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Parte Prima
La teoria della bi-logica, il problema dell’arte
e dell’ascolto musicale
3
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Capitolo Primo
Il concetto di bi-logica
I.1
Dalle caratteristiche dell’inconscio freudiano ai principi della
logica simmetrica.
Per accostarci adeguatamente al pensiero di Ignacio Matte Blanco, risulterà
di fondamentale imp ortanza l’analisi della sua opera più nota, L’inconscio come
insiemi infiniti. Saggio sulla Bi-logica1 . Si tratta di un testo che si pone come la
raccolta conclusiva di tutta una serie di idee che da molto prima del 1975 (data
della sua prima pubblicazione) avevano spinto lo psicoanalista cileno a
interessarsi a particolari campi delle scienze e della matematica per ottenere una
visione nuova e più ampia di alcuni fenomeni clinici che continuavano a destare
incomprensione, e che parevano bisognosi di una ridefinizione.
Inquadriamo subito la questione centrale sollevata dallo stesso Freud e che
Matte Blanco non fa altro che affrontare e approfondire lungo l’intero iter del suo
saggio: le leggi della logica aristotelica, in particolare la legge di non
contraddizione, non sono seguite o rispettate nel sistema inconscio o nell’Es. Non
si tratta di una mancanza, di una carenza da parte del sistema inconscio. Appare
già in Freud, infatti, come ciò sia piuttosto l’allusione ad un nuovo e diverso
ordine. 2
Nel settimo capitolo del suo saggio, Matte Blanco sottolinea che:
La fondamentale scoperta di Freud non è quella dell’inconscio […], ma quella di un mondo
– che egli sfortunatamente chiamò l’inconscio – retto da leggi completamente diverse da
quelle da cui è retto il pensiero cosciente3.
Riflessione che porta lo psicoanalista cileno ad una rivalutazione di quella
concezione freudiana (anteriore all’introduzione della nozione di Es) secondo cui
l’inconscio descrive un modo d’essere, un ‘mondo’ con delle sue proprie leggi
totalmente differenti da quelle della logica della coscienza. Concezione mai
1
I. Matte Blanco (1975), The Unconscious as Infinite Sets. An Essay in Bi-Logic, trad. it., L’inconscio
come insiemi infiniti. Saggio sulla bi- logica, Einaudi, Torino, 2000.
2
S. Freud (1899), Die Traumdeutung, trad. it. L’interpretazione dei sogni in Opere di Sigmund Freud,
Boringhieri, Torino, 1989, vol. III, p. 463.
3
I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 105.
4
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veramente abbandonata dallo stesso Freud, ma che solo Matte Blanco riconsidera
adeguatamente: «Dobbiamo, perciò, introdurre un’altra nozione oltre quella
dell’inconscio come qualità se vogliamo esprimere la realtà nella sua verità.»4
Con un procedimento identico a quello delle altre scienze, che tendono a
racchiudere il più possibile le loro numerose regole all’interno di pochissime leggi
generali in grado di contenerle tutte senza perderne alcuna, Matte Blanco riduce le
varie caratteristiche e i processi dell’inconscio a due principi fondamentali,
secondo i quali esso opera e “conosce”.
Le cinque caratteristiche dell’inconscio freudiano sono le seguenti:
1) l’assenza di contraddizione mutua tra i vari impulsi (conseguenza della quale è
l’assenza di negazione);
2) l’assenza di tempo (che significa propriamente assoluta mancanza di un
ordinamento temporale quale è quello considerato dalla fisica);
3) lo spostamento;
4) la condensazione;
5) la sostituzione tra realtà esterna e psichica.5
Matte Blanco giunge a racchiuderle in due principi fondamentali:
A) il principio di generalizzazione, per il quale
[…] il sistema inconscio tratta una cosa individuale (persona, oggetto, concetto) come se
fosse un membro o elemento di un insieme o classe che contiene altri membri6
Processo che, sondando in profondità l’inconscio, tende a moltiplicarsi, e ad
inglobare in una sola classe tutta la serie di sotto -classi contenibili. Ad esempio il
‘padre’ può essere trattato come tutti gli altri membri che compongono la classe
‘uomini’, e, più in profondità, come un membro o addirittura una classe
dell’insieme ‘esseri viventi’, e così via;
B) il principio di simmetria, per cui
[…] il sistema inconscio tratta la relazione inversa di qualsiasi relazione come se fosse
identica alla relazione. In altre parole, tratta le relazioni asimmetriche come se fossero
simmetriche.7
4
Ivi, p. 103.
S. Freud (1915), Das Unbewusste, trad. it. L’inconscio, OSF, vol. VIII, pp. 70-71. A queste
caratteristiche Pietro Bria aggiunge le altre otto che Matte Blanco avrebbe tratto dallo studio sul sogno
di Freud (cfr. “La bi-logica dell’inconscio, l’infinito e il pensiero scientifico” in Il pensiero e l’infinito.
Scritti sul pensiero di Ignacio Matte Blanco, Teda, Castrovillari, 1989, p. 16). Secondo Di Benedetto,
poi, vi sarebbe una sesta caratteristica del sistema inconscio, che Freud non avrebbe menzionato tra le
cinque, ma a cui avrebbe accennato in una lettera a Groddeck, sostenendo che «l’atto inconscio ha
un’intensa influenza plastica sui processi somatici, quale non viene mai raggiunta dall’atto cosciente»
(cfr. A. Di Benedetto, Prima della parola, Milano, Franco Angeli, 2000, p. 92)
6
I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 44.
7
Ivi.
5
5
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Ad esempio, la proposizione ‘Giovanni è padre di Pietro’, in cui non vi è
reversibilità secondo la logica ordinaria (perciò è definita ‘a-simmetrica’), è
considerata dall’inconscio come se fosse simmetrica, come se fosse cioè
l’equivalente di ‘Pietro è padre di Giovanni’8 , che per il pensiero ordinario è una
deduzione infondata. Se una relazione asimmetrica è, per esempio, ‘essere padre
di’ (in cui i due termini estremi non sono interscambiabili), e se una relazione
simmetrica è invece ‘essere fratello di’ (in cui i termini estremi sono scambiabili),
possiamo dire che l’inconscio, quanto più è sondato in profondità tanto più tratta
le relazioni asimmetriche come se fossero simmetriche. Non concepisce
asimmetria. Almeno fino ad un certo punto, e questo lo vedremo meglio in
seguito.
Un corollario dei due principi, dalla straordinaria importanza, è che:
C) la parte diventa per l’inconscio necessariamente identica al tutto, e quindi il
tutto è incluso in ogni parte.
Ciò appare una evidente conseguenza del principio di simmetria, per il quale
l’affermazione ‘la mano è parte del corpo’ assume la stessa valenza di ‘il corpo è
parte della mano’.
Da quanto detto, emerge chiara l’importanza che in particolare, fra i tre,
riveste il principio di simmetria. In qualche modo, generalizzando forse troppo,
possiamo considerarlo l’unico fondamentale principio della logica dell’inconscio,
che fonda la sua peculiarità sul trattare come se fossero identiche due cose
diverse. Tutto questo appare tanto sconcertante, quanto ormai un fatto provato:
l’inconscio non divide, non separa, non diversifica (come invece deve fare la
coscienza per guadagnarsi la possibilità di una conoscenza ordinata e chiara), ma
unisce, confonde, totalizza. Allude a una “totalità omogenea e indivisibile”, a un
modo di conoscere la realtà non come frammentata, ma come unita e indivisibile.9
Il principio di simmetria diventa il criterio attraverso cui possiamo
comprendere il funzionamento dell’inconscio e riconoscerne un procedi-mento
logico.
L’originale ipotesi a cui giunge Matte Blanco è, in sintesi, questa: la mente e i
processi psichici sembrano regolati da tre tipi di logiche.
1) una logica ‘classica’, che erge a strumento di conoscenza l’intelletto;
2) una logica simmetrica, che agisce in base a una miscela di logica razionale e
di dissoluzione di ogni distinzione da parte del principio di simmetria (come si
vede essa risulta essere una mescolanza di simmetria ed asimmetria);
3) una b i-logica (concetto che approfondiremo subito), in cui agiscono, in vari
modi, sia la logica puramente razionale (1), sia la logica simmetrica (2).
8
Cfr. I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia, in ‘Rivista di Psicoanalisi’, n° XXI – gennaiodicembre, 1975, p. 229.
9
In questo senso è interessante notare le affinità che Matte Blanco stesso scorge tra le nuove ipotesi e
una visione del mondo molto antica, assimilabile alla filosofia parmenidea.
6
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I.2
L’inconscio come insiemi infiniti. L’antinomia fondamentale
dell’essere
Sulla base dell’ipotesi dei due principi, di simmetria e di generalizzazione,
Matte Blanco immagina un inconscio strutturato come insiemi infiniti. Non è
difficile comprendere quest’affermazione se riflettiamo su alcuni elementi.
Innanzitutto chiariamo il concetto matematico di ‘insieme infinito’: un
insieme è infinito quando e solo quando può essere messo in corrispondenza biunivoca con una sua parte propria. 10
Sintetizzando e semplificando si può dire che per «infinito» intendiamo un
insieme nel quale, anche concettualmente, non vi è alcun limite alla sua
continuazione.11
Ora per quanto detto sopra, e cioè che il principio di simmetria non fa
distinzione tra gli elementi di una stessa classe, è lecito concludere che una
qualsiasi classe di appartenenza, per esempio quella dei ‘filosofi’, può essere
considerata, dall’inconscio, come un insieme infinito. Infatti una sua parte propria,
che potrebbe essere il termine ‘Socrate’ può essere trattato come se fosse l’intero
insieme. ‘Socrate’, per l’inconscio, non solo è uguale a ‘Platone’ ma è anche
uguale a ‘tutti i filosofi’ (l’insieme ‘filosofi’). E ancora: ‘Socrate’ può essere
equiparato a ‘mio padre’, poiché l’insieme ‘filosofi’ è un sottoinsieme
dell’insieme più ampio ‘padri’ (carnali e spirituali). A sua volta l’insieme ‘padri’
si può considerare come il sottoinsieme dell’insieme più generale ‘esseri viventi’,
e così via. Questo peculiare tipo di ‘ragionamento’ si basa, come è evidente, su un
continuo utilizzo non solo del principio di simmetria (PS) ma anche di quello di
generalizzazione (PG).
Ovviamente la simmetrizzazione tra i vari elementi e gli insiemi e i sottoinsiemi,
aumenta con l’aumentare della profondità del livello di inconscio. L’essere
simmetrico diventa sempre più simmetrico, man mano che si ‘scende’. Ma deve
pur serbare una certa parte di logica asimmetrica, altrimenti gli sarebbe
impossibile distinguere, di volta in volta, tra i vari sottoinsiemi.
Una tale teoria si fonda dunque sulla convinzione che esistano fondamentalmente
due modi di essere dell’uomo, i quali si rispecchiano rispettivamente nel pensiero
cosciente, che divide, separa, ed utilizza relazioni asimmetriche, e nel ‘modo
d’essere dell’inconscio’ che confonde, unisce e simmetrizza anche quelle relazioni
che la logica ordinaria (la logica bi-valente) coglie come asimmetriche. Matte
10
I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 39.
I. Matte Blanco (1988), Thinking, Feeling, and Being, trad. it. Pensare, sentire, essere, Einaudi,
Torino, 1995, p. 47.
11
7
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Blanco parla proprio di un’antinomia costitutiva dell’essere, per riferirsi alla
separazione in due sfere non assimilabili in alcun modo l’una all’altra.
Lo psicoanalista, inoltre, osserva un fatto decisivo: il modo simmetrico del
pensiero non troverebbe alcuna espressione se non fosse per il linguaggio
asimmetrico, che necessariamente è costruito secondo le regole dell’altro modo.
L’inconscio è come l’uomo invisibile di Wells: se non è rivestito di abiti non può
essere visto. Parafrasando: se non è ricoperto con delle relazioni (cioè legami di
tipo asimmetrico-dividente) rimane estraneo ad ogni possibilità di essere
conosciuto. Utilizzare il linguaggio e quindi la logica asimmetrica è «l’unica
possibilità che ha l’uomo di esprimere concettualmente la sua doppia natura»12 .
E’ importante, perciò, sottolineare come i principi di simmetria e di
generalizzazione, da soli, impediscano di formare un sistema logico che sia
indipendente da quello del pensiero cosciente. Ogni simmetrizzazione, e quindi
ogni indistinzione, avviene sempre tra due o più elementi che prima erano
considerati distinti. Nel senso che l’annullamento delle differenze, peculiarità del
principio di simmetria, presuppone le differenziazioni stesse. La logica simmetrica
appare, perciò, a Matte Blanco in una condizione di massima dipendenza dalla
logica cosciente asimmetrica.
L’anacliticità, cioè la non auto sufficienza dalle regole della logica ordinaria,
rimane, per Matte Blanco, un fatto inequivocabile quanto necessario.
L’auspicio sarebbe quello di determinare un ambito in cui essere simmetrico ed
essere asimmetrico intervengano simultaneamente, sul medesimo livello di valore.
Quanto detto invita ad importanti considerazioni. Se da un lato
effettivamente non sono possibili due distinti sistemi logici, in quanto vi sono
continui intrecci e appoggi reciproci, è d’altro canto evidente l’impossibilità di
costruire una sola logica unitaria, che comprenda tutti gli aspetti dei due diversi
tipi di regole. Per questo Matte Blanco ha parlato, per serbare la consapevolezza
che i due modi si danno «sempre insieme», di un sistema “logico-antilogico”, in
cui i princip i di simmetria e di generalizzazione si appoggiano inevitabilmente alle
regole del pensiero cosciente. In quanto tutte le manifestazioni inconsce, per
essere descritte e pensate, richiedono ambedue le logiche, non solo l’una o l’altra.
Il nome di sistema bi-logico risultò il più adatto ad esprimere la simultaneità di
due tipi di regole tra loro inconciliabili. Una denominazione esatta ma insieme
provvisoria, dato che Matte Blanco pensava che eventuali sviluppi delle sue tesi
avrebbero schiuso le porte ad un unico e totale sistema che riunisse la bi-logica in
una nuova logica dagli unici e medesimi princìpi. Una super logica unitaria.
12
I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia , cit., p. 234.
8
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I.3
Due modi di pensare, sentire ed essere. La teoria della bi-logica
L’inconscio, attraverso il principio di simmetria, non divide né separa (come
fa l’intelletto), ma conosce per unione e confusione. Significa che apre la strada
alla possibilità di una nuova epistemologia: alla conoscenza del mondo anche
come una “totalità indivisibile”.
Matte Blanco precisa che l’esistenza delle due logiche, quella classica e quella
simmetrica, è semplicemente l’espressione, appunto, logica, di ‘un fatto
ontologico’:
c’è negli esseri umani e nel mondo un modo di essere che si esprime nella distinzione tra le
cose, quindi nella loro divisione; ed un altro modo che tratta qualsiasi oggetto di conoscenza
come se fosse indiviso: i modi eterogenico ed indivisibile. 13
Il modo di conoscere che corrisponde alla logica classica è chiamato modo
eterogenico-dividente. Al principio di simmetria, invece, corrisponde una realtà
vissuta come indivisibile. Si tratta, perciò, di due logiche, di due criteri di
conoscenza, che rimandano a due modi di essere del cosmo.
E’ un fatto importante sottolineare che non soltanto un processo logico di tipo
simmetrico possiede la prerogativa di proiettare nella dimensione dell’essere
indivisibile; in alcuni casi, anche la logica bivalente (classica) è capace di
‘evocare’ tale dimensione. Un fenomeno certamente misterioso, che trova il suo
riscontro più interessante nella potenza della metafora poetica. Tutto questo ci
interesserà più da vicino quando affronteremo il problema della creazione artistica
(in cui è possibile proiettare il fruitore nella dimensione dell’indivisibile senza che
sia violata la logica bivalente14 ).
Una paziente schizofrenica, ci racconta Matte Blanco, suppose che il suo
assistente dovesse essere molto ricco per il fatto che era molto alto. Accadeva,
cioè, che lo sviluppo di un suo pensiero la portava all’equazione: molto
alto=molto ricco. Questo procedimento mostra due fasi che vanno distinte:
1) la generalizzazione della classe delle persone ricche e della classe delle persone
alte in una più ampia classe che potremmo definire delle ‘persone che hanno
qualcosa in alto grado’ (è l’azione del PG);
2) Le due sottoclassi della nuova classe più ampia vengono trattate come
identiche: perciò ‘molto alto’ diventa uguale a ‘molto ricco’ (applicazione del PS).
13
I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 75.
Un tale procedimento artistico è per esempio quello che Matte Blanco definisce ‘incantesimo
Valery’ (cfr. infra, Parte Prima, capitolo 2).
14
9
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Conclusione: chi è molto alto è molto ricco.
Quindi possiamo osservare che il PG, che opera nella prima fase, non ha nulla di
simmetrizzante, anche se è il presupposto per l’azione del PS. Il principio di
generalizzazione non è, come tale, contaminato dalla logica simmetrica, ma agisce
ancora all’interno del territorio della logica classica. Però non è nemmeno puro
pensiero asimmetrico, ma già qualcosa che allude al modo indivisibile, all’unità
indivisibile che è il frutto di una totale e assoluta generalizzazione. Pensare una
classe più ampia che contiene sia le persone alte che le persone ricche, è una
espressione, seppur lieve, del modo indivisibile.
Abbiamo scoperto qualcosa di molto interessante, e cioè che non è soltanto
il pensiero altamente simmetrico ad avere il potere di proiettarci nella dimensione
dell’indivisibilità, ma che anche alcuni aspetti della logica classica possono
riuscirvi, grazie al principio di generalizzazione. Il quale, pur non dissolvendo le
regole classiche del pensiero cosciente, non di meno permette l’accesso ad un
mondo che sembra «impaziente di venire alla luce a livello della coscienza».
E’ fondamentale sottolineare ancora un fatto decisivo: nell’esempio riportato
sopra, abbiamo diviso in due il ragionamento della paziente. Ci siamo trovati di
fronte a un processo che evidentemente seguiva non una logica, ma due. Un
ragionamento bi-logico .
La fase 1) ci è sembrata rispettare le regole classiche della logica bivalente; la fase
2) era caratterizzata dall’utilizzo del principio di simmetria, che dissolve
fortemente il pensiero di tipo bivalente. ‘Bi-logica’ sta ad indicare, chiaramente,
un tipo di processo come quello analizzato, in cui due tipi di logiche intervengono
insieme a svilupparlo.
10
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I.4
La bi-modalità e i vari tipi di strutture bi-logiche.
Abbiamo appurato che i due modi di pensare e sentire il mondo viaggiano
sempre insieme, intrecciandosi, anche se mai fino a fondersi in un’unità. Matte
Blanco introduce il concetto di ‘bimodalità’, riferendosi alla possibilità di vivere
contemporaneamente i due modi di essere del mondo. Le strutture bimodali sono
di due tipi: strutture bimodali bivalenti e strutture bimodale bi-logiche. All’interno
delle prime viene totalmente rispettata la logica classica; nelle seconde, invece, fa
irruzione il principio di simmetria.
Un esempio di struttura bimodale bivalente è offerto ad esempio, come vedremo
meglio nel capitolo successivo, dalla poetica di Paul Valery 15 , in cui Matte Blanco
riscontra un linguaggio in tutto e per tutto asimmetrico, rispettoso della logica
classica, capace però di proiettarci nella dimensione dell’indivisibile.
Le strutture bimodali bi-logiche restano, tuttavia, le più diffuse. Tanto che
all’interno stesso della denominazione ‘bimodalità bi-logica’ è necessario
distinguere svariate forme che differiscono per il modo in cui si intrecciano fra
loro la logica classica e quella simmetrica . Matte Blanco arrivò a contare almeno
quindici strutture bimodali bi-logiche.
Le più interessanti sono le seguenti:
1) Alassi (alternanza asimmetria/simmetria)16 ;
2) Simassi (simultaneità asimmetria/simmetria)17 ;
3) Tridim (struttura bi-logica tridimensionalizzante)18 ;
4) L’altalena epistemologica 19 ;
5) La struttura bi-logica ‘stratificata costitutiva’.
Quest’ultima si riferisce alle relazioni tra i vari livelli che portano dalla
coscienza all’emozione e all’inconscio più profondo; negli strati più superficiali
della psiche gli oggetti coscienti appaiono ben delimitati, soggetti a una
percezione totalmente asimmetrica. Man mano che si scende in profondità i livelli
appartengono sempre più ad una dimensione inconscia, dove vige il principio di
simmetria, e l’individuo è trattato alla stessa maniera delle classi di appartenenza.
Ciò che colpisce, osserva Matte Blanco, è che in un modo misterioso i livelli più
15
I. Matte Blanco (1986), Riflessioni sulla creazione artistica, in ‘Filmcritica’, giugno- luglio 1986, p.
53-54.
16
I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 54.
17
Ivi, p. 55.
18
I. Matte Blanco (1984), Il sogno: struttura bi-logica e multidimensionale, in V. Branca, C. Ossola e
S. Resnik, I linguaggi del sogno, Sansoni, Firenze, 1984.
19
I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 57.
11
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profondi sono presenti negli strati più superficiali, nei quali accade che :
dietro e dentro una madre concreta, visibile, c’è anche un numero di altre madri, come la
propria madre e molte altre immagini materne che hanno giocato un ruolo nella propria vita
[…]. Tutto ciò accade nel totale rispetto delle regole della logica bivalente, senza alcun
segno o manifestazione visibile di bi-logica; in tutto ciò l’individuo rimane intatto come
individuo, malgrado il fatto che il secondo e il terzo strato siano presenti nella sua realtà
individuale.2 0
Dietro e dentro l’individuo ci sono anche altre classi, di oggetti inanimati, di
astrazioni, «fino a che troviamo che l’indivisibile è misteriosamente presente
nell’assoluta profondità di ognuno, per quanto coperta e asimmetrica possa
apparire la superficie; presente tuttavia non direttamente né immediatamente
afferrabile. L’indivisibile c’è ma è invisibile».21
All’interno di un insieme matematico infinito accade che ogni numero, per
esempio il 16, è se stesso e tutti gli altri interi. Ogni numero avrà le proprietà del
16 (essere maggiore di 15 e minore di 17) e di ogni altro numero. Tutto ciò accade
all’interno di questo numero e cioè ‘dentro’ il 16 ed anche in ogni altro numero .
Ora, lo stesso sembra succedere ad ogni elemento pensato dall’uomo a un livello
cosciente. Dietro questo elemento si troverebbe una potenzialità ‘in-visibile’ di
proprietà che gli derivano dal contenere in sé ogni altro elemento della sua classe
di appartenenza, e di tutte le altre classi a quella assimilabile. Per questo, ciò che
l’elemento è nell’inconscio, lo è anche, potenzialmente, a un livello cosciente.
20
21
Ivi, p. 64 (corsivo mio).
Ivi (corsivo mio).
12
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I.5
Rapporti tra i due modi di essere
Esaminare le relazioni che esistono tra i due modi di essere della psiche,
significa cominciare a rintracciare uno spazio in cui è possibile che simmetria ed
asimmetria si incontrino, ponendosi su un medesimo livello di valore. A questo
scopo analizzeremo il caso in cui il pensiero asimmetrico si comporta come quello
simmetrico, e successivamente il caso contrario.
1) Il pensiero bivalente si comporta come quello dell’inconscio, in alcuni
casi specifici. Si tratta dei ‘casi-limite’ dell’astrazione e della generalizza -zione.
Questi due processi agiscono, per così dire, in una modalità che appare totalmente
giustificata nella logica classica asimmetrica, tanto è vero che essi trovano posto
nei più tipici ragionamenti ‘razionali’. Contempora-neamente essi sono una vera e
propria ‘finestra sull’indivisibile’. Sia l’astrazione che la generalizzazione
posseggono una qualità peculiare: identificano, semplicemente in uno dei loro
aspetti, una moltitudine di cose differenti. Matte Blanco afferma che «esiste in
tutte e due la presenza di una indivisione non bi-logica, bensì logico-bivalente»22 .
In base a tali considerazioni lo psicoanalista cileno conclude che la bi-modalità
può essere di tre tipi: logico-bivalente (il caso appunto dell’astrazione e della
generalizzazione), bi-logica, e una mistura di entrambe.
Vedremo che anche all’interno dell’esperienza artistica è appunto esperibile
una bi-modalità non bi-logica, capace nondimeno di proiettarci intensamente nella
multidimensione dell’indivisibile. E’ quello che Matte Blanco ha chiamato
“incantesimo Valery”.
Anche quando facciamo l’eccezionale esperienza della riflessività della
coscienza su se stessa, ci troviamo di fronte a un fenomeno asimmetrico in cui è
evidente la traccia di indivisibile. Quello della ‘coscienza che pensa’ è
chiaramente un procedimento logico asimmetrico. L’essenza del pensare, dice
Matte Blanco, è lo stabilimento o la scoperta di relazioni. Ma quando il ‘pensare
qualcosa’ equivale a ‘pensare l’atto stesso di pensare’ la coscienza non riesce a
intrattenersi in una tale situazione. Tutto si dissolve, poiché la stessa coscienza si
comporta simmetricamente, cioè nel modo antitetico al suo.
La coscienza può essere paragonata ad una coppia di specchi paralleli che stanno uno di
fronte all’altro. Se nessun oggetto vi si riflette allora uno specchio riflette l’altro e viceversa;
il primo riflette il riflesso di se stesso nel secondo e il secondo riflette il riflesso di se stesso
nel primo e così via all’infinito. 23
22
I. Matte Blanco (1986), Riflessioni sulla creazione artistica, in D. Dottorini, Estetica ed infinito,
Scritti di Matte Blanco, Bulzoni, Roma, 2000, p. 50 (corsivo mio).
23
I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 252.
13
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L’infinita “riflessività” della coscienza su se stessa è un caso di insieme
infinito».24 Inoltre, questo ‘essere consci di essere consci’ è un’esperienza fugace.
Ogni esperienza ‘di un punto’, ‘di un momento’, è fugace. Non ci viene alla
mente, si annebbia. Poiché la coscienza non vede ciò che è fisso, ma ciò che si
muove, ciò che ha un prima e un dopo. La coscienza deve stabilire una relazione
spazio-temporale. Tale «strano» fenomeno, conclude Matte Blanco, dovrebbe
interessare future ricerche più approfondite, poichè addentrandoci in questo
mistero si sarebbe in grado di comprendere meglio la capacità di conoscenza che
possiede l’essere simmetrico .
2) Avviene anche il caso contrario, abbiamo detto, e cioè che il pensiero
simmetrico si comporti come quello asimmetrico. Ciò accade, in particolare, nel
momento in cui deve dividere, separare tra loro le diverse ‘classi’ i cui membri
sono trattati come se fossero identici tra loro e identici alla classe stessa. L’essere
simmetrico fino ad un certo punto è da considerarsi confusivo, poiché
l’inconscio sembra ben capace di differenziare tra gli insiemi e ciò significa che esso
adopera relazioni asimmetriche; mentre all’interno dell’insieme o classe sembra uniformarsi
al principio di simmetria. 25
D’altra parte
[…] la simmetria totale coincide con la completa assenza di coscienza e forse della mente.26
Ciò è in stretta corrispondenza coi vari livelli di vivere la relazione con gli
oggetti, cioè coi diversi livelli di trattamento del materiale. Se a un livello estremo
di superficialità la simmetrizzazione è quasi nulla (poiché gli oggetti sono
conosciuti come distinti e separati)
[…] a un livello ancora più profondo la distinzione tra persone, o tra oggetti, comincia a
perdere senso, nella stessa proporzione in cui cominciano a dissolversi le nozioni spaziotemporali. Corrispondentement e, il concetto di aggressività […] comincia a recedere nello
sfondo. La fondamentale unità di soggetto ed oggetto si fa sempre più sentire fino a che
parlare di identificazione proiettiva non ha più alcun senso; siamo al livello della matrice di
base della proiezione e dell’introiezione 27.
Appare evidente, dunque, che i due modi di essere trovino spesso dei confini
in comune, oltrepassando i quali è facile che l’uno si comporti analogamente
all’altro. Se fin’ora si è sottolineata la fondamentale antitesi tra i due modi di
pensare ed essere, è giunto il momento di riconoscerne il profondo legame
che pure li tiene uniti. Attraverso questa considerazione, che troverà
conferma nell’analisi dell’emozione e dei suoi rapporti col pensiero, e poi
24
25
26
27
Ivi, p. 253.
Ivi, p. 167.
Ivi.
Ivi, p. 7.
14
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nello studio del fenomeno artistico, ci avviciniamo agli esiti a cui intende
condurre questa prima parte: è possibile rintracciare uno spazio molto
profondo della psiche in cui logica bivalente e logica simmetrica sono poste
su ‘un medesimo livello’.
15
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Capitolo Secondo
La sfera dell’emozione e il problema dell’arte
II.1
Emozione e pensiero
Una tappa fondamentale degli studi matteblanchiani è l’analisi del concetto
di emozione, in particolare nei suoi rapporti col pensiero, dal quale si distingue
caratterizzandosi come un fenomeno sempre «psico-fisico», che non riguarda solo
la mente, ma coinvolge l’intera persona, producendo uno stato generale dell’essere
che denotiamo come ‘sentimento’ o ‘sensazione’. D’altra parte, ogni emozione è
capace di sviluppare pensieri, per cui possiamo scomporre l’evento emozionale in
due diversi insiemi di fenomeni:
A) una componente che chiamiamo ‘sensazione-sentimento’, che si riferisce un
po’ a tutti quei fenomeni più noti dell’emozione;
B) una componente che è ‘una forma di p ensiero ’, ossia una forma di
stabilimento di relazioni.28
E’ proprio in quest’ultimo punto, cioè nel considerare il pensiero come parte
integrante del fenomeno ‘emozione’, che la teoria di Matte Blanco si pone come
originale e innovativa in rapporto alle ipotesi precedenti:
Tutti sono d’accordo sull’enorme influenza che le emozioni hanno sul pensiero, ma nessuno,
per quanto ne sappia, è riuscito a presentare una descrizione comprensibile di come si possa
stabilire un legame tra i due, che sono stati c onsiderati come totalmente differenti . Se ora, un
aspetto dell’emozione è una forma di pensiero è più facile capire come possa avere intime
connessioni con altre forme di pensiero. 29
Tuttavia, mentre lo ‘stabilimento di relazioni’ ha per territorio naturale la
coscienza maculare, ossia la pienezza della coscienza, la ‘sensazione’ non vi si
trova a suo agio e si situa in uno spazio periferico. E’ un fatto però che la nostra
coscienza si annebbi proprio nel momento in cui vuole pensare se stessa: essere
consci del nostro essere consci è un fenomeno fugace; «non possiamo soffermarci
a contemplare la piena estensione della nostra comprensione, almeno non
28
29
I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., pp. 240, 244.
Ivi, p. 270.
16
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possiamo farlo in condizioni normali, poiché per cogliere qualcosa la nostra
attenzione deve muoversi da un punto ad un altro »30 . E’ probabile che ai mistici
accada qualcosa di particolare che realizzi questa evenienza, pensava Matte
Blanco. Il pensiero, composto da parti, si sviluppa nel tempo. Attraverso
l’esempio del ‘dolore’ (che rappresenta agli occhi di Matte Blanco una
‘sensazione pura’) è lecito considerare la sensazione-sentimento come qualcosa di
semplice, come una unità indivisibile. Il pensiero è un processo che accade, si
dispiega; la sensazione semplicemente è. L’essere appartiene alla categoria della
simmetria, della totalità indivisibile, dell’infinito. L’avvenimento è ciò che si può
ricondurre a un processo temporale, a una successione di relazioni spazio temporali.
In sé, dunque, la sensazione-sentimento, una delle due componenti dell’emozione,
è sentita come un’unità indivisibile, non come una sequenza, e perciò essa è fuori
dal tempo, e non si presta al lavoro della ‘coscienza maculare’, che appunto si
sposta nel tempo, e che considera la successione delle parti.
Lo stabilimento di relazioni (la seconda componente dell’emozione) ha
qualcosa di radicalmente diverso dall’ordinario pensiero cosciente. Nella rabbia,
nell’innamoramento, nella tristezza, nella paura, Matte Blanco ravvisa alcuni
elementi caratteristici, tra cui principalmente il fenomeno dell’irradiazione, per il
quale avviene che l’emozione, partendo dall’oggetto che la suscita, si effonde a
tutti gli oggetti circostanti che hanno qualcosa in comune con quello. Tale
fenomeno è in stretta corrispondenza con quello dell’idealizzazione, il quale
affonda le sue radici nell’emozione; ossia nella possibilità di portare all’estremo
ed al massimo delle loro potenzialità alcune caratteristiche, in realtà, limitate. Si
tratta dell’eventualità di vivere l’infinito nel finito. Nell’‘innamoramento ’ viviamo
la bellezza e la gioia al loro massimo grado; nella ‘paura’ spingiamo i pericoli alla
loro più elevata condizione; nella ‘tristezza’ ci prende l’infelicità più profonda e
totale.
Quando proviamo un’emozione verso un dato oggetto (ad esempio una persona) attribuiamo
a quest’oggetto la totalità delle potenzialità contenute nella classe in cui abbiamo collocato
[…] l’oggetto.
[…] l’emozione non conosce individui ma solo classi o funzioni proposizionali e perciò,
confrontata con un individuo, ten de ad identificarlo con la classe cui appartiene.31
E’ evidente la corrispondenza con i principi che reggono la logica inconscia.
Perciò, il tipo di pensiero che caratterizza l’emozione è proprio quello che
chiamiamo ‘pensiero simmetrico’. Risulta, allora, maggiormente comprensibile lo
stretto legame che unisce il pensiero (bivalente) all’emozione: perché è lo stesso
legame che tiene insieme pensiero asimmetrico e pensiero simmetrico, logica
razionale e logica dell’inconscio. In altre parole ancora, il nodo tra emozione e
30
31
I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 256.
Ivi, pp. 269-270.
17
Commento: VD. PARTE
TERZA – Riferimenti precedenti
(1)
Commento: Ecco la differenza
tra ESSERE e AVVENIMENTO
!!!
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pensiero è stretto per mezzo del pensiero simmetrico inconscio, che da un lato è
risultato essere uno dei due componenti fondamentali dell’emozione, e che
dall’altro si è visto essere anacliticamente unito al pensiero classico bivalente.
L’identificazione tra pensiero simmetrico e pensiero emozionale ci introduce
all’intima connessione che esiste tra l’emozione e il modo di essere simmetrico ed
indivisibile.32
Sia dal punto di vista dell’inconscio, sia da quello appena analizzato delle
emozioni, si può affermare che le relazioni simmetriche rivelano aspetti oscuri
dell’essere dove l’individuo si fonde con gli altri e con l’infinito .
Matte Blanco intende però chiarire e approfondire un fatto:
All’interno dell’emozione regna il principio di sim metria; nello stesso tempo, poiché diverse
emozioni (amore, odio, tristezza, ecc.) si possono chiaramente differenziare l’una dall’altra,
è ovvio che questa delimitazione presuppone l’uso di relazioni asimmetriche. Ogni
emozione definisce così un territorio limitato all’interno del quale vi è un insieme infinito.33
Questo è un esempio, continua Matte Blanco, di ciò che si è proposto di chiamare
insiemi infiniti intensivi. Il regno dell’emozione non è il regno di un solo insieme
infinito, ma di numerosi insiemi infiniti; la stessa cosa vale per l’inconscio, come
si sarà compreso. Emozione ed inconscio, nella loro totalità sono strutturati come
‘insiemi infiniti’.
32
33
Ivi, p. 278.
Ivi, p. 303.
18
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II.2
L’esperienza dell’indivisibile nell’opera d’arte
L’attenzione per la questione della creazione artistica è solo uno di quegli
sviluppi necessari che esige una teoria onnicomprensiva quale si presenta quella di
Matte Blanco. Di sicuro, infatti, ciò che all’impatto colpisce di più, quando si ha a
che fare con i testi dello psicoanalista cileno, è proprio l’emergere di una
fondamentale unità di tutto quanto appartiene all’attività cognitiva ed emotiva
dell’uomo, ed alle produzioni che da queste scaturiscono.
L’interesse peculiare per la creazione artistica sta nel fatto che è l’esperienza
dell’infinito ciò che appare centrale nell’opera d’arte. Esperienza che interessa
l’artista quanto il fruitore. Esperienza che in termini matteblanchiani significa
evocazione dell’indivisibile, dell’unità primordiale.
Un tratto costitutivo della creazione artistica e dell’opera d’arte è di dire di più di
quanto non dica esplicitamente: ogni opera d’arte ha attorno a sé un alone di
significati apparentemente non visibili ma tuttavia presenti e costitutivi della
natura dell’arte. 34 «Questo è un primo aspetto della creazione artistica». Ma «se la
parola ‘significato’ si riferisce, come abitualmente, a qualcosa che può essere
espresso in termini logico-bivalenti precisi, per esempio quello che si intende
quando dico: “sta piovendo”, allora questo non è un aspetto costitutivo-distintivo
della creazione artistica né dell’opera d’arte.» 35 Deve accadere che un’espressione
costruita coi mezzi della logica bivalente rimandi a qualcosa d’altro, che non
appartiene alla precisione della logica bivalente.
Diverso è il caso della formulazione scientifica, il cui compito è di dire con
precisione soltanto ciò che è già dato abbastanza esplicitamente. Creazione
artistica e scoperta scientifica hanno comunque in comune, secondo Matte Blanco,
molto più di quanto da questa breve osservazione si possa dedurre.
Nelle Riflessioni sulla creazione artistica , attraverso l’analisi di due poesie,
Anne di Paul Valery e Alturas de Macchu Picchu di Pablo Neruda36 , Matte Blanco
individua quel potere evocatore proprio dell’arte, che, attraverso un linguaggio in
tutto e per tutto corrispondente alla logica bivalente – nel caso della poesia di
Valery – o frammisto a dei momenti di pura bi-logica – nel caso di Neruda –
riesce a far sentire e vivere l’infinito.
Se per i testi delle poesie rimandiamo semplicemente ai riferimenti dati in nota,
nondimeno è opportuno riportare alcuni passi fondamentali delle considerazioni
34
Cfr. I. Matte Blanco (1986), Riflessioni sulla creazione artistica, in Daniele Dottorini, Estetica ed
infinito, cit., p. 53.
35
Ivi.
36
I. Matte Blanco (1986), Riflessioni sulla creazione artistica, cit., p. 54 e p. 65.
19
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matteblanchiane in merito. Seguiamo, dunque, il commento di Matte Blanco ad un
verso della poesia di Valery:
[…] egli voleva insinuare che il desiderio sessuale è qualcosa di così intenso da essere
partecipe di tutte le violenze degli abissi e di tutte le loro intensità messe insieme […] 37
Poi, più avanti:
[…] mettendo insieme la violenza di tutti gli abissi si trasmette l’impressione di una
intensità tale che punta verso l’infinito. 38
Quindi, in conclusione:
[…] si dà il caso che l’infinito è, secondo la mia ipotesi, il modo dividente di esprimere
l’indivisibile. Questo ci fa capire, ancora una volta, che una funzione centrale dell’opera
d’arte sarebbe l’evocazione ed il vissuto dell’indivisibile.3 9
Dunque vivere l’infinito (attraverso un linguaggio poetico altamente asimmetrico)
significa, all’interno della teoria di Matte Blanco, vivere l’unità , l’indivisibile, nel
modo dividente proprio del nostro pensiero cosciente. Scopriamo che l’opera
d’arte, il cui momento centrale è l’esperienza dell’infinito, evoca, ad un livello
emozionale, l’esperienza originaria dell’unità col tutto.
Ciò che, nell’opera d’arte, il pensiero coglie (potremmo dire ‘escogita’) come
infinito, l’emozione lo sente come unità indivisibile, indifferenziabile, totale ed
omogenea.
L’infinito matematico è un tentativo del pensiero, che è dividente, di esprimere
l’indivisibile. […] in qualsiasi insieme di numeri naturali dove vale il principio di
simmetria, ogni numero è anche tutti gli altri: modo indivisibile. Questo è incomprensibile
per il pensiero. Che cosa fa davanti a un numero che è allo stesso tempo tutti i numeri? La
mia risposta: sdoppia questo numero tante volt e quanti numeri contiene l’insieme […]; il
processo di sdoppiamento non finisce mai, poiché basta aggiungere una unità a qualsiasi
numero naturale per ottenere un nuovo numero: ecco l’indivisibile trasformato in
infinitamente divisibile. Quindi, infinito m atematico, struttura bi-logica.4 0
La poesia di Valery ci fa compiere un salto misterioso, da una dimensione
asimmetrica, quella del suo linguaggio poetico che si regge esclusivamente sulla
logica bivalente, a una dimensione altamente simmetrica, quella in cui tutto il
nostro essere si trova proiettato proprio attraverso quel linguaggio.
Il bombardamento [di parole e stimoli sul lettore] provoca in lui uno strano fenomeno: pur
rimanendo in questo mondo limitato e finito, egli esce da se stesso e si trova, senza dirlo in
parole, in un mondo diverso: è qui ed è là, all’altro lato dello specchio […] dove, come negli
37
38
39
40
Ivi, p. 59.
Ivi, p. 60.
Ivi (corsivo mio).
Ivi, p. 51 (corsivo mio).
20
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specchi ‘normali’, si è uno solo; assieme a tutti gli altri, si è uno solo: molti sono uno.
Totalmente incomprensibile per il nostro intelletto: essere uno pur essendo molti, e
simultaneamente essere uno solo. 41
Perciò, secondo Matte Blanco, è possibile che un linguaggio che si mantenga
totalmente nella logica ordinaria, bivalente, possa proiettarci all’interno della
dimensione dell’indivisibile, che pure, l’abbiamo sottolineato più volte, si basa su
un tipo di logica del tutto opposta a quella ordinaria. E’ l’«incantesimo Valery».
L’«incantesimo Neruda» presenta, nella sua struttura, qualcosa di diverso da
quello dell’artista francese. Nella poesia presa in considerazione da Matte Blanco
egli sta già utilizzando un linguaggio altamente simmetrico che agevola e rende
più diretto quel passaggio alla dimensione dell’indivisibile. Con l’aiuto di strutture
evidentemente bi-logiche (ad esempio, una radicale «pluritemporalità» frammista
a momenti di normale temporalità) si vive l’antinomia costitutiva dell’essere. E si
partecipa, con l’intensa emozione suscitata, all’unità indivisibile.
Ad ogni modo, una delle caratteristiche della creazione artistica è quella di
utilizzare un linguaggio ‘bi-modale’. Si intende per ‘bi-modale’, lo abbiamo
spiegato prima, qualsiasi struttura di qualsiasi operazione umana tale da rendere
manifeste, contemporaneamente, le due opposte ‘ottiche’ attraverso cui
conosciamo il mondo. Si tratta, quindi, della possibilità di intravedere, o di
‘sentire’ l’indivisibile, nello stesso momento in cui abbiamo a che fare con del
‘materiale asimmetrico’. Questo non vuol dire semplicemente che la ‘bi-modalità’
corrisponde a una mistura di logica simmetrica ed asimmetrica. Nelle Riflessioni,
Matte Blanco ci rischiara le idee. La bi-logica «non è l’unica forma di co-presenza
dei due modi di essere dell’uomo e del mondo (modo eterogenico -dividente e
totalità omogenea e indivisibile). Non è l’unica forma di bi-modalità. Ne esiste un’
altra: « la bi-modalità logico-bivalente»42 ; la quale è una caratteristica
dell’astrazione, della generalizzazione, e anche della metafora, e perciò di un
linguaggio artistico simile a quello di Valery. Si tratta di logica bivalente al limite,
‘al margine’.
Il caso di Neruda è fondamentalmente diverso. Nella poesia che Matte
Blanco ha preso in esame si è riscontrata una bi-modalità bivalente variamente
miscelata con forme ad altissima simmetrizzazione, di pura bi-logica, dove il
tempo e lo spazio hanno proprio le caratteristiche della logica simmetrica
dell’inconscio, dove trovano voce tutta una serie di relazioni simmetriche, simili a
quelle della schizofrenia, del sogno, ma comunque date in una maniera diversa.
Consiste precisamente in questo la differenza essenziale tra ‘arte’ e ‘patologia’, le
quali da sempre, all’interno delle scienze psicoanalitiche, sono state considerate in
uno stretto rapporto simbiotico. Nel caso della schizofrenia, dice Matte Blanco,
abbiamo una reazione di curiosità davanti allo schizofrenico. V’è forte
incomprensione, tranne, forse, che per l’allenato analista. Nel caso dell’opera
41
42
Ivi, p. 63.
Ivi, p. 49.
21
Commento: ANCHE QUI
UNA NOTA Cfr tutti i testi di
Freud e qualche altro… (vd.
Biblioteca)
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d’arte, invece, abbiamo «profondissime reazioni che ci immergono in questa
strana mistura di indivisibile e divisibile da cui scaturisce o, meglio, in cui vive,
una potente emozione».43 «Questa differenza», approfondisce F. Oneroso, «è data
dalla consapevolezza, da parte dell’artista che sperimenta il pensiero-emozione, di
stare operando una traduzione, un dispiegamento di esperienze simmetriche in
esperienze asimmetriche, simboliche, verbalizzabili (simbolizzabili) in un
qualsivoglia tipo di linguaggio, poetico, figurativo, musicale, attraverso il quale,
soltanto, possono essere recuperati gli aspetti della logica bivalente e le categorie
spazio-temporali che rendono un’emozione comunicabile. Nei processi del
pensiero psicotico, al contrario, l’invasione del simmetrico dissolve la dimensione
spazio-temporale, rendendola irrecuperabile».44
Rimane, comunque, la constatazione che l’opera d’arte possiede la
straordinaria capacità di proiettarci nel mondo dell’emozione (il mondo dell’
indivisibile) anche solo attraverso l’intelletto (attraverso, cioè, la logica bivalente,
dividente). Nel fruitore dell’opera come nell’autore, avviene uno strano
fenomeno: emozione e pensiero appaiono come un’unica cosa. Pensiero ed
emozione risultano co-estesi. In effetti è così, e insieme non esattamente. Il
pensiero, dice Matte Blanco, è ‘figlio’ dell’emozione, proviene inevitabilmente, in
origine, dalla dimensione più vasta e complessa della «Madre-Regina» emozione,
e questa gli ha lasciato la sua eredità. Ma il nostro pensiero non può penetrare le
verità dell’essere indivisibile fino in fondo, «nella loro intimità». La spiegazione è
semplice: «l’emozione ha molte più dimensioni del pensiero, quindi, quest’ultimo,
non può contenerla dentro di sé».45
L’emozione non è pensiero, ma è la madre del pensiero 46.
Matte Blanco sottolinea, comunque, che, a prescindere dai casi citati, ciò che
caratterizza un’opera d’arte è, in generale, una struttura in cui si presenta qualcosa
che è allo stesso tempo espressione di simmetria e di asimmetria; e cioè una
struttura bi-logica di tipo ‘Simassi’ (in cui vi è SIMultaneità di ASimmetria e di
SImmetria). 47
Sarà, tuttavia, opportuno concludere questo capitolo, che chiude la parte
esclusivamente dedicata alle teorie dello psicoanalista cileno, soffermandosi sulle
frasi che subito seguono la precedente affermazione matteblanchiana, e che ne
costituiscono, anzi, proprio la continuazione:
Si noti che non pretendo minimamente dire che questa sia l’unica struttura bi-logica della
creazione artistica. Credo, invece, che questo sia un vasto territorio da esplorare.
43
Ivi, p. 70.
F. Oneroso, Il problema dell’arte nel pensiero di Ignacio Matte Blanco , in Paesaggi della mente,
FrancoAngeli, Milano, 1997, pp. 94-95.
45
I. Matte Blanco, Riflessioni sulla creazione artistica, cit., p. 64.
46
Ivi. Cfr. I. Matte Blanco (1988), Che cos’è la poesia?, in D. Dottorini, op. cit., p.112.
47
Ivi, p. 72.
44
22
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[…] sembra che le strutture bi-logiche nelle mani di un grande artista […] abbiano un grandissimo
potere di far scaturire emozioni intense. Se questo fosse vero, proporrebbe importanti problemi il
cui approfondimento potrebbe portare a profonde intuizioni sulla natura bi -modale dell’essere
umano.48
48
Ivi, p. 73.
23
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Capitolo Terzo
La dimensione dell’ascolto musicale
e la simultaneità di ‘identico’ e ‘diverso’
III.1
Il problema della creazione artistica a partire dalla teoria della bilogica
Gli scritti di Matte Blanco intorno al problema dell’arte, in particolare i due
testi Creatività e ortodossia (1975) e Riflessioni sulla creazione artistica (1986),
hanno dato vita a una serie di importanti riflessioni, in questi ultimi anni.
Attraverso gli studi di F. Oneroso 49 abbiamo la possibilità di approfondire
alcuni aspetti del testo Creatività e ortodossia, fin qui poco analizzato, e che più
avanti avrà un ruolo determinante. «Pensare l’emozione», afferma la Oneroso, «e
tradurla in termini di linguaggio artistico, pittorico, musicale, poetico, ecc., è il
compito arduo dell’arte e della creazione».50 Nel suo saggio Matte Blanco intende
il processo creativo come un atto drammatico, a cui sono sottese le fantasie di
“deicidio”, “autodeificazione” e “annientamento”. «La creatività […] porta con sé
la minaccia permanente di annientamento, giacché si collega al primo atto creativo
in assoluto che può essere considerato l’identificazione del bambino col seno della
madre, atto che comporta una fantasia di “senicidio”, cui consegue l’“autodeificazione”».51
E’ sulla base di una serie di concetti kleiniani cruciali, che Matte Blanco
intende affrontare il problema della ‘creazione artistica’. Cercheremo di chiarire il
problema in modo sintetico ma essenziale. 52
1) Madre e bambino (ossia, ‘seno’ ed ‘io’) vivono in uno stato di iniziale
simbiosi.
2) Dopo le prime frustrazioni e angosce, causate dal distacco del seno
dall’io, cominciano a comparire le prime ‘esperienze’ di diversità (dal ‘senomadre’) e di identità (un ‘io’ che non è più seno).
49
F. Oneroso, Il problema dell’arte nel pensiero di Ignacio Matte Blanco , in Paesaggi della mente,
cit.
50
Ivi, p. 92.
51
Ivi, p. 93.
52
Cfr. Segal H. (1979), Klein , trad. it. Melanie Klein , Bollati Boringhieri, Torino, 1998.
24
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3) L’ovvia conseguenza di tutto questo è che il bambino tende ad eliminare
la causa delle sue frustrazioni, il che significa eliminare la dipendenza dal ‘senomadre’. Ciò avviene attraverso l’identificazione, nella fantasia, proprio col ‘senomadre’.
E’ questa identificazione, «questa autoaffermazione come ‘seno’» da parte
del bambino, che «rappresenta il primo atto creativo della vita umana», e che
starebbe alla base di «ogni attività creativa ulteriore».53
Le conseguenze di un’operazione così ambivalente (si tratta di affermare
l’importanza estrema della madre, e, al tempo stesso, la possibilità di farne a
meno) portano a una situazione che Matte Blanco definisce “strutturalmente
conflittuale”. Possiamo descrivere i due atteggiamenti del bambino attraverso le
due proposizioni seguenti: «Recupero il paradiso perduto […]; mi fondo con esso;
sono il seno-madre»; e «Non posso fidarmi del seno -madre, […] assumo le sue
funzioni; io sono il seno-madre» 54 . E’ proprio quest’ultimo, afferma Matte
Blanco, un processo che è «oscuramente sentito come un ‘senicidio’ ed un ‘autosenificazione’»55 , ovvero un’‘auto-deificazione’, poiché il seno, a un livello
inconscio, è percepito come ‘Dio’.
Ebbene, Matte Blanco conclude che, in ogni futura attività creativa della
vita, persiste la complessa situazione legata a questo primo ‘processo creativo’
nato nel mezzo dell’autodeificazione e degli orrori del deicidio e
dell’annientamento.56 «Se si crea, si perpetra il deicidio e si corre il rischio di
essere annientato dal Dio ucciso. […] Se invece non si fa attività creativ a, questo
significa, ai livelli profondi, essere distrutto, perché non creare […] è sentito
come non esistere. Così risulta che sia la creazione, come l’astensione da essa,
sono minacce permanenti di annientamento. Tale è la condizione umana».57
Concludiamo le sintetiche riflessioni intorno a Creatività e ortodossia con
un’importante considerazione di P. Bria: alla base di ogni atto creativo e autoaffermativo starebbe, essenzialmente, la ricaduta nell’essere-uno .58 Appare
evidente, infatti, che è principalmente il sentimento di unità con la madre, ciò che
è alla base del complesso rapporto di frustrazione, e poi di identificazione, nei
confronti del seno-tutto.
Si mostra ancora più convincente, perciò, l’idea matteblanchiana che il
fondamento di ogni operazione artistica e creativa sta nell’esperienza dell’infinito,
ovvero, dell’indivisibile.
Ritorniamo alle osservazioni della Oneroso: «Matte Blanco omologa ogni
processo creativo ad un atto simbolico, ma lo fa nei termini precisi ad esso
53
I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia , cit., p. 259.
Ivi, p. 260.
55
Ivi.
56
Ivi, p. 261.
57
Ivi, p. 262 (corsivo mio).
58
P. Bria, “Introduzione” in I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire ,essere, cit., p. XIII (corsivo
mio).
54
25
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attribuito dalla psicoanalisi kleiniana»59 . Perciò l’artista oscilla tra l’atto di
onnipotenza e l’atto depressivo, entrambi conseguenza del ‘deicidio’. Il suo
atteggiamento affonda nell’incertezza e nell’angoscia che sempre accompagna la
sua creatività. Nel fruitore si riflette un medesimo sentimento altalenante, dato
che, di fronte all’opera d’arte, può guardare all’artista come a un Dio, e di
conseguenza autosvalutarsi; oppure può ridimensionarne la grandezza e, dunque,
autodeificarsi.
La Oneroso commenta la scelta di Matte Blanco di parlare dell’operazione
creativa dell’artista come di un vero e proprio ‘incantesimo’, «derivante dal
trattare insieme, ad esempio, il tempo e il non-tempo, cioè l’essere nel tempo e al
di fuori del tempo»60 . Il musicista e filosofo V. Jankelev itch61 , in tutt’altro
contesto, parla di charme, sempre, però, in rapporto al concetto di opera d’arte
(soprattutto ‘opera musicale’) come ‘incantesimo’. La parola francese, chiarisce E.
Lisciani-Petrini, «conserva nell’etimo, a differenza del suo equivalente italiano
(“fascino”), l’antico termine latino carmen, da cui propriamente deriva, e le cui
principali accezioni – di “componimento poetico” (“carme”) e di “incantesimo”,
ovvero ‘formula rituale incantatoria’ – stanno dunque a significare qualcosa che
suscita un’irresistibile attrazione, senza che la ragione possa padroneggiarla o
ridurla ai propri schemi»62 . «Ma poi, e soprattutto, Jankelevitch fa riverberare in
questo termine anche la lontana espressione plotiniana charis – ossia “grazia” –
utilizzata dal filosofo neoplatonico in un passaggio dove intende spiegare con
questa qualità, inafferrabile e sfuggente a ogni localizzazione, la caratteristica
peculiare del bello». Nel discorso jankelevitchiano si tratta, in particolare, del
‘bello musicale’. 63
La Oneroso affronta il problema principale legato al modo d’essere
indivisibile. «L’essere simmetrico sconfina nell’infinito e dunque è di per sé
inconoscibile e intraducibile. La domanda che ne consegue, allora, è, anche per
quanto riguarda il campo artistico: si può pensare l’impensabile?» 64
Alla questione va affiancata un’osservazione di P. Bria, il quale fa notare che
per affrontare fino in fondo l’indivisibile, come afferma Matte Blanco, dobbiamo
creare concetti nuovi e tali da permettere al nostro intelletto di usare la propria
natura eterogenica nel compito impossibile – per il nostro intelletto – di vivere in
qualche modo l’indivisibile. Questo compito deve essere necessariamente
affrontato attraverso una collaborazione tra pensiero e sentimento poiché
quest’ultimo è il nostro solo modo di essere indivisibili.65
59
F. Oneroso, Il problema dell’arte nel pensiero di Ignacio Matte Blanco, cit., p. 93.
Ivi, p. 95.
61
V. Jankelevitch (1961) La musique et l’inef fable, trad. it. La musica e l’ineffabile, Bompiani,
Milano, 1998.
62
Ivi, “Nota alla traduzione italiana”, p. XXVII (corsivo mio).
63
Ivi.
64
F. Oneroso, Il problema dell’arte nel pensiero di Ignacio Matte Blanco, cit., p. 96.
65
P. Bria, ‘Introduzione’ in I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire ,essere, cit., p. XIII.
60
26
Commento: Vedi dopo,
PARTE TERZA…
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Concludiamo introducendo alcune riflessioni di Antonio Di Benedetto, al
quale dedicheremo speciale attenzione nel prossimo paragrafo. E’ fondamentale ai
fini del nostro studio seguire questo particolare percorso ritagliato dallo studioso.
Matte Blanco scrive che «la sensazione può fornire l’opportunità di un processo di rêverie
vagamente strutturato, che mostra le stesse caratteristiche della logica inconscia ». […] Da
questo brano si arguisce l’ipotesi di un’altra forma di conoscenza dell’inconscio, non
intellettiva, più vicina all’onirico […]. Tale possibilità di un parlare simmetrico, transitivo,
non è né un «parlare di» né un «parlare a», entrambi propri di una logica bivalente, ma un
parlare uniformato al modo indivisibile.
Nel momento della fruizione artistica e musicale si fa un’esperienza conoscitiva
caratterizzata da una scomparsa del linguaggio, da uno sciogliersi delle relazioni
asimmetriche di un discorso e si sta immersi in un godi mento di modi indivisibili. Si tratta di
un’esperienza simile per tanti aspetti a quella mistica, dalla quale però si differenzia per il
fatto che nella mistica ci si tuffa nell’infinito e si prende ad oggetto un referente infinito
(Dio, il Cosmo, la Natur a), nell’arte invece non si perde mai del tutto di vista l’orizzonte
«eterogenico». L’oggetto dell’arte ha sempre un suo confine, non è mai sterminato.
[…] nel momento in cui la musica, da linguaggio scritto, si fa suono, la logica bivalente si
trasforma in sensazione-rêverie «che mostra le stesse caratteristiche della logica inconscia».
In quegli istanti di intensa emozione estetica non è solo l’oggetto artistico che viene
goduto, ma anche una parte, solitamente alienata, del nostro inconscio, attraver so una sorta
di epifania del modo indivisibile. 66
Approfondiamo, dunque, le considerazioni di Di Benedetto intorno al linguaggio
artistico ed, in particolare, a quello musicale.
66
A. Di Bendetto, La psicoanalisi e l’infinito nell’arte. Ricerca di un linguaggio aperto verso
l’inconscio , in Il pensiero e l’infinito, Teda, Castrovillari, 1989, p. 165.
27
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III.2
Antonio Di Benedetto: da una psicoanalisi dell’arte a una psicoanalisi
dall’arte
In Prima della parola67 , Antonio Di Benedetto affronta il tema del rapporto
tra psicoanalisi ed arte, e tra psicoanalista ed artista . Ciò che risulta più
interessante è il cambiamento di prospettiva che egli propone di assumere
all’interno di questa fondamentale relazione. E’ necessario passare da una
“psicoanalisi dell’arte”, concezione cara a Freud e a molti suoi allievi, in base alla
quale si applica la scienza psicoanalitica alle operazioni artistiche, ad una
“psicoanalisi dall’arte”. Ad un criterio di analisi, cioè, che sia realmente il
tentativo di avvicinare al pensiero psicoanalitico il pensare di tipo artistico. Questa
volta attraverso un movimento inverso, per cui «si tratta di applicare la musica alla
psicoanalisi» 68 .
Durante tutto il percorso del saggio traspare il candore di un ammonimento che è
insieme anche esortazione: l’analista ha molto da imparare dall’artista, e, in fin dei
conti, tra i due vi è un forte rapporto di somiglianza.
Di Benedetto evidenzia più volte il fatto che, comunque, lo stesso Freud aveva
tenuto sempre in debita considerazione il ruolo dei poeti, considerati come i
«precursori della scienza nonché della psicologia scientifica» 69. D’altra parte,
continua lo studioso, è evidente che non fu l’intuizione teorica di Freud a dare il
nome al complesso di Edipo, ma che fu la nota vicenda letteraria del mito greco a
indicare a Freud una teoria psicoanalitica. La psicoanalisi, perciò, fin dalle sue
origini si porta dentro un tratto distintivo: essa proviene da un’intuizione artistica.
Accostiamoci, adesso, più da vicino ad alcune considerazioni sui rapporti tra
le teorie di Matte Blanco e l’evento musicale.
«Nelle sensazioni sono state intraviste, in effetti, da Matte Blanco altre possibilità
conoscitive, di carattere p iù simmetrico che asimmetrico», sottolinea Di
Benedetto, e si sofferma su un passo molto esplicativo:
Sembra che la sensazione possa essere sperimentata in se stessa, senza nessun collegamento
con la logica, per esempio nel caso di un dolore. Altre volte, tuttavia, può diventare il punto
di partenza di un’elaborazione in termini di logica simmetrica. Così, alla fine, possiamo
concludere che la sensazione può apparire da sola, dar luogo ad una percezione o fornire
67
68
69
A. Di Benedetto, Prima della parola , cit.
Ivi, p. 160.
Ivi, p. 114.
28
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l’opportunità per un processo di reverie vagamente strutturato che mostra le stesse
caratteristiche della logica dell’inconscio.70
Con queste parole, secondo Di Benedetto, l’autore ammetterebbe la possibilità di
sensazioni che entrano nella coscienza a prescindere da ogni relazione. «Una
sensazione può affacciarsi “pura” nella mente, sottraendosi alle correlazioni
stabilite dal pensiero e, avulsa da ogni logica, stimolare un processo preconoscitivo, “vagamente strutturato” secondo le leggi dell’inconscio. E’ l’idea di
un conoscere sensitivo, non fondato su interrelazioni logiche, ma piuttosto su
capacità ricettive, che, cortocircuitate dal corpo e dai suoi organi sensoriali,
oltrepassano il pensiero razionale. L’esperienza estetica, fondata su una
comprensione sensoriale più che mentale, si presenta come un campo privilegiato
di indagine, per esplorare una simile maniera di conoscere non concettuale»71 .
Per questo Di Benedetto concentra l’attenzione su alcuni aspetti del linguaggio e
dell’ascolto musicali, in rapporto alle più importanti conseguenze sulle riflessioni
intorno alla bi-logica. Il linguaggio musicale «rivela una struttura improntata alla
bi-logica simmetria/asimmetria. Il ritmo e la melodia ne costituiscono le
componenti asimmetriche. Essi prevedono uno svolgimento diacronico che tiene
conto di una scansione temporale, di un prima e un dopo, l’armonia è invece
prevalentemente sincronica, tende ad annullare le differenze temporali, ne
costituisce perciò la componente simmetrica».72 La musica può dunque essere
definita una ‘struttura bi-logica simassi’, e poiché anche l’inconscio e l’emozione
sono tali, deduciamo un importante isomorfismo tra ‘linguaggio musicale’ e
‘realtà emozionali profonde’.
Se l’attività compositiva è regolata da evidenti processi asimmetrici,
[…] nel momento in cui si fruisce della musica, quando se ne fa l’esperienza di ascolto, tutto
ciò che appartiene alla struttura del linguaggio musicale, la notazione, la misura, il
movimento, il tempo, ecc., tende a diventare una cosa sola. […]
Abbiamo, quindi, una produzione del modo eterogenico che conduce a una particolare
conoscenza-fruizione del modo indivisibile.73
La musica, continua Di Benedetto, «consente una simultaneità di discorsi, per cui
riesce a far parlare più voci contemporaneamente, senza generare confusione. […]
Che sia una “fuga”, un “contrappunto” o un “concertato”, ogni linea sonora
conserva la sua riconoscibile identità, al lume della logica asimmetrica. Mentre,
sul versante del puro e semplice ascolto, le componenti ritmiche, melodiche e
armoniche di questi pezzi d’assieme vengono esperite come un tutt’uno […]» 74 .
Di Benedetto dedica una sezione del suo saggio al rapporto tra ‘melodramma’ e
psicoanalisi. Il compositore musicale, viene fatto notare, «compie un lavoro simile
70
71
72
73
74
I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 96.
A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 88.
Ivi, p. 89.
Ivi, p. 90.
Ivi, p. 91.
29
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a quello del sogno», che si ripercuote, ovviamente, anche a un livello di
‘fruizione’. Riportiamo, in particolare, tre momenti essenziali:
fa in modo che gli accenti musicali abbiano una certa mobilità e possano spostarsi, così
come accade nei sogni, laddove gli accenti psichici vengono spostati da una figura all’altra,
da una parola a un’altra o da una sillaba all’altra, celando o svelando particolari significati;
condensa l’universo affettivo del personaggio, facendogli assumere una particolare
intensità e realizzando una sorta di espressione corale e simultanea dei suoi vari affetti;
determina una sospensione dell’azione, che annulla la dimensione spazio-temporale della
vicenda, trasferendo il tutto in una dimensione vissuta, in cui non ha più alcuna importanza
la collocazione spaziale e in cui il tempo non è più quello cronometrico, ma diventa
flessibile e può essere dilatato o accorciato. 75
In definitiva la musica sa esprimere quella che è una realtà dell’inconscio: la copresenza e la confluenza di sentimenti diversi.
Ancora, Di Benedetto evidenzia che «la “condensazione” nella musica è
facilmente riscontrabile in un qualsiasi procedimento armonico. L’accordo
riunisce una certa quantità di note, esprimendo una simultaneità di suoni che
perciò si trovano condensati tutti e insieme in un unico istante, in uno stesso
spazio»76 . Per quel che riguarda la “co-presenza dei contrari”, la musica è capace
di comunicare l’assenza di contraddizione tra gli opposti attraverso l’uso
contemporaneo di voci diverse, talora addirittura dissonanti , ma che tuttavia
appartengono al medesimo insieme sonoro. E’ capace di dire «ciò che non può
esser detto altrimenti; e non può perché quell’“altrimenti” è il linguaggio
discorsivo della ragione, che separa gli opposti e li dichiara incompatibili»77 .
Infine, le due dimensioni dello spazio e del tempo acquisiscono un senso
radicalmente paradossale. Se da un lato appare inconfutabile che la musica si
estende spazialmente per mezzo della scrittura sul pentagramma e soprattutto
quando se ne considera la propagazione acustica, dall’altro è evidente che essa
trascende, a un livello di puro ascolto, ogni spazio, non venendo ad occupare
alcun luogo reale. Si tratta chiaramente di uno ‘spazio’ che va situato al di là di
quello tridimensionale. In secondo luogo la musica, che appare il fenomeno
artistico più tipicamente ‘temporale’, basandosi sui concetti di intervallo,
successione, ecc., contemporaneamente è in realtà il più sofisticato strumento di
soppressione del tempo. La musica ce ne fa perdere ogni cognizione. Forse
l’essenza stessa della musica di ogni epoca e di ogni luogo è stata, e sarà, la
proiezione in una dimensione atemporale, nel momento stesso in cui si configura
come un fenomeno che avviene necessariamente all’interno di un certo intervallo
di tempo.
75
Ivi, p. 202.
Ivi, p. 204.
A. Romano, Musica e Psiche, in Le forme dell’immaginario. Psicoanalisi e musica , Moretti e
Vitali, Bergamo, 1998, p. 97.
76
77
30
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III.3
La musica e l’individuazione di una dimensione ‘auditiva’ della
psiche.
Attraverso le considerazioni di Di Benedetto ci accingiamo ad esplorare una
dimensione della psiche che mai, forse, è stata considerata in tutta la sua
straordinaria portata. «Ci mancano adeguate teorie dell’ascolto», stigmatizza lo
studioso nella ‘Premessa’ alla Parte Quarta del suo lavoro78 .
Quelle che abbiamo, come la teoria dell’“attenzione fluttuante” di Freud, del “terzo
orecchio” di T. Reik, o della “rêverie” di Bion, sono appena abbozzate e risultano
insufficienti a contenere l’ampia gamma di esperienze di ascolto che si fanno nella stanza di
analisi.
[…] lo specifico della psicoanalisi ha continuato a essere individuato nella parola e in una
inclinazione razionalistica di fon do, ereditata dalla ben nota affermazione di Freud “portare
l’Io laddove era l’Es”. Il suo principale obiettivo è rimasto ancorato alla comprensione
intellettuale e verbalizzabile di fatti irrazionali.79
Accade che la psicoanalisi tenda alla ricerca di un contenuto latente anche
laddove, come nella musica, non ve n’è alcuna traccia. Per molti musicologi,
filosofi del linguaggio e dell’estetica, afferma Di Benedetto, la musica è “arte
tautologica”, cioè tende a rimandare esclusivamente a sé, e a nulla che le sia
esterno80 . Per cui l’approccio psicoanalitico classico, concentrato sullo svelamento
di un mondo rimosso, si è ridotto a occuparsi dei libretti d’opera.81 Per questo, e
dopo i contributi di autori come Bion e Matte Blanco, che hanno approfondito il
concetto di inconscio fino a configuralo come un mondo multidimensionale,
‘simmetrico’, il cui linguaggio è tipicamente a-verbale e pre-verbale, per questo,
dunque, accanto alla tradizionale ‘epistemologia investigativa ’, se ne va
affiancando, da qualche tempo, una di tipo ‘costruttivistico’, che dà vita a una
psicoanalisi ispirata dall’arte.
Introdotta nelle sue linee essenziali la questione che più è cara a Di
Benedetto, ci inoltreremo adesso lungo il percorso che direttamente ci interessa.
L’arte musicale presenta una naturale e sostanziale doppiezza . Se ne è avuta
conferma a proposito della simultanea presenza di aspetti simmetrici ed
asimmetrici, come abbiamo accennato in precedenza. Di Benedetto individua altre
coppie di opposti al suo interno: regressione/progresso, esterno/interno,
78
79
80
81
A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 159.
Ivi.
Cfr. V. Jankelevitch, op. cit.
A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 161.
31
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diacronia/sincronia, temporalità/atemporalità. Ci sembra di non errare nel
ricondurre tale ‘sostanziale doppiezza’ a un fatto fondamentale:
[…] la musica sembra offrire un mezzo espressivo, più adatto delle parole, agli inafferrabili
contenuti dell’inconscio, collocandosi fra l’ordine dei linguaggi articolati e il disordine
dell’asimbolico, fra la chiarezza dei contenuti di coscienza e l’oscurità della dimensione
inconscia, in una sfera intermedia , in cui coesistono attività organizzative razionali e vissuti
di continuità indistinta. 82
Insomma la dimensione del ‘sonoro’ possiede chiaramente una posizione mediana
fra lo spazio dell’inconscio simmetrico e il pensiero razionale e discorsivo. Luogo
d’elezione dunque di una confluenza di asimmetrico e simmetrico. E’ quanto
andremo appurando e confermando d’ora in avanti.
Cominciamo allora con alcune riflessioni che intendono mostrare come al
padre stesso della psicoanalisi non era sfuggita la posizione particolare che sembra
rivestire il suono nei complicati rapporti tra coscienza e inconscio.
Nel saggio Psicoterapia83 , del 1904, Freud cita un passo dell’Amleto, in cui è
chiara la convinzione che gli affetti e i sentimenti più profondi non parlano, ma
suonano e possono essere fatti suonare da qualcun altro. Di Benedetto, ancora,
evidenzia che in una lettera a Fliess, del 1901, «Freud paragona l’analista a un
abile musicista che suona sulla psiche del paziente in modo tale da creare una
composizione armoniosa».84
Finalmente, ne L’inconscio, del 191585 , Freud afferma che la rappresentazione
inconscia è priva di parola, è soltanto una rappresentazione della ‘cosa’. Essa
«consiste nell’investimento, se non delle dirette immagini mnestiche della cosa,
almeno delle tracce mnestiche più lontan e che derivano da quelle immagini». G.
Pulli sostiene che «la rappresentazione della parola […] appartiene – invece – alla
sfera del suono. E la coscienza, in quanto aggiungersi della rappresentazione della
parola alla rappresentazione della cosa, appare come un sovrapporsi a qualcosa
che appartiene alla sfera dell’immagine di qualcosa che appartiene alla sfera del
suono».86 Se però l’immagine, o meglio un ‘pensare per immagini’, è più vicino ai
processi inconsci, il suono è la più propria condizione della funzione linguistica,
poiché è il più originario luogo di trasposizione di un determinato contenuto di
intuizione o sentimento; contemporaneamente, il suono, in sé, è ‘il mezzo’ (per
eccellenza) estraneo a qualsiasi contenuto.87
All’interno di uno spazio intermedio, e assai primordiale, in cui confluiscono
il profondo essere simmetrico dell’inconscio e il pensare discorsivo-asimmetrico
82
Ivi, p, 165 (corsivo mio).
S. Freud (1904), Über Psychotherapie, trad. it. Psicoterapia , OSF, vol. 4, p. 429.
84
A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 174.
85
S. Freud (1915), L’inconscio, cit., p.49.
86
G. Pulli, Freud, Cassirer, Kandinsky. L’in conscio, le parole, le immagini, in ‘Uomini e idee’, a cura
di C. Piancastelli, Alfredo Guida, 1998, n° 4, p. 55.
87
Ivi, p. 59. Cfr. E. Cassirer (1959), Sprache und Mythos, tr. it. Linguaggio e mito, il Saggiatore,
Milano, 1976, p. 132.
83
32
Commento: Vedi di inserire
quell’affermazione di Freud (vd.
Pulli) in cui si dice che la cosa e la
rappres. della cosa…
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della coscienza, si pone, dunque, un ‘pensiero sonoro/auditivo’ accanto ad un
‘pensare per immagini’, e forse il primo soggiorna in una sfera ancora più
privilegiata dell’altro.
F. Oneroso ha osservato che l’opera d’arte, in generale, appare «rivelatrice
dell’indivisibile, quindi dell’impensabile e dell’indicibile, ma è al tempo stesso
espressione del divisibile, quindi della ol gica aristotelica bivalente, in quanto
questa è l’unica in grado di esprimere in qualche modo aspetti dell’indivisibile.
L’opera si situa, quindi, nel nucleo d’appartenenza simultanea alla dimensione
simmetrica ed asimmetrica, e – in virtù di tale appartenenza – appare come
un’esperienza-rivelazione della comunicazione tra infinito e finito attraverso
l’emozione che la genera e a cui essa rinvia» 88 .
Di Benedetto giunge ad affermare:
In una porzione della mente analitica sono convinto che lavori un pensiero di tipo musicale,
anche in chi non possiede particolari competenze musicali. Qui vengono a risuonare le “voci
di dentro” del paziente. 89
In più, la considerazione che «la musica infra-verbale affonda le sue radici nelle
prime esperienze comunicative tra madre e figlio»90 , ci rimanda direttamente alle
osservazioni di Matte Blanco di Creatività e ortodossia 91 , in cui, come si è visto,
viene analizzato il momento fondamentale del ‘sorgere della coscienza’, proprio
per mezzo della primordiale relazione con la madre: a questo punto, si può
ipotizzare che la prima esperienza relazionale (in cui un ‘Io-esterno’ si è
riconosciuto come distaccato dall’Io-madre) abbia interessato proprio quella
‘porzione di mente musicale’ ipotizzata da Di Benedetto, e che perciò la prima
relazione (lo stabilimento cioè di una proto -differenziazione tra sé e altro)
avvenga ad un livello acustico di suono e di voce, prima ancora che di sensazione
o di immagine. Si tratterebbe, d’altra parte, semplicemente di una ‘sensazione
pura di tipo auditivo’.
Si rende necessario, a questo punto, improntare un discorso che approfondisca
questo aspetto che abbiamo chiamato ‘sorgere della coscienza’
88
89
90
91
F. Oneroso, Pensa re e sentire l’arte, in AA.VV., L’inconscio antinomico, Angeli, Milano, 1999.
A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 194.
Ivi, p. 195.
I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia , cit.
33
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III.4
‘Creatività e ortodossia’: il sorgere della coscienza.
Si è già accennato alle concezioni kleiniane che fanno da sfondo al saggio
Creatività e ortodossia , in cui Matte Blanco risale alle radici della nascita della
coscienza, riscontrando che la prima relazione in assoluto, la quale deve la sua
origine ad una primordiale frustrazione, sarebbe “essere differente da”, per cui
richiederebbe, in una certa misura, i concetti di “io” e di “altro” (in questo caso il
“seno”). Il primo pensiero prenderebbe dunque la forma di: “io sono differente
dal seno”.
La frustrazione, derivante dal distacco della madre-seno, «fa sì che sin dall’inizio
l’‘altro’ sia sentito come un tutto onnipotente, che può lenire l’oscuro dolore del
bambino. A conseguenza di ciò, e galleggiando al di sopra di tutte le relazioni
appena descritte e mischiandosi con esse, sarebbe la seguente relazione: “io sono
diverso dal tutto”, la quale porterebbe come conseguenze altre due: “io mi fondo
con il tutto, ritorno al tutto”, e “io sono il tutto”»92 . «Una volta accesa la prima
luce del pensiero […] il mondo si apre immenso davanti alle possib ilità del
conoscere, alle possibilità del pensare, il quale non si fermerà più. Una volta
entrati in questo terreno, possiamo dire con Wittgenstein: “Il mondo si divide in
fatti”».93 E’ l’alba del pensare. La comparsa del principium individuationis. La
distinzione tra ‘sé’ ed ‘altro’.
L’altro è il sentire proprio del sè, il suo proprio modo di essere simmetrico in uno
stato di purezza totale (senza contaminazioni asimmetriche) e che ora,
retrospettivamente, appare come due cose diverse: un seno-io e un seno-esterno.
Per prima cosa, il modo di essere asimmetrico ‘ci vede doppio’. Sente di “essere
differente da” un ‘seno -esterno’; e, insieme, ricorda di “essere tutt’uno con” il
‘seno-io’. Risulta che il «primo atto di traduzione del modo di essere simmetrico
in termini di asimmetria rivela qualcosa che sembra falso, ma che, forse, punta su
una verità di certi livelli più profondi dell’essere: l’unità di tutti gli esseri, al di là
dell’individualità di ognuno di essi».
Quando il modo di essere asimmetrico considera l’altro come qualcosa che in realtà è esso
stesso, sta captando l’unità essenziale del bambino con la madre al livello del sentire, e sta
esprimendola nell’unico modo in cui può farlo: dividendoli, separandoli. In questa divisione,
però, non può, senza rendersene conto, fare a meno di riconoscere implicitamente l’unità:
l’atto stesso della separazione è affermato attraverso la scelta di una ‘parte’ di se stesso , che
è, paradossalmente proclamata diversa da se stesso; in altre parole, volendo dividere, non
divide.94
92
93
94
I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia , cit ., p. 265.
Ivi.
Ivi.
34
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E’ interessante, a questo punto, seguire la via suggerita da G. Pulli 95, che
affianca alle considerazioni ricavate da Creatività e ortodossia , alcuni importanti
passi de L’inconscio come insiemi infiniti. Si tratta di quel peculiare fenomeno, a
cui abbiamo già accennato, per il quale la coscienza pone come oggetto di
pensiero se stessa. La coscienza sarebbe, secondo Matte Blanco, simile ad uno
specchio, che fa apparire dentro di sé cose esterne a sé. Nel caso particolare, in cui
la coscienza si trova di fronte a sé stessa, si tratterebbe dello specchio medesimo
che viene riflesso in se stesso, proprio come se fosse un oggetto esterno. Perciò la
coscienza si rende conto, all’improvviso, dell’esistenza di questo specchio (cioè di
sé). E’ l’attimo in cui essa viene meno, in cui, si direbbe, svanisce nell’inconscio.
Pulli si sofferma su un passo de L’inconscio come insiemi infiniti :
Quando pensiamo, esercitiamo tutta la nostra attività cosciente. Quando, però, ci
soffermiamo a considerare il processo stesso del pensiero e pensiamo che siamo noi che
stiamo pensando, quando, in altre parole, cerchiamo di cogliere questa importantissima
caratteristica del pensare nella sua interezza, nella sua pienezza, troviamo che la nostra
coscienza è qualcosa di fugace, di mai completamente afferrato. In altri termini: quando
vogliamo diventare pienamente consci del nostro essere consci, la nostra coscienza di
essere consci si annebbia. Possiamo diventare consci di essere consci solo in un modo
tangenziale, passegge ro, fugace; non possiamo fermarci e restare a contemplare la piena
estensione della nostra comprensione, almeno non possiamo farlo in condizioni normali. 96
In quell’attimo , entra in campo un altro metaforico specchio, tale che, posto
davanti al primo, ne rivela la presenza. La coscienza ‘si vede’ come esterna. Si
sorprende a trattare se stessa come altro. Ma l’attimo, dicevamo, è sfuggente, e la
coscienza subito si annebbia, sprofondando nell’inconscio.97
Matte Blanco, dunque, si era concentrato da un lato, come abbiamo
osservato nelle affermazioni di Creatività e ortodossia, sull’attimo del sorgere
della coscienza (del pensiero asimmetrico) dalla purezza inconscia del modo
d’essere simmetrico. Si è visto come, attraverso un ‘errore’ originario, la
coscienza si era sospinta oltre i suoi limiti, nell’identificazione tra ‘io’ e ‘altro’, tra
‘interno’ ed ‘esterno’. Dall’altro, nei passi de L’inconscio come insiemi infiniti, lo
psicoanalista si era imbattuto, invece, «nell’opposta circostanza del venir meno
della coscienza , nell’attimo in cui questa svanisce nell’inconscio». «Come è
immediatamente evidente», sostiene Pulli, «questo sguardo costituisce la
testimonianza più attendibile e più preziosa sulla realtà dell’inconscio. Ora, ciò
95
G. Pulli, L’enigma della simmetria , FrancoAngeli, Milano, 1999.
I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 256.
97
Matte Blanco non parla solo di pensiero del pensiero, ma anche di pensiero dell’emozione (cfr.
L’inconscio come insiemi infiniti, cit., e Riflessioni sulla creazione artistica, cit., pp. 71-72). Entrambe
sono esperienze fuggevoli, in cui la coscienza subito sprofonda nell’inconscio. Ogni volta che il
pensiero rivolge la sua attenzione a se stesso o a qualsiasi esperienza psico-emozionale, esso finisce
per ‘riflettersi in sé medesimo’ (identificando interno ed esterno ), e gli risulta impossibile persistere in
uno stato simile.
96
35
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che a tale sguardo si rivela è la circostanza che ciò che alla coscienza, in virtù
della sua natura, appare esterno è invece interno».98
In conclusione i due momenti, quello della coscienza che sente l’altro come
sé, e quello in cui la coscienza tratta ‘se stessa’ come ‘altro’, ci presentano
chiaramente il fenomeno per cui interno ed esterno, identico e diverso, finiscono
per coincidere. Gli analoghi ‘errori’ in cui incappa la coscienza, quando si
verificano questi due fenomeni ‘al margine’, rivelano una verità di certi livelli più
profondi: l’esterno è identico all’interno e viceversa. Il che equivale a dire che
tutte le relazioni asimmetriche vengono trattate come se fossero simmetriche.
‘Interno’ ed ‘esterno’ si mostrano come eventi simultanei.
Siamo, perciò, giunti a rintracciare al possibilità di una definizione non
anaclitica del principio di simmetria, dato che non esiste più la necessità di
considerare il modo d’essere asimmetrico come anteriore (sia a livello
cronologico che di valore) rispetto al modo simmetrico.
98
G. Pulli, L’enigma della simmetria, cit., p. 53.
36
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III.5
Identità e diversità intervengono simultaneamente.
Le riflessioni di Pulli ci guidano verso il cuore di un’importante questione.
E’ possibile una definizione non anaclitica del principio di simmetria? E quindi, è
riscontrabile una traccia dell’esistenza di quella ‘super-logica unitaria’ auspicata
da Matte Blanco?
Siamo giunti a rintracciare uno spazio in cui ‘interno’ ed ‘esterno’, ‘identità’
e ‘diversità’ intervengono simultaneamente. E’ per questo, dice Pulli, che la sfera
dell’indistinzione e quella della distinzione non risultano più su due livelli diversi:
«il principio di simmetria risulta del tutto emendato dal limite dell’anacliticità»99 .
Adesso l’identità e la differenza, l’unità e la molteplicità, sembrano essere
ricondotti ad una stessa radice, e non a due differenti forme, quali la ‘totalità
indivisibile’ e il ‘modo eterogenico -dividente’. Vi sarebbe una sfera, secondo
Pulli, ancor più profonda di quella della totalità indivisibile, «una sfera in cui il sé
e l’altro, l’interno e l’esterno, appaiono come la stessa cosa e insieme come due
cose diverse»100 .
E’ il livello in cui il principio di simmetria e la logica bivalente non solo
agiscono contemporaneamente (ciò che accade anche nelle strutture Simassi), ma
si trovano realmente fusi insieme, poichè distinguibili ed insieme indistinti. Nelle
strutture bi-logiche Simassi avveniva che i due modi di essere e di sentire il
mondo si mostravano contemporaneamente, mantenendosi separati: due ottiche,
due punti di vista distinti e opposti, che camminavano su binari paralleli nello
stesso momento.101 Ora, ciò che si sta descrivendo, è molto più di tutto questo; le
due prospettive sono fuse in un’unità originaria.
Dalla nostra ottica, adesso, il principio di simmetria non appare più come
qualcosa che è descrivibile solo perché si oppone ai principi della logica classica,
che invece divide e separa. Nel fenomeno dell’origine della coscienza, si è notato
come, invece, fosse proprio il modo asimmetrico a trovarsi in un ruolo deficitario
rispetto all’essere simmetrico, in quanto finiva per esprimere l’unità primordiale
del bambino con la madre attraverso l’unica via che gli è concessa: separandoli,
dividendoli. L’atto stesso della separazione veniva affermato attraverso la scelta di
una ‘parte’ dell’io, che, paradossalmente era proclamata diversa dall’io stesso; non
potendo far altro che dividere, incappava in un ‘errore logico’, e, senza volerlo,
finiva per rilevare la verità originaria dell’indivisibile.102
99
Ivi, p. 57.
Ivi. Cfr. la nota 3, riportata, alla fine dell’affermazione, dallo stesso Pulli.
Vd. infra, Parte Prima, I.4, p. 19.
102
I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia , cit., p. 266 (corsivo mio).
100
101
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Tutto questo ci rimanda direttamente alle considerazioni di Matte Blanco a
proposito di una ‘super-logica’ strutturata in maniera «che comprenda i due modi,
o rispettivamente, le due logiche come parti integranti di un modo o di una logica
più generali. […] Possiamo dire che i due modi o le due logiche appaiono
mescolate come l’azoto e l’ossigeno nell’aria, ma non si combinano mai per
formare, come nel nostro esempio, una nuova sostanza come il biossido di
azoto.»103 .
Ci è sembrato, finalmente, di aver intravisto qualcosa che assomigli a questo
simbolico ‘biossido di azoto’. Rimane comunque un’importante scoperta:
il principio di simmetria si è mostrato, finalmente, come il principio più originario,
più elementare e più profondo della psiche.
103
I. Matte Blanco (1975), Pensare, sentire, essere, cit., p. 106.
38
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Parte Seconda
Elementi essenziali di acustica
La filosofia musicale di Arnold Schönberg
Vorrei che in me si vedesse una cosa,
la cosa a cui aspiro:
essere espressione in suoni
dell’anima umana
e del suo anelito a Dio.
Arnold
Schönberg
39
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Premessa
Il fenomeno naturale della propagazione di un’onda sonora e i
‘suoni armonici’
Saranno ora introdotte alcune importanti nozioni di carattere fisico, acustico
e, in generale, musicale; tale breve parentesi è da intendersi come propedeutica ai
successivi capitoli dedicati all’operazione artistica del compositore viennese
Arnold Schönberg.
“Nota” è il nome del simbolo grafico designante un suono musicale e il suo
valore relativo di durata.
Il ‘suono’ è un effetto conseguente alla propagazione di un’onda elastica,
chiamata ‘onda sonora’, la cui caratteristica principale è quella di possedere una
peculiare frequenza. I suoni si possono distinguere tra loro, principalmente, per la
diversa frequenza. Ogni nota de-signa un suono.
L’onda sonora nasce da vibrazione, dunque da movimento; precisamente
dalle vibrazioni di un corpo elastico. Suono ‘determinato’ è quello le cui
vibrazioni sono ‘regolari’ (come avviene in una corda tesa quando è pizzicata);
suono ‘indeterminato’ (o più notoriamente ‘rumore’) è quello le cui vibrazioni
sono ‘irregolari’ (come può avvenire se si percuote una scatola). L’onda sonora,
come tutte le onde elastiche, rappresenta la propagazione di una perturbazione,
con trasporto di energia meccanica e non di materia. Questo è importante: l’aria
‘trasporta’ una quantità di energia meccanica, attraverso l’oscillazione delle sue
particelle intorno alla loro posizione di equilibrio. Non è l’aria che si muove. E’
l’energia impressa alla corda che si propaga, attraverso l’aria. Una chitarra non
emetterebbe suono se attorno vi fosse il vuoto.104
Il suono è formato da alcune componenti caratteristiche: l’altezza o
frequenza , è data dal numero di vibrazioni prodotte nell’unità di tempo (più alto è
questo numero più si dice che il suono è acuto ); l’intensità, per cui a una maggiore
ampiezza del suono corrisponde maggiore forza; il timbro , che a parità di
frequenza e intensità fa sì che lo stesso suono appaia di natura diversa a seconda
dello strumento considerato. Il fatto che vi sia un timbro differente a parità delle
altre due condizioni, è indirettamente collegato al fenomeno degli armonici, che
tra poco approfondiremo.
I suoni sono potenzialmente infiniti. Ogni limitazione dipende dall’orecchio
umano. Non solo esiste una restrizione a livello di ‘spettro udibile’ con dei valori
di massimo e di minimo all’interno del nostro campo di percezione acustica. Vi è
104
Il fatto che un’onda sonora abbia bisogno di un mezzo per trasmettersi la caratterizza come
un’onda meccanica. Ciò la differenzia dalle onde elettromagnetiche, che non hanno bisogno di alcun
mezzo per trasmettersi, dato che utilizzano i campi elet trici e magnetici. Un campo elettromagnetico si
diffonde anche nel vuoto. Cfr. Caforio-Ferilli, Physica, Milano, Le Monnier, 1994, vol. 2, cap. 2.
40
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poi la limitazione a distinguere due suoni che posseggano frequenze vicinissime
ma diverse tra loro per un valore minimo.
Anche le note sarebbero infinite. Tra un DO e un DO# vi sarebbe una discreta
gamma di altri suoni ‘an -notabili’.
Ogni suono ha una caratteristica straordinaria. E’ capace di ‘indurre’ alla
vibrazione, e quindi all’emissione di suono, un corpo che ne sia potenzialmente
capace. Direttamente legata a questa caratteristica se ne affianca un’altra ben più
straordinaria: ogni suono ‘possiede in sé altri suoni’. Il fenomeno degli armonici è
molto noto, anche tra quelli che pochissima dimestichezza hanno con la musica.
Per spiegare in cosa consistano gli ‘armonici’ dobbiamo tenere presente che, in
genere, i suoni non sono mai ‘puri’, cioè il diagramma temporale dell’onda sonora
che li caratterizza non è mai una semplice sinusoide. Nella maggior parte dei casi,
perciò, un suono è prodotto dalla sovrapposizione di più suoni semplici, di cui
quello con frequenza più bassa è chiamato fondamentale o primo armonico. I
rimanenti suoni semplici che compongono quello composto, e le cui frequenze
sono multiple intere della frequenza fondamentale, vengono chiamati ‘armonici
superiori’.
In effetti, avviene proprio che la ‘naturale inclinazione’ ad intendere come
con-sonanti due note, deriva dall’appartenenza di una di esse ai primi ‘armonici
superiori’ dell’altra. Facciamo un esempio. La nota fondamentale DO è costituita
anche dalle altre note SOL e MI. Questo perché SOL è un armonico superiore
della nota DO, così come lo è la nota MI, che nella scala degli armonici segue di
poco il SOL. In gen erale si dice che rispetto alla nota fondamentale, hanno una
buona consonanza la quinta giusta e la terza maggiore della scala (appunto,
nell’ordine, SOL e MI). E prima ancora di queste l’unisono e l’ottava
(rispettivamente, un DO della stessa altezza e il DO che si ripete al termine della
scala, ad un’altezza maggiore). Quanto affermiamo è meglio comprensibile se
confrontato con la fig. 1.
Ora, è necessario domandarsi se un suono sia costituito da un numero finito
di suoni semplici (armonici), e, se così fosse, dovremmo cercare di stabilire quali
e quanti essi sono. Non è difficile dimostrare come in ogni nota in qualche modo
riecheggi l’infinità delle note esistenti: il ciclo delle quinte sembra preannunciare
tale fatto. Se nel DO vi è la quinta giusta SOL, e in SOL è la quinta giusta RE, nel
DO è anche il RE. Il ragionamento si estende automaticamente all’intero ciclo
delle quinte, che comprende tutte e dodici le note della scale cromatica
occidentale.
Tutti i dodici suoni semplici, cioè i dodici armonici, sono riscontrabili come
costituenti di un’onda sonora, anche se, a mano a mano, i successivi risulteranno
sempre più impercettibili.
La figura 1, riportata sotto, mostra la serie degli armonici prodotta dalla quarta
corda del violoncello (DO).
41
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Figura 1
La cosa interessante è che i sedici suoni armonici prodotti corrispondono alle
seguenti note: DO, DO, SOL, DO, MI, SOL, SIb, DO, RE, MI, FA#, SOL, LAb,
SIb, SI, DO. All’interno del DO, dunque, riscontriamo la presenza di DO, SOL,
MI, SIb, RE, FA#, LAb, SI. Per via teorica, immaginando una corda più lunga (e
dunque maggiormente divisibile) di quella considerata, è possibile aggiungere a
questa serie di sette suoni anche i cinque rimanenti, corrispondenti alle note di
DO#, Mib, FA e LA. Un suono finisce per possedere, dentro sé, ogni altro suono
della scala cromatica; e anche di più.105
Sulla base di considerazioni simili, Schönberg giungeva ad affermare che «tra
consonanza e dissonanza v’è solo una differenza graduale» e che d i conseguenza
«non esistono suoni estranei all’armonia, poiché l’armonia è fondata da qualsiasi
sonorità simultanea di più suoni» 106 .
E’ interessante notare che, nell’esempio riportato, gli armonici 7°, 11° e 14°
sono ‘calanti’ rispetto alla nostra scala temperata; mentre è ‘crescente’ il 13°. A
dire che quello che sul pentagramma, per esempio, è segnato come SIb (7°
armonico), è in realtà un suono che sta tra il LA e il SIb, suono che il nostro
sistema musicale occidentale non tiene in considerazione nell’applicazione
pratica, cioè nell’esecuzione, ma solo in via teorica, e che viene indicato come
‘terzo di tono’ o ‘quarto di tono’ oppure con una frazione più piccola. Il ‘vibrato’,
in tale senso, si pone come l’oscillazione intorno a un intervallo che comprende
‘qualcosa prima’ del suono annotato sul pentagramma e ‘qualcosa dopo’. Il
‘glissando’ scandaglierebbe l’intera gamma di suoni compresi in un intervallo di
semitono, ma in maniera veramente impercettibile.
Altre culture usavano, e usano correntemente, questi suoni non contemplati
dal sistema musicale occidentale, ma capaci di essere distinti.
105
Cfr. L. Rognoni, Introduzione, in A. Schönberg (1922), Harmonielehre, trad. it. Manuale di
armonia , il Saggiatore, Milano, 1997, pp. XXXII, XXXIII, XXXIV. «Il fenomeno della risonanza
[…] realizza tutta la gamma dei suoni nella totalità delle frequenze. Se si procede infatti oltre la
convenzionale serie dei primi sedici armonici, si ottiene una gamma enarmonico-cromatica infinita».
106
Ivi, p. 401 (corsivo mio).
42
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Queste constatazioni ci permettono di affermare che, addirittura, non soltanto
sono compresi, all’interno di un suono, in varia misura, tutti i dodici suoni
dell’ottava, ma anche quegli altri che stanno all’interno dell’intervallo di
semitono.
Un suono contiene tutti gli altri. Una nota sta scrivendo tutte le altre, in
qualche modo. Tutti i suoni stanno compartecipando a quell’unico
‘fondamentale’. La nota predominante è l’unica che maggiormente e più
concretamente riusciamo ad ascoltare, ma sappiamo, adesso, che ‘sotto il suo
dominio’, ai piedi della montagna che la erge, vi è una piramide contenente
un’infinità di suoni.
La melodia è una successione nel tempo di note, ognuna delle quali si porta
appresso (inascoltatamente) tutte le altre. L’armonia, in quest’ottica, sarebbe
semplicemente l’amplificazione e la ‘chiarificazione’ di un fenomeno che sta già
avvenendo, inavvertitamente. Suonare simultaneamente più note significa
decidere di dare rilevanza a dei suoni ‘sotterrati’, portarli in superficie, renderli
presenti con più forza, fino a renderli udibili. Avviene una sorta di ‘parificazione’,
semplicemente rafforzando l’intensità di un suono, fino a renderla eguale a quella
della nota fondamentale. L’accordo è dar voce ad una ‘simultaneità sonora’ che a
livelli non udibili stava già avvenendo. Sia l’armonia che la melodia (potremmo
dire, in un nuovo senso) derivano dall’unità sonora della singola nota.
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Capitolo Primo
L’operazione musicale di Arnold Schönberg
I.1
L’atmosfera culturale nella Vienna del primo ‘900:
L’espressionismo in arte e letteratura, le innovazioni architettoniche, la fisica
della relatività, la psicoanalisi sono tutti frutti di un fermento culturale anteriore
alla Germania di Weimar. Fu soltanto, però, con gli anni Venti che la ventata di
novità raggiunse un livello di coscienza popolare, cominciando realmente ad
influire sull’atteggiamento della gente verso se stessa e verso il mondo in cui
viveva. Il movimento del 1919, nato a Berlino e che trovò realizzazione pratica
nella struttura del Bauhaus, accompagnò la particolare sensazione di inizio di
qualcosa di nuovo, del sorgere di un’epoca diversa. Il principale scopo di questa
scuola sui generis era quello di abbattere ogni barriera tra artigiano e artista,
raggiungendo una nuova unità fra arte e tecnologia.107 W. Kandinsky, tra gli
uomini di spicco collegati alla straordinaria iniziativa culturale, stabilì un
particolare rapporto con Schönberg. Dopo aver ascoltato a Monaco, all’inizio del
1911, due suoi pezzi da camera, gli scrisse una lettera rilevando la comune
sensibilità artistica che li legava: nelle opere di Schönberg il pittore trovava
realizzate, nella forma indeterminata della musica, ciò a cui egli stesso aspirava
profondamente. 108 Kandinsky propose al compositore viennese di collaborare al
centro di Weimar. Schönberg si trovò costretto a rifiutare a causa delle sempre più
dilaganti idee antisemite, anche all’interno stesso del Bauhaus. Una serie di
incomprensioni determinarono, fra l’altro, la rottura con Kandinsky.109
Alla sconfitta e alla dissoluzione dell’impero asburgico, dopo la prima guerra
mondiale (avvenimento che pose in uno stato di sgomento l’intero popolo
germanico), Schönberg accompagnò la speranza di un rinnovamento dei costumi,
in particolare della sua classe di appartenenza, la borghesia. Non è un caso che
107
A. Desideri e M. Themelly, Storia e storiografia, D’Anna, Messina-Firenze, 1997, pp. 438-439.
G. Manzoni (1975), Arnold Schönberg. L’uomo, l’opera, i testi musicati, Feltrinelli, Milano, 1975,
p. 69.
109
A Schönberg e W. Kandinsky, Briefe, Bilder und Dokumente einer au ßergewöhnlichen
Begegnung, Residenz, Salzburg-Wien, 1980, trad. it. Musica e pittura. Lettere, testi, documenti, a cura
di J. Hahlkock, Einaudi, Torino, 1988.
108
44
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egli cercasse in tutti i modi di stabilire un nuovo contatto col pubblico,
nient’affatto elitario, ma basato sulla divulgazione, chiara e priva di preconcetti,
delle musiche contemporanee. Uno dei tanti fenomeni collegati a quest’impegno
fu la fondazione di una “Associazione per esecuzioni musicali private”, nel 1918.
Il dilagante antisemitismo diventerà col passare degli anni la preoccupazione
dominante del compositore viennese. Causa principale della sua riconversione
all’ebraismo, lo troverà inoltre impegnato in una serie di riflessioni sul problema
razziale e finanche in una proposta concreta di ‘ricostruzione di un regno
ebraico’.110
110
G. Manzoni (1975), op. cit., p. 105.
45
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I.2
Le prime opere: ‘espressionismo’ e superamento del linguaggio
tonale
L’operazione musicale di Schönberg rimane senza dubbio tra le
manifestazioni artistiche più interessanti e decisive del secolo XX. Nato nel 1874
(14 anni dopo Gustav Mahler) realizza il primo lavoro importante, il sestetto
d’archi Verklärte Nacht (Notte trasfigurata, op. 4) nel 1899. Il poema sinfonico
Pelleas und Melisande è del 1903. Entrambe le opere risentono ancora dell’idioma
tipico del romanticismo ted esco. La grandiosa cantata sinfonica Gurrelieder fu
iniziata nel 1901 e ultimata solo nel 1911. Schönberg superò per violenza
espressiva lo stesso Wagner, e per dimensioni e complessità sia Mahler che
Strauss.
Tra il 1905 e il 1910 ha inizio una seconda fase compositiva, che si allontana
da quella maestosità post-romantica e dagli ultimi sviluppi del cromatismo, per
passare ad una dimensione totalmente nuova, in cui si sperimentano variazioni e
combinazioni sulla base di pochi motivi principali, che fungono da germi per
l’intera composizione. Il materiale comincia a derivare tutto da questi temi e i
brani diventano sempre più concisi e più complessi sia ritmicamente che
contrappuntisticamente. Il primo Quartetto (1905) ne porta i segni evidenti, e poi
anche il secondo del 1908, i Cinque pezzi per orchestra (1909) e due serie di brevi
pezzi per pianoforte (1908 e 1911). Sempre all’interno di questo periodo si situano
due opere di carattere maggiore: il monodramma per soprano e orchestra
Erwartung (Attesa, 1909) e la pantomima drammatica Die Glükliche Hand (La
mano felice, 1911-13).
Al 1912 risale la composizione, forse, più nota di Arnold Schönberg, il
Pierrot lunaire, un ciclo di ventuno Lieder, ricavati da un ciclo più ampio
pubblicato nel 1884 dal poeta simbolista belga Albert Giraud. Questi immagina di
essere Pierrot e di poter esprimere attraverso il simbolo poliforme del raggio
lunare tutto se stesso, ma invece della comicità di Pierrot si ritrova a immaginare
macabre fantasie. Nel lied n. 13 (intitolato ‘Decapitazione’) il protagonista
immagina di essere decapitato dal raggio lunare per i suoi crimini. La musica,
prima allude a una cascata di note basate in parte sulla scala per toni interi,
elemento nient’affatto innovativo, ma evidentemente significativo; poi risaltano
gli accordi aumentati al pianoforte, che continua con le volate discendenti e
ascendenti ascoltate in precedenza, mentre gli altri strumenti eseguono dei
glissandi. La voce, per tutta la durata del ciclo, declama il testo con la tecnica
cosiddetta della Sprechstimme, cioè ‘voce-parlante’ (o Sprechtgesang , ‘cantoparlato’). Non è questa l’unica opera schönbeghiana a far uso di tale espediente:
già nei Gurrelieder e poi nel coretto della Glückliche Hand avveniva che le note,
46
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che pure nello spartito presentavano precisi valori ed altezze, non andavano
intonate come nel canto, bensì la loro altezza doveva essere ‘accennata’ e poi
subito lasciata come se precipitasse in un ‘parlato’. Il maestro viennese aveva
avuto un’importante intuizione anche nel campo dell’ampliamento delle
possibilità della voce umana. 111
Col Pierrot lunaire siamo ancora all’interno del periodo compositivo che va
sotto il nome di espressionismo musicale (di cui Schönberg e il suo allievo Alban
Berg sono i principali esponenti). Proprio come quei pittori che dipingevano
oggetti reali attraverso le rappresentazioni deformanti del proprio mondo interiore,
e che presero il nome di ‘espressionisti’, così, su un piano musicale, operava
Arnold Schönberg all’incirca negli anni ‘10, mirando a partire dalla soggettività e
interiorità, e in tal senso ponendosi come sviluppo delle esperienze romantiche.
Die Glückliche Hand era stata portata a termine nel 1910. La motivazione
del soggetto sembra risalire ad un’esperienza biografica: Schönb erg aveva
conosciuto il giovane pittore Gerstl, il quale ben presto intrecciò una relazione con
la moglie dell’amico, Mathilde: la vicenda si concluse col suicidio di Gerstl,
avvenimento che scosse profondamente il compositore, e che lo portò ad
intensificare la sua meno fortunata attività pittorica per molti anni.112 Il taglio
critico che ne dà T.W. Adorno è nei termini di una “psicologia sociale”, dato che
il protagonista, spiega il filosofo, «è un individuo solitario […] che sperimenta
sessualmente gli stessi fallimenti incontrati nel suo lavoro. […] I soggetti umani e
la società industriale sono tra loro in rapporto di contrasto perenne, e comunicano
reciprocamente per mezzo dell’angoscia» 113.
Poi continua: «Il fatto che gli operai compaiano nel dramma stilizzato in
veste realistica, corrisponde all’angoscia che prova, di fronte alla produzione,
colui che ne è separato: è l’angoscia di doversi destare, che domina in tutto e per
tutto il conflitto espressionistico tra l’irrealtà teatrale e la realtà» 114 .
Il monodramma Erwartung (Attesa ) op. 17, del 1909, «narra di una donna
sola, che vaga nella foresta notturna alla ricerca dell’amante e che
improvvisamente lo trova assassinato: sul cadavere ancora gocciolante sangue ella
esprime la sua disperazione che sembra placarsi solo al sorgere del mattino»115.
Con quest’opera Schönberg dimostra la possibilità di una musica completamente
atematica, che fa del suo unico elemento di unità il timbro vocale. Per il resto essa
è stata definita «l’opera dell’assoluta disintegrazione ritmica e formale». E’ un
fatto che la sua prima esecuzione dovesse avvenire ben quindici anni dopo la
realizzazione, nel 1924 a Praga. Fu una delle prime opere in cui cominciavano a
dividersi i ‘pro’ e ‘contro’ Schönberg. Erwin Stein, nel 1934, ebbe cura di
111
Ivi, pp. 72 -73.
Ivi, p. 59.
113
T.W. Adorno (1949), Philosophie der neuen Musik , trad. it. Filosofia della musica moderna,
Einaudi, Torino, 1968, p. 50.
114
Ivi, p. 51.
115
Ivi, p. 52.
112
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sottolineare come Erwartung avesse aperto nello spazio artistico -sonoro ‘una
nuova dimensione’.
Nel 1917 Schönberg conclude la stesura del testo del Die Jakobsleiter, un
oratorio le cui motivazioni e il cui soggetto ci rimandano un elemento costitutivo
della personalità del compositore ebreo. L’opera doveva mostrare la possibilità di
un recupero dell’uomo alla fede. Doveva esprimere tutta la tragica lotta dell’uomo
moderno col Dio, poichè attraverso il materialismo, il socialismo e l’anarchia,
pure riusciva a serbare, dentro di sé, un piccolo residuo di fede. Un oratorio,
dunque, che mostrasse la via del ritorno a Dio, «che insegnasse a pregare».
L’intenzione iniziale era stata quella di scrivere da se stesso il testo dell’opera, ma
stabilì di elaborarlo sulla scia del Giacobbe lotta di Strindberg e della Seraphita di
Balzac, opere vicine alle famose speculazioni di Emanuel Swedenborg 116, il
mistico svedese che fece riferimento, tra l’altro, all’apertura dell’orecchio
interiore e, più in generale, ad un uomo interiore in contatto con la sfera degli
spiriti e degli angeli. Nel 1912 aveva chiesto a Richard Dehmel il testo di un
oratorio. Da ultimo si decise a stenderlo personalmente, iniziandone le bozze nel
gennaio 1915 e terminandolo a maggio del 1917. Tra i vari testi rimasti allo stato
embrionale ve n’è uno intitolato Danza macabra dei princìpi, che non fu mai
musicato. Si tratta di un monologo in cui sono passati in rassegna, e condannati,
tutti i princìpi della vita comune. Una parte di esso evidenzia la forte connotazione
filosofica e metafisica che Schönberg attribuiva alla musica:
Ora canta; ciascuno canta qualcosa di diverso, pensa di cantare la stessa cosa, ed
effettivamente in una direzione vi è unisono […], in un’altra pluralità di suoni. In un a terza,
in una quarta, l’effetto è ancora diverso; ma non si riesce ad esprimerlo. Ha un’infinità di
direzioni, e ciascuna è percepibile. […] E tutte si perdono in un luogo imprecisato, dove si
potrebbe trovarle. Sarebbe facile seguirle, perché adesso abbiamo una visione… Ecco che
cresce; o, per dir meglio: gira su sé stesso. Ma è la medesima cosa. Perché crescendo non
aumenta, e girando su di sé pare presentare sempre la stessa faccia. Adesso, però, si
dovrebbe poterlo afferrare dato che lo si guarda dal punto giusto! Ma è una sola nota! Senza
alcuna differenza. Una nota? O non è una nota? O sono molte note? Tutte? E’ l’infinito o il
nulla? Impossibile! La molteplicità di prima era più facile da comprendere dell’unità di ora.
E’ schiacciante. Meraviglioso perché schiacciante. Ognuno canta qualcosa di diverso, pensa
di cantare la stessa cosa, ma in realtà v’è una pluralità di voci: cinque, sei voci, o invece
soltanto tre. O sono di più? O forse meno? O nulla?…117
Tale testo sarebbe, secondo le argute osservazioni di F. Ballardini, alla base
della concezione dodecafonica del compositore, in cui avviene che l’idea della
sostanziale unità fra i suoni assume un significato tanto velato quanto
116
Il mistico svedese a cui anche Kant fece un sarcastico riferimento nei Sogni di un visionario
chiariti coi sogni della metafisica, del 1765. Swedenborg aveva descritto, tra l’altro, l’immagine
biblica del sogno di Giacobbe, ovvero la ‘scala philosophorum’ della tradizione ermetica, anche in
riferimento all’apertura dell’“orecchio interiore”.
117
A. Schönberg, Danza macabra dei principi, in Testi poetici e drammatici (1910 -1951), Feltrinelli,
Milano, 1967, pp. 36-37 (corsivo mio).
48
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essenziale. 118 E’ proprio sulla base di tale idea che nella Parte Terza di questo
studio svilupperemo importanti considerazioni.
A. M. Morazzoni119 ha concentrato l’attenzione su alcuni passi nevralgici
dell’oratorio, che delineano l’importante problematica filosofico-religiosa a cui
Schönberg non riesce a negare la parte più profonda della propria operazione
musicale. Insieme all’opera Moses und Aron , di cui Schönberg non musicò il terzo
e ultimo atto, la Jakobsleiter è l’unica composizione di grande respiro che il
musicista tentò a più riprese di portare a termine senza tuttavia riuscirvi. A tal
proposito G. Manzoni interviene senza deterrenti:
Crediamo che questo non sia dipeso solo da cause contingenti come la chiamata alle armi
nel 1907 o l’esilio americano iniziatosi nel 1933, ma che esistano motivazioni più profonde
e probabilmente inconsce. E’ da notare che in entrambi i casi Schönberg si fermò nel
momento della dialettica in atto tra le forze terrene e quelle ultraterrena.120
Non si trattò certamente di un caso, infine, se la Jakobsleiter era stata la
prima opera in cui Schönberg, come riconobbe egli stesso soltanto più tardi121,
aveva utilizzato in uno stato embrionale il principio della ‘serialità’, basando cioè
l’intera composizione su una serie di sei note, le quali tendevano a diventare il
centro di ogni sviluppo e il principio regolatore di tutto l’imponente oratorio.
L’importanza della cifra , che iniziava a reggere un’intera composizione, ci induce
a riflettere su come evidentemente influisse in Schönberg, a un livello più o meno
cosciente, una concezione della musica d i derivazione pitagorica e medievale.
118
F. Ballardini, Swedenborg e il falegname. Poetica, teoria e filosofia della musica in Arnold
Schönberg, Mucchi, Modena, 1988, pp. 64 -65.
119
A. Schönberg, Leggere il cielo. Diari 1912, 1914, 1923, a cura di A.M. Morazzoni, il Saggiatore,
Milano, 1999.
120
G. Manzoni (1975), op. cit., p. 81.
121
Cfr. A. Schönberg, Leggere il cielo. Diari 1912, 1914, 1923, cit., p. 19.
49
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I.3
L’emancipazione della dissonanza e il nuovo metodo di
composizione
Quella che è considerata un’etichetta ormai diffusa, cioè di definire ‘musica
a-tonale’ l’operazione musicale di Schönberg, non esaurisce affatto l’importanza e
le conseguenze del messaggio schönberghiano. Perciò è opportuno che fin da ora
risulti chiara la differenza che corre tra la quasi dispregiativa accezione di
‘atonale’ che di questa musica si è data, e il termine consigliato dallo stesso
compositore viennese che la definisce ‘pan-tonale’ 122, e cioè ‘comprensiva di tutte
le tonalità’. D.J. Grout asserisce che la «musica atonale è quella in cui il
compositore evita in modo sistematico il riferimento a centri tonali, evitando le
formule armoniche e melodiche – ad esempio, le successioni dominante-tonica e
le frasi melodiche che rammentano tali collegamenti […] – che suggeriscono il
tradizionale sistema di accordi organizzati a una tonica o a una tonalità
fondamentale»123 . Se è possibile assimilare l’operazione di Schönberg a questo
atteggiamento, è anche vero che essa continua a svilupparsi più in profondità,
soprattutto dal 1923 in poi, fino a richiedere l’introduzione del concetto di
‘pantonalità’.
La musica dodecafonica, che utilizza tutti e dodici le note dell’ottava,
costruendo una serie che si caratterizza come il vero centro di ogni composizione,
non solo supera i confini abituali della tonalità tradizionale, ma nemmeno è
giustificabile come una delle esperienze della musica atonale. E’ espressione ‘pantonale’.
All’incirca tra il 1917 e il 1923 (dunque nell’arco di sei anni!) Schönberg
non aveva pubblicato alcuna opera musicale. Il suo iniziale insuccesso, d’altronde,
troverà raramente un sereno assopimento. Ma al termine di questo lungo periodo
egli era arrivato alla formulazione di un « metodo di composizione con dodici note
poste in relazione soltanto l’una con l’altra». Così si esprimeva nella conferenza
di Los Angeles, del 1941, dal titolo “Composizione con dodici note”, che troverà
un posto rilevante nella raccolta di saggi schönberghiani ‘Stile e Idea’, pubblicata
nel 1950. 124
Questo metodo consiste innanzitutto nell’uso costante ed esclusivo di una serie di dodici
note differenti. Ciò significa, naturalmente, che nessuna nota viene ripetuta nella serie, e che
122
A. Schönberg (1922) Manuale di armonia, cit., p. 510, nota 1.
D.J. Grout (1960), A History of Western Music, trad. it., Storia della musica occidentale,
Feltrinelli, Milano, 1989, p. 730.
124
A. Schönberg (1950), Style and Idea, trad. i t. Stile e Idea., Rusconi, Milano, 1960.
123
50
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questa usa tutte le dodici note della scala cromatica disponendole però in ordine diverso.
Essa non deve essere in nessun grado identica alla scala cromatica.125
Viene anche sottolineato un altro fatto importante:
Il metodo di composizione con dodici note è nato da una necessità. […] Negli ultimi cento
anni, lo sviluppo del cromatismo ha radicalmente trasformato il concetto di armonia. L’idea
che una nota base, la fondamentale, dominasse la costruzione degli accordi e ne regolasse la
successione – ossia il concetto di tonalità – dovette dapprima svilupparsi nel concetto di
tonalità estesa, per giungere, subito dopo, a mettere in dubbio la stessa possibilità della
fondamentale di essere considerata ancora il centro di riferimento di ogni armonia e
successione armonica. […] Si avviò […] quella che io chiamo l’emancipazione della
dissonanza. […] A distinguere le dissonanze dalle consonanze non è una maggiore o minore
bellezza, ma una maggiore o minore comprensibilità. Nella mia Harmonielehre ho sostenuto
la teoria che i suoni dissonanti sono meno familiari all’orecchio in quanto appaiono fra gli
ultimi armonici.
Dunque, alla base di ogni composizione vi è una serie composta dalle dodici
note dell’ottava, disposte in un ordine stabilito dal compositore. Le note della serie
sono utilizzate sia in successione, nel formare la melodia, che simultaneamente, a
comporre l’armonia o il contrappunto.126
La serie alla sua prima apparizione nell’opera è considerata come forma
‘originaria’ (O). Da questa modalità di base derivano generalmente tre tipi di
‘alterazioni’. La prima forma derivata è la forma ‘inversa’ (I), in cui, rispettando
gli intervalli della successione delle note, si crea una linea melodica speculare
(verticalmente) alla originaria (O). Poi vi è la forma ‘retrograda’ (R), in cui la
linea melodica appare stavolta procedere nel senso opposto alla (O), cioè leggendo
la stessa successione della (O) però partendo da destra verso sinistra. E’ speculare
alla (O) orizzontalmente, cioè ribaltando la (O) da destra a sinistra lungo un asse
verticale. Vi è, infine, la forma ‘retrograda-inversa’ (RI) che è l’applicazione alla
(O) delle due forme speculari contemporaneamente.
Tutto appare molto più chiaro semplicemente osservando le figure 2 e 3
riportate di seguito.
125
A. Schönberg (1941), Method of Composition with 12 tones, trad. it. Composizione con dodici
note, in Stile e Idea, Feltrinelli, Milano, 1975, p. 110. (Tutte le volte che saranno citati i passi dello
scritto Composizione con dodici note si farà riferimento alla più recente edizione Stile e idea,
Feltrinelli, Milano, 1975. Per tutti gli altri scritti della raccolta di Stile e idea si farà riferimento alla
precedente edizione Stile e idea, Rusconi, Milano, 1960).
126
D.J. Grout (1960), op. cit., p. 735.
51
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Figura 2
La ‘serie’ risulta essere in effetti l’unico centro dell’opera (se di ‘centro’ è ancora
lecito parlare, e sicuramente non nella sua accezione tradizionale) che per questo
viene chiamata ‘dodecafonica’.
Figura 3
52
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I cinque pezzi per pianoforte op. 23 (1923) sono i primi lavori in cui
Schönberg utilizza il concetto di ‘serie’, anche se solo nell’ultimo vengono
presentate tutte e dodici le note dell’ottava: è perciò un brano propriamente
‘dodecafonico’. Nella conferenza di Los Angeles ‘Composizione con dodici note’,
viene esposto l’importante concetto alla base del nuovo metodo di composizione:
LO SPAZIO A DUE O PIU’ DIMENSIONI NEL QUALE SONO PRESENTATE LE IDEE
MUSICALI E’ UN’UNITA’.
[…]
L’unità dello spazio musicale richiede una percezione assoluta e unitaria. In questo spazio,
come nel cielo di Swedenborg […] non v’è, in assoluto, sopra e sotto, destra o sinistra,
avanti o dietro.127
Ogni movimento di note deve essere inteso come una ‘corrispondenza’ reciproca
di suoni, vibrazioni oscillatorie, che si presentano in diversi punti e in diverso
tempo. Ritorneremo su questo importante concetto più avanti.
Il nuovo metodo compositivo appare pienamente sviluppato nel Terzo
Quartetto (1926) e nelle Variazioni per orchestra , op. 31, composte tra gli anni
’26 e ’28. Quest’ultima opera, in particolare, ‘gioca’ sempre e soltanto sulle
modifiche apportate alla serie Originale, che quindi si configura come il centro
unificante della composizione, oltre che simbolo chiaro della pantonalità e del
policentrismo (in quanto comprendente sempre e comunque le dodici note
dell’ottava). Nelle Variazioni si presenta, inoltre, un tipo di intervallo, il ‘tritono’,
bandito dai trattatisti medievali, che lo consideravano “diabolus in musica” per il
suo eccessivo grado di dissonanza. Si tratta ancora di materiale che, per la sua
caratteristica di trovarsi ‘al margine’ rispetto alle regole del sistema tonale,
Schönberg non poteva certo trascurare di utilizzare.
Negli anni tra il 1931 e il ’32 Schönberg lavorò al Moses und Aron . Il
compositore aveva scritto il libretto dei tre atti; ma la musica non fu mai ultimata.
Ciò che nell’opera appare interessante è il significato della vicenda che,
richiamandosi agli avvenimenti dell’Antico Testamento, si incentra sul conflitto
tra Mosè e Aronne, tra il mediatore di Dio e il portavoce del popolo. Se Aronne ha
bisogno di immagini materiali, concrete, Mosè è colui che ha solo bisogno della
Legge, dell’Idea, e il Dio in cui crede è un Dio che non ha alcuna necessità di
‘farsi vedere’. Aronne sostiene l’importanza di dover ‘essere visibile’ per poter
‘essere’ veramente; il Dio in cui vuole credere deve rendersi luminosamente
manifesto, deve potersi ‘dire’ apollineamente. Mosè, invece, non ha alcun bisogno
di vedere il suo Dio: è consapevole dell’impossibilità per la parola, per il
linguaggio parlato, e forse anche per il linguaggio artistico, di dire l’ineffabile, il
soprasensibile.
[…]
Dunque son vinto!
127
A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., p. 112 e p. 115.
53
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Ed era tutto follia ciò che ho pensato
E non può né deve essere
detto!
O Parola, Parola che mi manca!128
Nel maggio 1933 ha inizio l’esilio di Schönberg, a causa del dilagante
antisemitismo, che lo porta dapprima all’espatrio a Parigi e più tardi negli Stati
Uniti, a Boston, finché nell’autunno del 1934 decide di stabilirsi a Los Angeles.
L’estrazione ebraica di Schönberg (il quale in gioventù si era volto al
protestantesimo, per ritornare ad abbracciare la sua religione d’origine proprio
negli anni di crescente persecuzione razziale) fu ovviamente un fattore decisivo
nella vita come nell’operazione artistica del compositore. Fors e anche come
simbolo del suo distacco nei confronti della cultura tedesca, appena fuori dalla
Germania Schönberg aveva adottato per il suo nome il dittongo “oe” al posto della
Umlaut sulla “o”. In quegli anni veniva attaccato duramente sulle varie riviste
musicali e «nel 1938 la famosa mostra di Düsseldorf sulla “musica degenerata” si
apriva col suo nome»129 .
Al ‘periodo americano’ risalgono le ultime composizioni di Schönberg: il
Concerto per violino e orchestra e il Quarto Quartetto sono del 1936; nel 1938
viene musicata Kol nidre (Tutti i voti) op. 39, una ambigua preghiera ebraica
risalente al VII secolo; Kol nidre è in sol minore, e quasi tutte le successive opere
americane saranno composte sulla base di una stemperata dodecafonia con
moderazioni tonali. E’ il caso dell’Ode a Napoleone op. 41 (che riprende il testo
satirico di Byron, e che allude ad Hitler, di cui Napoleone sarebbe il simbolo) del
Tema e variazioni per banda, del Preludio op. 44 alla Genesi, del Sopravvissuto di
Varsavia op. 46, e dei Salmi moderni op. 50. Il Trio op. 45 per archi ha tutta una
storia a sé, poiché era nata, come specificò lo stesso Schönberg, sotto un specie di
trance da ricovero, nel periodo della malattia al cuore.130
Il ‘ritorno’ ad una forma di composizione tonale tradizio nale trova
giustificazione in un fatto, principalmente. E’ vero che lo stesso Schönberg ebbe a
dichiarare: «il desiderio di tornare al vecchio stile fu sempre molto forte in me, e
di quando in quando ho ceduto a questo impulso»; ma la causa maggiore del
ripensamento compositivo si deve all’impressionante inferiorità di competenza
musicale e allo scarso interesse da parte degli studenti e del pubblico americani.
Alcune volte Schönberg stesso si rassegnava ad insegnare la materia fin dai primi
rudimenti, e il suo ruolo, diceva, gli appariva non meno superfluo di quello di un
Einstein costretto ad insegnare matematica in una scuola media.131
Il vantaggio di dover ripensare continuamente dalla base i principi musicali fu che
nel periodo americano fiorirono numerose opere con funzione pedagogica di
impareggiabile chiarezza e profondità, quali i Modelli per principianti di
composizione, le Esecuzioni preliminari di contrappunto, le Funzioni strutturali
128
129
130
131
E. Fubini, L’estetica musicale dal settecento ad oggi, Einaudi, Torino,1987, p. 333.
G. Manzoni (1975), op. cit., p. 148.
Ivi, p. 168.
Ivi, p. 147.
54
Commento: qui, se c’è tempo,
SI PUO’ APPROFONDIRE IL
PROBLEMA RAZZIALE !…(vd.
Manzoni)
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dell’armonia , gli Elementi di composizione musicale, e la raccolta Stile e idea, in
cui confluiscono conferenze e interventi vari che coprono l’ampio arco di tempo
tra il 1912 e il 1948.
G. Manzoni conclude il suo saggio su Schönberg ricordandone le originali
intuizioni che avevano portato ad una innovazione dell’intero campo espressivo
musicale. Operazione che il nostro compositore aveva sempre, più o meno
seriamente, considerato un destino: «sotto le armi», afferma Schönberg nella lettera
di ringraziamento per gli auguri dei suoi 75 anni132 , «una volta mi chiesero se fossi
proprio io questo compositore di nome Arnold Schönberg. “Qualcuno doveva fare
questa parte”, risposi, “ e così mi sono offerto io”».
132
A. Schönberg, Lettere (1910 -1951), a cura di E. Stein, La Nuova Italia, Firenze, 1969, lettera
n°247, p. 300.
55
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Capitolo Secondo
Il significato estetico della dodecafonia
II.1
“Composizione con “dodici note”: il concetto di “comprensibilità, le
differenze dal metodo di composizione tradizionale e la necessità della
‘pantonalità’
Lo scritto ‘Composizione con dodici note’, come si è già detto, fa parte di
una raccolta, Stile e idea 133 , che data la sua pubblicazione nel 1950. Questo
particolare saggio è in realtà una conferenza tenuta all’Università di California di
Los Angeles il 26 marzo 1941. Nel testo troviamo un approfondimento dei
problemi inerenti all’ideazione e alla realizzazione del metodo ‘dodecafonico’.
Sin dall’inizio, Schönberg ci proietta in una dimensione profetica, dal tono
biblico, come per far capire immediatamente che si tratta di un argomento
serissimo, dall’importanza unica. Solo nella Creazione Divina avviene che
l’ideazione (la visione di ciò che sarà) coin cide pienamente ed istantaneamente
con la sua reale attuazione. Ma «ahimè, i creatori umani – se è loro concessa una
visione – devono percorrere il lungo cammino che la separa dalla sua attuazione».
E se anche riuscissero a creare un «organismo omogeneo» che abbia ancora la
spontaneità della visione, resterebbe «da organizzare questa forma in un
messaggio comprensibile “a colui a cui è diretto”»134 . Il problema centrale risalta
subito agli occhi:
«Nelle arti, e in particolare nella musica, la forma tende soprattutto alla
comprensibilità», e poco oltre: «la composizione con dodici note non ha altro
scopo che la comprensibilità».135
Schönberg prosegue nelle sue considerazioni preliminari:
«Il metodo di composizione con dodici note è nato da una necessità».
Lo sviluppo del ‘cromatismo’ è giunto fino a mettere in dubbio la possibilità di
considerare la nota fondamentale come il centro di riferimento di ogni armonia e
successione armonica. Il concetto di tonalità è messo fortemente in crisi. Si era
133
A. Schönberg (1950) Stile e idea, cit.
A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note , cit., pp. 105-106.
135
Ivi, p. 106. Cfr. anche la nota 1, in cui si spiega che il termine originale ‘tones’, che si è tradotto
‘note’, significherebbe più propriamente ‘suoni’. La frase di Schönberg risulterebbe essere «La
composizione con dodici suoni non ha altro scopo che la comprensibilità».
134
56
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avviata, come già accennato in precedenza, una evoluzione che Schönberg
considerava come «l’emancipazione della dissonanza ».
L’orecchio aveva gradualmente preso familiarità con un gran numero di dissonanze, aveva
perso il timore del loro effetto “incoerente”.136
L’uso più libero delle dissonanze era riscontrabile nell’utilizzo ormai diffuso
dell’accordo di ‘settima diminuita’. Si tratta, dunque di un processo storicoevolutivo, per cui è lecito affermare che, a questo punto,
a distinguere le dissonanze dalle consonanze non è una maggiore o minore bellezza, ma una
maggiore o minore comprensibilità. Nella mia Harmonielehre ho sostenuto la teoria che i
suoni dissonanti sono meno familiari all’orecchio in quanto appaiono fra gli ultimi armonici
[…] Una maggiore familiarità con le più remote consonanze, ossia le dissonanze, eliminò
gradatamente le difficoltà di comprensione […] 137
Come è evidente, tornano ancora i concetti di ‘comprensibilità’ e ‘familiarità’.
Il termine emancipazione della dissonanza significa dunque che la comprensibilità della
dissonanza viene considerata equivalente alla comprensibilità della consonanza. Uno stile
che, allora, si basa su simili premesse tratta la dissonanza allo stesso modo della
consonanza, e rinuncia a un centro tonale. 138
Contemporaneamente Schönberg sta affermando l’importanza di vivere una
bellezza che sia il frutto non solo di ‘strutture piacevoli a sentirsi’, ma anche e
soprattutto di una riflessione intellettuale, di una conoscenza ‘cosciente’ che apra
alla comprensione del significato di un’opera d’arte, più che ad una fruizione
superficiale che si fermi alla dimensione della sensualità e del sentimentalismo.
[…] non si rende giustizia a un’opera d’arte lasciando che la fantasia spazi su altri
argomenti, collegati o no ad essa. Di fronte a un’opera d’arte non ci si deve abbandonare ai
sogni, ma cercare di coglierne il significato.139
L’essenza della musica è la forma; ma «non c’è forma senza logica, e non
c’è logica senza unità». La ‘forma’ non è destinata al piacere dei sensi. «La
funzione principale della forma è quella di accrescere la nostra capacità di
comprendere […] Sebbene dunque il rispetto delle forma non sia di per sé la
bellezza, una forma, facilitando la comprensione, genera tuttavia la bellezza».140
Il principale scopo dell’artista Schönberg era quello di comunicare qualcosa
all’ascoltatore, un significato ben profondo, un’idea poetica e filosofica, e di
renderla comprensibile il più possibile. Comincia, dunque, ad apparirci meno
paradossale l’eventualità che una musica del tipo della ‘dodecafonia’ (che un
136
Ivi, p. 107.
Ivi, pp. 107-108.
138
Ivi.
139
Ivi, p.153.
140
A. Schönberg (1946), Educazione dell’orecchio attraverso la composizione, in Stile e idea, cit., p.
157 (corsivo mio).
137
57
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qualsiasi ascoltatore, anche un musicista che poco si sia confrontato con essa,
definirebbe ‘poco comprensibile’) abbia per scopo principale la comprensibilità.
Comprendere qualcosa di nuovo, un’idea veramente nuova, è possibile solo
familiarizzando con essa. L’unità della dodecafonia è la serie. Essa è il centro di
ogni brano; è ripetuta nelle sue quattro forme principali, sia a livello melodico che
armonico. Nella ‘serie’ è tutta la concezione musicale, estetica e mistica di Arnold
Schönberg. E’ la serie che deve esser resa familiare, perché risulti comprensibile,
e finalmente trasporti l’Intelletto in un luogo d’appagamento così luminoso da
tirare dietro con sé anche l’Emozione. Rendere familiare la ‘serie’ dovrebbe essere
l’obiettivo principale di ogni compositore di dodecafonia. Il fruitore deve ‘entrare’
nella logica della serie attraverso l’ascolto e la memorizzazione (l’atto di ricordare
è il primo gradino verso la comprensione141 ). Ben presto ci si renderà conto del
vantaggio del nuovo metodo: esso non crea una gerarchia di note, non dà modo di
distinguere tra armonie principali e secondarie. La serie ha qualcosa di più rispetto
alla scala, da cui, come è noto, si derivano, nella musica tonale, l’armonia e le
melodie, i passaggi ascendenti e discendenti, ecc; la serie tiene unite le note l’una
all’altra, tutte e dodici, senza che vi sia supremazia e sprattutto frammentazione.
Effettivamente, in pieno ‘regime tonale’
prima di Richard Wagner le opere erano quasi esclusivamente formate da pezzi
indipendenti, legati fra di loro, almeno all’apparenza, da relazioni di ordine non strettamente
musicale.142
La dodecafonia possiede più logica del sistema tonale, nel senso che possiede in
massima misura ‘unità’. «Il raggruppamento di alcune note in armonie, e la loro
successione, sono regolati dall’ordine delle note della serie»143 .
La necessità per ogni artista di comprendere coscientemente le regole e le leggi
che governano le forme da lui stesso concepite “come in sogno”, spinse
Schönberg alla ricerca di «mezzi capaci di giustificare il carattere dissonante di
quelle armonie» nuove, e lo tenne impegnato per ben dodici anni in molti
infruttuosi tentativi. Per sei anni nessuna nuova pubblicazione, fino al momento in
cui il sogno, l’idea, trovò finalmente un’organizzazione rigorosa in un
‘procedimento di costruzione musicale’ capace di sostituirsi all’armonia tonale.
Partendo dall’idea che la musica non è affatto una delle tante forme di divertimento, ma la
presentazione, da parte di un poeta musicale o di un filosofo musicale, di idee musicali che
devono corrispondere alle leggi della logica umana, ed essere quindi parte di ciò che l’uomo
può percepire, ragionare ed esprimere, partendo dunque da simili premesse, giunsi alle
seguenti conclusioni:
LO SPAZIO A DUE O PIU’ DIMENSIONI NEL QUALE SONO PRESENTATE LE
IDEE MUSICALI E’ UN’UNITA’.
141
142
143
Ivi, p. 154.
A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., p. 140.
Ivi, p. 111.
58
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[…] Qualsiasi evento accada in un punto qualsiasi di questo spazio musicale […] non agisce
soltanto sul suo piano specifico, ma opera in ogni direzione e su tutti i piani, estendendo la
sua influenza fino ai punti più lontani. […] Un’idea musicale, dunque, pur essendo
composta di melodia, ritmo e armonia, non è né l’una cosa, né l’altra, né l’altra ancora, ma
le tre cose assieme.144
Ogni movimento di note deve essere inteso, abbiamo detto, come una
‘corrispondenza’ reciproca di suoni che si presentano in diversi punti e in diverso
tempo.145 Una tale concezione della dimensione musicale giunge a farci figurare
un luogo in cui tutto acquista un nuovo senso se considerato non come ‘parte’ ma
come ‘unità’.
144
145
Ivi, pp. 111-112.
Ivi, p. 115.
59
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II.2
Il ‘Manuale di armonia’: premessa per una musica ‘pantonale’
Il Manuale di armonia (Harmonielehre)146 è l’espressione più chiara ed
apprezzabile dell’enorme impegno didattico profuso da Schönberg durante tutta la
sua carriera musicale. Il lavoro è dedicato allo stimatissimo Gustav Mahler.
In questa Harmonielehre Schönberg sembra voler già proporre la propria teoria
musicale come coerente sviluppo di quella tradizionale. Tutta la prima parte del
manuale si occupa dell’armonia tonale classica: dalla definizione della scala
maggiore, alla formazione degli accordi consonanti e dissonanti; dal loro
collegamento armonico alla condotta melodica delle parti. Ma la scrupolosa
rilettura della tradizionale teoria contiene alcuni punti ‘critici’. 147 Volutamente, e
nemmeno tanto velatamente, Schönberg tende a trascurare la morfologia e la
sintassi tonale della scala e degli accordi, a favore di una concezione incline alla
dilatazione di certe categorie: più tardi Schönberg parlerà, come di un fatto ormai
indiscusso, di «tonalità allargata».
Sono molti gli esempi che dimostrano come la compattezza di un pezzo non vada perduta
anche se la tonalità è appena accennata o addirittura eliminata del tutto. Non voglio asserire
che la musica più moderna sia veramente atonale: forse la chiamano così solo perché non
siamo ancora riusciti a individuare in essa la tonalità o qualcosa di corrispondente. Tuttavia
ci si avvicina certamente di più all’infinito con un’armonia sospesa e quasi infinita, che non
deve continuamente esibire passaporto e certificato di cittadinanza per dimostrare
accuratamente da dove viene e dove va. E’ carino da parte dei borghesi voler sapere dove
comincia e dove finisce l’infinito, e gli si può anche perdonare se hanno poca fiducia in un
infinito di cui non hanno riscontrato a puntino le dimensioni: ma se l’arte deve avere
qualcosa in comune con l’infinito, non deve temere il vuoto. 148
Ora, alla luce delle riflessioni sulla conferenza di Los Angeles, si può
immaginare l’enorme difficoltà a parlare, in un senso classico e con dei riferimenti
tradizionali, di ‘variazione’ o di ‘modulazione’ all’interno di un brano strutturato
per mezzo del metodo dodecafonico. La ‘modulazione tonale’ praticamente non
ha proprio più senso, ora che la tonalità non è che un miraggio passato. Alcuni
modi delle variazioni classiche esistono, ovviamente, ma la difficoltà, per i teorici
come per i critici del tempo, di inquadrare con concetti pre-organizzati i lavori
schönberghiani, era un problema reale, che spiega anche il clima generale di
enorme diffidenza che caratterizzava ogni nuova pubblicazione del compositore
viennese.
146
147
148
A. Schönberg (1922), Manuale di armonia, cit.
F. Ballardini, op. cit., pp. 28-29.
A. Schönberg (1922), Manuale di armonia, cit., p. 160.
60
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Non è errato sostenere che «una composizione in cui viene utilizzato questo
metodo può essere considerata come una variazione continua della serie di
base».149 Il suo principio fondamentale è, comunque, da ricercarsi in quel concetto
di unità dello spazio multidimensionale, che si incarna nella serie, e che sminuisce
ogni altra nozione del linguaggio tradizionale tendente alla frammentazione
dell’opera musicale. E’ principalmente al concetto di unità che Schönberg mira. A
quell’unità che proprio nel Manuale di armonia si era mostrata alla base del
fenomeno naturale degli armonici e quindi del suono nel suo senso più ampio. Ci
ricolleghiamo, così, direttamente a quelle conside-razioni che avevano aperto,
nella Premessa, questa Parte Seconda.
Ripeto che materiale della musica è il suono; […] Una delle sue caratteristiche più notevoli
è la serie degli armonici s uperiori […]. E’ certo che di questi suoni armonici i primi sono più
familiari e gli ultimi […] più estranei all’orecchio. […] tutti questi suoni però
contribuiscono più o meno a non far perdere nulla delle emanazioni acustiche del suono
fondamentale, ed è altrettanto certo che il nostro mondo sensibile tien conto di tutto il
fenomeno, e dunque anche di questi suoni armonici: se quelli più lontani possono non
arrivare a essere analizzati dall’orecchio, essi vengono però percepiti come timbro, il che
significa che l’orecchio musicale in questo caso non tenta più di analizzare con esattezza il
fenomeno, ma annota comunque l’impressione che gliene deriva. Percepiti dall’inconscio,
essi vengono analizzati quando salgono alla superficie della coscienza, e allora ne viene
stabilita la relazione con la sonorità nel suo insieme. 150
Queste parole confermano inequivocabilmente le riflessioni che avevamo
formulato a partire dal fenomeno degli armonici, e ci proiettano direttamente in un
territorio in cui è possibile sviluppare importanti considerazioni.
149
150
D.J. Grout (1960), op. cit., p. 736.
A. Schönberg (1922) Manuale di armonia, cit., pp. 23-24.
61
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II.3
Riflessioni sull’operazione musicale di Schönberg e sulla missione
dell’arte nuova
‘Dodecafonia’ e ‘Pan-tonalità’ sono in qualche modo sinonimi.
‘Dodecafonia’ allude ai ‘dodici suoni’ della scala cromatica, e quindi a tutti i
suoni contemplati dal sistema musicale occidentale. ‘Pantonalità’ sta ad indicare
qualcosa che comprende tutte le tonalità. L’affinità dei due concetti risiede nel
riferirsi entrambi ad una ‘totalità della sonorità’. Sembra che vi si possa scorgere
un senso molto profondo, soprattutto in relazione ad un’altra nozione
fondamentale della concezione musicale schönberghiana: quella di unità dello
spazio musicale.
Nei Cinque pezzi per orchestra op. 16, «per la prima volta il fattore timbro , in
misura ancora superiore che in Debussy, diventa un fattore sostanziale,
costruttivo, determinante della concezione musicale complessiva». Il sottotitolo
del pezzo n. 3 è Colori, termine che in tedesco può valere anche per ‘timbri’.
L’idea di una «melodia dei ‘colori’ dei suoni» non fu mai pienamente realizzata,
dato che Schönberg era consapevole della necessità, per fare ciò, di trovare delle
maniere di disporre i suoni in modo che costituissero un’unità costruttiva
assolutamente autonoma. Il fatto che Schönberg tendesse anche, all’interno della
sua evoluzione musicale, ad indagare la dimensione sonora legata al ‘timbro’, è
facilmente riconducibile al problema della molteplicità e dell’unità. Sappiamo che
era nelle intenzioni del compositore realizzare qualcosa che assomigliasse
all’esecuzione prolungata di una stessa nota da parte di indeterminati strumenti, e
che dunque finisse per creare un brano musicale che, paradossalmente fissato su
una sola nota, ‘giocava’ semplicemente col materiale timbrico a disposizione, con
l’entrata e l’uscita di strumenti differenti, in un concetto di ‘tema’ e ‘variazioni’
che doveva provenire esclusivamente dai diversi timbri agenti.
Nel 1924 Alban Berg pubblicò, in un simposio dedicato al maestro, un
saggio intitolato Perché la musica di Schönberg è così difficile da capire? Il
saggio analizza le prime battute del Quartetto op. 7. «Una coscienza auditiva resa
pigra dalla povertà funzionale della rimanente musica contemporanea, non è in
grado di registrare una cinquantina di accordi che si susseguono in pochi
secondi», perciò l’ascoltatore dovrebbe imparare a dimenticare da un lato
l’abitudine dell’aspettativa, e dall’altro il predominio incontrastato di una sola
parte melodica.151 Va evidenziato l’esplicito riferimento di Berg, in queste
affermazioni, ad una ‘coscienza auditiva’, come ad una sfera particolare della
mente.
151
G. Manzoni (1975), op. cit., p. 30.
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Parte Terza
Dodecafonia e bi-logica
Se riusciremo a spiegare la musica,
potremo trovare la chiave
per l’intero pensiero umano.
Claude Levy Strauss
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Capitolo Primo
La continua interazione tra ‘teoria’ ed ‘opera d’arte’
I.1
La psicoanalisi viene dall’arte
In una luminosa analisi de Il flauto magico di Mozart, Di Benedetto intuisce
un preannuncio in forma artistica dell’inconscio:
L’oggetto artistico ci aiuta a pre-sentire ciò che potremo conoscere meglio domani, producendo
una sorta di primitiva illuminazione interiore, una forma di preliminare percezione del mondo
interno. Esprime quello che non possiamo ancora dire. E’ segno di un linguaggio che verrà.
E poi
[…] la musica […] è un presagio di relazione oggettuale, più che la forma sonora di un
determinato oggetto.152
Queste affermazioni inducono a formulare due importanti considerazioni.
La prima è che vi sarebbe un forte rapporto di reciproci scambi tra
psicoanalisi ed arte, molto più stretto di quanto fin’ora si siano preoccupati di
dimostrare gli psicoanalisti da un lato, e gli artisti dall’altro. Di Benedetto sta
implicitamente affermando qualcosa di decisivo. La sua idea di una psicoanalisi
‘proveniente dall’arte’, come già abbiamo appurato precedentemente, muove
proprio dalla constatazione che non fu l’intuizione teorica di Freud a dare il nome
al complesso di Edipo, ma fu la nota vicenda letteraria del mito greco a indicare a
Freud una teoria psicoanalitica. La psicoanalisi, dunque, fin dalle sue origini porta
con sé questo tratto distintivo: essa proviene da un’intuizione artistica. E’ la forma
teorica, e quindi razionalizzata e resa nel linguaggio del logos, di un
presentimento artistico.
La seconda considerazione da fare, necessariamente conseguente alla prima,
è che una intuizione artistica può esprimere, in un linguaggio ancora non razionale
e pensabile coscientemente, un importante messaggio che attualmente trova
manifestazione solo ad un livello ‘primitivo’, ‘pre-verbale’. Ed è solo a questo
livello che noi possiamo ‘conoscerlo’. Ma tale intuizione troverà inevitabilmente
riscontro, in futuro, attraverso una teorizzazione razionale che riuscirà a dire ciò
che prima non si riusciva. Ciò attraverso un linguaggio cosciente che ha dovuto,
quindi, ampliare la sua portata, ed assorbire qualcosa che prima gli era estraneo.
152
A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 115.
64
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E’ interessante questo continuo rimando tra linguaggio artistico e linguaggio
‘scientifico’. Può forse corrispondere al rapporto tra logica simmetrica e logica
asimmetrica.
Queste due considerazioni inducono ad altrettante ipotesi:
1) La teoria della bi-logica di Ignacio Matte Blanco dovrebbe trovare un
corrispettivo pre-annuncio all’interno di una operazione tutta artistica, e
ovviamente precedente ad essa.
2) L’operazione artistico -musicale così rivoluzionaria, quale si è configurata
quella della dodecafonia, ad opera del compositore viennese Arnold Schönberg,
potrebbe schiudere nuove e significative ipotesi di lavoro in campo psicoanalitico
e gnoseologico.
Prima di passare al cuore di questa terza parte, soffermiamoci ancora su
alcune considerazioni.
Freud, sostiene Di Benedetto, finiva per trattare l’opera d’arte per lo più come un
fatto che nasconde qualcos’altro , come qualcosa da investigare e scomporre per
risalire ad avvenimenti celati; la direzione che bisogna percorrere (e che in Freud
era rimasta solo ad uno stato embrionale) parte da un assioma: «l’opera d’arte non
nasconde, ma crea». L’evento artistico non è la cassa di risonanza di pulsioni,
rimozioni, desideri inconsci dell’autore che attraverso le scene rappresentate
realizzerebbe le sue fantasie segrete, ma semplicemente si configura come
l’intuizione, in un linguaggio non verbale, di qualcosa da cui la psicoanalisi può
attingere per progredire e ‘dire di più’. L’opera d’arte spiana una nuova via di
conoscenza.
Attraverso una descrizione metaforica molto interessante (ottenuta plasmando il
materiale narrativo de Il flauto magico di Mozart), Di Benedetto suggerisce il
modo migliore di predisporsi nei confronti di un’opera d’arte.
Dopo esserti posto nella condizione ricettiva dell’iniziato, aspetta che la verità ti giunga
dalla guida di un Sarastro [il signore del Giorno]. Rischieresti altrimenti di “ucciderne”
anzitempo, secondo i dettami della Regina della Notte, la luce. Evita di pensare a significati
che si nascondono, quasi si trattasse di inseguire un colpevole in un’indagine poliziesca, e
consenti invece a questa guida di condurti alla rivelazione di ciò che non sai e non puoi dire.
Con il suo aiuto compi il viaggio iniziatico verso il regno dell’inaudito, del non-visto e del
non-detto. Compi con l’animo del “puro folle” questo cammino, lasciandoti andare
all’ingenuità e all’innocenza dei fatti, allo stupore che destano, non li guardare con il tuo
sapere precostituito né con l’ansia di sapere. 153
Alla psicoanalisi è schiusa la sorprendente possibilità di ‘provenire dall ’arte’,
attraversando così quella che è la modalità propria dell’attività artistica, che non
attinge a un linguaggio verbale e razionale, ma riguarda proprio il ‘non -dicibile’.
Carico di questo viaggio, lo psicoanalista possiede strumenti che lo avvicinano
maggiormente alla dimensione inconscia della mente. Di Benedetto dimostra a più
riprese come nella pratica dell’analisi, questo atteggiamento di rispetto e interesse
153
A. Di Benedetto, Prima della parola, cit., p. 134.
65
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nei confronti del non-detto, che proprio l’operazione artistica ci insegna a tenere
in debita considerazione, abbia giovato oltremodo alla comprensione di alcuni
aspetti non verbalizzabili dai pazienti e al recupero terapeutico di situazioni
apparentemente difficili da analizzare. In particolare soffermarsi su quegli aspetti
musicali , come l’intonazione della voce, le pause, il ritmo del discorso, i suoni
duri delle consonanti (ad esempio, i dentali “t” e “d”) attivavano, nell’analista,
importanti riflessioni. Rivelavano ‘comportamenti’ non visibili, ma ‘osservabili’,
adesso, grazie a questa nuova consapevo-lezza. L’arte può aiutare a pre-sentire il
non-visibile. Semplicemente essa riesce ad attivare quella modalità della nostra
mente che Matte Blanco ha chiamato ‘modo di essere simmetrico’. Come già
abbiamo messo in evidenza, Di Benedetto giunge ad importanti conclusioni:
In una porzione della mente analitica sono convinto che lavori un pensiero di tipo musicale,
anche in chi non possiede particolari competenze musicali. […] Qui debbono soggiornare
tutti i suoi messaggi [del paziente], più o meno vaghi, incoerenti o frammentari, per
cominciare ad acquistare senso e accedere a un primo livello comunicativo, quello sonoro,
che prelude alla parola. 154
La musica è lo sfondo in cui sono immerse le radici del nostro essere, del
nostro rapporto col mondo. La vita pre-natale è fatta di puri suoni. L’originaria
conoscenza che si ha con l’ambiente circostante è di tipo acustico, prima ancora
che visivo. Il rapporto primordiale è con una melodia, con la voce della madreseno. Tutto quanto è musicale appartiene indirettamente a questo primitivo ‘stato
confusiv o’ della nostra esistenza. Appartiene all’inconscio più profondo,
all’inconscio altamente simmetrico.
154
Ivi, p. 194. Cfr. infra , p. 90.
66
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I.2
La ‘Lettera di Lord Chandos’ di von Hoffmannsthal: un
preannuncio alla teoria della bi-logica di Matte Blanco
In quello che è forse tra gli scritti brevi più noti di Hugo von Hoffmannsthal,
la Lettera di Lord Chandos155 (composta nel 1902, anche se datata 1603) troviamo
alcuni spunti per delle importanti riflessioni. Appare particolarmente fecondo
accostarci alla Lettera, a prescindere dalle numerose interpretazioni e dai più
diffusi commenti altresì di grande valore e da tenere ovviamente presenti156,
attraverso «la lente di Matte Blanco», per usare un’espressione di Filiberto
Menna.
Troveremo che il testo si presenta come un preannuncio in forma letteraria,
quindi come esperienza artistica ed estetica, di alcune fra le più importanti
conquiste psicoanalitiche rilevate da Ignacio Matte Blanco.
La Lettera si situa, come uno dei maggiori contributi artistici, proprio all’interno
dell’atmosfera culturale viennese che ci è familiare, quell’aria che Schönberg
respirava e in cui sviluppò le sue originali intuizioni. Ci soffermeremo in
particolare su alcuni passi, e vi rifletteremo alla luce delle categorie dello
psicoanalista cileno. Avremo modo di notare che esiste un rimando naturale e
reciproco fra il lavoro di Hoffmannsthal e gli studi (di oltre mezzo secolo
posteriori) di Matte Blanco sulla bi-logica.
Lord Philipp Chandos espone a Francesco Bacone il problema cruciale della
lettera (che, palesemente sottinteso, rispecchia quello della letteratura e dell’arte di
inizio secolo), e cioè il problema dell’incapacità di poter esprimere attraverso il
linguaggio ed il pensiero cosciente qualcosa che sia portatrice di verità e
coerenza .
Lord Chandos è co me chiuso in una morsa indefinibile che lo blocca, lo costringe
al silenzio, lo inibisce alla creazione, tanto che comincia proprio con l’elencare
una serie di ambiziosi progetti a cui deve inevitabilmente rinunciare. In un tempo
ormai passato, in quei giorni felici della progettazione «fluiva in me […]
l’individuazione della forma […] quella di cui nulla più si può dire, se non che
ordina la materia che essa penetra, la eleva e genera a un tempo poesia e verità, un
155
H. von Hoffmannsthal (1902), Ein Brief, trad. it., Lettera di Lord Chandos, Rizzoli, Milano, 1974.
Nella vasta bibliografia su Hugo von Hoffmannsthal segnaliamo solo alcuni lavori tra i più noti
esistenti:
H. Broch, Hoffmannsthal und seine Zeit in H. Broch, Dichten und Erkennen, Essays Bd. I, Zürich,
1955, pp. 43-181. R. Alewyn, Über Hugo von Hoffmannsthal, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen,
1958. M. Marianelli, Hugo von Hoffmannsthal. La «pre-esistenza», Nistri -Lischi, Pisa, 1963. A.
Pellegrini, Novecento tedesco, Principato, Milano-Messina, 1942, pp. 29-50. C. Magris, Il mito
asburgico nella letteratura austriaca moderna , Einaudi, Torino, 1963, pp. 235-255.
156
67
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contrappunto di forze eterne, una cosa meravigliosa come la musica e
l’algebra» 157 ;
[…] allora, in una sorta di costante ebbrezza, tutto quanto esiste mi appariva come una
grande unità […] in tutto io sentivo la natura […] e in tutta quanta la natura io sentivo me
stesso158.
e ancora:
intuivo che tutto era identità, e ogni creatura la chiave per un’altra159.
Quale migliore esempio di simmetria.
Sembra fin troppo evidente che Lord Chandos stia provando proprio quella
che Matte Blanco definisce l’esperienza dell’indivisibile unità del tutto.
Esperienza emozionale con strutture insieme bi-modali e bi-logiche. E’ il modo
‘artistico’ di vivere e sentire il mondo160 . Diverso da quello ‘scientifico’ in cui
comprendere (giudicare) significa dividere, frantumare, scomporre per analizzare.
Il momento successivo a questa esperienza di inebriante unità col tutto è di
fondamentale importanza. Vedremo che è possibile inquadrarlo come la
necessaria conseguenza, anzi l’altra faccia di quella esaltazione tutta emozionale.
Matte Blanco ci illumina, come meglio non si potrebbe, su un fenomeno che
cominciava ormai a definire la totale rottura con ogni canone del romanticismo e a
configurarsi come il problema fondamentale dell’artista e dell’uomo
contemporanei. Al tempo stesso, von Hoffmannsthal non fa che descrivere e
confermare (nel 1902, prima ancora della nascita della psicoanalisi come
fenomeno diffuso), in un modo che Di Benedetto definirebbe senza dubbio ‘preverbale’ (quello dell’arte, appunto), ciò che lo psicoanalista cileno riuscirà a
esporre razionalmente e verbalmente mezzo secolo più tardi. Arte e psicoanalisi
trovano, come si vede, ispirazione e conferma l’una dall’altra.
Tornando alla Lettera , dunque, Lord Chandos ci informa di un nuovo
impulso che sente insinuarsi nell’animo. Sottolineiamo, ancora, come esso ci
apparirà intimamente legato a quella prima esaltazione di armonia e unità col
tutto. Leggiamo le sensazioni derivate da questo improvviso e inspiegabile
scoramento e indebolimento dello spirito.
Da qualche tempo, dunque, tutto sembra sfuggire,
i misteri della fede […] sono […] come un arcobaleno splendente, sempre remoto, sempre
pronto a scomparire se mai pensassi ad avvicinarmi e a volermi avvolgere nel lembo del suo
mantello. Però anche i concetti terreni mi sfuggono alla stessa maniera.
[…] In breve, il mio caso è questo: ho perduto ogni facoltà di pensare o di parlare
coerentemente su qualsiasi argomento.
157
158
159
160
H. von Hoffmannsthal (1902), op. cit ., p. 35 (corsivi miei).
Ivi, p. 37
Ivi, p. 39
Cfr. I. Matte Blanco (1986), Riflessioni sulla creazione artistica, cit., p. 72.
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Lord Chandos è di fronte a un blocco angosciante.
[…] Provavo un inspiegabile disagio solo a pronunciare le parole «spirito», «anima» o
«corpo». Trovavo impossibile, nel mio intimo, esprimere un giudizio sulle questioni della
corte, i fatti del parlamento, o quel che vogliate.
[…] le parole astratte […] mi si sfacevano nella bocca come funghi ammuffiti .
[…] Ogni cosa mi si frazionava, e ogni parte ancora in altre parti, e nulla più si lasciava
imbrigliare in un concetto.161
L’atto della concettualizzazione, dell’espressione attraverso parole, cioè attraverso
un linguaggio che non permette di dire l’unità del tutto perché nega l’ambivalenza, la co-presenza dei contraddittori e degli opposti, non può dire ciò che
Lord Chandos sente e vive pure in maniera così intensa.
L’idea che esprime Matte Blanco nei suoi scritti sul problema dell’arte, e non
soltanto in essi, è che l’unico modo per il pen siero (per l’intelletto) di afferrare
l’indivisibile è quello di dividerlo infinitamente. L’unico modo di conoscere è
quello di dividere (Urteil, ‘giudizio’, significa ‘separare’, come sottolinea, in un
suo scritto, F. Hölderlin 162 ). Per conoscere l’Uno-Tutto l’intelletto separa
all’infinito (è quasi un girare a vuoto, che è però insieme l’unico modo
appropriato di avvicinarsi a questa verità di tipo emozionale).
All’affermazione di Lord Chandos – «trovavo impossibile, nel mio intimo,
esprimere un giudizio sulle questioni della corte, i fatti del parlamento, o quel che
vogliate» – fa eco un concetto analogo di Matte Blanco nelle ultime pagine del
suo lavoro Creatività e Ortodossia:
Al livello della coscienza ognuno ha buone ragioni per avere le proprie idee; ad un livello
simmetrico, però, il significato delle idee può essere molto diverso e può anche succedere
che delle idee opposte possano a questo livello essere identiche. […] L’identità tra una cosa
e la sua negazione (in un livello profondo) […] apparent emente, forse, mette in questione
l’unicità della verità. In ogni caso rende manifesta l’infinità apparente di soluzioni per uno
stesso problema. 163
Appare, allora, evidente in cosa consiste il paradosso: perché il pensiero possa
avvicinarsi al modo indivis ibile, bisognerebbe rinunciare a un giudizio che sia
univoco e bivalente, poiché sarebbe necessario esprimere infinite affermazioni
differenti che contemporaneamente, però, avessero la stessa valenza di verità.
Bisognerebbe esporsi a un modo nuovo che concepisse infinite dimensioni
161
H. von Hoffmannsthal (1902), op. cit., p. 41 e p. 43 (corsivo mio).
Cfr. F. Hölderlin (1795), Urteil und Sein, trad. it., Giudizio, possibilità, essere, in F. Hölderlin, Sul
tragico, a cura di R. Bodei, Feltrinelli, Milano, 1994.
163
I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia, cit., p. 286. Per dovere di integrità è opportuno
trascrivere anche le righe successive a quelle citate: «[…] In ogni caso rende manifesta l’infinità
apparente di soluz ioni per uno stesso problema. Conduce forse al relativismo più assoluto, nel quale
non esiste una, ma infinite verità? Personalmente non credo sia così. Sono dell’opinione che il
principio di contraddizione può essere trovato anche nelle manifestazioni app arentemente più opposte
ad esso. Il modo di essere asimmetrico non è una falsità, anche se il modo di essere simmetrico può
essere un’infinita verità».
162
69
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sovrapposte simultaneamente, cioè a un approccio (per dirlo con parole di Matte
Blanco) multidimensionale. In cui la logica del pensiero cosciente si trova al
margine con quella dell’inconscio, la logica simmetrica, che scopre nel mondo
un’unica e indifferenziabile classe.
I concetti, li capivo bene […] ma era un fatto di loro esclusiva reciprocità, e la parte più
profonda, personale del mio pensiero rimaneva esclusa dalla loro danza.1 6 4
Siamo semplicemente di fronte al conflitto irrisolvibile, costitutivo, che è lo
scontro tra due modi di conoscere, per nulla assimilabili l’uno all’altro.
Un’antinomia costitutiva, quella che appunto vive Lord Chandos.
Verso la conclusione della Lettera v’è un passo che, a questo punto, appare assai
significativo:
Sento dentro di me e attorno a me una solleticante infinita rispondenza, e tra gli elementi che
si contrappongono nel gioco non v’è alcuno in cui non sarei in condizione di trasfondermi.
Mi sembra allora che il mio corpo sia fatto di pure cifre, che mi rivelano il segreto di ogni
cosa. O che potremmo entrare in un nuovo, significante rapporto con tutto il creato, se
cominciassimo a pensare col cuore. 165
[…] E tutto è una sorta di febbrile pensare, ma pensare in un elemento che è più
incomunicabile, più fluido, più ardente delle parole.166
La si potrebbe proprio scambiare per un’affermazione di Matte Blanco:
«potremmo entrare in un nuovo, significante rapporto con tutto il creato, se
cominciassimo a pensare col cuore». E’ quanto ha espresso più volte, infatti, con
differenti parole.
Lord Chandos–von Hoffmannstal giunge ad una conclusione importante: per
la prima volta adesso sta parlando di un nuovo modo di pensare («una sorta di
febbrile pensare») e, dunque, di conoscere. Abbiamo una definitiva conferma che
non si tratta, quindi, di descrivere un’esperienza solo estetica, mistica, o
puramente emotiva. Ma di un’esperienza principalmente gnoseologica. Di un
nuovo modo di conoscere, attraverso un nuovo tipo di pensiero: il pensiero
simmetrico. In un modo diverso dal modo eterogenico-dividente: nel modo ‘bibodale bi-logico’. Di questo ha fatto esperienza Lord Chandos, e perciò «quando
questo strano incantamento» lo abbandona egli non è più capace di parlarne
(poiché sta mediando e traducendo in un tipo di conoscenza asimmetrica, qualcosa
che è totalmente altro da questa, un’esperienza bi-logica), né è più capace di
«spiegare con parole sensate in cosa sia consistita questa armonia che
compenetra» se stesso e il mondo intero, e in qual modo gli si sia palesata,
esattamente come non potrebbe precisare i moti delle sue viscere e i sussulti del
suo sangue.167
164
165
166
167
H. von Hoffmannsthal (1902), op. cit., p. 45 (corsivo mio).
Ivi, p. 51 (corsivi miei).
Ivi, p. 57.
Ivi, p. 53.
70
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In conclusione:
nella Lettera di Lord Chandos si è ravvisato un fenomeno che abbiamo
riconosciuto essere il preannuncio, sul piano artistico-letterario, di quella che,
mezzo secolo più tardi, diventerà una teoria psicoanalitica, nonché gnoseologica,
dalla straordinaria portata e dalle innumerevoli applicazioni. Con la lente di Matte
Blanco abbiamo compreso fino in fondo qualcosa che allo stesso von
Hoffmannsthal inevitabilmente non poteva non sfuggire. La sensazione di
difficoltà di poter dire qualcosa che possedesse verità e coerenza sull’uomo e sul
mondo, e la conseguente crisi artistico-filosofica che ha caratterizzato l’inizio del
‘900, deriverebbero da una ‘antinomia costitutiva’ dell’uomo, che si trova ad
esperire l’Essere e a doverne parlare in termini di Avvenimento, come spiega
Matte Blanco. E’ naturale che le parole diventino nella bocca ‘come funghi
ammuffiti’. L’essere simmetrico ammuffisce nella bocca asimmetrica.
Non è un caso che «l’unica possibilità che ha l’uomo di esprimere
concettualmente
la
sua
doppia
natura,
simmetrica/asimmetrica
(inconscia/conscia)» è quella di infinitizzare, di descrivere il modo d’essere
simmetrico come insiemi infiniti.168 Abbiamo visto che inconsapevolmente è ciò
che ha fatto anche Lord Chandos. A quel sentimento-emozione di unità col tutto
corrispondeva un’operazione intellettiva che infinitizzava e parcellizzava il
mondo, i fatti, i pensieri.
La Lettera si è mostrata un preannuncio in forma artistica delle teorie
psicoanalitiche di Matte Blanco; egualmente dovrebbe essere possibile individuare
un’operazione artistica capace di indicare la strada per nuove teorie scientifiche.
Se prima abbiamo tracciato uno studio generale del metodo di composizione
dodecafonico di Schönberg, non ci resta che verificare cosa ha da dirci adesso.
168
Cfr. I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia, cit., p. 234.
71
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I.3
La necessità di un confronto tra bi-logica e dodecafonia
E’ giunto il momento, dunque, di far convergere i diversi sentieri teorici
percorsi finora, poichè, quasi inevitabilmente, essi hanno già dato segno di doversi
incontrare.
Da un lato abbiamo le teorie di Matte Blanco sull’inconscio: pensiero,
emozione e creazione artistica ci hanno proiettato verso un luogo misterioso della
natura del mondo, a cui corrisponde rispettivamente uno spazio mentale,
multidimensionale, non ancora chiaro fino in fondo. L’indivisibilità è apparsa la
caratteristica ultima, fondamentale, dell’universo, una verità capace di riassorbire
nel campo della comprensione una moltitudine di fenomeni che rimanevano
inesorabilmente relegati agli ultimi e meno importanti gradi della conoscenza, se
non addirittura rigettati da ogni epistemologia. Dalle osservazioni sul
funzionamento dell’inconscio, che non è affatto apparso svincolato da ogni tipo di
logica, siamo risaliti ad un modo di essere dell’uomo che si è dimostrato non solo
vertiginosamente presente nelle profondità di ogni atto (conoscitivo e creativo),
ma soprattutto come decisamente originario.
Assodato che esistono almeno due tipi differenti di regole logiche attraverso
cui l’uomo pensa e agisce (e mediante cui il mondo stesso sembra strutturato), ci
siamo accorti dell’antinomia fondamentale a cui porta una simile configurazione:
l’irrisolvibile presenza di due modi opposti e antitetici di pensare, sentire ed
essere. Non che l’uno sia capace di arrestare l’altro. Anzi, i due modi appaiono
costantemente intrecciati (è risultato evidente a proposito dell’analisi delle diverse
‘strutture bi-logiche’).
Abbiamo , però, posto l’attenzione su un fatto importante: l’auspicio dello
stesso Matte Blanco di fondare una nuova epistemologia sulla base di una ‘superlogica unitaria’ capace di renderci comprensibile un super-sistema in cui troviamo
«fusi e combinati insieme» il modo eterogenico -dividente e la totalità indivisibile.
Si sono rintracciate le possibilità di tale evento seguendo le riflessioni di Pulli
intorno ai due momenti, del ‘sorgere della coscienza’ e della ‘riflessività della
coscienza verso se stessa’.
A questo punto ci si è avventurati nel seguire un nuovo percorso, quello che
ha delineato l’operazione teorica e musicale di Schönberg , di certo in un’ottica
indirettamente predisposta secondo le chiavi concettuali forniteci da Matte
Blanco, ed in vista di una possibile corrispondenza con le teorie che prima
avevamo posto in rilievo.
Ma in nessun momento ci è sembrata una forzatura spingere l’operazione
schönberghiana fino ai suoi esiti più originali e interessanti, che mostrano quanto
essa abbia da dire nel contesto problematico fin qui sollevato.
72
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Nel far questo, un ulteriore sentiero ci ha rifornito di strumenti e riflessioni tali da permettere una
disamina più comprensibile ed attenta dell’argomento di questo lavoro. Abbiamo infatti tenuto in
giusto conto l’importanza di una analisi (che per quanto approssimativa era pur sempre
indispensabile) del fenomeno naturale della propagazione dell’onda sonora . Occasione per
addentrarci nell’evento musicale della ‘dodecafonia’ o ‘pantonalità’, con maggiore attenzione e
preparazione.
Si delinea dunque la necessità di tornare sui concetti matteblanchiani alla luce di queste nuove
acquisizioni. Nei prossimi e ultimi capitoli si darà vita ad uno spazio in cui, vicendevolmente e
continuamente, i due ambiti, quello teorico -psicoanalitico e quello artistico- musicale, si rimandano
l’un l’altro rischiarandosi reciprocamente e instancabilmente.
Seguendo le osservazioni di Pulli si è individuato un luogo in cui il principio
di simmetria risulterebbe emendato da ogni anacliticità. Ai nostri occhi era
apparsa una dimensione ancor più profonda e originaria della totalità indivisibile.
Le riflessioni in rapporto al fenomeno musicale della ‘pantonalità’ possono tentare
di approfondire le potenzialità che la dimensione dell’ascolto possiede, nel senso
delle parole di Claude Lévy Strauss: «se riusciremo a spiegare la musica, potremo
trovare la chiave per l’intero pensiero umano»169 . Soprattutto alla luce delle
riflessioni di Pulli sulle due circostanze ‘anomale’ della coscienza, di cui Matte
Blanco aveva intuito la profonda importanza.
«E non potrebbe darsi che se fossimo capaci di pensare in termini di più
dimensioni tutto lo strano comportamento dell’inconscio riuscirebbe facilmente ad
entrare nella nostra coscienza e ad avere una propria logica?»170 , si domanda
Matte Blanco. Un pensare in termini di più di tre dimensioni è un pensare
‘emozionale’ oppure ‘artistico’. Ma quali vie si schiudono all’eventualità di una
parte della coscienza che può esporsi alla multidimensionalità?
1) «Il nostro pensiero non può essere consapevole di più di una cosa alla
volta» 171.
2) «L’inconscio è muto. E quindi, per renderlo loquace, bisogna in qualche
modo suonare o parlare in sua vece. Così pure per sollecitare in altri un esercizio
all’ascolto»172 .
3) «La musica è […] la presentazione da parte di un poeta musicale o di un
filosofo musicale, di idee musicali che devono corrispondere alle leggi della
logica umana, ed essere quindi parte di ciò che l’uomo può percepire, ragionare ed
esprimere […]» 173 .
169
C. Lévy Strauss (1964), The Row and the Cooked , trad. it. Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Milano,
1966.
170
I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 104.
171
Ivi, pp. 104-105.
172
A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 15.
173
A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., pp. 111-112.
73
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Queste tre affermazioni, rispettivamente di Matte Blanco, Di Benedetto e
Schönberg, così avvicinate non ci sembrano affatto stonare, anzi propongono una
serie di riflessioni da cui si è creduto di non poter prescindere.
74
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Capitolo Secondo
La bi-logica ed il fenomeno del suono
II.1
Il sogno ed il suono: strutture multidimensionali
Una nota contiene in sé tutte le altre. Ancora una volta ci appare senza
dubbio una riflessione densa di significati. Da un punto di vista filosofico,
l’ipotesi principale che stiamo affermando ci trascina direttamente al problema
cruciale del rapporto tra l’Uno e il molteplice. La singola nota è Unità della
molteplicità. Un solo elemento è allo stesso tempo infiniti elementi.
Inevitabilmente, riecheggiano alcune parole di Matte Blanco, del 1984, in cui
si parla del rapporto tra ‘spazio a più di tre dimensioni’ e mondo interno
dell’uomo. Nello scritto Il sogno: struttura bi-logica e multidimensionale174 , si
circoscrive il fenomeno del sogno all’interno di una struttura bi-logica particolare,
quella che Matte Blanco chiama ‘tridimensionalizzata’ (Tridim) 175 . Oggetto
dell’indagine matteblanchiana è il fatto che l’uomo, proprio mentre riesce a
‘pensare’ uno spazio di altre dimensioni, lo fa appoggiandosi sempre e comunque
sulla tri-dimensionalità. Non si può veramente percepire né immaginare un’entità
che abbia più di tre dimensioni. Ma si dimostra come il sogno sia un fenomeno
che si caratterizza proprio per la sua peculiarità di essere isomorfo a uno spazio di
più di tre dimensioni: lo psicoanalista cileno fa notare come in esso avvengano
delle condensazioni, per cui, ad esempio, cinque donne vengono unificate in una.
Una cosa è insieme cinque cose.
La considerazione che Matte Blanco affianca a questo aspetto del sogno
riguarda un fenomeno che si caratterizza anch’esso per il suo presentarsi come
unico e molteplice allo stesso tempo. Se dispieghiamo un oggetto tridimensionale
in un uno spazio di due dimensioni (di n -1 dimensioni rispetto al primo)
osserviamo che l’oggetto ni questione subisce una ‘moltiplicazione’ dei suoi
elementi costitutivi. Cioè, a livello bi-dimensionale avvertiamo la ripetizione di un
elemento che si presentava tridimensio-nalmente soltanto una volta.176
Nel sogno, dicevamo, che è isomorfo ad uno spazio di più di tre dimensioni,
avviene lo stesso. Siccome deve usare solo immagini a tre dimensioni, non può far
174
I. Matte Blanco (1984), Il sogno: struttura bi-logica e multidimensionale, cit.
Vd. infra, Parte Prima, I.5, pp. 24-31.
Cfr. I. Matte Blanco (1988), Il sogno: struttura bi- logica e multidimensionale, cit., pp. 282-285 e
figure.
175
176
75
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vedere quell’unica donna, di più di tre dimensioni, dell’esempio citato da Matte
Blanco, ma deve suggerirne la sua esistenza per mezzo di un composto di cinque
donne tri-dimensionali. Sdoppiamento e moltiplicazione dell’unità.
Il concetto di ‘molteplicità’ assume un connotato importante. E’
l’espressione, ad un livello ‘inferiore’, dell’unità. Proprio come le cinque donne
sono espressione, al livello inferiore della tridimensionalità, dell’uno -donna . Si
divide ciò che è unito, per poterlo conoscere, altrimenti rimarrebbe invisibile. Nel
sogno la ripetizione di elementi di un unico oggetto (le cinque donne come
‘ripetizioni’ de ‘La Donna’) è la conseguenza della trasposizione di una
dimensione n ad una dimensione n-1 (cioè ad una tri-dimensione).
L’abbiamo già visto analizzando gli scritti di Matte Blanco sul problema
dell’arte: l’infinita moltiplicazione di ciò che è unico è uno ‘stratagemma’
dell’intelletto, che non può conoscere se non dividendo. L’infinito è l’UnoIndivisibile dal punto di vista dell’intelletto.
Ecco, finalmente, le parole di Matte Blanco che ci ricollegano, adesso più
chiaramente, al problema della molteplicità e dell’unità in rappo rto alle note
musicali:
Credo che si possa dimostrare in modo semplice che il punto, ogni punto, in geometria
considerato indivisibile dal tempo di Euclide, può in realtà essere considerato come formato
da 2, 3, 4… fino a infiniti punti, ognuno dei quali ha proprietà diverse dagli altri a seconda
delle dimensioni dello spazio al quale lo si considera appartenente: un solo punto e allo
stesso tempo un numero infinito di punti! 177
E’ esattamente ciò che abbiamo spiegato riguardo ai suoni musicali. Ognuno,
considerato indivisibile, è formato da altri suoni. Virtualmente, da un’infinità di
suoni. Ciascuno di questi suoni armonici ha proprietà diverse, cioè si distingue
dagli altri e dal fondamentale, pur essendo omogeneo ad esso come a quelli. «Un
solo punto è a llo stesso tempo un numero infinito di punti!»
La musica, in quest’ottica, apre ad una multidimensionalità e ad una
peculiare concezione del mondo che si conforma all’essere indivisibile.
Matte Blanco fa notare come la nostra concezione del mondo interno , sia
«ricalcata inevitabilmente dalla tridimensionalità della percezione e
dell’immaginazione». Il mondo interno (che, tra le varie caratteristiche, possiede
quella della multidimensionalità ) lo si spiega e comprende solo ‘costringendolo’
in immagini e ‘discorsi’ tridimensionali.
La musica sembra in possesso di alcune caratteristiche molto vicine a questo
mondo. Forse è per questo che essa tocca così a fondo le corde dell’inconscio.
L’essenza della musica si avvicina all’inconscio, al mondo interno, più di quanto
non possano il pensiero e il discorso razionalmente organizzato, e nemmeno le
altre arti, come la pittura, la poesia, la letteratura.
177
Ivi, p. 289.
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E’ per la sua essenza costitutiva che la musica ci permette di andare oltre la
tri-dimensionalità, in una via che sembra esclusa al pensiero bivalente, dato che
anche «per concepire dimensioni superiori a tre, [esso] cerca sempre l’aiuto della
tri-dimensionalità – l’unica dove, assieme all’immaginazione e alla percezione, il
pensiero si sente a suo agio»178 .
Ciò non esclude che una porzione di pensiero, la ‘coscienza auditiva’, possa
muoversi in un territorio, quello della multidimensionalità, da cui è
inevitabilmente tagliato fuori il pensiero razionale.
E’ stata evidenziata la notevole affinità che si stabilisce tra l’inconscio e il
linguaggio sonoro (lo abbiamo accennato a proposito delle teorie di Di
Benedetto). La natura e l’inconscio sembrano trovare proprio nel fenomeno del
‘suono’ una chiave per multiformi e vicendevoli interrelazioni. Ma soprattutto si è
sottolineato come il campo dell’ascolto musicale si situi proprio al confine tra
inconscio e pensiero cosciente: è forse il luogo privilegiato di ogni profonda
comunicazione tra essere simmetrico ed asimmetrico.
178
Ivi, p. 290.
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II.2
La musica è un insieme infinito
Ogni suono è la fusione simultanea e originaria di più suoni (virtualmente di
tutti). E’ possibile considerare l’insieme dei suoni come un insieme infinito, per il
fatto che ogni suono in realtà finisce per possedere le proprietà di ogni altro.
La musica è evidentemente un (virtuale) insieme infinito. Ogni elemento
(nota) dell’insieme “tutte le note dell’ottava” è identificabile con l’intero insieme.
Ogni suono possiede le proprietà di tutti gli altri suoni. A prescindere dalle regole
del sistema tonale e di qualsiasi altro sistema musicale, un DO è assimilabile a un
RE, o a un FA#, o anche a un suono ‘senza nome’ che sta tra il LA e il SIb,
secondo le riflessioni che abbiamo sviluppato. Se si concede di definire ‘musica’
il concetto che comprende l’insieme delle note non solo esistenti, ma di tutte
quelle possibili, in un senso quindi molto più ampio rispetto a quello abituale, si
schiude ai nostri occhi un mondo nuovo, che continua a dirci inesauribilmente un
gran numero di cose.
Prendiamo due note distinte: DO e RE. Pur essendo diverse e, in apparenza,
fortemente ‘dissonanti’, esse formano una unità. Unità e distinzione si danno
contemporaneamente. Se la distinzione tra le singole note ci indica un processo di
tipo asimmetrico, che è quello che il nostro o recchio esegue nel ‘comprendere’ e
afferrare i suoni, l’unità che tiene il RE (e ogni altra nota) nel DO ci suggerisce un
procedimento di tipo simmetrico, e un aspetto, quindi, di quella totalità omogenea
indivisibile, in cui non sono possibili relazioni, e in cui tutto è un’unica
indifferenziata unità.
L’opera d’arte, il più delle volte attraverso l’irruzione di una simmetria che
rompe la logica bivalente, ci permette di intuire l’indivisibile. Anche ‘astrazione’
e ‘generalizzazione’, l’abbiamo visto, senza violare la logica ordinaria,
asimmetrica, possono indicarci l’indivisibile. La musica possiede una struttura
che, non solo è capace di proiettarci con facilità estrema in tale multidimensione,
ma ci induce, probabilmente, ad afferrare qualcosa che in nes sun altro modo e
attraverso nessun fenomeno possiamo cogliere così direttamente.
Per capire a cosa facciamo riferimento è necessario, prima, riportare alcuni
passi di Matte Blanco, del testo del 1988, Pensare, sentire, essere179 . Avevamo
già in precedenza ev idenziato l’importanza di alcune affermazioni riguardo a una
‘super-logica unitaria’. Problema posto, e mai sviluppato dallo stesso Matte
Blanco, ma su cui abbiamo orientato le nostre indagini precedentemente, lungo il
percorso veramente produttivo indicatoci dagli studi di Pulli. 180
179
180
I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit.
Vd. infra, Parte Prima, III.4, III.5.
78
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Se avessimo una coscienza capace di contenere processi di pensiero di un numero di
dimensioni maggiore di quello richiesto per pensare in termini di logica classica, allora
saremmo consapevoli non solo del nostro pensiero che o pera in termini di logica classica ma
anche del nostro pensiero simmetrico. […] Questo fatto ci permette di capire che il nostro
inconscio simmetrico è in sé una coscienza potenziale che opera con un numero di
dimensioni maggiore di quello della nostra coscienza attuale. 181
Alla pagina successiva, viene detto:
E’ interessante e al tempo stesso importante osservare che entrambi i modi sono sempre
intrecciati ma mai fusi o combinati insieme a formare un super-modo o una super-logica che
comprenda i due modi, o rispettivamente, le due logiche come parti integranti di un modo o
di una logica più generali. […] possiamo sospettare che sia possibile una logica di più
dimensioni che comprenda la logica classica e quella simmetrica come sottostrutture in
sottospazi propri. In tal caso invece di definire la logica simmetrica in termini di violazione
della logica classica, potremmo definirla in termini di questa concezione o super-logica più
ampia. Questa nuova logica non sarebbe ovvia, in modo intuitivo, per la nostra intelligenza,
come lo è la logica classica. […] La super-logica unitaria non sarebbe «percepita»
spontaneamente e immediatamente come lo è la logica classica, ma ciò non significa che
non possa essere comprensibile attraverso un processo di ragionamento.
Ho solo voluto porre questo problema. La possibilità di una sua soluzione è rinviata a un
futuro che dista dal presente alcuni o diversi anni di duro lavoro.182
Secondo le osservazioni che prima abbiamo esposte, riferendoci al lavoro di
Di Benedetto, siamo arrivati a considerare in un modo assai peculiare la
dimensione dell’ascolto, come luogo di periferia della coscienza che è più
direttamente (e dai più remoti tempi dell’esistenza) a contatto con la
multidimensionalità inconscia. Appare perciò molto chiara l’affermazione di
Matte Blanco secondo cui l’inconscio è ‘una coscienza potenziale’ che opera con
un numero di dimensioni maggiore rispetto alla coscienza ‘in atto’. Abbiamo, in
effetti, individuato uno spazio che sembra appartenere simultaneamente al nostro
inconscio simmetrico così come al pensiero cosciente. E per questo, all’interno
dell’ascolto musicale, è ipotizzabile l’azione di una super-logica che sia la perfetta
fusione di modo simmetrico e modo asimmetrico.
Per adesso ci basta mostrare che nella dimensione dell’ascolto è possibile
individuare la presenza di una simmetria ‘originaria’ emendata da ogni anacliticità
rispetto alla logica bivalente (fattore indispensabile per l’individuazione di una
reale ‘fusione’).
181
I. Matte Blanco, Pensare, sentire essere, cit., p. 105. (Il testo matteblanchiano originale è tutto in
corsivo. Si è usato, qui, il corsivo soltanto per metterne in risalto la parte che più ci interessa).
182
Ivi, p. 106.
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II.3
Le possibilità di un raffronto tra il ‘fenomeno della riflessività della
coscienza su se stessa’ e la dimensione auditivo-musicale della psiche
La peculiarità del suono di essere contemporaneamente identico e diverso da
sé, lo caratterizza come un avvenimento assolutamente atipico. La portata di
questo significato non si esaurisce nell’assimilare il fenomeno sonoro ad un
insieme infinito , né ad enumerarlo tra le differenti strutture bi-logiche esistenti, le
quali, ripetiamolo, nei loro modi di articolarsi rivelano semplicemente un continuo
e multiforme ‘intreccio’ di logica simmetrica e pensiero bivalente.
Il fenomeno sonoro si pone in un luogo assolutamente “al margine”, tra il
possibile ed il paradossale, tra una comprensibilità emotivo-intellettiva e la totale
inafferrabilità. Questo luogo, d’altra parte, non ci è sconosciuto: è già stato
indagato proprio da Matte Blanco. All’interno del fenomeno sonoro accade
qualcosa di simile ad un avvenimento molto interessante, che pure, nelle teorie
matteblanchiane, si era situato in uno spazio ‘marginale’, quasi in sospeso. Si
tratta dell’eccezionale esperienza (che Matte Blanco, come si ricorderà, aveva
descritto in L’inconscio come insiemi infiniti), della coscienza che si trova dinanzi
a se stessa, che diventa essa stessa ‘oggetto di coscienza’. Il fatto anomalo è che
finisce, allora, per trattare sé stessa come se fosse esterna a sé, come altro -dasé. 183 A questo avvenimento, intenso ma fugace, avevamo affiancato l’altro, in
verità del tutto equivalente, del ‘sorgere della coscienza’ (di cui Matte Blanco
tratta in Creatività ed ortodossia), all’interno del quale abbiamo ravvisato il primo
processo asimmetrico della psiche umana, e quindi il primo tentativo di
differenziazione di una totalità che fino ad allora era percepita come unità.
Perciò, la reale fusione tra i modi d’essere simmetrico ed asimmetrico era
stata precedentemente rintracciata nei due avvenimenti del ‘sorgere della
coscienza’ e della ‘riflessività della coscienza su se stessa’. Questi avevano
individuato una sfera della psiche molto più profonda e originaria, in cui il sé e
l’altro coincidevano, interno ed esterno erano trattati come un’identica cosa. Qui
era piuttosto il principio di simmetria ad apparire precedente ad ogni divisione e
‘asimmetrizzazione’. Non più in un rapporto di anacliticità rispetto al pensiero
bivalente, in quanto era proprio quest’ultimo ad apparire in un ruolo deficitario: la
divisione non poteva non riconoscere implicitamente l’unità su cui si fondava.184
Si era, pertanto, individuato un luogo della psiche in cui le due differenti forme
logiche (simmetrica ed asimmetrica) risultavano fuse insieme; allo stesso tempo ci
siamo accorti che il fenomeno sonoro, nella sua essenza, ripropone in modo
ineluttabile questa circostanza originaria.
183
184
Vd. infra, Parte Prima, III.4.
Cfr. I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia, cit., p. 266.
80
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Concludiamo affermando che:
A) da un lato esiste un luogo della psiche in cui avviene che simmetria e
asimmetria, identità e diversità, si trovano realmente fuse insieme. Questo spazio
riesce a raggiungere il livello di coscienza solo per brevissimi istanti;
B) dall’altro sia il fenomeno delle onde sonore, sia le riflessioni di Di
Bendetto sull’avvenimento musicale in campo clinico-psicoanalitico (che a breve
approfondiremo), hanno schiuso ad una porzione della mente le porte della
multidimensionalità.
Inevitabilmente dobbiamo spingere le nostre indagini fino a rilevare la
possibilità che questi due fenomeni siano intimamente legati. Resta da stabilire in
che modo è possibile che la ‘coscienza potenziale’ (di cui parla Matte Blanco) si
‘attualizzi’ in modo da renderci consapevoli anche, finalmente, dell’essere
simmetrico, e non più soltanto del modo d’essere dividente ed asimmetrico.
Bisogna amplificare quell’esperienza che per un istante fuggevole avviene a un
livello di coscienza maculare (attraverso il fenomeno della riflessività della
coscienza medesima), ma che proprio per questo è destinata a perire sul suo stesso
nascere. L’unico luogo in cui ciò può avvenire è esattamente quello spazio
dell’ascolto musicale, situato alla periferia della coscienza, in cui il pensiero
riesce ad aprirsi alla multidimensionalità. Si è tentato di inquadrare l’operazione
musicale schönberghiana proprio come la possibilità, attraverso un processo di
“ragionamento artistico” (all’interno della dimensione dell’ascolto musicale), di
una amplificazione di quella comprensione cosciente, ma fugace, della radicale
fusione tra simmetrico ed asimmetrico, tra identico e diverso, tra sé e altro.
Prima di giungere ad evidenziare in qual modo la dodecafonia possa
ampliare ed approfondire le teorie matteblanchiane, non solo provando a ‘dire di
più’ sulla bi-logica, ma gettando anche le basi per delle nuove e interessanti
ricerche, è il caso di percorrere anche l’altra strada che, partendo dalle teorie di
Matte Blanco, riesce ad enucleare il senso recondito quanto essenziale dell’intera
operazione musicale schönberghiana.
Il capitolo successivo si spingerà all’interno dei rapporti tra dodecafonia e bilogica.
81
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Capitolo Terzo
Bi-logica e dodecafonia
III.1
La dodecafonia come esperienza artistica dell’indivisibile
Fare ‘dodecafonia’, cioè comporre utilizzando tutte e dodici le note possibili
all’interno di ogni brano musicale, significa affermare, abbiamo detto, che sempre
e ovunque le dodici note sono e devono essere presenti, poiché ognuna è l’altra, e
una unità fondamentale le tiene legate.
Caratteristica di Schönberg fu quella di usare le «dodici note dell’ottava
come dotate tutte dello stesso ordine d’importanza , invece di considerare alcune
di esse come note della scala diatonica alterate cromaticamente» 185.
Se nella musica in generale, e perciò anche in quella tradizionale, ‘il
rapporto’ è tutto186 , nella dodecafonia avviene qualcosa di ancora più
significativo: la naturale rispondenza fra i diversi suoni è ciò che la fonda. Nel
senso che ogni singola nota è considerata esclusivamente nella sua
‘corrispondenza’ con le altre note della serie.
La ‘serie’ è la successione (liberamente scelta dal compositore) di tutte e
dodici le note della scale cromatica occidentale. «Penso che quando Richard
Wagner introdusse il suo Leitmotiv – con lo stesso scopo per cui io ho introdotto
la mia Serie Fondamentale – deve aver detto: “Che l’unità sia fatta”»187 . La serie è
l’unità del brano musicale. E’ udibilità melodica, in successione, e quindi nella
sua possibilità di distinzione asimmetrica, di quanto avviene ‘naturalmente’ nel
suono di ogni nota, ma che rimane inudibile. E’ anche udibilità armonica, in una
simultaneità di suoni i quali stavolta non posseggono priorità l’uno sull’altro, ma
sono trattati ‘con pari dignità’. Nella ‘serie’ Schönberg proibisce il ripetersi di una
stessa nota, prima che tutte siano state suonate. Non bisognava dare l’impressione
di sottolineare alcun suono, per non stabilire alcuna ‘supremazia’, così che tutti
insieme apparissero su uno stesso livello, e non su una piramide (come di fatto
avviene nel sistema tonale, armonicamente, per mezzo degli accordi).
185
D.J. Grout (1960), op. cit., p. 731 (corsivo mio).
Cfr. T. Mann (1947), Doktor Faustus, trad. it Doctor Faustus, Mondatori, Milano, 1999, pp. 51-52.
Nel capitolo VIII viene introdotto Kretzschmar, personaggio che rappresenta evidentemente T.W.
Adorno: le sue parole, nel romanzo, sono la trascrizione degli incontri americani avuti con T. Mann.
187
A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., p.140.
186
82
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Insistiamo ancora col riproporre un passo decisivo di uno dei testi più importanti
di Schönberg:
Partendo dall’idea che la musica non è affatto una delle tante forme di divertimento, ma la
presentazione, da parte di un poeta musicale o di un filosofo musicale, di idee musicali che devono
corrispondere alle leggi della logica umana, ed essere quindi parte di ciò che l’uomo può percepire,
ragionare ed esprimere, partendo dunque da simili premesse, giunsi alle seguenti conclusioni:
LO SPAZIO A DUE O PIU’ DIMENSIONI NEL QUALE SONO PRESENTATE LE
IDEE MUSICALI E’ UN’UNITA’.
[…] Qualsiasi evento accada in un punto qualsiasi di questo spazio musicale […] non agisce
soltanto sul suo piano specifico, ma opera in ogni direzione e su tutti i piani, estendendo la
sua influenza fino ai punti più lontani. […] Un’idea musicale, dunque, pur essendo
composta di melodia, ritmo e armonia, non è né l’una cosa, né l’altra, né l’altra ancora, ma
le tre cose assieme.188
In queste affermazioni troviamo alcuni concetti precisi:
1) innanzitutto per Schönberg l’arte musicale non può essere assimilata ad un
gioco superficiale o ad una sorta di insignificante divertimento; è bene ricordare
che proprio in quegli anni si andava diffondendo, in una veste più che mai
consumistica, la dirompente forma della ‘musica leggera’, senza dubbio tesa a
fungere da momento di distrazione, e perlopiù disimpegnata. 189
La ‘mu sica colta’, invece, dev’essere capace di esprimere ‘idee musicali’, e il
compositore riveste il ruolo di un ‘filosofo musicale’.
2) Questa forma d’arte è anche una forma di conoscenza; essa ha a che fare
con qualcosa che l’uomo può percepire, ragionare ed esprimere. «Il valore
artistico implica la comprensibilità, e ciò per soddisfare, insieme, l’intelletto e
l’emozione». Per Schönberg «la composizione con dodici note non ha altro scopo
che la comprensibilità».190
3) Lo spazio proprio della musica, dove trovano espressione le idee musicali,
è uno spazio ‘speciale’, davvero singolare: nella sua evidente multidimensionalità
esso rappresenta una unità. Qualsiasi evento accada in un punto di questo spazio,
agisce verso ogni direzione e su tutti i piani, fino ai punti più lontani.
Vediamo, allora, a cosa conducono i tre punti sopra indicati.
Se è evidente che il pensiero, come ci insegna Matte Blanco, è
impossibilitato a rappresentarsi più di una cosa alla volta (ossia, non può
raffigurarsi uno spazio multidimensionale) è pur vero che Schönberg ci sta
parlando di un evento artistico, in cui interviene un’altra forma di conoscenza non
188
Ivi, pp. 111-112
Non si dimentichi che Schönberg era stato, già in giovinezza, a contatto con i più eminenti uomini
indirizzati verso la musica leggera . Probabilmente l’esperienza diretta di autore di canzoni a contatto
con un pubblico che chiedeva solo lo svago gli fece comprendere che la musica leggera e di
intrattenimento non era la sua strada. Cfr. G. Manzoni (1975), op. cit., p. 18.
190
A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., p. 106.
189
83
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più puramente razionale, e soprattutto ci dimostra la sua convinzione nella
possibilità che questo evento sia ‘comprensibile’, ‘percettibile’ ed ‘esprimibile’,
insomma che corrisponda alle leggi della logica umana.
Cosa intendeva Schönberg per ‘logica umana’? E che tipo di ‘comprensione’
è quella auspicata dal compositore viennese, se non si tratta di puro pensiero
razionale, né tanto meno di un sentimentalismo sprovvisto di cervello? I due
problemi scorrono su binari paralleli.
Un pregevole contributo alle problematiche che stiamo tentando di affrontare
è offerto dalle interessanti considerazioni di F. Ballardini.191
Se è vero che la concezione di Schönberg dell’arte possiede una forte
connotazione ‘mentale’, è pur giusto evidenziare come il termine non sia un
sinonimo di ‘razionale’. «I “sensi” e l’“intelletto” sono ugualmente stigmatizzati»,
afferma Ballardini, e prosegue verso un punto che vale la pena di considerare
approfonditamente: si tratta del percorso inverso a quello della ‘fruizione’
dell’opera d’arte, e cioè della sua ‘realizzazione’ da parte dell’autore (di cui
Schönberg parla nelle prime righe di Composizione con dodici note).
Nell’operazione dell’artista (che in qualche modo il fruitore, pure se per vie
diverse, deve ripercorrere) vi è una sorta di ‘trance’ per cui
seguendo una sua «visione», egli concepisce l’opera in un singolo atto «totale»
dell’«intuizione», e le «idee» gli giungono alla mente «come un profumo può giungere al
naso o un suono all’orecchio». 192
Ballardini chiarisce:
L’arte quindi nasce nella mente, ma in quella sua parte oscura comunemente denominata
«inconscio» […] [di cui] Schönberg dà una definizione apertamente metafisica: l’inconscio
è il tramite fra l’uomo e Dio, e per questa via lo mette in contatto con la natura. […] In
conclusione: l’arte è dunque un fatto interiore, mentale, inconscio e metafisico; e ciò è tanto
più vero per la musica.193
Si viene delineando un tipo di terminologia e di allusioni che non ci sono
affatto estranee. Quell’inconscio che è tramite fra uomo e Dio, fra uomo e natura,
è un inconscio matteblanchiano, strutturato in maniera tale che, nella ‘creazione’
come nella ‘fruizione’ dell’opera d’arte, attraverso l’idea di infinito e le allusioni
all’indivisibile, gli è possibile esperire una più profonda e adeguata conoscenza
della realtà.
Nulla di sorprendente nel fatto che Schönberg parli dell’‘arte musicale’ nei
termini di inconscio, e con riferimenti metafisici. L’indivisibile di cui parla Matte
Blanco è tanto immanente quanto metafisico, se si pensa ad esempio alle
‘spiegazioni’ dell’immagine della trinità, o della divinità in generale, che appaiono
così intimamente legate ai concetti di ‘multidimensionalità’ e di ‘indivisibile’.
191
192
193
F. Ballardini, op. cit.
Ivi, p. 19. Cfr. A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., p. 105.
Ivi, p. 20.
84
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Quasi costituissero un esito inevitabile di tali teorie, si direbbe leggendo tra le
righe lo psicoanalista cileno.
Infine Ballardini arriva a concludere che
La «logica» del pensiero musicale è una logica «inconscia»: la musica anzi è per eccellenza
«linguaggio dell’inconscio»; e assieme (ecco la componente metafisica) essa è «linguaggio
del mondo» (nel senso di Schopenhauer), portatrice di messaggi profetici e trascendenti
fondati su leggi naturali. 194
Ai nostri occhi, adesso, appaiono evidenti alcune cose.
1) La logica musicale, che organizza le «idee musicali», è specchio della
logica inconscia. Da un lato si era chiaramente palesata la struttura bi-logica (o
almeno bi-modale) di qualsiasi opera d’arte, che dunque si avvicina
inevitabilmente alla struttura stessa dell’inconscio. Ma qui si sta affermando che,
in particolare, il linguaggio musicale sembra essere regolato dalle stesse norme
che articolano la più profonda essenza psichica dell’uomo e, al tempo stesso, i
principi fondamentali del cosmo. La musica è «linguaggio dell’inconscio» e
«linguaggio del mondo».
2) La musica racchiude in sé quanto di più originario sia stato ipotizzato
dagli sviluppi degli studi di Matte Blanco. In essa avviene qualcosa di molto
simile a quella sfera più profonda in cui distinzione e indistinzione si trovano fuse
insieme. Più volte abbiamo ricordato gli esiti delle considerazioni di Pulli intorno
alle due ‘esperienze-limite’, esposte da Matte Blanco in testi diversi, del ‘sorgere
della coscienza’ e dello ‘sprofondare della coscienza nell’inconscio’ (durante quel
fugace istante di autoconsapevolezza dei propri eventi psichici).
La fusione di identità e diversità, di ‘interno’ ed ‘esterno’ in un unico
elemento, era sembrata alla radice della stessa totalità indivisibile dell’inconscio.
Nulla di straordinario, dunque, se nella natura si giunge a riscontrare un analogo
ambito, in cui identità ed alterità si danno fuse insieme, e se anch’esso appare alla
radice dell’indiv isibile.
Perciò l’unità-col-tutto originaria di ogni suono, rivelato dal fenomeno degli
armonici, ci è sembrato quanto di meglio la natura potesse offrire per confermare,
dal ‘suo punto di vista’, le conclusioni a cui si era giunti attraverso gli
approfond imenti del pensiero di Matte Blanco, i quali però vertevano
principalmente sull’inconscio umano.
Che Schönberg avesse chiaro, a un livello più o meno cosciente, le
possibilità che la sua originale rivoluzione schiudeva in ambito epistemologico,
non è decisivo ai fini delle nostre speculazioni. Ma notiamo che in un suo scritto
giovanile (un testo che rientrava nell’opera molto più ampia Die Jakobsleiter e
che Schönberg aveva anche cominciato a musicare) vengono manifestamente
palesate alcune meditazioni che risultano fondamentali per una profonda
comprensione della concezione musicale e filosofica del compositore viennese.
194
F. Ballardini, op. cit., p. 20.
85
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Ora canta; ciascuno canta qualcosa di diverso, pensa di cantare la stessa cosa, ed
effettivamente in una direzione v’è unisono […], in un’altra pluralità di suoni. In una terza,
in una quarta, l’effetto è ancora diverso; ma non si riesce ad esprimerlo. Ha un’infinità di
direzioni, e ciascuna è percepibile. […] E tutte si perdono in un luogo imprecisato, dove si
potrebbe trovarle. Sarebbe facile seguirle, perché adesso abbiamo una visione… Ecco che
cresce; o, per dir meglio: gira su sé stesso. Ma è la medesima cosa. Perché crescendo non
aumenta, e girando su di sé pare presentare sempre la stessa faccia. Adesso, però, si
dovrebbe poterlo afferrare dato che lo si guarda da punto giusto! Ma è una sola nota! Senza
alcuna differenza. Una nota? O non è una nota? O sono molte note? Tutte? E’ l’infinito o il
nulla? Impossibile! La molteplicità di prima era più facile da comprendere dell’unità di
ora. E’ schiacciante. Meraviglioso perché schiacciante. Ognuno canta qualcosa di diverso,
pensa di cantare la stessa cosa, ma in realtà v’è una pluralità di voci: cinque, sei voci, o
invece soltanto tre. O sono di più? O forse meno? O nulla? […] 195
195
A. Schönberg, Danza macabra dei principi, in Testi poetici e drammatici (1910-1951), Feltrinelli,
Milano, 1967, pp. 36-37 (corsivo mio).
86
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III.2
Verso una conclusione
Non ci rimane che approfondire l’altro verso di questo singolare rapporto tra
dodecafonia e bi-logica: quello che intende chiarire e portare ad evoluzione le
teorie matteblanchiane proprio attraverso una originale considerazione dell’evento
auditivo-musicale dodecafonico.
Matte Blanco dichiara che «quando percepiamo, diamo per scontato l’azione
ordinatrice della logica classica, che organizza le nostre sensazioni e, attraverso
questo processo, ci rende consapevoli dell’esistenza di certe relazioni nel mondo
esterno. Inoltre la nostra percezione interna può renderci consapevoli del fatto che
stiamo pensando» 196 . La percezione interna (che in quanto ‘percezione’ è già un
atto di giudizio, e quindi stabilimento di relazioni) segna il momento in cui il
pensiero tenta di cogliere se stesso, cioè diventa insieme identico e diverso da sé,
oppure, in altre parole ancora, si trova a trattare se stesso come diverso da sé, pur
essendo sé. E’ portato, insomma, a ricreare quella fusione tra interno ed esterno,
che esisteva proprio quando non vi era pensiero, né asimmetria, né relazione
alcuna. Sprofonda dunque nell’inconscio, poiché, dice Matte Blanco, in termini
spaziali «non abbiamo a disposizione un numero sufficiente di dimensioni per
sperimentare» che possiamo ‘pensare’ e al tempo stesso ‘pensare che stiamo
pensando’. La multidimensionalità è una categoria che appartiene all’inconscio,
non al pensiero cosciente. Vivere e pensare qualcosa a un livello
multidimensionale significa viverlo e pensarlo come indivisibile. Ciò non riesce
alla coscienza. Se non per un attimo fugace.
Ora, la musica può mostrarci una possibile strada per amplificare la durata e
l’intensità di quel breve istante.
‘Ascoltare’ significa in qualche modo ‘percepire asimmetricamente’. E’ un
fatto che non siamo capaci di comprendere facilmente un’armonia complessa, cioè
di distinguere la simultaneità di più note che non eravamo abituati ad ascoltare
insieme. L’ascolto è perlopiù ‘melodico’; gli riesce bene di seguire, lungo una
linea temporale, una successione di note, e perciò è asimmetrico nella sua
struttura: in questo assomiglia al pensiero cosciente.
Ma il suo enorme potenziale sta nel sopravanzare il pensiero razionale. E’
quanto Di Benedetto ha tentato di mostrare lungo tutto il percorso analizzato nel
capitolo dedicato alle sue teorie. Ed è quanto lo stesso Schönberg, implicitamente,
andava sostenendo, ad esempio, a proposito della distinzione fra musiche
‘popolari’ e musiche ‘artistiche’: popolare è la semplicità della comprensione
196
I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 104.
87
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della linea melodica; artistico è la completezza multidimensionale dell’intreccio
polifonico -contrappun-tistico.197
Non ci resta che avviare l’ultima parte della nostra ricerca. Nel fare ciò,
ritorneremo su un punto che avevamo lasciato in sospeso: l’importanza della sfera
auditivo-musicale dell’inconscio , nell’interesse che ha rivestito all’interno degli
studi di Di Benedetto: come linguaggio pre-verbale tra madre e figlio; come
possibilità di esprimere messaggi somatici più vicini all’inconscio di quanto non
faccia la parola; e come migliore condizione per ‘sintonizzare’ il prorpio
inconscio sulla frequenza di quello altrui (in particolare nel rapporto
analista/paziente).198
Si profila l’eventualità di considerare l’“ascolto” come una dimensione
che ap re molte più vie all’indivisibile di quanto non faccia il pensiero razionale.
197
G. Manzoni (1975), op. cit., p. 172.
Questa importante concezione è già stata introdotta nel capitolo terzo, secondo paragrafo, in cui si
sono affrontate le originali teorie di Di Benedetto.
198
88
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Capitolo Quarto
Oltre la bi-logica
IV.1
Gli studi di Di Benedetto e la dimensione musicale tra coscienza ed
inconscio
La Parte IV del testo Prima della parola199 (già introdotto nella prima
sezione di questo studio) è intitolata ‘Ascolto psicoanalitico e ascolto musicale’.
In essa Di Benedetto afferma di essere convinto che «in una porzione della mente
analitica» debba lavorare «un pensiero di tipo musicale, anche in chi non possiede
particolari competenze musicali». Vi sarebbe un tipo di pensiero , sicuramente
situato ad un livello più inconscio che cosciente, che si caratterizza, secondo Di
Benedetto, per la possibilità tanto di recepire quanto di utilizzare un ‘idioma
musicale’, pre-verbale, che non parla direttamente all’intelletto, ma che riesce a
riportare l’ascoltatore ad un ‘passato corporeo’.
Ecco quanto viene affermato: «Con la musica, in effetti, riproviamo
sensazioni dimenticate. Ritorniamo per tanti aspetti al passato. Riscopriamo un
mondo perduto e, addirittura secondo F. Fornari, recuperiamo una condizione
edenica pre-natale». Poi salta all’attenzione un concetto che ormai ci è divenuto
familiare e comprensibile: «Ci allontaniamo dal mondo evoluto dei suoni articolati
in parole e ci riaccostiamo al valore puramente fisico dei suoni» 200.
Inoltre viene ribadito che «la musica infra-verbale affonda le sue radici nelle
prime esperienze comunicative tra madre e figlio», cioè in quel momento
peculiare che abbiamo denominato ‘sorgere della coscienza’, in cui si passa
dall’impossibilità di qualsiasi distinzione alle prime vere relazioni asimmetriche
coscienti.
E’ evidente la non casualità dell’accostamento di questa primordiale
esperienza pre-verbale tra madre e figlio (il sorgere della coscienza in cui
distinzione e indistinzione coincidono) e il fenomeno fisico del suono (in cui ha
colpito la misteriosa caratteristica dell’unità sonora, di essere
contemporaneamente identica e diversa da se stessa).
Di Benedetto pone all’attenzione un fatto:
199
200
A. Di Benedetto, Prima della parola , cit.
Ivi, p. 196 (corsivo mio). Cfr. F. Fornari, La psicoanalisi della musica, Longanesi, Milano, 1984.
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la musica ha forse, in misura maggiore rispetto a tutte le altre arti, il compito di promuovere
il linguaggio e, con esso, la comunicazione. E non solo perché predispone all’apprendimento
della lingua. Difatti, mentre elide il pensiero logico-verbale, riproducendo antiche sensazioni
percettive, sottopone la psiche a un esercizio di ascolto, che ne amplia la sensibilità
recettiva e la fa quindi progredire verso un sentire più ampio. Di modo che riesce a far
incrociare nel medesimo punto di intersezione un’esperienza regressiva di carattere
sensoriale, che svuota il linguaggio verbale esistente, e una progressiva, che lo arricchisce di
possibilità espressive 201.
Da queste considerazioni si evince che la dimensione dell’ascolto non
riguarda soltanto la parte dell’inconscio più profondo, anche se in essa ha, di
sicuro, le sue radici.
Non è un caso che Alban Berg (uno dei due più autorevoli allievi di
Schönberg) abbia parlato di un problema di ‘coscienza auditiva’, proprio in
rapporto alla difficoltà di comprensione della musica del suo maestro.202 Ed è
chiaro che i molteplici riferimenti di Schönberg stesso alla comprensibilità come
scopo principale della dodecafonia rientrano perfettamente in un’ottica in cui la
coscienza e il pensiero giocano un ruolo primario nella dimensione dell’ascolto
musicale.
Ci siamo ben resi conto della contemporaneità delle due dimensioni,
cosciente e inconscia, come fatto caratteristico dell’evento musicale.
A) L’ascolto musicale, da un lato, rientra in una dimensione inconscia poiché
è investito di tutta una serie di caratteristiche che appartengono alla logica
simmetrica. Abbiamo appurato con Di Benedetto come alla musica si colleghino i
fenomeni dello spostamento, della condensazione, della co-presenza dei
contraddittori, e soprattutto dell’annullamento della dimensione spazio -temporale.
Quegli stessi fenomeni da cui Matte Blanco aveva tratto i principi regolatori della
logica inconscia ‘simmetrica’.
In Schönberg abbiamo ritrovato le tracce di una corrispondenza evidente tra
linguaggio dodecafonico e logica inconscia. Con Ballardini abbiamo sostenuto
l’idea che la teoria musicale del compositore viennese fosse principalmente una
ricerca sul suono , e ovviamente sull’‘orecchio’ (ossia sull’ascolto), poiché i due
sono legati da un «rapporto di complementarità naturale». Anche per questo la
logica del pensiero musicale è una logica inconscia: essa è portata a ricreare
qualcosa che ‘misteriosamente’ avviene in natura attraverso delle regole
totalmente differenti da quelle della logica classica, e per mezzo delle quali
sembra essere regolato anche l’inconscio. La musica è per eccellenza linguaggio
dell’inconscio e del mondo. Essa diventa, in un’ottica schönberghiana, portatrice
di messaggi ‘profetici’ e ‘trascendenti’ fondati su leggi naturali (le leggi del
suono, e dell’inconscio).
B) Contemporaneamente la dimensione musicale si pone come una
organizzazione razionale, obbediente a una logica altamente asimmetrica, in cui la
comprensione delle successioni e dei movimenti dovrebbe risultare quasi
201
202
Ivi, p. 197 (corsivo mio).
G. Manzoni (1975), op. cit., p. 30.
90
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perfettamente intelligibile al momento dell’ascolto. E’ presumibile, insomma, che
ad un livello cosciente e razionale si arrivi a ‘comprendere’ ciò che avviene
all’interno della struttura musicale che si sta ascoltando .
In definitiva: la dodecafonia appare come la rappresentazione
comprensibile all’intelletto del fenomeno più originario e primordiale della
natura e dell’intera vita psichica umana.
Ricreare attraverso una modalità di ascolto per una ‘coscienza uditiva’
l’esperienza originaria del suono, la cui essenza abbiamo ricondotto a quella dello
‘sprofondare’ della coscienza nell’inconscio (la quale non ci lascia che un
inafferrabile istante di lucida comprensione), significa avere la possibilità di
capire fino in fondo quella verità che la coscienza riusciva solo a sfiorare per un
attimo, e che ora risulta amplificata attraverso l’ascolto musicale. Tutto questo
non è soltanto l’ovvio risultato di quella ‘struttura bi-logica’ tipica dell’operazione artistica, che Matte Blanco ci ha palesata. La dodecafonia non corrisponde
pienamente a nessuno dei vari tipi di strutture bi-logiche enumerate dallo
psicoanalista. Non si tratta di semplice struttura ‘Simassi’ (o meglio, non si
esaurisce solo in essa), né ‘Alassi’. Nemmeno può essere ricondotta a quella
denominata ‘Altalena epistemologica’, e ancor meno alla ‘Tridim’.
La dodecafonia si è caratterizzata come un linguaggio artistico che,
attraverso la peculiare corrispondenza che l’‘ascolto’ riesce a stabilire tra
inconscio e pensiero cosciente, permette una ‘rappresentazione auditiva’ di più
dimensioni, e quindi è capace di portare il pensiero in una multidimensionalità
plasmata non da parole, ma da suoni.
La dimensione dell’ascolto agisce in entrambe le direzioni: dall’inconscio al
pensiero cosciente, e viceversa. Da un lato permette al nostro pensiero di essere
consapevole di più di una cosa alla volta: lo struttura secondo il modo d’essere
dell’inconscio. Dall’altro fa sì che l’inconscio, ‘muto per sua essenza’, trovi voce
per mezzo del suono e dell’ascolto.
La dodecafonia, infine, si configura proprio come l’amplificazione di quel
fenomeno fuggevole della riflessività della coscienza su se stessa, cioè della
essenziale e originaria fusione di simmetrico ed asimmetrico, di interno ed
esterno, di identico e diverso.
L’apertura alla multidimensionalità da parte del pensiero auditivo ci sembra,
al momento, l’unica possibilità di una conoscenza a più dimensioni da parte del
pensiero cosciente. Certo non di quello discorsivo e, più prettamente, concettuale,
ma della ‘porzione auditiva’, che si caratterizza per la peculiarità di possedere
qualità specifiche dell’inconscio, quali appunto la multidimensionalità spaziale e
la simultaneità temporale.
Si tratta, specifichiamo ancora, di affermare l’eventualità di vivere e ‘capire’
l’indivisibile, attraverso una modalità della coscienza che non attinge
semplicemente a una struttura bi-logica, in cui logica simmetrica e bivalente,
anche se intrecciate, si danno comunque separatamente; ma in una maniera per cui
il pensiero cosciente fa davvero tutt’uno con l’inconscio, in una modalità
91
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conoscitiva che recupera la fusione di distinzione e indistinzione originaria, fino a
renderla ‘ri-sentibile’ e conoscibile.
92
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IV.2
Conclusioni
La ‘dodecafonia’, che non è un genere musicale, ma un nuovo metodo di
composizione, scardina il sistema tonale tradizionale, e lo vaporizza fino a ricreare
una dimensione in cui non accade semplicemente che l’intero brano si presenta
come una perfetta unità, ma in cui ogni suono, tutti i suoni della scala cromatica,
ri-diventano l’Unità-sonora primordiale.
Il merito impareggiabile di una tale costruzione artistica è stato proprio
quello di esprimere quanto di più fondamentale e originario possa essere pensato:
la perfetta Unità dell’identico e del diverso, in una fusione per cui l’uno ‘non
sarebbe’ senza l’altro. E’ quanto, per altra via, il nostro pensiero riesce a cogliere
solo per brevissimi attimi. Perciò, se in quest’ultima esperienza si era riscontrata
la traccia di una super-logica unitaria, l’analisi dell’operazione schönberghiana ci
è sembrata una strada parallela, capace di addentrarci anch’essa, per mezzo di
nuove riflessioni, in un luogo forse ancora inesplorato.
La dodecafonia riesce ad esprimere ciò che nella sua essenza la costituisce.
Questo è straordinario, poiché è il suono che si fa ‘logica’, cioè ‘linguaggio
comprensibile’, e che riesce a ‘dire’ proprio ciò che è prima della logica e del
dicibile. Quanto ‘dice’ non è udibile direttamente a una coscienza discorsiva, ma a
quella sua sfera che abbiamo denominato ‘uditiva’. La dimensione, anzi, la multidimensione che può accogliere questo messaggio è prettamente uditiva, è ‘ascolto
sonoro’. Il ‘filosofo musicale’ presenta delle ‘idee musicali’ per un ‘ascoltatore
musicale’203.
La portata straordinaria della dodecafonia risiede dunque in questo: essere
l’‘incarnazione’ logica di un fatto anteriore ad ogni logica.
203
Cfr. T. Mann (1949), Die Entstehung des “Doctor Faustus”, trad. it. Romanzo d’un romanzo, la
genesi del “Doctor Faustus”, ..., ... , p. 132.
93
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94
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IV. 3
Conclusione
E’ opportuno, a questo punto, ricordare e riordinare i passaggi fondamentali
dell’intero percorso della presente ricerca.
Attraverso l’analisi delle teorie di Matte Blanco si è tentato di mostrare come
ogni più specifico interesse (dall’emozione al problema dell’opera d’arte, dalla
teoria della bi-logica all’ipotesi di una ‘super-logica unitaria’) implicitamente
fosse rivolto alla comprensione di un avvenimento fonda-mentale: l’evento
straordinario per cui unità e molteplicità si trovano contemporaneamente su un
medesimo livello; il fenomeno, cioè, della simultaneità di identico e diverso, di
‘sé’ ed ‘altro’. In parole ancora diverse la questione riguarderebbe la possibilità di
una unità primordiale tra i due modi di essere dell’uomo e del mondo (il modo
‘simmetrico’ e quello ‘asimmetrico’), in cui non v’è più un continuo rimando ed
una reciproca dipendenza, in cui l’omogeneità e la frammentarietà, la totalità e la
divisibilità, si trovano esattamente sullo stesso piano cronologico e di valore.
E’, dunque, su tale campo che la nostra ricerca ha provato a confrontarsi. Il
suo scopo non è stato soltanto quello di applicare le teorie matteblanchiane ad un
particolare fenomeno artistico o scientifico. Si è provato ad affrontare proprio quel
punto cruciale, che lo stesso Matte Blanco non era riuscito a definire interamente,
e se n’è tentato un approfondimento. L’evento artistico-musicale della
dodecafonia schönberghiana non è stato semplicemente ‘inquadrato’ attraverso
un’ottica matteblanchiana, che ne individuava le caratteristiche ‘simmetriche’ ed
‘asimmetriche’ e ne applicava tutte le altre categorie conoscitive. L’espressione
musicale dodecafonica è apparsa basata su un principio assai significativo, e in
diretta corrispondenza proprio col fenomeno della originaria simultaneità di unità
e molteplicità: il principio della fondamentale coincidenza di identico e diverso
come caratteristica di ogni singolo suono. La giustificazione di una tale
concezione è stata riproposta, all’interno di questo studio, attraverso le riflessioni
sul fenomeno degli armonici.
In conclusione, la dodecafonia, che si caratterizza come un nuovo metodo di
composizione e quindi come la rielaborazione del tradizionale linguaggio
musicale tonale, è costruita proprio sulla base di una ‘concezione unitaria’ dei
suoni, sulla convinzione, cio è, che la melodia e, soprattutto, l’armonia sono
derivabili dall’unità misteriosa del singolo suono. In esso la linea ‘asimmetrica’
della distinzione tra i vari suoni (melodia) e il processo ‘simmetrico’ della
simultaneità di più suoni (armonia) si trovano effettivamente su uno stesso livello:
la distinzione melodica e la ‘confusione’ armonica caratterizzano il suono nella
sua stessa essenza, contemporaneamente ed inscindibilmente. Il suono si è
configurato come il luogo in cui ‘identità’ e ‘diversità’ posseggono esattamente lo
stesso valore.
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Il particolare ‘taglio’ di questo studio ha necessariamente richiesto un
confronto con le importanti riflessioni di Di Benedetto, specialista, tra l’altro,
delle straordinarie corrispondenze tra il pensiero matteblanchiano e le diverse
espressioni artistiche e, più in particolare, musicali. Gli approfondimenti dello
studioso hanno contribuito ad indicare alla nostra ricerca una strada davvero
interessante e che promette importanti sviluppi futuri: la via della dimension e
dell’ascolto musicale. Ad ogni modo, l’attenzione di Di Benedetto alle
rispondenze tra le teorie di Matte Blanco e l’avvenimento musicale lo avevano
indotto ad alcune importanti considerazioni: alla cognizione dell’opera musicale
come di una particolare struttura bi-logica simassi, caratterizzata da una serie di
coppie di contraddittori, alla cui base vi sarebbe quella generale
“simmetria/asimmetria” individuabile principalmente nella simultaneità
strutturale, in ogni brano, di una linea asimmetrico-melodica e di una
multidimensione simmetrico-armonica. Le analisi di Di Benedetto hanno
riguardato in modo particolare la ‘musica classica’ tradizionale, e più in generale,
la musica tonale, che si fonda su una serie di regole non pienamente giustificate
dal fenomeno naturale degli armonici (su cui pure, in varie epoche, tale musica ha
creduto di potersi basare).
E’ ancora più evidente, perciò, il fine della nostra ricerca. Puntare alla radice
stessa dell’avvenimento sonoro, al suono puro e semplice. Da quest’analisi
abbiamo tratto delle considerazioni che si ricollegano chiaramente alle ipotesi più
estreme, e perciò veramente cruciali, del discorso matteblanchiano, e cioè a
quell’idea di una sostanziale simultaneità di unità e molteplicità, di identità e
diversità. Oltrepassando perciò il semplice ambito delle relazioni tra essere
simmetrico e modo asimmetrico, si è puntato direttamente a quella che è sembrata
essere la fonte del problema.
In tal senso lo studente spera di essere riuscito, se non altro, a sollevare una
questione che è apparsa molto significativa e particolarmente ricca di conseguenze
ed implicazioni.
96
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Sommario - Indice
La teoria della bi-logica di Matte Blanco
e la dodecafonia di Schönberg
Introduzione
Parte Prima: La teoria della bi -logica, il problema dell’arte e
dell’ascolto musicale
I. Capitolo Primo: Il concetto di bi -logica
I.1. L’eredità freudiana e la possibilità di nuove ipotesi
I.2. Dalle caratteristiche dell’inconscio freudiano ai principi della logica
simmetrica
I.3. L’inconscio come insiemi infiniti. L’antinomia fondamentale dell’essere
I.4. Due modi di pensare, sentire, essere.La teoria della bi-logica
I.5. La bi-modalità e i vari tipi di strutture bi-logiche
I.6. Rapporti tra i due modi di essere
II. Capitolo Secondo: La sfera dell’emozione e il problema dell’arte
II.1. Emozione e pensiero
II.2. Emozione e inconscio come ‘insiemi infiniti’
II.3. L’esperienza dell’indivisibile nell’opera d’arte
III. Capitolo Terzo: La dimensione dell’ascolto musicale e la
simultaneità di ‘identico’ e ‘diverso’
III.1. Il problema della creazione artistica a partire dalla teoria della bi-logica
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III.2. Antonio Di Benedetto: da una psicoanalisi dell’arte a una psicoanalisi
dall’arte
III.3. La musica e l’individuazione di una dimensione ‘auditiva’ della psiche
III.4. ‘Creatività e ortodossia’: il sorgere della coscienza
III.5. Identità e diversità intervengono simultaneamente
Parte Seconda: Elementi essenziali di acu stica.
La filosofia musicale di Arnold Schönberg
Premessa: Il fenomeno naturale della propagazione di un’onda sonora
e i ‘suoni armonici’
I. Capitolo Primo: L’operazione musicale di A. Schönberg
I.1. L’atmosfera culturale nella Vienna del primo ‘900
I.2. Le prime opere: ‘espressionismo’ e superamento del linguaggio tonale
I.3. L’emancipazione della dissonanza ed il nuovo metodo di composizione
II. Capitolo Secondo: Il significato estetico della ‘dodecafonia’
II.1. ‘Composizione con dodici note’: il concetto di ‘comprensibilità’, le
differenze dal metodo di composizione tradizionale e la necessità della
‘pantonalità’
II.2. Il ‘Manuale di armonia’: premessa per una musica ‘pantonale’
II.3. Riflessioni sull’operazione musicale di Schönberg e sulla missione
dell’arte nuova
Parte Terza: Dodecafonia e bi -logica
I.Capitolo Primo: La continua interazione tra ‘teoria’ ed ‘opera d’arte’
I.1. La psicoanalisi viene dall’arte
I.2. La ‘Lettera di Lord Chandos’ di von Hoffmannsthal: un preannuncio alla
teoria della bi-logica di Matte Blanco
I.3. La necessità di un confronto tra bi-logica e dodecafonia
II. Capitolo Secondo: La bi -logica ed il fenomeno del suono
II.1. Il sogno ed il suono: strutture multidimensionali
II.2. La musica è un insieme infinito
II.3. Il fenomeno della propagazione di un’onda sonora non rispecchia
semplicemente l’antinomia fondamentale del mondo
104
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II.4. Le possibilità di un raffronto tra il ‘fenomeno della riflessività della
coscienza su se stessa’ e la dimensione auditivo-musicale della psiche
III. Capitolo Terzo: Bi-logica e dodecafonia
III.1. La dodecafonia come esperienza artistica dell’indivisibile
III.2. Verso una conclusione
IV. Capitolo Quarto: Oltre la bi -logica
IV.1. Gli studi di Di Bendetto e la dimensione musicale tra coscienza ed
inconscio
IV.2. Conclusioni
Bibliografia
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