Tutto il materiale che consulti su www.ilmondodisofia.it è gratuito. Ti chiediamo solo di citare, nei tuoi lavori scientifici, il nome dell’autore della tesi o dell’articolo. Grazie! www.ilmondodisofia.it Parte Prima La teoria della bi-logica, il problema dell’arte e dell’ascolto musicale 3 www.ilmondodisofia.it Capitolo Primo Il concetto di bi-logica I.1 Dalle caratteristiche dell’inconscio freudiano ai principi della logica simmetrica. Per accostarci adeguatamente al pensiero di Ignacio Matte Blanco, risulterà di fondamentale imp ortanza l’analisi della sua opera più nota, L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla Bi-logica1 . Si tratta di un testo che si pone come la raccolta conclusiva di tutta una serie di idee che da molto prima del 1975 (data della sua prima pubblicazione) avevano spinto lo psicoanalista cileno a interessarsi a particolari campi delle scienze e della matematica per ottenere una visione nuova e più ampia di alcuni fenomeni clinici che continuavano a destare incomprensione, e che parevano bisognosi di una ridefinizione. Inquadriamo subito la questione centrale sollevata dallo stesso Freud e che Matte Blanco non fa altro che affrontare e approfondire lungo l’intero iter del suo saggio: le leggi della logica aristotelica, in particolare la legge di non contraddizione, non sono seguite o rispettate nel sistema inconscio o nell’Es. Non si tratta di una mancanza, di una carenza da parte del sistema inconscio. Appare già in Freud, infatti, come ciò sia piuttosto l’allusione ad un nuovo e diverso ordine. 2 Nel settimo capitolo del suo saggio, Matte Blanco sottolinea che: La fondamentale scoperta di Freud non è quella dell’inconscio […], ma quella di un mondo – che egli sfortunatamente chiamò l’inconscio – retto da leggi completamente diverse da quelle da cui è retto il pensiero cosciente3. Riflessione che porta lo psicoanalista cileno ad una rivalutazione di quella concezione freudiana (anteriore all’introduzione della nozione di Es) secondo cui l’inconscio descrive un modo d’essere, un ‘mondo’ con delle sue proprie leggi totalmente differenti da quelle della logica della coscienza. Concezione mai 1 I. Matte Blanco (1975), The Unconscious as Infinite Sets. An Essay in Bi-Logic, trad. it., L’inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bi- logica, Einaudi, Torino, 2000. 2 S. Freud (1899), Die Traumdeutung, trad. it. L’interpretazione dei sogni in Opere di Sigmund Freud, Boringhieri, Torino, 1989, vol. III, p. 463. 3 I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 105. 4 www.ilmondodisofia.it veramente abbandonata dallo stesso Freud, ma che solo Matte Blanco riconsidera adeguatamente: «Dobbiamo, perciò, introdurre un’altra nozione oltre quella dell’inconscio come qualità se vogliamo esprimere la realtà nella sua verità.»4 Con un procedimento identico a quello delle altre scienze, che tendono a racchiudere il più possibile le loro numerose regole all’interno di pochissime leggi generali in grado di contenerle tutte senza perderne alcuna, Matte Blanco riduce le varie caratteristiche e i processi dell’inconscio a due principi fondamentali, secondo i quali esso opera e “conosce”. Le cinque caratteristiche dell’inconscio freudiano sono le seguenti: 1) l’assenza di contraddizione mutua tra i vari impulsi (conseguenza della quale è l’assenza di negazione); 2) l’assenza di tempo (che significa propriamente assoluta mancanza di un ordinamento temporale quale è quello considerato dalla fisica); 3) lo spostamento; 4) la condensazione; 5) la sostituzione tra realtà esterna e psichica.5 Matte Blanco giunge a racchiuderle in due principi fondamentali: A) il principio di generalizzazione, per il quale […] il sistema inconscio tratta una cosa individuale (persona, oggetto, concetto) come se fosse un membro o elemento di un insieme o classe che contiene altri membri6 Processo che, sondando in profondità l’inconscio, tende a moltiplicarsi, e ad inglobare in una sola classe tutta la serie di sotto -classi contenibili. Ad esempio il ‘padre’ può essere trattato come tutti gli altri membri che compongono la classe ‘uomini’, e, più in profondità, come un membro o addirittura una classe dell’insieme ‘esseri viventi’, e così via; B) il principio di simmetria, per cui […] il sistema inconscio tratta la relazione inversa di qualsiasi relazione come se fosse identica alla relazione. In altre parole, tratta le relazioni asimmetriche come se fossero simmetriche.7 4 Ivi, p. 103. S. Freud (1915), Das Unbewusste, trad. it. L’inconscio, OSF, vol. VIII, pp. 70-71. A queste caratteristiche Pietro Bria aggiunge le altre otto che Matte Blanco avrebbe tratto dallo studio sul sogno di Freud (cfr. “La bi-logica dell’inconscio, l’infinito e il pensiero scientifico” in Il pensiero e l’infinito. Scritti sul pensiero di Ignacio Matte Blanco, Teda, Castrovillari, 1989, p. 16). Secondo Di Benedetto, poi, vi sarebbe una sesta caratteristica del sistema inconscio, che Freud non avrebbe menzionato tra le cinque, ma a cui avrebbe accennato in una lettera a Groddeck, sostenendo che «l’atto inconscio ha un’intensa influenza plastica sui processi somatici, quale non viene mai raggiunta dall’atto cosciente» (cfr. A. Di Benedetto, Prima della parola, Milano, Franco Angeli, 2000, p. 92) 6 I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 44. 7 Ivi. 5 5 www.ilmondodisofia.it Ad esempio, la proposizione ‘Giovanni è padre di Pietro’, in cui non vi è reversibilità secondo la logica ordinaria (perciò è definita ‘a-simmetrica’), è considerata dall’inconscio come se fosse simmetrica, come se fosse cioè l’equivalente di ‘Pietro è padre di Giovanni’8 , che per il pensiero ordinario è una deduzione infondata. Se una relazione asimmetrica è, per esempio, ‘essere padre di’ (in cui i due termini estremi non sono interscambiabili), e se una relazione simmetrica è invece ‘essere fratello di’ (in cui i termini estremi sono scambiabili), possiamo dire che l’inconscio, quanto più è sondato in profondità tanto più tratta le relazioni asimmetriche come se fossero simmetriche. Non concepisce asimmetria. Almeno fino ad un certo punto, e questo lo vedremo meglio in seguito. Un corollario dei due principi, dalla straordinaria importanza, è che: C) la parte diventa per l’inconscio necessariamente identica al tutto, e quindi il tutto è incluso in ogni parte. Ciò appare una evidente conseguenza del principio di simmetria, per il quale l’affermazione ‘la mano è parte del corpo’ assume la stessa valenza di ‘il corpo è parte della mano’. Da quanto detto, emerge chiara l’importanza che in particolare, fra i tre, riveste il principio di simmetria. In qualche modo, generalizzando forse troppo, possiamo considerarlo l’unico fondamentale principio della logica dell’inconscio, che fonda la sua peculiarità sul trattare come se fossero identiche due cose diverse. Tutto questo appare tanto sconcertante, quanto ormai un fatto provato: l’inconscio non divide, non separa, non diversifica (come invece deve fare la coscienza per guadagnarsi la possibilità di una conoscenza ordinata e chiara), ma unisce, confonde, totalizza. Allude a una “totalità omogenea e indivisibile”, a un modo di conoscere la realtà non come frammentata, ma come unita e indivisibile.9 Il principio di simmetria diventa il criterio attraverso cui possiamo comprendere il funzionamento dell’inconscio e riconoscerne un procedi-mento logico. L’originale ipotesi a cui giunge Matte Blanco è, in sintesi, questa: la mente e i processi psichici sembrano regolati da tre tipi di logiche. 1) una logica ‘classica’, che erge a strumento di conoscenza l’intelletto; 2) una logica simmetrica, che agisce in base a una miscela di logica razionale e di dissoluzione di ogni distinzione da parte del principio di simmetria (come si vede essa risulta essere una mescolanza di simmetria ed asimmetria); 3) una b i-logica (concetto che approfondiremo subito), in cui agiscono, in vari modi, sia la logica puramente razionale (1), sia la logica simmetrica (2). 8 Cfr. I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia, in ‘Rivista di Psicoanalisi’, n° XXI – gennaiodicembre, 1975, p. 229. 9 In questo senso è interessante notare le affinità che Matte Blanco stesso scorge tra le nuove ipotesi e una visione del mondo molto antica, assimilabile alla filosofia parmenidea. 6 www.ilmondodisofia.it I.2 L’inconscio come insiemi infiniti. L’antinomia fondamentale dell’essere Sulla base dell’ipotesi dei due principi, di simmetria e di generalizzazione, Matte Blanco immagina un inconscio strutturato come insiemi infiniti. Non è difficile comprendere quest’affermazione se riflettiamo su alcuni elementi. Innanzitutto chiariamo il concetto matematico di ‘insieme infinito’: un insieme è infinito quando e solo quando può essere messo in corrispondenza biunivoca con una sua parte propria. 10 Sintetizzando e semplificando si può dire che per «infinito» intendiamo un insieme nel quale, anche concettualmente, non vi è alcun limite alla sua continuazione.11 Ora per quanto detto sopra, e cioè che il principio di simmetria non fa distinzione tra gli elementi di una stessa classe, è lecito concludere che una qualsiasi classe di appartenenza, per esempio quella dei ‘filosofi’, può essere considerata, dall’inconscio, come un insieme infinito. Infatti una sua parte propria, che potrebbe essere il termine ‘Socrate’ può essere trattato come se fosse l’intero insieme. ‘Socrate’, per l’inconscio, non solo è uguale a ‘Platone’ ma è anche uguale a ‘tutti i filosofi’ (l’insieme ‘filosofi’). E ancora: ‘Socrate’ può essere equiparato a ‘mio padre’, poiché l’insieme ‘filosofi’ è un sottoinsieme dell’insieme più ampio ‘padri’ (carnali e spirituali). A sua volta l’insieme ‘padri’ si può considerare come il sottoinsieme dell’insieme più generale ‘esseri viventi’, e così via. Questo peculiare tipo di ‘ragionamento’ si basa, come è evidente, su un continuo utilizzo non solo del principio di simmetria (PS) ma anche di quello di generalizzazione (PG). Ovviamente la simmetrizzazione tra i vari elementi e gli insiemi e i sottoinsiemi, aumenta con l’aumentare della profondità del livello di inconscio. L’essere simmetrico diventa sempre più simmetrico, man mano che si ‘scende’. Ma deve pur serbare una certa parte di logica asimmetrica, altrimenti gli sarebbe impossibile distinguere, di volta in volta, tra i vari sottoinsiemi. Una tale teoria si fonda dunque sulla convinzione che esistano fondamentalmente due modi di essere dell’uomo, i quali si rispecchiano rispettivamente nel pensiero cosciente, che divide, separa, ed utilizza relazioni asimmetriche, e nel ‘modo d’essere dell’inconscio’ che confonde, unisce e simmetrizza anche quelle relazioni che la logica ordinaria (la logica bi-valente) coglie come asimmetriche. Matte 10 I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 39. I. Matte Blanco (1988), Thinking, Feeling, and Being, trad. it. Pensare, sentire, essere, Einaudi, Torino, 1995, p. 47. 11 7 www.ilmondodisofia.it Blanco parla proprio di un’antinomia costitutiva dell’essere, per riferirsi alla separazione in due sfere non assimilabili in alcun modo l’una all’altra. Lo psicoanalista, inoltre, osserva un fatto decisivo: il modo simmetrico del pensiero non troverebbe alcuna espressione se non fosse per il linguaggio asimmetrico, che necessariamente è costruito secondo le regole dell’altro modo. L’inconscio è come l’uomo invisibile di Wells: se non è rivestito di abiti non può essere visto. Parafrasando: se non è ricoperto con delle relazioni (cioè legami di tipo asimmetrico-dividente) rimane estraneo ad ogni possibilità di essere conosciuto. Utilizzare il linguaggio e quindi la logica asimmetrica è «l’unica possibilità che ha l’uomo di esprimere concettualmente la sua doppia natura»12 . E’ importante, perciò, sottolineare come i principi di simmetria e di generalizzazione, da soli, impediscano di formare un sistema logico che sia indipendente da quello del pensiero cosciente. Ogni simmetrizzazione, e quindi ogni indistinzione, avviene sempre tra due o più elementi che prima erano considerati distinti. Nel senso che l’annullamento delle differenze, peculiarità del principio di simmetria, presuppone le differenziazioni stesse. La logica simmetrica appare, perciò, a Matte Blanco in una condizione di massima dipendenza dalla logica cosciente asimmetrica. L’anacliticità, cioè la non auto sufficienza dalle regole della logica ordinaria, rimane, per Matte Blanco, un fatto inequivocabile quanto necessario. L’auspicio sarebbe quello di determinare un ambito in cui essere simmetrico ed essere asimmetrico intervengano simultaneamente, sul medesimo livello di valore. Quanto detto invita ad importanti considerazioni. Se da un lato effettivamente non sono possibili due distinti sistemi logici, in quanto vi sono continui intrecci e appoggi reciproci, è d’altro canto evidente l’impossibilità di costruire una sola logica unitaria, che comprenda tutti gli aspetti dei due diversi tipi di regole. Per questo Matte Blanco ha parlato, per serbare la consapevolezza che i due modi si danno «sempre insieme», di un sistema “logico-antilogico”, in cui i princip i di simmetria e di generalizzazione si appoggiano inevitabilmente alle regole del pensiero cosciente. In quanto tutte le manifestazioni inconsce, per essere descritte e pensate, richiedono ambedue le logiche, non solo l’una o l’altra. Il nome di sistema bi-logico risultò il più adatto ad esprimere la simultaneità di due tipi di regole tra loro inconciliabili. Una denominazione esatta ma insieme provvisoria, dato che Matte Blanco pensava che eventuali sviluppi delle sue tesi avrebbero schiuso le porte ad un unico e totale sistema che riunisse la bi-logica in una nuova logica dagli unici e medesimi princìpi. Una super logica unitaria. 12 I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia , cit., p. 234. 8 www.ilmondodisofia.it I.3 Due modi di pensare, sentire ed essere. La teoria della bi-logica L’inconscio, attraverso il principio di simmetria, non divide né separa (come fa l’intelletto), ma conosce per unione e confusione. Significa che apre la strada alla possibilità di una nuova epistemologia: alla conoscenza del mondo anche come una “totalità indivisibile”. Matte Blanco precisa che l’esistenza delle due logiche, quella classica e quella simmetrica, è semplicemente l’espressione, appunto, logica, di ‘un fatto ontologico’: c’è negli esseri umani e nel mondo un modo di essere che si esprime nella distinzione tra le cose, quindi nella loro divisione; ed un altro modo che tratta qualsiasi oggetto di conoscenza come se fosse indiviso: i modi eterogenico ed indivisibile. 13 Il modo di conoscere che corrisponde alla logica classica è chiamato modo eterogenico-dividente. Al principio di simmetria, invece, corrisponde una realtà vissuta come indivisibile. Si tratta, perciò, di due logiche, di due criteri di conoscenza, che rimandano a due modi di essere del cosmo. E’ un fatto importante sottolineare che non soltanto un processo logico di tipo simmetrico possiede la prerogativa di proiettare nella dimensione dell’essere indivisibile; in alcuni casi, anche la logica bivalente (classica) è capace di ‘evocare’ tale dimensione. Un fenomeno certamente misterioso, che trova il suo riscontro più interessante nella potenza della metafora poetica. Tutto questo ci interesserà più da vicino quando affronteremo il problema della creazione artistica (in cui è possibile proiettare il fruitore nella dimensione dell’indivisibile senza che sia violata la logica bivalente14 ). Una paziente schizofrenica, ci racconta Matte Blanco, suppose che il suo assistente dovesse essere molto ricco per il fatto che era molto alto. Accadeva, cioè, che lo sviluppo di un suo pensiero la portava all’equazione: molto alto=molto ricco. Questo procedimento mostra due fasi che vanno distinte: 1) la generalizzazione della classe delle persone ricche e della classe delle persone alte in una più ampia classe che potremmo definire delle ‘persone che hanno qualcosa in alto grado’ (è l’azione del PG); 2) Le due sottoclassi della nuova classe più ampia vengono trattate come identiche: perciò ‘molto alto’ diventa uguale a ‘molto ricco’ (applicazione del PS). 13 I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 75. Un tale procedimento artistico è per esempio quello che Matte Blanco definisce ‘incantesimo Valery’ (cfr. infra, Parte Prima, capitolo 2). 14 9 www.ilmondodisofia.it Conclusione: chi è molto alto è molto ricco. Quindi possiamo osservare che il PG, che opera nella prima fase, non ha nulla di simmetrizzante, anche se è il presupposto per l’azione del PS. Il principio di generalizzazione non è, come tale, contaminato dalla logica simmetrica, ma agisce ancora all’interno del territorio della logica classica. Però non è nemmeno puro pensiero asimmetrico, ma già qualcosa che allude al modo indivisibile, all’unità indivisibile che è il frutto di una totale e assoluta generalizzazione. Pensare una classe più ampia che contiene sia le persone alte che le persone ricche, è una espressione, seppur lieve, del modo indivisibile. Abbiamo scoperto qualcosa di molto interessante, e cioè che non è soltanto il pensiero altamente simmetrico ad avere il potere di proiettarci nella dimensione dell’indivisibilità, ma che anche alcuni aspetti della logica classica possono riuscirvi, grazie al principio di generalizzazione. Il quale, pur non dissolvendo le regole classiche del pensiero cosciente, non di meno permette l’accesso ad un mondo che sembra «impaziente di venire alla luce a livello della coscienza». E’ fondamentale sottolineare ancora un fatto decisivo: nell’esempio riportato sopra, abbiamo diviso in due il ragionamento della paziente. Ci siamo trovati di fronte a un processo che evidentemente seguiva non una logica, ma due. Un ragionamento bi-logico . La fase 1) ci è sembrata rispettare le regole classiche della logica bivalente; la fase 2) era caratterizzata dall’utilizzo del principio di simmetria, che dissolve fortemente il pensiero di tipo bivalente. ‘Bi-logica’ sta ad indicare, chiaramente, un tipo di processo come quello analizzato, in cui due tipi di logiche intervengono insieme a svilupparlo. 10 www.ilmondodisofia.it I.4 La bi-modalità e i vari tipi di strutture bi-logiche. Abbiamo appurato che i due modi di pensare e sentire il mondo viaggiano sempre insieme, intrecciandosi, anche se mai fino a fondersi in un’unità. Matte Blanco introduce il concetto di ‘bimodalità’, riferendosi alla possibilità di vivere contemporaneamente i due modi di essere del mondo. Le strutture bimodali sono di due tipi: strutture bimodali bivalenti e strutture bimodale bi-logiche. All’interno delle prime viene totalmente rispettata la logica classica; nelle seconde, invece, fa irruzione il principio di simmetria. Un esempio di struttura bimodale bivalente è offerto ad esempio, come vedremo meglio nel capitolo successivo, dalla poetica di Paul Valery 15 , in cui Matte Blanco riscontra un linguaggio in tutto e per tutto asimmetrico, rispettoso della logica classica, capace però di proiettarci nella dimensione dell’indivisibile. Le strutture bimodali bi-logiche restano, tuttavia, le più diffuse. Tanto che all’interno stesso della denominazione ‘bimodalità bi-logica’ è necessario distinguere svariate forme che differiscono per il modo in cui si intrecciano fra loro la logica classica e quella simmetrica . Matte Blanco arrivò a contare almeno quindici strutture bimodali bi-logiche. Le più interessanti sono le seguenti: 1) Alassi (alternanza asimmetria/simmetria)16 ; 2) Simassi (simultaneità asimmetria/simmetria)17 ; 3) Tridim (struttura bi-logica tridimensionalizzante)18 ; 4) L’altalena epistemologica 19 ; 5) La struttura bi-logica ‘stratificata costitutiva’. Quest’ultima si riferisce alle relazioni tra i vari livelli che portano dalla coscienza all’emozione e all’inconscio più profondo; negli strati più superficiali della psiche gli oggetti coscienti appaiono ben delimitati, soggetti a una percezione totalmente asimmetrica. Man mano che si scende in profondità i livelli appartengono sempre più ad una dimensione inconscia, dove vige il principio di simmetria, e l’individuo è trattato alla stessa maniera delle classi di appartenenza. Ciò che colpisce, osserva Matte Blanco, è che in un modo misterioso i livelli più 15 I. Matte Blanco (1986), Riflessioni sulla creazione artistica, in ‘Filmcritica’, giugno- luglio 1986, p. 53-54. 16 I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 54. 17 Ivi, p. 55. 18 I. Matte Blanco (1984), Il sogno: struttura bi-logica e multidimensionale, in V. Branca, C. Ossola e S. Resnik, I linguaggi del sogno, Sansoni, Firenze, 1984. 19 I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 57. 11 www.ilmondodisofia.it profondi sono presenti negli strati più superficiali, nei quali accade che : dietro e dentro una madre concreta, visibile, c’è anche un numero di altre madri, come la propria madre e molte altre immagini materne che hanno giocato un ruolo nella propria vita […]. Tutto ciò accade nel totale rispetto delle regole della logica bivalente, senza alcun segno o manifestazione visibile di bi-logica; in tutto ciò l’individuo rimane intatto come individuo, malgrado il fatto che il secondo e il terzo strato siano presenti nella sua realtà individuale.2 0 Dietro e dentro l’individuo ci sono anche altre classi, di oggetti inanimati, di astrazioni, «fino a che troviamo che l’indivisibile è misteriosamente presente nell’assoluta profondità di ognuno, per quanto coperta e asimmetrica possa apparire la superficie; presente tuttavia non direttamente né immediatamente afferrabile. L’indivisibile c’è ma è invisibile».21 All’interno di un insieme matematico infinito accade che ogni numero, per esempio il 16, è se stesso e tutti gli altri interi. Ogni numero avrà le proprietà del 16 (essere maggiore di 15 e minore di 17) e di ogni altro numero. Tutto ciò accade all’interno di questo numero e cioè ‘dentro’ il 16 ed anche in ogni altro numero . Ora, lo stesso sembra succedere ad ogni elemento pensato dall’uomo a un livello cosciente. Dietro questo elemento si troverebbe una potenzialità ‘in-visibile’ di proprietà che gli derivano dal contenere in sé ogni altro elemento della sua classe di appartenenza, e di tutte le altre classi a quella assimilabile. Per questo, ciò che l’elemento è nell’inconscio, lo è anche, potenzialmente, a un livello cosciente. 20 21 Ivi, p. 64 (corsivo mio). Ivi (corsivo mio). 12 www.ilmondodisofia.it I.5 Rapporti tra i due modi di essere Esaminare le relazioni che esistono tra i due modi di essere della psiche, significa cominciare a rintracciare uno spazio in cui è possibile che simmetria ed asimmetria si incontrino, ponendosi su un medesimo livello di valore. A questo scopo analizzeremo il caso in cui il pensiero asimmetrico si comporta come quello simmetrico, e successivamente il caso contrario. 1) Il pensiero bivalente si comporta come quello dell’inconscio, in alcuni casi specifici. Si tratta dei ‘casi-limite’ dell’astrazione e della generalizza -zione. Questi due processi agiscono, per così dire, in una modalità che appare totalmente giustificata nella logica classica asimmetrica, tanto è vero che essi trovano posto nei più tipici ragionamenti ‘razionali’. Contempora-neamente essi sono una vera e propria ‘finestra sull’indivisibile’. Sia l’astrazione che la generalizzazione posseggono una qualità peculiare: identificano, semplicemente in uno dei loro aspetti, una moltitudine di cose differenti. Matte Blanco afferma che «esiste in tutte e due la presenza di una indivisione non bi-logica, bensì logico-bivalente»22 . In base a tali considerazioni lo psicoanalista cileno conclude che la bi-modalità può essere di tre tipi: logico-bivalente (il caso appunto dell’astrazione e della generalizzazione), bi-logica, e una mistura di entrambe. Vedremo che anche all’interno dell’esperienza artistica è appunto esperibile una bi-modalità non bi-logica, capace nondimeno di proiettarci intensamente nella multidimensione dell’indivisibile. E’ quello che Matte Blanco ha chiamato “incantesimo Valery”. Anche quando facciamo l’eccezionale esperienza della riflessività della coscienza su se stessa, ci troviamo di fronte a un fenomeno asimmetrico in cui è evidente la traccia di indivisibile. Quello della ‘coscienza che pensa’ è chiaramente un procedimento logico asimmetrico. L’essenza del pensare, dice Matte Blanco, è lo stabilimento o la scoperta di relazioni. Ma quando il ‘pensare qualcosa’ equivale a ‘pensare l’atto stesso di pensare’ la coscienza non riesce a intrattenersi in una tale situazione. Tutto si dissolve, poiché la stessa coscienza si comporta simmetricamente, cioè nel modo antitetico al suo. La coscienza può essere paragonata ad una coppia di specchi paralleli che stanno uno di fronte all’altro. Se nessun oggetto vi si riflette allora uno specchio riflette l’altro e viceversa; il primo riflette il riflesso di se stesso nel secondo e il secondo riflette il riflesso di se stesso nel primo e così via all’infinito. 23 22 I. Matte Blanco (1986), Riflessioni sulla creazione artistica, in D. Dottorini, Estetica ed infinito, Scritti di Matte Blanco, Bulzoni, Roma, 2000, p. 50 (corsivo mio). 23 I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 252. 13 www.ilmondodisofia.it L’infinita “riflessività” della coscienza su se stessa è un caso di insieme infinito».24 Inoltre, questo ‘essere consci di essere consci’ è un’esperienza fugace. Ogni esperienza ‘di un punto’, ‘di un momento’, è fugace. Non ci viene alla mente, si annebbia. Poiché la coscienza non vede ciò che è fisso, ma ciò che si muove, ciò che ha un prima e un dopo. La coscienza deve stabilire una relazione spazio-temporale. Tale «strano» fenomeno, conclude Matte Blanco, dovrebbe interessare future ricerche più approfondite, poichè addentrandoci in questo mistero si sarebbe in grado di comprendere meglio la capacità di conoscenza che possiede l’essere simmetrico . 2) Avviene anche il caso contrario, abbiamo detto, e cioè che il pensiero simmetrico si comporti come quello asimmetrico. Ciò accade, in particolare, nel momento in cui deve dividere, separare tra loro le diverse ‘classi’ i cui membri sono trattati come se fossero identici tra loro e identici alla classe stessa. L’essere simmetrico fino ad un certo punto è da considerarsi confusivo, poiché l’inconscio sembra ben capace di differenziare tra gli insiemi e ciò significa che esso adopera relazioni asimmetriche; mentre all’interno dell’insieme o classe sembra uniformarsi al principio di simmetria. 25 D’altra parte […] la simmetria totale coincide con la completa assenza di coscienza e forse della mente.26 Ciò è in stretta corrispondenza coi vari livelli di vivere la relazione con gli oggetti, cioè coi diversi livelli di trattamento del materiale. Se a un livello estremo di superficialità la simmetrizzazione è quasi nulla (poiché gli oggetti sono conosciuti come distinti e separati) […] a un livello ancora più profondo la distinzione tra persone, o tra oggetti, comincia a perdere senso, nella stessa proporzione in cui cominciano a dissolversi le nozioni spaziotemporali. Corrispondentement e, il concetto di aggressività […] comincia a recedere nello sfondo. La fondamentale unità di soggetto ed oggetto si fa sempre più sentire fino a che parlare di identificazione proiettiva non ha più alcun senso; siamo al livello della matrice di base della proiezione e dell’introiezione 27. Appare evidente, dunque, che i due modi di essere trovino spesso dei confini in comune, oltrepassando i quali è facile che l’uno si comporti analogamente all’altro. Se fin’ora si è sottolineata la fondamentale antitesi tra i due modi di pensare ed essere, è giunto il momento di riconoscerne il profondo legame che pure li tiene uniti. Attraverso questa considerazione, che troverà conferma nell’analisi dell’emozione e dei suoi rapporti col pensiero, e poi 24 25 26 27 Ivi, p. 253. Ivi, p. 167. Ivi. Ivi, p. 7. 14 www.ilmondodisofia.it nello studio del fenomeno artistico, ci avviciniamo agli esiti a cui intende condurre questa prima parte: è possibile rintracciare uno spazio molto profondo della psiche in cui logica bivalente e logica simmetrica sono poste su ‘un medesimo livello’. 15 www.ilmondodisofia.it Capitolo Secondo La sfera dell’emozione e il problema dell’arte II.1 Emozione e pensiero Una tappa fondamentale degli studi matteblanchiani è l’analisi del concetto di emozione, in particolare nei suoi rapporti col pensiero, dal quale si distingue caratterizzandosi come un fenomeno sempre «psico-fisico», che non riguarda solo la mente, ma coinvolge l’intera persona, producendo uno stato generale dell’essere che denotiamo come ‘sentimento’ o ‘sensazione’. D’altra parte, ogni emozione è capace di sviluppare pensieri, per cui possiamo scomporre l’evento emozionale in due diversi insiemi di fenomeni: A) una componente che chiamiamo ‘sensazione-sentimento’, che si riferisce un po’ a tutti quei fenomeni più noti dell’emozione; B) una componente che è ‘una forma di p ensiero ’, ossia una forma di stabilimento di relazioni.28 E’ proprio in quest’ultimo punto, cioè nel considerare il pensiero come parte integrante del fenomeno ‘emozione’, che la teoria di Matte Blanco si pone come originale e innovativa in rapporto alle ipotesi precedenti: Tutti sono d’accordo sull’enorme influenza che le emozioni hanno sul pensiero, ma nessuno, per quanto ne sappia, è riuscito a presentare una descrizione comprensibile di come si possa stabilire un legame tra i due, che sono stati c onsiderati come totalmente differenti . Se ora, un aspetto dell’emozione è una forma di pensiero è più facile capire come possa avere intime connessioni con altre forme di pensiero. 29 Tuttavia, mentre lo ‘stabilimento di relazioni’ ha per territorio naturale la coscienza maculare, ossia la pienezza della coscienza, la ‘sensazione’ non vi si trova a suo agio e si situa in uno spazio periferico. E’ un fatto però che la nostra coscienza si annebbi proprio nel momento in cui vuole pensare se stessa: essere consci del nostro essere consci è un fenomeno fugace; «non possiamo soffermarci a contemplare la piena estensione della nostra comprensione, almeno non 28 29 I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., pp. 240, 244. Ivi, p. 270. 16 www.ilmondodisofia.it possiamo farlo in condizioni normali, poiché per cogliere qualcosa la nostra attenzione deve muoversi da un punto ad un altro »30 . E’ probabile che ai mistici accada qualcosa di particolare che realizzi questa evenienza, pensava Matte Blanco. Il pensiero, composto da parti, si sviluppa nel tempo. Attraverso l’esempio del ‘dolore’ (che rappresenta agli occhi di Matte Blanco una ‘sensazione pura’) è lecito considerare la sensazione-sentimento come qualcosa di semplice, come una unità indivisibile. Il pensiero è un processo che accade, si dispiega; la sensazione semplicemente è. L’essere appartiene alla categoria della simmetria, della totalità indivisibile, dell’infinito. L’avvenimento è ciò che si può ricondurre a un processo temporale, a una successione di relazioni spazio temporali. In sé, dunque, la sensazione-sentimento, una delle due componenti dell’emozione, è sentita come un’unità indivisibile, non come una sequenza, e perciò essa è fuori dal tempo, e non si presta al lavoro della ‘coscienza maculare’, che appunto si sposta nel tempo, e che considera la successione delle parti. Lo stabilimento di relazioni (la seconda componente dell’emozione) ha qualcosa di radicalmente diverso dall’ordinario pensiero cosciente. Nella rabbia, nell’innamoramento, nella tristezza, nella paura, Matte Blanco ravvisa alcuni elementi caratteristici, tra cui principalmente il fenomeno dell’irradiazione, per il quale avviene che l’emozione, partendo dall’oggetto che la suscita, si effonde a tutti gli oggetti circostanti che hanno qualcosa in comune con quello. Tale fenomeno è in stretta corrispondenza con quello dell’idealizzazione, il quale affonda le sue radici nell’emozione; ossia nella possibilità di portare all’estremo ed al massimo delle loro potenzialità alcune caratteristiche, in realtà, limitate. Si tratta dell’eventualità di vivere l’infinito nel finito. Nell’‘innamoramento ’ viviamo la bellezza e la gioia al loro massimo grado; nella ‘paura’ spingiamo i pericoli alla loro più elevata condizione; nella ‘tristezza’ ci prende l’infelicità più profonda e totale. Quando proviamo un’emozione verso un dato oggetto (ad esempio una persona) attribuiamo a quest’oggetto la totalità delle potenzialità contenute nella classe in cui abbiamo collocato […] l’oggetto. […] l’emozione non conosce individui ma solo classi o funzioni proposizionali e perciò, confrontata con un individuo, ten de ad identificarlo con la classe cui appartiene.31 E’ evidente la corrispondenza con i principi che reggono la logica inconscia. Perciò, il tipo di pensiero che caratterizza l’emozione è proprio quello che chiamiamo ‘pensiero simmetrico’. Risulta, allora, maggiormente comprensibile lo stretto legame che unisce il pensiero (bivalente) all’emozione: perché è lo stesso legame che tiene insieme pensiero asimmetrico e pensiero simmetrico, logica razionale e logica dell’inconscio. In altre parole ancora, il nodo tra emozione e 30 31 I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 256. Ivi, pp. 269-270. 17 Commento: VD. PARTE TERZA – Riferimenti precedenti (1) Commento: Ecco la differenza tra ESSERE e AVVENIMENTO !!! www.ilmondodisofia.it pensiero è stretto per mezzo del pensiero simmetrico inconscio, che da un lato è risultato essere uno dei due componenti fondamentali dell’emozione, e che dall’altro si è visto essere anacliticamente unito al pensiero classico bivalente. L’identificazione tra pensiero simmetrico e pensiero emozionale ci introduce all’intima connessione che esiste tra l’emozione e il modo di essere simmetrico ed indivisibile.32 Sia dal punto di vista dell’inconscio, sia da quello appena analizzato delle emozioni, si può affermare che le relazioni simmetriche rivelano aspetti oscuri dell’essere dove l’individuo si fonde con gli altri e con l’infinito . Matte Blanco intende però chiarire e approfondire un fatto: All’interno dell’emozione regna il principio di sim metria; nello stesso tempo, poiché diverse emozioni (amore, odio, tristezza, ecc.) si possono chiaramente differenziare l’una dall’altra, è ovvio che questa delimitazione presuppone l’uso di relazioni asimmetriche. Ogni emozione definisce così un territorio limitato all’interno del quale vi è un insieme infinito.33 Questo è un esempio, continua Matte Blanco, di ciò che si è proposto di chiamare insiemi infiniti intensivi. Il regno dell’emozione non è il regno di un solo insieme infinito, ma di numerosi insiemi infiniti; la stessa cosa vale per l’inconscio, come si sarà compreso. Emozione ed inconscio, nella loro totalità sono strutturati come ‘insiemi infiniti’. 32 33 Ivi, p. 278. Ivi, p. 303. 18 www.ilmondodisofia.it II.2 L’esperienza dell’indivisibile nell’opera d’arte L’attenzione per la questione della creazione artistica è solo uno di quegli sviluppi necessari che esige una teoria onnicomprensiva quale si presenta quella di Matte Blanco. Di sicuro, infatti, ciò che all’impatto colpisce di più, quando si ha a che fare con i testi dello psicoanalista cileno, è proprio l’emergere di una fondamentale unità di tutto quanto appartiene all’attività cognitiva ed emotiva dell’uomo, ed alle produzioni che da queste scaturiscono. L’interesse peculiare per la creazione artistica sta nel fatto che è l’esperienza dell’infinito ciò che appare centrale nell’opera d’arte. Esperienza che interessa l’artista quanto il fruitore. Esperienza che in termini matteblanchiani significa evocazione dell’indivisibile, dell’unità primordiale. Un tratto costitutivo della creazione artistica e dell’opera d’arte è di dire di più di quanto non dica esplicitamente: ogni opera d’arte ha attorno a sé un alone di significati apparentemente non visibili ma tuttavia presenti e costitutivi della natura dell’arte. 34 «Questo è un primo aspetto della creazione artistica». Ma «se la parola ‘significato’ si riferisce, come abitualmente, a qualcosa che può essere espresso in termini logico-bivalenti precisi, per esempio quello che si intende quando dico: “sta piovendo”, allora questo non è un aspetto costitutivo-distintivo della creazione artistica né dell’opera d’arte.» 35 Deve accadere che un’espressione costruita coi mezzi della logica bivalente rimandi a qualcosa d’altro, che non appartiene alla precisione della logica bivalente. Diverso è il caso della formulazione scientifica, il cui compito è di dire con precisione soltanto ciò che è già dato abbastanza esplicitamente. Creazione artistica e scoperta scientifica hanno comunque in comune, secondo Matte Blanco, molto più di quanto da questa breve osservazione si possa dedurre. Nelle Riflessioni sulla creazione artistica , attraverso l’analisi di due poesie, Anne di Paul Valery e Alturas de Macchu Picchu di Pablo Neruda36 , Matte Blanco individua quel potere evocatore proprio dell’arte, che, attraverso un linguaggio in tutto e per tutto corrispondente alla logica bivalente – nel caso della poesia di Valery – o frammisto a dei momenti di pura bi-logica – nel caso di Neruda – riesce a far sentire e vivere l’infinito. Se per i testi delle poesie rimandiamo semplicemente ai riferimenti dati in nota, nondimeno è opportuno riportare alcuni passi fondamentali delle considerazioni 34 Cfr. I. Matte Blanco (1986), Riflessioni sulla creazione artistica, in Daniele Dottorini, Estetica ed infinito, cit., p. 53. 35 Ivi. 36 I. Matte Blanco (1986), Riflessioni sulla creazione artistica, cit., p. 54 e p. 65. 19 www.ilmondodisofia.it matteblanchiane in merito. Seguiamo, dunque, il commento di Matte Blanco ad un verso della poesia di Valery: […] egli voleva insinuare che il desiderio sessuale è qualcosa di così intenso da essere partecipe di tutte le violenze degli abissi e di tutte le loro intensità messe insieme […] 37 Poi, più avanti: […] mettendo insieme la violenza di tutti gli abissi si trasmette l’impressione di una intensità tale che punta verso l’infinito. 38 Quindi, in conclusione: […] si dà il caso che l’infinito è, secondo la mia ipotesi, il modo dividente di esprimere l’indivisibile. Questo ci fa capire, ancora una volta, che una funzione centrale dell’opera d’arte sarebbe l’evocazione ed il vissuto dell’indivisibile.3 9 Dunque vivere l’infinito (attraverso un linguaggio poetico altamente asimmetrico) significa, all’interno della teoria di Matte Blanco, vivere l’unità , l’indivisibile, nel modo dividente proprio del nostro pensiero cosciente. Scopriamo che l’opera d’arte, il cui momento centrale è l’esperienza dell’infinito, evoca, ad un livello emozionale, l’esperienza originaria dell’unità col tutto. Ciò che, nell’opera d’arte, il pensiero coglie (potremmo dire ‘escogita’) come infinito, l’emozione lo sente come unità indivisibile, indifferenziabile, totale ed omogenea. L’infinito matematico è un tentativo del pensiero, che è dividente, di esprimere l’indivisibile. […] in qualsiasi insieme di numeri naturali dove vale il principio di simmetria, ogni numero è anche tutti gli altri: modo indivisibile. Questo è incomprensibile per il pensiero. Che cosa fa davanti a un numero che è allo stesso tempo tutti i numeri? La mia risposta: sdoppia questo numero tante volt e quanti numeri contiene l’insieme […]; il processo di sdoppiamento non finisce mai, poiché basta aggiungere una unità a qualsiasi numero naturale per ottenere un nuovo numero: ecco l’indivisibile trasformato in infinitamente divisibile. Quindi, infinito m atematico, struttura bi-logica.4 0 La poesia di Valery ci fa compiere un salto misterioso, da una dimensione asimmetrica, quella del suo linguaggio poetico che si regge esclusivamente sulla logica bivalente, a una dimensione altamente simmetrica, quella in cui tutto il nostro essere si trova proiettato proprio attraverso quel linguaggio. Il bombardamento [di parole e stimoli sul lettore] provoca in lui uno strano fenomeno: pur rimanendo in questo mondo limitato e finito, egli esce da se stesso e si trova, senza dirlo in parole, in un mondo diverso: è qui ed è là, all’altro lato dello specchio […] dove, come negli 37 38 39 40 Ivi, p. 59. Ivi, p. 60. Ivi (corsivo mio). Ivi, p. 51 (corsivo mio). 20 www.ilmondodisofia.it specchi ‘normali’, si è uno solo; assieme a tutti gli altri, si è uno solo: molti sono uno. Totalmente incomprensibile per il nostro intelletto: essere uno pur essendo molti, e simultaneamente essere uno solo. 41 Perciò, secondo Matte Blanco, è possibile che un linguaggio che si mantenga totalmente nella logica ordinaria, bivalente, possa proiettarci all’interno della dimensione dell’indivisibile, che pure, l’abbiamo sottolineato più volte, si basa su un tipo di logica del tutto opposta a quella ordinaria. E’ l’«incantesimo Valery». L’«incantesimo Neruda» presenta, nella sua struttura, qualcosa di diverso da quello dell’artista francese. Nella poesia presa in considerazione da Matte Blanco egli sta già utilizzando un linguaggio altamente simmetrico che agevola e rende più diretto quel passaggio alla dimensione dell’indivisibile. Con l’aiuto di strutture evidentemente bi-logiche (ad esempio, una radicale «pluritemporalità» frammista a momenti di normale temporalità) si vive l’antinomia costitutiva dell’essere. E si partecipa, con l’intensa emozione suscitata, all’unità indivisibile. Ad ogni modo, una delle caratteristiche della creazione artistica è quella di utilizzare un linguaggio ‘bi-modale’. Si intende per ‘bi-modale’, lo abbiamo spiegato prima, qualsiasi struttura di qualsiasi operazione umana tale da rendere manifeste, contemporaneamente, le due opposte ‘ottiche’ attraverso cui conosciamo il mondo. Si tratta, quindi, della possibilità di intravedere, o di ‘sentire’ l’indivisibile, nello stesso momento in cui abbiamo a che fare con del ‘materiale asimmetrico’. Questo non vuol dire semplicemente che la ‘bi-modalità’ corrisponde a una mistura di logica simmetrica ed asimmetrica. Nelle Riflessioni, Matte Blanco ci rischiara le idee. La bi-logica «non è l’unica forma di co-presenza dei due modi di essere dell’uomo e del mondo (modo eterogenico -dividente e totalità omogenea e indivisibile). Non è l’unica forma di bi-modalità. Ne esiste un’ altra: « la bi-modalità logico-bivalente»42 ; la quale è una caratteristica dell’astrazione, della generalizzazione, e anche della metafora, e perciò di un linguaggio artistico simile a quello di Valery. Si tratta di logica bivalente al limite, ‘al margine’. Il caso di Neruda è fondamentalmente diverso. Nella poesia che Matte Blanco ha preso in esame si è riscontrata una bi-modalità bivalente variamente miscelata con forme ad altissima simmetrizzazione, di pura bi-logica, dove il tempo e lo spazio hanno proprio le caratteristiche della logica simmetrica dell’inconscio, dove trovano voce tutta una serie di relazioni simmetriche, simili a quelle della schizofrenia, del sogno, ma comunque date in una maniera diversa. Consiste precisamente in questo la differenza essenziale tra ‘arte’ e ‘patologia’, le quali da sempre, all’interno delle scienze psicoanalitiche, sono state considerate in uno stretto rapporto simbiotico. Nel caso della schizofrenia, dice Matte Blanco, abbiamo una reazione di curiosità davanti allo schizofrenico. V’è forte incomprensione, tranne, forse, che per l’allenato analista. Nel caso dell’opera 41 42 Ivi, p. 63. Ivi, p. 49. 21 Commento: ANCHE QUI UNA NOTA Cfr tutti i testi di Freud e qualche altro… (vd. Biblioteca) www.ilmondodisofia.it d’arte, invece, abbiamo «profondissime reazioni che ci immergono in questa strana mistura di indivisibile e divisibile da cui scaturisce o, meglio, in cui vive, una potente emozione».43 «Questa differenza», approfondisce F. Oneroso, «è data dalla consapevolezza, da parte dell’artista che sperimenta il pensiero-emozione, di stare operando una traduzione, un dispiegamento di esperienze simmetriche in esperienze asimmetriche, simboliche, verbalizzabili (simbolizzabili) in un qualsivoglia tipo di linguaggio, poetico, figurativo, musicale, attraverso il quale, soltanto, possono essere recuperati gli aspetti della logica bivalente e le categorie spazio-temporali che rendono un’emozione comunicabile. Nei processi del pensiero psicotico, al contrario, l’invasione del simmetrico dissolve la dimensione spazio-temporale, rendendola irrecuperabile».44 Rimane, comunque, la constatazione che l’opera d’arte possiede la straordinaria capacità di proiettarci nel mondo dell’emozione (il mondo dell’ indivisibile) anche solo attraverso l’intelletto (attraverso, cioè, la logica bivalente, dividente). Nel fruitore dell’opera come nell’autore, avviene uno strano fenomeno: emozione e pensiero appaiono come un’unica cosa. Pensiero ed emozione risultano co-estesi. In effetti è così, e insieme non esattamente. Il pensiero, dice Matte Blanco, è ‘figlio’ dell’emozione, proviene inevitabilmente, in origine, dalla dimensione più vasta e complessa della «Madre-Regina» emozione, e questa gli ha lasciato la sua eredità. Ma il nostro pensiero non può penetrare le verità dell’essere indivisibile fino in fondo, «nella loro intimità». La spiegazione è semplice: «l’emozione ha molte più dimensioni del pensiero, quindi, quest’ultimo, non può contenerla dentro di sé».45 L’emozione non è pensiero, ma è la madre del pensiero 46. Matte Blanco sottolinea, comunque, che, a prescindere dai casi citati, ciò che caratterizza un’opera d’arte è, in generale, una struttura in cui si presenta qualcosa che è allo stesso tempo espressione di simmetria e di asimmetria; e cioè una struttura bi-logica di tipo ‘Simassi’ (in cui vi è SIMultaneità di ASimmetria e di SImmetria). 47 Sarà, tuttavia, opportuno concludere questo capitolo, che chiude la parte esclusivamente dedicata alle teorie dello psicoanalista cileno, soffermandosi sulle frasi che subito seguono la precedente affermazione matteblanchiana, e che ne costituiscono, anzi, proprio la continuazione: Si noti che non pretendo minimamente dire che questa sia l’unica struttura bi-logica della creazione artistica. Credo, invece, che questo sia un vasto territorio da esplorare. 43 Ivi, p. 70. F. Oneroso, Il problema dell’arte nel pensiero di Ignacio Matte Blanco , in Paesaggi della mente, FrancoAngeli, Milano, 1997, pp. 94-95. 45 I. Matte Blanco, Riflessioni sulla creazione artistica, cit., p. 64. 46 Ivi. Cfr. I. Matte Blanco (1988), Che cos’è la poesia?, in D. Dottorini, op. cit., p.112. 47 Ivi, p. 72. 44 22 www.ilmondodisofia.it […] sembra che le strutture bi-logiche nelle mani di un grande artista […] abbiano un grandissimo potere di far scaturire emozioni intense. Se questo fosse vero, proporrebbe importanti problemi il cui approfondimento potrebbe portare a profonde intuizioni sulla natura bi -modale dell’essere umano.48 48 Ivi, p. 73. 23 www.ilmondodisofia.it Capitolo Terzo La dimensione dell’ascolto musicale e la simultaneità di ‘identico’ e ‘diverso’ III.1 Il problema della creazione artistica a partire dalla teoria della bilogica Gli scritti di Matte Blanco intorno al problema dell’arte, in particolare i due testi Creatività e ortodossia (1975) e Riflessioni sulla creazione artistica (1986), hanno dato vita a una serie di importanti riflessioni, in questi ultimi anni. Attraverso gli studi di F. Oneroso 49 abbiamo la possibilità di approfondire alcuni aspetti del testo Creatività e ortodossia, fin qui poco analizzato, e che più avanti avrà un ruolo determinante. «Pensare l’emozione», afferma la Oneroso, «e tradurla in termini di linguaggio artistico, pittorico, musicale, poetico, ecc., è il compito arduo dell’arte e della creazione».50 Nel suo saggio Matte Blanco intende il processo creativo come un atto drammatico, a cui sono sottese le fantasie di “deicidio”, “autodeificazione” e “annientamento”. «La creatività […] porta con sé la minaccia permanente di annientamento, giacché si collega al primo atto creativo in assoluto che può essere considerato l’identificazione del bambino col seno della madre, atto che comporta una fantasia di “senicidio”, cui consegue l’“autodeificazione”».51 E’ sulla base di una serie di concetti kleiniani cruciali, che Matte Blanco intende affrontare il problema della ‘creazione artistica’. Cercheremo di chiarire il problema in modo sintetico ma essenziale. 52 1) Madre e bambino (ossia, ‘seno’ ed ‘io’) vivono in uno stato di iniziale simbiosi. 2) Dopo le prime frustrazioni e angosce, causate dal distacco del seno dall’io, cominciano a comparire le prime ‘esperienze’ di diversità (dal ‘senomadre’) e di identità (un ‘io’ che non è più seno). 49 F. Oneroso, Il problema dell’arte nel pensiero di Ignacio Matte Blanco , in Paesaggi della mente, cit. 50 Ivi, p. 92. 51 Ivi, p. 93. 52 Cfr. Segal H. (1979), Klein , trad. it. Melanie Klein , Bollati Boringhieri, Torino, 1998. 24 www.ilmondodisofia.it 3) L’ovvia conseguenza di tutto questo è che il bambino tende ad eliminare la causa delle sue frustrazioni, il che significa eliminare la dipendenza dal ‘senomadre’. Ciò avviene attraverso l’identificazione, nella fantasia, proprio col ‘senomadre’. E’ questa identificazione, «questa autoaffermazione come ‘seno’» da parte del bambino, che «rappresenta il primo atto creativo della vita umana», e che starebbe alla base di «ogni attività creativa ulteriore».53 Le conseguenze di un’operazione così ambivalente (si tratta di affermare l’importanza estrema della madre, e, al tempo stesso, la possibilità di farne a meno) portano a una situazione che Matte Blanco definisce “strutturalmente conflittuale”. Possiamo descrivere i due atteggiamenti del bambino attraverso le due proposizioni seguenti: «Recupero il paradiso perduto […]; mi fondo con esso; sono il seno-madre»; e «Non posso fidarmi del seno -madre, […] assumo le sue funzioni; io sono il seno-madre» 54 . E’ proprio quest’ultimo, afferma Matte Blanco, un processo che è «oscuramente sentito come un ‘senicidio’ ed un ‘autosenificazione’»55 , ovvero un’‘auto-deificazione’, poiché il seno, a un livello inconscio, è percepito come ‘Dio’. Ebbene, Matte Blanco conclude che, in ogni futura attività creativa della vita, persiste la complessa situazione legata a questo primo ‘processo creativo’ nato nel mezzo dell’autodeificazione e degli orrori del deicidio e dell’annientamento.56 «Se si crea, si perpetra il deicidio e si corre il rischio di essere annientato dal Dio ucciso. […] Se invece non si fa attività creativ a, questo significa, ai livelli profondi, essere distrutto, perché non creare […] è sentito come non esistere. Così risulta che sia la creazione, come l’astensione da essa, sono minacce permanenti di annientamento. Tale è la condizione umana».57 Concludiamo le sintetiche riflessioni intorno a Creatività e ortodossia con un’importante considerazione di P. Bria: alla base di ogni atto creativo e autoaffermativo starebbe, essenzialmente, la ricaduta nell’essere-uno .58 Appare evidente, infatti, che è principalmente il sentimento di unità con la madre, ciò che è alla base del complesso rapporto di frustrazione, e poi di identificazione, nei confronti del seno-tutto. Si mostra ancora più convincente, perciò, l’idea matteblanchiana che il fondamento di ogni operazione artistica e creativa sta nell’esperienza dell’infinito, ovvero, dell’indivisibile. Ritorniamo alle osservazioni della Oneroso: «Matte Blanco omologa ogni processo creativo ad un atto simbolico, ma lo fa nei termini precisi ad esso 53 I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia , cit., p. 259. Ivi, p. 260. 55 Ivi. 56 Ivi, p. 261. 57 Ivi, p. 262 (corsivo mio). 58 P. Bria, “Introduzione” in I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire ,essere, cit., p. XIII (corsivo mio). 54 25 www.ilmondodisofia.it attribuito dalla psicoanalisi kleiniana»59 . Perciò l’artista oscilla tra l’atto di onnipotenza e l’atto depressivo, entrambi conseguenza del ‘deicidio’. Il suo atteggiamento affonda nell’incertezza e nell’angoscia che sempre accompagna la sua creatività. Nel fruitore si riflette un medesimo sentimento altalenante, dato che, di fronte all’opera d’arte, può guardare all’artista come a un Dio, e di conseguenza autosvalutarsi; oppure può ridimensionarne la grandezza e, dunque, autodeificarsi. La Oneroso commenta la scelta di Matte Blanco di parlare dell’operazione creativa dell’artista come di un vero e proprio ‘incantesimo’, «derivante dal trattare insieme, ad esempio, il tempo e il non-tempo, cioè l’essere nel tempo e al di fuori del tempo»60 . Il musicista e filosofo V. Jankelev itch61 , in tutt’altro contesto, parla di charme, sempre, però, in rapporto al concetto di opera d’arte (soprattutto ‘opera musicale’) come ‘incantesimo’. La parola francese, chiarisce E. Lisciani-Petrini, «conserva nell’etimo, a differenza del suo equivalente italiano (“fascino”), l’antico termine latino carmen, da cui propriamente deriva, e le cui principali accezioni – di “componimento poetico” (“carme”) e di “incantesimo”, ovvero ‘formula rituale incantatoria’ – stanno dunque a significare qualcosa che suscita un’irresistibile attrazione, senza che la ragione possa padroneggiarla o ridurla ai propri schemi»62 . «Ma poi, e soprattutto, Jankelevitch fa riverberare in questo termine anche la lontana espressione plotiniana charis – ossia “grazia” – utilizzata dal filosofo neoplatonico in un passaggio dove intende spiegare con questa qualità, inafferrabile e sfuggente a ogni localizzazione, la caratteristica peculiare del bello». Nel discorso jankelevitchiano si tratta, in particolare, del ‘bello musicale’. 63 La Oneroso affronta il problema principale legato al modo d’essere indivisibile. «L’essere simmetrico sconfina nell’infinito e dunque è di per sé inconoscibile e intraducibile. La domanda che ne consegue, allora, è, anche per quanto riguarda il campo artistico: si può pensare l’impensabile?» 64 Alla questione va affiancata un’osservazione di P. Bria, il quale fa notare che per affrontare fino in fondo l’indivisibile, come afferma Matte Blanco, dobbiamo creare concetti nuovi e tali da permettere al nostro intelletto di usare la propria natura eterogenica nel compito impossibile – per il nostro intelletto – di vivere in qualche modo l’indivisibile. Questo compito deve essere necessariamente affrontato attraverso una collaborazione tra pensiero e sentimento poiché quest’ultimo è il nostro solo modo di essere indivisibili.65 59 F. Oneroso, Il problema dell’arte nel pensiero di Ignacio Matte Blanco, cit., p. 93. Ivi, p. 95. 61 V. Jankelevitch (1961) La musique et l’inef fable, trad. it. La musica e l’ineffabile, Bompiani, Milano, 1998. 62 Ivi, “Nota alla traduzione italiana”, p. XXVII (corsivo mio). 63 Ivi. 64 F. Oneroso, Il problema dell’arte nel pensiero di Ignacio Matte Blanco, cit., p. 96. 65 P. Bria, ‘Introduzione’ in I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire ,essere, cit., p. XIII. 60 26 Commento: Vedi dopo, PARTE TERZA… www.ilmondodisofia.it Concludiamo introducendo alcune riflessioni di Antonio Di Benedetto, al quale dedicheremo speciale attenzione nel prossimo paragrafo. E’ fondamentale ai fini del nostro studio seguire questo particolare percorso ritagliato dallo studioso. Matte Blanco scrive che «la sensazione può fornire l’opportunità di un processo di rêverie vagamente strutturato, che mostra le stesse caratteristiche della logica inconscia ». […] Da questo brano si arguisce l’ipotesi di un’altra forma di conoscenza dell’inconscio, non intellettiva, più vicina all’onirico […]. Tale possibilità di un parlare simmetrico, transitivo, non è né un «parlare di» né un «parlare a», entrambi propri di una logica bivalente, ma un parlare uniformato al modo indivisibile. Nel momento della fruizione artistica e musicale si fa un’esperienza conoscitiva caratterizzata da una scomparsa del linguaggio, da uno sciogliersi delle relazioni asimmetriche di un discorso e si sta immersi in un godi mento di modi indivisibili. Si tratta di un’esperienza simile per tanti aspetti a quella mistica, dalla quale però si differenzia per il fatto che nella mistica ci si tuffa nell’infinito e si prende ad oggetto un referente infinito (Dio, il Cosmo, la Natur a), nell’arte invece non si perde mai del tutto di vista l’orizzonte «eterogenico». L’oggetto dell’arte ha sempre un suo confine, non è mai sterminato. […] nel momento in cui la musica, da linguaggio scritto, si fa suono, la logica bivalente si trasforma in sensazione-rêverie «che mostra le stesse caratteristiche della logica inconscia». In quegli istanti di intensa emozione estetica non è solo l’oggetto artistico che viene goduto, ma anche una parte, solitamente alienata, del nostro inconscio, attraver so una sorta di epifania del modo indivisibile. 66 Approfondiamo, dunque, le considerazioni di Di Benedetto intorno al linguaggio artistico ed, in particolare, a quello musicale. 66 A. Di Bendetto, La psicoanalisi e l’infinito nell’arte. Ricerca di un linguaggio aperto verso l’inconscio , in Il pensiero e l’infinito, Teda, Castrovillari, 1989, p. 165. 27 www.ilmondodisofia.it III.2 Antonio Di Benedetto: da una psicoanalisi dell’arte a una psicoanalisi dall’arte In Prima della parola67 , Antonio Di Benedetto affronta il tema del rapporto tra psicoanalisi ed arte, e tra psicoanalista ed artista . Ciò che risulta più interessante è il cambiamento di prospettiva che egli propone di assumere all’interno di questa fondamentale relazione. E’ necessario passare da una “psicoanalisi dell’arte”, concezione cara a Freud e a molti suoi allievi, in base alla quale si applica la scienza psicoanalitica alle operazioni artistiche, ad una “psicoanalisi dall’arte”. Ad un criterio di analisi, cioè, che sia realmente il tentativo di avvicinare al pensiero psicoanalitico il pensare di tipo artistico. Questa volta attraverso un movimento inverso, per cui «si tratta di applicare la musica alla psicoanalisi» 68 . Durante tutto il percorso del saggio traspare il candore di un ammonimento che è insieme anche esortazione: l’analista ha molto da imparare dall’artista, e, in fin dei conti, tra i due vi è un forte rapporto di somiglianza. Di Benedetto evidenzia più volte il fatto che, comunque, lo stesso Freud aveva tenuto sempre in debita considerazione il ruolo dei poeti, considerati come i «precursori della scienza nonché della psicologia scientifica» 69. D’altra parte, continua lo studioso, è evidente che non fu l’intuizione teorica di Freud a dare il nome al complesso di Edipo, ma che fu la nota vicenda letteraria del mito greco a indicare a Freud una teoria psicoanalitica. La psicoanalisi, perciò, fin dalle sue origini si porta dentro un tratto distintivo: essa proviene da un’intuizione artistica. Accostiamoci, adesso, più da vicino ad alcune considerazioni sui rapporti tra le teorie di Matte Blanco e l’evento musicale. «Nelle sensazioni sono state intraviste, in effetti, da Matte Blanco altre possibilità conoscitive, di carattere p iù simmetrico che asimmetrico», sottolinea Di Benedetto, e si sofferma su un passo molto esplicativo: Sembra che la sensazione possa essere sperimentata in se stessa, senza nessun collegamento con la logica, per esempio nel caso di un dolore. Altre volte, tuttavia, può diventare il punto di partenza di un’elaborazione in termini di logica simmetrica. Così, alla fine, possiamo concludere che la sensazione può apparire da sola, dar luogo ad una percezione o fornire 67 68 69 A. Di Benedetto, Prima della parola , cit. Ivi, p. 160. Ivi, p. 114. 28 www.ilmondodisofia.it l’opportunità per un processo di reverie vagamente strutturato che mostra le stesse caratteristiche della logica dell’inconscio.70 Con queste parole, secondo Di Benedetto, l’autore ammetterebbe la possibilità di sensazioni che entrano nella coscienza a prescindere da ogni relazione. «Una sensazione può affacciarsi “pura” nella mente, sottraendosi alle correlazioni stabilite dal pensiero e, avulsa da ogni logica, stimolare un processo preconoscitivo, “vagamente strutturato” secondo le leggi dell’inconscio. E’ l’idea di un conoscere sensitivo, non fondato su interrelazioni logiche, ma piuttosto su capacità ricettive, che, cortocircuitate dal corpo e dai suoi organi sensoriali, oltrepassano il pensiero razionale. L’esperienza estetica, fondata su una comprensione sensoriale più che mentale, si presenta come un campo privilegiato di indagine, per esplorare una simile maniera di conoscere non concettuale»71 . Per questo Di Benedetto concentra l’attenzione su alcuni aspetti del linguaggio e dell’ascolto musicali, in rapporto alle più importanti conseguenze sulle riflessioni intorno alla bi-logica. Il linguaggio musicale «rivela una struttura improntata alla bi-logica simmetria/asimmetria. Il ritmo e la melodia ne costituiscono le componenti asimmetriche. Essi prevedono uno svolgimento diacronico che tiene conto di una scansione temporale, di un prima e un dopo, l’armonia è invece prevalentemente sincronica, tende ad annullare le differenze temporali, ne costituisce perciò la componente simmetrica».72 La musica può dunque essere definita una ‘struttura bi-logica simassi’, e poiché anche l’inconscio e l’emozione sono tali, deduciamo un importante isomorfismo tra ‘linguaggio musicale’ e ‘realtà emozionali profonde’. Se l’attività compositiva è regolata da evidenti processi asimmetrici, […] nel momento in cui si fruisce della musica, quando se ne fa l’esperienza di ascolto, tutto ciò che appartiene alla struttura del linguaggio musicale, la notazione, la misura, il movimento, il tempo, ecc., tende a diventare una cosa sola. […] Abbiamo, quindi, una produzione del modo eterogenico che conduce a una particolare conoscenza-fruizione del modo indivisibile.73 La musica, continua Di Benedetto, «consente una simultaneità di discorsi, per cui riesce a far parlare più voci contemporaneamente, senza generare confusione. […] Che sia una “fuga”, un “contrappunto” o un “concertato”, ogni linea sonora conserva la sua riconoscibile identità, al lume della logica asimmetrica. Mentre, sul versante del puro e semplice ascolto, le componenti ritmiche, melodiche e armoniche di questi pezzi d’assieme vengono esperite come un tutt’uno […]» 74 . Di Benedetto dedica una sezione del suo saggio al rapporto tra ‘melodramma’ e psicoanalisi. Il compositore musicale, viene fatto notare, «compie un lavoro simile 70 71 72 73 74 I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 96. A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 88. Ivi, p. 89. Ivi, p. 90. Ivi, p. 91. 29 www.ilmondodisofia.it a quello del sogno», che si ripercuote, ovviamente, anche a un livello di ‘fruizione’. Riportiamo, in particolare, tre momenti essenziali: fa in modo che gli accenti musicali abbiano una certa mobilità e possano spostarsi, così come accade nei sogni, laddove gli accenti psichici vengono spostati da una figura all’altra, da una parola a un’altra o da una sillaba all’altra, celando o svelando particolari significati; condensa l’universo affettivo del personaggio, facendogli assumere una particolare intensità e realizzando una sorta di espressione corale e simultanea dei suoi vari affetti; determina una sospensione dell’azione, che annulla la dimensione spazio-temporale della vicenda, trasferendo il tutto in una dimensione vissuta, in cui non ha più alcuna importanza la collocazione spaziale e in cui il tempo non è più quello cronometrico, ma diventa flessibile e può essere dilatato o accorciato. 75 In definitiva la musica sa esprimere quella che è una realtà dell’inconscio: la copresenza e la confluenza di sentimenti diversi. Ancora, Di Benedetto evidenzia che «la “condensazione” nella musica è facilmente riscontrabile in un qualsiasi procedimento armonico. L’accordo riunisce una certa quantità di note, esprimendo una simultaneità di suoni che perciò si trovano condensati tutti e insieme in un unico istante, in uno stesso spazio»76 . Per quel che riguarda la “co-presenza dei contrari”, la musica è capace di comunicare l’assenza di contraddizione tra gli opposti attraverso l’uso contemporaneo di voci diverse, talora addirittura dissonanti , ma che tuttavia appartengono al medesimo insieme sonoro. E’ capace di dire «ciò che non può esser detto altrimenti; e non può perché quell’“altrimenti” è il linguaggio discorsivo della ragione, che separa gli opposti e li dichiara incompatibili»77 . Infine, le due dimensioni dello spazio e del tempo acquisiscono un senso radicalmente paradossale. Se da un lato appare inconfutabile che la musica si estende spazialmente per mezzo della scrittura sul pentagramma e soprattutto quando se ne considera la propagazione acustica, dall’altro è evidente che essa trascende, a un livello di puro ascolto, ogni spazio, non venendo ad occupare alcun luogo reale. Si tratta chiaramente di uno ‘spazio’ che va situato al di là di quello tridimensionale. In secondo luogo la musica, che appare il fenomeno artistico più tipicamente ‘temporale’, basandosi sui concetti di intervallo, successione, ecc., contemporaneamente è in realtà il più sofisticato strumento di soppressione del tempo. La musica ce ne fa perdere ogni cognizione. Forse l’essenza stessa della musica di ogni epoca e di ogni luogo è stata, e sarà, la proiezione in una dimensione atemporale, nel momento stesso in cui si configura come un fenomeno che avviene necessariamente all’interno di un certo intervallo di tempo. 75 Ivi, p. 202. Ivi, p. 204. A. Romano, Musica e Psiche, in Le forme dell’immaginario. Psicoanalisi e musica , Moretti e Vitali, Bergamo, 1998, p. 97. 76 77 30 www.ilmondodisofia.it III.3 La musica e l’individuazione di una dimensione ‘auditiva’ della psiche. Attraverso le considerazioni di Di Benedetto ci accingiamo ad esplorare una dimensione della psiche che mai, forse, è stata considerata in tutta la sua straordinaria portata. «Ci mancano adeguate teorie dell’ascolto», stigmatizza lo studioso nella ‘Premessa’ alla Parte Quarta del suo lavoro78 . Quelle che abbiamo, come la teoria dell’“attenzione fluttuante” di Freud, del “terzo orecchio” di T. Reik, o della “rêverie” di Bion, sono appena abbozzate e risultano insufficienti a contenere l’ampia gamma di esperienze di ascolto che si fanno nella stanza di analisi. […] lo specifico della psicoanalisi ha continuato a essere individuato nella parola e in una inclinazione razionalistica di fon do, ereditata dalla ben nota affermazione di Freud “portare l’Io laddove era l’Es”. Il suo principale obiettivo è rimasto ancorato alla comprensione intellettuale e verbalizzabile di fatti irrazionali.79 Accade che la psicoanalisi tenda alla ricerca di un contenuto latente anche laddove, come nella musica, non ve n’è alcuna traccia. Per molti musicologi, filosofi del linguaggio e dell’estetica, afferma Di Benedetto, la musica è “arte tautologica”, cioè tende a rimandare esclusivamente a sé, e a nulla che le sia esterno80 . Per cui l’approccio psicoanalitico classico, concentrato sullo svelamento di un mondo rimosso, si è ridotto a occuparsi dei libretti d’opera.81 Per questo, e dopo i contributi di autori come Bion e Matte Blanco, che hanno approfondito il concetto di inconscio fino a configuralo come un mondo multidimensionale, ‘simmetrico’, il cui linguaggio è tipicamente a-verbale e pre-verbale, per questo, dunque, accanto alla tradizionale ‘epistemologia investigativa ’, se ne va affiancando, da qualche tempo, una di tipo ‘costruttivistico’, che dà vita a una psicoanalisi ispirata dall’arte. Introdotta nelle sue linee essenziali la questione che più è cara a Di Benedetto, ci inoltreremo adesso lungo il percorso che direttamente ci interessa. L’arte musicale presenta una naturale e sostanziale doppiezza . Se ne è avuta conferma a proposito della simultanea presenza di aspetti simmetrici ed asimmetrici, come abbiamo accennato in precedenza. Di Benedetto individua altre coppie di opposti al suo interno: regressione/progresso, esterno/interno, 78 79 80 81 A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 159. Ivi. Cfr. V. Jankelevitch, op. cit. A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 161. 31 www.ilmondodisofia.it diacronia/sincronia, temporalità/atemporalità. Ci sembra di non errare nel ricondurre tale ‘sostanziale doppiezza’ a un fatto fondamentale: […] la musica sembra offrire un mezzo espressivo, più adatto delle parole, agli inafferrabili contenuti dell’inconscio, collocandosi fra l’ordine dei linguaggi articolati e il disordine dell’asimbolico, fra la chiarezza dei contenuti di coscienza e l’oscurità della dimensione inconscia, in una sfera intermedia , in cui coesistono attività organizzative razionali e vissuti di continuità indistinta. 82 Insomma la dimensione del ‘sonoro’ possiede chiaramente una posizione mediana fra lo spazio dell’inconscio simmetrico e il pensiero razionale e discorsivo. Luogo d’elezione dunque di una confluenza di asimmetrico e simmetrico. E’ quanto andremo appurando e confermando d’ora in avanti. Cominciamo allora con alcune riflessioni che intendono mostrare come al padre stesso della psicoanalisi non era sfuggita la posizione particolare che sembra rivestire il suono nei complicati rapporti tra coscienza e inconscio. Nel saggio Psicoterapia83 , del 1904, Freud cita un passo dell’Amleto, in cui è chiara la convinzione che gli affetti e i sentimenti più profondi non parlano, ma suonano e possono essere fatti suonare da qualcun altro. Di Benedetto, ancora, evidenzia che in una lettera a Fliess, del 1901, «Freud paragona l’analista a un abile musicista che suona sulla psiche del paziente in modo tale da creare una composizione armoniosa».84 Finalmente, ne L’inconscio, del 191585 , Freud afferma che la rappresentazione inconscia è priva di parola, è soltanto una rappresentazione della ‘cosa’. Essa «consiste nell’investimento, se non delle dirette immagini mnestiche della cosa, almeno delle tracce mnestiche più lontan e che derivano da quelle immagini». G. Pulli sostiene che «la rappresentazione della parola […] appartiene – invece – alla sfera del suono. E la coscienza, in quanto aggiungersi della rappresentazione della parola alla rappresentazione della cosa, appare come un sovrapporsi a qualcosa che appartiene alla sfera dell’immagine di qualcosa che appartiene alla sfera del suono».86 Se però l’immagine, o meglio un ‘pensare per immagini’, è più vicino ai processi inconsci, il suono è la più propria condizione della funzione linguistica, poiché è il più originario luogo di trasposizione di un determinato contenuto di intuizione o sentimento; contemporaneamente, il suono, in sé, è ‘il mezzo’ (per eccellenza) estraneo a qualsiasi contenuto.87 All’interno di uno spazio intermedio, e assai primordiale, in cui confluiscono il profondo essere simmetrico dell’inconscio e il pensare discorsivo-asimmetrico 82 Ivi, p, 165 (corsivo mio). S. Freud (1904), Über Psychotherapie, trad. it. Psicoterapia , OSF, vol. 4, p. 429. 84 A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 174. 85 S. Freud (1915), L’inconscio, cit., p.49. 86 G. Pulli, Freud, Cassirer, Kandinsky. L’in conscio, le parole, le immagini, in ‘Uomini e idee’, a cura di C. Piancastelli, Alfredo Guida, 1998, n° 4, p. 55. 87 Ivi, p. 59. Cfr. E. Cassirer (1959), Sprache und Mythos, tr. it. Linguaggio e mito, il Saggiatore, Milano, 1976, p. 132. 83 32 Commento: Vedi di inserire quell’affermazione di Freud (vd. Pulli) in cui si dice che la cosa e la rappres. della cosa… www.ilmondodisofia.it della coscienza, si pone, dunque, un ‘pensiero sonoro/auditivo’ accanto ad un ‘pensare per immagini’, e forse il primo soggiorna in una sfera ancora più privilegiata dell’altro. F. Oneroso ha osservato che l’opera d’arte, in generale, appare «rivelatrice dell’indivisibile, quindi dell’impensabile e dell’indicibile, ma è al tempo stesso espressione del divisibile, quindi della ol gica aristotelica bivalente, in quanto questa è l’unica in grado di esprimere in qualche modo aspetti dell’indivisibile. L’opera si situa, quindi, nel nucleo d’appartenenza simultanea alla dimensione simmetrica ed asimmetrica, e – in virtù di tale appartenenza – appare come un’esperienza-rivelazione della comunicazione tra infinito e finito attraverso l’emozione che la genera e a cui essa rinvia» 88 . Di Benedetto giunge ad affermare: In una porzione della mente analitica sono convinto che lavori un pensiero di tipo musicale, anche in chi non possiede particolari competenze musicali. Qui vengono a risuonare le “voci di dentro” del paziente. 89 In più, la considerazione che «la musica infra-verbale affonda le sue radici nelle prime esperienze comunicative tra madre e figlio»90 , ci rimanda direttamente alle osservazioni di Matte Blanco di Creatività e ortodossia 91 , in cui, come si è visto, viene analizzato il momento fondamentale del ‘sorgere della coscienza’, proprio per mezzo della primordiale relazione con la madre: a questo punto, si può ipotizzare che la prima esperienza relazionale (in cui un ‘Io-esterno’ si è riconosciuto come distaccato dall’Io-madre) abbia interessato proprio quella ‘porzione di mente musicale’ ipotizzata da Di Benedetto, e che perciò la prima relazione (lo stabilimento cioè di una proto -differenziazione tra sé e altro) avvenga ad un livello acustico di suono e di voce, prima ancora che di sensazione o di immagine. Si tratterebbe, d’altra parte, semplicemente di una ‘sensazione pura di tipo auditivo’. Si rende necessario, a questo punto, improntare un discorso che approfondisca questo aspetto che abbiamo chiamato ‘sorgere della coscienza’ 88 89 90 91 F. Oneroso, Pensa re e sentire l’arte, in AA.VV., L’inconscio antinomico, Angeli, Milano, 1999. A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 194. Ivi, p. 195. I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia , cit. 33 www.ilmondodisofia.it III.4 ‘Creatività e ortodossia’: il sorgere della coscienza. Si è già accennato alle concezioni kleiniane che fanno da sfondo al saggio Creatività e ortodossia , in cui Matte Blanco risale alle radici della nascita della coscienza, riscontrando che la prima relazione in assoluto, la quale deve la sua origine ad una primordiale frustrazione, sarebbe “essere differente da”, per cui richiederebbe, in una certa misura, i concetti di “io” e di “altro” (in questo caso il “seno”). Il primo pensiero prenderebbe dunque la forma di: “io sono differente dal seno”. La frustrazione, derivante dal distacco della madre-seno, «fa sì che sin dall’inizio l’‘altro’ sia sentito come un tutto onnipotente, che può lenire l’oscuro dolore del bambino. A conseguenza di ciò, e galleggiando al di sopra di tutte le relazioni appena descritte e mischiandosi con esse, sarebbe la seguente relazione: “io sono diverso dal tutto”, la quale porterebbe come conseguenze altre due: “io mi fondo con il tutto, ritorno al tutto”, e “io sono il tutto”»92 . «Una volta accesa la prima luce del pensiero […] il mondo si apre immenso davanti alle possib ilità del conoscere, alle possibilità del pensare, il quale non si fermerà più. Una volta entrati in questo terreno, possiamo dire con Wittgenstein: “Il mondo si divide in fatti”».93 E’ l’alba del pensare. La comparsa del principium individuationis. La distinzione tra ‘sé’ ed ‘altro’. L’altro è il sentire proprio del sè, il suo proprio modo di essere simmetrico in uno stato di purezza totale (senza contaminazioni asimmetriche) e che ora, retrospettivamente, appare come due cose diverse: un seno-io e un seno-esterno. Per prima cosa, il modo di essere asimmetrico ‘ci vede doppio’. Sente di “essere differente da” un ‘seno -esterno’; e, insieme, ricorda di “essere tutt’uno con” il ‘seno-io’. Risulta che il «primo atto di traduzione del modo di essere simmetrico in termini di asimmetria rivela qualcosa che sembra falso, ma che, forse, punta su una verità di certi livelli più profondi dell’essere: l’unità di tutti gli esseri, al di là dell’individualità di ognuno di essi». Quando il modo di essere asimmetrico considera l’altro come qualcosa che in realtà è esso stesso, sta captando l’unità essenziale del bambino con la madre al livello del sentire, e sta esprimendola nell’unico modo in cui può farlo: dividendoli, separandoli. In questa divisione, però, non può, senza rendersene conto, fare a meno di riconoscere implicitamente l’unità: l’atto stesso della separazione è affermato attraverso la scelta di una ‘parte’ di se stesso , che è, paradossalmente proclamata diversa da se stesso; in altre parole, volendo dividere, non divide.94 92 93 94 I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia , cit ., p. 265. Ivi. Ivi. 34 www.ilmondodisofia.it E’ interessante, a questo punto, seguire la via suggerita da G. Pulli 95, che affianca alle considerazioni ricavate da Creatività e ortodossia , alcuni importanti passi de L’inconscio come insiemi infiniti. Si tratta di quel peculiare fenomeno, a cui abbiamo già accennato, per il quale la coscienza pone come oggetto di pensiero se stessa. La coscienza sarebbe, secondo Matte Blanco, simile ad uno specchio, che fa apparire dentro di sé cose esterne a sé. Nel caso particolare, in cui la coscienza si trova di fronte a sé stessa, si tratterebbe dello specchio medesimo che viene riflesso in se stesso, proprio come se fosse un oggetto esterno. Perciò la coscienza si rende conto, all’improvviso, dell’esistenza di questo specchio (cioè di sé). E’ l’attimo in cui essa viene meno, in cui, si direbbe, svanisce nell’inconscio. Pulli si sofferma su un passo de L’inconscio come insiemi infiniti : Quando pensiamo, esercitiamo tutta la nostra attività cosciente. Quando, però, ci soffermiamo a considerare il processo stesso del pensiero e pensiamo che siamo noi che stiamo pensando, quando, in altre parole, cerchiamo di cogliere questa importantissima caratteristica del pensare nella sua interezza, nella sua pienezza, troviamo che la nostra coscienza è qualcosa di fugace, di mai completamente afferrato. In altri termini: quando vogliamo diventare pienamente consci del nostro essere consci, la nostra coscienza di essere consci si annebbia. Possiamo diventare consci di essere consci solo in un modo tangenziale, passegge ro, fugace; non possiamo fermarci e restare a contemplare la piena estensione della nostra comprensione, almeno non possiamo farlo in condizioni normali. 96 In quell’attimo , entra in campo un altro metaforico specchio, tale che, posto davanti al primo, ne rivela la presenza. La coscienza ‘si vede’ come esterna. Si sorprende a trattare se stessa come altro. Ma l’attimo, dicevamo, è sfuggente, e la coscienza subito si annebbia, sprofondando nell’inconscio.97 Matte Blanco, dunque, si era concentrato da un lato, come abbiamo osservato nelle affermazioni di Creatività e ortodossia, sull’attimo del sorgere della coscienza (del pensiero asimmetrico) dalla purezza inconscia del modo d’essere simmetrico. Si è visto come, attraverso un ‘errore’ originario, la coscienza si era sospinta oltre i suoi limiti, nell’identificazione tra ‘io’ e ‘altro’, tra ‘interno’ ed ‘esterno’. Dall’altro, nei passi de L’inconscio come insiemi infiniti, lo psicoanalista si era imbattuto, invece, «nell’opposta circostanza del venir meno della coscienza , nell’attimo in cui questa svanisce nell’inconscio». «Come è immediatamente evidente», sostiene Pulli, «questo sguardo costituisce la testimonianza più attendibile e più preziosa sulla realtà dell’inconscio. Ora, ciò 95 G. Pulli, L’enigma della simmetria , FrancoAngeli, Milano, 1999. I. Matte Blanco (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, cit., p. 256. 97 Matte Blanco non parla solo di pensiero del pensiero, ma anche di pensiero dell’emozione (cfr. L’inconscio come insiemi infiniti, cit., e Riflessioni sulla creazione artistica, cit., pp. 71-72). Entrambe sono esperienze fuggevoli, in cui la coscienza subito sprofonda nell’inconscio. Ogni volta che il pensiero rivolge la sua attenzione a se stesso o a qualsiasi esperienza psico-emozionale, esso finisce per ‘riflettersi in sé medesimo’ (identificando interno ed esterno ), e gli risulta impossibile persistere in uno stato simile. 96 35 www.ilmondodisofia.it che a tale sguardo si rivela è la circostanza che ciò che alla coscienza, in virtù della sua natura, appare esterno è invece interno».98 In conclusione i due momenti, quello della coscienza che sente l’altro come sé, e quello in cui la coscienza tratta ‘se stessa’ come ‘altro’, ci presentano chiaramente il fenomeno per cui interno ed esterno, identico e diverso, finiscono per coincidere. Gli analoghi ‘errori’ in cui incappa la coscienza, quando si verificano questi due fenomeni ‘al margine’, rivelano una verità di certi livelli più profondi: l’esterno è identico all’interno e viceversa. Il che equivale a dire che tutte le relazioni asimmetriche vengono trattate come se fossero simmetriche. ‘Interno’ ed ‘esterno’ si mostrano come eventi simultanei. Siamo, perciò, giunti a rintracciare al possibilità di una definizione non anaclitica del principio di simmetria, dato che non esiste più la necessità di considerare il modo d’essere asimmetrico come anteriore (sia a livello cronologico che di valore) rispetto al modo simmetrico. 98 G. Pulli, L’enigma della simmetria, cit., p. 53. 36 www.ilmondodisofia.it III.5 Identità e diversità intervengono simultaneamente. Le riflessioni di Pulli ci guidano verso il cuore di un’importante questione. E’ possibile una definizione non anaclitica del principio di simmetria? E quindi, è riscontrabile una traccia dell’esistenza di quella ‘super-logica unitaria’ auspicata da Matte Blanco? Siamo giunti a rintracciare uno spazio in cui ‘interno’ ed ‘esterno’, ‘identità’ e ‘diversità’ intervengono simultaneamente. E’ per questo, dice Pulli, che la sfera dell’indistinzione e quella della distinzione non risultano più su due livelli diversi: «il principio di simmetria risulta del tutto emendato dal limite dell’anacliticità»99 . Adesso l’identità e la differenza, l’unità e la molteplicità, sembrano essere ricondotti ad una stessa radice, e non a due differenti forme, quali la ‘totalità indivisibile’ e il ‘modo eterogenico -dividente’. Vi sarebbe una sfera, secondo Pulli, ancor più profonda di quella della totalità indivisibile, «una sfera in cui il sé e l’altro, l’interno e l’esterno, appaiono come la stessa cosa e insieme come due cose diverse»100 . E’ il livello in cui il principio di simmetria e la logica bivalente non solo agiscono contemporaneamente (ciò che accade anche nelle strutture Simassi), ma si trovano realmente fusi insieme, poichè distinguibili ed insieme indistinti. Nelle strutture bi-logiche Simassi avveniva che i due modi di essere e di sentire il mondo si mostravano contemporaneamente, mantenendosi separati: due ottiche, due punti di vista distinti e opposti, che camminavano su binari paralleli nello stesso momento.101 Ora, ciò che si sta descrivendo, è molto più di tutto questo; le due prospettive sono fuse in un’unità originaria. Dalla nostra ottica, adesso, il principio di simmetria non appare più come qualcosa che è descrivibile solo perché si oppone ai principi della logica classica, che invece divide e separa. Nel fenomeno dell’origine della coscienza, si è notato come, invece, fosse proprio il modo asimmetrico a trovarsi in un ruolo deficitario rispetto all’essere simmetrico, in quanto finiva per esprimere l’unità primordiale del bambino con la madre attraverso l’unica via che gli è concessa: separandoli, dividendoli. L’atto stesso della separazione veniva affermato attraverso la scelta di una ‘parte’ dell’io, che, paradossalmente era proclamata diversa dall’io stesso; non potendo far altro che dividere, incappava in un ‘errore logico’, e, senza volerlo, finiva per rilevare la verità originaria dell’indivisibile.102 99 Ivi, p. 57. Ivi. Cfr. la nota 3, riportata, alla fine dell’affermazione, dallo stesso Pulli. Vd. infra, Parte Prima, I.4, p. 19. 102 I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia , cit., p. 266 (corsivo mio). 100 101 37 www.ilmondodisofia.it Tutto questo ci rimanda direttamente alle considerazioni di Matte Blanco a proposito di una ‘super-logica’ strutturata in maniera «che comprenda i due modi, o rispettivamente, le due logiche come parti integranti di un modo o di una logica più generali. […] Possiamo dire che i due modi o le due logiche appaiono mescolate come l’azoto e l’ossigeno nell’aria, ma non si combinano mai per formare, come nel nostro esempio, una nuova sostanza come il biossido di azoto.»103 . Ci è sembrato, finalmente, di aver intravisto qualcosa che assomigli a questo simbolico ‘biossido di azoto’. Rimane comunque un’importante scoperta: il principio di simmetria si è mostrato, finalmente, come il principio più originario, più elementare e più profondo della psiche. 103 I. Matte Blanco (1975), Pensare, sentire, essere, cit., p. 106. 38 www.ilmondodisofia.it Parte Seconda Elementi essenziali di acustica La filosofia musicale di Arnold Schönberg Vorrei che in me si vedesse una cosa, la cosa a cui aspiro: essere espressione in suoni dell’anima umana e del suo anelito a Dio. Arnold Schönberg 39 www.ilmondodisofia.it Premessa Il fenomeno naturale della propagazione di un’onda sonora e i ‘suoni armonici’ Saranno ora introdotte alcune importanti nozioni di carattere fisico, acustico e, in generale, musicale; tale breve parentesi è da intendersi come propedeutica ai successivi capitoli dedicati all’operazione artistica del compositore viennese Arnold Schönberg. “Nota” è il nome del simbolo grafico designante un suono musicale e il suo valore relativo di durata. Il ‘suono’ è un effetto conseguente alla propagazione di un’onda elastica, chiamata ‘onda sonora’, la cui caratteristica principale è quella di possedere una peculiare frequenza. I suoni si possono distinguere tra loro, principalmente, per la diversa frequenza. Ogni nota de-signa un suono. L’onda sonora nasce da vibrazione, dunque da movimento; precisamente dalle vibrazioni di un corpo elastico. Suono ‘determinato’ è quello le cui vibrazioni sono ‘regolari’ (come avviene in una corda tesa quando è pizzicata); suono ‘indeterminato’ (o più notoriamente ‘rumore’) è quello le cui vibrazioni sono ‘irregolari’ (come può avvenire se si percuote una scatola). L’onda sonora, come tutte le onde elastiche, rappresenta la propagazione di una perturbazione, con trasporto di energia meccanica e non di materia. Questo è importante: l’aria ‘trasporta’ una quantità di energia meccanica, attraverso l’oscillazione delle sue particelle intorno alla loro posizione di equilibrio. Non è l’aria che si muove. E’ l’energia impressa alla corda che si propaga, attraverso l’aria. Una chitarra non emetterebbe suono se attorno vi fosse il vuoto.104 Il suono è formato da alcune componenti caratteristiche: l’altezza o frequenza , è data dal numero di vibrazioni prodotte nell’unità di tempo (più alto è questo numero più si dice che il suono è acuto ); l’intensità, per cui a una maggiore ampiezza del suono corrisponde maggiore forza; il timbro , che a parità di frequenza e intensità fa sì che lo stesso suono appaia di natura diversa a seconda dello strumento considerato. Il fatto che vi sia un timbro differente a parità delle altre due condizioni, è indirettamente collegato al fenomeno degli armonici, che tra poco approfondiremo. I suoni sono potenzialmente infiniti. Ogni limitazione dipende dall’orecchio umano. Non solo esiste una restrizione a livello di ‘spettro udibile’ con dei valori di massimo e di minimo all’interno del nostro campo di percezione acustica. Vi è 104 Il fatto che un’onda sonora abbia bisogno di un mezzo per trasmettersi la caratterizza come un’onda meccanica. Ciò la differenzia dalle onde elettromagnetiche, che non hanno bisogno di alcun mezzo per trasmettersi, dato che utilizzano i campi elet trici e magnetici. Un campo elettromagnetico si diffonde anche nel vuoto. Cfr. Caforio-Ferilli, Physica, Milano, Le Monnier, 1994, vol. 2, cap. 2. 40 www.ilmondodisofia.it poi la limitazione a distinguere due suoni che posseggano frequenze vicinissime ma diverse tra loro per un valore minimo. Anche le note sarebbero infinite. Tra un DO e un DO# vi sarebbe una discreta gamma di altri suoni ‘an -notabili’. Ogni suono ha una caratteristica straordinaria. E’ capace di ‘indurre’ alla vibrazione, e quindi all’emissione di suono, un corpo che ne sia potenzialmente capace. Direttamente legata a questa caratteristica se ne affianca un’altra ben più straordinaria: ogni suono ‘possiede in sé altri suoni’. Il fenomeno degli armonici è molto noto, anche tra quelli che pochissima dimestichezza hanno con la musica. Per spiegare in cosa consistano gli ‘armonici’ dobbiamo tenere presente che, in genere, i suoni non sono mai ‘puri’, cioè il diagramma temporale dell’onda sonora che li caratterizza non è mai una semplice sinusoide. Nella maggior parte dei casi, perciò, un suono è prodotto dalla sovrapposizione di più suoni semplici, di cui quello con frequenza più bassa è chiamato fondamentale o primo armonico. I rimanenti suoni semplici che compongono quello composto, e le cui frequenze sono multiple intere della frequenza fondamentale, vengono chiamati ‘armonici superiori’. In effetti, avviene proprio che la ‘naturale inclinazione’ ad intendere come con-sonanti due note, deriva dall’appartenenza di una di esse ai primi ‘armonici superiori’ dell’altra. Facciamo un esempio. La nota fondamentale DO è costituita anche dalle altre note SOL e MI. Questo perché SOL è un armonico superiore della nota DO, così come lo è la nota MI, che nella scala degli armonici segue di poco il SOL. In gen erale si dice che rispetto alla nota fondamentale, hanno una buona consonanza la quinta giusta e la terza maggiore della scala (appunto, nell’ordine, SOL e MI). E prima ancora di queste l’unisono e l’ottava (rispettivamente, un DO della stessa altezza e il DO che si ripete al termine della scala, ad un’altezza maggiore). Quanto affermiamo è meglio comprensibile se confrontato con la fig. 1. Ora, è necessario domandarsi se un suono sia costituito da un numero finito di suoni semplici (armonici), e, se così fosse, dovremmo cercare di stabilire quali e quanti essi sono. Non è difficile dimostrare come in ogni nota in qualche modo riecheggi l’infinità delle note esistenti: il ciclo delle quinte sembra preannunciare tale fatto. Se nel DO vi è la quinta giusta SOL, e in SOL è la quinta giusta RE, nel DO è anche il RE. Il ragionamento si estende automaticamente all’intero ciclo delle quinte, che comprende tutte e dodici le note della scale cromatica occidentale. Tutti i dodici suoni semplici, cioè i dodici armonici, sono riscontrabili come costituenti di un’onda sonora, anche se, a mano a mano, i successivi risulteranno sempre più impercettibili. La figura 1, riportata sotto, mostra la serie degli armonici prodotta dalla quarta corda del violoncello (DO). 41 www.ilmondodisofia.it Figura 1 La cosa interessante è che i sedici suoni armonici prodotti corrispondono alle seguenti note: DO, DO, SOL, DO, MI, SOL, SIb, DO, RE, MI, FA#, SOL, LAb, SIb, SI, DO. All’interno del DO, dunque, riscontriamo la presenza di DO, SOL, MI, SIb, RE, FA#, LAb, SI. Per via teorica, immaginando una corda più lunga (e dunque maggiormente divisibile) di quella considerata, è possibile aggiungere a questa serie di sette suoni anche i cinque rimanenti, corrispondenti alle note di DO#, Mib, FA e LA. Un suono finisce per possedere, dentro sé, ogni altro suono della scala cromatica; e anche di più.105 Sulla base di considerazioni simili, Schönberg giungeva ad affermare che «tra consonanza e dissonanza v’è solo una differenza graduale» e che d i conseguenza «non esistono suoni estranei all’armonia, poiché l’armonia è fondata da qualsiasi sonorità simultanea di più suoni» 106 . E’ interessante notare che, nell’esempio riportato, gli armonici 7°, 11° e 14° sono ‘calanti’ rispetto alla nostra scala temperata; mentre è ‘crescente’ il 13°. A dire che quello che sul pentagramma, per esempio, è segnato come SIb (7° armonico), è in realtà un suono che sta tra il LA e il SIb, suono che il nostro sistema musicale occidentale non tiene in considerazione nell’applicazione pratica, cioè nell’esecuzione, ma solo in via teorica, e che viene indicato come ‘terzo di tono’ o ‘quarto di tono’ oppure con una frazione più piccola. Il ‘vibrato’, in tale senso, si pone come l’oscillazione intorno a un intervallo che comprende ‘qualcosa prima’ del suono annotato sul pentagramma e ‘qualcosa dopo’. Il ‘glissando’ scandaglierebbe l’intera gamma di suoni compresi in un intervallo di semitono, ma in maniera veramente impercettibile. Altre culture usavano, e usano correntemente, questi suoni non contemplati dal sistema musicale occidentale, ma capaci di essere distinti. 105 Cfr. L. Rognoni, Introduzione, in A. Schönberg (1922), Harmonielehre, trad. it. Manuale di armonia , il Saggiatore, Milano, 1997, pp. XXXII, XXXIII, XXXIV. «Il fenomeno della risonanza […] realizza tutta la gamma dei suoni nella totalità delle frequenze. Se si procede infatti oltre la convenzionale serie dei primi sedici armonici, si ottiene una gamma enarmonico-cromatica infinita». 106 Ivi, p. 401 (corsivo mio). 42 www.ilmondodisofia.it Queste constatazioni ci permettono di affermare che, addirittura, non soltanto sono compresi, all’interno di un suono, in varia misura, tutti i dodici suoni dell’ottava, ma anche quegli altri che stanno all’interno dell’intervallo di semitono. Un suono contiene tutti gli altri. Una nota sta scrivendo tutte le altre, in qualche modo. Tutti i suoni stanno compartecipando a quell’unico ‘fondamentale’. La nota predominante è l’unica che maggiormente e più concretamente riusciamo ad ascoltare, ma sappiamo, adesso, che ‘sotto il suo dominio’, ai piedi della montagna che la erge, vi è una piramide contenente un’infinità di suoni. La melodia è una successione nel tempo di note, ognuna delle quali si porta appresso (inascoltatamente) tutte le altre. L’armonia, in quest’ottica, sarebbe semplicemente l’amplificazione e la ‘chiarificazione’ di un fenomeno che sta già avvenendo, inavvertitamente. Suonare simultaneamente più note significa decidere di dare rilevanza a dei suoni ‘sotterrati’, portarli in superficie, renderli presenti con più forza, fino a renderli udibili. Avviene una sorta di ‘parificazione’, semplicemente rafforzando l’intensità di un suono, fino a renderla eguale a quella della nota fondamentale. L’accordo è dar voce ad una ‘simultaneità sonora’ che a livelli non udibili stava già avvenendo. Sia l’armonia che la melodia (potremmo dire, in un nuovo senso) derivano dall’unità sonora della singola nota. 43 www.ilmondodisofia.it Capitolo Primo L’operazione musicale di Arnold Schönberg I.1 L’atmosfera culturale nella Vienna del primo ‘900: L’espressionismo in arte e letteratura, le innovazioni architettoniche, la fisica della relatività, la psicoanalisi sono tutti frutti di un fermento culturale anteriore alla Germania di Weimar. Fu soltanto, però, con gli anni Venti che la ventata di novità raggiunse un livello di coscienza popolare, cominciando realmente ad influire sull’atteggiamento della gente verso se stessa e verso il mondo in cui viveva. Il movimento del 1919, nato a Berlino e che trovò realizzazione pratica nella struttura del Bauhaus, accompagnò la particolare sensazione di inizio di qualcosa di nuovo, del sorgere di un’epoca diversa. Il principale scopo di questa scuola sui generis era quello di abbattere ogni barriera tra artigiano e artista, raggiungendo una nuova unità fra arte e tecnologia.107 W. Kandinsky, tra gli uomini di spicco collegati alla straordinaria iniziativa culturale, stabilì un particolare rapporto con Schönberg. Dopo aver ascoltato a Monaco, all’inizio del 1911, due suoi pezzi da camera, gli scrisse una lettera rilevando la comune sensibilità artistica che li legava: nelle opere di Schönberg il pittore trovava realizzate, nella forma indeterminata della musica, ciò a cui egli stesso aspirava profondamente. 108 Kandinsky propose al compositore viennese di collaborare al centro di Weimar. Schönberg si trovò costretto a rifiutare a causa delle sempre più dilaganti idee antisemite, anche all’interno stesso del Bauhaus. Una serie di incomprensioni determinarono, fra l’altro, la rottura con Kandinsky.109 Alla sconfitta e alla dissoluzione dell’impero asburgico, dopo la prima guerra mondiale (avvenimento che pose in uno stato di sgomento l’intero popolo germanico), Schönberg accompagnò la speranza di un rinnovamento dei costumi, in particolare della sua classe di appartenenza, la borghesia. Non è un caso che 107 A. Desideri e M. Themelly, Storia e storiografia, D’Anna, Messina-Firenze, 1997, pp. 438-439. G. Manzoni (1975), Arnold Schönberg. L’uomo, l’opera, i testi musicati, Feltrinelli, Milano, 1975, p. 69. 109 A Schönberg e W. Kandinsky, Briefe, Bilder und Dokumente einer au ßergewöhnlichen Begegnung, Residenz, Salzburg-Wien, 1980, trad. it. Musica e pittura. Lettere, testi, documenti, a cura di J. Hahlkock, Einaudi, Torino, 1988. 108 44 www.ilmondodisofia.it egli cercasse in tutti i modi di stabilire un nuovo contatto col pubblico, nient’affatto elitario, ma basato sulla divulgazione, chiara e priva di preconcetti, delle musiche contemporanee. Uno dei tanti fenomeni collegati a quest’impegno fu la fondazione di una “Associazione per esecuzioni musicali private”, nel 1918. Il dilagante antisemitismo diventerà col passare degli anni la preoccupazione dominante del compositore viennese. Causa principale della sua riconversione all’ebraismo, lo troverà inoltre impegnato in una serie di riflessioni sul problema razziale e finanche in una proposta concreta di ‘ricostruzione di un regno ebraico’.110 110 G. Manzoni (1975), op. cit., p. 105. 45 www.ilmondodisofia.it I.2 Le prime opere: ‘espressionismo’ e superamento del linguaggio tonale L’operazione musicale di Schönberg rimane senza dubbio tra le manifestazioni artistiche più interessanti e decisive del secolo XX. Nato nel 1874 (14 anni dopo Gustav Mahler) realizza il primo lavoro importante, il sestetto d’archi Verklärte Nacht (Notte trasfigurata, op. 4) nel 1899. Il poema sinfonico Pelleas und Melisande è del 1903. Entrambe le opere risentono ancora dell’idioma tipico del romanticismo ted esco. La grandiosa cantata sinfonica Gurrelieder fu iniziata nel 1901 e ultimata solo nel 1911. Schönberg superò per violenza espressiva lo stesso Wagner, e per dimensioni e complessità sia Mahler che Strauss. Tra il 1905 e il 1910 ha inizio una seconda fase compositiva, che si allontana da quella maestosità post-romantica e dagli ultimi sviluppi del cromatismo, per passare ad una dimensione totalmente nuova, in cui si sperimentano variazioni e combinazioni sulla base di pochi motivi principali, che fungono da germi per l’intera composizione. Il materiale comincia a derivare tutto da questi temi e i brani diventano sempre più concisi e più complessi sia ritmicamente che contrappuntisticamente. Il primo Quartetto (1905) ne porta i segni evidenti, e poi anche il secondo del 1908, i Cinque pezzi per orchestra (1909) e due serie di brevi pezzi per pianoforte (1908 e 1911). Sempre all’interno di questo periodo si situano due opere di carattere maggiore: il monodramma per soprano e orchestra Erwartung (Attesa, 1909) e la pantomima drammatica Die Glükliche Hand (La mano felice, 1911-13). Al 1912 risale la composizione, forse, più nota di Arnold Schönberg, il Pierrot lunaire, un ciclo di ventuno Lieder, ricavati da un ciclo più ampio pubblicato nel 1884 dal poeta simbolista belga Albert Giraud. Questi immagina di essere Pierrot e di poter esprimere attraverso il simbolo poliforme del raggio lunare tutto se stesso, ma invece della comicità di Pierrot si ritrova a immaginare macabre fantasie. Nel lied n. 13 (intitolato ‘Decapitazione’) il protagonista immagina di essere decapitato dal raggio lunare per i suoi crimini. La musica, prima allude a una cascata di note basate in parte sulla scala per toni interi, elemento nient’affatto innovativo, ma evidentemente significativo; poi risaltano gli accordi aumentati al pianoforte, che continua con le volate discendenti e ascendenti ascoltate in precedenza, mentre gli altri strumenti eseguono dei glissandi. La voce, per tutta la durata del ciclo, declama il testo con la tecnica cosiddetta della Sprechstimme, cioè ‘voce-parlante’ (o Sprechtgesang , ‘cantoparlato’). Non è questa l’unica opera schönbeghiana a far uso di tale espediente: già nei Gurrelieder e poi nel coretto della Glückliche Hand avveniva che le note, 46 www.ilmondodisofia.it che pure nello spartito presentavano precisi valori ed altezze, non andavano intonate come nel canto, bensì la loro altezza doveva essere ‘accennata’ e poi subito lasciata come se precipitasse in un ‘parlato’. Il maestro viennese aveva avuto un’importante intuizione anche nel campo dell’ampliamento delle possibilità della voce umana. 111 Col Pierrot lunaire siamo ancora all’interno del periodo compositivo che va sotto il nome di espressionismo musicale (di cui Schönberg e il suo allievo Alban Berg sono i principali esponenti). Proprio come quei pittori che dipingevano oggetti reali attraverso le rappresentazioni deformanti del proprio mondo interiore, e che presero il nome di ‘espressionisti’, così, su un piano musicale, operava Arnold Schönberg all’incirca negli anni ‘10, mirando a partire dalla soggettività e interiorità, e in tal senso ponendosi come sviluppo delle esperienze romantiche. Die Glückliche Hand era stata portata a termine nel 1910. La motivazione del soggetto sembra risalire ad un’esperienza biografica: Schönb erg aveva conosciuto il giovane pittore Gerstl, il quale ben presto intrecciò una relazione con la moglie dell’amico, Mathilde: la vicenda si concluse col suicidio di Gerstl, avvenimento che scosse profondamente il compositore, e che lo portò ad intensificare la sua meno fortunata attività pittorica per molti anni.112 Il taglio critico che ne dà T.W. Adorno è nei termini di una “psicologia sociale”, dato che il protagonista, spiega il filosofo, «è un individuo solitario […] che sperimenta sessualmente gli stessi fallimenti incontrati nel suo lavoro. […] I soggetti umani e la società industriale sono tra loro in rapporto di contrasto perenne, e comunicano reciprocamente per mezzo dell’angoscia» 113. Poi continua: «Il fatto che gli operai compaiano nel dramma stilizzato in veste realistica, corrisponde all’angoscia che prova, di fronte alla produzione, colui che ne è separato: è l’angoscia di doversi destare, che domina in tutto e per tutto il conflitto espressionistico tra l’irrealtà teatrale e la realtà» 114 . Il monodramma Erwartung (Attesa ) op. 17, del 1909, «narra di una donna sola, che vaga nella foresta notturna alla ricerca dell’amante e che improvvisamente lo trova assassinato: sul cadavere ancora gocciolante sangue ella esprime la sua disperazione che sembra placarsi solo al sorgere del mattino»115. Con quest’opera Schönberg dimostra la possibilità di una musica completamente atematica, che fa del suo unico elemento di unità il timbro vocale. Per il resto essa è stata definita «l’opera dell’assoluta disintegrazione ritmica e formale». E’ un fatto che la sua prima esecuzione dovesse avvenire ben quindici anni dopo la realizzazione, nel 1924 a Praga. Fu una delle prime opere in cui cominciavano a dividersi i ‘pro’ e ‘contro’ Schönberg. Erwin Stein, nel 1934, ebbe cura di 111 Ivi, pp. 72 -73. Ivi, p. 59. 113 T.W. Adorno (1949), Philosophie der neuen Musik , trad. it. Filosofia della musica moderna, Einaudi, Torino, 1968, p. 50. 114 Ivi, p. 51. 115 Ivi, p. 52. 112 47 www.ilmondodisofia.it sottolineare come Erwartung avesse aperto nello spazio artistico -sonoro ‘una nuova dimensione’. Nel 1917 Schönberg conclude la stesura del testo del Die Jakobsleiter, un oratorio le cui motivazioni e il cui soggetto ci rimandano un elemento costitutivo della personalità del compositore ebreo. L’opera doveva mostrare la possibilità di un recupero dell’uomo alla fede. Doveva esprimere tutta la tragica lotta dell’uomo moderno col Dio, poichè attraverso il materialismo, il socialismo e l’anarchia, pure riusciva a serbare, dentro di sé, un piccolo residuo di fede. Un oratorio, dunque, che mostrasse la via del ritorno a Dio, «che insegnasse a pregare». L’intenzione iniziale era stata quella di scrivere da se stesso il testo dell’opera, ma stabilì di elaborarlo sulla scia del Giacobbe lotta di Strindberg e della Seraphita di Balzac, opere vicine alle famose speculazioni di Emanuel Swedenborg 116, il mistico svedese che fece riferimento, tra l’altro, all’apertura dell’orecchio interiore e, più in generale, ad un uomo interiore in contatto con la sfera degli spiriti e degli angeli. Nel 1912 aveva chiesto a Richard Dehmel il testo di un oratorio. Da ultimo si decise a stenderlo personalmente, iniziandone le bozze nel gennaio 1915 e terminandolo a maggio del 1917. Tra i vari testi rimasti allo stato embrionale ve n’è uno intitolato Danza macabra dei princìpi, che non fu mai musicato. Si tratta di un monologo in cui sono passati in rassegna, e condannati, tutti i princìpi della vita comune. Una parte di esso evidenzia la forte connotazione filosofica e metafisica che Schönberg attribuiva alla musica: Ora canta; ciascuno canta qualcosa di diverso, pensa di cantare la stessa cosa, ed effettivamente in una direzione vi è unisono […], in un’altra pluralità di suoni. In un a terza, in una quarta, l’effetto è ancora diverso; ma non si riesce ad esprimerlo. Ha un’infinità di direzioni, e ciascuna è percepibile. […] E tutte si perdono in un luogo imprecisato, dove si potrebbe trovarle. Sarebbe facile seguirle, perché adesso abbiamo una visione… Ecco che cresce; o, per dir meglio: gira su sé stesso. Ma è la medesima cosa. Perché crescendo non aumenta, e girando su di sé pare presentare sempre la stessa faccia. Adesso, però, si dovrebbe poterlo afferrare dato che lo si guarda dal punto giusto! Ma è una sola nota! Senza alcuna differenza. Una nota? O non è una nota? O sono molte note? Tutte? E’ l’infinito o il nulla? Impossibile! La molteplicità di prima era più facile da comprendere dell’unità di ora. E’ schiacciante. Meraviglioso perché schiacciante. Ognuno canta qualcosa di diverso, pensa di cantare la stessa cosa, ma in realtà v’è una pluralità di voci: cinque, sei voci, o invece soltanto tre. O sono di più? O forse meno? O nulla?…117 Tale testo sarebbe, secondo le argute osservazioni di F. Ballardini, alla base della concezione dodecafonica del compositore, in cui avviene che l’idea della sostanziale unità fra i suoni assume un significato tanto velato quanto 116 Il mistico svedese a cui anche Kant fece un sarcastico riferimento nei Sogni di un visionario chiariti coi sogni della metafisica, del 1765. Swedenborg aveva descritto, tra l’altro, l’immagine biblica del sogno di Giacobbe, ovvero la ‘scala philosophorum’ della tradizione ermetica, anche in riferimento all’apertura dell’“orecchio interiore”. 117 A. Schönberg, Danza macabra dei principi, in Testi poetici e drammatici (1910 -1951), Feltrinelli, Milano, 1967, pp. 36-37 (corsivo mio). 48 www.ilmondodisofia.it essenziale. 118 E’ proprio sulla base di tale idea che nella Parte Terza di questo studio svilupperemo importanti considerazioni. A. M. Morazzoni119 ha concentrato l’attenzione su alcuni passi nevralgici dell’oratorio, che delineano l’importante problematica filosofico-religiosa a cui Schönberg non riesce a negare la parte più profonda della propria operazione musicale. Insieme all’opera Moses und Aron , di cui Schönberg non musicò il terzo e ultimo atto, la Jakobsleiter è l’unica composizione di grande respiro che il musicista tentò a più riprese di portare a termine senza tuttavia riuscirvi. A tal proposito G. Manzoni interviene senza deterrenti: Crediamo che questo non sia dipeso solo da cause contingenti come la chiamata alle armi nel 1907 o l’esilio americano iniziatosi nel 1933, ma che esistano motivazioni più profonde e probabilmente inconsce. E’ da notare che in entrambi i casi Schönberg si fermò nel momento della dialettica in atto tra le forze terrene e quelle ultraterrena.120 Non si trattò certamente di un caso, infine, se la Jakobsleiter era stata la prima opera in cui Schönberg, come riconobbe egli stesso soltanto più tardi121, aveva utilizzato in uno stato embrionale il principio della ‘serialità’, basando cioè l’intera composizione su una serie di sei note, le quali tendevano a diventare il centro di ogni sviluppo e il principio regolatore di tutto l’imponente oratorio. L’importanza della cifra , che iniziava a reggere un’intera composizione, ci induce a riflettere su come evidentemente influisse in Schönberg, a un livello più o meno cosciente, una concezione della musica d i derivazione pitagorica e medievale. 118 F. Ballardini, Swedenborg e il falegname. Poetica, teoria e filosofia della musica in Arnold Schönberg, Mucchi, Modena, 1988, pp. 64 -65. 119 A. Schönberg, Leggere il cielo. Diari 1912, 1914, 1923, a cura di A.M. Morazzoni, il Saggiatore, Milano, 1999. 120 G. Manzoni (1975), op. cit., p. 81. 121 Cfr. A. Schönberg, Leggere il cielo. Diari 1912, 1914, 1923, cit., p. 19. 49 www.ilmondodisofia.it I.3 L’emancipazione della dissonanza e il nuovo metodo di composizione Quella che è considerata un’etichetta ormai diffusa, cioè di definire ‘musica a-tonale’ l’operazione musicale di Schönberg, non esaurisce affatto l’importanza e le conseguenze del messaggio schönberghiano. Perciò è opportuno che fin da ora risulti chiara la differenza che corre tra la quasi dispregiativa accezione di ‘atonale’ che di questa musica si è data, e il termine consigliato dallo stesso compositore viennese che la definisce ‘pan-tonale’ 122, e cioè ‘comprensiva di tutte le tonalità’. D.J. Grout asserisce che la «musica atonale è quella in cui il compositore evita in modo sistematico il riferimento a centri tonali, evitando le formule armoniche e melodiche – ad esempio, le successioni dominante-tonica e le frasi melodiche che rammentano tali collegamenti […] – che suggeriscono il tradizionale sistema di accordi organizzati a una tonica o a una tonalità fondamentale»123 . Se è possibile assimilare l’operazione di Schönberg a questo atteggiamento, è anche vero che essa continua a svilupparsi più in profondità, soprattutto dal 1923 in poi, fino a richiedere l’introduzione del concetto di ‘pantonalità’. La musica dodecafonica, che utilizza tutti e dodici le note dell’ottava, costruendo una serie che si caratterizza come il vero centro di ogni composizione, non solo supera i confini abituali della tonalità tradizionale, ma nemmeno è giustificabile come una delle esperienze della musica atonale. E’ espressione ‘pantonale’. All’incirca tra il 1917 e il 1923 (dunque nell’arco di sei anni!) Schönberg non aveva pubblicato alcuna opera musicale. Il suo iniziale insuccesso, d’altronde, troverà raramente un sereno assopimento. Ma al termine di questo lungo periodo egli era arrivato alla formulazione di un « metodo di composizione con dodici note poste in relazione soltanto l’una con l’altra». Così si esprimeva nella conferenza di Los Angeles, del 1941, dal titolo “Composizione con dodici note”, che troverà un posto rilevante nella raccolta di saggi schönberghiani ‘Stile e Idea’, pubblicata nel 1950. 124 Questo metodo consiste innanzitutto nell’uso costante ed esclusivo di una serie di dodici note differenti. Ciò significa, naturalmente, che nessuna nota viene ripetuta nella serie, e che 122 A. Schönberg (1922) Manuale di armonia, cit., p. 510, nota 1. D.J. Grout (1960), A History of Western Music, trad. it., Storia della musica occidentale, Feltrinelli, Milano, 1989, p. 730. 124 A. Schönberg (1950), Style and Idea, trad. i t. Stile e Idea., Rusconi, Milano, 1960. 123 50 www.ilmondodisofia.it questa usa tutte le dodici note della scala cromatica disponendole però in ordine diverso. Essa non deve essere in nessun grado identica alla scala cromatica.125 Viene anche sottolineato un altro fatto importante: Il metodo di composizione con dodici note è nato da una necessità. […] Negli ultimi cento anni, lo sviluppo del cromatismo ha radicalmente trasformato il concetto di armonia. L’idea che una nota base, la fondamentale, dominasse la costruzione degli accordi e ne regolasse la successione – ossia il concetto di tonalità – dovette dapprima svilupparsi nel concetto di tonalità estesa, per giungere, subito dopo, a mettere in dubbio la stessa possibilità della fondamentale di essere considerata ancora il centro di riferimento di ogni armonia e successione armonica. […] Si avviò […] quella che io chiamo l’emancipazione della dissonanza. […] A distinguere le dissonanze dalle consonanze non è una maggiore o minore bellezza, ma una maggiore o minore comprensibilità. Nella mia Harmonielehre ho sostenuto la teoria che i suoni dissonanti sono meno familiari all’orecchio in quanto appaiono fra gli ultimi armonici. Dunque, alla base di ogni composizione vi è una serie composta dalle dodici note dell’ottava, disposte in un ordine stabilito dal compositore. Le note della serie sono utilizzate sia in successione, nel formare la melodia, che simultaneamente, a comporre l’armonia o il contrappunto.126 La serie alla sua prima apparizione nell’opera è considerata come forma ‘originaria’ (O). Da questa modalità di base derivano generalmente tre tipi di ‘alterazioni’. La prima forma derivata è la forma ‘inversa’ (I), in cui, rispettando gli intervalli della successione delle note, si crea una linea melodica speculare (verticalmente) alla originaria (O). Poi vi è la forma ‘retrograda’ (R), in cui la linea melodica appare stavolta procedere nel senso opposto alla (O), cioè leggendo la stessa successione della (O) però partendo da destra verso sinistra. E’ speculare alla (O) orizzontalmente, cioè ribaltando la (O) da destra a sinistra lungo un asse verticale. Vi è, infine, la forma ‘retrograda-inversa’ (RI) che è l’applicazione alla (O) delle due forme speculari contemporaneamente. Tutto appare molto più chiaro semplicemente osservando le figure 2 e 3 riportate di seguito. 125 A. Schönberg (1941), Method of Composition with 12 tones, trad. it. Composizione con dodici note, in Stile e Idea, Feltrinelli, Milano, 1975, p. 110. (Tutte le volte che saranno citati i passi dello scritto Composizione con dodici note si farà riferimento alla più recente edizione Stile e idea, Feltrinelli, Milano, 1975. Per tutti gli altri scritti della raccolta di Stile e idea si farà riferimento alla precedente edizione Stile e idea, Rusconi, Milano, 1960). 126 D.J. Grout (1960), op. cit., p. 735. 51 www.ilmondodisofia.it Figura 2 La ‘serie’ risulta essere in effetti l’unico centro dell’opera (se di ‘centro’ è ancora lecito parlare, e sicuramente non nella sua accezione tradizionale) che per questo viene chiamata ‘dodecafonica’. Figura 3 52 www.ilmondodisofia.it I cinque pezzi per pianoforte op. 23 (1923) sono i primi lavori in cui Schönberg utilizza il concetto di ‘serie’, anche se solo nell’ultimo vengono presentate tutte e dodici le note dell’ottava: è perciò un brano propriamente ‘dodecafonico’. Nella conferenza di Los Angeles ‘Composizione con dodici note’, viene esposto l’importante concetto alla base del nuovo metodo di composizione: LO SPAZIO A DUE O PIU’ DIMENSIONI NEL QUALE SONO PRESENTATE LE IDEE MUSICALI E’ UN’UNITA’. […] L’unità dello spazio musicale richiede una percezione assoluta e unitaria. In questo spazio, come nel cielo di Swedenborg […] non v’è, in assoluto, sopra e sotto, destra o sinistra, avanti o dietro.127 Ogni movimento di note deve essere inteso come una ‘corrispondenza’ reciproca di suoni, vibrazioni oscillatorie, che si presentano in diversi punti e in diverso tempo. Ritorneremo su questo importante concetto più avanti. Il nuovo metodo compositivo appare pienamente sviluppato nel Terzo Quartetto (1926) e nelle Variazioni per orchestra , op. 31, composte tra gli anni ’26 e ’28. Quest’ultima opera, in particolare, ‘gioca’ sempre e soltanto sulle modifiche apportate alla serie Originale, che quindi si configura come il centro unificante della composizione, oltre che simbolo chiaro della pantonalità e del policentrismo (in quanto comprendente sempre e comunque le dodici note dell’ottava). Nelle Variazioni si presenta, inoltre, un tipo di intervallo, il ‘tritono’, bandito dai trattatisti medievali, che lo consideravano “diabolus in musica” per il suo eccessivo grado di dissonanza. Si tratta ancora di materiale che, per la sua caratteristica di trovarsi ‘al margine’ rispetto alle regole del sistema tonale, Schönberg non poteva certo trascurare di utilizzare. Negli anni tra il 1931 e il ’32 Schönberg lavorò al Moses und Aron . Il compositore aveva scritto il libretto dei tre atti; ma la musica non fu mai ultimata. Ciò che nell’opera appare interessante è il significato della vicenda che, richiamandosi agli avvenimenti dell’Antico Testamento, si incentra sul conflitto tra Mosè e Aronne, tra il mediatore di Dio e il portavoce del popolo. Se Aronne ha bisogno di immagini materiali, concrete, Mosè è colui che ha solo bisogno della Legge, dell’Idea, e il Dio in cui crede è un Dio che non ha alcuna necessità di ‘farsi vedere’. Aronne sostiene l’importanza di dover ‘essere visibile’ per poter ‘essere’ veramente; il Dio in cui vuole credere deve rendersi luminosamente manifesto, deve potersi ‘dire’ apollineamente. Mosè, invece, non ha alcun bisogno di vedere il suo Dio: è consapevole dell’impossibilità per la parola, per il linguaggio parlato, e forse anche per il linguaggio artistico, di dire l’ineffabile, il soprasensibile. […] Dunque son vinto! 127 A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., p. 112 e p. 115. 53 www.ilmondodisofia.it Ed era tutto follia ciò che ho pensato E non può né deve essere detto! O Parola, Parola che mi manca!128 Nel maggio 1933 ha inizio l’esilio di Schönberg, a causa del dilagante antisemitismo, che lo porta dapprima all’espatrio a Parigi e più tardi negli Stati Uniti, a Boston, finché nell’autunno del 1934 decide di stabilirsi a Los Angeles. L’estrazione ebraica di Schönberg (il quale in gioventù si era volto al protestantesimo, per ritornare ad abbracciare la sua religione d’origine proprio negli anni di crescente persecuzione razziale) fu ovviamente un fattore decisivo nella vita come nell’operazione artistica del compositore. Fors e anche come simbolo del suo distacco nei confronti della cultura tedesca, appena fuori dalla Germania Schönberg aveva adottato per il suo nome il dittongo “oe” al posto della Umlaut sulla “o”. In quegli anni veniva attaccato duramente sulle varie riviste musicali e «nel 1938 la famosa mostra di Düsseldorf sulla “musica degenerata” si apriva col suo nome»129 . Al ‘periodo americano’ risalgono le ultime composizioni di Schönberg: il Concerto per violino e orchestra e il Quarto Quartetto sono del 1936; nel 1938 viene musicata Kol nidre (Tutti i voti) op. 39, una ambigua preghiera ebraica risalente al VII secolo; Kol nidre è in sol minore, e quasi tutte le successive opere americane saranno composte sulla base di una stemperata dodecafonia con moderazioni tonali. E’ il caso dell’Ode a Napoleone op. 41 (che riprende il testo satirico di Byron, e che allude ad Hitler, di cui Napoleone sarebbe il simbolo) del Tema e variazioni per banda, del Preludio op. 44 alla Genesi, del Sopravvissuto di Varsavia op. 46, e dei Salmi moderni op. 50. Il Trio op. 45 per archi ha tutta una storia a sé, poiché era nata, come specificò lo stesso Schönberg, sotto un specie di trance da ricovero, nel periodo della malattia al cuore.130 Il ‘ritorno’ ad una forma di composizione tonale tradizio nale trova giustificazione in un fatto, principalmente. E’ vero che lo stesso Schönberg ebbe a dichiarare: «il desiderio di tornare al vecchio stile fu sempre molto forte in me, e di quando in quando ho ceduto a questo impulso»; ma la causa maggiore del ripensamento compositivo si deve all’impressionante inferiorità di competenza musicale e allo scarso interesse da parte degli studenti e del pubblico americani. Alcune volte Schönberg stesso si rassegnava ad insegnare la materia fin dai primi rudimenti, e il suo ruolo, diceva, gli appariva non meno superfluo di quello di un Einstein costretto ad insegnare matematica in una scuola media.131 Il vantaggio di dover ripensare continuamente dalla base i principi musicali fu che nel periodo americano fiorirono numerose opere con funzione pedagogica di impareggiabile chiarezza e profondità, quali i Modelli per principianti di composizione, le Esecuzioni preliminari di contrappunto, le Funzioni strutturali 128 129 130 131 E. Fubini, L’estetica musicale dal settecento ad oggi, Einaudi, Torino,1987, p. 333. G. Manzoni (1975), op. cit., p. 148. Ivi, p. 168. Ivi, p. 147. 54 Commento: qui, se c’è tempo, SI PUO’ APPROFONDIRE IL PROBLEMA RAZZIALE !…(vd. Manzoni) www.ilmondodisofia.it dell’armonia , gli Elementi di composizione musicale, e la raccolta Stile e idea, in cui confluiscono conferenze e interventi vari che coprono l’ampio arco di tempo tra il 1912 e il 1948. G. Manzoni conclude il suo saggio su Schönberg ricordandone le originali intuizioni che avevano portato ad una innovazione dell’intero campo espressivo musicale. Operazione che il nostro compositore aveva sempre, più o meno seriamente, considerato un destino: «sotto le armi», afferma Schönberg nella lettera di ringraziamento per gli auguri dei suoi 75 anni132 , «una volta mi chiesero se fossi proprio io questo compositore di nome Arnold Schönberg. “Qualcuno doveva fare questa parte”, risposi, “ e così mi sono offerto io”». 132 A. Schönberg, Lettere (1910 -1951), a cura di E. Stein, La Nuova Italia, Firenze, 1969, lettera n°247, p. 300. 55 www.ilmondodisofia.it Capitolo Secondo Il significato estetico della dodecafonia II.1 “Composizione con “dodici note”: il concetto di “comprensibilità, le differenze dal metodo di composizione tradizionale e la necessità della ‘pantonalità’ Lo scritto ‘Composizione con dodici note’, come si è già detto, fa parte di una raccolta, Stile e idea 133 , che data la sua pubblicazione nel 1950. Questo particolare saggio è in realtà una conferenza tenuta all’Università di California di Los Angeles il 26 marzo 1941. Nel testo troviamo un approfondimento dei problemi inerenti all’ideazione e alla realizzazione del metodo ‘dodecafonico’. Sin dall’inizio, Schönberg ci proietta in una dimensione profetica, dal tono biblico, come per far capire immediatamente che si tratta di un argomento serissimo, dall’importanza unica. Solo nella Creazione Divina avviene che l’ideazione (la visione di ciò che sarà) coin cide pienamente ed istantaneamente con la sua reale attuazione. Ma «ahimè, i creatori umani – se è loro concessa una visione – devono percorrere il lungo cammino che la separa dalla sua attuazione». E se anche riuscissero a creare un «organismo omogeneo» che abbia ancora la spontaneità della visione, resterebbe «da organizzare questa forma in un messaggio comprensibile “a colui a cui è diretto”»134 . Il problema centrale risalta subito agli occhi: «Nelle arti, e in particolare nella musica, la forma tende soprattutto alla comprensibilità», e poco oltre: «la composizione con dodici note non ha altro scopo che la comprensibilità».135 Schönberg prosegue nelle sue considerazioni preliminari: «Il metodo di composizione con dodici note è nato da una necessità». Lo sviluppo del ‘cromatismo’ è giunto fino a mettere in dubbio la possibilità di considerare la nota fondamentale come il centro di riferimento di ogni armonia e successione armonica. Il concetto di tonalità è messo fortemente in crisi. Si era 133 A. Schönberg (1950) Stile e idea, cit. A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note , cit., pp. 105-106. 135 Ivi, p. 106. Cfr. anche la nota 1, in cui si spiega che il termine originale ‘tones’, che si è tradotto ‘note’, significherebbe più propriamente ‘suoni’. La frase di Schönberg risulterebbe essere «La composizione con dodici suoni non ha altro scopo che la comprensibilità». 134 56 www.ilmondodisofia.it avviata, come già accennato in precedenza, una evoluzione che Schönberg considerava come «l’emancipazione della dissonanza ». L’orecchio aveva gradualmente preso familiarità con un gran numero di dissonanze, aveva perso il timore del loro effetto “incoerente”.136 L’uso più libero delle dissonanze era riscontrabile nell’utilizzo ormai diffuso dell’accordo di ‘settima diminuita’. Si tratta, dunque di un processo storicoevolutivo, per cui è lecito affermare che, a questo punto, a distinguere le dissonanze dalle consonanze non è una maggiore o minore bellezza, ma una maggiore o minore comprensibilità. Nella mia Harmonielehre ho sostenuto la teoria che i suoni dissonanti sono meno familiari all’orecchio in quanto appaiono fra gli ultimi armonici […] Una maggiore familiarità con le più remote consonanze, ossia le dissonanze, eliminò gradatamente le difficoltà di comprensione […] 137 Come è evidente, tornano ancora i concetti di ‘comprensibilità’ e ‘familiarità’. Il termine emancipazione della dissonanza significa dunque che la comprensibilità della dissonanza viene considerata equivalente alla comprensibilità della consonanza. Uno stile che, allora, si basa su simili premesse tratta la dissonanza allo stesso modo della consonanza, e rinuncia a un centro tonale. 138 Contemporaneamente Schönberg sta affermando l’importanza di vivere una bellezza che sia il frutto non solo di ‘strutture piacevoli a sentirsi’, ma anche e soprattutto di una riflessione intellettuale, di una conoscenza ‘cosciente’ che apra alla comprensione del significato di un’opera d’arte, più che ad una fruizione superficiale che si fermi alla dimensione della sensualità e del sentimentalismo. […] non si rende giustizia a un’opera d’arte lasciando che la fantasia spazi su altri argomenti, collegati o no ad essa. Di fronte a un’opera d’arte non ci si deve abbandonare ai sogni, ma cercare di coglierne il significato.139 L’essenza della musica è la forma; ma «non c’è forma senza logica, e non c’è logica senza unità». La ‘forma’ non è destinata al piacere dei sensi. «La funzione principale della forma è quella di accrescere la nostra capacità di comprendere […] Sebbene dunque il rispetto delle forma non sia di per sé la bellezza, una forma, facilitando la comprensione, genera tuttavia la bellezza».140 Il principale scopo dell’artista Schönberg era quello di comunicare qualcosa all’ascoltatore, un significato ben profondo, un’idea poetica e filosofica, e di renderla comprensibile il più possibile. Comincia, dunque, ad apparirci meno paradossale l’eventualità che una musica del tipo della ‘dodecafonia’ (che un 136 Ivi, p. 107. Ivi, pp. 107-108. 138 Ivi. 139 Ivi, p.153. 140 A. Schönberg (1946), Educazione dell’orecchio attraverso la composizione, in Stile e idea, cit., p. 157 (corsivo mio). 137 57 www.ilmondodisofia.it qualsiasi ascoltatore, anche un musicista che poco si sia confrontato con essa, definirebbe ‘poco comprensibile’) abbia per scopo principale la comprensibilità. Comprendere qualcosa di nuovo, un’idea veramente nuova, è possibile solo familiarizzando con essa. L’unità della dodecafonia è la serie. Essa è il centro di ogni brano; è ripetuta nelle sue quattro forme principali, sia a livello melodico che armonico. Nella ‘serie’ è tutta la concezione musicale, estetica e mistica di Arnold Schönberg. E’ la serie che deve esser resa familiare, perché risulti comprensibile, e finalmente trasporti l’Intelletto in un luogo d’appagamento così luminoso da tirare dietro con sé anche l’Emozione. Rendere familiare la ‘serie’ dovrebbe essere l’obiettivo principale di ogni compositore di dodecafonia. Il fruitore deve ‘entrare’ nella logica della serie attraverso l’ascolto e la memorizzazione (l’atto di ricordare è il primo gradino verso la comprensione141 ). Ben presto ci si renderà conto del vantaggio del nuovo metodo: esso non crea una gerarchia di note, non dà modo di distinguere tra armonie principali e secondarie. La serie ha qualcosa di più rispetto alla scala, da cui, come è noto, si derivano, nella musica tonale, l’armonia e le melodie, i passaggi ascendenti e discendenti, ecc; la serie tiene unite le note l’una all’altra, tutte e dodici, senza che vi sia supremazia e sprattutto frammentazione. Effettivamente, in pieno ‘regime tonale’ prima di Richard Wagner le opere erano quasi esclusivamente formate da pezzi indipendenti, legati fra di loro, almeno all’apparenza, da relazioni di ordine non strettamente musicale.142 La dodecafonia possiede più logica del sistema tonale, nel senso che possiede in massima misura ‘unità’. «Il raggruppamento di alcune note in armonie, e la loro successione, sono regolati dall’ordine delle note della serie»143 . La necessità per ogni artista di comprendere coscientemente le regole e le leggi che governano le forme da lui stesso concepite “come in sogno”, spinse Schönberg alla ricerca di «mezzi capaci di giustificare il carattere dissonante di quelle armonie» nuove, e lo tenne impegnato per ben dodici anni in molti infruttuosi tentativi. Per sei anni nessuna nuova pubblicazione, fino al momento in cui il sogno, l’idea, trovò finalmente un’organizzazione rigorosa in un ‘procedimento di costruzione musicale’ capace di sostituirsi all’armonia tonale. Partendo dall’idea che la musica non è affatto una delle tante forme di divertimento, ma la presentazione, da parte di un poeta musicale o di un filosofo musicale, di idee musicali che devono corrispondere alle leggi della logica umana, ed essere quindi parte di ciò che l’uomo può percepire, ragionare ed esprimere, partendo dunque da simili premesse, giunsi alle seguenti conclusioni: LO SPAZIO A DUE O PIU’ DIMENSIONI NEL QUALE SONO PRESENTATE LE IDEE MUSICALI E’ UN’UNITA’. 141 142 143 Ivi, p. 154. A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., p. 140. Ivi, p. 111. 58 www.ilmondodisofia.it […] Qualsiasi evento accada in un punto qualsiasi di questo spazio musicale […] non agisce soltanto sul suo piano specifico, ma opera in ogni direzione e su tutti i piani, estendendo la sua influenza fino ai punti più lontani. […] Un’idea musicale, dunque, pur essendo composta di melodia, ritmo e armonia, non è né l’una cosa, né l’altra, né l’altra ancora, ma le tre cose assieme.144 Ogni movimento di note deve essere inteso, abbiamo detto, come una ‘corrispondenza’ reciproca di suoni che si presentano in diversi punti e in diverso tempo.145 Una tale concezione della dimensione musicale giunge a farci figurare un luogo in cui tutto acquista un nuovo senso se considerato non come ‘parte’ ma come ‘unità’. 144 145 Ivi, pp. 111-112. Ivi, p. 115. 59 www.ilmondodisofia.it II.2 Il ‘Manuale di armonia’: premessa per una musica ‘pantonale’ Il Manuale di armonia (Harmonielehre)146 è l’espressione più chiara ed apprezzabile dell’enorme impegno didattico profuso da Schönberg durante tutta la sua carriera musicale. Il lavoro è dedicato allo stimatissimo Gustav Mahler. In questa Harmonielehre Schönberg sembra voler già proporre la propria teoria musicale come coerente sviluppo di quella tradizionale. Tutta la prima parte del manuale si occupa dell’armonia tonale classica: dalla definizione della scala maggiore, alla formazione degli accordi consonanti e dissonanti; dal loro collegamento armonico alla condotta melodica delle parti. Ma la scrupolosa rilettura della tradizionale teoria contiene alcuni punti ‘critici’. 147 Volutamente, e nemmeno tanto velatamente, Schönberg tende a trascurare la morfologia e la sintassi tonale della scala e degli accordi, a favore di una concezione incline alla dilatazione di certe categorie: più tardi Schönberg parlerà, come di un fatto ormai indiscusso, di «tonalità allargata». Sono molti gli esempi che dimostrano come la compattezza di un pezzo non vada perduta anche se la tonalità è appena accennata o addirittura eliminata del tutto. Non voglio asserire che la musica più moderna sia veramente atonale: forse la chiamano così solo perché non siamo ancora riusciti a individuare in essa la tonalità o qualcosa di corrispondente. Tuttavia ci si avvicina certamente di più all’infinito con un’armonia sospesa e quasi infinita, che non deve continuamente esibire passaporto e certificato di cittadinanza per dimostrare accuratamente da dove viene e dove va. E’ carino da parte dei borghesi voler sapere dove comincia e dove finisce l’infinito, e gli si può anche perdonare se hanno poca fiducia in un infinito di cui non hanno riscontrato a puntino le dimensioni: ma se l’arte deve avere qualcosa in comune con l’infinito, non deve temere il vuoto. 148 Ora, alla luce delle riflessioni sulla conferenza di Los Angeles, si può immaginare l’enorme difficoltà a parlare, in un senso classico e con dei riferimenti tradizionali, di ‘variazione’ o di ‘modulazione’ all’interno di un brano strutturato per mezzo del metodo dodecafonico. La ‘modulazione tonale’ praticamente non ha proprio più senso, ora che la tonalità non è che un miraggio passato. Alcuni modi delle variazioni classiche esistono, ovviamente, ma la difficoltà, per i teorici come per i critici del tempo, di inquadrare con concetti pre-organizzati i lavori schönberghiani, era un problema reale, che spiega anche il clima generale di enorme diffidenza che caratterizzava ogni nuova pubblicazione del compositore viennese. 146 147 148 A. Schönberg (1922), Manuale di armonia, cit. F. Ballardini, op. cit., pp. 28-29. A. Schönberg (1922), Manuale di armonia, cit., p. 160. 60 www.ilmondodisofia.it Non è errato sostenere che «una composizione in cui viene utilizzato questo metodo può essere considerata come una variazione continua della serie di base».149 Il suo principio fondamentale è, comunque, da ricercarsi in quel concetto di unità dello spazio multidimensionale, che si incarna nella serie, e che sminuisce ogni altra nozione del linguaggio tradizionale tendente alla frammentazione dell’opera musicale. E’ principalmente al concetto di unità che Schönberg mira. A quell’unità che proprio nel Manuale di armonia si era mostrata alla base del fenomeno naturale degli armonici e quindi del suono nel suo senso più ampio. Ci ricolleghiamo, così, direttamente a quelle conside-razioni che avevano aperto, nella Premessa, questa Parte Seconda. Ripeto che materiale della musica è il suono; […] Una delle sue caratteristiche più notevoli è la serie degli armonici s uperiori […]. E’ certo che di questi suoni armonici i primi sono più familiari e gli ultimi […] più estranei all’orecchio. […] tutti questi suoni però contribuiscono più o meno a non far perdere nulla delle emanazioni acustiche del suono fondamentale, ed è altrettanto certo che il nostro mondo sensibile tien conto di tutto il fenomeno, e dunque anche di questi suoni armonici: se quelli più lontani possono non arrivare a essere analizzati dall’orecchio, essi vengono però percepiti come timbro, il che significa che l’orecchio musicale in questo caso non tenta più di analizzare con esattezza il fenomeno, ma annota comunque l’impressione che gliene deriva. Percepiti dall’inconscio, essi vengono analizzati quando salgono alla superficie della coscienza, e allora ne viene stabilita la relazione con la sonorità nel suo insieme. 150 Queste parole confermano inequivocabilmente le riflessioni che avevamo formulato a partire dal fenomeno degli armonici, e ci proiettano direttamente in un territorio in cui è possibile sviluppare importanti considerazioni. 149 150 D.J. Grout (1960), op. cit., p. 736. A. Schönberg (1922) Manuale di armonia, cit., pp. 23-24. 61 www.ilmondodisofia.it II.3 Riflessioni sull’operazione musicale di Schönberg e sulla missione dell’arte nuova ‘Dodecafonia’ e ‘Pan-tonalità’ sono in qualche modo sinonimi. ‘Dodecafonia’ allude ai ‘dodici suoni’ della scala cromatica, e quindi a tutti i suoni contemplati dal sistema musicale occidentale. ‘Pantonalità’ sta ad indicare qualcosa che comprende tutte le tonalità. L’affinità dei due concetti risiede nel riferirsi entrambi ad una ‘totalità della sonorità’. Sembra che vi si possa scorgere un senso molto profondo, soprattutto in relazione ad un’altra nozione fondamentale della concezione musicale schönberghiana: quella di unità dello spazio musicale. Nei Cinque pezzi per orchestra op. 16, «per la prima volta il fattore timbro , in misura ancora superiore che in Debussy, diventa un fattore sostanziale, costruttivo, determinante della concezione musicale complessiva». Il sottotitolo del pezzo n. 3 è Colori, termine che in tedesco può valere anche per ‘timbri’. L’idea di una «melodia dei ‘colori’ dei suoni» non fu mai pienamente realizzata, dato che Schönberg era consapevole della necessità, per fare ciò, di trovare delle maniere di disporre i suoni in modo che costituissero un’unità costruttiva assolutamente autonoma. Il fatto che Schönberg tendesse anche, all’interno della sua evoluzione musicale, ad indagare la dimensione sonora legata al ‘timbro’, è facilmente riconducibile al problema della molteplicità e dell’unità. Sappiamo che era nelle intenzioni del compositore realizzare qualcosa che assomigliasse all’esecuzione prolungata di una stessa nota da parte di indeterminati strumenti, e che dunque finisse per creare un brano musicale che, paradossalmente fissato su una sola nota, ‘giocava’ semplicemente col materiale timbrico a disposizione, con l’entrata e l’uscita di strumenti differenti, in un concetto di ‘tema’ e ‘variazioni’ che doveva provenire esclusivamente dai diversi timbri agenti. Nel 1924 Alban Berg pubblicò, in un simposio dedicato al maestro, un saggio intitolato Perché la musica di Schönberg è così difficile da capire? Il saggio analizza le prime battute del Quartetto op. 7. «Una coscienza auditiva resa pigra dalla povertà funzionale della rimanente musica contemporanea, non è in grado di registrare una cinquantina di accordi che si susseguono in pochi secondi», perciò l’ascoltatore dovrebbe imparare a dimenticare da un lato l’abitudine dell’aspettativa, e dall’altro il predominio incontrastato di una sola parte melodica.151 Va evidenziato l’esplicito riferimento di Berg, in queste affermazioni, ad una ‘coscienza auditiva’, come ad una sfera particolare della mente. 151 G. Manzoni (1975), op. cit., p. 30. 62 www.ilmondodisofia.it Parte Terza Dodecafonia e bi-logica Se riusciremo a spiegare la musica, potremo trovare la chiave per l’intero pensiero umano. Claude Levy Strauss 63 www.ilmondodisofia.it Capitolo Primo La continua interazione tra ‘teoria’ ed ‘opera d’arte’ I.1 La psicoanalisi viene dall’arte In una luminosa analisi de Il flauto magico di Mozart, Di Benedetto intuisce un preannuncio in forma artistica dell’inconscio: L’oggetto artistico ci aiuta a pre-sentire ciò che potremo conoscere meglio domani, producendo una sorta di primitiva illuminazione interiore, una forma di preliminare percezione del mondo interno. Esprime quello che non possiamo ancora dire. E’ segno di un linguaggio che verrà. E poi […] la musica […] è un presagio di relazione oggettuale, più che la forma sonora di un determinato oggetto.152 Queste affermazioni inducono a formulare due importanti considerazioni. La prima è che vi sarebbe un forte rapporto di reciproci scambi tra psicoanalisi ed arte, molto più stretto di quanto fin’ora si siano preoccupati di dimostrare gli psicoanalisti da un lato, e gli artisti dall’altro. Di Benedetto sta implicitamente affermando qualcosa di decisivo. La sua idea di una psicoanalisi ‘proveniente dall’arte’, come già abbiamo appurato precedentemente, muove proprio dalla constatazione che non fu l’intuizione teorica di Freud a dare il nome al complesso di Edipo, ma fu la nota vicenda letteraria del mito greco a indicare a Freud una teoria psicoanalitica. La psicoanalisi, dunque, fin dalle sue origini porta con sé questo tratto distintivo: essa proviene da un’intuizione artistica. E’ la forma teorica, e quindi razionalizzata e resa nel linguaggio del logos, di un presentimento artistico. La seconda considerazione da fare, necessariamente conseguente alla prima, è che una intuizione artistica può esprimere, in un linguaggio ancora non razionale e pensabile coscientemente, un importante messaggio che attualmente trova manifestazione solo ad un livello ‘primitivo’, ‘pre-verbale’. Ed è solo a questo livello che noi possiamo ‘conoscerlo’. Ma tale intuizione troverà inevitabilmente riscontro, in futuro, attraverso una teorizzazione razionale che riuscirà a dire ciò che prima non si riusciva. Ciò attraverso un linguaggio cosciente che ha dovuto, quindi, ampliare la sua portata, ed assorbire qualcosa che prima gli era estraneo. 152 A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 115. 64 www.ilmondodisofia.it E’ interessante questo continuo rimando tra linguaggio artistico e linguaggio ‘scientifico’. Può forse corrispondere al rapporto tra logica simmetrica e logica asimmetrica. Queste due considerazioni inducono ad altrettante ipotesi: 1) La teoria della bi-logica di Ignacio Matte Blanco dovrebbe trovare un corrispettivo pre-annuncio all’interno di una operazione tutta artistica, e ovviamente precedente ad essa. 2) L’operazione artistico -musicale così rivoluzionaria, quale si è configurata quella della dodecafonia, ad opera del compositore viennese Arnold Schönberg, potrebbe schiudere nuove e significative ipotesi di lavoro in campo psicoanalitico e gnoseologico. Prima di passare al cuore di questa terza parte, soffermiamoci ancora su alcune considerazioni. Freud, sostiene Di Benedetto, finiva per trattare l’opera d’arte per lo più come un fatto che nasconde qualcos’altro , come qualcosa da investigare e scomporre per risalire ad avvenimenti celati; la direzione che bisogna percorrere (e che in Freud era rimasta solo ad uno stato embrionale) parte da un assioma: «l’opera d’arte non nasconde, ma crea». L’evento artistico non è la cassa di risonanza di pulsioni, rimozioni, desideri inconsci dell’autore che attraverso le scene rappresentate realizzerebbe le sue fantasie segrete, ma semplicemente si configura come l’intuizione, in un linguaggio non verbale, di qualcosa da cui la psicoanalisi può attingere per progredire e ‘dire di più’. L’opera d’arte spiana una nuova via di conoscenza. Attraverso una descrizione metaforica molto interessante (ottenuta plasmando il materiale narrativo de Il flauto magico di Mozart), Di Benedetto suggerisce il modo migliore di predisporsi nei confronti di un’opera d’arte. Dopo esserti posto nella condizione ricettiva dell’iniziato, aspetta che la verità ti giunga dalla guida di un Sarastro [il signore del Giorno]. Rischieresti altrimenti di “ucciderne” anzitempo, secondo i dettami della Regina della Notte, la luce. Evita di pensare a significati che si nascondono, quasi si trattasse di inseguire un colpevole in un’indagine poliziesca, e consenti invece a questa guida di condurti alla rivelazione di ciò che non sai e non puoi dire. Con il suo aiuto compi il viaggio iniziatico verso il regno dell’inaudito, del non-visto e del non-detto. Compi con l’animo del “puro folle” questo cammino, lasciandoti andare all’ingenuità e all’innocenza dei fatti, allo stupore che destano, non li guardare con il tuo sapere precostituito né con l’ansia di sapere. 153 Alla psicoanalisi è schiusa la sorprendente possibilità di ‘provenire dall ’arte’, attraversando così quella che è la modalità propria dell’attività artistica, che non attinge a un linguaggio verbale e razionale, ma riguarda proprio il ‘non -dicibile’. Carico di questo viaggio, lo psicoanalista possiede strumenti che lo avvicinano maggiormente alla dimensione inconscia della mente. Di Benedetto dimostra a più riprese come nella pratica dell’analisi, questo atteggiamento di rispetto e interesse 153 A. Di Benedetto, Prima della parola, cit., p. 134. 65 www.ilmondodisofia.it nei confronti del non-detto, che proprio l’operazione artistica ci insegna a tenere in debita considerazione, abbia giovato oltremodo alla comprensione di alcuni aspetti non verbalizzabili dai pazienti e al recupero terapeutico di situazioni apparentemente difficili da analizzare. In particolare soffermarsi su quegli aspetti musicali , come l’intonazione della voce, le pause, il ritmo del discorso, i suoni duri delle consonanti (ad esempio, i dentali “t” e “d”) attivavano, nell’analista, importanti riflessioni. Rivelavano ‘comportamenti’ non visibili, ma ‘osservabili’, adesso, grazie a questa nuova consapevo-lezza. L’arte può aiutare a pre-sentire il non-visibile. Semplicemente essa riesce ad attivare quella modalità della nostra mente che Matte Blanco ha chiamato ‘modo di essere simmetrico’. Come già abbiamo messo in evidenza, Di Benedetto giunge ad importanti conclusioni: In una porzione della mente analitica sono convinto che lavori un pensiero di tipo musicale, anche in chi non possiede particolari competenze musicali. […] Qui debbono soggiornare tutti i suoi messaggi [del paziente], più o meno vaghi, incoerenti o frammentari, per cominciare ad acquistare senso e accedere a un primo livello comunicativo, quello sonoro, che prelude alla parola. 154 La musica è lo sfondo in cui sono immerse le radici del nostro essere, del nostro rapporto col mondo. La vita pre-natale è fatta di puri suoni. L’originaria conoscenza che si ha con l’ambiente circostante è di tipo acustico, prima ancora che visivo. Il rapporto primordiale è con una melodia, con la voce della madreseno. Tutto quanto è musicale appartiene indirettamente a questo primitivo ‘stato confusiv o’ della nostra esistenza. Appartiene all’inconscio più profondo, all’inconscio altamente simmetrico. 154 Ivi, p. 194. Cfr. infra , p. 90. 66 www.ilmondodisofia.it I.2 La ‘Lettera di Lord Chandos’ di von Hoffmannsthal: un preannuncio alla teoria della bi-logica di Matte Blanco In quello che è forse tra gli scritti brevi più noti di Hugo von Hoffmannsthal, la Lettera di Lord Chandos155 (composta nel 1902, anche se datata 1603) troviamo alcuni spunti per delle importanti riflessioni. Appare particolarmente fecondo accostarci alla Lettera, a prescindere dalle numerose interpretazioni e dai più diffusi commenti altresì di grande valore e da tenere ovviamente presenti156, attraverso «la lente di Matte Blanco», per usare un’espressione di Filiberto Menna. Troveremo che il testo si presenta come un preannuncio in forma letteraria, quindi come esperienza artistica ed estetica, di alcune fra le più importanti conquiste psicoanalitiche rilevate da Ignacio Matte Blanco. La Lettera si situa, come uno dei maggiori contributi artistici, proprio all’interno dell’atmosfera culturale viennese che ci è familiare, quell’aria che Schönberg respirava e in cui sviluppò le sue originali intuizioni. Ci soffermeremo in particolare su alcuni passi, e vi rifletteremo alla luce delle categorie dello psicoanalista cileno. Avremo modo di notare che esiste un rimando naturale e reciproco fra il lavoro di Hoffmannsthal e gli studi (di oltre mezzo secolo posteriori) di Matte Blanco sulla bi-logica. Lord Philipp Chandos espone a Francesco Bacone il problema cruciale della lettera (che, palesemente sottinteso, rispecchia quello della letteratura e dell’arte di inizio secolo), e cioè il problema dell’incapacità di poter esprimere attraverso il linguaggio ed il pensiero cosciente qualcosa che sia portatrice di verità e coerenza . Lord Chandos è co me chiuso in una morsa indefinibile che lo blocca, lo costringe al silenzio, lo inibisce alla creazione, tanto che comincia proprio con l’elencare una serie di ambiziosi progetti a cui deve inevitabilmente rinunciare. In un tempo ormai passato, in quei giorni felici della progettazione «fluiva in me […] l’individuazione della forma […] quella di cui nulla più si può dire, se non che ordina la materia che essa penetra, la eleva e genera a un tempo poesia e verità, un 155 H. von Hoffmannsthal (1902), Ein Brief, trad. it., Lettera di Lord Chandos, Rizzoli, Milano, 1974. Nella vasta bibliografia su Hugo von Hoffmannsthal segnaliamo solo alcuni lavori tra i più noti esistenti: H. Broch, Hoffmannsthal und seine Zeit in H. Broch, Dichten und Erkennen, Essays Bd. I, Zürich, 1955, pp. 43-181. R. Alewyn, Über Hugo von Hoffmannsthal, Vandenhoeck und Ruprecht, Göttingen, 1958. M. Marianelli, Hugo von Hoffmannsthal. La «pre-esistenza», Nistri -Lischi, Pisa, 1963. A. Pellegrini, Novecento tedesco, Principato, Milano-Messina, 1942, pp. 29-50. C. Magris, Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna , Einaudi, Torino, 1963, pp. 235-255. 156 67 www.ilmondodisofia.it contrappunto di forze eterne, una cosa meravigliosa come la musica e l’algebra» 157 ; […] allora, in una sorta di costante ebbrezza, tutto quanto esiste mi appariva come una grande unità […] in tutto io sentivo la natura […] e in tutta quanta la natura io sentivo me stesso158. e ancora: intuivo che tutto era identità, e ogni creatura la chiave per un’altra159. Quale migliore esempio di simmetria. Sembra fin troppo evidente che Lord Chandos stia provando proprio quella che Matte Blanco definisce l’esperienza dell’indivisibile unità del tutto. Esperienza emozionale con strutture insieme bi-modali e bi-logiche. E’ il modo ‘artistico’ di vivere e sentire il mondo160 . Diverso da quello ‘scientifico’ in cui comprendere (giudicare) significa dividere, frantumare, scomporre per analizzare. Il momento successivo a questa esperienza di inebriante unità col tutto è di fondamentale importanza. Vedremo che è possibile inquadrarlo come la necessaria conseguenza, anzi l’altra faccia di quella esaltazione tutta emozionale. Matte Blanco ci illumina, come meglio non si potrebbe, su un fenomeno che cominciava ormai a definire la totale rottura con ogni canone del romanticismo e a configurarsi come il problema fondamentale dell’artista e dell’uomo contemporanei. Al tempo stesso, von Hoffmannsthal non fa che descrivere e confermare (nel 1902, prima ancora della nascita della psicoanalisi come fenomeno diffuso), in un modo che Di Benedetto definirebbe senza dubbio ‘preverbale’ (quello dell’arte, appunto), ciò che lo psicoanalista cileno riuscirà a esporre razionalmente e verbalmente mezzo secolo più tardi. Arte e psicoanalisi trovano, come si vede, ispirazione e conferma l’una dall’altra. Tornando alla Lettera , dunque, Lord Chandos ci informa di un nuovo impulso che sente insinuarsi nell’animo. Sottolineiamo, ancora, come esso ci apparirà intimamente legato a quella prima esaltazione di armonia e unità col tutto. Leggiamo le sensazioni derivate da questo improvviso e inspiegabile scoramento e indebolimento dello spirito. Da qualche tempo, dunque, tutto sembra sfuggire, i misteri della fede […] sono […] come un arcobaleno splendente, sempre remoto, sempre pronto a scomparire se mai pensassi ad avvicinarmi e a volermi avvolgere nel lembo del suo mantello. Però anche i concetti terreni mi sfuggono alla stessa maniera. […] In breve, il mio caso è questo: ho perduto ogni facoltà di pensare o di parlare coerentemente su qualsiasi argomento. 157 158 159 160 H. von Hoffmannsthal (1902), op. cit ., p. 35 (corsivi miei). Ivi, p. 37 Ivi, p. 39 Cfr. I. Matte Blanco (1986), Riflessioni sulla creazione artistica, cit., p. 72. 68 www.ilmondodisofia.it Lord Chandos è di fronte a un blocco angosciante. […] Provavo un inspiegabile disagio solo a pronunciare le parole «spirito», «anima» o «corpo». Trovavo impossibile, nel mio intimo, esprimere un giudizio sulle questioni della corte, i fatti del parlamento, o quel che vogliate. […] le parole astratte […] mi si sfacevano nella bocca come funghi ammuffiti . […] Ogni cosa mi si frazionava, e ogni parte ancora in altre parti, e nulla più si lasciava imbrigliare in un concetto.161 L’atto della concettualizzazione, dell’espressione attraverso parole, cioè attraverso un linguaggio che non permette di dire l’unità del tutto perché nega l’ambivalenza, la co-presenza dei contraddittori e degli opposti, non può dire ciò che Lord Chandos sente e vive pure in maniera così intensa. L’idea che esprime Matte Blanco nei suoi scritti sul problema dell’arte, e non soltanto in essi, è che l’unico modo per il pen siero (per l’intelletto) di afferrare l’indivisibile è quello di dividerlo infinitamente. L’unico modo di conoscere è quello di dividere (Urteil, ‘giudizio’, significa ‘separare’, come sottolinea, in un suo scritto, F. Hölderlin 162 ). Per conoscere l’Uno-Tutto l’intelletto separa all’infinito (è quasi un girare a vuoto, che è però insieme l’unico modo appropriato di avvicinarsi a questa verità di tipo emozionale). All’affermazione di Lord Chandos – «trovavo impossibile, nel mio intimo, esprimere un giudizio sulle questioni della corte, i fatti del parlamento, o quel che vogliate» – fa eco un concetto analogo di Matte Blanco nelle ultime pagine del suo lavoro Creatività e Ortodossia: Al livello della coscienza ognuno ha buone ragioni per avere le proprie idee; ad un livello simmetrico, però, il significato delle idee può essere molto diverso e può anche succedere che delle idee opposte possano a questo livello essere identiche. […] L’identità tra una cosa e la sua negazione (in un livello profondo) […] apparent emente, forse, mette in questione l’unicità della verità. In ogni caso rende manifesta l’infinità apparente di soluzioni per uno stesso problema. 163 Appare, allora, evidente in cosa consiste il paradosso: perché il pensiero possa avvicinarsi al modo indivis ibile, bisognerebbe rinunciare a un giudizio che sia univoco e bivalente, poiché sarebbe necessario esprimere infinite affermazioni differenti che contemporaneamente, però, avessero la stessa valenza di verità. Bisognerebbe esporsi a un modo nuovo che concepisse infinite dimensioni 161 H. von Hoffmannsthal (1902), op. cit., p. 41 e p. 43 (corsivo mio). Cfr. F. Hölderlin (1795), Urteil und Sein, trad. it., Giudizio, possibilità, essere, in F. Hölderlin, Sul tragico, a cura di R. Bodei, Feltrinelli, Milano, 1994. 163 I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia, cit., p. 286. Per dovere di integrità è opportuno trascrivere anche le righe successive a quelle citate: «[…] In ogni caso rende manifesta l’infinità apparente di soluz ioni per uno stesso problema. Conduce forse al relativismo più assoluto, nel quale non esiste una, ma infinite verità? Personalmente non credo sia così. Sono dell’opinione che il principio di contraddizione può essere trovato anche nelle manifestazioni app arentemente più opposte ad esso. Il modo di essere asimmetrico non è una falsità, anche se il modo di essere simmetrico può essere un’infinita verità». 162 69 www.ilmondodisofia.it sovrapposte simultaneamente, cioè a un approccio (per dirlo con parole di Matte Blanco) multidimensionale. In cui la logica del pensiero cosciente si trova al margine con quella dell’inconscio, la logica simmetrica, che scopre nel mondo un’unica e indifferenziabile classe. I concetti, li capivo bene […] ma era un fatto di loro esclusiva reciprocità, e la parte più profonda, personale del mio pensiero rimaneva esclusa dalla loro danza.1 6 4 Siamo semplicemente di fronte al conflitto irrisolvibile, costitutivo, che è lo scontro tra due modi di conoscere, per nulla assimilabili l’uno all’altro. Un’antinomia costitutiva, quella che appunto vive Lord Chandos. Verso la conclusione della Lettera v’è un passo che, a questo punto, appare assai significativo: Sento dentro di me e attorno a me una solleticante infinita rispondenza, e tra gli elementi che si contrappongono nel gioco non v’è alcuno in cui non sarei in condizione di trasfondermi. Mi sembra allora che il mio corpo sia fatto di pure cifre, che mi rivelano il segreto di ogni cosa. O che potremmo entrare in un nuovo, significante rapporto con tutto il creato, se cominciassimo a pensare col cuore. 165 […] E tutto è una sorta di febbrile pensare, ma pensare in un elemento che è più incomunicabile, più fluido, più ardente delle parole.166 La si potrebbe proprio scambiare per un’affermazione di Matte Blanco: «potremmo entrare in un nuovo, significante rapporto con tutto il creato, se cominciassimo a pensare col cuore». E’ quanto ha espresso più volte, infatti, con differenti parole. Lord Chandos–von Hoffmannstal giunge ad una conclusione importante: per la prima volta adesso sta parlando di un nuovo modo di pensare («una sorta di febbrile pensare») e, dunque, di conoscere. Abbiamo una definitiva conferma che non si tratta, quindi, di descrivere un’esperienza solo estetica, mistica, o puramente emotiva. Ma di un’esperienza principalmente gnoseologica. Di un nuovo modo di conoscere, attraverso un nuovo tipo di pensiero: il pensiero simmetrico. In un modo diverso dal modo eterogenico-dividente: nel modo ‘bibodale bi-logico’. Di questo ha fatto esperienza Lord Chandos, e perciò «quando questo strano incantamento» lo abbandona egli non è più capace di parlarne (poiché sta mediando e traducendo in un tipo di conoscenza asimmetrica, qualcosa che è totalmente altro da questa, un’esperienza bi-logica), né è più capace di «spiegare con parole sensate in cosa sia consistita questa armonia che compenetra» se stesso e il mondo intero, e in qual modo gli si sia palesata, esattamente come non potrebbe precisare i moti delle sue viscere e i sussulti del suo sangue.167 164 165 166 167 H. von Hoffmannsthal (1902), op. cit., p. 45 (corsivo mio). Ivi, p. 51 (corsivi miei). Ivi, p. 57. Ivi, p. 53. 70 www.ilmondodisofia.it In conclusione: nella Lettera di Lord Chandos si è ravvisato un fenomeno che abbiamo riconosciuto essere il preannuncio, sul piano artistico-letterario, di quella che, mezzo secolo più tardi, diventerà una teoria psicoanalitica, nonché gnoseologica, dalla straordinaria portata e dalle innumerevoli applicazioni. Con la lente di Matte Blanco abbiamo compreso fino in fondo qualcosa che allo stesso von Hoffmannsthal inevitabilmente non poteva non sfuggire. La sensazione di difficoltà di poter dire qualcosa che possedesse verità e coerenza sull’uomo e sul mondo, e la conseguente crisi artistico-filosofica che ha caratterizzato l’inizio del ‘900, deriverebbero da una ‘antinomia costitutiva’ dell’uomo, che si trova ad esperire l’Essere e a doverne parlare in termini di Avvenimento, come spiega Matte Blanco. E’ naturale che le parole diventino nella bocca ‘come funghi ammuffiti’. L’essere simmetrico ammuffisce nella bocca asimmetrica. Non è un caso che «l’unica possibilità che ha l’uomo di esprimere concettualmente la sua doppia natura, simmetrica/asimmetrica (inconscia/conscia)» è quella di infinitizzare, di descrivere il modo d’essere simmetrico come insiemi infiniti.168 Abbiamo visto che inconsapevolmente è ciò che ha fatto anche Lord Chandos. A quel sentimento-emozione di unità col tutto corrispondeva un’operazione intellettiva che infinitizzava e parcellizzava il mondo, i fatti, i pensieri. La Lettera si è mostrata un preannuncio in forma artistica delle teorie psicoanalitiche di Matte Blanco; egualmente dovrebbe essere possibile individuare un’operazione artistica capace di indicare la strada per nuove teorie scientifiche. Se prima abbiamo tracciato uno studio generale del metodo di composizione dodecafonico di Schönberg, non ci resta che verificare cosa ha da dirci adesso. 168 Cfr. I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia, cit., p. 234. 71 www.ilmondodisofia.it I.3 La necessità di un confronto tra bi-logica e dodecafonia E’ giunto il momento, dunque, di far convergere i diversi sentieri teorici percorsi finora, poichè, quasi inevitabilmente, essi hanno già dato segno di doversi incontrare. Da un lato abbiamo le teorie di Matte Blanco sull’inconscio: pensiero, emozione e creazione artistica ci hanno proiettato verso un luogo misterioso della natura del mondo, a cui corrisponde rispettivamente uno spazio mentale, multidimensionale, non ancora chiaro fino in fondo. L’indivisibilità è apparsa la caratteristica ultima, fondamentale, dell’universo, una verità capace di riassorbire nel campo della comprensione una moltitudine di fenomeni che rimanevano inesorabilmente relegati agli ultimi e meno importanti gradi della conoscenza, se non addirittura rigettati da ogni epistemologia. Dalle osservazioni sul funzionamento dell’inconscio, che non è affatto apparso svincolato da ogni tipo di logica, siamo risaliti ad un modo di essere dell’uomo che si è dimostrato non solo vertiginosamente presente nelle profondità di ogni atto (conoscitivo e creativo), ma soprattutto come decisamente originario. Assodato che esistono almeno due tipi differenti di regole logiche attraverso cui l’uomo pensa e agisce (e mediante cui il mondo stesso sembra strutturato), ci siamo accorti dell’antinomia fondamentale a cui porta una simile configurazione: l’irrisolvibile presenza di due modi opposti e antitetici di pensare, sentire ed essere. Non che l’uno sia capace di arrestare l’altro. Anzi, i due modi appaiono costantemente intrecciati (è risultato evidente a proposito dell’analisi delle diverse ‘strutture bi-logiche’). Abbiamo , però, posto l’attenzione su un fatto importante: l’auspicio dello stesso Matte Blanco di fondare una nuova epistemologia sulla base di una ‘superlogica unitaria’ capace di renderci comprensibile un super-sistema in cui troviamo «fusi e combinati insieme» il modo eterogenico -dividente e la totalità indivisibile. Si sono rintracciate le possibilità di tale evento seguendo le riflessioni di Pulli intorno ai due momenti, del ‘sorgere della coscienza’ e della ‘riflessività della coscienza verso se stessa’. A questo punto ci si è avventurati nel seguire un nuovo percorso, quello che ha delineato l’operazione teorica e musicale di Schönberg , di certo in un’ottica indirettamente predisposta secondo le chiavi concettuali forniteci da Matte Blanco, ed in vista di una possibile corrispondenza con le teorie che prima avevamo posto in rilievo. Ma in nessun momento ci è sembrata una forzatura spingere l’operazione schönberghiana fino ai suoi esiti più originali e interessanti, che mostrano quanto essa abbia da dire nel contesto problematico fin qui sollevato. 72 www.ilmondodisofia.it Nel far questo, un ulteriore sentiero ci ha rifornito di strumenti e riflessioni tali da permettere una disamina più comprensibile ed attenta dell’argomento di questo lavoro. Abbiamo infatti tenuto in giusto conto l’importanza di una analisi (che per quanto approssimativa era pur sempre indispensabile) del fenomeno naturale della propagazione dell’onda sonora . Occasione per addentrarci nell’evento musicale della ‘dodecafonia’ o ‘pantonalità’, con maggiore attenzione e preparazione. Si delinea dunque la necessità di tornare sui concetti matteblanchiani alla luce di queste nuove acquisizioni. Nei prossimi e ultimi capitoli si darà vita ad uno spazio in cui, vicendevolmente e continuamente, i due ambiti, quello teorico -psicoanalitico e quello artistico- musicale, si rimandano l’un l’altro rischiarandosi reciprocamente e instancabilmente. Seguendo le osservazioni di Pulli si è individuato un luogo in cui il principio di simmetria risulterebbe emendato da ogni anacliticità. Ai nostri occhi era apparsa una dimensione ancor più profonda e originaria della totalità indivisibile. Le riflessioni in rapporto al fenomeno musicale della ‘pantonalità’ possono tentare di approfondire le potenzialità che la dimensione dell’ascolto possiede, nel senso delle parole di Claude Lévy Strauss: «se riusciremo a spiegare la musica, potremo trovare la chiave per l’intero pensiero umano»169 . Soprattutto alla luce delle riflessioni di Pulli sulle due circostanze ‘anomale’ della coscienza, di cui Matte Blanco aveva intuito la profonda importanza. «E non potrebbe darsi che se fossimo capaci di pensare in termini di più dimensioni tutto lo strano comportamento dell’inconscio riuscirebbe facilmente ad entrare nella nostra coscienza e ad avere una propria logica?»170 , si domanda Matte Blanco. Un pensare in termini di più di tre dimensioni è un pensare ‘emozionale’ oppure ‘artistico’. Ma quali vie si schiudono all’eventualità di una parte della coscienza che può esporsi alla multidimensionalità? 1) «Il nostro pensiero non può essere consapevole di più di una cosa alla volta» 171. 2) «L’inconscio è muto. E quindi, per renderlo loquace, bisogna in qualche modo suonare o parlare in sua vece. Così pure per sollecitare in altri un esercizio all’ascolto»172 . 3) «La musica è […] la presentazione da parte di un poeta musicale o di un filosofo musicale, di idee musicali che devono corrispondere alle leggi della logica umana, ed essere quindi parte di ciò che l’uomo può percepire, ragionare ed esprimere […]» 173 . 169 C. Lévy Strauss (1964), The Row and the Cooked , trad. it. Il crudo e il cotto, Il Saggiatore, Milano, 1966. 170 I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 104. 171 Ivi, pp. 104-105. 172 A. Di Benedetto, Prima della parola , cit., p. 15. 173 A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., pp. 111-112. 73 www.ilmondodisofia.it Queste tre affermazioni, rispettivamente di Matte Blanco, Di Benedetto e Schönberg, così avvicinate non ci sembrano affatto stonare, anzi propongono una serie di riflessioni da cui si è creduto di non poter prescindere. 74 www.ilmondodisofia.it Capitolo Secondo La bi-logica ed il fenomeno del suono II.1 Il sogno ed il suono: strutture multidimensionali Una nota contiene in sé tutte le altre. Ancora una volta ci appare senza dubbio una riflessione densa di significati. Da un punto di vista filosofico, l’ipotesi principale che stiamo affermando ci trascina direttamente al problema cruciale del rapporto tra l’Uno e il molteplice. La singola nota è Unità della molteplicità. Un solo elemento è allo stesso tempo infiniti elementi. Inevitabilmente, riecheggiano alcune parole di Matte Blanco, del 1984, in cui si parla del rapporto tra ‘spazio a più di tre dimensioni’ e mondo interno dell’uomo. Nello scritto Il sogno: struttura bi-logica e multidimensionale174 , si circoscrive il fenomeno del sogno all’interno di una struttura bi-logica particolare, quella che Matte Blanco chiama ‘tridimensionalizzata’ (Tridim) 175 . Oggetto dell’indagine matteblanchiana è il fatto che l’uomo, proprio mentre riesce a ‘pensare’ uno spazio di altre dimensioni, lo fa appoggiandosi sempre e comunque sulla tri-dimensionalità. Non si può veramente percepire né immaginare un’entità che abbia più di tre dimensioni. Ma si dimostra come il sogno sia un fenomeno che si caratterizza proprio per la sua peculiarità di essere isomorfo a uno spazio di più di tre dimensioni: lo psicoanalista cileno fa notare come in esso avvengano delle condensazioni, per cui, ad esempio, cinque donne vengono unificate in una. Una cosa è insieme cinque cose. La considerazione che Matte Blanco affianca a questo aspetto del sogno riguarda un fenomeno che si caratterizza anch’esso per il suo presentarsi come unico e molteplice allo stesso tempo. Se dispieghiamo un oggetto tridimensionale in un uno spazio di due dimensioni (di n -1 dimensioni rispetto al primo) osserviamo che l’oggetto ni questione subisce una ‘moltiplicazione’ dei suoi elementi costitutivi. Cioè, a livello bi-dimensionale avvertiamo la ripetizione di un elemento che si presentava tridimensio-nalmente soltanto una volta.176 Nel sogno, dicevamo, che è isomorfo ad uno spazio di più di tre dimensioni, avviene lo stesso. Siccome deve usare solo immagini a tre dimensioni, non può far 174 I. Matte Blanco (1984), Il sogno: struttura bi-logica e multidimensionale, cit. Vd. infra, Parte Prima, I.5, pp. 24-31. Cfr. I. Matte Blanco (1988), Il sogno: struttura bi- logica e multidimensionale, cit., pp. 282-285 e figure. 175 176 75 www.ilmondodisofia.it vedere quell’unica donna, di più di tre dimensioni, dell’esempio citato da Matte Blanco, ma deve suggerirne la sua esistenza per mezzo di un composto di cinque donne tri-dimensionali. Sdoppiamento e moltiplicazione dell’unità. Il concetto di ‘molteplicità’ assume un connotato importante. E’ l’espressione, ad un livello ‘inferiore’, dell’unità. Proprio come le cinque donne sono espressione, al livello inferiore della tridimensionalità, dell’uno -donna . Si divide ciò che è unito, per poterlo conoscere, altrimenti rimarrebbe invisibile. Nel sogno la ripetizione di elementi di un unico oggetto (le cinque donne come ‘ripetizioni’ de ‘La Donna’) è la conseguenza della trasposizione di una dimensione n ad una dimensione n-1 (cioè ad una tri-dimensione). L’abbiamo già visto analizzando gli scritti di Matte Blanco sul problema dell’arte: l’infinita moltiplicazione di ciò che è unico è uno ‘stratagemma’ dell’intelletto, che non può conoscere se non dividendo. L’infinito è l’UnoIndivisibile dal punto di vista dell’intelletto. Ecco, finalmente, le parole di Matte Blanco che ci ricollegano, adesso più chiaramente, al problema della molteplicità e dell’unità in rappo rto alle note musicali: Credo che si possa dimostrare in modo semplice che il punto, ogni punto, in geometria considerato indivisibile dal tempo di Euclide, può in realtà essere considerato come formato da 2, 3, 4… fino a infiniti punti, ognuno dei quali ha proprietà diverse dagli altri a seconda delle dimensioni dello spazio al quale lo si considera appartenente: un solo punto e allo stesso tempo un numero infinito di punti! 177 E’ esattamente ciò che abbiamo spiegato riguardo ai suoni musicali. Ognuno, considerato indivisibile, è formato da altri suoni. Virtualmente, da un’infinità di suoni. Ciascuno di questi suoni armonici ha proprietà diverse, cioè si distingue dagli altri e dal fondamentale, pur essendo omogeneo ad esso come a quelli. «Un solo punto è a llo stesso tempo un numero infinito di punti!» La musica, in quest’ottica, apre ad una multidimensionalità e ad una peculiare concezione del mondo che si conforma all’essere indivisibile. Matte Blanco fa notare come la nostra concezione del mondo interno , sia «ricalcata inevitabilmente dalla tridimensionalità della percezione e dell’immaginazione». Il mondo interno (che, tra le varie caratteristiche, possiede quella della multidimensionalità ) lo si spiega e comprende solo ‘costringendolo’ in immagini e ‘discorsi’ tridimensionali. La musica sembra in possesso di alcune caratteristiche molto vicine a questo mondo. Forse è per questo che essa tocca così a fondo le corde dell’inconscio. L’essenza della musica si avvicina all’inconscio, al mondo interno, più di quanto non possano il pensiero e il discorso razionalmente organizzato, e nemmeno le altre arti, come la pittura, la poesia, la letteratura. 177 Ivi, p. 289. 76 www.ilmondodisofia.it E’ per la sua essenza costitutiva che la musica ci permette di andare oltre la tri-dimensionalità, in una via che sembra esclusa al pensiero bivalente, dato che anche «per concepire dimensioni superiori a tre, [esso] cerca sempre l’aiuto della tri-dimensionalità – l’unica dove, assieme all’immaginazione e alla percezione, il pensiero si sente a suo agio»178 . Ciò non esclude che una porzione di pensiero, la ‘coscienza auditiva’, possa muoversi in un territorio, quello della multidimensionalità, da cui è inevitabilmente tagliato fuori il pensiero razionale. E’ stata evidenziata la notevole affinità che si stabilisce tra l’inconscio e il linguaggio sonoro (lo abbiamo accennato a proposito delle teorie di Di Benedetto). La natura e l’inconscio sembrano trovare proprio nel fenomeno del ‘suono’ una chiave per multiformi e vicendevoli interrelazioni. Ma soprattutto si è sottolineato come il campo dell’ascolto musicale si situi proprio al confine tra inconscio e pensiero cosciente: è forse il luogo privilegiato di ogni profonda comunicazione tra essere simmetrico ed asimmetrico. 178 Ivi, p. 290. 77 www.ilmondodisofia.it II.2 La musica è un insieme infinito Ogni suono è la fusione simultanea e originaria di più suoni (virtualmente di tutti). E’ possibile considerare l’insieme dei suoni come un insieme infinito, per il fatto che ogni suono in realtà finisce per possedere le proprietà di ogni altro. La musica è evidentemente un (virtuale) insieme infinito. Ogni elemento (nota) dell’insieme “tutte le note dell’ottava” è identificabile con l’intero insieme. Ogni suono possiede le proprietà di tutti gli altri suoni. A prescindere dalle regole del sistema tonale e di qualsiasi altro sistema musicale, un DO è assimilabile a un RE, o a un FA#, o anche a un suono ‘senza nome’ che sta tra il LA e il SIb, secondo le riflessioni che abbiamo sviluppato. Se si concede di definire ‘musica’ il concetto che comprende l’insieme delle note non solo esistenti, ma di tutte quelle possibili, in un senso quindi molto più ampio rispetto a quello abituale, si schiude ai nostri occhi un mondo nuovo, che continua a dirci inesauribilmente un gran numero di cose. Prendiamo due note distinte: DO e RE. Pur essendo diverse e, in apparenza, fortemente ‘dissonanti’, esse formano una unità. Unità e distinzione si danno contemporaneamente. Se la distinzione tra le singole note ci indica un processo di tipo asimmetrico, che è quello che il nostro o recchio esegue nel ‘comprendere’ e afferrare i suoni, l’unità che tiene il RE (e ogni altra nota) nel DO ci suggerisce un procedimento di tipo simmetrico, e un aspetto, quindi, di quella totalità omogenea indivisibile, in cui non sono possibili relazioni, e in cui tutto è un’unica indifferenziata unità. L’opera d’arte, il più delle volte attraverso l’irruzione di una simmetria che rompe la logica bivalente, ci permette di intuire l’indivisibile. Anche ‘astrazione’ e ‘generalizzazione’, l’abbiamo visto, senza violare la logica ordinaria, asimmetrica, possono indicarci l’indivisibile. La musica possiede una struttura che, non solo è capace di proiettarci con facilità estrema in tale multidimensione, ma ci induce, probabilmente, ad afferrare qualcosa che in nes sun altro modo e attraverso nessun fenomeno possiamo cogliere così direttamente. Per capire a cosa facciamo riferimento è necessario, prima, riportare alcuni passi di Matte Blanco, del testo del 1988, Pensare, sentire, essere179 . Avevamo già in precedenza ev idenziato l’importanza di alcune affermazioni riguardo a una ‘super-logica unitaria’. Problema posto, e mai sviluppato dallo stesso Matte Blanco, ma su cui abbiamo orientato le nostre indagini precedentemente, lungo il percorso veramente produttivo indicatoci dagli studi di Pulli. 180 179 180 I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit. Vd. infra, Parte Prima, III.4, III.5. 78 www.ilmondodisofia.it Se avessimo una coscienza capace di contenere processi di pensiero di un numero di dimensioni maggiore di quello richiesto per pensare in termini di logica classica, allora saremmo consapevoli non solo del nostro pensiero che o pera in termini di logica classica ma anche del nostro pensiero simmetrico. […] Questo fatto ci permette di capire che il nostro inconscio simmetrico è in sé una coscienza potenziale che opera con un numero di dimensioni maggiore di quello della nostra coscienza attuale. 181 Alla pagina successiva, viene detto: E’ interessante e al tempo stesso importante osservare che entrambi i modi sono sempre intrecciati ma mai fusi o combinati insieme a formare un super-modo o una super-logica che comprenda i due modi, o rispettivamente, le due logiche come parti integranti di un modo o di una logica più generali. […] possiamo sospettare che sia possibile una logica di più dimensioni che comprenda la logica classica e quella simmetrica come sottostrutture in sottospazi propri. In tal caso invece di definire la logica simmetrica in termini di violazione della logica classica, potremmo definirla in termini di questa concezione o super-logica più ampia. Questa nuova logica non sarebbe ovvia, in modo intuitivo, per la nostra intelligenza, come lo è la logica classica. […] La super-logica unitaria non sarebbe «percepita» spontaneamente e immediatamente come lo è la logica classica, ma ciò non significa che non possa essere comprensibile attraverso un processo di ragionamento. Ho solo voluto porre questo problema. La possibilità di una sua soluzione è rinviata a un futuro che dista dal presente alcuni o diversi anni di duro lavoro.182 Secondo le osservazioni che prima abbiamo esposte, riferendoci al lavoro di Di Benedetto, siamo arrivati a considerare in un modo assai peculiare la dimensione dell’ascolto, come luogo di periferia della coscienza che è più direttamente (e dai più remoti tempi dell’esistenza) a contatto con la multidimensionalità inconscia. Appare perciò molto chiara l’affermazione di Matte Blanco secondo cui l’inconscio è ‘una coscienza potenziale’ che opera con un numero di dimensioni maggiore rispetto alla coscienza ‘in atto’. Abbiamo, in effetti, individuato uno spazio che sembra appartenere simultaneamente al nostro inconscio simmetrico così come al pensiero cosciente. E per questo, all’interno dell’ascolto musicale, è ipotizzabile l’azione di una super-logica che sia la perfetta fusione di modo simmetrico e modo asimmetrico. Per adesso ci basta mostrare che nella dimensione dell’ascolto è possibile individuare la presenza di una simmetria ‘originaria’ emendata da ogni anacliticità rispetto alla logica bivalente (fattore indispensabile per l’individuazione di una reale ‘fusione’). 181 I. Matte Blanco, Pensare, sentire essere, cit., p. 105. (Il testo matteblanchiano originale è tutto in corsivo. Si è usato, qui, il corsivo soltanto per metterne in risalto la parte che più ci interessa). 182 Ivi, p. 106. 79 www.ilmondodisofia.it II.3 Le possibilità di un raffronto tra il ‘fenomeno della riflessività della coscienza su se stessa’ e la dimensione auditivo-musicale della psiche La peculiarità del suono di essere contemporaneamente identico e diverso da sé, lo caratterizza come un avvenimento assolutamente atipico. La portata di questo significato non si esaurisce nell’assimilare il fenomeno sonoro ad un insieme infinito , né ad enumerarlo tra le differenti strutture bi-logiche esistenti, le quali, ripetiamolo, nei loro modi di articolarsi rivelano semplicemente un continuo e multiforme ‘intreccio’ di logica simmetrica e pensiero bivalente. Il fenomeno sonoro si pone in un luogo assolutamente “al margine”, tra il possibile ed il paradossale, tra una comprensibilità emotivo-intellettiva e la totale inafferrabilità. Questo luogo, d’altra parte, non ci è sconosciuto: è già stato indagato proprio da Matte Blanco. All’interno del fenomeno sonoro accade qualcosa di simile ad un avvenimento molto interessante, che pure, nelle teorie matteblanchiane, si era situato in uno spazio ‘marginale’, quasi in sospeso. Si tratta dell’eccezionale esperienza (che Matte Blanco, come si ricorderà, aveva descritto in L’inconscio come insiemi infiniti), della coscienza che si trova dinanzi a se stessa, che diventa essa stessa ‘oggetto di coscienza’. Il fatto anomalo è che finisce, allora, per trattare sé stessa come se fosse esterna a sé, come altro -dasé. 183 A questo avvenimento, intenso ma fugace, avevamo affiancato l’altro, in verità del tutto equivalente, del ‘sorgere della coscienza’ (di cui Matte Blanco tratta in Creatività ed ortodossia), all’interno del quale abbiamo ravvisato il primo processo asimmetrico della psiche umana, e quindi il primo tentativo di differenziazione di una totalità che fino ad allora era percepita come unità. Perciò, la reale fusione tra i modi d’essere simmetrico ed asimmetrico era stata precedentemente rintracciata nei due avvenimenti del ‘sorgere della coscienza’ e della ‘riflessività della coscienza su se stessa’. Questi avevano individuato una sfera della psiche molto più profonda e originaria, in cui il sé e l’altro coincidevano, interno ed esterno erano trattati come un’identica cosa. Qui era piuttosto il principio di simmetria ad apparire precedente ad ogni divisione e ‘asimmetrizzazione’. Non più in un rapporto di anacliticità rispetto al pensiero bivalente, in quanto era proprio quest’ultimo ad apparire in un ruolo deficitario: la divisione non poteva non riconoscere implicitamente l’unità su cui si fondava.184 Si era, pertanto, individuato un luogo della psiche in cui le due differenti forme logiche (simmetrica ed asimmetrica) risultavano fuse insieme; allo stesso tempo ci siamo accorti che il fenomeno sonoro, nella sua essenza, ripropone in modo ineluttabile questa circostanza originaria. 183 184 Vd. infra, Parte Prima, III.4. Cfr. I. Matte Blanco (1975), Creatività e ortodossia, cit., p. 266. 80 www.ilmondodisofia.it Concludiamo affermando che: A) da un lato esiste un luogo della psiche in cui avviene che simmetria e asimmetria, identità e diversità, si trovano realmente fuse insieme. Questo spazio riesce a raggiungere il livello di coscienza solo per brevissimi istanti; B) dall’altro sia il fenomeno delle onde sonore, sia le riflessioni di Di Bendetto sull’avvenimento musicale in campo clinico-psicoanalitico (che a breve approfondiremo), hanno schiuso ad una porzione della mente le porte della multidimensionalità. Inevitabilmente dobbiamo spingere le nostre indagini fino a rilevare la possibilità che questi due fenomeni siano intimamente legati. Resta da stabilire in che modo è possibile che la ‘coscienza potenziale’ (di cui parla Matte Blanco) si ‘attualizzi’ in modo da renderci consapevoli anche, finalmente, dell’essere simmetrico, e non più soltanto del modo d’essere dividente ed asimmetrico. Bisogna amplificare quell’esperienza che per un istante fuggevole avviene a un livello di coscienza maculare (attraverso il fenomeno della riflessività della coscienza medesima), ma che proprio per questo è destinata a perire sul suo stesso nascere. L’unico luogo in cui ciò può avvenire è esattamente quello spazio dell’ascolto musicale, situato alla periferia della coscienza, in cui il pensiero riesce ad aprirsi alla multidimensionalità. Si è tentato di inquadrare l’operazione musicale schönberghiana proprio come la possibilità, attraverso un processo di “ragionamento artistico” (all’interno della dimensione dell’ascolto musicale), di una amplificazione di quella comprensione cosciente, ma fugace, della radicale fusione tra simmetrico ed asimmetrico, tra identico e diverso, tra sé e altro. Prima di giungere ad evidenziare in qual modo la dodecafonia possa ampliare ed approfondire le teorie matteblanchiane, non solo provando a ‘dire di più’ sulla bi-logica, ma gettando anche le basi per delle nuove e interessanti ricerche, è il caso di percorrere anche l’altra strada che, partendo dalle teorie di Matte Blanco, riesce ad enucleare il senso recondito quanto essenziale dell’intera operazione musicale schönberghiana. Il capitolo successivo si spingerà all’interno dei rapporti tra dodecafonia e bilogica. 81 www.ilmondodisofia.it Capitolo Terzo Bi-logica e dodecafonia III.1 La dodecafonia come esperienza artistica dell’indivisibile Fare ‘dodecafonia’, cioè comporre utilizzando tutte e dodici le note possibili all’interno di ogni brano musicale, significa affermare, abbiamo detto, che sempre e ovunque le dodici note sono e devono essere presenti, poiché ognuna è l’altra, e una unità fondamentale le tiene legate. Caratteristica di Schönberg fu quella di usare le «dodici note dell’ottava come dotate tutte dello stesso ordine d’importanza , invece di considerare alcune di esse come note della scala diatonica alterate cromaticamente» 185. Se nella musica in generale, e perciò anche in quella tradizionale, ‘il rapporto’ è tutto186 , nella dodecafonia avviene qualcosa di ancora più significativo: la naturale rispondenza fra i diversi suoni è ciò che la fonda. Nel senso che ogni singola nota è considerata esclusivamente nella sua ‘corrispondenza’ con le altre note della serie. La ‘serie’ è la successione (liberamente scelta dal compositore) di tutte e dodici le note della scale cromatica occidentale. «Penso che quando Richard Wagner introdusse il suo Leitmotiv – con lo stesso scopo per cui io ho introdotto la mia Serie Fondamentale – deve aver detto: “Che l’unità sia fatta”»187 . La serie è l’unità del brano musicale. E’ udibilità melodica, in successione, e quindi nella sua possibilità di distinzione asimmetrica, di quanto avviene ‘naturalmente’ nel suono di ogni nota, ma che rimane inudibile. E’ anche udibilità armonica, in una simultaneità di suoni i quali stavolta non posseggono priorità l’uno sull’altro, ma sono trattati ‘con pari dignità’. Nella ‘serie’ Schönberg proibisce il ripetersi di una stessa nota, prima che tutte siano state suonate. Non bisognava dare l’impressione di sottolineare alcun suono, per non stabilire alcuna ‘supremazia’, così che tutti insieme apparissero su uno stesso livello, e non su una piramide (come di fatto avviene nel sistema tonale, armonicamente, per mezzo degli accordi). 185 D.J. Grout (1960), op. cit., p. 731 (corsivo mio). Cfr. T. Mann (1947), Doktor Faustus, trad. it Doctor Faustus, Mondatori, Milano, 1999, pp. 51-52. Nel capitolo VIII viene introdotto Kretzschmar, personaggio che rappresenta evidentemente T.W. Adorno: le sue parole, nel romanzo, sono la trascrizione degli incontri americani avuti con T. Mann. 187 A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., p.140. 186 82 www.ilmondodisofia.it Insistiamo ancora col riproporre un passo decisivo di uno dei testi più importanti di Schönberg: Partendo dall’idea che la musica non è affatto una delle tante forme di divertimento, ma la presentazione, da parte di un poeta musicale o di un filosofo musicale, di idee musicali che devono corrispondere alle leggi della logica umana, ed essere quindi parte di ciò che l’uomo può percepire, ragionare ed esprimere, partendo dunque da simili premesse, giunsi alle seguenti conclusioni: LO SPAZIO A DUE O PIU’ DIMENSIONI NEL QUALE SONO PRESENTATE LE IDEE MUSICALI E’ UN’UNITA’. […] Qualsiasi evento accada in un punto qualsiasi di questo spazio musicale […] non agisce soltanto sul suo piano specifico, ma opera in ogni direzione e su tutti i piani, estendendo la sua influenza fino ai punti più lontani. […] Un’idea musicale, dunque, pur essendo composta di melodia, ritmo e armonia, non è né l’una cosa, né l’altra, né l’altra ancora, ma le tre cose assieme.188 In queste affermazioni troviamo alcuni concetti precisi: 1) innanzitutto per Schönberg l’arte musicale non può essere assimilata ad un gioco superficiale o ad una sorta di insignificante divertimento; è bene ricordare che proprio in quegli anni si andava diffondendo, in una veste più che mai consumistica, la dirompente forma della ‘musica leggera’, senza dubbio tesa a fungere da momento di distrazione, e perlopiù disimpegnata. 189 La ‘mu sica colta’, invece, dev’essere capace di esprimere ‘idee musicali’, e il compositore riveste il ruolo di un ‘filosofo musicale’. 2) Questa forma d’arte è anche una forma di conoscenza; essa ha a che fare con qualcosa che l’uomo può percepire, ragionare ed esprimere. «Il valore artistico implica la comprensibilità, e ciò per soddisfare, insieme, l’intelletto e l’emozione». Per Schönberg «la composizione con dodici note non ha altro scopo che la comprensibilità».190 3) Lo spazio proprio della musica, dove trovano espressione le idee musicali, è uno spazio ‘speciale’, davvero singolare: nella sua evidente multidimensionalità esso rappresenta una unità. Qualsiasi evento accada in un punto di questo spazio, agisce verso ogni direzione e su tutti i piani, fino ai punti più lontani. Vediamo, allora, a cosa conducono i tre punti sopra indicati. Se è evidente che il pensiero, come ci insegna Matte Blanco, è impossibilitato a rappresentarsi più di una cosa alla volta (ossia, non può raffigurarsi uno spazio multidimensionale) è pur vero che Schönberg ci sta parlando di un evento artistico, in cui interviene un’altra forma di conoscenza non 188 Ivi, pp. 111-112 Non si dimentichi che Schönberg era stato, già in giovinezza, a contatto con i più eminenti uomini indirizzati verso la musica leggera . Probabilmente l’esperienza diretta di autore di canzoni a contatto con un pubblico che chiedeva solo lo svago gli fece comprendere che la musica leggera e di intrattenimento non era la sua strada. Cfr. G. Manzoni (1975), op. cit., p. 18. 190 A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., p. 106. 189 83 www.ilmondodisofia.it più puramente razionale, e soprattutto ci dimostra la sua convinzione nella possibilità che questo evento sia ‘comprensibile’, ‘percettibile’ ed ‘esprimibile’, insomma che corrisponda alle leggi della logica umana. Cosa intendeva Schönberg per ‘logica umana’? E che tipo di ‘comprensione’ è quella auspicata dal compositore viennese, se non si tratta di puro pensiero razionale, né tanto meno di un sentimentalismo sprovvisto di cervello? I due problemi scorrono su binari paralleli. Un pregevole contributo alle problematiche che stiamo tentando di affrontare è offerto dalle interessanti considerazioni di F. Ballardini.191 Se è vero che la concezione di Schönberg dell’arte possiede una forte connotazione ‘mentale’, è pur giusto evidenziare come il termine non sia un sinonimo di ‘razionale’. «I “sensi” e l’“intelletto” sono ugualmente stigmatizzati», afferma Ballardini, e prosegue verso un punto che vale la pena di considerare approfonditamente: si tratta del percorso inverso a quello della ‘fruizione’ dell’opera d’arte, e cioè della sua ‘realizzazione’ da parte dell’autore (di cui Schönberg parla nelle prime righe di Composizione con dodici note). Nell’operazione dell’artista (che in qualche modo il fruitore, pure se per vie diverse, deve ripercorrere) vi è una sorta di ‘trance’ per cui seguendo una sua «visione», egli concepisce l’opera in un singolo atto «totale» dell’«intuizione», e le «idee» gli giungono alla mente «come un profumo può giungere al naso o un suono all’orecchio». 192 Ballardini chiarisce: L’arte quindi nasce nella mente, ma in quella sua parte oscura comunemente denominata «inconscio» […] [di cui] Schönberg dà una definizione apertamente metafisica: l’inconscio è il tramite fra l’uomo e Dio, e per questa via lo mette in contatto con la natura. […] In conclusione: l’arte è dunque un fatto interiore, mentale, inconscio e metafisico; e ciò è tanto più vero per la musica.193 Si viene delineando un tipo di terminologia e di allusioni che non ci sono affatto estranee. Quell’inconscio che è tramite fra uomo e Dio, fra uomo e natura, è un inconscio matteblanchiano, strutturato in maniera tale che, nella ‘creazione’ come nella ‘fruizione’ dell’opera d’arte, attraverso l’idea di infinito e le allusioni all’indivisibile, gli è possibile esperire una più profonda e adeguata conoscenza della realtà. Nulla di sorprendente nel fatto che Schönberg parli dell’‘arte musicale’ nei termini di inconscio, e con riferimenti metafisici. L’indivisibile di cui parla Matte Blanco è tanto immanente quanto metafisico, se si pensa ad esempio alle ‘spiegazioni’ dell’immagine della trinità, o della divinità in generale, che appaiono così intimamente legate ai concetti di ‘multidimensionalità’ e di ‘indivisibile’. 191 192 193 F. Ballardini, op. cit. Ivi, p. 19. Cfr. A. Schönberg (1941), Composizione con dodici note, cit., p. 105. Ivi, p. 20. 84 www.ilmondodisofia.it Quasi costituissero un esito inevitabile di tali teorie, si direbbe leggendo tra le righe lo psicoanalista cileno. Infine Ballardini arriva a concludere che La «logica» del pensiero musicale è una logica «inconscia»: la musica anzi è per eccellenza «linguaggio dell’inconscio»; e assieme (ecco la componente metafisica) essa è «linguaggio del mondo» (nel senso di Schopenhauer), portatrice di messaggi profetici e trascendenti fondati su leggi naturali. 194 Ai nostri occhi, adesso, appaiono evidenti alcune cose. 1) La logica musicale, che organizza le «idee musicali», è specchio della logica inconscia. Da un lato si era chiaramente palesata la struttura bi-logica (o almeno bi-modale) di qualsiasi opera d’arte, che dunque si avvicina inevitabilmente alla struttura stessa dell’inconscio. Ma qui si sta affermando che, in particolare, il linguaggio musicale sembra essere regolato dalle stesse norme che articolano la più profonda essenza psichica dell’uomo e, al tempo stesso, i principi fondamentali del cosmo. La musica è «linguaggio dell’inconscio» e «linguaggio del mondo». 2) La musica racchiude in sé quanto di più originario sia stato ipotizzato dagli sviluppi degli studi di Matte Blanco. In essa avviene qualcosa di molto simile a quella sfera più profonda in cui distinzione e indistinzione si trovano fuse insieme. Più volte abbiamo ricordato gli esiti delle considerazioni di Pulli intorno alle due ‘esperienze-limite’, esposte da Matte Blanco in testi diversi, del ‘sorgere della coscienza’ e dello ‘sprofondare della coscienza nell’inconscio’ (durante quel fugace istante di autoconsapevolezza dei propri eventi psichici). La fusione di identità e diversità, di ‘interno’ ed ‘esterno’ in un unico elemento, era sembrata alla radice della stessa totalità indivisibile dell’inconscio. Nulla di straordinario, dunque, se nella natura si giunge a riscontrare un analogo ambito, in cui identità ed alterità si danno fuse insieme, e se anch’esso appare alla radice dell’indiv isibile. Perciò l’unità-col-tutto originaria di ogni suono, rivelato dal fenomeno degli armonici, ci è sembrato quanto di meglio la natura potesse offrire per confermare, dal ‘suo punto di vista’, le conclusioni a cui si era giunti attraverso gli approfond imenti del pensiero di Matte Blanco, i quali però vertevano principalmente sull’inconscio umano. Che Schönberg avesse chiaro, a un livello più o meno cosciente, le possibilità che la sua originale rivoluzione schiudeva in ambito epistemologico, non è decisivo ai fini delle nostre speculazioni. Ma notiamo che in un suo scritto giovanile (un testo che rientrava nell’opera molto più ampia Die Jakobsleiter e che Schönberg aveva anche cominciato a musicare) vengono manifestamente palesate alcune meditazioni che risultano fondamentali per una profonda comprensione della concezione musicale e filosofica del compositore viennese. 194 F. Ballardini, op. cit., p. 20. 85 www.ilmondodisofia.it Ora canta; ciascuno canta qualcosa di diverso, pensa di cantare la stessa cosa, ed effettivamente in una direzione v’è unisono […], in un’altra pluralità di suoni. In una terza, in una quarta, l’effetto è ancora diverso; ma non si riesce ad esprimerlo. Ha un’infinità di direzioni, e ciascuna è percepibile. […] E tutte si perdono in un luogo imprecisato, dove si potrebbe trovarle. Sarebbe facile seguirle, perché adesso abbiamo una visione… Ecco che cresce; o, per dir meglio: gira su sé stesso. Ma è la medesima cosa. Perché crescendo non aumenta, e girando su di sé pare presentare sempre la stessa faccia. Adesso, però, si dovrebbe poterlo afferrare dato che lo si guarda da punto giusto! Ma è una sola nota! Senza alcuna differenza. Una nota? O non è una nota? O sono molte note? Tutte? E’ l’infinito o il nulla? Impossibile! La molteplicità di prima era più facile da comprendere dell’unità di ora. E’ schiacciante. Meraviglioso perché schiacciante. Ognuno canta qualcosa di diverso, pensa di cantare la stessa cosa, ma in realtà v’è una pluralità di voci: cinque, sei voci, o invece soltanto tre. O sono di più? O forse meno? O nulla? […] 195 195 A. Schönberg, Danza macabra dei principi, in Testi poetici e drammatici (1910-1951), Feltrinelli, Milano, 1967, pp. 36-37 (corsivo mio). 86 www.ilmondodisofia.it III.2 Verso una conclusione Non ci rimane che approfondire l’altro verso di questo singolare rapporto tra dodecafonia e bi-logica: quello che intende chiarire e portare ad evoluzione le teorie matteblanchiane proprio attraverso una originale considerazione dell’evento auditivo-musicale dodecafonico. Matte Blanco dichiara che «quando percepiamo, diamo per scontato l’azione ordinatrice della logica classica, che organizza le nostre sensazioni e, attraverso questo processo, ci rende consapevoli dell’esistenza di certe relazioni nel mondo esterno. Inoltre la nostra percezione interna può renderci consapevoli del fatto che stiamo pensando» 196 . La percezione interna (che in quanto ‘percezione’ è già un atto di giudizio, e quindi stabilimento di relazioni) segna il momento in cui il pensiero tenta di cogliere se stesso, cioè diventa insieme identico e diverso da sé, oppure, in altre parole ancora, si trova a trattare se stesso come diverso da sé, pur essendo sé. E’ portato, insomma, a ricreare quella fusione tra interno ed esterno, che esisteva proprio quando non vi era pensiero, né asimmetria, né relazione alcuna. Sprofonda dunque nell’inconscio, poiché, dice Matte Blanco, in termini spaziali «non abbiamo a disposizione un numero sufficiente di dimensioni per sperimentare» che possiamo ‘pensare’ e al tempo stesso ‘pensare che stiamo pensando’. La multidimensionalità è una categoria che appartiene all’inconscio, non al pensiero cosciente. Vivere e pensare qualcosa a un livello multidimensionale significa viverlo e pensarlo come indivisibile. Ciò non riesce alla coscienza. Se non per un attimo fugace. Ora, la musica può mostrarci una possibile strada per amplificare la durata e l’intensità di quel breve istante. ‘Ascoltare’ significa in qualche modo ‘percepire asimmetricamente’. E’ un fatto che non siamo capaci di comprendere facilmente un’armonia complessa, cioè di distinguere la simultaneità di più note che non eravamo abituati ad ascoltare insieme. L’ascolto è perlopiù ‘melodico’; gli riesce bene di seguire, lungo una linea temporale, una successione di note, e perciò è asimmetrico nella sua struttura: in questo assomiglia al pensiero cosciente. Ma il suo enorme potenziale sta nel sopravanzare il pensiero razionale. E’ quanto Di Benedetto ha tentato di mostrare lungo tutto il percorso analizzato nel capitolo dedicato alle sue teorie. Ed è quanto lo stesso Schönberg, implicitamente, andava sostenendo, ad esempio, a proposito della distinzione fra musiche ‘popolari’ e musiche ‘artistiche’: popolare è la semplicità della comprensione 196 I. Matte Blanco (1988), Pensare, sentire, essere, cit., p. 104. 87 www.ilmondodisofia.it della linea melodica; artistico è la completezza multidimensionale dell’intreccio polifonico -contrappun-tistico.197 Non ci resta che avviare l’ultima parte della nostra ricerca. Nel fare ciò, ritorneremo su un punto che avevamo lasciato in sospeso: l’importanza della sfera auditivo-musicale dell’inconscio , nell’interesse che ha rivestito all’interno degli studi di Di Benedetto: come linguaggio pre-verbale tra madre e figlio; come possibilità di esprimere messaggi somatici più vicini all’inconscio di quanto non faccia la parola; e come migliore condizione per ‘sintonizzare’ il prorpio inconscio sulla frequenza di quello altrui (in particolare nel rapporto analista/paziente).198 Si profila l’eventualità di considerare l’“ascolto” come una dimensione che ap re molte più vie all’indivisibile di quanto non faccia il pensiero razionale. 197 G. Manzoni (1975), op. cit., p. 172. Questa importante concezione è già stata introdotta nel capitolo terzo, secondo paragrafo, in cui si sono affrontate le originali teorie di Di Benedetto. 198 88 www.ilmondodisofia.it Capitolo Quarto Oltre la bi-logica IV.1 Gli studi di Di Benedetto e la dimensione musicale tra coscienza ed inconscio La Parte IV del testo Prima della parola199 (già introdotto nella prima sezione di questo studio) è intitolata ‘Ascolto psicoanalitico e ascolto musicale’. In essa Di Benedetto afferma di essere convinto che «in una porzione della mente analitica» debba lavorare «un pensiero di tipo musicale, anche in chi non possiede particolari competenze musicali». Vi sarebbe un tipo di pensiero , sicuramente situato ad un livello più inconscio che cosciente, che si caratterizza, secondo Di Benedetto, per la possibilità tanto di recepire quanto di utilizzare un ‘idioma musicale’, pre-verbale, che non parla direttamente all’intelletto, ma che riesce a riportare l’ascoltatore ad un ‘passato corporeo’. Ecco quanto viene affermato: «Con la musica, in effetti, riproviamo sensazioni dimenticate. Ritorniamo per tanti aspetti al passato. Riscopriamo un mondo perduto e, addirittura secondo F. Fornari, recuperiamo una condizione edenica pre-natale». Poi salta all’attenzione un concetto che ormai ci è divenuto familiare e comprensibile: «Ci allontaniamo dal mondo evoluto dei suoni articolati in parole e ci riaccostiamo al valore puramente fisico dei suoni» 200. Inoltre viene ribadito che «la musica infra-verbale affonda le sue radici nelle prime esperienze comunicative tra madre e figlio», cioè in quel momento peculiare che abbiamo denominato ‘sorgere della coscienza’, in cui si passa dall’impossibilità di qualsiasi distinzione alle prime vere relazioni asimmetriche coscienti. E’ evidente la non casualità dell’accostamento di questa primordiale esperienza pre-verbale tra madre e figlio (il sorgere della coscienza in cui distinzione e indistinzione coincidono) e il fenomeno fisico del suono (in cui ha colpito la misteriosa caratteristica dell’unità sonora, di essere contemporaneamente identica e diversa da se stessa). Di Benedetto pone all’attenzione un fatto: 199 200 A. Di Benedetto, Prima della parola , cit. Ivi, p. 196 (corsivo mio). Cfr. F. Fornari, La psicoanalisi della musica, Longanesi, Milano, 1984. 89 www.ilmondodisofia.it la musica ha forse, in misura maggiore rispetto a tutte le altre arti, il compito di promuovere il linguaggio e, con esso, la comunicazione. E non solo perché predispone all’apprendimento della lingua. Difatti, mentre elide il pensiero logico-verbale, riproducendo antiche sensazioni percettive, sottopone la psiche a un esercizio di ascolto, che ne amplia la sensibilità recettiva e la fa quindi progredire verso un sentire più ampio. Di modo che riesce a far incrociare nel medesimo punto di intersezione un’esperienza regressiva di carattere sensoriale, che svuota il linguaggio verbale esistente, e una progressiva, che lo arricchisce di possibilità espressive 201. Da queste considerazioni si evince che la dimensione dell’ascolto non riguarda soltanto la parte dell’inconscio più profondo, anche se in essa ha, di sicuro, le sue radici. Non è un caso che Alban Berg (uno dei due più autorevoli allievi di Schönberg) abbia parlato di un problema di ‘coscienza auditiva’, proprio in rapporto alla difficoltà di comprensione della musica del suo maestro.202 Ed è chiaro che i molteplici riferimenti di Schönberg stesso alla comprensibilità come scopo principale della dodecafonia rientrano perfettamente in un’ottica in cui la coscienza e il pensiero giocano un ruolo primario nella dimensione dell’ascolto musicale. Ci siamo ben resi conto della contemporaneità delle due dimensioni, cosciente e inconscia, come fatto caratteristico dell’evento musicale. A) L’ascolto musicale, da un lato, rientra in una dimensione inconscia poiché è investito di tutta una serie di caratteristiche che appartengono alla logica simmetrica. Abbiamo appurato con Di Benedetto come alla musica si colleghino i fenomeni dello spostamento, della condensazione, della co-presenza dei contraddittori, e soprattutto dell’annullamento della dimensione spazio -temporale. Quegli stessi fenomeni da cui Matte Blanco aveva tratto i principi regolatori della logica inconscia ‘simmetrica’. In Schönberg abbiamo ritrovato le tracce di una corrispondenza evidente tra linguaggio dodecafonico e logica inconscia. Con Ballardini abbiamo sostenuto l’idea che la teoria musicale del compositore viennese fosse principalmente una ricerca sul suono , e ovviamente sull’‘orecchio’ (ossia sull’ascolto), poiché i due sono legati da un «rapporto di complementarità naturale». Anche per questo la logica del pensiero musicale è una logica inconscia: essa è portata a ricreare qualcosa che ‘misteriosamente’ avviene in natura attraverso delle regole totalmente differenti da quelle della logica classica, e per mezzo delle quali sembra essere regolato anche l’inconscio. La musica è per eccellenza linguaggio dell’inconscio e del mondo. Essa diventa, in un’ottica schönberghiana, portatrice di messaggi ‘profetici’ e ‘trascendenti’ fondati su leggi naturali (le leggi del suono, e dell’inconscio). B) Contemporaneamente la dimensione musicale si pone come una organizzazione razionale, obbediente a una logica altamente asimmetrica, in cui la comprensione delle successioni e dei movimenti dovrebbe risultare quasi 201 202 Ivi, p. 197 (corsivo mio). G. Manzoni (1975), op. cit., p. 30. 90 www.ilmondodisofia.it perfettamente intelligibile al momento dell’ascolto. E’ presumibile, insomma, che ad un livello cosciente e razionale si arrivi a ‘comprendere’ ciò che avviene all’interno della struttura musicale che si sta ascoltando . In definitiva: la dodecafonia appare come la rappresentazione comprensibile all’intelletto del fenomeno più originario e primordiale della natura e dell’intera vita psichica umana. Ricreare attraverso una modalità di ascolto per una ‘coscienza uditiva’ l’esperienza originaria del suono, la cui essenza abbiamo ricondotto a quella dello ‘sprofondare’ della coscienza nell’inconscio (la quale non ci lascia che un inafferrabile istante di lucida comprensione), significa avere la possibilità di capire fino in fondo quella verità che la coscienza riusciva solo a sfiorare per un attimo, e che ora risulta amplificata attraverso l’ascolto musicale. Tutto questo non è soltanto l’ovvio risultato di quella ‘struttura bi-logica’ tipica dell’operazione artistica, che Matte Blanco ci ha palesata. La dodecafonia non corrisponde pienamente a nessuno dei vari tipi di strutture bi-logiche enumerate dallo psicoanalista. Non si tratta di semplice struttura ‘Simassi’ (o meglio, non si esaurisce solo in essa), né ‘Alassi’. Nemmeno può essere ricondotta a quella denominata ‘Altalena epistemologica’, e ancor meno alla ‘Tridim’. La dodecafonia si è caratterizzata come un linguaggio artistico che, attraverso la peculiare corrispondenza che l’‘ascolto’ riesce a stabilire tra inconscio e pensiero cosciente, permette una ‘rappresentazione auditiva’ di più dimensioni, e quindi è capace di portare il pensiero in una multidimensionalità plasmata non da parole, ma da suoni. La dimensione dell’ascolto agisce in entrambe le direzioni: dall’inconscio al pensiero cosciente, e viceversa. Da un lato permette al nostro pensiero di essere consapevole di più di una cosa alla volta: lo struttura secondo il modo d’essere dell’inconscio. Dall’altro fa sì che l’inconscio, ‘muto per sua essenza’, trovi voce per mezzo del suono e dell’ascolto. La dodecafonia, infine, si configura proprio come l’amplificazione di quel fenomeno fuggevole della riflessività della coscienza su se stessa, cioè della essenziale e originaria fusione di simmetrico ed asimmetrico, di interno ed esterno, di identico e diverso. L’apertura alla multidimensionalità da parte del pensiero auditivo ci sembra, al momento, l’unica possibilità di una conoscenza a più dimensioni da parte del pensiero cosciente. Certo non di quello discorsivo e, più prettamente, concettuale, ma della ‘porzione auditiva’, che si caratterizza per la peculiarità di possedere qualità specifiche dell’inconscio, quali appunto la multidimensionalità spaziale e la simultaneità temporale. Si tratta, specifichiamo ancora, di affermare l’eventualità di vivere e ‘capire’ l’indivisibile, attraverso una modalità della coscienza che non attinge semplicemente a una struttura bi-logica, in cui logica simmetrica e bivalente, anche se intrecciate, si danno comunque separatamente; ma in una maniera per cui il pensiero cosciente fa davvero tutt’uno con l’inconscio, in una modalità 91 www.ilmondodisofia.it conoscitiva che recupera la fusione di distinzione e indistinzione originaria, fino a renderla ‘ri-sentibile’ e conoscibile. 92 www.ilmondodisofia.it IV.2 Conclusioni La ‘dodecafonia’, che non è un genere musicale, ma un nuovo metodo di composizione, scardina il sistema tonale tradizionale, e lo vaporizza fino a ricreare una dimensione in cui non accade semplicemente che l’intero brano si presenta come una perfetta unità, ma in cui ogni suono, tutti i suoni della scala cromatica, ri-diventano l’Unità-sonora primordiale. Il merito impareggiabile di una tale costruzione artistica è stato proprio quello di esprimere quanto di più fondamentale e originario possa essere pensato: la perfetta Unità dell’identico e del diverso, in una fusione per cui l’uno ‘non sarebbe’ senza l’altro. E’ quanto, per altra via, il nostro pensiero riesce a cogliere solo per brevissimi attimi. Perciò, se in quest’ultima esperienza si era riscontrata la traccia di una super-logica unitaria, l’analisi dell’operazione schönberghiana ci è sembrata una strada parallela, capace di addentrarci anch’essa, per mezzo di nuove riflessioni, in un luogo forse ancora inesplorato. La dodecafonia riesce ad esprimere ciò che nella sua essenza la costituisce. Questo è straordinario, poiché è il suono che si fa ‘logica’, cioè ‘linguaggio comprensibile’, e che riesce a ‘dire’ proprio ciò che è prima della logica e del dicibile. Quanto ‘dice’ non è udibile direttamente a una coscienza discorsiva, ma a quella sua sfera che abbiamo denominato ‘uditiva’. La dimensione, anzi, la multidimensione che può accogliere questo messaggio è prettamente uditiva, è ‘ascolto sonoro’. Il ‘filosofo musicale’ presenta delle ‘idee musicali’ per un ‘ascoltatore musicale’203. La portata straordinaria della dodecafonia risiede dunque in questo: essere l’‘incarnazione’ logica di un fatto anteriore ad ogni logica. 203 Cfr. T. Mann (1949), Die Entstehung des “Doctor Faustus”, trad. it. Romanzo d’un romanzo, la genesi del “Doctor Faustus”, ..., ... , p. 132. 93 www.ilmondodisofia.it 94 www.ilmondodisofia.it IV. 3 Conclusione E’ opportuno, a questo punto, ricordare e riordinare i passaggi fondamentali dell’intero percorso della presente ricerca. Attraverso l’analisi delle teorie di Matte Blanco si è tentato di mostrare come ogni più specifico interesse (dall’emozione al problema dell’opera d’arte, dalla teoria della bi-logica all’ipotesi di una ‘super-logica unitaria’) implicitamente fosse rivolto alla comprensione di un avvenimento fonda-mentale: l’evento straordinario per cui unità e molteplicità si trovano contemporaneamente su un medesimo livello; il fenomeno, cioè, della simultaneità di identico e diverso, di ‘sé’ ed ‘altro’. In parole ancora diverse la questione riguarderebbe la possibilità di una unità primordiale tra i due modi di essere dell’uomo e del mondo (il modo ‘simmetrico’ e quello ‘asimmetrico’), in cui non v’è più un continuo rimando ed una reciproca dipendenza, in cui l’omogeneità e la frammentarietà, la totalità e la divisibilità, si trovano esattamente sullo stesso piano cronologico e di valore. E’, dunque, su tale campo che la nostra ricerca ha provato a confrontarsi. Il suo scopo non è stato soltanto quello di applicare le teorie matteblanchiane ad un particolare fenomeno artistico o scientifico. Si è provato ad affrontare proprio quel punto cruciale, che lo stesso Matte Blanco non era riuscito a definire interamente, e se n’è tentato un approfondimento. L’evento artistico-musicale della dodecafonia schönberghiana non è stato semplicemente ‘inquadrato’ attraverso un’ottica matteblanchiana, che ne individuava le caratteristiche ‘simmetriche’ ed ‘asimmetriche’ e ne applicava tutte le altre categorie conoscitive. L’espressione musicale dodecafonica è apparsa basata su un principio assai significativo, e in diretta corrispondenza proprio col fenomeno della originaria simultaneità di unità e molteplicità: il principio della fondamentale coincidenza di identico e diverso come caratteristica di ogni singolo suono. La giustificazione di una tale concezione è stata riproposta, all’interno di questo studio, attraverso le riflessioni sul fenomeno degli armonici. In conclusione, la dodecafonia, che si caratterizza come un nuovo metodo di composizione e quindi come la rielaborazione del tradizionale linguaggio musicale tonale, è costruita proprio sulla base di una ‘concezione unitaria’ dei suoni, sulla convinzione, cio è, che la melodia e, soprattutto, l’armonia sono derivabili dall’unità misteriosa del singolo suono. In esso la linea ‘asimmetrica’ della distinzione tra i vari suoni (melodia) e il processo ‘simmetrico’ della simultaneità di più suoni (armonia) si trovano effettivamente su uno stesso livello: la distinzione melodica e la ‘confusione’ armonica caratterizzano il suono nella sua stessa essenza, contemporaneamente ed inscindibilmente. Il suono si è configurato come il luogo in cui ‘identità’ e ‘diversità’ posseggono esattamente lo stesso valore. 95 www.ilmondodisofia.it Il particolare ‘taglio’ di questo studio ha necessariamente richiesto un confronto con le importanti riflessioni di Di Benedetto, specialista, tra l’altro, delle straordinarie corrispondenze tra il pensiero matteblanchiano e le diverse espressioni artistiche e, più in particolare, musicali. Gli approfondimenti dello studioso hanno contribuito ad indicare alla nostra ricerca una strada davvero interessante e che promette importanti sviluppi futuri: la via della dimension e dell’ascolto musicale. Ad ogni modo, l’attenzione di Di Benedetto alle rispondenze tra le teorie di Matte Blanco e l’avvenimento musicale lo avevano indotto ad alcune importanti considerazioni: alla cognizione dell’opera musicale come di una particolare struttura bi-logica simassi, caratterizzata da una serie di coppie di contraddittori, alla cui base vi sarebbe quella generale “simmetria/asimmetria” individuabile principalmente nella simultaneità strutturale, in ogni brano, di una linea asimmetrico-melodica e di una multidimensione simmetrico-armonica. Le analisi di Di Benedetto hanno riguardato in modo particolare la ‘musica classica’ tradizionale, e più in generale, la musica tonale, che si fonda su una serie di regole non pienamente giustificate dal fenomeno naturale degli armonici (su cui pure, in varie epoche, tale musica ha creduto di potersi basare). E’ ancora più evidente, perciò, il fine della nostra ricerca. Puntare alla radice stessa dell’avvenimento sonoro, al suono puro e semplice. Da quest’analisi abbiamo tratto delle considerazioni che si ricollegano chiaramente alle ipotesi più estreme, e perciò veramente cruciali, del discorso matteblanchiano, e cioè a quell’idea di una sostanziale simultaneità di unità e molteplicità, di identità e diversità. Oltrepassando perciò il semplice ambito delle relazioni tra essere simmetrico e modo asimmetrico, si è puntato direttamente a quella che è sembrata essere la fonte del problema. In tal senso lo studente spera di essere riuscito, se non altro, a sollevare una questione che è apparsa molto significativa e particolarmente ricca di conseguenze ed implicazioni. 96 www.ilmondodisofia.it Bibliografia Adorno T.W. (1949), Philosophie der neuen Musik, trad. it. Filosofia della musica moderna, Einaudi, Torino, 1968. Agosti S., Modelli psicoanalitici e teoria del testo, Feltrinelli, Milano, 1978 . Ballardini F., Swedenborg e il falegname. Poetica, teoria e filosofia della musica in Arnold Schönberg, Mucchi, Modena, 1988. 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Due modi di pensare, sentire, essere.La teoria della bi-logica I.5. La bi-modalità e i vari tipi di strutture bi-logiche I.6. Rapporti tra i due modi di essere II. Capitolo Secondo: La sfera dell’emozione e il problema dell’arte II.1. Emozione e pensiero II.2. Emozione e inconscio come ‘insiemi infiniti’ II.3. L’esperienza dell’indivisibile nell’opera d’arte III. Capitolo Terzo: La dimensione dell’ascolto musicale e la simultaneità di ‘identico’ e ‘diverso’ III.1. Il problema della creazione artistica a partire dalla teoria della bi-logica 103 www.ilmondodisofia.it III.2. Antonio Di Benedetto: da una psicoanalisi dell’arte a una psicoanalisi dall’arte III.3. La musica e l’individuazione di una dimensione ‘auditiva’ della psiche III.4. ‘Creatività e ortodossia’: il sorgere della coscienza III.5. Identità e diversità intervengono simultaneamente Parte Seconda: Elementi essenziali di acu stica. La filosofia musicale di Arnold Schönberg Premessa: Il fenomeno naturale della propagazione di un’onda sonora e i ‘suoni armonici’ I. Capitolo Primo: L’operazione musicale di A. Schönberg I.1. L’atmosfera culturale nella Vienna del primo ‘900 I.2. Le prime opere: ‘espressionismo’ e superamento del linguaggio tonale I.3. L’emancipazione della dissonanza ed il nuovo metodo di composizione II. Capitolo Secondo: Il significato estetico della ‘dodecafonia’ II.1. ‘Composizione con dodici note’: il concetto di ‘comprensibilità’, le differenze dal metodo di composizione tradizionale e la necessità della ‘pantonalità’ II.2. Il ‘Manuale di armonia’: premessa per una musica ‘pantonale’ II.3. Riflessioni sull’operazione musicale di Schönberg e sulla missione dell’arte nuova Parte Terza: Dodecafonia e bi -logica I.Capitolo Primo: La continua interazione tra ‘teoria’ ed ‘opera d’arte’ I.1. La psicoanalisi viene dall’arte I.2. La ‘Lettera di Lord Chandos’ di von Hoffmannsthal: un preannuncio alla teoria della bi-logica di Matte Blanco I.3. La necessità di un confronto tra bi-logica e dodecafonia II. Capitolo Secondo: La bi -logica ed il fenomeno del suono II.1. Il sogno ed il suono: strutture multidimensionali II.2. La musica è un insieme infinito II.3. Il fenomeno della propagazione di un’onda sonora non rispecchia semplicemente l’antinomia fondamentale del mondo 104 www.ilmondodisofia.it II.4. Le possibilità di un raffronto tra il ‘fenomeno della riflessività della coscienza su se stessa’ e la dimensione auditivo-musicale della psiche III. Capitolo Terzo: Bi-logica e dodecafonia III.1. La dodecafonia come esperienza artistica dell’indivisibile III.2. Verso una conclusione IV. Capitolo Quarto: Oltre la bi -logica IV.1. Gli studi di Di Bendetto e la dimensione musicale tra coscienza ed inconscio IV.2. Conclusioni Bibliografia 105