Istituto MEME associato a Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles Io e il mio Autoritratto Scuola di Specializzazione: Arti Terapie Relatore: Dott.ssa Roberta Frison Contesto di Project Work: Percorso per operatori sociali Tesista Specializzando: Dott.ssa Margherita Grasselli Anno di corso: Primo Modena: 25/05/2014 Anno Accademico: 2012 - 2013 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Indice dei Contenuti Introduzione .................................................................................................................... 4 1. L'arteterapia ................................................................................................................5 1.1 Il desiderio di interpretare ................................................................................. 6 1.2 Perché l'arteterapia aiuta ..................................................................................... 8 1.2.1 Pensiero visivo .......................................................................................... 8 1.2.2 Dire ciò che non si riesce a dire ................................................................ 9 1.2.3 Esperienza sensoriale ................................................................................ 9 1.2.4 Liberazione emotiva ................................................................................10 1.2.5 Creare un prodotto .................................................................................. 10 1.2.6 Arricchisce la vita.................................................................................... 11 1.2.7 Relazioni nuove ....................................................................................... 12 1.2.8 Fare arte è possibile per tutti ...................................................................12 1.2.9 Un nuovo modo di conoscere..................................................................14 2. Storia dell'arteterapia .................................................................................................15 2.1 Come nasce l'arteterapia ...................................................................................16 2.2 Gli artisti e la psicologia ...................................................................................18 2.3 I tempi sono maturi ........................................................................................... 19 3. L'atelier ......................................................................................................................23 3.1 Cos'è il setting ...................................................................................................24 3.2 L'arteterapeuta ................................................................................................... 25 3.2.1 La «concessione del permesso» ..............................................................26 3.3 L'arte nel lavoro di gruppo ................................................................................ 27 3.3.1 Gli obiettivi del percorso ........................................................................ 29 3.4 La strutturazione dell'incontro .......................................................................... 31 3.4.1 L'avvio e il riscaldamento ....................................................................... 31 3.4.2 L'esercizio principale ..............................................................................31 3.4.3 Discussione e feedback ........................................................................... 32 3.4.4 Conclusione dell'attività e scioglimento del gruppo ............................... 33 4. L'autoritratto ..............................................................................................................35 ___________________________________________________________________ 2 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 4.1 Non solo psicologia... ....................................................................................... 35 4.2 Non solo autoritratti di artisti... ........................................................................ 36 4.2.1 Autoritratto come auto-proiezione ..........................................................38 4.2.2 Autoritratto come travestimento .............................................................. 40 4.2.3 Autoritratto mentale ................................................................................ 40 4.2.4 Autoritratto come negazione di soggettività ........................................... 41 4.2.5 Autoritratto e pulsione autobiografica ..................................................... 42 4.2.6 L'autoritratto figurativo e la memoria .....................................................44 4.2.7 Ritratto come autoritratto ........................................................................ 44 4.3 Implicazioni sociali dell'autoritratto ................................................................. 46 4.4 Le tipologie dell'autoritratto..............................................................................47 4.5 L'autoritratto come documento psicologico ...................................................... 48 5. Project Work ..............................................................................................................50 5.1 Il percorso “Io e il mio autoritratto” ................................................................. 51 5.1.1 Presentazione del gruppo ........................................................................53 5.2 Gli incontri ........................................................................................................54 5.2.1 L'autoritratto figurativo ...........................................................................54 5.2.2 L'autoritratto come narrazione ................................................................ 56 5.2.3 L'autoritratto come metafora ...................................................................57 5.2.4 L'autoritratto e l'ombra ............................................................................ 59 5.2.5 L'autoritratto come memoria ...................................................................63 5.2.6 L'autoritratto come gioco ........................................................................ 64 Conclusioni .....................................................................................................................66 6. Bibliografia ................................................................................................................67 7. Sitografia ...................................................................................................................69 ___________________________________________________________________ 3 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Introduzione Si vive inseguendo il tempo che corre via veloce dedicandosi ogni giorno a molte attività: più cose si fanno durante la giornata, la settimana, i mesi, più si rimane con la sensazione di ansia e frenesia, perché sembra che il tempo a nostra disposizione sia poco e sfugga dalle mani. Una vita bella ma impegnativa e da sostenere, se non si trova uno spazio necessario per integrare tutte le attività in cui ci si imbatte. E' meglio fermarsi, arrivare ad un certo punto e finalmente dar retta a quella vocina interiore che già da tempo suggeriva di incominciare a riflettere su di noi, perché le tante attività intraprese, le esperienze accumulate e le persone incontrate non sfuggano via lasciandoci solamente un vago ricordo, ma possano davvero penetrare dentro di noi e aiutarci a crescere. E' necessario riconoscere la propria esistenza se si vuole prendere la responsabilità di vivere il presente con consapevolezza e libertà. Altrimenti si corre il rischio di imbattersi in schemi che non fanno più crescere, anzi, limitano la mente bloccandola su pensieri pesanti ed esperienze che non portano da nessuna parte. Attraverso l'arte-terapia si può intraprendere un percorso che conduce ad una conoscenza più profonda di sé stessi. Rivedere nei propri disegni i pensieri che ognuno ha dentro, e che difficilmente riesce ad esprimere con le parole, è un primo passo verso un cammino di cambiamento, di maturità e di positività. Ci sono molte possibilità per entrare in contatto con sé stessi e l'arte-terapia è una di queste. E' una terapia personale, che attraverso il linguaggio dell'arte collega mente, vissuto, emozioni e mani. Entra dentro, prende ciò che trova e che può essere preso e lo conduce fuori. In questo caso il termine “terapia” è utilizzato con il significato di “cambiamento”. Essa evidenzia il vecchio, lo rende accettabile e riconoscibile come una parte importante di sé e poi invita ad andare oltre. Questa visione grafica del passato aiuta ad andare verso un miglioramento. L'interesse dell'arte-terapia non è verso i problemi delle persone bensì verso la loro risoluzione1. 1 Raffaella Molteni (2007), L'arteterapia, Xenia Edizioni, Milano. ___________________________________________________________________ 4 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 1. L'arteterapia C'è un'espressione che qualche tempo fa era molto in voga fra gli arte-terapeuti: arteterapia è disegnare dall'intimo2. Si tratta di una buona definizione di partenza, che aiuta a distinguere questo uso dell'arte da tutti gli altri. A uno sguardo superficiale una seduta di arte-terapia può sembrare una lezione di disegno o di pittura, ma gli obbiettivi e gli intenti sono diversi. Per esempio, in una lezione d'arte chiederanno di ritrarre una modella, di dipingere una natura morta o di fare degli schizzi in una passeggiata fra i boschi. Di solito la richiesta è quella di rappresentare ciò che si vede e di lavorare per renderlo con le giuste proporzioni, colori e chiaroscuri, insistendo soprattutto sulla tecnica. L'arte-terapia chiede di esplorare la propria esperienza interna: sentimenti, percezione, immaginazione. Può comportare l'apprendimento di certe tecniche, ma l'accento è posto sullo sviluppo e l'espressione di immagini che affiorano da dentro, non su ciò che si vede nel mondo esterno. Anche in certe scuole d'arte si può chiedere talvolta di disegnare o di dipingere soggetti di fantasia, ma nelle sedute di arte-terapia l'elemento primario e fondamentale è sempre il mondo interiore di immagini, sentimenti e pensieri. La parola greca therapéia significa tra le altre cose “prestare attenzione”, un concetto che sottolinea il senso profondo dell'arte-terapia da due punti di vista. Anzitutto, c'è lo specialista che segue il soggetto mentre produce il suo lavoro. La sua guida è la chiave del processo terapeutico, in quanto l'attenzione e il sostegno assicurati da tale rapporto sono indispensabili per indirizzare l'esperienza artistica e aiutare l'individuo a scoprirvi un significato. Il secondo aspetto importante è l'attenzione che l'individuo concentra sulla propria attività, per dare un senso al prodotto artistico, cioè trovare una storia, una descrizione o un significato che lo definiscono. Poche altre forme di terapia dipendono, come questa, dalla partecipazione attiva del soggetto. Le definizioni specifiche proposte per l'arte-terapia sono numerose, ma la maggior parte di esse rientra in due categorie generali. 2 Cathy A. Malchiodi (2013), Arteterapia, l'arte che cura, Edizione Giunti. ___________________________________________________________________ 5 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 La prima chiama in causa la convinzione che il processo della creazione artistica abbia di per sé un potere curativo. Questa concezione implica l'idea che fare arte sia un processo terapeutico: in questo caso si parla talvolta di arte come terapia. Fare arte è visto come occasione per esprimere sé stessi in maniera autentica, spontanea e immaginativa, esperienza che con il tempo può condurre alla realizzazione di sé, alla cura delle ferite emotive e alla trasformazione. Secondo questo concetto, il processo creativo in sé e per sé può essere una salutare esperienza di crescita personale3. L'altro tipo di definizione si base sull'idea che l'arte è un mezzo di comunicazione simbolica. Questo approccio, indicato spesso col termine di “arte-terapia psicodinamica”, oppure “psicoterapia mediante l'arte”, sottolinea il valore dei disegni, dipinti e più in generale, dei prodotti, come mezzo di comunicazione di problemi, emozioni e conflitti. La psicoterapia ha una parte fondamentale in questa impostazione e l'immagine artistica acquista significato in quanto favorisce lo scambio verbale fra terapeuta e paziente ai fini della comprensione di sé. Con la guida e il sostegno del terapeuta l'arte favorisce la presa di coscienza, aiutando a risolvere i conflitti, superare i problemi e formulare nuove percezioni, che a loro volta conducono a cambiamenti positivi, alla crescita personale e alla salute fisica e mentale. In realtà, la maggior parte degli specialisti che praticano l'arte-terapia integrano, in varia misura nel lavoro clinico, entrambe le impostazioni prima discusse. In altre parole, mettono insieme sia l'idea che l'attività artistica possa essere un processo salutare, sia quella che i suoi prodotti comunichino informazioni rilevanti per la terapia. Il terapeuta può accentuare l'uno o l'altro aspetto, a seconda della sua inclinazione e delle esigenze del cliente4. 1.1. Il desiderio di interpretare Molti che partecipano all'esperienza dell'arte-terapia sono anche interessati a capire meglio cosa significano le immagini che producono. La curiosità di alcuni per l'interpretazione deriva fra l'altro dalla familiarità o 3 Allen P. B. (1995), Art is a way of knowing, Shambhala, Boston. 4 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 13-15. ___________________________________________________________________ 6 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 conoscenza dei test psicologici di personalità: le macchie d'inchiostro di Rorschach5 oppure i test di disegno usati talvolta per la diagnosi. Dato che l'arte-terapia effettivamente comporta la produzione di immagini, è naturale pensare che queste siano interpretate a fini di valutazione. In qualche misura, gli arteterapeuti sono interessati al significato dei manufatti artistici e sono affascinati dalle immagini e dai simboli. Sono anche numerose le ricerche per accertare se esistano simboli ricorrenti, contenuti e stili associati a disturbi emotivi, traumi, malattie fisiche o problemi neurologici. Però questo tipo di lavoro punta sull'espressione artistica in sede di valutazione e diagnosi, più che strumento di crescita personale e comprensione del sé. Il significato dell'arte prodotta in terapia può essere un tema affascinante, ma la maggior dei terapeuti preferisce aiutare il soggetto a tirar fuori la sua interpretazione. Chiedere alle persone di riflettere su ciò che hanno creato è un aspetto importante del processo terapeutico, per varie ragioni. Anzitutto, sebbene possano esservi simboli universali nell'espressione artistica, il modo in cui ciascuno si esprime attraverso l'arte è spesso molto personale e individuale, segnato dalla parte “sommersa”, le esperienze di vita, le influenze culturali e le prospettive personali. L'esperienza individuale nella produzione artistica influisce anche sul modo di comunicare con l'arte idee e sentimenti. Questo aspetto è prezioso perché è la persona stessa che produce l'immagine che decide che significato darle. Inoltre, il significato di un'immagine artistica è davvero nell'occhio di chi la contempla. Tutti abbiamo la tendenza naturale a proiettare le nostre convinzioni, impressioni, idee ed emozioni sulle immagini che vediamo. Infine, le espressioni artistiche possono anche cambiare significato nel corso del tempo. In altre parole, riguardando lo stesso disegno, dipinto o elaborato, a distanza di tempo si possono vedere aspetti nuovi e avere risposte del tutto diverse. Ciò fa parte della magia dell'arte ma anche del suo mistero, che può far pensare ad un linguaggio “vivo”6. 5 Wikipedia, Test di Rorschach, http://it.wikipedia.org/wiki/Test_di_Rorschach, Marzo 2014. 6 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 15-16. ___________________________________________________________________ 7 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 1.2. Perché l'arteterapia aiuta L'arte può servire a capire meglio chi la produce, ma il processo terapeutico, con le sue potenzialità di crescita e guarigione, deriva anche dalla concreta produzione di opere d'arte. Aiutare le persone a comprendere la propria espressione artistica rientra certamente nella terapia, ma insieme a questa è fondamentale anche il processo stesso del fare arte. Si tratta di una modalità terapeutica che presenta speciali possibilità di riparazione, trasformazione e auto-esplorazione7. 1.2.1. Pensiero visivo Il pensiero visivo è la capacità di organizzare, per mezzo di immagini, i nostri sentimenti, pensieri e percezioni circa il modo che ci circonda. Esso è in tutte le cose che facciamo, dal programma della giornata ai sogni notturni. Definiamo il mondo mediante descrizioni visive, pensiamo per immagini, tante volte usandole per rappresentare idee e sentimenti. Sigmund Freud8, il padre della psicologia moderna, osservava che sogni, sentimenti e pensieri sono espressi prevalentemente sotto forma di immagini. La frustrazione dei pazienti nel descrivere i sogni poteva, a suo avviso, essere alleviata se riuscivano a disegnarli. Secondo Freud, l'arte è molto vicina all'inconscio in quanto la percezione visiva arriva prima dello sviluppo della capacità di espressione verbale. Le immagini fanno parte delle nostre primissime esperienze e molti dei nostri pensieri preverbali sono sotto forma di immagini. Ad esempio, quando abbiamo la possibilità di ricordare un evento, un luogo o una persona, lo facciamo principalmente attraverso un'immagine mentale. Anche Carl Gustav Jung9, di cui è noto l'interesse per i simboli visivi nei sogni e nell'arte, osservava che, lasciando che uno stato d'animo o un problema si incarni in un'immagine, lo si comprende più chiaramente e profondamente sperimentando le 7 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., p. 17. 8 Freud S. (1923), « The Ego and the Id.» In J. Strachey (Ed.), The Complete Psychological Works of Sigmund Freud. XIX. Hogarth, London. 9 Jung C. G., Von Franz M. L., Henderson J., Jacobi J., Jaffè A. (1968), Man and his symbols, Doubleday, New York. ___________________________________________________________________ 8 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 emozioni che sono contenute in essa. La filosofia junghiana si basa ampiamente sulle immagini di sogni e ricordi, nella loro connessione coi sentimenti, per aiutare le persone a elaborare conflitti e problemi10. 1.2.2. Dire ciò che non si riesce a dire Nell'arte-terapia le persone sono incoraggiate ad esprimere ciò che non sanno dire a parole attraverso un disegno, la pittura o altre forme artistiche. Per qualcuno le parole possono essere un modo per evitare o camuffare l'espressione di veri sentimenti. Una forma non verbale di comunicazione come l'arte può una finestra aperta su sentimenti e pensieri che forse non sarebbero accessibili mediante un linguaggio. Questa caratteristica dell'attività artistica può aprire la strada ad emozioni e idee che erano volutamente o no ignorate e inconsce11. Non essendo un processo lineare vincolato dalle regole del linguaggio verbale, come sintassi, grammatica e ortografia, l'espressione artistica è in grado di esprimere simultaneamente molti aspetti complessi. Ciò che richiederebbe un'ampia ed elaborata esposizione verbale può essere espresso da un singolo disegno oppure elementi ambigui, enigmatici o contraddittori possono confluire nella stessa immagine. L'arte, a differenza del linguaggio, non avendo regole di struttura e di organizzazione può aiutare ad integrare e sintetizzare sentimenti e esperienze vissute12. 1.2.3. Esperienza sensoriale L'arte è un'attività manuale dove si costruisce, dispone, mescola, si tocca, modella, incolla, disegna, dipinge e altro. Fare arte è un'esperienza psicomotoria dove vengono chiamate in causa vista, tatto, udito e altre modalità sensoriali, a seconda dei mezzi usati. Queste esperienze, secondo lo psicologo Eugene Gentlin13, implica un “significato sentito” ovvero una consapevolezza corporea di ciò che ci succede o che ci è successo. 10 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 17-20. 11 Maslow A. (1971), Verso una psicologia dell'Essere, Astrolabio Ubaldini, Roma. 12 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 2021. 13 Gendlin E. (2001), Focusing. Interrogare il corpo per cambiare la psiche. Astrolabio Ubaldini, Roma. ___________________________________________________________________ 9 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Il significato sentito è un modo di dare senso alle cose, che ci aiuta a capire e valutare il mondo intorno a noi. Nei casi di trauma emotivo, l'attività artistica offre una via per reintegrare emozioni complesse che si esprimono mediante i sensi. Gli aspetti tattili dell'arte possono gratificanti e rilassanti, e questo può portare verso un processo di guarigione delle ferite emotive14. 1.2.4. Liberazione emotiva Fare un disegno, un dipinto o una scultura può essere liberatorio, in quanto offre sollievo da sentimenti che possono essere dolorosi o disturbanti. Per molte persone riuscire a contenere nell'arte le proprie idee, esperienze ed emozioni può avere un effetto positivo, per altre è catartico (letteralmente purificatorio) parlare di ciò che hanno rappresentato nelle immagini prodotte, in particolare vissuti o sentimenti traumatici. Il processo della produzione artistica può alleviare lo stress e l'ansia anche creando una risposta fisiologica di rilassamento, con rallentamento del battito cardiaco e respiratorio15. Attraverso studi effettuati in passato si è visto che durante l'attività creativa può di fatto aumentare il livello di serotonina nel cervello, combattendo così la depressione. Inoltre, il lavoro artistico è per alcuni una forma di meditazione che genera calma e pace interiore16. 1.2.5. Creare un prodotto Nel corso della storia umana l'arte è sempre stata usata per abbellire e decorare, in armonia con l'inclinazione di fare qualcosa di speciale, che è un nostro autentico bisogno. L'arteterapia è una delle poche terapie che consente di realizzare qualcosa di duraturo che registra significati, esperienze e sentimenti. Questa concretezza del prodotto permette di documentare idee e percezioni per poi riesaminarle in un secondo momento. Rivedere le espressioni artistiche create nell'arco anche di un tempo lungo consente di 14 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 21-22. 15 Kaplan F. (2000), Art, Science and Art Therapy. Jessica Kingsley, London. 16 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., p. 24. ___________________________________________________________________ 10 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 seguire lo sviluppo di temi, eventi, emozioni e pensieri nel corso del tempo. I due aspetti fondamentali dell'arte-terapia son il processo creativo e la produzione simbolica, ma ci sono anche altri aspetti che possono essere considerati terapeutici. A livello più semplice e immediato, è un'attività che favorisce l'autostima, incoraggia a sperimentare e assumersi rischi e responsabilità, insegna nuove abilità e arricchisce la vita. Queste dimensioni possono sembrare puramente ricreative, ma fare qualcosa con le proprie mani e rendersi conto di aver prodotto qualcosa di unico e irripetibile è molto importante e significativo17. 1.2.6. Arricchisce la vita La storia ci fa vedere come persone sottoposte a grandi stress abbiano trovato nell'arte il modo di esprimere e trasformare i conflitti interiori. Nel corso dei secoli pittori e scultori si sono serviti del loro lavoro per esplorare le sofferenze umane, trovare un senso ai propri conflitti e ricercare la trascendenza. Le opere di Vincent Van Gogh e di altri artisti testimonia questo bisogno di espressione artistica. L'arte ci aiuta ad esprimere paure, angosce e altre emozioni stressanti e tocca anche l'animo umano negli aspetti più spirituali. L'arte ci aiuta a trascendere la vita quotidiana e restaura integrità e soddisfazione personale anche laddove possano esservi “vissuti di morte”. “Bruce Moon, arteterapeuta, crede che fare arte è un atto spirituale e sacro. L'arte è l'anima, e creare arte crea l'anima. La sua fede sta nella espressione creativa come la migliore forma di comunicazione tra mondi interni ed esterni, e tra il sé e Dio. Secondo Moon, fare arte serve un'esistenziale scopo e può aiutare le persone a superare sentimenti di vuoto e disperazione. Nei percorsi di arte-terapia Moon si concentra più sul processo creativo che il prodotto stesso. Egli risponde alla grafica con la conversazione, i gesti del corpo, il suono, le prestazioni spontanee, e la pittura”18. L'arte offre trascendenza e riflessione spirituale, permettendoci di contemplare e immaginare nuove possibilità attraverso l'espressione visiva e di vivere noi stessi in maniera rinnovata. Infine, l'arte è un'attività piacevole che riempie di energie e dà godimento. Sembra 17 Ibidem. 18 Wikipedia, Bruce Moon, http://en.wikipedia.org/wiki/Bruce_Moon, Marzo 2014. ___________________________________________________________________ 11 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 proprio che il lavoro artistico serva a diventare più flessibili in generale e a realizzare se stessi prendendone coscienza. Attraverso di esso si sfruttano e potenziano risorse intuitive e modalità creative nella soluzione dei problemi. Provare gioia, giocare, creare e comunicare sono esperienze necessarie per il nostro benessere psico-fisico e spirituale, e queste sono tutte esperienze di cui l'attività artistica fornisce l'occasione19. 1.2.7. Relazioni nuove Se fare arte da soli è rilassante, soddisfacendo la persona sul piano emotivo riparando carenze e danni, l'efficacia dell'arte-terapia si basa sulla relazione fra il soggetto, il terapeuta e il gruppo se è previsto. In tutte le forme di terapia la presenza di un facilitatore è essenziale per il processo di recupero e trasformazione. Anche in questo caso, una relazione autentica e di fiducia col terapeuta, insieme alla realizzazione di lavoro esteticamente soddisfacente, esalta il potenziale curativo dell'attività proposta. Così anche le attività artistiche fatte in gruppo mettono in rilievo una speciale modalità nell'esplorazione del rapporto con gli altri e con se stessi. Secondo il terapeuta Shaun McNiff20, creare arte insieme ad altri rende possibile la trasformazione personale attraverso la condivisione dei lavori e lo scambio consapevole e/o inconsapevole di ispirazioni e influenze reciproche. Lavorare in presenza di altre persone stimola idee nuove e spunti creativi, generando in maniera naturale interazioni e scambi21. 1.2.8. Fare arte è possibile per tutti L'arte-terapia non richiede nessuna preparazione artistica specifica. Disegnare, dipingere e altre forme artistiche sono semplici metodi di espressione accessibili a chiunque, indipendentemente dall'età o dalle capacità naturali. Tutte le persone che lo desiderano hanno la possibilità di essere creative attraverso l'espressione artistica e ciò che ne viene fuori è assolutamente accettabile e degno di rispetto. 19 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 24-25. 20 McNiff S. (1981), The Arts and Psychotherapy, Charles C. Thomas, Springfield (IL). 21 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 25-26. ___________________________________________________________________ 12 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Lo scopo non è creare grande arte. Ma che cosa si intende per “arte”? Generazioni di artisti, teorici, e storici dell'arte hanno riflettuto su questo quesito senza mai trovarsi d'accordo. Secondo alcuni, i prodotti dell'arte-terapia non sono arte in quanto sono creati per scopi diversi dalla pura finalità artistica. Tuttavia, nella storia dell'arte sono sempre convissute finalità opposte, opere prodotte a scopo di pura bellezza estetica insieme a opere prodotte per esprimere il mondo interiore dell'artista. Elizabeth Layton22, conosciuta anche come nonna Layton, riscopre il disegno e l'arte a sessantasette anni e questo la aiuta ad uscire da trent'anni di sindrome manicodepressiva. Nel 1976, dopo la morte del figlio, a seguito di sedute di elettrochoc, litio e psicoterapia che non avevano portato a miglioramenti, Elizabeth segue il consiglio della sorella che le suggerisce di iscriversi ad un corso di disegno presso un college locale. C'era posto soltanto nel corso di disegno di contorno. Si tratta di una tecnica a tratto dove l'artista segue il contorno del modello, concentrando lo sguardo su di esso ed evitando per quanto possibile di guardare il foglio su cui si lavora. Per questo le immagini appaiono spesso distorte, ma molto dettagliate e personali. Realizzò una serie di disegni che illustrano ogni ruga, macchia, ogni aspetto del suo corpo segnato dagli anni. Sono emersi anche l'atteggiamento della società verso gli anziani, la lotta contro l'invecchiamento, l'esperienza della depressione e del lutto. Elisabeth passò gradualmente la depressione facendo i conti con i suoi pensieri, sentimenti e percezioni, imparandoli ad esprimere attraverso il disegno. Nonna Layton cominciò a raccontare la sua vita, non solo coi suoi disegni ma anche conversando con l'artista Don Lambert e il terapeuta Robert Ault23. I colloqui le permisero di approfondire la consapevolezza dei temi espressi nei suoi lavori e contribuirono alla guarigione emotiva. Per Elizabeth il disegno era un mezzo per comunicare ciò che non riusciva a dire con le parole. Era anche un modo di conoscere una parte di sé più autentica e profonda. Attraverso l'arte ha potuto esprimere il grande dolore per le perdite subite e capire le ragioni del disagio e della depressione che aveva sperimentato per oltre trent'anni. Alla fine, l'arte l'ha aiutata a scoprire e creare un senso della vita24. 22 Lambert D. (1995), The life and Art of Elizabeth “grandma” Layton, WRS, Topeka (KS). 23 Ault R. (1996), Drawing on the Contours of the Mind, manoscritto pubblicato dall'A., s.d. 24 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 26-29. ___________________________________________________________________ 13 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 1.2.9. Un nuovo modo di conoscere Pat Allen25 scrive nel suo libro che l'arte, oltre ad insegnarci cosa vuole dire essere vivi e umani, è anche un modo di conoscere ciò in cui noi crediamo effettivamente. Disegnando o dipingendo cominciamo il processo di esplorazione delle nostre credenze profonde. L'arte inevitabilmente racconta la nostra storia personale in tutte le sue dimensioni: sentimenti, pensieri, esperienze, valori e convinzioni. Nel processo per rendere visibile parte del nostro “mondo interiore” mediante l'arte, ci viene offerto un nuovo modo di conoscere noi stessi e trasformare tale prospettiva. “Come quasi tutti coloro che la praticano, anch'io ho la mia personale definizione dell'arte-terapia e del suo funzionamento. Ritengo che il mio ruolo sia di aiutare le persone a esplorare ed esprimere sé stesse in maniera autentica per mezzo dell'arte. Attraverso questo processo, possono trovare sollievo a crisi, traumi ed emozioni soverchianti, scoprire sé stesse, a crescere il proprio benessere, arricchire la vita quotidiana con l'espressione creativa, sperimentare una trasformazione personale. Riconoscono all'arte il potere di ampliare la comprensione di sé, di offrire intuizioni non accessibili con altri mezzi e di estendere le capacità di comunicazione. Vedo inoltre le espressioni artistiche come narrazioni personali attraverso immagini, oltre che mediante le storie che gli autori vi abbinano. Trovare un significato personale nelle immagini prodotte fa parte del processo terapeutico e costituisce per alcuni la più potente risorsa curativa dell'espressione artistica. E' una via importante per conoscere sé stessi e un'efficace medicina26”. 25 Allen P. B. (1995), Art is a Way of Knowing, Shambala, Boston. 26 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 29-30. ___________________________________________________________________ 14 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 2. Storia dell'arteterapia Fin dall'antichità l'arte ha avuto un ruolo nelle pratiche della salute e l'espressione simbolica è stata un elemento importante dei riti di guarigione. L'impulso artistico è un bisogno umano fondamentale, un tratto della nostra specie altrettanto naturale come il linguaggio, l'interazione sociale, il sesso e l'aggressività. Sono almeno 200.000 anni che gli uomini hanno cominciato a tracciare segni e immagini a scopo “magico” oltre che decorativo. Le prime figure risalgono al paleolitico, tracciate con mezzi primitivi sulle pareti delle grotte. Obbligati a difendersi dall'ambiente ostile, dagli animali e dalle forze ignote, i nostri progenitori non solo costruivano utensili e ripari, ma creavano anche le immagini. E' probabile che cercassero di propiziarsi buone battute di caccia, prima però catturando le prede con la pittura. Gli esseri umani non hanno mai cessato di creare arte per collegarsi con la divinità, proteggersi dal male e dalle disgrazie, per esprimere e controllare emozioni forti come l'ansia e la paura, e in questo caso per prepararsi alla caccia. Ancora oggi, e non solo nelle società preletterate, l'arte è usata simbolicamente per curare le malattie e procurare sollievo fisico e psicologico. I najavo, per esempio, combinano canto, danza e pittura sulla sabbia, usando figure specifiche per curare particolari malattie. Anche i tibetani usano la pittura con la sabbia, nella forma di Mandala, per concentrare la preghiera e promuovere la guarigione e il sollievo dalle sofferenze. L'elemento che accomuna questi due esempi è, quindi, la pittura con la sabbia che implica un simbolismo visivo che mira in parte alla trasformazione e alla guarigione. La credenza dell'umanità nel potere magico dell'arte di produrre cambiamenti e trasformare persone e circostanze può essere una ragione per cui da sempre essa è considerata uno strumento terapeutico. Gli sciamani sono i precursori della psichiatria moderna e in particolare dell'arteterapia. La loro opera consiste nello scacciare dalle persone gli elementi insani e guarire corpo, mente e spirito usando immagini e rituali. Lo sciamano utilizza simboli visivi nell'abbigliamento e nelle cerimonie per attrarre gli spiriti, raggiungere uno stato di coscienza alterato e provocare la guarigione. Ci sono stretti legami fra il suo lavoro e quello dell'arte-terapeuta, che usa la produzione di immagini come modalità di recupero ___________________________________________________________________ 15 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 della salute psico-fisico e spirituale27. 2.1. Come nasce l'arteterapia L’arteterapia è una disciplina che nasce per l’influenza di materie attinenti e si tratta di un campo relativamente nuovo. Le prime forme di arte terapia nascono in Gran Bretagna, negli anni 40, ed inizialmente i metodi utilizzati furono quelli pedagogici, a differenza di quelli francesi segnati dagli studi psichiatrici sull’art des fous (l'arte dei folli), e fu infatti Adrian Hill, maestro d’arte, che coniò nel 1945 il termine art therapy. È necessario sottolineare che l’arte, come mezzo di cura, è stata influenzata dall’avvento della psichiatria moderna, infatti nel XX secolo la psichiatria ha iniziato ad interessarsi alle unioni tra le immagini e l’inconscio sfociando nella convinzione che vi sia un’unione tra arte e mondo interiore. Già nel 1912 Emil Kraepelin e Karl Jaspers notarono come i disegni dei loro pazienti fossero utili per la diagnosi della malattia, ma si dovette aspettare Sigmund Freud e le sue teorie sull’inconscio e l’immagine onirica per poter sottolineare il legame tra immagine e mondo interiore, anche se non impiegò l’arte come strumento terapeutico pur ritenendo il prodotto artistico come specchio del mondo interno. Carl Gustav Jung elaborò il concetto di un inconscio collettivo, che, attraverso archetipi universali, si trasmettono attraverso il fare artistico. Considerava l’arte come una via di accesso ai sentimenti e all’analisi del sé che risiedono nell’inconscio, e che devono essere portate alla luce per non avere effetti negativi sul comportamento e quindi entrare in uno stato di benessere e trasformazione. A differenza di Freud spingeva i propri pazienti a disegnare le loro immagini oniriche: 28 “Dipingere ciò che vediamo davanti a noi è un’arte diversa dal dipingere ciò che vediamo dentro” . Inizialmente, i presupposti non furono sostanzialmente terapeutici: l’arte era utilizzata come forma di svago, e di occupazione del paziente dall’ozio del ricovero. Successivamente si crearono, all’interno degli istituti di cura, delle vere e proprie 27 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 31-32. 28 Ivi, p. 34. ___________________________________________________________________ 16 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 esposizioni dei lavori dei pazienti, le quali toccavano città come Londra, Parigi, Berna, Torino. Come esempio possiamo citare l’antropologo criminale Cesare Lombroso, il quale si interessò alla natura delle malattie mentali e al loro legame anatomico e fisiopatologico. Noto per il saggio Genio e follia che pubblicò nel 1872 e per i suoi studi in campo criminale, fu, inoltre un grande collezionista di opere dei malati che porterà ad una grande raccolta29. Di grande importanza, per l’epoca e per gli sviluppi delle ricerche successive, fu il saggio “Bildnerei der Geisteskranken” (L’attività plastica nei malati di mente) del 1922 di Hans Prinzhorn, storico dell’arte e psichiatra. Al termine della prima guerra mondiale egli ricevette l’incarico di curatore della collezione della clinica psichiatrica di Heidelberg, Germania; per due anni si occupò della catalogazione e analisi delle produzioni artistiche, fino al 1921 quando decise di intraprendere una vita nomade. In questo saggio analizzò e raccolse le opere prodotte da malati di mente ospiti in istituti psichiatrici tedeschi, e non solo, trovando una relazione tra attività artistica e componente schizofrenica di alcuni grandi artisti, tra i quali Van Gogh e Kokoschka. Il suo interesse era quello di sottolineare come le opere degli artisti isolati fossero di grande spessore quanto quelle degli artisti conosciuti, inoltre, criticò le tesi di Lombroso considerandole fonte di pregiudizio che si allontanano dalla vera comprensione della produzione artistica dei malati, spostando l’attenzione sul processo di creazione dell’immagine e delle radici psichiche30. Il saggio suscitò l’interesse da parte dei Surrealisti, i quali consideravano le opere dei pazienti fonte di ispirazione per le proprie opere. Fu Jean Dubuffet che mise in risalto l’arte degli esclusi che poi diverrà l’Art Brut: l’arte frizzante che nasce dove nessuno la cerca. L’arte spontanea che definisce l’arte, creata da quelle persone estranee ai contesti artistici tradizionali. Dubuffet aprì nel 1947 il Foyer de l’Art Brut e successivamente fondò la Compagnie de l’Art Brut. La sua avversione nei confronti dell’arte culturel portò ad interagire con le esperienze terapeutiche avvicinandosi sempre più all’arte degli emarginati. Sino agli anni ’50-’60 i laboratori artistici venivano ancora posti per poter tenere occupati i pazienti, ma negli anni ’60-’70 la disciplina verrà influenzata dal concetto 29 G. Bedoni, B. Tosatti, op. cit., p. 183. 30 Ivi, p. 41. ___________________________________________________________________ 17 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 psicanalitico di creatività di Donald Winnicott: “E’ l’appercezione creativa, più di ogni altra cosa che fa sì che l’individuo abbia l’impressione che la vita valga la pena di essere vissuta. In qualche modo la nostra teoria comprende la convinzione che vivere 31 creativamente sia una situazione di sanità, e che la compiacenza sia una base patologica per la vita” . Sono, dunque, gli anni del secondo dopoguerra ed i traumi che essa portò con sé che aprirono le porte alla disciplina arte-terapia vera e propria e successivamente la chiusura dei luoghi manicomiali acconsentì la costituzione di comunità terapeutiche dove “… gli atelier assumono un ruolo importante rispetto alle dinamiche d’integrazione con il territorio, 32 33 diventando uno strumento efficace di dialogo, apertura e lotta allo stigma” , 2.2. Gli artisti e la psicologia L'avvento della psichiatria e della psicologia all'inizio del XX secolo ebbe sugli artisti di ogni corrente una profonda influenza. Soprattutto il concetto di inconscio34, quella parte inaccessibile della psiche che si manifesta alla coscienza nei sogni e nei lapsus, esercitò un grande influsso su di loro. Il surrealismo è una corrente novecentesca profondamente interessata alle immagini oniriche. I surrealisti come Salvador Dalì Max Ernst erano convinti che i sogni contengano significati da interpretare e si sforzavano di creare un'arte ricca di immagini simboliche, fantastiche e scioccanti, come il contenuto dei sogni, sottolineando la necessità di superare la riproduzione della realtà esterna per far luce sul mondo interno. Tecniche come il disegno automatico hanno interessato pittori come Joan Mirò, in base all'idea che, l'abbandono ad una spontaneità totale permettesse di attingere alla psiche inconscia ed esprimerla. Anni dopo, Jackson Pollock inventò il dripping, facendo sgocciolare i colori sulla tela stesa a terra. Pollock ricorreva all'automatismo psichico per esprimere più liberamente nella pittura i suoi contenuti interiori. 31 D. W. Winnicott (1971), Gioco e realtà, tr. it., Roma (1974), p. 119. 32 L. Tonani, Espressione artistica e cura del disagio psichico in “Psicologia contemporanea”, MarzoAprile 2010, pp. 46-51. 33 Erika Bettoni, Arteterapia: le origini, http://arteintasca.com/appunti/arte-terapia/#_ftn1, Aprile 2014. 34 S. Freud (2000), L'Io e l'Es, Opere, vol.9, Bollati Boringhieri, Torino. ___________________________________________________________________ 18 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Un altro movimento artistico che puntava sulla rappresentazione delle emozioni è l'espressionismo. Le opere di Paul Gauguin e di Vincent Van Gogh danno grande rilievo all'esplorazione del mondo interiore. Nei primi anni '20 Vasilij Kandinskij esplorò temi psicologici e spirituali attraverso l'uso costante e spontaneo di colori, linee e forme, pensando di rispecchiare così il libero fluire del pensiero inconscio. Per gli espressionisti, i surrealisti e Kandinskij, l'arte doveva realizzarsi con una spontaneità pari a quella dell'associazione libera, ovvero dar libero sfogo ai pensieri senza intenzioni né censure, introdotta da Freud come metodo clinico per la comprensione dell'inconscio e del comportamento umano. Così, mentre la psichiatria da un lato cercava di capire il funzionamento interno della psiche, gli artisti cominciavano a guardare dentro di sé alla ricerca di immagini per il loro lavoro. Altri si sono interessati alla spontaneità dei “non artisti”, come i bambini o i malati di mente. Jean Dubuffet è uno tra i tanti pittori e scultori che hanno praticato intenzionalmente l'art brut, la cosiddetta “arte grezza”ispirata alle opere delle collezioni Prinzhorn e Morgenthaler. Mentre i due psichiatri vedevano esemplificato in quella produzione l'istinto creativo dell'umanità, Dubuffet ne apprezzava i valori di originalità e spontaneità assoluta. Questa attrazione per il talento esclusivo degli artisti spontanei è vivo ancora oggi: chiamata outsider art apprezzata da artisti e studiosi. Quest'ultimo è un concetto importante, che riconosce la creatività artistica come un'esperienza umana condivisa, capace di trascendere i limiti posti dall'ambiente o da handicap di qualunque genere. Ciò ha preparato il terreno per la ricognizione delle espressioni artistiche di tutti gli emarginati, dai pazienti psichiatrici ai carcerati, dai disabili agli anziani35. 2.3. I tempi sono maturi Verso la metà del XX secolo si diffondeva la convinzione che il processo creativo dell'arte potesse favorire la riabilitazione, il cambiamento e crescita personale. Sia l'interesse crescente per le immagini come rappresentazioni dell'inconscio, sia il 35 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 38-40. ___________________________________________________________________ 19 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 potenziale terapeutico del processo creativo contribuirono ad aprire le porte all'avvento dell'arte-terapia. Lo sviluppo di nuove terapie aumentò notevolmente dopo il 1950, creando un ambiente favorevole alla comparsa e all'accettazione di novità. Alcune di queste metodologie si ricollegavano ad esperienze del XIX secolo, quando era iniziata in Europa e negli Stati Uniti, la sperimentazione della cosiddetta “terapia morale”: i pazienti erano inviati in campagna, dove ricevevano un'attenzione individualizzata sotto forma di terapia occupazionale e attività artistiche. Il movimento durò pochi anni, ma riemerse nel secolo successivo con la creazione di ospedali psichiatrici, cliniche e centri di riabilitazione che introdussero accanto ai trattamenti tradizionali basati sul colloquio, attività artistiche, musicali, motorie e di scrittura creativa. Le terapie basate sulla creazione artistica (non solo arti visive, ma anche danza, teatro e poesia) divennero un campo di studi a pieno titolo, e furono riconosciute come valide alternative nel trattamento dei pazienti ospedalizzati. L'arteterapia ottenne ampio credito nei servizi di salute mentale negli Stati Uniti. Ai suoi esordi intervennero molte persone che avevano scoperto il potere curativo dell'arte, ma a due in particolare va il merito di aver introdotto l'arte-terapia negli Stati Uniti. Il primato nell'uso dell'arte come modalità terapeutica, negli anni '40, è attribuito a Margaret Naumburg36, tra i primi a definire l'arte-terapia una forma di psicoterapia. Considerava l'espressione artistica un modo di manifestare le fantasie inconsce. Ai pazienti chiedeva di disegnare, oltre ad enunciarli a parole, i contenuti dei sogni e delle associazioni. A suo parere, il valore terapeutico primario dell'arte consisteva nella comunicazione e nell'espressione autentica: riteneva che nelle immagini prodotte dai pazienti fossero una forma di linguaggio simbolico. Negli anni '50, la terapeuta Edith Kramer37 propose l'idea che il potenziale creativo dell'arte scaturisse dalla sua capacità di attivare processi psicologici. Per la Kramer la chiave del processo di arteterapia non era solo la comunicazione attraverso il linguaggio simbolico delle immagini, ma soprattutto l'atto creativo in sé per sé. Riteneva infatti che creare un prodotto artistico implica incanalare, ridurre e trasformare le esperienze interiori e può essere un atto di sublimazione, interezza e sintesi. Benché non possa risolvere direttamente il conflitto, 36 Naumburg M. (1973), An introduction to Art Therapy, Teachers College Press, New York. 37 Kramer E. (1977), Arte come terapia nell'infanzia, tr. it., La Nuova Italia, Firenze. ___________________________________________________________________ 20 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 l'espressione artistica può mettere a disposizione uno spazio in cui manifestare e sperimentare atteggiamenti e sentimenti nuovi. La visione dell'arte-terapia di Edith Kramer è più profondamente radicata nel processo artistico, rispetto all'approccio di Margaret Naumburg, centrato sul prodotto. Altre figure hanno esercitato un'influenza importante negli sviluppi iniziali dell'arteterapia. Hanna Yaxa Kwiatkowska, che negli anni'50 e '60 lavorò al National Institute of Mental Health, introdusse l'arteterapia nelle sedute di terapia familiare. Più tardi, negli anni '60 e '70, Janie Rhyne ha usato l'espressione artistica per aiutare i clienti a raggiungere l'autoconsapevolezza e la realizzazione di sé trovando soddisfazione nella vita38. Grazie alle loro iniziative, negli anni '60 l'arte-terapia era ormai una pratica pienamente riconosciuta. Contemporaneamente agli Stati Uniti, l'arte-terapia era stata scoperta e studiata anche in Europa. Negli anni '40, l'inglese Adrian Hill aveva sperimentato il potere curativo dell'arte durante un ricovero in sanatorio. Hill introdusse per primo il termine di “arteterapia” al trattamento delle malattie fisiche ed emotive basato sull'utilizzo dell'arte. Riteneva che l'arte alleviasse la monotonia della vita ospedaliera e offrisse un senso di speranza a chi era colpito da una malattia39. Edward Adamson era un artista inglese che lavorava con i pazienti in un ospedale psichiatrico. Nel 1946 aveva messo a disposizione dei ricoverati un ambiente in cui dipingere e “curarsi da soli”, convinto che l'attività artistica fosse un modo unico di contribuire al proprio trattamento. Adamson pensava che le opere prodotte non dovessero essere analizzate perché era convinto che parlassero da sole e testimoniassero le qualità curative del processo creativo. Raccolse 60.000 fra dipinti e altri oggetti prodotti da pazienti psichiatrici, che ora costituiscono la collezione Adamson40. Un ospedale che ha contribuito in modo particolare all'affermazione dell'arte-terapia è la Menninger Clinic di Topeka (Kansas), fondata nel 1925 dallo psichiatra Charles Menninger con i due figli Karl e William. I Menninger erano convinti che l'arte contribuisse alla guarigione delle malattie mentali e incoraggiarono nella loro clinica numerose attività. Negli anni '30 introdussero l'arte-terapia, invitando l'artista Mary Huntoon a tenere corsi, nei quali aiutava i pazienti a servirsi dell'arte per elaborare e 38 Rhyne J. (1995), The gestalt art experience, Magnolia, Chicago. 39 Hill A. (1945), Art versus Illness, Allen &Unwin, London. 40 Adamson E. (1990), Art as healing, Conventure, London. ___________________________________________________________________ 21 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 sfogare traumi e problemi psicologici. Artista e non psicologa, la Huntoon coniò il termine di “arte-sintesi” per descrivere il processo di auto-scoperta vissuto da molti pazienti nei suoi laboratori. Il valore terapeutico dell'arte risiedeva nel produrla, e non nell'analisi dei significati simbolici o diagniostici41. La Menninger Clinic ha continuato nei decenni seguenti a contribuire allo sviluppo dell'arte-terapia. Diversi artisti hanno lavorato presso la clinica, tra cui Don Jones e Robert Ault, che furono decisivi per la fondazione dell'American Art Therapy Association nel 1969, organizzazione nazionale dei professionisti del settore, oggi ufficialmente riconosciuti42. 41 Salina Art Center (1994), Beyond the Drawing Room. Tha art of Mary Huntoon, Salina Art Center, Salina (Ks). 42 Cathy A. Malchiodi, Op. Cit., pp. 42-45. ___________________________________________________________________ 22 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 3. L'atelier Ci sono atelier strutturati in modo ideale all'interno dei quali i percorsi di arteterapia hanno luogo nelle condizioni migliori; in questi casi il clima che gli utenti respirano è particolare e si differenzia dagli ambienti circostanti: anche chi entra per la prima volta se ne accorge. L'ideale è un atelier fisso, dove tutto rimane uguale e ogni volta non bisogna montare e smontare o aprire armadietti chiusi a chiave. Ogni arteterapeuta deve fare il possibile per conquistarsi uno spazio che gli altri colleghi non usano e installare lì l'atelier. Con questa possibilità esso diventa un luogo familiare che si arricchisce giorno per giorno di cose belle riguardanti l'arte o la natura, come articoli, foto, ritagli, disegni, carte che vengono appesi alle pareti o riposti sulle mensole a vista. Altrimenti risulterebbe tutto un po' complicato perché ogni volta si dovrebbe ricreare lo spazio protetto che predispone alla terapia. Tuttavia anche in quel caso non è impossibile lavorare bene, ci vogliono solo un po' di pazienza e di tempo in più. Per fare arteterapia non serve uno spazio troppo grande, basta un locale in cui possano stare uno o due tavoli, dipende dal numero di partecipanti. I tavoli possono essere fissi oppure variabili ed essere uno grande e uno piccolo per permettere un lavoro di gruppo, ma offrire anche la possibilità di uno spazio riservato. La tovaglia disturba, è preferibile un tavolo senza nulla che lo protegga o semplicemente una carta leggera. Se c'è una buona fonte di luce solare è meglio, finestre che danno su un giardino per esempio sono l'ideale, così si può anche uscire e sfruttare la natura come elemento evocativo per certi lavori. L'arredo deve essere semplice ma sufficiente a garantire ordine. Servono spazi per riporre gli elaborati degli utenti, essi infatti rimangono lì e nessuno li porta via se non in casi eccezionali. Occorrono delle mensole su cui disporre i materiali secondo un certo criterio: tutti quelli secchi, tutti quelli ad acqua, tutto il materiale riciclato e quello naturale; i giornali e le riviste per i collage si tengono in un cesto a parte, invece bicchieri di carta, piattini, barattoli di vetro, scotch, puntine, forbici, colla sono a disposizione e a portata di mano in una grande scatola. I fogli si possono preparare già tagliati in diverse misure e di diverso colore. Anche con i cartoni si può fare lo stesso così da permettere eventualmente una scelta di supporti. Il materiale è tutto libero, in modo che ogni persona possa sceglie cosa usare, anche se i fogli o altri supporti li ___________________________________________________________________ 23 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 consegna l'arteterapeuta così crea il primo contatto diretto con l'utente. Si può mettere musica rilassante, popolare, portoghese o irlandese: questi generi sono ideali per contribuire a creare un clima di concentrazione, anche se non è solo la musica a favorire ciò. L'unione del gruppo può formarsi anche nel silenzio o semplicemente nelle parole condivise. Prima che le persone arrivano, si preparano i tavoli, si dispongono i materiali per essere a portata di mano, si riempiono i bicchieri di acqua per lavorare con tempere e acquerelli, si ordinano la gamma dei colori nelle scatole di pastelli e pennarelli, si temperano le punte e si ripone sul tavolo tutto ciò che potrebbe servire con molta cura. In uno spazio curato è bello lavorare, l'ordine (non rigido) che si respira aiuta a ricrearne uno interiore. La cura del materiale fa parte della terapia. Alla fine si chiede di riordinare i materiali utilizzati per responsabilizzare e condividere il senso di cura dello spazio. Se qualcuno non accoglie la richiesta non viene obbligato, dipende dalla sua sensibilità e disponibilità del momento che sta vivendo43. 3.1. Cos'è il setting Il setting è tutto ciò che in un atelier si sente, ma non si vede. E' l'ambiente che si crea, lo spazio energetico in cui è possibile disegnare in una certa maniera perché ci sono le condizioni ideali per farlo. Il gruppo ne fa parte come anche l'arteterapeuta. Il setting è qualcosa di molto particolare che permette lo svolgimento della terapia. In un atelier è importante creare questo stato nel quale le persone entrano e si sentono bene. Può forse assomigliare all'atmosfera che si respira in certe situazioni, in certi periodi dell'anno, in certi giorni particolari in cui la preparazione speciale dell'ambientazione circostante crea le condizioni per le quali si riesce ad entrare nel vivo della festa. Il setting è ciò che protegge il gruppo e nello stesso tempo permette un'esperienza; l'arteterapeuta determina la creazione di questa atmosfera con i suoi metodi, il suo talento nell'abbellire anche esteriormente lo spazio destinato allo svolgimento dell'arte-terapia e con la buona energia nell'impostare la seduta. Il setting non è solo una questione estetica, contiene molti elementi che si possono sentire e 43 Raffaella Molteni, Op. Cit., pp. 30-31. ___________________________________________________________________ 24 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 riconoscere anche a livello relazionale e affettivo44. 3.2. L'arteterapeuta L'arteterapeuta si muove come una “maschera” nell'atelier. Organizza lo spazio preparando il locale preoccupandosi di controllare che ci sia tutto il materiale necessario prima che arrivino gli ospiti e mantenendo un buon ordine. Dà un'impostazione personalizzata seguendo il metodo che ritiene migliore tenendo conto delle persone con cui deve avere a che fare. Quando arriva il gruppo è capace di accogliere in modo aperto le persone che in un certo senso si affidano a lui e sempre a lui fanno riferimento. La sua disponibilità verso chi sta disegnando mantiene un'atmosfera ideale, calma e pacifica, in più la sua presenza deve essere discreta, perché un'arteterapeuta competente non si pone come figura protagonista. Egli induce l'espressione di sé negli altri: la verbalizzazione opportuna, gli stimoli visivi che dà mostrando ritagli di giornale, immagini, foto, insomma il suo intervento indiretto e ben calibrato lo pone in una condizione distaccata dagli utenti. La relazione che si crea deve mantenersi il più possibile una relazione terapeutica. Il mezzo che unisce le due parti (terapeuta-paziente) rimane sempre il prodotto grafico, il linguaggio usato è quasi esclusivamente quello delle immagini e, in questo contesto e con queste regole, si creano legami. Essi rinforzano entrambe le parti e danno risultati benefici sia al paziente che al terapeuta. Questi impara a riconoscere le persone dai loro manufatti perché ogni persona ha uno stile che lo caratterizza, ognuno ha il suo stile personale e unico. Importante è soprattutto il lavoro dietro le quinte. Nel silenzio dell'atelier, quando il gruppo è andato via, l'arteterapeuta in solitudine con le cartelle degli utenti cerca di decodificare dei percorsi e, prendendo una cartella per volta, dispone a terra tutti i disegni che essa contiene e li osserva attentamente. Li raggruppa per temi, per tecniche, per contenuti e in essi vi legge la storia stando però molto attento a non darne una sua interpretazione. Trova un ingresso, si pone domande e attende che le risposte emergano dal contenuto stesso delle opere. Cerca di individuare la via migliore da indicare all'utente, affinché il suo percorso grafico possa continuare sempre di più in una 44 Ivi, pp. 31-32. ___________________________________________________________________ 25 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 direzione introspettiva che riconduca la persona a se stessa, alla sua anima, al suo corpo, al suo vissuto con un senso rinnovato45. 3.2.1. La «concessione del permesso» Frasi che si sentono molto spesso da persone alle quali viene proposta l'idea di fare un lavoro artistico possono essere: «Non sono mai stato portato per le materie artistiche» oppure «Sono assolutamente negato per il disegno». Con queste affermazioni si comunica il fatto che, per molti, l'unica esperienza personale di creazione artistica risale ai tempi della scuola e che quell'esperienza è stata, nella maggioranza dei casi, umiliante, imbarazzante, vincolante o semplicemente noiosa. Questo esclude coloro che sono naturalmente portati per le materie artistiche, per le quali generalmente l'arte è stata fin dall'infanzia fonte di piacere. E' quindi necessario che l'operatore di un gruppo comprenda la paura degli utenti di sentirsi imbarazzati di fronte agli altri e cerchi di mettere le persone a proprio agio incoraggiandole ad esprimere le proprie abilità creative naturali. Questo processo può essere visto come la concessione del permesso. La concessione del permesso può avvenire quando qualcuno lo concede a sé stesso oppure è l'operatore che concede il permesso al gruppo: Creando uno spazio in cui i partecipanti possono esprimere le proprie paure; Spiegando chiaramente che l'approccio alla creazione artistica che si vuole proporre è molto diverso dal modo convenzionale sperimentato ai tempi della scuola. E' necessario sottolineare che: il gruppo deve focalizzarsi sull'uso dell'arte come mezzo di espressione del sé; non viene espresso nessun giudizio sul lavoro; ciascuno attribuisce un significato al proprio lavoro; ci sono molti modo di fare arte (astratta-figurata) e nessuno può imporre come dovrebbe avvenire la creazione. Ricordando ai partecipanti che i colori, le forme, ecc. possono essere usati per esprimere sentimenti e stati d'animo. Discutendo brevemente le associazioni con i colori, secondo i gusti personali e collettivi. 45 Raffaella Molteni, Op. Cit., pp. 32-33. ___________________________________________________________________ 26 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 L'attività artistica è prevista all'interno di un tempo e di uno spazio creati apposta per dare dei confini. Il conduttore deve impartire chiare istruzioni sui temi e sul tempo destinato al lavoro e assicurarsi che siano disponibili materiali protettivi adeguati in modo che i partecipanti non si debbano neanche preoccupare di sporcarsi i vestiti. Il rispetto per la propria produzione creativa ha origine principalmente nel modo in cui il lavoro viene recepito. Il tempo dedicato a riflettere e magari discutere sull'attività svolta aiuta anche ad incoraggiare i partecipanti a impegnarsi di più. Quando le persone hanno la sensazione che le loro preoccupazioni riguardo all'attività artistica siano state ascoltate e che il lavoro proposto sia accessibile, generalmente scelgono di rischiare di provare a vedere che cosa può succedere46. 3.3. L'arte nel lavoro di gruppo Esiste una letteratura molto ricca sia sulla natura dei gruppi, sul modo in cui le persona si comportano al loro interno e sui motivi alla base di tali comportamenti, sia sugli approcci all'attività terapeutica, di riabilitazione ed educativa di gruppo. E' importante rilevare le caratteristiche generali della vita di gruppo in modo che risulti evidente come l'attività artistica possa influire sulla vita di gruppo e viceversa. La comunicazione e le relazioni possono essere verbali o non verbali e possono includere il linguaggio del corpo. L'importanza dell'attività artistica in gruppo sta nel fatto che un oggetto o più oggetti vengono creati all'interno della vita del gruppo stesso. Il modo in cui il lavoro viene svolto, il suo contenuto (riconosciuto o ignoto), il modo in cui esso viene recepito e usato influiscono su tutti i livelli di interazione, di relazione e di comunicazione. L'opera concreta e visibile che viene prodotta è vista dai membri: l'attenzione del gruppo direttamente stimolata dalle immagini prende visione e si concentra su argomenti e questioni specifici. L'attribuzione ad una forma di aspetti della nostra vita psicologica e ai modi in cui interpretiamo il mondo consente una più rapida apertura ed esplorazione di essi. Inoltre, capita spesso che in un breve intervallo di tempo si venga a creare un forte senso di 46 Jean Campbell (1996), Attività artistiche in gruppo. Disegno, pittura, collage, scultura. Edizioni Erickson, Trento. ___________________________________________________________________ 27 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 identità del gruppo47. Principali funzioni dei gruppi A prescindere dall’orientamento di base del gruppo terapeutico, alcune funzioni sono presenti in ciascuna terapia di gruppo. Secondo Yalom48, i fattori terapeutici generali validi per tutti gli approcci di gruppo sono: - universalità: il paziente trae beneficio dal rendersi conto che tutti i suoi sintomi possano essere condivisi; - acquisizione di nuove informazioni: la pluralità che caratterizza il gruppo è fonte inevitabile di notizie e chiarimenti sui problemi condivisi; - instillazione di speranza: il farsi coraggio vicendevole mobilita l’ottimismo tra i partecipanti e la sensazione di potercela fare; - cambiamento del copione familiare: il gruppo consente la messa in scena, attraverso un delicato gioco di transfert e contro-transfert, di vecchi drammi familiari, che con la presenza esperta del terapeuta possono essere rivisitati e cambiati al fine di raggiungere migliori livelli di benessere; - altruismo: i partecipanti al gruppo sperimentano l’importante vissuto di essere non solo bisognosi ma anche competenti e in grado di soddisfare richieste altrui, attraverso le loro indicazioni o suggerimenti; - sviluppo di tecniche di socializzazione: il gruppo svolge una fondamentale funzione di specchio. I partecipanti attraverso feedback e risposte aiutano e sono aiutati nell’acquisizione di una più accurata auto-percezione. La nuova consapevolezza è alla base per un successivo cambiamento di interazione sociale; - comportamento imitativo: ogni paziente ha la possibilità di osservare e prendere a modello gli aspetti positivi del comportamento degli altri partecipanti e del terapeuta; - apprendimento interpersonale: ogni partecipante deve attraversare diversi stadi. In primo luogo è indispensabile rendersi conto delle proprie modalità di interazione sociale e delle conseguenze che esse hanno sugli altri e su se stesso, quindi, deve modificare tali modalità, attraverso la sperimentazione, nel gruppo, di nuovi comportamenti e infine 47 Ivi, p 20. 48 Invrin D. Yalom, Leszcz Molyn (2009), Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo, Boringhieri. ___________________________________________________________________ 28 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 deve verificare se essi risultano effettivamente più adeguati e rispettosi per tutti; - coesione di gruppo: i partecipanti sperimentano la sensazione che qualcosa di importante sta per avvenire all’interno di un contesto protetto e accogliente. La coesione di gruppo altro non è che la percezione dell’esistenza di un setting o un contenitore le cui “pareti” sono formate dai vari membri e dalla loro voglia di far parte del gruppo; - catarsi: il contesto di gruppo sviluppa la potenzialità liberatoria attraverso l’immedesimazione nell’altro e nelle sue problematiche; - fattori esistenziali: non costituiscono di per se un fattore di cambiamento ma una consapevolezza necessaria affinché gli eventi avversi della vita possano essere vissuti con meno drammaticità. Essi comprendono la responsabilità, la solitudine, il senso dell’esistenza, la morte49. Il lavoro in gruppo presuppone il concetto di cambiamento e quindi porta verso il futuro. Insieme agli altri, la persona rivive momenti dolorosi e pesanti, ma il fatto di non essere sola crea un contesto che gli permette di superare queste difficoltà. All'interno del gruppo le aspettative e i legami che si creano conducono a buoni risultati50. 3.3.1. Gli obiettivi del percorso Questo percorso grafico va al di là della terapia occupazionale. Si lavora sulle strutture della persona, sulla sua capacità creativa attraverso il lavoro parallelo della riorganizzazione estetica. Ogni essere umano ha uno sviluppo grafico più o meno traumatizzato. Quando la persona riesce a compiere il cammino dell'arte interrotto a un certo punto della sua vita, ma ripreso dove c'è stata l'interruzione o il blocco, scopre il proprio stile personale. In un primo tempo si verifica la liberazione regressiva: non si creano figure simboliche, ma scarabocchi e macchie rappresentano l'esplorazione dei materiali vissuta come esperienza positiva ed empatica. In un secondo tempo si sperimenta il caos attraverso il 49 Katia Carlini, La terapia di gruppo, http://www.benessere.com/psicologia/arg00/terapia_gruppo.htm, Aprile 2014. 50 Jean Campbell, Op. Cit., p. 43. ___________________________________________________________________ 29 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 rovesciare i colori, il pestare, gli spruzzi. Sono comportamenti distruttivi da parte della persona che favoriscono o esprimono la perdita di controllo, le manovre difensive, la scarica dell'aggressività e che poi vengono superate. Successivamente, ci si può nascondere dietro la ripetizione stereotipata di soggetti: temi, colori, stili e produzioni banali o convenzionali sono tutte difese in atto. Seguono le pittografie, cioè quei disegni che servono a creare un'intesa fra il paziente e l'arteterapeuta. Si tratta di una comunicazione figurativa che sostituisce o integra la parola, un codice che difficilmente è comprensibile a estranei. E' una comunicazione frequente nella psicoterapia e nei rapporti molto stretti. Finalmente si giunge all'espressione personale che ha lo scopo di comunicare. L'impressionismo, il cubismo, il surrealismo sono stili usati dai pittori durante il corso della storia dell'arte. Anche in arteterapia si parla di stili particolari adottati dagli utenti che descrivono il mondo interno o la propria visione di quello esterno. L'utilizzo di certi stili per l'esecuzione delle opere costituisce il processo terapeutico. Il codice dell'arte-terapia considera anche come linguaggio per la decodifica lo spazio, le forme, cosa c'è lontano, cosa c'è vicino, la spigolosità, la rotondità, la distanza tra artista e soggetto, il campo visivo, cioè il supporto cartaceo. Il foglio, infatti, è uno spazio importante da saper riconoscere: rappresenta il campo visivo per eccellenza, la scelta di questo campo visibile è la prima variante ed è variabile. Il supporto cartaceo è un campo di forze, esso infatti si può interpretare a seconda di come viene riempito; se è vuoto può significare solitudine, se è pieno può indicare dinamicità, la dimensione scelta invece può rispettare semplicemente la dimensione personale e il bisogno di aprirsi o la necessità di chiudersi. Per un'arteterapeuta parlare di mondo interno ed esterno è quasi la normalità. Il mondo interno sono le emozioni che stanno dentro il soggetto, sono i lavori di sublimazione e catarsi, raccontano episodi della memoria, la riparazione di qualcosa del passato, parlano di nostalgia, di qualcosa che è scomparso e che viene riportato alla luce. C'è qualcosa di magico nel disegno oppure un paradiso artificiale che crea e porta in un mondo di illusioni. Attraverso la rappresentazione del mondo esterno si cerca di stabilire una relazione e lo si riconosce dai disegni; il prodotto eseguito dà autostima e gratificazione, chi lo fa cerca di ricostruire la propria identità nel presente o di riscoprire ___________________________________________________________________ 30 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 la realtà mediante l'ambiente o la figura umana per stabilire con essi dei contatti51. 3.4. La strutturazione dell'incontro 3.4.1. L'avvio e il riscaldamento I nuovi gruppi possono iniziare l'attività con il benvenuto e l'autopresentazione dei partecipanti. Il conduttore è il primo che si presenta al gruppo dando soprattutto informazioni sulla sua formazione professionale. Successivamente si condividono la descrizione del percorso e le aspettative che ognuno ha in modo da iniziare a lavorare per creare il gruppo. Se invece il gruppo non è al primo incontro, si può dedicare del tempo ad ascoltare i commenti di ciascuno sulle sedute precedenti e cos'è successo nell'intervallo tra di esse. Gli esercizi di riscaldamento possono servire a preparare il gruppo all'esercizio principale, a ridurre la tensione e a focalizzare meglio la loro attenzione. Questi esercizi possono prevedere uno stretching dolce degli arti e del collo, un po' di Yoga e del training autogeno. Qualunque sia la tipologia del gruppo è sempre consigliabile il riscaldamento iniziale per aiutare a raggiungere il livello di tranquillità e relax necessari per una buona esecuzione del lavoro. 3.4.2. L'esercizio principale A questa fase deve essere dedicato il tempo sufficiente dal momento in cui è la parte più importante dell'incontro. E' utile avere ideato un programma da seguire ma, se dovesse essere necessario, in base alle esigenze del gruppo, bisogna essere pronti anche a modificare il programma o perfino abbandonarlo. I gruppi costituiti per attività di svago possono lavorare su temi specifici qualora non abbiano dei suggerimenti da proporre. Il conduttore, con poche parole ma chiare, deve spiegare al gruppo l'attività che gli propone. Bisogna ricordare che il modo di affrontare il tema proposto è sempre molto personale e soggettivo. 51 Raffaella Molteni, Op. Cit., pp. 54-56. ___________________________________________________________________ 31 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Quando il gruppo opera per l'esecuzione del mandato calandosi nella creazione artistica dell'opera, tende a lavorare in silenzio. Questo perché i partecipanti si ritagliano il loro spazio interno ed esterno venendo assorbiti dalla loro stessa opera. Il silenzio deve essere assolutamente rispettato. Se il conduttore nota che qualcuno, per qualsiasi ragione, si è “bloccato” durante l'esecuzione del lavoro deve aiutarlo a dire cosa non va e rassicurarlo. Può proporgli dei materiali nuovi o addirittura fare una piccola pausa. Più i membri del gruppo lavorano spontaneamente, più bisogna essere preparati all'imprevisto: Come nei sogni, infatti, l'artista può manifestare aspetti del proprio inconscio. Questo avviene quando si lavora soprattutto su esperienze di vita o quando emergono particolari immagini, forme e colori. Se si tratta di un gruppo con delle problematiche particolari, l'operatore deve sempre aver chiaro cosa sta succedendo alle persone singole e al gruppo nel complesso per poi intervenire in modo adeguato. Affinché tutti possano misurare il proprio ritmo di lavoro, è utile ricordare a intervalli regolari quanto tempo hanno ancora a disposizione. Dopo l'esercizio principale oppure anche a fine incontro, si chiede di riordinare i materiali utilizzati. Per i gruppi con esigenze particolari saranno necessari tempi di preparazione e riordino più lunghi. 3.4.3. Discussione e feedback La discussione e il feedback costituiscono una parte integrante nell'ambito di un gruppo focalizzato sulle attività artistiche. In generale, tuttavia, non si dovrebbe mai costringere nessuno a discutere del proprio lavoro davanti al gruppo sia per rispetto dei tempi e spazi della persona ma anche perché a volte è sufficiente la sola realizzazione del prodotto. In genere, è necessario riservare del tempo per la riflessione, la sintesi e il feedback del gruppo, che può commentare com'è stata l'esperienza dicendo, per esempio, se le sue aspettative sono state soddisfatte. Inoltre, mediante la riflessione e la discussione, si possono analizzare molti aspetti della pittura, dei disegni e del lavoro tridimensionale, come l'uso del colore, il ritmo, lo spazio, le forme e il contenuto simbolico dell'opera. Quando si lavora con un gruppo ___________________________________________________________________ 32 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 stabile a volte è possibile distinguere un linguaggio visuale personale che presenta motivi e immagini ripetute. L'uso dell'arte nel lavoro di gruppo, oltre a permettere l'esplorazione personale nel momento della discussione, consente l'identificazione del gruppo con l'opera intera o con parte di essa e la possibilità che la creazione di qualcuno esprima un particolare significato per un altro. Nella maggioranza dei casi, la cosa più importante è quella che l'artista ha da dire sul proprio lavoro, ma questo non diminuisce l'importanza del contributo dei partecipanti alla discussione. Spesso, infatti, quello che gli altri scelgono di osservare o dire sul lavoro del compagno, riflette i loro interessi o le loro preoccupazioni. Parlandone al gruppo, in ogni caso, i singoli aumentano la propria conoscenza del processo creativo e la fiducia i sé stessi. L'attività creativa non deve esaurirsi nella realizzazione di un'opera artistica; per esempio, con la libera associazione di immagini si possono aprire nuove vie di esplorazione di sé stessi oppure giocando con le immagini, si può scatenare la fantasia del gruppo. 3.4.4. Conclusione dell'attività e scioglimento del gruppo Il modo in cui gli incontri terminano è importante tanto quanto il modo in cui vengono avviate. Sia che il gruppo sia continuo, specifico o intensivo, finalizzato all'arteterapia, alla formazione personale o allo svago, lavorare con la creazione spontanea di immagini crea un momento speciale in cui le persone condividono aspetti intimi di sé stesse e, per questo, possono diventare molto affiatate. Può essere opportuno far riassumere ai partecipanti quello che hanno fatto durante l'incontro, trarre le conclusioni e magari creare un rituale di congedo del gruppo52. Nella maggioranza dei gruppi di terapia sarà l'operatore a conservare le opere prodotte per poterle esaminare e valutare anche a gruppo terminato. Nei gruppi ludici, invece, 52 Ivi., pp. 35-38. ___________________________________________________________________ 33 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 sono i partecipanti stessi ad occuparsi del proprio lavoro. Da ricordare di scrivere sempre la data e il nome dell'artista sul lavoro corrispondente alla fine di ogni seduta. ___________________________________________________________________ 34 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 4. L'autoritratto 4.1. Non solo psicologia ... Partiamo da una premessa ovvia ma essenziale. Occuparsi dell'autoritratto da un punto di vista psicologico è diverso che occuparsene da un punto di vista storico-artistico o estetico, nel senso che l'oggetto stesso della ricerca è diverso, in quanto molti elementi che sono importanti nella prospettiva storico-artistica non lo sono altrettanto in quella psicologica, e viceversa. Ciò non ci deve far dimenticare che, come ogni prodotto artistico, anche l'autoritratto può e deve venir letto all'interno del suo specifico orizzonte di riferimento, quello della storia dell'arte e quello delle sue tradizioni. La dimensione psicologica è un elemento accessorio che però, nel caso dell'autoritratto e delle sue dinamiche, assume un ruolo oggettivamente importante. Tuttavia si ha a volte la tentazione di proiettare sul passato interpretazioni e pensieri che appartengono al momento contemporaneo, caricando ogni autoritratto di valenze retrospettive che molto probabilmente non gli appartengono. Si pensa che una data rappresentazione induce immediatamente interessi e aspettative che sono appunto della psicologia più del fruitore che dell'artista stesso. Nel passato, molti autoritratti hanno avuto origine sia da ragioni contingenti (per esempio, la mancanza di modelli) sia da intenzioni prevalentemente interne al mondo dell'arte: esigenze estetiche, poetiche o tentazioni di adeguarsi ai modelli precedenti. Fanno parte di questa tipologia, autoritratti d'autore in cui il pittore si autoraffigurava proprio in veste di pittore. Queste opere rispondono all'esigenza di testimoniare le varie tappe della carriera del pittore, dove la serie degli autoritratti seguono l'evoluzione del modo in cui egli cerca di affermarsi come artista, di essere accettato o ammirato dagli altri artisti, dalla critica o dal pubblico. L'opera diventa allora la proiezione all'esterno del modo in cui l'artista ritiene di essere visto o di dover essere visto. In questo caso l'autoritratto riguarda gli altri, o per meglio dire, riguarda la relazione che ha l'autore con gli altri. Si pensi a certi autoritratti di Holbien, Durër, Velàzquez, per non parlare di quello famosissimo di Poussin del 1650 (museo Louvre, Parigi), che è una specie di teoria della rappresentazione stessa. ___________________________________________________________________ 35 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 In questi casi sarebbe fuorviante far prevalere l'analisi psicologica, anche se certamente non si possono escludere implicazioni profonde, di cui non sempre l'autore era consapevole. Il fatto è che l'autoritratto in sé, soprattutto per la durata della sua creazione, per il tempo che obbliga l'autore a stare con sé stesso, a contemplarsi, a confrontarsi con la propria immagine allo specchio e a riflettere, non può non avere una ricaduta psicologica sull'Io e sul senso di identità. Ciò vale, seppur con gradi di consapevolezza diversa, in ogni epoca e in ogni contesto, anche se è vero che l'età moderna e contemporanea hanno fornito agli artisti schemi concettuali e modelli espressivi più consoni a questo tipo di valutazione53. 4.2. Non solo autoritratti di artisti ... Un problema essenziale della psicologia dell'autoritratto che inevitabilmente lo storico dell'arte o l'estetologo trascurano è quello del rapporto di ogni uomo con la propria immagine, al di là che egli si faccia o meno l'autoritratto. In fondo, coloro che sanno effettivamente autoritrarsi sono solo un'esigua minoranza quindi non ci si può occupare solo di autoritratti di artisti. Se l'autoritratto corrisponde a un bisogno profondo, questo bisogno sarà comune a tutti gli uomini e non solo agli artisti. Resta poi il problema, se e fino a che punto, questo bisogno profondo sia da considerarsi originario e si possa parlare dunque di una vera e propria pulsione dell'autorappresentazione. Occorre tener conto che si tratta di qualcosa che riguarda l'uomo 'adulto' e 'normodotato', in quanto, sia nel bambino che in molte persone con difficoltà fisico e mentale l'esigenza di autorappresentarsi non si traduce nell'immediata e diretta riproduzione della propria figura, ma è preceduta da rappresentazioni spostate su altri oggetti o situazioni. Gli artisti comunque sono senz'altro testimoni privilegiati di questa pulsione dell'uomo all'autorappresentazione e, come si raccomandava Freud, la loro testimonianza va sempre tenuta in attenta considerazione. Ma si tratta di testimonianze a volte un po' interessate, infatti, occuparsi dell'autoritratto da un punto di vista psicologico significa, 53 Stefano Ferrari (2002), Lo specchio dell'Io, autoritratto e psicologia, Laterza, Roma-Bari. ___________________________________________________________________ 36 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 innanzitutto, cercare di cogliere l'essenzialità, l'elementarità del gesto che compone la sua formazione: rintracciare un livello più generale. Naturalmente l'artista è un uomo come tutti gli altri, anzi è l'uomo che meglio interpreta bisogni che sono di tutti e che meglio interpreta anche questo bisogno di autorappresentazione. Per cercare il livello generale bisognerebbe eliminare tutte le sovrastrutture che l'essere artista comporta. Ma che senso ha liberare l'artista dalla sua arte? E l'arte non è poi essa stessa una delle più dirette manifestazioni dell'essere uomo? In realtà, essa induce a riformulare più appropriatamente quelle domande che l'uomo si pone magari in modo confuso e approssimativo. Quindi non si può prescindere dall'arte, perché anzi, proprio attraverso l'arte, la dinamica dell'autoritratto diviene più chiara e completa. Un'utile prospettiva potrebbe essere quella di privilegiare modelli di espressione artistica, per così dire, ingenui, ascrivibili in senso lato all'Art Brut. Sul piano metodologico, questi modelli sarebbero omologhi alla «scrittura privata dell'Io»54 che Ferrari si occupa nel suo studio sulla riparazione. L'autore partiva dal presupposto che certi meccanismi psichici, in questo tipo di scrittura, si rivelano in modo più esplicito, consentendone dunque un'analisi più dettagliata. Christian Delacampagne ha notato che in molte delle opere figurative cosiddette Brut vi è una forte tendenza all'autorappresentazione che fa pensare ad un problema relativo all'identità. "Gli artisti brut sarebbero più degli altri angosciati riguardo alle loro origini? Una tale idea è stata giustamente contestata: l'autoritratto non è soltanto l'espressione di pulsioni marginali, è anche uno dei più grandi generi dell'arte accademica. Infatti, non vi è praticamente pittore che appartenga 'all'arte acculturata' che non vi si sia cimentato. Una visione più interessante della questione starebbe dunque nel dire che gli artisti ufficiali sono, per quanto concerne la loro identità, altrettanto angosciati degli artisti cosiddetti brut e che l'autoritratto risponde, presso gli uni come presso gli altri, a questa stessa angoscia: la sola differenza sarebbe allora che, in un caso, l'affetto è relativamente ben canalizzato secondo le norme ufficiali, mentre nell'altro esplode più o meno liberamente. Naturalmente si possono ritrovare tutti i gradi intermedi fra questi due poli55. Resta il fatto che l'artista, soprattutto se ha un alto grado di consapevolezza critica, 54 Stefano Ferrari (1994), Scrittura come riparazione. Saggio su letteratura e psicoanalisi. Laterza, Roma-Bari. 55 Christian Delacampagne (1983), Regards, miroirs, rêverie, in L'Autoportrait, in «Corps écrit», p. 148. ___________________________________________________________________ 37 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 dovendo tener conto di norme, canoni e tradizioni, non è completamente libero per quanto riguarda i contenuti e i modi della sua arte. Ma anche questo può avere a sua volta una ricaduta psicologica. Per esempio, nel caso di molti autoritratti è predominante il confronto con modelli del passato, con i quali l'autore instaura un rapporto di problematica identificazione. Non possono sfuggire le oggettive valenze psichiche di questa dialettica tra conflittualità e imitazione che caratterizza questo genere particolare di relazione con il 'padre', a proposito del quale H. Bloom ha esplicitamente parlato di «angoscia dell'influenza56»57. 4.2.1. Autoritratto come autoproiezione Non tutti gli artisti amano autoritrarsi, e per ciascuno di loro questo tipo di rappresentazione ha poi un significato particolare. Senza contare che ci sono 'l'autoritratto esplicito', che l'autore stesso definisce tale, e la semplice 'autoproiezione', che comprende anche l'autoritratto nascosto tra altre figure. Quest'ultimo sta storicamente all'origine dell'autoritratto vero e proprio, quando ancora non c'erano le condizioni storiche, sociali e culturali perché l'artista potesse autorappresentarsi in modo diretto, facendo liberamente della propria immagine l'oggetto esclusivo della sua opera. Secondo Cicerone, il primo esempio è stato quello di Fidia, che si sarebbe autoritratto nella figura di Dedalo sullo scudo di Minerva. Viene citato anche il caso di Fratello Rufilus, minatore, che si è autorappresentato all'interno dell'iniziale R in una miniatura del XII secolo58. Abbastanza frequente è l'autoritratto celato nell'opera, dove l'artista si raffigura tra i santi, oppure tra i volti anonimi degli astanti, in un angolo della composizione: è il caso di Giotto nell'affresco del Giudizio Universale nella controfaccia della Cappella degli Scrovegni a Padova (1305-1310 ca.), di Filippo Lippi nella pala dell'Incoronazione della Vergine agli Uffizi (1441- 1447 ca.), di Signorelli negli affreschi della Cappella Nova nella Cattedrale di Orvieto (1499- 1502). Altre volte invece l'artista si nasconde tra i personaggi più eminenti, come fa Masaccio negli 56 Harold Bloom (1983), L'angoscia dell'influenza. Una teoria della poesia. tr. it. Feltrinelli, Milano. 57 Stefano Ferrari (1994), Op.cit., pp.4-7. 58 V. I. Stoichita (1998), L'invenzione del quadro, tr. it. Il Saggiatore, Milano, p.203. ___________________________________________________________________ 38 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 affreschi della Cappella Brancacci di S. Maria del Carmine: secondo la tradizione egli si sarebbe raffigurato nell'apostolo Tommaso nel Tributo, del 1426; ma è più probabile che l'autoritratto vero sia quello della Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra, del 1427, sempre nella Cappella Brancacci. 'L'autore mascherato' è la modalità di autotemetizzazione più diffusa nell'arte del basso Medio Evo e del Rinascimento. Il pittore recita la parte di un personaggio presente in una historia […]. Nella maggior parte dei casi l'autoritratto è identificabile, in quanto tale, per via di indizi pertinenti alla retorica stessa dell'immagine: guarda in direzione dello spettatore, occupa talvolta un posto privilegiato e/o isolato, presenta una fisionomia ben caratterizzata e così via 59. Una compiaciuta e matura consapevolezza di sé dimostra a sua volta Lorenzo Ghiberti, che nel 1452 firma il suo capolavoro autoraffigurandosi nella Porta del Paradiso del Battistero di Firenze. Celebre poi il caso di Raffaello, che si autoritrae nella Scuola di Atene (1508- 1511, Vaticano, Stanza della Segnatura) fra il gruppo dei filosofi e dei pensatori: in questo egli celebra sé stesso come pittore; è un modo per ribadire che la pittura ha raggiunto uno stato che la pone alla pari delle altre arti liberali. Stoichita parla poi dell'autoritratto 'da visitatore' che, rispetto all'autoritratto mascherato, segna un passo avanti sulla via della coscienza di sé nell'inserimento autoriale. L'artista non prende a prestito né i vestiti né la maschera di uno dei personaggi; si presenta come un corpo estraneo alla storia al cui interno penetra, per così dire, per effrazione. […] Nel 'Martirio di diecimila cristiani' (1508, Vienna, Kunsthistorisches Museum) nel mezzo del massacro, al centro del quadro, nel cuore stesso della scena, ma in uno spazio lasciato libero, si possono riconoscere due figure in abiti borghesi cinquecenteschi. Sono il pittore in persona e un suo amico60. Non va dimenticato infine l'inserimento contestuale dell'autore, in cui l'artista figura all'interno della propria opera non in veste di 'personaggio' o di 'visitatore', bensì come 'ritratto'. L'esempio più eloquente a questo proposito ci viene dall'autoritratto di Perugino al Cambio di Perugia (1496). In un angolo di questo grande ciclo di affreschi l'artista colloca la propria effigie in un 'quadro'. Trattasi dunque di un 'trompe-l'oeil'61. 59 Ivi, p. 204. 60 Ivi, p. 205. 61 Ivi, p. 207. ___________________________________________________________________ 39 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Queste forme di autoproiezione sono allora un modo che consente all'artista di essere presente dentro la sua opera, al di là delle convenienze e delle convezioni; un modo per firmare il proprio lavoro, imprimendovi un segno di appartenenza inoppugnabile, e un modo per testimoniare la propria presenza all'interno degli avvenimenti descritti62. 4.2.2. Autoritratto come travestimento C'è in generale negli artisti una quasi innata tendenza al travestimento che si riallaccia ad un profondo bisogno dell'uomo di essere e sperimentare tutto, come ne parla Freud in alcuni suoi saggi. Un esempio travolgente di questa concezione titanica dell'arte è quella di Pablo Picasso, che ha rappresentato un'autentica forza della natura e l'incarnazione della più solare e positiva creatività. Nel suo caso, l'autoritratto non rientra nell'orizzonte dell'analisi introspettiva, dello scavo interiore, del bisogno ossessivo di studiarsi o dell'angosciosa scoperta dell'altro in sé e quindi la perdita dell'identità. In Picasso c'è il bisogno opposto di inventarsi, di riconoscersi in personaggi sempre nuovi, insomma di diventare l'altro; questa dimensione non lo spaventa affatto, anzi, diviene una delle ragioni della sua arte. Picasso vuole riconoscersi ed essere riconosciuto in questa molteplicità che non è una frammentazione o lacerazione bensì moltiplicazione dell'Io: io sono questo, e questo, e quest'altro ancora. Il che presuppone che al centro di tale processo psichico si trovi un Io plastico e molto ben strutturato63. 4.2.3. Autoritratto mentale La maggior parte degli autoritratti veri e propri mirano ad una discreta somiglianza fisiognomica; ma ve ne sono altri che, senza venir meno al principio dell'autoraffigurazione fisica, vogliono essere soprattutto l'espressione di un'emozione, di un sentimento, di un affetto. 62 Stefano Ferrari (1994), Op.cit., pp.8-10. 63 Stefano Ferrari (1994), Op.cit., p. 14. ___________________________________________________________________ 40 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Marc Chagall produce molte opere a proposito come Il pittore davanti alla chiesa di Vitesbsk (1914, collezione privata) oppure L'Autoritratto con smorfia (1924-1928, Parigi). In questi casi il pittore vuole rappresentare il suo stato d'animo e non la sua faccia e perciò spesso questo genere di autoritratto non è particolarmente somigliante. Il pittore cinese, Yang Shaobin, propone nei suoi lavori l'esigenza dell'autoritratto mentale: l'artista non vuole rappresentare il suo volto, ma vuole dare un volto alla sua anima, al suo mondo interno, al suo stato mentale. Ci troviamo quindi di fronte a un autoritratto come espressione e oggettivazione della psichicità dell'autore, un autoritratto che tuttavia assume contorni precisi, i quali possono più o meno coincidere con la fisionomia del suo volto. In questi casi il criterio fisiognomico è secondario, ma non assente. Si tratta della proiezione sulla tela di uno stato mentale o di uno stato d'animo ma all'interno di una cornice dove il tratto fisiognomico resta perfettamente riconoscibile. Basta pensare all'autoritratto di Francis Bacon che è destinato a contenere l'autoritratto mentale ma con il disegno del volto riconducibile all'immagine reale, come se non si potesse scindere un'idea di identità che ha comunque nel volto il suo centro di riferimento64. 4.2.4. Autoritratto come negazione di soggettività Un'altra situazione è quella di un autoritratto fisiognomicamente molto somigliante, ma la cui valenza fondamentale non è psicologicamente quella di un'autorappresentazione. L'artista si serve cioè del proprio corpo e del proprio viso per esprimere concetti, condizioni, tematiche che hanno nulla o poco a che fare con la propria persona. L'arte contemporanea è ricchissima di opere del genere, come ad esempio, i quadri di Magritte oppure, in ambito fotografico, i lavori di Andy Warhol, che a un certo punto fa della sua faccia una semplice icona, un'immagine di consumo, al pari del viso di Marylin Monroe o della scatoletta della zuppa Campbell. Alla base di questa espropriazione della soggettività dell'autoritratto ci possono essere a volte ragioni puramente contingenti come per esempio la mancanza di altri modelli. L'autoritratto sarebbe cioè utilizzato dall'artista semplicemente come mezzo più pratico e più economico di esprimere la 64 Ivi, p.16. ___________________________________________________________________ 41 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 propria creatività. Spesso sono gli artisti stessi a dare credito a questa tesi. Lo fa per esempio Van Gogh in una lettera dove dice: Ho comprato apposta uno specchio abbastanza buono per poter lavorare al mio ritratto in mancanza di modelli, perché se arrivo a poter dipingere il colore della mia testa, il che non presenta poche difficoltà, riuscirò anche a dipingere le teste dell'altra brava gente 65. A sua volta Bacon afferma: Ho fatto molti autoritratti, è vero, perché attorno a me la gente è morta come mosche e non mi restava da dipingere nessun'altra persona. Io detesto il mio viso e ho fatto degli autoritratti per mancanza di altri modelli. Ma ora smetterò di fare autoritratti. Amo dipingere persone belle, perché amo una buona corporatura. Detesto il mio viso ma continuo a dipingerlo. E' vero che... Ogni giorno nello specchio vedo la morte al lavoro, è una delle cose più belle che ha detto Cocteau 66. Entrambe queste testimonianze, se teniamo conto dello spessore psicologico dei personaggi che le hanno formulate e dei loro autoritratti, hanno quasi la forza di una negazione67. 4.2.5. Autoritratto e pulsione autobiografica Un'altra distinzione, che va sempre tenuta presente, è quella tra l'autoritratto propriamente inteso, in quanto riproduzione grafica della propria immagine, e la più generica e universale pulsione autobiografica, che ha in parte la stessa origine, cioè il bisogno di lasciare una testimonianza di sé, del proprio esserci e della propria esistenza, testimonianza che si può esprimere in realtà attraverso svariate manifestazioni e che può avere valenze psicologiche diverse. Un artista, per esempio, può riprodurre nella sua opera qualcosa che invece appartiene al suo mondo: può disegnare oggetti o figure che si riferiscono al suo privato, ma che solo lui e le persone che gli sono vicine possono 65 Van Gogh, Lettera al fratello Theo del 17 settembre 1888, in Tutte le lettere di Van Gogh, tr. it., Silvana Editoriale d'Arte, Milano, vol. III, p. 39. 66 F. Bacon (1970), L'art de l'impossible. Entretiens avec David Sylvester, Skira, Genève. 67 Stefano Ferrari (1994), Op.cit., p. 16-17. ___________________________________________________________________ 42 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 riconoscere come tali. In questi casi si parla di oggetti d'affezione68 ovvero tutto ciò che gli ricorda il passato, che è stato in qualche modo importante, personaggi o cose nelle quali si è identificato. Ma questi non sono tanto l'espressione diretta della psichicità dell'artista quanto un segno oggettivo della sua storia. Altre volte questa pulsione autobiografica si esprime invece semplicemente nel bisogno di lasciare una traccia del proprio vissuto attraverso l'opera, intesa come prolungamento del sé, senza che necessariamente ciò abbia implicazioni estetiche. In entrambi i casi però non si può propriamente parlare di autoritratto, a meno che ogni quadro è un autoritratto, rappresenta innanzitutto colui che lo crea: prima di essere un paesaggio, una pittura di storia, una natura morta, il viso di un altro, una scena di genere o una composizione astratta […] esso rappresenta il creatore nell'atto stesso della creazione cristallizzata in un'immagine 69. A questo livello ogni produzione materiale dell'uomo (ogni manufatto) è comunque sempre possibile rintracciare qualcosa che appartiene alla sua soggettività e considerarlo un autoritratto. Effettivamente, anche l'artigiano che costruisce un mobile lascia, senza saperlo del tutto, nell'opera un'impronta di sé che in qualche misura lo rappresenta all'esterno. Un altro elemento che vale la pena tener presente è che questa pulsione genericamente autobiografica è spesso inconscia70. Ho poi l'impressione che in generale i pittori, almeno a livello pubblico, parlino poco dei loro autoritratti, in particolare dei meccanismi profondi che vi sono implicati. Questo silenzio è sospetto e significativo. Forse ne parlano poco perché, letteralmente, non hanno nulla da dire a riguardo: i problemi, i conflitti, le contraddizioni, le acrobazie psichiche, di cui tratteremo diffusamente nell'ultimo capitolo, sono già dentro l'opera. L'opera assorbe, in silenzio, tutta quella complessità, quella densità che l'ha formata, l'ha costruita. L'opera sembra aver assimilato tutto. Quindi, forse gli artisti non parlano volentieri dei loro autoritratti, non solo e non tanto, per pudore, ma forse perché non sanno davvero cosa dire, in quanto tutti i conflitti e le tensioni che stanno dietro l'autoritratto restano appunto dietro e non arrivano alla coscienza: traspaiono talora dai loro volti dipinti, 68 M. Dallari (1998), L'esperienza pedagogica dell'arte, La Nuova Italia, Firenze. 69 P. Eon-Gerhardt (1987), Autoportrait: recheche d'identité, recherche d'immortalité, in “Psychologie médicale”, 19 (9), p. 1531. 70 Stefano Ferrari (1994), Op.cit., p. 18-19. ___________________________________________________________________ 43 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 ma solo a posteriori, nella dinamica paradossale della fruizione 71. 4.2.6. L'autoritratto figurativo e la memoria La memoria è ciò che da continuità alla nostra esistenza. Il sentimento e l'espressione di questa continuità sono elementi che non possiamo trovare nell'autoritratto figurativo: esso è sempre un punto di arrivo. L'artista figurativo può rappresentare soltanto gli effetti ultimi della vita e del suo trascorrere e può imprimere sulla tela il buono e il cattivo che il tempo ha depositato sul volto dell'uomo, quindi quell'espressione che caratterizza il suo vissuto e la sua storia. Ma l'immagine di per sé, per quanto efficace, non può dire tutto quello che dice un racconto. Nell'immagine il tempo è irreversibile: l'immagine di una persona vecchia ha cancellato l'immagine che le apparteneva da giovane, e solo il ricordo (che però non appartiene all'immagine) può lasciare intravedere dietro a quei tratti modificati dal tempo l'eco della sua gioventù. Per poter trasmettere figurativamente questa impressione di continuità nel fruitore, ogni autoritratto deve essere messo in sequenza con quelli che lo hanno preceduto. Soltanto una successione di autoritratti può dare l'idea del tempo che passa e del divenire. L'autoritratto è sempre e necessariamente il gesto di un particolare momento, il momento in cui viene dipinto. Certo, dietro di esso c'è tutto il passato di un uomo, ma questo passato si è come cristallizzato in un'immagine e una sola. Nell'autoritratto figurativo di per sé non c'è racconto. 4.2.7. Ritratto come autoritratto E' stato detto che l'autoritratto risponde al bisogno dell'uomo di riprodurre la propria immagine. Ma non bastano il gesto e l'intenzione nel fare ciò: la riproduzione deve essere il più possibile fedele e corrispondere a standard che variano a seconda della cultura e del contesto. Esistono anche situazioni che precedono questo livello, in cui il bisogno dell'autorappresentazione viene soddisfatto semplicemente dalla possibilità di lasciare un'impronta oppure autoriproduzioni dai tratti approssimativi: 71 Ibidem. ___________________________________________________________________ 44 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 A livello magico, lo sappiamo, basta dire che quel volto è il mio perché in un certo senso effettivamente lo sia. Ma questa identificazione magica, per dir così, proprio in quanto trascende il rapporto con la realtà, non riguarda in particolare queste dinamiche dell'autoritratto e cioè il rapporto che l'uomo intrattiene oggettivamente con la propria immagine. Di solito comunque un'autoraffigurazione con tratti fisiognomici molto approssimativi sta a significare che al centro dell'opera non c'è il rapporto con la propria immagine e che l'autorappresentazione serve per uno scopo diverso, per raccontare qualcosa di sé che non ha relazione con il proprio sembiante 72. Ma in generale, la somiglianza fisiognomica del soggetto è più importante nell'autoritratto che nel ritratto: Infatti l'autoritratto, forse più del ritratto, presuppone la riconoscibilità e una certa fedeltà nella riproduzione, almeno nel senso che la valenza magica dell'immagine in questo caso non è sufficiente a garantire l'identità tra realtà e rappresentazione. Però questo aspetto va considerato in modo diverso a seconda del periodo storico. Da quando c'è al fotografia il bisogno dell'artista di verificare e controllare la proprio immagine in quanto sembiante viene in gran pare delegato appunto a questo tipo di riproduzione. Infatti nell'autoritratto contemporaneo la somiglianza è spesso molto relativa: c'è sempre una certa riconoscibilità fisiognomica, ma questo riconoscibilità è ottenuta sovente con dei semplici tratti caratteristici, un po' come avviene nella caricatura, comunque con forti deformazioni (Bacon, Schiele ecc..). Si ha l'impressione che in questi autori anche il proprio volto e la propria figura diventino una semplice icona stilizzata73. Se le cose stanno così, solo chi possiede particolari abilità tecniche riuscirà a farsi l'autoritratto, in pratica solo chi è già capace di disegnare o di dipingere e chi possiede le capacità tecniche. La rassomiglianza che l'autoritratto dovrebbe garantire non è solo fisiognomica quindi l'abilità tecnica richiesta è maggiore. Bisogna tener conto, infatti, che l'autoritratto deve riprodurre fedelmente la nostra immagine74 ma anche il nostro stato d'animo, la nostra condizione esistenziale e la nostra visione del mondo. All'immagine reale si sovrappone un'immagine mentale che, essendo priva di qualsiasi oggettività, diventa alquanto difficile riprodurre in modo fedele. Il ritratto può avere la funzione di autoritratto sia per la persona che si presta come 72 Stefano Ferrari (1994), Op.cit., p. 45. 73 Ibidem. 74 Per ciascuno di noi è costituita da una sintesi tra immagine reale (quella dello specchio o della foto), immagine sociale (quella che vogliamo darci di volta in volta di fronte al prossimo, cioè la maschera) e immagine ideale/interna che coincide in modo molto relativo con quella reale. ___________________________________________________________________ 45 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 modello che per l'artista. Per il modello il ricorso al lavoro dell'artista consente di compensare la sua incapacità tecnica di autorappresentarsi (con le complicazioni che possono derivare dal fatto che magari egli non si riconosce nel ritratto fatto dall'artista). Non bisogna dimenticare che anche per l'artista il ritratto dell'altro è spesso un autoritratto, in quanto egli tende a proiettare nel modello i propri tratti fisiognomici e il proprio mondo interno. Questo aspetto corrisponde a un normale meccanismo di identificazione mediante una proiezione. Può quindi significare che l'artista rende semplicemente più famigliare e congeniale il modello, per meglio adeguarlo a sé e quindi poterlo interpretare in maniera più completa; oppure può essere un pretesto per appagare il proprio bisogno inconscio di autorappresentarsi. Comunque, a differenza dell'uomo comune, si può dire che l'artista può appagare più liberamente la sua pulsione all'autorappresentazione ogni volta che fa un ritratto in quanto ne ha l'abilità tecnica. È questa modalità che, come notava Musatti75, gli consente anche di esprimere con maggiore libertà contenuti anche molto intimi e privati76. 4.3. Implicazioni sociali dell'autoritratto Con le cose dette finora, sembrerebbe che l'autoritratto non ha una connotazione sociale, in quanto viene ad assolvere semplicemente una funzione che riguarda il costituirsi dell'identità dell'individuo concentrato in una sorta di narcisistica autocontemplazione. Ora si deve distinguere una prima fase, la quale corrisponde alla semplice oggettivazione del riflesso allo specchio, dove tutto sembra consumarsi solo fra soggetto e la sua immagine speculare; e un secondo livello, che è già presente in qualche modo nel bisogno di autorappresentazione invece riguarda la relazione con la propria immagine. Nel momento in cui si replica la propria immagine, il gesto assume evidenti implicazioni sociali in quanto, dopo aver riconosciuto l'immagine come la propria, si tende ad pensare allo sguardo delle persone che guardano l'opera, a identificarsi con esse e a guardare come si pensa che guardino i loro occhi 77. In fondo 75 C. Musatti (1976), Ritratti di Brera, in Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e incursioni nel mondo delle immagini, Boringhieri, Torino. 76 Stefano Ferrari (1994), Op.cit., pp. 31-33. 77 Secondo un processo di identificazione che prevede, come sempre, anche la proiezione nell'altro di ___________________________________________________________________ 46 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 noi abbiamo un volto perché l'altro lo possa vedere78; il volto è ciò che ci mette in contatto con l'altro79. Nell'autoritratto non c'è nulla di puramente solipsistico e soggettivo, c'è già un principio di socialità nella sua dimensione più elementare e primitiva – anche là dove non si può ancora parlare propriamente di comunicazione. Nell'autoritratto c'è infatti sempre una tensione verso l'altro: è lo sguardo dell'altro con cui ci identifichiamo, che guida la nostra mano e costruisce la nostra immagine 80. 4.4. Le tipologie dell'autoritratto Per sintetizzare quanto si è finora detto, si è visto che si passa da una concezione quasi funzionale dell'autoritratto come eco della creazione dell'Io (in cui non mancano implicazioni profonde, legate anche al riconoscimento dell'identità) ad una concezione più psicologica, in cui prevalgono l'intenzionalità e la socialità. Questa intenzionalità può essere legata ad una situazione particolare, come le occasioni o festeggiamenti, ma può avere valenze molto più ampie e solenni come quando l'autoritratto segna delle tappe cruciali della vita dell'individuo. Quella che può apparire un'esigenza contingente legata ad una determinato momento può assumere un valore molto profondo81: mi autoritraggo oggi, perché oggi, in questo frangente particolare della mia esistenza, sento di vivere un momento fondamentale e lo voglio sottrarre al flusso del tempo, affinché domani mi possa rivedere come oggi mi sento82. Su queste basi si potrebbe intanto distinguere tre tipologie di autoritratto: la prima coincide con l'origine stessa dell'autoritratto ovvero l'Io che viene creato: l'autoritratto narcisistico. Riguarda in generale il rapporto dell'uomo con la propria immagine nella prospettiva del mito di Narciso. la seconda segue le tappe contingenti della vita di un uomo: è l'autoritratto parti di noi. 78 Stefano Ferrari (1994), Op.cit., p. 36. 79 G. Simmel (1989), Sociologia, a cura di A. Cavalli, Comunità, Milano. 80 Stefano Ferrari (1994), Op.cit., p. 37. 81 Ibidem. 82 Ibidem. ___________________________________________________________________ 47 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 d'occasione. E' l'espressione di momenti particolari, di emozioni specifiche, significative sia a livello soggettivo che oggettivo. la terza segue invece le tappe importanti della vita di una persona: è l'autoritratto come monumento. Può essere grossolanamente paragonato all'autobiografia. Vengono presi momenti 'solenni' che fanno del ritratto un vero e proprio monumento con implicazioni psichiche molto profonde. Le ultime due tipologie di autoritratto rappresentano una variante della funzione classica del ritratto e dell'autoritratto: attraverso essi l'uomo intende infatti lasciare un'immagine di sé che duri nel tempo e gli sopravviva. Non si può pensare che tutti gli autoritratti rientrano in un'unica tipologia perché possono contenere al loro interno caratteristiche altre. Le tipologie sono benissimo mescolabili tra loro83. 4.5. L'autoritratto come documento psicologico L'autoritratto, quale sia la sua possibile collocazione all'interno di una qualche tipologia, si rivela per l'artista soprattutto come un mezzo di autoanalisi, e quindi come, imprescindibile, documento psicologico. Attraverso l'autoritratto, l'artista, interpretando un bisogno proprio di ogni uomo, è sostanzialmente alla continua ricerca di sé. Tale ricerca può avere anche delle implicazioni riparative. E' come se gli uomini, soprattutto in certe circostanze, avessero difficoltà a ritrovarsi, a riconoscersi, a sapere chi sono84. Possiamo pensare a situazioni psicologicamente molto delicate, come quella di Van Gogh, dove la serie quasi ossessiva dei suoi oltre quaranta autoritratti segnala la disperazione della stessa ricerca che, poi, si conclude con la sua morte. Questi autoritratti sono il risultato di un profondo bisogno psichico interiore, una disperata e ricorrente domanda che non solo portò al cavalletto e davanti allo specchio, ma fece di queste tele un veicolo per l'autoespressione e l'autodefinizione che altrimenti nella vita gli sfuggivano. Essi divennero non solo la vetta della sua arte ma il riflesso dei suoi desideri più profondi e più forti 85. 83 Ivi, p.38. 84 Con tutte le diverse pronunce e sfumature che riguardano individui differenti in contesti culturali e in epoche diverse. 85 W. W. Meissner (1993), Vincent: the self-portraits, in “Psychoanalytic Quarterly”, LXII, p. 80. ___________________________________________________________________ 48 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Se da un lato, questa ricerca sancisce il fallimento del suo tentativo di riparazione, dall'altro segna la sua rivincita postuma, nella misura in cui i suoi autoritratti gli sopravvivono e restano, non solo un insostituibile documento psicologico per comprendere la sua personalità e la sua arte, ma anche il segno che attraverso essa il dolore e la morte stessa possono essere sconfitti. È evidente che l'autoritratto che viene osservato e studiato come espressione della psicologia e dell'arte di Van Gogh, anche se si colloca nel contesto del suo percorso umano ed artistico, acquista il suo significato e il suo spessore solo alla luce della sua intera parabola di uomo e di pittore: egli è parte di un corpus e di una totalità. Mentre per l'artista che lo ha prodotto in un momento della sua vita, sollecitato dall'urgenza di determinate emergenze psicologiche ed esistenziali, esso era tutt'altra cosa e aveva tutt'altro significato. Per quanto riguarda il rapporto con la morte e la funzione eternizzante dell'arte, che costituisce una marca essenziale nella dinamica dell'autoritratto, bisogna ricordare che non sempre questa prospettiva è intrinseca all'opera nel momento della sua creazione. Per esempio, non è da credere che quando Van Gogh dipingeva certi suoi autoritratti, pressato dal bisogno di esorcizzare il fantasma di quella sua immagine perturbante che lo fissava dallo specchio, avesse in mente di lasciare un'immagine di sé che durasse oltre la morte. Probabilmente si sarebbe accontentato di dare un senso al suo esserci in quel momento specifico, liberandosi dall'angoscia di quel giorno e di quell'ora. Il progetto solenne dell'autoritratto come monumento e come strategia di autoeternificazione si trovano eventualmente negli esempi già citati di Dürer, di Poussin, di Ingres, oppure in certe opere di De Chirico, ma non sempre fa parte del concreto orizzonte operativo dell'artista86. 86 Stefano Ferrari (1994), Op.cit., pp. 38-39. ___________________________________________________________________ 49 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 5. Project Work Quando si parla di lavoro di cura nella dimensione professionale, si intende un lavoro che produce cura, basato sulla relazione tra le persone e destinato a una persona per il suo benessere complessivo. E' impossibile che avvenga la cura senza che vi siano in gioco almeno due persone, dove una cura e l'altra riceve la cura: la cura richiede, infatti, costante interrelazione, richiede di essere lì e non altrove, richiede di essere insieme, chi cura e chi riceve cura, per raggiungere il fine comune87. Chi svolge un lavoro di cura affronta la necessità di continuare “a sentire”, nel senso che è impossibile svolgere un lavoro con un alto contenuto di cura senza essere coinvolti sul piano emotivo. Il problema quindi non è quello di non sforzarsi di non sentire più, è bensì quello di diventare capaci di tenere sotto controllo la forte esposizione emotiva, prendendo quella “giusta distanza” di cui la dimensione professionale necessita. Ciò che ingombra non è il sentire emotivo ma ingombra il fatto che l'emotività sia invasiva verso di sé e verso l'altro. Talvolta, nella vita lavorativa si può arrivare a sognare una dimensione emotiva simile all'anestesia: non sentire più niente, “fare quello che devo fare e basta”. Il problema che l'anestesia non fa più sentire il cattivo ma neppure il buono e quindi l'operatore rischia di non sentire più la parte gratificante del proprio lavoro. E' vero anche che la giusta distanza non è calcolabile né definibile, consiste invece in un percorso di continua riflessione e ricerca su di sé, con il contributo del gruppo con cui si lavora88. Si è coinvolti in un lavoro emozionale nuovo a livello storico e si è ancora un po' analfabeti rispetto al linguaggio di quel tipo di emozioni. Questo è uno dei problemi che gli operatori che svolgono un lavoro di cura si trovano ad affrontare. E' una delle più forti ragioni per cui ormai è chiaro che le persone che curano non vanno lasciate da sole: in un certo senso vanno curate anche loro, offrendo ambiti di ricostruzione dei loro percorsi operativi ed emotivi, di rassicurazione, di alimento per continuare a reggere il 87 G. Colombo, E. Cocever, L. Bianchi (2004), Il lavoro di cura. Come si impara, come si insegna, Carocci Faber, Roma, p. 21. 88 Ivi, p. 28. ___________________________________________________________________ 50 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 loro carico emotivo. E' un lavoro che logora e che può indurre, come difesa, a una sorta di anestesia delle sensazioni e dell'interesse per la persona di cui ci si prende cura, rischiando di cadere nell'automatismo di un fare ripetitivo, insensato e insoddisfacente. E' un lavoro fatto di gesti che necessitano di essere rivestiti d'importanza. E' un lavoro che ha bisogno di essere visto, fermato, considerato nei suoi aspetti minuti, perché è anche evocativo di gesti materni o familiari passati e presenti89. 5.1. Il percorso “Io e il mio autoritratto” Il percorso di arteterapia intitolato “Io e il mio autoritratto” nasce proprio dal desiderio di proporre, a persone che praticano lavori di cura, un'occasione, una possibilità e un cammino per prendersi cura di sé. Come è stato già detto, che prendersi cura degli altri è decisamente impegnativo a livello emozionale, emotivo e va a toccare corde alcune volte molto delicate della persona che pratica quest'arte; i curanti devono avere e trovare la possibilità per fermarsi e per ricaricarsi, ridando il giusto spazio agli altri e a dedicare quello che è necessario a sé stessi. L'obbiettivo principe di questo percorso è stato, quindi, quello di proporre una via alternativa per raggiungere “sensazioni di benessere” personale e di relazione col gruppo. Ho scelto di proporre un percorso sull'autoritratto perché, come per Narciso, per tutti la propria immagine, bene o male, cattura totalmente costringendo a “staccare la spina” sulle faccende del quotidiano difficili da lasciare soprattutto per chi pratica questo tipo di lavoro, per chi ha famiglia, figli, ecc. e secondo me è una proposta davvero molto allettante di riflessione su di sé. Il volto e il proprio corpo trasmettono messaggi che, alcune volte, non riceviamo perché vediamo e siamo concentrati sugli altri e su altro. Questo può essere a lungo andare nocivo, ed è per questo che “girare lo sguardo su di sé” trovando un tempo e uno spazio adeguati è importante. Non sempre, privilegiare sé stessi è indice di egoismo, anzi, quando si riconosce questo bisogno significa che si è responsabili nei confronti di sé stessi e di conseguenza degli altri e che si ha raggiunto un livello di equilibrio fondamentale per vivere la vita e gustarsela. 89 Ibidem. ___________________________________________________________________ 51 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Ho proposto delle attività di vario genere partendo da un laboratorio più figurativo passando da altri più introspettivi e riflessivi, per poi proporre laboratori esperienziali, il tutto accompagnato da tecniche e materiali di varia natura. Il percorso, con incontri serali a cadenza settimanale, ha avuto il seguente programma: venerdì 8 marzo 2013 L'autoritratto figurativo venerdì 15 marzo 2013 L'autoritratto come narrazione martedì 26 marzo 2013 L'autoritratto come metafora venerdì 5 aprile 2013 L'autoritratto e l'ombra venerdì 12 aprile 2013 L'autoritratto come memoria venerdì 19 aprile 2013 L'autoritratto come gioco Purtroppo, non avendo altri spazi, ho dovuto utilizzare casa mia come atelier cercando di apportare tutti quegli accorgimenti descritti nel Capitolo 3 per raggiungere un buon livello di accoglienza e comodità per l'esecuzione stessa dei laboratori. Per ogni incontro sgomberavo quasi tutto l'arredo dalla sala da pranzo per avere uno spazio libero e aperto. I mobili più ingombranti lo ho lasciati creando delle piccole nicchie per dare la possibilità a chi volesse di lavorare in posti più custoditi. Non ho proposto ne tavoli ne sedie: i partecipanti hanno lavorato sul pavimento. Questo è stato un modo per dare la ___________________________________________________________________ 52 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 possibilità di utilizzare anche il proprio corpo nella realizzazione delle opere, infatti, qualcuno è stato ispirato o influenzato dalle posizioni che si sono prese durante l'atto creativo, altri hanno esplicitato di averne trovato giovamento e altri ancora non avevano notato questa dimensione di espressione di sé. Ogni partecipante si portava i materiali da casa secondo le richieste che gli facevo la volta prima o per mail. Arrivavano il giorno dell'incontro muniti di tutto l'occorrente che mettevano nel centro del cerchio e chi se la sentiva li condivideva con gli altri contribuendo così ad un clima di comunione e relazione col gruppo. Gli incontri erano generalmente divisi nei seguenti momenti: L'accoglienza; La presentazione e consegna del laboratorio; Presa visione di opere fatte da alcuni artisti famosi; Esercizi di rilassamento; Creazione dell'opera; Condivisione finale; Ogni incontro era accompagnato da musiche; inizialmente erano le canzoni preferite o ritenute più adatte dai partecipanti rispetto ad una richiesta precisa che gli facevo io precedente all'incontro stesso. Poi, siamo passati ad utilizzare delle musiche a corda scelte da me. Per la buona costruzione di un clima accogliente e rilassante ho usato diverse essenze e profumi che si diffondevano nell'aria durante tutto il tempo del laboratorio. 5.1.1. Presentazione del gruppo Il gruppo era costituito da 13 persone di età compresa tra i 22 e i 36 anni. Nella descrizione del percorso userò nomi fittizi e anche nelle foto verranno oscurati i volti per rispettare la privacy di ognuno: Giuditta: infermiera neolaureata, 22 anni. ___________________________________________________________________ 53 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Raffaele: educatore laureando, 22 anni. Giorgia: assistente sociale neolaureata, 22 anni. Barbara: operatrice socio sanitaria, 27 anni. Davide: responsabile formazione volontari, 31 anni. Roberta: psicoterapeuta, 31 anni. Jenny: educatore familiare-domiciliare, 30 anni. Loretta: infermiera, 30 anni. Eleonora: RdS comunità tossicodipendenti, 29 anni. Matteo: presidente cooperativa sociale, 33 anni. Caterina: maestra d'asilo d'infanzia, 30 anni. Laura: educatore cooperativa sociale disabili, 36 anni. Federica: educatore, 36 anni. Il gruppo è nato grazie alla risposta positiva di queste persone che si sono lanciate e hanno accettato un percorso che ho pensato per lavoratori sociali per mettermi alla prova per la mia formazione come arteterapeuta. In diversi si conoscevano già altri meno e qualcuno solo per fama. 5.2. Gli incontri 5.2.1. L'autoritratto figurativo Per dare inizio a questo percorso ho pensato di proporre un attività che poteva far lavorare in modo accattivante sulla propria immagine senza particolari acrobazie del pensiero. Nei giorni precedenti all'incontro ho chiesto ai partecipanti di munirsi di uno specchio sufficiente per riflettere almeno l'immagine del proprio volto e di farmi avere i titoli di una o due canzoni che in generale preferivano per fare una raccolta musicale che li avrebbe accompagnati durante il lavoro. Prima ho accolto i partecipanti aspettando tutti anche i ritardatari. Ci siamo seduti sul pavimento in cerchio in modo da guardarci tutti in faccia e abbiamo iniziato con una classica presentazione (nome, età, lavoro). Ho presentato il percorso con programma, struttura degli incontri e obiettivi e l'incontro della serata stessa. ___________________________________________________________________ 54 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Consegna: riprodurre la propria immagine riflessa dallo specchio su un foglio A3 bianco con materiali a scelta (matite, pastelli, pennarelli, ecc.). Ho voluto dargli qualche input mostrando una ventina di autoritratti figurativi di vario genere da autori famosi (Van Gogh, Ligabue, Picasso, Modigliani, Kahlo, Da Vinci, ecc.) e non. Posso dire che questo momento ha contribuito parecchio la formazione del gruppo nella condivisione di quello che suscitavano le immagini e ha dato diversi spunti e idee nella fase successiva. Finito di mostrare le immagini, ho chiesto ai partecipanti di alzarsi e camminare nella stanza in modo casuale accompagnati dalle canzoni che loro stessi mi avevano suggerito, prendendosi il tempo necessario per rilassarsi. Quando sarebbero stati pronti avrebbero dovuto scegliere e posizionarsi nel posto dell'ambiente che più gli piaceva per lavorare senza necessariamente rispettare il cerchio creato inizialmente. Così hanno fatto mettendosi un po' di qua e un po' di là privilegiando soprattutto le nicchie e gli angoli. Inizia l'atto creativo... Ho lasciato che le canzoni li accompagnassero nell'esplorazione del loro volto, dei loro tratti e nella ricerca dell'espressione di ciò che voleva uscire. ___________________________________________________________________ 55 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Dopo aver messo a posto i materiali utilizzati ci siamo rimessi in cerchio e ognuno ha condiviso un po' le emozioni, le sensazioni che questo lavoro gli ha regalato del proprio lavoro e quello altrui. Da sottolineare che è stato condiviso dalla maggioranza del gruppo la sensazione di benessere provata. 5.2.2. L'autoritratto come narrazione Con la stessa struttura dello scorso incontro, accolgo i partecipanti e gli chiedo di fare una presentazione con nome, età e cosa gli piace fare quando sono da soli. Consegna: riprodurre la propria immagine (somigliante o no) con oggetti o figure che si riferiscono a ciò che gli piace o che gli piace fare utilizzando sempre un foglio A3 bianco e un materiale diverso dalla volta scorsa. Poi, gli mostro alcuni ritratti di autori famosi dove si sono dipinti inseriti in un immagine con oggetti che appartenevano al loro mondo o mentre facevano qualcosa che li caratterizzava. Dopo aver fatto il momento di ascolto e ricerca del proprio spazio interno e esterno è iniziato il lavoro... ___________________________________________________________________ 56 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Come per la volta scorsa, ho composto una raccolta di canzoni scelte dai partecipanti stessi prima dell'incontro che ricollegavano ad un momento importante della loro vita. Dopo aver rimesso i materiali in ordine ci siamo preparati per la condivisione finale. Quasi tutti i partecipanti hanno condiviso: Raffaele: “Ho cercato di mettere più cose possibili della mia vita”. Laura: “Ho scelto gli acquerelli perché mi sembra che il disegno che volevo fare fosse pieno di sfumature... mi ci sono ritrovata... mi sono disegnata con le braccia aperte sotto un grande albero perché è sempre stato un po' il mio sogno di stare con la mia famiglia un po' in mezzo a questa natura...”. Caterina: “Stasera non avevo niente in testa... A me piace molto il teatro anche se non lo pratico e mi piace quando con D. e G. ci mettiamo così e l'ho voluto disegnare sul palco”. Eleonora: “Ero molto stanca stasera però avevo tante idee però mi ha dato da fare non poter usare la matita visto che l'avevo usata la volta scorsa... ho iniziato a disegnare me, ho provato a disegnare prima le mani ma poi ho visto che non ci saltavo fuori quindi ho dovuto disegnare prima la faccia se no non capivo dov'erano le mani e volevo essere a braccia aperte...”. 5.2.3. L'autoritratto come metafora Per il terzo incontro propongo un momento iniziale diverso dai precedenti: faccio trovare al centro del pavimento un foglio di carta da pacchi bianco con al centro una ___________________________________________________________________ 57 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 piccola spirale gialla e arancione fatta da me. Quando tutti i partecipanti sono arrivati gli chiedo di avvicinarsi al foglio e insieme lavorare in gruppo facendo dei segni spontanei con il materiale che vogliono. Il tutto sempre accompagnato da una musica di pianoforte che per la prima volta ho scelto io. Questa piccola attività ha fatto come una sorta di presentazione al gruppo di sé stessi in “opera artistica”. Per il laboratorio in sé avevo dato il compito di portare due fogli di carta da pacchi uniti con nastro adesivo del colore desiderato tra bianco e marrone. Consegna: durante la passeggiata di ritrovo di sé stessi dovevano trovare un compagno con cui lavorare quella sera. Si sarebbero posizionati come desiderato sul foglio di carta in modo da farsi fare il contorno del corpo dal compagno. Avrebbero poi dovuto riempire dentro il contorno con segni spontanei e casuali e con il materiale a loro scelta. Finita questa prima fase, avrebbero scambiato il foglio col compagno riempiendo la parte fuori dal contorno sempre con segni casuali e spontanei. Dopo aver chiarito alcuni dubbi inizia il lavoro.. E' stato un esercizio che ha richiesto molto tempo e così abbiamo sforato abbondantemente il tempi di fine incontro. I partecipanti erano totalmente assorbiti dall'esercizio proposto ed è stato per alcuni molto faticoso terminare il proprio lavoro. ___________________________________________________________________ 58 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 5.2.4. L'autoritratto e l'ombra Abbiamo iniziato l'incontro condividendo delle brevi riflessioni rispetto il lavoro fatto la volta prima. Per questo incontro avevo chiesto ad ognuno di preparare l'inizio di una breve storia (quindi senza finale), che durasse almeno qualche minuto, nella quale ci fossero protagonista e antagonista e che non fosse pensata in base ad una morale precisa. Oltre alla storia, che non necessariamente dovevano scrivere, ho chiesto di preparare un librettino con le caratteristiche a loro piacere e che avesse almeno una decina di pagine. Consegna: riprodurre graficamente la storia pensata a casa nel libretto facendo attenzione a lasciare bianche alcune pagine iniziali e finali dello stesso. Successivamente, si passa il proprio libretto al compagno seduto di fronte a sé, il quale dopo aver visionato ha il compito di disegnare la parte iniziale della storia. Finito questo pezzo, il libretto va in mano alla persona che sta a destra di quest'ultima, la quale leggendo la storia deve darne una conclusione disegnando un finale. In ultimo, il proprietario del libretto torna in possesso del suo oggetto, guarda, legge e scruta la ___________________________________________________________________ 59 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 creazione venuta fuori dalla condivisione con altri e deve trovare un punto della storia dove mettersi figurando il proprio ritratto. I partecipanti, oltre ad essere assorbiti completamente dalla propria storia, sono stati attenti e molto rispettosi dei lavori degli altri mettendosi in ascolto e trovando delle versioni anche molto ricercate per impreziosire ulteriormente il libretto altrui. Dopo aver riassettato tutti i materiali, chi voleva poteva dar voce alla storia del libretto e raccontarla al gruppo. Ovviamente, chi l'ha raccontata ha interpretato, secondo i propri strumenti, ciò che era stato disegnato dagli altri: Roberta: “C'erano una volta due sposi molto felici che si volevano molto bene che vivevano in una casetta in Africa. Erano da un po' di tempo sposati ed ebbero una bimba. Stavano bene e col tempo la bimba crebbe e continuavano a volersi molto bene e a essere tutti quanto molto felici. Il papà andava a lavorare la mamma idem però si dai. E soprattutto il papà e la mamma volevano insegnare alla bimba quanto è bello incontrare le persone che vivevano nel villaggio con loro. Tant'è che un giorno la bimba andò.. non mi ricordo.. facciamo sempre in Africa però verso sud. Era ospitata in una casa e passava tanto tempo con le persone di questa casa. Pian piano crebbe in lei un semino verde. Questo semino crebbe tanto in lei che la ragazza arrivò a cambiare nome... cioè gli altri le cambiarono il nome e tutti la chiamarono: Esperanza. Un giorno decise di partire dall'Africa e andare a San Salvador. Lei pensava che fosse un bel paese ma purtroppo vide tanti grattacieli, molto inquinata, tristissima. Partì perché voleva far diventare questo seme più grande che maturasse. Ma si rese conto che in questa città con grandi grattacieli, grandi macchine piena di smog, le persone erano grigie e tristi. Finché un giorno in mezzo a queste persone tristi vide un bimbetto che sorrideva e che portava luce. Lei rimane stupita da questo bambino e decide di partire dalla città e di rimettersi in cammino. Attraversò il deserto delle solitudini, la montagna del coraggio e il mare delle incertezze. Finché arrivò in un bosco delle avventure vissute. ___________________________________________________________________ 60 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Questo bosco era incantevole. C'erano alberi di ogni genere, fiori di ogni genere e frutti di ogni genere. C'era una luce calda ma non accecante, era fioca. Esperanza incontrò l'acqua, incontrò il fiume: la vita. Incontrò tutti gli animali e incontrò profumi di ogni genere. E si accorse che mentre attraversava il bosco, le piante che le erano apparse belle, più andava avanti e più loro cambiavano forma e diventavano sempre più belle. Ad un certo punto del suo cammino però incontrò un orso grigio con cui parlò e gli racconto il suo percorso e il seme dentro di lei. L'orso le rispose che anche lui aveva fatto uguale tanto tempo prima ma poi quando arrivò nel bosco aveva abbandonato l'idea di proseguire e aveva capito che lui era un orso e doveva vivere da solo e triste in questo bosco. Anche esperanza si fece influenzare dall'orso e incominciò a vivere come lui. Ma giorno dopo giorno il semino che era dentro di lei si faceva sempre più piccolo. Finché un giorno mentre vagava in questo bosco vide una gemma o germoglio su un ramo verde come il suo seme. Lì iniziò il dubbio: cosa fare? (io sono qua) si avvicinò al germoglio e lo prese. Sentì un grande calore e una grande luce. Non pensò più al suo semino verde perché il contatto con questo germoglio la fece stare così bene che vide un po' quali erano i suoi sogni. Costruì la sua famiglia con tanti bimbi e visse in un bosco altrettanto incantevole. Lei si dimenticò del semino verde ma proprio lui fu proprio quello a dare colore alla sua vita”. Caterina: “C'era una volta un bambino che aveva la mania delle calze e voleva sempre delle calze differenti ogni giorno e aveva il cassetto sempre pieno colmo di calze... tant'è che questa mania delle calze era entrata anche nei suoi sogni, infatti una notte sognò il regno di Calzea. Questo regno di Calzea era un regno dove c'era questo castello ed era governato da questo re (volevo dargli un nome ma non me lo ricordo) e da questa regina che un giorno rimase incinta, però succede una cosa: questa regina era molto felice perché voleva degli eredi, tutti aspettavano gli eredi al trono ma ci fu una grande delusione perché invece di nascere due calzini (perché i calzini nascono a coppie), nasce solo un calzino.. il re era infuriato, la regina pianse per mesi e mesi perché non si sapeva cosa fare di questo calzino spaiato. Il re non accettò questa cosa, il calzino invece era contento di essere venuto al mondo, di scoprire di essere il re di questo regno. Al re e alla regina non andava giù questa cosa di avere un calzino spaiato e chiesero aiuto a tante persone e nessuno riusciva a dare loro una soluzione a questo problema e quindi per mesi e mesi il regno andò avanti però con un re arrabbiato e una regina che piangeva sempre finché un giorno arrivò un mago, il mago di Soppus, e questo mago diede la soluzione a questo problema. Cominciò a dire: bisogna costruire un sosia, un calzino uguale a questo qua quindi faremo le selezioni tra tanti calzini che arriveranno a palazzo e bisognerà trovare il calzino uguale a questo principino. Il principino si chiamava Pedalino. Il principino Pedalino non era d'accordo e incominciò a ribellarsi a questa cosa dicendo “no, non è possibile, io sono unico, non ho bisogno di un sosia, sono quel che sono ok, volevate due calzini sono uscito solo io però mi dovete prendere così, perché io sono unico”. Questa cosa al re e alla regina non andò bene, tant'è che Pedalino a un certo punto decide di scappare e scrive una lettera e dice: “voi non volete me, ma volete due me quindi io esco così mi perdo” e scrive questa lettera e parte e va via dal castello. Fa il suo fagotto e va in giro per il mondo a cercare la sua strada e va in tanti paesi perché voleva sapere qual'era la sua missione e non era tanto felice perché non aveva ancora trovato il ___________________________________________________________________ 61 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 suo posto nel mondo. Un giorno un altro calzino, quasi uguale a lui, lo chiamò e allora Pedalino gli raccontò un po' tutta la sua storia e questo calzino nuovo che l'aveva chiamato gli disse “dai, diventiamo amici”. E io sono qua che sto guardando questa conversazione di due amici....però viene fuori un personaggio un po' cattivo che non so se era lo stesso personaggio che era Soppus... non credo perché non è uguale la sua faccia... però viene fuori un personaggio cattivo che se la prende con Pedalino e decide di distruggerlo e di farlo diventare un gomitolo di lana e tagliarlo. Pedalino scappa però non riesce e viene distrutto da questo personaggio cattivo. Il re e la regina vengono a sapere della storia del loro figliuolo Pedalino che era andato in giro per il mondo ed era stato perseguitato da questo cattivo e decidono di aiutarlo e di rattopparlo e di farlo diventare ancora Pedalino... Davide: “C'era una volta... questi sono gli abitanti della terra che sono tutti neri e tutti grigi, tutti tristi perché vivevano in un'epoca molto triste però tutti avevano un sogno. Questo sogno era di stare in un prato con Riccardo Cocciante e Jovanotti, poi c'è Gianni Morandi e c'è il saio di San Francesco... tutti si erano fumati qualcosa. In questa epoca triste per l'umanità ed esattamente nell'anno 18.237 Dopo Cristo esisteva una galassia, la galassia 31 dove erano presenti 7 pianeti tutti divisi a metà, c'era Azve (metà azzurro e metà verde) Azfu (azzurro-fucsia), Azne (azzurro-nero), Azgia (azzurro-giallo), Azbi (biancoazzurro), Azma (marrone-azzurro) e Azro (azzurro-rosso). I due colori erano molto marcati. La pace regnava sovrana su tutti questi pianeti. La vita su Azve era gioiosa, gli azveiani erano strani esseri caratterizzati dalla testa verde e dai piedi blu, il pianeta era per metà verde con immensi prati e per metà un mare blu. La natura era rigogliosa su Azve. Nello stesso periodo sulla terra alcuni potenti uomini con a capo un uomo senza scrupoli detto Arraffatutto avevano da tempo smantellato la terra e arraffato tutto il bello e il verde che c'era uccidendo chi si opponeva e avevano portato tutto su una astronave che al suo interno faceva vivere le persone ricche con il sogno di vivere in eterno in un paradiso creato apposta per loro. Il verde serviva per fare funzionare questa astronave gigantesca e ne veniva bruciato in continuazione. Il verde però stava finendo e Arraffatutto voleva andare per galassie a cercarne e aveva sentito parlare di Azve e il suo colore verde. La galassia 31 aveva però 3 custodi: Gino, Lino e Pino. Gino era molto alto (circa 2 metri) e magro con la testa gialla come i Simpson e una camicia tipo Hawaiano, abitava su Azgia. Lino era abitante di Azro, aveva quindi una testa rossa a forma di fragola, vestiva una tuta nera (tipo sub) mentre Pino era abitante di Azve, era tutto verde e indossava solo dei boxer di Dolce & Gabbana bianchi. Tutti e tre avevano i piedi azzurri come tutti gli abitanti della Galassia 31. Si accende così una dura lotta, una battaglia feroce. Due pianeti si uniscono e creano un arma speciale che attraverso la luce del sole e la forza della pace danno una mano ai tre supereroi nel combattimento. La battaglia ha fine nel momento in cui questi supereroi riescono a mandare fuori Arraffatutto impedendogli, grazie all'aiuto degli altri sei pianeti che si erano piazzati davanti, di arrivare a quello verde. Quindi la macchina crolla, cade, non so dove nell'universo perché non ha più la benzina e dalla terra arriva un Sos per questi pianeti perché vengano salvati e a riportare il colore sulla terra, quindi la terra dopo diventa tutta bella e gli abitanti diventano colorati. ___________________________________________________________________ 62 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 5.2.5. L'autoritratto come memoria Per il penultimo incontro, ho fatto diverse richieste ai partecipanti per la preparazione a casa. Avevo chiesto di cercare tre canzoni: una che gli ricordasse la loro infanzia, una per l'adolescenza e una attuale. Come per gli altri incontri, ho fatto la raccolta sul CD mettendo le canzoni in modo casualmente sparso. Poi, avevo detto di portare all'incontro un foglio di carta da pacchi del colore che volevano (bianco o marrone) e chi aveva la possibilità poteva colorarlo di rosso o nero per creare un altro tipo ancora di supporto. Il lavoro della serata era incentrato sui ricordi, quindi dovevano anche portare le fotocopie di fotografie che avevano come soggetti: la famiglia di origine, amici passati, famiglia e amici attuali. Abbiamo iniziato subito l'incontro seduti in cerchio posizionando i materiali ognuno davanti a sé. Consegna: creare un disegno a tratti spontanei con al suo interno le fotografie. L'opera ha inizio… A fine lavoro si rimette tutto in ordine e ci si prepara per la condivisione finale: ho chiesto ad ognuno di stare in silenzio rispetto a commenti o spiegazioni sul suo lavoro ma se se la sentiva di condividere quello che gli suscitava il lavoro degli altri. ___________________________________________________________________ 63 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 5.2.6. L'autoritratto come gioco L'ultimo incontro è stato all'insegna dell'utilizzo di materiali di recupero. Ognuno aveva portato da casa oggetti che in altro modo sarebbero stati buttati via e che durante la serata gli avrebbero dato nuova vita. Questa volta in diversi erano assenti per esigenze e motivi diversi e il laboratorio è stato partecipato da un gruppetto di quattro persone. Abbiamo iniziato praticamente subito il laboratorio mettendo al centro tutto ciò che avevano portato e condividendo con gli altri il proprio materiale. Consegna: utilizzare tutti gli oggetti e materiali che gli piacevano e assemblarli insieme per creare un oggetto che rappresentasse il loro autoritratto. Visto il piccolo numero, partecipo anch'io all'attività creando il mio lavoro facendo però molta attenzione al gruppo stesso e sono rimasta attiva per eventuali richieste di aiuto. Hanno iniziato ad osservare, scrutare e manipolare gli oggetti; sembrava quasi ci stessero giocando... ___________________________________________________________________ 64 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Rimesso tutto in ordine ci accingiamo alla condivisione dove ognuno ha raccontato cos'ha provato durante la realizzazione della propria opera e alcuni hanno condiviso cosa avevano suscitato le opere degli altri. Caterina: “Ho trovato tante cose viola… a me il viola piace… sembro una sposa… in realtà ho voluto fare il mio vestito da sposa…”. Davide: “Questo nastro mi piaceva tanto… l'ho preso perché l'azzurro è anche uno dei miei colori preferiti... volevo che l'omino e il cuore fossero collegati…”. ___________________________________________________________________ 65 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 Conclusioni Ora posso concludere questo cammino fatto insieme a questi ragazzi che mi hanno aiutato a fare esperienza e a crescere sia a livello professionale che personale: per questo li vorrei davvero ringraziare di cuore. Per quanto riguarda gli obiettivi con i quali era nato questo percorso direi che sono stati raggiunti abbondantemente. I partecipanti hanno detto più volte che lo spazio del laboratorio gli ha permesso di rilassarsi e anche di divertirsi trovando sensazioni di benessere e piacevolezza. Il clima del gruppo è risultato molto buono e con un buon grado di ascolto e rispetto dando così la possibilità di far venir fuori e condividere riflessioni ed emozioni interne alcune volte molto private ed intime. Ho saputo successivamente che qualcuno ha proposto degli esercizi fatti agli utenti del suo posto di lavoro. Questo è positivo perché, non solo si ha ricevuto, ma si è voluto andare oltre e far provare ad altri un'esperienza che è stata piacevole e positiva per prima su di sé. Possiamo dire infine che, oltre all'atto creativo della realizzazione dell'opera, anche il desiderio di condivisione e il condividere in sé con altri è terapeutico e aiuta la persona a curare ed essere curata. ___________________________________________________________________ 66 ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO A UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES Margherita Grasselli - SST in Arti Terapie (1 anno) A.A. 2013 - 2014 6. Bibliografia Molteni R. (2007), L'arteterapia, Xenia Edizioni, Milano. Malchiodi C. A. (2013), Arteterapia, l'arte che cura, Edizione Giunti. Allen P. B. (1995), Art is a way of knowing, Shambhala, Boston. Freud S. (1923), « The Ego and the Id.» In J. Strachey (Ed.), The Complete Psychological Works of Sigmund Freud. XIX. Hogarth, London. Jung C. G., Von Franz M. 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