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Numero centocinque – Maggio/Giugno 2015
Mensile di cultura e conversazione civile diretto da Salvatore Veca
Direttore responsabile Sisto Capra
Il giornale
di Socrate
al caffè
va in vacanza!
L’EDITORIALE
La barca
di Neurath
ARRIVEDERCI
A SETTEMBRE
CON IL NUMERO 106
di Salvatore Veca
ccogliendo
l’invito
davvero
cortese di
Michele
Ciliberto, ho
raccolto in un
piccolo libro,
La barca di Neurath, che esce
nelle edizioni della Normale di
Pisa, sette saggi brevi scritti e
riscritti negli ultimi quattro
anni. Nei primi tre capitoli
espongo alcuni esiti della mia
ricerca sull’idea di
incompletezza. Cerco di
saggiarne la validità,
affrontando questioni
filosofiche che hanno a che
vedere con i rapporti fra
impegni ontologici, impegni
epistemologici e impegni
normativi. Un certo rilievo ha
qui la recente querelle fra
postmodernismo e nuovo
realismo. Una querelle che ha
avuto e ha prevalentemente i
tratti della “filosofia
mediatica” e che penso meriti
invece un approccio analitico
almeno un po’ più
professionale, per dirla con
Diego Marconi che ha scritto
un bel libro su Il mestiere di
pensare, in cui la differenza
tra comunicazione mediatica e
comunicazione accademica e
scientifica ha un ruolo
importante. Nei successivi tre
capitoli esamino questioni di
filosofia politica e morale,
dall’idea di equità a quella di
beni comuni, dall’idea di
libertà a quella di qualità della
vita. Nell’ultimo capitolo
avanzo alcune congetture di
carattere metafilosofico,
cercando di abbozzare una
sorta di ritratto dell’indagine
filosofica, per come almeno io
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
REINCONTRI
Pier Giuseppe Milanesi
ALLE PAGINE 2-3
LE RETI …
SI ALLARGANO
Marco Galandra
ALLE PAGINE 7-8
GIORGIO FORNI
Alle pagine 4-5-6
(Continua a pagina 2)
la Feltrinelli a Pavia,
in via XX Settembre 21.
Orari:
Lunedì - sabato 9:00-19:30
Domenica 10:00-13:00 / 15:30-19:30
Pagina 2
Numero centocinque - Maggio/Giugno 2015
John William
Waterhouse,
L’incontro
di Dante
con Beatrice
(1915)
LA BISACCIA DI PROTAGORA
idea bizzarra di
“curare le persone
omosessuali”,
nonostante tale
pratica sia stata
condannata dalla
comunità scientifica
e in certi casi
perseguita anche
dall’autorità
giudiziaria, continua
comunque a
serpeggiare in una
ristretta cerchia di
psichiatri e
psicoterapeuti,
soprattutto in
ambienti culturali
fortemente
condizionati da
integralismi religiosi
o ideologici (da
sempre poco
rispettosi delle
diversità).
L’omosessualità,
anche se non viene
più apertamente
considerata come
una forma di
degenerazione
“morale”
dell’individuo,
tuttavia continua a
essere sospettata
come una malattia,
un disturbo di
identità. Colui che
possiede un
involucro maschile dovrebbe
essere attratto da chi
possiede un involucro
femminile e viceversa! Ecco la
“normalità”! Così si dice.
La domanda però è questa:
dove inizia o finisce
l’involucro maschile e
femminile? È giusto ritenere
che nell’eros entri in gioco la
totalità di due figure? Quali
sono i meccanismi che
determinano il fenomeno
dell’attrazione in generale e in
ultima istanza dell’attrazione
sessuale?
In realtà noi vediamo che
l’interezza dell’involucro, la
di Pier Giuseppe Milanesi
totalità della figura, non è
sempre determinante ai fini
dell’attrazione. Anche nel
rapporto eterosessuale
l’attrazione viene quasi
sempre determinata e
innescata da componenti
marginali. Ad esempio una
persona può essere attratta
da una particolare forma
della bocca, delle gambe, del
seno, dalla statura, dai baffi,
dalla voce, dal naso o persino
dai piedi! Si crede di avere
incontrato la donna o l’uomo
della vita, quando in realtà si
è incontrato il naso della vita
o il piede della vita. Nel
(Continua da pagina 1)
la intendo. Il titolo del libretto è
debitore nei confronti della celebre
immagine della barca di Otto
Neurath, uno dei grandi filosofi del
leggendario Circolo di Vienna.
Un’immagine cui sono da tempo
molto affezionato. L’immagine della
barca che i marinai devono riparare
in navigazione, senza poter contare
sul rifugio in cantieri ospitali. I
marinai possono essere tanto
scienziati quanto filosofi o, forse,
scienziati e filosofi insieme, alle prese
con i loro intrattabili problemi.
L’immagine di Neurath ricorre
rapporto sessuale il quadro
della figura sembra
sgretolarsi in una molteplicità
di componenti ciascuno dei
quali funziona come una
possibile esca di attrazione.
Questo sgretolamento (la
moltiplicazione del significante
come in un quadro di pittura
astratta) corrisponde
probabilmente a una sapiente
strategia della natura che può
disporre in tal modo di una
varietà di componenti, o
centri di seduzione, per legare
e connettere gli individui, ben
oltre la loro identità
anagrafica.
Nella meccanica generale
dell’attrazione, vediamo
dunque che un elemento
singolo - un particolare viene colto e rivestito di un
significato esclusivo o
rilevante. L’organismo opera
in tal modo una selezione
nella pioggia dei segnali del
mondo: un segmento, una
traccia olfattiva, una striatura
di colore, una forma
geometrica, un tipo di suono
lanciato a una particolare
frequenza (ad esempio il
pianto o il riso) veicolano
messaggi biologici che,
rimbalzando sulle pareti
L’EDITORIALE
La barca di Neurath
costantemente, come un motivo di
fondo, nei sette saggi brevi del mio
libretto. E suggerisce le ragioni del
carattere insaturo e incompleto delle
nostre attività di ricerca, nella scienza
come nella filosofia. Queste ragioni
possono convertirsi in motivazioni per
chi si impegna con serietà e passione
in attività di ricerca su come stanno
le cose o su come dobbiamo o
Il giornale di Socrate al caffè
Direttore Salvatore Veca
Direttore responsabile Sisto Capra
Editore
Associazione “Il giornale di Socrate al caffè”
(iscritta nel Registro Provinciale di Pavia delle Associazioni senza scopo di lucro, sezione culturale)
Direzione e redazione via Dossi 10 - 27100 Pavia
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Redazione: Mirella Caponi (editing e videoimpaginazione), Pinca-Manidi Pavia Fotografia
Stampa: Tipografia Pime Editrice srl via Vigentina 136a, Pavia
Autorizzazione Tribunale di Pavia n. 576B del Registro delle Stampe Periodiche in data 12 dicembre 2002
I PUNTI SOCRATE
possiamo convivere. Ed è proprio
questa idea che mi è venuta in mente,
in modo perspicuo, in un
bell’incontro al Collegio Ghislieri
qualche giorno fa in occasione
dell’avvio del corso di formazione
avanzata su “Cellule rare circolanti”,
curato da Giampaolo Merlini.
Nell’Aula Goldoniana c’erano molte
giovani ricercatrici e ricercatori. C’era
dell’architettura
cerebrale, assumono
un significato
selettivo generando
opportune reazioni di
tipo emozionale, tra
cui anche un effetto
di attrazione. Si può
parlare di una
chirurgia
“semantica”
effettuata dal corpo,
ossia di un processo
di selezione e
qualificazione dei
segnali il cui
risultato è uno stato
di coscienza, che
appunto noi
definiamo
“attrazione” (o
repulsione) selettiva.
In uno studio di H.
Berglund e al. (Brain
response to putative
pheromones in
lesbian women,
PNAS, 2006,
103/21, 8269–8274)
sono stati evidenziati
alcuni meccanismi di
natura neurochimica
che confermano
questo quadro
generale. Sulla base
dei test effettuati su
omosessuali
femmine, si è
riscontrata una
diversa modalità nel
processare stimoli olfattivi
contenenti androstadienone,
“l’odore maschile”. A
differenza delle donne
eterosessuali, tale effluvio
viene processato dal sistema
olfattivo puro e semplice
senza attivare le aree
dell’ipotalamo che sono
proposte alla stimolazione del
desiderio sessuale.
Questo studio (che citiamo
come esempio), assume un
significato emblematico per
quanto ci aiuta a capire il tipo
di interazione che interviene
(Continua a pagina 3)
il mio grande amico Carlo Alberto
Redi e abbiamo discusso
animatamente tra filosofi e scienziati,
come fossimo marinai sulla barca di
Neurath. Mi piace allora dedicare
queste righe al ricordo di una persona
speciale come il prof. Carlo
Bernasconi, con cui mi ero
confrontato più di una volta sui
progetti di diffusione e condivisione
della conoscenza, a partire dal campo
e dall’area biomedica. E posso dirvi
che questa volta il vecchio Socrate
approva convinto. Senza se e senza
ma.
Salvatore Veca
Ecco dove viene distribuito gratuitamente Il giornale di Socrate al caffè
Maggio/Giugno 2015 - Numero centocinque
(Continua da pagina 2)
tra il corpo e le sollecitazioni
interne e esterne, nel
momento in cui insorge un
effetto attrattivo (o viceversa
repulsivo). Sono giochi di luci,
odori, forme, suoni, colori,
simboli e segni! È però
importante rilevare che
queste modalità selettive non
determinano solo la sfera
dell’orientamento sessuale,
bensì agiscono in tutte le
sfere in cui vediamo
consolidarsi gli
orientamenti
ideologici delle
persone, per cui non
si sarà difficile
constatare, ad
esempio, come anche
nel campo dell’arte,
della politica, della
religione ecc. gli
orientamenti delle
persone, e cioè delle
coscienze, non siano
meno rigide e
categoriche del loro
orientamento
sessuale. Per questo,
avendo presente le
rigidità esclusive che
contraddistinguono
tutti i vari tipi di
orientamenti, non
dovremmo parlare
solo di “identità
sessuale” bensì di
identità ideologica in
generale.
Sartre sosteneva che
non poteva esistere
una coscienza che
non fosse
sessualmente
determinata. Noi
diremo qualcosa in
più e cioè che non
può esistere una
coscienza che non
sia fascista o
comunista o liberale,
che non abbia un
determinato
orientamento
sessuale, artistico,
morale, religioso, politico e
persino sportivo! La coscienza
non può esistere senza le sue
determinazioni ideologiche.
La “coscienza pura” è solo
una astrazione filosofica. La
coscienza rappresenta il
momento in cui l’organismo
acquisisce il livello più alto
delle sue determinazioni: non
è un luogo di libertà, ma
piuttosto la forma organizzata
del pregiudizio e della
determinatezza. In quanto
essa rappresenta il risultato
terminale di un processo
selettivo di consolidamento
semantico in cui si stabilizza
il profilo della persona, la
possibilità che una persona
cambi orientamento sessuale
sono pressoché nulle, quanto
le possibilità che un
mussulmano diventi cristiano
(o viceversa) o che un tifoso
dell’Inter diventi juventino
Sul piano neuroscientifico è
stata identificata l’area
terminale del cervello in cui
confluiscono e si solidificano i
risultati di questo complesso
percorso di selezione
semantica, risultati che si
traducono in immediate scelte
comportamentali: un’area che
potremmo definire, in termini
semplici, “l’area del Sì e del
No” - la corteccia orbitofrontale. Tuttavia il processo
di associazione semantica,
dove un elemento indifferente
acquisisce potenza simbolica
e selettività semantica,
avviene su un percorso
precedente (che interessa
anche il giro angolare
dell’emisfero sinistro), in
parte condiviso con i percorsi
lungo i quali viene processato
il linguaggio. È anche lo
stesso percorso in cui
nascono i sogni, dove in
assenza di controllo selettivo
da parte dei moduli frontali
(disattivati nel sonno),
vediamo scatenarsi
liberamente il gioco dei
simboli e delle metafore e
formarsi libere associazioni
più o meno casuali.
Proprio gli scenari bizzarri dei
sogni portano alla luce,
isolandolo, quel processo di
“sgretolamento delle figure” in
cui si potenzia il significato di
questo o quel particolare
elemento. Nel sogno tutti gli
Pagina 3
interi vengono disgregati per
sensoriale), in parte è
cui vediamo navigare elementi acquisita. Le specie di uccelli
sparsi come relitti; è lo stesso
che hanno un becco striato di
processo di dispersione di
rosso, saranno molto più
moltiplicazione e dispersione
sensibili agli oggetti che
dei significanti che noi
riproducono le stesse
abbiamo visto costituire la
striature. I cacciatori
fase preliminare da cui si
ingannano le prede,
sviluppa ogni processo di
richiamandole, producendo
attrazione, che conduce infine gli stessi suoni della specie.
alla colonizzazione ideologica
Profili e forme, colori, suoni,
della persona.
odori, scenari ecc. hanno la
Disgregazione degli interi!
proprietà di scavare solchi
Diremo anzi, che gli
nell’anima incanalandosi
organismi in
generale, come
tali, hanno
A sinistra
bisogno di questa
Sartre
iniziale
Qui Freud
parcellizzazione e
Sotto, a
scomposizione dei
sinistra
dati, ossia di
Nietzsche
disorganizzare il
a destra
mondo
Marx
riducendolo a
frammenti
inorganici, per
potere operare in
senso acquisitivo.
Questa
caratteristica fu
tra l’altro
immediatamente
rilevata nei primi
tempi in cui si
cercò di definire il
concetto di
“organico” (Das
Organische) come
sfera distinta dal
“chimico”. Il corpo
organico fu
interpretato come
un magico
processo in grado
di trasformare il
particolare in
universale,
l’elemento morto e
inerte in materia
vivente. Quindi
l’organismo ha
bisogno di
sgretolare
preventivamente il
mondo per poterlo
acquisire. Al di là
di queste citazioni postlungo le strade del desiderio,
goethiane, possiamo seguire i
ossia (in termini
momenti di questa dialettica,
neurofisiologici) di inviare un
osservando l’organizzazione
segnale all’ipotalamo che
della nostra corteccia visiva
provvede ad animare e a
(che acquisisce la figura
sommuovere il restante
sgretolandola nei suoi
sistema neurochimico, per cui
noi percepiamo quel senso di
componenti), e poi di contro il
movimento opposto di
mancanza interiore, di vuoto,
universalizzazione organica
di “fame simbolica”, di vuoto
per cui ad esempio un dolore
interiore che ci spinge alla
particolare si tramuta nella
ricerca di occasioni di
sofferenza dell’intero sistema,
appagamento inseguendo la
oppure un piacere particolare
fonte da cui il segnale
nel benessere dell’intero
proviene.
sistema.
Nel marasma dei segnali del
Gli organismi sono costruiti
mondo esistono segnali che si
in modo da rispondere a
insinuano come ladri
particolari set di segnali
dell’anima e procedono alla
segregati rispetto ad altri. In
colonizzazione ideologica della
parte questa sensibilità
persona. Da questo punto di
selettiva è trasmessa
vista la “marginalità” del
geneticamente (per cui le
segnale, ossia la sua
neonate testuggini corrono
originaria “insignificanza” (la
forma di un naso o di una
verso il mare attirate dal
rumore delle onde già
bocca, il tono della voce, un
codificato nel loro apparato
paio di baffi, il colore degli
PAOLA CASATI MIGLIORINI
Perito della Camera di Commercio di Pavia dal 1988 C.T.U. del Tribunale di Pavia
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occhi, una frase sconnessa
dentro un testo religioso, un
aforisma filosofico
paradossale, i baffi di
Nietzsche, la barba di Marx)
spesso costituisce la
caratteristica cruciale in
grado di abbattere le iniziali
difese della coscienza.
E così anche il piede della
donna che incede, come nella
Gradiva di Jensen che catturò
la fantasia di Freud - il più
intimo e insignificante
particolare del corpo
umano - diventa il
fuoco in grado di
alimentare fantasie
erotiche che si
espandono all’intera
figura in quanto
proprietaria di quel
piede che incede per
strada come la
Beatrice di Dante.
Baciando il piede o la
bocca si ha accesso
alla totalità della
persona, al corpo
organico nella sua
interezza.
Insomma, per
concludere, diremo
che la natura vivente
si presenta come un
campo disseminato
di segnali che
funzionano come
esche potenzialmente
seduttive, come tanti
fazzoletti perduti e
lasciati cadere in
attesa che qualche
anima sensibile li
raccolga, e che i
fenomeni di
attrazione - di cui
l’attrazione sessuale
costituisce solo una
delle tante forme appartengono in
ultima istanza a un
processo di
costruzione
ideologica che
coincide con il
percorso di
costruzione della propria
identità.
In tal senso è un processo
irreversibile. Non esiste
possibilità di “conversione”,
ma sempre e comunque, a
meno di insuperabili ostacoli
o impedimenti, si diventa solo
ciò che si è, ossia ciò che il
nostro essere, la nostra
macchina organico-semantica
e decodificatrice di segnali –
una parte dei quali viene
trasformata in qualia ovvero
in determinazioni di coscienza
- ha preventivamente deciso
che noi siamo. La nostra
“essenza” si allinea dunque in
ultima istanza con la
definizione aristotelica,
filosofica, del concetto di
“essenza” come to ti en einai il “che cos’era l’essere”: si
diventa ciò che da sempre si è
stati.
Pier Giuseppe Milanesi
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FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
orniamo a raccontarci
una storia di intrecci
che ha costruito buona
parte del patrimonio di
ricordi e di eventi cui si
deve la nascita e la
crescita della nostra Fondazione.
Primo fu l’amore. Per il lavoro di
Fausto Melotti. Con le visite
frequenti allo studio di via Leopardi
a Milano, dalle quali uscivo (tutte le
volte possibili) non solo arricchito
da dialoghi preziosi, ma da
un’opera. Incisione o libretto, gesso
dipinto o catalogo, una ceramica, un
lavoro su carta. (A questa serie di
tecniche miste è dedicata una sala
in questa stagione espositiva).
Talvolta con l’impegno a onorare un
debito per l’acquisto di una scultura.
Sino alla promessa di rilevare
l’antico castello di Sartirana, di cui
Melotti voleva liberarsi, verificata la
difficoltà del progetto di un suo
recupero. Restauro strutturale
complesso e costoso di cui si era
“innamorato” con un pizzico di
vanità, dopo essere stato nominato
Accademico dei Lincei. Un poco
come accadde a Tomaso Buzzi,
toccato alla pari dal desiderio di una
derivata aura di “nobiltà” … da
maniero. Il maniero divenne nostro
il 25 maggio 1981 con una promessa
di acquisto legata a un mutuo da
accendere. Il seguito è storia epica
di corvée di lavoro prima volontario,
poi affidato a operatori
professionali. Nel mentre si
nutrivano progetti di utilizzo,
suggeriti e appoggiati, è il secondo
nodo, dal notaio Reitano (che
dialogava intanto con Melotti e ci
otteneva proroghe su proroghe per i
pagamenti ..., parlando di arte e
gioielli ...).
Arriva il tempo della costituzione di
una associazione per la gestione
degli eventi culturali e Ghinzani
accetta di esserne primo presidente.
Tutto torna in una sorta di flash
back senza soluzione di continuità.
Progetti di mostre in accordo con la
Provincia di Pavia, cicli di concerti
prima nel cortile del castello, poi in
molti paesi lomellini. Reitano e
Ghinzani sempre in prima fila.
Sino alla grande mostra antologica
di Melotti. Altro snodo della nostra
storia che fa decollare il luogo, con
la visita di Sgarbi (!) e di tanti
appassionati che troveranno in
seguito a Sartirana interessanti
pagine da leggere su arte, musica,
design attraverso le collezioni che
iniziavano a costituirsi. Sino alla
nascita formale (1993) della
Fondazione e al suo status acquisito
di “importante deposito
specialistico” cui attingere. Per
mostre da esportare, in Italia e
all’estero, dopo il fortuito e
fortunato incontro con illuminati
funzionari del Ministero per gli
Affari Esteri in cerca di collezioni che
profumassero di creatività e
avessero un sapore tutto italiano.
In sintesi stretta ecco il racconto di
una storia in cui Bozzola arriva non
ultimo. Già amico negli anni ‘70
nella Vigevano creativa di quel
tempo e sempre poi legato a
Sartirana e ai suoi progetti.
(Continua a pagina 5)
NELLE FOTO
Dall’alto a sinistra, in senso orario
Fausto Melotti, Senza titolo 1954
Fausto Melotti, Matita su carta Anni ‘70
Fausto Melotti, Senza titolo 1963
Angelo Bozzola, Funzione di forma concreta 1955
Angelo Bozzola, Funzione-sviluppo di forma concreta 1956-1967
Fausto Melotti, Senza titolo 1980
Fausto Melotti, Senza titolo
Fausto Melotti, Senza titolo 1982
Pagina 5
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
(Continua da pagina 4)
Trascinato a realizzare un gioiello
con le sue “monoforme” appese a
pendente per una collana e
direttamente ai lobi dell’orecchio.
Creazione per Raissa Gorbaciova e
poi pezzo per una collezione di
ornamenti per il corpo che stavamo
sognando per il nostro “museo” .
Guarda il caso , pensata e promossa
tra i primi da Melotti e Ghinzani.
Tutto torna, non è vero? Quasi
magicamente, in questo terzo e
ultimo anno di Fondart. Che ci aiuta
a guardare, come in uno specchio, le
dinamiche e gli intrecci di una parte
della nostra vita.
Impudentemente ve la raccontiamo.
(Grazie a Fondazione Cariplo)
di Giorgio Forni
Primo fu l’amore.
Per il lavoro di Fausto Melotti.
E poi Reitano, Ghinzani, Bozzola...
Pagina 6
FONDAZIONE
SARTIRANA
ARTE
Numero centocinque - Maggio/Giugno 2015
Quasi per gemmazione, dopo Castello e Pila, Sartirana avrà un terzo
Polo espositivo permanente. Nella bella villa liberty Buzzoni Nigra,
appartenuta alla famosa famiglia di mecenati cui si deve anche
la struttura di accoglienza e cura per anziani del borgo lomellino.
Una terza freccia nella faretra per la promozione culturale del territorio, a Sartirana
di Giorgio Forni
fine maggio è prevista, dal Comune e
dalla Fondazione Buzzoni Nigra, l’apertura
al pubblico delle prime sale, con un allestimento curato dalla nostra Fondazione e dedicato al design. A Mario
Maioli, architetto “valenzano” noto
per i suoi progetti (uno a caso, le
Torri del Sestriere ...) e per le collaborazioni con aziende storiche del
made in Italy, oltre che per i sedici
anni di direzione dell’Ufficio Stile
del Gruppo Fiat Auto, la prima sala.
Dove a rotazione saranno esposti
materiali che illustrino la sua lunga
carriera, già presentati in molti Istituti Italiani di Cultura in Europa,
Africa del nord e Sudamerica; di
recente anche al Castello di Casale
Monferrato. Plastici di edifici, gigantografie dei modelli più famosi
“vestiti” per l’azienda ex torinese
(Maioli è il padre delle “barrette”
Fiat, oltre che della UNO e della
Punto), per arrivare alle sue ultime
fatiche collaterali all’impegno principale. Acrilici su tela, collages,
gioielli tecnologici (è figlio di un
Maestro orafo valenzano), per dare
ragione del titolo al ciclo di mostre:
“Arte e progetto”. Come recita il
piccolo catalogo riedito per
l’occasione.
Sono poi già in calendario le prossime mostre in altri spazi, che saranno un omaggio agli architetti e alla
storia di KARTEL. Cui seguirà un tributo a ZANOTTA, che continua a
produrre i mitici “servi muti” di Achille e Piergiacomo Castiglioni. E il
“mezzadro”, ironico omaggio al nostro mondo agricolo (un sedile di
trattore reinventato).
Di queste e di altre glorie del design
italiano, anche made in Pavia, leggasi Poggi, parleremo più diffusamente sul primo numero autunnale.
Ancora nel tempo di MILANO EXPO.
NELLE FOTO
Sopra, da sinistra
Mario Maioli: le “barrette” Fiat; collage;
il bozzetto delle “barrette”
Qui, da sinistra
Mario Maioli: Thema; dipinto motore
Sotto, al centro Mezzadro di Castiglioni.
I “servi muti”prodotti da Zanotta: Servietto,
Servofumo, Servolibro, Servopluvio, Servomostre,
Servostop, Servobandiera, Servonotte, Servomanto,
Servomuto
Maggio/Giugno 2015 - Numero centocinque
Pagina 7
di Marco Galandra
l 12 gennaio
1519, all’età di
sessant’anni,
morì a Wels,
l’antico
capoluogo
dell’Austria
Superiore,
l’imperatore Massimiliano I
d’Asburgo. A succedergli,
avrebbe dovuto essere, nei suoi
piani, il diciannovenne nipote
Carlo, re di Spagna dal 1516,
ma al trono imperiale ambiva
anche Francesco I di Valois, re
di Francia, che propose
ufficialmente la propria
candidatura. Tale mossa
apparve subito in contrasto con
la caratterizzazione etnica
dell’Impero, dal 1486
denominato “Sacro romano
impero della nazione
germanica” (in contrapposizione
proprio con la rivale secolare
nazione gallica), ma Francesco I
era preoccupato soprattutto di
fermare l’ascesa della coalizione
dinastica impersonata da Carlo
d’Asburgo, che minacciava il
primato raggiunto dal regno di
Francia in Europa dopo la
vittoria di Marignano sugli
svizzeri nel 1515. Come è noto,
il sovrano francese ricorse a
tutta la sua potenza finanziaria
per comprare il voto dei grandi
elettori cui toccava il compito di
scegliere il nuovo imperatore,
ma costoro, pur accettando di
buon grado l’oro di Francesco, il
28 giugno del 1519 votarono
per Carlo, che era stato a sua
volta molto generoso con loro in
promesse e concessioni. La
delusione del sovrano francese
fu cocente, ma qualsiasi ipotesi
di fusione tra l’Impero
germanico e il regno di Francia
appare francamente
impensabile, anche a fronte del
risveglio del sentimento di
appartenenza nazionale allora
manifestatosi in Germania. Non
sarebbe stato dunque possibile
agli elettori nel loro insieme
avallare la scelta di un
imperatore francese, che
avrebbe innanzitutto umiliato
moralmente la nazione tedesca
ma che avrebbe anche portato
all’alienazione da parte
dell’impero di una provincia
italiana (il Ducato di Milano)
pretese della Chiesa sull’Emilia,
in particolare Parma e Piacenza,
e di un’azione comune contro la
sfida lanciata in quegli anni da
Lutero all’unità del
prima volta una prospettiva
globale.
Nel novembre del 1521, un
esercito ispano-pontificio
conquistò con un’azione di
NELLE FOTO
In alto
La copertina del volume
curato da Marco Galandra
Qui a sinistra
La disposizione dei
Francesi durante la prima
parte dell’assedio di Pavia
Qui sopra
Tipi di cannoni in uso nella
prima metà del ‘500
A pagina 8
Veduta di Pavia
nell’affresco di Bernardino
Lanzani nella chiesa
di San Teodoro a Pavia
sulla quale esso vantava da
secoli diritti di sovranità e che
sarebbe passata
definitivamente al regno di
Francia. Per il neo eletto
imperatore, Carlo V d’Asburgo,
era quindi importante e
prioritario togliere Milano alla
Francia e rimettere sul trono
del ducato gli Sforza. A questo
scopo, stipulò un’alleanza di
carattere offensivo con papa
Leone X nel maggio del 1521, in
cambio dell’appoggio alle
cattolicesimo. Per distrarre
l’imperatore dall’Italia, a sua
volta, Francesco I in quello
stesso anno finanziò
un’invasione del Lussemburgo
ed appoggiò le pretese di Enrico
d’Albret sulla Navarra spagnola.
Il duello che iniziò allora tra
Francia e Impero, o meglio tra
le casate dei Valois e degli
Asburgo, ebbe così per teatro
non più solo la penisola italiana
ma si estese ad altre regioni
europee, assumendo per la
sorpresa Milano, cacciandone la
guarnigione francese, e si
impadronì poco dopo anche di
Pavia, Piacenza e Parma. La
morte di Leone X, nel dicembre
di quello stesso anno, impose
però un arresto alle operazioni
militari dei collegati e consentì
al comandante francese in
Italia, Odet de Foix, visconte di
Lautrec, di ricevere rinforzi e di
prendere l’offensiva. Ai primi di
aprile del 1522 il suo esercito,
forte di 16.000 mercenari
svizzeri, si presentò sotto le
mura di Pavia, difesa da
Federico Gonzaga, Capitano
Generale delle truppe della
Chiesa, e da una guarnigione di
circa 1500 uomini. La città però
resistette e il Lautrec fu
costretto a togliere l’assedio
dopo una decina di giorni,
minacciato alle spalle
dall’esercito ispano-pontificio
uscito da Milano e comandato
da Prospero Colonna. Pochi
giorni ancora e, il 22 aprile, alla
Bicocca, a nord di Milano,
l’esercito francese venne
duramente sconfitto e costretto
ancora una volta ad
abbandonare la Lombardia. Nel
1523, una nuova armata scese
in Italia, questa volta al
comando di Guillaume Gouffier,
signore di Bonnivet e
Ammiraglio di Francia.
L’esercito francese mise il
blocco a Milano ma ancora una
volta, dopo mesi di inutile
assedio che logorò le sue forze,
alla fine di aprile del 1524 fu
costretto a ritirarsi, incalzato
dalle truppe dell’imperatore e
della Repubblica di Venezia,
che aveva stretto alleanza con
Carlo V. Alla testa dell’esercito
collegato si trovava Carlo di
Borbone, ex-conestabile di
Francia, passato al servizio
imperiale per dissensi con
Francesco I. Trascinato dal suo
desiderio di vendetta, Borbone
varcò addirittura i confini della
Provenza e, nell’estate di quello
stesso anno, pose assedio a
Marsiglia. Mossa inutile e
azzardata, poiché a soccorso
della città scese in campo lo
stesso Francesco I, alla testa di
un poderoso esercito che mise
in fuga gli invasori e li costrinse
a tornare in fretta in
Lombardia. Non pago,
Francesco I inseguì il nemico in
ritirata al di là delle Alpi e,
verso la metà di ottobre del
1524, rioccupò Milano senza
combattere, mentre il Borbone,
il viceré di Napoli Carlo di
Lannoy e il marchese di
(Continua a pagina 8)
Associazione Amici dei Musei Pavesi L’Associazione Amici dei Musei e Monumenti Pavesi propone per il mese di giugno le seguenti iniziative culturali:
SABATO 6 GIUGNO - Monza - Visita alla Cappella di Teodolinda nel Duomo e alla Villa Reale con i suoi giardini. Prenotazione entro giovedì 28 maggio
DOMENICA 14 GIUGNO - Pavia - Scuderie del Castello Visconteo - Visita alla mostra “Da Degas a Picasso”, capolavori dalla Johannesburg Art Gallery.
Prenotazione in sede entro giovedì 4 giugno
Informazioni presso la segreteria di Santa Maria Gualtieri il martedì e il giovedì dalle ore 16.30 alle ore 18.00 - email: [email protected]
Informiamo i lettori che la nostra Associazione è intervenuta per garantire l’apertura del Museo della Certosa di Pavia per tutto il mese di maggio, dato che tale Museo dipendeva,
sino all’anno scorso, dalla Sovrintendenza ai Beni Storici Culturali che provvedeva alle sue necessità finanziarie, ed ora è confluito nel Polo Museale della Lombardia che, al momento,
ha stanziato fondi unicamente per le necessità strutturali, ma nulla per i servizi, tra i quali quello di custodia delle sale.
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Numero centocinque - Maggio/Giugno 2015
(Continua da pagina 7)
Pescara, Francesco Ferdinando
d’Avalos, comandanti di quel
che restava delle truppe
imperiali, si attestavano al di là
del fiume Adda. Rimasero nelle
mani di Carlo V Como,
Alessandria e Pavia, difesa da
una numerosa guarnigione di
circa 6000 uomini. E fu contro
questa città che, alla fine di
ottobre, Francesco I mosse il
suo esercito.
Gli storici hanno criticato molto
Francesco I per aver scelto di
assediare Pavia invece di
inseguire l’esercito imperiale,
decimato e scosso, al di là
dell’Adda per dargli il colpo di
grazia. E tuttavia, i motivi di
questa decisione del re di
Francia potevano essere validi e
si possono forse indicare nei
seguenti:
1) La convinzione, forse
alimentata ad arte, che Pavia
era pronta ad aprire le porte,
come aveva fatto Milano, e
che comunque la sua
guarnigione di circa 6000
uomini tra tedeschi e
spagnoli fosse pronta a
scendere a patti. Quando i
difensori rifiutarono di
arrendersi, il re mise in gioco
il proprio onore e
testardamente mantenne il
blocco della città, anche
perché l’arrivo dell’inverno
avrebbe reso problematiche
le operazioni militari in
campo aperto (come
vedremo, questo invece non
impedì al Pescara, una volta
ricevuti i rinforzi dalla
Germania, di uscire da Lodi
alla fine di gennaio del 1525
e di marciare verso Pavia).
2) Il fatto che gli imperiali in
quel momento tenessero città
ben fortificate con grosse
guarnigioni, come
Alessandria e Pavia, che
potevano minacciare le sue
linee di rifornimento e di
comunicazione, imponeva al
re di Francia la scelta quasi
obbligata di impadronirsene,
ovviamente nel minor tempo
possibile, prima di affrontare
l’esercito imperiale. Se ciò
non avveniva, cioè se la
resistenza della piazza
assediata si prolungava,
occorreva istituire un vero e
proprio blocco, nell’attesa
che la fame avesse ragione
dei difensori, come
puntualmente avveniva se un
esercito di soccorso (come nel
caso di Pavia) o il
logoramento delle truppe
assedianti non imponevano
di togliere l’assedio.
3) La posizione strategica di
Pavia, molto importante
perché ad appena un giorno
di marcia da Milano e perché
controllava il corso del Ticino
e quindi del Po.
Notizie di prima mano e
particolareggiate sull’assedio di
Pavia del 1424-25 non
mancano, a partire da quelle
che ci forniscono i cronisti
locali, Francesco Taegio,
Martino Verri, Antonio
Grumello, Stefano Breventano,
ecc. Dell’assedio parlarono
anche nelle loro opere Francesco
Guicciardini, Paolo Giovio,
Marino Sanudo ecc.
MOTIVI DI INTERESSE
DEL LIBRO
Documento poco conosciuto e
diffuso, che si pubblica per la
prima volta dal 1895.
Il “Diario Anonimo dell’Assedio
di Pavia”, conservato nella
biblioteca Comunale di Padova,
venne scoperto, se così si può
dire, dal prof. Antonio Bonardi e
pubblicato in “Memorie e
Documenti per la Storia di Pavia
e suo Principato”, anno 189495. L’autore è sconosciuto, ma
Faustino Gianani, che ne parla
nel suo libro su Mirabello
(Mirabello di Pavia, il Parco, la
Battaglia, la Parrocchia, 1971),
ipotizza possa trattarsi di un
pavese, forse impiegato agli
uffici dell’annona, vista la sua
conoscenza in particolare dei
prezzi dei generi alimentari
venduti in città durante l’assedio
e delle loro variazioni in funzione
delle disponibilità. Da allora, il
“Diario” non è più stato
pubblicato e mi è sembrato
opportuno farlo in occasione del
490° Anniversario della Battaglia
di Pavia, corredato da una serie
di note esplicative, storicotecniche. Il racconto
dell’anonimo diarista è meno
particolareggiato e più breve
della cronaca del professore di
filosofia presso l’Università di
Pavia Francesco Taegio,
Francisci Taegi phisici et equitis
Candida et vera narratio dirae ac
cronicae Papiae obsidionis, edita
a Pavia, apud Iacob de
Burgofranco MDXXV die XIII
Aprilis.(Sincero e veritiero
racconto del tremendo e lungo
assedio di Pavia, Pavia, presso
Iacopo da Borgofranco, 1525, a
dì 13 di aprile). Come è noto, la
cronaca del Taegio ebbe un
immediato e grande successo.
Già il 5 agosto del 1525 ne
usciva a Cremona una
che la guerra solitamente
portava con sé all’epoca della
battaglia di Pavia, gli assedi
potevano raggiungere vette di
crudeltà, barbarie e sofferenze
anche superiori. Durante un
lungo assedio, infatti, alla morte
(o alle ferite) per arma da fuoco
si aggiungeva anche quella, ben
più terribile, per fame, malattie o
sfinimento. L'assedio di Siena del
1554-55 offre un esempio
impressionante delle
conseguenze della mancanza di
viveri durante il blocco
prolungato di una città.
Fortunatamente, a Pavia furono
risparmiate le conseguenti
peggiori di un assedio, grazie
appunto all’arrivo di un esercito
di soccorso e alla disastrosa
sconfitta degli assedianti che ne
seguì. Ma l’esperienza non fu
certo piacevole per i suoi
abitanti.
Ricordiamo che gli assedi, nel
Importanza dell'assedio di Pavia XVI secolo, erano fenomeni
alquanto complessi, nei quali
come evento storico.
giocavano fattori demografici,
La battaglia del 24 febbraio 1525
ha sempre messo in ombra, come economici, politici e sociali. Nel
naturale, l’assedio che Pavia subì, corso di un assedio,
per quasi quattro mesi, dalla fine innanzitutto, le composizioni dei
gruppi umani coinvolti
di ottobre 1524 al 23 febbraio
tendevano a variare: militari e
1525. Eppure, se la città non
civili, assedianti e assediati,
avesse resistito, con coraggio e
venivano uccisi o morivano di
decisione, dando il tempo
stenti o malattie, oppure
all’imperatore Carlo V di mettere
subivano lesioni più o meno
assieme un nuovo esercito per
gravi, il che ne mutava
affrontare il re di Francia, non ci
sarebbe stata la battaglia di Pavia, inevitabilmente, oltre alla
consistenza numerica,
Francesco I non sarebbe stato
l’efficienza. Inoltre, sia le truppe
fatto prigioniero e forse la storia
europea sarebbe cambiata. Credo assediate che quelle assedianti
potevano ricevere rinforzi
sia perciò opportuno, anche
durante il blocco oppure ridursi
attraverso la pubblicazione di
a causa delle diserzioni. C’era
questo “Diario Anonimo”,
poi la possibilità che un’aliquota
ricordare quell’evento e
più o meno consistente
sottolinearne l’importanza, in
dell’esercito assediante fosse
occasione del 490° anniversario
avviata verso altri teatri di
della battaglia.
guerra, come accadde sotto
Pavia, quando una parte
Interesse del diario come
dell’esercito francese, nel mese
documento che illustra la vita
di dicembre del 1524, venne
in una città assediata nel XVI
inviato da Francesco I verso il
secolo.
sud della Penisola, con l'obiettivo
Molto probabilmente, anche se il
di invadere il Regno di Napoli.
saccheggio di una città può
Eventi come gli assedi ponevano
sembrare l’evento più terribile
le città di fronte a situazioni di
nella graduatoria delle sciagure
traduzione in volgare, ad opera
del "Cambiago Cremonese": La
ossidione di Pavia per il Cambiago
Cremonese volgarmente descritta,
presso Francesco Ricardo. L’opera
del Cambiago venne ristampata,
nel 1655, durante l’assedio posto
a Pavia dai Franco-PiemontesiModenesi (24 luglio-14
settembre), in due edizioni
successive. Una ad opera degli
“Abbati e Decurioni” della città, la
seconda, datata 4 agosto 1655,
curata dal canonico Ottavio
Ballada, sempre presso lo stesso
stampatore, Giovanni Andrea
Magri di Pavia. Un altro cronista
pavese che parla, seppur più
brevemente, dell’assedio è Martino
Verri, il cui racconto venne per la
prima volta pubblicato nel 1857 e
successivamente inserito da Carlo
dell’Acqua nei “Il Comune dei
Corpi Santi di Pavia e Ca' de
Tedioli” nel 1877.
IMPRESA CALISTI
PAVIA
1928-2015
TRE GENERAZIONI IMPEGNATE NEL RESTAURO CONSERVATIVO
DI EDIFICI E MONUMENTI STORICI
stress e di emergenza, che la
società cittadina e le autorità
che la governavano dovevano
sforzarsi di fronteggiare, non
solo adottando disposizioni
“eccezionali” (tipico i1 caso dei
provvedimenti demografici
assunti durante gli assedi, quali
ad esempio l’espulsione dei
forestieri e delle cosiddette
“bocche inutili”, cioè i civili non
considerati utili per la difesa) o
reiterando misure “normali”, ma
anche, più in generale,
attuando, incentivando e
promuovendo nei vari strati
della popolazione iniziative e
comportamenti in grado di
favorire la mobilitazione morale
e materiale delle risorse umane
ed economiche locali.
Alla luce di quanto detto sopra,
quindi, sebbene non
particolarmente lungo, l’assedio
di Pavia risulta esemplare nel
suo genere e rientra appieno in
quel periodo di rivoluzione (o
cambiamento che dir si voglia)
dell'arte della guerra che fu il
XVI secolo.
Che notizie ci dà, l’anonimo
diarista degli eventi
verificatisi in Pavia durante
l’assedio?
Innanzitutto, ci informa dei
tentativi compiuti dall’esercito
assediante di impadronirsi della
città. Oltre agli assalti alle
mura, tutti sanguinosamente
respinti, i francesi scavano
continuamente mine per aprire
brecce nelle mura di Pavia e,
soprattutto, cercano di deviare il
corso del Ticino, per avere la
possibilità di attaccare la città
dal lato del fiume, dove le mura
sono più deboli. Tutti questi
tentativi, però, falliscono.
Il nostro Anonimo diarista
appare però soprattutto
interessato ai generi alimentari,
al loro costo e alla loro
reperibilità durante l’assedio. Le
notizie che ci dà sono molto
particolareggiate. La farina, ad
esempio, se fino al 12 novembre
1524 costava 25 libre (lire) al
sacco, con la costruzione di
numerosi mulini a braccia e a
trazione animale in città, scende
di prezzo a 14 libbre al sacco il
25 di novembre. Tra la fine di
novembre e la fine di dicembre
1524, un pane bianco da 8 once
costava 1 soldo, così come un
pane nero da 10 once. A
quell’epoca, la città aveva scorte
di frumento e segale ancora per
tre mesi, di vino per due mesi.
C’era abbondanza di formaggio,
per sei mesi almeno, al prezzo di
8 soldi la libbra. Poco olio,
invece, e pochissimo lardo.
Scomparsa quasi subito anche
la carne bovina, alla quale si
sopperì con carne d’asino e di
cavallo. Le galline valevano
moltissimo, 3 lire l’una, i
capponi 1 scudo, i pavoni, 2
scudi. Nel complesso, la
situazione della città assediata
per quanto riguarda i viveri
sembrò farsi grave solo negli
ultimi giorni dell’assedio.
Marco Galandra
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