Dirigenti Scolastici NOTIZIARIO NAZIONALE N. 004 004/ 2013 2013 – 10 Gennaio 2013 Coordinamento Nazionale STRUTTURA DI COMPARTO NAZIONALE DIRIGENTI SCOLASTICI FLC IN PRIMO PIANO 01. Roma, convegno Nazionale FLC CGIL "Per un governo democratico della scuola. Per un Federalismo cooperativo" 15 e 16 gennaio 2012 02. LA VALUTAZIONE DEI DIRIGENTI EQUILIBRATE E CONDIVISE - Gianni Carlini SCOLASTICI: SCELTE MANOVRA E RAPPORTI STATO REGIONI 03. Legge di stabilità 2013: il nostro commento comparto per comparto 04. Intesa tra Governo, Regioni ed Enti Locali sulle reti territoriali per l’Apprendimento permanente NOTIZIE NAZIONALI 05. Programma annuale 2013: poche risorse e molta confusione 06. Posizioni economiche personale ATA: indizione procedure per le nuove graduatorie con effetto dall'a.s. 2013/2014 07. Molestie burocratiche al personale ATA: la FLC chiede un tavolo specifico al MIUR SPAZIO FAQ E GIURISPRUDENZA 08. Come si va in pensione nella scuola nel 2013? 09. Pagamento del lavoro straordinario: l'autorizzazione. Gazzetta amministrativa. e' sempre necessaria NAVIGANDO IN RETE 10. L’autonomia delle scuole: transizione incompiuta - di Franco De Anna – da education 2.0 11. Scatti d’ira, scatti d’orgoglio - Franco Buccino OPINIONI A CONFRONTO: VALUTAZIONE DELLE SCUOLE 12. Scuola, il dilemma della valutazione - Benedetto Vertecchi – L’UNITA’ 13. Non esistono scuole migliori… e le piogge sono sempre salutari - di Maurizio Tiriticco OPINIONI A CONFRONTO: DL 953 AUTOGOVERNO SCUOLE 14. UN QUADRO ISTITUZIONALE NUOVO PER LA SCUOLA: APERTA, PARTECIPATA, AUTONOMA - Armando Catalano N.B. TEMPORANEAMENTE, PER MOTIVI TECNICI, IL NOTIZIARIO NAZIONALE E GLI ALLEGATI SONO ARCHIVIATI ED ACCESSIBILI SUL SITO REGIONALE FLC LOMBARDIA *********** Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3689 • SCHEDA DI PARTECIPAZIONE CONVEGNO AUTOGOVERNO DA INVIARE A PROTEO • 2012 10 10 Governance Scuole Testo Definitivo Camera e Testi a Confronto – • emendamenti flc cgil riforma organi collegiali del 20 novembre 2012 • lettera flc cgil riforma organi collegiali del 20 novembre 2012 • scheda flc cgil commento legge stabilita 2013 scuola universita ricerca e afam • intesa governo regioni ed enti locali sulle reti territoriali per l apprendimento permanente sottoscrizione conferenza unificata 20 dicembre 2012 • scheda flc cgil cessazione dal servizio personale della scuola 1 settembre 2013 • volantone inca spi flc cgil come si va in pensione nella scuola nel 2013 • 2012 10 26 consiglio di stato - sempre necessaria autorizzazione per straordinario *********** IN PRIMO PIANO 01. Roma, convegno Nazionale FLC CGIL – PROTEO FARE SAPERE "Per un governo democratico della scuola. Per un Federalismo cooperativo" • Periodo: dal 15/01/2013 al 16/01/2013 • SEDE : Aula Magna IISS "Leonardo Da Vinci" via Cavour 258. Il mondo della scuola assiste attonito e quasi incredulo a quello che i Governi di questo ultimo decennio sono riusciti a fare a danno dell’istruzione nel nostro Paese. La FLC Cgil, da sola nel campo sindacale, ma in compagnia di Associazioni studentesche, genitoriali e professionali, combatte una strenua battaglia che non è solo mai di resistenza o di limitazione del danno, ma di proposta e di sostanza culturale. In questo solco il Convegno propone di affrontare soprattutto con i protagonisti della scuola (Docenti, Dirigenti, Ata, Studenti, Genitori) due temi decisivi: il governo delle istituzioni scolastiche, l’attuazione del federalismo in materia di istruzione. Affrontare il primo tema vuol dire uscire da un terreno di agitazione senza confronto per approdare ad un esame vero dei contenuti per una democratica e partecipata gestione della scuola pubblica, a circa quarant’anni dalla riforma degli Organi Collegiali. Il secondo tema, in connessione col primo, si misura soprattutto con la questione delle risorse e dei diritti di cittadinanza che vengono esercitati e “piantati” a scuola. In un momento difficile per il nostro Paese, sotto il profilo economico politico e anche morale, è importante che ben si definisca “il discorso” politico sulla scuola e l’istruzione: in ordine, nel nostro caso, ai livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e a ciò che ne consegue in termini di rispetto del diritto all’istruzione, di riequilibrio strutturale fra territori, di valorizzazione del suo personale, di estensione della partecipazione democratica e dell’autonomia scolastica. In particolare sulla Riforma degli Organi Collegiali possiamo affrontare l’argomento, partendo da alcuni punti ormai fermi: la posizione dei partiti, le nostre proposte, come ripartire su una questione che non va considerata chiusa. Sull’attuazione del Titolo V abbiamo prodotto uno sforzo notevole, dal momento che il giorno 16 contiamo di esporre i risultati di una ricerca da noi commissionata ad un gruppo di economisti tramite una pubblicazione per i tipi di “Edizione conoscenza”. Per partecipare in caso di impegni di servizio sarà rilasciato attestato di partecipazione L’iniziativa essendo organizzata da soggetto qualificato per l’aggiornamento (DM 08.06.2005) è automaticamente autorizzata ai sensi degli artt. 64 e 67 CCNL 2006/2009 del Comparto Scuola), con esonero dal servizio e con sostituzione ai sensi della normativa sulle supplenze brevi e come formazione e aggiornamento dei Dirigenti Scolastici ai sensi dell'art. 21 CCNL 11/4/2006 Area V e dispone dell’autorizzazione alla partecipazione in orario di servizio. Prima Giornata Ore 15,00 – 19,00 La riforma degli Organi Collegiali Presiede Antonio Bettoni, Presidente nazionale Proteo Presentazione Gianni Carlini, Centro nazionale FLC Interventi dalle scuole coordina Diana Cesarin, Centro nazionale FLC CGIL TAVOLA ROTONDA Coordina Anna Maria Santoro, Segretaria nazionale FLC Cgil Intervengono Mario Batistini, Componente Cons Nazionale Pubblica Istruzione (CNPI) Vittorio Angiolini, Costituzionalista Maria Coscia, Capogruppo Comm. Istruzione Camera Partito Democratico Pierfelice Zazzera, Capogruppo Comm. Istruzione Camera Italia dei Valori Dibattito Conclude Domenico Pantaleo Segretario generale FLC ************** Seconda Giornata Ore 9,30 – 13,00 Come individuare i costi standard Presentazione Anna Maria Santoro, Segretaria nazionale FLC Cgil Intervengono: Marcello DEGNI, Economista Come individuare i costi standard Alessandro Pace, Costituzionalista Diritto costituzionale all’istruzione al tempo della crisi Gianna Fracassi, Segretaria FLC Cgil Una valutazione per la qualità e l’unitarietà del sistema Dibattito Conclude Susanna Camuso Segretaria Generale CGIL Pausa pranzo ************** Seconda Giornata Ore 14,30 – 17,30 Federalismo e Livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione TAVOLA ROTONDA Coordina Armando Catalano, Centro nazionale FLC CGIL Intervengono Marco Rossi Doria, Sottosegretario Miur Mimmo Pantaleo, Segretario generale FLC Cgil Stella Targetti, Presidente Commissione istruzione della Conferenza Stato Regioni Marco Causi, Vicepresidente Commissione bicamerale sul federalismo fiscale Dibattito Conclusioni ***************** La scheda DI ISCRIZIONE deve essere inviata entro il 10 gennaio ’13 a Segreteria organizzativa e iscrizioni: Proteo Fare Sapere Email:[email protected] Tel. 06 587904, Fax 06 5885560 Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3689 • SCHEDA DI PARTECIPAZIONE DA INVIARE A PROTEO • 2012 10 10 Governance Scuole Testo Definitivo Camera e Testi a Confronto – • emendamenti flc cgil riforma organi collegiali del 20 novembre 2012 • lettera flc cgil riforma organi collegiali del 20 novembre 2012 *********** 02. LA VALUTAZIONE DEI DIRIGENTI EQUILIBRATE E CONDIVISE - Gianni Carlini SCOLASTICI: SCELTE Una buona valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione è indispensabile e la sua costruzione non è più rinviabile. La valutazione dei processi che le strutture del sistema e i suoi soggetti realizzano, in riferimento ai fini assegnati dalla legge e dalla Costituzione e in rapporto con il territorio e i suoi bisogni, è il presupposto fondamentale dell’innovazione e del miglioramento. Tutti, senza alcuna esclusione, dichiarano che per poter sperare nella ripresa e nello sviluppo occorre investire nell’istruzione. Sempre, ma ancor di più in un momento di ristrettezza delle risorse disponibili, è essenziale poter orientare le scelte secondo criteri di efficienza e di efficacia. Bisogna quindi riprendere la strada della costruzione del sistema di valutazione nazionale dell’istruzione. Archiviata, speriamo definitivamente, l’idea di una valutazione per “premiare i migliori” si è avviata un’altra discussione a partire dallo schema di regolamento varato dal Governo Monti il 24 agosto 2012. Anche questo provvedimento, come altri che erano arrivati in dirittura d’arrivo, è bloccato dalla fine della legislatura. Non è necessario ricominciare da capo ogni volta. In questi ultimi anni le critiche alle scelte in campo non hanno solo esercitato il contrasto, hanno anche sviluppato nuove proposte. Un elemento centrale nei processi del sistema di istruzione è la dirigenza scolastica e quindi, nella valutazione del lavoro delle scuole autonome, occorre riservare una specifica attenzione a come i dirigenti scolastici concretamente svolgono le loro funzioni e i loro compiti. Alcuni contenuti della bozza di decreto del Governo presentano delle criticità che vanno superate e si deve prestare particolare attenzione a non anticipare, come peraltro si fa con il progetto VALES, modalità di valutazione molto discutibili. Non giova alla costruzione del sistema di valutazione la commistione, che è presente nella sperimentazione in corso, fra sviluppo dei processi valutativi nella scuola e valutazione dei dirigenti. La dirigenza pubblica e quella scolastica sono regolate dalla legge ed • è indispensabile una condivisione in sede contrattuale degli aspetti di garanzia e retributivi; • va salvaguardato il complesso equilibrio fra gli obiettivi assegnati al dirigente dal direttore generale regionale e quelli della scuola autonoma, definiti in modo partecipato dai suoi organi; • va analizzato con attenzione il rapporto fra livelli essenziali di qualità (o delle prestazioni?) e attività del dirigente; • va considerata la relazione fra la scuola autonoma, il suo dirigente e i soggetti del territorio. • va infine considerato, diversamente da come è stato fatto negli ultimi anni, il problema delle risorse finanziarie e professionali messe a disposizione delle scuole autonome. Lo stesso sistema nazionale di valutazione non può funzionare se ad esso non sono assegnate risorse adeguate e personale formato e affidabile in grado di garantire continuità e supporto ai processi di sviluppo e innovazione connessi alla valutazione. La pessima conclusione del concorso per dirigenti tecnici:lungo, inefficace e poco trasparente lascia le scuole autonome e l’amministrazione senza un “corpo ispettivo” in grado di svolgere i compiti necessari al sistema di istruzione. Al di là degli errori commessi, che non vanno ripetuti, è necessario porre rimedio rapidamente. Vogliamo essere ottimisti: si apre la possibilità di una nuova stagione. Se saremo in grado di riaprire una discussione nel merito dei problemi e delle soluzioni, attraverso un confronto ampiamente partecipato, si potrà portare a conclusione la costruzione del sistema nazionale di valutazione che serve alle scuole autonome e ai dirigenti. MANOVRA E RAPPORTI STATO REGIONI 03. Legge di stabilità 2013: il nostro commento comparto per comparto Confermato il taglio alla scuola pubblica, all'università e alla ricerca. Il Governo Monti conclude il suo cammino con misure che colpiscono i servizi pubblici e non producono crescita. Tante manovre e nessuna riforma. Il Parlamento ha approvato il 24 dicembre 2012 in via definitiva la legge di stabilità 2013. Si tratta dell’insieme di norme finanziarie destinate ad assicurare il pareggio di bilancio per i prossimi anni. Diverse delle norme contenute nella legge riguardano il sistema della conoscenza. Scarica la nostra scheda di approfondimento L’impianto della legge, nonostante alcune positive modifiche ottenute dall’impegno della CGIL e della FLC, resta, finalizzato com’è solo al risparmio, per molti aspetti iniquo e ha effetti recessivi. È un intervento legislativo completamente coerente con la complessiva politica del Governo Monti, segnata da forti iniquità e pesanti invasioni e manomissioni dei contratti di lavoro, in particolare di quelli pubblici. Questa manovra economica non è in grado, coi suoi effetti recessivi, di favorire lo sviluppo e la crescita, ma continua a colpire, come negli anni precedenti, i servizi pubblici, il lavoro e, con particolare pesantezza, la scuola pubblica, l’università e la ricerca. Abbiamo ricordato l’impegno della CGIL e della FLC a contrastare queste politiche già all’indomani della presentazione del disegno di legge attraverso la mobilitazione dei lavoratori e con la presentazione di proposte emendative. Questo impegno ha ottenuto dei risultati: • è stato cancellato l’aumento a 24 ore dell’orario di servizio dei docenti della scuola secondaria • sono stati ottenuti miglioramenti per quanto riguarda le ricongiunzioni onerose. Sono risultati importanti per i lavoratori, ma non hanno cambiato il segno complessivo della legge che viaggia nel solco disastroso tracciato dal precedente Governo. Il nostro giudizio sull’insieme di questa legge di stabilità è negativo. Le norme della legge che riguardano il sistema della conoscenza sono illustrate e commentate nella scheda allegata. Siamo impegnati a porre nel dibattito che sia aprirà in vista delle elezioni politiche il tema della difesa di tutto il sistema pubblico della conoscenza. Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3689 • scheda flc cgil commento legge stabilita 2013 scuola universita ricerca e afam *********** 04. Intesa tra Governo, Regioni ed Enti Locali sulle reti territoriali per l’Apprendimento permanente Apprendimento permanente la Conferenza unificata ha sottoscritto l’Intesa il 20 dicembre 2012 Il 20 dicembre 2012 è stata sottoscritta dalla Conferenza unificata l’Intesa riguardante le politiche per l’apprendimento permanente e gli indirizzi per l’individuazione di criteri generali e priorità per la promozione e il sostegno alla realizzazione di reti territoriali, ai sensi dell’articolo 4, comma 51 e 55, della legge 28 giugno 2012, n. 92. (in allegato) L’intesa è strettamente collegata al Regolamento sui CPIA, che come è noto è stato firmato dal Presidente dopo una lunghissima gestazione ma è tuttora in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale: i percorsi connessi al Regolamento dunque proseguono, ma quanto bisognerà aspettare ancora per la pubblicazione del testo, per quanto discutibile? Così si impedisce la realizzazione di sperimentazioni, con la conseguente dispersione di risorse, e la serena progettazione in un ambito di attività complesso e delicato come quello dell’Istruzione degli Adulti. L’intesa è sostanzialmente una dichiarazione di intenti con cui le parti si impegnano ad assicurare sul territorio l’integrazione dei servizi al cittadino finalizzati alla ricostruzione e documentazione di esperienze e apprendimenti, a rendere più efficaci gli interventi anche attraverso lo sviluppo e l’ottimizzazione dei fabbisogni professionali e di competenze, ad assicurare l’orientamento permanente, a potenziare le azioni dei sistemi integrati di istruzione, formazione e lavoro. Vi si prevede l’integrazione dei servizi di documentazione, riconoscimento, validazione e certificazione degli apprendimenti e dei servizi di orientamento. Vengono individuate delle “misure prioritarie”: a sostegno dell’apprendimento permanente e del miglioramento delle competenze; dell’orientamento permanente (su cui è previsto un accordo specifico); per un efficace sviluppo delle competenze di giovani inseriti nella Formazione professionale e adulti disoccupati, scarsamente qualificati e gruppi svantaggiati; per ampliare l’accesso all’apprendimento permanente; per migliorare la pertinenza di istruzione e formazione, sia in relazione ai percorsi che agli sbocchi lavorativi, adeguata alle esigenze dei destinatari. Le parti si impegnano a promuovere e sostenere le reti territoriali per l’apprendimento permanente, l’organizzazione delle quali coinvolge “l’insieme dei servizi pubblici e privati di istruzione, formazione e lavoro” “nonché dei poli tecnico professionali”. Continua la svalorizzazione dell’istruzione pubblica, a cui non viene assegnata neanche la gestione della cabina di regia delle reti, che dovrà condividere con altri soggetti. In linea con la tendenza degli ultimi anni, contrassegnati dal neoliberismo spinto che ha condotto il mondo nella crisi in cui ancora si sta dibattendo, a cui si accompagna, almeno in Italia, l’impoverimento dell’istruzione pubblica, alla realizzazione e allo sviluppo delle reti dei servizi concorrono le università, ma anche “idonei servizi di orientamento e consulenza, partenariati nazionali, europei e internazionali” (non meglio specificati), le imprese, attraverso rappresentanze datoriali e sindacali, le camere di commercio industria artigianato e agricoltura, l’osservatorio sulla migrazione interna. Il ruolo specifico delle istituzioni dell’Istruzione pubblica, a partire dai CTP/CPIA, non è definito. Le parti si impegnano anche per l’interoperabilità delle banche dati centrali e territoriali e ad assumere come riferimento comune il Libretto formativo del cittadino per la registrazione delle competenze. Seguono gli obiettivi specifici, anzitutto la creazione di sinergie tra i sistemi di apprendimento formali, non formali e informali, e l’istituzione di un tavolo interistituzionale sull’apprendimento permanente composto dalle Istituzioni firmatarie e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Tutto questo naturalmente dovrà essere realizzato senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica: si conferma quindi, accompagnata dalla svalorizzazione dell’Istruzione pubblica, la volontà di produrre importanti innovazioni senza prevedere investimenti. Questo non può che lasciarci insoddisfatti, nell’attesa che il futuro nuovo Governo percorra una strada alternativa, fatta di investimenti nei settori della conoscenza e di rilancio dell’Istruzione pubblica per tutte le età. Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3689 • intesa governo regioni ed enti locali sulle reti territoriali per l apprendimento permanente sottoscrizione conferenza unificata 20 dicembre 2012 *********** NOTIZIE NAZIONALI 05. Programma annuale 2013: poche risorse e molta confusione Il Ministero corregge più volte la nota sui finanziamenti per le scuole: il Cedolino Unico lascia senza stipendio molti supplenti, resta il problema dei residui attivi, aumentano le difficoltà finanziarie delle scuole. Al solito ritardo nell’invio della comunicazione dei finanziamenti assegnati alle scuole per la predisposizione del Programma Annuale, si è aggiunto quest'anno il susseguirsi di più note di correzione. Il fatto che hanno avuto tutte la stessa data e lo stesso numero di protocollo ha ingenerato ulteriore confusione nelle scuole. Tutto è derivato dalla necessità di chiarire che i finanziamenti per le supplenze, comunicati con la prima nota, erano una mera informazione e non somme da inscrivere nelle entrate del Programma Annuale 2013 e da immettere nelle esauste casse scolastiche. Nonostante le rassicurazioni pervenute dal MIUR, poche scuole hanno ricevuto integrazioni al Programma Annuale 2012 per coprire gli alti residui attivi vantati, mentre a tutte sono state assegnate integrazioni ai finanziamenti 2012 per “l’accompagnamento del processo di dematerializzazione dei procedimenti amministrativi”. Resta quindi pesante la condizione finanziaria, che impone un piano di restituzione delle somme anticipate dalle scuole, che la FLC ha più volte sollecitato. La rilevazione dei flussi, il cui invio era previsto per il 5 gennaio, che doveva servire a dare informazione al MIUR circa le spese sostenute per le supplenze dalle scuole nel mese di dicembre 2012, è stata prorogata al 9 gennaio. Questa proroga era stata richiesta dalla FLC che aveva segnalato la necessità di garantire alle scuole che stavano pagando i supplenti (alla fine di dicembre 2012) la certezza che i soldi anticipati sarebbero stati restituiti. Esse hanno assicurato gli stipendi al personale supplente e ora, secondo le promesse ricevute dal Ministero, questi soldi saranno restituiti con la rata del funzionamento del 2013. Purtroppo, si è trattato di una misura tampone poiché molte scuole non hanno potuto pagare i supplenti per mancanza di liquidità di cassa. Inoltre, la nota sul Programma Annuale 2013 non ha chiarito se i finanziamenti per il pagamento delle indennità ai revisori dei conti contenessero le somme per pagare l'Irap; in caso contrario le scuole dovrebbero ridurre il già irrisorio contributo per il funzionamento. Negli incontri al MIUR era stato assunto l’impegno di fornire chiarimenti in merito. Nel seminario di Firenze sul Programma Annuale 2013 molti colleghi dirigenti scolastici e Dsga, proprio al rappresentante del Ministero, avevano chiesto di tenere conto delle alte spese bancarie sostenute per il passaggio alla Tesoreria Unica introdotta dalla spending review. Purtroppo allo stato attuale le scuole non hanno ancora ricevuto un euro in più! Addirittura queste, nel fare il giroconto postale ogni 15 giorni alla banca per le somme in giacenza sul conto corrente postale, devono pagare gli interessi passivi. Ciò si verifica poiché la banca cassiera ha l'obbligo di girare ogni giorno l'incasso alla Banca d'Italia, trasferendo così somme che non ha ancora incassato. Di conseguenza, la banca cassiera fa pagare alla scuola gli interessi passivi sulla valuta. Su questo tema avevamo, anche insieme alla altre OO.SS., richiesto al Ministro di dare una risposta ai nuovi problemi prodotti alle scuole dalla politica di “revisione della spesa”. La FLC CGIL ritiene assolutamente necessario che, mentre si sviluppa un dibattito elettorale che è di straordinaria importanza per il futuro della scuola pubblica e che deve affrontare il tema delle risorse, si cerchino soluzioni per superare i problemi che quotidianamente le scuole vivono. *********** 06. Posizioni economiche personale ATA: indizione procedure per le nuove graduatorie con effetto dall'a.s. 2013/2014 Il MIUR sta per diramare una nuova nota per le nuove posizioni economiche del personale ATA. Le domande, che scadono il 6 febbraio 2013, vanno formulate unicamente on-line. Il MIUR, a seguito della nota 8887 emanata a novembre 2012, sta per diramare una nuova nota destinata agli Uffici Scolastici Regionali che hanno richiesto tramite il sistema SIDI entro il 13 dicembre 2012, la formulazione di nuove graduatorie per l'attribuzione delle posizioni economiche ATA. Le nuove graduatorie si rendono necessarie qualora quelle preesistenti siano esaurite o in via d'esaurimento. Le nuove procedure concorsuali saranno indette per le posizioni economiche da attribuire per surroga dei beneficiari, in quiescenza dal 1^ settembre 2013. Le domande devono essere formulate utilizzando unicamente i modelli on-line, disponibili sul sito web del Ministero. Non saranno presi in considerazione moduli cartacei. Gli aspiranti già inclusi nelle graduatorie non ancora esaurite non devono presentare alcuna istanza, poiché hanno titolo ad essere convocati d'ufficio. Le domande, al contrario, devono essere inoltrate da coloro i quali abbiano eventualmente rinunciato al precedente conferimento di una posizione economica, ovvero siano stati depennati dalla graduatoria. Come previsto dagli accordi 2008 e 2009 deve essere avviato alla formazione il 105% del personale rispetto alle disponibilità. Le domande devono essere inoltrate esclusivamente nel periodo intercorrente dal 16 gennaio al 6 febbraio 2013, entro le ore 14. La calendarizzazione delle procedure concorsuali si troverà sulla nota in questione. Alla nota verrà allegato l'elenco, distinto per la prima e seconda posizione economica, delle provincie e dei profili professionali per i quali è stata richiesta la riattivazione delle procedure concorsuali. Gli allegati (moduli e tabelle valutazione dei titoli) saranno disponibili esclusivamente on-line, congiuntamente alle istruzioni operative, necessarie per la compilazione delle domande. Riguardo alle prove selettive inerenti la seconda posizione economica il Ministero fornirà a tempo debito apposite indicazioni operative per lo svolgimento delle prove selettive. *********** 07. Molestie burocratiche al personale ATA: la FLC chiede un tavolo specifico al MIUR Oltre al MEF adesso anche l'Inpdap: il personale ATA non ne può più di essere comandato dall'amministrazione scolastica e da qualsiasi altra autorità sovraordinata. Da tempo stiamo denunciando il continuo reiterarsi di molestie burocratiche a carico del personale ATA delle scuole che, talvolta, si trasforma in vero e proprio scaricamento di lavoro che non rientra nelle proprie attività istituzionali. Già in occasione del Sit in ATA del 13 dicembre scorso avevamo ribadito al viceministro Rossi Doria la questione delle molestie burocratiche sul personale delle segreterie, chiedendo che si aprisse un tavolo specifico di confronto sull'argomento. Il sottosegretario si era impegnato ad avviare un confronto con il sindacato per favorire una cooperazione informatica interistituzionale evitando il ripetersi delle stesse richieste a carico delle segreterie. Abbiamo notizia e stiamo già intervenendo, tramite la sede FLC regionale Toscana, per chiarire la questione e chiedere ragione del Protocollo d'Intesa firmato tra USR Toscana e Inpdap circa la formazione del personale scolastico che dovrebbe operare nel sistema PassWeb dell'Inpdap con i dati afferenti la gestione pensionistica e previdenziale dei dipendenti delle scuole. Si tratta in sostanza di dirottare, in modo poco trasparente, sulle scuole un altro compito gravoso di competenza di un ente previdenziale. Il piano di formazione, non concordato con le organizzazioni sindacali, comporterebbe l'onere del controllo e dell'inserimento dei dati – già presenti nel sistema centrale del MIUR (SIDI) – nell'applicativo Inpdap. Chiederemo un incontro urgente col Ministero poichè, in presenza di una riduzione di organico degli Assistenti Amministrativi (in attesa ancora della risoluzione della questione degli inidonei che dovrebbero transitare nei ruoli degli ATA), una mole di lavoro così pesante e di grande responsabilità, che ricade sulle segreterie (anche se sembra che la questione riguardi al momento solo la Toscana), rende necessario un confronto con l'amministrazione centrale. La nostra posizione Siamo nettamente contrari a questa nuova incombenza che si profila come l'ennesimo tentativo di scaricare alle segreterie delle competenze che non rientrano tra le proprie attività istituzionali. Riteniamo, inoltre, che senza un preventivo confronto col sindacato non si possa procedere alla formazione sul personale scolastico. Il Ccnl vigente prevede espressamente questo confronto. Al contrario il Protocollo firmato tra Inpdap e USR Toscana si tradurrebbe nei fatti in un obbligo ad ottemperare a nuove incombenze trasmutate dall'Inpdap alle scuole, senza comportare oneri aggiuntivi per gli enti firmatari, se non quelli connessi al trattamento economico del proprio personale secondo la normativa vigenze. Tradotto in termini pratici: senza un euro di più oltre la retribuzione dovuta al personale ATA! La governance dell'amministrazione digitale prevede che i dati siano presi alla fonte e condivisi: l'Inpdap deve, quindi, importare direttamente i dati da SIDI e non stipulare accordi con gli uffici periferici dell'istruzione, scaricando incombenze che le sono proprie. Le esigue risorse umane a disposizione della scuola devono rimanere alla scuola per lo svolgimento dei propri, reali, compiti istituzionali e non essere utilizzate per tappare i buchi di altri enti, aumentando il carico di lavoro a parità di retribuzione! Chiediamo al MIUR di dare seguito agli impegni che, su queste tematiche, si era preso a dicembre scorso. Il lavoro del personale ATA merita rispetto. Non è più tollerabile una situazione in cui ogni ente rovescia sulle segreterie tutte le incombenze che non riesce a smaltire in proprio. Come non è più tollerabile il rinvio continuo delle immissioni in ruolo di questi lavoratori. Basta con queste discriminazioni sociali. *********** SPAZIO FAQ E GIURISPRUDENZA 08. Come si va in pensione nella scuola nel 2013? La nostra scheda di approfondimento e un "volantone" sui requisiti, le procedure e le modalità di presentazione delle domande di pensione da parte di docenti, dirigenti, personale ATA ed educatori definite nel DM 22/12. Il 25 gennaio 2013 scade il termine di presentazione delle domande di cessazione dal servizio per il personale della scuola dal 1 settembre 2013. Per i dirigenti scolastici il termine è il 28 febbraio come previsto dalle norme del CCNL dell’Area V della dirigenza. La domanda, compreso quella con contestuale richiesta di part-time, dovrà essere compilata attraverso le istanze on-line (POLIS). Sul nostro sito sono disponibili una guida e un video che illustrano le procedure da seguire per la registrazione. La FLC CGIL ha predisposto una scheda di approfondimento del Decreto Ministeriale 97 del 20 dicembre 2012 e della Circolare Ministeriale 98 del 20 dicembre 2012 relativi alle procedure per la cessazione dal servizio. In collaborazione con INCA e SPI CGIL, abbiamo anche realizzato un "volantone" formato A3 (in allegato) che contiene le informazioni di base per i lavoratori che possono produrre domanda di pensione. Presso le sedi della FLC CGIL e dell’INCA CGIL (in Italia e all’estero) è disponibile uno specifico servizio di consulenza gratuita personalizzata. Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3689 • scheda flc cgil cessazione dal servizio personale della scuola 1 settembre 2013 • volantone inca spi flc cgil come si va in pensione nella scuola nel 2013 *********** 09. Pagamento del lavoro straordinario: l'autorizzazione. Gazzetta amministrativa. e' sempre necessaria Pagamento del lavoro straordinario: e' sempre necessaria l'autorizzazione, preventiva o ex post, allo svolgimento delle prestazioni eccedenti l'orario d'ufficio e costituisce assunzione di responsabilità, gestionale e contabile, per il dirigente che la emette. Come rilevato da risalente giurisprudenza, nell'ambito del rapporto di pubblico impiego, la retribuibilità delle prestazioni di lavoro straordinario è condizionata all'esistenza di una formale e preventiva autorizzazione allo svolgimento di tali prestazioni di lavoro eccedenti l'orario d'ufficio: detta autorizzazione svolge una pluralità di funzioni, tutte riferibili alla concreta attuazione dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento cui, ai sensi dell'articolo 97 Costituzione, deve essere improntata l'azione della pubblica amministrazione. In generale, infatti, la preventiva autorizzazione implica la verifica in concreto delle ragioni di pubblico interesse che rendono necessario il ricorso a prestazioni lavorative eccedenti l'orario normale di lavoro e rappresenta lo strumento per evitare che, attraverso incontrollate erogazioni di somme di danaro per prestazioni di lavoro straordinario, si possano superare i limiti di spesa fissati dalle previsioni di bilancio con grave nocumento dell'equilibrio finanziario dei conti pubblici. Per altro verso, la normativa intende escludere che i pubblici dipendenti siano assoggettati a prestazioni lavorative che, eccedendo quelle ordinarie, individuate come punto di equilibrio fra le esigenze dell'amministrazione e i rispetto delle condizioni psico-fisiche del dipendente, possano creare per l'impiegato nocumento alla sua salute ed alla sua dignità di persona. Sotto ulteriore profilo, la formale preventiva autorizzazione al lavoro straordinario deve costituire, per l'amministrazione, anche lo strumento per la valutazione delle concrete esigenze delle proprie strutture quanto al loro concreto funzionamento, alla loro effettiva capacità di perseguire i compiti assegnati ed espletare le funzioni attribuite dalla legge, nonché all'organizzazione delle risorse umane ed alla loro adeguatezza, onde evitare che il sistematico ed indiscriminato ricorso alle prestazioni straordinarie costituisca elemento di programmazione dell'ordinario lavoro. Deve anche aggiungersi, non da ultimo, che come peraltro già accennato, la preventiva autorizzazione costituisce assunzione di responsabilità, gestionale e contabile, per il dirigente che la emette, al fine di rispettare i ristretti limiti finanziari entro cui è consentito liquidare siffatto genere di prestazioni attesa anche la sopra evidenziata loro eccezionalità. La giurisprudenza ha affermato, a volte, che il principio della indispensabilità della previa autorizzazione allo svolgimento del lavoro straordinario subisce eccezione quando l'attività sia svolta per obbligo d'ufficio (al riguardo si parla di autorizzazione implicita), ma, nel rispetto dei principi costituzionali sopra ricordati, ha ribadito che deve pur sempre trattarsi di esigenze indifferibili ed urgenti e che, in ogni caso, è sempre necessaria una successiva autorizzazione, sia pure ex post. Sulla scorta di tali consolidati principi l'appello in esame non può trovare favorevole considerazione risultando in punto di fatto che le prestazioni di lavoro straordinario di cui l'interessata chiede il pagamento non sono mai state autorizzate, né in via preventiva, come di norma dovrebbe avvenire, né successivamente, in via di sanatoria, come pure è ammesso in casi eccezionali, dal titolare amministrativo dell'ente che ne abbia assunto anche la relativa responsabilità contabile con imputazione della relativa spesa. Non può ritenersi a tal fine utile la circostanza che le prestazioni svolte siano state rese in esecuzione di appositi turni di servizio o tabulati, atteso che, atti di tale genere, come rilevato dalla giurisprudenza della Sezione, non possono automaticamente valere, anche sotto il ripetuto profilo della compatibilità finanziaria, come provvedimenti autorizzatori allo svolgimento di lavoro oltre l'orario d'obbligo essendo comunque necessaria una formale autorizzazione postuma a sanatoria del responsabile amministrativo dell'ente (da ultimo, Cons. Stato, Sez. III, 15 febbraio 2012, n. 783; VI, 9 novembre 2010, n.8626). Né appare ammissibile in appello la singolare richiesta istruttoria al fine di poter "accertare l'effettiva utilità pubblica delle ore di lavoro straordinario effettuate...", ed anche il deposito di ulteriori nuovi documenti non prodotti nel giudizio di primo grado tanto più che i nuovi documenti, consistenti sempre in tabulati, ordini di servizio o altro, quindi irrilevanti per i motivi sopra evidenziati, era conoscibili dall'interessata usando la ordinaria diligenza già in primo grado (Cons. Stato, Sez. VI, n.265 del 20 gennaio 2009). (Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 24.11.2012, n. 5953) . Al link sottostante in sezione dirigenti scolastici INSIEME AL NOTIZIARIO IN ALLEGATO: http://www.flccgil.lombardia.it/cms/view.php?&dir_pk=123&cms_pk=3689 • 2012 10 26 consiglio di stato - sempre necessaria autorizzazione per straordinario *********** NAVIGANDO IN RETE 10. L’autonomia delle scuole: transizione incompiuta - di Franco De Anna – da education 2.0 Anni fa, durante un convegno, un Direttore Generale, dopo un misurato e a parole valorizzante richiamo alle “novità” dell’autonomia, concluse il suo intervento affermando con forza “l’autonomia non è però anarchia…”. La sala scrosciava di applausi. E il pubblico era costituito da dirigenti periferici, dirigenti scolastici e qualche imbarazzato “tecnico” dissenziente come il sottoscritto. Ho letto con attenzione e partecipazione gli ultimi interventi di Allega attorno a questioni che investono sia problemi emergenti di gestione economica delle istituzioni scolastiche autonome, sia di assetto fondamentale delle stesse, con una interessante esplorazione del rapporto pubblico-privato. Attenzione diretta anche a distinguere tra la passione che le anima (e che considero un “valore”) e la necessità di procedere con un’analisi altrettanto determinata ma che si misuri con la “generalità” delle condizioni “di sistema”. Le considerazioni che seguono, adottando quest’ultima ottica, tentano di risalire dalla “emergenza” della fenomenologia che anima la “passione” di Allega, alle questioni generali che vi sono sottese. Come si sa l’autonomia delle istituzioni scolastiche è fondata, nell’ordinamento, a partire dal tentativo di riforma complessiva della Pubblica Amministrazione che, nel dibattito corrente, continua a essere identificata con la Legge “Bassanini”. (Da essa ci separano dunque ben 15 anni di “transizione riformatrice” incompiuta). La delega contenuta in quel provvedimento fu interpretata, nel caso della scuola, assegnando bensì un ambito di “autonomia” a ciascuna istituzione scolastica (vedi Regolamento) ma estendendo, a ciascuna scuola il profilo e l’assetto di “Ente Pubblico”. Fu una scelta politica, non una inevitabile conseguenza, o un passo obbligato. A partire dalla medesima Legge molti Enti Pubblici persero infatti tale configurazione per trovare altri assetti: Fondazioni (vedi gli Enti Lirici...), aziende pubbliche, “agenzie”… Anzi, vi sarebbe da ricordare che, a partire dal più lontano “rapporto Giannini” sulla Pubblica Amministrazione (1979), l’orientamento riformatore poneva il problema di superare proprio la cultura e la pratica “dell’entismo” e la proliferazione di enti pubblici che ne era derivata. Nel caso della scuola, in contraddizione con quella ispirazione, se ne crearono oltre 10 mila nuovi. I (pochi) rilievi contrari (quorum ego) si ritrovarono a dover rispondere all’accusa di voler “privatizzare”. Una accusa che fu ripresentata a più riprese in tutti gli anni seguenti. Un grande amico che purtroppo non c’è più come Piero Romei potrebbe ampiamente testimoniare in merito. Ricordo inoltre che non si trattava di “dislocazioni” politiche in senso stretto, ma di una palese “insufficienza culturale” che estendeva i suoi effetti a ispirazioni politiche apparentemente opposte. Due aneddoti sono più efficaci di molte analisi. Il primo: in un convegno nella fase iniziale dell’autonomia sostenevo che si trattava di un break point e che la transizione richiedeva la capacità di definire un assennato e coerente break through. (Un “attraversamento”. Conservo ancora le slide che avevo preparato per quella relazione). Venni redarguito (amabilmente) da un Direttore Generale del “superiore” Ministero, a non usare il termine “break point”. Stavamo (secondo lui) sulla linea della continuità. Incidentalmente era, in quel momento (gestione da centrosinistra) responsabile proprio dell’autonomia ai vertici del Ministero. Mota quetare, queta non movere (ricordate il “Maestro di Vigevano”?). Un paio di anni dopo (mutato il colore politico della legislatura), in altro convegno, un altro Direttore Generale, dopo un misurato e a parole valorizzante richiamo alle “novità” dell’autonomia, concluse il suo intervento affermando con forza “l’autonomia non è però anarchia…”. La sala scrosciava di applausi. E il pubblico era costituito da dirigenti periferici, dirigenti scolastici e qualche imbarazzato “tecnico” dissenziente come il sottoscritto. (Nella polemica politica quella era una legislatura accusata di mirare alla “privatizzazione”. In realtà si miscelava, come in ogni politica liberista, statismo e privatismo. Ma il primo aveva alleati inconsapevoli). Mi scuso della chiave anedottica, ma in essa sono rintracciabili tutti gli ingredienti di una riflessione politico-culturale assai più ampia e profonda, le cui emergenze stanno nel “grido di dolore” attuale. Il riformismo del nostro Paese soffre delle combinazioni variamente congiunte di una insufficienza culturale e tecnica (come riconfigurare istituzionalmente le scuole autonome, senza ripercorrere la rassicurante strada dell’ente pubblico?); di una “esilità” di consenso (un riformismo “senza popolo”?); e di una “irrisolutezza” gestionale (affidare la realizzazione delle riforme ad apparati amministrativi che ne sono strutturalmente avversi e lontani. Che, dunque nella gestione ne “mandano fuori bersaglio” i contenuti innovativi). L’esito di quel mix, variamente combinato, ci si presenta oggi in una fase drammatica sotto il profilo del governo della spesa pubblica: l’autonomia è soffocata sotto il profilo gestionale (la fenomenologia varia che descrive Allega, dalla gestione del FIS all’oggettivo azzeramento di ogni flessibilità gestionale della cassa...), attraverso una ri-centralizzazione sia della gestione contabile sia dei margini di gestione complessiva delle risorse (da quelle economiche, a quelle umane, a quelle che derivano dalla combinazione delle due, cioè la flessibilità organizzativa). Ma, ahimè, si vedono tanti e sparsi momenti di “mobilitazione” (più spesso all’insegna dell’indignazione che non con determinazioni strategiche). Dal generoso (!?) “bisogna investire di più” al “non si tocca l’orario di lavoro”. Nessuno che faccia della autonomia, della sua difesa, del suo valore, la “chiave strategica” della mobilitazione. Aggiungo solamente che i medesimi ingredienti variamente combinati presiedono a un’altra transizione incompiuta come quella disegnata dal Titolo V della Costituzione. (Se 12 anni vi sembran pochi…) nel rapporto tra autonomie locali e autonomia scolastica. Con ritardi e incertezze, fino alla insolvenza, della Conferenza Unificata e del sistema delle autonomie, come si sa politicamente “variamente colorato”. La scelta conservatrice di mantenere ed estendere l’assetto tradizionale di “Ente Pubblico” al quale fu ricondotta la scuola autonoma nella stessa fase nascente, comportò qualche straordinaria “afasia” nel configurare quello “specifico” Ente, non chiarendo mai i rapporti di “strumentalità” che esso aveva con “l’Ente emanatore” (il Ministero). Ente “strumentale” (le medesime finalità, e solo quelle, dell’ente emanatore?) o Ente “ausiliario” (le finalità dell’Ente emanatore ma anche potestà nel definire “proprie” finalità?). La “teoria” del Diritto Amministrativo le contemplava entrambe. Si trattava di scegliere. Ma era una scelta politicoculturale innanzi tutto. Sembrano questioni “tecniche” eppure attraverso esse passa la “costituzione materiale” della gestione dell’autonomia, e questa si configurò sulla prima scelta (ente strumentale) con qualche “concessione” (una “quota” di autonomia progettuale, più ampia, nelle affermazioni, di quanto effettivamente esplorato, ma destinata sempre più a “marginalità” a prescindere dal suo valore intrinseco). Di fatto la scuola autonoma come “filiale” del Ministero. Una scelta culturalmente e politicamente “rassicurante”, per una gamma molto vasta di interlocutori (alleati più o meno consapevoli?): per gli apparati della burocrazia ministeriale, per il “corpo” (e l’anima?) docente, per il sindacalismo scolastico, e finanche per i cittadini, stakeholders si direbbe oggi, sollevati dall’avere a che fare, e a parteciparne al governo, con un “oggetto” che sarebbe stato troppo “divergente” dalla memoria della esperienza scolastica vissuta in prima persona come studenti. (I “guai” positivi della “scuola di massa”: poiché tutti ci sono andati ciascuno sa come dovrebbe essere la migliore, come per la formazione della nazionale di calcio). La conseguenza più “materiale” di tale scelta fu la subordinazione al Diritto Amministrativo. La “produzione” di attività concrete, “economiche”, di servizi alla cittadinanza, come l’istruzione, viene “regolata” dalla pura “formalità” della norma. Come mi diceva un vecchio maestro: il diritto penale ha a che fare con le “passioni” delle persone, il diritto civile ha a che fare con “gli interessi” della persone; il diritto amministrativo è “il nulla”, la pura “forma”. In termini più stringenti: la gestione “dell’impresa formativa” fu affidata alle regole della “gestione finanziaria” propria del Bilancio dello Stato. Non una “gestione economica”. Ciò che lamenta Allega riguardo ai residui attivi (lo Stato debitore insolvente) ha senso solamente nel contesto dato da quella scelta a monte (Enti Pubblici, diritto amministrativo, contabilità pubblica, di tipo finanziario e non economico). Nel bilancio di una impresa (Codice Civile), un credito non riscosso non potrebbe essere posto in bilancio per più di un paio di esercizi, pena l’accusa di “falsità” del bilancio stesso. Ma siamo nella “contabilità pubblica” e nella sua indifferenza ai risultati economici: quello che conta è la corrispondenza formale tra le poste in entrata e uscita. E il “debitore” insolvente è lo Stato, dunque… Ciò sembra da un lato assolvere tutti (lo Stato siamo noi…) da ogni accusa di falsità, e dall’altro abilitare tutti a ogni “lamentazione. Sia detto tra le righe: se sollevassimo il velo dei formalismi della contabilità pubblica (veli analoghi sono presenti nei bilanci dei Comuni, delle Province, delle Regioni…) a quanto ammonterebbe “davvero” il deficit pubblico? E da quanto tempo? E con quali responsabilità “diffuse”? Ci si può “indignare” (e con ragione) dei residui attivi non onorati dal debitore pubblico. Ma se si considera che il fenomeno è presente da diversi anni nel determinare l’opacità reale (fino al falso) dei Bilanci delle scuole (i pochi che se ne sono occupati sono sempre stati accusati di “aziendalismo”), risulta assolutamente giusta la denuncia, ma non ci si può non porre qualche domanda scomoda sull’esercizio di “responsabilità dirigenziale” praticato per anni dai responsabili di tali bilanci, e più in generale da parte di tutti coloro che in quelle “aziende particolari” che sono le scuole autonome hanno variamente operato e plasmato la “programmazione” delle attività. E che dire di chi ha esercitato le funzioni contrattuali, l’esercizio dei diritti di informazione, la gestione delle relazioni sindacali, il controllo contabile? Insomma la fenomenologia che qui si sta commentando è solo la “parte emergente” di una “cultura della gestione pubblica” che unifica variamente chi se ne lamenta e chi in essa trova declinazione accomodante delle proprie responsabilità. Sabino Cassese aveva un detto lapidario per caratterizzare questo versante della cultura della gestione pubblica: “autonomia senza potere e potere senza responsabilità”. Vi è una terza serie di considerazioni che l’analisi di numerosi Bilanci delle scuole effettuata per diverse ragioni in questi anni mi suggerisce di proporre (ancora?) alla riflessione. Se il passaggio a una autentica autonomia non può che accompagnarsi alla assunzione di effettivi criteri gestionali di tipo “economico”, non accontentandosi della corrispondenza tra le poste in bilancio, bisognerebbe anche esplorare criticamente per esempio la quantità e la distribuzione delle risorse relative alla progettazione autonoma delle scuole (l’aggregato P del Bilancio), e sottoporre innanzi tutto quest’ultimo (assurto a simbolo dell’autonomia) a qualche validazione economica. Basta applicare qualche semplicissima indicizzazione a un campione sufficientemente ampio di Bilanci per constatare che il tratto più diffuso (sempre salve le eccezioni) è una accentuata opacità economica. Risorse spesso distribuite a pioggia su numerosi progetti di dimensione micro, assenza di espliciti criteri di selezione degli impegni (investimenti?!), progettazioni delle quali non si riesce a recuperare il significato generale e che perciò restituiscono il forte sospetto che l’attività aggiuntiva premi un unico fattore (il costo del lavoro e la sua distribuzione eguale nel Collegio). Forse giudizi ingenerosi sui quali non voglio insistere: sta il fatto che anche l’analista più neutrale non riesca a recuperare trasparenza delle scelte economiche e del loro senso. C’è da stupirsi se in fase di accentuata limitazione generale delle risorse, il loro “taglio” proceda con la medesima “cecità” con la quale sono state erogate nelle fasi di maggiore disponibilità? Il concetto di “investimento” ha due tratti connotativi: il primo è che si tratta di “risorse dedicate a un risultato”, che ne rappresenta il “rendimento”. Dunque va controllato, verificato, corretto se del caso, ne vanno valutati i rischi e i risultati… Vogliamo parlare (ancora?) di “cultura della valutazione”? Si troverà ancora incertezza tecnica (indifferenza reale?) del decisore e opposizione “popolare” pregiudiziale variamente combinate e alleate… Il secondo è che (etica del capitalismo?) “investire” significa sempre rinunciare a un beneficio immediato in nome (appunto) di un “risultato futuro” più importante. Le decisioni di investimento sono sempre esito di “alternative”, non di “interessi immediati” (a differenza della “spesa”). Trovare traccia di tutto ciò nei Bilanci delle scuole (ma anche nei documenti essenziali come le Relazioni al Programma Annuale che li accompagnano) è francamente difficile. Ovvio che tali condizioni si prestino a dare spazio anche al più lineare “mani di forbice” in circolazione, che se ne potrà fare vanto verso i responsabili politici: “risultato raggiunto, Ministro!”. Fino alla “abilitazione” di veri e propri “trucchi”. Per esempio in una fase di “stretta” che tutti ci coinvolge e che ci richiama alla necessità/responsabilità di introdurre dosi supplementari di efficacia ed efficienza della spesa, nei Bilanci delle scuole di questi ultimi anni (non di ieri, insisto…) è cresciuta la dimensione dell’aggregato Z (risorse poste in bilancio ma non coperte da programmazione). Sembra un paradosso: mentre si lamenta il venire progressivamente meno dei finanziamenti alle scuole, queste ultime nei loro bilanci conservano “a pareggio” e in quantità crescente nel tempo, una posta che non corrisponde ad alcuna attività programmata… La posta formale a cosa corrisponde realmente? Un “tesoretto” accantonato? Un modo per mantenere in bilancio risorse incerte tipo i “residui attivi”, senza procedere a radiazione (falso in bilancio...)? Una vera e propria insufficienza programmatoria? Anche solo tali domande, che hanno risposte ovviamente non equivalenti, testimoniano “opacità”. Il “Bilancio Sociale” (che è altra cosa da quanto paia dalle parole di Allega) avrebbe proprio il compito di ”rendicontare” pubblicamente e di superare tale opacità: la “cultura” e la “responsabilità” dell’autonomia è in definitiva questa. Infine la questione dell’afflusso di risorse “private”, i suoi effetti economici e le condizioni istituzionali che occorrerebbe coerentemente cambiare (se aumenta significativamente la quota di risorse extra finanziamento pubblico, perché mai la scuola dovrebbe gestirle e rendicontarle attraverso le regole formali della contabilità pubblica. Dovrebbe misurarsi con la contabilità economica e con il Codice Civile, non con il Diritto Amministrativo). Ma chi vuole esplorare tale orizzonte, è consapevole appieno delle modifiche che ciò comporta in termini di cultura gestionale e di responsabilità, a partire da quelle dei Dirigenti Scolastici? Non bisogna dimenticare che il panorama del finanziamento extraministeriale è assai vario, sia per ordini di scuola sia per fonti di finanziamento. I Fondi Europei hanno regole contabili specifiche. Ma con diversità al loro interno. I fondi europei delle “Regioni obiettivo” (PON) conformano i Bilanci di molte scuole meridionali con livelli più che confortevoli rispetto a molte scuole confrontabili del Centro Nord. Ma sugli esiti dell’impegno di tali risorse a volte “tacere è bello” (lo affermo per esperienza diretta di ispettore). Se ne sta (stava) occupando il Ministro Barca, con un programma al quale avremmo dovuto maggiore attenzione, partecipazione e divulgazione. Per altri contributi di diversa fonte (dalle Autonomie locali alle famiglie), si tratta spesso di finanziamenti vincolati. A volte vere e proprie “partite di giro” (vedi i viaggi di istruzione all’estero). Laddove è privo di vincoli di spesa si pone con forza l’adozione di metodologie di Bilancio Sociale o di Rendicontazione Sociale, per “legittimarsi” e legittimarne gli impieghi. Il rapporto con le imprese è invece quasi esclusivamente presente nella secondaria Superiore e di indirizzo tecnico-professionale. Mai vista una impresa che finanzi scuole del primo ciclo. La pluralità delle esperienze è strettamente collegata con l’incertezza o il non (ancora?) avvenuto consolidamento di una autentica e socializzata cultura dell’autonomia (una transizione incompiuta), che acuisce la debolezza delle scuole a fronte del “tagliatore” ministeriale. Alcune proposte per consolidare e “istituzionalizzare” il fund raising sono interessanti, ma devono misurarsi con tale frammentazione di esperienze cercando soluzioni “unificanti” con declinazione sistemica. A suo tempo, anche su queste pagine (vedi il mio “Debito pubblico, risparmio privato: istruzione come ricchezza pubblica”), indicai due possibili prospettive con tale carattere. La prima era l’esplorazione del “terzo settore”. Una scuola, o meglio una rete di scuole “dà vita” (non “diventa”, e qui è la differenza con proposte Aprea) a un soggetto del terzo settore: basta un notaio e la registrazione di una Fondazione, di una Onlus, di un Consorzio. Si crea un soggetto che accede al Codice Civile e che può esplorare il rapporto con la “ricchezza privata” attraverso una pluralità di strumenti “trasparenti” (dal 5‰, a contratti specifici). Una rete di scuole “in verticale”, costituita in Fondazione potrebbe per esempio ridistribuire l’interesse dell’impresa anche verso la scuola di base, altrimenti non significativamente investita da tale interesse. La seconda aveva valore di “politica generale”. Con una battuta sintetica: l’idea di varare “bond per la scuola” costituendo un fondo sul quale far convergere in modo finalizzato il risparmio privato per un impiego pubblico esplicitamente diretto allo sviluppo dell’istruzione come “ricchezza pubblica”. Era una proposta “politica” con una base economica realistica. La crisi ha poi corroso il risparmio privato (che rimane il più elevato di Europa), ma credo che stia ancora in piedi. Inutile dire che entrambe le proposte avrebbero un corollario necessario nel consolidamento di pratiche di “rendicontazione sociale” che superino, il formalismo delle regole della contabilità pubblica. *********** 11. Scatti d’ira, scatti d’orgoglio - Franco Buccino La vicenda degli scatti di anzianità del personale della scuola vede contrapposizioni aspre, personalizzazioni eccessive, toni alti, che sconcertano i lavoratori di ogni orientamento. Inaccettabili anche per chi ha un’idea chiara e un giudizio preciso della questione. Io, per esempio, tra il gruppo di sindacati firmatari dell’accordo sugli scatti e la Flc Cgil, mi schiero con la seconda. Per due motivi. Uno molto di parte: con Riccardo Rispoli e un gruppetto di compagni abbiamo costituito nel 2004 a Napoli la prima Flc regionale. Ma l’altro è di merito: sono convinto che i sindacati firmatari, uniti in uno strano sodalizio per origine, storia e idee diverse, abbiano avuto una posizione troppo arrendevole nei confronti di governi che hanno proceduto in questi anni a un profondo smantellamento della scuola pubblica attraverso tagli indiscriminati, pseudo riforme e riduzione dei diritti del personale. Ora, dopo l’opera demolitrice di Moratti, Gelmini e Tremonti, portano via quello che riescono a recuperare dalle macerie. E lo presentano come risultato della loro iniziativa. Spostano risorse dal fondo agli scatti biennali, incredibilmente scippati, per riattivarli: un’operazione che oggi non costa niente, ma presto sarà a carico dei lavoratori, che si vedono coinvolti in una spericolata operazione di “produttività”. Come le promozioni telefoniche: oggi è a costo zero quello che tra x mesi sarà pagato profumatamente. A meno che i quattro sindacati firmatari non pensino che dalle prossime elezioni uscirà fuori un governo di centrosinistra, con il quale avviare epiche battaglie, ritrovando l’autonomia. Tutto già visto. Detto questo, devo aggiungere che se oggi la Flc Cgil svolge un importante ruolo politico, cercando di difendere il contratto e la contrattazione, protestando contro il governo per le sue politiche su istruzione e ricerca, in polemica con gli altri sindacati troppo acquiescenti, che non è poco, tutto ciò non può bastare. Cosa manca? Nella Cgil Scuola prima e nella Flc poi c’è sempre stato spazio per elaborare e sviluppare concetti riformatori e innovativi di scuola: libertà d’insegnamento e collegialità; diritto allo studio e modelli adeguati di tempo scuola; autonomia, ruolo del preside e sistema di valutazione; riconoscimento dei lavori svolti a scuola e spazio per il merito; diritti dei precari e reclutamento oltre l’ope legis; investimenti lungimiranti nell’istruzione insieme a una spesa meglio distribuita con economie e riduzione di sprechi. Una voce non moderata per definizione, ma responsabile, misurata, per niente timorosa dell’impopolarità anche nel proprio mondo. Insomma una voce interna critica, molto ascoltata dalla maggioranza dei dirigenti e ostacolata da una minoranza. Anche grazie a tale voce, il sindacato scuola della Cgil ha dato un contributo notevole alle riforme dagli anni settanta fino all’autonomia scolastica, attraverso proposte e contratti di lavoro importanti, e ha preso legnate per la sua coerenza, come sul concorsone ai tempi di Berlinguer. Con i governi di centrodestra la situazione si è incattivita, le posizioni si sono radicalizzate. I ministri si sono serviti strumentalmente e unilateralmente anche di alcune elaborazioni di gruppi sindacali “illuminati” per procedere più speditamente sulla strada della ristrutturazione della scuola pubblica, in particolare di alcuni spunti di riforma, delle aree disciplinari, del reclutamento, della stessa autonomia. Allora nella Flc quella voce critica è stata messa da parte: prima isolata, poi emarginata e infine spenta. È stato il gran momento delle posizioni radicali, che pur essendo minoritarie hanno avuto sempre più spazio, senza peraltro riuscire a salvare gli ultimi, i precari, i docenti inidonei, gli amministrativi. Qualche giorno fa mi trovavo a via dei Frentani con l’associazione di volontariato in cui sono impegnato; nella sala a fianco sentivo le voci dei miei compagni del sindacato scuola, riuniti in direttivo, che parlavano di scatti. Mi emozionavo e fremevo, sarei voluto entrare nella loro stanza e dire provocatoriamente: sono d’accordo con chi propone il ripristino degli scatti a carico del fondo; non è una proposta credibile la vostra dire che “tutte le voci che nulla hanno a che fare con il salario accessorio e con il miglioramento dell'offerta formativa (come la sostituzione dei colleghi assenti e i corsi di recupero), vengano tolte dai finanziamenti contrattuali e messe a carico del Mef; in questo modo si potranno utilizzare le risorse corrispondenti a queste voci per il recupero dei gradoni”. Se ci fossero altre risorse disponibili, si metterebbero direttamente sui gradoni! Preferisco gli scatti al fondo, dal momento che quei soldi sono spesso sprecati, i corsi di recupero servono solo a chi li gestisce, nelle scuole c’è un mercato dei progetti con relativo tariffario. Perché non sfidiamo, invece, il governo a fare l’organico funzionale? E così diamo spazio ai precari, ravviviamo l’autonomia delle scuole e spostiamo l’iniziativa delle rsu oltre la spartizione del fondo? Io, a fronte di un serio organico funzionale, con l’immissione in ruolo dei precari dalla graduatoria a esaurimento, accetterei un’autonomia avanzata con il conseguente impegno di ogni scuola a svolgere tutte le attività senza ricorrere all’esterno, sarei disposto ad accettare una rigorosa valutazione della scuola e del singolo, sarei pronto a confrontarmi sulle carriere, sarei d’accordo a rimettere in discussione perfino l’orario di servizio dei docenti. La voce critica non ce l’aveva solo la Flc, ma anche gli altri sindacati della scuola, e spesso ci si intendeva, al di là delle rituali differenziazioni e contrapposizioni. Oggi si avverte la mancanza di proposta di questo gruppo trasversale alle diverse organizzazioni sindacali. E probabilmente ciò avviene anche in altre categorie di lavoratori, soprattutto pubblici, con riflessi sulle politiche confederali. La posta in gioco oggi, al quinto anno ormai della crisi, non è solo salvarci dal baratro economico ma salvare il sistema dei diritti delineato dalla Costituzione. Tenere in equilibrio diritti ed economia è la grande sfida: non si può definire l’agenda solo in base alla drammatica situazione economica, ignorando i diritti dei cittadini e dei lavoratori; né si può, per difendere i diritti, difendere contemporaneamente uno statu quo che non regge più. Sindacati timidamente acquiescenti o ferocemente ostili rischiano di essere entrambi funzionali ai progetti di risanamento a senso unico, quelli che ignorano i diritti. Forse, se venisse dato più spazio e più ascolto a chi nel sindacato studia e lavora per proposte e soluzioni equilibrate ai problemi, ci sarebbe maggiore dialogo tra le forze sociali e migliore interlocuzione con i governi. Cioe' i sindacati svolgerebbero un ruolo politico più apprezzato, efficace e autorevole. La smetterebbero, per tornare ai sindacati della scuola, gli uni di portare a casa il “risultato”, cioè un pugno di mosche o un piatto di lenticchie, svendendo gli istituti contrattuali, uno a uno. L’altro di portare in piazza a ogni piè sospinto una categoria sempre più frustrata, e che perde pezzi per strada a cominciare dai precari. Sarebbero tra loro obbligati al confronto e, forse, a ricercare l’unità: come ancora pretendono i lavoratori e i cittadini. *********** OPINIONI A CONFRONTO: VALUTAZIONE DELLE SCUOLE 12. Scuola, il dilemma della valutazione - Benedetto Vertecchi – L’UNITA’ Non basta copiare sistemi dall’estero ma serve adattarli alla realtà del nostro Paese LA NORMA CONTENUTA NELLA LEGGE DI STABILITÀ PER LA QUALE L’ASSEGNAZIONE DI FONDI ALLE SCUOLE AVVERRÀ, DAL 2014,SULLA BASE DEI RISULTATI CHE ESSE HANNO CONSEGUITO STA DESTANDO UN ALLARME NON INGIUSTIFICATO. Ci si chiede, infatti, a quale modello valutativo si farà riferimento, quali variabili saranno considerate ai fini della composizione del modello, quali conoscenze sostengano questa o quella interpretazione, quali procedure siano alla base della rilevazione dei dati e via discorrendo. Al momento, l’una cosa certa è che un sistema così poco conosciuto e devastato da scelte improvvisate sta diventando un terreno dominato, senza neanche la parvenza di un contrasto, dal condizionamento sociale. E in un quadro così dissestato il ricorso per i finanziamenti (non importa se su base premiale o su base compensativa) rischia di rafforzare ulteriormente proprio il condizionamento sociale, senza che ne derivino vantaggi apprezzabili sul versante della qualità del servizio. La valutazione è stata usata dai governi della Destra, e in modo non troppo dissimile, da quello dei tecnici, per esibire competenza in pratiche generalmente apprezzate a livello internazionale ed efficienza nell’eseguirle. Sulla falsariga dello strumentario e della metodologia di elaborazione dei dati utilizzati da organizzazioni come l’Ocse e la Iea per le loro indagini comparative, sono state introdotte prove a carattere nazionale per la valutazione del livello degli apprendimenti conseguiti dagli allievi. La responsabilità di tali operazioni è stata conferita all’Invalsi (Istituto nazionale per la valutazione del sistema d’istruzione e di formazione). A differenza, tuttavia, delle organizzazioni prima menzionate, è stato deciso di non procedere nelle rilevazioni per via campionaria, ma di sottoporre a prova l’universo degli allievi iscritti a una certa classe. Si è trattato di una scelta che ha destato preoccupazione e sospetto, non ingiustificati. Che bisogno c’è, infatti, di procedere a rilevazioni sull’intera popolazione, se lo scopo è quello di valutare il sistema? Peraltro, se anche l’intento fosse quello di valutare il funzionamento delle singole scuole, lo strumentario finora usato sarebbe stato del tutto inadeguato. Fra l’altro, i dati disponibili non si prestano al confronto dei risultati ottenuti in anni successivi. Oltre tutto, le rilevazioni campionarie costano molto meno e sono più attendibili, perché è certamente più agevole monitorare la rilevazione di una quantità relativamente limitata di dati campionari che la quantità molto maggiore che deriva da rilevazioni sull’universo. L’esperienza di questi anni ha mostrato che le condizioni di rilevazione sono molto diverse fra una scuola e l’altra, e spesso nelle classi di una medesima scuola. Che si sia trattato di esibizioni di efficienza è dimostrato anche dal fatto che nulla ha fatto seguito alle cosiddette valutazioni nazionali. Sono molti gli insegnanti che temono che la complessa macchina della valutazione sia stata messa in modo solo per esercitare un condizionamento sulla loro attività. Si aggiunga che l’attività valutativa mostra che con tutta evidenza si procede nelle operazioni all’insegna dell’improvvisazione. Per usare un linguaggio scolastico, tutto ciò che si sa fare è copiare da procedure e materiali internazionali, senza alcun apprezzabile sforzo di adeguamento alla realtà culturale e educativa del nostro Paese. Non solo. Altrove si stanno sviluppando e sperimentando procedure automatizzate in grado di fornire importanti flussi d’informazioni sullo sviluppo dei processi di apprendimento. In Italia, spiace doverlo constatare, non c’è alcun apprezzabile tentativo di definire una strumentazione originale, dalla quale possa derivare la conoscenza dei fenomeni educativi necessaria a sostenere l’attività del sistema ai diversi livelli in cui essa si manifesta, da quello immediatamente didattico a quello della decisione politica. La valutazione ha un senso se si compie all’interno di un rapporto di fiducia fra chi rileva i dati (i valutatori) e chi li fornisce (i soggetti da valutare). Questo rapporto di fiducia deve essere ricostruito. Si potrebbe incominciare con il sostituire le rilevazioni sull’universo con rilevazioni campionarie. Ma, parallelamente, occorre innovare profondamente le pratiche valutative e ridefinirne sostanzialmente gli intenti. Ciò comporta un rilevante impegno nella ricerca, che certamente non può essere richiesto ad una struttura di servizio com’è l’Invalsi. La questione deve essere affrontata in una prospettiva di promozione complessiva della ricerca educativa. Quanto agli oggetti della valutazione, non ci si può limitare a raccogliere, anno dopo anno, gli esiti della somministrazione di prove strutturate per stabilire quali siano stati i livelli di apprendimento conseguiti. Occorre usare la valutazione per ciò che realmente è, e cioè come una strategia conoscitiva volta ad analizzare i fenomeni per come appaiono al momento e per come si sono modificati e, presumibilmente, potranno modificarsi in tempi di qualche consistenza. C’è bisogno di riferire l’educazione scolastica (o esplicita, perché intenzionalmente rivolta al passaggio di conoscenze e valori fra le generazioni) alle condizioni di vita, e rilevare le interazioni che si stabiliscono fra educazione esplicita e implicita (acquisita cioè nelle condizioni quotidiane di esistenza). È evidente che l’educazione implicita sta esercitando una forte azione concorrenziale nei confronti di quella esplicita, e che da essa derivano molti dei fattori di crisi (per esempio quelli valoriali e motivazionali) che sono alla base delle difficoltà che le scuole si trovano ad affrontare. Sono fattori che incidono ampiamente sulle condizioni di apprendimento: per esempio, modificano i profili della competenza linguistica di bambini e ragazzi, con quel che ne consegue dal punto di vista cognitivo. Queste analisi, condotte su campioni adeguati, possono sostenere il lavoro delle scuole, fornendo riferimenti per le difficoltà da affrontare. *********** 13. Non esistono scuole migliori… e le piogge sono sempre salutari - di Maurizio Tiriticco Di ritorno dalle vacanze ci siamo trovati questo bel regalino della Befana! E così pare che il miglior modo per far funzionare le nostre scuole, o meglio, per dirlo in forma più corretta, il nostro Sistema Educativo di Istruzione e Formazione (legge 53/03, art. 2)– e la differenza terminologica non è affatto cosa da poco, sperando che chi ci amministra ne sappia qualcosa – sia quello di “premiare i migliori”! Ebbene! Sono assolutamente contrario, essenzialmente per due motivi, uno teorico – se si può dir così – l’altro relativo al nostro… italico costume! In materia di educazione, formazione e istruzione – e si tratta di tre concetti forti su cui ci siamo impegnati a lavorare quando abbiamo optato per la scuola dell’autonomia (dpr 275/99, art. 1) [1] – le variabili in gioco sono molteplici e non tutte riconducibili a fattori oggettivamente rilevabili, accertabili e misurabili! Figuriamoci se poi si dovesse passare a una valutazione vera e propria di sistema con tutte le ulteriori variabili da considerare! Parole grosse, Valutazione, Sistema, e concetti ancora più grossi, a fronte dei quali le nostre istanze amministrative e quelle che più propriamente attendono ai processi realizzati dalle istituzioni scolastiche sono, come si suol dire, alle prime armi. Ma che cosa significa dire che una scuola è migliore di un’altra? Le scuole non producono saponette o coltelli! E’ ovvio che, se una saponetta non lava o se un coltello non taglia, qualcosa nella fabbrica non ha funzionato! E lo dico con tutto il beneficio di inventario, perché anche nelle aziende più accreditate la valutazione dei processi e dei prodotti non è cosa agevole. L’esempio delle saponette e dei coltelli ci conduce a oggetti, per certi versi, semplici. Se poi si tratta di un’automobile o di una Costa Crociere, la questione valutativa si fa ben più complessa! E si pensi, poi, alla implicazioni che insorgono se un’automobile esce fuori strada o se una nave affonda! Difetti di costruzione? Imperizia umana? E via dicendo… Gli oggetti che una scuola produce non sono saponette né navi e i tempi di produzione – se si può dir così – sono assolutamente non quantificabili! E sono molto più lunghi anche di quelli che occorrono per una nave! Un essere umano “si produce” dalla nascita alla maturità ed anche oltre! Quanti scrittori sono stati bocciati agli esami di maturità! E quanti pianisti di fama non hanno superato le prove finali di conservatorio! Errori di valutazione? Il fattore tempo è una variabile fondamentale per un essere umano, un fattore che ha un’altra valenza, in genere determinabile, per quanto riguarda un oggetto: si pensi alle scadenze che riguardano i prodotti alimentari. Ma per un bambino – chiamato riduttivamente alunno nella scuola – è estremamente difficile fare predizioni per il suo futuro! Le variabili che incidono nel suo sviluppo/crescita e nel suo apprendimento sono infinite: in una data materia può andare oggi “malissimo” e “benissimo” domani, e non è sempre agevole comprenderne le ragioni: dipende dai contenuti di studio? Dal suo livello di maturazione? Dal suo stato di salute? Dall’insegnante? Dalla famiglia? Eppure, sembrerebbero oggetti semplici da valutare! Il che significa qualcosa: che la scuola stessa, seppur deputata a farlo, non sempre è in grado di valutare correttamente! Com’è noto, da quando sulle scuole sono piovute le prove Invalsi è scoppiato il finimondo! Ma ci siamo chiesti il perché?! Pur dando per buone prove e procedure adottate dall’Invalsi,[2] ci si è mai chiesti in modo serio le ragioni per cui scuole, insegnanti, studenti nella grande maggioranza o le hanno rifiutate o accettate obtorto collo? La ragione è semplice: una cultura della valutazione nelle scuole non è affatto diffusa; è significativo il solo fatto che molti insegnanti ancora si gingillano con i sei meno e i cinque più quando la norma – che è anche della fine dell’Ottocento – “predica” che i dieci voti debbono essere utilizzati tutti e solo per intero! Un’amministrazione che da decenni non è stata capace di promuovere una cultura della valutazione nei propri addetti e nelle proprie istituzioni, sarà in grado di adottare criteri di valutazione per valutarle? Basti un solo esempio: gli sforzi che abbiamo compiuto per abolire i voti nella scuola dell’obbligo fin dal lontano 1977, augurandoci di giungere a un nuovo sistema di valutazione anche nel secondo ciclo di istruzione, sono stati vanificati dal ritorno ai voti imposto dal duo Tremonti-Gelmini! Che affidabilità ci può dare un’amministrazione che va indietro invece di andare avanti e non sa bene quello che fa? D’altra parte, è sacrosantamente vero che le scuole hanno bisogno di soldi “a pioggia” come si suol dire! Non è affatto riduttiva questa espressione, se i soldi “piovono” per il semplice e normale funzionamento! Sono anni che le scuole sono costrette alla sete! Che cosa significa, allora, dare soldi solo ai migliori? Non sarebbe invece il caso di darli ai peggiori, perché sono questi che hanno bisogno di essere sostenuti, rafforzati, incentivati? Con nuove strutture, attrezzature, strumentazioni didattiche, formazione continua del personale, ecc. In un Paese civile non si ricattano le scuole! “Se promuovi, ti premio! Se bocci, non ti finanzio!” In un Paese civile l’istruzione è e deve essere al primo posto! Con questa invenzione del premio ai migliori la Costituzione è carta straccia! “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”: così recita l’articolo Cost. 9; ma si vedano anche gli articoli 2 e 3 e 34, che modificheremo così: “La scuola è aperta a tutti quelli che se la meritano”! Ma il merito come si acquisisce? Mah! E’ forse un dono divino! La Repubblica non c’entra: non è materia sua! Allora, a che serve blaterare ormai da anni che siamo entrati nella società della conoscenza, che conoscenze e competenze sono le condizioni per lo sviluppo, quando scientemente si sceglie che ci sono scuole di serie A che vanno incentivate e scuole di serie B che vanno abbandonate a se stesse? Mi ricordo una vecchia barzelletta: “Studio medico, cartello: Si riparano gobbe. Tutti i gobbi del paese si affollano nella sala d’aspetto. L’infermiere apre la porta dell’ambulatorio e chiama: Avanti il primo! Dopo una mezz’ora, si riapre la porta e l’infermiere chiama: Avanti il secondo! Il secondo gobbo chiede: E il primo? Risposta: Il primo si è rotto!” E allora, che ne faremo delle scuole di serie B? Il secondo motivo di preoccupazione riguarda l’italico costume e non è affatto banale. Chi ci garantisce che nelle scuole “peggiori” non si correrà a promuovere sempre e comunque per accedere alla fascia dei privilegiati? Veramente un dieci sarà “eguale” a un altro dieci? Accadrà che, invece di avviare una buona volta una cultura della valutazione, si solleciterà il malcostume nostrano che ancora – non so per quale fortunato caso – non ha interessato il nostro Sistema Educativo di Istruzione e Formazione. Sembra che non ci sia apparato istituzionale e amministrativo che non sia corrotto oggi, dagli scanni parlamentari a tutte le amministrazioni periferiche! Vogliamo che anche nella scuola si implementino voti alti, comunque e sempre, per ottenere il necessario per sopravvivere? Auspico soltanto che questo comma 149 della Legge della cosiddetta Stabilità non destabilizzi ancora di più la nostra scuola… pardon, il nostro Sistema Educativo di Istruzione e Formazione! Se ancora vogliamo chiamarlo così! E’ forse un eufemismo? -------- [1] Si noti che il termine “formazione”, di cui alla legge 53/03 allude alla formazione professionale regionale, la quale, insieme al sistema di istruzione delle scuole pubbliche (statali e paritarie) fa parte dell’intero macrosistema che attende allo sviluppo delle competenze culturali, preprofessionali e professionali della popolazione, anche in chiave di “diritto/dovere all’istruzione e alla formazione per tutta la vita”. Invece, il termine “formazione”, di cui all’articolo 2 del dpr 275/99, riguarda la formazione della persona in quanto tale, perché il dpr riguarda solo le istituzioni scolastiche e non le istituzioni formative regionali. Si tratta di una distinzione di non poco conto e che occorre considerare per non cadere in spiacevoli equivoci. Se veramente si vuole attendere al varo di una valutazione di sistema, è più che opportuno avere chiarezza anche sulle parole/concetto che vengono utilizzate. Quindi, è bene ricordare che l’istruzione riguarda l’area degli insegnamenti/apprendimenti disciplinari, l’educazione l’area della responsabilità civica. Non è un caso che “l’elevamento dell’obbligo di istruzione a dieci anni intende favorire il pieno sviluppo della persona nella costruzione del sé (esito della formazione), di corrette e significative relazioni con gli altri (esito dell’educazione) e di una positiva interazione con la realtà esterna (esito dell’istruzione)”. Così recita l’incipit dell’allegato 2 al dm 139/07, il Regolamento che detta norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione. [2] Sulla questione delle prove Invalsi rinvio ad altre mie riflessioni. Comunque, io sono per le prove, ma a due condizioni: che siano “ben fatte” e non inducano in equivoci; e che siano inserite in un piano di valutazione di sistema condiviso dalle istituzioni scolastiche e con esse concordato. E questo è un terreno tutto da costruire e da percorrere. *********** OPINIONI A CONFRONTO: DL 953 AUTOGOVERNO SCUOLE 14. UN QUADRO ISTITUZIONALE NUOVO PER LA SCUOLA: PARTECIPATA, AUTONOMA - Armando Catalano APERTA, Su molti punti il Governo Monti o non ha operato o ha operato male. Il dimensionamento della rete scolastica, avviato malamente dal precedente governo, ha teso solo a fare cassa. La FLC chiedeva, inascoltata, più tempo, un rinvio. Risultato: scuole grandissime con numerosi plessi e in più comuni, istituti comprensivi solo di nome, senza alcun progetto che consentisse la continuità didattica, scuole senza dirigenti né direttori solo perché sotto i 600 alunni. La FLC CGIL propone che il dimensionamento poggi su parametri adatti a una buona gestione: una media di 850 alunni, istituti comprensivi plausibili e pedagogicamente fondati, tutte le scuole con dirigente e un direttore fissi, fine dei tagli. Il Governo Monti non si è preoccupato di individuare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) in materia di istruzione. L’occasione c’era, bastava dare seguito all’Intesa fra Stato e Regioni per eliminare gli squilibri esistenti nel Paese in materia di conoscenza. La FLC CGIL propone la rapida attuazione dell’intesa perché finisca l’incertezza in cui è tenuto il sistema scolastico e soprattutto che si attui, tramite l’individuazione dei LEP, la Costituzione in materia di istruzione. Dalla riforma degli Organi collegiali si sono occupate solo le Commissioni parlamentari e alla fine il Governo ha preso le distanze. La FLC CGIL propone: • riforma da fare con il coinvolgimento di tutto il mondo della scuola; costituzione di organi con poteri distinti e a composizione plurale senza l’esclusione di nessun soggetto; • partecipazione di tipo delegato e/o assembleare di genitori e studenti; • salvaguardia e tutela dell’autonomia professionale docente a livello di scuola ma anche tramite specifici organismi oggi aboliti dalle norme Brunetta; • istituzione di Associazioni di scuola a livello territoriale e nazionale a composizione plurale che dia rappresentanza e voce alle scuole autonome. Infine, il Governo ha “dimenticato” di prorogare nella legge di stabiIità la validità del Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione (CNPI) e del Consiglio nazionale per l’Alta Formazione Artistica e Musicale (CNAM), creando un vuoto di rappresentanza delle diverse componenti professionali che li eleggono. E con il rischio di lasciare atti amministrativi molto importanti, quali ad esempio la definizione delle nuove classi di concorso nella scuola e l’intera attività di valutazione ed accreditamento dell’offerta formativa delle istituzioni operanti nel settore, privi di validità legale oggi assicurata dai pareri di quegli organismi improvvidamente “dimenticati”. ***********