La politica ambientale comprende l’insieme
degli interventi posti in essere da autorità
pubbliche e private e da soggetti privati al
fine di disciplinare quelle attività umane che
riducono le disponibilità di risorse naturali o
ne peggiorano la qualità e la fruibilità
Il primo parco al mondo, quello di Yellowstone viene istituito nel 1872 negli Stati
Uniti, negli anni seguenti altre nazioni seguono l’esempio (Australia, Canada e
Nuova Zelanda)
• La prima associazione italiana risale al 1898, seguita dal Touring club, e da altre
associazioni di tutela del paesaggio e dei monumenti all’inizio del secolo
• Nel 1953 nasce l’associazione Pronatura
• Nel 1955 nasce l’associazione Italia Nostra (formata da un gruppo di personalità noti
per essersi impegnate nel 1948, al momento di redigere la Costituzione
Repubblicana, per l’inserimento dell’art. 9 che recita: La Repubblica tutela il
patrimonio storico, artistico e naturale della Nazione
• Nel 1961 nasce in Svizzera il WWf che si pone come finalità la tutela della fauna
selvatica mediante l’acquisizione delle aree in cui possa vivere indisturbata
• Nel 1965 nasce la LIPU
• Nel 1966 nasce il WWF Italia
• L’ambientalismo diventa un fenomeno di massa negli Stati Uniti con la
proclamazione della Earth Day il 22 aprile 1970, a cui partecipano migliaia di studenti
universitari
• Nel 1970 nasce l’associazione Federnatura
• Nel marzo 1980 si costituisce presso l'Università di Roma la Lega per l'ambiente, che
dal 1992 si chiamerà Legambiente.
Ma l'ambientalismo vero e proprio nasce negli anni '70, con il movimento antinucleare,
la crescita di Legambiente, il sorgere delle Liste Verdi e la nascita di Greenpeace
Italia.
•
In Italia il primo parco nazionale è quello del Gran Paradiso, istituito nel 1922 con
R.D.L. n. 1584, già tutelato, riserva reale di caccia dal 1856 per volontà di Vittorio
Emanuele II. La data di istituzione del Parco è da considerarsi storica per il nostro
Paese sebbene il concetto di parco non sia stato sufficientemente recepito
dall'opinione pubblica e i tempi non siano ancora maturi politicamente. Nasce da
lì a breve anche il parco nazionale d'Abruzzo, progettato agli inizi del secolo e
realizzato attraverso un ente privato. Sembrava che l'Italia si scuotesse per
assumere addirittura un ruolo di leader nella conservazione della natura in
Europa. Ma il fascismo imprime il suo marchio autoritario anche ai parchi
nazionali, vengono gestiti in forma repressiva senza però impedire il
bracconaggio e le manomissioni, i parchi nazionali attraversano un periodo
tristissimo. L'ostilità e i pregiudizi delle popolazioni locali non si attenuarono nel
dopoguerra. Anche dopo il ritorno all'autonomia gestionale i parchi del Gran
Paradiso e d'Abruzzo ebbero anni di stenti, di paralisi, di incomprensioni; i parchi
esistenti, con la sola eccezione del parco d'Abruzzo, riuscirono a dare limitati
benefici alle popolazioni locali.
E’ una novità, una rottura culturale rispetto alle associazioni protezionistiche
italiane: l'attenzione al tesseramento, all'organizzazione, al reperimento delle
risorse finanziarie per la realizzazione privata di oasi naturalistiche, così come
l'impegno concreto nelle campagne di massa di educazione e sensibilizzazione
ambientale, sono le principali caratteristiche del WWF internazionale.
Il WWF Italia ha successo: nel 1971 si supera la barriera dei 10.000 soci, nel 1976
quella dei 300.000. poi la crisi del 1980 e del 1981 (25.000) e la ripresa: oltre
50.000 nel 1984, 120.000 nel 1987, sino al massimo storico di oltre 300.000
associati (più 80.000 ragazzi delle scuole) del 1991.
Presidente dal 1980 sarà Fulco Pratesi, affiancato per la prima volta da un "direttore
generale", con il compito di dirigere le campagne nazionali e gli uffici centrali di
Roma in cui ormai lavorano decine di funzionari. in questo modo il WWF
consolida al suo interno una sorta di "doppia" struttura: una partecipativa con
cariche elettive, l'altra funzionaria direttiva, la prima con il compito di
rappresentanza politica esterna, la seconda con un forte ruolo
nell'organizzazione delle campagne di opinione.
Essa dichiara di praticare l'ambientalismo scientifico,
che significa estrema attenzione "a ricercare le
cause reali del degrado ambientale e le forme
efficaci per combatterlo", ritenendo "che sia
necessaria una vasta mobilitazione di intelligenze
tecnico-scientifiche e di saperi in generale. Così
nasce l'idea di costituire un Comitato tecnicoscientifico che affianchi le scelte associative e dalla
fine del 1983, di redigere un rapporto tecnico
annuale sullo stato dell'ambiente in Italia.
In generale, sembra si possa affermare che gli ambientalisti
hanno esercitato un'influenza significativa sulle politiche in
numerosi paesi : il movimento ambientalista ha sviluppato la
propria azione ad ogni livello di policy, da quello locale a
quello internazionale. A livello locale l'opposizione ecologista
ha indubbiamente contribuito a rinviare, ridimensionare e
talvolta cancellare progetti aventi significative ripercussioni
sull'ambiente; gli ambientalisti certamente contribuiscono a
formare e ad aggregare la domanda ambientale, ed
esercitano un'influenza sulla selezione delle domande e sul
processo decisionale.
In Italia le organizzazioni ambientaliste
svolgono un'azione di controllo e
monitoraggio del rispetto anche in relazione
agli accordi internazionali e alle direttive
comunitarie, incentivando così gli stati a dare
reale seguito agli accordi
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

Si potrebbe dire che "ufficialmente" la politica dell'ambiente nasce in
Italia nel 1986 con la legge 349 dell'8 luglio che istituisce il Ministero
dell'Ambiente.
Altri Ministeri con nomi analoghi o, comunque, tentativi di dare un
minimo di organicità ad una materia che andava imponendosi
all'attenzione di strati crescenti dell'opinione pubblica c'erano già stati in
precedenza. Nel 1975 era stato costituito il Ministero per i Beni Culturali e
Ambientali; nel 1979 fu costituito il Comitato interministeriale per
l'ambiente (CIPA).
Nel 1984 vi fu anche un tentativo senza successo di costituire un
dicastero con competenza esclusiva in materia ambientale: il Ministero
per l'Ecologia. Ma la sostanziale saltuarietà di questi provvedimenti non
consente di rilevare alcun importante impatto di quegli episodi
ministeriali sul tentativo di sistematizzazione e razionalizzazione della
politica dell'ambiente in Italia.
A partire dagli anni '70, anche in Europa sono stati rapidamente approvati programmi
statali e regionali per la difesa dell'ambiente, facenti capo a nuove, importanti leggi
ambientali (in materia di tutela dell'aria e dell'acqua dall'inquinamento, smaltimento
dei rifiuti, difesa della natura) e sono state organizzate nuove strutture tecnicoamministrative autonome.
 In questo periodo, che appare molto creativo, in Italia hanno svolto un ruolo
significativo le Regioni, spesso anticipando le riforme dello Stato. Ciò è
particolarmente evidente nel settore delle aree protette, dove soprattutto le Regioni
settentrionali in un ventennio hanno realizzato sistemi già maturi al momento
dell'approvazione della legge-quadro nazionale, tra loro differenziati, ma comunque
caratterizzati da una forte autonomia normativa ed amministrativa.
 Dalla metà degli anni '70, la politica ambientale è stata dichiarata compito
comunitario e le direttive comunitarie hanno avuto un'importanza crescente,
limitando gli spazi di autonomia statale. Anche in questo ambito istituzionale,
l'interesse per la difesa ecologica dell'ambiente (v. direttiva 92/43/CEE sulla
conservazione degli habitat naturali), si affaccia successivamente a quello per la difesa
tecnologica. Crescente è anche il peso delle Convenzioni internazionali in materia
ambientale, tra cui alcune si riferiscono alla difesa della natura (Bonn, Berna, ecc.).
La politica ambientale ha saputo sviluppare un sistema importante di principi, alcuni
dei quali di grande interesse quali:
 il principio di prevenzione che mira a realizzare adeguate misure che
consentano di evitare o ridurre il più possibile i danni ambientali derivanti dagli
interventi dell'economia e della società, prima della loro manifestazione.
 il principio di sussidiarietà che ha la funzione di garantire che le finalità e gli
obiettivi della politica ambientale vengano perseguiti al livello territoriale più
appropriato, tenuto conto dell'identità e della sensibilità ambientale delle varie
zone e della più oculata scelta degli strumenti da porre in atto a tutti i livelli
istituzionali, con la tendenza ad assumere le decisioni concrete il più possibile
vicino ai cittadini;
 il principio di cooperazione che mira ad assicurare, tra le varie istituzioni, nonché
tra queste e la società, la necessaria collaborazione per la difesa dell'ambiente,
migliorando le decisioni e il loro grado di accettazione ed affermando uno spirito
di corresponsabilità. In particolare esso richiede la più ampia collaborazione tra i
vari livelli istituzionali, evitando di operare ad un livello ad esclusione di altri, ma
piuttosto combinando strumenti ed attori a livelli diversi.
La legge 6 dicembre 1991 n. 394 è stata approvata in via
definitiva alla Camera dei deputati il 20 novembre 1991, ed è
entrata in vigore il successivo 28 dicembre. Si è parlato di un
evento storico. Infatti dagli incerti passi dei primi decenni
del secolo - quando la conservazione della natura era intesa
unicamente come tutela delle bellezze del paesaggio - si è
pervenuti finalmente ad una normativa organica e unitaria
cui è sottesa una visione più globale, comprensiva anche
della protezione dei valori ecologici e scientifici.
Gli aspetti più qualificanti della legge possono essere sintetizzati nei termini
seguenti:
 Lo Stato può istituire nuovi parchi nazionali.
 Le regioni hanno potestà legislativa oltre che amministrativa in materia di parchi
naturali regionali e sono tenute ad adeguare la loro legislazione ai principi
generali della legge e alle norme di riforma economico-sociale introdotte all'art.
22.
 Non si possono istituire aree naturali protette ovunque, ma soltanto là dove,
secondo valutazione scientifica confortata dai risultati della ricerca, sia
opportuno o urgente apprestare una particolare tutela di ìvalori estetici,
scientifici, ecologici di raro pregio.
 Nelle aree naturali protette compete priorità alla conservazione, che è valore
ìnsuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro interesse, compreso quello
economico. Conseguentemente il piano del parco è sovraordinato agli altri
strumenti di pianificazione e le iniziative economico-sociali debbono ottenere per
questo il parere vincolante del consiglio direttivo dell'ente parco.



Il piano del parco si estrinseca nella zonazione che stabilisce i diversi usi e
gradi di tutela in considerazione delle emergenze naturalistiche, dei
valori ecologici ed estetici, delle preesistenze edilizie inevitabili.
La distinzione fra aree naturali protette internazionali, nazionali,
regionali e locali dipende dalla dimensione degli interessi e dei valori:
nelle sue decisioni l'autorità politica dovrebbe sempre attenersi alle
indicazioni e proposte scientifiche fondate sui risultati della ricerca.
Le competenze congiunte di amministrazione diretta e di alta consulenza
attribuite al Consiglio centrale dei parchi nazionali e al Consiglio dei
parchi e delle altre aree protette sono scisse dalla legge 394/1991 fra
Comitato (amministrazione attiva) e Consulta tecnica (consulenza
tecnico-scietifica).



L’ organi di carattere politico, denominato Comitato per le aree naturali
protette e costituito da sei Ministri o sottosegretari delegati e da sei
Presidenti di Regioni o assessori delegati, l'altro consultivo, di carattere
tecnico, denominato Consulta tecnica per le aree naturali protette, e
costituita da esperti particolarmente qualificati.
Il programma per le aree naturali protette è adottato dal Comitato,
sentita la Consulta e sulla base della Carta della natura predisposta dai
Servizi tecnici nazionali, la quale individua lo stato dell'ambiente naturale
in Italia, evidenziando i valori naturali ed i profili di vulnerabilità
territoriale.
Il programma, innanzitutto, identifica le linee fondamentali dell'assetto
del territorio con riferimento ai valori naturali ed ambientali e svolge
inoltre i seguenti compiti:

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
specifica i territori che formano oggetto del sistema delle aree naturali
protette di interesse internazionale, nazionale e regionale, operando la
necessaria delimitazione dei confini;
indica il termine per l'istituzione di nuove aree naturali protette o per
l'ampliamento e la modifica di quelle esistenti, individuando la
delimitazione di massima delle aree stesse;
definisce il riparto delle disponibilità finanziarie per ciascuna area e per
ciascun servizio finanziario;
prevede contributi in conto capitale per le attività nelle aree naturali
protette istituite dalle Regioni relativi all'istituzione di dette aree;
determina i criteri e gli indirizzi di gestione delle aree protette
nell'attuazione del programma per quanto di loro competenza, ivi
compresi i compiti relativi all'informazione ed all'Educazione Ambientale
delle popolazioni interessate, sulla base dell'esigenza di unitarietà delle
aree da proteggere


L'inclusione nel consiglio direttivo dell'ente parco degli esperti di
designazione delle comunità scientifica e delle associazioni di protezione
ambientale è un riconoscimento della competenza tecnica e del ruolo
etico-politico di quella parte della società civile che concorre al
perseguimento di finalità di interesse pubblico ambientale-naturalistico
anche attraverso dirette esperienze di gestione di aree naturali protette
(e infatti l'Università di Camerino, il WWF Italia, la LIPU, il FAT e
Federnatura amministrano oasi e riserve naturali).
La comunità del parco è organo dell'ente, con cospicua rappresentanza
nel consiglio direttivo (5 consiglieri), funzioni consultive e compiti
promozionali (predisporre il piano economico-sociale). La comunità del
parco è stata concepita per rinsaldare il rapporto tra parco e popolazioni
e superare i tradizionali conflitti che hanno a lungo travagliato l'attività
dei parchi nazionali preesistenti alla legge.
La legge 394/91 ha prodotto indubbi risultati positivi: ha
portato all'istituzione fino ad ora di ben 6 nuovi parchi
nazionali (Parco del Cilento e della Valle del Diano, del
Gargano, del Gran Sasso e Monti della Laga, del Vesuvio,
della Maiella, della Val Grande); ha fornito un quadro
normativo e organizzativo unitario a tutti i parchi nazionali e
criteri unitari per i parchi regionali; ha definito la procedura
per l'istituzione dei parchi e delle riserve marine; ha
introdotto una precisa classificazione delle aree naturali
protette ed un loro elenco ufficiale.
La legge 394/91 definisce la classificazione delle
aree naturali protette e istituisce l'Elenco
ufficiale delle aree protette ,nel quale vengono
iscritte tutte le aree che rispondono ai criteri
stabiliti, a suo tempo, dal Comitato nazionale
per le aree protette.
Attualmente il sistema delle aree naturali
protette è classificato come segue:
I Parchi nazionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali
o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o
anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più
formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche,
di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici,
scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da
richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro
conservazione per le generazioni presenti e future.
I Parchi naturali regionali e interregionali sono
costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali ed
eventualmente da tratti di mare prospicienti la
costa, di valore naturalistico e ambientale, che
costituiscono, nell'ambito di una o più regioni
limitrofe, un sistema omogeneo, individuato
dagli assetti naturalistici dei luoghi, dai valori
paesaggistici e artistici e dalle tradizioni culturali
delle popolazioni locali.
Le Riserve naturali sono costituite da aree terrestri,
fluviali, lacuali o marine che contengono una o più
specie naturalisticamente rilevanti della flora e della
fauna, ovvero presentino uno o più ecosistemi
importanti per la diversità biologica o per la
conservazione delle risorse genetiche. Le riserve
naturali possono essere statali o regionali in base
alla rilevanza degli elementi naturalistici in esse
rappresentati.
Le Zone umide di interesse internazionale sono
costituite da aree acquitrinose, paludi, torbiere
oppure zone naturali o artificiali d'acqua,
permanenti o transitorie comprese zone di
acqua marina la cui profondità, quando c'è bassa
marea, non superi i sei metri che, per le loro
caratteristiche, possono essere considerate di
importanza internazionale ai sensi della
convenzione di Ramsar.
Le Altre aree naturali protette sono aree (oasi delle
associazioni ambientaliste, parchi suburbani,
ecc.) che non rientrano nelle precedenti classi. Si
dividono in aree di gestione pubblica, istituite
cioè con leggi regionali o provvedimenti
equivalenti, e aree a gestione privata, istituite
con provvedimenti formali pubblici o con atti
contrattuali quali concessioni o forme
equivalenti.
Le Aree di reperimento terrestri e marine
indicate dalle leggi 394/91 e 979/82, che
costituiscono aree la cui conservazione
attraverso l'istituzione di aree protette è
considerata prioritaria.
Al fine dell'istituzione di un'area marina protetta, un tratto di mare deve innanzitutto
essere individuato per legge quale " area marina di reperimento".
Una volta avviato l'iter istruttorio all'area marina di reperimento, questa viene
considerata come area marina protetta di prossima istituzione.
Le aree marine protette sono istituite ai sensi delle leggi n. 979 del 1982 e n. 394 del
1991 con un Decreto del Ministro dell'ambiente che contiene la denominazione e la
delimitazione dell'area, gli obiettivi e la disciplina di tutela a cui è finalizzata la
protezione.
Ogni area è suddivisa in tre tipologie di zone con diversi gradi di tutela.
Sono costituite da ambienti marini, dati dalle acque, dai fondali e dai tratti di costa
prospicenti, che presentano un rilevante interesse per le caratteristiche naturali,
geomorfologiche, fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna
marine e costiere e per l'importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa ed
economica che rivestono.
Possono essere costituiti da un ambiente marino avente rilevante valore storico,
archeologico-ambientale e culturale.
Le aree marine protette generalmente sono suddivise al loro interno in diverse
tipologie di zone denominate A, B e C.
L'intento è quello di assicurare la massima protezione agli ambiti di maggior
valore ambientale, che ricadono nelle zone di riserva integrale (zona A),
applicando in modo rigoroso i vincoli stabiliti dalla legge. Con le zone B e C si
vuole assicurare una gradualità di protezione attuando, attraverso i Decreti
Istitutivi, delle eccezioni (deroghe) a tali vincoli al fine di coniugare la
conservazione dei valori ambientali con la fruizione ed uso sostenibile
dell'ambiente marino. Le tre tipologie di zone sono delimitate da coordinate
geografiche e riportate nella cartografia allegata al Decreto Istitutivo pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale.
Zona A (nella cartografia evidenziata con il colore rosso), di riserva integrale, interdetta a
tutte le attività che possano arrecare danno o disturbo all'ambiente marino. La zona A è il
vero cuore della riserva. In tale zona, individuata in ambiti ridotti, sono consentite in genere
unicamente le attività di ricerca scientifica e le attività di servizio.
Zona B (nella cartografia evidenziata con il colore giallo), di riserva generale, dove sono
consentite, spesso regolamentate e autorizzate dall'organismo di gestione, una serie di
attività che, pur concedendo una fruizione ed uso sostenibile dell'ambiente influiscono con
il minor impatto possibile. Anche le zone B di solito non sono molto estese.
Zona C (nella cartografia evidenziata con il colore azzurro), di riserva parziale, che
rappresenta la fascia tampone tra le zone di maggior valore naturalistico e i settori esterni
all'area marina protetta, dove sono consentite e regolamentate dall'organismo di gestione,
oltre a quanto già consentito nelle altre zone, le attività di fruizione ed uso sostenibile del
mare di modesto impatto ambientale. La maggior estensione dell'area marina protetta in
genere ricade in zona C.
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La commissione di riserva affianca l'Ente delegato, nella gestione della riserva,
formulando proposte e suggerimenti per tutto quanto attiene al funzionamento
della riserva medesima.
In particolare la commissione dà il proprio parere alla proposta del regolamento
di esecuzione del decreto istitutivo e di organizzazione della riserva, ivi comprese
le previsioni relative alle spese di gestione, formulate dall'Ente delegato.
E' istituita presso l'Ente Gestore e sulla base di quanto previsto dall'art. 2, comma
339, della legge 24 dicembre 2007 n. 244 è così composta:
un rappresentante del Ministro, con funzioni di Presidente
un esperto designato dalla Regione interessata, con funzioni di vice Presidente
un esperto designato d'intesa tra i Comuni rivieraschi interessati
un esperto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
un rappresentante della Capitaneria di porto, su proposta del Reparto Ambientale
Marino presso il Ministero dell'Ambiente
un esperto designato dall'Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca
Ambientale (ISPRA)
un esperto designato dalle associazioni ambientaliste maggiormente
rappresentative e riconosciute dal Ministero dell'Ambiente.
per l'effettiva istituzione di un'area marina protetta occorre innanzitutto disporre di
un aggiornato quadro di conoscenze sull'ambiente naturale d'interesse, oltre ai dati
necessari sulle attività socio-economiche che si svolgono nell'area.
Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, Servizio Difesa del Mare, per
l'acquisizione di tali conoscenze e dati può anche avvalersi di istituti scientifici,
laboratori ed enti di ricerca. Gli studi sono generalmente distinti in due fasi: nella
prima viene esaminata la letteratura già esistente sull'area; nella seconda fase
vengono effettuati gli approfondimenti necessari per un quadro conoscitivo concreto
ed esaustivo.
Successivamente gli Esperti della Segreteria tecnica per le Aree Marine Protette
(art.2,co.14 L. n. 426 del 1998) possono avviare l'istruttoria istitutiva. Al fine di
delineare una proposta della futura area marina protetta che ne rispetti le
caratteristiche naturali e socio-economiche, gli Esperti della Segreteria tecnica
arricchiscono l'indagine conoscitiva fornita dagli studi con sopralluoghi mirati e con
confronti con gli Enti e le comunità locali.
La definizione di perimetrazione dell'area (i confini esterni), la zonazione al suo
interno (le diverse zone A, B e C), e la tutela operata attraverso i diversi gradi di vincoli
nelle tre zone, sono parte dello schema di decreto istitutivo redatto alla fine
dell'istruttoria. Sullo schema di decreto vengono sentiti la Regione e gli enti locali
interessati dall'istituenda area marina protetta, per l'ottenimento di un concreto ed
armonico consenso locale. Infine, come stabilito dal Decreto Legislativo n. 112/98
art.77, occorre acquisire il parere della Conferenza Unificata su tale schema di DM.
A questo punto, il Ministro dell'ambiente, d'intesa con il Ministro del tesoro, procede
all'effettiva istituzione dell'area marina protetta, autorizzando anche il finanziamento
per far fronte alle prime spese relative all'istituzione (L. n. 394/91 art.18 e L. n. 93/01
art.8).
Il Decreto Ministeriale, se non diversamente specificato, entra in vigore il giorno
successivo dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
La gestione delle aree marine protette è affidata
ad enti pubblici, istituzioni scientifiche o
associazioni ambientaliste riconosciute, anche
consorziati tra di loro. L'affidamento avviene con
decreto del Ministro dell'ambiente, sentiti la
regione e gli enti locali territorialmente
interessati. La maggior parte delle aree marine
protette sono gestite dai comuni interessati.
(L. 979/82 art.28, L. 394/91 art.19 comma 6 e 93/01 art. 8 comma 8)
Il regolamento dell'area marina protetta definisce in via definitiva
e disciplina i divieti e le eventuali deroghe in funzione del grado di
protezione necessario per la tutela degli ecosistemi di pregio.
Proposto dall'Ente gestore, sentito il parere della Commissione di
Riserva, è approvato con decreto del Ministro dell'ambiente.
Prima della formulazione del regolamento, un Ente gestore ha la
facoltà di applicare delle discipline provvisorie per alcune delle
attività che si svolgono all'interno dell'area marina protetta,
naturalmente nell'ambito di quanto stabilito dal decreto istitutivo.
La Segreteria Tecnica per le Aree Marine
Protette è stata istituita dall'articolo 2, comma
14, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, per
istruire l'istituzione e l'aggiornamento delle Aree
Marine Protette, per il supporto alla gestione, al
funzionamento e alla progettazione degli
interventi da realizzare con finanziamenti
nazionali e/o comunitari.
La legge 394/91 articolo 19 individua le attività vietate nelle
aree protette marine, quelle cioè che possono
compromettere la tutela delle caratteristiche dell'ambiente
oggetto della protezione e delle finalità istitutive dell'area.
I Decreti Istitutivi delle aree marine protette, considerando la
natura e le attività socio - economiche dei luoghi, possono
però prevedere alcune eccezioni (deroghe) ai divieti stabiliti
dalla L. 394/91 oltre a dettagliare in modo più esaustivo i
vincoli. A tal proposito si rimanda ad ogni singolo Decreto
Istitutivo o eventuale successivo decreto di modifica e,
laddove presente, al regolamento, per ognuna delle 16 aree
marine protette.
In generale la legge 394/91 vieta nelle aree marine protette
 A) la cattura, la raccolta e il danneggiamento delle specie
animali e vegetali nonché l'asportazione di minerali e di
reperti archeologici;
 B) l'alterazione dell'ambiente geofisico e delle caratteristiche
chimiche e idrobiologiche delle acque;
 C) lo svolgimento di attività pubblicitarie;
 D) l'introduzione di armi, di esplosivi e ogni altro mezzo
distruttivo e di cattura;
 E) la navigazione a motore;
 F) ogni forma di discarica di rifiuti solidi e liquidi.

Le aree marine protette sono 27 oltre a 2 parchi sommersi che tutelano
complessivamente circa 222000 ettari di mare e circa 700 chilometri di
costa. Ogni area è suddivisa, generalmente, in tre tipologie di zone con
diversi gradi di tutela. Sono costituite da ambienti marini, dati dalle
acque, dai fondali e dai tratti di costa prospicienti, che presentano un
rilevante interesse per le caratteristiche naturali, geomorfologiche,
fisiche, biochimiche con particolare riguardo alla flora e alla fauna marine
e costiere e per l'importanza scientifica, ecologica, culturale, educativa
ed economica che rivestono.
Vi è inoltre il Santuario Internazionale dei mammiferi marini, detto anche
Santuario dei Cetacei.
L'obiettivo di un sistema di gestione ambientale è definire volontariamente dei traguardi per
migliorare continuamente e prevenire gli effetti ambientali della propria azienda.
Individuare gli effetti ambientali e valutare i principali punti di forza e di debolezza della
propria impresa, dal punto di vista legislativo, tecnico e organizzativo, sono il primo e
fondamentale passo per costruire un sistema efficace ed efficiente.
Questa prima fase di analisi degli aspetti ambientali, degli impatti, delle performances
ambientali e delle attività di controllo connesse, comunemente chiamata analisi
ambientale iniziale, consiste quindi in un auto-controllo, a cui farà seguito da parte della
Direzione aziendale la decisione sulla politica ambientale che dovrà fungere da guida alla
pianificazione dei provvedimenti di intervento.
Bisogna sempre tenere presente che i sistemi di gestione ambientale sono degli strumenti
volontari, ossia non vi sono ad oggi disposizioni normative che li impongano, sebbene
esistano norme che stabiliscano quali requisiti questi sistemi debbano avere.
Il rispetto di tali norme diventa un'esigenza imprescindibile nel momento in cui l'impresa
decida di ottenere un riconoscimento esterno, cioè una certificazione.
E' spontaneo pensare subito che la tutela dell'ambiente non possa che non comportare dei
costi per l'impresa, ma in realtà è un modo errato di affrontare la questione quella di
considerare la realizzazione di un sistema di gestione ambientale come solo un fattore di
costo.
Senza volersi dilungare sui vantaggi di tipo "ambientale", che comunque non vogliono da noi
essere trascurati, numerosi possono essere i benefici che possono derivare alle aziende
nell'adottare un SGA e volerne fare un elenco sarebbe riduttivo se non inappropriato, dal
momento che questi sono in stretta dipendenza con la tipologia dell'impresa.
Detto questo, a semplice titolo esemplificativo, possiamo cercare di riassumere quelli che
potrebbero essere i possibili benefici per l'impresa conseguenti all'adozione dello standard
ISO 14000:
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
rafforzato e documentato controllo del rispetto della legge;
ritorno economico dall'aumento di efficienza nell'utilizzo delle risorse;
maggiori capacità contrattuali (protezione o aumento di quote di mercato);
facilitazione nelle transazioni di proprietà (dove è rilevante il fattore ambientale);
migliori rapporti con gli investitori, assicurazioni, ecc.;
migliori rapporti interni (lavoratori, ecc.) ed esterni (comunità locali, ecc.) all'impresa.
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Gli elementi costitutivi del sistema di gestione ambientale secondo lo standard ISO14001
possono essere così individuati:
Elementi formali:
politica ambientale e sicurezza aziendale
aspetti ambientali
requisiti legali
obiettivi e targets
programma (valutazione effetti, interventi, costi, ecc.)
.
Sistema gestionale:
organizzazione, responsabilità
formazione/comunicazione/documentazione
situazioni operative/emergenze
.
Sistema di controllo:
monitoraggio/verifiche/registrazioni
non conformità/azioni correttive/prevenzione

Costituisce la fase in cui si determinano i requisiti che l'organizzazione deve
soddisfare e si stabiliscono gli obiettivi e traguardi che vuol conseguire, ed infine si
predispone un programma (o programmi) per raggiungerli.
Gli Aspetti ambientali
 In particolare ISO14001 al par.4.3 richiede che "l'organizzazione deve stabilire e
mantenere attiva una procedura (o procedure) per individuare gli aspetti
ambientali delle proprie attività, prodotti o servizi che può tenere sotto controllo
e su cui ci si può attendere che abbia una influenza, al fine di determinare quelli
che hanno o possono avere impatti significativi sull'ambiente".
Prescrizioni Legali
 L'organizzazione deve identificare ed avere accesso alle prescrizioni di legge e
alle altre regolamentazioni e norme che si applicano agli aspetti ambientali della
stessa.
Obiettivi e Traguardi
Gli obiettivi e i traguardi ambientali debbono essere fissati, documentati e
comunicati a tutta l'organizzazione.
Gli obiettivi sono a "lungo termine" del tipo ad es. "ridurremo i rifiuti destinati a
discarica".
I traguardi sono a "breve termine" del tipo ad es. "ridurremo entro quest'anno le
emissioni di sostanze organiche del 20%, i rifiuti tossici del 30%".
I traguardi possono variare per i diversi settori di una organizzazione in funzione
dell'attività, dei prodotti e servizi.
 Programma di Gestione Ambientale
Possono essere necessari uno o più programmi per raggiungere gli obiettivi e i
traguardi stabiliti.
Questi programmi assegnano le responsabilità nelle varie funzioni
dell'organizzazione e specificano risorse, mezzi e tempo per conseguirli.
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Politica Ambientale