BIBLIOPATHOS LIBRERIA BIBLIOPATHOS via Enrico Toti, 1 37129 Verona Tel/Fax +39 (0)45 592917 corso Alessandro Tassoni, 30 10143 Torino Tel/Fax +39 (0)11 7603934 www.bibliopathos.com [email protected] fantasmi Prefazione Questo breve catalogo contiene dieci fantasmi bibliografici: ci sarebbe piaciuto aggiungerne altri, che teniamo cari, ma il tempo non lo ha permesso. Vorrei quindi considerare questo florilegio come una sorta di prodromo di bibliografia fantasmatica: contiamo un giorno di fare un catalogo con tutti i ghost che abbiamo avuto, una specie di bibliografia privata sui libri fantasma. Il requisito essenziale di un manoscritto o di un testo a stampa per essere ammesso tra i ghost è che non ce ne sia un altro. Meglio: che ce ne sia uno soltanto, e che sia quello di cui si parla. Naturalmente fino al momento in cui se ne parla: perché se per un manoscritto è plausibile che possa essere in copia unica, per un testo a stampa è vero invece il contrario, essendo per sua natura intrinseca un multiplo. In alcuni casi, potrebbe non essere così ab origine: molti libri in pergamena potrebbero essere stati impressi in un solo esemplare per la loro sostanza di ex-dono o di capriccio o di esperimento tipografico. A parte questi pochi casi, i fantasmi librari non sono perciò per sempre: emblematico è il caso della Saison en Enfer di Rimbaud, rimasto fantasma finché non ne furono ritrovate centinaia di esemplari (quasi tutta la tiratura) che si credevano mandati al macero. Ma parliamo di questi dieci, provvisori ghost, che vorrei brevemente presentare tutti, perché in qualche modo li conosco quasi ormai come i miei privatissimi spettri. Comincio da quello che è sparito nuovamente, prima dell’uscita del catalogo: il manoscritto cinquecentesco delle Torri di guardia a difesa delle coste calabresi, fantasma che dopo strenuo e premiato corteggiamento («amor ch’a nullo amato amar perdona») ora infesta la biblioteca di un collezionista gentile e inesorabile. Questo codice è composto da novantanove tavole acquerellate, che descrivono torri e altri loci strategicamente fortificati nella Calabria Ultra, posti a difesa dagli attacchi dei pirati turchi. Il suo appeal straordinario, al di là delle stimmate usuali di originalità e unicità proprie di un ghost, è dovuto al fatto che molti dei luoghi descritti sono ora un am- masso di rovine: quindi mi piacerebbe definirlo un fantasma di luoghi fantasma. Fuori dal calembour, la sua importanza storica, geografica, topografica per la ricostruzione di quella parte del territorio italiano è di portata immensa: perché possa essere goduto anche da studiosi e altri amanti, sarà presto disponibile in riproduzione integrale nella collana Rara Inventa, che abbiamo pensato proprio per ridare vita, una nuova vita letteraria, a questi ed altri fantasmi. * Il più prezioso fantasma della raccolta è certamente il manoscritto in volgare del Picatrix, già fuori dall’ordinario poiché non se ne conosce nessun altro in volgare né tantomeno nell’originale prima vulgata spagnola (e pochissimi sono quelli in latino) e perché, per ragioni legate in parte alla sua essenza di opera per iniziati e in parte a prudenze censorie, non è mai stato stampato, sebbene la sua fama sia leggendaria. Per quelli che non si intendono di cose esoteriche, dirò semplicemente che è il più celebre e ambiguo testo di magia cerimoniale dell’antichità, considerato dagli estimatori una chiave di accesso ai segreti del cosmo, dai detrattori la porta dell’inferno. * Il primo ghost in pergamena è un grande e prezioso Missale impresso in due colori da Lucantonio Giunti, nel 1498: di questa rarissima edizione, l’ISTC censisce soltanto tre esemplari completi al mondo, nessuno dei quali su pergamena. Di conseguenza, questo è l’unico esemplare conosciuto o, meglio, non conosciuto. Il fascino di questo fantasma sta nelle domande intorno alla sua genesi: per chi è stato stampato un esemplare tanto prezioso, per la cui fattura occorreva affrontare la spesa di un intero gregge di pecore? E come mai è passato inosservato in questi secoli? Il messale è uno strumento liturgico: quindi, la committenza quasi certamente non doveva essere privata, a meno che un munifico signore non avesse deciso di regalarlo a una neonata cattedrale, per espiare i propri peccati. Ma non abbiamo trovato nessun elemento in tal senso, né citazioni bibliografiche che attestino l’esistenza di questa tiratura speciale o di questo esemplare, né naturalmente di altri esemplari su pergamena, quasi come fosse apparso dal nulla. Non ha nemmeno tracce di possesso ad aiutarci, fatta eccezione per alcune glosse elegantemente miniate in rosso, nello stesso carattere gotico della stampa. Ma forse è rimasto per lungo tempo nella tipografia dei Giunti, in attesa di un degno cliente, e quindi dimenticato in qualche magazzino di libri, tra altri fantasmi. * L’altro fantasma membranaceo della collezione, ottimamente stampato dal Blado, riguarda alcuni Privilegia concessi da Pio V agli agostiniani della basilica di San Giovanni in Laterano, la cui luminosa bellezza basterebbe soltanto a farmi amare questo volume: il libro mi piace anche perché è proprio l’esemplare con la firma del cardinal Orsini di cui parla il Brunet nel suo Trèsor, e il fil rouge che unisce due epoche mi rende questo fantasma simpatico nel suo apparire, scomparire e riapparire, in accordo a certa esegesi disneyana e poi cinematografica, che legge i fantasmi come entità spiritose e gentili. * L’edizione delle Heroides ovidiane di Caligola Bazalieri, impressa nel 1501, è uno splendido ghost della tipografia felsinea, e per questa ragione ci siamo risolti ad estrarlo dai cassetti e a presentarlo in questa cornice, nell’augurio che qualcuno possa essere invogliato a farlo restare a Bologna. Due grandi bibliotecari dell’Archiginnasio, Sorbelli e Serra Zanetti, non ne immaginarono neppure l’esistenza: non ne esiste infatti traccia in nessun repertorio e in nessuna biblioteca italiana. E’ possibile che l’edizione sia stata impressa in una o pochissime copie per soddisfare una tardiva, ulteriore richiesta di questo testo ovidiano, dal momento che Bazaliero, il fratello di Caligola, ne aveva già dato una stampa nel 1491. Ma esaminando la produzione di Caligola, mi sono convinto che stampasse professionalmente solo a fianco, e all’ombra, del fratello: dal momento che tutte le impressioni col suo solo nome sono rarissime, spesso censite in unico esemplare, credo perciò che la sua attività di editore in proprio fosse limitatissima e quasi dilettosa, svincolata da una vera produzione commerciale. Un tetro fantasma antisemita è invece questo unico esemplare dell’incunabolo contenente le poesie encomiastiche di Giacomo da Lonigo perché, con l’esaltazione della politica intollerante del pretore Antonio Bernardo, il Leoniceno implicitamente approva l’espulsione definitiva della comunità israelita dalla città di Vicenza, avvenuta nel 1486. Contemporaneamente, il pretore Bernardo istituisce un Monte di Pietà, come alternativa all’attività di prestito tradizionalmente praticata dagli ebrei. Di tale espulsione, e della fondazione del Monte, questa edizione fantasma è la prima e unica fonte storica a stampa. * Il ritrovamento del manoscritto della Partenope pacificata di Giulio Cesare Sorrentino è stato invece per me fonte di gaiezza ed entusiasmo, intanto perché apprezzo la cultura napoletana e le agudezas della sua lingua, e poi perché questa operetta è il testimone di una rivoluzione fantasma che ha al suo interno lo spettro tragico del pescatore Masaniello, che ho sempre visto come un Macbeth dei Quartieri Spagnoli, specialmente nel farsi prendere per mano dalla paranoia sanguinaria. Si tratta probabilmente dello stesso manoscritto di cui parla Francesco Palermo, quando lo recensisce nella Raccolta di documenti inediti pubblicata dal Viesseux (1846), perché non pare esservene altri nelle biblioteche italiane; questa Partenope, inoltre, a differenza del contemporaneo panegirico di Alessio Pulci con lo stesso titolo, non è mai stata pubblicata, fatta salva quella parziale trascrizione del Palermo. Il dramma era probabilmente pensato per essere musicato, forse da Francesco Cavalli, come altre opere del Sorrentino: ma non ho trovato traccia di partiture. * Un altro fantasma che mi è simpatico, anzi simpaticissimo, è la versione italiana, sconosciuta alla bibliografia cagliostriana del Lattanzi, dell’incredibile autodifesa di Giuseppe Balsamo, meglio conosciuto come Conte di Cagliostro, nel memorabile affaire della collana della regina che è soltanto uno dei tanti misfatti di cui fu accusato e, stavolta, forse ingiustamente. In ogni caso, sebbene assolto, anche in questo Memoriale, Cagliostro non rinuncia a mostrare tutta la sua ars mistificatoria inventando, di sana pianta, una biografia fantastica. Non ho ancora deciso se, nella mia percezione, Cagliostro sia un personaggio tragico o da commedia dell’arte. Se lo immagino stremato dall’ictus, murato vivo nel pozzo umido della Rocca di San Leo, mentre alterna bestemmie a preghiere e disegna sui muri immagini mistiche o oscene, provo l’infinita passione che sento per gli analfabeti, perché questo Cagliostro era: un popolano che volle farsi re, papa e gran cofto di un’improbabile massoneria di rito egizio. Ma non posso fare a meno di ridere per le lacrime se penso al lunghissimo discorso che Cagliostro tenne nella loggia massonica dell’Aja, un dissennato pastiche in tutte le lingue europee senza che nessuna avesse un senso intellegibile, ma che fu applauditissimo. Goethe, che da Cagliostro fu attratto per gli stessi motivi per cui ne sono sedotto io, ovvero il misterioso fascino di chi sceglie di falsificare la propria vita, durante il suo soggiorno a Palermo decide di andare a trovarne la madre, spacciandosi (quindi anche Goethe mentiva!) per un suo amico inglese. Arriva in questa casupola, dove lo accolgono come un’emanazione del figliuol prodigo, gioiscono delle notizie fresche e si lamentano dell’assente, una sorella di Cagliostro lo supplica di ricordare al fratello la somma che le deve, e sottolinea la cifra. Ma l’amico inglese è amabile come solo Goethe sapeva esserlo, e infatti i familiari di Cagliostro lo amano a prima vista, l’atmosfera diventa allegra e i Balsamo lo invitano a tornare per la festa di Santa Rosalia, lo seguono con lo sguardo dal balcone mentre si allontana, pacificati. L’inglese si comporta come si sarebbe comportato Goethe: non torna a Palermo per la festa di santa Rosalia, ma dalla Germania invia alla sorella di Cagliostro, di tasca propria, i quattordici scudi d’oro. * Il mio ghost preferito è però la Vita de la beata Katherina, perché è un poco l’Idealtypus di quello che secondo me dovrebbe essere un ghost: è un libro dei primordi della stampa, è molto bello tipograficamente, con una grande xilografia al frontespizio, è scritto nella mia lingua (un fantasma domestico, quindi) e infine parla di un altro fantasma. Anzi di una fantasmina. Caterina d’Alessandria, infatti, vergine e martire egiziana, patrona degli studenti di legge (almeno a Padova) e delle sartine, non è mai esistita. Amatissima nel periodo rinascimentale, certamente per il fatto di essere una donna d’intelletto, fu raffigurata da tutti i più grandi pittori: moltissimi i dipinti che descrivono il Matrimonio mistico di Santa Caterina. Personalmente, fin da ragazzo ho sempre amato l’iconografia di questo soggetto, considerandola bellissima e inquietante nel suo surrealismo mistico-allegorico: un bambino che infila l’anello al dito di una principesca giovinetta alla quale non arriverebbe nemmeno al ginocchio, e infatti è seduto sulle ginocchia di sua madre. Nella versione del Parmigianino poi, il Bambino guarda negli occhi la propria madre —mentre sposa Caterina. Non voglio nemmeno immaginarne una lettura psicanalitica, ma so che è un soggetto che mi avvince poeticamente e insieme mi turba, e credo che avrà commosso non poco gli uomini del Rinascimento. Ma dicevo che Caterina non è mai esistita. Come prudente conseguenza delle poche e dubbiose notizie sulla sua figura storica, la sposa mistica del Bambino è stata esiliata per quarant’anni (1962-2002) dal martirologio cattolico e solo recentemente riammessa a furor di popolo. Infatti pare che il culto di Caterina di Alessandria sia un’appropriazione di un altro martirio, con la differenza che fu commesso da monaci cristiani: quello di Ipazia, la filosofa e matematica alessandrina che è considerata da molti l’archetipo della donna di scienza e una martire della libertà di pensiero. Per molti rispetti infatti, le loro figure coincidono, e la chiesa stessa, sebbene abbia poi recentemente reintegrato il culto popolare di Caterina d’Alessandria, ammette la possibilità che possa trattarsi di Ipazia cristianizzata. Questo non fa che accrescere naturalmente il mio affetto per questo fantasma, che ha attraversato le sale della più grande biblioteca del mondo antico, divenuta poi lo spettro eccellente dell’immaginario occidentale. * Chiude il catalogo un’organica raccolta inedita di manoscritti in francese (rilegati in più volumi) a carattere paranormale, quindi una sorta di fantasma al quadrato: si tratta specialmente di trascrizioni di communications spiritiche, talvolta di personaggi celebri, ricevute da un autore che ha preferito restare anonimo. Secondo l’opinione di un psychiste avançé del tempo, espressa in una lettera acclusa (1910), queste oscurissime trasmissioni spiritiche svelerebbero agli iniziati importanti notizie sull’aldilà: per noi profani, sono specialmente il fantasma di un genere letterario oggi quasi scomparso, e la testimonianza di un’inquietudine, che va da Mesmer a Madame de Watteville, che nell’austera società positivista francese faceva irrompere l’irrazionale, la voyance, e smanie di altri mondi. ANTONELLO PRIVITERA LEONICENO, 1486 INCUNABOLO SCONOSCIUTO ALLE BIBLIOGRAFIE UNICA FONTE A STAMPA SULL’ESPULSIONE DEGLI EBREI DALLA CITTÀ DI VICENZA LEONICENO, GIACOMO. Carmina diversorum poetarum [colophon alla c. 12v:] Grata Vince(n)tia posuit. M.cccc.lxxxvi [Vicenza, Henricus de Sancto Ursius, dopo il 1486]. [titolo, alla c. 1v] CARMiNA DiVERSORVM POETARu(m) DE PRETVRA ExiMii ET CLARiSSiMi DOCTORiS ANTONii BERNARDi SE NATORii ORDiNiS FOELiCiTer ADMi NiSTRATA. In-4° piccolo (250x142 mm), legatura ottocentesca in mezza pergamena su carta colorata, cc. [12]. Carattere: 88 R 65 G. ESEMPLARE UNICO DI UN’EDIZIONE SCONOSCIUTA A TUTTE LE BIBLIOGRAFIE, di notevole importanza per la storia del territorio vicentino nel periodo del pretorato di Antonio Bernardo: si tratta dell’unica fonte storica a stampa sull’espulsione degli Ebrei dalla città di Vicenza. L’edizione, impressa senza indicazioni tipografiche, è attribuibile ad Enrico di Sant’Orso, unico stampatore attivo a Vicenza nel 1486. I tipi impiegati riconducono alla sua produzione: in particolare, il carattere semigotico di piccolo corpo —con il quale una parte dell’opera è glossata— compare anche nell’Expositio in Aristotelem de anima di Gustavo da Thiene, impressa dal Sant’Orso il 21 settembre del 1486 (BMC, VII-1046 e cfr. la tavola XCIII). Questo piccolo florilegio di versi encomiastici venne raccolto da Giacomo, nipote del più celebre Ognibene Leoniceno (1412-1474), in omaggio ad Antonio Bernardo (metà del XV secolo-1505), professore di diritto e magistrato a Padova, che fu nominato pretore di Vicenza nel 1486. Il suo indirizzo politico fu improntato alla zero tolerance e fu dichiaratamente ostile alla comunità ebraica, per ragioni economiche e commerciali: contemporaneamente all’espulsione definitiva della comunità israelita da LEONICENO, 1486 Vicenza (1486), Bernardo istituì la creazione del Banco di Pietà, attestata anche nella presente opera («Munte pietatis fundat», c. 12v), che voleva essere un’alternativa pubblica al prestito del denaro, attività praticata tradizionalmente dagli ebrei. La certa presenza ebraica nel territorio vicentino è documentata fin dal 1369 nella cittadina di Lonigo (patria dell’autore), dove era attivo un banco di prestito dell’ebreo padovano Leone di Consiglio: fra gli ebrei sicuramente presenti nella città di Vicenza, è notevole la figura del banchiere Beniamino Finzi, che nel 1417 presta 500 lire al Comune. Per quasi tutto il secolo XV, la permanenza degli ebrei nel vicentino è costante, a dispetto dei molti decreti di espulsione; la fenerazione però, per effetto dei numerosi divieti, è in calo calo già dalla metà degli anni quaranta: i documenti relativi all’attività di prestito si fanno via via più rari e prevalgono invece le informazioni sulla pezzaria, ossia la rivendita di abiti e oggetti usati, l’altra attività commerciale concessa agli ebrei. Tra i motivi di questo cambiamento, le predicazioni antiusurarie di Bernardino da Siena, che nel 1443 suscitarono grande impressione nella popolazione vicentina, prvocando un primo decreto di espulsione, come ricorda Alessandro Nievo nei suoi Consilia contra iudeos foenerantes. Minori tracce d’uso (macchioline di inchiostro), ma ottimo esemplare. PROVENIENZA: Una glossa (non identificata) di mano coeva. BIBLIOGRAFIA: Manca a tutti i repertori sugli incunaboli. Non censito in ISTC. R. SCURO, La presenza ebraica a Vicenza e nel suo territorio nel Quattrocento, in «Reti Medievali», VI 2005/1. A. MILANO, Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963, p. 209. CATERINA D’ALESSANDRIA, 1489 ESEMPLARE UNICO SCONOSCIUTO ALLE BIBLIOGRAFIE DELLA VITA DI CATERINA D’ALESSANDRIA ARCHETIPO DELLA DONNA DI SCIENZA NEL MONDO ANTICO CATERINA D’ALESSANDRIA. Vita de la beata Khaterina. [Roma: Eucharius Silber?, ca. 1489]. In-4°(205x140 mm), pergamena rigida moderna con titolo calligrafato in gotico al dorso entro cofanetto in tela grigia con titolo in oro al dorso, cc. 10. Carattere romanico, 2 colonne, 35 linee. Registro: a10. Capilettera xilografici. STRUTTURA: c. a1r (XILOGRAFIA A PIENA PAGINA DI SANTA CATERINA, 164x93); c. a1v: In nome del trino & uno dio; c. a10r: Sanctissima castissima & gloriosissima uirgi- / ne Katherina sobueni / ad me; la carta a10v è bianca. ESEMPLARE UNICO DI UN’EDIZIONE MANCANTE A TUTTI I REPERTORI SUGLI INCUNABOLI: soltanto Cioni sembra conoscere l’esistenza di questa impressione, sebbene affermi che non ne sia rimasto alcun esemplare. L’edizione è vicina a quella stampata a Roma da Besicken e Martino di Amsterdam (HR, 4703) in cui compare un frontespizio con una xilografia simile, riprodotta dal Cioni (p. 119). Rispetto all’edizione di Besicken, dalla quale la xilografia della presente impressione si discosta per la cornice, in questa stampa sono presenti altre due preghiere. Lo stesso Cioni, descrivendo l’edizione di Besicken, a p. 117 cita anche la nostra, indicandola come fantasmatica: «Una prima edizione stampata —come si rileva dal colophon di questa— è stata pubblicata nel 1489: non ne restano esemplari». Il culto della martire Caterina d’Alessandria (ca. 287-304 d.C.) ebbe notevole impulso in tutto il periodo umanistico-rinascimentale, grazie anche alla sua fama di raffinata maestra di eloquenza, in grado di convertire al cristianesimo i retori chiamati da Massimino, governatore dell’Egitto, per convincerla ad onorare gli dei pagani. Per tale ragione, è considerata la protettrice degli studi: la fisionomia del personaggio, unitamente ai dubbi CATERINA D’ALESSANDRIA, 1489 sulla sua esistenza storica, ha portato all’ipotesi che la sua figura possa coincidere con quella dell’alessandrina Ipazia (ca. 370-415 d.C.), matematica, astronoma e filosofa barbaramente uccisa dai monaci parabolani, e recentemente riscoperta dalla letteratura come martire della libertà di pensiero e archetipo della donna di scienza. Trascurabili gore al margine esterno delle quattro carte finali; salvo ciò, ottimo esemplare. BIBLIOGRAFIA: Manca a tutti i repertori sugli incunaboli. Edizione non censita in ISTC. Cfr. HR, 4703 (l’edizione di Besickten, di cui esiste un unico esemplare alla Biblioteca Casanatense, vol. Inc. 1577). A. CIONI, La poesia religiosa: i cantari agiografici e le rime di argomento sacro. Firenze, Sansoni, 1963. MISSALE ROMANUM, 1498 UNICO ESEMPLARE IMPRESSO SU PERGAMENA SCONOSCIUTO ALLE BIBLIOGRAFIE MISSALE ROMANUM. Missale s[ecundu]m usum sanctae Romane [sic] ecclesie. [al colophon:] Impressum iussu et impe[n]sis nobilis viri LucAntonij de giu[n]ta Florentini: Arte aute[m] Joan[n]is Emerici de Spira: Venetijs ducante felicissimo principe Augustino Barbadico. M.ccccxcviij. Quarto kal[endae]. Julij (Venezia, Giovanni Emerico da Spira per Lucantonio Giunti, 28 giugno 1498). In-folio (345x235 mm), legatura in piena pelle seicentesca con tre cornici impresse in oro ai piatti, decorazioni e titolo in oro al dorso, cc. [2 su 8], 200 (numerate in numeri romani), [2 extravagantes]. Carattere gotico, testo su 2 colonne, 39 linee. Frontespizio interamente impresso in rosso, con il titolo e il giglio di Lucantonio Giunti. ESEMPLARE UNICO, IMPRESSO SU PERGAMENA, SCONOSCIUTO ALLE BIBLIOGRAFIE: di questa edizione sono noti solo tre esemplari completi, ma impressi su carta. Lucantonio Giunti ristampò il messale nell’ottobre dello stesso anno 1498 (IGI, 6645) ed è forse possibile che questa edizione estiva fosse soltanto una prova di quella che sarebbe stata poi l’edizione vera e propria: questo giustificherebbe, almeno in parte, l’estrema rarità degli esemplari su carta, e l’unicità di questo testimone membranaceo, forse prodotto per testare un diverso materiale di stampa. Lucantonio Giunti ed Emerico da Spira fecero quattro edizioni di questo Missale Romanum, tutte molto rare: la prima è del luglio 1496 (IGI, 6636); seguono le tre curate da Pietro Arrivabene, la prima impressa nel novembre 1497 (IGI, 6642) e le due del 1498. Mancano (ab origine?) 71 carte: le carte I (ai), III (aiii), VI (avi), VIII (aviii); XI (biii), XIV (bvi), XX-XXI (ciiii-cv), XXVI (dii), XXVIII-XXIX (diiiidv), XXXI (dvii), XXXVI-XXXVII (eiiii-ev), LXVI-LXXI (i2-i7), LXXIV-LXXIX (kii-kvii), LXXXI-XC (l-mii), XCII-XCIII (m iiii-mv), MISSALE ROMANUM, 1498 XCVI (m viii), CVI (oii), CXI (ovii), CXXVII (qvii), CXXX (rii), CXXXV (r vii), CXLV-CLVIII (i quaderni t, v e x), CXCIII-CXCIV, CXCIX. Lievi tracce d’uso, ma bell’esemplare. PROVENIENZA: Un’elegante postilla in gotico di mano coeva miniata in rosso al margine inferiore del verso della c. CXXXIX, con un corpo quasi dello stesso formato di quello della stampa; altre postille in gotico di corpo più piccolo miniate alle carte CXLI (recto e verso), CXLIII, CXLIIII e CXC (verso) altre postille in seppia al verso delle cc. CLXX e CLXXIV. BIBLIOGRAFIA: Nessuna traccia di esemplari su pergamena di questa edizione nelle bibliografie e nelle biblioteche di tutto il mondo. Per gli esemplari su carta, cfr. ISTC, im00713300; Copinger, 4211; IGI, VI 6643-A; GW, M24031; Bod-inc, M-269; Sheppard, 4562-4564; Ohly-Sack, 2024; Hubay (Würzburg), 1486; Sander, 4775. WEALE-BOHATTA, Bibliographia liturgica, London 1928, 945; MARTIMORT, Missels incunables d’origine franciscaine, Louvain, 1972, pp. 359-78, n. 24; R. SALARIS, in La Bibliofilia, 18 (1916), pp.185-193, n. 354. (solo per gli esemplari impressi su carta): 1. Piacenza, Biblioteca Civica 2. Vigevano, Biblioteca Capitolare; 3. Frankfurt, StädelKunstI; 4. Oxford, Bodleian Library (imperfetto: è l’esemplare della Bishop’s House di Portsmouth, venduto da Christie’s il 5 luglio 1967); 5. Würzburg, UB (imperfetto). CENSUS MISSALE ROMANUM, 1498 MISSALE ROMANUM, 1498 OVIDIUS, Heroides, 1501 POSTINCUNABOLO BOLOGNESE SCONOSCIUTO ALLE BIBLIOGRAFIE OVIDIUS, PUBLIO NASO. Epistolas Ouidii: Cum commentariis Ubertini: Et epistolas Sabini poetae singularis: Ac epistolam Sapphos: Cum Domitio: Et opusculu[m] in Ibin: cum c[o]mentario eiusdem Domitii: singula peroptime castigata lector candidissime hic inuenies. [al verso del colophon:] Epistolae cum duobus Co[m]mentariis. [al colophon:] Et bononiae accurate Impressa per me Caligulam Bacielerium Ciuem Bononiensem. Sub Illustri Principe Ioanne Bentiuolo Secundo: Patre Patriae: Anno salutis. M.D.I. Octauo Calendas octobris (Bologna, Caligola Bazalieri, 1501). In-folio (292x199 mm), elegante legatura in mezza pelle settecentesca (dall’atelier di Carlo Zehe) con decorazioni floreali e titolo in oro al dorso, cc. 94 (con numerazione irregolare, in cifre romane, assente nelle ultime carte). Frontespizio in carattere gotico; testo in romano. Capilettera xilografici figurati. Registro A-I6 k6 L-P6 Q4. ESEMPLARE IN UNICO DI QUESTA EDIZIONE DELLE ALCUNA BIBLIOTECA MONDIALE E HEROIDES, SCONOSCIUTA NON CENSITA A TUTTE LE BIBLIOGRAFIE. La base di questa edizione è la bolognese del 27 luglio del 1491, pubblicata dal fratello di Caligola, Bazaliero Bazalieri: nato nel 1475, Caligola cominciò a lavorare nella tipografia del fratello e nel 1492 cominciò ad imprimere in proprio. L’ISTC registra 25 edizioni incunabolari, impresse tra il 1493 e il 1500, ascrivibili a Caligola, alcune in coedizione col fratello; l’EDIT 16 censisce 18 edizioni cinquecentesche (ma non la nostra), impresse tra il 1501 e il 1507. Il titolo più importante della sua produzione è senz’altro l’edizione degli Statuti di Genova (1498), curata da Antonio Visdomini; la corposa pubblicazione del Cicerone in più volumi (nel biennio 1498-99), stampata in collaborazione col fratello. Quasi tutte le edizioni di Caligola Bazalieri sono estremamente rare. Dei 42 titoli del suo catalogo, 17 sono conosciuti in unico esemplare o in notizia bibliografica (ma non presenti nelle biblioteche): tra questi volumi quasi fantasmatici, la Storia della Bianca e della Bruna (circa 1495), citata da Sander e OVIDIUS, 1501 apparsa solo una volta in vendita, e le Opere dell’Aquilano (1503), non rintracciabile in nessuna biblioteca italiana. Tra gli innumerevoli esemplari unici, vale la pena ricordare i Sette Salmi Penitenziali (1500 circa) falsamente attribuiti a Dante, il rarissimo Poliziano del 1503, censito nella Biblioteca Casanatense, sebbene privo del frontespizio; il Timone del Boiardo, di cui sopravvive un unico esemplare; la Rappresentazione della festa di Sant’Agata (circa 1505), consultabile alla Biblioteca Nazionale di Firenze e il Martirio di San Lorenzo, attribuibile allo stesso anno 1505, conservato presso la Fondazione Cini di Venezia. Tra le edizioni rarissime, il Filostrato del Boccaccio (1498) e il manuale esorcistico del Mazzolini (1502), conosciuto in due esemplari. Lievi tracce d’uso ma bell’esemplare, impresso su carta forte. PROVENIENZA: I. Alcune glosse marginali e correzioni testuali di mano coeva. II. Segnatura di scaffale (Q VIIII) al recto e al verso della carta Ai. III. Dalla biblioteca di Giacomo Filippo Durazzo (1719-1812): da vari elementi compositivi, la legatura è riconducibile con certezza a quelle effettuate da Carlo Zehe per il nobile genovese. BIBLIOGRAFIA: Manca a tutte le bibliografie. Per notizie sullo stampatore, cfr. SERRA ZANETTI, pp. 109-118 e pp. 411-412; A. SORBELLI, La storia della stampa in Bologna, Bologna, 1929, p. 513; A. SORBELLI, Le marche tipografiche bolognesi nel secolo XVI, Milano 1923, pp. 26-28; Norton, pp. 5-6; A. CIONI, DBI, 7° volume, p. 313. OVIDIUS, 1501 OVIDIUS, 1501 PIUS V, Privilegia, 1567 ESEMPLARE UNICO STAMPATO SU PERGAMENA CON FIRMA AUTOGRAFA DEL CARDINAL ORSINI PIUS V (PAPA). EXTENSIO, AMPLIATIO NOVA CONCESSIO, ET CON- FIRMATIO PRIVILEGIORVM SANCTISS. AC BEATISS. D. D. PII HVIVS NOMINIS V. PONT. MAX. IN SACROS ORDINES, ET Congregationes claustrales. PRO CANONICIS REGVLARIBVS Ordinis S. Augustini Congregationis Domini Saluatoris. R O M AE Apud haeredes Antonij Bladi impressores camerales. M. D. LXVII. In-4° (226x154 mm), legatura moderna in marocchino blu dentro cofanetto, cornice dorata ai piatti, dorso con cinque piccoli nervi, decorazioni e titoli in oro, dentelles interne dorate, cc. [12]. Marca xilografica col Cristo Salvator Mundi al frontespizio; una xilografia a piena pagina al recto del frontespizio, raffigurante Sant’Agostino in abito vescovile e, ai suoi piedi, lo stemma armoriale di Pio V. Capilettera xilografici. UNICO ESEMPLARE CONOSCIUTO IMPRESSO SU PERGAMENA, RECANTE LA FLAVIO ORSINI E LA CONTROFIRMA DEL NOTAIO MATTEO BOCCARINI: si tratta dell’esemplare citato da Brunet nel suo Trèsor e successivamente da Graesse, che ne attestano la presenza sul mercato antiquario verso la metà dell’Ottocento. FIRMA DEL CARDINAL L’edizione riguarda una conferma e un’estensione dei privilegi concessi dal Papa ai canonici regolari della congregazione del Santissimo Salvatore in Laterano, meglio conosciuta come San Giovanni in Laterano. Il 3 marzo del 1566, Pio V elesse Flavio Orsini protettore della Congregazione dei Canonici Regolari di Sant’Agostino del Santissimo Salvatore: il documento originale ci è pervenuto (Archivio Orsini, in «Archivio Storico Capitolino», II.A.26,005). Un foro (probabilmente di punta metallica: svista del legatore?) al margine inferiore interno. Ottimo esemplare. PIUS V, Privilegia, 1567 PROVENIENZA: Probabile esemplare destinato allo stesso pontefice, come attesta l’uso della pergamena come supporto impressorio. Al verso dell’ultima carta, firma confirmatoria Fla: Car·lis Urs·’ Protec(tor)·’, con controfirma dell’ufficiale rogante M· Boccarinus ca: ap: not(aius). Il notaio Boccarinus è senz’altro Matteo Boccarini di Amelia (Terni), assai legato alla famiglia Orsini, che redasse anche i capitoli matrimoniali tra Federico Sforza di S. Fiora e Beatrice Orsini, alla quale Flavio Orsini lasciò una dote di ventiduemila scudi (Archivio Orsini, in «Archivio Storico Capitolino», II.A.26,003). CENSUS (5): Se l’edizione membranacea è un ghost, anche l’edizione cartacea è molto rara. Attualmente sono censiti 5 esemplari nelle biblioteche italiane: Bologna U; Reggio Emilia, Biblioteca Panizzi; Reggio Emilia, Archivio di Stato; Roma, N; Roma, Biblioteca Angelica. Apparentemente (e inspiegabilmente) nessun esemplare censito presso la Biblioteca Vaticana. TORRI DI GUARDIA, 1597 TORRI DI GUARDIA, 1597 TORRI DI GUARDIA, 1597 STRAORDINARIO MANOSCRITTO ILLUSTRATO DI UN’OPERA MAI PUBBLICATA SUL SISTEMA DI DIFESA DELLA ZONA COSTIERA CALABRESE ANONIMO CALABRESE. [Torri di avvistamento a difesa della costa calabrese, ca. 1597]. In folio, legatura coeva in pergamena, titoli manoscritti al dorso, cc. [99]. NOVANTANOVE PREGEVOLI DISEGNI ACQUARELLATI, corredati dal testo vergato in elegante grafia cancelleresca. STRAORDINARIO MANOSCRITTO CARTACEO TARDO-CINQUECENTESCO, RIGUARDANTE IL SISTEMA DIFENSIVO DELLA ZONA COSTIERA CALABRESE E DELLO STRETTO DI MESSINA CONTRO LE INCURSIONI DEI PIRATI. «La linea delle guerre e degli odi implacabili». Così Fernand Braudel ha definito il confine che divide il Mediterraneo orientale da quello occidentale. Lungo questo confine, marittimo e terrestre, sono state combattute molte delle battaglie decisive del passato: Zama, Azio, la Prevesa, Malta, Djerba, Lepanto. La collocazione lungo questa frontiera mobile e contesa ha nei secoli costituito uno dei fattori determinanti dell’evoluzione della storia, della cultura e anche del paesaggio dell’Italia meridionale e in particolare della Calabria. Nel Cinquecento, lungo questa frontiera si fronteggiavano due imperi e due civiltà, l’impero degli Asburgo e la Sublime Porta, la cristianità e l’Islam. La formula, mille volte ripetuta nella pubblicistica e nei documenti dell’epoca, che definiva il Regno di Napoli la puerta de la Christianidad, non era un mero luogo comune. E tra le prime preoccupazioni dei governanti spagnoli vi era quella di tener fortificadas y bien proveydas las fortalezas y castillos, e soprattutto le torri di avvistamento costiere che costituivano la prima linea di difesa contro le incursioni delle galee del Sultano e dei corsari barbareschi. E’ su questo sfondo storico che si colloca questo manoscritto anonimo della fine del XVI secolo, con ogni probabilità commissionato dalle autorità TORRI DI GUARDIA, 1597 del Viceregno o della Provincia, consistente in una relazione sullo stato delle difese costiere della Calabria Ultra, a sud dei golfi di Sant’Eufemia e di Squillace. Ognuno dei novantanove fogli che compongono il documento presenta una veduta acquerellata di una torre costiera seguita da una breve descrizione della torre stessa, del suo presidio e del sito in cui era inserita. In taluni casi alla descrizione delle strutture esistenti è aggiunta una di costruzione di nuovi edifici con un preventivo delle spese necessarie. In alcuni casi, è illustrata invece una città costiera (Crotone, Gerace, Tropea, Bagnara), probabilmente nel tentativo di individuare il modo per renderla più sicura. Dunque, il testo contiene un dettagliatissimo studio della costa, con i suoi borghi e le sue insenature, che riassume le caratteristiche delle torri esistenti, e soprattutto indica i luoghi e i punti deboli dove si necessita di nuove fortezze e punti difensivi contro le incursioni della pirateria moresca, con relativo progetto e preventivo di spesa: «Nel luoco detto Alferi ove divide lo territorio de Cotrone [Crotone] con quello dell’insula vi bisognarìa una torre per guardia di quattro cali che vi sono in detto luoco, et infinità d’acque che vi è a ciascuna cala, ove al spesso li corsari sogliono servirse di quelle, vi andarìa di fabrica cani novicento che a ragione di ducati doi la cana sarriano ducati mille et ottocento…». Tra le torri descritte, Torre Cavallo, Torre di Capo Rizzuto, Torre di Capo Vaticano, la torre del Cavallo a Scilla, costruite in gran parte da Don Pedro di Toledo, Vicerè di Napoli per conto di Carlo V d’Asburgo, tra il 1532 e il 1553. Alcune carte restaurate, un alone al margine inferiore, qualche fioritura: nel complesso, ottimo stato di conservazione. TORRI DI GUARDIA, 1597 TORRI DI GUARDIA, 1597 PICATRIX, 1624 UNICO TESTIMONE MANOSCRITTO DEL PICATRIX IN VOLGARE IL PIÙ CELEBRE TRATTATO DI MAGIA CERIMONIALE DELLA CULTURA ESOTERICA DELL’OCCIDENTE MASLAMA AL-MAGRITI. Di Magia cerimoniale usata dagli Antichi fatta da Giovanni Piccatrice filosofo Filosofo Hebrèo [manoscritto cartaceo in volgare datato luglio 1624]. In-8° (147x106 mm), legatura coeva in pergamena morbida, titolo (sbiadito) manoscritto al dorso, tracce di legacci in seta azzurra, cc. [4, bianche], [4, Tavola] 122 (numerate, in maniera discontinua, in alto a destra in inchiostro bruno da mano coeva e interpolate da carte bianche), [4, bianche]. FILIGRANA: Trifoglio, compreso tra le lettere maiuscole A e O. SISTEMA SCRITTORIO: grafia cancelleresca STRUTTURA: Il manoscritto comprende il terzo libro del Picatrix, con 109 capitoli, numerati fino al capitolo xxxxxxix in cifre romane e, dal 70 in poi in cifre arabe fino al capitolo 104 che chiude il libro; segue l’explicit con la data e una Aggionta con i capitoli 105-109. UNICO MANOSCRITTO CONOSCIUTO IN ITALIANO DEL TERZO LIBRO DEL PICATRIX, IL DELL’INTERA TESTO PIÙ DIFFUSO DELLA MAGIA TEORICA E CERIMONIALE CULTURA ESOTERICA DELL’OCCIDENTE, CHE EBBE FONDAMENTALE IMPORTANZA PER L’OCCULTISMO ASTROLOGICO DEL TARDO MEDIOEVO E DEL RINASCIMENTO. Il Picatrix (titolo originale Gāyat-al-hakīm, ossia ‘Il fine del saggio’) fu compilato in Spagna fra il 1047 e il 1051 da un arabo di Cordoba noto come Maslama al-Magriti, e poi tradotto de arabico in hispanico alla Corte di Alfonso X di Castiglia il Saggio nel 1256: DI QUESTA PRIMA TRADUZIONE SPAGNOLA NON È SOPRAVVISSUTO NEMMENO UN ESEMPLARE. Tra i testimoni superstiti, alcune parti latine del Picatrix sono conservate presso la Biblioteca dell’Arsenale a Parigi. PICATRIX, 1624 L’opera, un’esauriente summa della magia antica e medievale, si diffusa quindi in Europa con il nome latino, e fu presto bollata come empia: il Picatrix divenne ben presto il manuale satanico per eccellenza, tanto che il suo autore, inizialmente confuso con Ippocrate, venne definito “Rettore della Facoltà diabolica”. Proprio a causa della sua fama di opera satanica, il Picatrix non venne mai stampato ma ebbe enorme diffusione manoscritta durante tutto il Rinascimento: copie in latino avevano posto nelle biblioteche dei maggiori filosofi dell’età umanistico-rinascimentale, da Pico della Mirandola a Pietro d’Abano, da Marsilio a Leonardo, da Cornelio Agrippa a Campanella. L’opinione dei rinascimentali era però assai ambigua; se papa Paolo III aveva sempre in tasca una copia del «Piccatrice», ecco cosa ne scrive invece indirettamente Pico, commentando le Orazioni di Pietro d’Abano che dice fondate sul Picatrix: «Orationes puto ex Piccatrice magna ex parte decerpsit Aponensis, vanissimo libro, superstitionibus pleno et velut scala ad idolatriam facto, in quo et preces ad quemquam planetam docentur et suffimenta et conciliationes pravorum spirituum, quae ob stultitiam explodenda et ob superstitione penitus execranda sunt» (G.F. Pico, De rerum prenotione, VII, 7 in Opera Omnia, Basilea, 1572). Il grande pensatore arabo Ibn Kaldum lo aveva invece definito: «il trattato di magia più completo e meglio costruito». Al di là delle posizioni individuali degli antichi lettori, il Picatrix è un trattato di magia astrologico-talismanica arbitrariamente segnato come opera satanica: al contrario, era nato con l’intenzione di recuperare le conoscenze del mondo ellenistico, le cui fonti erano ormai irreperibili in Occidente. Nella pace successiva alla fine dell’impero romano, con il riaprirsi degli scambi commerciali e culturali, le opere arabe furono tradotte e immesse nel circuito europeo dove trovarono ampia diffusione negli studia medievali. L’origine della fortuna del Picatrix nel Medioevo, come per molti altri manoscritti dipese proprio dalla sua prossimità con la tradizione filosofica greco-romana, che restava ancora il sostrato della cultura medievale nonostante i tentativi di distruzione o di assimilazione da parte della chiesa. Il tema centrale del Picatrix tratta dello sforzo di influenzare e interpretare il PICATRIX, 1624 cosmo con atti magico-teurgici, grazie a precise conoscenze mutuate dall’astronomia greca, dai misteri antichi e dalla filosofia naturalistica. Tale tradizione, a partire da Eraclito per arrivare ai Neoplatonici, prevedeva l’esistenza di un rapporto di sympatia, ovvero di corrispondenza cosmologica tra il macrocosmo e il microcosmo. Finito il Medioevo, anche nel Rinascimento il Picatrix fu tenuto in gran conto grazie al clima di maggiore tolleranza che circondò gli umanisti, e alla smania di nuove conoscenze tecniche e filosofiche: le opere sapienziali del mondo antico cominciarono a tornare in Europa in lingua originale, direttamente dall’Oriente. L’evento più importante fu la divulgazione delle opere di Platone, dei neoplatonici e di una serie di testi passati sotto il nome di Corpus Hermeticum, tutti tradotti da Marsilio Ficino, su mandato di Cosimo de’ Medici e pubblicati da Aldo Manuzio nel 1497. In questo clima culturale, il Picatrix, accanto ai Versi Aurei e agli Oracoli Caldaici, trovò la sua perfetta collocazione, anche se forse più in senso intellettuale che pratico. Le teorie magico-scientifiche del libro si rivelarono ai dotti umanisti come un ulteriore conferma della necessità di una riconciliazione tra il pensiero religioso dominante e il pensiero filosofico protoscientifico pagano. A quel tempo, gli eruditi credevano ancora di potersi far ascoltare dalla chiesa di Roma coniugando la fede con elementi di filosofia antica, ritagliando per se stessi il ruolo dello studioso che poteva essere contemporaneamente mago rinascimentale, filosofo ermetico, alchimista e sacerdote: lo stesso Marsilio era un prete, e Giordano Bruno un frate domenicano. Sia l’umanista che l’autore del Picatrix credevano entrambi, in completa buona fede e con animo religioso, che fosse assolutamente necessario operare nel mondo, non solo affidandosi alla divina provvidenza, ma anche collaborando volontariamente con Dio alla gestione della sua grande opera. Idea questa, completamente estranea alla concezione cristiana del clero, che fondava metà del suo credo sul creazionismo biblico veterotestamentario. Questa sincera volontà “collaborazione” era vista con sospetto dagli ambienti ecclesiastici, come ciarlataneria, magia, eresia. PICATRIX, 1624 Il Picatrix, al contrario, sosteneva che il mago non è mai un falsificatore, ma affianca la natura, aiutandola a svelarsi. E’ un teurgo, che non si sostituisce a Dio perché non crea niente dal nulla, ma possiede l’arte di trasformare, non operando miracoli ma leggendo le forze del creato, quasi un intermediario fra cielo e terra. Come dice bene Taioli, mago è colui «il cui potere e facoltà proviene dalla conoscenza profonda della natura e del tutto, della physis, dal conoscere quali sono le connessioni che legano le idee al mondo. Statue e talismani sono immagini intermediarie tra i due mondi e il mago, sulla base della conoscenza della natura, diviene capace di leggere gli influssi e modificarne le tendenze, se nefaste, in energie positive». Il Picatrix quindi, sembra «voler cogliere la negromanzia nelle sue forme di scienza positiva capace di migliorare il mondo». Al di là della validità delle sue teorie, in sostanza, il Picatrix andrebbe studiato su più livelli, perché nella sua comparsa in Occidente è forse possibile ritrovare le tracce dell’origine del conflitto tra la libertà di ricercare le leggi nascoste della natura e l’accettazione passiva dei dogmi della fede, tra l’estremismo religioso e la scienza del progresso. ESEGESI DEL TESTO: Il testo rimane oscuro. Non ci è dato di sapere che cosa veramente intendesse l’autore del Picatrix con queste formule, elenchi di immagini magiche nonché consigli pratici di magia, espressi nella cornice filosofica dell’ermetismo. In generale, il libro tratta della citata simpatia fra le piante, le pietre, gli animali, i pianeti e sul modo di utilizzare questi elementi per scopi magici. «Per toccare il fuoco senza scottarsi: prendere del succo di malva doppio e chiara d’uovo, seme di prezzemolo e calce finemente tritati e succo di abete. Con questo composto ungetevi il corpo o la mano e lasciate seccare. Ripetere l’unzione. A questo punto potrete toccare il fuoco senza scottarvi». Si parla anche della potenza delle immagini e dei sigilli. Dopo un’introduzione contenente idee di carattere filosofico, che ricalcano quelle espresse anche in altri trattati appartenenti alla tradizione ermetica come il Pimandro e l’Asclepio (processione neoplatonica del reale dall’Uno, continuità di spirito e materia), l’autore del Picatrix passa ad esaminare nei primi due libri l’arte di creare talismani a partire da una serie di immagini, di cui propone un dettagliato elenco. Nel terzo libro l’autore discute della corrispondenza di pietre, animali e piante con i vari pianeti, segni dello zodiaco e parti del corpo umano fornendo formule per invocare gli spiriti dei vari pianeti. Anche il quarto libro tratta di simili argomenti e termina con una serie di preghiere rivolte ai pianeti. PICATRIX: «Questo trattato è dunque diviso in quattro libri e alcuni di essi sono, a loro volta, divisi in parti». «Ora nel primo libro si tratta del cielo e della sua azione sulla terra attraverso le configurazioni che vi si trovano. Nel secondo si parla in generale delle configurazioni del cielo, del moto dell’ottava sfera e dei loro effetti su questo mondo» «Nel terzo delle proprietà dei pianeti, dei segni e delle loro configurazioni e immagini. Si parla poi esplicitamente delle figure e delle forme nella loro varietà e di come si possa comunicare con gli spiriti dei pianeti, nonché di molte altre negromanzie» «Nel quarto infine si discute delle proprietà degli spiriti e di quanto altro è da tener presente in quest’arte e in che modo ci si possa avvalere di talismani, fumigazioni e altro». STRUTTURA DEL STRUTTURA DEL PRESENTE MANOSCRITTO: cc. ir-(iiii)r (index): il testo inizia con la Tavola del Libro terzo, che espone i 104 capitoli che verranno svolti; alla fine di questa tavola, alla c. 4v, è indicata una Aggionta del libro; alla c. (1)r-4r, l’INTRODVTTIONE ALLA CERIMONIALE (in lettere maiuscole alla prima carta, non numerata, dell’opera). Alla carta 5r, l’incipit: Magia Cerimoniale / Vsata dalli Antichi / Fatta da Giovanni Piccatrice / LIBRO TERZO e il titolo del primo capitolo, che introduce i successivi: Delle parti de’ Pianeti essistenti nelle piante, nelli Animali, et ne’ metalli. Alle cc. (6)r-17r (capitoli II-XXII) vengono infatti esaminate tali parti dei pianeti, delle costellazioni e dei segni zodiacali. Alla c. 17r, l’autore conclude questa prima trattazione con il capitolo XXII, Delle parti de’ Pesci, che riportiamo per intero: «I Pesci de’ membri del corpo hanno i piedi, le ungie et i nerui, dei colori il uerde et il bianco, dei sapori il garbo, dei luochi i liti remoti et heremi, et i liti del mare, et i luochi delle acque, e peschiere. Delle pietre le bianche piccole, e chiare, come il Cristallo, le Margarite di qualunque sorte. De’ gli arbori quelli che sono conuenienti, fra lunghi, e breui, e tutti quelli che nasceno in acqua: e degli animali, gli animali acquatici, e che si ma(n)giano: e queste sono le proprietà delle cose, le quali i pianeti et i segni hanno, le quali sono appropriate in quelle: ma auuertasi in esse quello che deue essere nelle radici della Magia». Alle cc. 17v-23r (capitoli XXIII- XXXVI) introduce le tinture, figure, uestimenti e suffumigationi de’ pianeti (e dei segni); alle cc. 23r-26v (capitoli XXXVII-XXXXIII), introduce le Propositioni, e stati del Cielo necessarij à ciascuno de’ Pianeti ovvero quello che si deue ricercar dai singoli pianeti; alle cc. 23r-33v (capitoli xxxxv-xxxxxii) le Nature de’ pianeti. Nelle cc. 33v-76r si entra nel cuore dell’opera con i capitoli “cerimoniali” (xxxxxiii-xxxxxxvii), che alternano rituali magici (suffumigationi) a invocazioni (orationi) volte ad ottenere il favore dei pianeti: i primi capitoli, che hanno il titolo Quando uorrài parlare con Saturno e Quando uorrai parlare con Gioue, Quando uorrai fare Oratione a Marte sono seguiti da una serie di Suffumigationi e Orationi (intercalate): «(Piglia) storace, de’ piedi di colombi, di Peonia, di Calamo aromatico, di Rasina di pino, di seme di elleboro parti eguali. Siano tritati et incorporati (…) et getta una delle preditte pillole nel foco nel terribolo, e riuolto uerso la parte del Cielo nella quale Gioue sara dirai (seguono due Orationi): O RANCHAYBIL, Angelo il quale Dio hà posto con Gioue, Tu Gioue sei la fortuna maggiore, compita a tutte le cose compite, cofattor di quelle, tu ueramente sei sensato, sei sapiente, e di buono intelletto, il quale sei remoto dalle male operationi, e dalle brutture, e da ogni malitia, Ti inuoco in tutte le operationi tue, e ti chiamo in Arabico Apollo, in lattino Juppiter, et in Jurgis (?) FENIM, in Romano DERIMUM, in greco JANUS, in Indiano GUAMFAT. (…) Di poi prenderai un Agnello bianco, e lo decollerai, e tutto abbrucerai, eccetto il suo fegato il quale mangerai (…)». Alla c. 53r-55v un Incanto contro gli Inimici, seguito (cc. 55v-76r) da nuove Suffumigationi e Orationi al Sole, a Venere, a Mercurio, alla Luna, a Saturno. Alla cc. 76r-106v sono presenti i capitoli (xxxxxxiii-104) sul modo di attrahere le forze di ciascun Pianeta, e di nominare i spiriti di quelle forze, con le operationi da fare per mezzo di essi e le suffumigationi, con ampio spazio a formule alchemiche e preparazioni magiche. Alla c. 107r l’explicit: Finita l’anno 1624 alli 15 Luglio. Le cc. 107v110r sono bianche. Alla c. 110v comincia l’Aggionta di alcune cose, che mancauano nel presente libro 3°, o determinato di metterle quà presente acciò sia perfetto in tutto, et se ui sono in alcuni luochi spatij, l’istesso Autentico gli ha tralasciati. Alla c. 111r è presente un Raccordo, che si deue tenere nelle sopradette confettioni, sottoposte alli 7 Pianeti, ovvero un memorandum contenente le operazioni e le sostanze valide per tutti i pianeti: «Raccordati, che le soprad. confettioni de tutti i Pianeti si deuono incorporare con miele spumato, et di quelli si faccino trocisci (…)». Alle cc. 111v-113r una Vntione usata dalli Indiani quando uoleuano predicare al popolo, et abbondauano il loro spirito, et li dauano gratia e fortezza s(opr)a tutti, et li obbediuano, ovvero un unguento per manipolare la volontà delle persone ed essere ascoltati dalle masse. La c. 114 è bianca; alla cc. 115-117 un’altra unzione, per hauer gratia dalli huomini e la relativa oratione al Sole. La c. 118 è bianca; alle cc. 119r-122r le altre Cose che mancano nel libro hò determinato di metterle qua nel fine del presente libro, acciò no(n) possi mancare niente a quello, che si aspetta dell’ordine di operare, ad esempio, una confettione per rendere invisibili, di cui fornisce la formula e la relativa invocazione: «Io ti prego Angelo spirito di Negroma(n)tia, et delle cose ascose, Tu, il quale eri detto SILVAVQVIL (…)». Nelle ultime due carte di testo (121v-122r), la scrittura si fa nervosa e si interrompe con le seguenti parole: sappi che questo è un grandiss.(im)o segreto, et molto utile, però custodiscilo ottimamente, et riserualo. TRADIZIONE DEL TESTO IN VOLGARE: Nel Libro de natura de amore (c. 153r), Mario Equicola mostra di conoscere il Picatrix in volgare, traducendone il nome: «Né Piccatrice et Plines removeranno una minima particola di tale passione col sangue de homo, cerebro de rendena, lacte, succo de myrto et bructeza dela orecchia sinistra». Nel Codice Ashburnhamianio 286 della Laurenziana (Segretti merauigliosi di natura, datato giugno 1628), l’anonimo autore cita tra le sue fonti Porta, Cardano e il Picatrice (sic). BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE: PSEUDO-MAGRITI. (G. Bing, edidit) “Picatrix”. Das Ziel des Weisen. Studies of the Warburg Institute. Edited by G. Bing. Translated from the Arabic into German by Hellmut Ritter and Martin Plessner, University of London, 1962. M. PLESSNER, A Medieval Definition of Scientific Experiment in the Hebrew Picatrix, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», n. 36 (1973), pp. 358-359. V. PERRONE COMPAGNI, Picatrix latinus, in Medioevo, I (1975), pp. 237-337. V. PERRONE COMPAGNI, La magia cerimoniale nel Rinascimento, in Atti dell'Accademia di Scienze morali e politiche, LXXXVIII, 1977, pp. 279-330. S. MATTON, La magie arabe traditionelle, Paris, 1977 (contiene la trasposizione francese di alcune parti del Picatrix). ABUL-CASIM MASLAMA BEN AHMAD. Picatrix, a cura di M. Villegas, Madrid, 1982 (contiene la traduzione spagnola del Picatrix). ALMAGRITI MASLAMA (a cura di ROSSI, P.A.), Picatrix. Il fine del saggio (versione dalla trascrizione fatta a Brisighella nel 1536), Milano, Mimesis, 1999. FRANCES A. YATES, Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Roma, Laterza, 2000. Per la compilazione di questa scheda, indispensabile è stata la consultazione del lavoro del professor Roberto Taioli (grazie anche alla parafrasi di Elena Frasca Odorizzi di cui abbiamo utilizzato ampi stralci), in R. TAIOLI, Il trattato del Picatrix e i suoi rapporti con la magia, Milano, 2009. Per la versione spagnola: D. PINGREE, Between the Ghaya and Picatrix I: The Spanish Version, in «Journal of the Warburg and Courtauld Institutes», n. 44 (1981), pp. 27-56. SORRENTINO, Partenope pacificata, 1674 ESEMPLARE UNICO, REPUTATO PERDUTO, DELLA PARTENOPE PACIFICATA DEL SORRENTINO RELATIVA ALLA RIVOLTA NAPOLETANA DEL 1647 E ALLA MORTE DI MASANIELLO SORRENTINO, GIULIO CESARE. Partenope pacificata di Giulio Cesare Sorrentino Napolitano. Opera per Musica. [s. l., s. d. ma: Napoli, 1647]. In-8° (176x123 mm), cartonato rigido ottocentesco su carta colorata, tassello cartaceo con titolo manoscritto al dorso, cc. [48]. MANOSCRITTO ORIGINALE, REPUTATO INEDITO, DELLA PARTENOPE PACIFICATA PERDUTO DEL E PARZIALMENTE SORRENTINO, UNO DEI PRIMI DOCUMENTI LETTERARI SULLA RIVOLTA NAPOLETANA DEL 1647 E SULLA FIGURA DI MASANIELLO. Appartenuto al filologo e storiografo Francesco Palermo, che scoprì quest’opera, il manoscritto è da lui citato come fonte utilizzata per una trascrizione parziale, approssimativa e spesso parafrasata, che egli fece dell’opera, che fu pubblicata a stampa per la prima volta dal Gabinetto Viesseux nella Raccolta di documenti inediti dell’Archivio Storico Italiano (1846). Come ammette lo studioso, la sua è una riduzione per mostrare le parti più rilevanti in senso comico e politico (ibidem, p. xxv): «[dalla commedia] ho cavato e insieme ridotto quei luoghi, che, oltre ad essere ricchi di colorito e di frizzo comico sopra de’ rimanenti, presentano effigiate bene le cagioni non solamente economiche, ma politiche ancora e morali de’ fatti». Carlo Tenca, per quel poco che aveva potuto intuire dalla riduzione del Palermo, definì quest’opera piena di «singolare contraddizione, che toglie colore politico a questo dramma, il quale non risparmia ne’ suoi lazzi e ne’ suoi epigrammi, né la Spagna, né la Francia, né la stessa plebe napoletana». Il testo nella sua integrità, non è ancora mai stato pubblicato e, nonostante Palermo non ci dia informazioni a riguardo, dal titolo appare evidente come questa commedia allegorica fosse stata pensata dal Sorrentino quale opera per SORRENTINO, 1674 musica: si tratta quindi di un libretto, come altre analoghe produzioni del letterato napoletano, da inscrivere nel panorama del teatro musicale barocco. Questo straordinario testimone autografo è uno dei primi documenti in assoluto sulla rivolta del popolo napoletano (7-16 luglio 1647) contro la pressione fiscale imposta dal governo spagnolo e dell’ascesa e morte violenta del suo principale protagonista, Tommaso Aniello, detto Masaniello (16201647). La rivolta fu scatenata dall’esasperazione delle classi più umili verso le gabelle imposte sugli alimenti di necessario consumo. Il grido con cui Masaniello sollevò il popolo il 7 luglio fu: «Viva il re di Spagna, mora il malgoverno», secondo la consuetudine popolare tipica dell'Ancien régime di cercare nel sovrano la difesa dalle prevaricazioni dei suoi sottoposti. Dopo dieci giorni di rivolta che costrinsero gli spagnoli ad accettare le ri vendicazioni popolari, a causa di un comportamento sempre più dispotico e stravagante Masaniello fu accusato di pazzia, tradito da una parte degli stessi rivoltosi ed assassinato all’età di ventisette anni. Sulla scena, ambientata nel Quartiere mantenuto dalli Spagnoli, dialogano il Fasto, la Sensualità, l’Interesse, la Discordia, la Gola, il Dovere, la Fama e un Coro di Sirene. Nel Prologo, la città di Napoli, una Partenope in veste di Sirena, si paragona a Troia in fiamme e ad un Eden perduto; molto divertenti alcune battute tra il Fasto (che rappresenta il governo spagnolo), e la Discordia (sotto forma di fanciulletta napoletana), ad esempio queste sullo scoppio della rivolta: Fasto: Et alla mia presenza il popolo ignorante non mi tributa ossequij, e non mi adora? Discordia: Fuorze chisso non l’ha saputo ancora. Nel testo, sono presenti alcuni acrostici o elementi criptici — evidenziati con lettere maiuscole—che, sfuggiti all’indagine del Palermo, meriterebbero di essere indagati con maggior attenzione, perché potrebbero rivelare un maggiore spessore politico del dramma. Per esempio, alla c. 21v leggiamo: FinGE, NO VINO è quel che poi procura SORRENTINO, 1674 E poco dopo, alla stessa carta: Se lo puopolo sbanza, e se traballa Per dirlo a la spagnola (lengua bona) Un ARPA YA le tocca la capona Al pubblico napoletano non dovevano sfuggire certe allusioni per noi oggi incomprensibili: il vecchio prete Giulio Genoino (1567-1648), era il mentore e consigliere di Masaniello, considerato l’altro grande protagonista della rivoluzione; Francesco Antonio Arpaja (1587-1648) era invece l’uomo di collegamento tra i due, proclamato da Masaniello Eletto del popolo. Dopo la morte di Masaniello, Genoino e Arpaja furono arrestati insieme e, nell’aprile del 1648, tradotti in Sardegna per essere trasferiti in carceri spagnole. Dopo poco morirono, Genoino sulla nave in viaggio verso la prigione di Mahòn e Arpaja nel durissimo carcere di Madrid. Giulio Cesare Sorrentino (Napoli, ca. 1600-1670), fu autore specialmente di commedie (L’astuta cortigiana, La fede costante), di drammi (Il Ciro, musicato da Francesco Cavalli, Le magie amorose) e della tragicommedia Le Gare dei disperati. Leggere tracce d’uso, ma ottimo esemplare. BIBLIOGRAFIA: Sconosciuta alla bibliografia sulla restaurazione spagnola di W. HEMPEL, In onor della Fenice Ibera, Frankfurt, 1964, che invece cita (p. 55 n. 20) la Partenope Pacificata, panegirico di Alessio Pulci, stampato a Roma dal Mancini nel 1648. F. PALERMO, Narrazioni e documenti sulla storia del regno di Napoli dall’anno 1522 al 1667, in «Archivio storico italiano, ossia Raccolta di documenti finora inediti o divenuti rarissimi riguardanti la Storia d’Italia», tomo IX, Firenze, Viesseux, 1846 (riduzione del testo alle pp. 357-401). S. GATTI (a cura di), Museo di Scienze e letteratura, Napoli, 1846 vol. IX (anno III), p. 76. S. D’ALESSIO, Contagi: la rivolta napoletana del 1647-48: linguaggio e potere politico, Firenze, 2003. Citando la trascrizione di Francesco Palermo nell’Archivio Storico del 1846, la D’Alessio conferma la scomparsa del manoscritto: «dove si trascrive da un codice non pervenuto, dal titolo di Partenope Pacificata [...]». SORRENTINO, 1674 SORRENTINO, 1674 CAGLIOSTRO, 1786 EDIZIONE SCONOSCIUTA A LATTANZI DELLA MEMORIA DIFENSIVA DI CAGLIOSTRO NELL’AFFAIRE DEL COLLIER DELLA REGINA CAGLIOSTRO (GIUSEPPE BALSAMO). Memoria in difesa del Conte di Caglyostro accusato contra il Sig. Procurrator Genelale [sic] accusatore, a fronte del Sig. Cardinale De Rohan, della Sign. contessa De La Motte, ed’ altri Co-Accusati. [s. l ma Parigi?], [s. t.], 1786. In-8° grande (203x137 mm), brossura coeva azzurra, pp. 63, [1, bianca]. RARISSIMA EDIZIONE, SCONOSCIUTA A LATTANZI, della memoria difensiva scritta da Cagliostro per il processo passato alla storia come l’affaire du collier, una notissima vicenda dell’epoca prerivoluzionaria francese, considerata da Stefan Zweig «la più buffa delle commedie che abbia mai divertito il mondo». Ma veniamo ai fatti: la regina in questione è Maria Antonietta, che comincia la sua lenta discesa agli inferi proprio con questa vicenda. Verso la fine degli anni settanta, le viene offerto dai gioiellieri parigini Boehemer e Bassenge uno straordinario collier, per la cui fattura è stata impiegata la loro intera collezione di diamanti. Il suo controvalore è pari a cinquecento chili d’oro: al cambio odierno, circa sedici milioni di euro. Alla regina sembra un poco cara e poi non è il caso, di questi tempi, di irritare il popolo anche se non gli ha ancora prospettato di sostituire il pane con le brioches. Come si dice in questi casi, la regina ha bisogno di pensarci. I gioiellieri si impegnano, come d’uso, a riservarle il gioiello per qualche tempo (del resto, chi potrebbe comprarlo?) e tornano ai loro negozi. Dopo qualche anno, nel 1785, il cardinale di Rohan mostra ai gioiellieri un’autorizzazione firmata dalla regina in cui il prelato appare come suo intermediario incaricato di trattare un acquisto rateale della collana. I gioiellieri sembrano soddisfatti e Bohemer invia una lettera alla regina per ringraziarla dell’acquisto, ma in verità per sollecitare il pagamento della prima tranche che non arrivava. Maria Antonietta sembra cadere dalle nuvole e, con l’usuale improntitudine che la distingue, brucia la missiva, dando inizio a una farandola di avvenimenti maggiori e minori, illazioni, scarichi di responsabilità, giochi di potere. Rohan, al cospetto del re, ammette di essere stato incaricato non direttamente dalla regina ma dalla contessa di La Motte Valois, una piccola parvenue di corte, con un biglietto firmato dalla regina della quale la donna si spacciava favorita: lei avrebbe poi consegnato la collana a un uomo che si sarebbe dileguato. Tra memorie e deposizioni, storie di incontri notturni e di saffismo, l’affaire si ingarbuglia e assume un rilievo pubblico: vengono arrestati anche dei complici o presunti tali e, alla fine, la contessa de La Motte viene condannata al carcere a vita, e l’ingenuo cardinal Rohan all’esilio, sebbene assolto dall’accusa di dolo. Maria Antonietta sembra innocente: tuttavia, la sua immagine viene per sempre compromessa agli occhi del popolo e i sospetti sulla sua persona non si sopiranno mai, specie quando La Motte, evasa dalla Salpêtrière, pubblica a Londra dei feroci Mémoires d’accusa contro la regina. Ma come entra Cagliostro in questa vicenda? A quel tempo abitava in casa di Rohan: per scaricare in parte le proprie responsabilità, la contessa de La Motte fa il suo nome come ideatore e mandante del raggiro e l’italiano viene subito arrestato con la moglie il 22 agosto 1785. Incarcerato nella Bastiglia, fu difeso dai migliori avvocati di Parigi, uno dei quali lo aiutò a scrivere in francese un’autodifesa di cui il nostro esemplare è una traduzione italiana. Di fatto il Memoriale, oltre a riportare alcuni atti del processo e dell’interrogatorio, si configura come un meraviglioso riassunto inattendibile della sua vita, dalla nascita al suo arresto. Il 31 maggio 1786 il Parlamento di Parigi riconobbe l’innocenza dei due italiani, insieme con quella del cardinal Rohan, ma una lettre de cachet del re ordinò loro di lasciare Parigi entro otto giorni e la Francia entro venti. Il processo, comunque, segnò l’inizio del declino della fortuna di questa eclettica figura d’avventuriero, alchimista, esoterista, che finì i suoi giorni nel 1795 murato nel pozzetto della Rocca San Leo dopo un altro famoso processo istituito contro di lui dal Vaticano che lo ritenne colpevole di massoneria, eresia, magia, lenocinio, falso, truffa, calunnia, pubblicazione di scritti sediziosi e bestemmie contro Dio, Cristo, la Madonna, i santi e i culti della religione cattolica. Da questa vicenda, Thomas Carlyle scrisse il suo Diamond Necklace (1837) e Alexandre Dumas padre trasse lo spunto per scrivere Le Collier de la Reine (1849-50). Ma la fortuna letteraria di questo celebre processo è enorme. Ricordiamo, oltre al romanzo di Carlyle e alla straordinaria narrazione di Dumas, il recente volume di Benedetta Craveri, Maria Antonietta e lo scandalo della collana (Adelphi 2006). Lo scandalo della collana è anche stato rappresentato varie volte al cinema, fin dai suoi esordi, ed è stato raccontato perfino in un celebre manga giapponese, Berusaiyu no Bara (letteralmente: «Le rose di Versailles»), conosciuto in Italia con il nome di Lady Oscar. Ottimo esemplare, a pieni margini e in barbe. BIBLIOGRAFIA: Sconosciuta a A. LATTANZI, Bibliografia della Massoneria italiana e di Cagliostro, Firenze, 1974 (cita solo l’edizione in francese e quella in tedesco, pubblicate nello stesso anno). Visions et pensées de l’au-delà, 1909 ALTRI FANTASMI: UNA VASTA RACCOLTA DI MANOSCRITTI INEDITI SUI FENOMENI PARANORMALI ANONIMO (M. C.). Visions et pensées de l’au-delà. [Collezione di manoscritti sul soprannaturale e sul paranormale, in lingua francese, stesura iniziata il 20 agosto 1909]. Otto volumi rilegati in-folio, legatura coeva in mezza pelle, dorso a quattro nervi con tasselli in marocchino nero, decorazioni e titoli in oro, pp. 230, 218, 232, 200, 199, 221, 221, 222. ECCEZIONALE E VASTA RACCOLTA DI SCRITTI SUL SOPRANNATURALE: si tratta di oltre 1700 pagine manoscritte in francese, in chiara ed elegante grafia corsiva novecentesca, riguardanti i rapporti con l’ultraterreno, lo spiritismo, la telecinesi e la bilocazione, i fenomeni telepatici e tutto ciò che oggi definiremmo paranormale. La struttura dei manoscritti è spesso in Feuilles Volants, e contiene ordinati scritti che l’autore chiama communications, ossia trascrizioni di comunicazioni psichiche o di sedute spiritiche, in prosa e in versi, da parte di spiriti dell’aldilà: talvolta personaggi celebri, talvolta entità anonime. Del misterioso autore, rimasto tale probabilmente per espressa volontà, conosciamo solo le iniziali M. C., riportate in una lettera di un altrettanto anonimo estimatore, certamente una personalità dell’ambiente esoterico del tempo, datata Novembre 1910 e incollata in un foglio interno del secondo volume: lettera che l’autore dei manoscritti definisce Opinion d’un Psychiste avançé. La riportiamo qui integralmente, per il suo enorme interesse testimoniale e documentale sull’intera raccolta: J’ai lu avec beaucoup d’interêt les communications reçues par M. C. ells conferment en les completant celles qui nous ont été données dans nos reunions et celles que j’ai lues dans les voix lointaines de Grendel, dans Mesmer et dans Mme de Watteville. Trop élevées et par consequent obscures pour les débuttants qui ne sauraient ni les comprendre ni les apprécier, ces communications sont excellentes pour ceux qui ont Visions et pensées de l’au-delà, 1909 déjà des fortes données sur les lois de l’au delà, et qui cherchent à pénétrer de plus en plus cette science encore si peu ouverte aux esprits terrestres incarnés ou désincarnés. Salut cordial, H. M. Novembre 1910 Come si legge, l’iniziato che ha esaminato le communications contenute nei manoscritti, le giudica “troppo elevate per essere comprese dai neofiti”: ma “eccellenti per coloro che già ben conoscono le leggi dell’aldilà”, ed in linea con quelle ascoltate nelle “voci lontane” di Grendel, Mesmer e Madame de Watteville. Il documento è in parte oscuro: Mesmer è certamente Franz Anton Mesmer (1734-1815), il celebre medico e filosofo tedesco che fondò una medicina esoterica che dal suo nome è chiamata mesmerisme, e Grendel sembra essere il mostro sanguinario della mitologia gotica (!), antagonista dell’eroe medievale danese Beowulf. Madame de Wattewille fu una celebre veggente francese, autrice di un testo sulle proprie comunicazioni medianiche con i defunti, Ceux qui nous quittent, popolarissimo tra Ottocento e Novecento. Ottimo esemplare. PROVENIENZA: I. L’ignoto autore M. C., che data l’inizio della scrittura al 20 août 1909. II. Tassello cartaceo (primi novecento) della Librairie des Sciences Occultes di Amsterdam.