Vie
Storia
Le
della
Rivista di studi e ricerche
sulla storia cattolica e riformista
1
Maggio
2013
Bologna
Dal Bollettino alla Rivista
Dopo sette anni dal primo numero,
il notiziario ha cambiato struttura,
taglio e consistenza, passando da
bollettino a rivista, con una foliazione che va sulla trentina di
pagine ed una cadenza bimestrale.
Ma non solo.
Potrà
essere
letto
e
sfogliato direttamente sul nostro sito
www.leviedellastoria.weebly.com
(che è in costruzione e che sarà completato alla fine di giugno) che permetterà anche di avviare un colloquio,
un contatto interattivo tra il giornale e
i lettori: un modo per arricchire e ringiovanire la nostra informazione.
Nasce dunque un nuovo giornale.
In che senso? Il precedente notiziario era l’anticipatore delle nostre ricerche, del lavoro di studiosi che intendevano affrontare nodi
soprattutto storici dalla religione
all’urbanistica, dalla scuola all’arte,
dalla narrativa alla cultura. Anticipazioni, nel contempo, originali, prodotte e realizzate dai nostri studiosi.
E’ una linea che intendiamo continuare. Con una novità sostanziale. Non più un giornale semplicemente specializzato, bensì un giornale che vuole creare opinione, inserendo molte più voci e interviste.
Un modo per essere presenti nell’attualità, nel vivo dei problemi in una fase critica del-
la
società,
anche
bolognese.
Ma vogliamo guardare anche al panorama nazionale, ricercando le connessioni tra le due Italie ancora divise, quella del Nord e quella del Sud.
Cosa troviamo, allora, in questo primo numero?
Non può mancare una riflessione sui
nodi dell’attualità politica, della sua
moralità e del potere, della partecipazione, oltre ad un approfondimento sui temi della democrazia
digitale, ma anche su quelli cruciali
del welfare, della qualità dello studio e dell’insegnamento, delle grandi
aperture che sta mostrando ancora
la
Chiesa
bimillenaria
con il nuovo Papa Francesco.
Spazio anche al mondo della cultura, focalizzandoci sull’arte, da quella sacra a quella del Novecento.
Ancora un ritaglio sulla religione
e sui suoi grandi personaggi, ma
anche l’aggiornamento sulle nostre ricerche e iniziative che ci tengono
continuamente
impegnati.
Il
tutto
garantito
anche
da
firme di qualità e di esperienza.
La direzione
Vi e
Storia
Le
P OLIT ICA
Crisi dei partiti e dello Stato.
La lezione di Napolitano
della
Con l’incarico a Enrico Letta un governo per riparare i danni economico - sociali.
I sussulti quasi golpisti dei grillini e le contraddizioni del Partito democratico.
Un attentato a Palazzo Chigi
Rivista di studi e ricerche
sulla storia cattolica e riformista
IN D IC E
p. 2
- Un luogo a Bologna
per onorare Padre Pio
p. 21
p. 4
- L’epopea di Padre Pio
raccontata da vicino
p. 23
- Puglia: prime riforme innovative
nel wellfare
p. 6
- In rete nasce l’occhio critico
sulla vita e sui fatti
p. 25
- L’epopea del Sud a fumetti
p. 7
- Da Benedetto XVI a Francesco,
il pastore della gente
p. 8
- Il mestiere di avvocato
in una città del benessere
p. 11
- Una storia organica della
scuola per capirne le contraddizioni
p. 13
- Crisi dei partiti e dello Stato.
La lezione di Napolitano
- Integrare i territori per crescere.
Ci provano nel foggiano
- Una mano pittorica
ispirata da Padre Pio
p. 15
- Novecento. Arte tra le due
guerre in Italia
p. 17
- Roberto Pinza nuovo presidente della
Fondazione CaRisp Forlì
p. 18
- Indirizzi dei cattolici forlivesi
nel secondo Novecento
p. 19
- Periferia: un viaggio in treno
e la ragazza con il poncho
p.27
Leviedellastoria_Diretta News
40124 Bologna – Via Castellata,8/3
Reg. Tribunale di Bo n.5630 del 30/08/1988. Stanpa in prorio
Direttore Responsabile Carlo Vietti
Coordinatrice redazionale Giusy Ferro
Comitato di Indirizzo
p. Giuseppe Montesano, Federico Casrellucci,
Nicoletta Gandolfi, Antonio Rubbi
Collaboratori
Marilena Bevilacqua, Franca Macrini, Rosanna Ricci,
Antonino Russo, Giorgio Versari
Interventi di
Antonio Ciccone, Michele Crisetti,
mons. Vittorio Formenti, Carlo Macrini
Giorgio Napolitano
Carlo Vietti
Franco Marini
Il Partito democratico.
Doveva essere il partito riformista: questa la convinzione
unanime fino alle ultime elezioni. Non solo. Anche un partito
capace per il suo pragmatismo, i programmi (in particolare il
welfare, la partecipazione e i diritti) e la sua coerenza storica,
di contenere e di sconfiggere il liberismo esasperato. Un lungo
e articolato percorso - in questi anni - che metteva insieme le
culture democratiche di provenienza comunista e cattolica. E’
invece esploso di fronte al fenomeno grillino. Le culture laiciste
e massimalistiche che si erano mimetizzate dentro il Pd sono infine venute allo scoperto. Sul Carlino ad esempio, dopo l’exploit
di Grillo, una forte area di nomenclatura (che occupa i posti
del potere e del sottopotere locale) si è rivelata apertamente:
“Abbiamo votato per Grillo”. Una doppiezza di stile leninista.
Ma quanti di questi sono stati presi a calci nel sedere dal mite segretario locale Donini? Come lui ha trattato i fedifraghi romani
contro Prodi, quando un quarto dei deputati ha preferito Grillo a
Prodi (il fondatore e l’ispiratore dell’ulivo e dei democratici)? In
realtà contro Prodi c’è stata tutta l’insofferenza anche degli ex-comunisti di liberarsi dall’abbraccio soffocante del “gesuita” Prodi.
esplicita all’ora di religione; la estremizzazione della cultura
abortista e contro il diritto alla vita. Nella cultura, poi, i fondi
concessi ai progetti più effimeri e stravaganti sempre venati da
un sottofondo anticattolico e antiriformista. La spesa pubblica
incentrata ancora sul gonfiamento degli organici e delle sovvenzioni alle strutture collaterali o amiche con un ridotto sostegno
a favore delle fasce sociali più povere. Non è cambiato, dunque,
l’impianto tradizionale di un partito che favorisce strutture o
iniziative collaterali per acquisire il consenso politico ed elettorale. Un consenso che perpetua un personale eterogeneo in
virtù di una militanza politica genericamente di sinistra. Ma
c’ è un altro elemento che ha trasformato la cultura della
sinistra.
Il metodo del successo individuale ha integralmente occupato
soprattutto la militanza più giovane formata dai miti e dagli
esempi della tv berlusconiana (amoralità, mancanza di saldi
valori, individualismo esasperato, la cultura del denaro, la
concorrenza, la marginalità della fede, la disgregazione della
famiglia).
La natura del Partito.
Qual è la riflessione necessaria su questo Partito democratico?
Intanto il nodo del potere, che consente ed ha consentito di
sommare le aspirazioni più disparate, ma soprattutto di celare
gli antichi estremisti: che ogni tanto rispuntano. Pensiamo ad
esempio alla rincorsa ideologica di NichiVendola e alla sua
idea di sinistra astratta (sempre minoritaria e sconfitta dalla
storia: vedi il Che Ingroia, il dipietrismo, etc.); alla polemica
anticattolica sempre latente: il caso del referendum (a Bologna)
contro il sostegno pubblico alle scuole cattoliche; l’ ostilità
Un nuovo partito riformista. Mentre la crisi attanaglia il paese,
non è possibile dilettarsi con internet o pensare di costruire
una nuova democrazia basata sul digitale. Quando è nata la
radio, si pensava di essere tutti assorbiti dalle onde elettromagnetiche? Oggi il nodo non è quello di concentrarsi sugli
strumenti tecnologici, bensì sui problemi concreti.
Ecco lo spartiacque nel campo politico. Abbiamo raccontato
la storia di un riformista possibile (bolognese) Armando Sarti.
La sua lezione diventa attuale non solo per il metodo, ma per
le cose concrete da fare. Con le recenti vicende elettorali e la
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scelta del (nuovo) capo dello stato è esploso il caso del Partito democratico, un partito, un aggregato (una consorteria?
ormai) nel quale convivono troppi partiti. Qual è il fine del
progetto riformista. Partito di governo? Non riesce ad uscire
dal dualismo lotta - governo. Di qui la sua inaffidabilità. Ma
molto dipende anche dalla qualità, dal profilo dei dirigenti ai
quali manca una cultura di governo, forse perché è un partito
troppo abituato a raccogliere tutti. Non c’è spessore di governo e neppure visione e vocazione nazionale. Eppure la
lezione dell’antico comunista Napolitano e della sua marcia verso l’essere statista avrebbe dovuto essere chiara!
digitale. Il sistema comunicativo si sta orientando verso
l’informatizzazione Ma non può mancare la partecipazione
diretta, personale. Almeno il 60 - 70 % della popolazione può
rimanere esclusa per scelte personali e culturali, per ragioni
economiche, per formazione, etc. Il mezzo non può diventare
l’ostacolo, la barriera alla partecipazione. Già negli anni Sessanta i rivoluzionari contrapponevano l’assemblea diretta al
voto, come oggi la comunicazione digitale a quella personale,
al voto. Anche questa è una prevaricazione antidemocratica.
Il presidente Napolitano. Un antico riformista di matrice comunista. La sua storia ne testimonia la grande concezione
democratica, il rispetto delle regole del confronto e della dialettica democratica. Ed anche il senso profondo dello Stato,
una concezione super partes che ha dimostrato nonostante
le sue antiche provenienze. Un ruolo che sta facendo crescere
l’Italia e la sua democrazia, seguendo le tendenze (ormai
prevalenti) dell’elettorato verso un nuovo assetto istituzionale
democratico, dopo la fine della guerra fredda e il superamento
delle divisioni tra i vecchi blocchi ideologici. Napolitano ha rivalutato la politica, la nobiltà della politica sconquassata dagli
odi ideologici e di potere, dai personalismi. Sulla sua figura si
sono avventati anche mass media come la Repubblica e il Fatto
quotidiano continuando la loro aspirazione ad essere giornali
- partiti. Un presidente presidenziale? Un presidente che ha
colmato il vuoto dei partiti politici e la loro incapacità ad assumersi responsabilità di governo. Un prefigurazione di quello
che potrebbe essere anche il nuovo futuro assetto istituzionale?
Il suo discorso alla Camera, dunque, un intervento da perfetto statista, una figura che dovrebbe ricevere il Nobel per la
democrazia. E’ l’epilogo di un riformista che è passato attraverso la guerra fredda e che ha visto il superamento della contrapposizione ideologica tra gli antichi blocchi politici mondiali.
Quale classe dirigente. Il nodo riguarda tutti i partiti, il loro
trasformarsi in forme di consorterie, prive di spinta ideale e
politica per concentrarsi sempre più sulla mera gestione del potere. C’ è poi un assurdo contrasto tra giovani e anziani spesso
mascherato da un conflitto politico per l’occupazione del potere
ed anche dalla presenza sul mercato di larghi strati di giovani,
precari e disoccupati, frutto e nati dalla singolare concezione
che l’acculturazione (l’università di massa) fosse una scelta per
occupare i giovani, per protrarre il loro status provvisorio, senza preoccuparsi di creare le premesse per una vera occupazione:
cioè nuovi modelli economici, nuove opportunità di lavoro.
Il fenomeno Grillo. C’è una parte consistente (25%) di elettorato che lo ha scelto per l’inconcludenza della politica e
che ha abbandonato i partiti tradizionali. Ma c’è anche la
crescita, l’ingrossamento di un movimento che sta assumendo caratteri oggettivamente eversivi. Anche nella terminologia e nel linguaggio (vaffanculo, bastardi, puttanieri, etc.)
che demonizza e dileggia gli avversari e le stesse istituzioni.
Poi c’ è l’ideologia e il comportamento del grillismo: “Gli altri devono votare le nostre proposte, i nostri programmi”.
Una visione totalitaria che ricorda precedenti storici degli
anni Venti e Trenta in Italia e Germania (ricordiamo anche le
benevole parole della cittadina Lombardi nei confronti delle
cose buone di Mussolini). C’ è anche la gestione interna del
movimento: richiama la letteratura di Orwell e i suoi manichini di uno stato totalitario oggi controllati da un grande
fratello digitale che diventa l’ossessione degli iscritti e in particolare dei deputati. Non possono parlare autonomamente
con gli altri, possono comunicare (e non sempre) solo le proprie proposte, non c’è discussione con gli altri partiti o con i
giornalisti. Una visione completamente al di fuori non solo
della storia democratica, ma anche della filosofia umana di
vita: il dialogo, il confronto. Il guru Grillo pensa, sulla tastiera, di dirigere tutti gli altri, di giudicare i comportamenti
e di irrigimentare i suoi eletti forse, nascondendo, occultando
anche i termini dell’eventuale dibattito interno. C’ è dunque
una violenza totalitaria nei confronti di quelli che sono
gli stessi aderenti al movimento. Un movimento pilotato,
eterodiretto: cosa c’entra con la democrazia, con la Costituzione? Infine qualche dubbio sulle intenzioni vere di Grillo:
per chi opera, in nome di quali interessi? I suoi siti segreti
(economici) nei paradisi fiscali non sono stati ancora svelati. Agisce in nome e per conto di qualche potere?. Forse il
mondo irreale di Ian Fleming (l’ideatore di James Bond)
può offrirci qualche spunto curioso interessante, verosimile.
Ricordate la Spectre e i suoi tentacoli finanziari - criminali?
Direzione democratica. Franchi tiratori, rivalità, personalismi (la denuncia del sen. Franco Marini o di Dario Franceschini). Assemblee fasulle e riunioni come terapie di gruppo:
sono sotto gli occhi di tutti grazie anche alle dirette streaming. Riunione della direzione nazionale del Partito, simile
alle riunioni dei bolscevichi sul treno per Pietroburgo (nel
1917). Gli interventi oggi dei leader nel tradizionale linguaggio cifrato con i distingui capziosi: obbediamo a Napolitano,
ma non ci coinvolgiamo con il Pdl. Cronaca. La giovane Serracchiani che chiede spiegazioni (?): Non ho capito le scelte
e i voti su Marini e Prodi. Poi approvazione a larghissima
maggioranza dell’ordine del giorni pro Napolitano, con voto
frazionato. Poi fuori assemblea le ingenuità dei fedelissimi:
la portavoce di Bersani (Alessandra Moretti, la sofisticated
lady presa in giro sul Corriere da Aldo Grasso) con la sua
candida cadenza veneta: “Ma io credevo che anche Rodotà
fosse un compagno. C’e stato un difetto di comunicazione”.
Governo. Crozza non è mai piaciuto, ma questa volta ha fatto
ridere tutti sui torcicolli politici del Partito democratico, in particolare sull ’onesto emiliano Bersani. Ora vedremo come Enrico Letta riuscirà a dare una prospettiva nuova, all’ Italia. In pochi giorni ha costruito un
governo qualificato con una larga presenza di giovani e di
donne. Poi un attentato a Palazzo Chigi. Feriti due carabinieri. L’attentatore ha dichiarato: “Volevo colpire i politici”
Ne parleremo la prossima volta.
La democrazia. E’ vero siamo nell’ era della democrazia
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P OLIT ICA LOCALE
Integrare i territori per crescere.
Ci provano nel foggiano
Una forte domanda di partecipazione in tutta la Capitanata.
Un modello per l’intera regione. La centralità di San Giovani Rotondo.
I giovani e il fenomeno grillino
Carlo Macrini
Carlo Macrini, dirigente del Pd a San Giovanni Rotondo, ha ricoperto l’incarico di assessore alla cultura nell’ultima giunta di centro - sinistra. Animatore
di progetti per dare un respiro ampio alla città di San
Pio, impegnandosi anche per il gemellaggio tra Bologna e la sua città. In questo articolo cerca di delineare
lo scenario della politica locale in un’area specifica e
caratteristica della Puglia, la Capitanata, rivendicando la necessità di una integrazione tra territori per
assicurarne lo sviluppo con una serie di osservazioni
utili ad aprire anche una riflessione sull’avanzata
dei grillini che hanno colto la sempre più forte
richiesta di partecipazione dei giovani e non solo.
il sistema in atto era ormai arrivato al limite, se a
questo aggiungiamo la capacità istrionica del leader
Grillo, l’ossessione comunicativa dei media rispetto
alla novità, la stanchezza dei cittadini verso il governo Monti che avrebbe dovuto offrire risposte
alla crisi e ha di fatto depauperato la capacità di
spesa e di vita, il risultato – pur superiore a tutte le
ipotesi ed aspettative – non poteva essere diverso.
Come effetto domino il risultato positivo del M5S ha
avuto una ricaduta anche a livello regionale quasi
a voler punire i partiti del centrosinistra per il solo
fatto di governare la regione. Oggi il M5S è divenuto
una realtà concreta e presente anche sul territorio locale con una importante presenza di giovani
che hanno visto nella novità della partecipazione
diretta la possibilità di esprimere liberamente il
proprio pensiero ed il dissenso verso una classe
politica che, nella maggior parte dei casi, non è in
grado di rappresentare nuove istanze ed è ancorata
ad architetture organizzative e rituali molto spesso
non in linea con la necessaria concretezza dei fatti.
La situazione politica paga fortemente anche la
crisi economica che non ha risparmiato neanche
la nostra città che presenta ormai una forte riduzione delle presenze di pellegrini e la difficile situazione della Casa Sollievo della Sofferenza che,
pur essendo una struttura sanitaria tra le più importanti ed all’avanguardia del territorio nazionale,
attraversa un momento di crisi dovuta anche al
mancato riconoscimento del ripiano delle perdite
Devo dire che ho avuto qualche difficoltà nel rispondere ad una serie di domande alle quali, dall’esisto
delle elezioni politiche, sto cercando di trovare un
nesso logico.
Il successo del M5S è stato il risultato più eclatante
nella storia degli ultimi venti anni, persino la Lega
che fu la novità nelle politiche del 1992 ottenne
l’ 8,6 % , un dato clamoroso per l’epoca divenendo
un importante riferimento nel panorama politico
italiano. Allora eravamo in piena tangentopoli ed il risultato nacque anche da quella vicenda oltre alla capacità di radicamento sul territorio dei vari movimenti
autonomisti del nord che avevano dato vita alla Lega.
In questa fase elettorale, dopo il primo segnale alle
Amministrative, il M5S ha goduto della incapacità di
gran parte della classe politica di rendersi conto che
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sostenute nell’erogazione delle prestazioni sanitarie e dell’adeguamento tariffario non automatico.
In questo contesto non esistono ricette semplici ed
immediate ma solamente la possibilità di rendere
concreto il concetto di fare sistema all’interno di un
territorio più ampio che nello specifico è il Gargano
e la Capitanata; da troppo tempo si parla di sistema
economico integrato e di sviluppo dell’area regionale
ma poco o niente si è realmente costruito in questi
ultimi anni. La Capitanata sconta una lentezza
culturale rispetto alle altre aree regionali – barese
e leccese – dove dinamiche di collaborazione tra
istituzioni, enti e privati sono già in atto ed hanno
offerto risultati importanti sia per la riconoscibilità
del territorio che nella gestione dell’offerta dei servizi.
Il nostro territorio provinciale ha inoltre grave difficoltà di collegamento tra le varie zone, sia per la
conformazione geografica sia per una carenza infrastrutturale ormai cronica; la mancanza di un
aeroporto funzionale in Capitanata ha limitato
i flussi turistici e di fatto consentito di spostarli
verso il sud della Puglia favorendo le zone di Bari
e Lecce. Anche in presenza di queste enormi difficoltà il territorio può e deve avere la capacità di
offrire accoglienza attraverso le proprie esperienze positive e attraverso una rete di proposte che
non possono essere in competizione tra loro ma
elementi sinergici di una più ampia offerta del vivere
del territorio. In questo ambito anche le Amministrazioni comunali non sono pienamente integrate tra loro ma vigono ancora logiche di campanile che rallentano spesso ogni possibile iniziativa.
Allora bisogna far comprendere a tutti che la
soluzione delle problematiche di una singola realtà non sono più risolvibili attraverso i vecchi modelli economici, bensì è necessario riconoscere agli
altri, i vicini, il ruolo di condivisione delle scelte
che devono divenire scelte di ambito territoriale.
Proprio in questo ultimo periodo alcune importanti novità si stanno affacciando sul territorio provinciale: la presentazione del progetto
GuidiAmo la Capitanata
un servizio integrato
di guida del territorio che coordina le 194 guide
abilitate per la Provincia di Foggia ideato dalla
cooperativa sociale
Sportservizitalia,
patrocinato dalla Provincia di Foggia ed in collaborazione con le Proloco e l’associazione Fare Ambiente.
Attraverso l’UNPLI (unione nazionale Proloco
d’Italia) la realizzazione dei distretti di zona che vedono le Proloco costruire un soggetto unico che possa rappresentare le istanze delle aree rappresentate e mettere in atto quel concetto del fare sistema
che solo fino al recente passato rappresentava una
pura utopia; attraverso i distretti si potranno mettere in moto meccanismi di coinvolgimento delle
Istituzioni come Università, Ente Parco, Comuni
delle aree interessate e costruire una nuova identità territoriale attraverso le singole specificità; attraverso le Proloco e le associazioni che operano in
collaborazione sarà possibile stimolare la partecipazione degli enti comunali e costruire la rete necessaria. Molto è in movimento ed a questo non potrà
mancare la capacità di relazionarsi con le aree geografiche d’Italia da sempre vicine al nostro territorio
per costruire importanti momenti di condivisone e
progettare insieme nuove opportunità di relazione.
SU D IT ALIA
Puglia: prime riforme
innovative nel welfare
Ma a San Giovanni Rotondo prevale l’immobilismo politico e programmatico.
I giovani scappano e il turismo religioso langue. Per governare la crisi bisogna
utilizzare vere professionalità e non improvvisarsi tali
Michele Crisetti
La Puglia sembrava una regione felice, ordinata, grazie al governo dell’energico governatore Vendola. Invece lo scenario è drasticamente cambiato. Quali le
ragioni viste dal di dentro della regione?
mi 15 anni si sono succedute 5 amministrazioni di
diverso colore politico, 3 di centrosinistra e due di
centrodestra. Sono cambiate le “sigle” politiche ma i metodi di governo sono stati del tutto
simili. Si è guardato troppo al presente, al vicino, ad operazioni di corto respiro. Solo che sommando il tutto si è compromesso anche il futuro.
La regione Puglia, negli ultimi anni, ha investito
molto su riforme innovative del welfare, non solo
in termini economici, ma soprattutto in moderne
forme di gestione dei bisogni che sapessero coniugare allocazione efficienti delle risorse e livelli di
prestazioni di qualità. Quindi, grande merito va riconosciuto a chi ha saputo guidare questi processi.
Però anche noi abbiamo dovuto scontare la negativa congiuntura economica che si è abbattuta su un territorio che soffre da decenni di mancata programmazione di infrastrutture e modelli di sviluppo (vedi caso Ilva) capaci di essere al
passo con i tempi, si aggiunga che non ancora si è
inciso in modo netto sul sistema clientelare (vedi
scandalo sanità) che genera diffusa corruzione,
vero e pesantissimo freno a qualsiasi ragionato e
serio sviluppo culturale prima che economico.
La crisi economica continua a coinvolgere anche la
città del Santo. Cosa viene fatto per l’economia locale ma anche per rinvigorire lo spazio del Santo
fuori dai confini locali?
Mi verrebbe da dire nulla se solo si avesse piena
coscienza della situazione. Ci si affida ad iniziative estemporanee sperando in un ritorno positivo
con l’unico effetto di essere citati in qualche articolo giornalistico di testate locali. Non manca la
buona volontà, manca l’utilizzo di professionalità,
che pure ci sono, necessarie per governare processi complessi, come lo sviluppo turistico-religioso.
In buona sostanza una volta eletti a Palazzo San
Francesco (sede del comune) “miracolosamente” si
diventa esperti di tutto. Occorre fare programmi articolati con un’ opera di interconnessione tra tutti i
settori del governo cittadino e in una visione aperta
a tutti e non autoreferenziale. Anche perché il tempo è scaduto e bisogna attrezzarsi per l’emergenza.
Il turismo non vive di spontaneismo.
Anche la tranquillità di San Giovanni è mutata. Il
vento della contestazione ha raggiunto la città di Padre Pio, dove c’è il centro destra? Cosa è successo?
Per San Giovanni Rotondo non parlerei di contestazione quanto piuttosto di affannosa e spesso
inconcludente ricerca di stabilità politica. Negli ulti-
5
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Parliamo dei giovani. Com’è la situazione? Cosa fa
la pubblica amministrazione, compreso l’ospedale,
da sempre il polo dell’economia locale?
L’epopea del Sud
a fumetti
Una donna al centro della
storia che rilegge la discussa
questione meridionale
C’è molto fermento, abbiamo talenti nello sport, nella musica, nella fotografia, nella pittura, nelle professioni, nell’imprenditoria. Alcuni di questi hanno
anche risonanza nazionale. Spesso si tratta di ragazzi che hanno studiato fuori con risultati di assoluta eccellenza. Sono veramente una speranza. La
pubblica amministrazione si accorge di loro “dopo”
non “durante” con qualche eccezione come i Laboratori Urbani Artefacendo nati grazie al progetto
regionale “Bollenti spiriti” dove si tengono attività
musicali, di artigianato e di produzione di materiali
multimediali, interamente gestiti da giovani e con
ottimi riscontri in termini di iniziative e successo.
Anche il volontariato vede impegnati molti giovani. Insomma sono fiducioso, sapranno fare meglio
di noi. L’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”
ha compiti diversi da una pubblica amministrazione nel senso che il suo settore è specifico, però
si mostrato sempre molto attento ai giovani, sia
pure in un contesto che è particolare, molti, infatti,
sono gli studenti che partecipano a stages in modalità di alternanza scuola-lavoro presso l’ospedale.
Il Sud a fumetti per raccontare l’epopea del Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia: un tentativo anche
di rileggere la nostra storia nazionale, facendo
parlare i protagonisti di questo tempo, anche
per capire le radici e le ragioni delle attuali contraddizioni e del divario tra le due parti d’Italia.
Un’idea nata quando cominciammo a studiare i
rapporti tra il Nord e il Sud e le vicende storiche
legate alla saga di Padre Pio e dei bolognesi.
Il cinema ha dedicato qualche film alle vicende
in questione, come il Brigante di Tacca di Lupo
(con Amedeo Nazzari) ed ambientato nel Gargano.
La storiografia si è a lungo esercitata a studiare questo intreccio con un approccio troppo “nordista”.
Ora noi abbiamo ideato una figura femminile,
simbolo del riscatto del Sud. Una donna, perchè le donne sono state grandemente protagoniste della storia del Sud, a cominciare nel
dominio borbonico e poi all’epoca della Legge Pica (nell’Italia unita), una versione odierna della legge antiterrorismo (del Novecento).
Non crede che ci voglia un grande programma di
rilancio della vocazione religiosa di San Giovanni,
con l’apporto di tutte le forze politiche, culturali sociali? Perché non fa una proposta in tal senso.
Alla prima parte della domanda rispondo, molto sinteticamente, si. Questa città ha bisogno di
riscoprire il suo essere comunità, lo sviluppo conosciuto in pochissimo tempo ha bisogno di essere
ricondotto verso una programmazione più razionale e adatta ai tempi. Contemporaneamente non
va persa l’identità che San Pio ha indelebilmente
dato a questo territorio. Si viene a San Giovanni
essenzialmente per pregare, intorno a questa importante realtà, per milioni di persone, bisogna
costruire tutta una serie di spazi, eventi e servizi
coerenti con il messaggio di San Pio. Se si perde
di vista questo elemento centrale, come pure in
parte succede, abbiamo perso il nostro essere riconosciuti e il nostro essere unici grazie al Santo e
alle nostre radici, che non significa, va da sé, non
essere al passo con i tempi.
Si è scelto il disegno perchè consente di rendere
più immediata e plastica la storia che raccontiamo, ma anche di personalizzare e di cogliere
sfumature e situazioni che vogliamo narrare.
Il Sud a fumetti è un’idea completamente nuova. Quindi a parte gli ambienti, le figure, la
storia vogliamo raccontarla tutta noi. E’ un lavoro originale, un pezzo di letteratura storica raccontata col segno del disegno. Ed importante sarà
anche l’artista che già da tempo lavora con noi.
La protagonista è una donna perchè vogliamo recuperare il ruolo centrale svolto dalle
donne nella storia del Sud. Non è una soluzione di genere per rincorrere la moda. E’
una scelta che si rifà alla storia vera del Sud.
Non abbiamo una tesi precostituita. Vogliamo
raccontare la vera storia del Sud, del predominio del Nord, della arretratezza del Sud ed
anche della sua grande civiltà. Una storia resa
emblematica – nel fumetto - attraverso l’esempio
e la guida di una giovane donna che scopre i
mali, i ritardi, i soprusi nel Sud. Abbiamo discusso a lungo ed abbiamo steso la traccia
della storia. Ora stiamo cercando di precisare
i personaggi, l’ambientazione, i particolari con
grande fedeltà ai tempi e al momento. Un lavoro
impegnativo ma, anche piacevole, avvincente.
Stiamo discutendo come divulgarlo. Sicuramente questa è una storia che riguarda
tutti,
percìò
crediamo
di
raccogliere
contributi,
suggerimenti,
e
dei
sostenitori. Un lavoro difficile se si vuole un lavoro
di grande prestigio. Giusy Ferro
7
AT T U ALIT A’
Da Benedetto XVI a
Francesco, il pastore della gente
Una svolta epocale (con i due papi). Duemila anni di storia, ma la Chiesa sa sempre rinnovarsi e in modo formidabile. L’elezione di Papa Francesco delude tutte
le previsioni e spariglia gli schemi della storia secolare della Chiesa
Benedetto XVI e Papa Francesco
Mons. Vittorio Formenti
invece ricordano le parole che un Vescovo tedesco,
oggi Cardinale Karl Lehmann, aveva pronunciato
in un’intervista poco dopo l’inizio del pontificato,
affermando che Papa Ratzinger ci avrebbe abituato
alle sorprese tra le quali, a suo dire, non sarebbe
mancata quella delle sue possibili dimissioni in
caso di inadeguatezza fisica al peso dell’incarico.
Tutti noi facciamo fatica ad immaginare la rottura della tradizione ultramillenaria dei papi eletti
a vita, che ha avuto pochissime eccezioni, peraltro non paragonabili con la situazione della Chiesa di oggi, ma il Codice di Diritto Canonico aveva
già previsto tale possibilità. Chi ha vissuto accanto al Papa emerito, ricorda bene il suo incedere
stanco degli ultimi tempi con l’ausilio di un bastoncino e la magrezza del suo volto scavato dalla fatica. Dunque non si deve affatto leggere tale
decisione come volontà di rottura né, tanto meno,
come scelta “divina” per scuotere la Chiesa, bensì
come legittima decisione di lasciare la guida della barca di Pietro a forze più fresche e rinnovate.
Vittorio Formenti, monsignore di curia (addetto alla
pubblicazione dell’Annuario pontificio), con un ricco
retroterra in Lombardia di cui conserva la grande
praticità e l’attivismo, ci offre una riflessione sulle
vicende che hanno portato alle dimissioni di Papa
Ratzinger e alla elezione del nuovo Papa Francesco.
A Mons. Formenti abbiamo posto una serie di domande per riflettere sul nuovo corso della Chiesa dei
poveri prefigurata da Papa Francesco. In appendice
presentiamo una breve scheda del recente libro di
Massimo Franco che offre una panoramica ragionata
sulle vicende che hanno sottinteso l’elezione del nuovo Papa. Una radiografia molto accurata che offre il
respiro più ampio nel quale si colloca l’esprit della
Chiesa romana. Un contributo prezioso e ragionato
che cerca di collocare e di leggere la Chiesa nella
crisi dell’Italia e dell’Occidente.
Una sua riflessione, come uomo di fede e come membro della Chiesa, sulle dimissioni del Papa. Sono un
atto di razionale “rottura” nella Chiesa moderna e/o
una scelta”divina” per scuotere e rilanciare la Chiesa
stessa?
Le dimissioni del Papa, dentro la Chiesa struttura,
come sono state vissute e interpretate? Il sentire che
lei ha potuto cogliere direttamente, ma anche la sua
opinione.
Molti - troppi - tuttologi, opinionisti, gente comune,
giornalisti sui media di tutto il mondo hanno inteso
formulare dietrologie su una decisione che Papa
Benedetto XVI aveva preso da tempo, dopo averne
parlato come possibile opzione nel libro-intervista
con Peter Seewald “Luce del Mondo” nel 2010. Pochi
Se vogliamo ipotizzare un segno premonitore alla
decisione, dovremmo tornare alle immagini di Papa
Benedetto il quale, il 4 luglio 2009 deponeva il pal-
8
dimostrato di essere ancora una volta la protagonista mondiale per interpretare anche le aspirazioni
moderne dell’umanità, dei suoi valori. Ma riconferma
anche il suo predominio millenario? Cosa ne pensa?
lio - uno dei segni della sua carica di Pontefice
ricevuto al momento dell’elezione- sulla tomba di
S. Celestino V a Sulmona, senza peraltro lasciarci influenzare dall’espressione dantesca relativa al
“gran rifiuto”. Certo, tutti avremmo voluto che
Benedetto, dopo un pontificato tutto in salita, dopo
avere raccolto la difficile eredità del Beato Giovanni
Paolo II, dopo avere affrontato con coraggio temi
e decisioni che hanno profondamente inciso nel
processo di pulizia della “sporcizia della Chiesa”,
portasse a termine altre iniziative, come la riforma della Curia Romana auspicata da numerosi
cardinali. Ma alle forze umane di una persona,
anche se Papa, non si può chiedere l’impossibile.
Lo spettacolo che ci viene quotidianamente offerto dalla prassi dei detentori di un incarico civile, politico o legislativo, raramente ci offre
esempi di rinuncia spontanea al potere come ha
fatto Benedetto. Certo, la Chiesa è anche potere,
se rapportata alle sue istituzioni e strutture culturali, assistenziali, organizzative. Ma tutti dobbiamo riconoscere che tale potere rappresenta
un servizio, con i relativi oneri connessi. Il Vangelo ci dice: “I poveri li avrete sempre con voi”. E,
nel mondo, quale altra realtà organizzata oltre la
Chiesa può dirsi all’avanguardia nell’offrire ai poveri le sue strutture, il valore e l’impegno di un volontariato generoso e disinteressato che si ispira
al Vangelo, le forze di quattrocentoquindicimila
sacerdoti, di oltre settecentomila religiose, di quarantamila diaconi permanenti, di oltre tre milioni
di operatori pastorali impegnati in ben centoventitremila istituzioni di solidarietà e beneficenza?
Il gesto del Papa propone una Chiesa che, al di là della sua natura religiosa, divina, si vuole immergere in
una evangelizzazione, sempre più umana, concreta?
Il tema dell’evangelizzazione è stato costantemente
presente nel magistero di Benedetto XVI, ed ha
fatto da sfondo alle sue tre lettere encicliche, ma
soprattutto è stato trattato nei discorsi dei suoi
ventiquattro defatiganti viaggi pastorali. Benedetto
ha attestato con una caratterizzante espressione di
gioia che la Chiesa, sia pure mediante una crescita
dai ritmi lenti, continua a rappresentare il sale della terra, ma ha altresì preso atto che le cifre riguardanti le chiese della prima evangelizzazione, quelle
grosso modo legate ai paesi occidentali, denotano
uno scoraggiante processo di secolarizzazione. Per
questo ci ha regalato due importanti iniziative.
Una strutturale ed operativa: il nuovo “Pontificio
Consiglio per la Nuova Evangelizzazione”, l’altra,
quale stimolo alla riflessione e alla preghiera,
l’Anno della Fede, con la Lettera Apostolica “Porta
Fidei” nella quale ci ha indicato la strada maestra
da percorrere per riscoprire la bellezza del credere.
La storia terrena della Chiesa, dalla sua nascita, si
è intrecciata con le vicende storiche e le categorie
della cultura occidentale. Come, secondo lei, tutto il
mondo occidentale vive la scelta delle dimissioni del
Papa, e come ne sarà influenzato?
Il mondo occidentale si è affidato alla logica del profitto, di un benessere e di un consumismo fine a se
stessi. Nella cultura corrente, dopo l’Illuminismo,
ha finito per prevalere il primato di una ragione
nemica della fede e sovente Dio è stato messo alla
porta e relegato in ammuffite sagrestie. Né possiamo scordare i danni causati da due nefasti totalitarismi del secolo scorso, quando, in nome del
prevalere di leggi razziali o di uno statalismo assoluto senza Dio due tiranni sanguinari hanno
provocato macerie, anche materiali, ma soprattutto milioni di vittime innocenti. Ora ci accorgiamo,
anche solo vivendo la crisi mondiale dell’economia,
che tocca pure necessità primarie delle nostre
famiglie, l’attualità delle parole evangeliche “non
di solo pane vive l’uomo”. In questo senso dobbiamo ricordare Benedetto come un vero protagonista del pensiero alto e della coscienza retta, con
l’auspicio che il suo gesto coraggioso di dimettersi
aiuti tutti, credenti e non, a far riflettere su un
domani nel quale Dio continui ad avere pieno diritto di cittadinanza, nel quale la logica dell’essere
abbia la prevalenza su quella dell’avere e i principi dell’etica mettano al centro l’uomo e la sua
dignità e non i surrogati di un liberismo sfrenato.
Quindi gli incidenti terreni della Chiesa (dalla pedofilia allo Ior) sono stati per il Papa, sottile e agguerrito teologo, una specie di pretesto per rifondare la
Chiesa e le sue basi costitutive?
Non parlerei di “incidenti”, ma di dolorosa constatazione della natura teandrica della Chiesa, il
cui volto splendente è quello di Cristo che l’ha fondata, ma le cui membra sono inficiate dalla dimensione del peccato, anche gravissimo, che ne
deturpa l’intero corpo. Si tratta di peccati peraltro
enfatizzati dagli operatori dei media, ai quali può
fare comodo puntare il dito verso un capro espiatorio - in questo caso la Chiesa stessa - senza pensare che una mostruosità come la pedofilia, oppure
l’uso del denaro secondo una logica di mero profitto, hanno discepoli in tutte le categorie dell’umano.
Da questo punto di vista Benedetto non si è mai
nascosto dietro le parole, affrontando con un coraggio indomito situazioni che hanno comportato
anche incisioni dolorose nel corpo della Chiesa.
La Chiesa, cioè, in questo modo si candida a guidare
anche il futuro delle società terrene e le sue fondamenta cristiane spesso affievolite nell’ultimo secolo?
La Chiesa, con la scelta delle dimissioni papali, ha
La Chiesa grida il suo diritto di essere presente nel-
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la società non in forza dell’esercizio di un potere,
ma in forza della missione affidatale da Cristo: “Andate in tutto il mondo…” E ci va nonostante la sua missione sia contrastata, nonostante il numero dei martiri continui a crescere,
forte dell’imperativo “non abbiate paura” e della
certezza che “le forze del male non prevarranno”.
viaggi pastorali del Beato Giovanni Paolo II e di
Benedetto XVI, soffre tuttavia ancora di gravi problemi sociali che necessitano di una rinnovata at
tenzione ai problemi dei poveri delle favelas, degli emarginati, dei tanti “meninos da rua”. Un
Papa Latino-Americano rappresenta sicuramente
la speranza di una nuova vitalità di iniziative per
lo sviluppo e la crescita umana e cristiana
di tali Comunità.
C’è quindi un rilancio
della spiritualità per
ridurre il materialismo
anche tecnologico che
assedia la religione, la
società umana e i singoli individui?
Uno stile nuovo, quello
di Papa Francesco, emblematico anche nel
nome e nella figura
della storia della Chiesa. Come sarà vissuto
questo stile immediato,
diretto, proprio dentro
la Chiesa istituzione, a
Roma?
Formuliamolo come
auspicio
e
affidiamolo, anche con
la nostra preghiera,
all’impegno del nuovo
Papa, al quale auguriamo di saper parlare al mondo con il
linguaggio di Dio, non
disgiunto dalla capacità di comunicare
con un sapiente linguaggio umano portatore di speranza
e comprensibile da
tutte
le
persone.
Papa Francesco, fin dal
momento dell’elezione,
ha sparigliato schemi
rituali e comportamentali legati alla storia
secolare della Chiesa,
ma ha subito
fatto
capire la sostanza del
suo annuncio: i po.
veri innanzi tutto rappresentano per lui la
continuità di un impegno pastorale portato avanti come Arcivescovo a Buenos
Aires con l’essenzialità
degli strumenti evangelici nell’annuncio del
regno: “andate senza
bastone e senza bisaccia”. Ora lo attendono
le sfide della nuova
evangelizzazione
già
enucleate dal predecessore Benedetto. Le
novità del suo stile di
vita vanno di pari passo con le parole che, giorno
dopo giorno, lasciano trasparire la sua capacità
comunicativa, semplice, essenziale, comprensibile da tutti. Colgo, fra le tante, una sua provocazione lanciata ai giovani “Non lasciatevi rubare
la speranza!”. In un mondo dominato dalla logica del profitto, del potere politico ed economico, dalla presenza ancora di tante armi di distruzione di massa, ci sentiamo tutti, giovani e anziani, destinatari di quel messaggio. Che tuttavia,
esige il nostro apporto, fatto di preghiera per Francesco, Vescovo di Roma, dotato di un solo potere:
quello del servizio. Auguri, Padre Santo Francesco!
Il Conclave si è concluso rapidamente con
l’elezione di un nuovo
Papa che testimonia
l’attenzione della Chiesa ai problemi cruciali
del mondo odierno,
come la povertà, le sofferenze, gli ultimi. Una
Chiesa quasi come un
faro per l’umanità e i
suoi problemi anche
concreti, quotidiani?
Una volta ancora il
credente legge l’elezione di un nuovo Papa con gli
occhi della fede, e conclude che i criteri di scelta
dello Spirito Santo non corrispondono con quelli
dei giornalisti. E, tuttavia, la scelta di un Pontefice
scelto dai Cardinali “ai confini del mondo” risponde
ad una logica dell’attuale distribuzione geografica
della Chiesa. L’America conta la presenza di circa
la metà dei cattolici nel mondo, per cui era prevedibile che la scelta del nuovo Pastore potesse essere
orientata a premiare un continente ove le comunità
cristiane sono presenti da oltre cinque secoli ed organizzate in riferimento ad una fede radicata e vissuta. La scelta dell’America Latina, meta di vari
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I L P E R SO NA G G I O
Il mestiere di avvocato
in una città del benessere
A colloquio con Guido Clausi Schettini.
La lezione degli avvocati Alberto Zoboli e Filippo Sgubbi.
Dal satanismo al caso Delbono: l’intensa attività di un avvocato vincente
Devo dire che la clientela dell’avvocato penalista è
abbastanza eterogenea. Una frase scherzosa in uso
tra colleghi lo accosta, infatti, alla donna di malaffare che va con tutti e, in genere, si fa pagare in anticipo. Battute a parte, ritengo che tutti i clienti ed
i loro casi siano unici e singolari e, in tal modo, mi
approccio agli stessi. E’ indispensabile ascoltare le
persone ed usare un po’ di psicologia, anche al fine
di comprendere come tutelarle nel modo migliore.
della riviera romagnola per accertare chi aveva dipinto un quadro di contenuto esoterico, che aveva
un notevole rilievo processuale. In ogni caso, la
preparazione del difensore gioca un ruolo decisivo,
anche per il rapporto che, grazie alla stessa, può instaurarsi con il Pubblico Ministero e con il Giudice.
Bologna è una piazza adeguata per emergere nel
suo campo, o meglio per adeguare e affinare la
professione? Qual è il livello medio degli avvocati?
Ci riveli se lei ha una tecnica, una metodologia particolare nell’affrontare casi e processi. Ci faccia eventualmente un esempio.
Ritengo che il livello medio degli avvocati bolognesi sia elevato. Per me il confronto dà certamente la possibilità di affinare la professione.
Ritengo che sia indispensabile lo studio approfondito del caso. Occorre avere perfetta padronanza della
vicenda per poterla calare nel contesto normativo.
Quando il procedimento penale è in corso si deve
partire dall’esame del capo d’imputazione, per poi
procedere alla disamina dei singoli atti d’indagine.
Guido Clausi Schettini
Processi politici anche a Bologna. Lei è stato protagonista di uno degli ultimi. Come l’ha vissuto?
Ci dica cosa le ha insegnato questa vicenda. Racconti quello che può.
Che cos’è un processo politico? Se con tale definizione si intende un processo che coinvolge un
uomo politico quello di Flavio Delbono lo è stato.
L’unica differenza con altre vicenda analoghe per
il tipo di accusa consiste nella visibilità e nella
conseguente esposizione mediatica delle parti e
dei difensori. Questi ultimi non devono sostituire
i propri assistiti, anche nei rapporti con i giornalisti, in quanto il processo resta sempre della parte
e non deve diventare una vetrina per il difensore.
Naturalmente, può essere utile, ove possibile,
un’opera di consiglio e mediazione, anche rispetto
a certe esternazioni “d’impeto”, alle quali, peraltro, deve stare attento anche il difensore, magari
dopo un’udienza particolarmente combattuta.
Com’è la sua situazione di difensore nel processo? Ci sono dei limiti, dei condizionamenti
rispetto all’accusa? Che ruolo ha la preparazione e
l’intraprendenza dell’avvocato?
Ci faccia qui un esempio concreto.
Intervista di Nicoletta Gandolfi
Mi sono così laureato in diritto penale, con
una tesi sui reati di sospetto, sotto la guida del
prof. Filippo Sgubbi ed ho avuto l’onore di discutere il mio lavoro davanti alla Commissione
presieduta dal compianto prof. Franco Bricola.
Bologna annovera una lunga sequela di processi e
di figure del foro. In qualche modo appartiene anche
alla sua storia e alla sua scelta professionale?
Per la verità no, in quanto la mia scelta professionale è avvenuta negli anni della maturità. Devo però
riconoscere che, essendo mio padre avvocato, sin
da bambino ho avuto occasione di conoscere numerosi suoi colleghi, con i quali vi erano anche rapporti di frequentazione familiare. Tra questi ricordo,
in particolare, gli avvocati Nicola Chirco, Roberto
Landi, Achille Melchionda e Alberto Zoboli che,
poi, è stato il mio maestro. A volte, quindi, i discorsi potevano cadere su casi di cronaca giudiziaria.
Ci parli del suo primo processo. Come lo ha vissuto, come si è concluso, cosa le ha insegnato?
Il mio primo processo fu come parte civile davanti
al Tribunale di Bologna nei confronti di una banda
che aveva rapinato un furgone porta valori. Si ipotizzava anche la complicità del capo scorta, che infatti
sedeva sul banco degli imputati in stato di custodia
cautelare insieme agli altri. Ricordo che l’avv. Zoboli mi presentò al Presidente del Collegio, mi mise la
toga, come una sorta di investitura, poi mi lasciò
piena autonomia nella gestione della vicenda. Posso dire che la sua fiducia non era stata mal riposta,
perché il Presidente alla fine del processo, che richiese molte udienze, gli fece i complimenti per come
mi ero comportato. Tra l’altro, la causa si concluse
con la condanna dei responsabili e il conseguente
risarcimento del danno alla parte civile, con sentenza poi confermata nei successivi gradi di giudizio.
Quali le ragioni del suo mestiere? Ci racconti come
è nata questa sua professione e come l’ha vissuta?
Come ho detto, la mia scelta professionale è nata e si
è sviluppata all’interno di un ambiente certamente
favorevole essendo avvocati mio padre e mio nonno
materno (ed anche mia madre è laureata in legge).
Ritengo che tale situazione abbia influito indirettamente (poiché nessuno dei miei familiari l’ha sollecitata) sulla mia scelta, per cui ho vissuta la professione come lo sviluppo di un percorso, per così dire,
naturale. La mia decisione si è poi consolidata negli
anni dell’Università, con lo studio delle discipline
penalistiche, che mi hanno particolarmente appassionato.
E’ in grado di tracciare un identikit dei suoi clienti? C’è una filosofia dei clienti o sono tutti unici,
singolari? Quindi come ha dovuto approcciarsi?
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Indubbiamente, la parità tra accusa e difesa che
dovrebbe essere alla base del processo penale entrato in vigore nel 1989 non si è pienamente realizzata. Peraltro, in questi anni sono stati fatti dei
passi avanti (si pensi alla disciplina delle indagini
difensive). A volte, il difensore deve sopperire con il
suo impegno alla sproporzione delle forze in campo.
Ricordo, ad esempio, il processo contro i satanisti
che si svolse a metà degli anni novanta e nel quale
erano impegnati per la Pubblica Accusa numerosi
investigatori e consulenti tecnici. Insieme all’avv.
Nicola Chirco svolgemmo personalmente diverse
indagini difensive e, così, girammo diversi negozi
di animali per verificare dove e quando era stata
acquistata una tarantola o ci recammo in un paese
Nicoletta Gandolfi
Il tribunale di Bologna
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SCUO L A
Una storia organica della scuola
per capirne le contraddizioni
Una nuova storiografia che riscriva la storia della scuola come storia sociale.
Un primo tentativo fatto da Dina Bertoni Jovine, cinquant’anni fa. Una rilettura
critica per riformare sulle esigenze reali la scuola dell’autonomia e dei precari
Giusy Ferro
era prioritario, come pressante era lo scontro
tra conservatori e progressisti, una storia della
scuola era storia dell’educazione, di analisi pedagogiche e istituzionali. Una storia costruita sulle
esigenze delle classi dominanti. Col tempo è emersa invece la rilevanza dei suoi attori: gli insegnanti da una parte, gli alunni e le famiglie dall’altra.
Cosicchè la scuola si è andata collocando sempre
più nella dimensione sociale e territoriale, strettamente legata alla storia del costume italiano,
delle famiglie, del vivere sociale. Una scuola oggi,
quella dell’autonomia, che sposta il suo centro
sul territorio cercando l’osmosi con l’istituzione.
In quest’ottica precipuo diventa il lavoro dello
storico, che richiede un gran senso di responsabilità per muoversi nell’immenso e variegato materiale che si può reperire sulla scuola. Oltre alle
fonti normative e delle correnti pedagogiche, non
si può tralasciare la documentazione amministrativa (registri di classe, note, verbali, circolari etc.),
che percorre, dal di dentro, l’evoluzione scolastica
sulla dimensione economico – sociale, oltre che
su quella pedagogico - didattico, fino ad arrivare
all’altra documentazione (temi, lavori di classe e di
gruppo, esperienze didattiche) che rileva la crescita
culturale, l’evoluzione della società e dei singoli. E
sicuramente una scuola attiva e partecipata, che
vuole migliorarsi, dovrebbe fare tesoro di tanto
materiale che serve da analisi dei percorsi fatti e
convalida dei risultati. Ma il loro utilizzo presup-
Cento cinquant’anni di storia della scuola, un anniversario recente (2011) sul quale non c’è stata ancora una riflessione globale, e neppure sulle differenze
tra la scuola del nord e la scuola del sud. Differenze
mai affrontare negli studi sulla scuola unitaria. Una
distinzione forse utile a capire anche le sue contraddizioni attuali, la meridionalizzazione del personale
operativo e degli insegnanti, oltre alla sua prevalente
femminilizzazione. Una analisi che potrebbe aiutare
a comprendere anche le contraddizioni del sistema
scolastico, la sua tortuosità, la realtà di un sistema che per oltre cent’anni è stato offerto alle élite
e non all’intero paese, diventando scuola di massa
solo nell’ultimo ventennio del trascorso Novecento.
Quindi il sistema scolastico italiano sta attraversando un forte momento di crisi, dove la programmazione economica la fa da padrona su quella educativa. Considerarla come uno qualsiasi degli enti che
la pubblica amministrazione deve gestire è davvero
limitante. E le sue esigenze di riforma, se devono
essere serie, richiedono una visione di insieme della
sua natura, del suo ruolo di organizzazione votata alla crescita culturale e formativa di una comunità e di un paese. E la centralità del sistema
scolastico emerge se si parte da una storia della
scuola. Ma di quale storia deve dotarsi per non essere nuovamente ridotta a interpretazioni parziali?
Dagli albori della scuola pubblica italiana, quando il compito di costruire una identità nazionale
13
pone la costituzione strutturata e responsabile di
archivi appositi che tutt’ora mancano del tutto.
Una storia della scuola così intesa, che diventa
parte della storia sociale, davvero si fa strumento
prezioso per riforme ponderate e ben impiantante.
Pioniera, in Italia, in questo tentativo è la Storia
della scuola italiana dal 1870 ad oggi (Edit. Riuniti
giugno 1958) di Dina Bertoni Jovine, che racconta
la realtà scolastica non quale semplice appannaggio dei pedagogisti; animata dal più ampio clima
del dopoguerra di promozione degli studi storici
per l’esigenza di fare i conti con la passata esperienza del fascismo, la Jovine fa propria la lezione
di Gramsci, che volendo mettere a punto una nuova linea politica per la promozione della scuola di
massa, incoraggia nuovi
studi interpretativi per lo
studio della storia sociale
italiana. La Jovine offre quindi il suo speciale
contributo di specialista
dell’educazione per un
più autentico discorso
sulla scuola, nella convinzione che per una sua
adeguata riforma si debba partire dalla conoscenza delle radici storiche
dei problemi da affrontare; la Nostra ripercorre
la storia della scuola italiana attraverso l’intreccio
della storia della pedagogia con quella istituzionale - politica e sociale.
Vi è infatti un primo tentativo di individuare le
esigenze e i contributi
dei singoli attori della
scuola, seppur ancora
non ben definiti e semplicisticamente accorpati
senza molte sfumature.
Il lavoro della Jovine è
significativo perché è
uno dei primi tentativi,
con questo nuovo criterio,
di sintesi della
storia della scuola in
Italia, prendendo in considerazione il periodo che va dalla Legge Casati
fino agli anni Cinquanta del secondo dopoguerra.
Metodologicamente innovativo, il libro non inserisce nella cornice istituzionale le correnti pedagogiche, ma inverte il percorso individuando tre
macroaree pedagogiche, quella del positivismo,
dell’idealismo e del pragmatismo, e all’interno
di questi quadri descrive l’evoluzione scolastica dalle scelte istituzionali alle reazioni e alle
esperienze del corpo docente e delle classi sociali.
Poche sono state le ricostruzioni successive che han-
no seguito questo criterio, mentre oggi si rende necessario, per la storiografia contemporanea di settore, un lavoro in questa direzione, ancor più significativo per la nuova scuola dell’autonomia e del
territorio.
In sostanza, quanto l’idealismo gentiliano ha influenzato anche la scuola democratica, la politica
della scuola sempre governata da ministri della
Pubblica Istruzione, come espressione della DC, del
ceto conservatore, tradizionale, e del sindacalismo
autonomo di area cattolica? E’ forse necessario rileggere criticamente questi due periodi storici per
analizzare gli elementi di continuità e di prevalenza
nella cultura scolastica della tradizione umanistico
- retorica rispetto alle correnti del pensiero scientifico, una dicotomia che è
sempre rimasta presente
nella lunga storia repubblicana. Mentre nel contempo nasce una scuola
di massa (una diffusa scolarizzazione) non solo relativamente agli studenti,
ma anche la contemporanea crescita del fenomeno insegnanti come
esercito di precari, sottopagati e sottoqualificati, che assegnano la
scuola italiana agli ultimi posti, almeno in Europa. Quindi una scuola
generatrice di precari in
tutti i sensi che inondano l’università (con la
crescita di enormi deficit)
e che producono insegnanti di modesto livello.
Situazione che la Jovine
(ferma alla metà degli
anni Cinquanta), non
poteva
oggettivamente
conoscere. Un libro, il
suo, che offre un impianto essenziale, preciso, erudito, stimolante,
una base cioè per completare la storia fino ai
giorni nostri. Molti studi specialistici esistono
sul mercato ma quello di Ermanno Gorrieri sulla
giungla retributiva (siamo a metà anni Sessanta)
propone una tesi realistica ma contro corrente rispetto alle tendenze prevalenti: la necessità della scolarizzazione non passa attraverso
l’acquisizione della laurea, bensì attraverso un
percorso elaborato sulla base delle reali necessità della società. Un messaggio in apparenza
antipopolare, ma una possibile soluzione per garantire la piena occupazione e con un capitalismo non distorto dall’eccessiva finanziarizzazione,
che invece ha portato all’attuale crisi e recessione.
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mia intuizione nella sua alta spiritualità e conoscenza del Cristo – un vero uomo del Vangelo.
L ’ A R TI STA
Una mano pittorica
ispirata da Padre Pio
L’intervista ad Antonio Ciccone, il celebratore raffinato ed originale del Santo di
Pietrelcina. Quasi un modello per gli artisti che si occupano di arte sacra.
Luoghi e immagini del Gargano fanno da cornice alla sua spiritualità
Non c’è a San Giovanni un museo delle opere dedicate a Padre Pio. Cosa ne pensa?
Non c’è un vero e proprio museo delle mie opere
su Padre Pio – ma ci sono diverse collezioni private in San Giovanni Rotondo: Teleradio Padre Pio,
Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza, Hotel
Parco del Marchese di Canistro Onofrio. Spero un
giorno il Comune di San Giovanni Rotondo si decida a costruire un classico/contemporaneo museo!
ANTONIO CICCONE
PERCORSO DELLE OPERE VISITABILI AL
PUBBLICO A SAN GIOVANNI ROTONDO
Chiesa di Sant’Onofrio - Piazza del Carmine
Antonio Ciccone – cartone per La Natività – 1986 – carboncino e brace/tela su tavola – m 3x5,30. (L’affresco La Natività
si trova a Ponte Buggianese (PT) nella sala delle adunanze del
santuario di Nostra Signora del Buonconsiglio).
Banca Cooperativa Cassa Rurale ed Artigiana - Viale Kennedy, 11
Antonio Ciccone – Composizione 1992-1993 – acrilico/tela su
tavola – m 2,55x3,07. (Quest’opera fu eseguita “per La Cassa
Rurale ed Artigiana di San Giovanni Rotondo nel 75° dalla fondazione” ).
Chiostro Comunale
Antonio Ciccone – La Resurrezione – 1988-2006 - tecnica mista – m 8,50x4,20. (Opera donata al Comune dalla famiglia
Dal Lago).
Biblioteca Civica “Michele Lecce” - Via dei Cappuccini, 16
Antonio Ciccone – Ritratto di Michele Capuano – carboncino
– cm 100x70; ritratto di Francesco Paolo Fiorentino – 1989
– carboncino – cm 100x70; ritratto di Giorgio Dal Lago – 1988
- carboncino – cm 100x70 (donato al Comune di San Giovanni
Rotondo nell’occasione della presentazione dell’opera La Resurrezione); ritratto di Antonio Tedesco – 1992 - carboncino –
cm 100x70 e alcune litografie.
Collezione dei Padri Cappuccini
Antonio Ciccone – collezione di opere su Padre Pio –
anni 1971-77c. (Info. Tele Radio Padre Pio - Viale Cappuccini, 99 0882 413113).
Autoritratto di A. Ciccone
Convento dei Frati Minori Cappuccini “Santa Maria delle
Grazie” - Sala San Francesco
Antonio Ciccone – San Francesco d’Assisi – 1959 – affresco –
m 3,20x2
Battistero
Antonio Ciccone- Resurrezione – 1962 – affresco – m 3x5
Battistero; Antonio Ciccone – Le Stimmate di San Francesco
– affresco – 1964
Hotel Parco del Marchese di Canistro Onofrio - Contrada
Coppe – Case Nuove
Tel. 0882 418032 (telefonare per appuntamento)
Fax 0882 450364
Antonio Ciccone – Collezione di opere recenti su Padre Pio
P. Pio e il Gargano di A. Ciccone
Antonio Ciccone
Ci racconti in breve come è nata la sua vocazione artistica e ne descriva anche le tappe salienti.
scimento. Mi sento in armonia con la città. Adoro
la sua architettura.
Sono nato con una forte vocazione al disegno.
L’ambiente
ispirazione?
Raccontò Antonio: <<Ai primi del 1953 facevo
l’imbianchino, il pastore, il lattaio e, a parte, dipingevo e disegnavo qualsiasi cosa mi trovassi davanti.
Avevo 14 anni. Sapendo che gente di tutto il mondo
ricercava Padre Pio per averne consiglio, pensai di
andare a trovarlo per confessarmi ed esporgli il mio
desiderio di studiare pittura. Finita la confessione,
aprii il rotolo di disegni, di acquerelli e di schizzi fatti
con la brace e glieli mostrai. Padre Pio specialmente
si soffermò su un’enorme testa di un crocefisso
ripresa dal Guercino, la guardò intensamente, posò
la sua mano stigmatizzata sulla mia testa, e mi disse,
con quella voce caratteristica di padre affettuoso: Porta pazienza e vedrai che un giorno, presto, la Divina Provvidenza ti aiuterà. E prega il Signore - >>.
(Tratto da Padre Pio di Antonio Ciccone p. 18).
che
sente di più qual è per la sua
Il mio ambiente preferito è il mio studio
dove lavoro da solo. Disegno e dipingo con
le diverse tecniche acquisite: ricordi, immagini, colori e spazi sui monti del Gargano!
Le sue origini sono a San Giovanni, la città di Padre Pio: quanto la vicinanza, l’esperienza hanno influenzato la sua figura, la sua cultura, le sue opere?
L’influenza di Padre Pio è stata ed è molto forte
dato che l’ho conosciuto da ragazzo e sento molta
gratitudine per essere stato incoraggiato a persistere e ad avere fiducia nel lungo cammino dell’arte.
Qual è il senso delle sue opere non religiose? C’è
sempre una contiguità con queste?
Con l’aiuto di Padre Pio, l’anno seguente mi trovai
a Firenze a studiare arte negli studi di Pietro Annigoni e Nerina Simi.
Tutto ciò che esprimo nella mia arte è legato al senso dello Spirito della creazione.
Le ragioni della sua sede attuale a Firenze: c’ è una
motivazione specifica?
Come ha interpretato, come legge Padre Pio anche
rispetto ad altri colleghi?
Ho studiato arte a Firenze. Amo i maestri del Rina-
La mia interpretazione di Padre Pio è secondo la
15
16
Opere di A. Ciccone: P. Pio - Comprensione;
Tania e Oliver; sopra La Natività
A R TE
Novecento.
Arte tra le due guerre in Italia
Una miscellanea nazionale di grande prestigio (e con i nomi più belli) raccolta ai
Musei San Domenico di Forlì. Architetti, pittori , scultori e grafici pubblicitari,
partendo dalla classicità, danno una nuova immagine della realtà
Rosanna Ricci
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miti e protagonisti della prima metà del Novecento
secondo 14 sezioni divise per temi per dimostrare
come gli artisti cercavano di guardare alla classicità. Infatti si va dal culto della patria all’ascesa e
caduta dell’immagine di Mussolini, dai grandi cantieri tra monumentalismo e razionalismo alla Italia
rurale. Altre sezioni riguardano l’aeropittura ossia
l’Italia vista dai cieli, l’arte grafica tra pubblicità e
consenso, un popolo di artisti: artista e artiere, le
maschere e quindi il gran teatro della vita, il mito
classico. il popolo del mare , il culto del corpo e
l’ideologia dello sport, la moda, la maternità e infine il male di vivere. Inquietudini, queste ultime,
che sfociarono con Guttuso e Manzù in urla di
dolore per gli orrori della seconda guerra mondiale.
La mostra intende allontanare ogni sospetto di
revisionismo e portare invece in luce ‘la grande
carica innovativa e l’altissimo livello artistico da
una parte – le parole sono di Antonio Paolucci,
presidente del comitato scientifico - e tecnico artigianale dall’altra che gli Italiani seppero raggiungere in quegli anni.’ Troppo spesso, purtroppo, l’aver associato molti artisti al regime fascista
li ha lasciati in ombra e non sono stati studiati
col dovuto distacca e la necessaria attenzione.
Biglietto: intero 10 €, ridotto 8 €, speciale 4 €. Orario
di visita: da martedì a venerdì 9,30 -19; sabato,
domenica e giorni festivi 9,30 -20. Lunedì chiuso.
Dinamica dell’azione di Prampolini
dopo il secondo conflitto mondiale. In questo periodo il letterato Massimo Bontempelli diede vita alla
rivista ‘900 identificando la nascita della nuova
cultura proprio dopo la prima guerra mondiale.
La simmetria degli oggetti, la classicità delle
forme si rifà ai modi dell’arte del 1400. Esemplare è l’opera che apre la mostra: ‘La città ideale’
1480/1490 attribuita ad un pittore dell’ambito di
Piero della Francesca: tutto questo per dimostrare
che molte opere si rifanno all’arte rinascimentale
compresa anche l’architettura. A questa nuova
immagine della realtà si rivolgono gli architetti,
pittori e scultori, ma anche i grafici pubblicitari
come dimostrano i manifesti (ad esempio Bitter
Campari, Auto Balilla) realizzati in quegli anni. La
nuova armonia tra antico e moderno ebbe rappresentanti illustri come Felice Casorati, Carlo Carrà,
Achille Funi, Mario Sironi, Arturo Martini e Adolfo
Wildt ( a cui è stata dedicata una grande mostra
lo scorso anno) i quali, grazie anche a Margherita
Sarfatti, cercarono un’arte che poteva essere coerente con la situazione politica del momento. Fu
celebrata la mitologia fascista attraverso soprattutto la scultura monumentale, la pittura murale
e l’architettura pubblica . Queste forme furono
anche l’espressione più evidente di quel periodo
che ebbe la massima considerazione nelle opere
urbanistiche ed architettoniche. Nella mostra
sono presenti non solo gli artisti che aderirono ai
programmi del regime partecipando ai concorsi e
La prestigiosa sede dei musei San Domenico di
Forlì ospita fino al 16 giugno la più grande retrospettiva dedicata all’arte della prima metà del
Novecento, periodo tanto controverso e poco conosciuto. La mostra, dal titolo ‘Novecento. Arte e
vita in Italia tra le due guerre’, è l’ottavo evento espositivo promosso dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con l’Amministrazione
Comunale forlivese. Curata da Fernando Mazzocca con la collaborazione di Stefano Grandesso,
Maria Paola Maino, Ulisse Tramonti, Anna Villari
e coordinata da Gianfranco Brunelli, l’esposizione
ha lo scopo di indagare sulla produzione artistica
di quegli anni (architetti, pittori, scultori, grafici,
pubblicitari, orafi, creatori di moda) ma anche sulla vita quotidiana. Fu in quegli anni che avvenne
il cosiddetto ‘ritorno all’ordine’ dopo la decadenza
delle ‘avanguardie’. In questo modo la mostra offre la possibilità di una visione a tutto tondo per
capire qual era la realtà di quegli anni e che cosa
di questa realtà è rimasto oggi. ‘Il Novecento – ha
osservato Piergiuseppe Dolcini, presidente della
Fondazione - è stato il secolo delle grandi ideologie, delle forti e drammatiche contrapposizioni, del
comunismo, del fascismo, del movimento cattolico,
del socialismo, del liberalismo. Un secolo buio, di
grandi sofferenze, ma anche illuminato dalla luce
forte della democrazia, nelle aspettative e nelle
speranze, dai forti contenuti sociali.’ La mostra
prende l’avvio dal primo dopoguerra e si conclude
alle pubbliche commissioni, ma anche quelli che
cercarono un nuovo rapporto fra tradizione e attualità come dimostrano le oltre 450 opere esposte.
Le sperimentazioni di quegli anni furono varie: si
passò dal realismo magico ai miti del Novecento
fino alla metafisica come dimostrarono i maggiori
protagonisti del tempo: Severini, Carrà, Casorati,
Balla, Depero, De Chirico, Cagnaccio di San Pietro,
Oppi, Dudreville, Dottori, Donghi, Campigli, Sironi, Funi, Guidi, Conti, Sbizà , Ferrazzi, Prampolini,
Maccari, Rosai, Soffici, Guttuso . Notevoli furono
anche le sculture come quelle di Biancini, Andreotti, Baroni, Martini, Thayaht, Rambelli, Messina, Manzù, Drei. Gli autori quattrocenteschi che
ispirarono gli artisti del Novecento furono soprattutto Giotto, Mantegna, Piero della Francesca e
Masaccio che divennero modello anche per quegli
artisti, come Picasso e Derain, che avevano scomposto la figura con forme cubiste ricomponendola
poi secondo la classicità della tradizione italiana.
In quel periodo anche gli oggetti della vita quotidiana si inserirono nella stessa atmosfera di ritorno
al classico come avvenne in Cambellotti e Pagano a
cui vanno aggiunti i gioielli creati da Alfredo Ravasco senza poi dimenticare anche gli aspetti della
grande moda italiana negli abiti e nelle calzature.
Il professor Fernando Mazzocca ha più volte sottolineato che la mostra va vista tenendo presente
Forlì. Roberto Pinza e’ il nuovo presidente della
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
Il nuovo Consiglio di amministrazione della Fondazione
si e’ insediato
i1 7 maggio e ha provveduto ad eleggere Roberto Pinza come presidente e direttore di Legacoop Forlì - Cesena; Monica
Fantini come vice presidente.
Nel prendere possesso della
carica, Pinza ha proposto la
costituzione a breve delle commissioni consultive che saranno
chiamate ad operare sin dalla
prossima settimana, quando
avra’ luogo la prima seduta
pienamente operativa del Cda.
Il presidente ha infatti sottolineato “la necessita’ di valutare con urgenza ogni possibile
intervento in grado di rafforzare, anche con soluzioni innovative, l’azione della Fondazione in campo economico e
sociale, così da incidere, nei limiti del possibile, sugli effetti
che la crisi comporta a danno del sistema territoriale, a partire dalle famiglie e dal mondo del lavoro e delle imprese”.
Il primo a congratularsi con Pinza e’ il presidente della Provincia Massimo Bulbi (Pd): “Alla soddisfazione particolare
nei confronti di un protagonista della nostra storia recente,
locale e nazionale a cui mi lega un forte rapporto trenten
nale, si unisce il plauso per le modalita’ ampiamente democratiche e partecipative con cui gli organi di governance
della Fondazione, ben rappresentativi del territorio, sono
giunti alla sua designazione”.
Dopo “la lunga e lungimirante
guida di Piergiuseppe Dolcini”, conclude Bulbi, “con
Roberto Pinza giunge al vertice un uomo d’indiscussa
esperienza amministrativa, giuridica, economica e politica”.
Pinza e’ stato eletto dai membri del Cda Fabrizio Fornasari, dell’accademia dei Benigni di Bertinoro, Massimo
Balzani, direttore di Unindustria
Forli’ - Cesena, Enzo Cortesi,
presidente di Cna Forli’ Cesena, la stessa Fantini di Legacoop, l’imprenditrice
Costanza Zannoni, la presidente di Domus Coop Angelica Sansavini, il chirurgo Giorgio Maria Verdecchia, il docente universitario Filippo Cicognani.
Sottosegretario al ministero del Tesoro nel primo governo
Prodi e nel primo governo D’Alema, Pinza, avvocato civilista,
e’ stato deputato e senatore e ha fatto parte del secondo governo Prodi come vice ministro all’Economia e alle Finanze.
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R I CE R CA
Indirizzi dei cattolici forlivesi
nel secondo Novecento
Una storia intensa dall’Opera dei Congressi al volontariato. Il magistero ecclesiale e l’impegno dei cattolici nella politica, nel sociale e nella cultura con eminenti
figure quali Mattarelli, Melandri, RuffIlli, Valli e una vasta rete di sacerdoti
Abbiamo escluso un racconto cronachistico anche
perchè ne esistono diversi e di pregio. Vogliamo offrire in un saggio completo, ragionato anche a più
voci cosa hanno significato i cattolici e come intendono muoversi nel futuro locale e forse nazionale.
Per questo offriremo la nostra ricerca ad una ventina di saggi ed esperti per raccogliere rilievi, osservazioni ed anche eventuali contributi. In tal modo
speriamo di offrire un caposaldo significativo nelle
vicende storiche dei cattolici. Successivamente potremmo afforntare anche singole figure ed eventi in
modo da realizzare una vera e propria biblioteca a
più voci sulla storia e sulle realizzazioni dei cattolici.
andranno studiati attentamente anche per la
eterogeneità delle opinioni e dei risultati conseguiti.
C’è una originalità dei cattolici con il grande impegno nel sociale e nel volontariato. Cosa significa?
Nel forlivese si sviluppa in modo particolare la
nascita della cooperazione e del volontariato: e
quest’ultimo diventa una delle caratteristiche
principali dell’impegno dei cattolici. Un fenomeno sul quale concentreremo l’analisi e al cui
interno nascono significative figure come Annalisa Tonelli ed altre. Un volontariato che si orienta
verso il mondo della scuola (con Lamberto Valli),
della cooperazione, della comunicazione, (don Pippo). Esperienze che cercheremo di leggere in una
visione unitaria, perchè connotano in modo forte
l’impronta dei cattolici moderni, contemporanei.
Qual è la partenza del vostro saggio?
La centralià della Chiesa come istituzione a cominciare dagli inizi del secolo, quando è ancora
operante la Rerum Novarum e l’Opera dei Congressi. Poi analizzeremo il ruolo e le scelte dei vescovi in rapporto alla politica e al sociale e quindi
la nascita dei movimenti collaterali, dalle Acli a
Comunione e Liberazione e alle loro figure principali come Salvatore Gioiello e don Francesco Ricci.
Cosa vuole significare questa ricerca sui cattolici forlivesi?
Intanto evidenziare un contributo imporante nella realtà storica e sociale della Romagna e ricostruire anche l’originalità della loro identità compreso la rilvalutazione delle figure più significative
e del contributi nazionali di Roberto Ruffilli, Gino
Mattarelli, Lamberto Valli e Leonardo Melandri. Che
c’è quindi un’anima, un riferimento anche storico
nel cattlicesimo democratico forlivese. Inoltre che
c’è un modello, un esempio di come i cattolici con
la scelta del sociale, del volontariato hanno prefigurato un modello di società, di ruoli delle classi
sociali, di partecipazione importanti per costruire
uno Stato moderno, democratico e partecipato.
Una riflessione che vuole aprire, cioè, un dibattito
e un approfondimento storico, culturale e politico.
Sul piano politico come analizzerete il ruolo e la politica dei cattolici?
Antonino Russo
Un recente quaderno-intervista al forlivese don Erio
Castellucci sulla famiglia e sulla pastorale sociale
nella sua città ci ha consentito un breve screening
sul fenomeno cattolico in una provincia di radicate
tradizioni repubblicane e della sinistra. In realtà
c’erano già state ricerche sulle coop bianche, sulle
casse rurali, sulla cultura e sul volontariato a Forlì.
E’ nata cosi l’idea di una ricerca storica complessiva
sui cattolici a Forlì. Ne parliamo con Giusy Ferro, una
delle ideatrici del progetto del gruppo TempiNuovi.
tre esiste una ricca pubblicistica settoriale, cronachistica oltre ad una interessante memorialistica.
E non solo di fonte cattolica. Questo materiale,
pur pregevole e utile sul piano documentario, non
risponde al nostro assunto, su chi sono i cattolici e qual è stato il loro ruolo, che sono gli interrogativi ai quali vuole rispondere il nostro studio.
Cosa vi ha spinti a studiare il fenomeno dei cattolici
in una provincia romagnola?
L’abbiamo circoscritto al secondo cinquantennio
del Novecento per due ragioni essenziali. Una, di
carattere storico, in quanto la prima parte del secolo appartiene definitivamente alla storia, anche
se contiene germi importanti che si svilupperanno
successivamente, mi riferisco all’entrata nel sociale
dei cattolici dopo la Rerum Novarum. E’ chiaro
che tutti quei riferimenti entrano nei cattolici moderni, ma dobbiamo collegarli al ruolo che questi
svolgono direttamente anche e soprattutto nella
politica. Quindi ci siamo concentrati sul secondo
cinquantennio del Novecento più vicino all’oggi,
ben attenti a saper leggere e interpretare figure ed
eventi abbastanza ravvicinati e a cercare di mantenere una scrupolosità politica oggettiva e storica.
Il cuore principale riguarderà la Democrazia Cristiana che ha avuto esponenti importanti, come
Gino Mattarelli, Leonado Melandri e Roberto Ruffilli. Figure che hanno caratterizzato i cattolici nella loro
azione politica in sede locale, regionale e nazionale.
Entreremo anche nel particolare di come hanno
influenzato la politica locale quando si è avviato
negli anni Sessanta il primo cemtro sinistra fino
alla successiva evoluzione politica che ha portato
alla nascita del Partito popolare e all’ultimo impegno politico dei cattolici. Periodo ed esperienza che
Lo studio, che periodo temporale intende abbracciare?
Proprio l’originalità di quella terra ove il mondo
cattolico ha dovuto convivere e confrontarsi con
altre due importanti movimenti, quelli della sinistra in senso lato e quelli dell’area repubblicana che qui ha avuto le sue radici storiche. Fenomeni che hanno reso, appunto, originale il ruolo dei cattolici e che, abbiamo scoperto, è ricco
di figure, di eventi e di fatti che vanno raccontati
Qual è la metodologia che intendete seguire nella
vostra ricerca?
Intanto abbiamo compiuto una accurata analisi
bibliografica per ricercare le fonti dell’esistente,
traendone una prima conclusione. Manca una valutazione d’insieme della storia dei cattolici, men-
La vostra sarà una ricerca, un saggio di interpretazione, di lettura ragionato del fenomeno cattolico?
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20
I NI Z I A TI VE
Un luogo a Bologna
per onorare Padre Pio
Il gemellaggio con San Giovanni Rotondo e i rapporti col frate di Pietrelcina
nascono a Bologna nel 1919, con una saga di fedeli petroniani. Il prof. Tito Malfatti pensa alla piazza di Porta Saragozza come luogo dedicato al Santo
getto della intitolazione delle strade, individuando
la zona (sotto l’area del santuario e della Casa Sollievo della Sofferenza). Alla prima giunta ne è poi subentrata una di segno opposto e nonostante
i ripetuti solleciti, la preparazione di programmi concreti per avviare la loro realizzazione, il progetto (largamente apprezzato dai
cittadini, dal mondo ecclesiale e dalla stampa)
non riesce ancora a decollare. Abbiamo mosso
anche le forze sociali, imprenditoriali e culturali per un programma di iniziative; la Regione
ha persino già dato il patrocinio (regione che con
il presidente Vendola aveva firmato il primo album e sostenuta l’iniziativa del gemellaggio).
A questo punto si è pensato di riprendere
l’iniziativa da Bologna. Nella presentazione di uno
dei libri sui bolognesi a San Giovanni Rotondo, al
Collegio San Luigi, il futuro sindaco Virginio Merola lanciò lui stesso l’idea di intitolare un luogo a
Bologna. Ora rifacendoci anche a quella proposta iniziale stiamo organizzando un programma
di eventi per dotare la città, capitale della devozione per Padre Pio già dal 1920, come ebbe a
definirla l’allora arcivescovo card. Nasalli Rocca.
“Non girava tanto attorno alle cose, andava dritto ai
problemi con un linguaggio semplice e una terminologia napoletana, popolare (ricordiamo che era
nato a Pietrelcina). Tuttavia emanava un fascino che
catturò tutti noi. Ci accorgemmo che la fede aveva
trovato un autentico diffusore, che incuteva la fiducia nella fede e in Cristo. La gente non poteva sottrarsi al fascino delle sue parole oltre che alle opere
che stava realizzando. Infatti in quegli anni stava
realizzando la Casa Sollievo della Sofferenza e stava animando i gruppi di preghiera come mezzi per
la diffusione della fede. L’aveva ricavata dalla predicazione di Pio XII che nel mezzo della guerra volle
suscitare l’importanza della fede e della preghiera”.
La conclusione di questo rapporto?
“Nacque una lunga amicizia che andò avanti
fino alla scomparsa di Padre Pio, con mio padre
che divenne il suo otorino di fiducia e che raccoglieva anche le sue confidenze delle cose belle
e delle traversie che incontrava sulla sua strada”
Bologna ha già una statua dedicata a Padre Pio, ma
non ha ancora una via o una piazza.
Perché dunque un luogo intitolato a Padre Pio a Bologna?
Piazza di Porta Saragozza - Bologna
San Giovanni Rotondo
Franca Macrini
edificata la Casa Sollievo, una ex-imprenditrice che
ha tessuto le file dei nascenti gruppi di preghiera
e la fede nei confronti del santo e delle sue opere.
Il libro di Vietti e Ferro fu una delle prime iniziative messe in cantiere a San Giovanni dalla locale
giunta di centro sinistra (e dal sindaco Giuliani),
come quella di intitolare una decina di strade
ai principali eminenti bolognesi autori di questo
rapporto con Padre Pio. Una ricerca addirittura
che ha coinvolto gli studenti di due scuole (il Collegio San Luigi e l’Istituto Amaduzzi) che hanno
scavato nella storia locale, ricostruendo eventi,
figure e personaggi. Il fenomeno ha assunto un
carattere popolare, con il coinvolgimento dei cittadini e degli studiosi. Di queste ricerche venne
a conoscenza lo stesso papa Benedetto XVI nella sua visita a San Giovanni Rotondo nel 2010.
L’iniziativa ha coinvolto altri studiosi e artisti, come
la giovane e valente disegnatrice Rachele Ferro,
che ha illustrato i numerosi libri e i materiali per
mostre ed eventi nel corso di questi cinque anni.
Finalmente si è decisi di passare dalla prima fase
della conoscenza e della promozione dell’idea al
tentativo di lasciare anche qualche segno visibile e
concreto, oltre l’aspetto delle ricerche storiche e culturali, della raccolta delle testimonianze. Il progetto
si muove dunque su de piani. Uno a San Giovanni
Rotondo, il centro, il cuore della devozione a Padre
Pio. La giunta di centro sinistra con l’allora assessore alla Cultura Carlo Macrini impostò infatti il pro-
Una via a Bologna per Padre Pio, l’appello
giunge dal Comitato per il gemellaggio tra Bologna e San Giovanni. L’dea è nata cinque anni fa
nel 2008. quando fu pubblicato l’Album Padre Pio
tra Lercaro e Marella, la prima ricerca curata da
Giusy Ferro e Carlo Vietti che ricostruisce i rapporti
storici e di fede tra le due città a partire dal 1919.
Da questo progetto sono nate in seguito una serie di
ricerche originali per approfondire le ragioni e i protagonisti di quella che abbiamo definito la saga di
Padre Pio. Di questa saga si è parlato grandemente
sulla stampa locale e nazionale. Il Resto del Carlino,
La stampa e il Corriere della sera hanno seguito
tutte le successive pubblicazioni contribuendo ad
aumentare la conoscenza sui particolari rapporti
tra le due città e riuscendo a ricostruire anche quel
grande e numeroso fiume di bolognesi che si è trasferito a San Giovanni Rotondo e che ha operato per
la realizzazione delle opere del santo di Pietrelcina.
Come pure grande spazio viene dedicato al ruolo
assunto da Padre Marella nell’alimentare i rapporti
tra le due città e al contributo dato alle opere di Padre
Pio, costituendo una specie di avamposto a San Giovanni organizzato dalle donne del frate bolognese.
Anche questa una storia nella storia che ricostruisce un aspetto innovativo con Padre Pio e
in particolare il suo rapporto con le donne, tra le
quali ricordiamo anche la famosa Maria Basilio (la
torinese della Venchi Unica, la fabbrica della cioccolata) che donò nel 1937 il terreno sul quale fu
21
“Penso che si possa intitolare quella Piazza a
Porta Saragozza dove si trova, appunto, la statua di Padre Pio. Non scontenteremmo nessuno”.
Lo chiediamo al prof. Tito Malfatti, antico sostenitore di Padre Pio: la vita sua e della famiglia
si è infatti intrecciata con quella del Santo. Malfatti ci ha rilasciato la seguente testimonianza.
Ora dovremo organizzare il progetto. Pensiamo
quindi di predisporre un depliant con le tappe
principali della storia di Padre Pio e della sua devozione, con i libri pubblicati e poi presentare l’idea
in modo formale: pensiamo al Collegio San Luigi,
ove abbiamo svolto altre manifestazioni. Il tempo adatto potrebbe essere a fine giugno, in modo
da avviare realmente i progetti del gemellaggio,
cominciando ancora una volta da Bologna. Forse
questo revival del Santo a Bologna può servire a
vincere una certa apatia nella città, e a contrastare le pedanti iniziative contro il finanziamento alle scuole private materne (pur difese dal Comune). Sta infatti crescendo un clima anticlericale
frutto del malessere diffuso, di una crescente disgregazione della tradizionale devozione bolognese.
“Siamo nel settembre del 1948 e con mio padre (il
prof. Giovanni) ci dobbiamo recare a Bari per un
convegno medico (mio padre è esperto in odontoiatria). Già nell’immediato dopoguerra era esploso il
fenomeno Padre Pio. In tutta Italia si parla del frate
di Pietrelcina, compreso la rossa Bologna. I giornali raccontano delle sue opere e a San Giovanni
Rotondo inizia l‘epopea della nascita della Casa
Sollievo della Sofferenza. Anche noi in famiglia
cogliamo l’occasione di incontrarlo e conoscerlo”.
Ci parli del primo incontro?
“L’incontro con Padre Pio non fu certo formale e
non ci furono particolari e lunghi permessi da richiedere. Lo incontrammo semplicemente nel convento. Ci parve subito un frate alla mano, con le sue
mani bendate (i segni delle stimmate). Le formalità
furono ridotte al minimo. Noi eravamo incuriositi
di fronte a quella figura concreta, forte, popolare
che parlava un linguaggio diretto, immediato, che
scrutava come per penetrarti, per capirti subito.
Mio padre spiegò brevemente la sua devozione e la sua
storia. Io ascoltavo attento, assorto. Mi colpì la sua
immediatezza, la sua decisione, la sua franchezza”.
Può darsi che Padre Pio aiuti i bolognesi. Comunque non più manifestazioni occasionali, ma
un ciclo annuale di eventi nella società e nella
scuola. Riportiamo la fede attiva anche dentro le
scuole. Lanceremo questi temi anche nel prossimo sito che Leviedellastoria sta preparando.
In che senso Prof. Malfatti?
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R E L I G I O NE
L’epopea di Padre Pio
raccontata da vicino
Il libro di Padre Alimonti.
Un frate vicino al futuro Santo che offre con grande cuore
una nuova testimonianza collettiva sul frate di Pietrelcina
vanni offrendo a Padre Pio una giornata di digiuno: “Avevo con me solo acqua e pane. Mi comparve di notte e mi chiese cosa avevo portato.
Non cercava il cibo, ma cercava me. Parlando di
Gesù e del Paradiso. Alla fine mi accarezzò il viso”.
Gli episodi sono dunque tantissimi e meritano tutti di essere letti e meditati. Padre Alimonti
ricorda ancora la meraviglia della nascita di Padre Pio a Pietrelcina fino alla sua adorazione per
l’arcangelo Michele. Man mano che si citano
gli episodi di vita vissuti si vorrebbe, quasi, trascrivere tutto il libretto per coglierne l’intimità
della sua fede assoluta in Dio e in Padre Pio.
Poi abbiamo gli altri due volumetti con una breve
presentazione di fra Mariano Di Vito, direttore della
Voce di Padre Pio. I tre testi non sono il solito libro su Padre Pio, ma una raccolta di racconti, di
tante situazioni che “si sono intrecciate con quella
di un uomo, di un frate cappuccino e di un sacerdote che ha avuto il coraggio di alzare gli occhi al
Cielo e di dire a Dio come faceva Mosè: - O perdona
a questo popolo o cancellami dai libri della vita. -”.
Sono dunque 112 ritratti delle principali figure
legate a Padre Pio. C’è quasi tutto il gruppo dei
bolognesi, da Alberto Del Fante che iniziò i rapporti e scoprì la figura di Padre Pio fino a Federico
Abresch, a Maria Basilio, al Card. Lercaro. Ma ci
sono dei vuoti. Mancano Carolina Giovannini, Padre Marella, i proff. Salvioli e Malfatti, l’on. Elkan e
tanti altri. Ci sono comunque tutti i nomi noti della
saga del frate: tra i tanti, Barbara Word, Beniamino
Gigli, Carlo Campanini, Carlo Kiswardy. i Morcaldi,
Brunatto, i Sanguinetti, Maria Pyle, Nina Campanile, Giovanna Rizzani; e poi tutti i religiosi come
Carlo Maccari, Gerardo di Flumeri, Papa Woytila (e
suor Maria Foresti?).
Un lavoro dunque complesso, un insieme di ritratti che configura indirettamente una vera e propria storia a biografie di Padre Pio. Grazie anche
ai Gruppi di Preghiera dell’Abruzzo e al Santuario
Madonna dei Sette Dolori che hanno edito i tre libretti.
Giusy Ferro
Una nuova testimonianza sull’epopea di Padre Pio.
Ne è autore padre Guglielmo Alimonti, un seguace
del frate che ha cercato di offrire una sintesi, una
raccolta di testimonianze di quelli che sono stati i fedeli di prima mano del Santo di Pietrelcina.
La ricerca si compone di tre volumetti: I miei giorni
con Padre Pio e altri due intitolati Vicino a Padre Pio.
Testi che offrono un nuovo contributo autentico alla
storia lunga e amplissima di Padre Pio e che consta
di quasi duemila libri dedicati alla figura del Santo.
La ragione? La scrive lo stesso autore nella presentazione: “Avrei continuato a tenere questi
ricordi nel segreto del cuore, perchè mi piace vivere intimamente ciò che appartiene al mio intimo…ora però non potevo dire di no all’esortazione
amorevole
del
vescovo
Michele
Castoro”.
Il caso del colloquio con lo scultore Messina, per
disegnare la nuova Via Crucis, dapprima riluttante (“Le mie mani non sono più adatte”), poi
quando seppe che la richiesta era venuta dallo stesso Padre Pio rispose: “Se è cosi non posso
dire di no, ma sarà Padre Pio a darmi la forza”.
In altra occasione: “La sua pazienza e la sua
bontà mi fortificavano. Più volte e più volte
ha risposto alle mie richieste di aiuto. E Padre Pio mi ha ricordato: hai la fede, puoi pregare, devi seguire il dovere della fedeltà”.
Il primo volume riporta una sessantina di episodi e
riflessioni raccontate in modo chiaro e semplice e
“provenienti tutte dal cuore”.
Bisognerebbe trascriverle tutte.
Possiamo, solo, spigolarne qualcuno, un piccolo florilegio per far capire l’animo di Padre Alimonti.
“Stando vicino a lui provavo la viva sensazione che
la Madonna coprisse anche me, quando avvolgeva la persona del Padre. Così maternità di Maria
e paternità di Padre Pio mi riparavano insieme”.
“Quando al mattino accompagnavo Padre Pio in sacrestia dove rimaneva in preghiera, fino alle cinque,
io restavo in piedi: in quel mistico silenzio risuonò la
sua voce: - Uaglio ma non ti puoi mettere a sedere?-.”
Un giorno che Padre Alimonti era intenzionato a domandargli il perchè dei tanti impegni, rispose: “Non ti risparmiare”.
“Il suo consiglio non era fare meno per far bene,
ma fare tutto e fare meglio”, dice Alimonti.
Leggiamo dunque. La bara di Padre Pio era circondata di garofani rossi, ma dopo poche ore non
ce n’era più neppure uno: “Erano rimasti solo alcuni steli. Chiesero anche quelli e presto finirono”.
Copertina del libro di padre Alimonti.
Sopra, P. Pio circondato da giovani confratelli
Un altro giorno Padre Alimonti partì per San Gio-
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I NTE R NE T
In rete nasce l’occhio critico
sulla vita e sui fatti
Aprire un dialogo interattivo sulla rete per fare opinione,
ma anche per costruire insieme nuovi progetti editoriali e di cultura.
Non una moda, ma uno strumento per fare comunicazione
Un sito di servizio anche. Offerto a enti, imprese,
istituzioni che vogliono entrare in contatto con professionisti della comunicazione. Un scelta anche questa?
vita attiva della città e non solo. Nel sito pubblicheremo i titoli, una sintesi dei libri e alcune immagini. Libri che potranno essere richiesti alla
nostra sede, ma che comunque si trovano nelle
biblioteche cittadine, in particolare nei quartieri.
La nostra esperienza nel campo della comunicazione aziendale, istituzionale ha una lunga
tradizione con ottimi risultati con enti e imprese
significative della città. Intendiamo offrirci dunque
alle aziende ben disposti a progettare ricerche,
studi e piani comunicativi. Tutti sapranno che
c’è un ricco background di professionalità anche
per rivalutare la comunicazione scritta (rispetto
a quella digitale) che erroneamente si è persa nel
mercato comunicativo, editoriale, forse perché i
neofiti del digitale non riescono a cogliere anche
la complementarietà tra i due mezzi comunicativi.
E che comunque il mezzo a stampa non ha perso
la sua centralità anche sul mercato pubblicitario. Ma molto dipende dalla creatività dei progetti.
E la rivista dal titolo uguale a quello del sito che
ruolo svolge?
Abbiamo iniziato da sette anni a pubblicarla periodicamente, una volta al mese, un bollettino con
il quale abbiamo trattato gli argomenti delle nostre ricerche, illustrato le nostre attività, con un occhio ai fatti più rilevanti della città ed anche nazionali. E’ stato ed è uno strumento utile, il primo collegamento con i nostri referenti che seguono le nostre attività. Un modo per essere presenti nel contesto culturale della città. Ora cercheremo di pubblicare la serie storica dei bollettini
per offrire una ulteriore possibilità di conoscenza
Nella vostra storia ci sono anche progetti di solidarietà come quello rivolto a Padre Pio. Ci sarà spazio
anche per questi?
Tra le vostre attività annoveriamo corsi e seminari
sulla stampa e sulla comunicazione. Un settore che
ha dato buoni risultati. Come pensate di proseguire?
Marilena Bevilacqua
stra storia e al nostro lavoro e quindi intendiamo far
conoscere il nostro retroterra: una trasparenza per
qualificarci ed evitare che il nostro sito sia un passatempo di precari, di dilettanti, di commercianti.
Infatti sul mercato c’è di tutto e questo ingolfa le comunicazioni ed abbassa anche il livello e la qualità
dei siti. Il nostro sito può essere una opportunità di
conoscenza, una possibilità di impegno, un canale
di lavoro e di solidarietà. Poi è chiaro che starà
anche a noi comprendere chi abbiamo dall’altra
parte. Ci sarà dunque un periodo di rodaggio.
Ora Leviedellastoria correrà anche su internet: una
scelta per moltiplicare i contatti e far conoscere di
più il nostro lavoro di studi e ricerche, ma anche
quell’attualità critica e ragionata che è stata l’altro
motivo alla base della nascita della rivista. Al direttore Carlo Vietti chiediamo di illustrarci le caratteristiche del sito e i programmi editoriali del gruppo.
Entrate anche voi dunque nella democrazia digitale?
Non è per noi una scelta sull’onda della “moda” dilagante. Tra noi c’è stata sempre la coscienza del
valore del mezzo digitale. Qualcuno l’ha praticato
anche in epoca pionieristica. Ricordo che diedi vita
agli inizi degli anni Ottanta (dopo avere girato e
studiato le applicazioni in Europa) al primo giornale telematico, cogliendo l’importanza comunicativa e diffusionale dello strumento internet e dei
sistemi satellitari di comunicazione, come il gps.
Per accrescere la nostra capacità comunicativa
e documentaria abbiamo così deciso di investire
nel mezzo per stare meglio nel sistema interattivo.
Siete anche editori, ma di libri tutti specifici, particolari. Quali sono i vostri criteri e i vostri temi?
E’ vero. Una caratteristica fondamentale è la pubblicazione di libri nati e legati alle nostre ricerche
storiche, politiche, culturali. Libri originali, preziosi, di qualità scritti con la collaborazione di enti
ed istituzioni che apprezzano il nostro lavoro di
ricercatori. In questi ultimi anni ne abbiamo pubblicati una decina. Ma nella storia di ognuno di
noi c’è un curriculum più ampio di libri. Possiamo
dire quasi un centinaio. I temi prescelti riguardano
aspetti particolari, anche sconosciuti, innovativi
non solo della città, ma anche della cultura. Un
lavoro nel quale si cimentano gli autori del gruppo ed anche esperti a noi collegati, da architetti a
professori, a insegnanti, a religiosi, a urbanisti, a
medici. Una realtà di professionisti inseriti nella
Come vi presentate sul mercato telematico?
Intanto cercheremo di offrire un breve identikit del
nostro gruppo. Chi siamo e da dove veniamo, cosa
ci proponiamo di fare. E’ necessario che la gente
conosca la nostra storia per non essere uno dei
tanti comunicatori digitali. Teniamo molto alla no-
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E’ proprio partendo da questa esperienza che vogliamo incentivare quelli che chiamiamo progetti di solidarietà. Quando, ad esempio, si tratta di
aiutare qualcuno in Italia e fuori. Pensiamo a cittadini che cercano lavoro o che sono ammalati o disabili, a giovani fuori sede che vogliono trovare una
casa ad equi prezzi a Bologna, ad immigrati che
vogliono inserirsi nella città ed hanno bisogno di
studiare, di apprendere la lingua. Ma ci sono progetti più ampi: far conoscere il lavoro di una comunità, aprire un ponte di iniziative con il terzo mondo, aiutare una comunità religiosa all’estero, etc.
Pensiamo che internet possa essere un vasto mercato per indirizzare e canalizzare chi vuole aiutare
gli altri. Vedremo.
La nostra attività fin dall’inizio ha privilegiato i
corsi informativi, per trovare e promuovere giovani
e ragazze nel campo della comunicazione. Li abbiamo tenuti anche presso le scuole superiori. Ora
intendiamo rivolgerci alle imprese. C’è la necessità di avere giovani laureati in grado di misurarsi
con esperienze pratiche, che possiamo offrire per il
nostro background e per la rete di contatti. E’ un
modo per raccogliere e selezionare direttamente
sul mercato i nuovi comunicatori senza criteri preclusivi. Sarà indispensabile la volontà e la qualità per riuscire in un campo e in un mercato nel
quale c’è troppo superficialità ed improvvisazione.
La società anche bolognese ci sembra un po’ statica
con una informazione omologata, appiattita.
Con il sito volete intervenire a scoprire problemi
e questioni sul funzionamento e sulla vita istituzionale, politica e sociale della città?
Ma tutto questo progetto presuppone che si apra un
dialogo con i vostri possibili corrispondenti. Come vi
organizzerete?
Il nocciolo del progetto è quello di una iniziativa
interattiva; dialogare con gli altri, con chi accede
alla rete. Vogliamo offrire una serie di opportunità
facendo conoscere chi siamo e cosa proponiamo.
L’invito è quello di entrare in rete con noi per
chiedere, sapere e collaborare. Ma anche per co
struire un giornale quotidiano, uno scambio
di idee, di progetti, di informazioni. Il sito può
essere uno strumento anche per avere dei nuovi
collaboratori ed inserirsi nella nostra attività.
Ci sembra che l’informazione sia troppo stucchevole e spesso il megafono per posizioni personalistiche o interessi di potere. In realtà quello che
succede nella città e dentro il potere non viene mai
fuori. Forse bisogna ritornare ad una sana e vivace
controinformazione. Oggi il degrado della politica
in particolare costituisce un freno alla partecipazione e alla democrazia. Cercheremo di fare un
giornalismo investigativo rivolgendoci ai cittadini.
Qui potranno trovare uno strumento libero per raccontare quello che non funziona nella nostra città,
le prevaricazioni, le clientele, le raccomandazioni.
In sostanza vogliamo rendere più trasparente la
città anche a Bologna, vincendo una certa sonnolenza che ormai sta abbassando la qualità e la vita.
www.leviedellastoria.weebly.com
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I L R A CCO NTO
Periferia: un viaggio in treno
e la ragazza con il poncho
Sognavo il viaggio di Elio Vittorini in Conversazione in Sicilia.
Invece c’era la Bologna del Duemila e la sua animalità senza pudore,
città ormai sempre più in degrado, urbano e culturale
Giorgio Versari
l’eccitazione forte, ripetuta, desiderata è trattenuta a stento. “Signori biglietti”, chiede
forte il controllore. La coppia cerca di uscire
dal poncho e annaspa nelle tasche alla ricerca dei
biglietti. Il giovanetto cerca di ricomporsi frugando i biglietti nella borsa e che porge un po’
stordito al controllore. La ragazza invece lo
squadra silente e imperturbabile. Non si coglie
nessun cenno della repentina eccitazione; negli
occhi non c’è nemmeno il segno del piacere, ma
solo l’animalità dell’atto da poco consumato. I
due giovani poi si guardano e scoppiano in una
risata sguaiata, prolungata. Nessun riguardo
nei confronti della gente, che forse per loro non
esiste nemmeno. Si infilano degli auricolari per
ascoltare musica. Non so quale. Rimangono per
un po’ muti, silenti; ogni tanto si lanciano qualche sguardo complice, intenso. Mancano ormai
quindici minuti per Bologna. Ora ricominciano
a parlare in modo sempre sgrammaticato. Discorsi banali: “Quando ci rivediamo? Stasera vieni
da me? Passo all’università devo incontrare un
gruppo, forse ceniamo tutti insieme. Gianni è un
balordo, mi chiede sempre soldi, ma non sono la
sua banca”. La ragazza telefona: “Papi mi fai una
ricarica su questo numero. Sto tornando a Bologna. Mi raccomando paparino metti 50 euro”.
Finalmente il poncho si è aperto e posso scrutarla.
E’ un pomeriggio, qualsiasi, di lavoro, su un treno affollatissimo di pendolari dalla riviera adriatica. Sono in seconda classe, dopo una giornata
di interviste impegnative per il nuovo libro dei
cattolici forlivesi. Sto tornando a casa. Trovo a
fatica un posto. Accanto a me due giovani e una
ragazza. Il loro abbigliamento è singolare, direi
selvaggio, soprattutto quello della ragazza con
una specie di poncho che ogni tanto si apre. Cerco di dormire, ma il tentativo è arduo per il chiacchiericcio continuo e il linguaggio sgrammaticato
ed osceno. Mi sembrano studenti. Uno dei ragazzi ha una piccola borsa dalla quale spuntano
alcuni libri, ma non so di cosa si tratti. Forse sono
iscritti a qualche facoltà inutile, come scienze
delle comunicazioni, la fabbrica degli inoccupati.
Vorrei spostarmi, ma non ci sono posti liberi.
Devo sopportarli fino a Bologna per un’ora. Sono
costretto a sentirli. Ed io che pensavo di riposarmi. Forse pretendo troppo su questi vagoni di
periferia. I loro dialoghi sono un po’ in codice e c’è
anche il loro trambusto o meglio il loro ansimare
un po’ bestiale. Siamo a qualche decina di centimetri e quindi quello che succede non puoi non
vederlo od intuirlo. Si sente la ragazza fremere
sotto il poncho: si intuisce che è masturbata dal
giovanetto accanto che ad un certo punto infila anche la testa sotto il telo riparatore. E qui
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Quasi integralmente. Rimango un po’ a fissarla,
ad osservare anche il suo gesticolare, le smorfie,
la mimica sgraziata del viso e in parte del corpo. E’ dunque una studentessa dell’Università.
Giovanissima. Sembra che abbia vent’anni. Magrissima, ma con un corpo un po’ abnorme per
le braccia troppo lunghe. I capelli a caschetto,
sporchi, non curati, mal tagliati. Nessun segno
di trucco. Naso a patata e labbra sottili. Le mani
sono tozze con due o tre anellacci dozzinali. Che
spesso fa scivolare dentro l’inguine per poi annusarle. Seno libero e inesistente, coperto da una
maglietta bianca sudicia. I calzoni sono jeans
sdruciti mezzi sbottonati, scarpacce di plastica,
superusate. Il corpo è puzzolente. Analogo il look
del giovanetto accanto con una barbetta a pieno
viso di stile ottocentesco, forse più per incuria
che per gusto. Quello accanto a me, anonimo, ha
sempre dormito. Forse non si conoscono nemmeno. La ragazza non alza mai gli occhi di fronte
a sé. O guarda l’amichetto o il soffitto della carrozza o il suo corpo, spesso toccandosi quasi con
piacere. La situazione della ragazza mi richiama
un antico ricordo letterario di Conversazione in
Sicilia. Con il giovane Elio Vittorini in viaggio
nella sua terra natia. In un treno di terza classe
trova una ragazza, tutta vestita di nero, accaldata (siamo in piena estate). I due sono silenti,
ma parlano i loro sguardi e i loro corpi, soprattutto quello della ragazza: capelli neri e lunghi,
il viso perfetto, greco, il corpo tutto fasciato che
ne evidenzia la sensualità e che esplode quando
accavalla le gambe con la gonna che si sposta
e si alza facendo scoprire le sue rotondità singolarmente bianche. Mentre assaporo queste
immagini, l’altoparlante annuncia che siamo
a Bologna. Mi ritrovo di fronte, invece, la ragazza anonima del mio viaggio. In stazione grida
all’amichetto. “Ci siamo. Andiamo: vieni con me
alle Due Torri”. E così i due ragazzi spariscono in
mezzo alla folla anonima che abbandona il treno.
Li vedo ancora per un attimo correre frenetici nel
sottopassaggio della stazione. Il viaggio è finito.
ani), che ogni tanto si incontrano sotto i portici,
sono lì, silenziosi, a chiedere l’aiuto al passante.
E il cittadino esercita pazientemente la sua misericordia. Invero il fenomeno che sta crescendo
sempre più nella città del benessere, quella che
il Card. Biffi ebbe a definire la città sazia, per
poi attirarsi contro tanti strali inopportuni. Era
stato lungimirante anche quando aveva scorto
che l’immigrazione scomposta stava diventando un pericolo per la quiete e lo sviluppo ordinato della città, che vivevano travolte le culture
radicate nella città, la fisionomia della storia,
l’abitudine e la qualità degli antichi bolognesi.
Nel mio percorso tra le antiche strade riscopro
altre situazioni di degrado: penso a tutti i pub
e al clima rumoroso, fracassone e assordante.
Musica altissima, sporcizia lasciata nei dintorni. Spesso offese e insulti a chi preferirebbe
nel passeggio un po’ di quiete e di educazione.
Se non compaiono i coltelli, a volte la persona
per bene rischia di essere presa a cazzotti. I
violenti non si distinguono per genere: maschi
e femmine sono identici. L’abbigliamento è una
scelta, un gusto personale, ma c’è spesso una
vera e propria divisa comune: giubbotti e calzoni
sdruciti per i maschi, gonne al pube e camicette
di stracci per le femmine. Nelle viuzze seminascoste c’è anche di peggio tra effusioni ed amplessi malamente nascosti anche in presenza
di giovinetti e di minori. E meglio tacere e girare l’angolo. Poi di mattina arriva la nettezza
urbana a spazzare i rifiuti indifferenziati. Il sindaco, forse, cerca di tenere pulita la città, i cartelli sono affissi sui cassonetti dell’immondizia,
ma i vigilantes dove sono nelle ore notturne del
divertimento? Gli straordinari costano troppo.
Forse qualche lettera appare sui giornali. Ma
il livello della città sta sempre più degradando.
Se poi ci spostiamo nel quartiere universitario,
la situazione diventa ancor più critica. Può darsi
che lì ritroverei i giovani punk del treno (si erano
dati appuntamento proprio lì). Così il cerchio si
chiude. Forse vale la pena (è una curiosità) ripassare nel quartiere. Quando abitavo lì c’erano
dietro il Comunale le macchinette scambia siringhe, gli spacciatori si affollavano a vendere
le loro “presine”. Facemmo petizioni e proteste,
Ma fu inutile. Qualcuno disse che veniva a studiare all’università proprio per questa libertà di
acquisto. Era il 1990. Non è cambiato niente.
Ed anch’io mi inoltro nella Bologna di tutti i
giorni, che conosco a menadito. Sono le strade
che dalla Stazione portano nel quartiere signorile del centro città. E cosi rileggo quelle vie e
quelle viuzze con ancora impressi i dialoghi e i
monologhi recentissimi sul treno, il degrado di
quei giovani precari un po’ sfarinati. Oggi faccio più caso alla gente che incontro, alla situazione del percorso urbano. La mia è una riflessione silenziosa, ed anche preoccupata.
Non c’è solo ogni centro metri chi ti vende un
giornale e poi ti chiede un euro e quindi un caffè:
tutti giovani aitanti, a volte di colore, con una
simil divisa gialla. Mentre i poveri (sempre anzi
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