_____________Mario Enrico Mauri ©2010 dedicato a chi, con amicizia, mi è stato accanto a chi, con amore, mi è ancora accanto a chi, con ignavia, mi ha ispirato cap 01 Aveva la testa grossa e le scarpe fini. La catena d'oro che aveva al collo poteva essere più che sufficiente a trattenere un pitbull, in compenso il nero pelame che traboccava dalla camicia, firmata ed aperta sul torace, non poteva non farlo scambiare per un vero cane da combattimento, quale egli era veramente. Solo conoscendolo a fondo si poteva apprezzare quanto un pitbull fosse molto, ma molto, più docile ed umano. Nessuno è mai riuscito ad odiarlo; probabilmente perché non si possono odiare gli animali. Nessuno è mai, nemmeno, riuscito ad amarlo; probabilmente perché non si possono amare i fallocefali. Nel suo giro era reputato un industriale; c'è da dire che il "giro" era formato da suoi conoscenti che erano anche più bestie di lui, se ciò fosse consentito dalle teorie dei massimi e dei minimi. La sua miglior dote era il saper spremere, da qualsiasi essere umano ed in qualsiasi momento, ogni stilla di sudore che, puntualmente, pagava con ampie rassicurazioni verbali circa il fatto che qualora l'economia si fosse stabilizzata, sicuramente, forse, lui stesso avrebbe provveduto a versare un cifra, per altro non meglio precisata, ma senza dubbio simbolica, nelle mani del lavoratore. Era sposato e, ahimè per l'umanità a venire, aveva figli. La moglie era la mente pensante della famiglia e sapeva fargli credere che lui era, da sempre, il più grande pensatore dell'universo. Intendiamoci: l'universo di questo “essere” e del suo "entourage" è da riproporzionarsi al suo modo di intendere le leggi dello spazio-tempo. In termini di marketing la sua casa era il mercato dome- stico; la casa del vicino era il territorio comunale; la città più prossima (5 km) era il mercato nazionale; il capoluogo di provincia era, inevitabilmente, l'estero; la regione attigua era il resto del mondo. Nei suoi scambi commerciali era facilitato dalla padronanza delle lingue: conosceva poco il dialetto, in compenso parlava un po' peggio l'italiano e non capiva assolutamente alcuna delle lingue usate sul globo terracqueo. Si chiedeva spesso, nei rari momenti in cui osava pensare in proprio, come facessero i tedeschi ad intendersi fra di loro; cosi' come gli inglesi o i francesi; figuriamoci, era già cosi' difficile capire l'italiano! Cap 02 Il sole di settembre faceva fiammeggiare la carrozzeria rosso fuoco della Ferrari Testarossa dal cui finestrino anteriore, abbassato a filo cintura, sporgeva un irsuto gomito, compreso tra una manica di camicia oxford arrotolata sino alla spalla e un Rolex da collezione mollemente adagiato sul grosso polso. Lui scese con sbuffi e strane contorsioni, dettate dalla non indifferente mole e chiuse la portiera con la stessa determinazione e grazia di un macellaio allorché abbassa la serranda del negozio. Il rumore della portiera sbattuta coincise con la ripresa della copiosa sudorazione dell'ineffabile industriale che non poteva più' fruire dei deliziosi 18 gradi assicurati dal potente climatizzatore. Dalla porticina che immetteva nel retro dell'ufficio di rappresentanza apparve il fido Lucio attratto verso la maestà del grande "padrone" e, soprattutto, dal rombo della Ferrari. Prostrandosi e tenendo il capo giustamente chino, Lucio salutò' il grande Dario e si offri' di parcheggiare la vettura abbandonata proditoriamente in mezzo al piazzale. Dario accondiscese ad essere servito e, congedandosi con un poderoso peto, raccomandò al fido servo di sedersi sul prezioso sedile solo frapponendo tra questo ed il suo deretano uno straccio pulito e morbido perché "...costa quel sedile li'!" Cap 03 Ineffabile gioia di vedere gli altri che lavorano! E lui, Dario il grande, guardava ogni giorno il lavoro dei suoi operai, li guardava con intensità tale da fargli quasi uscire gli occhi dalle orbite. Giunta la sera si sdraiava mollemente sulla poltrona in vera fintapelle e, pensando alla mole di lavoro svolto dai suoi dipendenti, si sentiva stanco, giustamente e assolutamente stanco. Su di lui scendeva la fatica di chi aveva guardato lavorare: fatica improba alla quale solo lui e pochi altri eletti possono sopravvivere. Era così tanto abituato a far fatica con il sudore altrui che riusciva ad essere spossato anche dopo un viaggio in aereo fatto per trascorrere il week-end in Sardegna; la fatica dei piloti e dell'equipaggio e dei controllori di volo e dei portabagagli gli piombava addosso, preventivata, eppure ogni volta improvvisa. Non sempre le due giornate trascorse in operoso ozio al sole di Porto Cervo riuscivano a lenire le sue fatiche per cui il viaggio di ritorno si rivelava essere un vero calvario. L'afrore della sudorazione, a livelli fantozziani, era a mala pena mitigata dalle preziose essenze con cui si vaporizzava e poteva durare anche per due - tre giorni dopo il rientro in azienda. Capitava che qualcuno, impietosito dallo stato di prostrazione in cui versava dopo siffatti viaggi, gli consigliasse di riposarsi. L'errore, il malcapitato, lo avrebbe scoperto a sue spese. Per non meno di due ore, il grande Dario, si lanciava in un forbito monologo in cui, coniugando verbi abbastanza improbabili con tempi quantomeno sospetti, tentava di dimostrare all'allibito interlocutore come un capitano di azienda deve sempre "sentirsi" stanco per essere sicuro di aver fatto il proprio dovere. Guai a coloro che non sono perennemente stanchi! Guai e ri - guai a coloro che si sentono in forma e riposati! Il vero industriale doveva e deve essere come lui, anzi, senza il come: è lui, solo lui: Dario il grande imprenditore, il grande stratega aziendale, il grande organizzatore e coordinatore, insomma “il” grande! Solo lui è in grado di intervenire con inopinato ed insospettato sense of humour (per altro assolutamente involontario) in un acceso dibattito tra il capo-officina e l'operaio a proposito di come fare un filetto, pronunciando l'imperitura frase, da scolpirsi su marmo immortale:"alla griglia, alla griglia ed al sangue!" Cap 04 E venne il giorno! Venne il gran giorno! Dario il grande, paludato come per le feste comandate e con tanto di cravatta dotata di nodo scorsoio rimasto da almeno tre feste prima, si presentò, in puntuale ritardo di un'ora e cinquanta, nell'aula magna. Entrò, ovviamente dalla porta sbagliata, e si diresse alla prima sedia che vide libera. Si accomodò, nel silenzio generale. Estrasse il fazzoletto stropicciato dalla tasca sinistra dei pantaloni blu mare; si deterse il coppino, la fronte e la pappagorgia con una calma che poteva sembrare affettata, ma che derivava, invece, dalla sua perfetta inconsapevolezza di essere osservato da qualche centinaio di persone. Già, perché la sedia su cui si era adagiato era quella del Magnifico Rettore che, giusto cinque minuti prima, si era recato al bagno. Un compito usciere gli si avvicinò e gli bisbigliò qualcosa all'orecchio. Il colore del faccione del grande Dario passò per tutte le gradazioni del rosso, poi del bianco, infine si stabilizzò su una tonalità blu/paonazza mentre le labbra si empivano di una schiuma candida dovuta ad un surplus di salivazione. Con fatica si alzò e, biascicando qualcosa come: "...potevate mettere dei cartelli...avvisarmi prima .... le solite cose fatte all'ultimo minuto ... disorganizzati che non siete altro ..." Si rassegnò a fendere la folla che lo osservava con divertito compatimento e, preso posto in alto, all'ultimo banco di destra, sopraffatto dallo sforzo, si appisolò. Venne svegliato dalla voce della moglie, la brillante, mondana e onnipresente organizzatrice Lina, che gli soffiava nell'orecchio destro: "... insomma ... ti stiamo aspettando da due ore! Smettila di dormire, cerca di ascoltare quello che sta dicendo a nostro figlio il rettore! Senti! Gli sta dandoci la laurea!..." Come trafitto da un fulmine il grande Dario scattò in piedi e con impeto da stadio urlò: "Bene! Un brindisi!" Gli astanti si scostarono un poco da lui e lo lasciarono, in perfetto silenzio, a rimirarsi le unghie al fianco di una sconsolata Lina. Tre ore più tardi Morfeo stava ancora cullando nelle sue braccia il grande Dario che, piuttosto discinto, si era stravaccato su una poltrona dell'hotel a sette stelle, appositamente noleggiato per festeggiare l'erede e la sua laurea, mentre tutti i convitati si prostravano, con malcelata invidia, al cospetto del piccolo, orgoglioso principe ereditario. Era, costui, di buon aspetto e di ristrette vedute, in compenso schifava anche la sola idea di dover in qualche modo fare fatica per cui, sei anni prima, di fronte al pensiero che avrebbe dovuto studiare per laurearsi ebbe la saggia idea di affittare un sosia, da inviare alle lezioni universitarie, delegando ad uno zio povero, ma servizievole ed onesto, il compito di trattare con i docenti ed il Rettore la giusta tariffa di laurea. Ora, di fronte ai giusti e sperticati elogi per il diploma ottenuto, che la sua piccola corte di invitati gli rivolgeva, con aria stanca e quasi afflitta commentava, distaccato:" Eh! Sì, è stato un corso di laurea duro, ma era necessario che lo facessi per il futuro dell'azienda". Già, l'azienda.... Sarà il caso che ne parliamo in un capitolo a parte. Cap 05 L'azienda diretta da Dario il grande, e la parola "diretta" è una parola davvero esageratamente grossa, produceva, oltre al malumore costante e continuo di tutti i dipendenti, ivi compresi gli azionisti del c.d.a., aerei supersonici con propulsione ad elica. In effetti, all'origine, negli anni cinquanta, aveva iniziato a produrre, sotto la guida di "nonno Claudio" cerchi in legno per carrozze a cavalli. Gli affari, stante la disgraziata ed inopinata congiuntura che vedeva l'avanzare delle automobili e la inarrestabile sparizione delle carrozze e dei cavalli, non andavano propriamente a gonfie vele. Nonno Claudio, però, era un tipo perseverante, perspicace e di ampie vedute; tradotto in parole povere diciamo che giocava la schedina della sisal ogni domenica, spesso ci prendeva, incamerando ottime vincite e utilizzava i proventi della schedina per ingrandire un capannoncino dove tre o quattro ragazzotti si recavano ogni sera per guadagnare un piccolo extra assemblando i cerchi in legno. Questa produzione, chiaramente nata già obsoleta, permetteva al vecchio di occultare le sue vincite e di far credere in giro che la villetta padronale lui l'aveva costruita con i proventi del suo lavoro per cui era rimasto senza soldi e ogni guadagno dell'attività finiva, inesorabilmente, nelle tasche degli operai; a lui restavano solo le briciole. Con gli anni si acuì la propensione di nonno Claudio al gioco d'azzardo e tanto si convinse intimamente di possedere il dono della preveggenza che decise di applicare l'indubbia abilità del suo fondoschiena anche sul terreno industriale. In effetti la sua non fu una vera scelta, furono gli avvenimenti a dimostrare che quella era la strada predestinata. Avvenne che una grande azienda aeronautica di respiro mondiale necessitasse di aziende esterne per incrementare la produzione e di questa ricerca venne incaricato un certo ing. Stanzone, giovane di belle speranze e di fertile intelligenza, che, in una sera di fine novembre, si imbatté in nonno Claudio. Il giovane ingegnere era stanco; viaggiava da quattro giorni su una Fiat topolino e non era ancora riuscito a trovare un'azienda disposta ad accollarsi la commessa di lavoro; la casa aeronautica lo pressava perché si desse da fare; era veramente bollito quando, avendo perso la strada perché sopraffatto dal nebbione lombardo, entrò nel capannone di nonno Claudio per chiedere informazioni. Com'è e come non è, nonno Claudio fece accomodare il giovane, gli offrì un buon bicchiere di vino rosso e, saputo cosa stesse cercando gli disse: " caro il mio ingeniere! Di ditte per fare quello che c'ha bisogno lui, non se ne trovano più! Io medesimo ci verrei incontro con i miei operari, ma il lavoro che vuole è difficile..." L'ingegnere, furbetto, capì che aveva trovato la gallina dalle uova d'oro. Invitò a cena nonno Claudio, nella trattoria del paese, l'unica, dove, dopo un'abbondante libagione, sottoscrisse e fece sottoscrivere al vecchietto un contratto in cui nonno Claudio si impegnava ad assumere tot operai provenienti dalla casa aeronautica per poter addestrare i suoi alle ardite lavorazioni richieste e che consistevano nell'assemblaggio di velivoli per almeno venti anni. In tutto questo l'ingegnerino si era riservato una quota "premio" del 10 per cento su ogni aereo deliberato; neanche a dirlo la clausola era su un foglio separato firmato da "gentiluomini" e prevedeva il pagamento rigorosamente in nero o, come si suol dire "esentasse". Fu il decollo! Con puntualità degna dei migliori treni svizzeri ogni fine mese l'aziendina di nonno Claudio sfornava il suo bell'aeroplano, montato in ogni particolare con una cura artigianale invidiabile e ogni fine mese l'ingegner Stanzoni passava, deliberava, riscuoteva e si arricchiva. Certo, di tanto in tanto c'era qualche disdicevole intoppo, ma la ruota era così magistralmente oliata che tutto si aggiustava da sé. Avvenne, ad esempio, che su un aeroplano la casa committente riscontrò il mancato montaggio degli strumenti di bordo, ma nonno Claudio inviò il suo pupillo, Dario il grande, a discutere con la casa aeronautica e qui, per la prima volta, si svelò l'acume e la sagacia di Dario. Egli, infatti, sostenne, di fronte al quadro strumenti costellato di buchi e negando anche la più lapalissiana delle evidenze, che la strumentazione sull'aereo in questione, non solo era montata , ma che funzionava benissimo anche a motore spento! Prova ne era che non si accendeva alcuna spia di allarme. Di fronte a cotanta perspicacia la casa aeronautica stabilì, per evitare screzi, che, da allora in poi, la strumentazione di bordo sarebbe stata montata presso la casa madre. Dario, il grande, fece notare che in tale modo non avrebbe potuto controllare la corretta esecuzione dei fori della plancia strumenti per cui sarebbe stato opportuno che anche tale particolare venisse allestito direttamente dalla casa aeronautica. Tutti furono d'accordo. Qualcuno avanzò l'ipotesi di una riduzione dell'importo da elargire all'aziendina di nonno Claudio, ma Dario, il grande, dimostrò che l'assemblaggio del quadro strumenti con gli strumenti relativi era un'attività sino ad allora compiuta gratuitamente per amore di patria e degli aerei. Commossi da sì tanta abnegazione i committenti offrirono a Dario la possibilità di scegliere tra una erogazione straordinaria "una tantum" ed una erogazione mensile della medesima quota; egli dapprima declinò le proposte, schernendosi, poi decise di accettarle e di pretenderle tutte e due, possibilmente anticipate. Saputo il risultato ottenuto dal figlio nonno Claudio commentò:" è troppo buono quel ragazzo lì, fa sempre sconti a tutti! ". Dario sentì il commento e se ne convinse per tutti gli anni a seguire. Cap 06 Con il passare degli anni nonno Claudio capì di invecchiare. Anche Dario invecchiava, ma dato che era ancora giovane, non si accorgeva del passare del tempo. Del resto era perfettamente convinto che a lui fosse riservato il privilegio di essere bello, simpatico, modesto ed immortale. Ad ogni buon conto nonno Claudio convocò i due figli, Dario il grande e Sandrino il piccolo, per decidere il futuro dell'azienda che, ormai, produceva in proprio i monomotori ad elica poiché la grande casa aeronautica con cui aveva iniziato a collaborare si era dedicata alla realizzazione in proprio di missili ed aerei plurigetto ipersonici. La riunione di quel primo abbozzo di consiglio di amministrazione programmatico sortì l'esito, dopo non poche urla e pacate vicendevoli percosse, di definire, una volta per tutte, il nome dell'azienda: "Velivoli Italiani" con acronimo: V.I. Nella circostanza i tre titolari della V.I. stabilirono anche di trasformare la società in S.p.a. nel volgere di un anno così da poter accedere ad una serie di privilegi fiscali che il governo stava varando a sostegno delle grandi industrie che lo avevano votato. Puntualmente, dopo sei anni, la V.I. divenne V.I.S.P.A. e non potè attingere alle agevolazioni fiscali poichè, nel frattempo, i tre governi che si erano succeduti avevano optato per un aumento della tassazione a carico delle S.p.a. Fecero il loro ingresso, nella V.I.S.P.A, nuovi soci accuratamente scelti fra i personaggi facoltosi della zona disposti ad investire soldi senza, però, aver tempo e voglia di seguire le fasi operative aziendali in ciò disposti a delegare la loro massima fiducia ai due fratelli ed al loro padre. Amministratore unico venne nominato Dario (a.u.da); presidente fu acclamato Sandrino(pres.sa) mentre nonno Claudio si ritirò in un albergo di Montecarlo proprio di fronte al celebre casinò. Il primo atto di Dario il grande nella sua qualità di amministratore unico fu quello di installare, nel mega uffi- cio direzionale, un divano extra size posizionato vicino al potente gruppo di condizionamento. Il secondo atto fu quello di far affiggere nei reparti di lavorazione una miriade di cartelli "ricorda che l'a.u.da ti guarda!" Il terzo fu la nomina di se stesso anche a “direttore immensamente onnipotente” accorciato in d.i.o. per l'uso quotidiano da parte delle maestranze che, per altro, preferivano nominarlo come "Dario il glande". Cap 07 La mattina di quel maggio si presentava come il biglietto da visita della primavera; il cielo era terso, dopo un temporale notturno, l'aria limpida, frizzante ed odorosa di fienagione e di rose; anche sulla V.I.S.P.A. il sole splendeva ed entrava, prepotentemente, dai portoni lasciati aperti per aerare gli scuri capannoni. Erano già le dieci quando una limousine di rappresentanza si fermò sul piazzale, fra carcasse di aerei ormai da rottamare e pezzi di fuso-liera nuovi di pacca abbandonati in sapiente disordine per poter arrugginire alle intemperie. Dall'automobile discesero quattro elegantissimi e distinti personaggi azzimati e acconciati come solo gli incaricati di affari ministeriali sanno essere. Sconcertati dal dover zigzagare fra puntuti oggetti metallici di ogni genere per raggiungere quello che sembrava essere il portoncino di accesso agli uffici furono visibilmente ancor più sorpresi dalla voce stridula di donna che, senza mostrarsi, sbraitava alle loro spalle: "Ehi! Non si va di lì! Devono venire da questa parte qui di qui di dietro al bidone della spazzatura!". Rapido dietro-front, un'alzata di spalle e, ricomposto il viso al-l'espressione "ministeriale" i quattro entrarono nella penombra degli uffici della V.I.S.P.A. "Buon giorno, abbiamo un appuntamento con l'amministratore unico, noi siamo il comitato di acquisto per l'aereo presidenziale". Le loro parole caddero come silenziose piume in quell'ovattato ufficio dove un numero imprecisato di impiegati era intento a svolgere, con invidiabile impegno, funzioni non propriamente individuabili nei mansionari ufficiali. A destra, vicino ad una finestra semichiusa, con la veneziana di tra-verso, sbilenca, acciaccata e polverosa, un uomo, con jeans sfilacciati e tagliati all'altezza dei polpacci, camiciola in lino con disegni vaga-mente orientali a vivaci colori, sorbiva, con assorta dignità, un succo di frutta tropicale rovesciando la testa all'indietro, come se volesse toccare i calcagni con la nuca mentre lo schermo del pc che gli stava di fronte lo illuminava di una luce verdastra; l'arrivo dei quattro ospiti lo aveva lasciato totalmente indifferente. Il suo vicino di scrivania, più attempato e con occhialini d'oro sistemati a mo' di pince-nez, traguardava, da sopra gli strumenti ottici, una vecchia calcolatrice degli anni '70 che, rumorosamente, stampava cifre su cifre in pallido azzurro su una carta ingiallita dalla luce e dal tempo; una rapida occhiata gli aveva fatto valutare i nuovi entrati come scocciatori per cui decise di non vederli e si reimmerse nei suoi conteggi. Al telefono di una scrivania, posta di traverso rispetto alle due precedenti, una scialba segretaria dai capelli di un biondo smunto e dagli occhi vacui di un ceruleo az- zurro polveroso, stava attendendo di riprendere la conversazione con un interlocutore che, dalle smorfie e dagli sbuffi che emetteva, non doveva esserle molto simpatico; non degnò neppure di uno sguardo i "ministeriali". Di fronte a lei un'altra segretaria era immersa in una conversazione telefonica che, a giudicare dal tono bisbigliato e dalla posizione a "sto nascosta e non mi potete vedere", doveva essere altamente e squisitamente personale; lo sguardo che gettò ai quattro ospiti le bastò per valutarli come "spaccamarroni" per cui si celò ulteriormente alla vista di tutti ingobbendosi ulteriormente fra le cataste di carta che ornavano una scrivania unta e bisunta. Sulla porta di fronte a quella di ingresso sostava un capannello di tre uomini vestiti con abiti da lavoro tipici dei meccanici e le loro risate sguaiate intercalate da divertenti motti calabro-pugliesi arrivavano stridule e fastidiose alle orecchie degli sbigottiti, dimenticati e trascurati ospiti che si accorsero, improvvisamente, di una presenza femminile al centro della piramide formata dal trio operaio; era, la donna che si intravvedeva, un tipino minuscolo eppur vistoso nell'abito nero lungo con spacco laterale degno delle migliori soubrettes. Nessuno parve accorgersi dei nuovi arrivati. Improvvisamente, come all'approssimarsi dell'alta marea, si avanzò un bisbigliato mormorio che, montando di tono ad ogni finir di frase, lasciò nell'aria come un'eco:" arriva Dario, Dario, ario..." In un attimo l'ufficio prese vita. I tre operai parvero dileguarsi; la ragazza che era al centro delle loro attenzioni avanzò, con passo sicuro e dinoccolato, verso il comitato ministeriale e, aprendo le labbra ad un sorriso domandò con voce che voleva essere cordiale: "chi siete?" "Ehm... Noi siamo, cioè loro sono, io invece li accompagno, gli incaricati del ministero per l'acquisto dell'aereo presidenziale" rispose il più cicciottello dei quattro. La ragazza, la cui statura era ormai misurabile con numeri negativi, guardando l'interlocutore dal basso verso l'alto chiese:" E ... con chi vorreste parlare?" "Noi avremmo dovuto incontrare, mezz'ora fa, il sig. Dario..." "Adesso vedo di andarlo a cercare. Restate pure qui ad aspettare" Si girò su se stessa e, in un turbinio di profumi new-age, uscì dalla porta dove prima sostava con i tre meccanici. Cap 08 Ed eccolo! Tronfio e madido di sudore si stagliò in controluce, nel vano della porta, lui, Dario il grande. Con passo strascicato, leggermente claudicante, gli occhi spalancati in guisa di biglie vitree pronte a precipitare dalle occhiaie alle flaccide guanciotte, egli avanzò verso i quattro visitatori; non li degnò più di tanto e domandò, con la solita aria strafottente, all'impiegato assorto nella contemplazione della calcolatrice: "Allora? Chi è che mi vuole? Cerchiamo di muoverci!" L'impiegato scattò in piedi e con fare ossequioso, avvicinando il suo volto segaligno a quello rubizzo del grande, disse:" sig. Dario, questi qui sono quelli di Roma che c'avevano appuntamento..." "Avevano appuntamento con chi?" "Con lei, sig. Dario... Con lei" Il grande sbuffò e, giratosi verso i quattro ospiti, bofonchiò qualcosa che suonava come " chi è che vi aveva detto che dovevate parlare proprio con me? Fa niente ormai mi avete disturbato per cui vediamo di fare una cosa in fretta...." Lo sconcerto era sufficientemente palpabile in tutto l'ufficio ed era palesemente dipinto sui volti dei componenti il comitato ministeriale. L'impiegato più prossimo alla porta di ingresso, distaccando l'occhio bovino dallo schermo verdognolo del Pc, fu preso da un attacco di anfitrionismo e, scattando in piedi come punto da una vespa, mormorò, all'indirizzo di tutti e di nessuno:" prendete pure le sedie che vi porto un caffè caldo fatto con la macchinetta a gettoni che stiamo provando..." Lo sguardo di disappunto di Dario il grande fu talmente rapido, violento e freddo che l'impiegato restò congelato in bilico sulla sola gamba destra in una plastica posa da partente per gli 800 metri. "Lasci perdere il caffè e si facci il suo di lavoro! - voi venitemi dietro che andiamo nel mio di ufficio" Trot-trot, trot-trot il grande si avviò badando bene di non accertarsi di essere seguito dai componenti della commissione che, in verità, co-minciavano a pensare seriamente di fare un rapido dietro front e la-sciare da insalutati ospiti la V.I.S.P.A. e tutti i suoi dipendenti, ma il ben noto zelo dei dipendenti statali prevalse su ogni considerazione personale ed i quattro, in perfetta fila indiana, si lanciarono sulle peste di Dario. Entrarono nell'ufficio del d.i.o. dove regnava il più inverosimile dei caos che fosse dato vedere sulla terra. Sul muro di sinistra erano appese, in meraviglioso disor- dine, insigni-ficanti stampe d'epoca frammiste a vecchi calendari da dove le pin-up occhieggiavano con patinata morbosità; tra una stampa ed un calendario l'intonaco del muro si affacciava mostrando, anche al più disattento degli osservatori, la vetustà dell'ultima intonacatura ormai completamente soppiantata da chiazze di muffa e da macchie di caffè che si inseguivano in ordine sparso. Alla destra dei visitatori faceva bella mostra di sé una vecchia poltrona in stoffa gialla, sdrucita, impolverata, lisa in più punti e con le rotelle rabberciate alla bell'e meglio con nastro isolante di vari colori; poco più indietro un tavolino, di indubbia buona fattura, sembrava flettere le gambe sotto il peso di una mole impressionante di macerie (così parevano a prima vista) frammiste a riviste femminili ed a fogli sparsi di ingialliti quotidiani mai letti. Al centro del locale, proprio sotto ad una plafoniera al neon con la tipica luce tremolante delle lampade pressoché esaurite, una bella scrivania in noce tentava di imporsi all'attenzione dei visitatori ad onta delle scartoffie che, in rigoroso ordine sparso, coprivano, o meglio: tappezzavano, il polveroso ripiano. Dario il grande si lasciò cadere sulla poltrona in vera similpelle e si accese, con un certo impaccio, un sigaro toscano stortignaccolo e maleodorante che aveva recuperato frugando in una scatoletta di latta estratta da un cassetto della scrivania. I quattro visitatori si ritennero autorizzati ad accomodarsi e, in effetti, tre di loro trovarono posto su altrettante sedie di diversa foggia e colore che ingombravano l'ufficio; il quarto, quello più alto e magro, assunse un'aria indifferente e si appoggiò con la schiena alla colonna di destra incrociando le ossute gambe. "Allora...cosa volete?" "Buongiorno, sig. Dario, io sono l'ingegner Cobalti ed accompagno questi signori, il dottor Bastioni, il dottor Chiaretto e l'architetto Casomai, che sono i componenti della commissione ministeriale delegata all'acquisto del nuovo aereo presidenziale." "Va bene, ma... io cosa c'entro?" Rispose l'ineffabile grande, grandissimo Dario. "Beh...ecco...ci era sembrato che la sua azienda, la V.I.S.P.A. producesse aerei, per cui vorremmo vedere se fra i vostri modelli ce n'è uno che soddisfa le nostre aspettative...per ... acquistarlo, comperarlo, insomma." Fu una folgorazione! Ad onta del bradipo che stazionava permanentemente nella sua scatola cranica in luogo del cervello, Dario si rese conto, alla velocità della luce, di essere di fronte, incredibile a dirsi, a dei potenziali compratori! L'ultima volta che la V.I.S.P.A. aveva visto entrare nei suoi uffici dei potenziali compratori risaliva ad almeno due anni prima ed era, quindi, abbastanza logico che ci fosse una certa desuetudine, da parte di tutto il personale, a trattare con i clienti.Dario, no! Dario in tutto quel tempo passato senza clienti, non si era mai rassegnato ed ogni giorno, due ore al mattino e tre ore al pomeriggio, morbidamente sprofondato sul divano si era dedicato a rapporti onirici con altrettanto onirici clienti per cui, trovandoseli, questa volta, vivi e veri di fronte, non ebbe alcun problema a balbettare: "Certo che facciamo gli aerei! Facciate pure un assegno che poi ci mettiamo d'accordo per quando consegnarvelo!" Ciò detto, congratulandosi con se stesso per l'accorta e sottile trattativa condotta, il grande si alzò e, recatosi ne- gli uffici chiamò a gran voce:" Alfonso! Portami un caffè, anzi un cappuccino, anzi no...una cioccolata, ma non troppo calda e non troppo dolce...sono proprio stanco!" Si volse, poi, verso l'ingegner Cobalti e, trattenendo a stento uno sbadiglio da smascellamento, gli disse, con tono confidenziale:" avete fatto bene a scegliere la mia ditta, vi faremo l'aereo più bello del mondo e poi... lo state pagando una stupidata!" "Mi scusi signor Dario, ma ... ancora non abbiamo scelto l'aereo, tanto meno l'abbiamo acquistato e poi, prima di parlare del prezzo, ne vorremmo vedere uno e conoscerne le caratteristiche tecniche..." "Giusto. Più che giusto! Vi devo dare le caratteristiche tecniche ed il prezzo....dunque partiamo dal prezzo. Non costa tanto di più degli altri aerei per cui il prezzo vi deve andare bene.... Le caratteristiche tecniche, suvvia! Non vorrete dirmi che non sapete che gli aerei volano!? Ovviamente i miei aerei volano anche loro e volano meglio di tutti gli altri messi insieme. Quindi, siamo d'accordo: adesso faccio venire mio figlio con il contratto da farvi firmare." Così dicendo premette un pulsante. Lo sbigottimento dell'ingegner Cobalti raggiunse il culmine qualche secondo più tardi quando Dario, senza lasciare tempo di fiatare agli stupefatti clienti, alzò la cornetta del telefono ed iniziò un fitto discorso con un non meglio precisato "Giangianni" con cui stava, palesemente, trattando i dettagli di una grigliata all'aperto da tenersi la sera stessa nel giardino della villa sul lago; il tutto nella più assoluta indifferenza per la presenza degli ospiti Romani. Mentre Dario si intratteneva amabilmente con Giangianni comparve, sbattendo la porta d'ingresso dell'ufficio il principe ereditario designato: il piccolo Darko. Sul suo volto abbronzato erano ancora evidenti i postumi della serata precedente trascorsa nella discoteca più “in” della metropoli; con la camminata elastica tipica dei fancazzisti ed il telefonino di ultima generazione mollemente appoggiato all'orecchio egli si diresse, sicuro, verso il divano e sedendosi urlò, in direzione dell'amato genitore:" Cosa c'è di così urgente? Lo sai che ho anch'io i miei impegni, no?" Dario lo guardò con la tenerezza del padre e rispose:" Ti ho chiamato perché questi qui devono firmare un contratto e io non ho qui neanche la biro" "E tienitela in tasca 'sta biro! Legatela al collo, non posso mica correrti sempre dietro, sai! Che contratto è che devono firmare?" L'architetto Casomai, a quel punto, si sentì in dovere di intervenire e riassunse la storia del loro appuntamento ad uso e consumo del nuovo arrivato che, mentre Casomai andava specificando anche i piccoli qui-pro-quo che gli sembrava si fossero delineati nel corso dell'incontro, iniziò una infinita serie di "bacini, bacini, bacini....ciccina bella, ciccina mia...coccolona.." All'indirizzo di un secondo telefonino magicamente comparso nell'altra mano. Cap 09 Ad onta di tutti i malintesi e di tutti gli involontari maldestri tentativi messi in atto dalle massime cariche della V.I.S.P.A. per sconcertare ed irritare la commissione di acquisto, verso le 15 iniziò un turbinoso movimento di mani che si stringevano, si aprivano in segno di scusa, si ristringevano con rinnovato vigore mentre nell'aria immota echeggiavano, in ordine sparso parole come: "Certo, certo, dottore!" "Ci si vede a Roma, allora...." "Faremo del nostro meglio, in geniere!" "Presenti i miei omaggi…" "Anche i miei" "Aspettiamo il vostro progetto...." "Sicuramente!" " Fate un prezzo equo...." " Fateci vincere la gara! Siamo poveri!" E così via. La fase del commiato durò fin verso le 17:30 quando, con aria decisa, il dottor Chiaretto esclamò: "Dobbiamo andare! Non c'è più tempo per le trattative. Ci resta giusto il tempo di rientrare in albergo per cena" Parole così decise e significanti erano anni che non si sentivano alla V.I.S.P.A. per cui Dario e Darko si fissarono ammutoliti negli occhi e, ossequienti, si fecero in disparte per consentire alla commissione ministeriale di salire sulla limousine e ripartire. Non appena la vettura di rappresentanza fu uscita dallo sbilenco cancello che delimitava il vasto piazzale, Dario fissò il vuoto assoluto, praticamente come se guardasse dentro di sé, ed esalò: " visto, Darko? Hai visto come si fanno le trattative? Uhei, questi erano dei pezzi grossi, mica come i tuoi clienterelli che comperano i monoposto usati!" "Guarda che i miei clienterelli, come li chiami tu, ci danno fior di soldi, invece i tuoi pezzi grossi non hanno ancora tirato fuori un centesimo! E, poi, non è detto che lo comperano da noi l'aereo per il presidente...." "Non capisci niente. Se sono venuti fin qui è perché l'aereo lo devono prendere..." "Eh! Certo che devono comperare un aereo, ma non devono per forza prenderne uno dei nostri" " E va bene! Fai sempre il disfattista,tu! Nella vita oc- corre essere propositivi, fare le cose, mica parlare e basta! Devi fare come me che mi sono attivato per incontrare tutta 'sta gente...." Così detto Dario, il grande, sbadigliò e, recatosi vicino alla fusoliera di un aereo da restaurare, si slacciò i pantaloni e diede corso ad una pisciata da guinness dei primati mentre sul rubizzo faccione veniva scendendo un'espressione di soave beatitudine. Gli ultimi raggi di sole lo trovavano ancora in piedi, intento ad espletare la sua funzione fisiologica, ma, a ben guardare, i suoi occhi erano stati amorevolmente coperti dalle palpebre ed il suo sommesso respiro si era trasformato in un sano e poderoso russare. Darko aveva lasciato pressoché subito la compagnia del genitore e si era rintanato nel suo ufficio personale da dove poteva dominare tutti i possedimenti della V.I.S.P.A. Passò, infatti, fugacemente lo sguardo sui possedimenti e, sopraffatto da sì tanto sforzo, optò per un breve riposo sdraiandosi sulla sedia della sua scrivania con i piedi appoggiati ben alti sopra i giornali glamour che ricoprivano il ripiano del suo tavolo di lavoro. Cap 10 I giorni seguenti alla visita degli incaricati ministeriali furono frenetici per la V.I.S.P.A. Come non faceva più da tempo immemorabile Dario, il grande, si recava in ufficio di prima mattina, verso le 10, chiamando ogni giorno a consulto non meno di quattro o cinque collaboratori, esterni all'azienda e totalmente all'oscuro delle problematiche aeronautiche, cui dava, immancabilmente e contemporaneamente, appuntamento per le 8 e 30. Con loro si intratteneva fin verso mezzogiorno discorrendo amabilmente delle azioni di borsa e della necessità, per i poveri imprenditori, che il governo facesse una legge che vietasse allo stato di percepire soldi provenienti dai redditi aziendali. Finalmente, verso mezzogiorno e un quarto, Dario rivolgeva, quotidianamente, ai suoi interlocutori la domanda che si era studiato nella fase rem del sonno notturno:"Secondo voi, l'aereo per il presidente, lo compreranno da me?" Puntualmente, ogni giorno, alle 12 e 30 i consulenti, a turno, dichiaravano: "Grande Dario! Come è possibile pensare che il presidente possa muoversi se non con un tuo aereo? Io mi chiedo come fa adesso che non te lo ha ancora comperato! Tutti noi sappiamo che i tuoi prodotti sono i migliori per cui, se il Presidente dovesse acquistare un aereo della concorrenza vuol dire che c'è del marcio sotto, qualcuno è stato corrotto..." Rinfrancato da queste oneste, disinteressate e sacrosante affermazioni, Dario, congedati i convenuti e pagate le loro parcelle di consulenza, si dedicava al frugale pasto: Pagnotta di pane pugliese farcita con, in ordine di imbottitura: due etti di prosciutto crudo di san Daniele, un etto di fontina valdostana, cinquanta grammi di tartufo d'alba, tre fette di mortadella, una spalmata di caviale, mezzo salmone affumicato dei fiumi canadesi, tre etti di pecorino sardo e un cucchiaio abbondante di marmellata di mirtilli. Per agevolare l'ingestione del pranzo, Dario, beveva, rigorosamente a canna e con rutto finale, champagne millesimato alternato a birra bavarese in lattina. L'operazione di dover pasteggiare, inevitabilmente, prostrava il fisico del grande che, per recuperare energie, si appisolava sul divano dell'ufficio ed ivi restava fino allo scadere della giornata lavorativa della V.I.S.P.A. Durante la frenetica attività aziendale di Dario, il grande, anche le maestranze sue sottomesse erano in pieno fervore e le iniziative volte a far ben figurare l'azienda si moltiplicavano man mano che si avvicinava il termine ultimo valido per presentare l'offerta al ministero. Cap 11 Fra i più attivi nel trovare soluzioni efficaci si distingueva, come sempre, il capo officina della V.I.S.P.A. l'ineffabile, arguto e vivace sig. Babaricò Era, costui, un ometto dalla fronte così alta da congiungersi direttamente con la nuca senza passare per i capelli ed aveva passato la sua vita a correre dietro alle sottane di tutte le segretarie che, di volta in volta, gli si erano parate davanti. L'esperienza così acquisita era stata la molla che ne aveva fatto il predestinato ad occupare il posto di capo officina che occupava stabilmente da oltre 15 anni. L'età pensionabile era già passata su di lui 10 anni prima di approdare alla V.I.S.P.A. ma, sentendosi ancora giovane, pieno di forze e creatore dalla mente vulcanica si era proposto a Dario, il grande, che lo valutò, subito, come un "investimento sicuro per il futuro dell'azienda". Nel momento del bisogno, e questo momento era arrivato con la richiesta del ministero per l'aereo presidenziale, il buon Babaricò sapeva sempre capire per primo le esigenze aziendali e per primo sapeva trovare le giuste risposte produttive. Nel caso specifico si dedicò, autonomamente ed in ritiro pressoché monastico, alla ricerca del massimo risparmio aziendale per consentire al grande Dario di poter offrire un prezzo basso al ministero ed acquisire , così, l'importante commessa. Dopo quindici giorni indefessamente passati a tagliare, piegare e saldare innumerevoli e grandi lastre di lamiera, per un valore di poco inferiore ai due milioni di Euro, regolarmente finite fra i metalli da rottamare, ecco il Babaricò entrare negli uffici "come impetuoso vento entra in diroccati castelli". "Diteci al signor Dario, sia benedetto il suo nome, che c'ho bisogno di spiegarci come si fa a fare costare meno i reoplani!" Gli impiegati presenti, per nulla elettrizzati da cotal ciclone in umane sembianze, proseguirono, tranquillamente, nelle loro personalissime occupazioni scambiandosi, solo, una fugace occhiata che, riassumendo, voleva significare:" è arrivato quell'imbecille che ci rompe i marroni, che non capisce un beneamato belino, che pretende di essere ascoltato e venerato perché è il ruffiano di sua maestà Dario il glande! Ma vaffà...." Un pochino deluso dalla malcelata indifferenza suscitata negli impiegati, il buon Babaricò, si sentì in dovere di meglio spiegare il Babaricò-pensiero al più vicino degli impiegati presenti. Toccò ad Alfonso. "veda, Alfonso, io, dopo aver provato in tutti i modi, sono sicuro che anche il signor Dario sarà di d’accordo con me che per fare dei risparmi serve che spendiamo di meno! Eh! Ciumbia! Sembrerà facile, a lei, di risparmiare su quello che stiamo fando! Invece è di una certa difficilezza, ma io, che c'ho l'esperienza, mi sono fatto venire l'idea giusta. Stii attento: i reoplani funzionano con due ali grandi davanti e due piccole di dietro; bene io ci faccio eliminare le due ali piccole di dietro e così quei soldi lì per costruirle sono soldi risparmiati!" "ma, scusi signor Babaricò, se gli aerei hanno due ali piccole di dietro sarà perché a qualcosa servono, no? Se lei me le elimina...." "Ma cosa vuole che servono a cosa due alettine così! Ci sono perché son fatte per finire in maniera estetica la coda, ma servire... servono quasi a gnente, ce lo dico io, mi dia retta! Sono soldi buttati che si possono risparmiare..." In quel preciso istante si materializzò, alle spalle di Babaricò, il principe ereditario, il piccolo Darko, che, avendo udito l'ultima frase del capo officina ed avendo geneticamente acquisito l'idea che risparmio significa maggior guadagno personale, pontificò:" Se c'è da risparmiare, risparmiamo, anzi.... Perché non abbiamo pensato prima a fare queste modifiche? Chi è che voleva portarmi via i miei soldi? Eh?" Il discorso stava prendendo la solita brutta piega. Ogni qual volta si parlava di soldi il piccolo, caro Darko, si inalberava e diventava una belva passando dalla difesa più accanita dei suoi possedimenti all'attacco più sconclusionato nei confronti dell'interlocutore che, quando andava bene, veniva insultato come un mangia- pane a tradimento. Per fortuna, di solito, suonava uno dei tre-quattro telefonini con cui Darko si riempiva le tasche e la conversazione si interrompeva lasciando ogni cosa immutata nell'immutevole universo della V.I.S.P.A. Dario,il grande, venne, comunque, a sapere della geniale pensata di Babaricò e lo fece convocare per la domenica mattina alle sei di fronte allo stabilimento. Cap 12 Ore 6 e 05 di una piovosa domenica estiva. Per le strade solo qualche disgraziato turnista in ritardo che guidava come se si fosse trovato al Nurburgring; il cielo riversava la pioggia, calda e rossastra, in quantità industriale sulla piccola utilitaria di Babaricò che, prudente e ligio ad ogni regolamento si era fermato ad un incrocio per lasciar passare il nessuno che arrivava alla sua sinistra e pazientemente osservava il ritmico movimento del tergicristallo. Nella sua testolina a boccia da bowling stava pensando alle notizie meteorologiche provenienti dalla riviera ligure che la radio aveva appena finito di trasmettere e malediceva il giorno in cui era entrato alla V.I.S.P.A. "se non fossi venuto a lavorare qui, adesso sarebbi sulla spiaggia di Imperia a prendere il sole ed, invece.... Qui ad aspettare che venghino le 6 e mezza per parlare con il Dario...ammesso che si ricorda e che venghia..." Arrivarono le 6 e mezzo, arrivarono le sette, poi le 8 e poi le 10; del grande Dario nemmeno l'ombra mentre Babaricò iniziava ad agitarsi immaginando chissà quali enormi problemi potevano aver costretto il grande ad es- sere in così normale ritardo. Ore 11 meno un quarto: di tra la foschia generata dalla pioggia ecco due fari abbaglianti fendere la strada ed accostarsi all'utilitaria del capo officina; il finestrino a comando elettrico dell'ammiraglia si abbassò di quel tanto da permettere a Dario, il grande, di farsi riconoscere da Babaricò per fargli segno di seguirlo all'interno della fabbrica. Di domenica, sotto il grigio plumbeo del cielo imbronciato, la V.I.S.P.A. pareva, se possibile, ancor più spettrale nella completa immobilità degli edifici e dei vari rottami sapientemente disseminati a fare da ricovero a qualche decina di gatti randagi che, stante il tempo piovoso, dormivano il sonno dei giusti. Dario e Babaricò scesero contemporaneamente dalle rispettive vetture e si avviarono di corsa, o quasi, vista l'età dei due , per portarsi in fretta di fronte al portoncino di ingresso degli uffici che era anche l'unico posto in corrispondenza del quale si interrompeva la tettoia cosicché chi fosse capitato, in un giorno di pioggia, alla V.I.S.P.A. poteva essere certo di ammollarsi fino al midollo nell'attesa di poter aprire la magica porta che era anche l'unica dotata di vetro non antieffrazione e di ben 5 serrature differenti a quattro e cinque mandate. I due uomini si ammollarono fino al midollo e, superata la soglia, si scrollarono così come fanno i cani uscendo dallo stagno. "Babaricò: mi hanno detto che lei ha trovato il modo di far costare meno gli aerei..." E qui Babaricò, orgoglioso e grato al padrone che gli concedeva l'onore di relazionarlo in prima persona di domenica mattina, si lanciò nella più veemente, appassionata e tragicomica relazione che la storia ricordi a proposito di un progetto così sballato da rendere ogni altra alternativa che fosse stata presentata una perla del genio umano. Ma.... non alla V.I.S.P.A. e NON con Dario il grande! "caro il mio Babaricò, buona idea la sua di eliminare le alucce di dietro, ma io ho pensato a qualcosa di più economico ancora, non per niente sono anche d.i.o., perché ho deciso,per risparmiare, di non costruire nemmeno le ali davanti!" cap 13 Il giorno seguente, lunedì, di primissima mattina e, quindi, verso le 9 e mezzo, Dario convocò una estemporanea riunione informale, esattamente al centro dei reparti di produzione, cui decise di far partecipare tutto lo staff che costituiva l'intellighenzia dellaV.I.S.P.A. Impegnando non meno di una quindicina di operai, promossi sul campo al ruolo di messaggeri cerca-persone, mandò la convocazione ai responsabili delle seguenti funzioni aziendali: Ufficio acquisti - dott. Casini Ufficio tecnico - ing. Zauri Ufficio qualità - ing. Terrini Ufficio commerciale - p.e. (principe ereditario) dott. Darko Ufficio produzione - p.e. (principe ereditario) dott. Darko Ufficio gestione patrimoni - p.e. (principe ereditario) dott. Darko U.c.a.s. (uff.complicazioni affari semplici)-sig. Babaricò In men che non si dica, verso le 11, tutti erano presenti, esclusion fatta per il piccolo Darko che risultava essere ancora al tavolo della colazione di fronte ad una fragrante brioche con marmellata e che, perciò, venne dichiarato da Dario, il grande, assente giustificato - quasi presente. "signori, vediamo di fare le cose per bene, una volta tanto! Dobbiamo partecipare ad una gara a Roma per la fornitura dell'aereo presidenziale e, ovviamente, per vincere la gara dobbiamo fare il prezzo più basso che, però, non vuol dire che dobbiamo lavorare in perdita! Altrimenti chiudo tutto e voi andrete a piantare peperoni! Qui servono idee per risparmiare. Silenzio! L'idea ce l'ho già io, tocca sempre a me di tirarvi fuori dai problemi, vero? Fa niente, dopo Babaricò vi dice come bisogna fare perché a lui ce l'ho già spiegato. Voi dovete dirmi, per domani mattina, quanto risparmiamo. Adesso andate a lavorare che io mica vi pago per star qui in piedi a fare niente,dai!" Dopo un discorso di così ampio respiro e così politicamente corretto, Dario, il grande, non riuscì a dissimulare, nemmeno a se stesso, la soddisfazione e l'intima gioia di aver saputo fare da solo sì tanto sforzo oratorio. Per questo, accertatosi di non essere vicino ad alcun operaio o impiegato, levò, con mirabile lento e studiato movimento, la coscia destra verso il basso ventre e lasciò partire un prolungato, sonoro, sfiziosissimo e ricchissimo peto. Soddisfatto tornò nel suo buio ufficio e si appisolò sul divano delle pensate; la guardia notturna lo trovò ancora in beata compagnia di Morfeo alle dieci di sera quando prese servizio, ma, per passate esperienze simili, non lo svegliò e, in punta di piedi, uscì sul piazzale a fumarsi una sigaretta. Cap 14 Seduti attorno a quello che, una volta, era stato un tavolo da cucina, ma che ora veniva spacciato per una scrivania post-ante-industrial-optical-design, i responsabili della V.I.S.P.A. autoconvocatisi in riunione operativa, stavano tentando di risolvere il problema del costo (o meglio: del risparmio) desumibile dalla trovata del grande Dario. Zauri e Terrini sembravano costituire un gruppo coeso e dissidente che si confrontava con l'altrettanto coeso gruppo formato da Babaricò e Casini che parevano aver sposato la tesi del " se lo dice “Lui” che bisogna fare così, facciamolo e basta." Mentre i primi due erano su posizioni un pochino più aperte al dubbio filosofico "senza ali, un aereo può ancora essere considerato un aereo?" Era ormai palese che i due gruppi si avvicinavano sempre più alla sottile linea di demarcazione che da sempre esiste fra l'andar d'accordo ed il litigare. Il dott. Casini, in particolare si infervorava e si lanciava contro i due che si spacciavano per tecnici ed andava affermando: "non importa se un aereo senza ali non è più un aereo! Facendolo così si risparmiano un mucchio di soldi, o, meglio, li risparmia la V.I.S.P.A., per cui ha ragione Dario il grande! Io sono d'accordo con Lui perché, poi, essendoci meno pezzi devo fare meno lavoro per fare la spesa dei pezzi che ci servono." L'ing. Zauri, forte del fatto che, in un precedente periodo lavorativo aveva progettato aerorazzi, e quindi sapeva il fatto suo, sbottò: "o bestia di una bestia!.... Senza ali gli aerei non volano proprio!" "d'accordo, Zauri, ma guarda i razzi: non hanno mica le ali!" "senta, Babaricò: io rispetto la sua veneranda età, ma, forse, qualcuno dovrebbe cominciare a spiegarle che sui razzi non si montano motori ad elica! E noi, qui in questa azienda, stiamo usando ancora motori revisionati da residuati della seconda guerra mondiale!" "oh, ciumbia! Cosa vuol dire? Che i nostri motori non vanno forte? Li controllo e li regolo tutti io uno per uno!" "appunto! Non vanno forte, come dice lei, e non so se per loro inadeguatezza strutturale o se per le sue regolazioni! In ogni caso, come tecnico mi rifiuto di prestare il mio nome alla nascita di questo insulso e strampalato progetto di aero(forse)mobile!" Ciò detto Zauri si alzò e si diresse verso il suo ufficio dove si assise, ansimante e visibilmente alterato, di fronte allo schermo del c.a.d. su cui uno screen saver faceva scorrere bellezze hawaiane sufficientemente discinte da potersi considerare vestite di sola pelle. Terrini, notoriamente considerato come il più conciliante dello staff tecnico, propose di calcolare un costo ribassato di circa il 37,25% rispetto al listino di un aereo "normale" e poi di rimettersi all'accortezza progettativa di tutte la forze operative della V.I.S.P.A. per riuscire a fare un oggetto che potesse funzionare, nel fortuito caso si fosse acquisita la commessa. Babaricò e Casini plaudirono la proposta e, di comune accordo aggiunsero, sulla relazione scritta di pugno pro- prio da Babaricò su uno stropicciato foglio a quadretti:" per i costi fatti qui sopra vedasi il consuntivo di quando faremo l'aereo per vedere i confronti che, però, dovrebbero andare abbastanza d'accordi" Alle 5 della sera...Garcia Lorca....Dario il grande. Sì. Dario il grande, alle cinque di quella sera, ricevette la relazione dei costi direttamente da Babaricò e, lettala con molta attenzione, disse: "secondo me si potrebbe risparmiare ancora....magari eliminando la fusoliera...mah! Magari in fase di costruzione...." Cap 15 Passarono i giorni, le settimane ed anche i mesi. Le prime possenti nebbie di novembre scendevano, gelide e maleodoranti, ad avvolgere le carcasse degli aerei sui piazzali della V.I.S.P.A. e, senza far distinzione tra fusoliere nuove e fusoliere vecchie, trasformavano il paesaggio in un ambiente surreale irto di guglie e masse informi che, di tanto in tanto, venivano sorpassate da ombre indistinte dal passo quasi furtivo che andavano e venivano da un capo all'altro degli spiazzi. Sotto la fioca luce di un lampione stradale, vicino al muro di cinta sul lato sud dei piazzali, Babaricò, infagottato alla meno peggio in un vecchio e bisunto giubbotto trapuntato, dirigeva con alti strepiti e vocaboli coniati per l'occasione, ma subito dimenticati, lo spostamento di un vecchio aereo da ricognizione che era giunto il momento di mettere in lavorazione per il suo restauro. La movimentazione del velivolo affidata alle sole brac- cia di quattro operai infreddoliti si stava rivelando cosa improba anche perché la fusoliera dell'aereo si era riempita di acqua piovana durante gli anni trascorsi sul piazzale ed il peso dell'acqua unito a quello proprio del velivolo rendevano evidente a tutti, tranne che a Babaricò, che sarebbe stato necessario, quantomeno, un muletto meccanico per smuovere quel rudere impiantato su ruote completamente sgonfie. Passarono tre ore di urla e consigli, ma l'aereo ... Lì, se ne stava lì come se fosse un tutt'uno con il terreno sottostante. Vista l'impossibilità di smuovere l'aereo, Babaricò, facendo appello a tutto il suo ingegno ed alla sua creatività, fece portare dai quattro operai una saldatrice portatile, un piccolo paranco manuale, alcune lastre di acciaio inox e, in quattro e quattr'otto, ecco che mise in piedi un nuovo capannoncino che andava a ricoprire completamente l'aeroplano; se la montagna non va a Maometto ... Maometto va al mare. Certo, chiamarlo capannone poteva passare per esagerato, ma baracca, ecco, baracca poteva essere il termine corretto per quello che il capo officina, ad opera conclusa, annunciò come:" in un attimo ho fatto su uno stabilimento che fatti così non se ne trovano da nessuna parte!" Che non se ne trovassero altri, grazie a Dio, era vero e, soprattutto auspicabile. Certo è che i rappresentanti sindacali, già all'indomani della messa in funzione del fantomatico "stabilimento" sollevarono alcuni dubbi sulla sicurezza dell'impianto nonché alcune perplessità sul fatto che l'illuminazione, essendo la baracca completamente senza finestre, dovesse essere assicurata dall'accensione di vecchi coper- toni anche se, a dire il vero, questi assolvevano egregiamente anche alla non trascurabile funzione del riscaldamento. Dario, il grande, radunò i facinorosi sindacalisti nel suo ufficio da cui aveva fatto rimuovere, per l'occasione, tutte le sedie tranne la sua e, qui, rimanendo lui bellamente semisdraiato, li lasciò in piedi dalle 11 di mattina sino alle 5 del pomeriggio limitandosi, di tanto in tanto, a soffiare verso i tre comunisti ampie boccate del pestilenziale fumo del suo toscano. Cap 16 "e bravi! Bravi i miei tre operai che vogliono vedermi fallire! Siete i tre operai che credevo i migliori, i più comprensori (nel pensiero di Dario il grande significava comprensivi) ed invece... Niente di tutto questo! Mi venite a chiedere di mettere le lampadine, il pavimento di cemento, il riscaldamento e anche i respiratori (aspiratori, n.d.r.) per tirare via il fumo didentro al capannone che ha fatto su con tanta buona volontà il Babaricò! Quello sì che c'ha le palle! Mica voi! Se parlate ancora vi prendo a pedate nelle palle per tre giorni di fila!" Davanti all'impeto con cui, improvvisamente, alle 5 e 2 minuti del pomeriggio, Dario il grande li aveva assaliti, i tre sindacalisti sentirono le ginocchia sciogliersi ed un brivido profondo attraversò le loro schiene. Nelle loro teste avevano abbastanza ben chiaro il concetto che dovevano richiedere al capo della V.I.S.P.A. quello che i loro colleghi di lavoro, nell'assemblea segreta svoltasi la sera prima in un bar della periferia non frequentato dalla gente "bene" , avevano definito, tout- court " il minimo indispensabile per non lavorare in condizioni inumane". Il capo della squadra di manutenzione, in vena di incoraggiamenti, aveva anche aggiunto:" se non vi fate dare almeno 'ste 4 cosette vi conviene non rientrare in ditta perché vi faccio ingoiare il manico del martello da 10 kg. per via rettale!" Ebbene, pur essendo avvezzi a soprusi di ogni genere da parte sia dei colleghi sia da parte dei "padroni", i tre rappresentanti sindacali, questa volta, si sentirono in imbarazzo non intravvedendo, fra le due alternative, quella che meglio poteva soddisfare i loro più intimi desideri. Rimasero in riflessivo silenzio a testa china. Dario, il grande, interpretò questo fiero gesto di sfida come un insulto alla sua persona e decise, con intuizione geniale, di voltar loro le spalle ed andarsene nel piazzale a fare una liberatoria pisciata, lasciando i tre profondamente mortificati per aver osato osare l'inosabile. All'interno dell'ufficio, dopo 10 minuti di silenzio acutissimo, il primo dei tre a parlare fu Capraio, il riconosciuto capo delegazione, che bisbigliò:" ... Eh, forse ha ragione Lui... In ogni caso credo che non ci ascolterà, per cui... Io adesso mi fermo in farmacia e mi compero un po' di vasellina... Ne prendo anche per voi?" Gli altri annuirono e, a passi grevi e strascicati, si dileguarono verso gli spogliatoi e poi verso casa. L'indomani mattina, alle 11 e cinquanta, Dario, il grande, il vittorioso, il munifico, salì su una cassetta di legno al centro dell'officina e gridò: " lazzaroni che non siete altro! Non meritereste niente, ma, siccome mi fate pena, vi permetterò, in via del tutto eccezionale, di usare delle torce elettriche ... che potrete comprare a prezzi convenienti nel negozio di mio cognato." Timidi, ma convinti applausi dei più fedeli v.i.s.p.i.a.n.i, chiusero per sempre la vertenza sindacale. Cap 17 Si avvicinavano le ferie; ad agosto mancavano poco più di due settimane e, inspiegabilmente, le maestranze della V.I.S.P.A. richiesero alla direzione di esporre un comunicato ufficiale che li informasse del periodo di chiusura per ferie dell'azienda. Ovviamente Dario,il grande, lesse questa inaudita richiesta per quello che effettivamente era e, cioè, un grave atto di disaffezione all'azienda e, perciò a lui stesso, da parte di operai dal cervello riempito di massime comuniste; di fronte a tanta mancanza di riconoscenza Dario pianse calde lacrime e andò domandando per tutta la fabbrica, uomo per uomo, donna per donna: "davvero anche tu vuoi fare le ferie? Davvero invece di lavorare pensi a fare festa?" Sconsolato, depresso e sfiduciato il grande si appartò nel bagno adiacente al suo ufficio ed ivi rimase ininterrottamente per tre giorni a pensare. Quando se ne uscì aveva la testa sgombra; nella tazza del wc galleggiava un enorme stronzo. Dario si consultò con il fratello Sandrino che, contravvenendo alla regola del silenzio che si era autimposta, sbottò in una fragrante frase meneghina: "o pirla! Perché tu le ferie in Sardegna non le fai anche tu? E allora chiudi la fabbrica per tutto agosto così non c'è nessuno che viene a rompere le balle con permessi aggiuntivi; però fai,come sempre, come vuoi tu che almeno sarai contento..." Dopodicché tacque. Dario fece esporre in bacheca un cartello firmato e sottoscritto (vale a dire firmato due volte): "la direzione comunica agli interessati che ad agosto la ditta sara' chiusa per ferie. Sono esclusi dalle ferie quelli che la direzione decidera' che servirano per i lavori da fare. Per gli altri non ci saranno permessi. Quelli che vorranno lavorare lo faranno senza diritto di recupero. La direzione si riserva di comunicare i nomi degli interessati prima del comincio delle ferie" Le maestranze, felici per aver ottenuto una chiara e precisa risposta, applaudirono e si offrirono vicendevolmente caffè con doppio zucchero per festeggiare: avrebbero goduto le loro fe-rie! Cap 18 A pochi giorni all'inizio di agosto arrivò alla V.I.S.P.A. una lettera raccomandata R.R. proveniente dal ministero degli acquisti di Roma; era indirizzata direttamente al d.i.o. e all' a.u.d.a. per cui fu posta su un vassoio di acciaio inox e deposta in bella evidenza sulla scrivania di Dario dal solerte Alfonso, l'impiegato con l'incenso. Dopo quattro giorni di decantazione, la lettera venne finalmente vista dal grande Dario che l'aprì e, scorse velocissimamente le prime tre righe in alto a destra, esclamò ad alta voce:" è indirizzata a noi!" Da lì al capire il contenuto della missiva non era cosa proprio automatica, ma, dopo circa tre ore e venti minuti trascorsi a sillabare tutto il contenuto, Dario fece chiamare l'amato figlio al quale, porgendo la lettera, disse: "leggi qui. È del ministero di Roma, mi pare... Ci ordinano l'aereo per il presidente! Poi chiedono altre cose che non capisco..." Darko, forte della sua istruzione universitaria, lesse a voce alta, quasi senza sillabare: "oggetto: ordinativo per aereo presidenziale. Protocollo...bla...bla..bla..., Per cui la commissione respingerà l'offerta economica di codesta spettabile azienda salvo che la stessa non provveda nel termine perentorio di mesi due a fornire allo scrivente ministero un progetto dettagliato che dimostri la validità tecnica della proposta presentata. Distinti saluti, ecc." Il silenzio calò,gelido e perfido, sulle due menti della V.I.S.P.A. ed entrambi, padre e figlio, si guardarono negli occhi cercando, ognuno, di vedere nell'altro un'espressione di speranza o, quantomeno, un barlume per risolvere quell'immenso problema in cui la missiva li aveva gettati. In fondo era stato facile ipotizzare un prezzo basso, ma ora, 'sti dementi del ministero, si erano messi in testa che l'aereo doveva pure essere progettato dal punto di vista tecnico.... E venne notte. E venne il giorno. Nel pieno del proprio vigore fisico ed intellettuale, appena alzatosi dal letto, alle undici, appunto, ecco Darko, giovane principe ereditario, esclamare a se stesso:" ma certo! Come ho fatto a non pensarci subito! Manderemo al ministero il progetto di un oggetto qualsiasi, tanto, a Roma, non sanno nemmeno da che parte cominciare a guardare un disegno, e poi, quando ci verrà affidato l'ap- palto per la costruzione dell'aereo, vedremo cosa fare!" Felice di aver ideato, dopo la finanza creativa, anche la progettazione creativa, Darko compose il numero di telefono di Dario il grande e gli comunicò l'ideona E, congedandosi, gli annunciò che sarebbe partito immediatamente per la Costa Azzurra a godersi un meritato periodo di ferie. Cap 19 All'ora in cui si chiudevano i cancelli della fabbrica, al termine della giornata lavorativa, era consuetudine che il presidente della V.I.S.P.A. si recasse al "ristorante pizzeria el tigre" per consumare un piccolo aperitivo con tanto di pizzetta omaggio compresa nel prezzo. A tale piacevole abitudine si erano adeguati anche due dei più valenti e fidati meccanici della V.I.S.P.A. che, facendo compagnia al loro presidente, ne avevano in cambio l'aperitivo pagato. Quella sera, al rientro dalle ferie ferragostane, i due meccanici, Giulietto e Arnaldo, raggiunsero il pres.sa. Mentre questi era già al terzo bicchiere ed alla relativa terza pizzetta; in tale circostanza era normale che il buon Sandrino cominciasse a narrare, a piena voce ed in idioma italico/dialettale, dei suoi trascorsi giovanili a beneficio di qualunque ascoltatore transitasse nel raggio di 20 metri. "...veniva giù un'acqua che Dio la mandava! Io sero in bicicletta e vegnevo a casa da dove che ero andato a Milano per fare un mestiere che mi aveva detto il mio vecchio. Sotto a un ponte, vicino a un lampione, ancora vicino al centro di Milano e di fianco alle rotaie del tram- vai ti vedo come un'ombra; aguzzo la vista e mi accorgo che è una donna. Al primo momento mi credo che si tratta di una di quelle... In quel tempo lì, subito dopo la guerra, ce n'erano in giro tante che cercavano di tirare a casa un po' di danee e io le aiutavo di spesso. Infatti mi metto ormai vicino e comincio per fare il prezzo, ma mi accorgo che invece .... È la mia morosa senza dell'ombrello! Faccio finta di gnente e ci domando che cosa fai lì sotto il ponte, ma lei non mi riconosce subito e non mi risponde perché l'era una brava tusa. Quando che si accorge che quell'uomo là ero io diventa un po' rossa e mi dice che era andata in farmacia, ma il temporale l’era ‘rivato prima che 'rivasse il tramvai e stava spettando quello dopo. Ci dico di saltare su sulla mia canna della mia bici di marca Legnano, ma lei mi risponde che una brava figlia di Maria non la deve andare in giro di quasi sera in bicicletta con un uomo se non è sposata, perché non stava bene. Giusto,dico,io, ma io sono il tuo moroso ufficiale E di occasioni così per stare stretti non ce n'erano mica tante...ma, in ogni modi che cercavo di convincerla, lei mi diceva di no. Proprio una brava donna; allora l'ho lasciata lì e sono partito di da per me. Dopo un quarto d'ora che pedalavo sotto l'acqua che pioveva, sento il rumore di un motore di macchina che mi viene vicino; guardo dentro alla macchina e vedo la mia morosa seduta vicino da parte di un giovanotto. Sulle prime mi credevo che mi aveva fatto i corni, ma poi mi sono accorto che, invece, era un tipo economico perché aveva preso il passaggio di quello lì perché così non si bagnava e risparmiava i soldi del tramvai. Proprio brava e bella e economica. È per quello che l'ho sposata. E voi che non siete sposati dovresti provare la mia miee che, poi, anche sotto i lenzuoli...." A questo punto gli aperitivi alcoolici sorbiti iniziarono a fare i loro effetto e, tra uno sbadiglio e l'altro, il presidente lasciò cadere il pesante testone sul banco bar mentre i due fidi meccanici gli sfilavano il portafogli per saldare i conti di tutti gli astanti che insieme gridavano: "bravo, bis!". Cap 20 Il viaggio Milano-Livorno si era svolto in maniera pressochè perfetta grazie alla accorta organizzazione della Alfonso-tour che ne aveva predisposto, con largo anticipo, le tappe salienti. Ore 10:00 - ritrovo dei membri e delle rispettive famiglie nel cortile della V.I.S.P.A. Ore 11:00 - partenza delle 4 vetture costituenti la comitiva delle due famiglie Ore 11:35 - tappa al primo Autogrill per fare colazione Ore 12:50 - termine della colazione e pisciatina di gruppo Ore 13:07 - partenza dall'Autogrill Ore 14:36 - tappa all'Autogrill di Parma per acquisto sigarette e caramelle Ore 14:55 - partenza dall'Autogrill Ore 15:22 - tappa in una piazzola della Cisa per godere del paesaggio e riposare le menti Ore 16:00 - partenza dalla piazzola Ore 18:00 - tappa all'hotel "il sogno di Angelo" per un piccolo rinfresco Ore 19:53 - partenza dall'hotel Ore 21:00 - ingresso trionfale al porto di Livorno con strombazzamento di claxons e di sirene ad aria compressa fino alla banchina dove era ormeggiato lo yacht "genio del mare" freschissimo acquisto di Dario il grande. Ore 22:00 - tutti a bordo dello yacht per una cena informale di benvenuto offerta alla capitaneria di porto e con la partecipazione di una quindicina di sovrani e principi reali presenti nelle acque territoriali. Ecco, a voler proprio cercare il pelo nell'uovo su questa splendida organizzazione, bisogna ammettere che la Alfonso-tours non aveva tenuto nel debito conto i ritmi fisiologici di Dario e di Darko per cui la partenza avvenne in leggero ritardo, solo nel momento in cui i due si svegliarono ed era l'alba delle 12:54. Per questo motivo, a parte qualche piccolo mugugno di coloro che si erano presentati in anticipo di qualche minuto sull'orario previsto, tutte le altre tappe subirono uno slittamento in avanti e l'arrivo a bordo avvenne solo a mezzanotte inoltrata. Per fortuna non vi erano regnanti nei dintorni e così non si ebbero incidenti diplomatici. La faraonica cena preparata con tanta cura finì per soddisfare l'ottimo appetito di tutti i marinai del porto che accolsero, un poco brilli e pieni di buonumore, Dario ed il suo seguito, con canti partigiani inneggianti all'abolizione delle classi padronali. Dall'alto della sua magnanimità e non comprendendo una parola di quei canti in aspirato livornese stretto, Dario si unì ai cori gridando: " ui are se cempion...!!" Fra gli applausi di tutti. L'indomani, di buon'ora, non erano ancora scoccate le due del pomeriggio, svegliandosi dal sonno ristoratore che ritempra gli spiriti ed i membri, Dario diede ordine al nostromo, ingaggiato per l'occasione, di decollare verso la Sardegna. Il nostromo, vecchio marpione uso a trattare con i potenti, non si lasciò impressionare dalla confusione dei termini marinareschi con quelli aviatori ed, anzi, sperando in una ricca mancia di fine crociera, gridò nel megafono:" equipaggio pronti al decollo in due minuti, turbine al massimo, mollate i freni, su i carrelli, si decolla!" E il genio del mare divenne un puntino bianco sperso nell'immensità del tirreno. Cap 21 Vicino al pontile ove era attraccato ininterrottamente da due settimane il genio del mare c'era una piccola osteria dove passava, spesso e volentieri, le sue serate il Sandrino che, l'ultima sera di permanenza in Sardegna, decise di festeggiarla con bottiglie di ottimo e robusto "cannonau". Il risultato fu che verso mezzanotte, circondato da avventori di varia estrazione, Sandrino, in piedi sulla sedia, esprimette le sue teorie filosofiche: "il mondo l'è proprio cambiato da quando che ero giovane io. La colpa è della politica che vuole fare i suoi interessi con l'appoggio dei sindacati che vogliono distruggere i padroni per rubarci i soldi che abbiamo messo insieme con i sacrifici dei nostri operai. Anche gli operai non sono più come una volta… Mi ricordo che quando era finita la guerra il mio papà, buon'anima, ci diceva ai suoi operai di lavorare alla sera fino alle undici per finire il lavoro che non avevano avanzato il tempo di finire di giorno e tutti gli operai lavoravano… e… in silenzio perché capivano che il padrone aveva ragione di dirci che erano dei lazzaroni. Adesso invece se dici agli operai di lavorare alla sera vogliono che ci paghi gli straordinari, ma ... Siccome io ho fatto la gavetta, invece di darci gli straordinari li pago fuori busta così che loro sono più contenti che non pagano le tasse e io finisce che spendo di meno perché schivo anch'io i contributi anche se a non darci quei soldi lì sarebbe un maggior risparmio. Nella mia fabbrica quello che comanda sono io ma il mio fratello che ha studiato fino alla quinta intanto che c'era la guerra è quello che fa le cose più difficili e parla con i clienti e anche con i fornitori. Qualche volta sono sicuro che mi vuole fregare il posto, ma io ci sto attento e lo tengo curato. Ho addestrato un operaio che c'abbiamo che mi dice tutte le cose che fa il mio fratello quando che io non ci sono così se mi vuole fregare non può perché lo curo. Una volta, tre o cinque mesi fa, mi hanno mandato a fare un viaggio fino a Roma per premio che avevo fatto guadagnare più tanto alla fabbrica. Roma è più grande del mio paese perché deve tenere il posto per mangiare e dormire anche ai giapponesi e ai tedeschi e agli americani che sono in giro; mi hanno fatto anche un po' di pena a vedere che per passare il tempo intanto che aspettano di ritornare ai suoi paesi vanno dentro tutti insieme nei musei a vedere i quadri e le statue che, poi, sono sempre uguali. D'altra parte quando è finita la guerra si vede che non avevano i soldi per andare ancora a casa sua e così si sono arrangiati a stare a Roma ma io non riesco a capire cosa fanno per guadagnare i soldi del mangiare. Forse fanno i turni a prendere l'elemosina davanti alle chiese o nelle piazze, in ogni modo bisognerebbe che il governo li mettesse su un aereoplano a gratis, perché soldi non ne hanno, e li mandasse nei suoi Paesi in modo che Roma potrebbe diventare più piccola e ci sarebbero meno automobili che sono pericolose quando 'traversi le strade. Quando che son tornato da Roma ci ho messo quasi una settimana per farmi dire, dall'operaio che ho addestrato, tutto quello che ha detto e fatto il mio fratello e così ho scoperto che intanto che non c'ero lui ha comperato una macchina nuova. Ma siccome che il maggiore sono io allora sono andato a ordinare anch'io una macchina più nuova e che costa di più di quella di mio fratello per fargli capire che quello che comanda sono sempre io. Solo che a starci dietro a tutti questi problemi del comandare finisce che spendo sempre di più così ho deciso che mi aumenterò il mio stipendio per modo di continuare ad avere i soldi da spendere quando vado a giocare al casinò. L'ultima volta che sono andato al casinò ho portato via quasi dieci milioni con il gioco delle carte da indovinare, ma poi una bella ragazza tutta bionda finta mi ha detto che era contenta che io avevo vinto e che voleva bere un bicchiere di vino insieme. Io sul momento credevo che pagava lei, ma invece dopo avermi fatto ordinare tre bottiglie di champagne ha detto che andava al gabinetto e non è più tornata indietro; io sono stato lì ad aspettare fino alla fine, poi il cameriere ha detto che doveva chiudere e mi ha fatto vedere il conto che ho dovuto pagare: Sei milioni!E' proprio vera che le donne sono fatte per fregarci a noi uomini! Però…anca i camerieri doveva essere che erano in d'accordo con quella bionda là perché se de no ci sarebbero dovuto correrci dietro a quella là per farsi pagare da lei.! Tant'è!..." Le ultime frasi vennero pressochè mormorate perché il sonno stava ormai discendendo a ristorare la geniale mente che, di fatti, improvvisamente crollò come pera matura crolla sotto l'impeto del vento. E si addormentò. Cap 22 Il mare di Sardegna è un vero spettacolo della natura: cristallino e con i colori cangianti tra il bianco della spuma ed il blu cobalto passando per le gradazioni del verde, del celeste e dell'azzurro. Nei porti, però, rimane di un bluastro uniforme con chiazze iridescenti dovute ai versamenti di gasolio dei panfili e dei fuori-bordo. Per non essere sopraffatte dalla noia di questo monotono colore le due first ladies della V.I.S.P.A. passavano le loro giornate in giro per i tourist shops della cittadina artificiale creata dalla mente speculatrice del principe dei palazzinari con l'appoggio di quei tre quarti del parlamento che, poi, godevano, vita natural durante, dell'opzione "posto barca gratuito per tutto l'anno". Mentre si addentravano per i ben congegnati vicoli arti- ficiali le due dame si lasciavano andare ad un fitto chiacchiericcio tanto insulso da far passare per profondi anche i pensieri riportati da Eva 3000 nella pagina : dillo a zia Betta. Fortunatamente, a distanze sapientemente cadenzate, le signore incappavano di volta in volta in un negozietto "tipico" o in una "boutique" che era la copia conforme di quella di via Condotti o di via Montenapoleone cosicché si arrestavano lasciandosi sfuggire, in completa armonia, la solita frase di stupore:"oooohhhhh, guardaaaaa! Tale e quale che a Milano! Che meraviglia!". Detta la frase dello stupore entravano e, tra la prova di una blusa e quella di una gonna, riuscivano a trascorrere in perfetta serenità le calde ore pomeridiane consapevoli di spendere, oltre che le blasonate carte di credito, il tempo nel migliore dei modi possibili. Un giorno le due cognatine si fecero venire la pensata di separarsi e di andare in opposte direzioni per fare acquisti in autonomia; si sarebbero ritrovate sul genio del mare a sera per confrontare le meraviglie trovate. La cosa piacque a tutt'e due e così il giorno seguente ripeterono l'entusiasmante iniziativa a percorsi invertiti ed ognuna con in tasca gli indirizzi "meritevoli di una visita" preparati dal'esperienza dell'altra. Fu così che la moglie di Sandrino si trovò ad entrare nell’incantevole e lussuoso negozio: “da Marina - la boutique degli occhiali da sole" . "buongiorno, io sono la moglie del presidente della V.I.S.P.A. e siccome ieri è stata qui la mia cognata oggi sono venuta per comperare anch'io gli occhiali come i suoi, ma siccome che io sono più importante di quella là, li volevo di un tipo con la firma più grande e che costano di più..." La ragazza dietro il bancone parve trasalire e, d'un tratto, capì che il mondo non è fatto per i poveri, così, mentre faceva indossare a Caterina un occhiale dopo l'altro, aggiungeva velocemente a tutti i cartellini dei già gonfiatissimi prezzi un paio di zeri per accondiscendere alla gradita richiesta. Venne sera e, a bordo del genio del mare che pigramente ed a fatica dondolava sulle poche onde del porto, venne allestita, in tutta fretta, una specie di succursale del suk di Sharm con oggetti di ogni specie, ma tutti rigorosamente costosi e firmati, sparsi sul tavolo della dinette per il godereccio piacere di poterli confrontare con quelli acquistati dall'altra. I due mariti, stanchi, o forse anche esausti, per la faticosa giornata trascorsa nel sonnecchiamento continuo sulle amache di bordo, si guardarono come solo i fratelli sanno guardarsi, in leggero cagnesco e, quasi all'unisono, esclamarono: "oh! Basta spendere! Sono tempi di crisi questi!". Poi, come per sottolineare la frase, stapparono due magnum millesimate e ne offrirono, con atto propiziatorio, anche al mare. Cap 23 Mezzogiorno era alle porte allorché il nostromo fece salpare le ancore del genio del mare e, avviati i poderosi diesel, iniziò le manovre per l'uscita dal porto. Dopo oltre quindici giorni di inattività anche i motori borbottavano e, di tanto in tanto, dagli scappamenti uscivano piccoli spruzzi di morchia frammisti ai normali prodotti della combustione; il mare accoglieva questi rifiuti sulle sue placide onde e lasciava che galleggiassero come neri petali di fiori della morte ecologica. A bordo la vita stava per riprendere i ritmi che avrebbe avuto dall'indomani al ritorno sulla terra ferma: sveglia presto, alle 11, colazione continentale e via di seguito. Dario,il grande, salendo in coperta con un tramezzino fra i denti e con le mani impegnate da bicchieri in plastica contenenti champagne ghiacciato avanzato dalla sera precedente, alzò uno sguardo smarrito al volto del serafico nostromo e gli chiese, a bruciapelo: " a che ora arriviamo a Milano?" " ma 'osa la vuole 'e le di'a... Io penso d'essere a Livorno fra 5 ore, di poi quanto tempo la impiega lei per arrivare a Milano mi'a sono 'azzi miei..." E, così detto, il nostromo diede la barra tutta a dritta causando l'ovvio e voluto barcollamento con successiva caduta del proprietario della barca. Lo champagne versato sulla tolda, il tramezzino impiastrato sul volto, i pantaloni corti strappati al cavallo e le mani in ansiosa annaspante e disperata ricerca di un sostegno Dario il grande stava tentando di riprendere la posizione eretta, ma il mare, ormai formato, causava un sensibile beccheggio allo yacht con conseguente difficoltà di deambulazione per i non esperti di navigazione. "nostromo, mi sembra che questa burrasca stii diventando pericolosa, non è mica il caso di chiedere aiuto?" "in vita mia non l'ho mai vista una burrasca 'on il sole splendente, il vento morto e 'l mare 'on l'onda senza o’hette! La mi stia in pace e s'addorma tranquillo" Sentito il parere del nostromo Dario, il grande, pur non persuaso che il nostromo ne sapesse più di lui, ma felice di poter accogliere un consiglio sicuramente sensato, scese nuovamente in cabina, accese il climatizzatore e si sdraiò supino sulla cuccetta extra large; venti secondi dopo russava. Nella cabina accanto, infastidito dal rumore dei motori e dal russare del padre, Darko si vide costretto a svegliarsi, ma, accertatosi che erano solo le tredici e trenta, volgendosi verso la porta gridò:" allora!???... C'è gente che sta dormendo! Vogliamo finirla di fare casino?!!!" Dopodichè si voltò sul fianco e riprese il sonno del giusto. Anche Sandrino fu svegliato dal trambusto, ma, come sempre, dimostrò a tutti, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che lui era il più brillante e sveglio della comitiva e così, in bermuda e canottiera blu, salì a fianco del nostromo, lo salutò con buona educazione, poi, volgendosi a poppa, disse, a se stesso ed ai gabbiani:" eppure… vista dal mare …. anche un'isola sembra fatta come l'Italia; sarà poi vero che la Sardegna l'è un'isola? Mah... Meno male che domani si comincia a lavorare perché sero stufo di fare tutte le cose delle vacanze." Dedicato il tempo di questa profonda riflessione all'eternità, anche Sandrino tornò in cabina e cominciò a preparare la valigia per lo sbarco. Ad aiutarlo giunse subito Caterina che, forte della sua esperienza, prese in mano la situazione e, seduta sul bordo del letto, dava ordini al marito:" prima metti dentro i pigiami, poi le salviette.....le mutande sono sporche e le devi mettere nel sacchetto giallo, lì mettici sopra la giacca, quella del mare e il golf della montagna...ma per chiudere la borsa devi saltarci di sopra, no, di là, stringi il cinghietto, dislaccia la cerniera, adesso chiudila ancora...uffa che fatica!" Finalmente il porto di Livorno accolse nel suo grembo il genio del mare ed i suoi proprietari che, straniti e con i sorrisi ebeti, si erano schierati sul prendisole di prua, ben aggrappati ai tientibene in acciaio inossidabile, sventolando a turno la bandiera delle isole Cayman come doveroso saluto nei confronti dei pescherecci battenti bandiera italiana che si stavano giustappunto staccando dalle banchine per avviarsi ad una faticosa nottata di pesca. Cap 24 Come ogni anno il rientro dalle ferie alla V.I.S.P.A. venne vissuto da tutti i suoi dipendenti con l'esultanza degli ignavi e, già alle sette e mezzo, sul piazzale, di fronte al cancello di ingresso, una folla di vispasiani abbronzati e con i lineamenti dei volti rilassati, scherzava a suon di amichevoli scapaccioni sulle spalle. I più anziani, ovviamente, battevano con vigoria maschia e schietta le spalle dei più giovani che spesso cadevano sulle ginocchia dopo aver ricevuto le mazzate amichevoli, soprattutto quelle dei compagni del reparto di fucinatura (reparto in cui non erano ammessi uomini con bicipiti di circonferenza inferiore ai 50 cm.), Ma subito si rialzavano con un piccolo rituale saltarello ed il grido: "evviva!" Alle otto meno dieci il cancello si aprì e la moltitudine iniziò a varcarlo per raggiungere l'orologio della timbratura ed il posto di lavoro. Come ogni anno si verificò il fatto che, man mano che i dipendenti si allontanavano dalla soglia del cancello di ingresso per addentrarsi nei cortili e nei capannoni della fabbrica, i loro volti andavano perdendo il sorriso e piccole rughe di preoccupazione si formavano fra le so- pracciglia; i toni gai delle conversazioni mattutine lasciavano il passo ad arrocchite voci gutturali e scortesi; i passi da leggeri si trasformavano in pedate strascicate e sui visi scendeva una patina stranita; tutto normale! Stavano riassumendo le loro più intrinseche connotazioni di uomini da soma, ovvero diventavano quello per cui Dario il grande li aveva assunti ed allevati: animali non pensanti e assolutamente amorfi. Come ogni anno, al rientro dalle ferie, Dario il grande volle omaggiare quel suo popolo bue concedendogli oltre mezz'ora di presenza continua e per fare questo decise di stupire anche i più ottimisti: alle nove e venti di quella radiosa mattina aveva già parcheggiato la sua ammiraglia e si era precipitato a salutare i suoi collaboratori rispettando la sua personalissima gerarchia che si era costruito con anni di attente osservazioni. Il primo a godere del suo saluto fu, quindi, uno degli ultimi arrivati che venne apostrofato con:"alora? Finito di fare festa, eh!? Adesso smetti di far andare la lingua e comincia a muovere le mani che è ora che cominci a rendere, muoviti!" Subito dopo fu la volta del più noto fancazzista imboscato della V.I.S.P.A. quel tale Turi 'o scopaturi che veniva visto da tutti i compagni di lavoro solo all'ingresso ed all'uscita della fabbrica; dove fosse e cosa facesse durante la giornata di lavoro non era dato di sapere a nessuno anche se qualcuno ipotizzava che fosse un specie di robo-man dotato di telecamere nascoste e pilotato direttamente da Dario il grande. Il massimo della cordialità di Dario il grande fu, al solito, per il suo pupillo: Giulietto che i suoi amici chiamavano cordialmente "vipera", al quale il d.i.o. disse: "bentornato! Intanto che sei riposato fa' in modo di recuperare il tempo perso durante le ferie; mi raccomando! Falli lavorare questi lazzaroni" "buongiorno, grazie, non dubiti, ci penso io a fare in modo che il lavoro fili via liscio, anche se poi bisognerebbe che lei tenesse lontano dal mio reparto quelli invidiosi, il capo officina e quello dell'ufficio tecnico..." "stai tranquillo, Giulietto! A loro ci penso io." Giulietto si inchinò, arretrò di tre passi, si volse a sinistra e, raddrizzandosi, dall'alto del suo metro e cinquantanove scarso, gridò verso la sua squadra:" avanti, muoversi! Bastardi! Figli di cagne rognose, muovetevi a lavorare che siete pagati per questo..." Accortosi che Dario il grande si era recato verso un altro bersaglio umano, Giulietto si mosse velocemente verso il suo armadietto personale, aprì un'antina protetta da serratura di sicurezza e ne estrasse un bottiglione di grappa fatta in casa da cui ingurgitò due grandi sorsate. Babaricò non era riuscito ad intercettare il suo magnifico nume e si dispiaceva per non essere stato il primo a salutarlo, del resto nemmeno lui poteva immaginare che Dario, il grande, si presentasse ad ora antelucana.... Verso le dieci, però, il capo-officina scorse la sagoma del grande che si stagliava con maschia postura contro la fusoliera di un aereo sulla linea di finizione e collaudo; in un attimo gli fu al fianco e, dopo i normali salamelecchi rituali, gli disse, tutto d'un fiato:"buongiorno a lei e a tutta la sua famiglia spero che abbi fatto buone ferie io intanto ci dico che anche se mi dispiace di smettere ma con Natale smetto di lavorare e vado a stare in Liguria nella mia casa nuova". Dario lo osservò in silenzio per quasi tre minuti rimanendo fisso, immobile e statuario in tutta la sua beltà sotto i raggi mattutini di un caldo sole settembrino; l'immobilismo si interruppe quando, con grande sforzo e so- vrumano sprezzo del pericolo, si sporse sulla scaletta di accesso al velivolo e sputò un fiotto di catarro a quasi sette metri di distanza andando a centrare in pieno il parabrezza di un aereo in fase di montaggio. "senta, Babaricò, non ho voglia di discutere di queste stupidaggini. Mi faccia sapere quanto vuole di aumento in nero e poi ci accordiamo" "ma no! Non voglio aumenti, voglio andare in pensione…sono stanco di lavorare, c'ho i miei anni...." "anch'io c'ho i miei di anni, ma vado avanti a lavorare... Ha visto? Questa mattina alle nove e un quarto ero di già qui a farvi vedere che anch'io lavoro!" Dario fissò lo sconcertato Babaricò sull'ampia fronte e, sceso dalla scaletta, si addentrò nel suo ufficio ove si lasciò cadere sul morbido divano per una sana, corroborante dormitina beneaugurante. Cap 25 "signor Dario, signor Dario... Venga al telefono, c'è uno di Roma che ci vuole parlare insieme..." "chi è di Roma che mi vuole?" "io non lo so, non me l'ha detto, ma sua moglie è in ospedale..." "mia moglie è in ospedale? Come mai?" "no, non la sua di lei, la sua di quello di Roma che me l'ha detto quando ha chiamato che doveva andare in ospedale a trovarla e c'aveva fretta." Dario,il grande, non ci aveva capito molto da questa conversazione con la centralinista che era corsa a chiamarlo fino in fondo all'officina, ma era certo che una telefonata da Roma doveva per forza essere di capitale importanza per cui, con tutta la velocità consentitagli dall'età e dalla zoppia si avviò verso l'ufficio. Durante il percorso, irto di ostacoli dovuti all'intreccio di cavi che occupavano il pavimento in ogni zona di passaggio, essendo quelle non di passaggio ostruite dalle fusoliere degli aerei e da scatoloni accatastati in sapiente disordine, l'industriale cominciò a chiedersi se non fosse il caso, per risparmiarsi le fatiche di quelle camminate, di dotarsi di un telefono portatile, uno di quei "cordess" che aveva visto usare anche nei ristoranti, ma poi decise che la sua era un'azienda e non certo un ristorante per cui quei cosi lì, essendo usati nei ristoranti, non sarebbero mai e poi mai andati bene in un'azienda. Raggiunta nel suo intimo questa salda certezza e rasserenato al pensiero di essere riuscito, ancora una volta da solo, a prendere una decisione oculata e perfettamente in linea con il suo stesso pensiero, Dario si stravaccò sulla sedia della scrivania padronale e, sollevato l'apparecchio telefonico vi biascicò dentro: "che bottone devo schiacciare per parlare con quello di Roma?" "prema il 2, signor Dario, il 2" "il 2? E che colore è che ha? Non si capisce più niente con questi telefoni qui...ecco, pronto?..." "no, signor Dario, ha schiacciato il 3...schiacci quello prima, quello in mezzo... Schiacci l'unico acceso con su scritto 2..." "ah questo... Pronto?... Pronto?...perché non mi risponde?" In quell'istante entrò nell'ufficio Zauri, dell'ufficio tecnico, che si precipitò all'apparecchio telefonico, premette il fatidico pulsante numero 2 e passò, finalmente, la cor- netta all'industriale sbigottito da tanta rapidità e quasi sorpreso dal sentire una voce in chiaro Romanesco che lo salutava: "sor Dario?! C'ho piacere de parlaje, so' er dottor Bastioni ... Se semo visti l'altr'anno per la gara de l'aereo der presidente, se ricorda?" " e come no!? Mi ricordo, sì....abbiamo fatto un'offerta, mi pare...." "certo, certo! Je stavo a telefonà per dicce ch'avete vinto! Ve danno da fà l'aereo e la settimana ventura vengo co' tutta la squadra de lavoro pe' definì ar mejo tutti li dettagli." "sì vi aspetto, poi ditemi in quanti siete che vi prenoto la stanza di una pensione qui vicina..." "no, no nun se disturbi, c'avemo a prenotazione già fatta ar 4 stelle che non m'arricordo come che se chiama, ma sta vicino pur'esso! Arrivederci" La cornetta del telefono fu deposta da Dario, il grande, con lentezza esasperante e, nel frattempo, il suo volto prese un'espressione quasi estasiata, assente, totalmente persa; Zauri conosceva quell'espressione ed era profondamente convinto che se si fosse potuto sollevare in quell'istante le palpebre di Dario si sarebbero scoperti gli occhi con le pupille a forma di dollaro, esattamente come quando Paperon de' Paperoni conta i suoi gruzzoli. Dario, a poco a poco, si riprese da quel suo stato di beatitudine e, accortosi della presenza del suo responsabile tecnico gli si rivolse con tono stranamente pacato: "come mai non riuscivo a prendere la linea? Avevo schiacciato il bottone acceso..." "lasci stare, signor Dario, lasci stare....aveva premuto il bottone della chiamata di emergenza al 118, ma ho già disdetto l'intervento" "ha sentito? Ci siamo aggiudicati la costruzione dell'aereo del presidente! Adesso bisogna cominciare a pensare a come fare per farlo..." "mah, mi sembra semplice: prendiamo il capitolato, sviluppiamo i disegni e poi iniziamo la costruzione..." "Zauri! Per favore! Non cominci a tirar fuori idee strampalate.... I disegni, sì, questa è bella.... Ma la vuol capire che non servono pezzi di carta per fare gli aerei? Mi lasci stare da solo che basta organizzarsi...adesso parlo con mio figlio che mi darà una mano ...voi vi credete dei tecnici perché avete studiato, ma io, senza istruzione ho fatto i soldi! E voi siete solo invidiosi...lo so io come si fa a fare i aerei..." Zauri, scrollando la testa e le spalle, girò sui tacchi e, borbottando invettive contro Dario e tutta la sua genia, si recò alla sua scrivania dove si immerse in profonde riflessioni sullo stato di salute mentale del suo capo. Dopo due ore di meditazione emise un sospiro ed il referto: matto suonato completo. Cap 26 Il preannunciato arrivo della commissione per la pianificazione dei lavori di costruzione dell'aereo presidenziale innescò, come era prevedibile, una serie di ordini da parte di Dario, il grande, per tentare di dare un aspetto quanto più positivo possibile dell'azienda. Tanto per cominciare tutte le saldatrici, obsolete già all'acquisto (però erano costate poco più della metà di quelle nuove e funzionanti....) vennero ridipinte di un vivace color "vomito di ubriaco" frutto della sapiente miscelazione, da parte del capo verniciatore, di una serie non precisata di vernici stoccate e scadute. Questo genio della pittura godeva, agli occhi di Dario il grande, di un credito pressoché illimitato dal giorno in cui, circa 35 anni prima, sfruttando uno dei pochi momenti in cui non era ebbro di Manduria, riuscì a far verniciare, a tempo di record, un intero aereo biposto imponendo ai verniciatori della sua squadra l'utilizzo contemporaneo di ambo le mani che, stringendo ciascuna un pennello, si alternavano nell'intingere e nell'apportare vernice in modo che i tempi risultarono pressoché dimezzati. Il fatto che, nella foga, l'aereo venne dipinto con una tinta sbagliata (rosso anziché mimetico) fu sempre fatto passare, dal piccolo ometto, come un incidente di percorso messo in atto dai soliti invidiosi che non lo volevano come caposquadra; inutile dire che Dario il grande fu il primo assertore di tale assoluta verità e che sempre, da allora, pretese dai suoi verniciatori che dessero la "seconda mano". Un ulteriore ordine impartito dal d.i.o. alle sue devote maestranze fu quello di provvedere alla pulizia di tutti i pavimenti nei reparti con l'obbligo di "tirare a cera" ogni singola mattonella di grés che, ad onor del vero, mai era stata pulita dal giorno della posa. Considerando la notevole estensione dei pavimenti della V.I.S.P.A. ed il fatto che la pulizia doveva essere effettuata in orario post-produttivo senza alcuna retribuzione, si crearono, fra gli operai, alcuni piccoli focolai di timida disapprovazione, ma, il genio lo si vede nel momento del bisogno, il buon Babaricò riuscì a tranquillizzare tutti mostrando che, con un bidoncino di normalissimo gasolio versato sulle piastrelle, non era quasi necessario pulire: il pavimento luccicava come nuovo! Tutti ammisero che, stavolta, Babaricò si era superato; fu un'ovazione, quasi una hola ed il capo officina si autocostruì una corona di foglie di alloro abilmente ritagliate da una lastra di una specialissima e quasi introvabile lega in metallo aero-spaziale fatta sopraggiungere dalla terra del fuoco a cura dell'ufficio tecnico per eseguire sofisticate prove di laboratorio. Nel tripudio generale furono scambiati per goliardici petardi i 6 colpi di mortaio che l'ing. Zauri aveva indirizzato contro la vettura del fiero Babaricò che se ne usciva dallo stabilimento con la corona del trionfo ben fissata al portapacchi; le piccole ferite riportate dal capo officina furono rapidamente suturate con una graffatrice a cura delle solerti impiegate tuttofare ancora estasiate dall'aver visto i pavimenti lucidati a specchio e senza fatica. Purtroppo il gasolio ha la pessima abitudine di incendiarsi al contatto della fiamma e quando, l'indomani, alla ripresa delle attività produttive, i saldatori iniziarono a saldare le lamiere fu un fuggi fuggi generale per allontanarsi dalle fiamme che avanzavano da ogni dove sfiorando le lucide piastrelle. Pensare di domare i diversi e vigorosi focolai di incendio era assolutamente improponibile: gli estintori erano tutti scarichi (la ricarica prevista dalle normative era costosa, per cui da almeno ventidue anni essi erano appesi come impiccati nei posti più disparati, ma comunque in posizioni inaccessibili ad esseri umani) e l'anello idrico che avrebbe dovuto alimentare gli idranti era stato, da tempo immemorabile, dirottato per fornire acqua all'impianto di irrigazione automatica impiantato nel giardino di casa del presidente. Anche la richiesta estemporanea di intervento ai vigili del fuoco parve, agli occhi di Dario il grande, essere cosa poco consona allo spirito aziendale in quanto avrebbe inevitabilmente costretto i pompieri a domare un incendio che sembrava promettere di essere remunerativo per cui optò per un ben impartito: "forza, bastardi! Pisciate!!! Muovetevi!" Intanto, mentre impartiva il perentorio ordine e mentre le fiamme andavano distruggendo un intero capannone, Dario stava sottilmente calcolando che, detratti gli ammortamenti, detratto i premi assicurativi, detratte le attrezzature dichiarate in polizza come esistenti, ma mai acquistate e calcolando il risarcimento assicurativo nonché il contributo a fondo perso per la ricostruzione delle aziende bruciate annunciato dal ministero del lavoro....sì, bisognava che le fiamme distruggessero tutto ed in fretta! Fu buon vate! Nel giro di 30 minuti il capannone era in cenere! Era arrivato il momento di richiedere l'intervento dei "pompieri" che avrebbero certificato, presso l'assicurazione, come il capannone fosse bruciato per una tragica fatalità (certo che l'avrebbero certificato! Il comandante era sul libro dei ricchi doni di ogni Natale! Ma vogliamo scherzare? Bisogna tutelarsi ed essere previdenti!) L'incendio, però, non mise fine alle attività produttive della VISPA che andarono a concentrarsi nel secondo capannone rimasto miracolosamente intatto e sede degli impianti di verniciatura; unico piccolo, trascurabile dettaglio, fu il fatto che i saldatori, dovendo convivere con le vernici del reparto verniciatura, dovettero acquistare, ciascuno, un estintore da 15 kg. che, fissato sulla schiena, assicurava ad ogni lavoratore la possibilità di circoscrivere rapidamente ognuno dei micro incendi che si innescavano al ritmo medio di due-tre fiammate ogni ora. Ovviamente gli estintori vennero acquistati dai saldatori rivolgendosi al fornito emporio del cognato di Dario il grande, emporio che si preoccupava anche delle ricariche quotidiane; sfortunatamente, per gli operai, proprio in quel periodo, gli estintori avevano subito un rincaro del trecento per cento, in compenso ogni tre ricariche il titolare dell'emporio regalava una scatola di fiammiferi antivento con combustione potenziata. In tale situazione a dir poco precaria una mattina, alle 10:30 arrivò da Roma "la commissione". Cap 27 La delegazione operativa ministeriale era composta da un Generale, due sottosegretari (uno di maggioranza ed uno di minoranza), due portaborse, due uscieri ed un ingegnere minerario. Per la movimentazione di queste persone lo Stato fece ricorso ad un Boeing 747, un aereo di linea appositamente noleggiato presso la compagnia Low-Cost di proprietà della moglie di un non meglio precisato vice primo ministro che per il viaggio Roma – Milano V.I.S.P.A. si accontentò di 480.000 Euro e che, però, si rifiutò categoricamente di atterrare sulla pista privata della V.I.S.P.A. definendola “uno stretto sentiero di terra battuta pieno di buche e dossi, assolutamente inidoneo anche al solo atterraggio di emergenza di un ultraleggero”. Conseguentemente Dario il grande dovette occuparsi dell’inopinato trasferimento da Malpensa al proprio sta- bilimento di questa delegazione di primaria importanza. Ovvio che per sbrigare al meglio la faccenda venisse affidato all’Alfonso-tours il compito di organizzare il trasporto dei preziosi passeggeri ed altrettanto ovvio che l’imperativo dell’Alfonso – tours (risparmiare anche sul risparmio) ancora una volta ebbe modo di trionfare. A ricevere la delegazione all’aeroporto della Malpensa venne inviato il furgoncino della V.I.S.P.A. normalmente dedicato al trasporto di motori e fusti d’olio e appositamente attrezzato per l’occasione, con l’ausilio dei consigli e della mano d’opera di Babaricò ,mediante la saldatura di sedili divelti da vecchi aerei da rottamare ancora presenti nei piazzali aziendali e finestrini in plexiglass azzurrato ricavati da vecchie arrugginite carlinghe di storica memoria. Alla guida del traballante Autobus venne posto il portafortuna aziendale: tale Salvo Melo che madre natura, non certo benigna, aveva fornito di una gobba di tipo assolutamente maiuscolo compensando tale abbondanza con la totale scarsità di denti sani corroborando il tutto con una dizione sputacchiata e originatasi nei bordelli poi chiusi dalla legge Merlini. Giunto ai piedi del 747, nei pressi della scaletta d’onore, Salvo urlò ai suoi futuri passeggeri: “Ueh! Vediamo di muoversi! Cazzo! Anche le borse c’avete da portare via? C#*?^&*+ vengono da Roma e chissà chi si credono che sono? #*?^&*+ Porco boia! ? C#*?^&*+. Andiamo..” Lo sconcerto era abbastanza palese sui volti dei delegati presidenziali, ma … tant’è….. si arrampicarono e si accomodarono (forse meglio sarebbe : si adattarono) nel minibus cercando di sporcarsi il meno possibile avendo da subito compreso che il non sporcarsi era da escludere nel modo più totale e, in uno spettrale silenzio interrotto dai moccoli di Salvo, il viaggio ebbe inizio. La distanza da coprire era inferiore ai 20 kilometri, ma il traffico caotico e la non precisa conoscenza del percorso autostradale da parte di Salvo che prediligeva percorsi “animati” da osterie e banchi di mescita fecero sì che il tragitto si protrasse per oltre un’ora e mezzo per cui l’ingresso dei funzionari alla V.I.S.P.A. coincise con il suono della sirena annunciante la pausa prandiale. Gli otto funzionari vennero scaricati da Salvo in mezzo al cortile principale con un cordiale: “Me io vado a mangiare voi fate quel cazzo che volete” e così dicendo si involò, per quel che gli permetteva il fisico, verso il locale mensa. Sbigottiti, stanchi per gli scossoni subiti sul succedaneo dell’autobus, imbarazzati, anche e, soprattutto, disorientati non vedendo intorno a sé anima viva, i componenti la commissione ebbero in un attimo la netta sensazione di vivere un incubo ed il più lesto a cercare una conferma fu il Generale che diede un pizzicotto atomico al piccolo ingegnere minerario al su fianco. Costui emise un urlo che si costrinse a soffocare per un innato senso di sottomissione di fronte ai potenti, ciononostante esclamò:” Con tutto il rispetto signor Generale, ma la natica era la mia!” “Su, su … coraggio, non è niente! In guerra sono ben altri i dolori che dobbiamo sopportare quando inviamo all’assalto le nostre truppe!” “Mi scusi, Generale, non sapevo che avesse preso parte a qualche guerra” interloquì il sottosegretario della maggioranza. “Ma certo che non ho preso parte alla guerra! Che diamine! Ma noi fanti siamo allenati sin dal primo giorno di Accademia a pensare agli atti di eroismo di cui ci copriremo!” Il sottosegretario di minoranza ritenne opportuno inserirsi nel discorso tentando di portarlo sul piano politico:”Caro Generale, mi lasci dire che, purtroppo, le nostre giuste ambizioni di eroismo non sono comprese dall’attuale governo per cui anche Ella dovrà mordere il freno fintantoché non saremo di nuovo al potere e, a tal proposito, l’aereo che dovremmo far costruire non dovrebbe esser un aereo Presidenziale, ma, bensì, un aereo trasporto truppe da dedicare alla futura invasione di San Marino!” cap 28 Gli otto uomini erano così immersi nella discussione accesasi dopo l’intervento politico del sottosegretario che dopo mezz’ora non si accorsero dell’approssimarsi al loro gruppetto di Dario il grande, reduce dal quotidiano giro di ispezione delle proprietà. Giunto ad una distanza di una decina di metri dal gruppo Dario gridò, tutto d’un fiato: “Chi siete? Cosa fate nella mia Azienda? Chi vi ha fatto entrare? Adesso chiamo i Carabinieri!” “ No, no, no ci deve essere un malinteso! Noi siamo la Commissione di Roma per la scelta del progetto dell’aereo Presidenziale… cerchiamo il signor Dario…” “E chi mi dice che non siete zingari o extracomunitari che cercano di rubarmi le mie cose?” “Ecco, guardi! Questo è il mio distintivo di Generale della Fanteria, mi chiamo Mino Sala e questi sono i miei accompagnatori” Tranquillizzato più dalla divisa che dal distintivo Dario abbozzò un insieme sparso di parole sul tema del “mi scusi, non sapevo…” ma, ovviamente, in ordine assolutamente casuale in modo da risultare del tutto incomprensibili a qualsiasi cittadino Italiano. Per questo il più alto dei due portaborse, in uno sfoggio di rara cultura, esordì con un volonteroso:” Nice to meet you, do you speak English?” L’altro portaborse, preso in contropiede dal collega, di fronte al silenzio stralunato di Dario colse l’occasione di un: “Bonjour! Nous sommes ici pour acheter un avion..” La situazione si stava inevitabilmente avviando ad uno stallo, ma … è nei momenti di bisogno che emergono i cervelli fini …. Dario il grande sibilò:” se siete quelli di Roma allora dobbiamo andare a mangiare insieme, ho fatto prenotare, ma due di voi crescono….. mi avevano detto che venivate in sei….; fa niente ci facciamo dare due piatti in più e ci stringeremo…. Venitemi dietro, andiamo a piedi perché è qui girato l’angolo”. Detto e fatto: Dario girò su se stesso con inopinata agilità e si diresse verso il cancello, lo superò e si diresse verso l’Osteria – Trattoria – Lombardia Tipica di Mimmo e Carmela distante qualche centinaio di metri dalla V.I.S.P.A. e nota in tutto il circondario per le violente baruffe con accoltellamenti che vi succedevano ogni sera durante i ritrovi goliardici degli spacciatori della zona. La tavola era apparecchiata come per le feste patronali: tovaglia a quadretti bianchi e rossi, tovaglioli rosa in carta, bicchieri in vetro con dimensioni tutte uguali e dello stesso colore, ghirlande di anelli intrecciati gialli e blu e, al centro tavola, un fiasco aperto di vino sfuso. In un quasi battibaleno Mimmo e Carmela arrangiarono altri due posti e proposero agli ospiti il menu della Casa: Antipasto di salamelle fritte Orecchiette con cime di rapa Cotenne e orecchie di maiale stufate con verze Macedonia di sole mele Caffè Ammazzacaffè Dario ordinò subito “porzioni abbondanti” e si dilungò su concetti a lui particolarmente cari a proposito di ristoranti che non devono per forza essere appariscenti per essere scelti, che non è la spesa che fa , ma il piacere della compagnia, le cose genuine non hanno prezzo al giorno d’oggi, trovare posto in locali tipici è sempre più difficile e via con altre simili amenità. Nemmeno a dirlo i commissari non toccarono quasi le vivande che, in compenso, passarono sul piatto dell’ineffabile industriale che più volte dovette ricorrere ad abbondanti sorsate di vino per non rischiare il soffocamento. Finito il lauto pasto Dario si fece portare il conto e, dopo aver contrattato con Mimmo per quasi 20 minuti riuscì ad ottenere l’arrotondamento di 63 centesimi; soddisfatto e con un sorriso a trentadue denti estrasse il portafoglio bisunto ed iniziò a saldare la consumazione estraendo lentamente e studiatamente, uno alla volta, i biglietti da cinque Euro. “Bisogna contarglieli tutti bene uno a uno perché solo così si convincono che li hai pagati, ‘sti terroni!” Il disagio nella commissione perdurava. Cap 29 Fu, per tutta la commissione, un sollievo immenso l’abbandonare il tugurio-taverna e ritornare a piedi entro i recinti fatiscenti della V.I.S.P.A. dove, appena accomodatisi attorno ad un tavolo in rovere appositamente allestito per la bisogna, iniziarono ad estrarre dalle poderose cartelle impressionanti pile di documenti. “Caro signor Dario, lei ci vorrà scusare se non entriamo subito nei dettagli costruttivi dell’aereo per dedicare qualche minuto alla compilazione di questi semplici moduli riguardanti la sicurezza sul lavoro e le procedure di qualità in atto nella sua azienda…” “Ma che si figuri dottor sottosegretario! (che strano cognome, questo qui) anzi1 è di meglio che prima scriviamo le cose inutili così dopo non dobbiamo più romperci le balle…” La commissione incassò senza battere ciglio le affermazioni di Dario e iniziò con le domande previste dal questionario in rigoroso ordine sparso per aiutare il già spaesato imprenditore a non raccappezzarsi nell'intrico dei moduli ministeriali. <La sua azienda è sicuramente a norma con la legge 626….> < a norma è a norma di sicuro! … se poi è la legge 626 è quella che ci vuole…vuol dire che siamo a posto anche con quella! > <il lavoro straordinario è eseguito secondo i disciplinari previsti dal CCNL?> < no, io qui di lavoro straordinario non ne faccio fare perché, vedino….nel nostro lavoro, che è difficile e faticoso, non si può chiedere ad un uomo che ha picchiato per 12 ore la lamiera di ferro di fermarsi in ditta a fare le 3 ore di straordinario che servirebbero...> <???…scusi, ma ci sta dicendo che lavorate 12 ore al giorno? Vuol dire tutti i giorni 12 ore???> < sì, lo so che qualche ora in più farebbe bene, ma alla domenica ai miei operai ci faccio fare festa da mezzoggiorno così fanno in tempo a sentire la messa….> <Quando un vostro aereo viene consegnato quanti controlli sono stati certificati?> <eh….dipende….> <come, dipende!???> <dipende se bisogna fare la fattura allora c’è il documento della fattura, se invece pagate in nero….facciamo un biglietto fra galantuomini e non serve la fattura…> il generale Sala Mino, pur essendo generale di fanteria e non della Guardia di Finanza ebbe come il sentore che, probabilmente, alla V.I.S.P.A. non tutte le regole erano rispettate per cui si sentì in dovere di intervenire: “signor Dario noi siamo qui per definire le caratteristiche dell’aereo del Presidente, ma ho l’impressione che, prima, ci siano da chiarire alcuni punti … diciamo … di gestione aziendale…” “ Bravo! Bravo generale! Ha visto che ci siamo arrivati subito! In fondo quando si è esperti ci si capisce subito! Guardino: in questa borsetta della Standa ci sono dentro 100.000 euri che vi dividete come volete, poi, alla fine dei lavori c’è pronta un’altra busta così per ognuno di voi…” L’aria divenne improvvisamente irrespirabile. Il generale si accasciò su se stesso gemendo: “ mio Dio, mio Dio….mi si vuole corrompere!” L’ingegnere minerario si alzò di scatto, trasecolato e di nuovo piombò seduto immoto con il viso sbiancato e di tonalità cadaverica. I due sottosegretari, invece, pur di schieramento politico opposto, scattarono all’unisono per strappare ai portaborse il sacchetto di plastica che questi stavano abilmente e con consumata esperienza infilando in apposite sacche delle cartelle portadocumenti : “ e no! Questi soldi sono requisiti da noi, in qualità di sottosegretari con delega….” I due uscieri che si trovavavno alcuni metri più distanti dal tavolo di lavoro non fecero caso più di tanto all’improvvisa animazione venutasi a creare e preferirono continuare nella lettura congiunta di una copia di “DONNE ED ELICHE” dove, in copertina, tra due tette da Guinness dei primati una scritta proclamava: <in arrivo gli Airbag per i piloti di linea” Dario, il grande, con l’occhio bovino un po’ strizzato di dietro alle bisunte lenti da miope, capì che, forse, c’era qualcosa di non perfettamente funzionante in quanto stava accadendo e così, con improvviso guizzo, decise di rendere partecipe anche il figliolo di tutto quanto stava inopinatamente succedendo per cui si abbarbicò al telefono biascicando:” Darko! Vieni subito nel mio ufficio!” ed appese. Darko, bello come un purosangue ed ignorante come un somaro (nella comune accezione del termine perché, personalmente, reputo tale equino estremamente intelligente oltre che prezioso ed umile) apparve nel vano della porta dirigenziale vestito come un damerino che si era dimenticato di cambiarsi dopo un capodanno a Rio. “Cosa cazzo sta succedendo in questa ditta di merda? Possibile che debba fare tutto io? Tu, papà, non fai un tubo da mattina a sera e mi chiami sempre per delle stronzate….” Accortosi della presenza della Commissione dal colore grigio–verde dell’uniforme del generale il brillante, acuto rampollo si ricompose e sbottò:” buongiorno, anzi, ormai, buona sera, vabbè facciamo buon pomeriggio….con chi ho il piacere di parlare?… ah! Scusate… devo fare una cosa urgentissima su di sopra….se potete aspettare un momentino….tanto non credo che voi abbiate altre cose da fare….poi, appena mi sono liberato, vengo da voi e vi sistemo…” passando accanto al padre gli bisbigliò” ecchecazzo! Cos’era tutta ‘sta urgenza?! Tutto io devo fare, eh???” e se ne partì per la scala da cui era venuto. Il generale Mino Sala si riprese e, con un piglio da condottiero degno di miglior causa, esclamò:” Signori si torna a Roma e si denunciano questi cialtroni – poi… sulla mazzetta … sulla sua divisione, intendo….ci si accorda strada facendo…ora: via si rientra!” Senza profferire altro verbo i membri della Commissione si alzarono, si diressero al piazzale, si inerpicarono sullo pseudo-bus aziendale e, preso posto in assoluto compassato silenzio sugli sgangherati sedili, attesero pazientemente che l’ineffabile chaffeur li riconducesse all’aeroporto. cap 30 Tutti, alla V.I.S.P.A., compresero che qualcosa doveva essere andato storto là nell’ufficio del Glande quando videro la Commissione allontanarsi a grandi passi dalle mura dell’ufficio dirigenziale e tutti si convinsero dell’esattezza dei loro sospetti quando, dopo circa un’ora dalla dipartita dei “romani”, videro Dario uscire ed essere quasi inseguito da un alteratissimo Darko urlante:” …ti lascio solo 5 minutini e tu… tu….tu mi fai un casino che neanche si può descrivere! Ma dico! Come si fa ad offrire 100.000 euro ad una commissione presidenziale? Come si fa? Lo sanno anche i bambini dell’asilo delle suore orsoline della santa madre provvidenza della carità divina che per una Commissione il minimo tabellare è di 275.000 euro!!! Ecchecazzo!…non ci si può più fidare di te! Al prossimo C.D.A. chiederò di toglierti l’incarico, sei un incapace! Adesso, come al solito dovrò fare tutto io, andare a Roma, versare la differenza, portare la commissione al ristorante … tutte spese inutili! Lo vedi il tempo che mi fai perdere?:::” Queste scene, purtroppo, diventavano sempre più frequenti e alcuni operai avevano organizzato un giro di scommesse sul tempo di permanenza alla guida (si fa per dire, si fa per dire) dell’azienda da parte di Dario. I sostenitori della tesi secondo cui Darko avrebbe relegato il padre ad un ruolo men che insignificante nel giro di 7 – 8 mesi per prenderne il posto si scontravano con coloro che, invece, ritenevano Dario in grado di rintuzzare ogni attacco, ma tutti, proprio tutti concordavano sul fatto che, terminate le lavorazioni in corso (durata da tutti stimata in 15 mesi al massimo) la V.I.S.P.A. avrebbe chiuso i battenti non essendo in grado di dotarsi delle nuove conoscenze e tecnologie indispensabili per competere non solo sul mercato estero, ma anche, ormai, sul mercato domestico dove la proprietà non poteva più nemmeno contare sugli appoggi dei politici che nel frattempo erano passati a miglior vita senza lasciare eredi in grado di traghettare l’azienda verso il nuovo millennio. In questo panorama di latente depressione giunse la ferale notizia della scomparsa di Sandrino colto dalla “livella” mentre giocava a fare il Pirata con una non meglio precisata principessa rumena in un hotel della peri- feria metropolitana. La camera ardente venne allestita al centro del piazzale utilizzando 4 colonne di polistirolo effetto granito che sorreggevano svolazzanti tende in tulle nero e oro, residuati di una rappresentazione storica recuperati da un amico di famiglia a poco prezzo nei sotterranei del teatro locale. La bara era appoggiata su un’ala di aereo appositamente staccata da un residuato bellico giacente in uno dei cento depositi di materiale da rottamare della V.I.S.P.A. e faceva il suo bell’effetto, soprattutto da lontano, contrastando il suo nero legno con l’argenteo colore dell’ala. Tutti i dipendenti passarono a rendere omaggio alla salma e, quando ormai più nessuno lo aspettava, giunse anche Dario il fratello unico. Arrivò in auto sino a due metri dal catafalco. Spense il motore. Si tolse gli occhiali da sole. S’asciugò il sudore con un candido fazzoletto di lino. Abbassò il finestrino anteriore dell’auto. Guardò il feretro; guardò la mesta gente e disse: “facciamo alla svelta che dobbiamo consegnare un trimotore prima di sera!” Avviò il motore, sgommò e si diresse al suo ufficio dove si rintanò sull’amato divano per un sonno pacificatore. cap 31 Non tutti i mali vengono per nuocere e la veridicità del detto popolare venne confermata dai fatti che si originarono proprio alla fine delle esequie per il buon Sandrino. Alla mesta cerimonia funebre, per altro conclusasi, su espressa volontà del defunto, con uno splendido spettacolo pirotecnico organizzato in riva ad uno stagno nella proprietà di famiglia su in Val Vigezzo, parteciparono, ovviamente, diversi personaggi della finanza e del mondo industriale che avevano avuto in qualche modo rapporti con la V.I.S.P.A. Fra questi personaggi ve n’era uno, in particolare, che colpiva ogni altro astante per l’aspetto e per le movenze furtive pur nello sfoggio e nell'imposizione della propria presenza. Era, l’omuncolo, di aspetto segaligno, con il volto di foggia triangolare in cui gli occhi si riducevano a due fessure indistinguibili, quasi, dalle numerose larghe rughe che donavano un aspetto incartapecorito alla sua pelle già naturalmente pigmentata in colore terra di Siena bruciata e con tale colorito ulteriormente accentuato dall’esposizione prolungata al sole. Si chiamava Busoni ed era stato a capo di una azienda, concorrente diretta della V.I.S.P.A. per le forniture aeree alle Compagnie High Cost, rivestendo, in tale azienda, per volontà della sagace proprietà, il tipico ruolo della testa di legno destinata ad essere sacrificata qualora si fosse presentata la necessità “tecnica” di trovare un colpevole per le numerose insolvenze di tipo amministrativo e normativo. Purtroppo, per lui, la testa di Busoni fu fatta saltare dalla stessa proprietà nel momento in cui questa si accorse che la Testa di Legno passava più tempo sui campi del Tennis Club che in fabbrica e che, soprattutto, pagava le magnificenti feste dei Circoli Tennis di mezza Europa con fondi stornati alle casse aziendali attraverso prelievi effettuati a mezzo di note spese che definire pretestuose e faraoniche sarebbe estremamente riduttivo. Questo personaggio di dubbia fama ed ancor più dubbia moralità era universalmente noto, nel mondo delle piccole aeroindustrie, come un “maneggione” intrallazzato con potenti, o presunti tali, per cui era evitato come la peste da chiunque avesse un minimo di cervello e responsabilità, ma egli, non capacitandosi dell'altrui spregio, non perdeva occasione per attaccar bottone a destra ed a manca con chiunque potesse, anche solo lontanamente, essere raggirato o essergli utile per procacciarsi in qualunque modo quel vil denaro che a lui mancava sempre a causa dei suoi incredibili sperperi. Busoni viveva una vita decisamente sopra le righe atteggiandosi a magnate quando, forse, egli era magnaccia, spacciandosi per imprenditore quand'era, invece, spacciatore. Orbene questo esseruccio, terminate le esequie di Sandrino, fu visto scivolare, con un sorriso a 97 denti, sin dietro l'ineffabile Darko ed in molti sentirono le sue labbra profferire una frase che nel corso della storia avrebbe avuto la sua importanza capitale: “ Caro Darko non preoccuparti! Se non c'è più tuo zio Sandrino sappi che, volendo, potrai acquisire uno zio tutto nuovo come sono io che ti posso portare in dote tutto il mercato aereo del sud america....c'ho i contatti personali a costo zero!” Parole magiche all'orecchio del piccolo principe! Costo Zero! Costo zero! Per quasi 10 giorni le parole “costo zero costo zero costo zero costo zero” risuonarono ininterrotte, ventiquattr'ore su ventiquattro, nella vuota cervice di Darko che prese la grande decisione: Busoni DOVEVA essere della V.I.S.P.A.! cap 32 Senza por tempo in mezzo Darko ricontattò Busoni ed in men che non si dica i due trovarono un soddisfacente accordo economico che, ognuno dei due ne era sicuro, sarebbe stato foriero di inenarrabili guadagni esentasse. L’accordo imponeva a Busoni di trasformarsi in uomo-immagine della V.I.S.P.A. e di mettere a disposizione incondizionata e totale di Darko indirizzi e numeri di telefono riservati dei personaggi da lui conosciuti (in particolare le belle ragazze dell’est e le brasiliane); come pagamento dei servigi Darko si impegnava ad elargire a Busoni un discreto stipendio mensile integrato da fringe-benefits di cui il principale era costituito da un tacito “placet” al pagamento, anche con denaro “personale” di ogni nota spesa presentatagli a qualsivoglia titolo dal Busoni. Vi è da notare che in un ambiente qual era quello della V.I.S.P.A. in cui un semi-analfabeta poteva passare per un dottore dell’accademia della Crusca la capacità del nuovo “acquisto” di conversare in ispanico con i “suoi” contatti Sudamericani fu da tutti i dirigenti notata come un piacevole e divertente diversivo alla noia quotidiana della vita in azienda. Significativa di tali asserzioni una conversazione telefonica che rimase, per puro caso, indelebilmente registrata sull’hard disk di un Pc portatile “dimenticato acceso” per un intero giorno sulla scrivania accanto a quella di Busoni proprio mentre questi si intratteneva con un “suo corrispondente” e che venne “per caso” ascoltata da tutte le maestranze riunite in una call-conference sindacale. “hola! Carlos….soy yo….Busoni! como se vas lì in Messicos? Es mucho frieddo lì? Ah no?! Aquì es mucho caldo porquè es primaveras in Italia! Te telefonos per dirtes que adiesso lavoro…trabaco, come disete voyos,…in una nueva ditta, ies, una nueva acienda! Muy bellos! Tenemos aeroplanes muy veloces, muys riccos de cose precioses! Tu debe comperar esti aeroplanos da nos, non plus da los concorrentis, eh no! Mi te dago una bonas provigiones que spartimos a mezzos tu e yo! Non impuerta si tu non tiene dinero adessos, es importantes que tu digas al primo ministero de comperar el mio aeroplanos e io te invios, subitos dopos, tantes miliones que tu non te credis! Ciaos! Te richiamos domanis per mettercis d’accordis!” Di fronte ad un “padre-lingua” di siffatta improntitudine tutti capirono come sarebbe finita la pluridecennale vita dell’azienda fondata da nonno Claudio….tutti tranne Dario e Darko che, entusiasti per l’ottimo acquisto operato sul mercato dei dirigenti, pensarono bene di concedersi un po’ di vacanza; del resto il Busoni aveva dichiarato più volte di poter, da solo, portare la V.I.S.P.A. ai più alti traguardi di redditività e ciò era motivo più che sufficiente per dormire, finalmente, ricchi, anzi! ricchissimi sonni tranquilli. Inutile dire che la vacanza del Glande e del di lui figlio fu accuratamente organizzata dalla Alfonso–tour in maniera egregia dosando mirabilmente il budget imposto da Darko per trarre il massimo del comfort con il minimo della spesa. La scelta del luogo di vacanza, essendo ormai estate, fu, ovviamente, un posto fresco e poco frequentato: Riccione. L’albergo, rigorosamente a 4 stelle declassate, si trovava a circa 2 Km. dalla spiaggia più vicina, ma, in compenso, si affacciava su una nuovissima discarica adibita al compostaggio di tutto lo stallatico raccolto nell’Emilia Romagna per un progetto pilota finanziato dallo Zimbabwe. Per un congruo risparmio sulla tariffa di soggiorno la Alfonso-tours pensò bene di cassare dalle richieste per l’hotel l’attivazione dell’aria condizionata nelle camere così che i due geniali imprenditori, perennemente accaldati, optarono, una volta giunti, per i divani della fresca hall come luoghi deputati a conservare le loro membra durante il riposo notturno suscitando le nemmeno tanto velate proteste da parte degli altri ospiti. Il tocco di classe, direi il genio del risparmio, della Alfonso-tour, però, si evidenziò nella contrattazione della formula “pensione completa” che, alla fine delle 4 ore e 50 di estenuante telefonata tra V.I.S.P.A. e direzione dell’Hotel Paradiso della Vista, comportò la riduzione dello 0,2% sulle tariffe normalmente praticate dall’albergo in quanto il pranzo del mezzogiorno in terrazza sarebbe stato sostituito dalla somministrazione di un pasto-equivalente (con calorie, carboidrati, vitamine, glucidi e quant’altro occorrente all’organismo umano) costituito da “sache du dejouner avec baguette, oeufs et salade de la maison” che si rivelò poi essere esattamente ciò che doveva essere: un panino malamente farcito con uova e maionese su foglia di lattuga. Per i palati sopraffini del Glande e del Piccolo Principe la delizia prandiale poteva essere riassunta nelle parole esclamate da Dario al primo morso rivolgendosi al tenero rampollo:” Bravo, l’Alfonso! Con un bel risparmio ci fa mangiare come neanche tua madre sa fare! Guarda quei barboni là, invece, come si abbuffano di chissà cosa intorno al tavolo delle aragoste!” In fondo …. non occorre molto per essere felici…. Cap 33 La breve vacanza aveva corroborato le stanche menti dei due capitani d’industria che, rientrati alla familiare vita aziendale carichi di progetti e vogliosi di agire per immortalarsi nella storia, passarono immantinentemente nell’ufficio di Dario il grande per mollemente adagiarsi sui divani da “pensata” e quivi rimasero per le canoniche 10 ore di lavoro a sonnecchiare in attesa di nuove ispirazioni. Incredibilmente le nuove ispirazioni arrivarono; arrivarono, ovviamente, a Dario in primis, ma una volta che questi le ebbe esternate, in uno slang conosciuto solo dagli intimi di famiglia e costituito più che altro da verbi coniugati all’infinito per essere ben distintamente coerenti con il resto delle frasi in cui i soggetti erano abilmente camuffati da interiezioni, ecco che lo sviluppo della “pensata” divenne motivo di orgoglio per il Piccolo Principe Laureato. L’idea balenata a Dario aveva un che di semplice nella sua formulazione: che qui “traduco” per una migliore comprensione: “I soldi servono per essere ricchi. Essere ricchi vuol dire poter comprare quello che si vuole. Quello che si vuole spesso non può essere comperato perché non si ha tempo da buttare. Quindi: occorre trovare cose da buttare per diventare ricco” Lo sviluppo “tecnico-finanziario” di questa genialata venne impostato da Darko secondo un business-plan as- solutamente coerente con le tradizioni familiari consistente in 12 mattinate trascorse di fronte allo specchio dell’ufficio ad automotivarsi con frasi tipo “vai che sei bello, vai che sei solo, vai … e basta”; 12 pomeriggi passati a dormicchiare sul divano di famiglia; pennichelle tutte seguite da cene a scrocco ottenute “imbucandosi” in ricevimenti di terzo e quarto ordine di cui era puntualmente a conoscenza grazie al quotidiano VIPS, TRIPS & GOSSIPS di proprietà di un amico editore. Al sorgere del sole del 13° giorno Darko varò una iniziativa destinata a sconvolgere le abitudini di tutto l’entourage: la V.I.S.P.A. sarebbe diventata, dall’indomani, capogruppo di una nuova Holding costituita da Finanziarie, Immobiliari, Aziende Manifatturiere, Aziende di Servizi, Aziende e basta, tale da far tremare i mercati finanziari dell’intero globo terracqueo. Nel delineare al Consiglio di Amministrazione, appositamente convocato all’alba delle ore 19:30, le innovative strategie di acquisizione, trasformazione, ricollocazione sul mercato e quant’altro si era inventato nei 12 giorni di “riflessione” il giovane erede si soffermò, per ben 4 delle 4 ore e dieci dell’esposizione, su un punto che giudicava, giustamente, fondamentale: “Signori, affinché il mio meraviglioso piano industriale riesca a fruttare ciò che mi deve fruttare dovete fare di tutto e di più per trovare un nome appropriato alla nuova impresa di cui io sarò la parte pensante e voi la parte lavorante”. L’esposizione del piano non poteva essere stata più chiara; dopo nemmeno venti giorni sulla scrivania di Darko c’erano non meno di due lettere a lui indirizzate dai membri del C.d.A. ed in ognuna di esse ci doveva essere un nome suggerito per la nuova Holding. Con mano trepidante Darko aprì le buste e, mostrandone il contenuto al padre, lesse ciò che sulle lettere era scritto: Prima lettera: “Caro Darko e caro Dario, ma andate a prenderlo…..non ce la facciamo più a sopportarvi. Firmato: 50% del Consiglio di amministrazione. P.S. ridatece i nostri soldi” Seconda lettera: “Caro Darko e caro Dario, ma riandate a riprenderlo…..non ce la facciamo più a sopportarvi. Firmato: l’altro 50% del Consiglio di amministrazione. P.S. ridatece anche a noi i nostri soldi” Padre e figlio si guardarono sgomenti. Rilessero, ognuno con i propri tempi, e dopo due ore si riguardarono sgomenti. Non poteva essere vero! Sicuramente si trattava di uno scherzo! Ma figuriamoci! Da quando in qua il CdA si permetteva di non approvare all’unanimità ciò che la Santa Proprietà aveva imposto? Ma, dico… che mondo è diventato? E poi…. Rivolere i loro soldi…ma, andiamo! Non esiste che i Padroni della V.I.S.P.A. debbano sottostare a…. a… a…. alla maggioranza! C’è un Presidente del Consiglio che fa quello che vuole con le leggi degli altri e noi non possiamo fare quello che vogliamo e che è giusto che facciamo con le nostre cose? La rabbia montava e con essa il sonno che li prese con repentina foga dopo solo venti minuti di riflessione; entrambi riversarono il capo sulle poltrone e….fragorosamente russarono. Cap 34 Gli avvenimenti, spesso, accadono indipendentemente dalla nostra volontà, guidati da oscure leggi che gli antichi, molto saggiamente, identificarono con il misterioso fato che tutto muove. Proprio il fato si scomodò quando, in occasione dell’annuale Fiera Internazionale dei velivoli da turismo a Parigi, fece incontrare a Dario il grande, nientepopodimenochè Sua Santità che, di ritorno da un pellegrinaggio a Lourdes, decise di visitare l’aeroporto parigino sede della kermesse per portare una santa parola al popolo dell’aria e per acquistare un piccolo elicotterino da “amusement”. Preceduto dal solito stuolo di bodyguards e fotografi ufficiali e contornato dalle più alte cariche politiche e religiose occasionalmente raccoltesi a Parigi, il Santo Padre avanzava, a bordo della bianca papamobile, alto e benedicente con un sorriso a tutta faccia e candidamente vestito con preziose vesti mentre, tutt’intorno, festose banderuole bianco/gialle garrivano alla brezza agitate da migliaia di mani che parevano protendersi verso l’uomo più conosciuto del pianeta. Quando la bianca vettura papale giunse alla fine del nastro d’asfalto che fendeva gli spazi espositivi dovette fare manovra per rientrare e, nel compiere la retromar- cia, finì per urtare, con il robusto paraurti posteriore, l’esile struttura lignea che sorreggeva la tettoia in lamiera zincata costituente la copertura dello stand occupato e attrezzato dalla V.I.S.P.A. Il piccolo urto in un attimo sconvolse il precario equilibrio della fatiscente costruzione fieristica e, nel breve volgere di una frazione di secondo, la tettoia si afflosciò su se stessa, si accartocciò e, infine, precipitò sul piccolo aeroplanino che avrebbe dovuto proteggere e che costituiva quanto di meglio la brillante azienda italiana era riuscita ad allestire nel corso di un intenso anno di lavoro. Va da sé che Dario, il grande, venne subitaneamente svegliato dal fragore dello sconquasso e, balzato in piedi con una velocità assolutamente incredibile per la sua taglia, subito urlò all’indirizzo di tutti e di nessuno:” Fermi! Fermi tutti! Chi è che mi ha rotto il capannone? Adesso me lo paga! E mi paga il aereoplano che costa … costa….costa… tanto, ecco, sì, costa tanto!” Il polverone sollevato dalle macerie andò dileguandosi e di tra le lente volute di polvere e terra che si andava depositando apparve Sua Santità che, camminando, incedeva con radiosa semplicità verso Dario cui porse, sin da almeno 5 metri di distanza, la paterna mano con l’anello pontificio. Dario, strabuzzando gli assonnati occhi, vigorosamente si avvicinò e:” Buon giorno! Io sono Dario, con chi ho il piacere…?” La prontezza di riflessi dell’ormai onnipresente Busoni fece sì che la padronale gaffe passasse in secondo ordine perché con cipiglio sicuro si frappose tra Dario ed il Pontefice per esclamare: “ Carissimo! Io ti do del tu perché sono un tipo democratico e non mi importa se anche tu mi dai del tu; non preoccuparti per il piccolo incidente! Sono cose che capitano, ma…la prossima volta fai un po’ più di attenzione, ecchediamine! A scuola guida non ti hanno mai fatto fare manovra? Vabbè che con quelle sottane lì capisco che si faccia fatica a guidare….in ogni caso, caro il mio bel sindaco vieni dentro nel nostro mini-bar che facciamo un bel brindisi con lo champagne e con queste belle gnocche!” Non si sa perché, ma, Busoni, venne accalappiato da due funzionari della Gendarmerie che lo caricarono a forza su una vettura nera nera che partì a sirene spiegate in direzione Parigi centro. La folla si ricompose e, mentre i solerti bodyguards papalini si incaricavano di requisire tutte le macchine fotografiche e le telecamere che avevano ripreso la poco edificante scena, Sua Santità tracciò la papale benedizione, risalì sulla papamobile e, in strettissimo dialetto swahili, disse all’esterrefatto autista: ”Pezzo di merda! Che cazzo di figure mi fai fare! Portami di corsa all’aereo papale che quando siamo a Roma facciamo i conti!” Rivoltosi poi, sorridente, al Segretario di Stato affabilmente disse:” Disponi perché questo buon cristiano sia risarcito del danno subito; ogni Euro che venisse richiesto oltre i mille ricordati di farlo pagare alle chiese di Francia in quanto il fatto è accaduto sul loro suolo….. vai figliolo, vai”. Dario, il grande, si rivolse al figliolo:”Darko! Che cazzo è successo? Chi era quello lì? Dov’è, adesso, Busoni? Chi è che paga i danni?” “tranquillo, pà! I danni li facciamo pagare all’assicurazione della manifestazione (ovviamente non diciamo che l’aereo era senza motore e senza gli interni) Busoni, mi sembra che sia andato con alcuni suoi amici di Parigi per qualche affare sicuramente interessante e poi chi sia quello lì vestito di bianco che ci è venuto addosso… boh…non ho idea, ma tanto…che ce frega? Paga l’assicurazione!” cap 35 Agosto si stava avvicinando, indipendentemente dal volere o dal parere di Dario il grande portando, con l’afa, una sorta di apatia che avvolgeva, subdola epperciò benvenuta, pian piano tutte le maestranze della V.I.S.P.A. Ognuno, in quei giorni in cui l’asfalto diviene rovente e molliccio, confidava al compagno di lavoro più prossimo le proprie aspirazioni per le imminenti ferie annuali decantando la magnificenza probabile, anzi sicura, dei luoghi esotici che l’avrebbero accolto per il meritato riposo. Fra le mete più gettonate (escludendo RIMINI che da sola raccoglieva l’85% delle preferenze fra gli “under 21”) si distinguevano Bagheria e Soverato. La cosa diventa ovvia qualora si pensi che di queste due cittadine erano originarie, in parti pressoché identiche, almeno 60 delle 70 persone censite in V.I.S.P.A. con la mansione di “operaio”. L’esistenza, quindi, di questi due, diciamo così, ceppi etnici portò, da subito, fin dalla metà del ‘900, alla costituzione di due gruppi di potere ben distinti all’interno dell’azienda. Il primo gruppo a costituirsi, in maniera soft e nel corso di almeno un decennio, fu il gruppo siciliano di Bagheria che riuscì a piazzare uomini del suo clan nelle posizioni di “vertice” della nascente potenza manifatturiera; così il cugino di tal Cinerella Pantaleo, detto “scannacristi” divenne responsabile del magazzino e, in tale incarico, aveva la possibilità di “fornire” a prezzo di favore lastre in alluminio aeronautico ad un altro suo parente che, giustappunto, commerciava, nella cittadina d’origine, in materiali metallici pregiati. Un altro posto chiave, alla V.I.S.P.A. , era quello di portinaio ed il gruppo insulare riuscì a piazzarvi il fratello “disabile” del genero di Don Ciccio, marito della sorella del già citato Cinerella Pantaleo, con l’ovvio precipuo compito di favorire il passaggio, nelle ore notturne, degli autocarri in transito con carico di lamiere di alluminio aeronautico destinato a certi paesi della Sicilia. A capo della linea di costruzione degli aerei destinati alle Forze Militari il clan riuscì a piazzare Giulietto, detto vipera, elemento considerato valente meccanico grazie al fatto di aver sposato, in seconde nozze, donna Rosalia, non piacente vedova di Pino Caligiuri che si dice si fosse ucciso con quattro colpi di lupara, due al cuore ed uno ad ogni occhio, per non tradire un “uomo di rispetto”. Il gruppo di “vispasiani” originari della piccante Soverato si era, invece, ritagliato un proprio feudo che stendeva la sua ombra sui reparti verniciatura e montaggio. Questi due reparti, per ovvi motivi produttivi, sono quelli più prossimi alla fase finale di allestimento dei velivoli e, spesso, coincidono con le fasi di ultimazione vera e propria degli aeroplani con la presenza sul posto anche dei rappresentanti dei Clienti che sono soliti passare l'ultima settimana sugli aeromobili in finizione per poter seguire di persona le delicate fasi di test ed accettazione prodotto. Per questo i “calabresi” avevano posto i loro domini su tali reparti; essi potevano dialogare con i controllori dei clienti da cui, con abili manfrine desunte da anni di attento praticantato, riuscivano a sfilare interessanti emolumenti sotto le sembianze di mance elargite per garantire la “perfetta” esecuzione di ogni lavoro commissionato. A volte i tecnici mandati dai clienti si mostravano inflessibili e poco propensi ad elargire “bustarelle”, ma, ed era un punto di principio inderogabile, Lucio ed i suoi accoliti non si davano per vinti e con sottili allegorie riuscivano SEMPRE ad ottenere la sospirata mancia che, negli uffici dirigenziali, qualcuno osò anche definire “tangente”. Capitò, ad esempio che, dopo tre giorni di oculato pressing, alcuni incaricati tecnici ancora non avevano offerto la “tradizionale” cena a base di capretti speziati con peperoncino di Soverato e, tanto meno, avevano accennato alla possibilità di mettere mano al portafogli. Nessun problema! Riuniti in sala mensa, come cospiratori della Giovane Italia, i nostri indefessi lavoratori misero ai voti le proposte volte a “velocizzare” il naturale evolversi della situazione e, per acclamazione, fu la so- luzione avanzata da cotal Ciccio ad avere il beneplacito da parte del nobile consesso. Invero la soluzione accettata non era una novità assoluta e, quando attuata, aveva sempre dato buoni frutti in tempi rapidi; si trattava, semplicemente, di un piccolo, innocente, atto intimidatorio con un suo curioso rituale ormai standardizzato. All'uscita serale i due ingegneri “da ammorbidire” trovarono la vettura di servizio con tutti e quattro gli pneumatici misteriosamente sgonfi per delle strane aperture, larghe come una lama di coltello, createsi sui loro fianchi proprio in corrispondenza dei bordi dei cerchioni. Le loro esclamazioni di disappunto si placarono quando, a non più di un metro da loro, transitò una motocicletta da cui il passeggero esplose nove colpi nove di pistola che centrarono, in guisa di un'aureola, il cartello stradale posto giusto giusto dietro la testa dei due ingegneri. A quel punto sopraggiunse Ciccio con una vettura più che decennale, ma rigorosamente “truccata” in stile FAST & FURIOUS che si offrì di trasportare i malcapitati al loro albergo a pochi chilometri dalla V.I.S.P.A. Purtroppo, proprio ad un rondò, incontrarono un'altra vettura più che decennale, ma anch'essa rigorosamente “truccata” in stile FAST & FURIOUS il cui pilota con soave gesto mostrò a Ciccio una mano placidamente cornificante. Va da sé che un'onta del genere andava lavata con una corsa all'ultima sbandata per cui il breve tragitto si trasformò in una 12 ore notturna senza esclusione di colpi ivi compreso il non voluto, ma sempre bene accetto, in- tervento di una Volante della PS lanciatasi all'inseguimento, vano, delle due vetture in competizione. I pochi colpi di kalashnikov esplosi da Ciccio per pareggiare il crepitio prodotto dalla pistola automatica dell'avversario aiutarono ad alzare l'adrenalina della comitiva e non fu una sorpresa per nessuno vedere i due tranquilli ingegneri svenire sul sedile posteriore già alla quarta rotonda imboccata contromano. Verso l'alba, in ogni caso, i due malcapitati vennero scaricati di fronte all'hotel ove alloggiavano e qui vennero raggiunti da un cugino di terzo grado del capo clan che, soccorrendoli, raccomandò loro ciò che il suo ruolo prevedeva: “Ingegneri miei! Qui vi conviene che fate finire in fretta l'aereo vostro... secondo me, che sono un vecchio del posto, stanno per fare ancora a botte le bande che vogliono “fare fuori” la V.I.S.P.A. per cui, se sarei in voi, farebbi in fretta a finire per andarmene a casa mia....ma fate come volete....se potrebbi... io, al posto vostro, ci darebbi una mancia al capo dei collaudi per farci finire in fretta, però...vedino loro” Stranamente la mattina seguente si videro i due ingegneri conversare fitto fitto con Capo Lucio a cui, si disse, porsero una busta “imbottita” di colore giallino con la scritta:<PER FINIRE>. L'aereo venne deliberato alle ore 13:00 e già alle 14:00 era fuori dallo spazio aereo della V.I.S.P.A. con a bordo i rinfrancati ingegneri. Cap 36 Fra le svariate attività non lavorative tipicamente intraprese dai dipendenti di Dario, il grande, una in particolare occupò un suo spazio-tempo ben definito e meritevole di sottolineatura: la porchetta cotta alla fiamma ossidrica. Storicamente tale pratica venne introdotta, si dice, dal suocero di Capo Lucio che ne determinò anche i rituali e le funzioni specifiche da tramandarsi per strettissima via nepotistica. In buona sostanza si trattava di questo: nel capannone della verniciatura più lontano dagli uffici dirigenziali era stato eretto, con tutti i crismi di robustezza necessari, un muro tagliafuoco che divideva in due parti asimmetriche il forno di verniciatura. Nella parte più ampia si verniciavano gli aerei, nella parte più angusta, circa 100 metri quadri, gli addetti alla preparazione realizzavano, ogni fine di ottobre, un perfetto tappeto di erbe odorose e legni adeguatamente stagionati mentre la squadra dei fuochisti si preoccupava di infiammare tale tappeto in modo omogeneo per averne una brace uniforme su cui il gruppo degli spiedisti poneva a rosolare la porchetta che le abili mani di provetti macellai aveva disossato in sala mensa: lo chef, Capo Lucio, logicamente, vigilava che il maialino venisse arrostito e rosolato omogeneamente e, allorchè la cottura era assolutamente perfetta, faceva staccare dallo spiedo la porchetta e, con pochi ed abili colpi di coltello, ne serviva le abbondanti porzioni a tutti i convenuti che, ovviamente, si distaccavano dal proprio posto di lavoro per partecipare al grande rito. Di questa usanza Dario, il grande, ebbe sentore quando si accorse che da circa tre settimane nello stabilimento non vedeva più i suoi operai, nemmeno i prediletti, nonostante i cartellini di presenza fossero regolarmente timbrati ed al loro posto nella rastrelliera. Un ulteriore indizio che ci fosse qualcosa di anomalo nella sua azienda Dario l'ebbe nel momento in cui si avvide dell'ingresso, dal cancello principale, di un'autobotte con la scritta “CHATEAUVADAVIALCUL” che campeggiava su tutta la fiancata mentre sotto, in piccolo, lesse “vino per intenditori” e, l'autobotte, si dirigeva a tutta velocità verso i reparti di verniciatura da cui provenivano un sottile aroma di barbecue e melodiose voci intonanti “Calavrisella mia”. Dario non sapeva darsi pace: c'era qualcosa che non andava per il verso giusto...già, ma... cosa? Il suo sesto senso di imprenditore d'assalto gli diceva di seguire l'autobotte e raggiungere il luogo da cui arrivavano l'effluvio ed i canti, ma il suo settimo senso lo frenava e gli dava altri consigli. Impiegò quasi un'ora, in piedi in mezzo al piazzale, per prendere una decisione che, lo sapeva e lo capiva, sarebbe stata foriera di grandi eventi e, infine, decise. Decise di assecondare il settimo senso, quello che non lo aveva mai tradito, quello che lo aveva sempre visto primeggiare: si voltò, alzò la gamba destra, si chinò leggermente in avanti, fece partire un soave, delizioso peto e poi si diresse, stanco morto, al divano presidenziale ove si assopì nel sonno del giusto. Venne svegliato l'indomani sera dalla premurosa Lina che, donna dalle cosce calde, accortasi di trovarsi nel letto con persona diversa dal legittimo consorte si pose alla ricerca dell'amato marito in un subitaneo impeto di vero amore in quanto “momentaneamente” sprovvista di denaro liquido da versare al gigolò di turno. Cap 37 A dispetto di ogni logica comune, ma a conferma della ferrea legge che regna da sempre sovrana su ogni azione di Dario il grande e che è, ovviamente, quanto di più incredibile sia umanamente possibile credere, l'appalto per la costruzione dell'aereo presidenziale venne aggiudicato alla V.I.S.P.A. Per la verità non tutto filò perfettamente liscio nel corso dei due anni che occorsero per definire la pratica a livello ministeriale, ma, guarda il caso, ogni intoppo incontrato o dubbio sollevato dalla Commissione, venne volto, dal destino, a favore dell'impresa di Dario. Innanzitutto il Generale Mino Sala venne colpito da ictus nel corso del viaggio di rientro a Roma per cui la sua probabile denuncia del tentativo di corruzione operato dal prode industriale nei confronti dell'intera Commissione non ebbe modo di essere redatta e rimase un solo tarlo muto nella mente del povero militare ridotto a poco più di una larva umana. Gli altri membri della commissione, in attesa di conoscere il sostituto di Sala Mino designato dal Parlamento, pensarono bene di non muovere alcun documento e di non produrne, in ogni caso, di nuovi in quanto, come di fatto avvenne, il Paese fu chiamato, ad aprile, alle solite “elezioni politiche anticipate” e la volontà popolare sovvertì in modo totale gli schieramenti politici e fu, di conseguenza, necessario provvedere al reimpasto totale di tutte le commissioni di lavoro. Alla fine di un ulteriore anno di alacri incontri protrattisi sin anche oltre le due di notte presso i più quotati ristoranti della capitale i partiti politici si accordarono per la conferma “in toto” dei membri della commissione designata per la valutazione dell'acquisto dell'aereo presidenziale salvo il fatto di sostituire l'invalido Generale Sala Mino con tre colonnelli da scegliersi fra le tre armi; in tale occasione si stabilì, quindi, anche la nuova regola di equivalenza: 1 generale=3 colonnelli così come giusto tributo alla regola, mai scritta e sempre messa in atto sui campetti di calcio di periferia, secondo cui 3 corner consecutivi=1 rigore. Mentre aviazione, marina ed esercito provvedevano, con propri esami a scegliere ciascuno il proprio candidato i vecchi membri della Commissione trovarono il tempo di incontrarsi in Sardegna per accordarsi sulla gestione futura della commissione stessa dando per scontato che la presenza dei tre nuovi membri sarebbe stata di pura “apparizione”. Circondati da belle ragazze in topless e con i flutes sempre traboccanti di champagne gentilmente offerto dal proprietario dello stralussuoso yacht che li ospitava e che attendeva dal parlamento la conferma di “fornitore ufficiale dello Stato per quanto concerne le bevande analcooliche nei pranzi organizzati dalle rappresentanze diplomatiche italiane in Italia” i commissari ebbero un duro scontro promosso dal dottor Chiaretto. Costui insinuò che sarebbe stato opportuno restituire alla V.I.S.P.A. il denaro versato da Dario, ma in questo suo proposito venne stranamente avversato dagli altri membri che appoggiarono la tesi sostenuta dall'Arch. Casomai:” Noi non dobbiamo rendere niente perchè niente abbiamo percepito; se pagamento venne eseguito esso fu eseguito al Generale Mino Sala che, qualora resusciti dal coma, potrà rendere, se lo riterrà opportuno, il denaro incamerato. Il fatto che il generale ci abbia elargito dei soldi è da ascriversi alla sua ben nota abitudine di voler gratificare con un segno tangibile il duro lavoro dei suoi integerrimi collaboratori. Io non posso credere che egli ci abbia voluto corrompere né tantomeno credo che i soldi consegnatici non fossero di specchiata ed esemplare provenienza”. Cap 38 Nel frattempo anche Darko, il piccolo principe ereditario, incredibile a dirsi, optò per un viaggio a Roma al fine di “smuovere” l'impasse sull'acquisto dell'aereo e, per l'occasione, reputò opportuno avvalersi di un accompagnatore in grado di sostenere un eventuale colloquio tecnico. Scartò, per questo motivo, la presenza al suo fianco di tale Rebecca sua abituale partner nelle serate estive trascorse alla discoteca “Sex & Kokaine” e scartò anche l'ipotesi “Ing. Zauri” perchè ritenuta troppo poco indirizzabile ai propri voleri; scelse, perciò, di farsi accompagnare dall'uomo immagine: Busoni. Il viaggio venne compiuto in auto con Busoni alla guida e Darko sul sedile posteriore destro impegnato in una estenuante gara motociclistica sul pc portatile appositamente “caricato” con i migliori games in occasione dell'importante trasferta. Per tutta la durata del viaggio, a parte il sordo brontolio del motore diesel, gli unici suoni nell'abitacolo furono quelli delle sgommate e delle accelerate provenienti dal videogame con gli intercalari di Darko che, nei momenti topici, si rincuorava con mugugni indistinti da cui, di tanto in tanto, faceva trasparire un” evvai! Sono grande!” Giunti al Ministero, l'astuto Busoni, per non cercare un improbabile parcheggio, puntò direttamente il muso dell'auto verso l'ingresso d'onore e, al militare che lo teneva ben sotto tiro con la mitraglietta spianata, abbassando il finestrino sussurrò:”abbiamo appuntamento con il Parlamento, si sposti!” Preso in controppiede dall'assurda proposizione, il giovane soldato si volse alla sua sinistra ed invocò l'aiuto operativo del maresciallo dei carabinieri che presiedeva la guardia; questi, avvicinatosi esordì con il più classico:” libretto e patente!” “ma, scusi... mi chiede i documenti e mi fa perdere tempo mentre che dobbiamo andare a parlare con il ministro?” “mi dia patente e libretto, per favore!” “ma... non ha capito?.... devo parlare con il Ministro!” “mi dia patente e libretto, per favore!” “senta... lei è giovane... ti posso dare del tu? ... ecco, vedi mi ha chiamato il Primo Ministro” “dammi patente e libretto e... muoviti!!!” Poichè il maresciallo sembrava irremovibile, Busoni, con un sospiro di delusione, consegnò i documenti richiesti e qui.... “Caro il mio caro amico del primo ministro! Abbiamo la patente scaduta, eh? E la revisione all'auto quando la vogliamo fare? Fra sette anni, con comodo???” “no, guarda bene! Ci deve essere uno sbaglio..... e poi... la macchina non è mica mia, è di quello lì di dietro!” Quel vociare aveva distratto Darko che, proprio in quel momento, stava per registrare il miglior tempo sul giro e, ovviamente, si adombrò con quella gente lì che lo stava disturbando. “Cosa c'è? Eh? Cosa state dicendo? Dai Busoni! Non stare fermo che ho fretta!” “Veramente è questo maresciallo che non vuole farci passare...” Buon sangue non mente ed il giovane Darko, afferrato in un attimo che c'erano responsabilità da assumersi in vista, optò per la pluriconsolidata strategia famigliare: scese velocemente dall'auto, si voltò verso Busoni e con tono altero esclamò: “Busoni, cazzo! Io vado avanti a piedi. Vedi di sbrigarti con i tuoi casini e lei, capitano,colonnello o quello che è.....dica a quest'altro qui che mi faccia passare che ho fretta, i documenti glieli darà il mio autista!” Ciò detto si diresse con passo elastico verso l'androne del vetusto edificio nobiliare e scomparve nella penombra lasciando i militari e Busoni attoniti a cercare di raccogliere le poche, ma molto ben confuse, idee. Cap 39 La vettura fu posta sotto sequestro sino alla data della revisione, Busoni venne denunciato a piede libero per guida senza patente e gli venne comminata un'ammenda stratosferica in quanto risultò, da indagini un po' più puntigliose, che l'omuncolo aveva scorazzato in lungo e in largo per tutta la Lombardia a velocità più che doppie rispetto a quelle imposte dal codice della strada e di tali prodezze erano testimoni pressochè tutti gli autovelox lombardi che lo avevano più e più volte immortalato in criminali sorpassi; non venne arrestato per la mediazione all'ultimo momento del vicepresidente della commissione ministeriale Ing. Cobalti cui il Busoni aveva assicurato le prestazioni di una Escort tailandese particolarmente esperta in massaggi orientali. Passato il momento di defaillance al commissariato Busoni si fece portare in taxi al ministero dove riuscì a raggiungere Darko trovandolo appisolato su una panca posta nel corridoio di fronte alle macchinette del caffè e fu proprio all'aroma di un espresso che il Busoni era riuscito ad estorcere ad un usciere con la frase” queste macchinette non accettano le carte di credito...” che il giovane virgulto della lombarda dinastia imprenditoriale si svegliò biascicando: “ dove sono?... ma chi sono questi?” Riavutosi (ok! Si fa per dire!!! ecchediamine...) il giovanotto afferrò il bicchierino di caffè portogli dall'ossequiente Busoni e, trangugiatolo, si alzò deciso per farsi ammettere all'udienza con il Ministro. Con inenarrabile sorpresa Darko e Busoni si trovarono, non appena varcato il pesante portoncino, al cospetto del Ministro che si limitò a dire:” Signori, benvenuti. Questo è il mio staff tecnico-scientifico-burocratico-amministrativo che vi valuterà. Buongiorno.” Detto questo il ministro si dileguò nei meandri del grande ufficio lasciando i due visitatori in piedi dinanzi ad un'enorme tavolo di riunione intorno al quale erano ac- comodati non meno di trenta burocrati che parevano la fotocopia l'uno dell'altro sia nell'abbigliamento grigio polvere dimesso sia nei volti rigorosamente anonimi ed uguali a se stessi anche nel tedio che si portavano dipinto negli occhi nascosti da occhiali in tartaruga. Cap 40 Un brivido, un brivido profondo, percorse la schiena di Darko facendolo restare anche più attonito del solito quando una voce anonima, assolutamente neutra ed assolutamente avvolgente, sì da parere che giungesse contemporaneamente da ognuno dei signori assisi al tavolo, propose la prima domanda. Una sola piccola domanda. La domanda sembrava riecheggiare nel vasto ufficio ed ancor più rimbombava nelle orecchie del piccolo erede al trono di Dario il grande; una sola piccola domanda che non ammetteva né se né ma, una domanda che esigeva una ed una sola risposta secca, senza possibilità di giocare sull'equivoco in terpretativo. Oh! mio Dio! Come rispondere ad una domanda così diretta, così....inequivocabile? Una domanda che, anche analizzata nella sua esegesi più profonda, non celava trabocchetti o reconditi misteri limitandosi ad essere una domanda, una sola domanda diretta e pertinente che spiazzava totalmente Darko da sempre abituato ad evadere (domande e fisco) a glissare sui perchè e sui percome, abituato a non rispondere .... ma, adesso, la domanda.... la domanda era lì, lì che lo percuoteva con tutto il vigore delle domande che non ammettono altro che una sola risposta chiara ed inequivocabile. Era trascorso un minuto nel gelido silenzio dell'ufficio dei burocrati ministeriali e Darko si fece forza, strinse i pugni e soppesò ancora una volta la domanda:”Lei, giovanotto, come si chiama?” Poi, in barba alle ascelle pezzate con i rivoli di sudore che copiosamente scorrevano giù anche per i pantaloni in lino ecru macchiandoli in modo indegno proprio nei punti più critici, Darko trovò, da vero genio dell'elusione e figlio di.. cotanto padre, la risposta:”io sono accompagnato da lui che si chiama Busoni” Sentendosi nominare e non avendo ancora capito dove si trovasse e a che fare, l'uomo–immagine della VISPA si fece avanti e, distribuendo appassionate pacche sulle spalle a tutti i presenti, con un sorriso da furetto assassino e con il passo strascicato della iena ridens, iniziò e terminò la sua personalissima presentazione del progetto “aereo senza ali”. “il nostro aereo è più bello di tutti perchè così ha detto anche il papà di Darko che di aerei se ne intende, eh...! per volare adopera un sistema così nuovo che nemmeno noi lo sappiamo di preciso. Tutti i sedili sono imbottiti e se si vuole, con poco prezzo in più, si possono fare anche con la vostra pelle. I disegni del progetto non li facciamo vedere perchè sono segreti e poi, diciamolo francamente, cosa ce ne facciamo? A cosa mai potrebbero servire dei disegni? Inutili pezzi di carta che li capisce solo chi li ha fatti? Tanto l'aereo lo facciamo a occhio, con le mani... se volete possono venire anche loro ad aiutare... in ogni caso se non dovesse andare bene lo aggiustiamo in garanzia!” Nel corso dello sproloquio così poco formale Busoni si era fatto almeno due giri completi intorno al tavolo gesticolando e traendo dalle tasche del giubbino bisunto un numero imprecisato di biglietti da visita, della V.I.S.P.A. e anche di altre aziende di cui era a vario titolo procacciatore d'affari o socio occulto. In tale turbinio frenetico ed in modo assolutamente non voluto, del tutto casuale, dalla tasca sinistra cadde a terra una fotografia...incredibile. Cap 41 A notare che la fotografia era, a dir poco, eccezionale fu il quinto burocrate assiso alla sinistra della poltrona, vuota, del ministro. Egli raccolse la polaroid da terra e, mentre la stava per riconsegnare al Busoni, gettando uno sguardo stanco a ciò che vi era raffigurato trasalì nel riconoscere nitidamente ed inequivocabilmente la figura di Dario, il grande, accanto a Sua Santità il Papa che sembrava benedire un classico aereo della V.I.S.P.A. Si trattava dell'unica foto sfuggita, per puro caso, all'incetta iconografica eseguita dal Servizio d'ordine del Vaticano in occasione della Fiera Aeronautica di Parigi allorchè il Papa venne, suo malgrado, coinvolto in un deprecabilissimo incidente occorso proprio nello stand di Dario. La meraviglia del burocrate, tale dott. Ing. prof. Bollo Franco, responsabile della spedizione dei plichi sigillati delle commissioni già nei tre Governi precedenti, si manifestò con un gridolino:”Oh! Ma questo è fantastico! Dovevate dircelo subito che Sua Santità è un vostro cliente!” Ancora nessuno si era accorto di nulla per cui l'improvvisa esclamazione ebbe l'effetto di svegliare la sonno- lenta assemblea che si movimentò immediatamente in un crescente innalzamento dei borbottii di fondo sino a far distintamente udire frasi come:” c'hanno la raccomannazione der Papa” - “si'r Papa s'è preso 'sto aereo, l'aereo è bbono” - “famme vede la foto... Sua Santità è venuto un po' mosso, però” - “'mortacci sua! So' tre mesi che stamo a faticà e nun c'avevate deto che 'r Papa è amico vostro” - “vabbè chiudemo la pratica: se assegna l'appalto per le garanzie riscontrate...” Darko e Busoni si trovarono all'improvviso a strigere le mani di quell'esercito di funzionari ed occorsero loro quasi due ore prima che fossero in grado di intendere cosa fosse successo nella maestosa sala, o, almeno, di intendere che, per motivi a loro oscuri, la gara per la fornitura dell'aereo presidenziale era stata inopinatamente aggiudicata proprio alla V.I.S.P.A. Cap 42 A causa del sequestro della vettura e del ritiro della patente di guida del Busoni fu giocoforza necessario provvedere al rientro in sede con un altro mezzo di trasporto; in prima istanza Busoni aveva proposto il noleggio di un jet, ma, alla fine, prevalse la soluzione ideata da Darko: treno locale in seconda classe con tempo stimato di percorrenza del tragitto Roma – Milano di circa 16 ore salvo ritardi. Stipati nello scompartimento putrido e maleodorante dove campeggiava un cartello risalente a due anni prima in cui le F.S. garantivano di aver provveduto anche alla pulizia dei rivestimenti dei sedili, Darko e Busoni si immersero nei loro pensieri e, quando il treno giunse ad Orte, Busoni fu il primo ad esternare il proprio parere sulla missione compiuta. “Certo che se non c'ero io che conoscevo tutti i commissari mica lo prendevi questo appalto!” “Eh,no, Busoni! Tu non conoscevi proprio nessuno! sono stato io che gli ho spiegato come la mia azienda sia la migliore del mondo!” “Sì, vabbè... ma sono stato io che gli ho fatto capire il progetto!” “Il progetto, se è per quello, l'ha fatto mio papà con Babaricò e se non c'ero io che decidevo di venire a Roma, mica facevamo il contratto!” “Però a Roma ti ho portato io..” “Certo, ma a casa ti porto io perchè sei riuscito anche a farmi sequestrare la mia macchina, imbecille!” Con questo clima pacato la conversazione si protrasse, monocorde e monotematica sino a Milano dove il treno giunse in ritardo di solo quattro ore e tale evento raro fu oggetto di un servizio speciale dei telegiornali legati a filo doppio con i poteri politici. Il giorno seguente poco prima delle dieci e trenta, quasi all'alba, per le abitudini familiari, Dario e Darko si incontrarono, commossi, nell'ufficio del d.i.o. (direttore immensamente onnipotente) per congratularsi vicendevolmente del buon risultato commerciale raggiunto grazie ai loro sforzi ed alle loro congiunte e convergenti direttive imprenditoriali di largo respiro e tese al miglioramento dei servizi e dei prodotti. I brevi convenevoli e le poche parole profferite bastarono a far raggiungere l'orario della pausa pranzo che padre e figlio decisero di dedicare, all'unisono, ad un sano rito a loro sempre caro: si sdraiarono ognuno sul proprio divano e, sempre all'unisono, attaccarono a russare con il sano vigore di chi è giustamente stanco per la giornata di pesante lavoro. Cap 43 La messa in cantiere dell'aereo presidenziale seguì il solito iter con le snelle procedure interne di una azienda lombarda modernamente attrezzata. Per prima cosa alle 10:19 il responsabile commerciale, dott. Darko, convocò una riunione ufficiale con una perentoria comunicazione interna scritta di suo pugno: <domani, giovedì, riunione di tutti coloro che sono indicati di seguito presso il mio ufficio alle ore 11:25 per definire produzione nuovo aeromobile. Devono venire: resp. Acquisti - dott. Casini resp. Qualità - ing. Terrini resp. Progettazione - ing. Zauri resp. Commerciale - dott. Darko resp. Produzione - dott. Darko resp. Risorse Umane - dott. Darko resp. Logistica - dott. Darko resp. Sistemi Informatici – sig. Stamberga resp. Amministrativo – rag. Cirione Chi non sarà presente verrà iscritto sul registro degli assenti. Le decisioni saranno prese dalla maggioranza e saranno democraticamente approvate dall'amministratore unico.> La segretaria dagli occhi color polvere sporca venne incaricata di fotocopiare il raro documento manoscritto alle ore 11:38 ed ella, proprio a cinque minuti dal suono serotino della sirena di fine lavoro, riuscì nel difficile compito dopo aver inceppato per non meno di 12 volte la vetusta fotocopiatrice situata nello scantinato odoroso di muffa stantia in virtù dell'assoluta mancanza di ventilazione. La soddisfazione di essere riuscita a portare a compimento l'ardua impresa rese quasi euforica la ragazza che, mentre sbatteva le sgualcite copie sulla scrivania di Darko, esclamò: “ecco, dottore! Io sono riuscita a fare tutte le fotocopie, ma... cazzo, che corsa che ho dovuto fare! Pensi che culo: a mezzogiorno non sono neanche andata a mangiare! Per riuscire a finire, porca troia, non ho neanche risposto al telefono! Adesso, però, vado via subito che mi scappa una pisciata... sono cinque ore che non vado al cesso!> Darko, per nulla sorpreso dallo sproloquio della segretaria e dal suo colorito nonché grazioso intercalare, degnò di uno sguardo minimo il plico di fotocopie che veniva malamente adagiato sulla scrivania, ma subito ebbe un sussulto quando realizzò che il plico di fotocopie era costituito da fogli A4 in formato intero quando sarebbe stato evidente ad ogni parsimoniosa persona che su ogni foglio ci potevano stare almeno due comunicazioni con l'evidente risparmio del 50% sul costo della carta per cui sbraitò:<Cazzo un corno!!! ma lei si rende conto di cosa ha fatto? Ma si rende conto, Graziella, che mi ha fatto spendere il doppio di quello che serviva? Ma dico io!> <scusi dottore, ma cosa avrei dovuto fare?> <ma come? Doveva fare la fotocopia su metà foglio, evidente, o no? Non ha visto che metà foglio è bianco?> <ha ragione... ma non si preoccupi! Domani mattina appena arrivo in ufficio le rifaccio le fotocopie su metà foglio, stia tranquillo, ci penso io!> Così dicendo la segretaria Graziella, più veloce della luce, si riappropriò dei fogli, li pareggiò e con due colpi decisi li strappò per il lungo e per il largo gettando poi i pezzi nel cestino sotto la scrivania. Compiuto l'inconsapevole gesto riparatore e tutta concentrata sulla attività che l'indomani mattina avrebbe dovuto affrontare la segretaria girò sui tacchi delle sue scarpe da tennis e se ne uscì con leggiadria dall'ufficio in cui l'allibito Darko iniziava a versare calde lacrime sopra la scrivania su cui si era appena consumato un evidente attacco alle sue finanze che uscivano impoverite da quella faticosa giornata lavorativa. Cap 44 L'indomani Graziella fornì a tutti i colleghi l'ennesima prova del suo innegabile talento nel compiere il proprio dovere fino in fondo anche contro ogni possibile avversità: alle 8:30 era già nel sottoscala di fronte alla monumentale fotocopiatrice e alle 11:10 sulla scrivania di Darko c'erano già tutte e 9 le fotocopie richieste. Certo non tutte erano della stessa dimensione, non tutte erano perfettamente linde e non tutte erano senza spiegazzamenti, ma... erano lì. Pronte! Nel sottoscala, accanto alla fotocopiatrice, circa 250 fogli giacevano variamente tagliuzzati in ordinato disordine, a testimoniare le difficoltà incontrate dalla preziosa Graziella nell'eseguire le fotocopie una alla volta per poi procedere alla rifilatura della parte non stampata; certo che per la brillante segretaria continuava a rimanere un mistero di come si potesse pensare di risparmiare metà foglio quando lo si tagliava e lo si buttava via... mah.... Darko, entrando in ufficio alle 11:15, vide le fotocopie della convocazione e, soddisfatto per essere riuscito a far capire cosa si deve fare per risparmiare, le raccolse per consegnarle di persona ai destinatari in modo da assicurare la regolare effettuazione della importante riunione. E la riunione, puntualmente in ritardo di 40 minuti, iniziò ed iniziò con il consueto appello promosso da Zauri: <per regolarità della riunione leggerò i nomi dei convocati e metterò a verbale l'esito: resp. Acquisti - dott. Casini – presente resp. Qualità - ing. Terrini - presente resp. Progettazione - ing. Zauri - presente resp. Commerciale - dott. Darko – momentaneamente assente resp. Produzione - dott. Darko – momentaneamente assente resp. Risorse Umane - dott. Darko – momentaneamente assente resp. Logistica - dott. Darko – momentaneamente assente resp. Sistemi Informatici – sig. Stamberga - presente resp. Amministrativo – rag. Cirione – presente a questo punto, verbalizzando, non posso non notare che la proprietà che aveva indetto la riunione brilla per la sua ”momentanea” assenza per cui mi chiedo e vi chiedo: cosa dobbiamo discutere in questa riunione urgente? > il primo a rispondere fu il pragmatico rag. Cirione: < Ormai è mezzogiorno. Tagliamola su con 'ste stupidate e andiamo a casa a mangiare la pastasciutta! Io, per me, non so neanche perchè abbiamo perso 'sto tempo...> <Ma, ragioniere! Se il dottor Darko ha indetto la riunione deve essere che era una cosa importante! > a parlare fu Stamberga, noto leccaculo di ogni e qualsiasi potente o presunto tale, ma le occhiatacce dei colleghi ed in particolare quelle del dott. Casini che doveva ancora fermarsi a fare la spesa commissionatagli dalla moglie, ricondussero Stamberga a più miti consigli:< vabbè...vuol dire che dopo la pausa pranzo ci ritroviamo per ascoltare cosa deve dirci il dottore...> Così con la solita rapidità la riunione si sciolse e ciascuno degli astanti prese la via del ritorno al desco. Cap 45 Darko, con il volto ancora assonnato, entrò in ufficio solo alcuni minuti dopo che i suoi “convocati” se ne erano dipartiti e, abbastanza stupito di trovare il locale deserto, si attaccò al telefono per ricercare suo padre che, al dodicesimo squillo si degnò, bontà sua, di sollevare la cornetta per rispondere: “ Chi è???” “Sono io, chi vuoi che sia? Non vedi il numero del chiamante?” “Il chiamante??? ma.. non sei Darko?” “Certo che sono io, ma, dico, ti sei rincoglionito che non mi riconosci neanche più?” “ Sì che ti ho riconosciuto, ma tu mi fai le domande trabocchetto... cosa è che vuoi?” “E' che avevo richiesto di fare una riunione, ma non c'è nessuno! Mi sa che sono andati a pranzo...” “Quante volte te lo devo dire che le riunioni non servono a niente! E poi... anche tu... le fai all'ora di mangiare!” “Non potevo farla prima! Io ho tutte le cose da fare per far marciare questa ditta! E più tardi devo andare allo yachting club per ascoltare una conferenza sul tipo di acqua più idoneo per le piscine di montagna!” “Questa è una ditta di merda! Non star lì a fare tanti discorsi! Tanto tutti qui, operai, impiegati, dirigenti sono come i muratori: quando suona la sirena mettono giù il secchio e tutti gli attrezzi e...via a casa! Non c'è più spirito di collaborazione! Capaci solo dei chiedere i soldi a fine mese, 'sti lazzaroni! Nessuno che facci un'ora di straordinario a gratis ... Mi viene voglia di chiudere tutto e andare in Messico, così imparano, 'sti barboni!” “Ecco, bravo! Chiudiamo tutto! Con i soldi che recuperiamo vendendo gli immobili potremmo acquistare un Locale in Malesia che un mio amico ha detto che viene via a poco prezzo ed è comprensivo di ragazzine che rendono un casino! Tu vai in Messico e io in Malesia a dirigere il mestiere! Dai che lo facciamo!” “No non possiamo! Dobbiamo prima fare l'aereo del presidente se no ci mettono in galera, abbiamo già preso l'acconto e ho firmato che lo consegniamo prima di Natale!” “Ah ecco per cosa era la riunione! Adesso mi ricordo, ma tu...perchè non sei venuto a riunirti?” “Non sono venuto...non sono venuto... perchè...perchè... perchè non lo sapevo! E poi... perchè dovevo venire?” “Tu non sai mai niente! Non fai più niente in questa azienda! Devo fare tutto io! Pazienza! Sono uno sfigato con un padre rincoglionito...” “Uhei! Modera le parole! Se questo rincoglionito non c'era... tu a quest'ora non stavi qui in un ufficio di lusso a grattarti la pancia! Se non ci fossi io... tu, questa ditta di merda, la mangi fuori in meno di un mese! Ricordatelo!” Cap 46 La conversazione, finalmente, aveva preso il giusto e solito indirizzo dialettico di educata contrapposizione fra le due generazioni che tornavano a confrontarsi sui temi universali della libera imprenditoria dove padre e figlio, pur accomunati dalla solida tradizione dinastica di fancazzisti plurimi ed ignoranti, avevano ognuno una propria linea di condotta che perseguendo il medesimo ideale li poneva , però, in netto contrasto. Dario perseguiva il dolce far niente attraverso la schiavizzazione dei dipendenti, mal retribuiti e continuamente repressi in ogni loro anelito alla libertà di pensiero, in modo da poter disporre di bestie da soma adatte a produrre a basso costo ciò che egli riusciva a piazzare sul mercato a prezzi che gli consentivano redditi al di sopra di ogni ragionevole proporzione. Darko, invece, era più propenso a realizzare profitti attraverso la gestione del denaro mediante acquisti al limite dello strozzinaggio o comunque della legalità di beni che poi rivendeva con più o meno accentuati ricarichi truffaldini ad ignari clienti. Entrambi, a fine mese, verificavano i rispettivi introiti secondo la raffinata e sofisticata tecnica bancaria delle due tasche: se nella tasca sinistra metto i soldi che guadagno e nella tasca destra i soldi che devo spendere con- tinuerò ad essere ricco ogni volta che la tasca sinistra conterrà più soldi della destra. Questa sopraffina contabilità aveva una variante escogitata da Dario ed ancora non ben assimilata dalle banche che permetteva di travasare dalla tasca destra alla sinistra qualunque somma qualora il titolare delle tasche ritenesse opportuno che la tasca destra rimanesse vuota. Ovviamente, come tutte le innovazioni, anche questa manovra di tipo economico aveva qualche detrattore che, stranamente, apparteneva sempre al gruppo dei creditori che qualche volta si rivolgeva alla magistratura, ma di ciò Dario non si curava ben conoscendo i tempi di reazione delle istituzioni e, soprattutto, di quanto cortesi verso la sua augusta persona fossero i giudici regolarmente registrati sul suo personalissimo libro paga. Tra un battibecco e l'altro padre e figlio riuscirono ad impegnarsi sino a pomeriggio inoltrato allorchè, accortisi dell'ineluttabile trascorrere del tempo e sforzandosi di vincere la forza di gravità che voleva ad ogni costo far loro chiudere le palpebre verso il basso per un sonno ristoratore, radunarono, come cani pastore con il gregge, tutte le maestranze che capitarono loro a tiro per svolgere l'importantissima riunione introdotta dal verbo di Darko: Cap 47 “Come c'era scritto sul foglio della convocazione oggi dobbiamo fare questa riunioncina per decidere un attimino su come fare per finire in tempo l'aereo del presidente che deve assolutamente essere consegnato entro Natale” “Scusa, Darko, ma lo sai quanti mesi mancano a Natale? Per fare un aereo di normale produzione ci vogliono 18 mesi e questo è addirittura un tipo nuovo!” “Ingegner Zauri, lei è il solito disfattista! Bisogna usare un po' di fantasia.... che diamine! Se non dovesse essere pronto tutto intero vuol dire che ne consegneremo metà. L'importante è consegnare in tempo!” “Scusate se mi intrometto – a parlare era Terrini – ma non credo che sia possibile consegnare un aereo a metà, credo che non possa volare...” “Terrini, Terrini! Anche lei non vuole capire! Noi ci siamo impegnati a consegnare l'aereo entro Natale e lo consegneremo! Per questo vi ho riuniti: così ognuno si prende un compitino da fare e facendolo benino secondo il mio programmino che ho già scritto sul mio quadernino faremo tutto l'aeroplanino! Cazzo! Bisogna trattarvi proprio come bambini altrimenti non capite niente!” “Senti un po', genio della programmazione – Zauri cominciava ad imbufalirsi – e maestro del marketing e professore della progettazione: lo sai o non lo sai che, a parte il tempo di progetto e di costruzione, ogni aereo deve essere collaudato?” “Ma allora lo fa apposta! Lei proprio non vuole capire: non ho detto che dobbiamo collaudare l'aereo. Ho detto che dobbiamo consegnarlo! In qualunque modo, ma dobbiamo consegnarlo! Lei, Babaricò, che è una persona di esperienza cosa consiglia?” “Ecco... secondo me mi pare che non c'è il tempo che ci vorresse però se si fa fare qualche pezzo a qualche ditta esterna e si fanno un po' di straordinari magari di domenica... si potrebbe anche riuscire a farlo, magari senza montare i motori e senza verniciarlo....” La risposta del prode vecchietto era in perfetta sintonia con il Darko-pensiero e rischiava di far salire ulteriormente le quotazioni di Babaricò agli occhi della proprietà per cui Busoni intervenne immediatamente per guadagnarsi ulteriori punti di stima: “Io sono sicuro che riusciremo a finirlo tutto l'aereo, anzi! Senza fare straordinari, che costano e non rendono, si potrebbe farlo costruire tutto a una ditta fuori così che se non fanno in tempo ci facciamo pagare la penale e noi ci prendiamo anche quel guadagno lì” L'uovo di Colombo! Dario, il grande, non potè non ammettere che quel Busoni lì.... era un genio! Ciononostante, ligio al suo pragmatismo, il grande si rivolse all'uomo-immagine della V.I.S.P.A. e, in tono burbero, esclamò: “Non diciamo stronzate! Se lo facciamo fare a un'altra ditta ci tocca pagarlo! Io non ho intenzione di fare guadagnare quelli che non fanno niente intanto che io ci rimetto! In ogni modo la riunione è finita. Darko dopo vieni nel mio ufficio che ti spiego come faremo. Voialtri, intanto, cercate di fare finire i lavori che ci sono in linea che poi faremo la cassa integrazione! ” Cap 48 L'ultima frase di Dario, il grande, lasciò di sale tutti gli astanti. Ma, come? L'azienda aveva acquisito un'importante commessa per il presidente della Repubblica e, invece di attivarsi per incrementare le risorse ed il giro d'affari con un'accorta campagna pubblicitaria, l'amministratore unico, senza nessun preavviso, se ne usciva minaccian- do la cassa integrazione!? Nel silenzio gelido e foriero di tempesta la voce normalmente stentorea del dott. Casini risuonò improvvisamente cupa come rintocchi di campane a morto: “Porca puttana! Ho appena acceso un mutuo per la casa...” Busoni, impietrito e, se possibile, ancor più scuro in volto sibilò: “ma.. ma io ... io non c'entro con la cassa integrazione, a me non possono farla fare!...Credo...” Così dicendo la sua mente sveglia stava già valutando le eventuali prospettive di accasamento presso aziende concorrenti cui, era noto a tutti tranne che a Dario e Darko, faceva regolarmente pervenire le copie di ogni contratto e/o offerta che transitava in V.I.S.P.A. in modo da garantirsi, se del caso e questo era uno di quei casi, la giusta riconoscenza. Terrini, rivolgendosi in particolare all'ing. Zauri, ma a voce ben chiara per essere sicuro che tutti udissero: “Ritengo che ci siano gli estremi per avvertire i sindacati e per convocare un'assemblea pubblica, ma non conosco le procedure...tu, Zauri, che sei stato anche sindacalista cosa dici che dovremmo fare?” “tanto per cominciare mi sembra evidente che non si deve permettere a questi due deficienti che vorrebbero essere imprenditori di portare all'esterno alcuna lavorazione, poi, giustamente, facciamo in modo che i sindacati alzino il culo e vengano, una volta tanto a fare la loro parte!” Alea iacta est! Cap 49 In un tempo passato Zauri, in effetti, era stato anche eletto come rappresentante sindacale dagli operai della V.I.S.P.A. creando il curioso caso di un dirigente che si assumeva l'incarico di organizzare il movimento operaio e le sue rivendicazioni salariali. Il motivo di questa antitetica posizione, antitetica almeno dal punto di vista della cosiddetta normale gestione delle imprese, è da ricercare nella piena fiducia che l'uomo si era guadagnata da parte di tutti gli operai che gli riconoscevano indubbie qualità carismatiche di leader e soprattutto una profonda onestà unita ad una altrettanto profonda comprensione delle vicende personali ed il tutto condito con una dialettica accattivante supportata da una cultura solida e di derivazione sessantottina. Quando una delegazione delle maestranze si recò dall'ing. Zauri per comunicargli l'esito delle votazioni assembleari da cui il suo nome era uscito “motu proprio” per acclamazione pressochè unanime, Zauri accolse commosso la notizia e si premurò di richiedere immantinentemente una riunione plenaria per esprimere il suo punto di vista. La riunione si svolse dopo solo 20 minuti dall'avvenuta proclamazione all'interno del reparto presse; su un approssimativo palco eretto per l'occasione fra le uniche due presse, obsolete e non a norma, che davano il nome al rumorosissimo reparto, Zauri fece tacitare la folla con un gesto della mano e chiese di togliere corrente alle presse per poter essere udito anche in fondo al reparto. “Signori, non mi viene di dire compagni, ma, semmai colleghi e uomini! Ho appena ricevuto la notizia in cui mi si dice che, a mia insaputa, mi avete eletto vostro rappresentante sindacale. Questo significa che, fra di voi, non c'è più nessuno che vuole prendersi 'sta briga; vuole anche dire che non sapete più che pesci pigliare per farvi riconoscere quei minimi diritti e quel minimo sindacale di stipendio da parte della proprietà di questa azienda; rivolgendovi a me sperate che io possa “ammorbidire” Dario per il fatto che sono abituato a tenergli quotidianamente testa senza assurdi timori reverenziali. Mi sta bene rappresentarvi! Ma.... occorre che siano ben chiari alcuni punti su cui non posso transigere: con gli altri 3 delegati con cui viene costituito il nuovo nucleo sindacale dovremo avere carta bianca per impostare le strategie rivendicative. raccoglieremo democraticamente e in forma anonima le richieste da presentare alla proprietà e sottoporremo alla proprietà solo le richieste “sensate” e comunque sostenute da un minimo di 15 persone. Non sottoporremo alcuna richiesta sino a quando anche uno, uno solo di noi tutti, non sarà assolutamente in regola con ogni dovere sancito (esempio: timbrature in orario eseguite di proprio pugno e conseguente rispetto degli orari di lavoro) perchè non possiamo chiedere nulla se prima non ci siamo ripuliti di quei piccoli o grossi “peccati” che potrebbero esserci rinfacciati e potrebbero poi essere usati come strumento contro le nostre stesse richieste. Se ci impegnamo tutti su questi principi: va bene! Si comincia!” Inutile sottolineare che un'ovazione accolse le parole di Zauri che venne, addirittura, portato a spalle sino al suo ufficio fra due ali di lavoratori osannanti. Da dietro le colonne Dario, il grande, accucciato nella penombra profonda, aveva seguito ed ascoltato ogni parola tenendosi il fazzoletto appoggiato alle labbra che, letteralmente, schiumavano di rabbia. Nel suo petto il cuore batteva all'impazzata ed il grande extra lavoro della vitale pompa traspariva anche dalle tempie dove le vene pulsavano, ingrossate a dismisura, in modo assolutamente percepibile anche ad un occhio non allenato. Nella sua testa, notoriamente vuota e non adusa a sollecitare i pochi neuroni presenti, un solo pensiero si librava nel vuoto pressochè assoluto andando ad urtare le ossa craniche e producendo un tonfo sordo con un rumore di rimbazo come di un'eco profonda: “bisogna eliminare Zauri!” Con questa, diciamo, idea in testa Dario, il grande, si discostò dal percorso che il corteo di operai andava tracciando e si recò nel suo ufficio dove era atteso da Sandrino che lo accolse con parole che definire rincuoranti è veramente una stupenda esagerazione: “Alora? Te sei contento che adesso dobbiamo darci i soldi agli operari? Io te l'avo detto che il Zauri non dovevi prenderlo! Quello lì è un diavolo! E adesso ci mangia fuori i nostri soldi! Dovevamo chiudere la serranda cinque anni fa, quando lo dicevo io! Prendevamo i nostri danée e andavamo in Tailandia a farci le ragazzine a gratis! Ma te ... No! Te devi fare il capitano delle industrie! Pirla d'un pirla!” Con queste sante verità Sandrino uscì dall'ufficio, uscì dall'azienda e si diresse al noto bar del ristorante-pizzeria El Tigre per una sana sbronza con cantatina finale. Dal canto suo Dario scelse la strada dell'illuminazione: entrò in bagno e, sedutosi comodamente sul water, diede libero sfogo agli intestini desideri. Morfeo lo accompagnò sino al mattino seguente tenendoselo in grembo come amoroso padre tiene l'indifesa creatura. Cap 50 A neppure cinque mesi dalla avvenuta investitura, i nuovi rappresentanti sindacali, capeggiati dall'ing. Zauri, presentarono una formale richiesta di incontro sindacale alla Proprietà mediante una lettera manoscritta fatta pervenire a mezzo delle Poste Italiane che, trattandosi di una raccomandata con avviso di Ritorno, pensarono bene di recapitarla nel tempo medio di recapito che, in quei tempi, significava 2 mesi giusti giusti; certo! tempi record che oggi manco ci sognamo, ma...tant'è. Ricevendo la missiva, Dario, il grande, intuì che si trattava di una “grana” forse perchè aveva notato che sul retro della busta, accanto al mittente (Rappresentanti Aziendali Sindacali della V.I.S.P.A.) qualche ignota mano aveva disegnato un proiettile su cui era in bella mostra la scritta “DA DARE A DARIO”. Il possente imprenditore, sprezzante di ogni pericolo, lacerò la busta e, inforcati gli occhiali di lettura che teneva appesi ad una catena in oro massiccio normalmente sufficiente a sostenere un'ancora da 25 Kg , iniziò a sillabare a mezza voce il manoscritto badando bene di eseguire a voce più alta la rilettura di ogni parola ogni volta che la parola stessa era stata sillabata: “e-gre-gio (egregio) sig. (sig) Da-rio (Dario), a (a) no-me (nome) di (di) tut-ti (tutti) i (i) di-pen-den-ti (dipendenti) ri-chi-e-di-a-mo (richiediamo) un (un) incon-tr-o (incontro)p-er (per) av-via-re (avviare) u-na (una) tr-at-ta-ti-va (trattativa) con (con) trat-tu-a-le (trattuale ???) (ah!, contrattuale)” La lettura del lungo brano si svolse, comunque, entro la serata di quella stessa giornata lavorativa per cui, quasi all'ora di cena, Dario si premurò di convocare nel suo ufficio il fratello Sandrino per renderlo edotto dell'evolversi della situazione, cosa che fece usando termini meno letterari di quelli appresi durante la lettura, ma, comunque, in grado di chiarire sia cosa stava accadendo sia il Dario-pensiero. “Senti, Sandrino, i sindacalisti hanno scritto che vogliono avviare a trattarci come trattoristi, ma io adesso li faccio venire domani e ci dico chiaro e tondo che noi non trattoriamo, noi fiamo gli aereioplani e che non rompano i coglioni; secondo te va bene?” “mah... sei di sicuro che vogliono fare i trattori? Non è che che non hai capito bene e loro vogliono che ci facciamo una mangiata in trattoria come facevamo una volta?” “Ma che trattoria! Non sono scemo, neh! Son capace di leggere,io!” Detto questo i due fratelli si separarono ed ognuno raggiunse la propria abitazione dove entarmbi filarono direttamente a letto ad attendere che la notte portasse consiglio. Il giorno seguente, di primissima mattina, alle 10:30, Dario fece convocare i facinorosi sindacalisti nel suo ufficio dove, per la prima volta in assoluto alla V.I.S.P.A. oltre alla poltrona di Dario c'era, al lato destro, una poltroncina su cui sedeva uno stranito imberbe ragazzino che venne solennemente presentato da Dario il grande: “ Questo è Darko! Questo è il mio figliolo! Il mio figliolo prediletto. A lui vi inchinerete così come a me. Ma a comandare sarò sempre io!” Assolutamente colti di sorpresa da tale esternazione i quattro R.A.S. trattennero a stento la spontanea risata che affiorava alle labbra e per voce del più anziano di loro, Nani Castelvecchio, dichiararono aperta la seduta: “Caro Dario, le cose che dobbiamo chiederle, a nome di tutte le maestranze sono poche, ma precise: 1. aumento di tutte le paghe almeno fino ai livelli previsti dal contratto nazionale 2. istituzione di un premio di produzione 3. un locale mensa o, almeno, attrezzato a refettorio 4. la messa in sicurezza e a norma di tutti gli impianti. Vorremmo una risposta entro 15 giorni” Dario, dopo circa venti minuti di profonda riflessione, si rivolse al piccolo Darko: “ Vedi? Ho fatto bene a portarti in ditta! Così capisci come è faticoso lavorare con questi qui che cambiano idea dalla sera alla mattina! Ieri volevano fare i trattoristi, oggi vogliono i soldi più un premio per mangiarlo fuori in un refettorio fatto con i miei impianti! Cosa faresti tu? Dai... dammi un parere, anche se inutile perchè non sei ancora capace di fare l'imprenditore...” E Darko parlò. “Papàaaaa! Che palleeeee! Io devo andare al Circolo del Golf per iscrivermi al torneo, cosa vuoi che mi interessi di queste storie qui?Ciao, io vado.” E Darko uscì. Confortato dal parere del figlio, sorretto dalla sua capa- cità di discernimento e forte di una incontaminata arroganza Dario, il grande, optò per una soluzione morbida della crisi che si stava profilando. “Lazzaroni! Vi licenzio tutti! Altro che darvi i premi! Fuori a calci in culo, bastardi!” Detto questo anch'egli uscì e, salito su un aereo appena ultimato, senza nessuna richiesta di piano di volo diede tutta manetta e si diresse verso l'alto dei cieli. Cap 51 La risposta sindacale alla “proposta” di Dario non si fece attendere: bandiere rosse, striscioni con scritte non proprio osannanti alla proprietà e volantini informativi apparvero quasi per magia nel giro di pochi minuti e tutte le maestranze si riversarono all'esterno dell'azienda per uno sciopero improvviso con picchettaggio e blocco delle merci in entrata ed in uscita. In effetti sulle merci in uscita furono fatti alcuni distinguo per consentire il regolare flusso degli autocarri caricati con le lamiere destinate alla Sicilia dal noto gruppo di potere che presiedeva a tale attività, ma, nel complesso e per la prima volta alla V.I.S.P.A. si stava attuando e stava riuscendo una manifestazione sindacale. L'eco di tale avvenimento raggiunse anche la sede dei sindacati confederali (C.G.I.L.-C.I.S.L.-U.I.L.)che si affrettarono ad inviare un gruppo di attivisti di supporto dotandoli di uno sgangherato furgoncino da cui un posticcio e gracchiante altoparlante diffondeva slogans standard e canzoni partigiane. Con il calare della sera si accesero, di fronte al cancello principale, alcuni fuochi ed intorno ad essi si disposero, a cerchio, i dipendenti della V.I.S.P.A. con le loro famiglie che avevano portato, oltre al conforto morale della vicinanza, anche conforto materiale sotto forma di lasagne al forno, spaghetti aglio olio e peperoncino e spiedini di salamelle da abbrustolire sui fuochi. Prima di mezzanotte erano stati svuotati già diversi bottiglioni di Manduria e, inevitabilmente, erano iniziati i primi canti da falò con lo stentoreo accompagnamento di due chitarre suonacchiate dai figli di Giulietto. Con l'incedere della notte si affievolirono le luci dei fuochi e si abbassarono le voci dei cantanti che, piano piano e uno a uno si rintanavano dentro i sacchi a pelo per concedersi al sonno della prima notte di picchettaggio della storia dell'azienda di Dario, il grande. L'aurora, rossa di fuoco, con i suoi bagliori solleticò le palpebre di quelle genti e, a poco a poco, l'accampamento estemporaneo si animò, prima di ombre intorpidite e poi, con l'alba, di figure ben distinte che si stagliavano nitide contro la grigia recinzione aziendale trasformata, ben presto, in un vasto orinatoio maleodorante. I fuochi furono riattizzati e le donne prepararono caffè bollente che venne servito in una grolla a suggellare l'unità di intenti di quella massa umana conscia, finalmente, di poter disputare un incontro quasi alla pari contro un uomo che aveva tutta l'intenzione di mantenerli nello stato di quasi semi-schiavitù che, sino a quel momento , aveva contraddistinto i rapporti lavorativi alla V.I.S.P.A. Poco prima dell'ora di pranzo arrivò, di fronte al cancello sbarrato, la berlina blindata di rappresentanza di Dario con, alla guida, un torvo elemento, già noto alle forze dell'ordine per danni al patrimonio, sfruttamento della prostituzione, aggressione a mano armata e porto abu- sivo di armi da fuoco. Sul sedile posteriore, ben rannicchiato nella morbida pelle, sentendosi protetto dall'occasionale “guardia del corpo” che si era scelto per la bisogna, Dario, il grande, canticchiava una canzoncina che aveva imparato a memoria nei cinque anni che gli erano occorsi per frequentare le prime tre classi elementari e guardava, con aria di sfida, quegli omuncoli che volevano impedirgli di entrare nella “sua” ditta. “Dario! Scendi! Aumenta gli stipendi!” “Stronzo! Padrone! Sei un gran buffone!” Le rime non erano certo delle migliori sia dal punto di vista metrico che da quello lessicale, ma, indiscutibilmente, rendevano i concetti che permeavano la protesta. Dal suo sedile anche Dario, attraverso un microfono collegato ad un megafono esterno, pensò bene di esprimersi con un linguaggio degno del clima sindacale di cui era pervasa l'aria: “Aprite il cancello o vi taglio via l'uccello!” La frase, scandita e urlata dall'altoparlante, non fu accolta benissimo dai dimostranti che si sentirono un po' insultati e passarono, in un attimo, dal dire al fare menando grandissime mazzate con occasionali spranghe di ferro contro le lamiere dell'auto ammaccandola per ogni dove; i vetri, pure se blindati, si incrinarono in più punti e Dario, quando i “rivoltosi” misero mano al capottamento della vettura, sentì distintamente un puzzo nauseabondo salire dal sedile al suo naso mentre le sue natiche andavano come inumidendosi di qualcosa di altamente scivoloso. Aggrappato al microfono come se fosse un fuscello con proprietà taumaturgiche urlò con quanto fiato aveva in gola:”Basta! Mi arrendo! Aprite che firmo!” Purtroppo la frase venne recepita, all'esterno, con un attimo di ritardo ed in tale attimo la vettura fu girata a ruote all'aria per cui anche quando il cancello fu aperto non fu possibile far transitare la vettura in cui anche l'estemporaneo autista andava annusandosi per ogni parte del corpo alla ricerca dell'origine dell'orrendo olezzo che aveva invaso l'abitacolo. Nel tardo pomeriggio, dopo una lunga doccia ed essersi cambiato gli abiti, Dario ricevette nel suo ufficio i quattro R.A.S. Cui rivolse parole di equilibrato, sano senso imprenditoriale: “Siete dei pirati! Mi state costringendo a darvi i miei soldi, ma.....non finisce qui! Vi licenzierò tutti, uno alla volta!” L'ing. Zauri lasciò che queste e altre simili frasi venissero profferite dall'imprenditore magno tacitando ogni tentativo di interloquire da parte dei suoi colleghi poi, quando Dario cominciò a dare segni di apnea, intervenne:” Innanzitutto la ringraziamo per la cortese disponibilità ad incontrarci...” “Disponibilità un cazzo! Mi state costringendo....... (...ecc. ecc. ecc...)” Dario era paonazzo. “Come le stavo dicendo, sig. Dario, noi, oltre alla richiesta di un miglior salario su cui vediamo che concorda...” “Concordo un cazzo! Mi state costringendo.......(...ecc. ecc. ecc...)” Dario era livido. “Bene, dicevo.... desideriamo anche farle presente che sarebbe oltremodo opportuno, per il bene dell'azienda, che l'azienda stessa si dotasse di quei minimi elementi di sicurezza per assicurare ai lavoratori un ridotto rischio di infortuni...” “Infortuni un cazzo! Mi state costringendo.......(...ecc. ecc. ecc...)” Dario era terreo; la sua voce era poco più che un rantolo e il suo ansimare lo stava inesorabilmente portando verso un'ischemia. “Perfetto! Vederla concorde ci rasserena e non mancheremo di segnalare ai lavoratori che ci stanno attendendo nel nuovo locale refettorio che il forno a microonde scalda pasti sarà offerto dalla proprietà” “Proprietà un cazzo! Mi state ...” Dario svenne. Cap 52 Ora, a distanza di così tanti anni, si stava profilando all'orizzonte della V.I.S.P.A. un nuovo momento ad alta tensione, ma, questa volta , Zauri non aveva intenzione di mettersi in gioco. La sua discesa in campo di anni prima aveva, è vero, portato ad una razionalizzazione dei comportamenti aziendali e ad un aumento delle retribuzioni, ma poi, con i vari clan esistenti e le subdole manovre della proprietà, si erano venute creando situazioni di ancor maggior tensione che mettevano lavoratore contro lavoratore a discapito della faticata coesione iniziale. Questa volta, Zauri, si chiamò fuori; che fossero i sindacati ufficiali a traghettare la sgangherata azienda al ventilato fallimento. Con questa situazione “elettrica” ed un clima da ultima spiaggia affrontato da tutti, proprietà, direzione e maestranze, con lo spirito del tanto peggio tanto meglio iniziò alla V.I.S.P.A. quella che avrebbe dovuto essere la costruzione dell'aereo presidenziale. Busoni stabilì, motu proprio, che le lavorazioni di carpenteria dovessero essere eseguite, su indicazione semplicemente orale, da due bravi ragazzi extra comunitari, di origine egiziana, facenti parti di una cooperativa per il lavoro interinale. I due giovanotti nel nostro Paese da solo due mesi, capivano a malapena l’italiano ufficiale e decisamente non comprendevano lo strano idioma italo-piemontese-calabro–siculo con inflessioni romagnol-umbre mitigate da sfumature liguri che costituiva il normale mezzo di comunicazione verbale delle maestranze che Busoni si onorava di poter comandare a suo piacimento in guisa di novello paladino del lavoro (altrui, ovviamente). Fatto sta che, nella totale assenza di un progetto effettivamente redatto e verificato, i poveri malcapitati volonterosi ragazzi alto-africani cercarono di capire, dai gesti più che dalle parole di Busoni, cosa egli volesse da loro; si guardarono negli occhi e, parlandosi nella lingua natia, stabilirono per proprio conto cosa dovessero fare. Iniziarono così a tagliare di buona lena e rigorosamente a mano quintali e quintali di tubi in lega leggera con dimensioni di tutti i tipi per poi tentare di saldarli fra di loro a formare quella che avrebbe dovuto essere una intelaiatura a gabbia per definire la fusoliera. Ovviamente, essendo nati pescatori del sacro Nilo, non avevano molta dimestichezza con le tecniche di saldatura aeronautica (ed in questo erano perfettamente allineati con le capacità medie delle maestranze della V.I.S.P.A.) per cui compensavano la loro scarsa capacità di saldatori con una davvero invidiabile abilità nell’eseguire ogni sorta di nodo marinaro utilizzando piccole corde di juta con cui collegavano i vari tubi. Nel corso di solo tre settimane nel reparto carpenteria si stava materializzando, non si sa come e non si sa perché, un piccolo capolavoro di ingegneria strutturale che, stranamente, per l’occhio di un eventuale esperto di aviazione, andava assomigliando più ad una feluca che a un aeroplano, ma …tant’è…. la costruzione procedeva spedita e ricca di nodi marinari nella piena soddisfazione di Busoni e di Dario il grande. Quest’ultimo ebbe più volte modo di insultare pesantemente i due egiziani, che non diedero peso alle offese per il solo fatto che non comprendevano la lingua, definendoli mangiapane a tradimento e bastardi comunisti. Vi è da dire che, come sempre quando alla V.I.S.P.A. si iniziava a costruire un nuovo aereo, Dario si dimostrava estremamente presente nel reparto di costruzione arrivando a passare anche più di due ore consecutive accanto alla nascitura opera dedicandosi a spronare i lavoratori con le più svariate espressioni gergali atte a sottendere una professione di simil-meretricio per le madri dei dipendenti. Dipendenti che, essendo spesso di lingua, usi e costumi diversi, non sempre apprezzavano lo spensierato intercalare e, nel chinare il capo per non farsi udire più di tanto, sbottavano contro la figura del padrone, sottovoce, in frasi che se fossero tradotte nella lingua di Dante sonerebbero così offensive da far parere le invettive di Dario innocenti giaculatorie profferite da novizie. Anche Busoni e Darko, ovviamente, presenziavano spesso all'incipiare dell'opera presidenziale e fra di loro e Dario, il grande, era una gara continua a sparare ignobili direttive tecniche che, grazie al cielo, i due ragazzi egiziani non capivano e, se capivano, non mettevano in pratica. Così venne il momento di rivestire con le lamiere d'alluminio la struttura tubolare allestita dai valenti carpentieri che, come detto, assomigliava più allo scafo di una barca che ad un aereo, ma di questo nessuno parve ac- corgersi. Nessuno non è corretto: Babaricò, di ritorno da due mesi di cure termali in Liguria, appena rientrato in fabbrica vide lo scempio in corso e si precipitò da Zauri: “Ma…ingeniere! Ma ha visto cosa stanno facendo in officina? Ci son là due beduini che hanno messo insieme una … una… una cosa di tubi tenuti lì da corda e fil di ferro! Sembra un … un barcone quella cosa lì!” “Caro Babaricò, vada dai nostri due industriali, padre e figlio, e da Busoni (spirito santo) e veda di spiegargli che quella cosa che stanno facendo costruire non va bene nemmeno come serra per i pomodori! Vada! Vada, ha tutta la mia ammirazione, mi creda!” “Ma ci vado sì! Cosa crede? Che c’ho paura di dircelo che stanno facendo una cazzata?” E Babaricò uscì dall’ufficio tecnico per entrare con fiero cipiglio in quello di Dario il grande dove, con enorme sorpresa non trovò il valente imprenditore bensì un manipolo della Guardia di Finanza. Cap 53 “Buongiorno, come fate a essere qui? Chi è che cercate?” Babaricò, intimidito dalle divise ed ancora più dalle stellette che si trovavano sulle divise, cercò, con gli occhi che roteavano a velocità incredibile, un punto in cui le sue pupille non potessero incontrare lo sguardo inquisitore dei finanzieri. Questi se ne stavano bellamente spaparanzati sui divani che ospitavano di norma le due menti della V.I.S.P.A. e da tali postazioni scorrevano gli sguardi qui e là per l’ufficio direzionale cercando di comprendere quale sovrumana mente architettonica potesse avere ideato l’arredamento e la sua disposizione in quanto pareva evidente a tutti che se si fosse potuto prendere tutto il mobilio e lo si fosse fatto piovere alla rinfusa da 500 metri di altezza sicuramente il risultato estetico finale non avrebbe potuto essere peggiore di quanto stavano osservando. Tali considerazioni erano perloppiù le stesse che chiunque entrasse nell’ufficio di Dario, il grande, si trovava forzatamente a fare in quanto l’accozzaglia di stili, colori e la caotica disposizione non potevano che essere il frutto di un primordiale big-bang mal riuscito o di una mente indegna di essere ospitata persino nel cranio di un ominide. Le considerazioni di Babaricò ed il suo manifesto disagio di fronte alle fiamme gialle vennero interrotte dal susseguirsi di un ritmico tonfo alternato ad uno strascicamento,rumori che contraddistinguono l’incedere dello zoppo ed in particolare,alla V.I.S.P.A. segnalavano l’avvicinarsi di Lui, di Dario il glande. Entrò, Dario, a fronte alta, con sguardo altero, sudorazione diffusa ed evidente, pancia prominente come prua di ghiozzo e, senza passare per stupidi convenevoli tipici delle civiltà evolute, puntò diretto al nocciolo della questione che ancora doveva essere esternata: “Non ho fatto niente! La parte amministrativa la segue il mio ragioniere, la parte tributaria la segue il mio commercialista, la parte sicurezza sul lavoro la segue il mio consulente esterno, le tasse le segue il mio fiscalista e per quanto riguarda infrazioni al codice della strada c’ho il mio bravo avvocato…. Per cui… vi do i numeri di telefono e chiamate questi qui. Io adesso devo andare…” “Mi spiace dirglielo, signore mio, ma … credo che lei, per qualche giorno non potrà andare da nessuna parte. Io sono il colonnello Versamento e ho con me, oltre agli ufficiali e sottufficiali che poi le andrò a presentare, anche un mandato di perquisizione ed un avviso di garanzia che le mostro…” “Ma no! Se le ho appena detto che io non c’entro! Ho un appuntamento con il mio dentista che sono già 3 settimane che lo rinvio! Non ho tempo da perdere a stare qui ad ascoltarvi!” “Benissimo, signor Dario! Vuol dire che non staremo qui ad annoiarla e la portiamo subito con noi in caserma dove, nella tranquillità di una piccola celletta, avrà tutto il tempo di rilassarsi e di raccontarci per filo e per segno come ha fatto, l’anno scorso, a portare in Svizzera, a Lugano, per la precisione, presso l’USB, la bellezza di 360 milioni di Euro senza passare per le normali transazioni bancarie regolamentari…” Babaricò, che si era quasi mimetizzato con le pareti in un angolo dell’ufficio, ritenne opportuno non interloquire e decise di rimandare a migliori tempi le sue considerazioni sulla realizzazione in corso dell’aereo e, piano piano, zitto zitto, quatto quatto, si strusciò sino alla porta. “Altolà lei! Dove crede di poter andare? Ci dica, lei chi è e a che titolo è presente in questo ufficio?” La voce del colonnello gelò il sangue nelle vene al capo officina. “Io sono Babaricò, il capo officina, ma adesso sono in pensione. Mi pagano in nero per non farmi abbassare la pensione che sto prendendo, ma io di queste cose qui non so di niente” OOPS! Un altro uovo rotto si aggiunse alla frittata. “E bravo, il nostro Babbariccò! Lui lavora in nero! Non versa contribbuti, non li fa versare all’azienda, non dichiara redditi…. Bbene bbene bbene! Se non le spiace, si accomodi sulla sedia che poi ci racconterà qualcosina ancora, vero? Intanto, tenente Aiferri, faccia una segnalazione all’INPS ed all’ispettorato del lavoro, grazie.” Se fosse stato umanamente possibile Dario avrebbe volentieri fatto teletrasportare Babaricò attraverso la parete per farlo seppellire sotto qualche decina di metri cubi di calcestruzzo in qualche fondazione di piloni autostradali presso qualche cantiere “amico”, ma la presenza del colonnello e delle altre “bestie assatanate di sangue” (questo il suo modo di vedere la situazione) non gli permettevano certo di porre in essere la desiderata soluzione finale per cui, colto da una intensissima sudorazione fredda, si lasciò cadere, semisvenuto, sul divano preferito. E si addormentò. Cap 54 Come sempre, da che la V.I.S.P.A. ebbe modo di esistere, anche in quell'occasione di evidente cataclisma incipiente, la santa patrona della famiglia, ovvero Santa Bustarella del Silenzio d'oro, ebbe la capacità di evitare ogni guaio a Dario e discendenza. Le sole condizioni poste dalle innumerevoli ed integerrime personalità degli organismi statali di controllo intervenute a vario titolo nel prosieguo della vicenda furono quelle che prevedevano l'istituzione di un vitalizio a carico dell'azienda aeronautica con beneficiarie le intere famiglie dei funzionari di stato fino alla terza generazione; va da sé che le rendite erano esentasse e calcolate in ragione del 70% dello stipendio lordo di ogni funzionario maggiorato, ogni anno, di un tasso fisso pari al 12,75 %, il tutto versato su anonimi conti correnti di un istituto bancario delle isole Cayman che già operava in modo assolutamente ineccepibile con non meno di metà dei Ministeri romani. Per festeggiare degnamente la fine dell'incubo, Dario il grande non si volle fare mancare niente e, in prima persona, senza il fidato apporto dell'Alfonso Tour, organizzò presso l'Hotel Principe di Savoia una “festicciola” che riuscì a dare lavoro per non meno di otto mesi ai vari rotocalchi e tabloids che si occupano da sempre degli eventi mondani e delle performances dei VIP e delle Starlettes di turno. Cap 55 La festa iniziò con un sontuoso aperitivo servito nel mitico giardino d'inverno dell'hotel che accolse gli ospiti in un'atmosfera sfarzosa ispirata allo stile barocco con marmi policromi e con un soffitto a cupola in vetro soffiato colorato composto a mosaico. Lo champagne “Krug 1982 Collection” non scorreva a fiumi, sgorgava da ogni dove per raccogliersi in piccoli laghetti dove, dopo solo mezz'ora si erano languidamente sdraiate diverse ninfette seminude, pazientemente raccolte una ad una sulla superstrada Milano-Lecco dal volonteroso imprenditore che se ne circondava e beava come se si trattasse di impareggiabili Muse. Nel breve volgere di un'altra mezz'ora le troiette avevano raggiunti livelli alcoolemici tali da far loro cadere, come se ce ne fosse stato bisogno, ogni freno inibitore per cui, discinte e arrapate si trascinavano da un invitato all'altro senza trascurare nemmeno gli azzimati camerieri poco avvezzi a veder sorgere dal nulla tutte le condizioni necessarie e sufficienti a trasformare quella che doveva essere una garbata festa in un festino orientato al sesso sfrenato. L'acme lo si raggiunse alle 22 allorchè il sempre perfido Busoni raggiunse l'allegra combriccola portando con sé un sacchetto di cellophane contenente un mezzo kilo di polverina bianca che, per non saper né leggere né scrivere, gettò in aria, con ampio e misurato gesto, vicino alle bocchette dell'impianto di condizionamento in modo che, in un attimo, tutta la sala ne fu pervasa e, con la sala, ogni narice presente. Dario, il glande, con i pantaloni rimboccati al polpaccio, il villoso torso nudo, le scarpe di vernice slacciate, l'immancabile catenazza d'oro al collo ed un superbo Vacheron & Constantin in oro e diamanti al polso sinistro, le braccia avvinte su due ragazze vestite di solo perizoma e con le tette ben serrate nelle flaccide mani era il sicuro ritratto della felicità. I suoi occhi si beavano di cotanta lussuriosa gente e le sue labbra erano avidamente protese verso ogni bocca femminile che passasse nel suo raggio d'azione; con il passare dei minuti cominciò a non andare troppo per il sottile ed a non disdegnare anche qualche lingua maschile o, almeno tale in origine. Cap 56 A mezzanotte, preceduta da body-guards e da uno stuolo di fotografi vocianti, arrivò anche la Star della serata: alta, su possenti zeppe con tacco da 22, prosperosa come sanno essere prosperose le trentenni rifatte, bionda innaturale con riflessi grigio-cenere, vestita di un niente di voile griffato, le lunghe unghie scure e a taglio quadrato, gli occhi civettuoli con grandi, enormi, ciglia finte che ammiccavano da dietro un paio di occhiali rosso fuoco con lenti bianche “flashate” la Divina buzzurra romana si avanzò sculettando e, raggiunto Dario, gli sussurrò nell'orecchio destro: “a miciò! So' quattro cartoni, sa?! Nun famo che poi te dai, pija li sordi e ficcali in d'a mano de Oreste mio che me fa d'aggente!” Dario, solleticato sul lobo dall'alito profumato della futura promessa del cinema italiano, ebbe un fremito in tutto il corpo e si scoprì capace di avere ancora un sano precoce orgasmo. Raggiunto così il primo traguardo della serata egli si rivolse con bovino occhio velato e languido alla bellona: “ci metto altri 4 cartoni, come li chiami te, se adesso andiamo su nella suite con queste mie quattro amiche e questi miei due compari!” “ Eh no! bello mio! Li patti so' patti: 4 cartoni a testa! Artrimenti vai de mano!” La trattativa si concluse secondo i desideri di Dario che dopo nemmeno 10 minuti era già sdraiato sul letto a baldacchino in compagnia del commercialista e dell'avvocato con le ragazze che se li coccolavano mentre terminavano di svestirli. Non fu necessario andare sotto la doccia. Dario, sopraffatto dalle abitudini, sentendo il morbido materasso sotto il suo sederone pallido, in men che non si dica si addormentò di un pesante sonno ristoratore. Cap 57 Giù nel salone principale, Darko, sconsolato per lo sperpero di denaro e risorse attuato dal valente genitore, si affannava a rincorrere i camerieri per assicurarsi che ogni preziosa stilla di champagne venisse versata nei flutes che gli innumerevoli ospiti protendevano in continuazione. Nel mucchio selvaggio di “quasi-ministri” e relativo seguito, di “quasi-generali” e relativi attendenti, di “quasidive” ma sicure zoccole che gremivano il salone si aggirava anche un uomo che sembrava assolutamente spaesato. Era, quest'individuo, di evidenti origini asiatiche e si muoveva impettito come se avesse un palo infilato nel sedere facendosi notare in quella infernale bolgia di desnudos per l'abito nero di Armani pervicacemente chiuso su una camicia in seta pura di un tenue rosa che accoglieva nel lungo colletto una cravatta itoriata con fili d'oro zecchino mentre i polsini sfoggiavano quattro brillanti di pregevolissima fattura e grossi come pistacchi. Le scarpe nere in vernice sfavillavano sotto le mille lampade dei lampadari dorati ed i capelli dell'orientale, neri già per natura, erano resi ancora più neri da una tintura protetta da una spessa impomatatura di solido e luccicante gel. Diverse ragazze avevano tentato di coinvolgerlo nei mille giochi che ben conoscevano, ma, sordo ad ogni richiamo dei sensi, l'uomo se le scrollava di dosso con un tepido sorriso ed un piccolo movimento delle mani quasi a voler garbatamente scacciare fastidiose mosche; sola presenza che pareva gradire era quella di una graziosa signora di evidente pari etnia che, in un magnifico tailleur di Dior, rimaneva sorridente accanto a lui sfoggiando un sorriso patinato tra labbra lucidissime di color rosso acceso. Fra i due orientali, di tanto in tanto, si veniva accennando una conversazione in giapponese stretto infarcito di nasalissimi “oh” profferiti dall'uomo. Cap 58 Dopo circa due ore anche Darko si accorse prontamente delle due presenze extra-europee e, felicitandosi in cuor suo di aver trovato finalmente due persone morigerate non dedite al gozzovigliamento gratuito, decise di omaggiarle con la sua bella presenza. Nel corso della presentazione seppe di trovarsi di fronte ad uno dei più importanti imprenditori giapponesi, Shoko Fujito San, scortato dalla fedelissima interprete conoscitrice di dodici lingue dodici, di nome Si-Suk-Kio, venuto al Principe di Savoia in compagnia dell'amministratore delegato della camera di commercio italo-giapponese a sua volta invitato da un quasi-generale della Guardia di Finanza che, appena varcato l'androne di ingresso, si erano subito volatilizzati con quattro procaci ragazze. La conversazione tra Darko e Shoko, grazie alla pronta ed efficace interprete che si premurava di correggere gli inevitabili errori di grammatica del figlio di Dario, scivolò ben presto su argomenti relativi alla finanza internazionale, alle difficoltà dei mercati e via su queste amenità che Darko conosceva come conosceva a memoria la Divina Commedia. Inevitabilmente il giapponese, che non per questo era stupido, si accorse in fretta di avere a che fare con un cialtrone della più bella razza, ma, da uomo di mondo navigato, non abbandonò la conversazione ed, anzi, la protrasse avviandola su temi che, a suo parere, avrebbero potuto rendergli sonanti Yen nel breve periodo approfittando dell'ingenuo interlocutore italiano che, lo si capiva benissimo, non aveva mai trattato con l'estero. Tempo un'ora di conversazione Darko era pronto a sottoscrivere la cessione di una quota della V.I.S.P.A. all'illustre Shoko Fujito San e per formalizzare il tutto si diedero appuntamento per il mese seguente presso gli uffici di Darko che, in tale lasso, avrebbe dovuto provvedere a creare una apposita azienda a capitale misto. Cap 59 Quando Shoko San si congedò dal ragazzo era ormai l'alba; i camerieri iniziavano a riordinare i locali premurandosi innanzitutto di discernere tra i rifiuti accatastati per ogni dove i corpi intontiti di ballerine, attricette, ospiti illustri e meno illustri che sotto l'effetto di ogni sorta di sostanza se ne stavano a rantolare e gemere come mendicanti, pur non avendone la medesima dignità. Dentro le camere del fascinoso albergo il russare dei festaioli invitati da Dario non oltrepassava i pesanti tendaggi e nei corridoi rivestiti di tappeti felpati risuonava un che di quieto sospiro. Fuori l'alba avanzava e sotto la sua luce opalescente la nebbiolina notturna si sfilacciava in migliaia di vaporose ed inconsistenti nuvolette effimere. La città metropolitana con il fragore dei tram, il rombo delle automobili ed il vocio dei primi indaffarati uomini della city di contrappunto al sonno degli ospiti dell'hotel si svegliava vigorosamente, pronta ad irretire nelle sue spire ogni umana energia del popolo lavoratore. Dario, Darko e tutta la genia orgiaiola dormivano russando a più non posso e questo loro sforzo fisico era, di tanto in tanto, sottolineato dall'emissione sfinterica di gas da fermentazione che, seppur non scientificamente definito in assoluto, sicuramente aiutava ad aumentare sul nostro già malsano pianeta l'effetto serra la cui presenza certo non ci rassicura per l'avvenire. Se si scioglieranno i ghiacciai del Polo Nord e quelli delle catene alpine o della Patagonia non potremo additare Dario & C come colpevoli del cataclisma, ma, sicuramente, potremmo già da ora additarli, comunque, al pubblico ludibrio come fulgidi esempi di purissimo inutile cazzismo lascivo. Cap 60 Nel corso del mese che lo separava dal pianificato incontro con Shoko-san, Darko fu incredibilmente attivo riuscendo, con sovrumano sforzo, ad essere quasi sveglio già alle 9:30 per organizzare quanto discusso e preventivato con il giapponese. Per prima cosa, assistito da un ragguardevole numero di legali e commercialisti, si dedicò alla ricerca del nome per la nuova Società che stava creando e che avrebbe ceduto all'uomo venuto dall'Oriente. Al terzo giorno di brain-storming, mentre addentava voracemente un'economicissima pizza Margherita stando rilassato alla sua scrivania, ebbe l'illuminazione: la na- scitura azienda si sarebbe chiamata:” ROTTAMI USATI SELEZIONATI PER AVIAZIONE” in ciò inscrivendo già nella titolazione il ruolo precipuo che le era affidato. Immediatamente Darko diede disposizione perchè fossero approntati i necessari documenti presso la Camera di Commercio e le Istituzioni correlate, fece approntare la carta intestata ed i biglietti di visita, i prospetti per le fatturazioni e, immancabile, il logo, rigorosamente in bianco e nero per contenere i costi. Ovviamente lo studio del logo non venne affidato, come logica vorrebbe, ad uno studio grafico, ma fu “allestito” da Darko stesso che con mirabile senso estetico e assoluta incapacità cognitiva si limitò a fotocopiare, in bianco e nero, il logo dell'ALITALIA per trasformare la stilizzata “A” in una pressapochistica “R” sotto cui campeggiava la scritta “RUSPA”. Fiero della geniale soluzione raggiunta il piccolo principe si dedicò allora a preparare il “pacco” da tirare all'illustre Shoko-san e per completare tale operazione si rivolse, anche se a malincuore, al vero genio del turlupinamento che, guarda caso, era il suo amato genitore e Dario, il grande, non si fece pregare. In quattro e quattr'otto, in totale autonomia e senza minimamente interpellare né i sindacti dei lavoratori né l'Associazione Industriali, Dario licenziò dalla V.I.S.P.A. quasi tutti i dipendenti che, immediatamente, riassunse in RUSPA a stipendio ridotto. Chi, timidamente, una volta appresa la notizia del proprio trasferimente alla nuova Azienda, ebbe l'ardire di mugugnare venne subito ripreso, al calare del sole e nell'ufficio presidenziale, da Dario con argute parole: “ Senti, farabutto mangiapane a tradimento: se vuoi conti- nuare a pagarti il mutuo della casa tu passi da VISPA a RUSPA in silenzio e senza fiatare, altrimenti ti licenzio, comunque, dalla VISPA e poi vai da un avvocato per farmi causa e per i prossimi venticinque anni oltre a dover cercare i soldi del mutuo dovrai anche cercare i soldi per pagarti gli avvocati e per cercare di mantenerti,, te e la tua famiglia. Chiaro? In fondo ti faccio fare un affare!” La prospettiva di passare venticinque anni a mantenere avvocati e giudici e cartabollari vari ebbe su tutti i pochi dissenzienti il potere di ridurli a più miti consigli e qualcuno anche si propose a Dario come uomo disponibile a lavorare a titolo gratuito ogni ultimi tre giorni lavorativi del mese pur di non vedere più arrabbiato il grande industriale od il di lui amabilissimo figliolo. Tutto è bene quel che finisce bene e la RUSPA partiva nel miglior modo possibile per poter ben naufragare a comando. Cap 61 Il molto onorevole Shoko Fujito San accompagnato dall'onnipresente traduttrice – segretaria – geisha Si-SukKio arrivò alla sede della RUSPA, ricavata mediante veloce pitturazione in calce di uno dei magazzini dismessi dalla V.I.S.P.A. con lampade al neon ripulite alla bell'e meglio e pavimenti pietosamente ricoperti da una dozzinale moquette sintetica in color viola e giallo, a bordo della sua Roll's Royce Silver Ghost in colore oro zecchino guidata da un energumeno con la divisa da fattorino del grand'hotel. A ricevere l'ospite/acquirente Dario e Darko delegarono Teresa, una delle segretarie più anziane della V.I.S.P.A. che per l'occasione, trepidante e assolutamente compenetrata nel ruolo di “ambasciatrice” che le veniva assegnato, fece uno strappo alle sue decennali abitudini e si recò da un'estetista per una seduta di messa a punto. Maria Stella, l'estetista della donna bella, quando vide entrare la lunga e ben pasciuta segretaria ebbe, di primo acchito, l'impulso a mollare tutto il suo negozio per darsi ad una sana vita ascetica in prossimità delle cime innevate del Nepal, ma poi l'innato senso del volersi cimentare anche nelle sfide impossibili la costrinse a mettere mano a quell'essere vagamente femminile che le si parava davanti. Furono necessarie 14 ore di ininterrotta e frenetica attività, ma, alla fine, Teresa, almeno da ferma, sembrava una piacente donna cinquantenne a dispetto dei suoi quarant'anni; certo, quando prese a camminare, si ripalesò tutto il suo background contadino soprattutto nella camminata che più che ad un incedere ancheggiante faceva pensare ad una sussultante andatura da dromedario lanciato al galoppo sulle dune del Sahara. Ebbene, con tale civettuola andatura ed una “mise” adeguata (camicetta in flanella verdolina stampata a fiorellini rosa, minigonna plissettata color amaranto, calze a rete blu, stivaletti alla caviglia in pelle marrone con tacchi a spillo cromati) Teresa si avvicinò ai giapponesi e, con un goffo inchino, aprì la bocca ad un fantasmagorico sorriso ben evidenziato dalle labbra con rossetto di un bel carminio acceso per esclamare:”Venghino, che ci faccio vedere dove dovete andare!” Le tre persone entrarono in fila indiana negli uffici della RUSPA dove trovarono una scrivania in ferro con ripiano in cristallo, l'angolo era palesemente rotto e mante- nuto con nastro adesivo per imballaggi, due sedie da cucina impagliate, provenivano da una casa di campagna di Dario, una poltroncina azzurra gonfiabile, rimasuglio di un allestimento fieristico, un imponente divano in pelle nera visibilmente antico e logoro; alle pareti alcune stampe dozzinali senza cornice ed appese con nastro biadesivo mentre, di fianco alla porta di ingresso, era visibile un calendario di Playmen vecchio di quattro anni e da cui la playmate del mese non negava ad alcuno il piacere di ammirarne ogni fattezza. “vi porto un caffè?adesso arriverà anche il signor Dario che lo beve di sicuro!” “grazie, signora, il molto onorevole Shoko Fujito san gradirebbe un cappuccino italiano molto caldo in tazza calda con latte freddo e con molta schiuma tiepida, polvere di cacao e un pochino di cannella con zucchero di canna” “Urka...” Abbiamo un bel dire della globalizzazione.....i giapponesi hanno imparato tutto dei nostri gusti e delle nostre raffinatezze, solo che siamo noi che non le conosciamo! Così Teresa, affranta e sconsolata, si diresse verso l'unica macchinetta del caffè presente alla V.I.S.P.A. che era in grado di erogare, a scelta: 1. caffè dolce 2. caffè senza zucchero 3. caffè dolce con bevanda al gusto di latte 4. bevanda al gusto di latte Lesse e rilesse più volte le targhette di fianco ai pulsanti sperando, in cuor suo, che qualche miracoloso evento trasformasse la macchinetta in una replica del caffè del corso, ma nonostante il tempo trascorresse, niente: le bevande disponibili erano quelle e quelle rimanevano. Teresa sospirò, si aggiustò la frangetta, si scaccolò la narice sinistra e poi, presa da uno sconforto indicibile introdusse i gettoni e premette il pulsante per l'erogazione di tre caffè dolci. Con tutta la calma che le macchinette del caffè sono in grado di possedere l'aggeggio sfornò le bevande richieste assicurandosi (ma le macchinette possono assicurarsi?) che il primo caffè fosse freddo prima di servire il secondo che fin che non si fu raffreddato non permise l'arrivo del terzo. Teresa raccolse, con le mani quasi a coppa, i tre bicchierini di plastica e si diresse agli uffici della RUSPA; appena poco prima di entrare versò tutti e tre i caffè in un solo bicchierino, miscelò il liquido e lo ripartì di nuovo nei tre contenitori in modo da ottenere che le tre bevande avessero, quantomeno, la stessa temperatura. “Ecco qua tre bei caffè! Purtroppo al bar non c'è il barista oggi, così dovrete accontentarvi del caffè della macchinetta...” arrossendo e con gli occhi bassi Teresa era riuscita a rimediare la situazione, o, almeno, così credeva; non aveva calcolato la capacità di Dario, il grande, di sputtanarsi a raffica. “Teresa! ma cosa dici? da quando in qua c'abbiamo un bar? E il barista, poi.... cosa hai bevuto? A te l'età ti fa dei brutti scherzi, sai!” Cap 62 La stipula del contratto, nonostante qualche inevitabile intralcio burocratico, venne sancita alla fine di quell'anno e l'inizio ufficiale delle attività della RUSPA fu, per la V.I.S.P.A. il prologo di una ingloriosa fine come, per altro, ben immaginato dalla frangia disfattista delle maestranze più accorte. Ogni profitto derivante dalle attività di costruzione degli ormai obsoleti aerei della V.I.S.P.A. veniva abilmente stornato dai libri contabili e girato rapidamente su uno dei ricostituiti conti bancari all'estero che fagocitavano il denaro e, di fatto, lo facevano scomparire ad ogni persona che non fosse Dario o Darko. La RUSPA, per conto suo, ben pilotata dalla sopraffina mente imprenditoriale di Darko, si incaricava di acquistare l'acquistabile dalla V.I.S.P.A. per poi cederlo alla società consorella creata in Giappone da Shoko a prezzi “truccati”. Purtroppo, dopo aver dissanguato la V.I.S.P.A. avendone rilevato anche le pur fatiscenti attrezzature, ecco che anche la RUSPA venne a subire un tracollo del tutto inaspettato. Proprio nel momento in cui Darko e Dario stavano per tirare lo sgambetto che avevano programmato al “socio” giapponese questi venne prima inquisito e poi arrestato dalla magistratura nipponica per una sua collusione con ambienti legati alla mafia internazionale. Questa disgraziata evenienza fece di colpo svanire ogni possibilità di incassare gli assegni emessi da Shoko-fujito san per le forniture eseguite e, di fatto, costrinsero anche la RUSPA a chiedere prima l'amministrazione controllata e poi a portare i libri in tribunale per dichiarare il fallimento. Dario e Darko di fronte alle rimostranze degli ormai pochi dipendenti rimasti a presidiare il posto di lavoro ormai completamente inutile ed inutilizzabile convocarono un'assemblea aperta a tutte le maestranze e lo fecero con un volantino distribuito a tutte le ex-maestranze: “Carissimi operai ed impiegati, è con profondo dolore che ci vediamo costretti a togliervi gli stipendi e ad annunciarvi tempi duri per voi e per le vostre famiglie. Siamo molto dispiaciuti di vedervi soffrire e di vedervi patire le pene della fame e di vedere e sapere che anche le vostre famiglie sono sul lastrico. Ma non tutto è perduto! Vi resta ancora la voglia di lavorare per cui, se troverete un altro lavoro, magari guadagnando anche un po' di meno, potrete, comunque, avere quei quattro soldi che vi servono per tirare avanti. Purtroppo non possiamo darvi neanche i soldi del T.F.R. perchè abbiamo dovuto acquistare il carburante per l'ultimo aereo costruito dalla V.I.S.P.A. con cui stiamo ora partendo per l'Australia dove, in un piccolo ranch, abbiamo iniziato l'allevamento di canguri da carne. Chi di voi non trovasse di meglio da fare potrà raggiungerci colà tra il 4 ed il 21 di dicembre del prossimo anno; in tale periodo elargiremo a chi si presenterà il 50% delle attuali spettanze mediante impegno di un bonifico bancario esigibile a partire dal prossimo decennio. Chi non verrà, pazienza! Vuol dire che daremo la quota in beneficenza all'ente DA.DA. che assiste gli imprenditori in difficoltà economica. Buon Natale a tutti! Dario e Darko” A questo punto, cari, sconosciuti, pazienti e lontani lettori, interrompo la storia ... Qualcuno potrà pensare che la storia di Dario, Darko e della loro V.I.S.P.A. si è conclusa in modo ignominioso; qualcun altro riterrà che tale epilogo è il giusto finale di una saga tragicomica; qualcun altro, ancora, vorrà immaginare che i personaggi continuino la loro vita in modo magari antitetico rispetto a quanto da loro espresso sino a questo punto di commiato. Personalmente so che ci sono altre decine di momenti memorabili che i miei personaggi hanno vissuto e che ancora non ho avuto il tempo di trascrivere per il sorriso, spero, dei lettori; so, anche, che i miei personaggi sono, e saranno, immortali perchè immortali sono gli idioti che quotidianamente ci vengono tra i piedi così da farci desiderare di essere onnipotenti per poterli sterminare. Più modestamente, non aspirando io all'onnipotenza, mi limito a considerare che, tempo e voglia permettendo, potrei rimettere mano ai bianchi fogli per continuare il racconto qui interrotto; senza alcun impegno vi invito ad esprimere anche un vostro parere in merito sia a quanto già vi è noto sia in merito al possibile ritorno di questa italica saga per cui, sia chiaro che non risponderò a nessuno, ma, se lo desiderate, scrivetemi: kmem @ libero.it ARRIVEDERCI. Mario Enrico Mauri