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Dante Alighieri, Vita nuova
Dante Alighieri, Vita nuova / Viaţa nouă
a cura di M. Fekete, traduzione di
O. Busuioceanu e Romulus Vulpescu,
con una prefazione di C. Bologna,
Bucarest, Humanitas, 2009, pp.243.
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scita nella prestigiosa collana Biblioteca italiana della casa editrice Humanitas (collana
di classici italiani in edizione bilingue coordinata da Smaranda Elian e Nuccio Ordine),
questa nuova edizione della Vita nuova ha il
pregio di restituire al pubblico romeno, dopo
quasi un trentennio, l’opportunità di leggere,
con testo a fronte e un attento ed esaustivo
commento, la prima opera compiuta di Dante:
quel piccolo «libretto» d’esordio che, narrando
la vicenda di un innamoramento giovanile,
annuncerà la grandiosa fioritura del «poema
sacro», ponendo le basi per gran parte della
letteratura italiana a venire (se è vero che, come si ricorda nell’introduzione, esso è da
considerarsi «prima carte a literaturii italiene»,
«il primo libro della letteratura italiana» [Domenico De Robertis]). Il volume propone
una ristampa dell’unica versione della Vita
nuova esistente in lingua romena, pubblicata
per la prima volta nel 1971 presso la casa editrice Univers, nell’importante volume delle
Opere minore [Opere minori] di Dante. La traduzione, effettuata a due mani, è firmata dal
poeta Romulus Vulpescu per la parte in poesia
e dall’italianista Oana Busuioceanu per la
parte in prosa. Nella veste attuale, il libro si
avvale inoltre dell’accurata e pregevole curatela di Monica Fekete, che rende piena leggibilità al testo romeno senza cancellare il
valore storico della pubblicazione, nonché di
una revisione della traduzione delle liriche
da parte dello stesso Romulus Vulpescu.
La nuova edizione della Vita nuova si presenta così al lettore romeno quale risultato di
un armonioso intreccio di voci. In primo luogo, quella del poeta Romulus Vulpescu che si
cimenta con la resa in romeno di un linguaggio lirico solo in apparenza piano e «leggero»;
di fatto spesso oscuro per il lettore odierno, a
causa della distanza secolare che separa la
sensibilità moderna dalle categorie del mondo
duecentesco e, soprattutto, la semantica dei
termini più significativi del lessico filosofico
e poetico medioevale da quella corrente. La
versione romena di Romulus Vulpescu riunisce in sé, in tal senso, un alto valore letterario
e poetico, un’accurata fedeltà alla forma metrica originale e una notevole precisione filologica: essa riconduce infatti, laddove possibile, al significato etimologico dei più importanti termini «tecnici» della poesia stilnovi-
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stica, che è spesso quello più attivo nell’accezione medioevale dei vocaboli (ed è utile
forse ricordare, a questo proposito, la lunga
consuetudine del poeta traduttore con la letteratura romanza del Medioevo, consolidata
fra l’altro con le traduzioni di François Villon
[1958; ristampa 2005], di Rabelais [1968] e di
Charles d’Orléans [1975]). Così – per citare
soltanto gli esempi più evidenti e importanti
– il lemma gentile – aggettivo-chiave, di solida
tradizione guinizelliana, attribuito alla donna
amata – viene reso regolarmente attraverso il
romeno nobil, con esplicito recupero del suo
significato primario relativo alla nozione di
nobiltà (cor gentile sarà dunque inim nobil ),
mentre per il termine onesto la traduzione –
demn – evidenzia un’altra virtù essenziale
dell’anima secondo la psicologia medioevale,
la dignità: con ciò, le liriche mantengono la
loro piena apparteneza all’orizzonte ideologico stilnovistico della nobiltà spirituale. Sulla
stessa linea, una categoria come quella dell’umiltà viene espressa attraverso il temine
romeno umilitate: la preferenza per il vocabolo arcaico e aulico esalta la componente
semantica legata alla devozione e alla pietas
cristiana, temperando la sovrapposizione con
gli ambiti relativi all’«avvilimento» o alla
«mortificazione», più pronunciate nel lemma
attuale e corrente umilin .
La stessa attenzione filologica al lessico e
all’architettura interna del testo caratterizza
anche la seconda «voce» della traduzione,
ovvero la parte in prosa, e ciò grazie anche all’intervento della curatrice e al suo sforzo di
restituire alla versione di Oana Busuioceanu,
peraltro di grande qualità letteraria, la precisione testuale richiesta dalla presenza dell’originale italiano a fronte. In tal senso, la curatrice ha «tradotto con maggiore esattezza alcuni termini consacrati, [...] ripristinato alcuni
cambiamenti di significato, eliminato parole
e sintagmi laddove essi non fossero presenti
nell’originale e uniformato la traduzione al
livello dei concetti fondamentali, in gran
parte legati agli attributi di Beatrice» («tradus
mai exact unii termeni consacraţi, [...] îndreptat anumite schimbări de sens, [...] eli-
minat cuvinte şi sintagme acolo unde acestea
nu se reg seau în original şi [...] uniformizat
traducerea la nivelul conceptelor fundamentale, în mare parte legate de atributele Beatricei», p. 59). La revisione, pur rispettando l’individualità della versione di Oana Busuioceanu e senza alterare il suo valore storico, ha
dunque in primo luogo il merito di aver ristabilito una fisionomia del testo dantesco più
vicina, in alcuni luoghi, a quella originaria.
Essa le ha conferito, con ciò, anche un’attualità
e una leggibilità attenta a quelle simmetrie
intra- e intertestuali così importanti per la
comprensione profonda dell’opera dantesca
nel suo complesso (e in particolare per i rapporti che legano, a distanza, la prima e l’ultima opera dantesca, il libello giovanile e il
«poema sacro»). Il lettore romeno sarà, in tal
modo, in grado di ricostruire e comprendere,
nella maggior parte dei casi anche a partire
dal solo testo tradotto, alcune delle più importanti e recenti acquisizioni della critica
dantesca, spesso basate proprio sull’individuazione di nessi intratestuali e sul riconoscimento del loro alto valore ermeneutico. Di
particolare importanza è ad esempio la precisione terminologica nella traduzione di alcuni lemmi relativi all’ambito dell’immaginazione e della visione da una parte, alla
mente e all’intelletto dall’altra: assunti da
Dante nell’accezione tecnica della gnoseologia medioevale di stampo aristotelico, essi
sono infatti la base per una corretta interpretazione della fenomenologia amorosa dispiegata nella Vita nuova nel suo significato filosofico e allegorico, poiché anche attraverso
l’articolazione delle varie funzioni dell’anima
nel fenomeno amoroso si costruisce, a livello
concettuale, il fulcro di «novità» del libello di
Dante, la «promozione ontologica» (G. Contini) della donna amata a guida spirituale e
salvifica.
Il testo dantesco della nuova edizione romena della Vita nova viene, così, riavvicinato
a quel contesto dottrinario e filosofico in cui
è nato e che solo consente una sua piena e
corretta comprensione. Di fondamentale importanza è, in tal senso, anche il commento
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al testo: sobrio e essenziale, esso è tuttavia
esauriente e, nel mettere a disposizione gli
elementi più importanti per la comprensione
del testo (grazie anche a un confronto fra le
più importanti edizioni italiane: di M. Barbi,
F. Chiappelli, A. Berardinelli, D. De Robertis,
M. Ciccuto, M. Colombo, G. Gorni, L. C.
Rossi), recepisce le più attuali acquisizioni
della critica dantesca, evidenziandole con
sinteticità e precisione. Da menzionare anzitutto che la scelta di presentare il testo secondo l’edizione critica di Michele Barbi è giustificata anche con riferimento alla necessità di
rispettare il testo di riferimento della traduzione originale del 1971; tuttavia le acquisizioni fondamentali delle edizioni più recenti,
anche sul piano testuale (ivi compresa la
nuova paragrafazione proposta da Guglielmo
Gorni nel 1996), sono accuratamente illustrate
nella Nota all’edizione o nelle note al testo.
È doveroso inoltre sottolineare l’efficacia con
cui vengono esposti e trattati alcuni snodi
fondamentali dell’innovazione ideologica introdotta da Dante attraverso la Vita nuova:
può essere citato a titolo esemplificativo, da
questo punto di vista, proprio il momento
cruciale della «svolta» dalla poesia di stampo
ancora cortese alla «poesia della loda», laddove si dimostra che «il valore assoluto non è
la donna, ma la poesia che porta lode alla
gentilissima e a lei si ispira, diventando così
un’attività assoluta e gratuita. [...] tale nuovo
amore, che non aspetta più alcuna ricompensa, coincide con la poesia stessa, e si afferma in tal modo la sua autonomia e autoreferenzialità. Dante compie un passo in avanti
rispetto ai suoi predecessori: l’identificazione
assoluta della lode dell’amore disinteressato
con la poesia; poiché l’amore distinteressato
significa caritas, dunque ragione sociale del
proprio essere intellettuale» («valoarea absolută nu mai este femeia, ci poezia care aduce
laudă preaalesei şi se inspiră din ea, devenind
astfel o activitate absolută şi gratuită. [...]
Această nou iubire, care nu mai aşteaptă nici
o recompensă, coincide cu poezia, afirmându-se astfel autonomia şi autoreferenţialitatea
acesteia. Dante face un pas înainte faţă de
predecesorii săi: identificarea absolut a laudei
iubirii dezinteresate cu poezia; deoarece iubirea dezinteresată înseamnă caritas, deci
raţiune socială a propriei fiinţe intelectuale»,
nota 118, p. 221). Sono presenti, infine, nel
commento, anche alcuni richiami puntuali
che aprono nuove e interessanti prospettive
ermeneutiche, come la citazione di Agostino
nell’annotazione relativa al «libro della memoria» (nota 1, p. 205), nel momento in cui si
rammenta che «nel pensiero cristiano il libro
della memoria è strettamente legato al libro
della vita» («în gîndirea creştină cartea memoriei este strîns legată de cartea vieţii»). In
effetti, la presenza dell’autore delle Confessioni nell’opera dantesca, e segnatamente
nella Vita nuova, sarebbe infatti meritevole
di un approfondimento critico, in relazione
non solo alla generica importanza dell’elemento mnemonico nella narrazione autobiografica, ma anche al ruolo ivi assegnato
segnatamente alla poesia nel processo di ricomposizione degli eventi biografici, attraverso la memoria, nella narrazione di una
vita, e dunque al rapporto instaurato nel prosimetro dantesco fra lirica e prosa; ricordando
che proprio Agostino aveva assimilato la «storia della vita» di una persona a una grande
canzone armoniosa (Confessioni, XI, 28).
Un rilievo particolare merita, infine, la «voce» della Prefazione firmata da Corrado Bologna, poiché essa ricostruisce con grande precisione di particolari significativi – in primo
luogo con riferimento alle numerose ed esatte
simmetrie intertestuali – lo stretto rapporto
che collega il libello al capolavoro della Commedia, mostrando come nel «poema sacro»
Dante abbia effettivamente portato a compimento la promessa giovanile, probabilmente
a quell’altezza cronologica ancora indefinita
nei suoi tratti fondamentali, di «dire» di Beatrice «quello che mai non fue detto d’alcuna».
In particolare, vi si mette in evidenza la continuità fra la profezia finale della Vita nuova
e il «ritorno» di Beatrice nel poema, il suo avvento nel XXX canto del Purgatorio, dove
Dante-personaggio la «incontra» nuovamente, a distanza di decenni dagli eventi narrati
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nel «libretto». Infatti, «Beatrice, dispărută in
Vita Nuova în «nălucirea acelui delir» şi în
«chinul atît de mare» al unei «năluciri deşarte»
a lui Dante, reapare in Purgatoriul foarte
clară, cristalină cu ochii ei de smarald, chiar
dacă e învăluită. Ba chiar, pentru a demonstra
cît sînt de contigue cele două locuri textuale
şi că legătura dintre ele este un pasaj care le
face să comunice în spatele scenei, ea îmbracă
de-a dreptul aceeaşi rochie «roşu de carmin»
(Purgatoriul, XXX, 33) cu care, cu ani în urmă,
părăsise teatrul memoriei danteşti în Viaţa
nouă» [«Beatrice, scomparsa nella Vita Nova
in una «erronea fantasia» e nel «forte smarrimento» di un «fallace ymaginare» di Dante,
riappare nel Purgatorio nitidissima, cristallina
con i suoi occhi di smeraldo, anche se velata.
Anzi, a dimostrazione di come i due luoghi
testuali siano contigui, e il loro legame sia un
passaggio che li fa comunicare dietro il palcoscenico, indossa addirittura lo stesso abito
«color di fiamma viva» (Purgatorio, XXX 33)
con cui tanti anni prima aveva lasciato il
teatro della memoria dantesca nel libello.»]
(p. 34): a conferma dell’intuizione di altri due
grandi poeti, come T. S. Eliot e J. L. Borges, i
quali ritenevano la Commedia imperniata
intorno all’evento mirabile del nuovo incontro
con Beatrice, e la Vita nuova pienamente
comprensibile soltanto alla luce di tale decisivo «ritorno». La puntualità della ricostruzione filologica rileva così pienamente la
continuità dell’opera dantesca nell’arco della
sua vita e soprattutto il suo profondo spessore
allegorico, illuminando attraverso il confronto
con il poema i significati secondi, «alti», insiti
nella narrazione autobiografica della Vita
nuova.
In conclusione, grazie alla nuova edizione
della Vita nuova di Dante la collana Biblioteca
italiana ha completato con un elemento indispensabile e di grande valore critico il panorama dei classici della letteratura italiana
messi a disposizione dei lettori romeni.
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