VIAGGI | Nepal
Frammenti di un viaggio in Nepal
Emozioni in caduta libera
dal viaggio tutto Nepal gruppo Elvio D’Addato
di Laura Infantino
A
lle prime ore del mattino fui
svegliata da uno scampanellio
assordante e continuo. “Dannate
mucche, già al pascolo a quest’ora!”
Imprecai, ficcando disperata la testa
sotto al cuscino. “Ma come possono
essere le mucche se siamo nel centro
storico di Bhaktapur?????” Mi ero
sbagliata infatti. Era il batacchio di una
campana di bronzo posta all’uscita
di un piccolo tempio induista che ogni
fedele faceva risuonare al termine della
quotidiana preghiera mattutina.
Che sfortuna! L’hotel dove alloggiavamo
era proprio lì davanti.
40 – Avventure nel mondo 1 | 2011
VIAGGI | Nepal
La notte successiva stessa scampanellata.
Fu così che il giorno dopo tentai di compiere un’azione sacrilega manomettendo il
batacchio: ma il mio coltellino mille usi era
fantastico solo per sbucciare le banane, lì
ci sarebbe voluta una mannaia!! L’immagine
della mia testa finita sull’altare di qualche
divinità sacra tra incensi e candele di burro
mi fece repentinamente cambiare idea e le
notti successive ripiegai su dei banalissimi
tappi per le orecchie. Wow, la pelle era salva, ma erano evidenti ormai i sintomi di un
acclamato stato confusionale da overdose
induista. Sì, perché ogni volta che voltavo
l’angolo di una strada c’era un altarino con
qualche divinità induista raffigurata; ogni
tempio, davanti cui la guida ci obbligava
a fermarci, traboccava di sculture e riferimenti simbolici di quello o quell’altro dio o
di una delle sue molteplici apparizioni. Non
era sufficiente saper distinguere Shiva da
Brahma o sapere a memoria i nomi delle
10 incarnazioni di Vishnu, bisognava anche
indovinare in quale dei 64 modi diversi il dio
Bhairab, manifestazione cattiva di Shiva, si
poteva manifestare. Follia pura, roba che
far scoppiare le meningi anche al campione
storico di “Lascia o raddoppia”.
Per non parlare poi di quando, trasudando
un sudore più appiccicoso di un biscotto di
strutto al miele e dall’inequivocabile color
grigio fumo da emissione di gas di scarico,
che mi rendeva più simile ad una statua che
ad un essere umano, mi accasciai sfatta su
un basamento in pietra suscitando l’ilarità
dei miei compagni di viaggio: avevo posato
la mia yoni su un lingam dalle dimensioni
esagerate assumendo “la posizione della moglie di Indra”, come magistralmente
spiegato e raffigurato a pagina 47 del Ka-
masutra. “La moglie di chiiiii????” Come
avevo fatto a perdermi una conoscenza
tanto approfondita del più antico trattato di
arte amatoria nei miei lunghi anni di raffinata
vita erotica matrimoniale! Per non rischiare
di inciampare ancora in qualche “fallo” di
troppo e per perfezionare lo studio delle
posizioni diaboliche prima dell’esame di
fine viaggio a cui sarebbero stati sottoposti
tutti e 16 i componenti del “Tutto Nepal”,
me compresa, mi buttai a capofitto sulla
osservazione scrupolosa di ogni intaglio e
decorazione dei templi nepalesi raffiguranti
scene atletiche di erotismo tantrico, generando il sospetto di appartenere a quella
categoria psichiatrica di tardone affette da
isteria uterina.
Manifestavo invece tutti gli effetti collaterali da sovradosaggio religioso, quelli che
capitano una tantum e che nessun Centro di Medicina dei Viaggi né tanto meno
la Lonely Planet si preoccuperebbero mai
di menzionare accanto al lungo elenco di
malattie tropicali per le quali è prevista la
vaccinazione o una profilassi adeguata.
Ecco spiegato il motivo per cui, rientrando
a casa, sobbalzai davanti al piccolo Budda di legno posato sul mio scrittoio. Il suo
volto era pacioso e sorridente così come
l’avevo lasciato il giorno in cui ero partita
per il Nepal. “Avrà sicuramente un’anima
come tutte le divinità che ho incontrato
in Nepal a cui tutti si rivolgono con devozione” pensai mentre posavo la valigia sul
letto ”e prova compassione per lo stato di
totale prostrazione mentale in cui verso”.
Gli feci un inchino ossequioso e tirai un
sospiro di sollievo: non era arrabbiato con
me nonostante tutti gli indicibili insulti con
cui avevo colpito e affondato lui e tutti gli
Avventure nel mondo 1 | 2011 – 41
VIAGGI | Nepal
dei dell’Olimpo induista, neanche fossero
state le più agguerrite nave nemiche in un
scontro di Battaglia Navale.
Pace fatta, a quel punto decisi di mettere
ordine al groviglio di appunti e pensieri che
debordavano dal mio diario di bordo.
Molto ci sarebbe stato da raccontare di
quel viaggio;
dai sobbalzi tra le rapide del fiume Tirsuli
in un rafting carico di adrenalina, all’esplorazione del Parco Nazionale di Chitwan a
dorso di elefante;
dal fascino di straordinarie città medioevali
quali Khatmandu e Patan ricche di templi e
botteghe artigiane, a quello di alcuni centri
minori come Thimi, ad esempio, dove centinaia di vasi di terracotta modellati a mano
asciugavano al sole lungo le strade;
della triste condizione della dea Kumari,
la bambina prescelta fra tante e venerata
come fosse una dea, costretta ad acconciarsi da donna e a vivere isolata dal mondo e dai suoi cari, fino a quando la prima
mestruazione avrebbe cancellato il suo
carattere divino rigettandola nel mondo dei
comuni mortali;
del cibo e dei momo, i deliziosi ravioli di
carne cotti al vapore, da evitare accuratamente di intingere nella salsina piccante
altrimenti non sarebbero bastati dieci estintori a spengere le lingue di fuoco emesse
dalla bocca.
Ma molti altri viaggiatori ne avevano già
parlato, prima e meglio di me.
Decisi così di limitarmi al racconto di alcuni
momenti particolari, facendolo a volte con
un sorriso, più spesso con partecipazione
dolorosa, ma sempre con l’intensità emotiva con cui li avevo vissuti.
Infinite scale di pietra
I nostri portatori sono già arrivati, ci stanno
aspettando. Fermo immagine di una pellicola che si ripeterà puntuale per ciascuno
dei 4 giorni di trekking sull’Annapurna. Loro
sempre avanti, noi sempre indietro.
Facce giovani e serie, occhi scuri dal taglio
a mandorla che scrutano incuriositi i nostri
visi pallidi e i nostri bagagli che, anche se
ridotti all’essenziale, appaiono comunque
tanto voluminosi e pesanti. Siamo appena giunti a Nayapul, quota 800 mt., è da lì
che comincerà il nostro percorso ad anello
che ci porterà a raggiungere i 3210 mt. del
Poon Hill, cima che tra le alte vette himala42 – Avventure nel mondo 1 | 2011
jane è considerata solo una modesta collina. Ma per le nostre chiappe quadrate di
cittadini occidentali sedentari e pigri va più
che bene.
È una bella giornata di novembre, il cielo
è terso, l’aria pulita. Abbiamo lasciato alle
nostre spalle l’infernale caos di Kathmandu, dove ogni auto, moto, autobus pubblico, carretto si fa largo nel traffico a colpi
di clacson dai suoni più arditi e fantasiosi.
È d’obbligo suonare il clacson prima di
effettuare un sorpasso. Chi prima suona,
prima avanza. Solo pedoni, risciò, cani randagi, mucche - che vagano indisturbate tra
le macchine o che si piantano immobili in
mezzo alle strade protette dal volere degli
dei - vagano senza orpelli sonori in mezzo al
frastuono e alla puzza dei gas di scarico.
Qui c’è finalmente pace per le nostre orecchie e soddisfazione per le proprie menti.
Ognuno cerca la sua, in qualche modo, da
qualche parte.
È ora di andare. Zaino in spalle, noi quelli leggeri, gli sherpa invece i cesti pesanti
contenenti i nostri bagagli o tutto il necessario per allestire la cucina da campo, dal
fornelletto a gas, al vasellame di alluminio,
ai viveri di ogni consistenza e genere. Abbiamo anche il cuoco. Questi omini leggeri,
ma forti come l’acciaio, sembrano parentesi
tonde che il vento ha soffiato via da un quaderno ingiallito dal tempo. Il petto è curvo
a sostenere il peso del cesto di bambù legato in vita che una striscia di stoffa, girata
intorno alla fronte, aiuta a rendere più leggero, ma che in compenso gli accorcia le
ossa del collo. Artrosi future. Si dice siano
molto resistenti alla fatica e che addirittura possano trasportare carichi superiori al
doppio del loro peso corporeo; a me sem-
brano peggio di muli da soma assoldati per
poche rupie al giorno. Purtroppo è così; in
Nepal le uniche fonti di reddito sono l’agricoltura e il turismo di montagna, tanto lavoro per poco guadagno.
In un battibaleno i nostri portatori sono passati avanti al gruppo e corrono saltellando
sui gradini di pietra che l’uomo, negli anni,
ha sostituto al sentiero di terra battuta per
rendere meno arduo il cammino, con ai piedi modeste scarpette da ginnastica o sandali infradito dalla suola sottile come una
fettina di formaggio svizzero. “Che meraviglia, che idea geniale questi scalini!” dico a
me stessa mentre con lo sguardo rivolto a
terra cerco di individuare i sassi più bassi e
più stabili su cui mettere i piedi in uno slalom continuo tra cacche di mulo. Più avanti
imprecherò chi ha inventato le scale. Gradino su gradino si sale, si sale, si sale, ogni
tanto lo sguardo si volta ad osservare il paesaggio intorno; pendii coltivati a terrazze
dalle forme geometriche irregolari dove le
fascine di riso sono stese al suolo ad essiccare, precise e allineate una ad una come
gli schieramenti di soldatini con cui giocava
mio fratello da piccolo, il fiume che scorre
increspandosi tra le rocce, campi di senape gialla, bufali dal pelo nero fluente che
solcano il terreno trainando antichi aratri di
legno, vegetazione lussureggiante. Ma si
continua a salire e queste dannate scale
non finiscono mai. Ogni tanto qualche breve tratto pianeggiante consente di riprendere fiato, ma che fatica! Chi l’avrebbe detto
che mi sarei trovata a fare l’odiato step da
cui fuggo in palestra, proprio io che sono
più simile ad un pesce che ad un essere
umano, io che amo nuotare in silenzio, in
pace col mondo e con me stessa, mentre
qui sono costretta a sollevare di continuo le
mie povere gambe stremate e a riempirmi
la testa con tutte le chiacchiere, i canti e le
risa dei miei compagni di viaggio più giovani, frizzanti e mai stanchi?
“Forse è il caso che io rimanga in fondo al
gruppo, non troppo indietro però, perché le
ore passano in fretta e qui fa buio presto”.
Mi dico. Per fortuna non sono ultima, dietro
a me si attarda la giovane coppia di sposini
N
in viaggio di nozze. Hanno molto di cui gioire lassù ammirando i paesaggi e poi hanno
il vantaggio dell’amore che allevia ogni fatica. Dietro, a chiudere il gruppo, c’è sempre
un giovane sherpa. Mi sento più tranquilla.
Finalmente il silenzio. Ogni tanto rallento
per riprendere fiato. È importante che io
ascolti il battito del mio cuore, il mio respiro
si accorcia e si fa pesante, ma l’andatura
è quella giusta, è la mia. Nutro rispetto per
me stessa. È bello restare da sola: riesco a
sentire ogni mio passo e il ritmo disuguale
delle racchette da trekking sul terreno, il rumore del fiume che scende a valle creando
piccole vasche tranquille e placide di acqua
cristallina. Posso fermarmi ad asciugare il
sudore che imperla la fronte e sorseggiare
un po’ d’acqua, o ricaricarmi di energie rosicchiando qualche pezzetto di parmigiano
che ho portato dall’Italia.
Lungo il sentiero talvolta passano al mio
fianco file di somarelli carichi di mercanzie,
ma anche greggi di pecore e capre diretti
verso pascoli più alti dove l’erba è ancora
più verde. Vita agreste che appartiene ad
un mondo passato. Piccoli raggruppamenti
di case in legno e pietra, dipinte in parte di
azzurro, lo stesso azzurro intenso del cielo;
donne impegnate a lavarsi il corpo semivestito o i capelli alle fontane pubbliche, bimbi
che festosamente vanno a scuola vestiti di
tutto punto nelle loro ordinate e linde divise scolastiche, o bimbi più piccini tesi ad
ingannare il tempo giocando tra loro. Qualche contadino con il suo carico da lavoro
sulle spalle a cui rivolgo il mio saluto “Namastè” congiungendo le mani al petto.
La notte che sopraggiunge veloce ci accoglie in una guest house a quota 1600 mt.
Al mattino presto, la finestrella del bagno
da cui mi affaccio fa da cornice a un campo
di stelle di natale che sembrano appena dipinte e sullo sfondo la cima delle montagne
innevate. Oggi la salita è molto più ardua di
quella di ieri. Ci aspettano 8 ore di cammino e un dislivello di 1300 mt. Scale, scale,
infinite scale di pietra. Sguardo fisso a terra
per non inciampare. Meglio non guardare in
alto perchè altrimenti mi assale lo sconforto. Camminare, sudare e asciugarsi il sudore, fermarsi un attimo a riprendere fiato, un
veloce sguardo avanti, a destra e a sinistra,
e poi via, ancora più su. Dopo un villaggio
e un breve ristoro la salita muta in un continuo saliscendi che non ha proprio nulla di
riposante. Si entra in una giungla fitta dalla
vegetazione rigogliosa, con alberi frondosi,
liane, felci, licheni attorcigliati sui rami e sui
tronchi, sentieri a strapiombo. Ambiente
umido, piovigginoso. Foschia tutto intorno.
Gnomi e folletti non stonerebbero affatto.
Fantasia e suggestione. Ma i muscoli delle
gambe urlano. Il sole sta scendendo e con
esso anche la temperatura. Il sudore si gela
addosso. Occorre affrettarsi, la strada è
ancora lunga, non ci si può arrendere. Così
come le mani plasmano l’argilla con tocchi
delicati ed esperti creando forme nuove,
così come il vecchio nutre il bimbo di storie
reali e sogni forgiandone un giovane uomo,
così questa fatica modellerà il mio corpo e
dai pori della pelle entrerà nuova linfa per
la mia mente. Stringo i denti, serro i pugni,
socchiudo gli occhi, respiro profondamente. Ce la farò.
Il sole è al suo tramonto quando finalmente arrivo a Ghorepani, quota 2900 mt, e
un lodge azzurro cielo mi attende con una
grande stufa accesa al centro della sala.
Ancora una rampa di scale, l’ultima, infine
la mia camera a temperatura glaciale. Ma
dalla finestra, seduta sul mio letto, assisto
a uno spettacolo di incomparabile bellezza,
il più straordinario che la natura potesse
regalarmi al termine di tanta fatica. La vetta innevata dell’Annapurna sospesa tra le
nuvole è lì, davanti a me, in una tavolozza
di colori che mutano dal rosa, al violetto,
all’arancio ed infine all’argento con il lento calare del sole. Spalanco i vetri, il gelo
mi intirizzisce tutta, il viso è una immobile
maschera di cera, ma i miei occhi ridono e
piangono allo stesso tempo. Vola via ogni
pensiero come bandierine di preghiera
sospese nel vento, respiro la grandiosità
dell’universo nella sua interezza e il cuore
gioisce di felicità allo stato puro. Felicità
sorniona e fuggevole per chi ha dentro di
sé l’inquietudine della ricerca. So bene che
continuerò ad inseguire la mia felicità altrove, in altri luoghi e con altri nomi. Ora mi
basta questa.
Richiudo la lampada magica, anche stavolta
lo spirito del genio ha fatto il suo dovere.
to penetrante. Non ho frenesie di acquisto,
sono solo attratta da quel fumo grigio che
vedo levarsi al cielo sulle rive del fiume sacro Bagnati.
Il fiume appare un po’ in secca: tra sassi,
immondizia di ogni genere, ghirlande di fiori
arancioni e pezzi di legno carbonizzato, alcune scimmiette vagano tra le acque basse
mentre dei fedeli si lavano per purificarsi e
presentarsi degnamente al cospetto del
Dio Shiva. Non so cosa abbia di sacro questo fiume, ai miei occhi appare solo come
una putrida latrina.
Sulla riva destra, sotto un sole dorato, una
terrazza a gradoni con decine di piccoli
santuari su cui vaga un numero imprecisato
di fedeli, turisti, santoni e venditori ambulanti. E le solite scimmie, beffarde, dispettose, irriverenti.
Un ponte congiunge le due sponde, o meglio, separa il luogo sacro - dove ci sono il
tempio e i basamenti di pietra, i ghat, sopra
i quali si attuano le cremazioni dei defunti
- dal lato opposto del fiume dove c’è chi
prega, ma anche una platea di spettatori
pronta ad assistere a una cerimonia pubblica di forte impatto emotivo. Sembra di
essere a teatro, solo che qui i protagonisti
non sono attori che stanno recitando una
parte, ma uomini e donne, mariti e mogli,
genitori e figli, amici e parenti che si stringono attorno al caro estinto per l’ultimo definitivo abbraccio.
Tra un funerale ed un altro non c’è soluzione di continuità: davanti ai miei occhi un
corpo ha quasi finito di bruciare mentre su
un altro ghat un addetto alla cremazione,
appartenente alla casta degli intoccabili,
sta spaccando con forti colpi di bastone
ceppi di legna semicarbonizzata e fram-
Nepal
E l’uomo divenne cenere
Il viale che scende al tempio di Pashupatinath è ornato ai due lati da bancarelle di
incensi, polveri colorate e souvenir per turisti. Stiamo entrando in uno dei luoghi più
sacri del Nepal, il tempio dove spiritualità e
misticismo sono espressi all’ennesima potenza, là dove l’uomo dirà addio per sempre alla vita tornando ad essere cenere. Ma
ogni posto è paese. Anche qui, nel sacro
Olimpo degli dei induisti, c’è il Dio Denaro
da venerare.
Scivolo con noncuranza tra venditori di collane, pregevoli intarsi di legno e campane
tibetane dal suono vibrante, armonico, mol-
Avventure nel mondo 1 | 2011 – 43
VIAGGI | Nepal
menti di ossa. Sembra quasi di sentire il
suono delle costole che si rompono una
dopo l’altra……
Poco più a destra, una catasta di legna è
già pronta ad accogliere un corpo, un’altra
in fase di allestimento, un’altra ancora è
già adornata di ghirlande di fiori arancioni.
Sta arrivando una famiglia con una curiosa barellina su cui è poggiato un familiare
da cremare. Il corpo, avvolto in un sudario
bianco e in uno arancione, viene adagiato
su uno scivolo in pietra posto sugli ultimi
gradini che scendono al fiume in modo che
i piedi siano lambiti dall’acqua. Il bramino
scopre il volto dell’uomo e inizia il complesso rituale di purificazione della sua anima.
Lunghe preghiere a cui seguono abluzioni
del corpo, poi ad uno ad uno i familiari versano con il palmo delle mani l’acqua sacra
del fiume nella bocca del loro caro. Il tutto
sembra avvolto da una serenità infinita, direi quasi sconcertante per il nostro modo di
intendere le cerimonie funebri.
È proprio quando stanno ricaricando il corpo sulla barellina per portarlo al ghat che
istintivamente scatto in piedi e decido di attraversare il ponte. Eccomi sull’altra sponda, in mezzo ai vivi in preghiera e ai morti
che bruciano. Nessuno mi nota, almeno
così mi appare. Hanno altro a cui pensare.
Mi fermo a pochi metri di distanza dalla pira
su cui viene adagiato il corpo dell’uomo. Un
giovane uomo si avvicina, è il figlio maschio
maggiore, quello che ha il compito di accendere il fuoco. Fosse morta la madre il
compito sarebbe spettato al figlio minore.
Toglie il telo arancione, lo getta nel fiume,
spalma degli unguenti sul corpo del padre.
Serviranno a rendere l’aria meno nauseabonda. Poi aggiunge ancora pezzi di legno
sul corpo e ciuffi di paglia per ottenere una
fiammata maggiore.
Alla fine del rituale il giovane, dopo aver
compiuto tre giri intorno alla pira, accende
una torcia di fuoco e l’infila nella bocca del
padre da dove uscirà l’anima, come credono gli induisti, infine l’adagia sul suo petto.
Altre torce vengono accese. Velocemente
alcune lingue di fuoco s’innalzano al cielo. Il
vento sospinge il fumo acre e dolciastro di
carne bruciata in direzioni diverse.
Non so che pensare…… Dovrei sentirmi
scombussolata da tutto quello che vedo
ma in realtà non è così, sono rapita e nello
stesso tempo affascinata da questa rituali44 – Avventure nel mondo 1 | 2011
tà che non appartiene a noi occidentali, da
questa compostezza, da questa apparente
mancanza di dolore.
Il rito si è concluso e dopo 3-4 ore le ceneri
finiscono in acqua. Una vita è stata restituita alla natura e un’altra verrà subito generata, con sembianze diverse, per poi morire
e rinascere tante e tante volte ancora fino
alla definitiva salvezza dell’anima. Mi tornano in mente i disegni di Escher, quei tratti
sapienti in bianco e nero con cui riesce a
trasformare pesci in uccelli e mare in cielo. Ogni cosa è in trasformazione continua,
nulla è come appare.
Non è più tempo di rimanere a guardare,
il sole sta scendendo. Sull’altra sponda
del fiume mi aspetta il resto del gruppo e
i sadhu, i santoni induisti dai corpi seminudi ricoperti di cenere bianca, dai lunghi
capelli arruffati avvolti intorno al capo come
turbanti. Coloro che hanno rinunciato radicalmente al mondo, astenendosi dal sesso, mangiando poco e niente, recidendo
ogni legame familiare, per dedicarsi completamente alla meditazione e alla ricerca
spirituale. Una foto ricordo in mezzo a loro
è d’obbligo ………”Ehi, ma davvero vuoi i
soldi, non avevi rinunciato ai beni materiali???”
Un mattatoio sacro: il tempio di Dakshinkali
Il martedì e soprattutto il sabato sono i
giorni dedicati al culto della dea Kali. Per
fortuna oggi è martedì e non c’è una folla
enorme di fedeli al tempio di Dakshinkali
ma ognuno di loro è rigorosamente in fila
con la propria offerta di riso, frutta, candele
di burro e le solite ghirlande di fiori arancioni. C’è anche una ragazzina che tiene in
braccio un galletto dal piumaggio colorato
e una donna con una capretta nera. Povere bestioline dallo sguardo spaurito, spero
che ignorino ciò che le capiterà tra pochi
minuti quando al termine della fila si troveranno al cospetto della statua di Kali, la divinità femminile più feroce e sanguinaria tra
le divinità induiste, in onore della quale verranno offerte in sacrificio. Un colpo secco e
la testa salterà via ad innaffiare di sangue il
pavimento e le pareti del tempio. Le scene
a cui non rifiuto di assistere sono abbastanza cruente e, a mio sindacabile giudizio,
prive di sacralità. Mi soffermo a guardare
ogni gesto, ogni sguardo e questa immensa pozza di sangue su cui i fedeli avanzano
in preghiera rigorosamente a piedi nudi,
chiedendomi con sconcerto quante malattie potranno essere facilmente trasmesse,
basta una piccola ferita sotto la pianta dei
piedi ……
Fuori dal tempio una mamma e le sue due
giovani figlie, dopo aver compiuto il rito, si
apprestano a lavarsi lungo le sponde del
fiume sacro che scorre lì vicino, per poi
raggiungere il banchetto allestito con gli
animali appena sacrificati e cucinati al momento. Niente di più terribile che cibarsi di
colui che poco prima hai guardato negli occhi pieni di vita!
Il mistero della colonna di destra
Mi tolgo le scarpe come si conviene prima
di entrare in un luogo sacro e camminando
in punta di piedi vado a sedermi per terra
con le spalle al muro. Sono all’interno della
sala di preghiera del monastero buddista
di Swayambhunath, detto anche il tempio
delle scimmie, famoso per la grande cupola
bianca dello Stupa con gli occhi di Budda
dipinti che si erge in cima alla collina sopra
Kathmandu. Sto per condividere una puja,
cioè una cerimonia collettiva di preghiera
con dei monaci buddisti e prevedo sarà un
evento straordinario. Dopo essere vissuto
in mattinata l’esperienza sanguinaria al tempio della dea Kali, finalmente ora mi sento
beata come dentro a un ventre di vacca.
La sala di preghiera è una caleidoscopio
di colori: il giallo, il rosso porpora, i verdi,
N
VIAGGI | Nepal
gli azzurri si compongono sulle pareti e sul
soffitto creando disegni gioiosi e armoniosi.
Di fronte alla porta alcune bacheche d’oro
finemente decorate custodiscono preziose
statue di Budda. Tutto intorno alla stanza,
seduti nella classica posizione yoga con
le gambe incrociate, una dozzina di monaci sta pregando. Uno di loro recita da un
libretto i versi di alcune scritture buddiste
con timbro di voce alto e cantilenoso, tutti gli altri fanno coro strascinando i versi a
bassa voce e dondolando il corpo avanti e
indietro. Di tanto in tanto qualche monaco
fa tintinnare un campanellino sistemato accanto a sé. Questo lento incedere, questa
nenia infinita è un invito alla meditazione,
al riposo della mente. Quasi quasi chiudo
gli occhi, abbandono ogni pensiero e mi
lascio trasportare solo da questo suono.
Del resto anche i miei compagni di viaggio
sono scivolati in uno strano stato ipnotico:
sembrano tutti assorti in profonde contemplazioni sul proprio io trascendentale o forse più semplicemente si sono addormentati. Anche il monaco anziano e il monaco
più piccino, un bimbo di 6 anni o poco più,
sbadigliano a rotta di collo. Ma se a loro
è consentito, perché io dovrei reprimere
i miei sbadigli e combattere questo desiderio irrefrenabile di chiudere gli occhi? In
men che non si dica la mia mente è già fuori
da ogni controllo in un dolce abbandono e
si diverte a comporre e scomporre immagini fantasiose a suo piacimento. Ma il suono
aspro di due trombe e un paio di colpi potenti su un tamburo mi riportano alla realtà.
La preghiera prevede cinque minuti di pausa, giusto il tempo per consentire ai monaci
di trangugiare una piccola scodella di riso
finendo poi con una disinvolta leccatina
all’interno della ciotola.
“Questo particolare non mi sembra sia
contemplato tra le regole del bon ton! Accidenti, fossi nata in Nepal da bambina
avrei potuto leccare in santa pace gli ultimi granelli di pastina rimasti appiccicati sul
fondo del piatto senza rimediare ogni volta
quel ceffone da mio nonno che mi faceva
girare vorticosamente la testa sulle spalle
come gatto Silvestro quando sbatte contro
un palo”
Terminato il pasto altri squilli di tromba e
colpi di tamburo annunciano il prosieguo
della preghiera.
“Bene, vediamo ora cosa succede”, fiduciosa che la cerimonia possa regalarmi ancora attimi di forte suggestione. Ma la magia è cessata; la preghiera è tale e quale a
prima, stessa cadenza, stessa litania, solo
un suono di parole incomprensibili che si
ripete all’infinito, ito, ito, ito, ito……...
Basta, vado via. Sono ormai decisa ad abbandonare la sala quando ha inizio quello
che a me appare come uno speciale spettacolo di illusionismo e prestidigitazione, “Il
mistero della colonna di destra”, interpretato da un monaco che, per abilità e somiglianza, potrebbe essere il fratello nepalese
di Arturo Brachetti.
In che consiste la performance? Ovviamente nel far apparire e scomparire alcuni oggetti di rito alla velocità della luce.
Il giovane monaco, tenendo tra le mani un
piattino, un’acquasantiera e una candela
accesa, attraversa rapidamente la stanza, scompare dietro la colonna di destra
e poi riappare tornando indietro con in
mano solo il piattino e l’acquasantiera. E
la candela? Non c’è più. Nulla di strano,
l’avrà certamente posata su un candeliere
o presso un altare. Neanche il tempo di finire il pensiero che il monaco attraversa di
nuovo la stanza, questa volta però senza
piattino, solo con l’acquasantiera e un’altra candela. Arriva alla colonna, gli gira intorno e riappare con la candela …ma si è
spenta!!!!!!……E l’acquasantiera? E il piattino? Bohhhhh, scomparsi. Riparte ancora
con il piattino e un’altra candela accesa e
dopo la colonna…abracadabra….ecco riapparire l’acquasantiera. E via di seguito:
acquasantiera e piattino, giro della colonna…. PUFF….candela accesa e piattino;
acquasantiera e candela spenta, giro della colonna…. PUFF…..candela accesa e
piattino; acquasantiera e piattino, giro della
colonna ……PUFF……..
Aiuto!!!! Mi gira la testa!!! È un ritmo vorticoso e fulmineo, ammalia e stordisce come il
gioco delle tre carte. Ricorda anche la storiella del contadino che deve trasportare al
di là del fiume, una alla volta, un lupo, una
capra e una cesta di cavoli e deve fare in
modo che il lupo non mangi la capra e la
capra non mangi il cavolo.
Sarà il fumo allucinogeno di queste candele
o la magia di questa preghiera che libera la
mente ma sto cominciando a delirare. ”…..
Se è vero, come dicono i buddisti, che ad
ogni morte segue sempre una rinascita e
che tutte le azioni buone o cattive compiute
nelle vite precedenti determinano l’esistenza attuale in un meccanismo di causa-effetto, allora tutto mi è chiaro: il contadino a cui
penso, salvando la capra dalla grinfie del
lupo, ha commesso una buona azione, cioè
ha prodotto un Karma positivo che gli ha
permesso di elevarsi nel rigido sistema delle caste e di rinascere sotto le sembianze
del monaco prestigiatore… Uhmmmmm,
forse è il caso che cominci anch’io a fare
qualcosa di buono per guadagnare un Karma positivo, certamente non basta aver
messo la mollettina colorata tra i capelli
pieni di pidocchi di quella bambina dagli
occhi tristi, devo fare qualcosa di più e di
meglio per sperare di rinascere un giorno
gabbiano....”
La preghiera è finita. Immersa in questi
sconsolati pensieri sulla mia prossima vita
mi avvio verso la porta non senza aver buttato l’occhio dietro la misteriosa colonna di
destra. Ma non ci sono né candelieri e né
altari, né tanto meno cappelli a cilindro e
bacchette magiche, c’è solo una finestra
aperta da cui si gode un magnifico panorama sui tetti di Kathmandu inondati di luce...
e una enorme discarica piena di mozziconi
di candele.
Ma una pattumiera noooooooooooooo!
Nepal
Avventure nel mondo 1 | 2011 – 45
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Emozioni in caduta libera - Viaggi Avventure nel Mondo