FRONTE ITALIANO - GLI ASSALTI INSENSATI La grande Guerra fu caratterizzata, soprattutto nei primi mesi, dalla tattica dei grandi assalti in massa contro le difese avversarie, i cui risultati furono quasi sempre nulli, ma che portarono ad autentici massacri di soldati. Come già detto nella scheda riguardanti gli Stati Maggiori, questo modo di combattere era connaturato alla mentalità dei generali che sembra non avessero capito l’importanza sempre crescente, e decisiva, dell’artiglieria e delle armi da fuoco portatili come le mitragliatrici. Sul fronte italiano il Comandante in Capo, generale Cadorna, non aveva tratto alcun insegnamento dall’esperienza dei mesi di guerra in Francia prima dell’entrata in campo dell’Italia, e anzi le sue disposizioni tattiche agli ufficiali comandanti, continuavano a imporre l’attacco frontale come la miglior tattica da utilizzare. Faceva parte del sistema difensivo austriaco sul Carso, anzi ne era il perno e fu rapidamente fortificato dagli austriaci: i fanti italiani furono mandati all’assalto per quindici mesi, con una perdita di oltre 111.000 uomini. Il San Michele Il Monte San Michele era in realtà una semplice collina che raggiungeva appena 275 metri d’altezza. Il sistema di fortificazioni intorno a Gorizia tratto da “Sui Campi di battaglia” del TCI 1928 Il San Michele faceva parte del sistema difensivo austriaco intorno a quello che era il campo trincerato di Gorizia. La prima linea era al di qua dell’Isonzo e andava dal Monte Podgora al Monte Sabotino. La seconda linea, tutta al di là dell’Isonzo andava dal San Michele, passava per Gorizia e finiva al Monte Santo. Infine la terza, dietro Gorizia, partiva dall’Hermada, passava per il Faiti e finiva al Monte San Gabriele, e questa linea non fu mai da noi superata. Mai che sia passato per la mente del Comando Supremo che queste linee avrebbero potuto magari essere aggirate, non da nord sopra Gorizia dove vi erano le difese austriache dell’altopiano della Bainsizza, ma da sud, dalla parte del mare. Certo allora non c’erano i mezzi da sbarco usati nella II Guerra Mondiale, ma gli sbarchi francesi e inglesi a Gallipoli erano stati possibili. Forse, dalla parte del mare qualcosa si poteva pur tentare, magari solo per distrarre difensori dalla linee fortificate. Una carolina che voleva essere di propaganda, come quella qui presentata, in realtà illustra bene la follia di assalti condotti da fanti su aree scoperte, che non offrivano alcun riparo: intatti. O peggio, con solo qualche varco aperto dove poteva concentrarsi il fuoco delle mitragliatrici austriache. Il primo attacco al San Michele si ebbe durante la I Battaglia dell’Isonzo (23 giugno – 7 luglio 1915) quando gli assalti italiani ebbero per obiettivo quasi tutti i caposaldi della prima e seconda linea: condotti in netta superiorità numerica di uomini, ma con scarso apporto di artiglieria, non portarono alcun risultato. Un varesino del 32° Fanteria (Brigata Pisa) rimane ucciso il 27 giugno. La II Battaglia dell’Isonzo (18 luglio – 4 agosto 1915) ebbe proprio per obiettivo principale il San Michele: fu uno scontro sanguinosissimo, gli italiani come al solito trovarono le difese quasi intatte, i trinceramenti furono occupati, persi, rioccupati e ripersi di nuovo. Una colonna italiana riusciva a occupare la cima 275 il 20 luglio, ma nella notta un contrattacco portò alla riconquista della cima da parte austriaca. E alla fine tutto restò come prima. Due furono i caduti varesini, del 48° e 156° Fanteria. Altri cinque persero la vita da agosto ai primi di ottobre. Nella III Battaglia dell’Isonzo (18 ottobre – 4 novembre 1915) il San Michele fu attaccato dalle Brigate Piacenza (111° e 112°) e Catanzaro (141° e 142°): vi furono temporanee occupazioni delle cime e successive riconquiste, con altissime perdite per tutte e due le parti. I varesini persero 44 uomini, in gran parte dei reggimenti della Piacenza e della Catanzaro.: di questi, 23 erano i dispersi, spariti nella pietraia della collina. Le disposizioni tattiche di Cadorna prevedevano l’assalto frontale dopo una preparazione d’artiglieria che doveva distruggere le difese avversarie, cosa che non avvenne quasi mai: le ondate di fanti che riuscivano ad avvicinarsi ai trinceramenti li trovavano quasi sempre Il 10 novembre inizia la IV battaglia dell’Isonzo, offensiva scatenata dallo Stato Maggiore italiano a pochi giorni della conclusione della precedente (e nei pochi giorni d’intervallo persero la vita 3 soldati varesini). Per quasi un mese, fino al 5 dicembre, si susseguirono gli assalti, le conquiste e le perdite di trincee, senza nessun risultato. I varesini persero 24 uomini, tutti fanti del 29° (Brigata Pisa), 67° e 68° (Brigata Palermo). In tutto il 1915, le conquiste mai definitive di trincee e posizioni portarono a una confusione fra le prime linee, dove avversari si fronteggiavano a volte a pochi metri di distanza, uomini vivi mischiati a uomini morti che nessuno riusciva a seppellire: di conseguenza erano continui gli scontri, spesso corpo a corpo, e divennero tristemente noti i nomi delle località, come “Bosco ferro di cavallo”, Trincerone dei morti”, “Groviglio”, “Bosco quadrangolare”, “Bosco lancia”, “Trincea delle frasche” o semplicemente Cima 1, 2, 3 e 4, fino all’abitato di San Martino del Carso. Esemplari, e sconvolgenti, sono le descrizioni in alcuni libri, sopra tutti “Trincee” di Carlo Salsa. Cartolina del 7° fanteria Austriaco “Conte di Khevenhüller” combattente anche sul San Michele Nei mesi successivi, i varesini ebbero altri dieci fanti uccisi, appartenenti a diversi reggimenti che sia alternavano su quel fronte. Dal 9 al 15 marzo 1916 si combattè la V Battaglia dell’Isonzo, un’offensiva senza nessuna reale intenzione strategica, fatta su pressione degli alleati francesi per alleggerire il loro fronte. Due furono i caduti varesini. Il 15 maggio gli austriaci attaccarono in Trentino con l’intenzione di chiudere la guerra sul fronte italiano e dopo un mese di feroci combattimenti l’offensiva si esaurì senza aver raggiunto l’obiettivo strategico di sfondare il nostro fronte. Sull’Isonzo si era avuta una relativa calma, e nel giugno, appena terminata l’offensiva nel Trentino, il Comando austriaco decise di alleggerire la pressione sul San Michele, utilizzando il gas asfissiante su vasta scala. La mattina del 29 giugno, dopo un violento bombardamento d’artiglieria, furono aperte tremila bombole contenente gas: erano poste in posizioni sopraelevate e il gas fu spinto verso le nostre linee da un debole vento a favore. Dietro le nubi di gas avanzava la fanteria austriaca, con maschere antigas, conquistando trincee dove tutti i difensori erano morti, allineati come in vita. I soldati italiani morti per il gas furono 6500, soprattutto delle brigate Pisa (29° e 30°) e Regina (9° e 10°). La nube di gas raggiunse l’Isonzo, ma poi il vento cambiò direzione e la spinse di nuovo sulle colline, colpendo gli stessi austriaci, fino a che si esaurì. L’attacco fu fermato dalle seconde linee italiane e la notizia che gli austriaci avevano finito i nostro soldati colpiti dal gas con mazze ferrate non fece altro che aumentare lo spirito combattivo dei nostri soldati e l’odio verso il nemico, e lo si vide qualche giorno dopo quando iniziò la VI Battaglia dell’Isonzo, dal 4 al 17 agosto, che portò alla conquista prima dei due capisaldi Podgora e Monte Sabotino e poi di Gorizia. Le posizioni sul Monte San Michele furono abbandonate dagli austriaci che si ritirarono sulla linea Hermada – San Gabriele. Nella VI Battaglia morirono 24 varesini, e altri 13 nei mesi tra la V e la VI battaglia. Il San Michele divenne così un trinceramento italiano e sede del Comando tattico della 3° Armata, che fu abbandonato nell’ottobre del 1917, dopo la rotta di Caporetto e la ritirata alla linea del Piave. Mesi e anni di combattimenti per la conquista di una posizione che si sarebbe potuta prendere solo con un uso intenso e continuo dell’artiglieria, in quantità tale da spianare la collina, ma questo non fu mai possibile e si continuò con gli sterili assalti frontali delle fanterie. Nell’anno successivo i caduti varesini sul San Michele, questa volta in difesa, furono sei e l’ultimo cadde il 25 ottobre 1917 quando iniziò la ritirata. La strage del 115° Reggimento fanteria A Levico Terme vi è una lapide, piuttosto malandata, in ricordo del 115° Reggimento Fanteria (Brigata Treviso): NELLA NOTTE DEL 24.8.1915 I FANTI DEL 115° TREVISO TENTANDO CON PERTINACE IMPETO LA VIA DI TRENTO SU QUESTO COLLE VOTAVANO VITE E SANGUE ALLA VITTORIA REDENTRICE CADUTI Cartolina del 10° Reggimento Fanteria della Brigata Regina In ricordo dei caduti del 29 giugno 1916 Le fortificazioni italiane sul San Michele e le gallerie protette UFFICIALI 43 FANTI 1043 I fatti sono semplici, le spiegazioni molto meno. Il Comandante della 34.a Divisione, Generale Pasquale Oro, in accordo con lo Stato Maggiore, pianifica un attacco nella piana di Vezzena, con l’intento di aprire la strada per Trento, utilizzando le Brigate Ivrea (161° e 162° Reggimenti fanteria) Treviso (115° e 116°) e gli alpini del Battaglione Val Brenta. Tutta l’operazione prevede un forte intervento dell’artiglieria che dovrà spianare la strada alla fanteria. Al 115° reggimento è assegnata un’azione dimostrativa contro il forte Besson che si riteneva quasi distrutto dalle nostre artiglierie, azione che diventerà invece una vera e proprio offensiva. Il Comandante del Reggimento, Colonnello Mario Riveri rileva che in realtà le difese austriache del forte sono quasi intatte, ed esprime tutte le sue riserve, evidenziando che non vi sarebbe stata copertura di artiglieria sufficiente alle nostre fanterie, causa la distruzione delle nostre postazioni, e quindi i soldati non avrebbe trovato aperture nei reticolati. Il colonnello ancora non sa che vi sono anche tre linee trincerate prima del forte, ed è qui evidente la leggerezza con cui si è progettato l’assalto, senza aver richiesto l’osservazione aerea, che avrebbe potuto rilevare le linee trincerate. Le osservazioni di colonnello sono lasciate cadere, e il generale dà il via libera all’operazione: sembra che abbia detto che i reticolati si dovevano spezzare con i denti e con i petti, ma non è chiaro se la frase fu effettivamente pronunciata o gli è stata attribuita dopo l’insuccesso dell’operazione, e per questo sarebbe necessario poter consultare una documentazione affidabile. Il colonnello Riveri deve obbedire e si mette alla testa del reggimento con la sua migliore uniforme, con la fascia azzurra e la spada in mano, guidando l’assalto che si infranse subito sulle linee di difesa, duramente colpito dai bombardamenti delle artiglierie dai forti che, secondo il Comando Divisione italiano, avrebbero dovuto essere quasi distrutti. Fu una strage, 1086 morti, fra questi il varesino sergente Giuseppe Isella di Morosolo, un reggimento distrutto. Il colonnello, ferito tre volte, fu fatto prigioniero dagli austriaci che gli permisero di conservare la spada in prigionia, in segno di onore. L’interpretazione dei fatti non è semplice: innanzi tutto il comportamento del colonnello Riveri è stato da qualcuno giudicato in modo poco lusinghiero, come se l’ufficiale pensasse di essere ancora alle guerre del Risorgimento, ma fu probabilmente un atto coraggioso: non potendo disubbidire agli ordini e conscio dell’impossibilità di riuscire, si mise alla testa dei suoi uomini per seguirne la sorte, e si noti che era ben raro (se non l’unico caso) che un colonnello guidasse in prima linea il suo reggimento all’assalto. Il generale Oro, se effettivamente ha detto quella frase, sarebbe da considerare un vero criminale di guerra, ma è tutto da dimostrare, anche non è del tutto inverosimile che l’abbia davvero pronunciata, conoscendo la mentalità di questi alti ufficiali che avevano in mano le sorti della nostra guerra. Ha dimostrato comunque una leggerezza incredibile, progettando e ordinando un’azione senza avere informazioni attendibili sulla situazione del terreno. Il generale fece comunque carriera, diventò comandante di Corpo d’Armata, e si distinse nella difesa contro la Strafexpedition austriaca nel Trentino nel 1916 e il Re gli concesse l’Ordine Mauriziano in riconoscimento della brillante azione. Niente di strano, nella Grande Guerra casi simili si verificarono più volte, clamoroso quello della promozione del generale Badoglio dopo la sconfitta di Caporetto, in parte ascrivibile al Corpo d’Armata da lui comandato. Il generale Oro scrisse un libretto nel 1923 intitolato “Pagine eroiche”, attualmente introvabile: sarebbe interessante capire cosa ha scritto sulla giornata del 24 agosto, ma si può facilmente immaginare. Il Diario Storico della Brigata Treviso così descrive la giornata del 25 agosto: “Il 25 il 115° agisce dimostrativamente per agevolare l’attacco della brigata Ivrea contro le postazioni avversarie di Malga Costa Alta e di M. Besson; gli attacchi condotti con estrema violenza e più volte rinnovati da tutti i reparti del reggimento si infrangono contro le robuste difese passive del nemico che reagisce attivamente con fuoco di mitragliatrici e con intenso tiro delle artiglierie dei forti ancora efficienti di Luserna e Busa di Verle, si che il reggimento è obbligato a ripiegare sulle posizioni di partenza di Campo Rosà dopo aver perduto 36 ufficiali e 1041 militari di truppa”. 2/2016