< vetrina Le mille e una avventura dell’Ingegnere — colloquio (immaginario) con Emilio Rosetti • di Giulia Torri — premessa • di Mario Graziano Parri In piroscafo, in ferrovia, a dorso di mulo, centomila leghe con il taccuino in mano e sempre una gran voglia di essere ovunque, di fare, di vedere, di raccontare. Un urbanista e un architetto («el padre de la ingenieria argentina») che progetta la Ferrovia Transaldina, fonda a Buenos Aires la Società Scientifica dove introdurrà Darwin, si interessa di scienze esatte, di geografia, di storia Premessa E così li offerisco in questo mio libretto tutte le vigilie, fatiche e peregrinazioni mie… Antonio Pigafetta, Relazione del primo viaggio intorno al mondo, 1536 Il bisogno di andare, di viaggiare, di trasferirsi in un ambiente diverso per Chatwin è dunque insito nella natura umana, è un dato biologico e non un tratto culturale se non addirittura strettamente individuale, è insomma il risultato di un processo evolutivo il cui inizio si perde nei meandri del tempo preistorico. Sandro Melani, Lontani altrove, 2002 Tre miglia d’Italia fanno una lega francese. Quattro miglia suddette sono una lega germanica, e cinque miglia pure suddette sono una lega svedese. Guarino Guarini, Trattato sulla fortificazione, che ora si usa in Italia, Francia e Fiandre, 1676 P er iniziativa della Fondazione Italia-Argentina intitolata a Emilio Rosetti, e del suo presidente, l’ingegnere Luciano Ravaglia il quale opera nel campo dell’architettura, della pianificazione territoriale e delle metodologie di sviluppo sulle grandi aree (si veda su di lui il saggio di Elio Garzillo, apparso su questa stessa rivista nel fascicolo n° 3 anno x, settembre-dicembre 2005), l’editore fiorentino 50 Vetrina Mauro Pagliai ha pubblicato il primo dei quattro volumi previsti dal piano dell’opera, ai quali viene affidato il resoconto di una vita avventurosissima, quella dell’ingegnere romagnolo Emilio Rosetti, vissuto tra il 1839 e il 1908, l’arco di tempo che va dalla inaugurazione della prima linea ferroviaria in Italia, la famosa Napoli-Portici, al fatale terremoto che distrugge Messina e Reggio Calabria e provoca la morte di oltre centocinquantamila persone. Il medesimo arco, ove si preferisca attestarlo dal punto di vista degli eventi intellettuali, che parte dalla fondazione a Milano del “Politecnico” da parte di Carlo Cattaneo (iniziativa di assoluto rilievo nel campo della cultura tecnica e scientifica: fu definito «repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e coltura sociale») per arrivare al varo di un altro periodico che si situerà fra le più importanti espressioni del pensiero dei primi decenni del Novecento: vale a dire de “La Voce”, fondata a Firenze da Giuseppe Prezzolini, rivista che darà un vigoroso scrollone alla sonnacchiosa e un po’ stantia cultura italiana, indirizzandola decisamente verso l’economia e la politica, con una forte ripresa della speculazione filosofica. Questo primo volume de I viaggi e le memorie di Emilio Rosetti. Società, luoghi e tecniche del xix secolo raccoglie le osservazioni di un instancabile e intraprendente viaggiatore nel mondo dell’Ottocento (dall’Italia e dall’Europa passerà in America per poi trasferirsi nell’Africa settentrionale e da qui nel Vicino Oriente) durante i primi trentaquattro anni della sua vita, dall’atto di nascita, registrato a Forlimpopoli il 19 maggio di quel 1839 appunto, al 1973, Caffè Michelangiolo quando dal Paranà si sposterà a Santa Fè, per raggiungere nella settimana di Pasqua Buenos Aires. Il 14 luglio di quello stesso anno si “marita civilmente” con la «S. na Teresa Moneta arrivata qui il giorno 12 col fratello Pompeo e sposata da lui per procura e religiosamente a Milano il giorno 10 di giugno p.p.». «Statura 1,73, capelli castagni, sopracciglia castagne, occhi castagni, fronte bassa, naso lungo, bocca media, mento tondo, viso oblungo, colorito naturale», come si può leggere nel suo foglio di licenza del 1862 allorché dovette «rassegnarsi a fare l’artigliere», il venticinquenne Emilio Rosetti ottiene a Torino il “Diploma di Ingegnere Laureato” (con la Legge Casati le prime scuole di ingegneria del nuovo Stato italiano vennero istituite il 13 novembre 1859, e la prima a nascere fu nel dicembre successivo, a Torino, la Regia Scuola di Applicazione per gli Ingegneri). Si laurea nel corso del servizio militare («il colonello [sic], certo Signor Filippi, per la stranezza del caso mi concesse subito quanto desideravo», e cioè la possibilità «di rimanere fuori del quartiere fino alle 10 di sera» per poter seguire le lezioni di certi “professori straordinari”, così da porsi «alla pari de’ mei nuovi colleghi», giacché all’Università di Bologna, «per i metodi antichi Papalini, non s’era fatto nulla»), e la dissertazione ebbe per oggetto il suo studio per una «locomotiva-merci capace di condurre colla velocità di 20 kilometri all’ora un convoglio di 250 tonnellate su di una strada in pendenza variabile ma sempre inferiore al 7 per 1000». Le memorie di Emilio Rosetti sono una miniera di informazioni, anche minute, dalle quali per esempio si ricava che il docente di Meccanica applicata era lo stesso direttore della Scuola, Prospero Richèlmy, e quello di Costruzioni era Giulio Marchesi, addetto alle costruzioni delle Ferrovie liguri e Ferrovie meridionali; che a Disegno c’era Giovan Battista Curioni, membro della Regia Accademia delle Scienze, a Chimica docimastica il chimico e medico Ascanio Sobrero inventore della nitroglicerina (scoperta che come è noto Alfred Nobel sfrutterà sul piano pratico, e a tutto suo vantaggio, con l’impianto della prima fabbrica a Heleneborg nel 1862) e ad Architettura Carlo Pròmis, architetto, storico dell’architettura (pubblicò tra l’altro il trattato del senese Francesco di Giorgio Martini, pittore, scultore, architetto militare), nonché archeologo e direttore degli scavi di Alba Fucente, Luni, Torino, Aosta. Il corpo docente contava fra i suoi componenti anche Quintino Sella, professore di geometria applicata e poi di matematica, in seguito e più volte ministro delle Finanze, che fu il reale promotore per la parte relativa all’ingegneria della citata legge che porta il nome del milanese conte Gabrio Casati, la quale sarà considerata la Magna Charta del diritto scolastico in Italia fino alla riforma di Giovanni Gentile nel 1923. Gente che faceva sul serio, insomma, e che passerà nei libri di storia; Italiani di una Italia civile e concorde che aveva a cuore «la propria dignità di nazione, la lealtà de’ nostri propositi, la strenua difesa degli interessi italiani», come si legge nel messaggio di saluto e di plauso meritato che “amici e compaesani, villici e notabilità” di Pistoia con un seguito di un migliaio di firme indirizzarono l’11 luglio 1881 «all’esimio patriotta, al volontario delle prime battaglie per la indipendenza italiana, al Commendatore Dottor Licurgo Macciò, Console generale di Sua Maestà in Tunisia, reduce al tetto natio, perché quanto poté tenne alto il vessillo d’Italia contro Sopra, la copertina del primo volume de I viaggi e le memorie di Emilio Rosetti. Società, luoghi e tecniche del XIX secolo, elaborazione, integrazione e commento di Giulia Torri, pubblicato nelle Edizioni Polistampa di Mauro Pagliai nell’aprile 2010. All’opera verrà dedicata a Forlimpopoli la Tornata di Primavera dell’Accademia degli Incamminati di Modigliana, con la partecipazione dell’Accademia dei Filopatrici, l’antico sodalizio fondato a Savignano sul Rubicone da Giulio Perticari e che fra i suoi presidenti annoverò Giosue Carducci. Relatori saranno Luciano Ravaglia, Augusto Vasina e Giulia Torri. Luciano Ravaglia con Raúl Alfonsín (a sinistra), presidente della Repubblica Argentina, in uno scatto del 1987. Allievo di Michelucci, l’ingegnere Ravaglia ha costruito in Italia, Somalia, Finlandia, Marocco, Svezia, Austria. In Argentina ha eseguito gli studi di progetto per il recupero e il restauro della Galerias Pacifico, uno dei più grandi edifici dell’Ottocento, al centro di Buenos Aires. Nella pagina a lato, Emilio Rosetti nel ritratto (1874?) attribuito a Paolo Bacchetti, pittore di Forlimpopoli della scuola di Pompeo Randi e probabile allievo del modiglianese Silvestro Lega. Olio su tela, cm 74,5×54,5, Forlimpopoli, Quadreria comunale. Caffè Michelangiolo Vetrina 51 siva venivano indicate le condizioni economiche («lire novemila annue oltre a lire 2.500 per indennità di viaggio»: cifre astronomiche, ove si consideri che il reddito medio pro capite era all’epoca di 1.850 lire all’anno e che il Console Generale d’Italia al Cairo Licurgo Macciò Forlimpopoli, piazza Pompilio. Buenos Aires, veduta di Plaza Victoria y Avenida de Mayo. le voglie invaditrici della Francese Repubblica»; cittadini di un Paese che si stava saldando, e non, una volta di più, disgregando come si prospetta oggi, e i cui ideali non erano ancora menzogne ma si appoggiavano, come scriverà Croce, ad una effettiva «concezione della realtà» (Storia d’Europa nel secolo decimonono, 1932). Il cursus accademico dell’ingegnere civile Emilio Rosetti fu di prim’ordine (da segnalare che a quel tempo gli studenti che ce la mettevano tutta potevano attingere ad adeguate borse di studio, come fu per il giovane romagnolo a cui il Sindaco di Forlimpopoli concesse il “beneficio” del Legato Massi per il proprio mantenimento agli studi fino al ventiquattresimo anno di età) e di “prim’ordine” dové anche essere il giovanotto alto 1,73, se il Direttore della Scuola di Ingegneri, il citato professor Rechèlmy, gli scriverà pochi mesi dopo la laurea (la lettera è del 14 febbraio 1865) per proporgli un incarico all’università di Buenos Aires «per ivi insegnare la geometria analitica, la geometria descrittiva, l’architettura e il disegno». Nella mis- La Licenza del Colonnello Comandante Territoriale d’Artiglieria in Torino al «Cannoniere Rossetti [sic] Emilio di rimanere fuori Quartiere sino alle 10 di sera». 52 Vetrina percepiva nel 1869 uno stipendio annuo di 4.500 lire). L’imbarco avverrà il 25 marzo a Bordeaux, e con lui, neoprofessore ventiseienne, viaggeranno il quarantaquattrenne naturalista Pellegrino Strobel, fondatore della paletnologia italiana, e il fisico-matematico Bernardino Spelluzzi, anche loro chiamati a insegnare in Argentina. Hanno inizio così le “mille e una avventura” di Emilio Rosetti, che saranno da lui stesso raccontate con precisione e limpidezza di sguardo, con un sapore genuino del linguaggio e con una capacità di visione, nello stile, si potrebbe dire, dei Ragionamenti dei miei viaggi intorno al mondo del mercante fiorentino Francesco Carletti (1573-1636), primo tra i privati cittadini ad aver compiuto Il «Diploma di Licenza rilasciato dalla Regia Università degli Studi di Torino al Sig. Rosetti Emilio figlio di Pellegrino e Felicita Perazzini, addì sei del mese di marzo dell’anno milleottocentosessantacinque». il periplo del globo e autore di uno dei libri di viaggio che in un celebre elzeviro Emilio Cecchi non esitava ad annoverare fra i più belli in assoluto della nostra letteratura: «Se il barometro butta al cattivo, e l’unghia dei cavalli fa risuonare il lastrico come acciaio, se gli amici hanno telefonato che sono a letto con l’influenza, e il freddo e la neve assediano la casa, dalla quale si risponde con la mitraglia delle castagne che scoppiettano nella cenere della stufa, conosco dove la mia mano corre negli scaffali, cercando il libro da farmi compagnia dopo cena e portarmi a letto. […] So, in queste circostanze, infallibilmente dove si va a cascare: al Marco Polo, alle Lettere di Filippo Sassetti, ai Ragionamenti del Carletti; al Robinson Crusoe, alla Vita, Avventure e Piraterie del famoso Capitano Singleton, al Gordon Pym, a Moby Dick, all’Isola del Tesoro». Questo per dire che “il Rosetti” sarebbe stato accolto con grande soddisfazione in quel certo scaffale, per le sere in cui “il barometro punta al cattivo”, quando si sente il bisogno di evocare climi e paesaggi che la mente immagina più confortevoli. E Dio solo sa nell’attuale temperie quanto livide e sconsolate calino le tenebre sulla società dell’“etica flebile”, come probabilmente la definirebbe oggi John Maynard Keynes, quanto avvilenti scendano sul nostro Paese che mostra oggi così scarsa fede nel futuro, ipnotizzato com’è dal “realtrash” delle trasmissioni televisive. Ed effettivamente l’ingegnere Rosetti ci attira in tutt’altro clima, e tuttavia non ab- Il passaporto in data 14 marzo 1865. Secondo la formula diplomatica del tempo: «in nome di S. M. Vittorio Emanuele II Re d’Italia il Ministro per gli Affari Esteri prega le Autorità Civili e Militari di Sua Maestà e delle Potenze amiche ed alleate di lasciar liberamente passare il Sig. Rosetti Emilio di Pellegrino che si reca in America, e di prestargli assistenza in caso di bisogno». Caffè Michelangiolo biamo la sensazione che la moviola dei memoires venga azionata a ritroso ma è invece come se ogni volta ci reintroducesse in un «vierge, vivace et bel aujurd’hui», per usare una coeva espressione poetica (Mallarmé, Plusierurs sonnets). Non c’è neppure nulla di patetico e tantomeno di nostalgico nei ritorni che lui compie, come quando nel gennaio del 1871 rivede Torino «sempre bella ed elegante, sempre nuova e cara»; oppure Milano, dove arriva alle 11 di notte, «sempre quella gran città»; o Firenze, che rivede dopo 17 anni: «come essa è cambiata in bene!? giù quelle mura che la opprimevano ed in sua vece spaziosi viali e belle passeggiate; giù quelle case brutte sull’Arno ed in sua vece graziose palazzine e bei Lungarni. […]. Si vede proprio che è la capitale d’Italia e non più la capitale del piccolo ducato!». O Roma, dove trova «con somma sorpresa che stavano riparando le mura, facendo scomparire la famosa breccia del 20 settembre 1870 che io avrei tanto volentieri conservata». Oppure Napoli: «Stupendo, stupendo e poi stupendo il golfo, con quel suo colore particolare mi piace di più che Rio de Janeiro, che è tutto dire!». Empatici sono l’entusiasmo, la carica che Ro- setti mette in questa volontà di conoscenza, e costantemente in un rapporto paritetico con la storia: «Passai di poi il Gianicolo, a Porta San Pancrazio, al Vascello, alla villa Doria Pamphili (Casino dei quattro venti), ai luoghi insomma che ricordavano le famose gesta e le battaglie contro i preti ed il papato». I lavori al Paranà lo «han chiamato colà per pochi giorni», ma subito riparte sul vapore Lujan alla volta del Rosario per arrivare poi a Buenos Aires dove deve “aggiustare” alcune «cose relative alla tranvia, che procedeva lentamente a causa degli ostacoli postivi dalle autorità politiche». E da qui si rimette in viaggio per Santa Fé dove passerà la Settimana Santa: «Stamane alle 10 tric-trac, campane, bombe, scariche di pettine, un fracasso insomma indiavolato. Di più sto vicino a una casa di Napoletani che fanno risuscitare il Signore in tutti i modi!». I legami fra l’Italia e l’Argentina sono di antica data, a cominciare, si potrebbe dire, dalla seconda spedizione del Vespucci il quale tra il 1501 e il 1502 esplorò l’intero litorale fino alla baia di San Giuliano nella Patagonia meridionale, per giungere al ligure Nicola Descalzi (morto a Buenos Aires nel 1857) che sulla sua esplorazione del Rio Negro ha lasciato un importante Diario; al botanico piemontese Carlo Spegazzini (morto a La Plata nel 1926) che è stato direttore dell’orto botanico di Buenos Aires e direttore generale al ministero dell’Agricoltura; al geormofologo ligure Gaetano Rovereto (morto nel 1952), autore di trattati di notevole valore scientifico sui risultati delle sue esplorazioni in Argentina e nel resto del continente sudamericano; al salesiano Alberto De Agostini (morto nel 1960 e fratello del cartografo e geografo Giovanni, il fondatore nel 1901 dell’Istituto geografico che porta il suo nome) il quale è vissuto per ben trent’anni nella Terra del Fuo- Un rarissimo documento, datato da Torino l’11 agosto 1860: la regia nomina da parte del Re di Sardegna Vittorio Emanuele II di Licurgo Macciò a Console al Cairo presso l’Imperatore degli Ottomani, con giurisdizione a Suez e Djeddah. Firmato: Vittorio Emanuele, controfirmato: C. Cavour. (Arch. Parri-Macciò). Il decreto con la successiva nomina di Licurgo Macciò a console Generale presso l’Imperatore degli Ottomani firmata da Vittorio Emanuele II Re d’Italia, controfirmato dal Presidente del Consiglio in qualità di Ministro per gli Affari Esteri Alfonso La Marmora. L’atto data da Firenze, da un anno capitale provvisoria del nuovo Regno d’Italia, «addì diciotto del mese di Marzo dell’anno mille ottocento sessantasei e del regno Nostro il Decimosettimo». (Arch. Parri-Macciò). Il decreto di nomina da parte di Umberto I Re d’Italia di Licurgo Macciò a «Console Generale in Cairo con giurisdizione nelle provincie [sic] di Galinbiech, Menufieh e Ghizeh, nell’Alto Egitto e nei territori egiziani nell’interno dell’Africa con facoltà di nominare Vice Consoli ed Agenti Consolari nei luoghi ove lo ravviserà conveniente». Il decreto, «controsegnato» da Crispi, presidente del Consiglio in qualità di Ministro Segretario di Stato per gli Affari Esteri è «Dato in Roma addì ventinove del mese di Agosto dell’anno mille ottocento ottantanove e del Regno Nostro il dodicesimo». Il 28 ottobre 1898, data della sua collocazione con a riposo per Sovrano Decreto, «Al Cavaliere di Gran Croce della Corona d’Italia e Grande Ufficiale dei SS. Maurizio e Lazzaro, Avvocato Licurgo Macciò, Console Generale di 1ª Classe a riposo, è conferito il titolo onorario di Nostro Inviato Straordinario e Ministro plenipotenziario». (Arch. Parri-Macciò). Licurgo Macciò aveva svolto un importante ruolo diplomatico in Tunisia, proprio nel momento in cui l’espansione colonialista della Terza Repubblica francese minacciava gli interessi dell’Italia in quel paese dove la presenza italiana era notevolissima. Nel 1881 cadeva il gabinetto Cairoli, fortemente attaccato dalle opposizioni con l’accusa di non aver sostenuto con la necessaria energia l’azione diplomatica del Macciò. Rientrato temporaneamente in Italia, a Pistoia quest’ultimo ricevé un plebiscitario attestato di solidarietà: «All’esimio patriotta, al volontario delle prime battaglie per la indipendenza italiana, al Commendatore Dottor Licurgo Macciò, Console Generale di Sua Maestà il Re d’Italia in Tunisia, reduce al tetto natio, gli amici e compaesani offrono un saluto ed un plauso meritato, perché quanto poté tenne alto il vessillo d’Italia contro le voglie invaditrici della Francese Repubblica, e non fu per sua colpa se dové subire uno sfregio». Gli attestati furono numerosi, fra questi, il 10 settembre 1881, anche uno da parte di «alcuni buoni Villici». La crisi in Tunisia costrinse alle dimissioni anche il primo ministro francese, Jules Ferry. Al Cairoli successe Agostino Depretis e al Ferry, Léon Gambetta. Caffè Michelangiolo Vetrina 53 co dove ha esplorato i più elevati e impervi gruppi montuosi, documentati in fondamentali scritti tradotti in molte lingue. Sul finire dell’Ottocento, quando al secondo censimento del 1895 la popolazione dell’Argentina non raggiungeva i quattro milioni di abitanti (al precedente, del 1869, era sotto i due milioni) centinaia di migliaia furono gli italiani, fra cui tantissimi i friulani e i veneti, che vi si trasferirono: terra promessa con una superficie continentale equivalente a nove volte quella italiana. Per una signifi- piede in casa”. A gettare l’occhio oltre Atlantico, fin là nel New World, ci ha provato nel secolo successivo un altro romagnolo (romagnolo-ferrarese, per l’esattezza), con sensazionali trasvolate che non ebbero però un seguito politico in patria, bensì suscitarono non nascoste gelosie: il trasvolatore si ritrovò, prima, “distaccato” (sia pure onorevolmente) nella “quarta sponda”, e poi, con le ali spezzate nel cielo di Tobruk, fatto precipitare a terra. La Romagna, come è noto, è suolo quanto mai fecondo, e vi «riecheggia nell’ora di oggi | quel rigoglio ruggente dei pionieri», per dirla con Vittorio Sereni: sì, è corposa in questa terra anche la Scriveva Alessandro D’Ancona, filologo e dal 1860 professore all’università di Pisa, in Viaggiatori e avventurieri (1911): «I viaggiatori del tempo passato ragguagliarono intorno alle cose da essi vedute, perché in altro modo viaggiavano. […] le relazioni ne’ tempi andati quando si viaggiava in altro modo, e appunto per codesta ragione, hanno un valore di documento storico, che per lo più si cerca invano nelle odierne». Dello stesso avviso è Luciano Ravaglia, che in premessa al primo volume degli scritti rosettiani osserva appunto come quei viaggiatori fossero «nell’Ottocento soprattutto uomini con lo spirito dell’illuminismo: ricercatori, naturalisti, scienziati»; e come si mettesse- La stazione Centrale di Milano, come si presentava nel 1871. Subirà una trasformazione nel 1927 con il progetto di Ulisse Stacchini (a Milano l’architetto fiorentino realizzerà anche il palazzo delle Poste e a Monza il cimitero monumentale), dalla ridondante decorazione, che Attilio Pracchi definirà un «incongruo involucro di pietra», e verrà inaugurata nel 1931. Transatlantico in partenza dal porto di Bordeaux. Da qui salpò l’ingegnere e neoprofessore ventiseienne Emilio Rosetti sul grande vapore a ruote l’Estremadure che lo porterà in America, il 26 marzo 1865. cativa tranche si è trattato di una emigrazione di rango, costituita da enologi, agrimensori, imprenditori, geologi, ingegneri, periti, e che era stata preceduta, come Rosetti documenta in questo primo volume delle Memorie, da docenti ed esperti nelle più svariate attività tecniche. A partire dal 1860 quello dall’Italia costituiva il 43,5 per cento dell’intero flusso migratorio, mentre la Spagna era al 27 per cento (si calcola oggi che la popolazione di discendenza italiana assommi al quaranta per cento del totale, e che nel 1960, cento anni esatti più tardi, gli italiani di immigrazione recente fossero un milione e ventimila, contro gli ottocentodiecimila spagnoli). In quegli anni si stava decidendo quale dovesse essere la lingua ufficiale, e il governo argentino guardava con spiccato favore all’Italia, ma dal recente Regno sabaudo non venne alcun incoraggiamento. Se la lingua ufficiale fosse diventata l’italiana, Borges e Cortázar avrebbero scritto nell’idioma di Dante, e ancora prima di loro lo avrebbero fatto Lugones, Carriego, Alfonsina Storni e Güiraldes. Dall’Unità in poi, e dopo Cavour, la governativa vision of the world non si spinse più in là della “Quarta sponda” (non a caso così si volle chiamarla), producendo quella che appunto è sempre stata da allora la “politica del 54 Vetrina tradizione d’avventura di viaggiatori ed esploratori. Pressappoco negli stessi anni di Rosetti, fra costoro si annoverano i ravennati Pellegrino Matteucci e Romolo Gessi, che fra l’altro si spinsero nei territori dei Galla e dei bellicosi Niam-Niam. Amico personale di Charles George Gordon, Gessi, che aveva combattuto in Crimea e poi con Garibaldi, accettò dal generale britannico che ispirerà Khartum, di Basil Dearden, nel 1966 (uno di più mitici Epics della storia del cinema, e la sua figura sarà impersonata da Charlton Heston, accanto a Laurence Olivier che interpreta il Mahdi), l’incarico di condurre operazioni militari nel Bahr el-Ghaz l). E ambedue (insieme a Carlo Piaggia, Orazio Antinori, Gustavo Bianchi, Antonio Cecchi, Giovanni Chiarini e a moltissimi altri: la letteratura in proposito è amplissima) lasceranno una massa ragguardevole e di prima mano, e per molta parte tuttora inedita, di scritti, documenti, mappe, lettere di eccezionale interesse: l’ingegnere di Forlimpopoli non è un caso isolato. ro in cammino, in quel secolo caratterizzato dalle idee del positivismo, dal fiorire degli studi scientifici, da «uomini impavidi e coraggiosi, rotti ai sacrifici, con l’ansia della conoscenza e della scoperta»; e come tra questi ci fosse, appunto, Emilio Rosetti. L’ingegner Ravaglia è un attento e solerte conoscitore dell’Argentina, dove ha condotto missioni per il ministero degli Esteri dopo la caduta della giunta militare nel 1982, fino a godere della fiducia del presidente Raúl Alfonsín il quale gli affidò il progetto per il recupero della Galerias Pacifico al centro di Buenos Aires. E sarà là in Argentina, dai racconti dell’ambasciatore d’Italia Ludovico Incisa di Camerana, che Ravaglia “scoprirà” il personaggio Emilio Rosetti, nato come lui a Forlimpopoli, e quindi l’esistenza dell’inedito manoscritto di mille e cinquecento pagine fin qui custodito dalla nipote ed erede, oggi novantenne, Diana Rosetti. La quale con Caffè Michelangiolo Corrado Matteucci ha dato vita alla fondazione nazionale dedicata «a tale grande Italiano». Mille e cinquecento pagine che non hanno spaventato più di tanto la giovane curatrice Giulia Torri, laureata in Conservazione dei Beni culturali, «sensibile e preparata ma nello stesso tempo molto spontanea e naturale, un volo di puntigliosi riccioli al vento» come graziosamente informa l’elegante brochure d’invito alla presentazioni di questo primo tomo a Roma, al Palazzo della Sapienza, corredare l’opera di una abbondanza di “immagini d’epoca”, che ci ripropongono a distanza di un secolo e più l’aura un poco ossidata dei bei tempi andati («anche un po’ troppo andati», direbbe a questo proposito Samuel Langhorne Clemens, alias Mark Twain). Confortati da tali precedenti, confidiamo di trovare nel quarto e conclusivo volume di queste memorie anche l’indispensabile indice generale dei nomi (quello dei luoghi c’è già), in mancanza del quale l’opera risulterebbe non esaustiva, e incompleto apparirebbe così tutto l’argomentato lavoro che essa ha comportato. E dal momento che si è in tema, non paia su- Vapore sul Rio Paranà. «Incaricato dalla casa Maveroff [Achille Maveroff era un milanese trasferitosi in Argentina, tra i fondatori del Banco de Italia y Rio de la Plata e della Società di navigazione Italo-Platense] di progettare ed eseguire un molo e una ferrovia nella città del Paranà che fu per alcun tempo la capitale della R.ca Argentina, sono partito alla volta del Rosario col già conosciuto vapore Capitan». Il mattino seguente, 21 febbraio 1872, Emilio Rosetti ripartiva «col vaporino Estrella non molto comodo, per continuare sul Rio Paranà verso la città del Paranà». sede dell’antica Università romana fondata nel 1303 da Bonifacio viii, e al Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Vieusseux, a Firenze. Non deve essere stato comunque agevole ordinare, integrare, commentare, annotare un siffatto esuberante materiale: non tanto un livre de merveilles (o uno degli itinera et relationes che hanno meritato la fama, per esempio, di un Odorico da Pordenone o di un Guglielmo Massaia) quanto un quasi-romanzo, come lei stessa lo definisce, «in un excursus denso di passioni, caratterizzato tuttavia da una percezione della realtà sempre attenta al particolare, di uno stampo che oggi chiameremmo, a pieno titolo, giornalistico». Un lavoro di curatela assiduo, puntiglioso, vivificante, che rende il testo attraente, godibile, stimolante e, quel che più conta, alla portata anche dei nostri “apocalittici” tempi, così sbrigativi, agitati, assordati, folgorati non dalla luce dell’eternità ma piuttosto da quella emanata dal tubo catodico. In questo senso Giulia Torri ha avuto una vera illuminazione nel pretendere di Caffè Michelangiolo altri autori dell’Ottocento, anche Twain usava il linguaggio del suo tempo». Nello scritto che qui segue, per incuriosirci e farci accostare più disinvoltamente al “suo” libro, Giulia Torri ha puntato sull’escamotage del “tavolino a tre gambe”, per riprendere un’immagine dall’elzeviro di Giulio Nascimbeni che sul “Corriere della Sera” del 4 agosto 1975 commentava il ciclo radiofonico (estate 1974, Secondo Programma) di ventotto “interviste impossibili” «che entra[va] in funzione alle 11.10 del martedì, del giovedì e del sabato»: ciclo che nell’ottobre dell’anno successivo sarebbe stato raccolto in volume da Feltrinelli. Era iniziato con Italo Calvino che colloquiava con l’uomo di Roma, Piazza Termini: il toponimo deriva dalle thermae di Dioleziano, «mangiate in parte dai nuovi lavori della ferrovia», annota Emilio Rosetti nel suo taccuino. La Stazione Ferroviaria era stata progettata da Salvatore Bianchi nel 1867. I lavori per la sua costruzione iniziarono due anni dopo, per concludersi nel 1873. Larga 95 metri, era costituita da due fabbricati laterali congiunti da un’alta tettoia metallica, sul cui frontone venne aggiunta una pensilina con un orologio, punto di riferimento nella Roma umbertina e giolittiana: “sotto l’orologio” era il luogo degli appuntamenti. L’edificio venne demolito nel 1948, per far posto alla nuova Stazione Centrale di Termini, il cui edificio di testata, su progetto Montuori, Vitellozzi, Castellozzi, venne inaugurato nell’Anno Santo 1950. perfluo osservare, tanto per non passare per eccessivamente partecipi laudatores, che sarebbe stata non inopportuna l’aggiunta di un profilo biografico di Emilio Rosetti, nonché di una nota filologica sui criteri di “elaborazione, integrazione e commento” condotti sull’originale del Rosetti, e magari pure di un’appendice che faccia sapere se il manoscritto è stato qua e là purgato (siamo contagiati dall’ossessione yankee del “politically uncorrect”). Per fare un esempio, appare quanto mai improbabile che l’ingegnere, coetaneo di Mark Twain, scrivesse: «truppe di neri e schiavi» (pagina 61). Una casa editrice dell’Alabama, la New South Books, ha ristampato in questi giorni il capolavoro dello scrittore del Missouri, sostituendo la parola “nigger” (in The Adventures of Huckleberry vi compare 219 volte) con “slave”. Sul “Wall Street Journal”, il poeta e scrittore Ishmael Reed, finalista al Pulizer e al National Book Awards, ha parlato di “cultural blindeff”, rimarcando che «come Frederick Douglass e Neanderthal, si concludeva con Arbasino che discettava con Pascoli, Sanguineti che interrogava Freud, Cattaneo che dialogava con Vittorio Emanuele iii, Castellaneta che battibeccava con Picasso («“Lei sa di essere un genio, signor Picasso?” – “Non so che cosa avrebbe risposto Leonardo”»). È dunque la volta ora di Giulia Torri di vedersela faccia a faccia con il “suo” ingegnere giramondo, il personaggio da lei fatto emergere da un’“outre-tombe” per un atto d’imperio immaginativo. Per quanto “impossibile”, l’intervista che segue non è inverosimile. • Vetrina 55 Colloquio (immaginario) appuntamento, Emilio Rosetti me lo ha dato al cimitero di Scutari. Mi guardo attorno, cipressi e marmi, e un senso di abbandono. Però da quassù si domina «la meravigliosa città che mollemente si siede sopra due mondi»: Costantinopoli. Rosetti continua a chiamarla così, quando non la chiama Stambul, che è una corruzione popolare del greco είς τήν πόλιν: tradotto significa “verso la città”. È tuttora anche il nome che viene dato alla città vecchia, sul luogo dell’antica Bisanzio. È pieno di gente, questo cimitero: dappertutto turbanti e kaftan, ma penso che non mi sarà difficile riconoscere Rosetti. Ho in mente il suo ritratto, riprodotto sulla copertina del libro delle sue avventure, curato e annotato da Un leggero sorriso gli fa brillare gli occhi. La dottoressa Giulia Torri, I suppose… Be’, glielo devo dire, lei ha fatto proprio un ottimo lavoro. Mi riferisco al mio manoscritto, mettendoci le mani lei mi ha aperto la strada per essere nuovamente al mondo, e conto che anche il resto venga stampato al più presto. Guardi di sollecitarlo, l’editore. Da questo primo volume che ha fatto uscire dai torchi, il commendator Mauro Pagliai mi ha dato l’impressione di essere una gran brava persona. Sì, uno che le cose se le prende a cuore. Come può constatare, a differenza dei miei colleghi non ero affatto rimasto senza parole. Erano solo chiuse nel mio manoscritto, lei gli ha ridato voce. gare il progresso che non è un accidente ma una necessità. È parte della natura, dice Spencer. Herbert Spencer, ingegnere ferroviario e filosofo, che formulò prima di Darwin la teoria dell’evoluzione, lo sapeva? Anche Darwin viaggiò moltissimo, fu un grande viaggiatore, le sue peregrinazioni spesso assai azzardate e pericolose lo portarono all’interno della Patagonia. A Capo Horne il famoso Beagle su cui era imbarcato rischiò di naufragare. Visitò la Terra del Fuoco e anche le isole Falkland, quelle che l’Ar- 2 1 me con l’aggiunta di un gran numero di immagini, ricavate da quelle “cartoline d’epoca” che il pragmatico ingegnere si è ben guardato dal conservare. Appare virilmente stempiato, la fronte non è più quella del ventitreenne descritta sul foglio di licenza. Il naso è diritto, i baffi folti che si congiungono con la barba sul mento non fanno vedere la bocca, ma sono ancora “castagni”, come i capelli corti e all’indietro, con un accenno di riga dalla parte sinistra. E gli occhi castagni guardano lontano, e non potrebbe essere che così… l’ultima Thule virgiliana. Sbircio con una certa impazienza l’orologio che ho al polso… Non serve molto impegno per vedere quello che si ha sotto il naso, ma ce ne vuole parecchio per decidere in quale direzione puntare questo organo. Mi volto, e me lo trovo davanti. È lui che ha parlato. Emilio Rosetti!, esclamo. Sì, sono proprio io, l’ingegnere giramondo. Nato a Forlimpopoli nel 1839, e che da poco ha compiuto 171 anni. Modestamente, ben portati. Ero scomparso, non certo morto. Ero soltanto “diversamente vivo”. Leva il braccio e descrive un ampio arco nell’aria luminosissima, torna a guardare lontano. Non è anche questa una veduta meravigliosa? Miri!… la punta del Serraglio, il palazzo del Sultano, Santa Sofia, il Corno d’Oro, il Bosforo. Lo sa?, Scutari qui è chiamata Üsküdar e sorge sui resti dell’antica Chrysopolis. Come si capisce dal mio manoscritto, io non ho fatto che viaggiare, appunto 480 mila chilometri. Un vero e proprio pre-Guinness. Per la mia professione, ma anche per una indomita passione ho girato l’intera Italia, quasi tutta l’Europa fino a Capo Nord, buona parte del continente americano, l’Africa del Nord, il Vicino Oriente… Giuseppe Tucci, l’orientalista di Macerata, distingueva l’Oriente in “Vicino”, “Medio” ed “Estremo”. Sì, ho viaggiato molto, e di tutto ho preso nota: lei ha potuto vederlo e studiarlo, il mio sterminato manoscritto. La mia vita è il simbolo stesso del mio secolo, un secolo stimolante, un secolo quasi senza confronti… sì, il secolo più bello, “il secolo più lungo”. Ma voi postmoderni, come sento che vi chiamate, voi ben poco lo apprezzate. E io, dell’Ottocento, ho voluto raccontare l’atmosfera, spie- gentina voleva riprendersi trent’anni fa. La cee votò sanzioni economiche contro l’Argentina, ma l’Italia se ne dissociò. Io ho il merito, come ha scritto l’intrepido collega e generoso concittadino ingegner Ravaglia introducendo questo primo volume dei miei scritti, che lei, dottoressa ha con tanta dedizione e intelligenza curato, io ho il merito, dicevo, di aver portato Charles Robert Darwin nella Società Scientifica Argentina da me fondata a Buenos Aires. Fu lì che lui ribatté il concetto: «Il progresso è stato molto più generale del regresso». 3 56 Vetrina Caffè Michelangiolo Rosetti torna ad alzare lo sguardo in lontananza, verso il Mar di Marmara e le Isole dei Principi. Mi sembra di avvertire un silenzioso gemito interiore, non so se di disappunto oppure di nostalgia. E quasi subito riprende il discorso, ma è come se continuasse un dialogo con se stesso. A ovest era tutta roba di Venezia e Genova… Scutari stessa, la Morea, Samo, Chio, Creta, Cipro. Poi i Turchi presero a contendergliele. Quando espugnarono Famagosta dopo una tenace resistenza di mesi, a Mar- derno sistema dei pesi atomici, Livingstone attraversa per primo il Kalahari, il primo cavo sottomarino della storia viene steso fra l’Europa e l’America, Raimondi raggiunge per primo la regione d’origine del Rio delle Amazzoni, Bullock costruisce la prima rotativa per giornali, Westinghouse inventa il freno pneumatico, Meucci brevetta negli Stati Uniti il primo modello di telefono, Mele risale per primo il corso del Uele in Congo, Stanley traversa per primo l’Africa equatoriale dalla foce del fiume Congo a Zanzibar, Schiaparelli traccia la prima mappa completa di Marte, Monier brevetta le prime travi in cemento armato, Forlanini inventa per primo la tecnica chirurgica del pneumotorace, 4 cantonio Bragadin che era il Governatore di Cipro tagliarono le orecchie e lo scorticarono vivo. Ma anche i cristiani non sono stati da meno, alla quarta crociata Costantinopoli fu messa letteralmente a ferro e fuoco. Massacri, saccheggi, stupri a non finire. Venezia ne approfittò per occupare i punti commercialmente più vantaggiosi e per ridurre a colonie le isole dell’Egeo e dello Ionio. Sì, erano tempi feroci. E da queste parti, poi… Solo nella prima metà dell’Ottocento le potenze occidentali si misero d’accordo per chiudere il Bosforo alle navi da guerra. Scuote la testa, mi guarda. Lei, io lo stuzzico. Lei, ingegnere, non pensa ad altro che al suo Ottocento. Non è così?, il migliore dei secoli possibili?... Cara dottoressa, voi del “secolo breve”, per usare la definizione di Hobsbawm, voi postmoderni insomma, dall’Ottocento avete tratto tutti i benefici, il vero grande secolo… A Gottinga sorge il primo osservatorio per lo studio del magnetismo terrestre, per la prima volta un pallone a idrogeno vola con un equipaggio fra Londra e Weilburg, Fox Talbot mette a punto il primo processo fotografico con negativi e positivi, Draper ottiene la prima fotografia della luna, Morse trasmette il primo messaggio, Matteucci installa in Toscana il primo impianto elettromagnetico della Penisola, Ravizza brevetta il primo modello di macchina da scrivere, Scala è il primo viaggiatore europeo a raggiungere Abeokuta, capitale dello stato Omba in Nigeria, Cannizzaro definisce per primo il mo- Caffè Michelangiolo 5 von Siemens realizza i primi forni per la produzione industriale dell’acciaio, Laveran il protozoo della malaria e Koch il bacillo della tubercolosi, Daimler costruisce la prima motocicletta al mondo, un orologiaio tedesco emigrato negli Stati Uniti costruisce la prima linotype del mondo, a Firenze si costruisce la prima linea tranviaria elettrica del mondo, Marconi stabilisce il primo contatto radio transatlantico… Ingegnere, lo interrompo. Cerco di riportarlo al motivo del nostro colloquio. Lui però è fin troppo infervorato. Signorina Giulia, la grande storia, la vera grande storia è quella delle invenzioni. Sono le invenzioni che provocano la storia, sul fondo dei dati statistici, storici, biologici, geografici. La più grande invenzione del secolo xix è stata l’invenzione del metodo di invenzione. L’Ottocento è il secolo che si muove, che corre avanti, che scuote l’intera società… Ma dovevamo parlare dei viaggi, lo esorto. Non delle invenzioni. Le invenzioni non sono forse scoperte? E non sono forse una continua scoperta, i viaggi? Per questo le ho citato Livingstone, Raimondi, Mele, Tucci, Stanley, eccetera ec- 1 Costantinopoli, il Cimitero turco a Scutari. «Dopo mezzogiorno in uno splendido caiq ho traversato il Bosforo per andare a Scutari […]. Feci una visita al grande cimitero, posto in alto, di dove si domina Costantinopoli meravigliosamente». E Rosetti aggiunge che oltre a monumenti marmorei «vi si trovano steli col turbante che sonnecchiano inclinati in tutti i sensi come tanti ubriachi». 2 Veduta de Il Cairo. «Smontai al Cairo a mezzogiorno e m’alloggiai in un meschino albergo Francese a l’Esbekyèh; poi passai al consolato Italiano». Il console generale d’Italia al Cairo (allora non c’era l’ambasciata) era all’epoca Licurgo Macciò. Nato a Pistoia il 5 agosto 1826, laureato in giurisprudenza a Pisa, nel marzo del 1848 volontario nella prima guerra d’Indipendenza, poi dal settembre tenente nel 1º Battaglione Bersaglieri Toscano, nel 1860 venne nominato Vice Console di 1ª classe al Cairo, promosso Console di 2ª classe nel 63, “traslocato” con patente di Console Generale a Beirut nel 1866, nel 1869 rientrato al Cairo come Console di 1ª classe, poi a Tunisi quale Console Generale di 2ª classe nel 1881 e successivamente Console Generale di 1ª classe nel 1884, venne collocato a riposo come Ministro Plenipotenziario con R. Decreto il 4 settembre 1898, dopo 39 anni e due mesi di servizio diplomatico in Asia e Africa. 3 Scalata alla Piramide di Cheope. «Arrivato alle Piramidi fui subito circondato dalle guide Arabe come mi successe al Vesuvio. Contrattatene alcune, mi disposi alla salita per l’angolo Nord-Ovest di quella di Cheope, che è la principale». Aggiunge Emilio Rosetti: «Alle 8 antimeridiane ero finalmente nella piattaforma superiore, emettendo un grande ah! di soddisfazione. Scaricai il revolver che portava meco per precauzione. Esso teneva ancora la carica delle Ande dell’anno scorso». 4 Costantinopoli, il Corno d’Oro e Stambul. «Stamane son passato sul famoso ponte del Corno d’oro dove è un andirivieni immenso di gente di tutti i colori e le nazioni», scriverà Emilio Rosetti. 5 Un caffè turco, a Costantinopoli. «Stamane sono tornato a Stambul alla visita del bazars per far nuove compere, poi alla pittoresca piazza» dove si trovava il palazzo del Serraschiere, il capo delle forze armate dell’esercito turco, per poi salire alla terrazza superiore dove «v’è un caffè turco e nel mentre si gusta una buona tazza si può studiare comodamente la topografia della immensa e svariata città». Vetrina 57 La pulperia. «Il gaucho è l’uomo più libero del mondo e non può sopportare padroni: s’adatta a far da peon solo quando non può fare a meno per vivere. […]. Appena ha un soldo in tasca corre alla pulperia per bere o per giocare». cetera… Il viaggio…, se lo lasci dire dall’ingegnere giramondo, il viaggio è una specie di porta attraverso la quale si esce da una realtà che giorno per giorno si va facendo, per penetrare in una realtà ben più grande, inesplorata, e che è quasi fuori del tempo. Ma non diceva Montaigne, a chi gli domandava la ragione dei suoi viaggi: «so bene quel che fuggo, ma non quello che cerco»? Una grande verità. Si trova quello che non si cerca, le scoperte sono tutte figlie del caso. Non è stato per caso che Colombo ha scoperto l’America? Ma per oggi fermiamoci qui, abbiamo parlato abbastanza. Veramente ha detto tutto lei, ingegner Rosetti. Non sia modesta, cara dottoressa Torri. Lei sapeva benissimo che ficcando il naso fra le mille e cinquecento pagine del mio manoscritto mi avrebbe rimesso al mondo. Adesso lasci che gli dia un’occhiata, anche se so che vedrò il mondo che ho vissuto io e non quello che sta vivendo lei. Dopo qualche giorno, e non è stato facile, sono riuscita a rintracciarlo a Parigi, fra l’Hôtel Molière, Rue de Rivoli e il Bois de Boulogne. Gironzolava, guardava le avvenenti passanti in cui probabilmente rivedeva le belle signore del Boldini, e… rinviava l’approccio con la musica dei cafè chantant alla visita di qualche anno più tardi a Smirne, a Costantinopoli. Se è per questo, ho rimandato anche l’approccio con le operette di Offenbach fino al mio soggiorno a Valparaiso, però non mi sono perso al teatro francese di Rio de Janeiro gli spettacoli non molto castigati di cancan che furoreggiavano durante il Secondo Impero. A Parigi ho visitato il Louvre che non aveva ancora la Piramide che voi ora vedete all’ingresso, e le Tuileries che voi non vedrete mai perché incendiate dai comunardi e poi definitivamente demolite. E in previsione dei miei viaggi non ho mancato di sollecitare un incontro con l’ambasciatore d’Argentina. Poi mi sono imbarcato, sull’Oceano ho avuto parecchie avventure, come quella con i suonatori napoletani che continuamente comparivano e scomparivano sui bastimenti in navigazione. Ricordo il mitico “passaggio dell’equatore” con l’attesa rotazione dei poli sulla bussola e l’acqua che nello svuotarsi dei lavandini invertiva il gorgo. Ricordo le canzoni ascoltate nei miei spo- 58 Vetrina stamenti per l’Italia, molte patriottiche come Fratelli d’Italia messa in musica da Novaro e l’Inno Militare musicato da Verdi, tutte e due del Mameli, il poeta ferito sul Gianicolo il 3 giugno del ’49 e morto un mese dopo a soli 22 anni, per quella diffusissima infezione setticemica che Semmelweis era sul punto di accertare e quindi prevenire con l’asepsi, un’altra grande scoperta. Lei ha annotato proprio tutto nel suo manoscritto, non è vero ingegnere? Luoghi, persone, musiche… Ha frequentato i teatri d’opera, a Londra il Coven Garden, a Firenze La Pergola che ha definito “vecchiosissima”, a Napoli il San Carlo… Sentivo l’urgenza di fissare cose viste, sensazioni, rilievi. Come è stato osservato, nel manoscritto si coglie quel pizzico di follia che ammicca a prospettive insolite. Ecco. Memorie intrecciate a riflessioni, rapidi schizzi di vita, resoconti da reporter… Vede, cara Giulia. Il giornalista dà per vero tutto ciò che è probabile. Invece il memorialista, lo storico, ancora prima del rigore del racconto deve puntare a cogliere lo spirito del tempo in cui è, perché lo spirito contiene tutto, tutto il passato e tutto il futuro. È indispensabile, se vuole che il lettore guardi al passato con gli occhi del proprio presente. Per questo non si è risparmiato situazioni che potevano metterla in imbarazzo, come la salita al Vesuvio fra cenere e lapilli che venivano addosso e le tre guide napoletane, una davanti che lo tirava e due «per di dietro che mi spingevano per le natiche». Una comica da film muto, le guide che poi l’afferrano e a rotta di collo la riportano giù… Già. Vesuviani e Piramidini sembrano di una medesima razza, con quel loro continuo gridare, le loro insistenze. Come accadde al Vesuvio, arrivato alle Piramidi subito fui circondato dalle guide, e anche qui bisognò contrattare per farmi tirare e spingere su per i 250 gradinoni di quella di Cheope. Uno sforzo che poi si risente per parecchi giorni, ma è una ascesa che si fa una sola volta nella vita. Soltanto 140 metri, ma una volta su hai sotto i piedi, come disse ai suoi soldati Napoleone, “40 secoli di storia”. Una volta rien- trato al Cairo, mi sono incontrato con il Console Generale d’Italia Licurgo Macciò, un pistoiese volontario nel ’48, il quale mi ha detto che lui sulle piramidi non è mai voluto salire. Il suo modo di raccontare, ingegner Rosetti, è sempre scanzonato e leggero, senza moralismi, libero da ideologie. Mette il lettore subito a suo agio, lo sorprende ad ogni riga, lo invoglia a proseguire il viaggio con lei… Viaggiare significa confrontarsi e conoscersi, come ha scritto un suo contemporaneo in un bel libro che le segnalo, Lontani altrove. Vede, cara Giulia, quelle che racconto sono forse piccole cose, a confronto di quello che hanno potuto riferire Stephenson, l’ingegnere che ha inventato la locomotiva a vapore, nell’intervista concessa a Ceronetti; oppure Pitagora, l’inventore in pari e in dispari dei numeri, il gioco del finito e dell’illimitato che regge la generazione delle grandezze matematiche, intervistato da Umberto Eco. Tuttavia, come nel caso delle celeberrima madaleine proustiana il cui sapore, una volta inzuppata nell’infuso, mette in moto nel narratore il meccanismo della memoria, sono proprio certe piccole cose che hanno il potere di far ritrovare un senso e un significato al proprio esistere. La conversazione si chiude a questo punto. L’ingegnere giramondo se l’è svignata mentre io ancora io stavo appuntando nel mio taccuino le sue parole. Prima di dileguarsi ha fatto un riferimento a Monaco, oggi il capoluogo del land bavarese ma allorché lui la vide nel giugno del 1871 ancora la capitale del regno dei Wittelsbach. Sul trono c’era quel Ludwig II che sette anni prima aveva promesso a Wagner di erigere un tempio alla sua arte e che nel ’76 consentirà finalmente al compositore di Lipsia di inaugurare a Bayreuth con L’Anello del Nibelungo quella che diverrà la celebre Festspielhaus. Probabilmente sarà da quelle parti, magari in Maximilianstrasse, e di fronte a quel Nationaltheater al tempo suo chiamato Hoftheater, che Emilio Rosetti ha in mente di darmi un nuovo appuntamento, non appena uscirà il secondo volume tratto dal suo manoscritto sul quale ho già preso a lavorare. • L’Hoftheater, a Monaco, oggi Nationaltheater, in stile neoclassico. Caffè Michelangiolo