www.unponteper.it
numero uno duemiladodici
UN PONTE PER... NOTIZIARIO N° 1 – MARZO 2012 AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI ROMA N. 192/2006 DEL 26/04/2006
POSTE ITALIANE SPA - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE D.L. 353/2003 (CONV. IN L27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA
IN CASO DI MANCATO RECAPITO INVIARE AL CMP ROMANINA PER LA RESTITUZIONE AL MITTENTE PREVIO PAGAMENTO RESI
ESISTERE E' RESISTERE
minoranze
diritti
libertà
2
un ponte per...
redazione
UN
UN PONTE
PONTE PER
PER
Marzo
Marzo 2012
2012
Aut.
Aut. Trib.
Trib. di
di Roma
Roma n.
n. 192/2006
192/2006
Direttore
Direttore Responsabile
Responsabile
Fabio
Fabio Alberti
Alberti
Stampa
Stampa
Elettrongraf
Elettrongraf
Foto
Foto
Simona
Ghizzoni,
Pierluigi
Giorgi,
Martino
Lombezzi,
Contrasto.
Marzia Lami, Antonio
UnZambardino
ponte per…
Progetto
Progetto Grafico
Grafico e
e Impaginazione
Impaginazione
Pasquale
Pasquale Del
Del Castello
Castello
Redazione
Redazione
P.zza
P.zza Vittorio
Vittorio Emanuele
Emanuele IIII 132
132
00185
00185 Roma
Roma
Tel
Tel 06
06 44702906
44702906 –
– Fax
Fax 06
06 44703172
44703172
[email protected]
[email protected]
Coordinatore
Stefano Rea
Hanno collaborato
a questodinumero
Comitato Locale
Udine
Giovanni Crotti, Alessandro
Di Meo,
Bruna
Referente: Anna
Mazzolini
Felici, Francesca Manfroni,
Marisa Melis,
[email protected]
Loretta
Mussi, Martina
Elena
Comitato
LocalePignatti,
di Bologna
Roveglia,
PaolaD'Arco
RIzet.
Referente:
Nadia
comitati locali
comitati locali
[email protected]
Comitato Regionale Toscana
Referente
Pisa:Locale
Martina
Comitato
di Pignatti
Treviso
[email protected]
Referente: Martina Pasqualetto Comitato [email protected]
Locale di Macerata
Referente:
Matteo
Bruni
Comitato
Locale
di Udine
[email protected]
Referente: Anna Mazzolini
- udine@unponComitato Locale di teper.it
Roma
Referenti:
Bruna Felici,
Marisa
Melis
Comitato
Locale
di Milano
[email protected]
Referente: Paola Gasparoli
- milano@unponComitato Locale di Napoli
teper.it
Referente:
Angelica
di Romano
Bologna
Comitato Locale
[email protected]
Referente: Nadia D'Arco
Tel. 051 790503 [email protected]
Comitato Locale
di Reggio Calabria
Comitato
Regionale
Toscana
Referente:
Giovanni
Crotti
Referente
Firenze: Chiara Mauri
[email protected]
Referente Pisa: Martina Pignatti [email protected]
Comitato Locale di Roma
Referenti: Bruna Felici, Marisa Melis Tel. 06
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in copertina
Il Cairo, gennaio 2011 - Piazza Tahrir.
Migliaia di Egiziani protestano nella piazza principale
della città, il fulcro della rivolta egiziana,
sventolando cartelli e striscioni e chiedendo le dimissioni del Presidente Hosni Mubarak .
Antonio Zambardino/Contrasto (particolare)
Un ponte per... ringrazia la Contrasto,
Simona Ghizzoni e Antonio Zambardino
per la gentile concessione delle foto
ESISTERE E' RESISTERE
Abbiamo scelto l’Egitto perché ci insegna che oggi esistere vuol dire resistere.
Perché c’è un Consiglio militare che cerca di soffocare le legittime rivendicazioni del proprio popolo con dei sofisticati armamenti anti-sommossa venduti da americani ed europei.
Perché chi va in piazza e rischia la propria vita è una minoranza che si batte
per i diritti della maggioranza.
Perché gli egiziani hanno lanciato una campagna popolare per la cancellazione del debito contratto dal dittatore deposto.
Perché il crollo del settore turistico sta mandando in rovina milioni di persone, costrette ad accettare stipendi da fame.
Perché dopo i ‘nostri’ manganelli e ‘nostri’ i lacrimogeni, ora i giovani egiaziani devono combattere anche la nostra ‘crisi’. E non so quella economica
e finanziaria.
Perché almeno 64 milioni di persone su 85 ricevono già delle sovvenzioni
per acquistare riso, lenticchie, olio, zucchero e tè.
Perché i lavoratori, gli universitari e alcune forze politiche continuano a
scendere in piazza per chiedere la fine del regime militare, l’approvazione di
una legge sulle libertà sindacali, la cancellazione del decreto di criminalizzazione degli scioperi, la definizione di un tetto salariale e la stabilizzazione dei
precari.
Perché nonostante tutto resistono e protestano.
Perché vogliono giustizia sociale.
Perché le loro battaglie sono anche le nostre battaglie.
editoriale
2012: Minoranze, diritti e libertà
di Domenico Chirico, Direttore di Un ponte per...
Nel 2012 il nostro impegno sarà soprattutto rivolto ai sostegni a distanza e
alle minoranze che in tutto il mondo arabo, così come in Kurdistan e in Serbia,
resistono alla durezza di questi tempi, alle discriminazioni e all’esclusione
sociale.
Minoranze che resistono come in Iraq, dove quell’antico mosaico di civiltà che
tutti abbiamo conosciuto rischia di scomparire, travolto dal disfacimento dello
Stato unitario e dall’interminabile violenza tra le fazioni politiche. Per loro
abbiamo avviato un programma di solidarietà per il diritto allo studio dei bambini sfollati, 2000 dei quali avranno attrezzature sportive, giochi e animazione
sociale. Come negli altri progetti portati avanti da Un ponte per…, cercheremo di rendere la scuola il centro della vita della comunità, anche per attrarre
i tanti che per mille motivi non possono studiare.
Per preservare la storia millenaria di yazidi, shabak, mandei, caldei e dei testi
custoditi dai centri studi sunniti e sciiti stiamo promuovendo un corso di formazione dedicato alla conservazione e al restauro del patrimonio librario ed
archivistico delle diverse comunità. Un corso che seguiranno insieme, oltre la
visione confessionale dell’Iraq, e che sarà tenuto dagli esperti della Biblioteca
Nazionale di Baghdad, formati grazie al programma che da dieci anni portiamo avanti per salvare una delle più antiche e importanti istituzioni del paese.
Per le minoranze serbe del Kosovo continueremo a garantire i sostegni a
distanza alle famiglie dei villaggi più disagiati, ma facendo uno sforzo in più: i
nostri volontari del gruppo Serbia hanno pensato con i monaci di Decani di
avviare un progetto per garantire a molte famiglie l’accesso all’acqua potabile. Acqua per coltivare e per bere. Acqua per vivere. La raccolta fondi dedicata ci permetterà di scavare 15 pozzi, a partire dal prossimo aprile.
Con i rifugiati palestinesi e iracheni in Libano e Giordania, lavoreremo ancora
sull’educazione e sul miglioramento dei servizi sanitari. I sostegni a distanza
2012 - numero 1
3
nei campi profughi del Libano rimangono fondamentali per garantire il
diritto allo studio ai senza-diritto dal
1948. E’ un sostegno importante ed
efficace, perché dura 5 anni, garantendo un intero ciclo di studi.
Ma per minoranze intendiamo anche
quelle sociali, come gli attivisti e le attiviste per i diritti umani che, mettendo
ogni giorno a rischio la loro vita per la
giustizia sociale e le libertà civili,
hanno creduto in quelle rivoluzioni
pacifiche che stanno trasformando il
mondo arabo.
Con gli attivisti iracheni lavoriamo
quotidianamente per difendere la
libertà di stampa e di associazione,
attraverso l’Iniziativa di Solidarietà per
la Società Civile Irachena (www.iraqicivilsociety.org). Iniziativa sempre più
seguita in Iraq, dove lo scorso ottobre
250 attivisti hanno incontrato oltre
100 internazionali per portare avanti
battaglie comuni per la libertà e la
giustizia. E nel 2012 stiamo già organizzando il prossimo incontro internazionale che si terrà a Bassora.
Nel 2011 abbiamo raccolto le speranze
di “libertà” di molti attivisti, raccontandole con il nuovo www.osservatorioiraq.it,
e continueremo a farlo nel 2012, perché in molti ci chiedono sostegno politico e non solo economico.
Continueremo a stare al loro fianco,
aiutandoli a difendere gli spazi che
hanno conquistato e avviando azioni
concrete di solidarietà anche in
Egitto, Tunisia e Marocco. In questi
paesi abbiamo scelto di non intervenire come una Ong classica, e quindi
non apriremo uffici o lanceremo missioni umanitarie, ma ci impegneremo
solo attraverso i partenariati che
abbiamo costruito negli anni.
Le rivoluzioni arabe hanno ribadito
quanto Un ponte per… sostiene da
tempo: nel Mediterraneo e in Medio
Oriente c’è una società civile vitale e
combattiva che non ha bisogno di
portavoce. Gli attivisti e la società civile sanno bene cosa vogliono e di
cosa hanno bisogno: solidarietà, partenariati e partecipazione alle campagne per i diritti e le libertà civili.
Il miglior esempio del nostro modo di
agire è forse quello della Giordania,
dove la forza della nostra alleanza
con la Jordanian Women’s Union ci
permette di intervenire per la protezione delle lavoratrici migranti, che in
molti paesi arabi sono prigioniere
dello sfruttamento e della schiavitù. A
maggio un gruppo di operatrici
sociali ed attiviste egiziane, palestinesi,
giordane e libanesi verrà in Italia per
studiare il nostro sistema di protezio-
ne delle vittime della tratta. E noi,
come sempre, faremo da Ponte.
Il 2012 si prospetta come un anno
complesso, perché i finanziamenti ai
progetti di solidarietà e co-operazione sono sempre più rari. Ma la nostra
associazione ha sempre vissuto in
mezzo al mare, attraversando tempeste e costruendo isole di pace. E
siamo abituati, con i nostri amici della
riva sud del Mediterraneo, a navigare
in mare aperto.
Restiamo convinti che solo costruendo forti alleanze andremo oltre la
crisi, e per questo continueremo a
lavorare con fiducia ed ostinazione.
Pensando che i mondi che attraversiamo non sono lontani dall’Italia e
che le crisi, le guerre e la pace non
riguardano solo alcuni, ma tutte e
tutti.
Amman, settembre 2010 - Lie in Wait, Rifugiate irachene in Giordania. Sameera, 44 anni, nata a
Baghdad. Le è stato diagnosticato un cancro al cervello, poco dopo che la sorella è morta della stessa
malattia. Le percentuali di cancro e leucemia in Iraq
sono drammaticamente aumentate dopo il 2003.
Simona Ghizzoni/Contrasto.
un ponte per...
4
Infine, per l’accesso al mondo del
lavoro e ai servizi sanitari le percentuali di discriminazione dovute all’origine etnica o a motivi religiosi sono
altissime per tutte le minoranze, con
un picco per le comunità degli shaBahá’í, cristiani, armeni, caldei assiri, circassi, kaka’i, curdi faili, palestinesi, ebrei,
bak e dei curdi faili.
comunità shabak, rom, turkmeni, mandei sabei e yazidi. Solo le tante minoranze che da secoli compongono quel prezioso mosaico di civiltà che era l’Iraq.
Fonte: www.osservatorioiraq.it
Già in passato. Oggi si parla invece di “minoranze nel mirino”, come titola il
rapporto realizzato dall’Iraq Minorities Organization (IMO).
Una delle pratiche più comuni descritte dallo studio è sicuramente quella Yalla Nilla’b
degli arresti arbitrari e delle persecuzioni, che riguardano soprattutto le zone Emergenza minoranze
di Nineveh e di Kirkuk (Kurdistan), e in particolare gli yazidi e gli shabak.
irachene
Altra piaga delle violenze sulle minoranze è sicuramente quella di genere: il
Rimangono enormi problemi per
rischio che corrono le donne tocca livelli molto alti, come nel caso della comugarantire una nuova vita alle famiglie
nità degli armeni e degli assiri, laddove la percentuale delle restrizioni sulla
sfollate. Tra loro molte le vedove e i
libertà di movimento al femminile sfiora o supera l’80 per cento.
capifamiglia che hanno perso il proNon manca l’analisi degli attacchi contro edifici religiosi, congregazioni ed
prio posto di lavoro. I bambini hanno
esponenti religiosi.
difficoltà ad andare a scuola, anche
Un altro aspetto ben documentato riguarda le cosiddette 'tattiche di assimilaperché gli insegnamenti non vengozione' all’identità araba o curda, perpetrate grazie anche a un sistema di impuno impartiti nella loro lingua madre.
nità generalizzato che tutela coloro che si macchiano di crimini contro le
In questo contesto Un ponte per… ha
minoranze.
deciso di lanciare, con il finanziamenSul nuovo Stato iracheno pesa anche il problema degli sfollati, o meglio degli
to del Fondo di emergenza delle
internally displaced persons (IDPs), un fenomeno che secondo i dati del miniNazioni Unite, un programma per
stero degli Interni e del governo della regione curda coinvolge ben 2.800
facilitare la frequenza scolastica dei
milioni persone (2010). Tra gli IDPs il tassi di assenteismo scolastico sfiora il
minori sfollati nel nord dell’Iraq,
47% tra i ragazzi sotto i 14 anni.
appartenenti alle comunità yazide,
Per evitare l’estinzione di alcune di queste minoranze, gli autori del rapporto
shabak e cristiane. Il programma presostengono che l’integrazione può essere promossa solo grazie a un’educavede la riabilitazione di aule, la distrizione adeguata e impartita nella propria lingua materna.
buzioni di kit scolastici e di indumenti
iraq
Minoranze irachene nel mirino
2012 - numero 1
5
invernali, nonché la realizzazione di
Amman, settembre 2010 - Lie in Wait, Rifugiate irachene in Giordania. In città. Simona Ghizzoni/Contrasto.
spazi ludico-creativi per circa 2000
bambini sfollati tra i 5 ed i 14 anni. Si
prevede inoltre di gemellare le scuole
irachene assistite con scuole elementari italiane, e di raccontare la dura
vita e la storia millenaria delle minoranze irachene attraverso una mostra di Angela Zurzolo per Osservatorioiraq.it
fotografica.
Gli schiavi, o meglio le schiave, esistono ancora. Non solo sfruttamento, ma
anche abusi, violenze e privazione totale della libertà. Moltissimi i suicidi. Non
I “libri della
possono scappare, sono "esseri inferiori". I 'padroni' rubano i documenti e
riconciliazione”
minacciano denunce di furto. Perché se lo schiavismo coloniale si muoveva
L’Iraq è la patria di molte minoranprevalentemente dall'Africa all'Europa, adesso il ‘mercato’ si è spostato da
ze: turcomanni, assiri e caldei,
paesi come le Filippine, l'Indonesia e lo Sri Lanka verso i Paesi del Golfo, il
sabei-madei, yazidi, shabak, armeni, Libano, la Giordania e l’Egitto.
baha’i, rom, curdi. Vivono in tra il
Ne parliamo con Giordana Veracini, responsabile Un ponte per… del progetTigri e l’Eufrate da almeno 2000
to a tutela delle lavoratrici migranti nei paesi arabi, promosso dalla Jordanian
anni e fanno parte di quel mosaico
Women’s Union. di civiltà che è l’Iraq. La guerra conCosa ha favorito la formazione del 'neo-schiavismo' moderno nei
tinua a mettere a rischio la co-esiconfronti dei lavoratori migranti in Libano?
stenza pacifica e la sopravvivenza
In Libano, come del resto anche in quasi tutti gli altri paesi del Medioriente e
di molti di loro. Un ponte per… e la
del Golfo, non esiste una legislazione che inquadri il lavoro domestico come
Biblioteca Nazionale ed Archivi di
Baghdad hanno lanciato un nuovo parte integrante della legge sul lavoro. La società civile di questi paesi e le
organizzazioni che si occupano di sensibilizzare, promuovere e proteggere i
progetto per la formzione dei
diritti umani delle vittime – che sono per il 90% donne, molto giovani, a volte
bibliotecari di ciascuna comunità,
anche minori – chiedono un inquadramento legislativo all'interno del diritto
con l’obiettivo di conservare e
restaurare il loro patrimonio librario del lavoro ma con una specificità che contraddistingua proprio le caratteristiche dello sfruttamento delle lavoratrici - che siano migranti o meno. C'è poi
ed archivistico. Tutte le attività
da sottolineare, che molto spesso le lavoratrici domestiche (specialmente in
saranno svolte creando occasioni
di dialogo e momenti di studio
Egitto) non provengono da altri paesi, ma dalle zone povere e rurali. comuni tra tutte le minoranze coin- Quali sono i meccanismi propri del fenomeno dello schiavismo?
volte.
Le modalità attraverso le quali si realizza lo schiavismo, diverse a seconda del
giordania
Le nuove schiave
un ponte per...
segue giordania
paese di provenienza, funzionano
attraverso un collegamento stretto
tra le agenzie dei paesi di provenienza e quelle di reclutamento dei paesi
ospitanti. Queste ultime, a differenza
di ciò che succede in Italia o in
Europa, in cui il traffico delle persone
cade velocemente nelle mani della
criminalità e si configurano totalmente al di fuori dello schema legale, sono ufficiali, vere.
Fanno accordi legali con le agenzie
del paese di origine e forniscono
documenti in regola. Quando queste
persone arrivano nei paesi ospitanti,
in linea di massima sono informate
del fatto che andranno a fare le
domestiche nelle famiglie.
Quello che però non sanno è che non in tutti i casi, ma in tantissimi –
finiranno in una condizione di sfruttamento. La percentuale è altissima,
anche perché sussistono forme di
razzismo molto forte e aspetti culturali che favoriscono l'espansione di
tale fenomeno. Ecco, su questo vorrei che ci soffermassimo. In questi paesi, le
lavoratrici domestiche migranti
subiscono non solo forme di
sfruttamento molto gravi, ma
6
anche abusi sessuali.
Assolutamente sì. La violenza sessuale è una delle manifestazioni attraverso le quali si estrinseca il fenomeno
dello sfruttamento, anche se è più frequente la violenza psicologica. Non
esiste l'idea del giorno libero, non
hanno una stanza propria e subiscono maltrattamenti fisici di ogni genere. Vengono poi usate come oggetto
di scambio tra famiglie. Comprate. E'
per questo che parliamo di schiavitù. Un ponte per.. è impegnata in
un progetto per contrastare questo fenomeno.
Un ponte per... partecipa a un progetto regionale, che coinvolge tre
paesi del Medioriente, che sono
Giordania, Libano e Egitto, e a livello
internazionale, Un ponte per...Il ruolo
dell'associazione, oltre a quello di collaborare strettamente con il capofila
del progetto - che è la Jordanian
Women’s Union della Giordania
- sugli aspetti organizzativi strettamente manageriali, è quello di fornire
expertise sulla tematica della tratta e
sulla legislazione italiana ed europea
in materia, come riferimento per il
lavoro di elaborazione di una proposta di legge condivisa nei paesi partner da presentare ai rispettivi
Parlamenti. Già quest’anno saremo in
grado di mettere in relazione i diversi
operatori sociali di associazioni, ong,
che lavorano nei paesi partner in
Medioriente sulla tematica della protezione dei diritti delle donne e in particolar modo delle lavoratrici domestiche, con colleghe e colleghi che lavorano sulla stessa tematica in Italia.
Quindi, accompagneremo circa quaranta esponenti giordane, libanesi ed
egiziane, appartenenti a queste organizzazioni, in un giro di conoscenza e
di visita in organizzazioni situate nel
nord, nel centro e nel sud d'Italia, che
lavorano sulla stessa tematica. Lo
scopo è quello di imparare l'uno dall'altro dalle rispettive esperienze sul
terreno. foto pagina accanto
Libano, 2008 - La vita all'interno del campo
profughi di Nahr el Bared. Pierluigi Giorgi.
foto sotto
Amman, settembre 2010 - Lie in Wait, Rifugiate irachene in Giordania. Fateema, 34 anni, nata a
Baghdad. Suo marito è stato rapito per 45 giorni,
torturato, violentato e reso invalido. E' nato da poco
il loro primo figlio e non hanno altra entrata che i
140 dinari che ricevono mensilmente dall'ONU.
Simona Ghizzoni/Contrasto.
7
libano
Nahr el Bared cinque anni dopo
di Marco Di Donato per Osservatorioiraq.it
A Nahr el Bared si arriva percorrendo una strada costiera che svela tutta la
bellezza di un paese drammaticamente contraddittorio. Ma soprattutto a
Nahr el Bared si arriva dopo aver oltrepassato un chekpoint militare.
Poi finalmente il campo, fatto di strade di terriccio e palazzi in rovina, con bambini che giocano a piedi nudi nel fango e continuano a sorridere nonostante la fame, la miseria e la povertà che strangolano la gente che vive qui.
Il campo è chiuso: nessuno entra senza il consenso dell’esercito, o meglio
senza il consenso dell’intelligence libanese.
Qui, dopo la durissima battaglia del 2007 tra l’esercito e i miliziani di Fatah alIslam, c’è ancora molto da ricostruire. Secondo l’UNRWA servono almeno
200 milioni di dollari.
E poi bisogna bonificare intere aree piene di unexploded ordnance: migliaia
di ordigni inesplosi ancora presenti nel campo profughi e che ogni giorno
rappresentano un rischio enorme per la popolazione che vive a Nahr el
Bared.
Superato un tank dell’esercito fermo all’ingresso siamo finalmente dentro. La
piccola economia locale è stata duramente colpita dalle conseguenze del
conflitto del 2007 in quanto prima dello scontro fra esercito e i miliziani di
Fatah al-Islam, Nahr el Bared rappresentava un punto di riferimento per la
popolazione locale, per i libanesi quanto per i palestinesi.
Il campo è fatto di strade di terriccio e palazzi in rovina, con bambini che giocano a piedi nudi nel fango e continuano a sorridere nonostante la fame, la
miseria e la povertà che strangolano la gente che vive qui.
Scendiamo dal terrazzo e ci dirigiamo verso una ong locale per un breve
incontro con la gente del campo che, fa bene ricordarlo, non è composta
solo da palestinesi, ma anche da profughi iracheni e libanesi che non possono permettersi una casa in città.
2012 - numero 1
2008-2010 Nahr el Bared
oltre l’emergenza
A più di due anni dai violenti scontri
del 2007 che hanno causato la distruzione del campo di Nahr el Bared in
Libano, a dicembre 2010 abbiamo terminato il nostro intervento di assistenza socio-sanitaria ai rifugiati palestinesi.
Un intervento che prima di tutto voleva restituire speranza ai nostri amici e
compagni palestinesi, e che ci ha visto
lavorare al loro fianco, grazie
all’Associazione Beit Atfal Assomoud. Il
progetto "Sostegno alla popolazione
rifugiata palestinese di Nahr el Bared
attraverso il rafforzamento delle attività
di salute mentale e sostegno psicosociale" ha risposto in maniera efficace
all'emergenza scaturita in seguito ai
terribili scontri tra esercito e miliziani di
Fatah al-Islam, adottando una tipologia di intervento che ha superato la
logica di immediata post-emergenza.
Ad oggi i servizi sanitari attivati garantiscono un importante punto di riferimento per tutta la comunità di Nahr el
Bared, offrendo in maniera continuativa visite specialistiche, strumenti diagnostici e medicinali gratuiti per la
popolazione. Sul nostro sito trovi il rapporto conclusivo del progetto.
un ponte per...
8
segue libano
Quando a prendere la parola è di
nuovo il rappresentante dell’UNRWA
ecco che accade qualcosa di strano.
La faccia di una donna si fa scura,
qualcuno bisbiglia, altri alzano gli
occhi al cielo. Non sono il solo a
notarlo, anche se all’inizio non riesco
a comprenderne il perché.
Poi ricordo di alcuni articoli giornalistici scritti nel 2009, dove la popolazione locale attaccava il modus
operandi dell’agenzia Onu, denunciandone la corruzione ed il nepotismo.
Mi si avvicina una donna. Avrà almeno una cinquantina di anni e parla
con tono fermo e deciso.
Mi chiede se sia possibile continuare
a vivere in queste condizioni, indicando una delle tante case fatiscenti: “I
miei bambini si ammalano spesso a
causa della forte umidità che c’è nel
campo e per la scarse condizioni igieniche”.
Ed essere ammalati a Nahr el Bared è
un grosso problema.
Non esiste un ospedale per gli abitanti del campo e ci sono solo due cliniche mobili dell’UNRWA che cercano
di fornire un minimo servizio sanitario
alle oltre 30 mila persone che qui
vivono. Solo 5 mila persone hanno
un accesso continuativo alle cure
mediche e alcuni trattamenti specifici
non possono essere erogati in loco: i
malati di tumore che non hanno possibilità di essere curati al di fuori del
campo, non hanno altra scelta che
andare incontro al loro triste e doloroso destino.
A qualche giorno di distanza, oggi
che scrivo questo articolo, cerco a
tutti i costi una frase ad effetto per
chiudere questo racconto. Cerco
l’ispirazione riguardando le foto che
ho scattato nel campo, ma più rivedo
quelle immagini e rivivo le sensazioni
di quei giorni, più il mio compito
diventa difficile.
Vorrei trovare le parole giuste per
dare al lettore un barlume di speranza, per immaginare insieme un futuro
migliore per la gente che vive in quella che più o meno sembra una prigione a cielo aperto.
Purtroppo però di speranza nel
campo profughi di Nahr el Bared
non sembra essercene molta.
La guerra fa male anche dopo la guerra
Quest’anno 25 bambini andranno a scuola serenamente e altri 89 riceveranno dei kit scolastici. E questo grazie all’impegno di amici, soci e volontari che a Natale hanno partecipato alla campagna “La guerra fa male.
Anche dopo la guerra” per il diritto allo studio dei profughi palestinesi in
Libano. Continua a seguirci sul sito www.sostegniadistanza.unponteper.it!
In Terra Santa con
“spirito di verità”:
venite a vedere!
L’appello dei cristiani
palestinesi
terra che ha visto la passione di Cristo,
e dove oggi si consuma la passione
di un intero popolo. Una passione,
che non sembra finire mai, e che colpisce cristiani e musulmani in egual
misura.
Per comprare la guida scrivi a
[email protected]
A Beith Sahour ha sede l’Alternative o vai su
Tourism Group (ATG), un'associazio- www.unponteper.it/bottega
ne impegnata a diffondere un'informazione critica della storia, dei luoghi, della cultura e della politica per
coloro che vanno in Palestina e in
Terra Santa. L'ATG ha prodotto una
guida, tradotta in italiano dalla Rete
romana di solidarietà al popolo palestinese di cui fa parte Un ponte per.
Il libretto che s’ispira al documento
“Kairos Palestina”, prodotto dalle
Chiese Cristiane d'Oriente, e fa appello ai pellegrini affinché il loro
viaggio in Terra Santa non si limiti a
rendere omaggio ai luoghi sacri e
storici, ma diventi un'occasione
per conoscere le terribili restrizioni in
cui vive la popolazione palestinese a
causa dell’occupazione israeliana.
Il pellegrino è invitato a intraprendere
questo viaggio in spirito di
verità, ascoltando le storie di una
un ponte per...
serbia
Diario di un viaggio in Kosovo
di Alessandro Di Meo, volontario di Un ponte per...
Eccomi in viaggio, in questa Serbia che arresta i propri generali per consegnarli in manette a chi l’ha umiliata, vilipesa, derisa, tradita, ferita, squarciata,
offesa con bombardamenti, demonizzazioni, embarghi economici feroci, isolamenti.
Ma vuole l’Europa, questa Serbia, come fosse un dovere, quasi fosse colpa sua
se questa Europa è una fregatura.
Entro nel pullman di linea che mi porterà a Kraljevo, da Belgrado. Oggi è
caldo, ma il cielo di Belgrado è di un azzurro splendido, brillante, da paesaggio nordico.
Mi sento bene, la mia testa diviene improvvisamente sgombra, libera, pulita.
Un po’ come questo cielo oggi, libero da grigie nubi, pieno di se. Mi riempio
dell’essenziale, che oggi è il vuoto.
Penso alla prima volta, subito dopo i bombardamenti “umanitari”, quando
venivo a scoprire un mondo che non conoscevo. Salgono passeggeri dove
non ci sono fermate, questo è davvero autobus per povera gente. Costa
poco, rispetto agli altri. Salgono lavoratori che tornano a casa dopo il lavoro,
pure loro avranno da sputare il loro sangue, il loro catrame, il peso di una vita
che si fa sempre più dura.
Arrivo vicino al mio hotel, che è di strada. Saluto, mangio qualcosa da solo,
vado a dormire, sereno e leggero. Domani sarà Kosovo. Domani sarà pure
Metohija, la terra dei monasteri. E’ il nome giusto per quella terra.
A Decani il sole filtra dalle finestre della chiesa. E’ bello. Ma io accendo un
cero, di quelli grandi. Mia figlia non sta bene, me lo hanno detto al telefono.
Niente di che, ma dentro sento qualcosa che non va. Dentro la chiesa, stavolta, anche io pregherò.
Con padre Petar visito alcune famiglie che verranno sostenute a distanza. Ho
bisogno dei loro dati. E il solito rituale si svolge. Si arriva, si stringono mani, si
chiedono nomi. Le storie, sembrano sempre le stesse. Ma le persone no, quelle cambiano ogni volta. Prima di conoscere queste nuove famiglie abbiamo
consegnato i sostegni a distanza a nove famiglie che avevamo conosciuto a
novembre scorso. Alcuni dei loro figli sono stati in Italia a settembre, in una iniziativa di conoscenza e scambio. Petar scatta foto a me e ai bambini. Sono
foto belle, vive, piene di amore. Stiamo facendo cose importanti, anche se piccole e minime. Ma di più non riusciamo e questo, in ogni caso, sembra davvero molto, vista la considerazione che c’è per quel che si fa.
A Raušic passiamo vicino alle case distrutte dei serbi. E’ il passato che va a
Kraljevo, Serbia - Bambino sostenuto dal progetto Svetlost. Marzia Lami.
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braccetto col presente, fatto di cimiteri ortodossi invasi da sterpaglie, con le
lapidi distrutte, in frantumi.
A Djurakovac c’è la chiesa ortodossa
anche lei invasa dalle sterpaglie mentre, poco distante, una nuova
moschea lucida e bianca e brillante,
fa sfoggio di se.
Visitiamo la famiglia di Zvezdan Arsic,
una di quelle che andremo a sostenere dalla prossima volta.
Mi colpisce l’aspetto di quest’uomo,
malato e gracile, che fa della terra la
sua unica fonte di sostentamento.
Solo che, ci dice, da cinque giorni
hanno tagliato l’acqua e non può
annaffiare il suo orto. Che sta rinsecchendo, così come i fiori nei vasi che
Zvezdan ci mostra, sconsolato e tenero. Tutto intorno mi sembra povero,
abbandonato, rassegnato. Padre
Petar mi mostra, anche se ormai le
conosco bene, quelle che erano le
case dei serbi: distrutte. Ma mi dice,
anche… “Le case dei serbi le riconosci
bene perché o sono quelle distrutte
che si incontrano nel paesaggio, o
sono quelle piccole, piccole…”.
E’ vero. Qualcosa gli hanno ricostruito a questi serbi ostinati che non
vanno via o che sono tornati. Ma
sono davvero architetture minimali.
Due stanze, un cesso, un tetto. E
basta. Spesso, costruite vicino alle vecchie case, andate in rovina, saccheggiate e depredate. Quello che eravamo, quello che siamo diventati. La
notte a Decani è incantevole, anche
se triste e preoccupata.
A Decani si incontrano i vescovi di
Žica, monastero vicino Kraljevo, un
tempo sede del patriarcato e di Raška
e Prizren, quindi della Metohija. Sono
Hrisoston e Teodosije.
Nell’omelia Hrisoston esalta il ruolo,
fondamentale per i serbi che resistono, dei monaci di Decani.
Petar deve servire messa, “ho il servizio”, ci dice.
Alla fine saluteremo lui e Isaja, mentre
Andrej lo salutiamo per telefono.
Speriamo di rivederci presto.
Mentre lasciamo Kosovska Mitrovica,
sulla strada del ritorno inizia a piovere. Speriamo la pioggia arrivi da
Zvezdan, e da quelle famiglie che
non hanno acqua per il proprio orto.
E speriamo pure che quel cero acceso, mantenga la sua luce a lungo.
Mia figlia deve guarire.
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appelli
Campagna per la libertà di
stampa in Iraq
L’allarme era stato lanciato nel corso degli ultimi
mesi, proprio mentre l’esercito statunitense stava
ritirando le sue ultime truppe. Ora si è trasformato
in una vera e propria emergenza che sta trascinando i giornalisti iracheni “in un incubo legale”, che
minaccia la libertà d’espressione in tutto il paese.
La legge che dovrebbe tutelare la libertà d’informazione e gli operatori della stampa non rispetta
gli standard internazionali e viola la Costituzione
irachena, ed è per questo che è stata impugnata
da un’associazione di giornalisti iracheni, con il
sostegno di tutta la piattaforma dell’Iraqi Civil
Society Initiative (ICSSI), di cui fa parte Un ponte
per…, e dell’americana Committee to Protect
Journalists (CPJ), che ne chiedono l’immediata
abrogazione.
La Società per la difesa della libertà di stampa ha sfidato il governo, portando la legge fino al Supremo
Tribunale Federale, per chiederne l’immediata
abrogazione.
Il presidente dell’associazione, Oday Hatem, promette battaglia: “Non potendo rifiutare la nostra
obiezione legale alla legge in questione, - ci spiega
- la Corte si è rifiutata di esprimersi sul caso con un
pretesto, facendo appello alla mancata registrazione della nostra associazione presso il registro delle
organizzazioni non governative irachene, che
però dipende direttamente dall’ufficio del primo
ministro”. “Se continueranno a respingere il caso
ricorreremo ai tribunali internazionali, e sono pronto a pagare con la mia vita per la libertà di stampa”
La questione curda e la “doppia
coscienza” dell’Europa
Interessi economici, militari e finanziari tra Turchia e
Unione Europea rallentano il processo per una
risoluzione pacifica della questione curda. E nonostante il grande successo ottenuto alle elezioni del
Parlamento del giugno scorso, il governo di
Ankara continua a negare con la violenza le legittime istanze di riconoscimento dei diritti culturali e
linguistici del popolo curdo.
Per questo l’appello per la “Pace e i diritti nella
regione Kurda”, presentato il 3 febbraio alla
Camera dei Deputati si rivolge all’Unione Europea
e all’Italia affinché i diritti del popolo curdo non
vengano cancellati dall’agenda politica internazionale.
Le massicce operazioni militari messe in atto dall’esercito turco al confine con l’Iraq, l’attacco
dell’Iran nella regione orientale del Kurdistan, si
sommano alla catastrofe naturale che ha colpito la
città di Van. L’emergenza è assoluta.
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esistere e` resistere