“ARRIVANO I NOSTRI ” d o n n e o d Distribuzione gratuita Bollettino periodico dei giovani da 8 a 98 anni S . P i o X - Balduina www.sanpiodecimo.it Numero 29 Febbraio 2010 Anno V° d n n o n n e e -1- LE DONNE NELLE CANZONI ITALIANE DEGLI ULTIMI ANNI LA DONNA PIU’ POTENTE DEL MONDO DAL 2006 AD OGGI, SECONDO LA RIVISTA AMERICANA FORBES E’: ANGELA MERK E L Anna (Mogol-Battisti), Anna da dimenticare (Nuovi Angeli), Perdendo Anna (Umberto Tozzi), Anna e Marco (Lucio Dalla), Anna verrà (Pino Daniele), Anna (Michele Zarrillo), Canzone per Anna (Francesco Guccini), Anna e il freddo che fa (Enrico Ruggeri), Anna sul calendario (Neri per caso), Non ammazzate Anna (Edoardo De Angelis), Giulia(Gianni Togni), Giulia (Antonello Venditti), Brava Giulia (Vasco Rossi), Memorie di Giulia (Franco Battiato), Icaro e Giulia (Massimo Di Cataldo), Giulia si sposa (Pooh), La mia canzone per Maria (Mogol-Battisti), Mamma Maria (Ricchi e poveri), Silvia lo sai (Luca Carboni), Rosalina (Fabio Concato), Giovanna d’Arco (Fabrizio De Andrè), Marylin (Riccardo Cocciante), Lara (Eugenio Finardi), Patrizia (Eugenio Finardi), Gianna (Rino Gaetano), Ciao Lulù (Umberto Tozzi), Marta (A.Venditti), Balla Linda (Mogol-Battisti), Luisa Rossi (Mogol-Battisti), Alice (F.De Gregori), Deborah (Fausto Leali), Sofia (Pino Daniele), Piccola Katy (Pooh), La canzone di Marinella (F.De Andrè), Margherita (R.Cocciante), Gloria (Umberto Tozzi), Agnese (Ivan Graziani), Cara Valentina (Max Gazzè), Iris (Biagio Antonacci), Barbara (Enzo Carella), Irene (F.De Gregori), Roberta (Peppino Di Capri), Natalina (Mimmo Locasciulli), IperCarmela (F.De Gregori), Mimì ( Gino Paoli), Margherita (Bruno Lauzi), Wanda (Paolo Conte), Chiedo scusa se parlo di Maria (Giorgio Gaber), Margherita si sposa (G.Kuzminac), Futura (L.Dalla), Valentina (Stefano Rosso), Cicerenella (Nuova Compagnia di canto popolare), Silvia (Renzo Zenobi), La canzone di Barbara (F.De Andrè), Elena no (MogolBattisti), Non è Francesca (Mogol-Battisti). Premi Nobel 2009 Da sinistra a destra: Ada Yonath (Chimica), Elinor Ostrom (Economia), Herta Muller (Letteratura), Carol Greider (Medicina) La donna più famosa nella Storia dell’Arte di tutti i tempi MONNA LISA "DONNA" (Gorni Kramer) Donna, tutto si fa per te tutto, pur di piacere a te Tutto, per un tuo bacio per un si, per un no, per te! Perche' sei donna, gioia di vivere donna, favola splendida... sei tu, solo tu quel desiderio che l'uomo chiama amor ! Donna, tutto si fa per te... Tutto, pur di riavere te Perche' sei donna.. nata per farti amar donna, nata per dominar perche' vive in te, quel desiderio che l'uomo chiama amor ! FILM SULLE DONNE Speriamo che sia femmina (M.Monicelli), Erin Brockovich (S.Soderbergh), Viaggio a Kandahar (M.Makhamalbaf), Twin sisters (B.Sombogaart), La ragazza con l’orecchino di perla (P.Webber), Chocolat (L.Hallstrom), Thelma e Louise (R. Scott), Eva contro Eva (L.Mankiewicz), Gli uomini preferiscono le bionde (H.Hawks), La ciociara (V. De Sica), Mignon è partita (F.Archibugi), Hannah e le sue sorelle (W.Allen), Il colore viola (S.Spielberg), Tootsie (S.Pollack), Due partite (E.Monteleone), L’amore velato (A.Salmy), Segreti e bugie (M.Leigh), 8 donne e un mistero (F.Ozon), La donna della domenica (L.Comencini), Cielo sulla palude (A.Genina), Il marito della parrucchiera (P.Leconte), Un cuore in inverno (C.Sautet), Il segreto di Esna (J. Zbanic), Bread and roses ( K.Loach), La sconosciuta (G.Tornatore), La lettrice (M.Deville),Giulia (F.Zinnemann), Il pranzo di Babette (G.Axel), Gloria (J.Cassavetes). DONNE NELLO SPORT: Federica Pellegrini- Valentina Vezzali - Flavia Pennetta GRANDI SCRITTRICI Isabel Allende (nella foto)- Marguerite Duras- Simone de Beauvoir- Catherine Dunne- Karen Blixen- Virginia WoolfMargaret Atwood- Agatha Christie- Elsa Morante- Mary Shelly- Marguerite Yourcenar- Alice Munro- Gallant MavisBanana Yoshimoto- Anita DesaiKamala Markandaya- Margaret Mazzantini- Jane Austen- Toni Morrison- Azar Nafisi- Natalia GinzburgShahrnush Parsipur- DONNE IN POLITICA Angela Merkel, Hilary Clinton, Nancy Pelosi, Condoleeza Price, Segolene Royal, Tarja K. Halonen, Michelle Bachelet, Ellen J.Sirleaf, Wu Yi, Han Meyong-Sook, Indira Gandhi, Sonia Gandhi, Benazir Bhutto, Aung San Sun Kyi, Martine Aubry -2- In questo numero : CHE FAREMMO SENZA DONNE? UNA RAGAZZA NORMALE DONNA D’AFRICA SANTA CHIARA UNA CATECHISTA RACCONTA UNA VOLONTARIA RACCONTA IL DIARIO DI GIORGIA LA RAGAZZA DEL BATANGAS LA NONNA LE AMMANTATE CHE PALPITO VIENE IO TIFO PER LE DONNE RICORDANDO MIA MADRE DONNE IN IRAQ REALTA’ AL FEMMINILE EDITH STEIN SANT’AGATA JANE CLACSON LE DONNE DEL WYOMING ARRIVANO I NOSTRI Autorizzazione del Tribunale n°89 del 6 marzo 2008 Direttore responsabile Giulia Bondolfi Terza pagina don Paolo Tammi Direttore editoriale Marco Di Tillo Collaboratori: Lùcia e Miriam Aiello, Bianca Maria Alfieri, Renato Ammannati, Alessandra e Marco Angeli, Giancarlo e Fabrizio Bianconi, Tommaso Carratelli, Cesare Catarinozzi, Laura, Giuseppe e Rosa Del Coiro, Gabriella Ambrosio De Luca, Anna Garibaldi, Massimo Gatti, Paola Giorgetti, Pietro Gregori, Giampiero Guadagni, Lucio, Rossella e Silvia Laurita Longo, Giuliana Lilli, don Nico Lugli, don Roberto Maccioni, Maria Pia Maglia, Luciano Milani, Cristian Molella, Alfonso Molinaro, Sandro Morici, Alfredo Palieri, Gregorio Paparatti, Giorgia Pergolini, Maria Rossi, Eugenia Rugolo, Maria Lucia Saraceni, Elena Scurpa, Francesco Tani, Stefano Valariano, Gabriele, Roberto e Valerio Vecchione, Celina e Giuseppe Zingale. I numeri arretrati li trovate online sul sito della parrocchia : www.sanpiodecimo.it NUOVI COLLABORATORI Chi vuole inviare articoli, disegni, vignette, critiche,suggerimenti o solo offerte per sostenere la pubblicazione, può lasciare una busta nella nostra buca di posta presso la Segreteria Parrocchiale di via Frioggeri. Oppure inviate una mail a: [email protected] Stampato presso la tipografia Medaglie d’Oro di via Appiano CHE FAREMMO SENZA DONNE? don Paolo Tammi Donne in cerca di guai, come ci ha ricordato Zucchero Fornaciari, ce ne sono tante. Di donne che amano troppo ci ha parlato Robin Norwood qualche anno fa, indicando alle donne modi per recuperare l’equilibrio degli amori insensati. Di donne “malefemmene” sentiamo cantare spesso Gigi D’Alessio. Prospettiva assai diversa dalla precedente, perché qui si dice che “si tu peggio ‘e na vipera, m’hai ‘ntussicato l’anima, nun pozzo cchiu campà”. Ce n’è davvero per tutti. Di donne che cercano Dio ci parlano i Vangeli. Di un Gesù, anzitutto, che delle donne paura non aveva. Lo seguivano tante donne nella sua itineranza. Insieme a sua madre, lo seguivano Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni, Giovanna, che era la moglie dell’amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che lo assistevano con i loro beni ( cfr Lc 8,2). Insomma, un bel seguito che dimostra la libertà affettiva del Signore e il fatto che non disdegnasse di essere un po’ coccolato e comunque trattato con normale decoro. Molti anni dopo Francesco d’Assisi , qualche giorno prima di morire, scrisse una lettera a donna Giacomina, da lui amichevolmente chiamata frate Jacopa, alla quale chiese di portare un panno scuro per avvolgere il suo corpo morto ma chiese anche di portargli i dolcetti che era solita cucinare per lui quando era malato a Roma. Oggi questa Jacopa de Settesoli ha il privilegio di far riposare le sue ossa proprio di fronte a dove riposano quelle di Francesco, nella cripta della stupenda basilica di S. Francesco ad Assisi. Teresa di Gesù, la grande, grandissima Teresa, che cambiò a fondo l’ordine carmelitano, era amica e viaggiava spesso con Giovanni della Croce, immenso mistico, com’era d’altronde lei, capace di lasciarci una bellissima dottrina spirituale, maturata anche nei colloqui con Teresa. Scolastica, sorella carnale di Benedetto, vinse la “contesa” con lui, con uno straordinario femminismo spirituale, quando, volendo rimanere la notte col fratello a parlare di Dio, e avendo ricevuto il suo diniego perché la cosa non era conforme alla Regola, si mise a pregare e ottenne da Dio la pioggia scrosciante che, impedendole di rientrare al convento femminile, costrinse Benedetto ad accettare la compagnia della sorella e delle altre monache per tutta lanotte. E quando Benedetto la rimproverò di aver “pregato” Dio, l’autore della biografia commentò in una maniera meravigliosa: vinse Scolastica perché potè di più davanti a Dio chi amò di più. Che bellezza! Proprio vero! Le donne sanno amare di più. Sanno cogliere l’attimo, hanno l’intuito di comprendere quando serve amore e non una regola. Amano il corpo dei loro figli, lo conoscono più dei mariti, ne vivono la relazione in modo sapiente, talora forse eccessivo e invadente, ma di certo più efficace delle prudenze affettive dei maschi, solitamente sempre più gelidi e adatti ai climi freddi. Donne! Che faremmo senza donne? Gesù amava le donne. Amava Marta, perché cucinava bene e intercettava ottimamente il suo bisogno di essere amato così. Amava la sorella di Marta, Maria, perché si sedeva ad ascoltarlo e costituiva per lui il modello di chi comprende non solo i bisogni ma matura gli ideali, quelli che sono la parte migliore, il cui frutto – lo dice Lui stesso – non ci sarà mai tolto. Donne ! Alcuni rinunciano alle donne ma non alla parte femminile che è in loro. I preti non si sposano, i frati fanno voto di verginità. Eppure quando li vedi e li senti, ti accorgi subito se sono maschi o sono una sottospecie di caratterialità mascofemminile. Preti e frati non hanno dichiarato guerra al matrimonio, ma fanno un matrimonio mistico con Gesù il Figlio di Dio. E siccome il Figlio, nella sua carne umana assunta anni fa, era maschio, chi lo sposa è per Lui la sposa. Dunque il celibe, il vergine è sposa. Ed essendo maschio, ha bisogno di tutta la sua parte femminile e materna, per sentirsi amato da Gesù ed esserne l’amante. Si ama Gesù con passione, si tocca il suo santo Corpo risorto con emozione, lo si dona alla gente con generosità, si benedice solennemente il popolo nel Suo nome quasi con un amore che ti spezza il cuore. Il prete è uno di quelli che può dire “ il mio Gesù”. Non è l’unico ma lui sa bene perché. Ha rinunciato per avere il centuplo. Cento donne, cento madri, cento figli, cento figlie, cento case, cento camini scoppiettanti, cento pranzi e cento cene. Cento amori anzi cento milioni di amori. Donne come Maria madre di Gesù sono l’abisso dello straordinario. La Chiesa ha lottato e fatto persino un concilio ecumenico perché si avesse la libertà di chiamarla Madre di Dio. Ma lei ha fatto la gavetta, ha incontrato le prostitute sentendo il Figlio dire che saranno tra le prime nel Regno di Dio. Lei ha ricevuto sette spade di dolore sotto la croce. Un canto bellissimo le dice: “ io vorrei tanto sapere che cosa provavi...”. Donne come lei sono la garanzia che Dio è padre e madre, maschio e femmina e che nel Regno eterno di Dio le donne che abbiamo amato e che ci hanno amato le ritroveremo tutte. Forse avverrà come scrisse a sua madre Giuseppe Ungaretti: “ Ricorderai d’avermi atteso tanto e avrai negli occhi un rapido sospiro”. -3- LE AMMANTATE Giancarlo Bianconi La vicenda è andata così: seduto nell’autobus in attesa della partenza, mentre sfogliavo il mio quotidiano, una signora non più giovane dall’aria molto distinta si è seduta vicino a me, seguita subito dopo da due altre signore alquanto piacenti ma altrettanto chiacchierine che, senza smettere di parlare, si son sedute di fronte a noi. Improvvisamente la signora proprio di fronte a me, rivolta alla sua amica, con un mezzo urletto ha esclamato: «A proposito!... L’altro giorno, sai, ho letto che a Roma, da prima del 1600, ci sono suore di cui ignoravo completamente l’esistenza: le Ammantate». «Ammantate? Bah! neanche io, a dire la verità, ho mai sentito parlare di questo ordine». «E sino a neanche tanto tempo fa sembra pure che beneficiassero ogni anno di aiuti finanziari dal Vaticano. Però, debbo dire, ho dato proprio una scorsa veloce all’articolo sull’argomento, ripromettendomi un approfondimento appena possibile. Solo che poi mi è passato di mente e … addio giornale e articolo. Per cui, sai …». «Scusate la mia intrusione – è intervenuta a questo punto con un sorriso dolce e molta signorilità la signora seduta vicino a me – ma ho udito, sia pure non intenzionalmente, la vostra conversazione, e avvertita alquanta confusione sull’argomento, non ho resistito: e col vostro permesso, quindi, vorrei fornire in proposito talune precisazioni a chiarimento. Posso?». «Ma certamente!» ha esclamato con slancio la signora di fronte a me. «Allora: Ammantate, non è un ordine monastico bensìl’appellativo dato, sin verso la fine dell’Ottocento, a quelle ragazze in età da marito - le zitelle, come all’epoca erano chiamate dal popolino - le quali, senza mezzi finanziari ma desiderose di sposarsi o di farsi suore, ricevevano dall’Arciconfraternita dell’Annunziata una dote di una certa consistenza». «E che cos’è questa arciconfraternita?» ha domandato allora la signora. «Era un’associazione di fedeli costituita, come del resto tante altre del genere, per l’esercizio di opere di carità. E …» «Scusi, eh! Ma i mezzi per provvedere alla dote per queste “povere zitelle”, come se li procurava l’Arciconfraternita? - è intervenuta a questo punto, con molto spirito pratico, l’amica – perché nello Stato Pontificio, se non ricordo male, non esisteva alcuna forma di industrializzazione o altro, in grado di produrre ricchezza collettiva». «Giusta osservazione! L’arciconfraternita si procurava i mezzi di cui aveva necessità unicamente con lasciti, eredità, offerte e altre liberalità provenienti da benefattori vari. Infatti è proprio per supplire alle carenze connaturate al sistema economico da lei ora evocato che proliferarono varie istituzioni benefiche, tra le quali, appunto, l’Arciconfraternita dell’Annunziata, tra l’altro costituita nel 1460 dal cardinale Giovanni Torquemada» «Ma chi? Lo spietato primo Grande Inquisitore spagnolo?» ha reagito stupita. «Non lui, ma suo zio! E uno di questi benefattori, pensate un po’, fu un papa che non riuscì a .... essere effettivamente papa, per così dire». «O che significa un papa che non è stato papa?» ha domandato la signora di fronte a me. «Significa semplicemente che Urbano VII, il pontefice di cui stiamo parlando, poiché regnò per soli 13 giorni, ebbe solo il tempo di essere eletto papa, nel 1590, ma non anche quello di essere consacrato tale con quella solenne cerimonia in S. Pietro che conosciamo tutti. Ciò nondimeno, anche nel così poco tempo avuto a disposizione, ha avuto la premura di lasciare in eredità le proprie cospicue sostanze personali all’Arciconfraternita dell’Annunziata affinché con esse provvedesse alle zitelle bisognose». «E chi sceglieva queste “povere zitelle bisognose”?» si è allora informata. «La scelta delle “povere zitelle” meritevoli della dote veniva fatta fra quelle segnalate da ciascun parroco che aveva previamente accertato il possesso da parte loro di appositi requisiti, quali quello di essere romana, povera, vergine e … altri. Erano in ogni caso escluse le attrici, le frequentatrici di teatri, quelle che vivevano in locande e quelle che praticavano i sarti. Non le sarte eh! bensì le ragazze che praticavano i sarti. Chissà perché!». «E perché si chiamavano Ammantate?» ha incalzato l’amica. «Venivano così chiamate per via dell’insolito abbigliamento che le ragazze in processione indossavano il 25 marzo, festa dell’Annunciazione e giorno della consegna della dote in S. Maria sopra Minerva alla presenza del papa. E di questa cerimonia Antoniazzo Romano ci ha lasciato una bella tavola conservata sull’altare della quarta cappella destra di questa chiesa». «E scusi la domanda un po’… osé per così dire, ma c’è mai stata nessuna che abbia imbrogliato? Nel senso cioè che magari era ciociara invece che romana, oppure che non era.... come posso dire? che nun era più ....» ha proseguito sommessamente la signora di fronte a me. «Sì-sì ho capito cosa intende dire! Eh-eh, cosa vuole che le dica signora mia?! Certamente sarà pure accaduto che qualcuna non avesse tutti i requisiti necessari. Anzi, a dover dar credito a Belli, forse ce n’è stata più di una che ha imbrogliato. E alla grande pure!». «Perché, che diceva Belli?» ha domandato allora con tono inquisitorio. «Nel sonetto, intitolato appunto Le Ammantate, Belli così descrive la cerimonia: Ah fu un gran ride e un gran cascerro gusto/ quer de vede’ passa’ tante zitelle/ co la bocca cuperta, er manto, er busto/, le spille, er sottogola, e le pianelle./Tutte co l’occhi bassi ereno giusto/ da pjialle pe tante monichelle,/ chi nun sapessi quer che sa sto fusto/ di che carne ce sta sotto la pelle./ Nerbigrazia, Luscia l’ho fregat’io; Nèna? ha fatto tre anni la puttana;/ e Tota è mantienuta da un giudìo./ E la sora Lugrezzia la mammana/ n’ariconobbe due de Borgo-Pio;/ insomma, una ogni sei nun era sana». «Hai capito!?! Altro che monachelle come avevo equivocato io! E così anche allora... eh!». «Eh sì, anche allora! Nihil sub sole novi cara signora! Ed ora chiedo scusa ma è tempo che raggiunga l’uscita perché sono quasi giunta a destinazione. Buona giornata a loro». «Grazie tante e buona giornata anche a lei» hanno risposto all’unisono le due signore. Soddisfatto per la cosa nuova appresa, mentre davo sommessamente piena ragione a quella famosa vecchina che si doleva di dover morire, perché – sosteneva – ogni giorno imparava una cosa nuova, ho ripreso la lettura del mio quotidiano. -4- “AFRICA EXPRESS” Lucio Laurita Longo DONNA D’AFRICA (L’uomo è il capo della famiglia, ma la donna è il collo che muove il capo) Parlare della donna d’Africa, della sua condizione, del suo status sociale, del suo inserimento nella realtà quotidiana non è facile perché le molteplicisfaccettature che caratterizzano questo continente ne impediscono una generalizzazione. In tutto il mondo le condizioni di vita della donna sono, molto spesso, tutt’altro che facili, ma nella realtà africana tali condizioni sono estremizzate tanto che in gran parte di questo continente essa è ancora vista come un essere inferiore, come merce di scambio se non come una schiava da sfruttare fino alla morte. Eppure le donne africane sono da sempre, e sempre di più, mogli, madri, lavoratrici instancabili ed insostituibili che gestiscono, molte volte in prima persona e senza alcun aiuto, la vita della intera comunità in cui vivono. Nonostante ciò, però, restano vittime indifese di numerose discriminazioni che ne segnano in modo profondo la stessa vita. Le più comuni possono essere individuate nella privazione della libertà personale (intesa come mancanza di diritti individuali e sociali), nel maggior grado, rispetto agli uomini, di povertà, nella maggior violenza cui devono sottostare, nell’obbligo di accettare un matrimonio precoce deciso dalle famiglie e non liberamente scelto e nella violenza sessuale cui vengono sistematicamente sottoposte e che troppo spesso le porta a contrarre ogni tipo di malattia, talvolta anche mortale. Privazione della libertà significa non avere mai alcuna voce in capitolo, né in ambito sociale e comunitario né all’interno della famiglia. La donna africana, infatti, non può influire sulle scelte del marito (o del capo della comunità in cui vive) nella organizzazione della vita privata o pubblica, nella istruzione, propria e/o dei propri figli, e nell’ambiente di lavoro. Paradossalmente queste limitazioni sono più forti nelle donne di città rispetto a quelle che vivono in campagna, dove tendono ad avere un maggior benessere e una maggiore considerazione in funzione del ruolo che rivestono. La vita nelle città, infatti, porta all’appiattimento verso il basso (o al totale annullamento) di molti valori e tradizioni che continuano a sopravvivere nelle campagne. Nelle campagne, infatti, una donna, madre, moglie o figlia che sia, pur non avendo, come detto, alcun potere decisionale, deve affrontare la gestione della vita quotidiana (cura della casa e della famiglia), andare quotidianamente a prendere l’acqua al pozzo (che spesso dista chilometri) o procurare la legna per il fuoco, curare l’educazione dei figli e l’assistenza agli anziani. Queste situazioni la rendono praticamente insostituibile garantendogli una sorta di “assicurazione sulla vita”. Nell’ambito urbano, invece, dove troppo spesso si è costretti a vivere da soli o al di fuori di un nucleo sociale comune, la donna rimane praticamente abbandonata a se stessa ed in balia di ogni tipo di violenza. Anche sotto l’aspetto economico una donna africana vive in condizioni peggiori rispetto alle altre donne nel mondo. In un ambiente dove le possibilità di lavoro, per la maggior parte della popolazione, sono estremamente limitate o nulle, è evidente che le rare occasioni che si presentano sono appannaggio quasi del tutto esclusivo degli uomini. Da ciò deriva una assoluta dipendenza economica delle donne che così non avranno mai la possibilità di affrancarsi dallo strapotere degli uomini. Occorre sottolineare che il valore di una donna, quello per cui essa viene data in sposa e per la quale suo padre riceve una dote dal marito è, oltre alla sua forza-lavoro, la sua possibilità di procreare e, quindi, di garantire la continuità della comunità. La maggior parte delle donne vengono date in sposa in età giovanissima e quindi quando il loro fisico è ancora in crescita. Fino a quando sono in grado di procreare e di lavorare costituiranno un valore aggiunto per il marito e per la comunità ma quando non sono più in grado di fare quello per cui sono state “comprata” ecco che il valore si azzera. Da questo momento diventeranno un peso e molto spesso verranno abbandonate al loro destino (facilmente immaginabile). Discorso a parte è quello sulla salute e sulle sciagurate condizioni igieniche che interessano la quasi totalità della popolazione e di cui sono le donne le prime a farne le spese. Sotto questo aspetto, il problema principale che colpisce la donna africana è quello delle malattie e delle complicazioni da parto che, molto spesso le porta alla morte. Una recente ricerca ha accertato che ogni anno circa 175.000 donne africane muoiono durante il parto o per problemi ad esso connessi. Le cause di tale situazione sono varie ma le più importanti vanno attribuite alla fatica del lavoro ed alla denutrizione. Molte donne giungono al parto senza essere in grado di sostenerlo fisicamente. A tutto ciò si aggiunge la malaria, che è endemica in gran parte del continente, e che provocando, tra l’altro, forti anemie, accentua i rischi connessi al parto. Per non parlare dell’ulteriore impatto che certe credenze popolari possono avere sulla loro salute: una delle più diffuse, tanto da esser contrastata con manifesti pubblici del governo, è la credenza che un malato di AIDS possa guarire avendo rapporti con una ragazza vergine. La mutilazione genitale (praticata ogni anno su circa 2 milioni di donne), la discriminazione sul posto di lavoro (mediamente le donne africane guadagnano il 78% in meno del salario di un uomo che svolge lo stesso lavoro) e la esclusione quasi sistematica dall’accesso alla istruzione, sono le altre piaghe più comuni. Per quest’ultimo aspetto, nel continente africano, il divario tra uomini e donne è ancora molto ampio e, anche se negli ultimi anni la tendenza è verso un graduale annullamento di tale distanza, il tasso di analfabetismo delle donne resta ancora maggiore rispetto agli uomini. Naturalmente tale disparità aumenta con il livello di istruzione tanto che, nell’Africa sub-sahariana, la frequenza scolastica femminile tra i 10 ed i 14 anni è pari all’80% di quella maschile mentre all’età di 18 anni tale percentuale scende a meno del 40%. All’università il rapporto scende sotto il 10%. Ovviamente il poco spazio concessomi in questa rubrica e la complessità dell’argomento, non possono aggiungere alcunchè a quanto si è già detto, scritto e studiato sull’argomento. Concludo, quindi, affermando che dietro l’apparente debolezza della figura femminile africana si nasconde una forza e determinazione che non ha eguali. A piccoli passi essa avanza verso una maggiore democrazia e partecipazione, consapevole della propria forza, dignità e orgogliosa del proprio essere donna, determinata nel far sentire la propria voce per rivendicare il posto che gli compete nella costruzione di un nuovo paese. Dare più potere alle donne africane, quindi, significa avere più possibilità di pace, democrazia e speranza in un mondo migliore. Un proverbio del Mali, in poche parole, racchiude tutto ciò: “Se vuoi raccogliere tra qualche mese, semina del miglio; se vuoi raccogliere tra qualche anno, pianta degli alberi ma se vuoi raccogliere all’infinito, istruisci una donna”. -5- L’ANGOLO DELLA CUCINA KAKRO (Bignè di banane) (Ghana) 750 gr. di banane plantain ben mature - 5/6 grani di pepe 100 gr. difarina - 1 cipolla 1 pizzico di paprika in polvere 1 cucchiaino di zenzero sale e pepe-olio di oliva Versate la farina in una pentola. Ate schiacciate bene le banane e aggiungete lo zenzero, i grani di pepe sbriciolati, la cipolla, la paprika, il sale ed il pepe. Unite la farina ed amalgamate il tutto con acqua tiepida fino ad ottenere un impasto morbido ma compatto. Riempite una padella con olio per friggere e scaldatelo bene. Formate con l’impasto delle palline e friggetele nell’olio bollente fino a che non raggiungono un colore dorato. Scolatele e servitele ben calde con spicchi di limone fresco o con una salsa piccante. UNA RAGAZZA NORMALE SANTA CHIARA: UNA DONNA ESEMPLARE Cesare Catarinozzi Santa Chiara d’Assisi, per umiltà, amava definirsi “la pianticella di San Francesco”, ma in realtà fu ella stessa, con la sua forte personalità, ad imprimere molte caratteristiche del movimento religioso, che fu detto appunto “francescano-clariano”. Una volta lo stesso S. Francesco, che voleva sapere se Dio chiedesse da lui soltanto la meditazione o anche la predicazione, la supplicò di pregare lei il Signore per avere una risposta. Santa Chiara gli indicò la via della predicazione, da discepola divenne maestra. Ma l’intera sua esistenza manifesta la ricchezza interiore che ella possiede. Appartenente ad un’alta classe sociale, dimostra forza d’animo nelle sue scelte radicali che la inducono a sfuggire il matrimonio predisposto dalla famiglia di origine, per seguire il desiderio di dedicare la vita a Dio. La notte del 28 marzo 1211 (è la sera della domenica delle Palme: Chiara ha solo 18 anni), stando alle testimonianze del processo di canonizzazione, fugge da una porta secondaria della casa paterna, situata nei pressi della cattedrale di Assisi, San Rufino. Subito raggiunge Francesco d’Assisi e i primi frati minori presso la chiesetta di Santa Maria degli Angeli, già da allora comunemente detta la Porziuncola, dipendente dal monastero di San Benedetto al Subasio. A sottolineare la sua condizione di penitente, Francesco le taglia i capelli, le dà una tunica e la fa entrare nel monastero benedettino di San Paolo delle Badesse presso Bastia Umbra a 4 chilometri da Assisi, per poi cercarle ricovero presso un altro monastero benedettino alle pendici del monte Subasio: Sant’Angelo di Panzo. Qui, al riparo dalle ire familiari, viene presto raggiunta dalla sorella Agnese. Infine Chiara prese dimora nel piccolo fabbricato annesso alla chiesa di San Damiano, che era stata restaurata da Francesco, sotto le dipendenze del vescovo Guido. Qui Chiara fu raggiunta dall’altra sorella Beatrice e dalla madre Ortolana, oltre a gruppi di ragazze e donne, e presto furono una cinquantina. Qui trascorre quarantadue anni di cui ventinove cadenzati dalla malattia. Affascinata dalla predicazione e dall’esempio di Francesco,Chiara volle dare vita a una famiglia di claustrali povere, immerse nella preghiera per sé e per gli altri. Chiamate popolarmente “Damianite” e da Francesco “Povere Dame”, saranno poi per sempre note come “Clarisse”.Ottenne da Francesco una prima regola fondata sulla povertà. Il carisma della donna si manifesta entro le mura del monastero in contemplazione e preghiera, seguendo in parte il modello benedettino da cui si differenzia per la ferma e coraggiosa difesa della povertà. Questo è il tema centrale della sua esperienza mistica, la sequela Cristi, da cui Chiara non vuole essere dispensata nemmeno dal Papa (il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia e protettore dei Minori, le diede una nuova regola che attenuava la povertà, ma lei non accettò sconti: così Ugolino, diventato papa Gregorio IX (1227-1241) le concesse il privilegio della povertà), poi confermato da Innocenzo IV con una solenne bolla del 1253, presentata a Chiara pochi giorni prima della morte. Solo abbandonando i beni materiali e affidandosi a Dio, Chiara si sente libera di percorrere il suo cammino religioso. E’ questo l’argomento principale su cui vertono i rari scritti, da cui emerge una donna decisa e fiduciosa (quattro lettere ad Agnese di Boemia, figlia del re Ottokar e la Regola, e altri scritti di cui non si ha certezza di autenticità) che non aiutano però a ricostruirne la figura storica. Soltanto dopo la sua morte, una Leggenda scritta da Tommaso da Celano ne narra la vita scandita dal silenzio, dalla preghiera, dalla ricerca continua di “altissima povertà”. Volle sempre essere umilmente al servizio delle consorelle; non di rado baciava i piedi delle “servigiali” (le suore che svolgevano mansioni esterne al convento), preferendo, nei limiti del possibile, ubbidire piuttosto che comandare. Una volta si accostò ad una servigiale per baciarle i piedi, ma quella, volendo risparmiarle una simile umiliazione, cercò di scansarsi e senza volerlo le diede un calcio in faccia. Chiara abbracciò e baciò quel piede che l’aveva colpita in pieno viso. Passò la seconda metà della vita quasi sempre a letto perché ammalata, pur partecipando sovente ai Divini uffici. Portando l’Eucaristia sull’ostensorio, avrebbe salvato, secondo la tradizione religiosa, il convento da un attacco di Saraceni nel 1240.Morì a San Damiano, fuori le mura di Assisi, l’11 agosto del 1253, a sessant’anni. A soli due anni dalla morte, Papa Alessandro IV la proclamò Santa. Io sono francescano secolare e trovo in Santa Chiara, non meno che in San Francesco, un modello da imitare. -6- Maria Rossi Chiara, una ragazza normale. Due grandi occhi scuri, vivacissima, piena di voglia d’imparare. Arrivò al triennio del liceo scientifico con il trauma di una bocciatura alle spalle: al biennio, si era fermata per “colpa” delle materie letterarie. Qualche anno fa; forse aveva studiato poco, forse doveva maturare, forse i professori erano stati molto severi. A volte capita. Al triennio venne fuori alla grande, in italiano e in latino, in inglese, nella storia e filosofia, dove avevo allora come collega (e la ricordo con un po’ di rimpianto) una donna – appunto – molto in gamba, preparata, che amava insegnare e sapeva trasmettere il piacere della cultura. Chiara si entusiasmò, si appassionò, maturò. Uscì con un bel voto all’esame di stato. Voleva fare teatro, aveva già fatto esperienza nel Laboratorio teatrale del liceo, si iscrisse alla Facoltà di lettere dallo scientifico. Succede anche questo, come ottimi ingegneri, matematici e fisici escono ancora oggi dal liceo classico. Ci veniva a trovare, felice ed entusiasta, gli occhi le brillavano. Una ragazza normale, una bella ragazza piena di progetti e di sogni per la vita, ed è morta in una settimana in una luminosa giornata di giugno. Avvenimenti di questo tipo pongono a noi adulti tanti interrogativi perché ci sembrano contro natura, contrari al “progetto” di Dio. Fin dall’antichità i poeti hanno cantato il “fiore reciso” troppo presto; tutti ricordiamo la Silvia di Leopardi, o l’amico di giochi di Pascoli “eppur felice te, che al vento non vedesti cader che gli aquiloni” (L’aquilone). E’ un privilegio, sosteneva Seneca, nel consolare Marcia per la perdita del figlio, un’ingiustizia pensiamo noi spesso, sarebbe meglio dire che questo era il progetto di Dio per loro. Quanti ragazzi, che ho avuto in classe in tanti anni, oggi non ci sono più; per malattie fulminanti, per lunghi calvari, per incidenti stradali di cui sono stati vittime o colpevoli. Ragazzi che, magari, hanno pianto per un insuccesso scolastico o sportivo, per un amore finito e poco dopo erano volati via. Per questo oggi ho pensato di scrivere di Chiara, perché lei insieme a Giulia, Raffaele, Alessandro, Gabriele e Sofia e tanti altri, mi sono ancora vicini e nel cuore ogni volta che entro in una classe. Oggi sarebbero realizzati nel lavoro, come professionisti, avrebbero famiglia e figli, ma hanno il privilegio di restare sempre ragazzi nei nostri cuori e nel ricordo. Ragazzi belli e normali, pieni di sogni. Ogni anno nelle scuole l’8 marzo le ragazze portano mimose e le regalano alle insegnanti; è ormai uno stereotipo, una tradizione, un rituale. Ci sono state, e ci sono, donne straordinarie e geniali, sante e peccatrici, scienziate e scrittrici, artiste, medici e matematici, premi Nobel e oscure suore di clausura o missionarie. I nomi sono tantissimi. E tanti sono stati ugualmente gli uomini straordinari. Non per le opportunità diverse (che – è vero- nei secoli, nelle culture, nelle religioni la storia ha dato loro più che alle donne) ma per la Vita in assoluto, che è straordinaria. Anche la vita breve di un ragazzo o di una ragazza normale, che hanno lasciato solo il ricordo di un sorriso e di uno scintillio nello sguardo, è meravigliosa. Forse filosofi e poeti avevano ragione: per certi versi morire da giovani è un privilegio; non hanno conosciuto amarezze, delusioni, abbandoni, non sono stati depressi, arrabbiati con il mondo e i propri simili, non hanno provato noia e sofferenza. E ora ci sorridono e ci aspettano lassù, nella luce e nella pace: ragazzi e ragazze normali. Perché, e di questo sono certa, nella vita non serve realizzare cose eccezionali ma solo ringraziare di averla, viverla serenamente e saper sorridere. UNA CATECHISTA RACCONTA Eugenia Rugolo Soltanto qualche settimama fa nell’ora di catechismo Matteo mi chiese: Dimmi, che cos’è un prete? Al momento fui colta di sorpresa, poi mi tornò in mente la lettera pastorale del nostro Parroco e la Sua citazione sul curato d’Ars e risposi: ”Un prete è grande grande nell’amore. Dopo Dio è l’uomo più importante sulla terra. “ Se soltanto noi riuscissimo a capire la grandezza del dono affidato a una creatura umana; pronuncia due parole e nostro Signore scende dal cielo alla Sua voce e si racchiude in una piccola ostia. Nell’incontro precedente di catechismo, avevo parlato loro dell’importanza dei Sacramenti nella nostra vita, e così potei aaggiungere: tolto il Sacramento dell’Ordine noi, non avremmo il Signore. Pensateci. Chi ha riposto Gesu’ nel tabernacolo in Chiesa? Il Sacedote. E chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il Sacerdote. Chi nutre questa vita per darle la forza e compiere il suo pellegrinaggio? Il Sacerdote. Chi la prepara a comparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta in Gesu’ Cristo? Il Sacerdote, sempre il Sacerdote. E se poi quest’anima viene a morire per il peccato chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il Sacerdote. Vedete, senza il prete la morte e la Resurrezione di nostro Signore non servirebbe a niente, perchè è il prete che continua l’opera di redenzione sulla terra. Bisognerebbe che essi comprendessero, in quanto preti, consapevoli di essere un dono immenso per la propria gente. Un Buon Pastore, secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il Buon Gesu’ possa accordare ad una parrocchia, ed è uno dei doni più preziosi della Misweericordia Divina. Credo che per iniziare bene la propria missione un Parroco deve pregare con tutte le sue energie per la conversione della sua parrocchia, ponendo in cima ad ogni pensiero la formazione cristiana del popolo a Lui affidato. Quanto alla vita sacerdotale direi che è essenziale per un sacerdote il tempo che si riservi per la preghiera, pregare anche per gli altri. Questo è proprio del Pastore: che sia un uomo di preghiera , che stia dinnanzi al Signore, sostituendo anche gli altri, che forse non sanno pregare, non vogliono pregare, non trovano il termpo di pregare. Queste mie affermazioni possono apparire eccessive, in esse tuttavia si rivela l’altissima considerazione per il servizio del sacerdozio. Certo se comprendessimo anche noi che cos’è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore. UNA VOLONTARIA RACCONTA Elena Scurpa Non avrei mai immaginato che al termine della mia fatica scolastica e cioè dopo 36 anni di insegnamento nella scuola media, mi sarei trovata a prestare servizio nell’Associazione Volontari dell’ospedale Gemelli. A volte mi chiedo quali siano state le motivazioni che mi hanno spinto a svolgere questa attività e cerco le risposte. Sicuramente la principale è stata la mia esigenza a non interrompere i rapporti umani con il prossimo, rapporti che avevo coltivato con buoni risultati per tanti anni nella scuola e che avrei potuto ancora sfruttare, mettendomi al servizio di fratelli sofferenti, stimolata anche da una profonda Devo dire che Matteo sembrava soddisfatto, quando Virginia e Andrea incalzarono domandando: “Perchè il prete non si può sposare?” Feci un lungo respiro e con la mente chiesi aiuto allo SpiritoSanto: “Signore, io la voce e Tu la Parola”, poi dissi loro: “Sappiate che il Sacerdote è una generosa e gioiosa donazione di se stesso, che lo rende libero dalla sollecitudine personale per la famiglia, per potersi dedicare con tutto il cuore alla Sua missione pastorale. Essi sono uomini scelti da Dio per essere il sale della terra e la luce del mondo.” Personalmente penso che il celibato sacerdotale(così si chiama), è una questione di coscienza, è abbracciato e scelto per sempre da coloro che si preparano al sacerdozio dopo avere raggiunto la piena convinzione che si tratti di un Dono concesso dal Signore a se, un Dono delle Spirito, per identificarsi meglio con Lui e per servire la Chiesa e il prossimo. Credo però, che non basti la comprensione e il desiderio di essere casti ci vuole il paziente lavoro di dominare le passioni, esposte alle tentazioni. Tale dominio richiede per tutta la vita la vigilanza costante e la perseveranza nella preghiera: da una parte , bisogna evitare gli stimoli che provocano le reazioni delle passioni; Se però, si lascia andare agli affetti e innamoramenti, non sarà capace di maturare, nel proprio amore intenso, esclusivo per Cristo. La natura ha le proprie leggi che bisogna saper riconoscere e rispettare: in tal caso il buon senso è essenziale. Riconoscere però, che esistono le tentazioni non significa la chiusura in una torre d’avorio. La maturazione della personalità non consiste in una repressione, ma è frutto di un lavoro positivo, aperto e gioioso in funzione dell’amore. Il Sacerdote è chiamato ad amare più intensamente e più persone, proprio grazie alla Sua consacrazione alla verginità. Così facendo esso aderisce più facilmente a Dio con un cuore non diviso, si dedica più liberamente al servizio di Dio e degli uomini. Perciò chi segue la propria vocazione sacerdotale e, nella preghiera, e nella vera umiltà, rende servizio all’umanità, annuncia il Vangelo e vive la propria missione nella piena realizzazione di se stesso e potrà difendersi da queste minacce con lo sgardo rivolto al Regno dei Cieli. Il Sacerdote nella Chiesa di rito latino è chiamato a offrire il Suo corpo, tutto se stesso per l’azione salvifica di Dio. Tuttavia, sottolineo, che senza Fede non è possibile comprendere la natura e l’efficacia del celibato sacerdotale, così come senza Fede non risulta comprensibile lo stesso sacerdozio. Ecco perchè tutto questo per molti è ancora oggetto di continue discussioni o di dibattiti. Per la Chiesa no, non è così. Essa ha sempre ribadito, anche dopo il Concilio Vaticano secondo, la validità dei principi e delle ragioni su cui si fonda il calibato sacerdotale. A noi cristiani non resta che dire il nostro Amen. Risultato dell’incontro inatteso: buono, a testimonianza dei loro visi e dei loro occhi attenti. A tal punto che mi piace pensare che da grande forse qualcuno di loro diventerà....... Ah dimenticavo..... e i difetti dei Sacerdoti?.: pochi, pochissimi, essi scompaiano dinnanzi a tali grandezze e fattezze. Il Giudizio lasciamolo a Dio— Unico Giudice Giusto—, perchè come dice il Signore: “A chi più ha dato, più sarà richiesto”. riconoscenza a Dio per gli innumerevoli doni ricevuti in ogni attività da me intrapresa. Perché quindi non mettere a disposizione dei malati le mie modeste capacità di assistenza, dopo l’esperienza acquisita durante i 15 anni della malattia di mia madre? Perché non soddisfare il mio innato bisogno di espandermi, di dare quanto era nelle mie possibilità, praticando la carità disinteressata, vissuta in Cristo curatore e servitore dei sofferenti? Dopo aver speso le migliori energie in un’altra attività altrettanto nobile, avrei sicuramente sperimentato la validità dell’affermazione che “la vita comincia quando ti metti al servizio degli altri”. Ebbene, dopo svariati anni di impiego in questo servizio, non posso fare a meno di esprimere tutta la mia personale soddisfazione per i benefici che ne ho ricevuto, sperimentando in pieno quanto siano vere le parole di San Paolo che “si ha più gioia nel dare che nel ricevere”. Infatti espressioni come “Il Signore ti benedica per il conforto che mi hai arrecato, possa tu realizzare tutto quello che desideri”, sono un valido sostegno ad affrontare la giornata serenamente con la consapevolezza che, anche in misura minima, si è rivolto il pensiero a Dio, ravvisato sul volto dei fratelli sofferenti. -7- LA “NONNA” IL DIARIO DI GIORGIA Paola Giorgetti Giorgia Pergolini Caro diario, mi capita sempre di notare che nei libri di storia raramente vengono menzionati nomi di donne, eppure di donne famose nella storia ce ne sono! Se dobbiamo limitarci allo studio nel libro di testo i professori si accontentano dei soliti quattro nomi di re o generali. Invece, per approfondire davvero un evento e trovare una qualche donna in particolare che ne fu protagonista, dobbiamo spesso passare le ore intere su internet. Nella storia italiana si inizia a parlare seriamente di noi donne solo dal 31 gennaio 1945, quando il diritto di voto venne esteso anche a noi, ma quello che molti non sanno è che anche prima del diritto al voto c’erano le donne e che hanno sempre fatto grandi cose che spesso sottovalutiamo. Recentemente nel mio liceo c’è stata una conferenza tenuta da una studiosa del periodo mazziniano. La mia classe ha partecipato ed è stata una conferenza davvero molto interessante. La nostra ospite ci ha parlato della vita di una donna mazziniana che ha fatto grandi cose in quel periodo: Cristina Trivulzio di Belgioioso. Mi è rimasta particolarmente impressa la sua vita perchè, nonostante venisse da una casata nobile, è riuscita a dire la sua, a scappare e a fare quello che più desiderava, ossia lottare per l’unità d’Italia. Ovviamente fare una cosa del genere a quei tempi comportava un vero e proprio scandalo! Immagina, caro diario, una nobile che di punto in bianco lascia tutte le sue richezze, rifiuta di sposare l’uomo a cui era destinata fin da piccola, fugge di casa per frequentare i salotti liberali mazziniani e finanzia il movimento insurrezionale modenese di Menotti. Le sue idee “moderne” sono in netto contrasto con quella parte aristocratica che ha caratterizzato per vent’anni la sua vita ma, nonostante questo, non è sola, ha ancora molte conoscenze importanti, tra cui la mamma di Alessandro Manzoni. Pensa, caro diario, che quando Cristina volle vedere la madre di Manzoni ormai morente lui glielo impedì dicendo che non voleva che sua madre fosse amica di una tale donna “ribelle”. Nel 1844 finanzia la nascita della Gazzetta Italiana però subito sequestrata dalla Polizia. Allo scoppio della rivolta delle 5 giornate Cristina ritorna a Milano accompagnata dai patrioti napoletani e qui si dedica al giornalismo con un altro foglio “Il Crociato”. Dopo la sconfitta di Novara si reca a Roma con Mazzini, pur non condividendone l’avventurismo insurrezionale sempre fallimentare. Lei stessa aveva cercato di mediare con Carlo Alberto un avvicinamento fra i due. Il 20 aprile 1849 le viene dato l’incarico di formare un comitato di soccorso ai feriti e viene nominarta direttrice delle ambulanze. Dato che il corpo medico non era dei migliori e soprattutto era carente di personale, Cristina decide di chiedere aiuto a delle prostitute. Questo suo atto da un lato fece aumentare la sua già cattiva reputazione ma dall’altro, aumentando il corpo medico, salvò la vita a molti feriti in seguito alla guerra. La cosa che mi è rimasta più impressa è che Cristina non curò solo i feriti mazziniani ma anche quelli francesi. Non le importava chi fossero i pazienti, se fossero suoi amici o acerrimi nemici, lei li curava lo stesso senza pregiudizi. Ovviamente, come ho già scritto, l’assunzione di prostitute come aiuto-infermiere creò un forte scandalo tant’è che Papa Pio IX le scrisse una lettera accusandola di essere una “sfacciata meretrice”. La Belgioioso replicherà: «Non sosterrò che tra la moltitudine di donne che, durante il maggio e giugno del 1849, si dedicarono alla cura dei feriti non ve ne fosse neppure una di costumi irreprensibili: Vostra Santità si degnerà sicuramente di considerare che non disponevo della Polizia Sacerdotale per indagare nei segreti delle loro famiglie, o meglio ancora dei loro cuori. Tuttavia di una sola cosa si poteva essere certi, che esse erano state per giorni e giorni al capezzale dei feriti; non si ritraevano davanti alle fatiche più estenuanti, né agli spettacoli o alle funzioni più ripugnanti, né dinnanzi al pericolo, dato che gli ospedali erano bersaglio [proprio per continuo criminale incitamento papale, ndr] delle bombe francesi». Quindi, caro diario, prova a immaginare una donna nobile, ricca e colta che lascia tutto per andare in guerra sostenendo il movimento patriottico liberale, in più si offre volontaria per curare i feriti di entrambe le sponde e, come se non bastasse, si “permette” di scrivere una lettera al Papa rivolgendosi in quel modo schietto e non proprio adatto a una donna del suo rango. Pensa che coraggio! Per me questa è una cosa da ammirare: il coraggio di una donna, nonostante i tempi duri e rigidi, di dire quello che pensa. Oggi studiamo che nel 1848 il re Carlo Alberto utilizzò per la prima volta la bandiera italiana con al centro lo stemma della corona Sabauda. Sai, caro diario, chi è stata a ricamare quella bandiera? Proprio Cristina Trivulzio di Belgioioso. -8- Io e i miei numerosi fratelli la chiamavamo così, ma in effetti era soltanto la sorella della nostra nonna materna che non avevamo conosciuto perché morta prima delle nostre nascite. Si chiamava Elide ed era una vecchietta dolcissima con gli occhi cerulei e i capelli grigi raccolti in una “crocchia”. Di statura non molto alta, era purtroppo claudicante in quanto la sua gamba destra, in gioventù, aveva subìto un incidente in seguito al quale il ginocchio le era rimasto bloccato. Non si era sposata e, non avendo figli, aveva “affiliato” sentimentalmente tanto nostra madre, che aveva il suo stesso nome, quanto una nostra zia. Naturalmente tutto ciò la portò ad amare moltissimo anche noi. Eravamo i suoi nipotini diletti e ricordo che prendeva sempre le nostre difese contro chiunque ci rimproverasse. Un po’ ci viziava: non ci diceva mai di no. Quando veniva a trovarci a Rifredi, alla periferia di Firenze, dove abitavamo prima del 1940, la riconoscevamo da lontano dal suo modo di camminare, con quella sua gamba diritta, e dalla sua borsetta immancabilmente scaturiva un pacchetto di dolci ghiottonerie. Per noi era una festa perché certe cose allora non si mangiavano abitualmente. Si tratteneva a raccontarci fiabe, a giocare e, quando rimaneva a pranzo, se uno di noi era malato, lei non stava a tavola, ma prendeva il suo piatto e mangiava in compagnia del piccolo infermo. Rammento che, nelle sue visite, la nonna Elide ci ripeteva tante belle piccole filastrocche (anche suoi ricordi di gioventù), quelle che, penso, venivano “snocciolate” dagli adulti ai bambini quando venivano pregati di raccontar loro una novella, ma ci venivano insegnate anche per esercitare la memoria. Normalmente viveva con un cugino, l’austero e burbero signor Tertulliano che possedeva un appartamento in piazza San Giovanni, proprio di fronte al Battistero. Lei aveva però anche un piccolo “pied a terre” in una delle vie della vecchia Firenze, e ogni tanto vi soggiornava, forse (penso io) per avere un po’ di libertà e “sganciarsi” dalla compagnia del “caro cugino”. Io e mia sorella maggiore qualche volta l’accompagnavamo quando vi si recava, magari per andare a prendere qualche oggetto che le serviva e che lì si trovava. Aveva in affitto una cameretta con uso di cucina ma il resto dell’appartamento era quasi sempre vuoto. Rivedo questo piccolo locale arredato con un semplice letto di ferro (come usava allora) discretamente decorato, un armadio di noce scuro e un bel cassettone, col ripiano di marmo grigio e un grande specchio nonché alcuni cassetti contenenti il suo corredo, il primo dei quali era colmo di tutto un po’: vecchi ricordi, bigiotteria, ammennicoli vari, foto, roba religiosa, ecc. Oggetti che sarebbero stati, ad averlo saputo prima, molto interessanti per le mie collezioni, ed anche i mobili erano veri pezzi di antiquariato. Ma quello, invece, che attirava di più, allora, la mia attenzione era un piccolo vecchio armadietto di legno laccato bianco, che, veramente, non aveva niente a che vedere con il resto dell’arredamento e che conteneva utensili che evidentemente le occorrevano quando aveva bisogno di servirsi della cucina e cioè: piatti, tazzine, bicchieri, vasetti di porcellana, magari scompagnati ma di buona fattura, posate, piccoli pentoli di alluminio, bricchetti e qualche riserva alimentare. Sembrava un piccolo armadietto da bambola. Naturalmente non vi mancavano delle belle scatole metalliche litografate contenenti biscotti, caramelle e altri dolcetti, trattenuti proprio per noi e ricordo che li sgranocchiavamo affacciate alla finestra, anch’essa per noi una curiosità perché era alta, senza terrazzino, ma con una ringhiera dalla quale ci sporgevamo per ammirare un parco dove la “nonna” ci prometteva di condurci un giorno, ma non lo ha mai fatto, perché andavamo sempre di fretta… LA RAGAZZA DEL BATANGAS Marco Di Tillo Debbie oggi ha 39 anni. E’ nata in un villaggio poverissimo del Batangas, una provincia delle Isole Filippine nell’isola di Luzon, un’area di circa tremila chilometri quadrati, con una popolazione di due milioni e mezzo di anime. E’ seconda di sette figli. Suo padre faceva il pescatore sul lago Taal e quando tornava dal lavoro lei ed i suo fratelli maggiori dovevano andare a vendere il pesce al mercato di zona. Ma spesso non c’era nessun pesce da vendere e Debbie doveva restare a casa a badare ai fratelli più piccoli. La mattina andava a scuola ma non potè finire gli studi, anche se le piaceva moltissimo studiare, soprattutto l’inglese. A sedici anni la famiglia le trovò un lavoro in una fabbrica di scarpe a Manila, tre ore e mezza di distanza da lì. Stava seduta tutto il giorno a confezionare calzature.Non poteva alzarsi neanche per mangiare. Consumava i pasti direttamente sul tavolo da lavoro. Quando compì 20 anni, nel marzo del 1991, una mattina i suoi genitori la svegliarono all’alba con una valigia già pronta. “Oggi vai a raggiungere tua cugina Tassie in Europa. E comportati bene perché questo tuo viaggio è costato migliaia di dollari di debiti con i parenti !” le dissero e l’accompagnarono all’aereoporto. La staccarono a forza dall’abbraccio di sua madre, entrambe non avevano più lacrime da spendere perché sapevano che sarebbe passato moltissimo tempo prima di rivedersi. All’interno dell’aereo si trovò insieme ad un’altra ventina di ragazze provenienti da tutte le regioni. Le guidava uno strano ceffo, comandandole a bacchetta. “Tu siediti lì e stai zitta. Cercate di dormire e non rompete le scatole. Il viaggio sarà lungo.” In effetti il viaggio fu molto lungo, non finiva mai. Ci fu anche uno scalo a Madrid, che strano nome per una città. Ma ancora più strano fu il nome dell’altra città, quella in cui atterrarono: Praga. L’organizzazione a cui furono affidate aveva previsto tutto nei minimi particolari. Un pulmino le venne a prendere direttamente sulla pista e le accompagnò in una sottospecie di alberghetto di periferia. Restarono lì chiuse per una settimana intera, senza poter mettere il naso fuori. Nelle stanze faceva un freddo terribile e dovevano stringersi una all’altra per riscaldarsi un po’. Alla fine della settimana le venne a prendere il solito pulmino ed iniziò un altro viaggio, anche questo lunghissimo. Debbie notò che mancavano alcune ragazze rispetto a quando erano arrivate, le gemelle Bessie e Marisa ad esempio non c’erano più. Erano le più carine di tutte e una notte le sembrava di aver visto entrare alcuni uomini nella loro stanza. Il pulmino attraversò città, paesi e montagne ancora innevate. Loro potevano scendere solo per fare i bisogni, direttamente sulla strada o, quando andava bene, dietro ad un cespuglio. Dormivano e mangiavano sul pulmino, senza mai potersi cambiare né lavare. Il viaggio durò tre giorni. La terza notte arrivarono sotto ad una grande montagna. Si trovava in Jugoslavia ma lei non lo sapeva. Un gruppo di uomini le aspettava. Erano tutti incappucciati ed armati fino ai denti. Faceva un freddo incredibile e loro erano ancora vestite come nelle Filippine, in abiti leggeri di cotone. Ognuna trascinava una borsa pesante oppure aveva uno zaino sulle spalle. Iniziarono a camminare su per i pendii scoscesi, in fila indiana, in silenzio. Ogni tanto qualcuno dei loro accompagnatori faceva segno di fermarsi e di non fiatare perchè c’era gente nei dintorni e non dovevano vederle. Camminarono per ore. Allo spuntare del sole, finalmente, si trovarono dall’altra parte…in Italia ! Un nuovo pulmino le aspettava e nuovi accompagnatori. Salirono tutte a bordo. La prima città italiana che attraversarono si chiamava Trieste e poi, via via, tutte le altre…fino a quella più grande, Roma ! Sua cugina Tassie la aspettava alla Stazione Tiburtina, il luogo dove il pulmino si fermò e tutte le ragazze scesero verso la loro nuova vita. Oggi Debbie lavora ad ore in una delle nostre case, come tante sue connazionali. E’ bravissima e cucina la pasta alla carbonara e l’abbacchio meglio di Vissani. Si è sposata ed ha un figlio nato in Italia e che frequenta le scuole della nostra Balduina. Ha fatto venire qui tutti i suoi fratelli e anche la madre che ha lasciato con un po’ di fatica la sua casa nel Batangas. Probabilmente nessuno di loro tornerà più a vivere nelle Filippine. I figli del figlio di Debbie cresceranno in Italia e saranno la terza generazione, quella che si integrerà definitivamente nel nostro tessuto sociale così com’è sempre stato in tutti i paesi occidentali e com’è avvenuto anche per noi italiani quando, poverissimi, andavamo a cercarci una nuova vita negli Stati Uniti, nel sud America, in Australia. Ce ne sono tantissime di Debbie nel nostro paese. Hanno lasciato tutto ed hanno trovato noi. Ognuna di queste donne ha una storia diversa ma in fondo simile. Vengono da un paese con un’altissima percentuale di cattolici, che ci ha dato tantissimi sacerdoti e suore. Ognuna di queste donne crede fermamente nella Provvidenza, la stessa Provvidenza che ha a cuore il destino della gente di Fede, in ogni parte del mondo. -9- IO TIFO DONNE Giulia Bondolfi Ho sempre amato le donne. Nonne, mamme, amiche a volte nemiche e, un po’ più avanti nella mia vita, anche le sante. Ma nel mio futuro c’erano solo uomini: capi ufficio, fratelli, marito e tre figli maschi. Poiché non credo nei casi penso che il buon Dio mi abbia mandato un segno dal cielo: ”visto che con le donne vai bene, vedi di imparare a rapportarti ora in avanti soprattutto con gli uomini.” E per me non è stata una cosa facile. Io con le donne giocavo in casa, ho sempre avuto grande facilità di dialogo, qualcosa che mi permetteva di capirle dal primo sguardo. Sarà stata la scuola femminile che ho frequentato fino alla fine delle elementari o il meraviglioso coro di sole donne che mi ha accompagnato fino ai miei vent’anni. Chissà! Credo che grande merito di questo mio smisurato amore per le donne sia da attribuire prima fra tutte a mia nonna paterna, una donna all’avanguardia per essere nata nel 1899 che ha sempre capito i giovani e quindi un po’ anche me a vent’anni. Ma il vero pezzo forte della mia passione per le donne lo attribuisco quasi totalmente a mia madre: una donna degli anni Trenta con splendidi occhi verdi, bionda, sportiva, dinamica, bella dentro, che per la sua vitalità e modernità ancora oggi farebbe invidia a tante ragazze. E a lei che devo la mia spinta a studiare, a rendermi autonoma e indipendente senza mai tralasciare però il mio essere donna, moglie e madre. Nel corso del mio matrimonio, quando tendevo un po’ a tralasciare i miei doveri familiari a favore del lavoro o del divertimento, lei c’è sempre stata: era lì dietro di me, pronta con dolcezza a ricordarmi che la mia prima realizzazione, l’avevo scelta il giorno in cui mi ero sposata. E anche se mia mamma a tutt’oggi non si può proprio definire una cristiana perfettamente osservante ( faccio fatica a trascinarla a messa), credo che il suo esempio nell’essere prima moglie e poi madre mi sia stata di grande aiuto in tanti momenti del mio matrimonio. In questa prima fase dell’anno liturgico mi trovo sempre di più a soffermarmi sulla figura di Maria nostra madre e madre del Signore Dio nostro. Che meraviglia le sue parole all’Annuncio dell’Arcangelo Gabriele” Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E più avanti quando Gesù dodicenne scompare a Gerusalemme, il suo essere madre in maniera discreta, probabilmente non capendo fino in fondo cosa sta accadendo a suo figlio, ma affidandosi sempre alla volontà di Dio. Chissà se noi donne del Duemila saremo minimamente capaci di avvicinarci a tanto amore per nostro Signore e aver tanto rispetto per i nostri figli. Da quello che vedo in giro non mi sembra proprio. Noi donne moderne tutte indipendenti ed autonome dobbiamo fare molta strada per emulare solo un pochino la santità di Maria. Ripensando a tutte le donne della mia vita e non solo nonne, mamme, sorelle, amiche, sante fino ad arrivare a Maria, la donna per eccelenza, mi capita di “innamorarmi” sempre di più del genere femminile che è capace di donare la vita e di conservarla a fronte di tanti sacrifici. Quindi Signore anche se hai messo sulla mia strada di adulta praticamente solo uomini, io continuo a fare il tifo per tutte le donne. CHE PALPITO VIENE SE ASCOLTI LA PREDICA! Miriam Aiello (Pensieri tratti dalle omelie di Don Paolo) Una donna speciale: Maria Immacolata, Madre di Dio, Madre Nostra Il Signore ci protegge con la sua ombra, non abbiamo bisogno soltanto della sua luce, ma anche della sua ombra. La preghiera è passeggiare fianco a fianco con il Signore. Anche noi, così come la Chiesa, possiamo diventare grembo fecondo, sorpreso, stupito, allo stesso modo della Madonna. Maria sa aspettare… Niente è impossibile a Dio! Maria è vaso ricolmo della Grazia di Dio. Anche noi possiamo essere pieni di grazia, benedetti da Dio e benedetti possono essere i frutti delle nostre opere, perché il Signore è con noi! Siamo felici perché Dio ci ha scelti. Dio è con te, Dio è imprevedibile, Dio dà più di quanto chiede, Dio è la migliore assicurazione sulla vita e per di più gratuita! Santa Madre di Dio Il primo giorno dell’anno è dedicato alla Madonna 2010 Maria, Madre di Dio, prega per noi! La nostra vita si basa su certezze assolute:siamo benedetti da Dio, siamo eredi di Dio, di una magnifica eredità che non si divide, ma si moltiplica; siamo custodi del bene che abbiamo ricevuto. Per noi è possibile credere, così come ha fatto Maria di fronte al mistero dell’Incarnazione. 2009 Maria custodiva queste cose meditandole in cuor suo Straordinario è custodire ciò che è ordinario, straordinario è custodire la memoria di Dio, straordinario è serbare, trattenere, non dimenticare il bene ricevuto. 2008 Il tutto in un frammento Cerchiamo di sintetizzare, di essenzializzare la nostra vita; la sintesi è il contrario della dispersione, l’essenziale è ordine e certezza. La Madonna è per noi esempio di vita. 2007 Mater misericordiae Mettiamoci sotto la protezione della Madonna e saremo forti nella fede, pazienti nella speranza, perseveranti nella carità. Dio è pace, giustizia, misericordia! 2006 Percorrerò i tuoi passi Auguriamoci di voler bene a noi stessi. Abbandoniamoci a Dio, anche nella nostra debolezza ed ogni volta ricominciamo con gioia, ottimismo, speranza. Maria, la Madre di Dio, è con noi! Le nozze di Cana Non hanno più vino… Immaginiamo Maria che strattona Gesù, è infatti la Madonna che tira Gesù per la tunica, anticipando l’ora dei miracoli. Rivolgiamoci a Lei! Quale vino mi manca? Il vino della gioia, il vino della fiducia? Che cosa bevo? La vita può “andare avanti” anche senza vino, solo con l’acqua o altre bevande, ma va avanti stancamente, senza gioia. Quali sono i miracoli che chiedo al Signore? Chiediamo al Signore di colmare le mancanze dell’anima! Gesù è lo sposo fedele nella buona e nella cattiva sorte, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, è Colui che non ci abbandonerà mai, ma noi siamo altrettanto fedeli? Immaginiamo il banchetto delle nozze: noi in quale posto staremmo? Tra i servi, tra i testimoni, tra gli amici oppure sentiamo di poter essere al posto della sposa?Ricordiamoci che nell’anello nuziale Gesù ha scritto il nostro nome e la data del nostro incontro con Lui! FEDE E COLF Alessandra Angeli Ogni tanto, girando per casa, ritrovo lettere di denuncia, mai terminate né spedite, sulla difficile situazione in cui vertono le famiglie italiane circa il rapporto di lavoro domestico. Le colf, ora si chiamano così, sono difficili da trovare e, per contro, hanno la capacità di dissolversi all’istante da casa tua. Se hai figli ancora piccoli, assisti ad un “fuggi fuggi” preventivo, nel senso che le persone disponibili sono una rarità. Io mi sono spesso rivolta ai centri Caritas: “Come, tre bambini? Ah, signora mia! Non ho nessuno che accetti questo tipo di lavoro! “ E con bonaria commiserazione ti dicono che tutte cercano occupazioni più semplici, persone anziane o case con genitori ed un figlio solo. Col signor Vittorio, che segue veramente bene il centro della nostra parrocchia, tante volte ci domandiamo sconsolati quante di queste persone abbiano veramente voglia di lavorare. Perché indubbiamente una famiglia di cinque persone dà più da fare. Insomma, non siamo competitivi, anche perché la crisi sociale della famiglia è una realtà, la natalità è bassa e quindi per i collaboratori domestici non è più la normalità supportare la vita di nuclei familiari “numerosi”. E talvolta sono anche giustificati visto che l’educazione dei ragazzini di oggi molto spesso lascia a desiderare. Perciò passano mesi prima di trovare la signora giusta, dopo innumerevoli telefonate e tam tam; appuntamenti a cui molte volte non si presenta nessuno senza il minimo preavviso; prove di qualche giorno che poi finiscono in fumo. Non ti puoi mettere in casa la prima persona che ti capita, specie se hai dei bambini; una volta c’era il libretto di lavoro con i pregressi datori che fungevano da referenti. Ora sei costretto ad affidarti alle referenze che ti presenta la persona di turno e che spesso ti lasciano interdetta, perchè risalgono a due anni prima. Ti sforzi di capire chi hai veramente di fronte, cercando di decifrare discorsi in un italiano in corso di apprendimento. Ed una volta trovata, quanto tempo ancora passa perché si abbia una sufficiente affidabilità! Già agli albori dei primi rapporti di lavoro mio marito ed io ci accorgemmo che ci stavamo addentrando in una “giungla”: perciò decidemmo di iscriverci all’Assindatcolf, un’associazione che tutela i datori di lavoro fornendo consulenza e svolgendo tutte le pratiche di legge. E fu una scelta che negli anni ha dato i suoi frutti, perché tra tutti i problemi che le colf ci hanno procurato non c’è mai stato un contenzioso. E’ un’occupazione che va rispettata, remunerata e regolata al pari di tutte le altre, ma che purtroppo ha un’enorme handicap: il preavviso del lavoratore è praticamente ridicolo. A fronte di un contratto di lavoro con tutta una serie di obblighi e costi (che appesantiscono notevolmente il bilancio familiare), consta di soli 8 giorni. In molte realtà lavorative, con più personale pronto a tamponare, sono previsti mesi di preavviso; nelle famiglie, cellule base della società, l’unico sostegno può abbandonare il suo posto in un tempo talmente insignificante, che lo stesso lavoratore spesso vi rinuncia, per un sovvenuto maggior interesse, andandosene da un giorno all’altro. Ricordo Ligia che, guarda caso, poco dopo averle rinnovato il permesso di soggiorno, mi comunicò che andava via perché era in arrivo il fidanzato e avevano già trovato lavoro per una coppia. E tu cosa fai? Come reggi gli impegni di ogni tipo che hai preso e la routine di vita quotidiana, familiare e lavorati- 10 - va, quando la “spalla di casa”, nel pieno diritto conferitole dalla legge italiana, ti molla in così breve tempo? Quanto sei “ricattabile”, quanto timore hai quando devi riprenderla perchè ha svolto male il suo lavoro? Quante di noi abbozzano per poter mandare avanti il “menage”? Se si trattasse solamente di “fare le pulizie”, tutto sommato sarebbe sempre un problema, ma meno grave. Quando hai bambini non è così facile sostituire una persona con un’altra, nonché colmare il loro dispiacere per la sparizione della signora a cui si erano affezionati. Non avendo un lavoro dipendente io mi sono sempre rimessa a tempo pieno in casa, spesse volte anche per l’insofferenza di vedermi circolare intorno altra gente. Ma poi non ce la facevo, la vita è molto più complicata di un tempo: bastava un piccolo imprevisto e gli equilibrismi con cui mio marito ed io reggevamo il tutto venivano giù. Il lavoro, da cui comunque non potevo completamente prescindere, chiaramente ne è stato danneggiato: risorse umane, ricchezza italiana andata in fumo invece che in circolazione. Non tutti hanno i nonni sempre disponibili: tra una ritrovata gioventù, le distanze ed il dividersi tra più figli e nipoti, non ci si può contare a sufficienza. E quando loro stessi hanno bisogno di assistenza si rimane schiacciati tra due fronti. E poi ci si chiede perché tante separazioni e così pochi figli; perché molti non mettono su famiglia, perché tanti giovani sono allo sbando: anche per questi motivi. In buona parte tutto ciò è imputabile a noi donne che non dedichiamo più tutte le energie alla famiglia: ma è anche vero che sempre più spesso lo si fa per necessità, non più per scelta. Col passar degli anni la mia esperienza in fatto di lavoro domestico si è affinata; il motto di casa ormai è: “finchè dura siamo a galla”. I figli stanno crescendo, danno una mano e si accorgono loro stessi se in casa qualcosa non va. Di pari passo con la mia conversione ho imparato a gestire il tutto alla luce della fede: a portare pazienza, a riprendere con amabilità, talvolta con una battuta; a gratificare il lavoro ben fatto; ad usare calma e fermezza quando è necessario, pregando prima perché la mia mente sia illuminata; a farmi l’esame di coscienza per evitare di essere troppo esigente o di trovarmi in torto; a pregare per la signora di turno e per quelle pregresse, condividendo con loro Rosari e pellegrinaggi. Ho accettato mesi e mesi di “salti mortali” come penitenza, dicendoGli: “Va be’, aspetto il momento che tu vorrai per rientrare nella normalità e, per favore, quando sarà, fammi trovare la persona giusta, tieni il male lontano da casa mia”. E non posso fare a meno di pensare a chi sta “nella stessa barca”, perché tanti genitori saranno stati più bravi e fortunati di noi, ma tanti altri potranno raccontare esperienze simili alle nostre. E chi, ignaro, sta mettendo su famiglia ora? L’equivoco di fondo sta nel pensare che il sostegno alla famiglia sia una mansione di serie “z”, quando di fatto ogni suo squilibrio si ripercuote negativamente sulla società. Non è necessario essere credenti per accorgersi che viviamo in un clima di forte decadenza un po’ in tutti i settori. Ma per chi lo è, anche questo genere di problemi si trasforma in una croce, pur se non delle più pesanti, con cui alleviare lo sforzo di Colui che la croce l’ha portata veramente; da abbinare all’impegno, che va al di là del dovere civico, di sforzarsi per il bene comune. Per questo voglio, in tempi migliori e con un briciolo di pazzia, terminare quelle lettere e spedirle a chi di dovere, confidando nel Signore. RICORDANDO MIA MADRE Pietro Gregori Parlare della propria genitrice quando la stessa è deceduta da ben settantotto anni, non è un evento che capita facilmente, ma io sono purtroppo tra coloro che hanno avuto la sciagura di vivere una esperienza di questo genere in quanto rimasto orfano a soli nove anni. Infatti una malattia del sistema linfatico se l’è portata via dopo oltre un anno di sofferenze, lasciando anche due figli di me più piccoli. Il suo nome era Adele. Nativa di Bagnaia, un paese del viterbese, faceva parte di una famiglia piuttosto in vista, anche se non facoltosa, di quella località. La sua nonna materna, Isabella Ojetti, era sorella dell’architetto Raffaele, a sua volta padre del noto giornalista e scrittore, Ugo. La loro madre, Maria Boncompagni, discendeva nientemeno, secondo una mia tesi suffragata da un documento di alquanta rilevanza, dal papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni. Non molto so della vita di mia madre anteriormente al matrimonio. Fu comunque lei a raccontarmi un episodio che costituisce una prova della sua sensibilità: accadde infatti un giorno, che, trovandosi a scuola, una sua sorella fu punita dalla propria maestra, per non so quale mancanza, mediante l’applicazione sulla faccia di una lingua posticcia e fu obbligata in tali condizioni a fare il giro delle varie aule. Inutile dire che mia madre a vedere l’umiliazione cui era stata sottoposta la sorella, scoppiò in un pianto dirotto, mentre l’altra, per nulla turbata, rideva... Mi ha anche raccontato che, quando aveva 19 anni, partecipò ad uno spettacolo organizzato dalle suore che aveva per soggetto la vita di S. Agnese. Lei stessa interpretò il personaggio della santa ed al momento del “martirio”, mentre un angelo interpretato da un’altra sua sorella stendeva su di lei un grande velo nero, molta fu la commozione degli altri suoi familiari, alcuni dei quali non seppero trattenere le lacrime. Qualche tempo prima del 1915 mia madre trovò un’occupazione presso le Poste di Bagnaia dove tra l’altro imparò poi molto bene ad usare il telegrafo. Nei momenti di calma, e credo che ce ne fossero parecchi, ella era solita sedere a ricamare fuori della porta dell’ufficio. Con una sua collega di cui era molto amica prese l’abitudine di recarsi, per diversi anni, a recitare il rosario -tutti i pomeriggi del mese di maggiopresso una cappelletta, la cosiddetta “Chiesola”, posizionata sullo spartiacque di una collina a un buon chilometro di distanza dal paese. Il suo modo di parlare senza alcuna inflessione dialettale non lasciava affatto trapelare le sue origini paesane, al contrario di quanto invece avviene per molte signore della buona borghesia locale. Anzi l’ho sentita più volte criticare, e piuttosto aspramente, il “vernacolo” di Bagnaia. Parlare del carattere dei miei genitori è per me una impresa molto ardua soprattutto per la mia innata difficoltà ad esprimere certi concetti e a descrivere con proprietà un determinato tipo di sensazioni. Quello che comunque mi sentirei di affermare è di essere convinto che tra i due chi aveva un temperamento più forte e volitivo, seppure in qualche caso apprensivo, era senza meno mia madre, che fra l’altro si mostrava in genere molto più dura ed esigente con noi bambini di quanto non lo fosse, almeno finché lei è vissuta, mio padre. Certo, se, da una parte, la sua lunga malattia ha forse in qualche modo accentuato quella sua rigidità, la sua precoce morte mi ha per contro impedito di avere una conferma nel tempo di quanto mi sembra di poter asserire. Comunque i loro rapporti furono, per quanto mi è stato dato di capire, sempre ottimi ed impostati alla migliore reciproca comprensione. Nei momenti felici, li ho sentiti talvolta canticchiare qualche canzone del loro tempo come ad esempio quella, di cui non mi sovviene il titolo, che iniziava “Quando di maggio le ciliege sono nere...”, oppure accennare a festose arie di operette, il che mi lascia supporre che debbono aver assistito a più di uno spettacolo del genere. Mi ha peraltro stupito, quando in seguito me ne resi conto, il ricordo di averli più volte sentiti ripetere alcuni motivi di “Turlupineide”, la celebre rivista che fece epoca nei primi anni del secolo scorso, in cui si prendevano in giro personaggi politici di quei tempi come Giolitti e don Romolo Murri. Quanto alla religione, di fronte ad una fede intensa che caratterizzava mio padre, credo di poter dire che quella di mia madre risentiva lievemente dell’ambiente familiare piuttosto tiepido in cui era vissuta, anche se gli episodi cui ho accennato potrebbero far credere il contrario. Mi piace ricordare al riguardo che a noi bambini, da piccolissimi, per un motivo difficilmente spiegabile con poche parole, faceva fare il segno della Croce sostituendo il nome di “Gesù” all’espressione “Così sia!”. Altre abitudini particolari e modi di dire? Posso accennare al fatto che mia madre era solita dividere le persone del suo stesso sesso in due categorie: quelle che portavano e quelle che non portavano il cappello, le prime delle quali non dovevano per lei compiere taluni atti che invece si potevano perdonare alle seconde. Come già detto, mia madre, da signorina, si applicava molto al ricamo, tanto che permangono ancora alcuni manufatti da lei confezionati o guarniti. Questa capacità la mise in pratica anche dopo il matrimonio. Ricordo infatti di averla vista ricamare in varie occasioni tende e tendine per finestre, fodere di cuscini, nonché alcuni vestitini per noi bambini. Tra le varie pratiche che ci inculcò, ricordo che la sera, prima di coricarci, dovevamo andare a baciare la mano tanto a lei quanto a nostro padre, chiedendo la loro “santa benedizione”, che ci veniva concessa da entrambi con la sgrammaticata formula “Ti benedica Dio e la Madonnina”, spesso pronunciata a mezza bocca. Per quanto riguarda i miei rapporti con lei, debbo riferire che in più di una occasione, prendendo spunto, credo, da miei supposti successi scolastici, la sentii pronunciare, con malcelato orgoglio ma con evidente convinzione, queste tre parole: “E’ molto intelligente”. La cosa mi ha sempre lasciato piuttosto perplesso. - 11 - DONNE CRISTIANE IN IRAQ Roberto Cavallo In Iraq ogni donna non completamente coperta dal hijab rischia di andare incontro all’ira degli estremisti, che non disdegnano rapimenti, fustigazione. Le donne della minoranza cristiana risultano essere le più colpite. Non a caso l’agenzia di informazione Asia News sul suo sito internet da spazio alla notizia secondo cui “Formazioni estremiste sunnite e sciite in Iraq sono in lotta su tutto, ma su un aspetto sembrano concordare: la persecuzione dei cristiani”. Così raccontano alcuni fedeli da Baghdad. Nella capitale circola una lettera, che intima alle donne cristiane di indossare il velo pena la segregazione domestica. La firma è dell’Esercito del Mahdi, la milizia di Moqtada al-Sadr, l’imam radicale sciita iracheno, che gli Usa considerano la più grande minaccia alla sicurezza del Paese. Finora era stato il gruppo sunnita dello “Stato islamico dell’Iraq” a siglare le azioni più violente contro la comunità cristiana: dall’imposizione della jizya la tassa di “compensazione” chiesta dal Corano ai sudditi non-musulmani - agli espropri di case e possedimenti, alle conversioni forzate all’islam…” Quindi non stupisce che quelle ragazze, considerate poco osservanti in base al loro abbigliamento, vengano rapite. In qualche caso il rapimento finisce in uno stupro di gruppo, e comunque sempre con insulti, botte e lividi. La polizia irachena non sempre ha le forze o la volontà di occuparsene. Le testimonianze sui rapimenti delle ragazze di Baghdad avvenuti negli anni scorsi sono però vere e numerose; oltre che un business criminale costituiscono uno strumento di islamizzazione, specialmente se praticato nei confronti di ragazze appartenenti alle minoranze cristiane. In un articolo pubblicato sulla rivista “Io Donna” (cfr. “Il ratto di Hasma”, di Andrea Nicastro, pagg. 143144), leggiamo: “Si parla anche di tratta delle schiave, di vergini vendute agli harem che viaggiano a dorso di cammello nel deserto. Una sarebbe tornata dopo tre giorni, “intoccata” grazie al pagamento di un riscatto. Un’altra è scomparsa e non se ne sa più nulla”. Anche nel Kurdistan iracheno la condizione sociale delle donne lascia molto a desiderare, con aspetti talora raccapriccianti. Per sfuggire ad una vita fatta di matrimoni imposti e di schiavitù familiari molte ragazze kurde (si parla di centinaia ogni anno) si levano la vita dandosi fuoco. UNA DONNA: EDITH STEIN JANE CLACSON: UNA RAGAZZA AMERICANA Roberto Vecchione Predisporre un articolo sulle donne in una visione cristiana,sociale, etica e morale può costituire l’occasione per pensare alla figura di Edith Stein, cioè di Santa Teresa Benedetta della Croce, nata il 12/10/1891 a Breslavia ed uccisa nelle camere a gas del campo di concentramento di Auschwitz il 9/08/1942, canonizzata dal Papa Giovanni Paolo II l’11/10/1998 e nominata compatrona d’Europa. Edith Stein s’interessò molto anche di questioni riguardanti le donne e nei suoi numerosi scritti analizzò la situazione femminile, con particolare riferimento all’aspetto filosofico e a quello teologico. Nel primo caso la Stein affrontò il problema dell’alterità, cioè del rapporto fra la propia soggettività e quella altrui, tenendo conto delle tre dimensioni dell’essere umano:1) quella corporea, 2) quella della psiche, 3)quella dello spirito. L’uomo e la donna sono uguali perchè entrambi esseri umani,ma diversi, oltre che nel corpo, nel loro rapporto con l’anima e con lo spirito; nella specie femminile vi è unità e sviluppo armonico delle funzioni, in quella maschile è presente generalmente una più accentuata elevazione delle singole energie. La Stein vuole dire che la donna per sua natura ha una particolare sensibilità a conoscere ogni oggetto nel suo valore specifico, l’uomo ha un innato impulso a conoscere fino al punto di impossessarsi dell’oggetto conosciuto per adattarlo secondo i suoi desideri. Nel suo volume “La donna” la Stein affrontò ed analizzò il tema della vocazione, cioè della chiamata di Dio, la scoperta e l’individuazione della cosiddetta anima spirituale; la ragione dell’uomo può arrivare a capire quasi totalmente il significato della natura umana, ma le questioni ultime non possono essere risolte se non con l’ausilio della Rivelazione; la questione femminile può essere compresa anche e soprattutto attraveso l’interpretazione delle Scritture; sotto il profilo teologico l’aspetto intellettuale, morale e religioso sono tutti determinanti per comprendere l’essere umano nel suo rapporto con Dio, che può essere solo di amore e secondo il dogma trinitario. Un funzionario che conobbe Edith Stein nei campi di concentramento nazisti disse che durante una conversazione Lei sostenne che se anche il mondo è formato di opposti, alla fine nulla resterà di tali contrasti perchè solo un amore grande resterà. Nei suoi scritti Edith Stein ci fa comprendere come il reale nella sua natura ontologica non è che una successione di momenti discendenti da Dio alle creature e dal creato a Dio. Il dibattito filosofico fra chi sostiene l’antropocentrismo (secondo cui l’universo è stato creato in funzione dell’uomo,che pertanto ne costituisce il centro) o invece il teocentrismo (che pone Dio come centro e fine di ogni pensiero e attività umana) è questione che può non riguardare la mente dell’uomo, mentre è essenziale per il cristiano la grazia di Dio; per raggiungerla deve ipegnarsi nelle opere l’essere umano buone,senza aspettare la contropartita, deve essere utile a se stesso e agli altri, deve sentire la creazione come un mezzo per approfondire il suo rapporto con Dio e deve essere infine in grado di difendere la sua anima spirituale dal male esistente in se stessi e nella società, sforzandosi di rimanere puro sempre e comunque, soprattutto di fronte alle ingiustizie, ai soprusi, alle meschinità e alle idolatrie della vita quotidiana. - 12 - 11/9/ 2001: Come ha potuto Dio permettere che avvenisse una sciagura del genere? La risposta che ha dato Jane Clacson, ragazza orfana a causa della tragedia delle Twin Towers, ad una Tv americana è estremamente profonda e intelligente ed è anche valida anche per tutte le tragedie terrestri. “Io credo che Dio sia profondamente rattristato da questo, proprio come lo siamo noi, ma per anni noi gli abbiamo detto di andarsene dalle nostre scuole, di andarsene dal nostro governo, di andarsene dalle nostre vite. Ed essendo Lui quel gentiluomo che è, io credo che Egli con calma si sia fatto da parte, anche se continua ad amarci, nonostante tutto! Come possiamo sperare di notare che Dio ci dona ogni giorno la Sua benedizione e la Sua protezione se Gli diciamo: “lasciaci soli”? Considerando i recenti avvenimenti: attacchi terroristici, sparatorie nelle scuole... ecc. penso che tutto sia cominciato quando 15 anni fa Madeline Murray O’Hare ha ottenuto che non fosse più consentita alcuna preghiera nelle nostre scuole americane e le abbiamo detto OK. Poi qualcuno ha detto: “è meglio non leggere la Bibbia nelle scuole” (la stessa Bibbia che dice, Tu non ucciderai, Tu non ruberai, ama il tuo prossimo come te stesso) e noi gli abbiamo detto OK. Poi, il dottor Benjamin Spock ha detto che noi non dovremmo sculacciare i nostri figli se si comportano male perché la loro personalità viene deviata e potremmo arrecare danno alla loro autostima, e noi abbiamo detto “un esperto sa di cosa sta parlando” e così abbiamo detto OK. Poi, qualcuno ha detto che sarebbe opportuno che gli insegnanti e i presidi non puniscano i nostri figli quando si comportano male, e noi abbiamo detto OK. Poi alcuni politici hanno detto: “Non è importante ciò che facciamo in privato purché facciamo il nostro lavoro” e d’accordo con loro, noi abbiamo detto OK. Poi qualcuno ha detto: “Il presepe non deve offendere le minoranze”, così nel famoso museo Madame Tussaud di Londra al posto di Maria e Giuseppe hanno messo la Spice girl Victoria e Beckham e noi abbiamo detto OK. Poi qualcuno ha detto: “Stampiamo riviste con fotografie di donne nude e chiamiamo tutto ciò “salutare apprezzamento per la bellezza del corpo femminile””. E noi gli abbiamo detto OK. Ora ci chiediamo come mai i nostri figli non hanno coscienza e non sanno distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Probabilmente, se ci pensiamo bene noi raccogliamo ciò che abbiamo seminato”. Buffo come è semplice per la gente gettare Dio nell’immondizia e meravigliarsi perché il mondo stia andando alla rovina! Buffo ... come crediamo a quello che dicono i giornali, ma contestiamo ciò che dice la Bibbia. Buffo come tutti vogliono andare in Paradiso, ma al tempo stesso non vogliono credere, pensare e fare niente di ciò che dice la Bibbia. Buffo come si mandino migliaia di barzellette che si propagano come un incendio, ma quando si incomincia a mandare messaggi che riguardano il Signore, le persone ci pensano due volte a scambiarseli. Buffo come tutto ciò che è indecente, scabroso, volgare e osceno circoli liberamente ovunque mentre le discussioni pubblicate su Dio siano state soppresse a scuola o sul posto di lavoro. Buffo come a Natale nelle scuole la recita per i genitori non possa più essere sulla natività ed al suo posto venga proposta una favola di Walt Disney. Buffo come si stia a casa dal lavoro per una festività religiosa e non si conosca nemmeno quale sia la ricorrenza. Buffo come qualcuno possa infervorarsi tanto per Cristo la domenica, mentre è di fatto un cristiano invisibile durante il resto della settimana. Buffo che quando inoltri questo messaggio tu non ne dia una copia a molti di quelli che sono nella tua lista degli indirizzi perché non sei sicuro del loro credo o di cosa penseranno di te per il fatto di averglielo mandato. Buffo come posso essere più preoccupato di ciò che pensa la gente di me piuttosto che di ciò che Dio pensa di me. Lo disse un giorno anche Don Bosco ad un gruppo di seminaristi di Roma...” REALTA’ AL FEMMINILE SURFANDO SU INTERNET Sandro Morici Questo numero di Arrivano i Nostri è dedicato alle “donne” o, come vorremmo interpretare, in omaggio “alla femminilità”. Sicuramente tante amiche ed amici hanno messo per iscritto i loro punti di vista, dicendoci delle loro belle esperienze con nonne, mamme, mogli e (forse) suocere. Lascio a loro le opportune confessioni sull’eterno femminino, magari in compagnia delle attuali “Donne di cuori” di Bruno Vespa, mentre io, con un piccolo e azzardato salto di fantasia, vorrei parlarvi di immagini femminili immateriali, di astrazioni concettuali, che però ci sono alquanto abituali. E tra questi soggetti di genere femminile vorrei soffermarmi, così a caso, su tre nomi-simbolo della nostra società: la casa, la famiglia, la Chiesa, tutti appunto di genere femminile. La casa è forse l’icona più cara della nostra esistenza, il centro dove il vissuto ha trovato tenerezza, calore, affetto, ma anche condivisione di dolore e qualvolta anche tristezza. La casa come luogo primordiale di solidarietà, perché da sempre lì si procrea e si crea la famiglia. La casa come bene primario, da conquistare appena si raggiunge la maturità e l’indipendenza economica, ma anche da tutelare e da conservare, magari a costo di pesanti sacrifici per pagare le rate del mutuo bancario o le richieste esagerate di un idraulico poco onesto. Alla casa siamo attaccati, anche se oggi è fatta con tanti materiali e prodotti della più avanzata chimica industriale (in nome della cosiddetta eco-compatibilità….) e non più con calce e mattoni, e non più arredata con grezzi mobili in legno massiccio ma con qualche bel laminato “made in Sweden”. Ci piace così la casa, la riempiamo di oggetti di ogni genere e forma, mentre arrediamo cucine con sofisticati robot e luccicanti attrezzi, ma poi….paradossalmente, appena si può…si scappa per andare fuori”, magari in qualche localino dalle dubbie condizioni igieniche. Certo, la casa è e dovrebbe restare simbolo di unione, anche se in circostanze spesso frequenti l’armonia si spezza e scoppiano le guerre coniugali, magari in presenza di bambini. E già, perché proprio a quei momenti di devastanti scossoni all’immagine della parola “famiglia” va associata ineluttabilmente quella di vittime innocenti. Minori ai quali vengono inferte profonde ferite psicologiche e che nel migliore dei casi vengono di fatto allevati da nonni amorevoli, ma spesso rattristati. Bambini e ragazzi confusi per eventi più grandi di loro, ai quali vengono meno certezze e trasmissione di valori. E qui si apre un capitolo tanto controverso della nostra società, relativo all’emergenza educativa, che investe i rapporti intergenerazionali e che coinvolge l’istituzione familiare in toto, anche dove si respira un’atmosfera apparentemente pacifica. La famiglia oggi, nell’opulento e sonnacchioso Occidente, viene subdolamente distolta dai grandi compiti che la storia le ha assegnato: formare coscienze critiche e responsabili riguardo limiti e regole; indicare chiari criteri etici di distinzione tra il vero e il falso, tra il bene e il male; creare, sviluppare e trasferire un clima di autentico amore dentro e fuori le mura domestiche. Quali potrebbero essere le possibili cause? Probabilmente l’eccesso di indifferenza o di ricerca effimera del nuovo, i diffusi stati depressivi, le autoaffermazioni esasperate. Eppure prenderne atto, reagire propositivamente, dare fiducia all’intelligenza umana e alla sensibilità dei giovani, sono tutti elementi che fanno ben sperare. E poi, siamo ancora convinti di parlare di “crisi della famiglia”? E se ci fosse una “crisi del divorzio”, con tutti i problemi affettivi, i disagi economici, le crisi di coscienza, le difficoltà nella gestione della quotidianità che esso comporta? L’uomo, in questo suo forsennato stato confusionale, che Ehrenberg definisce “allarme da non sapere più chi è chi”, va forse in cerca di un po’ di pace nel cuore. E chi da oltre duemila anni ha parlato e continua a predicare pace e giustizia alle genti? E’ l’altra faccia della società, è l’umanità buona che si raccoglie in comunità nella Chiesa, con tutti i suoi titoli di “cattolica, apostolica, romana e Santa Madre”. E così il cerchio delle tre parole-simbolo si chiude. Si chiude nella realtà di una Chiesa che apre tutti i giorni le porte delle sue parrocchie e delle sue strutture a grandi e a piccoli, a bisognosi e a malati. La Chiesa che va in giro per il mondo ad incontrare il prossimo attraverso le opere propositive dei missionari, che organizza le Giornate Mondiali della Gioventù, che fa sentire la sua voce quotidiana con l’Osservatore Romano ed Avvenire, che scrive in innumerevoli pubblicazioni , libri, encicliche e lettere pastorali, che parla ogni giorno a Radio Vaticana o a Radio Maria, che ha i suoi siti web e network globali come www.ewtn.com, che fa riferimento a certi sani programmi trasmessi su Telepace, TV 2000 e Telepace International (i nostri antidoti al Grande Fratello e similari). Mi fermo qui: a voi, care/i amiche/ci, lascio il doveroso spazio per le vostre ulteriori, attente e lucide riflessioni. Fatele liberamente, al femminile e/o al maschile! - 13 - Articoli, frasi, notizie, citazioni ed altri piccoli furti sul web DONNE, DIRITTI, STORIA E VIOLENZA I tempi sono cambiati ma la donna a volte è ancora succube dell’uomo. Nella Genesi, anche se in modo semplificato e biblico, viene spiegata l’uguaglianza tra l’uomo e donna : “Dio tolse una costola all’uomo e plasmò la donna”. L’uomo allora disse: “Ella è carne della mia carne, ossa delle mie ossa.” Eppure nella storia la donna è sempre stata considerata inferiore e doveva occuparsi dei lavori domestici e dell’allevamento dei figli, non aveva diritto alla vita politica e nel medioevo veniva perfino accusata (senza prove concrete) di magia e bruciata sui roghi. Nell’800 le donne erano solo belle cose da proteggere e amare, ma non erano al pari degli uomini. In un noto romanzo dell’epoca (Dracula) era scritto (la frase è simile) “Ella ha cervello da uomo” , come se la donne fossero più stupide. A fine ‘800 e inizio ‘900, le donne iniziarono ad opporsi a queste ingiustizie, basti pensare alle “suffragette” , nomignolo dispregiativo alle donne inglesi che chiedevano il voto, o suffragio, (con manifestazioni e a volte con battaglie violente) ma solo nel 1946 poterono votare. In molti pensano che di donne importanti nella storia ce ne sono poche. Sono meno degli uomini ma nessuno si ricorda mai di Cleopatra, Giovanna d’Arco, Amelia Earhart (la prima donna a volare nel 1928) , Anna Kuliscioff (guidava il partito socialista all’epoca delle “suffragette”), Valentina Tereshkova (la prima donna nello spazio nel 1963). Molte hanno anche vinto premi Nobel: Madre Teresa di Calcutta per la pace, Rita Levi Montalcini che scoprì il fattore di crescita nervoso negli anni ‘50, Marie Curie, due volte Nobel per la fisica e per la chimica, fu anche la prima professoressa in un’univeristà francese. Queste sono solo alcune tra le più conosciute ma la lista è lunga. Ancora oggi molte continuano a subire violenza, sia domestica che sessuale. Il 69% degli stupri sono opera di partner, mariti o fidanzati. In Europa il 12-15% subisce quotidianamente violenze domestiche la prima causa di morte ancora prima di cancro, guerre e incidenti. Io credo che la gente debba sapere queste cose, la donne non sono oggetti, chi lo pensa è un ignorante. Senza la presenza delle donne con diritti al pari degli uomini nella vita sociale, mancherebbe qualcosa. Lettere alla Redazione DAL WYOMING ALLE NOZZE DI CANA LA “MAMMA”, UNA “DONNA” Ho aperto a caso, l’agenda del 1993, strapiena di annotazioni e riflessioni. Mi è capitato il foglio datato «8 maggio», sul quale leggo una sola annotazione: «Mamma, come vorrei averti vicino...!!!». Mi soffermo su quanto scritto, quell’ormai lontano giorno, con rinnovata tristezza, mentre mi vengono in mente, non soltanto il ricordo della mia adorata Mamma, ma anche, riflessioni sulle tematiche della donna nella società dì oggi, nei confronti di un tempo. Oggi la donna viene a far pane della società, in maniera più diretta, e, cioè occupando posti di lavoro, anche importanti, e, affiancando gli uomini in settori che un tempo erano «strettamente» a loro riservati. Ma è, altrettanto vero, anzi indubbio, che la «DONNA», ha avuto sempre, e. continuerà sempre, ad affrontare, quotidianamente, con coraggio e dignirà.che nel suo significato etmoiogico. vuoi dire «padrona di casa», dal latino «domina», ed. anche «sposa». ed, aggiungo «MAMMA», un ruolo oltremodo importante nella nostra vita: ruolo, mai cambiato nei corso dei secoli. Il «centro» della donna, infatti, sia essa casalinga. impiegata o inserita nel contesto economico-in-dustriale della società, è, e rimarrà, sempre quello attorno al quale è organizzata la vita familiare. Infatti, senza alcun dubbio, la donna svolge, nella famiglia, la funzione di perno, di continua coesione: è, lei, che deve educare i figli, gestire l’andamento della casa e far si che tutto funzioni nell’ambito delle pareti domestiche, non permettendo, per quanto possibile, che forze esterne vengano a turbare l’equilibrio familiare stesso. Anche l’uomo, è pur vero, ha un ruolo determinante nella famiglia, ma, gli uomini, i padri, i figli, vivono e ragionano, a volte, in base al principio del vivere e perdere e i migliori si battono per restituire dignità ai perdenti. Le «donne», invece, non vogliono vincere e perdere: esse cercano, sempre, di realizzare nella famiglia un rapporto di autentico e duraturo amore, basato su realtà concrete, in nome di una vera crescita spirituale e materiale della quale i figli sono i legittimi fruitori . Tutto questo, ha origine, senza alcun dubbio, dal privilegio che ha la donna di essere «Madre». Ed è, a questa «MADRE», ossia a colei, alla quale diamo il bel nome di «MAMMA», che, oggi desidero dedicare queste mie amorevoli riflessioni. Il nome «MAMMA», ridesta, infatti, in ciascuno di noi, tanti piacevoli e nostalgici ricordi. «MAMMA», è la prima parola pronunciata da ogni bambino, e forse, da ogni essere umano, l’ultima della sua vita. Poeti, scrittori, musicisti, da sempre, hanno scritto. parlando e ricordando, con parole piene di tenerezza, questa cara figura, ed ognuno di noi, quando vede una donna, dovrebbe riflettere e «vedere» in lei, una «mamma», o «in fieri», o attuale, o passata: tutti dovremmo contribuire per dare apporto ed un sostegno, in ogni stagione, a questa «mamma». Il giovane ragazzo, il figlio adolescente, lo sposo maturo o i figli adulti: il primo che si appresta alla giovane per sceglierla, con serenità e consapevolezza, quale sposa e mamma della sua futura famiglia; il secondo che deve esprimere il suo amore verso la sua mamma, con le opere più che con le parole, allietando con il sorriso l’ambiente familiare e dando conforto e sostegno a lei che deve affrontare i non pochi sacrifici in seno alla famiglia; e gli altri, in particolare, quando, la mamma, diventata «NONNA», dopo un’esistenza «donata», alla famiglia tutta, ha bisogno di maggior affetto e comprensione da parte dei suoi beneficiati. Queste ed altre cose potrei aggiungere pensando a questa dolce creatura: sulla «mia mammina» (che vorrei avere ancora vicino) e su tutte le «MAMME-del mondo. Ritengo, invece, di concludere, con una invocazione, un augurio, e cioè: che Dio benedica, ogni mamma, che si sforza di compiere il suo dovere in seno alla propria famiglia, trascinando sempre, con il suo esempio e la sua saggezza, tutti i membri che la compongono. Ludovico Perroni Alfredo Palieri Lo stato del Wyoming, quello del famoso parco di Yellowstone dove vive l’orso Yoghi, è stato il primo degli Stati Uniti a concedere il voto alle donne, nel lontano 1924, anno importantissimo anche perchè è quello in cui è nato il sottoscritto. Ma quante battaglie per arrivarci ! Molte donne nei secoli passati hanno vissuto in schiavitù e molte ci vivono ancora oggi, in tanti paesi soprattutto orientali. Non è incredibile solo pensarlo ? I Germani, invece, che venivano chiamati barbari, in questo settore non erano barbari proprio per niente poiché hanno riconosciuto da subito grande importanza alle donne perché da esse discendeva la vita. Tante donne hanno lasciato impronte fantastiche nei secoli. Le cito a casaccio. Caterina da Siena, patrona d’Italia, pur illetterata, è invece ”dottore della Chiesa” per la qualità dei suoi interventi presso il Papa, quando ne sollecitava il ritorno ad Avignone. Teresa d’Avila, nel tormentato periodo della Controriforma. Giovanna d’Arco, santa e patrona di Francia. Boudicca, regina della Britannia, che si immolò con le figlie combattendo contro i Romani. Maria Festa, madre di famiglia numerosa, alla quale accudiva in parallelo alla professione forense a Trani. Eleonora d’Arborea, gli importanti “Giudicati” sono opera sua. Madame Curie, Levi Montalcini, Margherita Hack, donne dedite alla scienza. E infine la più importante di tutte le donne, Maria. “Tu sei colei che l’umana natura nobilitasti si che il tuo Fattore non disdegnò di farsi Tua creatura !” Esempio di altissima umiltà e intelligente sensibilità. Ha scoperto la sua missione gradualmente. Il figlio dodicenne le aveva detto che Lui doveva occuparsi delle cose del Padre suo. Ma, diciotto anni dopo, alle nozze di Cana, come è stato spiegato nell’omelia di qualche domenica fa, quando disse “fate tutto quello che Gesù vi dirà” ebbene, oltre al fatto di accontentare quegli sposi disorientati per la mancanza del vino, Maria aveva veramente capito che la missione di Gesù sarebbe andata ben oltre il semplice miracolo del vino… SORRISI Gregorio Paparatti Per errore una segretaria ha cancellato il testo di una lunga lettera che aveva appena finito di scrivere al computer. Sapendo che il Capo voleva la lettera con urgenza,tenta di cavarsela con una battuta umoristica: “Signor Direttore” – gli dice sorridendo .–” lei non ha mai commesso una grossa sciocchezza?” “Come ha fatto a saperlo? - 14 - Grazie per avermelo ricordato. domani è il mio anniversario di matrimonio.” Durante un’interrogazione di italiano il professore domanda ad un alunno: “Che differenza c’è tra l’ignoranza e l’indiferenza?” “Professore, personalmente non lo so e non me ne importa!” Un tale in visita ad un amico malato, si stupisce nel vedere sul comodino due bicchieri,uno pieno d’acqua e l’altro vuoto. “Be’, sai “ – spiega il malato – è che quando mi risveglio la notte a volte ho sete ed a volte no!”. AGATA, LA DONNA CHE OGNI CATANESE AMA! sant’Agata si consacrò a Dio già all’età di 15 anni .Intorno all’anno 250 il Celina Mastrandrea Agata, il nome che tra i sette di donna pubblicamente la loro fede, si invaghì della giovane e bella Agata e, saputo della consacrazione, le ordinò, senza suc- risuona cesso, di ripudiare la sua fede e di adorare gli dei pagani. inseriti Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole la affidò per un mese alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia e delle pale preghiera eucaristica in sue figlie, persone molto corrotte. Il fine di tale affidamen- uso nella Chiesa cattolica, a Lucia, to era la corruzione morale di Agata, attraverso una conti- Agnese, nua pressione psicologica, fatta di allettamenti e minacce, Cecilia , Anastasia, e ancor per sottometterla alle voglie di Quinziano. Ma Agata a que- prima Felicita e Perpetua! Che sti attacchi perversi che le venivano sferrati, contrappose donne! Che sante! Gloria di Dio nel Cielo e sulla terra! Di loro conosciamo forse troppo poco, ma certo è che la loro vita ha tanto da dirci dell’Amore di Dio per tutti e per ciascuno. Sono le “modelle” a cui ogni donna dovrebbe guardare ,a cui dovremmo voler assomigliare ogni giorno di più! Girando per le vie della città di Catania tra il 3 e il 5 febbraio il nome di Agata risuona con una attualità straordinaria! E’ una memoria che si fa presente , una storia di cui tutta la città conosce il mistero e la grandezza, la storia di una santa che ha salvato più e più volte gli abitanti di questa città a cui appartiene. E’Infatti il 5 febbraio la solenni- tà di Sant’Agata, giovane martire che offrì tutta se stessa a Dio affrontando coraggiosamente torture e martirio. La città è in festa, un’indescrivibile euforia serpeggia per ogni dove. Colori, luci, suoni, animano vie e vicoli, profumi si spandono, attrazioni di ogni genere catturano l’attenzione senza che più nessuno faccia caso se sia ancora giorno o notte inoltrata. Importante è andare dietro S. Agata! Il busto che la rappresenta e il reliquario vengono portate per le vie del centro e della periferia dai “devoti”, una processione interminabile di gente di ogni età, uomini, donne, bambini che vestono il “sacco” bianco cinto ai fianchi, un berretto nero in testa e l’ effige della santa sul petto. Sicuramente c’è tanto folklore e leggenda olltre la quale però è possibile respirare una certezza : l’amore dei cittadini catanesi per questa Santa assunta a simbolo di una sicilia che non vuole arrendersi al male. E a dispetto forse di quanto di negativo è stato esasperatamente portato in luce dalla trasmissione televisiva “Report” proprio lo scorso anno in coincidenza di questa ricorrenza, sono testimone che la festa di questa santa va assolutamente oltre quella che sembra essere solo un sorta di “follia” collettiva che asservirebbe esclusivamente i capricci della mafia per ingraziarsela. Dopo aver respirato per anni quell’aria anche quest’anno ne ho voluto rivivere la bellezza e ho ritrovato ancora quella sana espressione di fede della gente che respiravo da bambina. Sì, perchè Agata è la santa patro- na della città che vigila lassù per le nostra sorte. E se Lei sta a cuore a noi, noi stiamo sicramente nel suo cuore! Diversamnete questo culto si sarebbe spento nel tempo e sbiadito giunto alla sede di peratore Decio che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare nel Canone romano, la princiinsieme proconsole Quinziano Catania anche con l’intento di far rispettare l’editto dell’im- nelle sue manifestazioni rimaste invece sempre ferventi. La liturgia ne esalta la grandezza esaltandone le eroiche virtù. Della sua vita si hanno notizie certe come attestano fonti storicamnete attendibili. Per questo vale davvero la pena, a proposito di donne, conoscerLa almeno un po’! Agata il cui nome dal greco significa la buona, ebbe i natali appunto a Catania da una famiglia ricca e nobile l’assoluta fede in Dio; e pertanto uscì da quella lotta vittoriosa e sicuramente più forte di prima, tanto da scoraggia- re le sue stesse tentatrici, le quali rinunciarono all’impegno assuntosi, riconsegnando Agata a Quinziano. Rivelatosi inutile il tentativo di corromperne i princìpi Quinziano diede avvio ad un processo e convocò Agata al palazzo pretorio. Memorabili sono i dialoghi tra il proconsole e la santa che la tradizione conserva, dialoghi da cui si evince senza dubbio come Agata fosse edotta in dialettica e retorica. Breve fu il passaggio dal processo al carcere e alle violenze con l’intento di piegare questa forte donna.. Inizialmente venne fustigata e sottoposta al violento strappo di una mammella. La tradizione indica che nella notte venne visitata da San Pietro che la rassicurò e ne risanò le ferite. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboni ardenti. La notte seguente l’ultima violenza, il 5 febbraio 251 Agata spirò nella sua cella. Da quel giorno la storia di S.Agarta e quella della città di Catania son rimaste un’unica storia che continua. Più e più volte infatti la città ha fatto ricorso alla sua protettrice dinanzi alle minacce di morte dell’eruzione dell’Etna e del flagello dei terremoti. La devozione alla santa ha intenerito il cuore di Dio che , provvido, per intercessione della Santa ha concesso a questa città e ai suoi abitanti di sopravvivere. Ci sarebbe da raccontare molto sui miracoli noti di questa santa e chissà quanti ne ottiene ancora a nostra insaputa! In Italia la devozione a questa santa è diffusissima: Cremona, Firenze, Roma, dove a Lei sono dedicate due chiese:S.Agata dei Goti e S.Agata alla Suburra, a Trastevere e in molte altre città, è tra l’altro patrona anche della Repubblica di S. Marino. Mi piace concludere riportando le espressioni che nel solenne pontificale di giorno 5 ha pronunciato qust’anno il cardinale Giovan Battista Re: La giovane Agata ha testimoniato la fede, l’onesta della vita, l’amore a Dio, i valori più alti e per essi fu disposta a morire pur di non rinnegarli. Nei nostri giorni c’è una forma più indiretta e sottile di persecuzione! Oggi è richiesto il martirio della coerenza e dei valori cristiani”. A tutte le donne dunque l’invito a guardare a lei che ci insegna a vincere il male con il bene perchè il Signore risorto vivo ce ne dà la forza! E allora come si grida a Catania per tre lunghi giorni; “Cittadini, Viva S.Agata!” Tu che splendi in Paradiso, coronata di vittoria, Oh Sant’Agata la gloria, per noi prega, prega di lassù » intorno al 230 d.C. Secondo la tradizione cattolica - 15 - (Canto a Sant’Agata) : TANTI AUGURI LAURA E VALERIO !!! Nel prossimo numero: LA MUSICA PER NOI Sabato 30 gennaio 2010, alle ore 11, i nostri amici e catechisti Laura Santoli e Valerio Vecchione si sono uniti in matrimonio. Il rito è stato celebrato nella nostra parrocchia di S. Pio X alla presenza di numerosi amici e parenti. Alla coppia e ai loro genitori vanno gli auguri di tutti noi di “Arrivano i Nostri”. Canzoni, cantanti, cantautori, direttori d’orchestra, compositori, concerti, radio, mangiadischi, cassette, CD, MP3, opera, operetta, musica classica, chitarre, pianoforti, organi, percussioni, clarinetti, canti in Chiesa, in gita, in pellegrinaggio, sotto la doccia, in montagna, canti d’Africa, Festival di Sanremo, Canzonissima, Cantagiro, Juxe Box, balli, balletti, ballerini, etc..etc.... Evviva gli sposi ! Suor Francesca Pittarello, da 18 anni missionaria nel Burkina Faso. Lo scorso anno, con 9 mila euro ricevuti dalla Caritas, ha comprato 15 carrozzelle per neonati, 3 carri, 4 asini, 2 buoi, 1 aratro, 1 protesi per un portatore d’handicap. In più ha donato denaro a 13 famiglie bisognose. Elisabeth Garrett La fotografa americana Margaret Bourke-White in cima al Chrysler Building nel 1930. Combattendo contro il perbenismo e l’ostracismo maschile dominante dei suoi tempi, divenne il primo medico donna della Gran Bretagna, il 28 settembre 1865. Fondò in seguito il New Hospital for Women. Narges Mohammadi La torre dell’Università di Hong Kong progettata dall’iraquena Zaha Hadid, vincitrice del prestigioso premio di architettura Pritzker Prize. Iraniana, laureata in Fisica e in Ingegneria. Ha sempre svolto un’intensa attività culturale e giornalistica per il rispetto dei diritti delle donne. Le è stato attribuito il premio internazionale Alexander Langer nel 2009. Non ha potuto ritirare il premio perchè, nello stesso anno, le è stato ritirato il passaporto per sospetta propaganda negativa contro lo Stato e suo marito Taghi Rahmani è stato arrestato. - 16 -