stagione 2008-09, numero 1, 8 ottobre 2008 foto Francesco Bruni in questo numero ›To be or not to be ›La vita xe fiama ›Alvin Ailey® American Dance Theater Politeama Rossetti TO BE OR NOT TO BE di Maria Letizia Compatangelo regia di Antonio Calenda con Giuseppe Pambieri, Daniela Mazzucato Platea A-B 2★★ Platea C - Gallerie 1★ Biglietti Platea A-B interi € 28 ridotti € 23 Platea C interi € 20 ridotti € 16 Gallerie interi € 15 ridotti € 12 Sala Bartoli 20.30 PRI 16.00 E 20.30 A 20.30 B 20.30 C 16.00 D mer 8 ottobre gio 9 ottobre ven 10 ottobre sab 11 ottobre dom 12 ottobre lun 13 ottobre mar ★ 14 ottobre mer 15 ottobre gio 16 ottobre ven 17 ALVIN AILEY american dance theater Platea A-B 4★★★★ Platea C 3★★★ Gallerie 2★★ 20.30 DAN 16.00 20.30 ottobre sab Sola me ne vo Ritter/Dene/Voss Il giorno della tartaruga Anvedi Goethe Sola me ne vo Ritter/Dene/Voss Il giorno della tartaruga Anvedi Goethe 21.00 21.00 21.00 18 21.00 19 17.00 ottobre dom ottobre lun 20 LA RIGENERAZIONE di Italo Svevo regia di Antonio Calenda con Gianrico Tedeschi Platea A-B 2★★ Platea C - Gallerie 1★ Biglietti Platea A-B interi € 28 ridotti € 23 Platea C interi € 20 ridotti € 16 Gallerie interi € 15 ridotti € 12 20.30 PRI 16.00 E 20.30 A 20.30 B 20.30 C 16.00 D ottobre mar ★ 21 ottobre mer Così è (se vi pare) Hairspray La luce di dentro 22 ottobre gio 23 ottobre ven 21.00 19.00 Così è (se vi pare) Hairspray La luce di dentro 21.00 24 21.00 25 21.00 26 17.00 ottobre sab ottobre dom ottobre lun 27 SOLA ME NE VO regia di Giampiero Solari con Mariangela Melato Platea A-B 3★★★ Platea C-I Galleria 2★★ II Galleria 1★ Biglietti Platea A-B interi € 39 ridotti € 33 Platea C interi € 35 ridotti € 29 I Galleria interi € 29 ridotti € 24 II Galleria interi € 24 ridotti € 19 Loggione interi € 7,50 20.30 PRI 16.00 E 20.30 A 20.30 B 20.30 C 16.00 D ottobre mar ★ 28 ottobre La parola ai giurati Robin Hood 21.00 mer 29 ottobre gio 30 ottobre 19.00 La parola ai giurati Robin Hood 21.00 ven 31 21.00 1 21.00 2 17.00 ottobre sab novembre dom novembre LA VITA XE FIAMA omaggio a Biagio Marin a cura di Roberto Damiani regia di Furio Bordon con Massimo De Francovich Posto unico 1★ Biglietti Posto unico interi € 15 ridotti € 12,50 “prosa” In anteprima la nuova produzione dello Stabile diretta da Antonio Calenda “To be or not to be” apre la stagione Giuseppe Pambieri e Daniela Mazzucato ricreano i personaggi di Lubitsch To be or not to be: un intero universo può essere racchiuso in questa battuta, la più celebre della storia del teatro. Essa può rivelare un pensiero, come nell’Amleto shakespeariano, ma può anche apparire un codice segreto di guerra o d’amore; può essere l’orgoglio di un attore o il suo tormento, può rappresentare un dubbio esistenziale: “essere o non essere onesti, coraggiosi, traditi?”. E può essere un titolo: quello della grande produzione che inaugura la Stagione 2008-2009 dello Stabile regionale nel segno del divertimento e dell’amore per il palcoscenico. Presentata in prima nazionale, To be or not to be è la commedia che Maria Letizia Compatangelo ha elaborato sulla base del soggetto originale dell’autore ungherese Melchior Lengyel, divenuto nel 1942 un film di successo (Vogliamo Vivere, il titolo italiano) di Ernst Lubitsch, genio delle commedie sofisticate hollywoodiane. Se sul piano cinematografico il soggetto è stato ripreso negli anni Ottanta, il teatro lo ha invece trascurato a lungo. Curiosamente, dopo tanta assenza, oggi lo spettacolo è sulla ribalta a Broadway, per la regia di Casey Nicholaw, e al Politeama Rossetti nell’edizione firmata da Antonio Calenda, interpretata da una compagnia capeggiata da due protagonisti raffinati, Giuseppe Pambieri 4 e Daniela Mazzucato, e impreziosita dalle arie composte dal maestro Nicola Piovani. To be or not to be è una commedia deliziosa e interessante, che da un lato permette di innescare il gioco tutto teatrale delle infinite rifrazioni fra realtà e finzione, recita e verità, “essere” e “non essere” come suggerisce il titolo. Dall’altro lato accetta la sfida di ritrarre il nazismo attraverso gli stilemi della comicità, una sfida vinta costruendo una satira validissima dell’apparato e della logica hitleriani. Inoltre – al contrario di quanto paventavano ottusamente alcuni critici davanti al film di Lubitsch – senza offendere il ricordo di quel periodo tanto doloroso, To be or not to be lo racconta riconoscendo al teatro il ruolo di un’“arma segreta”, di una luce che indica la via della salvezza. «Ho amato To be or not to be – commenta Antonio Calenda – proprio perché offre una bella e struggente elegia del mondo dello spettacolo, un leggero e dolce apologo su quanto nella vita sia necessaria la poesia. E in tempi cupi per la cultura, come sembrano diventare irrimediabilmente i nostri, rimarcare tale “necessità”, non appare affatto scontato. Credo che qui il teatro stesso sia un grande protagonista: in scena si ricorre agli esponenziali giochi di specchi e ribaltamenti che solo esso permette, con le sue convenzioni, il coinvolgimento e la complicità del pubblico. E grazie al talento d’interpreti di cui sono molto soddisfatto e che sono chiamati al difficile compito di restituire il profilo della vita nella sua bellezza, lasciando però intuire anche l’imperscrutabile che essa cela». Facendo propria la precisione dei ritmi vorticosi, delle battute graffianti e dei trasformismi che connotano una commedia il cui congegno surreale non ammette sbavature, essi impersonano inizialmente una compagnia di Varsavia impegnata nelle prove dello spettacolo Gestapo. Bloccati dalla censura, ripiegano su Amleto, vero pallino del primo attore, Ian Tura: il “To be or not to be” però diviene il suo incubo. La moglie Maria, infatti, durante il monologo si fa raggiungere in camerino da uno spasimante – Sabinsky pilota polacco – che lascia la sala rumorosamente. Esilarante lo sconforto di Ian davanti a tanto spregio per la sua arte: il problema però è presto travolto – come tutta la dimensione evanescente e un po’ ingenua dei teatranti – dal precipitare degli eventi storici. È il 1939 e Varsavia è asservita a Hitler. Poco dopo è proprio Sabinsky, sulle tracce di una spia della Gestapo, a coinvolgere la compagnia nella resistenza. E gli attori, con le armi dei travestimenti e della fantasia riescono a giocare gli oppressori fino a farsi portare in salvo a Londra con l’aereo di Hitler. di Ilaria Lucari “To be or not to be” di Maria Letizia Compatangelo regia di Antonio Calenda scene di Pier Paolo Bisleri costumi di Stefano Nicolao musiche a cura di Pasquale Filastò canzoni di Nicola Piovani con Giuseppe Pambieri, Daniela Mazzucato foto Tommaso Le Pera Politeama Rossetti dall’8 al 12 ottobre 2008 durata 2h e 45’ con intervallo 5 “prosa” “Il teatro è l’ultimo baluardo contro la volgarità” Antonio Calenda racconta la sua regia 6 esso se ne allontana anche, assumendo una propria legittimità teatrale. Merito del lavoro minuzioso di Maria Letizia Compatangelo che – ottenuti dalla vedova di Lengyel i diritti – ha composto una commedia piacevole ed efficace, che pone in luce non solo i lati esilaranti ma anche quelli delicatamente malinconici e surreali della da Nicola Piovani … «L’ottenuta collaborazione con il Premio Oscar Piovani, è una gemma preziosa per lo spettacolo: ha composto due arie molto belle, che Daniela Mazzucato interpreta magistralmente». In uno spettacolo che è un inno all’arte della recitazione, ha potuto contare su un storia. In tale dualità ravviso una dimensione fondamentale della piéce: la vorticosa manovra degli attori che sconfiggono i nazisti grazie alla loro arte, al di là del significato metaforico, adombra anche inquietudini e profondi segni di amarezza, lascia intuire l’imperscrutabile che appartiene alla vita. La drammaturgia assume così una complessità ricca di induzioni». Di alta qualità anche il contributo musicale assicurato cast di ottime potenzialità… «Molto spesso purtroppo, non si riesce a realizzare l’aspirazione di creare una compagnia che possieda aderenza con i personaggi. Qui sono stato fortunato, perché il cast è molto preciso: Giuseppe Pambieri è uno Ian Tura perfetto a mio avviso, come anche Daniela Mazzucato, molto dotata nell’interpretazione, nel gesto oltre che nella sua straordinaria voce. L’ho diretta due volte quale Susanna foto Tommaso Le Pera «Sono passati più di vent’anni da quando ho visto Vogliamo vivere di Ernest Lubitsch rimanendo subito colpito dalla levità e dalla carica simbolica del film: credo di poter dire che fin da allora ho iniziato ad accarezzare l’idea di trarre dallo stesso soggetto un lavoro teatrale». Antonio Calenda guarda con soddisfazione il progetto di To be or not to be sostanziarsi finalmente sul palcoscenico del Politeama Rossetti. «Ho amato molto questo testo – commenta – proprio perché ritengo che offra una bella e struggente elegia del mondo dello spettacolo, un leggero e dolce apologo su quanto nella vita sia necessaria la poesia. E nel nostro tempo, in cui il mondo della cultura e dell’arte sembra destinato a orizzonti sempre più cupi, lo spettacolo offre una metafora valida e nient’affatto scontata dell’arte contemporanea, minacciata dalla negligenza, oppressa dalla volgarità». Il soggetto di Melchior Lengyel che Maria Letizia Compatangelo ha elaborato fino a trarne una commedia, è ciò che più distante si possa immaginare dalla grossolanità. Come si è trovato a lavorare con il costante confronto del film? «È il mio primo lavoro con un precedente cinematografico – spiega – e sebbene fossi felice di affrontarlo, questa vicinanza con il film mi preoccupava un po’. Ma nel testo drammaturgico avviene un piccolo miracolo: pur mantenendo una corretta fedeltà al soggetto, “To be or not to be” nelle Nozze di Figaro e desideravamo incontrarci nella prosa. Così come con Pambieri che dirigo per la prima volta e con grande soddisfazione. Vorrei continuare a lavorare con entrambi. Pregevoli sono anche le interpretazioni di Fulvio Falzarano, di Umberto Bortolani, punti di riferimento del nucleo di interpreti che applaudiremo in scena e che fa ormai parte della famiglia dello Stabile. Guardo con orgoglio alla crescita di questo assieme, alla piena espressività di Francesco Benedetto, al talento di Venturiero, un attore di belle promesse, alla forza di Carlo Ferreri. Fra loro abbiamo voluto inserire anche Paolo Cartago e Jacopo Zucca, due ragazzi del nostro laboratorio di introduzione al teatro, animato da Luciano Pasini: il palcoscenico rappresenta sempre un’esperienza piena di magia e formativa dal lato artistico e umano».. Nello spettacolo due canzoni originali del Premio Oscar Nicola Piovani L’interpretazione affidata a Daniela Mazzucato È di grande prestigio per lo Stabile la collaborazione con Nicola Piovani, che per To be or not to be ha composto due bellissime romanze “Il cielo su Varsavia” e “Il teatro della vita”, affidate all’emozionante interpretazione di Daniela Mazzucato. Pianista, compositore e direttore d’orchestra, Piovani è un personaggio di assoluta levatura nel mondo musicale: allievo di Manos Hadjidakis, ha collaborato con molti registi italiani, tra cui Monicelli, Moretti, Tornatore, Giuseppe Bertolucci, Magni, i Taviani, Fellini e stranieri, Ben Von Verbong, Bernard Favre, Pal Gabor, Dusan Makavejes, George Sluizer, Bigas Luna, Jos Stelling e John Irvin. Ha realizzato colonne sonore di numerosi sceneggiati televisivi italiani di grande successo. Per il teatro ha scritto musiche di scena per Cecchi, il Gruppo della Rocca, la Cooperativa Pupi e Fresedde, Luca De Filippo, Scaparro, Gassman. Sue le musiche de I Sette re di Roma di Magni, di Concha Bonita di Alfredo Arias. Si esibisce in Italia e all’estero, suonando il pianoforte e dirigendo la sua Orchestra Aracoeli, con la Compagnia della Luna che ha fondato con Vincenzo Cerami, e per la quale insieme a lui ha scritto vari lavori (Canti di Scena, La Pietá, L’Isola della Luce). È inoltre attivo come compositore di canzoni (ricordiamo quelle per Fabrizio De André e Roberto Benigni) e di musica da camera. Innumerevoli i premi tributatigli: dal David di Donatello per i film Ginger e Fred e Caro Diario al Nastro d’argento, dal Ciak d’oro al premio Colonna Sonora, al Premio Rota... Fra tutti spiccano il Premio Oscar nel 1999 e nel 2000 la nomination al Grammy per le musiche del film La vita è bella di Roberto Benigni. la locandina Ian Tura, prim’attore Giuseppe Pambieri Rowitch, attore e direttore di scena Stefano Bembi Greenberg, attore caratterista Francesco Benedetto Bromski, attore caratterista/ Hitler/ Colonnello Hauer Carlo Ferreri Sonia, giovane attrice Giulia Beraldo Primo attor giovane/ Pilota della divisione 303 Raffaele Sinkovic Attore della compagnia/Pilota della divisione 303/Soldato nazista/ Ufficiale marina britannica Jacopo Zucca Attore della compagnia/Pilota della divisione 303/Soldato nazista Paolo Cartago Attore della compagnia/ Soldato nazista Paolo De Paolis Attore della compagnia/ Soldato nazista Filippo Cattinelli Krakov regista Gianfranco Candia Maria Tura, prima donna Daniela Mazzucato Anna, sarta di compagnia Daniela Di Bitonto Tenente Dimitri Sabinsky, pilota della divisione 303 Jacopo Venturiero Professor Albert Druginsky Umberto Bortolani Capitano Ross controspionaggio britannico gentiluomo con mantello Luciano Pasini Colonnello Ehrhard Fulvio Falzarano Capitano Schulz/Gentiluomo con mantello/Attendente inglese Francesco Gusmitta 7 “prosa” foto Francesco Bruni «Ian Tura è un tipico primo attore degli anni Trenta, vive il suo mestiere con impetuosa passione, basti pensare alla sua fissazione per il monologo dell’Amleto, ma soffre anche di tutti i vezzi più classici dell’artista: è un po’ frivolo, egocentrico, vive in una dimensione tutta particolare dove non gli giungono chiari gli echi del conflitto mondiale, ormai incombente». Giuseppe Pambieri descrive con affetto divertito il personaggio che interpreta in To be or not to be e con cui – chi scrive desidera proprio sottolinearlo – condivide sicuramente la simpatia e l’amore per il teatro, ma per nulla invece gli egoismi e gli atteggiamenti da divo… Nemmeno dall’alto di una carriera eccellente, che lo vede richiesto – subito dopo la formazione alla Scuola del Piccolo di Milano – dal palcoscenico come pure dalla televisione. Due mondi che ha amato intrecciare fra validi sceneggiati e spettacoli teatrali, che lo hanno portato a recitare diretto da prestigiosi registi e ad affrontare repertori vastissimi, dai grandi classici della drammaturgia ai contemporanei. Inoltre ha intrapreso anche la strada della regia. Era appunto impegnato a dirigere la Scuola delle mogli quando Antonio Calenda gli propose – ormai due anni orsono – il ruolo di Ian Tura: «Non ero mai stato diretto da lui e devo dire che sono felice che il progetto sia andato in porto, mi trovo benissimo» commenta Pambieri che sorride anche dell’imponenza del lavoro intrapreso: «È stato impegnativo sia dal punto di vista della recitazione, sia per la macchina vivacissima che il regista ha congegnato: diciotto attori, ventinove cambi scena che sono quasi 8 l’inter Giuseppe Pambieri dei traslochi, con pannelli che scendono, quinte colossali che si manovrano longitudinalmente, mobili da spostare. Vi contribuisce ciascuno, interpreti, macchinisti… È bello perché l’allestimento è fatto con grande amore ed è tangibile la motivazione di tutti». «Sul piano dell’interpretazione – prosegue l’attore – non abbiamo scelto una via semplice: chi conosce il film di Lubitsch sa che la vicenda parte da una situazione leggera, dove le piccole ripicche e gelosie fra gli attori si intrecciano a quelle di Ian per sua moglie Maria, corteggiata da un giovane pilota dell’aereonautica… Quando su questo orizzonte spensierato irrompe la guerra è uno choc violento: sostenendo la resistenza polacca, gli attori che hanno sempre recitato nella vita si trovano a dover recitare “per la vita”. E qui la difficoltà sta nel saper mantenere un doppio binario nella recitazione, dove c’è spazio per la tensione, la nostalgia, la paura, ma dove si deve sentire sempre presente anche la commedia, l’effetto del turbinio di equivoci, travestimenti, gag che gli attori scatenano per giocare i nazisti. Bisogna far attenzione che la situazione non sia mai completamente realistica, ma nemmeno troppo svagata. È una dimensione molto difficile da tenere». «Esemplare da questo punto di vista – conclude – è il monologo di Greenberg, l’attore ebreo che declama per un’ultima volta il monologo di Shylock da Il Mercante di Venezia. “Non ha Daniela Mazzucato occhi, un ebreo? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni? non si nutre anche lui di cibo, come voi?” recita, stremato dai lavori forzati cui lo costringono i nazisti. Fra tanto divertimento, ci fa vivere un momento molto toccante». «Qui si fa sul serio e io mi sento in dovere di fare del mio meglio nella recitazione» interviene Daniela Mazzucato, una vera stella della lirica e dell’operetta che qui si è messa al servizio del suo personaggio e del testo con una generosità rara. Straordinaria nei ruoli di soprano-soubrette e ammiratissima in quelli del repertorio lirico, ha cantato diretta da illustri maestri e registi, calcando le scene dei più prestigiosi teatri del mondo, dalla Scala di Milano al Massimo di Palermo, dal Covent Garden all’Opéra di Parigi... Anche in To be or not to be avremo modo di ascoltare la sua bella voce, nell’emozionante interpretazione delle romanze inedite di Nicola Piovani: «La musica è molto interessante e intrigante» dice. «Il regista è riuscito poi a inserire le due canzoni di Piovani, nel primo e nel secondo tempo, senza dar l’impressione che si crei una frattura, c’è un passaggio molto organico e delicato, senza accorgersi si passa dalla parola recitata al canto». Anche Daniela Mazzucato è alla prima esperienza con Calenda e parecchio tempo è trascorso da quella Fräulein Pollinger di von Horvath che nel 1984 l’aveva coinvolta in una prima produzione dello Stabile regionale: «Ammiro questo ambiente disciplinato, così serio, che vive di passione vera. La Compatangelo – aggiunge – ha scritto in una maniera tanto scorrevole da facilitare nelle intonazioni, nel fraseggio anche me che non sono una vera attrice. E poi amo il mio personaggio: Maria Tura mi si addice ed è affascinante il suo cambiamento dall’iniziale frivolezza alla consapevolezza che assume verso la patria e verso il marito che ama profondamente: è una donna che sa mettersi in gioco e un ruolo che ti mette molto alla prova». Anche Ian Tura vive nello spettacolo un’evoluzione positiva, anche se, col suo tormentone del “To be or not to be” conquista gli spettatori fin dal suo primo apparire: «Riesco a ribaltare tutta la situazione, inganno la spia della Gestapo, umilio il Colonnello Ehrhard, quindi nel secondo atto il mio personaggio si riscatta appieno» spiega Giuseppe Pambieri che nel finale passa da un travestimento all’altro, da un registro all’altro con una versatilità incredibile, seguendo il vortice di macchinazioni fantasiose ed efficaci che il suo Ian inventa contro i nazisti. «Sento questo spettacolo – conclude – come un grande inno all’espressione artistica attoriale che attraverso la finzione può scardinare la realtà e migliorarla. Se vogliamo, il modo in cui gli attori in To be or not to be riescono a dare un contributo per la liberazione della Polonia talvolta non appare molto naturalistico, ma anche sentire questa dimensione di favola rende bella, metaforica, la storia». di Ilaria Lucari foto Francesco Bruni rvista “To be or not to be” 9 “altri percorsi” Furio Bordon riporta alla Sala Bartoli il testo curato da Roberto Damiani “La vita xe fiama” di Biagio Marin Massimo De Francovich è il protagonista dell’omaggio al poeta gradese Biagio Marin e la sua delicata poetica si rivelano al lettore – inizialmente con timidezza, ma riga dopo riga con emozione crescente – sgorgando dalla costruzione dei suoi versi, dalla musicalità delle strofe, dalle sue meravigliose descrizioni della natura, dominate dalla mutevolezza delle luci del cielo e soprattutto del mare, che sembrano riverberare le inquietudini interiori, le esultanze e le ombre dell’animo umano. Il linguaggio del cuore, quel dialetto gradese sincero, spontaneo, è una materia preziosa che lo scrittore plasma sapiente, per toccare ancor più nel profondo la sensibilità di chi legge… L’universo delicato e semplice, eppure metaforico che pervade l’opera di Biagio Marin sarà al centro di La vita xe fiama, che apre la stagione altripercorsi alla Sala Bartoli. Si tratta del riallestimento di un lavoro presentato per la prima volta nel 1992 e nato grazie all’interessamento critico di Roberto Damiani all’opera del poeta gradese. Scomparso recentemente, Damiani – che per lo Stabile regionale è stato uno stimato presidente oltre che una figura intellettuale di riferimento – riceve proprio attraverso questo spettacolo un sentito omaggio. Nella prima edizione fu Damiani infatti a selezionare gli scritti, articolandoli in un raffinato collage, che alterna pagine di 10 diari a liriche di straordinaria suggestione. Furio Bordon si assunse invece il compito di trovare le dinamiche sceniche per farne materia teatrale: un elegante scorrere d’immagini, le armonie calde e appassionate di un violoncello (lo strumento preferito da Marin), un’interpretazione attoriale di classe. Bordon ricreerà l’incanto di tale riflessione poetica firmando anche la nuova edizione dello spettacolo: il suo è un gradito ritorno, dopo le tante regie, gli anni di lavoro e i molti testi che ha donato al palcoscenico dello Stabile. A interpretare il recital è stato chiamato Massimo De Francovich anch’egli ospite assiduo al Politeama Rossetti: lo abbiamo apprezzato in prove eccellenti, come l’interpretazione di Paolo Borsellino in Essendo Stato di Cappuccio e quella impeccabile in Inventato di sana pianta di Broch. La sua intensità interpretativa, la sua espressività limpida ne fanno uno dei maggiori protagonisti delle nostre scene e renderanno ancor più palpitante il ritratto mariniano. La sua voce si armonizzerà alle note del violoncello del Maestro Zannerini, che percorrerà partiture di Bach, Tartini, Corelli e Schubert, mentre sullo sfondo trascoloreranno l’una nell’altra immagini del poeta e di quella laguna che è stata per lui il solo luogo della serenità, dell’ispirazione. Biagio Marin non ebbe in effetti un’esistenza quieta: nato a Grado nel 1891 rimane presto orfano di madre. Ventenne va a Firenze dove entra in contatto con l’ambiente letterario della “Voce”, e poi a Vienna. La prima guerra mondiale lo trova nuovamente a Firenze, sposato a Pina Martini, e poco incline a svolgere il servizio militare sotto l’Impero asburgico. Chiuso il lacerante periodo bellico si laurea a Roma in filosofia e intraprende l’insegnamento per abbandonarlo, in polemica col clero. Diventa dirigente dell’azienda balneare e di cure a Grado, ritorna all’insegnamento a Trieste per assumere infine il ruolo di bibliotecario alle Assicurazioni Generali. Lo colpisce duramente la morte del figlio Falco, ucciso in Slovenia nel 1943: negli anni successivi presiede il CNL a Trieste per fare poi definitivamente ritorno nella sua Grado. Ha pubblicato molte raccolte da Fiuri de tapo (1912), a Le litanie de la Madona (1947), da I canti dell’isola (1951), ai più recenti E anche el vento tase (1982) e Lontane rade (1985) edito nell’anno della morte: rattristato dai lutti familiari e dalla cecità, alla fine trova nella parola il “solo rifugio” ma con lo spirito rimane, come scrive Pasolini, «a fare tutt’uno col mare, col cielo, coi gabbiani, coi bambini, con le sabbie, con le paludi, col sole». (i.lu.) “La vita xe fiama” foto Francesco Bruni omaggio a Biagio Marin a cura di Roberto Damiani regia di Furio Bordon con Massimo De Francovich al violoncello Severino Zannerini Sala Bartoli dal 15 ottobre al 2 novembre 2008 durata 1h e 10’ senza intervallo 11 “altri percorsi” “La vita xe fiama” rimane in scena alla Sala Bartoli fino al 2 novembre Marin, il dialetto gradese è musica Il regista Furio Bordon confronta i due allestimenti dello spettacolo “Figio (…) tu sempre fermo in te la cassa, fermo sul siolo co’ la bala in fronte, i vogi verti che più no’ se abassa, che varda in maravegia l’orisonte.” In questi versi, nei quali Marin immagina il corpo del figlio ucciso in guerra da una pallottola al capo, c’è tutta la sua grandezza e la sua specificità di poeta. Uno sguardo da bambino, uno sguardo infantile e candido (“co’ la bala in fronte”), che al tempo stesso diventa inconsapevolmente crudele, come spesso è oggettivamente crudele la verità detta in modo innocente dai bambini. Del resto basta guardare il ritratto fotografico di Marin con cui apriamo e chiudiamo il nostro spettacolo, per rimanere sorpresi da quegli occhi infantili sgranati in un viso da vecchio. Della poesia di Marin incanta – da un punto di vista contenutistico – la semplicità e l’incapacità di mentire, e – da un punto di vista formale – la dolcissima musica del dialetto gradese. È un’alchimia così miracolosa e delicata che, a intervenire su di essa per farne uno spettacolo teatrale, si ha paura di guastarla. Il problema nasce naturalmente già prima dello spettacolo, fin dal montaggio drammaturgico del vasto repertorio di poesia e prosa poetica che costituisce la sua produzione. E devo dire che qui la sensibilità di Roberto Damiani è stata fondamentale. Perché Roberto, mio vecchio compagno di scuola, 12 possedeva, sepolta sotto lo strato dei suoi vizi minori e della sua erudizione, una sensibilità vulnerabile e dolce. Possedeva anche quel famoso “orrore di se stessi”, di cui la gente oggi ha smarrito non solo la pratica, ma finanche la conoscenza del significato. Lui lo esercitava abitualmente, con un’autoironia feroce che ti costringeva a dimenticare ogni altro punto di dissenso personale e a provare nei suoi confronti soprattutto simpatia. Abbiamo lavorato bene insieme, in quel lontano 1991. Eravamo tutti e due scrittori e tutti e due avevamo elaborato quella spregiudicatezza pragmatica di cui il lavoro sul palcoscenico (soprattutto nel mio caso) e quello radiofonico (soprattutto nel suo) arrichisce il mestiere di un autore. Io avvertivo alcuni segnali di necessità che il palcoscenico mi inviava, ne parlavo a Roberto, che subito li capiva, li condivideva, e cambiava di conseguenza, in modo rapido e puntuale, il suo montaggio drammaturgico. Il quale, però – vorrei qui ripeterlo – era già nato in una versione assolutamente felice, frutto dell’alleanza spirituale tra “il bambino Roberto” e “il bambino Biagio”. Il primo aveva ricostruito il mondo poetico e la biografia del secondo procedendo per associazioni allusive e sottili, alle volte per semplici suggestioni, rispondenti più a un’urgenza emozionale che a una logica strettamente narrativa: insomma, una tecnica di montaggio “poetica”, come la materia stessa su cui veniva esercitata. Oggi, a distanza di sedici anni, su richiesta del teatro Stabile che intende rendere omaggio non solo a Biagio Marin, ma anche al suo ex-presidente Roberto Damiani, mi ritrovo ad allestire nuovamente questo spettacolo. Che posso dire, molte cose sono cambiate, a partire dall’attore protagonista (allora Gastone Moschin, oggi Massimo De Francovich, due giganti comunque della scena italiana). È cambiata totalmente l’impostazione scenografica e, in parte, il corredo iconografico al testo. Il fascino del violoncello di Severino Zannerini è rimasto immutato, come sono rimaste immutate le difficoltà del commento per immagini e la bravura dei nostri tecnici. È aumentata invece, ma questa è una considerazione personale e ininfluente sullo spettacolo, la mia ammirazione per la poesia di Marin e la mia consapevolezza di quanto abbia contato l’apporto drammaturgico di Roberto Damiani. di Furio Bordon “La vita xe fiama” Roberto Damiani, autore, docente, politico e presidente del Teatro Stabile È dedicato alla sua memoria lo spettacolo inaugurale della Sala Bartoli Roberto Damiani nella sua casa di Trieste Roberto Damiani ha saputo dell’omaggio che il Teatro Stabile gli voleva dedicare riportando in scena il suo La vita xe fiama qualche giorno prima della sua morte avvenuta nel febbraio scorso. L’auspicio di tutti era quello di poterlo rivedere a teatro dopo l’addio (a dir la verità un po’ polemico e burrascoso) del settembre 2001, pochi mesi dopo la sua elezione a deputato. Della sua collaborazione in veste d’autore con il Rossetti Roberto andava molto fiero: negli anni in cui è stato presidente dello Stabile non perdeva l’occasione per segnalare che preferiva essere ricordato più per la sua opera di autore teatrale che per quella di uomo politico alla guida della più importante istituzione culturale regionale. Andò su tutte le furie quando scoprì che per una banale dimenticanza il suo testo non compariva nell’elenco delle produzioni dello Stabile pubblicato su ogni numero della collana “I Quaderni del Teatro”. Roberto Damiani con Vittorio Gassman al Politeama Rossetti La sua presidenza dello Stabile regionale ha lasciato un segno profondo: l’investitura arrivò nel 1993, pochi mesi dopo la sua nomina ad Assessore alla Cultura del Comune di Trieste. Fu sua l’intuizione di chiamare Antonio Calenda alla direzione del Teatro, e suo l’impulso decisivo alla ristrutturazione del Rossetti e al rilancio della sua funzione storica di Politeama, luogo nel quale possono convivere forme e generi di spettacolo anche molto diversi tra loro. È anche grazie al suo impegno che il Rossetti è diventato oggi uno dei più importanti teatri della scena nazionale. Prima di intraprendere la carriera politica, l’impegno di Damiani era stato quello di professore di letteratura contemporanea all’Università di Trieste: in quella veste aveva pubblicato parecchi libri, soffermandosi in particolare sugli autori dialettali triestini. Al lavoro accademico affiancava quello di sceneggiatore e opinionista radiofonico e televisivo, di autore teatrale e di presidente dell’International School of Trieste. Instancabile viaggiatore, ha visitato i paesi più lontani e avrebbe continuato le sue spedizioni intorno al mondo se non fosse stato fermato dal morbo di Parkinson. Una malattia che ha saputo affrontare con coraggio e dignità, esponendosi senza timori agli occhi dell’opinione pubblica e proseguendo l’attività politica fino all’ultimo. Come ha scritto in un testo affidato alla lettura di suo figlio Demetrio Filippo nella commemorazione del regista Mario Licalsi, “per oltre mezzo secolo mi sono rifugiato nella parola scritta e a essa ho demandato di elevare una siepe tra me e il mondo. Lo faccio ancor oggi, scusandomi con i convenuti per una debolezza che è più forte della mia debolezza di sempre”. Grazie alla magia del teatro, le parole scritte da Roberto Damiani, e prima di lui da Biagio Marin, riprendono oggi vita nell’interpretazione di Massimo De Franvocich. (s.cu.) 13 “danza & dintorni” Un grande evento internazionale inaugura il cartellone “danza e dintorni” Alvin Ailey, quando il gospel è danza La celebre compagnia newyorkese per la prima volta in scena a Trieste Bellezza, spirito, speranza e passione non conoscono limiti. È questo il principio di Ailey, è questa l’irrefrenabile carica di energia, armonia, gioia che travolgerà il pubblico del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia durante le esibizioni dell’Alvin Ailey American Dance Theatre. Dopo le due edizioni consecutive di Roberto Bolle & friends, dopo la Hubbard Street Dance Chicago, l’appuntamento di eccellenza con la danza vede protagonista l’Alvin Ailey American Dance Theater, senza dubbio una delle espressioni più alte della danza moderna. Nel 1958 Alvin Ailey presentò, con un gruppo di giovani ballerini di colore, delle coreografie a New York che avrebbero cambiato per sempre la danza americana. Da allora la Compagnia si è esibita davanti ad oltre 21 milioni di persone nei cinque continenti, ha intrapreso due storiche residenze in Sudafrica e, cosa mai vista per un ensemble di danza moderna, ha danzato sul palcoscenico del leggendario Teatro Mariinskij di San Pietroburgo. Quest’anno l’Alvin Ailey American Dance Theater, l’ambasciatore culturale dell’America nel mondo, festeggia il Cinquantesimo anniversario della sua missione, ovvero portare l’espressione culturale AfroAmericana e la danza moderna americana sui palcoscenici di tutto il mondo. E proprio nell’ambito di questo tour del 14 cinquantenario si inseriscono le date che portano sul palcoscenico del Politeama Rossetti la celeberrima compagnia: un appuntamento di raro prestigio e appeal. E di grande rilevanza è anche il programma che – sotto la guida dell’attuale direttrice Judith Jamison – i danzatori presenteranno a Trieste. Vi sono inserite coreografie di fama assoluta, come Revelations, un capolavoro di Ailey che si conferma senza dubbio il più visto al mondo e altre, tutte di straordinaria bellezza, come Night Creature, concepita da Ailey sulle musiche di Duke Ellington, Unfold firmata da Robert Battle e Love stories, creazione di Judith Jamison a cui Alvin Ailey – al momento della sua prematura scomparsa nel 1989 – ha affidato il futuro e la guida della Compagnia. Nato a Rogers nel Texas il 5 gennaio 1931, Alvin Ailey si è avvicinato alla danza grazie alle rappresentazioni della Katherine Dunham Dance Company e ai Ballets Russes di Montecarlo. Ha iniziato a studiare danza grazie alla sua amica Carmen de Lavallade che lo ha invitato a seguire le lezioni di Lester Horton, pioniere della danza moderna. Le sue prime esperienze come coreografo traevano ispirazione dai ricordi del suo Texas: il blues, i canti religiosi e il gospel. Così è nata nel 1960 la sua coreografia più famosa e più acclamata dalla critica: Revelations. Nella sua parabola artistica, ha creato ben 79 coreografie ma non ha mai imposto alla sua Compagnia l’esclusività del repertorio. Pertanto, oggi la Compagnia presenta le coreografie del passato e ne commissiona costantemente delle nuove. In totale, oltre 200 opere di più di 70 coreografi sono state rappresentate dall’Alvin Ailey American Dance Theater: un numero che certo è destinato a crescere. A dirigere la Compagnia è ora Judith Jamison, designata a tale ruolo dal suo mentore, del quale persegue i principi, dedicandosi ad affermare e promuovere l’importanza delle arti nella nostra cultura. Si dedica inoltre – come il suo predecessore – alla scoperta di nuovi coreografi di talento anche all’interno della Compagnia stessa ed è estremamente impegnata nel promuovere la missione di Ailey: la danza come mezzo per onorare il passato, celebrare il presente e coraggiosamente guardare al futuro. Nata a Philadelphia, ha studiato con Marion Cuyjet, e scoperta da Agnes de Mille ha debuttato nel 1964 con l’American Ballet Theatre. Nel 1965 è entrata a far parte dell’Alvin Ailey American Dance Theater con il quale ha danzato per quindici anni ottenendo sempre un grande successo, ma è stata anche una ammirata artista ospite in ensemble prestigiosi e le sue coreografie sono molto richieste e applaudite. (i.lu.) Alvin Ailey American Dance Theater Judith Jamison Direttore Artistico Masazumi Chaya Direttore Artistico Associato Politeama Rossetti dal 18 al 19 ottobre 2008 durata 2h con due intervalli Judith Jamison - foto © Jack Mitchell 1976 ATTENZIONE! La Compagnia non consente l’ingresso in sala dei ritardatari fino al termine del numero coreografico 15 “danza & dintorni” NIGHT CREATURE da “Ailey Celebrates Ellington” (1974) “Night creatures, unlike stars, do not come OUT at night they come ON, each thinking that before the night is out he or she will be the star.” Duke Ellington coreografia di Alvin Ailey musica di Duke Ellington (“Night Creature”)* costumi originali di Jane Greenwood ripresa costumi Barbara Forbes luci di Chenault Spence Night Creature è un’allegra e vivace celebrazione della musica di Duke Ellington. Evocando il movimento animale istintivo, questo balletto inerente i riti della vita notturna usa lenti passi jazz, boogie woogie e arabesques per creare particolari configurazioni e stili. Con la sua stupefacente bravura, la Compagnia fluttua e si diverte al ritmo notturno del jazz di Ellington. il progr dolcezza e l’estasi dell’aria di Gustave Charpentier cantata dalla grande Leontyne Price. Con la sua grazia fluida, questa gemma esemplifica il talento del coreografo nel creare una gestualità sfumata e un vivace vocabolario visivo. Questa nuova produzione è stata possibile grazie a una generosa donazione di Elma Linz Kanefield. Robert Battle si è diplomato alla New World School of the Arts e in danza alla Julliard. Come membro della Parsons Dance Company (1994-2001), ha iniziato a montare le sue coreografie con la Compagnia nel 1998. Le sue coreografie sono state presentate dalla Parsons Dance Company per ben cinque stagioni a New York. Ha fondato la Battleworks Dance Company nel 2001. La Compagnia si è esibita a New York al Joyce Theater, alla St. Mark’s Church, all’Evening Stars, al Julliard Theater e al Dance Theater Workshop. Gli sono state commissionate nuove coreografie e chiesto di rimontare il repertorio della Battleworks da diverse compagnie, quali l’Alvin Ailey American Dance Theater, l’Ailey II, il Dallas Black Dance Theater e PARADIGM. Nel 2005 Robert Battle è stato insignito della medaglia “Masters of African-American Choreography” al Kennedy Center for the Performing Arts. Ha creato la coreografie intitolate Juba e Unfold per l’Alvin Ailey American Dance Theater. photo by Andrew Eccles * Louise, Atto III, Dupuis Le Jour interpretata da Leontyne Price, composta da Gustave Chapentier, su gentile concessione di SONY BMG MASTERWORKS e SONY BMG MUSIC ENTERTAINMENT Questa produzione è stata resa possibile, in parte, grazie a una donazione della Ford Foundation e dai fondi pubblici del National Endowment for the Arts. Nato a Washington, DC nel 1899, compositore americano, pianista e leader di gruppi jazz, Duke Ellington è una delle figure più influenti della storia della musica. Nei primi anni ‘30 il suo gruppo è diventato famoso come il leggendario Cotton Club di Harlem. Successivamente, il gruppo musicale è stato in tournée negli Stati Uniti e nel mondo. “The Duke” ha scritto più di 900 composizioni prima della sua morte nel l974; tra queste, i classici Mood Indigo, Solitude, Caravan, Sophisticated Lady, Black, Brown, and Beige. Tintura dei tessuti per i costumi di Elissa Tatigikis Iberti *su concessione di G. Schirmer, Inc., editore e copyright. UNFOLD (2005) coreografia di Robert Battle assistente del coreografo Kanji Segawa musica di Leontyne Price* costumi di Jon Taylor, luci di Lynda Erbs Il vorticoso e sensuale passo a due di Robert Battle evoca la 16 - intervallo - ramma Alvin Ailey stati forniti da The Harkness Foundation for Dance; NJPAC Alternate Routes, New Jersey Performing Arts Center; Elaine e Stephen Wynn; Camille O. e William H. Cosby; Laren e Jesse Brill. Lorenzo (Rennie) Harris è nato e cresciuto nella comunità AfroAmericana di North Philadelphia. Dall’età di 15 anni ha tenuto workshop e classi in diverse università del paese ed è un influente portavoce dell’importanza delle origini di “strada” della danza. Nel 1992 ha fondato Rennie Harris Puremovement, una compagnia di danza hip-hop impegnata nel preservare e divulgare la cultura hip-hop attraverso workshop, classi, lecture demonstration, residenze a lungo termine, programmi di mentorato artistico e rappresentazioni. La Compagnia ha intrapreso numerose tournée in tutto il mondo. Rennie Harris si dedica a varie tecniche hip-hop, tra le quali B-boy, house dancing e stepping e a tutti quegli stili che nascono spontaneamente dagli ambienti urbani americani. Ha quindi portato queste danze sociali sul palcoscenico creando uno stile unico che ben si adatta al mondo del teatro. Considerato una delle figure più influenti nella storia di Philadelphia degli ultimi cento anni, ha vinto un Herb Alpert Award in the Arts. LOVE STORIES (2004) coreografia di Judith Jamison con Robert Battle e Rennie Harris assistente di Rennie Harris Nina Flagg musica di Stevie Wonder composizione originale scritta e prodotta da Darrin Ross costumi di Susan Hilferty assistente ai costumi Maiko Matsushima luci e ideazione visiva di Al Crawford Love Stories, dinamica collaborazione di Judith Jamison con il pioniere hip-hop Rennie Harris e lo spirito libero della danza moderna Robert Battle, si ispira a Sankofa, la parola Akan che significa “tornare indietro” (Sanko) e “prendere” (fa). - intervallo REVELATIONS (1960) coreografia di Alvin Ailey musica tradizionale scene e costumi di Ves Harper costumi per “Rocka My Soul” ridisegnati da Barbara Forbes luci di Nicola Cernovitch Alvin Ailey diceva che uno dei più preziosi tesori dell’America era l’eredità culturale degli Afro-Americani - ”a volte triste, a volte esultante ma sempre ricca di speranza.” Questo classico è un tributo a quell’eredità e al genio di Ailey. Grazie alla musica religiosa Afro-Americana - spirituals, sermoni cantati, gospel e holy blues – questa suite esplora il dolore più profondo e la gioia sacra dell’anima. photo by Andrew Eccles photo by Andrew Eccles Love Stories è stata creata grazie all’Ailey New Works Fund, con il sostegno di Altria Group, Inc. Questa coreografia è stata realizzata grazie al sostegno dell’Ailey New Choreography Initiative, sponsorizzata da AT&T. Love Stories è stata realizzata grazie al sostegno della Ford Foundation. La coreografia è stata realizzata grazie al generoso supporto del Fred Eychaner New Works Endowment Fund, dei Kansas City Friends of Alvin Ailey e dal Sara & Bill Morgan New Works Endowment Fund. Ulteriori fondi per la creazione di Love Stories sono *Musica su gentile concessione di Stevie Wonder dalla raccolta – Stevie Wonder At The Close of A Century; “Fingertips” (Clarence Paul-Henry Cosby) – pubblicato da Jobete Music Inc. & Stone Agate Music, EMI Music Publishing; “If It’s Magic” & “Another Star” (Stevie Wonder) – pubblicato da Black Bull Music Inc. & Jobete Music Inc., EMI Music, 1999 Motown Record Company. L.P. Tutte le rappresentazioni di Revelations sono finanziate da una generosa donazione di Donald L. Jonas per celebrare il compleanno di sua moglie Barbara e il suo profondo impegno per l’Alvin Ailey American Dance Theater. Le eventuali variazioni al programma saranno comunicate con avvisi nel foyer del Teatro. 17 “danza & dintorni” OLIVIA BOWMAN (Brooklyn, NY) si è diplomata alla LaGuardia High School of the Performing Arts. Ha vinto una borsa di studio alla North Carolina School of the Arts ed è stata una studentessa borsista alla Ailey School. Ha fatto parte di Donald Byrd/The Group e di Complexions. È entrata a far parte della Compagnia nel 2001. KIRVEN J. BOYD (Boston, MA) ha iniziato a studiare danza alla Boston Arts Academy ed è entrato a far parte dei Boston Youth Moves nel 1999 diretto da Jim Viera e Jeannette Neill. Ha studiato al Conservatorio di Boston e, come borsista, alla Ailey School. Ha ballato con la Battleworks Dance Company, la Parsons Dance Company e l’Ailey II. È entrato a far parte della Compagnia nel 2004. HOPE BOYKIN (Durham, NC) ha ricevuto per ben tre volte la Young Tuition Scholarship dell’American Dance Festival. Ha frequentato la Howard University e ha danzato con la Lloyd Whitmore’s New World Dance Company a Washington, DC. È stata una studentessa dell’Ailey School. È stata assistente di Talley Beatty e uno dei primi membri di Complexions. Hope Boykin ha fatto parte di Philadanco ed è stata insignita del Premio “Bessie”. Nel 2005 ha creato la coreografia intitolata Acceptance in Surrender in collaborazione con Abdur-Rahim Jackson e Matthew Rushing per l’Alvin Ailey American Dance Theater. È entrata a far parte della Compagnia nel 2000. CLIFTON BROWN (Goodyear, AZ) ha iniziato a studiare danza in varie scuole, quali la Take 5 Dance Academy, il Ballet Arizona, la New School for the Arts e l’Ailey School, dove ha preso parte all’Ailey/Fordham BFA Program in Dance. È stato insignito del Donna Wood Foundation Award e del Level 1 ARTS Award del National Foundation for Advancement in the Arts e nel 2005 è stato candidato in Gran Bretagna al Critics Circle National Dance Award come miglior ballerino. Nel 2007 ha ricevuto un Bessie Award per il suo impegno con l’Alvin Ailey American Dance Theater. Ha danzato con Diversity of Dance di Earl Mosley e come ballerino ospite con il Miami City Ballet. È entrato a far parte della Compagnia nel 1999. ANTHONY BURRELL (Filadelfia, PA) ha iniziato a studiare danza al Point Breeze Performing Arts Center all’età di 12 anni. Successivamente, ha studiato in varie istituzioni tra i quali Philadanco, Pennsylvania Ballet, la University of the Arts e l’Ailey School. Come ballerino e coreografo, Anthony Burrell ha lavorato con vari artisti quali Beyoncé, Destiny’s Child e Rihanna e ha partecipato a numerose pubblicità, video e film. Ha fatto parte di 18 Ailey II e ha vinto la medaglia d’oro alla NAACP ACT-SO Competition in Dance. È entrato a far parte della Compagnia nel 2000. COURTNEY BRENÉ CORBIN (Brentwood, TN) è nata a Overland Park, KS. Ha iniziato a studiare danza al Ballet Oklahoma per poi continuare i suoi studi al Dancenter North e alla scuola del Nashville Ballet. Ha anche girato un episodio-pilota per Nickelodeon e ha fatto la modella per la rivista Harper’s Bazaar/Japan. Nel maggio 2004 si è diplomata all’Ailey/Fordham B.F.A. Program in Dance. Ha fatto parte dell’Ailey II ed è entrata a far parte della Compagnia nel 2005. ROSALYN DESHAUTEURS (New Orleans, LA) ha studiato al New Orleans Center for Creative Arts. Ha studiato al Perry Mansfield, alla School of the American Ballet e all’Ailey School. Dopo essersi diplomata alla Juilliard School, ha fatto parte dell’Ailey II. È entrata a far parte della Compagnia nel 2000. KHILEA DOUGLASS (Baltimora, MD) ha studiato danza al Dance Theatre of Harlem, alla Baltimore School for the Arts e all’Ailey School come borsista. Ha danzato con il Lula Washington Dance Theatre e con l’Ailey II. È entrata a far parte della Compagnia nel 2005. ANTONIO DOUTHIT (St. Louis, MO) ha iniziato a studiare danza all’età di 16 anni al Center of Contemporary Arts diretto da Lee Nolting e all’Alexandra School of Ballet. Ha studiato anche alla North Carolina School of the Arts, alla Joffrey Ballet School, al San Francisco Ballet e alla Dance Theatre of Harlem School. Dopo essersi diplomato nel 1999, è entrato a far parte del Dance Theatre of Harlem dove ha interpretato South African Suite, Dougla, Concerto in F, Return e Twist di Dwight Rhoden. È stato nominato ballerino solista nel 2003. Ha danzato anche con Les Grands Ballets Canadiens di Montreal. È entrato a far parte della Compagnia nel 2004. VERNARD J. GILMORE (Chicago, IL) ha iniziato a studiare danza alla Curie Performing and Creative Arts High School di Chicago e, successivamente, al Joseph Holmes Chicago Dance Theater con Marquita Levy, Harriet Ross e Emily Stein. Ha frequentato il Barat College come borsista e ha vinto la NAACP ACT-SO Competition di danza nel 1993; grazie ad una borsa di studio, ha studiato alla Ailey School. È anche insegnante, coreografo ed ex-membro dell’Ailey II. È entrato a far parte della Compagnia nel 1997. ABDUR-RAHIM JACKSON (Filadelfia, PA) si è diplomato alla Franklin Learning Center High School e alla Juilliard School. Ha vinto una borsa di studio del Freedom Theatre, della Philadanco, del Dance Theatre of Harlem, del Boston Ballet e dell’Ailey School. Ha vinto il Marion D. Cuyjet Award e ha preso parte nel 2003 al documentario della PBS “American Masters” intitolato Juilliard. Ha danzato con l’Ailey II nel 2000 ed è entrato a far parte della Compagnia nel 2001. CHRIS JACKSON (Chicago, IL) ha studiato allo Stairway of the Stars dance studio. Nel 1998 ha iniziato a studiare danza alla Chicago Academy for the Arts High School diretta da Anna Paskevska e Randy Duncan. Successivamente, ha studiato all’Ailey School grazie alla 2001-2002 Alvin Ailey Fellowship. Da studente, ha lavorato con la River North Dance Chicago ed ha fatto parte dell’Ailey ll. È entrato a far parte della Compagnia nel 2004. GWYNENN TAYLOR JONES (Berlin, PA) ha iniziato a studiare danza al Pittsburgh Youth Ballet all’età di 13 anni. Ha continuato i suoi studi alla Ballet Met Dance Academy di Columbus. Si è trasferita a New York dove ha studiato alla Ailey School come borsista per poi entrare a far parte dell’Ailey II. Ha danzato con l’Earl Mosley Diversity of Dance, la Fred Benjamin Dance Company, il Cedar Lake Ensemble ed ha interpretato la coreografia di George Faison per Aretha Franklin. È entrata a far parte della Compagnia nel 2004. WILLY LAURY (Parigi, Francia) ha iniziato a studiare danza al Janine Stanlowa Institute de Danse e allo Studio Harmonic di Parigi. Si è trasferito a New York dove ha continuato a studiare danza al SUNY Purchase, alla Juilliard School e all’Ailey School dove ha interpretato le coreografie di Judith Jamison, Alan Barnes e Matthew Rushing. Ha preso parte al film Ever After ed è apparso sulle riviste Vogue (edizione italiana) e Nylon Magazine. Ha lavorato anche con la fotografa Maria Elena Giuliani di “Men’s Health” ed ha fatto parte dell’Ailey II. È entrato a far parte della Compagnia nel 2004. photo by Andrew Eccles GUILLERMO ASCA (Rego Park, NY), detto “Moe”, si è diplomato alla LaGuardia High School of the Performing Arts. Ha studiato come borsista all’Ailey School e ha danzato con l’Ailey II, il Ballet Metropolitano de Caracas, il Ballet Hispanico, Dance Compass, lo Shapiro & Smith and Foot Prints Dance Project. È entrato a far parte della Compagnia nel 1994. YANNICK LEBRUN (Cayenne, Guyana Francese) ha iniziato a studiare danza nel suo paese nativo alla Adaclam School diretta da Jeanine Verin. Dopo il diploma nel 2004, si è trasferito a New York City per studiare alla Ailey School come borsista. Ha interpretato le coreografie di Troy Powell, Matthew Rushing, Abdur-Rahim Jackson, Debbie Allen, Scott Rink, Thaddeus Davis, Nilas Martins e Dwight Rhoden e ha danzato Modo Alvin Ailey MALIK LE NOST (Parigi, Francia) ha iniziato a studiare danza nel sud della Francia al Dance Energy. Dopo essersi diplomato, ha continuato a studiare al Conservatoire National de Musique de Danse di Parigi. Ha lavorato in televisione con Mariah Carey, con Redha e Kamel Ouali in vari musical e con Jean Paul Goude in uno spot commerciale. Nel 2005 si è trasferito a New York dove ha studiato alla Ailey School come borsista. Ha fatto parte dell’Ailey II. È entrato a far parte della Compagnia nel 2006. ROXANNE LYST (Annapolis, MD), ha iniziato a studiare danza a Washington, DC con Alfred Dove e Adrian Bolton. Ha continuato i suoi studi al Jacob’s Pillow, alla Pennsylvania Academy of Ballet e, come borsista, alla Ailey School. Ha fatto parte dell’Ailey II e di Philadanco. È entrata a far parte della Compagnia nel 2004. AMOS J. MACHANIC, JR. (Miami, FL) ha studiato danza alla New World School of the Arts per poi continuare alla Ailey School come borsista. Ha fatto parte dell’Ailey II ed è entrato a far parte della Compagnia nel 1996. RACHAEL MCLAREN (Manitoba, Canada) ha iniziato a studiare danza alla Royal Winnipeg Ballet School. Dopo il diploma, è entrata a far parte del cast di Mamma Mia! a Toronto. Successivamente, si è trasferita a New York per studiare alla Ailey School come borsista ed ha poi fatto parte di Ailey II. Ha interpretato le coreografie di Karole Armitage, Dwight Rhoden, Francesca Harper e Nilas Martins. È entrata a far parte della Compagnia nel 2008. AISHA MITCHELL (Syracuse, NY) ha iniziato a studiare danza all’Onondaga Dance Institute, al Dance Centre North e alla Tony Salatino of Syracuse University. Ha studiato al North Carolina Dance Theater, alla Lines Ballet School, alla Joffrey Ballet School e alla Ailey School come borsista. Ha partecipato all’Ailey/Fordham B.F.A. Program in Dance e ha fatto parte dell’Ailey II. Ha interpretato le coreografie di Alonzo King, Dwight Rhoden, Debbie Allen, Sean Curran e Nacho Duato. Ha vinto la medaglia di bronzo alla NAACP National ACT-SO competition nel 2001. È entrata a far parte della Compagnia nel 2008. AKUA PARKER (Kinston, NC) ha iniziato a studiare danza all’età di tre anni. Nel 2000 è entrata a far parte del Dance Theatre of Harlem dove ha interpretato i ruoli principali in Giselle, Agon e The Four Temperaments. Ha poi danzato con il Cincinnati Ballet e il Ballet San Jose. Ha avuto l’opportunità di esibirsi in tutto il mondo e il piacere di lavorare con icone leggendarie quali Fredric Franklin e Geoffrey Holder. È entrata a far parte della Compagnia nel 2008. BRIANA REED (St. Petersberg, FL) ha iniziato a studiare danza all’Academy of Ballet Arts e al Pinellas Country Center for Arts. Ha studiato anche alla Ailey School come borsista. Nel 1997 si è diplomata alla Juillard School ed ha fatto parte dell’Ailey II. È entrata a far parte della Compagnia nel 1998. JAMAR ROBERTS (Miami, FL) si è diplomato alla New World School of the Arts. Ha studiato al Dance Empire di Miami e, come borsista, alla Ailey School. Ha fatto parte dell’Ailey II ed è entrato a far parte della Compagnia nel 2002. RENEE ROBINSON (Washington, DC) ha iniziato a studiare danza classica alla Jones-Haywood School of Ballet. È stata insignita di due borse di studio della Ford Foundation per entrare alla School of the American Ballet, di una borsa di studio per la Dance Theatre of Harlem School e per l’Ailey School. Nel 2003 ha danzato alla Casa Bianca in occasione della cena di stato in onore del Presidente del Kenya, Mwai Kibaki. Ha fatto parte dell’Ailey II ed è entrata a far parte della Compagnia nel 1981. MATTHEW RUSHING (Los Angeles, CA) ha iniziato a studiare danza alla Los Angeles County High School for the Arts. È stato insignito dello Spotlight Award ed è stato candidato a una Presidential Scholar in the Arts. Ha studiato alla Ailey School di New York per poi entrare a far parte dell’Ailey II, con il quale ha danzato per un anno. Durante la sua carriera, ha danzato come ballerino ospite in numerosi gala in Francia, Russia, Canada e Ungheria e si è esibito per il Presidente Bill Clinton in occasione del suo insediamento. Nel 2003 ha danzato alla Casa Bianca in occasione della cena di stato in onore del Presidente del Kenya, Mwai Kibaki. È entrato a far parte della Compagnia nel 1992. GLENN ALLEN SIMS (Long Branch, NJ) ha iniziato a studiare danza all’Academy of Dance Arts di Red Bank, NJ. Ha studiato come borsista all’Ailey School e si è esibito al Garden State Arts Center’s Talent Expo nel 1993. Ha frequentato la photo by Andrew Eccles Fusion con il Francesca Harper Project. Ha fatto parte dell’Ailey II. È entrato a far parte della Compagnia nel 2008. Juilliard School diretta da Benjamin Harkarvy ed ha interpretato le coreografie di Glen Tetley, Paul Taylor e Lila York. Ha danzato per il re del Marocco le coreografie di Fred Benjamin e si è esibito con l’Urban Dance Theater e il Creative Outlet Dance Theater di Brooklyn. Nel 2004 è stato inserito nella Alumni Hall of Fame della Long Branch High School. È entrato a far parte della Compagnia nel 1997. LINDA CELESTE SIMS (Bronx, NY) ha iniziato a studiare danza alla Ballet Hispanico School of Dance e si è diplomata alla La Guardia High School of the Performing Arts. Ha vinto un Presidential Scholar Award della National Foundation for Advancement in the Arts. Duranti le estati 1993 e 1994 ha studiato come borsista alla Pennsylvania Ballet School. Ha danzato con El Piccalo Theatro de la Opera e con il Ballet Hispanico. È entrata a far parte della Compagnia nel 1996. YUSHA-MARIE SORZANO (Miami, FL) è originaria di Trinidad. Ha iniziato a studiare danza alla New World School of the Arts, al Miami Conservatory e al Dance Theatre of Harlem. Ha partecipato all’Ailey/Fordham B.F.A. Program in Dance ed ha fatto parte dell’Ailey II. Ha danzato con Nathan Trice/Rituals, TU Dance (Direttori Artistici: Uri Sands e Toni Pierce-Sands) ed ha fatto parte di Complexions. Si è esibita anche con artisti pop quali Destiny’s Child e Rihanna. È entrata a far parte della Compagnia nel 2007. CONSTANCE STAMATIOU (Charlotte, NC) ha iniziato a studiare danza al Pat Hall’s Dance Unlimited e al North Carolina Dance Theatre. Nel maggio 2002 si è diplomata alla Northwest School of the Arts e ha studiato al SUNY Purchase prima di studiare come borsista alla Ailey School. Ha fatto parte dell’Ailey II ed è entrata a far parte della Compagnia nel 2007. TINA MONICA WILLIAMS (Elizabeth, NJ) ha iniziato a studiare danza alla scuola di ballo locale diretta da Michele Selvanto-Kowalski. Nel 1994 ha studiato alla Ailey School, vincendo una borsa di studio dopo appena un anno. Ha danzato con la Footprints Dance Company, il Millennium Project, la Shore Ballet Company ed è stata invitata a danzare in Italia nel 1994 nell’ambito di un programma di scambio culturale. Nel 1998 è stata invitata a far parte dell’Ailey II. È entrata a far parte della Compagnia nel 2000. MARCUS JARRELL WILLIS (Houston, TX) ha iniziato a studiare danza alla Johnston Performing Arts Middle School, alla High School for the Performing and Visual Arts e al Discovery Dance Group di Houston, Texas. A 16 anni si è trasferito a New York dove ha studiato alla Ailey School come borsista. È stato insignito del Level 1 ARTS Award dal National Foundation for the Advancement in the Arts ed ha vinto numerose borse di studio, tra le quali quella della Juilliard School. Ha fatto parte dell’Ailey II e ha lavorato anche con il Pascal Rioult Dance Theater, il Dominic Walsh Dance Theater e la Tania Pérez-Salas Compañía de Danza. È entrato a far parte della Compagnia nel 2008. 19 Foto E. S. Ummarino UN CAFFÈ ESPRESSO COME NON L’AVETE MAI VISTO. NÉ GUSTATO. NÉ IMMAGINATO. IL METODO Un espresso eccellente è fatto di 6,7 grammi di ottima miscela, e di temperatura, pressione, tempi esatti: l’arte del barista. illy ha tradotto tutto questo in un metodo fondato su una capsula protetta da cinque brevetti. I risultati sono sorprendenti. La consistenza è incredibilmente vellutata, l’aroma straordinariamente intenso. La crema, sempre densa e persistente, si forma dentro, e non sopra il caffe: merito della capsula, che lavora per infusione ed emulsione. Il metodo Iperespresso è semplice anche per chi non ha mai fatto un caffe in vita sua. Lo trovate nei migliori bar illy e negozi di design, da Media World e su www.iperespresso.it caféRossetti news Gli appuntamenti Le novità 2008-2009 Giovedì 23 ottobre dalle ore 21.30 Teatro a Tavola @ 25 euro Jazz Session on Stage 3 portate & 3 bicchieri & acqua & caffè se l’acquisto avviene contestualmente a quello dei biglietti per lo spettacolo Vino in abbonamento Rudy Linka Trio dal Blue Note di New York City primadurante&dopoteatro aperto dal martedì al sabato dalle 18 all’una offerta riservata agli abbonati del Rossetti. Se prenoti in anticipo la tua cena al cafè Rossetti il vino in abbinamento ai piatti lo offriamo noi I nostri vini Vuoi portarti a casa un vino della nostra cantina? Ti costa il 20 per cento in meno! informazioni e prenotazioni 040-578882 040-3593528 [email protected] lo staff del cafè Rossetti 360° anche a casa tua news diretto da Antonio Calenda È stato lo spettacolo più visto della passata stagione teatrale Biglietto d’oro per “Vita di Galileo” Il Teatro Stabile ha ricevuto il prestigioso riconoscimento a Spoleto Vita di Galileo di Bertolt Brecht, lo spettacolo prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con il Teatro de Gli Incamminati, diretto da Antonio Calenda e interpretato da Franco Branciaroli, ha vinto il Biglietto d’Oro come spettacolo italiano con maggior successo per la Stagione 2007-2008. Il prestigioso riconoscimento, assegnato dal Comitato d’Onore per i Biglietti d’Oro Agis-Eti sulla base dei dati Agis relativi alla presenza di pubblico in tutti i teatri italiani è stato conferito lo scorso 11 luglio in una cornice di assoluto rilievo per il mondo del teatro e della cultura nazionale: il Festival dei Due Mondi di Spoleto. Alla premiazione sono intervenute autorità e rappresentanti di istituzioni ed enti nazionali, primo fra tutti il Ministro per i Beni e le Attività culturali Sandro Bondi. Il premio Biglietti d’oro per il teatro nasce su iniziativa dell’Agis nel 1984 e si svolge fino al 1997 prima al Teatro Antico di Taormina, poi a Roma, al Teatro Quirino, e infine a Parma, al Teatro Farnese e al Teatro Regio. Tutte le edizioni hanno avuto ampia eco mediatica e una partecipazione di artisti, autori e registi ai massimi livelli del teatro italiano. Significativa anche la larga presenza di pubblico. Dopo un periodo di sospensione, i Biglietti d’oro vengono riassegnati per la stagione 2007-08 su impulso del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. 22 Al via a Londra le prove di Rocky Horror Lo spettacolo debutta il 31 ottobre a Berlino Hanno preso il via nei giorni scorsi a Londra le prove del Rocky Horror Show, il musical di Richard O’Brian che debutterà il prossimo 31 ottobre all’Admiralpalast di Berlino e che sarà in cartellone al Rossetti dal 1° al 5 aprile 2009. Il musical, che va in scena sotto la diretta supervisione dell’autore, è diretto da Sam Buntrock, regista di assoluto prestigio candidato quest’anno al Tony Award per la sua memorabile edizione di Sunday in the Park with George di Stephem Sondheim, andato in scena prima a Londra e poi a Broadway. Protagonisti dello spettacolo saranno l’inglese trapiantato a Vienna Rob Fowler (già applaudito protagonista tre stagioni or sono del concerto Musical Christmas from Vienna), che interpreterà il ruolo di Frank’n’Furter e Ceri-Lyn Cissone in quello di Janet. Il tour europeo dello spettacolo toccherà quest’anno, oltre a Trieste e Berlino, Vienna, Zurigo, Düsseldorf, Monaco di Baviera e Francoforte. un assaggio della prossima stagione “Mamma Mia!”, tutti in fila al cinema Il film è campione d’incassi dell’ultimo weekend Debutto di successo al cinema per MAMMA MIA!, il film tratto dall’omonimo musical che sarà in scena al Rossetti dal 22 aprile al 3 maggio 2009 nell’edizione originale di Londra e New York. Nel primo weekend di uscita il film ha conquistato il 25 per cento del pubblico cinematografico italiano con 287.476 presenze e un incasso di quasi 2 milioni di euro. E notevole è stato il successo della prima giornata a Trieste, che ha visto il Teatro Stabile collaborare con il Cinema Nazionale per le prime quattro Periodico del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia redazione Viale XX Settembre, 45 34126 Trieste tel. 040-3593511 fax 040-3593555 www.ilrossetti.it [email protected] Anno XVI - numero 158 8 ottobre 2008 Aut. Tribunale di Trieste n° 846 del 30.7.1992 stampa Stella Arti Grafiche,Trieste direttore responsabile Stefano Curti redazione Ilaria Lucari, Ivis Lasagna proiezioni, alle quali gli abbonati del Rossetti hanno potuto assitere a prezzo speciale. Particolarmente affollata è stata la proiezione delle ore 20.15, al termine della quale il pubblico ha salutato il film con un vero e proprio applauso! L’edizione cinematografica di MAMMA MIA!, magistralmente interpretata da Meryl Streep, Pierce Brosnan, Colin Firth, Julie Walters e Christine Baranski è stata prodotta e realizzata dallo stesso team creativo che ha reso il musical teatrale un successo planetario: la regia cinematografica, come quella teatrale, è di Phyllida Lloyd, la sceneggiatura è adattata dal libretto di Catherine Johnson, mentre le coreografie sono di Anthony Van Laast. Il film resterà in programmazione nelle sale cinematografiche cittadine anche nelle prossime settimane: ricordiamo nell’occasione che agli abbonati del Rossetti vengono praticate condizioni di favore nei cinema del gruppo EGM (4,50 euro per tutte le proiezioni dal lunedì al venerdì; 4 euro al martedì, escluso festivi). I biglietti per il musical, che in Italia andrà in scena soltanto al Rossetti di Trieste e al Teatro degli Arcimboldi di Milano, saranno in vendita a partire da martedì 16 dicembre. Gli abbonati stelle potranno prenotare i biglietti dal 9 dicembre. la lettera Essere o non essere spettatori consapevoli Da Peter Pan a Masaniello, dal musical alla prosa, da Rossini a Bennato, dalla prima alla terza media. Eravamo così piccoli nelle grandi poltrone azzurre del Rossetti, con tutti quegli adulti davanti che ci oscuravano la visuale. E per quanto ci piacesse lo spettacolo, per quanto felici fossimo di essere lì con i nostri amici, più di tanto non potevamo capire quello che veramente voleva trasmettere la commedia, ammaliati solo dalle luci e dalla musica. A teatro... noi ragazzi, con altri ragazzi al posto dei soliti fratelli, con professori come genitori... è diverso, è strano, è un’esperienza nuova, nuova... ma bella. Dalla prima alla terza media tanto è cambiato. I professori che in prima appena conoscevamo e che chiamavamo, inciampando nell’ombra del ricordo delle elementari “maestri” con troppa confidenza, ora sono così strani nelle vesti di persone al nostro stesso livello, semplici adulti da chiamare pur sempre professori ma con cui scambiare quattro chiacchiere e qualche opinione. È così strano non vederli dietro alle loro cattedre e ai loro registri ma sentirli più simili a genitori che a insegnanti. È nata un’atmosfera insolita e quando ritorniamo a scuola, il giorno dopo, è tutto diverso, tutto più scuro e cupo; l’atmosfera magica della cupola stellata è sparita... il soffitto è grigio, le lampade al neon brillano di un alone opaco; gli insegnanti sono tornati insegnanti e noi siamo tornati dietro i nostri banchi... Ma un paio di forbici, una colla e un cartoncino sono la nostra porta verso il ricordo del teatro. Jekyll e Hyde e I due gemelli veneziani ricominciano a guardarci dalle immagini che occhieggiano sui corridoi. Il teatro è arrivato anche a scuola! Poi aspettiamo nuovamente quell’istante della lezione, in cui la professoressa ci lascia uno scintillante biglietto blu in mano, quando ci dice “a stasera allora ragazzi! Puntuali mi raccomando!” Ritrovo alle 8:30 all’entrata principale del teatro. Ed essere puntuali per le ragazze è un vero suicidio: bisogna prepararsi con circa tre ore d’anticipo, per poi riuscire a truccarsi in solo due ore! Ma cos’è veramente il teatro per noi? Non è solo un modo per farsi vedere con abiti sfarzosi o acconciature per cui hai lavorato ore. È diventato quasi uno svago per noi giovani, un momento da passare con gli amici, scambiandoci opinioni sul secondo atto e su quanto sia originale l’ellissi della scena cruciale. E quando tutte le sedie sono state occupate, quando le luci si spengono e il soffitto si accende di stelle, quando la voce metallica avvisa di spegnere i cellulari e mettere da parte le macchine fotografiche, una scintilla di emozione divampa in tutti noi. Il tendone rosso vibra leggermente e… si apre. Vi ringraziamo e speriamo che queste emozioni si ripetano nuovamente Lila Banterle e Stefania Catalan della 3D 2007/08 Scuola Media Divisione Julia 23 Adolfo Levier (Trieste, 1873-1953) - Caffè all’aperto, 1910 - olio su tela, cm 65x92 il colore del benessere sociale Non può esserci stabile ricchezza economica senza ricchezza spirituale. In qualsiasi ambito siano rivolti – dalla sanità allo sviluppo economico, dalla scienza alla cultura, all’arte, al tempo libero – gli interventi della Fondazione sono sempre caratterizzati da concreto impegno verso la collettività. In una società evoluta sono modulazioni che arricchiscono di felici tonalità il colore del benessere sociale.