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bonariamente prendendo in giro. “La mia
cesarola” ha sussurrato dal posto dei generosi dove si trova, “La mia cesarola che
aveva tanta paura di me…”. Così mi chiamava affettuosamente ma avrebbe preso a calci
nel sedere chi si fosse permesso di ripetere
quelle parole in maniera offensiva. Perché
lei era visceralmente anticlericale ma si
sarebbe tagliata le vene piuttosto che a un
clericale fosse proibito di professare la propria fede. Altre persone e altri tempi!
Cara Geppa, cara donna meravigliosa che
anni dopo quando ho capito quanto tu valessi sono venuta a ringraziarti per quel dono
lontano, mi hai stritolato in un abbraccio e
mi hai detto chiaramente: “Non rinnegare
mai le tue idee se ne sei convinta, non badare a chi ti sta intorno, quando hai la coscienza a posto, anche se sbagli, ma sei convinta
di agire per il meglio, vai avanti, se poi ti
accorgi di aver commesso degli errori, non
vergognarti, (e ha soggiunto ridacchiando)
anche Cristo ha sbagliato nel scegliere Giuda, l’importante è rimediare”.
E quella domenica pomeriggio nel
cimitero di Ravenna sotto un acquazzone spaventoso con raffiche di vento
da far paura, sono tornata indietro di
tanti, tantissimi anni. Un pomeriggio
d’estate sotto un temporale con tuoni
e fulmini, il mare mugghiava, e noi
tre fratelli eravamo soli in casa,
mamma lavava i piatti in un ristorante, hanno bussato alla porta. Era lei,
la Geppa con il suo cappello con
falce martello. Istintivamente noi tre
ci siamo abbracciati, cosa voleva da
noi quella donna, d’accordo facevano la
spesa alla cooperativa ma avevamo sempre
pagato, forse non ci voleva più perché andavamo a Messa a Marina di Ravenna? Non
c’era il prete allora a Porto Corsini.
La Geppa, avvolta in una cerata grondante
d’acqua ci ha guardato lungamente poi da
una tasca ha tolto un libriccino con la copertina nera. “Datelo a vostra madre, può fare la
spesa e segnare in questo libretto, pagherà
quando può. E io non mangio i bambini”.
Prima di andarsene ci h avvolto in uno
sguardo così caldo sotto il cappello a falce
martello che avrei voluto abbracciarla, ma
mi faceva ancora paura. E la sera quando la
mamma è rientrata stanca morta si è accasciata su una sedia, ma visto il libretto nero,
non a tutti era concesso, aveva le farfalle nel
cuore. Cibo per i suoi figli e pagarlo quando
poteva. E questo grazie alla Geppa. Grazie
Geppa, grazie Geppa Comunista come volevi essere chiamata. Quei tre ragazzini terrorizzati che in un lontano pomeriggio d’estate sotto un temporale terribile, hanno capito
cos’era la bontà, sono adulti ormai, anzi
Il Foglio della Domenica
quasi vecchi, ma nel loro cuore c’è un posto speciale per quella
meravigliosa comunista che li ha aiutati nel momento del maggior bisogno.
LA DOMENICA DELL’OLIVO
Per Gesù e per i suoi apostoli oggi è ancora festa,
anche se da un po’ di tempo Gesù va ripetendo ai
suoi di salire a Gerusalemme dove sarà condannato
dai sacerdoti e messo a morte, che poi il terzo giorno risorgerà.
Era difficile per loro credere a queste sue parole.
Non era possibile che l’avrebbero condannato a
morte: non aveva fatto niente di male, anzi aveva
guarito tutti quelli che aveva incontrato; poi cominciavano a credere che Gesù era veramente il Messia e quindi doveva liberare (come tutti credevano)
il suo popolo dal dominio di Roma.
Erano saliti a Gerusalemme per la Pasqua: avrebbero offerto a Dio l’agnello e ne avrebbero consumato una parte nella cena tutti assieme, patto di
amicizia
con
Dio e
coi
familiari.
Per
gli
orti
sul
monte
degli ulivi erano accampati gruppi di pellegrini e
nelle notti d’attesa per il sacrificio, cantavano quasi
in gara i canti del Signore.
Gesù la notte la passava dai suoi amici a Betania,
dopo essersi fermato per qualche tempo nell’orto
del Getsemani ad ascoltare i cori in preghiera e dopo aver contemplato la città santa e il tempio.
Quella mattina coi suoi Gesù lascia Betania, sale il
monte degli Ulivi per il versante opposto a quello
che guarda Gerusalemme. Passa dal Capanno dei
fichi (Betfage), posto sul crinale, manda a prendere
dal capanno un asinello e comincia la discesa verso
il tempio.
Accanto a Gesù c’è un bel gruppetto di uomini e
donne, i suoi discepoli, tutti in festa. Alcuni di altri
gruppi accampati negli orti, chiedono di cosa si
tratta e si uniscono nell’entusiasmo della festa.
Raccolgono rami dalla recente potatura ed ecco il
trionfo di Gesù e la domenica dell’olivo o delle
palme.
Non passeranno che pochi giorni e quelle strade
risuoneranno d’un altro grido:
“Crucifige!” (Crocifiggilo!)
e su esse cadrà il piano delle
donne.
Noi ci chiediamo quello
forse che si chiesero molti in
Gerusalemme: “E tu da che
parte stai?”. Forse a qualcuno la cosa non interessava
proprio per niente. invece
conviene a te chiederti in
profondità chi è quel Signore, che i buoni ed i poveri
oggi festeggiano? E a te
non interessa, hai già abbastanza argomenti per vivere
la tua vita senza pensare a
quel Signore,che ha sconvolto la vita di tanti? O ti
vergogni di lui?
Fra qualche anno forse anche pe te la vita finisce
(fossero anche 100 i tuoi
anni, saranno comunque
bevi) e credi che neanche
allora lui ti interesserà? Tutta questa meravigliosa, difficile avventura della tua vita
è proprio così logico che
finisca in una pugno di cenere?
In questi giorni è uscita un
elegante pubblicazione
dalla penna e dalla fotografia del nostro compaesano
Daniele Ferroni dal titolo
“I volti delle parole”.
Si tratta della raccolta di 65
poeti della nostra Romagna
di ciascuno dei quali viene
pubblicato uno stralcio indicativo della sua poesia e
la foto.
Complimenti, Daniele, per
il paziente ed originale lavoro, ordinato e preciso,
anche se un poco lontano
dal mio palato, spero per
sola questione di anni.
Parrocchia Sant’Apollinare - Villanova di Bagnacavallo, Via Glorie 21 - WWW. Parrocchie.It/Bagnacavallo/Villanova
DOMENICA V di QUARESIMA
“Riconoscerete che io sono
il Signore, quando aprirò le
vostre tombe e vi risusciterò
dai vostri sepolcri, o popolo
mio”.
(Ez. 37, 12-14)
6/4/2014
bile non si possono conoscere se
non per fede.
Potrei anche ragionare dicendo che
credere nella vita eterna o no, non
cambia niente della mia vita pre-
“E se lo Spirito di colui che
ha risuscitato Cristo dai
morti abita in voi, colui che
ha risuscitato Cristo dai
morti darà la vita anche ai
vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita
in voi”.
(Rm. 8, 8-11)
“Gesù le disse:<Io sono la
resurrezione e la vita; chi
crede in me, anche se muore
vivrà; chiunque vive e crede
in me, non morrà in eterno.
Credi tu questo?>.
Gli rispose: <Sì, o Signore,
io credo che tu sei il Cristo,
il Figlio di Dio>.
(Gv. 11, 1-45)
CREDI TU QUESTO?
E’ talmente grande la paura
della morte che l’uomo ha inventato la vita eterna.
Ma se così fosse la natura
umana (visto che tutti gli uomini hanno questa speranza
di vivere anche dopo morte)
sarebbe cattiva perchè ci fa
sperare quello che non esisterebbe. Ora la natura umana
non può essere cattiva.
Questo è un ragionamento,
ma le cose che superano la
possibilità dello sperimenta-
sente, perché fare ciò che è male
non paga, non sarei felice, allora
conviene all’uomo credere che c’è
una vita eterna, che questo lo fa vivere e morire più sereno.
Ma basta ragionare. Se c’è Dio, lui
è Signore della vita e della morte.
Non solo, ma se in me vive lo stesso Spirito del Signore, questo non
può morire, io non posso morire.
E allora posso credere alla Scrittura? Dice Paolo: “Se lo Spirito di
colui che ha resuscitato Cristo dai
morti abita in noi … darà la vita
anche ai vostri corpi mortali”. E
Gesù dice: “Chi vive e crede in
me, anche se muore vivrà”.
Certamente la morte è un fatto doloroso, anche Gesù piange per la
morte dell’amico Lazzaro e
nell’Orto degli ulivi quell’ultimo
giovedì sera lui stesso è terrorizza-
n. 14/14
to davanti alla sua morte prossima.
La morte è un passaggio che prevede
una nostra trasformazione profonda.
D’altra parte, se Dio è nostro Padre,
quale padre desidera la morte del proprio figlio?
Se abbiamo fede in Dio
non possiamo veramente mettere in dubbio la
vita eterna.
E se non abbiamo questa fede, la vita eterna è
la più logica conseguenza della vita presente, perché sia ripagata la sofferenza di alcuni di fronte alla fortuna
di altri e perché si compia quella giustizia che
in terra non esiste e ancora perché la presenza
dei nostri morti alla nostra vita, non è
solo un fatto psicologico, né un fatto di
fantasia, ma reale.
Comunque credere a questo ci fa solo
bene anche su questa terra e se il frutto
è buono, si dice che la pianta è buona.
Dobbiamo allora concludere che se
credere nella pienezza della vita
(nell’eternità) è un buon frutto, produce in noi una speranza di giustizia, di
misericordia e di pienezza è buona anche la nostra fede.
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IlI Foglio della Domenica
OFFERTE DI
QUESTA
SETTIMANA
Silvagni Dirce € 20 *
Brusi Carlo € 14 * Paganini Adele € 5
* Sonia e Maria Bezzi € 10.
In generi
Staffa Stefano * Donati Massimiliano
* Bezzi Acre * Maccolini Diana *
Morelli Luisa * CRAI Villanova *
Capelli Angelina * Lucetta * Preda
Angelo * Ossani Marino.
BENEDIZIONE ALLE CASE
Quest’anno, per le ragioni che già conoscete non vengo alle vostre case per
la benedizione pasquale e allora vi prego di sostituirmi.
Benedizione comune e distribuzione
dell’acqua benedetta:
Lunedì Santo (14/4/14, ore 20) in chiesa: Le famiglie di Via Glorie.
Martedì Santo (15/4/14, ore 20) in
chiesa: Le famiglie di Via Superiore e
Centro.
Mercoledì Santo (16/4/14, ore 20) in
chiesa: Le famiglie della campagna
Dall’1 al 6 aprile andrò a benedire e a
fare gli auguri a famiglie impossibilitate
a venire in chiesa.
Dal 7 al 10 andrò a benedire i luoghi
pubblici e le fabbriche.
Il Giovedì Santo (17/4/14) porterò la
Comunione ai nostri ammalati * Ricordate (ore 20) la benedizione delle uova
Le 40 Ore di adorazione del Signore.
Dalle ore 11 della domenica delle Palme alle 17; Lunedì, martedì, mercoledì
Santi dalle ore 7,30-9, ore 17-20 nella
cappella invernale.
Giovedì Santo , ore 20, S. Messa ricordando l’ultima Cena del Signore,
Venerdì Santo, ore 20, Adorazione della croce, ricordo della morte del Signore. Seguirà la Via Crucis per le Case
Fiorite.
Sabato Santo,Veglia di Pasqua, ore
22,30.
Confessioni: alle messe di lunedì e
martedì santo sarà presente Padre Germano di Ravenna. Per i ragazzi sabato
mattina vigilia di Pasqua.
CENNI DI STORIA
DELLA CHIESA
(continua 63)
CONQUISTADORES (Hernan Cortés e Francesco Pizarro) Per gli spagnoli del Cinquecento il 1492 non è soltanto l’anno della scoperta
dell’America. E’ anche e soprattutto l’anno
della presa di Granada: della vittoria finale sul
dominio arabo. Chi va nel Nuovo Mondo forse
dimentica Cristoforo Colombo, ma quella
guerra di oltre settecento anni contro i “Mori”
ce l’ha nel sangue. Hernan Cortés aveva otto
anni quando nel suo borgo natale, Medellinin
Estremadura, si imparò della caduta di Granada. Finite le avventure ci si ritrova poveri, ma
ecco presentarsi un intero mondo nuovo e Cortés vi si precipitò a diciannove anni, troncando
gli studi di Legge a Salamanca per raggiungere
Santo Domingo governata da un suo zio. Già
nel 1493 il Nuovo Mondo era stato diviso da
Alessandro VI in due parti seguendo i meridiani. La parte orientale toccava ai portoghesi,
quella occidentale agli spagnoli. Il patto bilaterale di Tordesillas (1494 sposterà la linea più a
ovest, passando al Portogallo l’attuale Brasile.
Nel 1511 Cortés passò a Cuba, guadagnandosi
la fiducia del governatore Diego Velasquez. Di
qui inizia la sua avventura. Nel febbraio del
1519 Velasquez lo manda a fare esplorazioni
nell’attuale Messico. Ha 11 navi, 553 soldati,
110 marinai, fucili, archibugi, cannoni e 16
cavalli. Sbarcato si proclama “capitano generale”, dipendente solo dal re. E con quelle poche
centinaia di uomini, una goccia nel mare, prima della fine dell’anno si è già impadronito
della capitale dell’impero, la meravigliosa Tenochtitlan (Città del Messico). L’imperatore
Montezuma II gli ha aperto le porte perché
terrorizzato dalle sue vittorie (con massacri)
dovute anche ad alleanze con popolazioni
contrarie al dominio atzeco,ma soprattutto per
una paura arcana: che non fosse l’incarnazione
di Quetzalcoatl, antico dio locale, che aveva
promesso che sarebbe tornato in Messico.
Montezuma diventa un ostaggio collaboratore.
A questo punto però Cortés deve tornare sulla
costa a combattere altri spagnoli,capeggiati dal
nuovo governatore di Cuba, Panfilo Narvaez,che reclama le nuove terre. Vince, prende
con sé quelle truppe, ma al ritorno trova la
capitale in rivolta. Usa Montezuma per placare
i ribelli, ma questi viene ferito e muore misteriosamente. Cortés , fuggito dalla capitale, si
trova addosso quasi tutto il Messico, sotto la
guida del nuovo imperatore Cuauhtemoc. Dopo scontri feroci e durissime marce sotto il sole
e nella neve, il 13 agosto 1521 entra nuovamente nella capitale, semidistrutta da un lungo
assedio e governa con la nomina locale di padrone dell’impero. Ma da Madrid arrivano
ispettori mal disposti, poi arriva un vicere che
gli lascia solo il comando delle truppe per nuove esplorazioni. Un viaggio in Spagna gli rivela che nessuno lo prende sul serio. Tornato in
Messico, fa per pochi anni ancora
la vita di subalterno e nel 1540
torna in Spagna dove muore oscuramente. Cortés: brigante o eroe?
Appena sbarcato in Messico prende con sé una donna, Malinche o
Marina. Concubina, interprete,
consigliera. Con le popolazioni
locali ha usato lealtà, benevolenza
e perfidia, alleandosi con gruppi
etnici ostili agli atzechi. Oppure
ha usato terrore come a Cholula,
temendo che i cittadini di questa
città avessero preparato una imboscata ne fece uccidere a tradimento qualche migliaio. Ferocia comune in quegli anni anche altrove,
come in Germania ove i principi
massacrarono tranquillamente
molte migliaia di contadini ribelli.
Gli piaceva l’oro, ma come segno
di potere. Tra i conquistadores fu
il meno avido, perché ambizioso.
Voleva essere un re, non un ricco.,
tuttavia per impadronirsi di un
certo oro fece torturare e poi impiccare senza processo l’imperatore Cuauhtemoc. Molti indios lo
consideravano un dio guerriero,
ma egli rifiutò sempre onori divini. Questo gli pareva un peccato
orribile. Per lui gli indios non
erano bestie, ma uomini per i quali Cristo era morto e questo lo
dovevano sapere. Bisognava dirglielo subito senza gradualità e
pazienza. Uno dei religiosi al suo
seguito giunse a dirgli:”Non è
giusto che per forza li costringiamo a farsi cristiani e vorrei che
smettessimo di distruggere i loro
idoli, finchè essi non imparino a
conoscere la nostra fede”. Cortés
distrugge templi e statue, però non
aveva mai visto sacrifici umani, le
vittime tenute all’ingrasso in apposite gabbie, le pozze di sangue
fresco. Per lui i templi erano officine di morte da bruciare al più
presto. I suoi frati lo invitarono
alla calma ed alla prudenza. Finalmente fu persuaso e si limitò a
vietare sacrifici umani. Si sa che
molto spesso si servivano di queste usanze sanguinose anche contro innocenti per appropriarsi
dell’oro che trovavano in casa.
Un altro di questi conquistadores
fu Francisco Pizarro, nato in
Estremadura forse nel 1473, figlio
illegittimo, abbandonato ed analfabeta, spinto in America dalla
miseria come tanti altri spagnoli,
da cinquantenne intraprese la conquista del Perù su licenza di Carlo
V e coi fondi raccolti da due amici. Nel 1531 con tre navi, 180
soldati e 27 cavalli sbarcò nella
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cittadina di Tumbez trovando
l’impero lacerato da una lotta
civile tra due fratelli pretendenti
al trono, Atauhalpa e Huascar.
Con un tranello catturò Atauhalpa, che dalla prigionia riuscì a
fare uccidere Huascar, poi offrì
al conquistatore quantità enormi
di oro in cambio della libertà..
Pizarro, preso l’oro, lo fece uccidere. Gli spagnoli ricevettero poi
rinforzi e occuparono la capitale
Cuzeco e le altre città: Quito,
Bogotà, l’altipiano boliviano.
Presso la costa fondò una nuova
capitale, Lima. Poi i conquistatori presero a massacrarsi tra loro.
Pizarro contro Almagro (due
trovatelli), amici fraterni, resi
nemici dall’oro. Almagro finì
strangolato, ma nel 1541 i suoi
sostenitori pugnalarono a morte
Pizarro. Dalla Spagna arrivò il
primo vicere e la faida divenne
generale: il figlio di Almagro fu
decapitato per ribellione, il vicerè ucciso in battaglia, altri capi
strangolati; poi la sorte tragica
dei quattro fratellastri che Pizarro aveva portato con sé dalla
Spagna: uno pugnalato con lui,
un altro ucciso in combattimento, il terzo decapitato per ribellione. Soltanto il quarto Hermando, tornò in Spagna carico di
oro, ma fu condannato a vent’anni per i suoi delitti in America.
Cortès aveva virtù e difetti, Pizarro era soltanto perfido. Non
comandante di un esercito, ma
feroce capobanda. Non riuscì a
tenere assieme i suoi uomini,
perché alla sua impresa aveva
dato come unica motivazione la
razzia. Vennero così meno i valori che in Spagna s’erano dati
all’impresa: una guerra di liberazione.. Quei valori rimasero patrimonio di una minoranza dei
più austeri religiosi, disarmati e
perciò quasi impotenti. Gli unici
ad entrare in contatto con la gente pacificamente erano loro, i
frati. La loro opera era comunque difficile per la difficoltà
della lingua e a far capire come
un Dio fosse stato crocifisso
dalla gente, il mistero della Trinità (il popolo era politeista).
Scandalizzava poi soprattutto la
condotta dei conquistadores, in
prima fila nelle cerimonie religiose, come nei massaacri. Da
convertire non era la popolazione peruviana, ma i conquistadores. A Pizarro va riconosciuto lo
straordinario coraggio nelle bat-
Il Foglio della Domenica
taglie, in marce faticose sulle montagne e
nelle insidie delle foreste, nell’affrontare la
fame, la sete, il freddo e la calura. Nessun
altro merito. In questo spettacolo di imbarbarimento splendida è la figura di Bartolomeo de
lllas Casas, nato a Siviglia nel 1474, andò in
America per la prima volta nel 1502 e ottenne
nell’isola Hispaniola (oggi Haiti) un pezzo di
terra da sfruttare. Ordinato sacerdote nel 1510
e più tardi domenicano, rinunciò ai suoi possedimenti e si dedicò esclusivamente all’evangelizzazione e alla difesa degli indios. Tornato
in Spagna presentò a Carlo V la Brevissima
relation che venne poi stampata e diffusa a
partire dal 1552. Fu poi nominato vescovo di
Chiapa (Messico). Tutta la sua vita fu spesa
nella difesa degli indios. Ottenne anche
dall’imperatore buone leggi, che però non
vennero applicate. Ebbe calunniatori. Lo accusarono perfino di eresia.
AVVISI DI SS. MESSE
LUNEDI’ 7
S. GIOV. BAT. DE LA SALLE
Ore 20: Per il fu Conficconi
Alieto.
MARTEDI’ 8
S. DIONIGI
Ore 20: Per i Defunti Ferroni e
Amadei.
MERCOLEDI’ 9
S. DEMETRIO
Ore 20: Per i miei professori.
CHE NOSTALGIA CANAGLIA PER GIOVEDI’ 10
QUELLE PERSONE MERAVIGLIO- S. EZECHIELE
SE!
Ero ragazzina, cattolica, praticante, catapultata in
Romagna (e fin che avrò fiato non finirò mai di ringraziare questa terra meravigliosa), non c’era scelta
per mio padre o accettava il trasferimento o perdeva
il posto di lavoro. E siamo arrivati a Porto Corsini
nel lontano 1958. Signore! Quanto ho amato e quanto amo le poche persone ormai rimaste di allora che
ci hanno accolto con generosità senza confini. Il
romagnolo apre il suo cuore e non solo a chi arriva e
cerca di inserirsi in maniera onesta e cerca di migliorare la propria condizione economica.
E Porto Corsini era completamente, appassionatamente targata PCI, quello storico a cui ammirevolmente dedicavano tempo, soldi, fatica per costruire
la prima Casa del Popolo. Poche stanze con un grande cortile, che allora si chiamava arena dove l’estate
si ballava, è arrivato persino Secondo Casadei, e
d’inverno si andava a vedere Lascia e Raddoppia.
Naturalmente si dovevano portare le sedie di casa.
Le bandiere rosse garrivano al vento, passava Marino con un tegame dove aveva abbrustolito i semi di
zucca e un bottiglione di gazzosa. Con 10 lire prendevi tutti e due.
Poi c’era la Coop. Le donne che la gestivano, orgogliosamente comuniste, portavano un fazzoletto
rosso al collo. La responsabile, una donna, energica,
con incollato alla testa un cappello di paglia estate e
inverno con su stampata la falce e martello, a me
incuteva terrore. Era anche l’incaricata che alla sera
passava per le case a chiamare chi l’indomani sarebbe andato a lavorare nelle terre della tenuta Rasponi.
Geppa si chiamava quella donna meravigliosa, così
dura all’esterno e con un cuore d’angelo all’interno,
l’ho capito dopo poco tempo.
Alcune domeniche fa sono andata a trovarla al cimitero. Sarà che ormai sono vecchia e le emozioni mi
soffocano, ma dopo interminabili minuti fissando la
sua fotografia ho avuto la sensazione che mi stesse
Ore 20: Per mio babbo, mia
mamma e mio fratello.
VENERDI’ 11
S STANISLAO
Ore 20: Per quanti ci hanno fatto del bene.
SABATO 12
S. ZENO
Ore 20: Per il fu Milani Francesco.
DOMENICA 13
DOMENICA DELLE PALME
Ore 8,30: Per la fu Montanari
Maria e Defunti di Famiglia.
Ore 10: In piazza per la processione fino alla chiesa
Ore 10,30: per Manetti Ernesto
e Liverani Allegrina.
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Domenica V di Quaresima