La politica ambientale comprende l’insieme degli interventi posti in essere da autorità pubbliche e private e da soggetti privati al fine di disciplinare quelle attività umane che riducono le disponibilità di risorse naturali o ne peggiorano la qualità e la fruibilità Il primo parco al mondo, quello di Yellowstone viene istituito nel 1872 negli Stati Uniti, negli anni seguenti altre nazioni seguono l’esempio (Australia, Canada e Nuova Zelanda) • La prima associazione italiana risale al 1898, seguita dal Touring club, e da altre associazioni di tutela del paesaggio e dei monumenti all’inizio del secolo • Nel 1953 nasce l’associazione Pronatura • Nel 1955 nasce l’associazione Italia Nostra (formata da un gruppo di personalità noti per essersi impegnate nel 1948, al momento di redigere la Costituzione Repubblicana, per l’inserimento dell’art. 9 che recita: La Repubblica tutela il patrimonio storico, artistico e naturale della Nazione • Nel 1961 nasce in Svizzera il WWf che si pone come finalità la tutela della fauna selvatica mediante l’acquisizione delle aree in cui possa vivere indisturbata • Nel 1965 nasce la LIPU • Nel 1966 nasce il WWF Italia • L’ambientalismo diventa un fenomeno di massa negli Stati Uniti con la proclamazione della Earth Day il 22 aprile 1970, a cui partecipano migliaia di studenti universitari • Nel 1970 nasce l’associazione Federnatura • Nel marzo 1980 si costituisce presso l'Università di Roma la Lega per l'ambiente, che dal 1992 si chiamerà Legambiente. Ma l'ambientalismo vero e proprio nasce negli anni '70, con il movimento antinucleare, la crescita di Legambiente, il sorgere delle Liste Verdi e la nascita di Greenpeace Italia. • In Italia il primo parco nazionale è quello del Gran Paradiso, istituito nel 1922 con R.D.L. n. 1584, già tutelato, riserva reale di caccia dal 1856 per volontà di Vittorio Emanuele II. La data di istituzione del Parco è da considerarsi storica per il nostro Paese sebbene il concetto di parco non sia stato sufficientemente recepito dall'opinione pubblica e i tempi non siano ancora maturi politicamente. Nasce da lì a breve anche il parco nazionale d'Abruzzo, progettato agli inizi del secolo e realizzato attraverso un ente privato. Sembrava che l'Italia si scuotesse per assumere addirittura un ruolo di leader nella conservazione della natura in Europa. Ma il fascismo imprime il suo marchio autoritario anche ai parchi nazionali, vengono gestiti in forma repressiva senza però impedire il bracconaggio e le manomissioni, i parchi nazionali attraversano un periodo tristissimo. L'ostilità e i pregiudizi delle popolazioni locali non si attenuarono nel dopoguerra. Anche dopo il ritorno all'autonomia gestionale i parchi del Gran Paradiso e d'Abruzzo ebbero anni di stenti, di paralisi, di incomprensioni; i parchi esistenti, con la sola eccezione del parco d'Abruzzo, riuscirono a dare limitati benefici alle popolazioni locali. E’ una novità, una rottura culturale rispetto alle associazioni protezionistiche italiane: l'attenzione al tesseramento, all'organizzazione, al reperimento delle risorse finanziarie per la realizzazione privata di oasi naturalistiche, così come l'impegno concreto nelle campagne di massa di educazione e sensibilizzazione ambientale, sono le principali caratteristiche del WWF internazionale. Il WWF Italia ha successo: nel 1971 si supera la barriera dei 10.000 soci, nel 1976 quella dei 300.000. poi la crisi del 1980 e del 1981 (25.000) e la ripresa: oltre 50.000 nel 1984, 120.000 nel 1987, sino al massimo storico di oltre 300.000 associati (più 80.000 ragazzi delle scuole) del 1991. Presidente dal 1980 sarà Fulco Pratesi, affiancato per la prima volta da un "direttore generale", con il compito di dirigere le campagne nazionali e gli uffici centrali di Roma in cui ormai lavorano decine di funzionari. in questo modo il WWF consolida al suo interno una sorta di "doppia" struttura: una partecipativa con cariche elettive, l'altra funzionaria direttiva, la prima con il compito di rappresentanza politica esterna, la seconda con un forte ruolo nell'organizzazione delle campagne di opinione. Essa dichiara di praticare l'ambientalismo scientifico, che significa estrema attenzione "a ricercare le cause reali del degrado ambientale e le forme efficaci per combatterlo", ritenendo "che sia necessaria una vasta mobilitazione di intelligenze tecnico-scientifiche e di saperi in generale. Così nasce l'idea di costituire un Comitato tecnicoscientifico che affianchi le scelte associative e dalla fine del 1983, di redigere un rapporto tecnico annuale sullo stato dell'ambiente in Italia. In generale, sembra si possa affermare che gli ambientalisti hanno esercitato un'influenza significativa sulle politiche in numerosi paesi : il movimento ambientalista ha sviluppato la propria azione ad ogni livello di policy, da quello locale a quello internazionale. A livello locale l'opposizione ecologista ha indubbiamente contribuito a rinviare, ridimensionare e talvolta cancellare progetti aventi significative ripercussioni sull'ambiente; gli ambientalisti certamente contribuiscono a formare e ad aggregare la domanda ambientale, ed esercitano un'influenza sulla selezione delle domande e sul processo decisionale. In Italia le organizzazioni ambientaliste svolgono un'azione di controllo e monitoraggio del rispetto anche in relazione agli accordi internazionali e alle direttive comunitarie, incentivando così gli stati a dare reale seguito agli accordi Si potrebbe dire che "ufficialmente" la politica dell'ambiente nasce in Italia nel 1986 con la legge 349 dell'8 luglio che istituisce il Ministero dell'Ambiente. Altri Ministeri con nomi analoghi o, comunque, tentativi di dare un minimo di organicità ad una materia che andava imponendosi all'attenzione di strati crescenti dell'opinione pubblica c'erano già stati in precedenza. Nel 1975 era stato costituito il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali; nel 1979 fu costituito il Comitato interministeriale per l'ambiente (CIPA). Nel 1984 vi fu anche un tentativo senza successo di costituire un dicastero con competenza esclusiva in materia ambientale: il Ministero per l'Ecologia. Ma la sostanziale saltuarietà di questi provvedimenti non consente di rilevare alcun importante impatto di quegli episodi ministeriali sul tentativo di sistematizzazione e razionalizzazione della politica dell'ambiente in Italia. A partire dagli anni '70, anche in Europa sono stati rapidamente approvati programmi statali e regionali per la difesa dell'ambiente, facenti capo a nuove, importanti leggi ambientali (in materia di tutela dell'aria e dell'acqua dall'inquinamento, smaltimento dei rifiuti, difesa della natura) e sono state organizzate nuove strutture tecnicoamministrative autonome. In questo periodo, che appare molto creativo, in Italia hanno svolto un ruolo significativo le Regioni, spesso anticipando le riforme dello Stato. Ciò è particolarmente evidente nel settore delle aree protette, dove soprattutto le Regioni settentrionali in un ventennio hanno realizzato sistemi già maturi al momento dell'approvazione della legge-quadro nazionale, tra loro differenziati, ma comunque caratterizzati da una forte autonomia normativa ed amministrativa. Dalla metà degli anni '70, la politica ambientale è stata dichiarata compito comunitario e le direttive comunitarie hanno avuto un'importanza crescente, limitando gli spazi di autonomia statale. Anche in questo ambito istituzionale, l'interesse per la difesa ecologica dell'ambiente (v. direttiva 92/43/CEE sulla conservazione degli habitat naturali), si affaccia successivamente a quello per la difesa tecnologica. Crescente è anche il peso delle Convenzioni internazionali in materia ambientale, tra cui alcune si riferiscono alla difesa della natura (Bonn, Berna, ecc.). La politica ambientale ha saputo sviluppare un sistema importante di principi, alcuni dei quali di grande interesse quali: il principio di prevenzione che mira a realizzare adeguate misure che consentano di evitare o ridurre il più possibile i danni ambientali derivanti dagli interventi dell'economia e della società, prima della loro manifestazione. il principio di sussidiarietà che ha la funzione di garantire che le finalità e gli obiettivi della politica ambientale vengano perseguiti al livello territoriale più appropriato, tenuto conto dell'identità e della sensibilità ambientale delle varie zone e della più oculata scelta degli strumenti da porre in atto a tutti i livelli istituzionali, con la tendenza ad assumere le decisioni concrete il più possibile vicino ai cittadini; il principio di cooperazione che mira ad assicurare, tra le varie istituzioni, nonché tra queste e la società, la necessaria collaborazione per la difesa dell'ambiente, migliorando le decisioni e il loro grado di accettazione ed affermando uno spirito di corresponsabilità. In particolare esso richiede la più ampia collaborazione tra i vari livelli istituzionali, evitando di operare ad un livello ad esclusione di altri, ma piuttosto combinando strumenti ed attori a livelli diversi. La legge 6 dicembre 1991 n. 394 è stata approvata in via definitiva alla Camera dei deputati il 20 novembre 1991, ed è entrata in vigore il successivo 28 dicembre. Si è parlato di un evento storico. Infatti dagli incerti passi dei primi decenni del secolo - quando la conservazione della natura era intesa unicamente come tutela delle bellezze del paesaggio - si è pervenuti finalmente ad una normativa organica e unitaria cui è sottesa una visione più globale, comprensiva anche della protezione dei valori ecologici e scientifici. Gli aspetti più qualificanti della legge possono essere sintetizzati nei termini seguenti: Lo Stato può istituire nuovi parchi nazionali. Le regioni hanno potestà legislativa oltre che amministrativa in materia di parchi naturali regionali e sono tenute ad adeguare la loro legislazione ai principi generali della legge e alle norme di riforma economico-sociale introdotte all'art. 22. Non si possono istituire aree naturali protette ovunque, ma soltanto là dove, secondo valutazione scientifica confortata dai risultati della ricerca, sia opportuno o urgente apprestare una particolare tutela di ìvalori estetici, scientifici, ecologici di raro pregio. Nelle aree naturali protette compete priorità alla conservazione, che è valore ìnsuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro interesse, compreso quello economico. Conseguentemente il piano del parco è sovraordinato agli altri strumenti di pianificazione e le iniziative economico-sociali debbono ottenere per questo il parere vincolante del consiglio direttivo dell'ente parco. Il piano del parco si estrinseca nella zonazione che stabilisce i diversi usi e gradi di tutela in considerazione delle emergenze naturalistiche, dei valori ecologici ed estetici, delle preesistenze edilizie inevitabili. La distinzione fra aree naturali protette internazionali, nazionali, regionali e locali dipende dalla dimensione degli interessi e dei valori: nelle sue decisioni l'autorità politica dovrebbe sempre attenersi alle indicazioni e proposte scientifiche fondate sui risultati della ricerca. Le competenze congiunte di amministrazione diretta e di alta consulenza attribuite al Consiglio centrale dei parchi nazionali e al Consiglio dei parchi e delle altre aree protette sono scisse dalla legge 394/1991 fra Comitato (amministrazione attiva) e Consulta tecnica (consulenza tecnico-scietifica). L’ organi di carattere politico, denominato Comitato per le aree naturali protette e costituito da sei Ministri o sottosegretari delegati e da sei Presidenti di Regioni o assessori delegati, l'altro consultivo, di carattere tecnico, denominato Consulta tecnica per le aree naturali protette, e costituita da esperti particolarmente qualificati. Il programma per le aree naturali protette è adottato dal Comitato, sentita la Consulta e sulla base della Carta della natura predisposta dai Servizi tecnici nazionali, la quale individua lo stato dell'ambiente naturale in Italia, evidenziando i valori naturali ed i profili di vulnerabilità territoriale. Il programma, innanzitutto, identifica le linee fondamentali dell'assetto del territorio con riferimento ai valori naturali ed ambientali e svolge inoltre i seguenti compiti: specifica i territori che formano oggetto del sistema delle aree naturali protette di interesse internazionale, nazionale e regionale, operando la necessaria delimitazione dei confini; indica il termine per l'istituzione di nuove aree naturali protette o per l'ampliamento e la modifica di quelle esistenti, individuando la delimitazione di massima delle aree stesse; definisce il riparto delle disponibilità finanziarie per ciascuna area e per ciascun servizio finanziario; prevede contributi in conto capitale per le attività nelle aree naturali protette istituite dalle Regioni relativi all'istituzione di dette aree; determina i criteri e gli indirizzi di gestione delle aree protette nell'attuazione del programma per quanto di loro competenza, ivi compresi i compiti relativi all'informazione ed all'Educazione Ambientale delle popolazioni interessate, sulla base dell'esigenza di unitarietà delle aree da proteggere L'inclusione nel consiglio direttivo dell'ente parco degli esperti di designazione delle comunità scientifica e delle associazioni di protezione ambientale è un riconoscimento della competenza tecnica e del ruolo etico-politico di quella parte della società civile che concorre al perseguimento di finalità di interesse pubblico ambientale-naturalistico anche attraverso dirette esperienze di gestione di aree naturali protette (e infatti l'Università di Camerino, il WWF Italia, la LIPU, il FAT e Federnatura amministrano oasi e riserve naturali). La comunità del parco è organo dell'ente, con cospicua rappresentanza nel consiglio direttivo (5 consiglieri), funzioni consultive e compiti promozionali (predisporre il piano economico-sociale). La comunità del parco è stata concepita per rinsaldare il rapporto tra parco e popolazioni e superare i tradizionali conflitti che hanno a lungo travagliato l'attività dei parchi nazionali preesistenti alla legge. La legge 394/91 ha prodotto indubbi risultati positivi: ha portato all'istituzione fino ad ora di ben 6 nuovi parchi nazionali (Parco del Cilento e della Valle del Diano, del Gargano, del Gran Sasso e Monti della Laga, del Vesuvio, della Maiella, della Val Grande); ha fornito un quadro normativo e organizzativo unitario a tutti i parchi nazionali e criteri unitari per i parchi regionali; ha definito la procedura per l'istituzione dei parchi e delle riserve marine; ha introdotto una precisa classificazione delle aree naturali protette ed un loro elenco ufficiale. La legge 394/91 definisce la classificazione delle aree naturali protette e istituisce l'Elenco ufficiale delle aree protette ,nel quale vengono iscritte tutte le aree che rispondono ai criteri stabiliti, a suo tempo, dal Comitato nazionale per le aree protette. Attualmente il sistema delle aree naturali protette è classificato come segue: I Parchi nazionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future. I Parchi naturali regionali e interregionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali ed eventualmente da tratti di mare prospicienti la costa, di valore naturalistico e ambientale, che costituiscono, nell'ambito di una o più regioni limitrofe, un sistema omogeneo, individuato dagli assetti naturalistici dei luoghi, dai valori paesaggistici e artistici e dalle tradizioni culturali delle popolazioni locali. Le Riserve naturali sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi importanti per la diversità biologica o per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli elementi naturalistici in esse rappresentati. Le Zone umide di interesse internazionale sono costituite da aree acquitrinose, paludi, torbiere oppure zone naturali o artificiali d'acqua, permanenti o transitorie comprese zone di acqua marina la cui profondità, quando c'è bassa marea, non superi i sei metri che, per le loro caratteristiche, possono essere considerate di importanza internazionale ai sensi della convenzione di Ramsar. Le Altre aree naturali protette sono aree (oasi delle associazioni ambientaliste, parchi suburbani, ecc.) che non rientrano nelle precedenti classi. Si dividono in aree di gestione pubblica, istituite cioè con leggi regionali o provvedimenti equivalenti, e aree a gestione privata, istituite con provvedimenti formali pubblici o con atti contrattuali quali concessioni o forme equivalenti. Le Aree di reperimento terrestri e marine indicate dalle leggi 394/91 e 979/82, che costituiscono aree la cui conservazione attraverso l'istituzione di aree protette è considerata prioritaria. Al fine dell'istituzione di un'area marina protetta, un tratto di mare deve innanzitutto essere individuato per legge quale " area marina di reperimento". Una volta avviato l'iter istruttorio all'area marina di reperimento, questa viene considerata come area marina protetta di prossima istituzione. Le aree marine protette sono istituite ai sensi delle leggi n. 979 del 1982 e n. 394 del 1991 con un Decreto del Ministro dell'ambiente che contiene la denominazione e la delimitazione dell'area, gli obiettivi e la disciplina di tutela a cui è finalizzata la protezione. Ogni area è suddivisa in tre tipologie di zone con diversi gradi di tutela. Sono costituite da ambienti marini, dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicenti, che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine e costiere e per l'importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che rivestono. Possono essere costituiti da un ambiente marino avente rilevante valore storico, archeologico-ambientale e culturale. Le aree marine protette generalmente sono suddivise al loro interno in diverse tipologie di zone denominate A, B e C. L'intento è quello di assicurare la massima protezione agli ambiti di maggior valore ambientale, che ricadono nelle zone di riserva integrale (zona A), applicando in modo rigoroso i vincoli stabiliti dalla legge. Con le zone B e C si vuole assicurare una gradualità di protezione attuando, attraverso i Decreti Istitutivi, delle eccezioni (deroghe) a tali vincoli al fine di coniugare la conservazione dei valori ambientali con la fruizione ed uso sostenibile dell'ambiente marino. Le tre tipologie di zone sono delimitate da coordinate geografiche e riportate nella cartografia allegata al Decreto Istitutivo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Zona A (nella cartografia evidenziata con il colore rosso), di riserva integrale, interdetta a tutte le attività che possano arrecare danno o disturbo all'ambiente marino. La zona A è il vero cuore della riserva. In tale zona, individuata in ambiti ridotti, sono consentite in genere unicamente le attività di ricerca scientifica e le attività di servizio. Zona B (nella cartografia evidenziata con il colore giallo), di riserva generale, dove sono consentite, spesso regolamentate e autorizzate dall'organismo di gestione, una serie di attività che, pur concedendo una fruizione ed uso sostenibile dell'ambiente influiscono con il minor impatto possibile. Anche le zone B di solito non sono molto estese. Zona C (nella cartografia evidenziata con il colore azzurro), di riserva parziale, che rappresenta la fascia tampone tra le zone di maggior valore naturalistico e i settori esterni all'area marina protetta, dove sono consentite e regolamentate dall'organismo di gestione, oltre a quanto già consentito nelle altre zone, le attività di fruizione ed uso sostenibile del mare di modesto impatto ambientale. La maggior estensione dell'area marina protetta in genere ricade in zona C. La commissione di riserva affianca l'Ente delegato, nella gestione della riserva, formulando proposte e suggerimenti per tutto quanto attiene al funzionamento della riserva medesima. In particolare la commissione dà il proprio parere alla proposta del regolamento di esecuzione del decreto istitutivo e di organizzazione della riserva, ivi comprese le previsioni relative alle spese di gestione, formulate dall'Ente delegato. E' istituita presso l'Ente Gestore e sulla base di quanto previsto dall'art. 2, comma 339, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 è così composta: un rappresentante del Ministro, con funzioni di Presidente un esperto designato dalla Regione interessata, con funzioni di vice Presidente un esperto designato d'intesa tra i Comuni rivieraschi interessati un esperto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare un rappresentante della Capitaneria di porto, su proposta del Reparto Ambientale Marino presso il Ministero dell'Ambiente un esperto designato dall'Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) un esperto designato dalle associazioni ambientaliste maggiormente rappresentative e riconosciute dal Ministero dell'Ambiente. per l'effettiva istituzione di un'area marina protetta occorre innanzitutto disporre di un aggiornato quadro di conoscenze sull'ambiente naturale d'interesse, oltre ai dati necessari sulle attività socio-economiche che si svolgono nell'area. Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, Servizio Difesa del Mare, per l'acquisizione di tali conoscenze e dati può anche avvalersi di istituti scientifici, laboratori ed enti di ricerca. Gli studi sono generalmente distinti in due fasi: nella prima viene esaminata la letteratura già esistente sull'area; nella seconda fase vengono effettuati gli approfondimenti necessari per un quadro conoscitivo concreto ed esaustivo. Successivamente gli Esperti della Segreteria tecnica per le Aree Marine Protette (art.2,co.14 L. n. 426 del 1998) possono avviare l'istruttoria istitutiva. Al fine di delineare una proposta della futura area marina protetta che ne rispetti le caratteristiche naturali e socio-economiche, gli Esperti della Segreteria tecnica arricchiscono l'indagine conoscitiva fornita dagli studi con sopralluoghi mirati e con confronti con gli Enti e le comunità locali. La definizione di perimetrazione dell'area (i confini esterni), la zonazione al suo interno (le diverse zone A, B e C), e la tutela operata attraverso i diversi gradi di vincoli nelle tre zone, sono parte dello schema di decreto istitutivo redatto alla fine dell'istruttoria. Sullo schema di decreto vengono sentiti la Regione e gli enti locali interessati dall'istituenda area marina protetta, per l'ottenimento di un concreto ed armonico consenso locale. Infine, come stabilito dal Decreto Legislativo n. 112/98 art.77, occorre acquisire il parere della Conferenza Unificata su tale schema di DM. A questo punto, il Ministro dell'ambiente, d'intesa con il Ministro del tesoro, procede all'effettiva istituzione dell'area marina protetta, autorizzando anche il finanziamento per far fronte alle prime spese relative all'istituzione (L. n. 394/91 art.18 e L. n. 93/01 art.8). Il Decreto Ministeriale, se non diversamente specificato, entra in vigore il giorno successivo dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. La gestione delle aree marine protette è affidata ad enti pubblici, istituzioni scientifiche o associazioni ambientaliste riconosciute, anche consorziati tra di loro. L'affidamento avviene con decreto del Ministro dell'ambiente, sentiti la regione e gli enti locali territorialmente interessati. La maggior parte delle aree marine protette sono gestite dai comuni interessati. (L. 979/82 art.28, L. 394/91 art.19 comma 6 e 93/01 art. 8 comma 8) Il regolamento dell'area marina protetta definisce in via definitiva e disciplina i divieti e le eventuali deroghe in funzione del grado di protezione necessario per la tutela degli ecosistemi di pregio. Proposto dall'Ente gestore, sentito il parere della Commissione di Riserva, è approvato con decreto del Ministro dell'ambiente. Prima della formulazione del regolamento, un Ente gestore ha la facoltà di applicare delle discipline provvisorie per alcune delle attività che si svolgono all'interno dell'area marina protetta, naturalmente nell'ambito di quanto stabilito dal decreto istitutivo. La Segreteria Tecnica per le Aree Marine Protette è stata istituita dall'articolo 2, comma 14, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, per istruire l'istituzione e l'aggiornamento delle Aree Marine Protette, per il supporto alla gestione, al funzionamento e alla progettazione degli interventi da realizzare con finanziamenti nazionali e/o comunitari. La legge 394/91 articolo 19 individua le attività vietate nelle aree protette marine, quelle cioè che possono compromettere la tutela delle caratteristiche dell'ambiente oggetto della protezione e delle finalità istitutive dell'area. I Decreti Istitutivi delle aree marine protette, considerando la natura e le attività socio - economiche dei luoghi, possono però prevedere alcune eccezioni (deroghe) ai divieti stabiliti dalla L. 394/91 oltre a dettagliare in modo più esaustivo i vincoli. A tal proposito si rimanda ad ogni singolo Decreto Istitutivo o eventuale successivo decreto di modifica e, laddove presente, al regolamento, per ognuna delle 16 aree marine protette. In generale la legge 394/91 vieta nelle aree marine protette A) la cattura, la raccolta e il danneggiamento delle specie animali e vegetali nonché l'asportazione di minerali e di reperti archeologici; B) l'alterazione dell'ambiente geofisico e delle caratteristiche chimiche e idrobiologiche delle acque; C) lo svolgimento di attività pubblicitarie; D) l'introduzione di armi, di esplosivi e ogni altro mezzo distruttivo e di cattura; E) la navigazione a motore; F) ogni forma di discarica di rifiuti solidi e liquidi. Le aree marine protette sono 27 oltre a 2 parchi sommersi che tutelano complessivamente circa 222000 ettari di mare e circa 700 chilometri di costa. Ogni area è suddivisa, generalmente, in tre tipologie di zone con diversi gradi di tutela. Sono costituite da ambienti marini, dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti, che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche, fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine e costiere e per l'importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed economica che rivestono. Vi è inoltre il Santuario Internazionale dei mammiferi marini, detto anche Santuario dei Cetacei. L'obiettivo di un sistema di gestione ambientale è definire volontariamente dei traguardi per migliorare continuamente e prevenire gli effetti ambientali della propria azienda. Individuare gli effetti ambientali e valutare i principali punti di forza e di debolezza della propria impresa, dal punto di vista legislativo, tecnico e organizzativo, sono il primo e fondamentale passo per costruire un sistema efficace ed efficiente. Questa prima fase di analisi degli aspetti ambientali, degli impatti, delle performances ambientali e delle attività di controllo connesse, comunemente chiamata analisi ambientale iniziale, consiste quindi in un auto-controllo, a cui farà seguito da parte della Direzione aziendale la decisione sulla politica ambientale che dovrà fungere da guida alla pianificazione dei provvedimenti di intervento. Bisogna sempre tenere presente che i sistemi di gestione ambientale sono degli strumenti volontari, ossia non vi sono ad oggi disposizioni normative che li impongano, sebbene esistano norme che stabiliscano quali requisiti questi sistemi debbano avere. Il rispetto di tali norme diventa un'esigenza imprescindibile nel momento in cui l'impresa decida di ottenere un riconoscimento esterno, cioè una certificazione. E' spontaneo pensare subito che la tutela dell'ambiente non possa che non comportare dei costi per l'impresa, ma in realtà è un modo errato di affrontare la questione quella di considerare la realizzazione di un sistema di gestione ambientale come solo un fattore di costo. Senza volersi dilungare sui vantaggi di tipo "ambientale", che comunque non vogliono da noi essere trascurati, numerosi possono essere i benefici che possono derivare alle aziende nell'adottare un SGA e volerne fare un elenco sarebbe riduttivo se non inappropriato, dal momento che questi sono in stretta dipendenza con la tipologia dell'impresa. Detto questo, a semplice titolo esemplificativo, possiamo cercare di riassumere quelli che potrebbero essere i possibili benefici per l'impresa conseguenti all'adozione dello standard ISO 14000: rafforzato e documentato controllo del rispetto della legge; ritorno economico dall'aumento di efficienza nell'utilizzo delle risorse; maggiori capacità contrattuali (protezione o aumento di quote di mercato); facilitazione nelle transazioni di proprietà (dove è rilevante il fattore ambientale); migliori rapporti con gli investitori, assicurazioni, ecc.; migliori rapporti interni (lavoratori, ecc.) ed esterni (comunità locali, ecc.) all'impresa. Gli elementi costitutivi del sistema di gestione ambientale secondo lo standard ISO14001 possono essere così individuati: Elementi formali: politica ambientale e sicurezza aziendale aspetti ambientali requisiti legali obiettivi e targets programma (valutazione effetti, interventi, costi, ecc.) . Sistema gestionale: organizzazione, responsabilità formazione/comunicazione/documentazione situazioni operative/emergenze . Sistema di controllo: monitoraggio/verifiche/registrazioni non conformità/azioni correttive/prevenzione Costituisce la fase in cui si determinano i requisiti che l'organizzazione deve soddisfare e si stabiliscono gli obiettivi e traguardi che vuol conseguire, ed infine si predispone un programma (o programmi) per raggiungerli. Gli Aspetti ambientali In particolare ISO14001 al par.4.3 richiede che "l'organizzazione deve stabilire e mantenere attiva una procedura (o procedure) per individuare gli aspetti ambientali delle proprie attività, prodotti o servizi che può tenere sotto controllo e su cui ci si può attendere che abbia una influenza, al fine di determinare quelli che hanno o possono avere impatti significativi sull'ambiente". Prescrizioni Legali L'organizzazione deve identificare ed avere accesso alle prescrizioni di legge e alle altre regolamentazioni e norme che si applicano agli aspetti ambientali della stessa. Obiettivi e Traguardi Gli obiettivi e i traguardi ambientali debbono essere fissati, documentati e comunicati a tutta l'organizzazione. Gli obiettivi sono a "lungo termine" del tipo ad es. "ridurremo i rifiuti destinati a discarica". I traguardi sono a "breve termine" del tipo ad es. "ridurremo entro quest'anno le emissioni di sostanze organiche del 20%, i rifiuti tossici del 30%". I traguardi possono variare per i diversi settori di una organizzazione in funzione dell'attività, dei prodotti e servizi. Programma di Gestione Ambientale Possono essere necessari uno o più programmi per raggiungere gli obiettivi e i traguardi stabiliti. Questi programmi assegnano le responsabilità nelle varie funzioni dell'organizzazione e specificano risorse, mezzi e tempo per conseguirli.