8 settembre 1943 Armistizio, fuga del Re e di Badoglio, sbandamento dell'esercito, occupazione tedesca dell’Italia Simone Campanozzi Prodromi: i quarantacinque giorni, dal 25 luglio all’8 settembre del 1943. A Milano, come in tutte le principali città italiane, già dalla notte del 25 luglio, alla notizia della destituzione di Mussolini ad opera del Consiglio del Gran fascismo, una massa di cittadini comincia ad affollare le strade. La sera del 26 luglio cortei spontanei muovono da piazza della Scala a Palazzo Reale e, soprattutto, in Piazza Cavour sotto la sede de “Il Popolo d’Italia” e davanti alla sede del “Covo”, in via Paolo da Cannobio, dove il palazzo viene assaltato e incendiato (La notte del 25, “l’Unità”, 27 luglio 1943). Appello per il ritorno alla democrazia •“L’agitazione popolare continua travolgente. Bisogna soddisfare immediatamente le rivendicazioni del popolo: pace immediata, governo popolare, libertà di stampa e di organizzazione, commissioni interne dei lavoratori nelle fabbriche e nelle aziende, via dai posti di direzione gli odiati fascisti! Milanesi! Occupate le sedi dei sindacati fascisti e installatevi i vostri liberi sindacati che risorgono!” (Ultime notizie, “L’Unità”, 27 luglio1943). Sciopero dei tranvieri, luglio 1943 •I tranvieri furono tra i primi lavoratori ad entrare in sciopero. Blocco del servizio di trasporto pubblico per tutto il 26 luglio, il 27 e parte del 28. Si rinnovava la memoria storica socialista, il ricordo degli scioperi del biennio rosso e della Lega tranvieri urbani. Ma la gioia cittadina dura poco: coprifuoco e forze dell’ordine ristabilirono un clima di paura. La guerra fece il resto. Bombardamenti su Milano, agosto 1943 •I bombardamenti della Raf iniziarono la notte dell’8 agosto e continuarono il 13, il 15 e il 16 agosto, distruggendo edifici importanti e uccidendo un migliaio di cittadini. •Mobilitazione collettiva per assistere le vittime e le migliaia di famiglie rimaste senza casa. I lavoratori dell’azienda tranviaria attrezzarono spazi dei depositi per ospitare lavoratori e famiglie senza casa, con uno slancio solidaristico che ricordò i tempi del mutualismo socialista di inizio secolo. - 80.341 famiglie (232.133 persone) rimasero senza casa - 24.097 famiglie (73.233 persone) ebbero la casa danneggiata Bombe su Milano settembre 1943 inizia la Resistenza Consistenza numerica del Partito Comunista a Milano • Organizzazioni di Partito • Iscritti: città 6.313 • 3.445 provincia • --------- • Comit. di settore 26 • Comit. di zona tot. Iscritti 9.758 6 • Cellule: di fabbrica n.210 • • di strada n. 183 ---------- tot. Cellule 393 Organizzazione di massa su cui può contare il Partito Comunista a Milano • SAP: 25 Brigate • C. d'Agit.: città • provincia 8 • • --------- tot. C. d'Agit. 103 CdLN: • città --------- tot. CdLN GdDD: • città 115 116 provincia 27 • ---------- tot. GdDD • • 86 provincia 29 • • 95 tot. Iscritte FdG: 1000 iscritti (contadini 25) 143 2.879 I partigiani salgono in montagna Anche le donne combattono Differenze tra scioperi marzo 1943 e marzo 1944 •5 marzo 1943, sciopero con motivazioni economiche: dalla Fiat di Torino si estenderà a tutto il Nord Italia: •Aumento razioni alimentari •Distribuzione di abiti da lavoro e scarpe •Legna e carbone per riscaldare le case •Aiuti agli sfollati •Estensione gratifica di 192 ore, dato agli operai sfollati dalla città. •1 marzo 1944, sciopero con motivazioni politiche, Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia, Veneto. •Contro le razzie di operai e macchinari da parte dei tedeschi. •Contro la guerra, la mancanza di materie prime, la militarizzazione delle fabbriche, le deportazioni. •Scioperano anche tranvieri, postelegrafonici, operai del Corriere della Sera. 16 dicembre 1943 15 dicembre 1943 Scioperi 1-8 marzo 1944 Principali fabbriche coinvolte nel milanese •Sesto San Giovanni: •Breda 14.000 (operai e impiegati) •Falck 8.700 •Magneti Marelli 4.300 •Milano: •Pirelli 9.500 •Alfa Romeo 6.300 •CGE 3.000 •Motomeccanica 2.000 •Magnaghi di Crescenzago 2.000 •Caproni 2.800 •Innocenti 2.600 Eccezionalità dello sciopero nazionale del marzo 1944 • “In Italia i tedeschi si trovarono a dover fronteggiare una • situazione praticamente senza precedenti e senza analogie in • altri territori occupati: la resistenza organizzata del movimento • operaio che seppe tradurre la sua battaglia politica • antifascista in termini rivendicativi ponendo fascisti e tedeschi • dinnanzi a una delle strozzature decisive della loro politica” • (Enzo Collotti, L'amministrazione tedesca dell'Italia occupata 1943-1945, Insmli, Lerici editori, 1963). Articolo del “New York Times”, 9 marzo 1944 •«In fatto di dimostrazioni di massa non è avvenuto niente nell'Europa occupata che si possa paragonare con la rivolta degli operai italiani. E’ il punto culminante di una campagna di sabotaggio, di scioperi locali e di guerriglia che hanno avuto meno pubblicità del movimento di resistenza francese perché l’Italia del Nord è stata tagliata fuori dal mondo esteriore. Ma è una prova impressionante, che gli italiani, disarmati come sono e sottoposti a una doppia schiavitù, combattono con coraggio e audacia quando hanno una causa per la quale combattere». Lo sciopero generale è stato una prova della forza del proletariato italiano (“L’Unità”, 10 marzo 1944) “Le notizie del grande sciopero generale sono risuonate come una sveglia, come un grido di guerra in tutta l’Italia occupata (…). I lavoratori italiani non rientreranno nelle fabbriche domati. Si sbaglierebbe di grosso chi credesse che hanno capito che è inutile lottare, che contro i tedeschi non è possibile farcela. Proprio il contrario; i lavoratori hanno imparato a conoscere la loro forza, la lotta di quando sono compatti e decisi, hanno capito che non basta più lo sciopero pacifico, per difendere la propria vita bisogna andare oltre. Tornano nelle fabbriche a continuare la lotta, a preparare l’insurrezione nazionale, l’azione armata per dare il colpo decisivo”. Ultime lettere dei condannati a morte della Resistenza La base di dati Ultime lettere di condannati a morte e di deportati della Resistenza italiana, pubblicata online il 26 aprile 2007, si propone di raccogliere il più vasto – e per quanto possibile esaustivo – archivio virtuale di documenti di tal genere. Essa è costituita principalmente dal materiale contenuto nei fondi archivistici donati all’Istituto Nazionale per il Movimento di Liberazione in Italia da Piero Malvezzi (tra il 1985 e il 1986) e da Mimmo Franzinelli (nel 2005), ma nel corso degli anni si è arricchita di numerosa altra documentazione, messa a disposizione da archivi di enti e associazioni e da privati (nella maggior parte dei casi famigliari delle vittime). L’archivio “virtuale” è in corso di alimentazione. Per contribuire alla ricerca in corso, segnalando l’esistenza di documenti e/o fotografie, dati imprecisi o integrativi nelle schede personali dei condannati, scrivete alla redazione compilando il modulo dei contatti. Ultime Lettere dei condannati a morte della Resistenza Analisi testuale con occorrenze Le parole: Sfera ideologica: Patria (66) Libertà (45) Resistenza/resistere (14) Comunismo/comunista (4) Italia (117) Onore (32) Partigiano/partigiani (24) Dovere (51) Ultime Lettere dei condannati a morte della Resistenza Morte e condanna: Morire (77) Muoio (164) Morirò (11) Addio (154) Fucilare/fucilazione/fucilato (61) Condannare/condanna/condannato (99) Innocente (63) Vendetta/vendicare/vendicate (9) Ultime Lettere dei condannati a morte della Resistenza Sfera religiosa Destino/destinare/destinato (115) Paradiso (40) Lassù (34) Prego (98) Dio (207) Perdono/perdonare/perdonate (216) Lettera-testamento di Giancarlo Puecher, partigiano cattolico, morto a soli 20 anni, il 21 dicembre 1943. •Muoio per la mia patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto, accetto con rassegnazione il suo volere. Tutti i miei averi vadano ai miei fratelli e a Elisa Daccò. Vorrei che sul mio avviso mortuario figurassero i miei meriti sportivi e militari. Non piangetemi, ma ricordatemi a coloro che mi vollero bene e mi stimarono. Viva l’Italia. Raggiungo con cristiana rassegnazione la mia mamma che santamente mi educò e mi protesse nei vent’anni della mia vita. L’amavo troppo la mia patria non la tradite e voi tutti giovani d’Italia seguite la mia via e avrete il compenso della vostra lotta ardua nel ricostruire una nuova unità nazionale. Perdono a coloro che mi giustiziano, perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia. Albino Abico, operaio fonditore, nato a Milano il 24 novembre 1919 -. Prima dell’8 settembre 1943 svolge propaganda e diffonde stampa antifascista – dopo tale data è uno degli organizzatori del GAP, 113a Brigata Garibaldi, di Baggio (Milano), del quale diventa comandante -. Arrestato il 28 agosto 1944 da militi della "Muti", nella casa di un compagno, in seguito a delazione di un collaborazionista infiltratosi nel gruppo partigiano – tradotto nella sede della "Muti" in Via Rovello a Milano – torturato – sommariamente processato -. Fucilato lo stesso 28 agosto 1944, contro il muro di Via Tibaldi 2. •Ultima lettera: •Carissimi, mamma, papà, fratello sorella e compagni tutti, mi trovo senz’altro a breve distanza dall’esecuzione. Mi sento però calmo e muoio sereno e con l’animo tranquillo. Contento di morire per la nostra causa: il comunismo e per la nostra cara e bella Italia. Il sole risplenderà su noi "domani" perché TUTTI riconosceranno che nulla di male abbiamo fatto noi. Voi siate forti come lo sono io e non disperate. Voglio che voi siate fieri ed orgogliosi del vostro Albino che sempre vi ha voluto bene. Ultima lettera di Francesco Lorenzo Massai Landi (alla mia cara nonna) Cara nonna, so che per te sono stato il più caro nipote, ma Dio mi chiama al suo cospetto. La mia sorte, nonna, so che ti porterà un grande dolore, ma non disperare, avrai come consolazione il nipotino che nascerà dal ventre di mia zia ...... porta a lui ed ai primi nipoti lo stesso affetto che hai portato a me, amali fortemente, amali; solo così potrai ricordarti del tuo Renzo, nei momenti più lieti della sua vita. Ti lascio costernato anche di questo dolore che devo darti ma con animo sereno perché so che Dio mi accoglierà nelle sue braccia.Mia adorata nonna, ti lascio baciandoti caramente tuo per sempre. Renzo Ultima lettera di Francesco Lorenzo Massai Landi alla nonna Ultima lettera di Francesco Lorenzo Massai Landi (alla mia scuola) Signori insegnanti e compagni di scuola, Dopo essere stato sommariamente giudicato e condannato a morte vi lascio credo costernati in questa vita terrena. La mia morte per la Patria voglio che sia da voi ammirata. Vi lascia il più scapestrato degli allievi, ma credo che questa non sia una buona ragione perché io venga sottovalutato. Scusate se vi scrivo in questa maniera ma solo un uomo che ha la morte alla gola può ragionare in questa maniera. Sappiate però che il vostro allievo e compagno morrà da eroe per la Patria più libera e più bella. Ricordatemi a tutti non come morto ma come vivo ancora sui miei adorati banchi di scuola Con questo vi abbraccio fraternamente il vostro compagno. Massai Landi Francesco Lorenzo Testimonianze partigiane Lidia Menapace Noi amavamo la vita e non ci attirava l'eroismo, non ci lasciavamo incantare dall'idea della bella morte, dalla cultura della morte così intrinseca al fascismo e ai suoi simboli (teschi, tibie ecc.). L'intensa volontà di resistere fu quella che animò soprattutto la parte debole, donne, ragazzini, operai, gente dei campi, tutti disarmati. Il primo grande atto furono perciò gli scioperi del 1943 e soprattutto del 1944, oltre alle dimostrazione delle donne contro il carovita e le deportazioni. Allora si capì che cosa volesse dire Resistenza civile, difesa popolare, disobbedienza. Allora perché oggi (1994) a parlare dai palchi continuano ad essere soprattutto gli uomini, i comandanti militari e non le donne, gli operai, i ragazzi che allora si opposero con la sola forza del rifiuto alla barbarie nazifascista. E i fascisti ne erano consapevoli, quando tristemente cantavano "Le donne non ci vogliono più bene, perché portiamo la camicia nera- L'amore coi fascisti non conviene, l'amore coi fascisti è da galera". Dizionario del partigiano anonimo Alexander: avrebbe voluto che fossimo spariti come talpe... Non c'erano buche a sufficienza Campo di grano: indimenticabile, abbiamo osservato le spighe, i fiordalisi, i papaveri che tremavano alla brezza estiva e ci siamo accorti che continuavamo a vivere... Letto: se ne parla molto "quando tutto sarà finito mi metto a letto e ci resto per un anno"...Qualcuno è riuscito ad andare a letto con una donna questa estate: ma se ne parla è per rimpiangere il letto più che la donna". Matteotti: Se ne dice un gran bene. Quante poche cose sappiamo intorno a quel periodo...ora che abbiamo aperto gli occhi sugli errori e i crimini del fascismo, diffidiamo un poco di tutte le dottrine. Adesso eliminiamo il fascismo, diciamo, poi si vedrà. Morte non se ne parla mai, ma è sempre con noi- E' indispensabile possedere una morte...in ogni caso la si preferisce alla tortura e la augura improvvisa...a poco a poco, tutti si abituano alla propria morte. Mussolini: Lui non viene a sparare, è troppo lontano, quasi astratto. A parlarne di continuo sono i più anziani e noi avanziamo l'ipotese che sfuggirà al castigo e che sarà trasferito in America dentro una gabbia di vetro, come un animale raro Dizionario del partigiano anonimo Neve: mentre scrivo, siamo bloccati in cinque dentro una carbonaia, fuori c'è un metro e mezzo di neve, le piste sono sparite e il più vicino villaggio è a una decina di chilometri. Da due giorni non tocchiamo cibo. Domani dovremo decidere ad uscire, anche se non avrà cessato di nevicare. Politica: i giovani non amano e non sanno farne. I più anziani la preferiscono alle azioni di guerra. Partigiani: ce ne sono di tutti i tipi, comunisti e cattolici...leali e opportunisti, coraggiosi e vigliacchi, generosi e scaltri, onesti e ladri, eroi e doppiogiochisti, consapevoli e no, vestiti come soldati e come pagliacci. Combattono una delle diecimila guerre che l'uomo ha scatenato su questa terra e pensano di essere dalla parte della ragione. Spia: Nel Paese in cui viviamo, diviso dalla guerra civile, tutti lo possono essere. Un tale che veniva da noi a mendicare pane, ha venduto per duecento lire la vita di quindici nostri compagni.. Tedeschi: Adesso, noi che ce li siamo trovati di fronte più volte, sappiamo che non sono invincibili...sono esseri umani, coraggiosi e vili come gli uomini di tutto il mondo. Canto di operai in sciopero Hanno sete di sangue i gerani alle case rotte i fanciulli han bisogno di fucili per giocare alla guerra le ragazze ci chiedono le macchine per andare ai laghi la domenica. È arrivata la nostra primavera tutta la notte arsero i fuochi intorno alla città a disgelare i piedi ai nostri bambini a sciogliere la rabbia invernale ora l'amore di noi poveri farà della piazza un lago fiorito! Ogni mano stringerà una pietra ogni strada un fiume di compagni un mare un solo mare in moto la piazza del Duomo!... (David Maria Turoldo, da “O SENSI MIEI…POESIE 1948-1988” – pag. 435) Piero Calamandrei •“L’8 settembre, quando cominciò spontaneo e non ordinato da alcuno questo accorrere di uomini liberi verso la montagna, verso la ‘macchia’, avvenne qualcosa di misterioso che a ripensarlo oggi sembra un miracolo: di cui si stenta a trovare la spiegazione umana. Nessuno aveva ordinato l’adunata, questi uomini accorsero da tutte le parti, e si cercarono e si adunarono da sé. Quando si dice che la guerra partigiana si distingue da tutte le altre guerre perché fu una guerra fatta interamente da volontari, si dice giusto, ma non si dice tutto. Essa fu qualcosa di più: un’adunata spontanea e collettiva, un movimento di popolo, una iniziativa di popolo”. Oscar Luigi Scalfaro •“Se ripenso ai mille episodi di inaudita violenza da parte dei nazisti e dei fascisti di Salò e all’eroismo di tanti partigiani; se rileggo le lettere dei condannati a morte per la libertà, se mi fermo a meditare dinanzi alle pietre che ricordano i fatti di sangue e il nome di tanti eroi giovanissimi caduti perché la nostra, la mia, libertà risorgesse, allora sento quanto quella realtà dolorosa e luminosa sia la mia memoria, la mia ricchezza, il mio impegno. Veramente parte viva della mia vita. E tutto questo vale anche per chi allora non c’era. Toglietemi queste ricchezze, svalutatemi questi sacrifici e mi avrete immiserito, avrete spento parte della mia esistenza, mi avrete privato di quanto mi sta a cuore, come se cancellaste la piccola, per me grande storia della mia casa, della mia famiglia: la guerra dei miei avi, ignoti soldatini, ma per me vita della mia vita; come se toglieste il racconto semplice e vivo dei sacrifici dei miei nonni e le lotte quotidiane per l’esistenza dei miei genitori. Non toccate le mie radici, sono sacre! (Oscar Luigi Scalfaro, 2002). Uso pubblico della storia •Definizione Uso pubblico della storia» è una definizione che risale a Jurgen Habermas ed è stata da lui applicata alla «disputa tra gli storici» tedeschi. Per uso pubblico della storia Habermas intende un dibattito che è in ultima istanza etico e politico sul passato. Un dibattito che si svolge «in prima» e non già «in terza» persona, a sottolineare cioè che non si tratta di una disputa scientifica – che richiede appunto la “terza” persona – ma di un contesto che coinvolge direttamente memoria, identità individuali e collettive, giudizi politici sul presente e sul futuro (Nicola Gallerano, 1995). Uso pubblico della storia Paradosso "Il paradosso consiste nel fatto che convivono nel presente due fenomeni all'apparenza contraddittori: un accentuato e diffuso sradicamento dal passato da un lato e un'ipertrofia dei riferimenti storici del discorso pubblico dall'altro" Il passato sembra «un deposito di lezioni» volte a illuminare ciò che si deve fare, a ricostituire radici, identità e indeboliti sensi di appartenenza; oppure quando l'emergere di nuovi valori sociali diffusi propone criteri di rilevanza cui non rispondono più le vecchie interpretazioni prevalenti. Così, ad esempio, Craonne, la città sul confine franco-tedesco che vide i più massicci ammutinamenti, con relative fucilazioni nell'esercito francese della prima guerra mondiale, è stata trasformata da un intervento di Lionel Jospin nel novembre 1998 da «una vergogna nazionale» in un momento di «profonda simpatia umana e di opportuna riparazione storica» (Giovanni De Luna, Prima fucilati e poi riabilitati, “La Repubblica”, 27 gennaio 2000).