CAPITOLO 1
Katon, koton.
La semplice sedia girevole di legno faceva suoni regolari mentre si muoveva avanti e indietro.
La tenue luce autunnale filtrava dalla cima di un cipresso. Una brezza gentile increspava la superficie di un
lago vicino.
La sua guancia era posata sul mio petto, respirava tranquilla mentre si addormentava.
Il tempo, pieno di aurea tranquillità, continuava a scorrere lentamente.
Katon, koton.
Feci ruotare la sedia e accarezzai con dolcezza la guancia della ragazza dai capelli castani. Sebbene fosse
ancora addormentata, un sorriso si profilò sul suo volto.
Un gruppo di folletti giocavano nel giardino. La bistecca di manzo ribolliva rumorosamente in cucina. Avrei
voluto che la vita pacifica in questo mondo, in questo angolino di foresta sperduto, durasse per sempre. Ma
sapevo che si trattava di un desiderio impossibile.
Katon, koton.
Al rumore delle gambe della sedia, le sabbie del tempo fluivano granello dopo granello.
Strinsi a me la ragazza, come a voler resistere al fato.
Ma le mie braccia strinsero solo aria.
Spalancai subito gli occhi. Il suo corpo che fino a poco fa era appoggiato contro il mio, era sparito, svanito
nel nulla. Mi alzai in piedi e mi guardai intorno.
Proprio come il sipario sul set di un teatro, i colori del tramonto presero a farsi improvvisamente più scuri.
L’oscurità più totale dipinse di nero la foresta.
Mi ersi nel vento invernale, chiamando il suo nome.
Nessuna risposta. Né nel giardino in cui giocavano le fate, né nella cucina: lei non era più da nessuna parte.
Prima che me ne rendessi conto, l’intera casa era finita nell’oscurità. Le pareti della casa, e tutto quello che
c’era dentro, cominciarono a disfarsi come fossero fatte di carta. Rimanemmo solo io e la sedia in questa
oscurità. La sedia continuò a fare avanti e indietro anche se non c’era seduto nessuno.
Katon, koton.
Katon, koton.
Chiusi gli occhi, presi fiato, e feci del mio meglio per chiamare il suo nome.
I miei occhi si riaprirono. Non sapevo se avessi chiamato il suo nome in sogno o nella realtà.
Steso sul letto, richiusi gli occhi desiderando di tornare all’inizio del mio sogno. Ma gettai subito la spugna, e
riaprii gli occhi. Era ora di affrontare la realtà.
Al posto delle pareti bianche dell’ospedale vidi delle sottili cortine di legno. Ero steso su un soffice letto
coperto da lenzuola candide invece che sul letto gelatinoso dell’ospedale.
Questa era la mia stanza — quella di Kirigaya Kazuto nel mondo reale.
Sollevai la parte superiore del corpo per dare un’occhiata. La stanzetta aveva un insolito pavimento di legno.
Nella stanza c’erano solo tre componenti: un computer, un router, ed il letto su cui ero seduto.
Sul router era poggiato un casco dall’aria molto familiare.
Il suo nome era «Nerve Gear», un’interfaccia per l’immersione VR totale che mi aveva reso prigioniero di un
mondo virtuale per ben due anni. Dopo una battaglia lunga e sanguinosa, avevo sconfitto la macchina, ed
ero tornato a toccare la realtà con tutto il mio essere.
Sì, ero tornato.
Ma la ragazza che aveva combattuto insieme a me, e alla quale avevo dato il mio cuore era...
Sentii una fitta di dolore al petto, spostai lo sguardo dal Nerve Gear e mi rialzai. Osservai un orologio
appeso al muro. Il pannello integrato al muro mostrava chiaramente sia l’ora che la data.
Domenica, 19 Gennaio, 2025. 7:15 AM.
Erano passati già due mesi dal mio ritorno nel mio mondo reale, ma ancora non riuscivo ad abituarmi al mio
aspetto. Sebbene lo spadaccino Kirito e Kirigaya Kazuto avessero lo stesso identico aspetto, non avevo
ancora ripreso completamente peso, ed il mio corpo ossuto sotto la maglietta aveva un aspetto decisamente
fragile.
Mi accorsi allo specchio che stavo piangendo, quindi asciugai le mie lacrime.
"Sono diventato un piagnone... Asuna."
Borbottai spostandomi verso la grande finestra che si affacciava a sud. Aprii le tende con entrambe le mani,
e la pallida luce invernale inondò la mia stanza di giallo spento.
***
Kirigaya Suguha era molto felice mentre passeggiava nel giardino ghiacciato, così aumentò il passo.
La neve che era caduta due giorni fa non si era ancora sciolta del tutto, e l’aria di metà gennaio era molto
fredda.
Si fermò sulla sponda di un laghetto, coperto da un sottile strato di ghiaccio, e posò lo shinai che aveva nella
mano destra contro il tronco nero di un pino. Per riprendere fiato, fece alcuni respiri profondi, poggiò
entrambe le mani contro le ginocchia e cominciò a fare stretching.
I suoi muscoli, ancora tutti indolenziti per lo sforzo, si allentarono gradualmente. Per prima cosa le ginocchia,
poi sentì un formicolio familiare quando il sangue prese a scorrere nei polpacci e nelle caviglie.
Suguha si allungò in avanti fino a toccare le punte dei piedi con le mani, piegando gradualmente la
schiena— finché si fermò di colpo. Il ghiaccio sul lago rifletteva quello che aveva davanti.
I suoi capelli corti, tagliati fino alle sopracciglia, le arrivavano fino alle spalle, erano neri con venature blu. Le
sopracciglia erano folte e dello stesso colore, e sotto di esse, brillavano due occhi dallo spirito indomabile. Il
tutto le dava un aspetto lievemente da maschiaccio. Il dōgi bianco tradizionale ed il suo hakama nero non
facevano altro che accentuare il tutto.
――Come pensavo... Io non assomiglio affatto... al mio onii-chan...
In quei giorni era un pensiero che l’aveva assillata spesso. Quel pensiero le veniva tutte le volte che si
guardava allo specchio nel bagno. Non era insoddisfatta del suo aspetto, anzi non le interessavano affatto
certe cose. Ma da quando suo fratello Kazuto era tornato a casa aveva preso inconsciamente a fare quei
paragoni.
――Non serve a nulla continuare a pensarci.
Suguha scosse la testa e riprese a fare stretching.
Dopo aver finito riprese il suo shinai che aveva appoggiato contro il tronco di un pino. Lo strinse, sentendone
il tocco familiare di un oggetto utilizzato molte volte. Poi si mise in una posa stabile.
Fece un lungo respiro, mantenendo la posa— poi improvvisamente, con vigore, colpì in avanti con il suo
shinai. Il movimento fluido sembrò tagliare l’aria del mattino e spaventò un gruppo di uccelli che si levò dalla
cima del pino.
La casa della famiglia Kirigaya era una casa giapponese tradizionale in una stradina del quartiere sud di
Saitama. La famiglia per intero viveva lì fin dai tempi del nonno dei Kirigaya, che era morto quattro anni fa,
ed era una persona famosa per essere rigida e vecchio stampo.
Aveva servito nella polizia per tanti anni ed era stato un famoso atleta di kendo durante la sua gioventù.
Aveva sperato che il suo unico figlio, cioè il padre di Suguha, seguisse le sue orme praticando il kendo. Suo
padre aveva brandito lo shinai fino alle superiori, ma poi aveva mollato tutto per studiare in America e alla
fine aveva trovato lavoro in una compagnia assicurativa straniera. Dopo essere stato trasferito al ramo
giapponese, conobbe e poi sposò la madre di Suguha, Midori, ma continuò a viaggiare spesso per lavoro
per tutto l’Oceano Pacifico. All’epoca, il nonno di Suguha aveva già spostato il suo interesse verso di lei e
Kazuto.
Suguha e suo fratello vennero iscritti al vicino dojo di kendo durante il periodo delle elementari. Ma a causa
dell’influenza di sua madre, editrice di una rivista per computer, suo fratello si innamorò delle tastiere
piuttosto che degli shinai e lasciò il dojo dopo due anni. Tuttavia, Suguha non era come il fratello. Aveva
scoperto una vera passione per il kendo e continuò anche dopo la morte di suo nonno.
Suguha adesso aveva quindici anni. L’anno scorso aveva fatto così tanta strada nei tornei scolastici da poter
gareggiare a livello nazionale. In primavera, era stata accolta da una delle più prestigiose scuole di tutta la
prefettura.
Però――
In passato non aveva mai perso il suo sentiero. Le piaceva un sacco il kendo: non solo ripagava le
aspettative di chi credeva in lei, ma la rendeva davvero felice.
Tuttavia due anni fa, quando suo fratello venne coinvolto nell’incidente che scosse tutto il Giappone, nel suo
cuore si svegliò un tumulto. Era pentita. Da quando aveva sette anni e suo fratello aveva mollato il kendo, tra
i due si era formata una certa distanza, e Suguha si era pentita moltissimo di non essersi sforzata per
colmarla.
Suo fratello dopo aver posato il suo shinai passava le giornate tra i computer, come assetato di tecnologia.
Assemblò una macchina con materiali di scarti e si fece aiutare dalla madre a programmarlo quando andava
ancora alle elementari. Per Suguha, le cose di cui parlava erano come una lingua straniera.
Ovviamente, a scuola Suguha aveva imparato le basi dell’informatica e aveva un piccolo computer in
camera sua. Tuttavia, le sue conoscenze si limitavano esclusivamente allo scambio di e-mail e alla
navigazione sul web; per lei era impossibile comprendere il mondo in cui viveva suo fratello. Soprattutto per
quando riguardava l’universo di RPG in rete di cui suo fratello era dipendente, che invece a lei non erano
mai piaciuti. Da allora aveva dovuto indossare una maschera, perché le sembrava impossibile interagire con
persone che come suo fratello che si erano alienate in quel modo dalla vita reale.
Sin dall’infanzia, Suguha e suo fratello condividevano una relazione più simile a quella di migliori amici. Ma
quando suo fratello la abbandonò per un mondo differente dal suo, Suguha soffocò la sua solitudine
votandosi al kendo. La distanza tra loro due aumentò in fretta, e le loro conversazioni quotidiane
diminuirono; prima che Suguha se ne rendesse conto, la loro relazione era scesa a quella di meri conoscenti
legati da vincoli di sangue.
Ma a dire il vero, Suguha si sentiva sempre sola. Voleva parlare di più con suo fratello. Avrebbe voluto
conoscere il suo mondo, e che lui fosse presente alle sue competizioni.
Tuttavia, proprio quando trovò la forza di esprimere quei desideri, accadde l’incidente.
L’incubo nominato "SWORD ART ONLINE": diecimila giocatori da tutto il Giappone vennero confinati in un
lungo simile ad una gabbia elettronica.
Suo fratello fu ricoverato in un grande ospedale di Saitama. Poi, quando Suguha andò a trovarlo...
Quando vide suo fratello in coma, assicurato al letto da una moltitudine di corde, e con quel casco
spaventoso, Suguha scoppiò a piangere. Era la prima volta che piangeva. Si strinse alla madre e pianse
forte.
Forse non avrebbe mai più potuto parlare con lui. Perché non aveva provato prima a ricucire le distanze con
lui? Non sarebbe stato difficile; per lei sarebbe stato possibile.
Fu allora che cominciò a pensare se fosse il caso di proseguire con il kendo e quali fossero i suoi sentimenti.
Ma era così persa da non riuscire a trovare una risposta. Nel corso del suo quattordicesimo e quindicesimo
anno, durante i quali non aveva potuto rivedere suo fratello, Suguha era entrata alle superiori su consiglio di
chi aveva intorno, ma i dubbi che si portava dentro non volevano saperne di spegnersi.
Se suo fratello si fosse svegliato, di certo gli avrebbe parlato un sacco questa volta. Si sarebbe libearata di
tutta quella confusione ed ansia, e gli avrebbe rivelato i suoi pensieri con franchezza. Poi, due mesi prima,
dopo la decisione di Suguha, ecco accadere il miracolo. Suo fratello aveva demolito quella maledizione ed
era tornato. E da allora, la relazione con suo fratello era cambiata molto. Suguha aveva sentito da sua
madre Midori che Kazuto non era davvero suo fratello, bensì un cugino.
Suo padre Minetaka era figlio unico, ma sua madre Midori aveva sorella più giovane morta in un incidente;
tuttavia, Suguha non ne aveva mai saputo nulla. Perciò, quando Suguha seppe che Kazuto era il figlio della
sorella di sua madre, sentì di aver perso qualcosa e non sapeva più che tipo di relazione tenere con lui.
Dovevano mantenere un po’ di distanza? Dovevano rimanere come prima? Non aveva idea di come vedere
questa nuova situazione.
...Già. C’è una cosa che non cambierà mai...
Mentre Suguha pensava a tutto questo, fece scattare il suo shinai come a voler interrompere la sua linea di
pensieri. Era troppo spaventoso per lei continuare a fare quei pensieri, quindi aumentò gli esercizi per
cercare di distrarsi.
Quando li ebbe terminati, l’angolo da cui proveniva il sole mattutino si era spostato molto. Si asciugò il
sudore dalla fronte, posò il suo shinai, e si voltò verso casa sua...
"Ah..."
Nel momento in cui guardò in quella direzione, Suguha si immobilizzò immediatamente.
Non si era accorto che Kazuto, che era seduto nel cortile con una maglietta, stava guardando verso di lei.
Quando i loro sguardi si incrociarono, lui sorrise e disse:
"Buongiorno."
Con quelle parole, le lanciò una bottiglietta di acqua minerale. Suguha la prese con la mano destra e
rispose:
"B-Buongiorno.... Se mi stavi osservando, potevi dire qualcosa."
"Ma sembravi così concentrata."
"Non proprio, sono sempre così."
Suguha era segretamente felice che riuscissero a parlare così facilmente in questi due mesi. Scelse un
posto alla destra di Kazuto, a debita distanza, e si sedette. Poggiando lo shinai, prese la bottiglia e bevve un
sorso; l’acqua fresca le scese nella gola rinvigorendola.
"Ho capito, ti sei alzata presto per fare pratica..."
Kazuto prese lo shinai di Suguha e lo agitò da seduto. Inclinò immediatamente la testa e aggiunse sorpreso:
"E’ leggero..."
"Eh?"
Suguha allontanò la bottiglia dalla bocca e osservò Kazuto.
"E’ fatto di vero bamboo, quindi in realtà è piuttosto pesante. E’ cinquanta grammi più pesante di quello in
carbonio."
"Ah, uh capisco. Questo... è solo un mio giudizio... ma se si tratta di far paragoni..."
Kazuto prese la bottiglia dalle mani di Suguha e si affrettò a bere l’acqua rimanente.
"Ah..."
Suguha arrossì senza accorgersene. Mise il broncio e disse infastidita.
"C-Che paragoni fai?"
Kazuto posò a terra la bottiglia vuota e si alzò senza rispondere.
"Ehi, ti va di fare pratica insieme a me?"
Stupita, Suguha osservò Kirito negli occhi.
"Intendi... una sfida?"
"Sì."
Kazuto annuì come se fosse ovvio, anche se non aveva il minimo interesse per il kendo.
"E le protezioni...?"
"Hmmm, non dovrebbe succedere nulla se non le indossiamo... ma meglio evitare che Suguha si faccia
male. Penso che le protezioni del nonno siano ancora da qualche parte, quindi andiamo al dojo."
"Oooh."
Suguha dimenticò immediatamente la sua esitazione e si chiese cosa lo spingesse a volere quel duello;
sorrise e aggiunse:
"Non sei troppo ottimista? Vuoi competere con una finalista ai tornei nazionali? E poi..."
Poi cambiò espressione.
"Il tuo corpo reggerà...? Non dovresti esagerare..."
"Hehe, ti mostrerò i risultati della riabilitazione giornaliera alla palestra."
Kazuto rise e si avviò verso il retro della casa. Suguha lo seguì in fretta.
La casa dei Kirigaya era piuttosto grande, e ospitava persino un dojo di kendo. Avevano rispettato la volontà
del nonno e non l’avevano demolito, quindi Suguha lo usava per gli allenamenti quotidiani: lo teneva
rigorosamente in ordine e vi teneva dentro tutto il materiale.
I due entrarono nel dojo a piedi scalzi, fecero un inchino e si prepararono. Fortunatamente, il fisico del nonno
era molto simile a quello di Kazuto; le protezioni gli calzavano quasi a pennello. Quando si allacciarono i
caschi, i due si misero al centro del dojo e si inchinarono di nuovo.
Suguha si alzò lentamente dalla sua posizione, strinse forte il suo shinai preferito, e assunse una posa
solida. Nel frattempo, Kazuto—
"C-Cos’è quella posa, onii-chan?"
Disse Suguha senza riuscire a trattenersi, alla vista della posizione di Kazuto. “Strana” era l’unica parola
adatta per descriverla. Il piede sinistro era proteso in avanti, la vita era bassa, e lo shinai nella mano destra
era tenuto a rovescio, con la punta che quasi toccava per terra. La mano sinistra era solo appoggiata
sull’elsa come per bellezza.
"Se ci fosse un arbitro si sarebbe arrabbiato sul serio."
"Questa è la mia posa."
Suguha fece un lungo respiro e riprese la sua posa. Kazuto allungò la distanza tra i suoi piedi abbassando
ulteriormente il suo baricentro.
Suguha pensò di scattare e colpire con un affondo non esageratamente forte per chiudere in fretta. Ma la
strana posa di Kazuto la rendeva insicura. Sebbene ci fosse più di un’apertura, non se la sentiva di sfruttarla.
Quella posa sembrava piuttosto il risultato di anni di esperienza—
Ma non era possibile. Kazuto aveva brandito lo shinai solo per due anni prima di mollare. Quindi poteva aver
imparato quella posa solo durante il gioco.
Come se avesse notato l’insicurezza di Suguha, Kazuto iniziò a muoversi in fretta. Scattò in avanti come se
stesse pattinando e sollevò violentemente il suo shinai verso l’alto, dal lato destro. Non era una velocità
sorprendente, ma data la sua tempestività, Suguha dovette reagire di riflesso. E con il suo piede destro
sollevato,
"Kote!!"
Suguha calò sul braccio sinistro di Kazuto. Avrebbe dovuto colpirlo con precisione millimetrica, ma il colpo
tagliò solo l’aria.
Aveva schivato miracolosamente. Kazuto aveva rimosso la mano dall’elsa stringendolo verso di sé. Ma era
possibile? Presa di sorpresa, Suguha arretrò, e lo shinai di Kazuto continuò ad avanzare. Lei riuscì a
schivare appena.
Nel frattempo cambiarono entrambi posizione, guardandosi in faccia e riprendendo le distanze, così Suguha
cambiò radicalmente atteggiamento. Una tensione piacevole le riempiva le membra, il sangue le ribolliva in
corpo. Questa volta toccava a Suguha prendere l’iniziativa. Il suo preferito, un colpo all’avambraccio—
Ma anche stavolta, Kazuto lo schivò. Tirò indietro il braccio, fece una giravolta, e lasciò che lo shinai di
Suguha passasse senza arrecar danni. Suguha era stupita. I suoi colpi veloci erano il fiore all’occhiello del
suo club, e lei non ricordava che qualcuno fosse mai riuscito a schivare così facilmente i suoi attacchi.
Facendo sul serio, Suguha iniziò un assalto feroce. La punta dello shinai si muoveva talmente veloce da far
fermare il respiro a chiunque. Ma Kazuto schivava e schivava. Il suo sguardo vigile lasciava intendere che
aveva già capito alla perfezione i movimenti dello shinai di Suguha.
Irritata, Suguha chiuse le distanze stringendo il suo shinai contro quello di Kazuto. Contro le gambe ed il
torso ben allenati di Suguha, Kazuto cominciò ad arretrare per effetto del suo pressing. Senza lasciarlo
scappare, Suguha colse l’occasione per dare il colpo finale sull’elmetto di Kazuto.
[
"Men!!"
'Ah', Suguha se ne accorse troppo tardi. Non aveva trattenuto il suo attacco, e colpì con forza tremenda la
griglia metallica del casco di Kazuto. Bashiin! Nel dojo risuonò un colpo secco e metallico.
Kazuto continuò ad arretrare per un po’ prima di fermarsi.
"S-Stai bene, onii-chan!?"
Chiese Suguha in apprensione. Kazuto agitò leggermente la mano sinistra per far vedere che stava bene.
"...Ah, ho perso. Sugu è proprio forte; Heathcliff non è niente in confronto a te."
"...Stai davvero bene...?"
"Sì. Il match è concluso."
Dopo aver detto quello, Kazuto fece qualche passo indietro e poi altri movimenti strani. Agitò lo shinai a
destra e sinistra, poi lo portò dietro la schiena e fece un verso, "hyuhyun". Dopodiché si raddrizzò e si grattò
la testa dietro la maschera, che risuonò in modo strano. Tutto questo fece preoccupare non poco Suguha.
"Ah, ti ho colpito in testa..."
"N-No!! Sono solo vecchie abitudini..."
Dopo essersi scambiati un inchino, Kazuto si sedette con una postura formale e prese a slegarsi la
maschera.
I due lasciarono il dojo insieme, andarono in bagno, e si lavarono il sudore dalla faccia. Lei intendeva solo
giocare un po’; non si sarebbe mai immaginata di fare sul serio.
"Comunque sono davvero sorpresa. Onii-chan, quando hai fatto pratica?"
"Eh, quei miei schemi di attacco... sembra che le mie abilità con la spada non siano granché senza
l’assistenza del sistema."
Ancora una volta, Kazuto borbottò qualcosa priva di senso.
"Ma è stato davvero divertente. Forse dovrei ricominciare il kendo..."
"Davvero!? Davvero!?"
Suguha si illuminò improvvisamente e cominciò a premere per ottenere una risposta.
"Sugu, ti piacerebbe insegnarmi?"
"O-Ovvio! Ci alleneremo insieme!"
"Però dovremo aspettare che i miei muscoli si riprendano."
Kazuto annuì, e Suguha sorrise felice. Il pensiero di tornare ad allenarsi insieme la riempiva letteralmente di
gioia.
"Ehi... Onii-chan... Io..."
Sebbene non capisse come mai Kazuto mostrasse di nuovo interesse verso il kendo, era davvero felice, e
voleva parlargli del suo nuovo interesse. Tuttavia, cambiò idea in fretta e ingoiò le parole.
"Uhm?"
"Ecco, immagino che per ora dovrà rimanere un segreto."
"Ma come!?"
I due si asciugarono la faccia e pori rientrarono in casa dalla porta sul retro. Sua madre Midori lavorava
sempre di mattina, quindi Suguha e Kazuto facevano a turno per preparare la colazione.
"Vado a farmi una doccia. Onii-chan hai piani per oggi?"
"Ah... Oggi, vado... Vado all’ospedale..."
"..."
L’allegria di Suguha crollò quando sentì la sua risposta.
"Capisco, vai a far visita a quella persona."
"Ah... è l’unica cosa che posso fare a questo punto."
Quella persona era la più importante per lui nell’altro mondo, e Suguha lo aveva sentito direttamente da lui
un mese prima. All’epoca, Suguha era nella stanza di Kazuto; i due erano seduti vicini, e Kazuto reggeva
una tazza di caffè mentre le spiegava. La Suguha di prima non avrebbe mai potuto credere che delle
persone potessero innamorarsi in un mondo virtuale. Ma adesso poteva crederci eccome. E poi— ogni volta
che Kazuto parlava di quella persona, gli occhi gli si riempivano di lacrime.
Kazuto aveva detto che erano rimasti insieme fino all’ultimo. Loro intendevano tornare nel mondo reale
insieme. Ma mentre Kazuto si era svegliato, quella persona continuava a dormire. Non era successo nulla—
o forse era successo qualcosa e nessuno sapeva nulla. Sin da allora, ogni volta che aveva un po’ di tempo,
Kazuto andava a farle visita all’ospedale ogni tre giorni.
Suguha poteva vederlo chiaramente: Kazuto, seduto di fronte a quella persona dormiente, mentre le
stringeva la mano come una volta aveva fatto lei con lui, chiamandola senza stancarsi. Quando vide quella
scena, nel suo cuore sorse una sensazione indescrivibile. Il suo petto si stinse dolorosamente, e le sembrò
mancare il respiro. Si strinse le mani al petto e si sedette dove si trovava.
Voleva che Kazuto tornasse a sorridere. Da quando era tornato da quel mondo, si era aperto agli altri. Aveva
cominciato a parlare di più con Suguha. Era diventato anche più gentile e non faceva più domande strane.
Le sembrava di essere tornata ai giorni dell’infanzia. Poi capì quanto doveva essere importante per lui quella
persona, dopo aver visto le sue lacrime. A quel punto cercò di persuadersi.
――Però, ho già capito...
Mentre Kazuto chiudeva gli occhi per pensare a quella persona, Suguha sentiva che il suo cuore non
riusciva a smettere di soffrire, come se non riuscisse a nascondere un altro sentimento.
Mentre osservava Kazuto versarsi del latte in un bicchiere e poi berlo, Suguha si disse nella mente.
――Ehi, onii-chan. Io, lo so già.
Il fratello adesso era diventato un cugino; eppure Suguha non riusciva a spiegarsi come potesse essere
finita così.
Ma qualcosa era cambiato. Anche se non ci aveva pensato molto fino a quel momento, un piccolo segreto
continuava a ribollire nel suo cuore.
Forse era possibile che le piacesse il suo onii-chan; ma se era solo quello, allora non c’era niente di male.
***
Dopo essermi lavato, mi cambiai i vestiti e saltai sulla bici che avevo comprato un mese fa. In bici, i 15 km
che mi separavano dalla mia destinazione non erano pochi, ma era un ottimo esercizio per il mio corpo.
Il mio viaggio mi aveva portato presso un nuovo ospedale costruito nei sobborghi della città di Tokorozawa,
prefettura di Saitama.
All’ultimo piano dell’ospedale: era lì che riposava lei.
Due mesi fa, al 75° piano di «Aincrad», avevo sconfitto l’ultimo boss «Spada Sacra» Heathcliff, e così
facendo avevo completato il gioco. Dopodiché mi sono svegliato in una camera di ospedale. Ero tornato nel
mondo reale.
Ma lei, la mia partner, la persona più importante per me, Asuna il «Lampo», non era tornata.
Non era stato difficile scoprire dove si trovasse. Immediatamente dopo essermi ripreso in un ospedale a
Tokyo avevo lasciato la stanza, vagando con passi malfermi, ma venni subito riportato indietro dalle
infermiere. Dieci minuti dopo, un uomo in giacca e cravatta venne a farmi visita tutto affannato. Disse di
essere un funzionario del «Ministero degli Interni — Divisione Contromisure SAO».
A quanto pare quell’organizzazione aveva scoperto subito l’incidente di SAO, ma nei due anni passati non
avevano potuto fare nulla. Era inevitabile. Se avessero manomesso senza troppi complimenti il server
principale del gioco, senza prima riuscire a sabotare le contromisure di Kayaba Akihiko, la mente dietro quel
disastro, diecimila persone si sarebbero viste friggere il cervello. Nessuno voleva assumersi una tale
responsabilità.
Piuttosto, si occuparono di monitorare le condizioni delle vittime ricoverate negli ospedali. La loro unica
speranza — una luce minuscola, e un incarico enorme — era controllare le informazioni sui giocatori tramite
i server in cui venivano custoditi i dati.
Fu così che riuscirono a seguire i miei progressi sulla linea del fronte, conoscendo il mio livello, la mia
posizione, nonché il mio ruolo fondamentale nel «Gruppo di Testa» che tentava di vincere Sword Art Online.
Quindi, nel momento in cui i giocatori di SAO si risvegliarono in tutto il paese, funzionari del Ministero
accorsero nella mia stanza per capire meglio cosa stesse succedendo.
Rivelai la mia versione all’uomo con gli occhiali da sole e l’abito scuro che avevo di fronte. Gli avrei detto
tutto quello che voleva sapere, ma in cambio avrebbero dovuto fare lo stesso.
Ovviamente, quel che mi interessava sapere era la posizione di Asuna. Dopo qualche minuto al telefono,
l’uomo si rivolse a me con espressione confusa.
"Yuuki Asuna è stata ricoverata in una struttura ospedaliera ad Tokorozawa. Però, non si è risvegliata ... non
solo lei, 300 altri si devono ancora svegliare in tutto il paese."
All’inizio ritenevano che fosse dovuto ad un lag di sovraffollamento del server. Ma le ore erano diventate
giorni e Asuna ancora non si era ripresa.
Se il piano del defunto Akihiko Kayaba potesse ancora essere operativo o meno non seppi dirlo, ma non ci
credevo. Ricordavo ancora la fine di Aincrad, immerso nel cielo al tramonto.
Lo aveva ammesso. Avrebbe lasciato andare tutti i giocatori ancora vivi. E poi, non aveva motivi per mentire.
Si era lasciato svanire insieme a quel mondo, ed io ci credevo fermamente.
Tuttavia, o per un incidente, o per volontà di qualcuno, il server di SAO, che sarebbe dovuto essere stato
completamente formattato e resettato, era ancora operativo. Il Nerve Gear di Asuna non faceva eccezione.
Cosa fosse successo non sapevo dirlo, Ma se, se... se... se fossi potuto tornare in quel mondo una volta
sola—
Se Suguha avesse saputo cosa avevo fatto allora, si sarebbe arrabbiata. Lasciai un messaggio, entrai nella
mia stanza, misi il Nerve Gear e mi collegai al client di SAO. Ben presto però, comparve un messaggio,
«Errore: impossibile raggiungere il server».
Una volta terminata la mia riabilitazione, riacquistai la mia libertà di movimento, e da allora facevo visita
regolarmente ad Asuna.
Erano momenti molto difficili. Il pensiero che la cosa più importante per me mi era stata portata via era più
doloroso di qualsiasi ferita fisica o mentale. A maggior ragione adesso che inerme come un bambino.
Continuando il mio viaggio di 40 minuti, pedalando piano, lasciai la strada maestra e imboccai una salita
collinare. Un edificio enorme mi apparve davanti. Era una clinica privata.
La guardia all’ingresso, ormai un volto noto per me, non si scomodò a chiedermi il motivo della visita.
Parcheggiai la mia bici in un angolo dell’enorme parcheggio. Al primo piano c’era l’accettazione, che
sembrava più la reception di un albergo di lusso, dove mi diedero il pass da visitatore. Lo appuntai al mio
petto e presi l’ascensore.
In pochi attimi raggiunsi il diciottesimo piano, l’ultimo. Camminai per il corridoio deserto. Su questo piano
c’erano molti ricoverati a lungo termine, ma non c’era molta gente in giro. Finalmente, alla fine del corridoio
vidi una porta verde chiaro. Sulla parete accanto alla porta c’era una targhetta con un nome.
«Yuuki Asuna», sotto il display c’era una fessura. Presi il mio pass e lo passai nella fessura. La porta scorse
di lato con un suono elettrico.
Entrando nella stanza, venni accolto dal profumo fresco di fiori. La stanza era decorata con fiori freschi che
mal si addicevano alla stagione invernale. L’interno di quella stanza era delimitato da tende, che scostai con
cura.
"Per favore, fa che si svegli—" Toccai il tessuto, pregai per un miracolo, e scostai le ultime tende.
Un’unità di terapia intensiva praticamente uguale a quella in cui ero stato ricoverato – persino il materasso
era lo stesso. I raggi del sole illuminavano delicatamente il viso di Asuna. Se non lo avessi saputo bene,
avrei creduto che stesse solamente dormendo.
Quando la visitai per la prima volta, ebbi questo pensiero: si sarebbe arrabbiata se la fossi venuta a trovare
così? Tali preoccupazioni erano presto evaporate. Era davvero troppo bella.
I suoi capelli castani colavano come acqua sul materasso bianco; la sua pelle bianchissima, con le guance
rosee.
Dal collo alla clavicola, il suo aspetto era identico a quello dell’altro mondo. Labbra rosse. Lunghe
sopracciglia, che tremavano come se si potessero riaprire da un momento all’altro. Se non fosse stato per
quel casco.
Nerve Gear. I suoi tre LED lampeggiavano come stelle lontane, a riprova del suo funzionamento. Persino
adesso la sua anima era intrappolata in quel mondo. Presi la sua manina delicata con entrambe le mie. La
sensazione che mi diede era la stessa delle altre volte. Trattenni il fiato cercando disperatamente di non
piangere...
"Asuna..."
Il suono della sua sveglia mi riportò alla realtà. Senza rendermene conto, era già mezzogiorno.
"Devo andare, Asuna. Tornerò presto."
Venni allertato dal rumore delle porte che si aprivano, e spostai la mia attenzione sui due uomini che erano
entrati.
"Oh, Kirigaya-kun. Mi spiace per l’intrusione."
Un uomo più anziano si fece avanti con espressione seria e composta, posando la scheda che aveva in
mano nel suo taschino. Dal suo aspetto sembrava una persona affidabile, ma sprazzi di capelli grigi erano il
risultato di due anni di pena per sua figlia. Era il padre di Asuna, Yuuki Shouzou. Avevo saputo da Asuna
che suo padre era un imprenditore, ma non fece niente per ammorbidirmi la sorpresa quando mi disse di
essere il CEO della compagnia elettronica «RECTO».
Abbassai leggermente la testa e gli dissi.
"Salve. Mi spiace di essere entrato, Yuuki-san."
"Non è nulla, non è nulla. Visto che vieni così spesso, dovrei essere io quello che si scusa per l’intrusione.
Sono certo che anche a lei farebbe piacere."
Si avvicinò al cuscino di Asuna, accarezzandole i capelli mentre le fissava il viso. Poco dopo, mi presentò
l’uomo che era venuto con lui.
"Lui è una persona nuova. E’ il direttore del nostro istituto di ricerca, Sugou-kun."
La mia prima impressione di lui fu assolutamente positiva. Era alto, indossava un completo grigio scuro, con
un paio di occhiali dalla montatura gialla ben adagiati sulla punta del naso. I suoi occhi erano nascosti dietro
le lenti, ed un sorriso perpetuo completava il quadro. Immaginai che avesse sì e no 30 anni.
Allungò la mano e disse:
"E’ bello conoscerti. Io sono Sugou Nobuyuki. Tu devi essere Kirigaya-kun, l’eroe."
"Kirigaya Kazuto. Piacere di conoscerla."
Strinsi la mano di Sugou e guardai di nuovo Yuuki Shouzou che si reggeva la testa con una mano, stanco.
"A proposito di quello, mi spiace. Il server di SAO è già stato chiuso. E’ proprio uno di quegli incidenti dal
sapore cinematografico. Per me è come un figlio. Da un po’ di tempo, non ha nemmeno contatti con la sua
vera famiglia."
"Presidente, questa storia è—"
Sugou abbassò la mano, voltandosi verso Shouzou per parlare.
"Il mese prossimo, voglio annunciarlo a tutti."
"Davvero? Ma è davvero sicuro? Lei è ancora giovane, si può dire che la sua vita sia appena iniziata..."
"Ormai ho deciso. Voglio approfittarne finché Asuna è ancora giovane e bella... e farle indossare l’abito
nuziale."
"Sembra che ci abbia pensato a lungo."
"Con questo, tolgo il disturbo. Arrivederci, Kirigaya-kun."
Annuì con la testa verso di me, si voltò ed uscì dalla porta, chiudendola dietro di se. Gli unici a rimanere
nella stanza eravamo Sugou ed io.
Sugou Nobuyuki si avvicinò lentamente al letto, stando davanti a me. Strinse i capelli castani di Asuna,
facendoli frusciare. Mi diede la nausea.
"Quando eri nel gioco, vivevi con Asuna, vero?" Domandò Nobuyuki-san.
"...uhm.."
"In questo caso, la nostra relazione potrebbe essere un po’ complicata."
Sugou alzò lo sguardo, e i nostri occhi si incrociarono. In quel momento, mi resi conto che la mia prima
impressione di quell’uomo era lontanissima dalla realtà.
Dietro le lenti, le sue pupille sembravano dei sanpaku, e le labbra erano arricciate in un sorriso. Le due cose
mi misero una strana ansia. Sentii il sudore freddo.
"Riguardo quel che ho appena detto..."
Sugou mi rivolse un sorriso annoiato.
"Parlavo del mio matrimonio con Asuna."
Non riuscii a dire una sola parola. Cosa aveva appena detto? Le parole di Sugou erano state per me come
una ventata d’aria gelida. Dopo qualche attimo di silenzio tombale, riuscii a dire, "Credi che io te lo permetta
così facilmente?"
"Oh, decisamente sì. Ricevere il suo assenso nelle sue condizioni è decisamente fuori questione. Sulla
carta, sono un figlio adottivo della famiglia Yuuki. In realtà, lei mi odia da un bel po’ di tempo."
Le dita di Sugou accarezzarono le labbra di Asuna.
"Fermo!"
Afferrai la mano di Sugou, allontanandola dalla faccia di Asuna.
Poi aggiunsi anche, "Bastardo... intendi approfittarti della condizione di Asuna?!"
"Approfittare? No no, tutto questo è nei limiti legali. Onestamente, Kirigaya-kun, lo sai cos’è successo alla
compagnia che ha creato SAO, la «Argus»?"
"Ho sentito che hanno chiuso."
"Corretto. I costi di sviluppo e i danni derivanti dall’incidente li hanno mandati sul lastrico, così alla fine sono
finiti in bancarotta. Quindi, da allora la manutenzione del server principale di SAO è sotto la responsabilità
del dipartimento di tecnologie FulDive della RECTO FullDive. Ergo, il mio dipartimento."
Dall’altro lato del letto, Sugou mi guardò ancora. Mi rivolse un sorriso demoniaco, e allungò un dito verso la
guancia di Asuna.
"Te lo dico ora, lei è ancora viva perché io l’ho permesso. Quindi, non pensi che meriti una ricompensa per i
miei sforzi? O mi sbaglio?"
Sentendo quelle parole non potei che convincermi ancora di più.
L’uomo voleva sfruttare la condizione di Asuna per i propri fini.
Voltandosi e mantenendo lo sguardo fisso su di me, il sorriso sparì dal suo volto. In ogni caso, parlò ancora
una volta.
"Non so cosa sia successo tra te e Asuna durante il gioco, ma d’ora in poi ti voglio fuori dalla sua vita. Spero
che non avrai ulteriori contatti con Yuuki e la sua famiglia."
Strinsi i pugni per la rabbia. Mi sentivo così impotente.
Passarono alcuni istanti di silenzio. Poi, Sugou aggiunse con tono derisorio:
"La cerimonia nuziale si terrà tra una settimana proprio qui dentro. Spero che verrai. Goditi questi ultimi
momenti con lei, Eroe".
Volevo una spada. Gli avrei bucato il petto, squarciato la gola. Non so se avvertì il mio tumulto interiore, ma
mi diede una pacca sulla spalla e si affrettò a lasciare la stanza.
Quando fui tornato a casa, il ricordo di quell’incontro balenava ancora nella mia mente. Mi stesi sul letto e
fissai una parete per lo stupore.
" Parlavo del mio matrimonio con Asuna".
"Lei è ancora viva perché io l’ho permesso."
Quelle parole mi rigiravano nella mente senza fine, come un filmato a loop. Il mio cuore era come un pezzo
di metallo incandescente preso a martellate
Però―― Forse era tutto troppo esagerato.
Sugou era da sempre la persona più vicina alla famiglia Yuuki. Per questo motivo era riuscito a diventare il
fidanzato di Asuna.Yuuki Shouzou si fidava ciecamente di lui, che aveva enormi responsabilità nella Recto.
Asuna probabilmente aveva dovuto combinare un matrimonio con lui prima di entrare in Aincrad. Rispetto a
lui, probabilmente il tempo passato insieme era stato come un’illusione. La rabbia di dover cedere Asuna a
quell’uomo non era diversa dal capriccio di un bambino.
Per noi, il mondo fluttuante di Aincrad era il mondo vero. Il giuramento che ci siamo scambiati in quel mondo,
le promesse, erano tutte vere.
"Voglio stare per sempre con Kirito――"
Le parole ed il sorriso di Asuna si erano spenti lentamente.
"Mi dispiace... Mi dispiace, Asuna... Io... Non posso fare niente..."
Lacrime tristi scesero sulle mie guance, potsu, potsu, fin sopra i miei pugni chiusi.
***
"Onii-chan, il bagno è libero!"
Suguha strillò in direzione della stanza di Kazuto, al secondo piano, ma non ottenne risposta.
Quella sera, dopo essere tornato dall’ospedale, Kazuto si era chiuso nella sua stanza e non era sceso
nemmeno a cena.
Suguha poggiò la mano sul pomello della porta, esitante. Forse aveva il raffreddore, pensò, e girò la
maniglia.
Kacha~. La porta si aprì rivelando una stanza buia.
Pensò che forse stava dormendo, e fece per uscire, ma poi una ventata gelida la costrinse a ripensarci. Le
finestre sembravano aperte. Non c’era altro modo, pensò, quindi scosse la testa ed entrò.
Attraversò la stanza in punta di piedi fino alla finestra... trovando il fratello seduto sul letto, perfettamente
sveglio.
"Ah, onii-chan, scusami. Pensavo stessi dormendo", fu la risposta di Suguha.
Dopo qualche attimo di silenzio, Kazuto rispose con voce priva di emozioni, "Scusa, potresti lasciarmi da
solo?"
"Ma, ma, la stanza era così fredda..."
Suguha prese le mani di Kazuto fra le sue. Erano fredde come il ghiaccio.
"Non va bene. Hai le mani congelate, così ti verrà un malanno. Vai a farti una doccia calda."
Alcune luci della strada illuminarono la faccia di Kazuto. Fu allora che Suguha comprese che doveva essere
successo qualcosa al fratello.
"Cos’è successo?"
"Niente."
La sua risposta fu un sussurro.
"Ma..."
Senza aspettare la sua risposta, si seppellì il viso tra le mani. Si nascondeva da Suguha, e con un po’ di
auto-commiserazione, disse, "Sono proprio inutile. Eppure non molto tempo fa mi sono ripromesso di non
dire mai più certe cose..."
Tra le sue parole, Suguha aveva già capito cosa fosse successo. Parlando con voce tremante, chiese,
"Quella persona... Asuna-san... Co… Cos’è successo?”
Kazuto si irrigidì. A bassa voce, rispose, "Asuna... E’ finita da qualche parte... Lontano. Un posto... In cui non
posso raggiungerla... "
Questa volta le fu chiaro. Guardando Kazuto piangere come una bambino di fronte a lei, il cuore di Suguha
fu scosso.
Chiuse le finestre, tirò le tende, accese il condizionatore, e si sedette accanto a lui. Esitò per un po’, prima di
riprendere le sue mani fra le sue. Kazuto si rilassò all’istante.
Suguha sussurrò al suo orecchio.
"Fatti forza. Se è davvero la persona che ami, non devi mollare così facilmente. "
Quelle parole non furono facili per lei, e per pronunciarle le sembrò che le avessero lacerato il cuore. C’era
qualcosa dentro di lei che gridava di dolore. Mi piace Kazuto onii-chan, era questo il pensiero.
――Anche io. Non posso più mentire a me stessa.
Suguha fece stendere gentilmente suo fratello. Prese le coperte e le stese gentilmente sopra di lui.
Per quanto tempo lo avesse tenuto stretto non seppe dirlo, ma dopo un po’ i singhiozzi di Kazuto
diventarono il respiro regolare del sonno. Suguha chiuse gli occhi, e ascoltò la voce del suo cuore.
—Posso solo arrendermi. Posso solo seppellire questi sentimenti dentro di me.
Perché c’era già qualcuno nel cuore di Kirito.
Le lacrime rigarono lentamente le guance di Suguha, finendo sulle coperte, per poi sparire.
***
Il mio riposo fu interrotto da un improvvisa ondata di calore.
Non ero ancora del tutto sveglio, ma mi accorsi che c’era qualcosa di caldo sopra di me, come il sole caldo,
che mi toccava la guancia.
Tenni gli occhi chiusi ed abbracciai la ragazza che dormiva accanto a me. Era così vicina che ne sentivo il
respiro, così aprii gli occhi—
"Uwwah!?"
Mi scappò un grido e feci un salto di cinquanta centimetri almeno. Mi misi seduto e mi guardai velocemente
intorno.
Questo era quello che avevo sempre visto nei miei sogni. Aincrad, la foresta al ventiduesimo piano–
impossibile. Qui c’erano la mia stanza ed il mio letto. Però non ero solo in quel letto.
Ero senza parole. Completamente sveglio, rimisi a posto le coperte. Con i capelli corti e le sopracciglia
prominenti, Suguha dormiva sul mio cuscino, in pigiama.
"Ma... Ma cosa è..."
Dopo averci pensato bene, mi ricordai cosa era successo la scorsa notte. La sera prima, dopo essere
tornato dall’ospedale, avevo parlato con Suguha. Ero scoppiato a piangere per la tristezza, lei mi aveva
consolato, e alla fine mi dovevo essere addormentato.
"Proprio come un bambino."
Dopo un moto di imbarazzo, guardai Suguha. Non avrebbe dovuto.
Mi ricordai che era successa una cosa simile nell’altro mondo. Suguha era molto simile a quella ragazzina
domatrice di mostri che avevo conosciuto al quarantesimo piano. Anche lei si era infilata nel mio letto,
creandomi lo stesso problema.
Sorrisi a quel ricordo. Il mio incontro con Asuna e Sugou Nobuyuki continuava ad essere nei miei pensieri,
ma non soffrivo più come la sera prima.
I miei ricordi in quel mondo – il castello fluttuante di Aincrad – erano tesori per me. Bei ricordi, brutti ricordi —
troppi per ricordarli tutti — ma erano ricordi reali, e non intendevo rinnegarli, proprio come le promesse fatte
ad Asuna. Ci doveva essere qualcosa che potevo fare.
Proprio mentre ci stavo pensando, sentii la voce sonnacchiosa di Suguha.
"Arrendersi... Non se ne parla..."
"Quello che dici è assolutamente vero", sussurrai di rimando. Poi toccai la guancia di Suguha con un dito.
"Ehi, svegliati. E’ mattina."
"Hmmph."
Emise un grugnito di insoddisfazione. La raggiunsi sotto le coperte e le pizzicai una guancia.
"Alzati, è già tardi."
Suguha aprì finalmente gli occhi.
"Ah. Buongiorno, onii-chan," borbottò mentre usciva fuori dal mucchio di coperte.
Poi mi guardò sorpresa, e si guardò intorno. I suoi occhi ancora mezzi chiusi si spalancarono e diventò tutta
rossa.
"Ah! Um, Io..."
Le orecchie diventarono rosse, le guance già lo erano, scattò via dal letto e per qualche motivo corse fuori.
"Ma tu guarda un po’.”
Mi affacciai alla finestra per prendere una boccata d’aria fredda, in modo da scacciare del tutto il sonno.
«Novità» arrivarono quando presi un paio di vestiti puliti per cambiarmi.
Ci fu un suono elettronico e vidi che mi era arrivata una mail, quindi mi sedetti e maneggiai il pannello
elettronico della mia stanza.
Negli ultimi due anni in cui ero rimasto in coma, la struttura dei computer era cambiata parecchio. Il caro,
vecchio HDD (Hard Disk Drive) era svanito senza lasciare traccia, ed era stato rimpiazzato dal più moderno
SSD (Solid Storage Drive), che era più performante e consentiva una MRAM ultra-veloce. Non c’era tempo
di attesa durante i trasferimenti, nel senso che avvenivano istantaneamente. La mail era già stata scaricata,
ed il nome del 'mittente' era «Agil».
Al 50 piano del castello di Aincrad viveva Agil, il proprietario dell’emporio di 'Algade.Ci eravamo incontrati per
la prima volta nel mondo reale a Tokyo e ci eravamo scambiati gli indirizzi mail, ma quella era la prima volta
che ci scambiavamo dei messaggi. Il titolo del messaggio recitava, "GUARDA QUA." Quando lo aprii, non
c’era scritto nulla, solo una singola immagine in allegato.
Aprii l’immagine per visualizzarla sul monitor, poi osservai con attenzione l’immagine.
La composizione era incredibile. Si capiva che non era un’immagine del mondo reale, ma un’immagine di un
mondo generato al computer, un mondo illusorio. Nella foto c’era una gabbia dorata ed un tavolo bianco con
una sedia dello stesso colore. Sopra era seduta una ragazza con un abito bianco. Osservando attentamente
la sua faccia—
"Asuna!?"
L’immagine non era chiarissima, ma quella ragazza dai capelli castani era sicuramente Asuna, con
l’espressione sconsolata e le mani sul tavolo. Dietro la schiena aveva delle alette trasparenti.
Afferrai il cellulare sul tavolo, e chiamai in fretta il numero di Agil. Il segnale di attesa suonò almeno qualche
secondo, ma a me sembrarono ore. Alla fine, la linea si collegò e rispose una voce profonda.
"Salve—"
"Ehi!! Che diavolo era quella foto!?"
"Senti, Kirito, almeno presentati quando chiami”.
"Non ho tempo! Dimmi tutto quello che sai!!"
"E’ una lunga storia. Puoi venire qui da me?"
"Immediatamente. Arrivo subito".
Senza aspettare per la sua risposta, chiusi il telefono e afferrai i vestiti. Non mi ero mai fatto una doccia,
asciugato i capelli e vestito così in fretta in vita mia, così in pochi attimi ero già fuori a pedalare. E quella
strada non mi era mai parsa tanto lunga, sebbene l’avessi fatta per anni.
Il bar di Agil si trovava a Taito Okachimachi. Vidi presto l’insegna nera decorata con due dadi, da cui
derivava il nome, «Dado Café».
Aprii la porta e fui accolto dal suono delle campanelle appese alla porta. L’uomo calvo al bancone mi guardò
e rise. Non si vedeva un solo cliente.
"Oh, hai fatto presto."
"Come al solito gli affari vanno a rilento. Come ha fatto questo posto a sopravvivere negli ultimi due anni?"
"Adesso è moscia, ma di sera c’è pieno, fidati."
Quella conversazione leggera mi rilassò, era come se fossi tornato in quel mondo.
Il nostro incontro era avvenuto il mese scorso. All’epoca, avevo ottenuto i veri nomi e gli indirizzi di alcuni
giocatori dagli addetti del Ministero degli Interni. Klein, Nishida, Silica, e Lisbeth, tanto per citarne alcuni.
Erano molti quelli che volevo rivedere e sentire, ma tornare al mondo reale era stato traumatico ed
improvviso. Il primo posto che avevo visitato fu proprio questo negozio.
"Allora, cos’è che volevi che ti dicessi!?"
Il proprietario del locale sembrava un po’ scontento.
Il suo vero nome era Andrew Gilbert Mills. Trovai meraviglioso che mandasse avanti un locale anche nel
mondo reale.
Sebbene di origini afro-americane, i suoi genitori si trasferirono in Giappone, e lui aveva aperto qui il suo
locale, ad Okachimachi, all’età di 25 anni. Tra i suoi clienti, aveva anche conosciuto sua moglie. E poi, anche
lui come molti, rimase intrappolato dentro SAO per ben due anni. Dopo essere tornato, scoprì che il negozio
che temeva fosse stato chiuso, era stato salvato grazie agli sforzi di sua moglie. Una storia davvero
toccante.
Ad essere onesti, era strano che non ci fossero tanti clienti. Era un locale molto tranquillo e accogliente, del
tipo che metteva subito a proprio agio.
Mi sedetti su uno sgabello di pelle, ordinai un caffè e cominciai a chiedere dell’immagine ad Agil.
"Allora, da dove viene quella foto?"
Il proprietario del locale non rispose subito. Invece, lo vidi prendere un pacco rettangolare da sotto il
bancone e darmelo.
Era chiaramente la custodia di un videogame. Notai subito la particolare scritta «AmuSphere» nell’angolo in
alto a destra.
"Non ho mai sentito parlare prima d’ora di questo hardware."
"«AmuSphere». E’ uscito mentre noi eravamo ancora in quel mondo. Si tratta della nuova generazione della
tecnologia FullDive, il successore del Nerve Gear."
Mentre osservavo il logo con sentimenti contrastanti, Agil mi aveva dato una semplice spiegazione.
Dopo l’incidente, il Nerve Gear era stato etichettato come 'macchina diabolica', e quindi nessuno
sviluppatore aveva più osato entrare a far parte dello sviluppo di giochi a realtà virtuale. Tuttavia, 6 mesi
dopo l’incidente di SAO, venne fondata una nuova compagnia, con uno slogan di "assoluta sicurezza".
Rilasciò i propri modelli di Nerve Gear, e siccome nel frattempo noi eravamo bloccati in Aincrad, non ne
avevamo saputo nulla.
Quello mi aiutò a comprendere meglio, ma dato che ultimamente non prestavo molta attenzione ai
videogame, c’era ancora qualcosa che non capivo.
"Quindi, anche questo è un VRMMO?"
Lo osservai con cautela. La foto mostrava una foresta fitta con la luna alta nel cielo, davanti agli alberi c’era
una gabbia contenente una ragazza. Spada alla mano, volava nel cielo con le ali che aveva dietro la
schiena. Sotto l’illustrazione – «ALfheim Online».
"ALfheim... Online? Cosa vuol dire?"
"Proprio come dice il nome. Vuol dire 'Casa Elfica'".
"Elfica? Ancora non capisco. Questo gioco non è molto serio, vero?"
"Questo, beh, probabilmente sì. Però ho sentito dire che è bello tosto."
Agil poggiò una tazza di caffè fumante di fronte a me, ridendo. Sollevai la tazza, godendone l’aroma, e
continuai a porgli domande.
"Quanto è difficile?"
"Il livello di SKILL è impostato su Extreme, ed il gioco ruota sulle abilità dei giocatori. Viene incoraggiato il
player killing."
"Extreme...?"
"«I livelli» non esistono in questo gioco. E le abilità aumentano di grado solo tramite continuo utilizzo. Il battle
system si basa sulle capacità atletiche dei giocatori, diversamente dalle Sword Skills che c’erano in SAO. Ma
nonostante queste differenze, la tecnologia di base non è molto diversa da quella di SAO."
"Ah. Sembra davvero ottimo."
Feci un fischio di apprezzamento. La creazione del Castello Fluttuante di Aincrad aveva richiesto sforzi
immensi al genio malefico di Akihiko Kayaba. Che qualcun altro fosse riuscito a creare un mondo simile mi
lasciava sbalordito.
"E viene incoraggiato il player killing?"
"Durante la creazione del personaggio si può scegliere tra varie razze di fata, il player killing è possibile solo
fra specie differenti."
"E’ ridicolmente difficile. Nonostante la tecnologia d’avanguardia, pare il classico vecchio gioco fatto per i
gamer fanatici. Dubito che risulti essere davvero popolare", risposi imbronciato.
Mentre mi ascoltava, Agil smise di sorridere e rispose.
"Lo pensavo anche io, ma credo che diverrà davvero popolare vista la nuova utenza, perché in questo gioco
hai la possibilità di «volare»."
"Volare...?"
"Con le ali da fata. Diversamente dai giochi precedenti, ogni giocatore è assistito da un motore grafico che
gli permette di volare liberamente."
Prima d’ora non avevo mai pensato alla possibilità di volare. Dopo la nascita del Nerve Gear, erano stati
sviluppati molti simulatori di volo, ma sempre di veicoli.
In questi mondi virtuali il giocatore poteva fare le stesse cose che fa nel mondo reale. Di conseguenza, le
cose che non si possono fare nel mondo reale, non si potevano fare neanche nel mondo virtuale. Farsi
spuntare le ali è una cosa difficile, ma coordinare i movimenti muscolari per farle funzionare lo è anche di
più.
In SAO, Asuna ed io possedevamo notevoli abilità nel salto, con le quali ci sembrava quasi di volare, ma qui
si parlava di volo vero e proprio.
"Questo fatto del volo è fantastico e tutto il resto, ma come funziona?"
"E chi lo sa, ma deve essere problematico. Per i principianti, è necessario usare un controller."
"..."
All’improvviso, mi venne voglia di provare questo gioco, ma mi passò immediatamente, e tornai a
sorseggiare il mio caffè.
"Ok. Adesso ho un’idea di com’è fatto questo gioco. Tornando a noi, cosa c’entra il castello nella foto?"
Agil prese un foglio da sotto il bancone, e lo posò davanti a me. Erano foto.
"Cosa vedi qui?"
Alla sua domanda, osservai le immagini per un po’ per poi rispondere.
"E’ così simile... Ad Asuna..."
"Lo sapevo che lo avresti pensato anche tu. E’ solo una screenshot, quindi la risoluzione fa cagare."
"Sbrigati e spiegami."
"Sono screenshot di questo gioco, ALfheim Online."
Agil mi diede il gioco e le foto. Erano immagini del gioco, la mappa con i territori, ed al centro c’era un albero
immenso.
"Questo è l’Albero del Mondo, o Yggdrasil."
Agil indicò l’albero.
"Lo scopo del gioco è essere i primi della propria specie a raggiungere la cima."
"Quindi non ti è permesso di volarci sopra?"
"Il volo non è mica illimitato. Già raggiungere i rami più bassi è impossibile. Eppure, già ci sono dei pazzoidi
con le idee più strane, tipo gruppi di cinque persone che hanno provato a volare insieme come un razzo a
più stadi."
"Ahahah, cavoli. Sarà anche folle, ma è un’idea creativa."
"Ah, pare anche che sia stata un successo. Però i rami erano molto fragili, quindi del loro successo non se
ne sono fatti granché. Comunque, per testimoniare il loro successo, hanno fatto un sacco di foto. Una di
esse era la foto di un’enorme gabbia appesa ad un ramo."
"Gabbia per uccelli..."
Le mie stesse parole mi suscitarono rabbia. Essere in trappola...Quel pensiero mi attraversò subito la mente.
"Questa foto l’hanno scattata non appena si sono avvicinati."
"Ma perché c’è Asuna lì?"
Presi di nuovo il gioco ed osservai la confezione.
Mi concentrai sul logo in fondo. «RECTO Progress».
"Cosa succede, Kirito? Sei un po’ pallido."
"Nulla... Hai altre foto? Ad esempio, «altri di SAO», oltre Asuna, che non hanno fatto ritorno?"
Alla mia domanda, Agil scosse la testa.
"No, anche io ci avevo pensato, ma nulla. Ma queste foto di «ALfheim Online» non possono spiegarci nulla.
Meglio non gridare al lupo solo perché abbiamo scoperto che Asuna è viva."
"Sì, hai ragione."
Abbassai la testa, ripensando alle parole di quell’uomo — Sugou Nobuyuki.
Adesso era lui il proprietario dei server di SAO. A proposito, aveva detto che quei server erano come una
scatola nera, e che dall’esterno non potevano essere manipolati. Adesso si spiegava tutto.
Però, se Asuna continuava a dormire, questo giocava a suo favore. E poi, una ragazza molto simile ad
Asuna era intrappolata in un VRMMO che aveva sviluppato la stessa RECTO. Non poteva essere una
coincidenza.
Pensai di contattare il Ministero degli Interni, ma cambiai subito idea. Non avevo alcuna prova.
Alzai di nuovo lo sguardo.
"Agil, potrei averlo?"
"No problem… Vuoi andare a dare un’occhiata?"
"Sì, voglio confermarlo io stesso."
Per la prima volta, Agil mi guardò dubbioso. Conoscevamo entrambi i pericoli di un VR.
Scossi le braccia e risi.
"Immagino che per farlo dovrò comprare una nuova console."
"Anche il Nerve Gear può supportarlo. AmuSphere è solo una versione più performante."
"Ah, questa è una buona notizia."
Scossi le spalle. Agil mi rivolse un sorriso.
"Beh, questa non è la prima volta che salvi qualcuno bloccato nella sua stessa coscienza."
"Non importa quante volte sia imprigionata e debba andare a salvarla."
E questo era quanto. Io e Asuna non potevamo avere altri contatti al di fuori di Internet tramite il Nerve Gear.
Non avevo ricevuto alcun messaggio.
Ma quei giorni di attesa erano finiti. Finendo il mio caffè, mi alzai in piedi. Il bancone di Agil era vecchio
stampo, proprio come quello di SAO, completamente sprovvisto di registratori di cassa elettronici. Presi delle
monete e le poggia direttamente sul bancone.
"Allora io vado. Grazie per avermelo prestato e per le informazioni."
"Puoi pagarmi in altri modi per le informazioni. Devi salvare Asuna, solo così potremo mettere la parola fine
a questa storia."
"Giusto. Un giorno, sarà tutto finito."
Mi colpii il palmo il pugno. Poi aprii la porta e uscii.
***
Suguha era stesa sul suo letto, si voltò a seppellire il viso nel cuscino, calciando il materasso per alcuni
minuti.
Era mezzogiorno, ma indossava ancora il pigiamo. Era lunedì, 20 Gennaio e le vacanze invernali erano già
terminate, ma Suguha, al terzo semestre del suo terzo anno delle medie poteva far quante assenze
desiderasse. Per quel motivo, si presentava solo per farsi vedere al club di kendo.
In quel momento stava pensando e ripensando da ore sempre alla stessa identica scena, tanto da aver
perso il conto. La sera prima — per poter riscaldare il povero Kazuto, si era messa sotto le coperte con lui, e
senza accorgersene si era addormentata..
"...Sono una stupida! Stupida! Stupida!", strillava prendendo a pugni il suo cuscino.
Perlomeno avrei potuto svegliarmi prima di lui e sgattaiolare via, ma si è svegliato lui per primo, ora come
farò a vederlo in faccia?
I sentimenti di vergogna e imbarazzo, mischiati al suo amore segreto, ed il dolore che sentiva al petto, quasi
non la facevano respirare. Si coprì la faccia con le mani, e si rese conto che il suo pigiama era ancora
impregnato dell’odore del fratello, il che le fece venire un nodo alla gola.
Comunque sia, agitare uno shiani le avrebbe aiutato a schiarirsi le idee, si disse, alzandosi in piedi. Nella
sua confusione non seppe decidere se era meglio indossare il dogi o abiti normali, alla fine mise qualcosa e
andò nel cortile.
Kazuto era andato da qualche parte quella mattina — non sapeva dove di preciso, e sua madre Midori
andava sempre a lavorare di mattina. Suo padre, Minetaka, era tornato in America poco dopo l’inizio del
nuovo anno, quindi Suguha era sola in casa. Dal tavolo della cucina prese un tortino al formaggio, se lo ficcò
in bocca con un gesto per nulla da signorina, mentre con l’altra mano afferrò una confezione di succo
d’arancia, prima di sedersi nel salotto.
Proprio mentre stava masticando, Kazuto apparve all’ingresso, e i loro sguardi si incrociarono.
"Guu!!"
Un pezzo del tortino le finì di traverso, e cercò di bere il succo — ma non c’era ancora la cannuccia.
"Uahh, guu~~!"
"Oi, oi”
Kazuto corse al fianco di Suguha, afferrò la confezione di succo, infilò la cannuccia e gliela porse. Lei bevve
avidamente e riuscì finalmente ad ingoiare il boccone.
"Uah! Cavolo...Stavolta pensavo sul serio di essere spacciata."
"Che ragazza impaziente! Non riesci a mangiare più lentamente?"
"Mmm ~"
Imbarazzata, lei riusciva solo a fissarsi i piedi. Kazuto si sedette accanto a lei e cominciò a slacciarsi le
scarpe. Suguha spiò il fratello con la coda dell’occhio, continuando a mangiare. In quel momento lui parlò,
"Ah giusto, Sugu, riguardo ieri notte..."
Suguha bevve immediatamente altro succo, per precauzione.
"S-Sì?"
"Ecco, io... Grazie!"
"Eh...?"
A quelle parole inaspettate, Suguha poté solo fissare Kazuto.
"Grazie a te ora sono tornato in me. Non mi arrenderò. La salverò, e poi te la presenterò."
Suguha sopportò il dolore nel petto, sorrise e rispose, "Mmh. Fa del tuo meglio! Anche io voglio conoscere
Asuna-san."
"Voi due andreste molto d’accordo."
Kazuto accarezzò Suguha sulla testa e si alzò.
"Allora ci vediamo dopo."
Con questo, Kirito salì al secondo piano, e vedendolo andare via, Suguha mangiò l’ultimo boccone del
tortino.
――Fa del tuo meglio… Anche io dovrei...?
Raggiungendo il cortine, Suguha iniziò il suburi. Reggendo il suo shinai, cominciò a muoversi quasi come
una danza, e iniziò con il riscaldamento.
In passato le bastava agitare il suo shinai per svuotare la mente, ma oggi era diverso. Quello che aveva
nella mente sembrava impossibile da cancellare, anzi, sembrava indelebile.
――Mi piace Onii-chan... Ma sarà una cosa buona?
La sera precedente aveva già deciso di lasciar perdere i suoi sentimenti. Nel cuore del fratello c’era già una
persona importante.
――Però... Forse è meglio così.
Era divisa, combattuta, non sapeva cosa fare con Kazuto. Però, sapeva bene quando era iniziato.
Due mesi prima, la madre era stata contattata dall’ospedale, e lei era corsa lì senza esitare un attimo: si era
gettata addosso a Kazuto piangendo per la gioia e il sollievo. Kazuto allungò la mano, rispondendo con voce
nostalgica. Da quel momento, uno strano sentimento cominciò a fiorire nel petto di Suguha. Voglio stare più
vicino a lui, voglio parlare di più con lui, ma non aveva ben capito il perché.
Anche solo stargli vicino e guardarlo le andava bene, si disse Suguha, mentre cominciava ad agitare il suo
shinai. Si perse nel suo allenamento senza badare al tempo. Quando poi osservò l’orologio, erano passate
ore.
"Ah, così non va bene. Dovevo vedermi con una persona."
Posò lo shinai contro un pino e si asciugò il sudore con una tovaglia. Il cielo azzurro era venato da qualche
nuvoletta.
***
Tornai in camera, mi cambiai e misi la vibrazione al cellulare. Mi sedetti sul letto e presi il gioco che mi aveva
dato Agil.
«ALfheim Online».
Non ne sapevo granché, quindi lessi il libretto delle informazioni. Di norma, prima di giocare ad un
MMORPG, avrei cercato informazioni su riviste e forum, ma stavolta non avevo voluto perdere tempo. Avevo
aperto la confezione e avevo preso la ROM dall’interno. Collegai il router del Nerve Gear ed inserii la ROM
nella slot. Dopo qualche secondo, la luce dell’alimentatore smise di lampeggiare, rimanendo fissa.
Seduto sul letto, indossai il Nerve Gear con cautela.
Il casco, una volta lucido, adesso era piuttosto rovinato, ed in alcuni punti la vernice era scrostata. Per due
anni era stato sia il mio carceriere che il mio federe compagno d’armi.
――Ancora una volta, ti prego di darmi la forza.
Con quel pensiero, allacciai la cinghia sotto il mio mento. Poi abbassai gli occhiali e chiusi gli occhi.
L’ansia mi faceva battere forte il cuore, cercando di controllare la mia emozione, dissi, "LINK START!"
La luce che filtrava dalle mie palpebre chiuse svanì presto. La trasmissione dai miei nervi ottici venne
interrotta, e i miei occhi scivolarono nel buio.
Poi comparve una luce simile all’arcobaleno, ed un «Nerve Gear» informe prese lentamente le sembianze di
un logo. L’immagine, che all’inizio era sbiadita, diventava via via sempre più nitida, a significare che la
connessione con la mia corteccia visiva era avvenuta. Alla fine apparve una scritta sotto il logo per avvisarmi
della avvenuta connessione.
Poi toccò al test audio, e risuonarono un mucchio di suoni strani. I suoni all’inizio distorti divennero presto
armoniosi e melodici, prima di decrescere di volume e svanire. Dopodiché apparve un messaggio che mi
comunicò la corretta sincronizzazione del sistema auditivo.
La procedura continuò. Si passò al senso del tatto e alla gravità, la sensazione del letto e del mio peso
svanirono. Mentre i test continuavano con tutti i miei senti, aumentavano gli OK a testimoniare il successo
delle sincronizzazioni. Se la tecnologia FULLDIVE era migliorata, questo processo doveva essere diventato
molto più rapido, ma io non potevo fare altro che aspettare.
Alla fine, apparve l’ultimo OK, e caddi di nuovo nell’oscurità, per poi riapparire in un arcobaleno, un’illusione
di quel mondo. Dopo aver attraversato alcuni anelli di luce, ero giunto in nuovo mondo.
――In realtà, era ancora presto per dirlo. Dall’oscurità era apparsa una finestra che richiedeva di creare un
account di registrazione. Il Logo di ALfheim Online apparve gradualmente, annunciato da una delicata voce
femminile.
Seguendo le istruzioni, cominciai a creare il mio account ed il mio personaggio. All’altezza del petto apparve
una tastiera che usai per inserire ID e password. Avevo molti anni di esperienza prima di SAO, quindi quella
procedura mi era familiare. Dato che questo era un MMO scaricabile, di norma avrei dovuto inserire anche il
metodo di pagamento, ma siccome lo avevo acquistato, avevo un mese di prova gratuita.
Per prima cosa scelsi il nome del mio personaggio. Non ci pensai molto, e scelsi quello vecchio, «Kirito».
Questo nome derivava dalla crasi del mio nome vero, Kirigaya Kazuto, e non erano in molti a saperlo. A
saperlo erano solo i membri del Ministero degli Interni, e coloro che ne erano a contatto, il presidente della
RECTO Yuuki Shouzou e quel Sugou. Ovviamente erano inclusi anche Agil ed Asuna. Persino Suguha e i
nostri genitori non ne sapevano nulla.
Nell’incidente di SAO nessuna di queste informazioni era stata resa pubblica, soprattutto i nickname. Questo
perché in quel mondo c’erano spesso liti tra i giocatori che si traducevano in morti orribili. Se certe
informazioni fossero state rese pubbliche, non era difficile immaginare la mole di denunce penali.
Al momento, la mole di decessi era tutta a carico di Kayaba Akihiko, il cui nascondiglio era al momento
ignoto. I parenti delle vittime stavano ancora perseguendo la Argus, che di conseguenza era finita in
bancarotta.
Con un po’ d’ansia mi resi conto che il mio nome era noto a Sugou Nobuyuki, e siccome era di sicuro
diventato famoso, lo cambiai dalla sua forma in caratteri romani in quella kana. Il sesso che scelsi era
ovviamente maschio.
Poi la voce mi disse di modellare il personaggio. Era il momento in cui il giocatore doveva decidere l’aspetto
del suo avatar. Molto parametri erano scelti di default ed il sistema non spiegava come cambiarli. La cosa
brutta era che bisognava pagare un extra per poter cambiare l’aspetto. In ogni caso, non mi interessava.
Si poteva scegliere fra ben nove razze di fate. Ognuna aveva i suoi punti di forza e le sue debolezze.
Salamander, Sylph e Gnomi erano ben noti negli RPG, ma Cait Sith e Leprecauni non lo erano.
Non intendevo giocare seriamente a quel gioco, quindi andava bene qualsiasi razza. Visto che mi piaceva il
nome e l’equipaggiamento scuro, scelsi lo «Spriggan» e premetti OK.
Dopo il setup iniziale, la voce artificiale disse "Buona fortuna", e finii in un altro vortice di luce. Secondo la
voce, stavo andando verso la terra natia della mia specie, gli Spriggan, come prassi all’inizio del gioco. Il
nuovo mondo prese forma a poco a poco. Stavo precipitando su un villaggio, mentre emergevo dal buio.
Dopo essere stato via per due mesi dal FullDive, la stimolazione digitale era tornata a stuzzicare i miei nervi.
Mi avvicinai così al castello al centro di quel villaggio――
Ma proprio in quel momento la scena di fronte a me si bloccò improvvisamente. Apparvero dei difetti qua e là
come se mancassero dei poligoni, e si udì un rumore come un tuono. La risoluzione crollò, come un
mosaico, e quel mondo prese a disfarsi.
"M-Ma cosa!?"
Non si sentiva neppure il mio grido―― Cominciai a correre. Siccome era sparito pure il pavimento, caddi in
un buio senza fine.
"E ora cosa faccio?! AHHHHHHHH!"
Le mie urla vennero accolte dal buio senza fine.
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capitolo 1 - Ergo Team