemporaneità... di momenti ed idee, di modi e toni pur nel variare delle forme e
delle strutture delle opere. Una lettura di questo genere è pertanto possibile se si assumono come centro lo spirito di Dante e come fine l'interpretatio traducendoli sul piano della storia e della filologia. L'una e l'altra,
queste, o ambedue insieme valgono vichianamente come dimensioni critiche di un unico sentire, perché la filologia avvera la sua validità con le
ragioni della storia e questa si accerta con l'autorità di quella ». Nel qual
contesto teorico-metodologico, vengono chiaramente denunciati due precisi intendimenti: l'assunzione della validità della tradizione filologica del
più robusto ceppo fiorentino di Michele Barbi, da proseguire e arricchire
sulla base degli orientamenti storico-culturalistici che hanno trovato in
Bruno Nardi il più aperto e agguerrito sostenitore ed esponente; l'assimilazione di quella nuova e rivoluzionaria specie di filosofia perenne che
è appunto lo storicismo d'impronta meridionale, alieno dalle fossilizzazioni e schematizzazioni di ogni genere per essere e rimanere metodo di
intelligenza scientifica al di sopra di ogni strumentalizzazione tendenziosa,
compresa quella di ordine estetico. In tal senso, alcune enunciazioni del
Vico non hanno rimesso nulla del loro valore: intelligere è leggere perfettamente, conoscere apertamente, e viene detto di « chi va raccogliendo, di
una cosa, tutti gli elementi atti ad esprimere un'idea perfettissima », che
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il Vallone qui riporta e cui potrebbe aggiungersi l'altra sulla natura delle
cose che « altro non è che nascimento di esse in certi tempi e certe guise,
le quali sempre che sono tali, indi tali e non altre nascon le cose ». Per
noi, poi, questo richiamo al Vico nella metodica filologica del secondo
dopoguerra pare rivestire lo stesso senso di radicale rinnovamento che nel
'campo della storiografia e della critica letteraria ha assunto la maggiorere consapevolezza di un ulteriore « ritorno al De Sanctis ». Non bastava infatti liquidare la vecchia critique des sources nella sua pretesa di
chiarire un'epoca, un momento della storia umana quale il momento fermato dalla fantasia di un poeta o dalla struttura ideologico-tecnica di un
artista; la vera illuminazione muove dall'interno del testo e insieme dall'individualità, spirituale culturale e sociale, dello scrittore e dalla particolarità della sua epoca. Nel capitolo sulla Scuola italiana di filologia testuale (nel fondamentale libro del '53: La critica dantesca contemporanea), il Vallone associa le vicende della nuova filologia di fronte al filologismo, in quanto corso storico e polemico, come sostanzialmente identiche a quelle della critica estetica di fronte all'estetismo e della critica
storica di fronte all'eruditismo. Associazione scopertamente indiziaria
dei tre momenti della cultura letteraria italiana di un secolo, nei quali
non si dovrebbe stentare a individuare altrettanti momenti di una progressiva e diversa involuzione della coscienza storica nell'esercizio della
letteratura e della critica, non separabile dal parallelo processo d'involuzione dell'intera vita nazionale, ma che insieme acquista il significato
di una prospettiva teorico-metodologica di accorto e sollecito sincretismo,
come la via maestra, oggi, di una filologia che sia insieme critica e di una
critica che sia insieme storia. Nel settore degli studi danteschi poi, la
prospettiva si apre su un cammino di esegesi veramente sterminato,
che Aldo Vallone viene ripercorrendo e ricostruendo con una compiutezza mai prima raggiunta, dal dantismo romagnolo a quello pugliese,
dalle chiose dei più antichi lettori alla restaurati° dell'antica vulgata del
Petrocchi, in un corpus di ricerche tra testi editi ed inediti che sembra
nato e via via articolarsi all'insegna della sfida a non lasciare angolo della penisola e postilla la più elementarmente linguistica del più oscuro
amatore del Sei o del Settecento, che non trovino la loro giustificazione
e destinazione di milieu o di gusto, di ideologia o di estetica, di scuola
o di moda. L'interpretazione di Dante passa attraverso questo cammino,
che è lento, tortuoso, intricato, di secolo in secolo, sino alla prima grande
sintesi tentata dal Vico, ma sempre interessante e stimolante, come aveva
già intuito il Carducci.
Dello studioso pugliese sono usciti quest'anno altri tre volumi che
raccolgono saggi e contributi filologici e storico-critici, apparsi in riviste
e miscellanee dal 1960 ad oggi: Ricerche dantesche già citate, Capitoli pascoliano-danteschi (Ravenna, Longo), La prosa del Convivio (Firenze, Le
Monnier) che vanno integrati, per respiro d'indagine e ampiezza d'i n teres451
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se, da due estratti del 1966: Correnti letterarie e studiosi di Dante in Puglia (Foggia, Quaderno della Capitanata) e Il latino di Dante (Rivista di
cultura classica e medievale, Anno VIII, n. 2-3). La nostra rassegna si limita agli aspetti più personali e metodologicamente più risentiti nel quadro della vasta operosità dantesca del Vallone, che pertanto va tenuta
presente per la frequenza dei nessi discorsivi e documentari cui si rinvia
nei saggi e contributi in parola: particolarmente La cortesia dai provenzali a Dante del '50, gli Studi sulla Divina Commedia del '55, La critica
dantesca nell'Ottocento del '58, La critica dantesca nel Settecento del '61,
gli Studi su Dante medievale del '65, gli Aspetti dell'esegesi dantesca nei
secoli XVI e XVII attraverso testi inediti del '66, i quali tutti concorrono
a rilevare la linea sempre più sicura e più consapevole dell'area di esplorazione valloniana, filologica e storico-esegetica.
Ne La componente federiciana della cultura dantesca (in Ricerche),
lavoro assai apprezzato dal Nardi, il Vallone ripropone il problema delle fonti del pensiero politico di Dante nei termini di una
ascendenza federiciana e svevo-meridionale, che si spinge assai oltre la
consueta e tradizionale impressione di una suggestione profonda ma
frammentaria, esercitata nell'animo del poeta dalle immagini precocemente mitiche del secondo Federico, del regale solium e di Manfredi;
del pensiero politico e religioso, delle ragioni dottrinarie e polemiche
dei due principi laici, si alimenta l'ispirazione stessa della Commedia,
che in sé rifonde e allarga temi e tensioni del Convivio, delle Rime magnanime, del De Monarchia. L'ideale di una cultura operativa, la visione laica della vita, la pratica di una letteratura e di una scienza, svincolate, con accentuata fermezza, dalla retorica e dall'astrattismo, l'esaltazione della regione a fondamento del vivere civile, definiscono una
temperie culturale di rottura che va anzitutto contrassegnata dagli
scritti, trattatelli ed epistole, dei due Svevi, accendono di non minore
violenza, come di non minore fede, la loro passione umana e intellettuale, in un'età che già segnava le profonde incrinature del trapasso a
un'altra epoca, mentre accusava la crisi interna delle istituzioni e delle
opinioni dominanti. Questa « componente federiciana », sostanziale e
non marginale, costante e non passeggera, matura e affretta l'evoluzione della concezione etico-politica e della ragione poetica di Dante, dalla
fase lirico-letteraria della Vita Nuova e delle Rime a quella filosoficoculturale del Convivio e del De Vulgari Eloquentia, sino al momento
della meditazione politico-giuridica della Monarchia, per risolversi nell'universale e conclusa visione della Commedia, insieme letteraria, filosofica, religiosa e politica, che ha bruciato le punte dell'effimero e del
contingente cotidiano, senza tuttavia perdere in efficacia e validità di
proposte e soluzioni non meno drammatiche e tumultuose. Nel personaggio di Ulisse, quale « espressione di dignità e di indipendenza del
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sapere », lo studioso vede compendiarsi l'essenza della componente federiciana.
Al filone della cultura dantesca riconduce ancora il saggio sul
XXV della Vita Nuova, per ribadirne, con altri studiosi, i limiti, nella sfera dell'esperienza giovanile del libretto, ma nel contempo indicarne il carattere di predisposizione psicologica alle più larghe e spericolate avventure di una fame di sapere insoddisfatta ma non rassegnata, nell'arco che giunge alle soglie del Poema. Nello stesso volume milelliano, una « ricerca >>, più propriamente storica, è dedicata alla Linea
esegetica di Benvenuto, Landino e Vellutello, a proposito della quale,
come del resto delle altre « ricerche », va osservato che la caratterizzazione dell'interesse per Dante, nelle sue forme più diverse e più diversamente significative, è sempre connessa, nel discorso del Vallone, alla
particolarità di un milieu, nazionale o provinciale che sia, sì da consentire, attraverso i riflessi d'interferenze, una caratterizzazione, di più
largo ordine culturale e letterario, dei vari tempi storici della dorsale
dell'esegesi dantesca. Così, tra il 1375, l'anno delle lezioni del Benvenuto, il 1481, che vide la pubblicazione del commento del Landino, e il
1554 l'anno dell'edizione del Vellutello, insorge un nuovo tipo di interesse dantesco sul terreno di una cultura in via di profonda trasformazione, che investe anche gli ordinamenti politico-sociali, ne sposta
radicalmente le angolazioni e le ambizioni. La nascente filologia umanistica definisce in Benvenuto l'intenzione, pur timida e quasi ignara,
del distacco dall'erudizione strumentalizzata del lettore medioevale; il
platonismo rinascimentale della Firenze laurenziana, nel commento del
Landina, lievita di accenti più spiccatamente laici, di una interiorità di
adesione fortemente etica ma non più metafisica; l'edizione del Vellutello rivela la più scaltrita coscienza storica, il più acuto senso critico nella considerazione delle età trascorse, tra cui l'epoca di Dante.
Sono i tre momenti di uno sviluppo storico-culturale e politico-sociale
che vede l'aristotelismo scolastico dell'età comunale cedere al platonismo dell'età signorile e questo al classicismo del pigro aristotelismo di
ritorno del Rinascimento, retoricamente espresso dalla cristallizzazione delle regole e politicamente dallo stadio avanzato della situazione
di crisi della Penisola. I rimandi di glosse dall'uno all'altro, dal Vellutello al Landino e da] Landino a Benvenuto, sono assai più costanti di
quanto dalla diversità culturale dei tre tempi si sarebbe dovuto attendere, ma ad essi si accompagnano anche indicazioni di gusti e tendenze differenziate e innovatrici, largamente esaminate dal Vallone, che
restituiscono questa linea esegetica come una delle « più suggestive e
valide della critica e della filologia dantesca ». Allo stesso clima letterario si ritorna ancora nello scritto su l'Eneide di Caro e la Commedia,
nel quale il dantismo del traduttore appare allo studioso come segno
di una mutata sensibilità linguistica che non disdegna l'amalgama del-
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la tradizione petrarchesca e di quella dantesca, di là dalle restrizioni di gusto del medio petrarchismo dell'epoca e del canone di Pietro Bembo.
Il volume delle Ricerche comprende anche altre tappe di questo
cammino dell'esegesi, tra Sei e Settecento, tappe oscure e pretenziose
di postillatori o di sprovveduti patiti, su cui il Vallone concentra via
via quel più o meno tenue filo di luce che esse meritano, non certo per
l'intrinseco valore, solitamente assai scarso, ma per trarne elementi,
pur modesti e marginali, di una sequenza esegetica rivelatrice di una
condizione storica di generale decadimento, o sviamento letterario che
sia, pur dopo le illuminanti sollecitazioni del Borghini e la Difesa di
Dante di Jacopo Mazzoni, ritenuto dal Vallone il contributo più rigoroso e più ricco di quello scorcio del secolo XVI. Al limite della parabola,
lo storico incontra la proliferazione accademico-gesuitica delle traduzioni della Commedia in latino, non risparmiata neppure di pesanti
censure e cesoie, nei cui confronti tanto diversamente più significative
appariranno le traduzioni dialettali dell'Ottocento.
Con Correnti letterarie in Puglia e Capitoli pascoliano-danteschi,
al panorama della critica dantesca dell'Otto e Novecento, già ampiamente percorso dal Vallone nei noti volumi specifici, si aggiunge qualche dettaglio di rilievo, un rafforzamento di aggancio o saldatura tra
i vari anelli portanti dell'esegesi moderna e contemporanea. Spesso il
dantismo delle regioni periferiche, pur nato da umori di cenacoli provinciali, batte il tempo della corrente ufficiale e, quanto meno, ne scopre la natura della disponibilità alle deformazioni della moda. Così,
l'Ottocento pugliese è legato alla scuola napoletana del Puoti, del De
Sanctis, del Settembrini, anche se la lezione dei maestri passa necessariamente attraverso equivoci talvolta grossolani. Dalla scuola del
Puoti escono insieme interpreti in chiave teologico-cattolica e interpreti d'orientamento laico-politico: come Vito Fornari, il maggiore assertore pugliese della tesi del neoguelfismo dantesco, o Saverio Baldacchini, incline a un troppo arrischiato eclettismo ma non insensibile al fascino dello storicismo desanctisiano, o Giovanni Bovio, il più
accanito esponente della polemica antiecclesiastica dello spirito di Dante. Il breve cammino della fortuna di Dante in Puglia si conclude con
la ben più massiccia e incisiva opera dello Zingarelli, che ha il potere
di riportarlo al più rigoroso livello scientifico, nel solco della critica
storica del Carducci e D'Ancona sino ai primi avvisi della nuova filologia instaurata dal Barbi.
Al quale clima dell'Italia centrale riconduce la materia dei Capitoli.
Sorvolando sui limiti, abbastanza noti, della prospettiva critico-metodologica dei tre grossi volumi danteschi del poeta di Myricae, cui
peraltro va riconosciuto il merito, piuttosto raro in quel giro d'anni,
dell'organicità e della ampiezza del discorso serratamente unitario e
largamente ambizioso, l'attenzione del Vallone è rivolta qui ai lavori
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minori del Pascoli, per lo più trascurati, e ne trae l'immagine di un
dantismo, non più stravagantemente simbolico e lirico-autobiografico,
ma aderente alla realtà nazionale delle rivendicazioni tardorisorgimentali e comune alla fantasia critica di un Carducci come al nazionalismo
dei carducciani: cioè, del vate della nazione rinnovellata, del padre della generazione mazziniana, della voce più possente della libertà del
nostro popolo, e via dicendo. Ma non è senza significato che, a far
rientrare il Pascoli nell'alveo dell'esegesi più effimera, e insieme ufficiale, quella patriottarda (è assai curioso il paragone tra Dante e Garibaldi), non è la meditazione del critico e dello studioso, pur al rimorchio dell'ala di un poeta che vuole sovrapporsi a un altro poeta, ma l'improvvisazione dell'oratore di turno in occasioni più o meno clamorose
della società nazionale.
Il volumetto su La prosa del Convivio (uscito nella Bibliotechina
del Saggiatore, diretta da Migliorini) ripresenta, col conforto di nuovi
scandagli e riscontri, un problema non nuovo della filologia dantesca,
i cui estremi risalgono all'affermazione dello stesso Dante, che, distinguendo la prosa della Vita Nuova « fervida e passionata » da quella del
Convivio « temperata e virile », sembra insinuare il presupposto di un
giudizio di valore, che tuttavia per alcuni tornerebbe a vantaggio del
libretto giovanile: « convienmi che con più alto stilo dea, ne la presente opera, un poco di gravezza, per la quale paia di maggiore autoritade » (Conv. I, IV, 13).
Il Vallone, sviluppando conclusioni ormai acquisite (di Terracini,
Segre, Sapegno, Contini) sulla diversità stilistica più che sul divario
estetico dei due modelli di prosa, insiste particolarmente a rilevare le
ragioni tematiche di tale diversità stilistica e a ricondurle a un itinerario di espressione strutturale, sempre più complesso, parallelo al
cammino impetuoso della mente di Dante. La tematica di fondo « trepidamente angosciosa » del Convivio investe l'intera area della personalità di Dante, e perciò appartiene alla « biografia morale » del poeta,
che già vede, nella scienza e nel dibattito civile delle grandi idee del
tempo, il segno della più vera vita morale di una coscienza operante e
non più lirico-contemplativa. Donde, secondo la proposta del Vallone,
l'opportunità di un'indagine non solo nell'interno degli sviluppi della
prosa latina del Medioevo, al fine di cogliere le fasi di un'evoluzione
che è espressivo-stilistica (dalla Vita Nuova al De vulgari eloquentia,
attraverso tutte le mediazioni retoriche e storico-culturali di derivazione neolatina) ma, contemporaneamente, ideologico-poetica (dalle
Rime alla Commedia): « se il « Convivio sorge sulla Vita Nuova... la
Commedia postula il Convivio ».
All'individuazione di quelle mediazioni retoriche e storico-culturali,
che saldano in un medesimo processo di formazione stilistica Vespe55
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rienza latina e quella volgare nella personalità di Dante, è dedicato il
lungo studio sul Latino di Dante, i cui risultati ribadiscono la fisionomia medievale della prosa latina di Dante ma ne afferrano anche i
tratti marcatamente personali, danteschi, per quella assoluta identità
di pensiero ed espressione, di Dante che pensa e di Dante che parla (secondo la nota immagine del Contini), che poi è il Dante del Poema.
N ICOLA CARDUCCI
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