Vie Storia Le della Rivista di studi e ricerche sulla storia cattolica e riformista 1 Maggio 2013 Bologna Dal Bollettino alla Rivista Dopo sette anni dal primo numero, il notiziario ha cambiato struttura, taglio e consistenza, passando da bollettino a rivista, con una foliazione che va sulla trentina di pagine ed una cadenza bimestrale. Ma non solo. Potrà essere letto e sfogliato direttamente sul nostro sito www.leviedellastoria.weebly.com (che è in costruzione e che sarà completato alla fine di giugno) che permetterà anche di avviare un colloquio, un contatto interattivo tra il giornale e i lettori: un modo per arricchire e ringiovanire la nostra informazione. Nasce dunque un nuovo giornale. In che senso? Il precedente notiziario era l’anticipatore delle nostre ricerche, del lavoro di studiosi che intendevano affrontare nodi soprattutto storici dalla religione all’urbanistica, dalla scuola all’arte, dalla narrativa alla cultura. Anticipazioni, nel contempo, originali, prodotte e realizzate dai nostri studiosi. E’ una linea che intendiamo continuare. Con una novità sostanziale. Non più un giornale semplicemente specializzato, bensì un giornale che vuole creare opinione, inserendo molte più voci e interviste. Un modo per essere presenti nell’attualità, nel vivo dei problemi in una fase critica del- la società, anche bolognese. Ma vogliamo guardare anche al panorama nazionale, ricercando le connessioni tra le due Italie ancora divise, quella del Nord e quella del Sud. Cosa troviamo, allora, in questo primo numero? Non può mancare una riflessione sui nodi dell’attualità politica, della sua moralità e del potere, della partecipazione, oltre ad un approfondimento sui temi della democrazia digitale, ma anche su quelli cruciali del welfare, della qualità dello studio e dell’insegnamento, delle grandi aperture che sta mostrando ancora la Chiesa bimillenaria con il nuovo Papa Francesco. Spazio anche al mondo della cultura, focalizzandoci sull’arte, da quella sacra a quella del Novecento. Ancora un ritaglio sulla religione e sui suoi grandi personaggi, ma anche l’aggiornamento sulle nostre ricerche e iniziative che ci tengono continuamente impegnati. Il tutto garantito anche da firme di qualità e di esperienza. La direzione Vi e Storia Le P OLIT ICA Crisi dei partiti e dello Stato. La lezione di Napolitano della Con l’incarico a Enrico Letta un governo per riparare i danni economico - sociali. I sussulti quasi golpisti dei grillini e le contraddizioni del Partito democratico. Un attentato a Palazzo Chigi Rivista di studi e ricerche sulla storia cattolica e riformista IN D IC E p. 2 - Un luogo a Bologna per onorare Padre Pio p. 21 p. 4 - L’epopea di Padre Pio raccontata da vicino p. 23 - Puglia: prime riforme innovative nel wellfare p. 6 - In rete nasce l’occhio critico sulla vita e sui fatti p. 25 - L’epopea del Sud a fumetti p. 7 - Da Benedetto XVI a Francesco, il pastore della gente p. 8 - Il mestiere di avvocato in una città del benessere p. 11 - Una storia organica della scuola per capirne le contraddizioni p. 13 - Crisi dei partiti e dello Stato. La lezione di Napolitano - Integrare i territori per crescere. Ci provano nel foggiano - Una mano pittorica ispirata da Padre Pio p. 15 - Novecento. Arte tra le due guerre in Italia p. 17 - Roberto Pinza nuovo presidente della Fondazione CaRisp Forlì p. 18 - Indirizzi dei cattolici forlivesi nel secondo Novecento p. 19 - Periferia: un viaggio in treno e la ragazza con il poncho p.27 Leviedellastoria_Diretta News 40124 Bologna – Via Castellata,8/3 Reg. Tribunale di Bo n.5630 del 30/08/1988. Stanpa in prorio Direttore Responsabile Carlo Vietti Coordinatrice redazionale Giusy Ferro Comitato di Indirizzo p. Giuseppe Montesano, Federico Casrellucci, Nicoletta Gandolfi, Antonio Rubbi Collaboratori Marilena Bevilacqua, Franca Macrini, Rosanna Ricci, Antonino Russo, Giorgio Versari Interventi di Antonio Ciccone, Michele Crisetti, mons. Vittorio Formenti, Carlo Macrini Giorgio Napolitano Carlo Vietti Franco Marini Il Partito democratico. Doveva essere il partito riformista: questa la convinzione unanime fino alle ultime elezioni. Non solo. Anche un partito capace per il suo pragmatismo, i programmi (in particolare il welfare, la partecipazione e i diritti) e la sua coerenza storica, di contenere e di sconfiggere il liberismo esasperato. Un lungo e articolato percorso - in questi anni - che metteva insieme le culture democratiche di provenienza comunista e cattolica. E’ invece esploso di fronte al fenomeno grillino. Le culture laiciste e massimalistiche che si erano mimetizzate dentro il Pd sono infine venute allo scoperto. Sul Carlino ad esempio, dopo l’exploit di Grillo, una forte area di nomenclatura (che occupa i posti del potere e del sottopotere locale) si è rivelata apertamente: “Abbiamo votato per Grillo”. Una doppiezza di stile leninista. Ma quanti di questi sono stati presi a calci nel sedere dal mite segretario locale Donini? Come lui ha trattato i fedifraghi romani contro Prodi, quando un quarto dei deputati ha preferito Grillo a Prodi (il fondatore e l’ispiratore dell’ulivo e dei democratici)? In realtà contro Prodi c’è stata tutta l’insofferenza anche degli ex-comunisti di liberarsi dall’abbraccio soffocante del “gesuita” Prodi. esplicita all’ora di religione; la estremizzazione della cultura abortista e contro il diritto alla vita. Nella cultura, poi, i fondi concessi ai progetti più effimeri e stravaganti sempre venati da un sottofondo anticattolico e antiriformista. La spesa pubblica incentrata ancora sul gonfiamento degli organici e delle sovvenzioni alle strutture collaterali o amiche con un ridotto sostegno a favore delle fasce sociali più povere. Non è cambiato, dunque, l’impianto tradizionale di un partito che favorisce strutture o iniziative collaterali per acquisire il consenso politico ed elettorale. Un consenso che perpetua un personale eterogeneo in virtù di una militanza politica genericamente di sinistra. Ma c’ è un altro elemento che ha trasformato la cultura della sinistra. Il metodo del successo individuale ha integralmente occupato soprattutto la militanza più giovane formata dai miti e dagli esempi della tv berlusconiana (amoralità, mancanza di saldi valori, individualismo esasperato, la cultura del denaro, la concorrenza, la marginalità della fede, la disgregazione della famiglia). La natura del Partito. Qual è la riflessione necessaria su questo Partito democratico? Intanto il nodo del potere, che consente ed ha consentito di sommare le aspirazioni più disparate, ma soprattutto di celare gli antichi estremisti: che ogni tanto rispuntano. Pensiamo ad esempio alla rincorsa ideologica di NichiVendola e alla sua idea di sinistra astratta (sempre minoritaria e sconfitta dalla storia: vedi il Che Ingroia, il dipietrismo, etc.); alla polemica anticattolica sempre latente: il caso del referendum (a Bologna) contro il sostegno pubblico alle scuole cattoliche; l’ ostilità Un nuovo partito riformista. Mentre la crisi attanaglia il paese, non è possibile dilettarsi con internet o pensare di costruire una nuova democrazia basata sul digitale. Quando è nata la radio, si pensava di essere tutti assorbiti dalle onde elettromagnetiche? Oggi il nodo non è quello di concentrarsi sugli strumenti tecnologici, bensì sui problemi concreti. Ecco lo spartiacque nel campo politico. Abbiamo raccontato la storia di un riformista possibile (bolognese) Armando Sarti. La sua lezione diventa attuale non solo per il metodo, ma per le cose concrete da fare. Con le recenti vicende elettorali e la 2 scelta del (nuovo) capo dello stato è esploso il caso del Partito democratico, un partito, un aggregato (una consorteria? ormai) nel quale convivono troppi partiti. Qual è il fine del progetto riformista. Partito di governo? Non riesce ad uscire dal dualismo lotta - governo. Di qui la sua inaffidabilità. Ma molto dipende anche dalla qualità, dal profilo dei dirigenti ai quali manca una cultura di governo, forse perché è un partito troppo abituato a raccogliere tutti. Non c’è spessore di governo e neppure visione e vocazione nazionale. Eppure la lezione dell’antico comunista Napolitano e della sua marcia verso l’essere statista avrebbe dovuto essere chiara! digitale. Il sistema comunicativo si sta orientando verso l’informatizzazione Ma non può mancare la partecipazione diretta, personale. Almeno il 60 - 70 % della popolazione può rimanere esclusa per scelte personali e culturali, per ragioni economiche, per formazione, etc. Il mezzo non può diventare l’ostacolo, la barriera alla partecipazione. Già negli anni Sessanta i rivoluzionari contrapponevano l’assemblea diretta al voto, come oggi la comunicazione digitale a quella personale, al voto. Anche questa è una prevaricazione antidemocratica. Il presidente Napolitano. Un antico riformista di matrice comunista. La sua storia ne testimonia la grande concezione democratica, il rispetto delle regole del confronto e della dialettica democratica. Ed anche il senso profondo dello Stato, una concezione super partes che ha dimostrato nonostante le sue antiche provenienze. Un ruolo che sta facendo crescere l’Italia e la sua democrazia, seguendo le tendenze (ormai prevalenti) dell’elettorato verso un nuovo assetto istituzionale democratico, dopo la fine della guerra fredda e il superamento delle divisioni tra i vecchi blocchi ideologici. Napolitano ha rivalutato la politica, la nobiltà della politica sconquassata dagli odi ideologici e di potere, dai personalismi. Sulla sua figura si sono avventati anche mass media come la Repubblica e il Fatto quotidiano continuando la loro aspirazione ad essere giornali - partiti. Un presidente presidenziale? Un presidente che ha colmato il vuoto dei partiti politici e la loro incapacità ad assumersi responsabilità di governo. Un prefigurazione di quello che potrebbe essere anche il nuovo futuro assetto istituzionale? Il suo discorso alla Camera, dunque, un intervento da perfetto statista, una figura che dovrebbe ricevere il Nobel per la democrazia. E’ l’epilogo di un riformista che è passato attraverso la guerra fredda e che ha visto il superamento della contrapposizione ideologica tra gli antichi blocchi politici mondiali. Quale classe dirigente. Il nodo riguarda tutti i partiti, il loro trasformarsi in forme di consorterie, prive di spinta ideale e politica per concentrarsi sempre più sulla mera gestione del potere. C’ è poi un assurdo contrasto tra giovani e anziani spesso mascherato da un conflitto politico per l’occupazione del potere ed anche dalla presenza sul mercato di larghi strati di giovani, precari e disoccupati, frutto e nati dalla singolare concezione che l’acculturazione (l’università di massa) fosse una scelta per occupare i giovani, per protrarre il loro status provvisorio, senza preoccuparsi di creare le premesse per una vera occupazione: cioè nuovi modelli economici, nuove opportunità di lavoro. Il fenomeno Grillo. C’è una parte consistente (25%) di elettorato che lo ha scelto per l’inconcludenza della politica e che ha abbandonato i partiti tradizionali. Ma c’è anche la crescita, l’ingrossamento di un movimento che sta assumendo caratteri oggettivamente eversivi. Anche nella terminologia e nel linguaggio (vaffanculo, bastardi, puttanieri, etc.) che demonizza e dileggia gli avversari e le stesse istituzioni. Poi c’ è l’ideologia e il comportamento del grillismo: “Gli altri devono votare le nostre proposte, i nostri programmi”. Una visione totalitaria che ricorda precedenti storici degli anni Venti e Trenta in Italia e Germania (ricordiamo anche le benevole parole della cittadina Lombardi nei confronti delle cose buone di Mussolini). C’ è anche la gestione interna del movimento: richiama la letteratura di Orwell e i suoi manichini di uno stato totalitario oggi controllati da un grande fratello digitale che diventa l’ossessione degli iscritti e in particolare dei deputati. Non possono parlare autonomamente con gli altri, possono comunicare (e non sempre) solo le proprie proposte, non c’è discussione con gli altri partiti o con i giornalisti. Una visione completamente al di fuori non solo della storia democratica, ma anche della filosofia umana di vita: il dialogo, il confronto. Il guru Grillo pensa, sulla tastiera, di dirigere tutti gli altri, di giudicare i comportamenti e di irrigimentare i suoi eletti forse, nascondendo, occultando anche i termini dell’eventuale dibattito interno. C’ è dunque una violenza totalitaria nei confronti di quelli che sono gli stessi aderenti al movimento. Un movimento pilotato, eterodiretto: cosa c’entra con la democrazia, con la Costituzione? Infine qualche dubbio sulle intenzioni vere di Grillo: per chi opera, in nome di quali interessi? I suoi siti segreti (economici) nei paradisi fiscali non sono stati ancora svelati. Agisce in nome e per conto di qualche potere?. Forse il mondo irreale di Ian Fleming (l’ideatore di James Bond) può offrirci qualche spunto curioso interessante, verosimile. Ricordate la Spectre e i suoi tentacoli finanziari - criminali? Direzione democratica. Franchi tiratori, rivalità, personalismi (la denuncia del sen. Franco Marini o di Dario Franceschini). Assemblee fasulle e riunioni come terapie di gruppo: sono sotto gli occhi di tutti grazie anche alle dirette streaming. Riunione della direzione nazionale del Partito, simile alle riunioni dei bolscevichi sul treno per Pietroburgo (nel 1917). Gli interventi oggi dei leader nel tradizionale linguaggio cifrato con i distingui capziosi: obbediamo a Napolitano, ma non ci coinvolgiamo con il Pdl. Cronaca. La giovane Serracchiani che chiede spiegazioni (?): Non ho capito le scelte e i voti su Marini e Prodi. Poi approvazione a larghissima maggioranza dell’ordine del giorni pro Napolitano, con voto frazionato. Poi fuori assemblea le ingenuità dei fedelissimi: la portavoce di Bersani (Alessandra Moretti, la sofisticated lady presa in giro sul Corriere da Aldo Grasso) con la sua candida cadenza veneta: “Ma io credevo che anche Rodotà fosse un compagno. C’e stato un difetto di comunicazione”. Governo. Crozza non è mai piaciuto, ma questa volta ha fatto ridere tutti sui torcicolli politici del Partito democratico, in particolare sull ’onesto emiliano Bersani. Ora vedremo come Enrico Letta riuscirà a dare una prospettiva nuova, all’ Italia. In pochi giorni ha costruito un governo qualificato con una larga presenza di giovani e di donne. Poi un attentato a Palazzo Chigi. Feriti due carabinieri. L’attentatore ha dichiarato: “Volevo colpire i politici” Ne parleremo la prossima volta. La democrazia. E’ vero siamo nell’ era della democrazia 3 P OLIT ICA LOCALE Integrare i territori per crescere. Ci provano nel foggiano Una forte domanda di partecipazione in tutta la Capitanata. Un modello per l’intera regione. La centralità di San Giovani Rotondo. I giovani e il fenomeno grillino Carlo Macrini Carlo Macrini, dirigente del Pd a San Giovanni Rotondo, ha ricoperto l’incarico di assessore alla cultura nell’ultima giunta di centro - sinistra. Animatore di progetti per dare un respiro ampio alla città di San Pio, impegnandosi anche per il gemellaggio tra Bologna e la sua città. In questo articolo cerca di delineare lo scenario della politica locale in un’area specifica e caratteristica della Puglia, la Capitanata, rivendicando la necessità di una integrazione tra territori per assicurarne lo sviluppo con una serie di osservazioni utili ad aprire anche una riflessione sull’avanzata dei grillini che hanno colto la sempre più forte richiesta di partecipazione dei giovani e non solo. il sistema in atto era ormai arrivato al limite, se a questo aggiungiamo la capacità istrionica del leader Grillo, l’ossessione comunicativa dei media rispetto alla novità, la stanchezza dei cittadini verso il governo Monti che avrebbe dovuto offrire risposte alla crisi e ha di fatto depauperato la capacità di spesa e di vita, il risultato – pur superiore a tutte le ipotesi ed aspettative – non poteva essere diverso. Come effetto domino il risultato positivo del M5S ha avuto una ricaduta anche a livello regionale quasi a voler punire i partiti del centrosinistra per il solo fatto di governare la regione. Oggi il M5S è divenuto una realtà concreta e presente anche sul territorio locale con una importante presenza di giovani che hanno visto nella novità della partecipazione diretta la possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero ed il dissenso verso una classe politica che, nella maggior parte dei casi, non è in grado di rappresentare nuove istanze ed è ancorata ad architetture organizzative e rituali molto spesso non in linea con la necessaria concretezza dei fatti. La situazione politica paga fortemente anche la crisi economica che non ha risparmiato neanche la nostra città che presenta ormai una forte riduzione delle presenze di pellegrini e la difficile situazione della Casa Sollievo della Sofferenza che, pur essendo una struttura sanitaria tra le più importanti ed all’avanguardia del territorio nazionale, attraversa un momento di crisi dovuta anche al mancato riconoscimento del ripiano delle perdite Devo dire che ho avuto qualche difficoltà nel rispondere ad una serie di domande alle quali, dall’esisto delle elezioni politiche, sto cercando di trovare un nesso logico. Il successo del M5S è stato il risultato più eclatante nella storia degli ultimi venti anni, persino la Lega che fu la novità nelle politiche del 1992 ottenne l’ 8,6 % , un dato clamoroso per l’epoca divenendo un importante riferimento nel panorama politico italiano. Allora eravamo in piena tangentopoli ed il risultato nacque anche da quella vicenda oltre alla capacità di radicamento sul territorio dei vari movimenti autonomisti del nord che avevano dato vita alla Lega. In questa fase elettorale, dopo il primo segnale alle Amministrative, il M5S ha goduto della incapacità di gran parte della classe politica di rendersi conto che 4 sostenute nell’erogazione delle prestazioni sanitarie e dell’adeguamento tariffario non automatico. In questo contesto non esistono ricette semplici ed immediate ma solamente la possibilità di rendere concreto il concetto di fare sistema all’interno di un territorio più ampio che nello specifico è il Gargano e la Capitanata; da troppo tempo si parla di sistema economico integrato e di sviluppo dell’area regionale ma poco o niente si è realmente costruito in questi ultimi anni. La Capitanata sconta una lentezza culturale rispetto alle altre aree regionali – barese e leccese – dove dinamiche di collaborazione tra istituzioni, enti e privati sono già in atto ed hanno offerto risultati importanti sia per la riconoscibilità del territorio che nella gestione dell’offerta dei servizi. Il nostro territorio provinciale ha inoltre grave difficoltà di collegamento tra le varie zone, sia per la conformazione geografica sia per una carenza infrastrutturale ormai cronica; la mancanza di un aeroporto funzionale in Capitanata ha limitato i flussi turistici e di fatto consentito di spostarli verso il sud della Puglia favorendo le zone di Bari e Lecce. Anche in presenza di queste enormi difficoltà il territorio può e deve avere la capacità di offrire accoglienza attraverso le proprie esperienze positive e attraverso una rete di proposte che non possono essere in competizione tra loro ma elementi sinergici di una più ampia offerta del vivere del territorio. In questo ambito anche le Amministrazioni comunali non sono pienamente integrate tra loro ma vigono ancora logiche di campanile che rallentano spesso ogni possibile iniziativa. Allora bisogna far comprendere a tutti che la soluzione delle problematiche di una singola realtà non sono più risolvibili attraverso i vecchi modelli economici, bensì è necessario riconoscere agli altri, i vicini, il ruolo di condivisione delle scelte che devono divenire scelte di ambito territoriale. Proprio in questo ultimo periodo alcune importanti novità si stanno affacciando sul territorio provinciale: la presentazione del progetto GuidiAmo la Capitanata un servizio integrato di guida del territorio che coordina le 194 guide abilitate per la Provincia di Foggia ideato dalla cooperativa sociale Sportservizitalia, patrocinato dalla Provincia di Foggia ed in collaborazione con le Proloco e l’associazione Fare Ambiente. Attraverso l’UNPLI (unione nazionale Proloco d’Italia) la realizzazione dei distretti di zona che vedono le Proloco costruire un soggetto unico che possa rappresentare le istanze delle aree rappresentate e mettere in atto quel concetto del fare sistema che solo fino al recente passato rappresentava una pura utopia; attraverso i distretti si potranno mettere in moto meccanismi di coinvolgimento delle Istituzioni come Università, Ente Parco, Comuni delle aree interessate e costruire una nuova identità territoriale attraverso le singole specificità; attraverso le Proloco e le associazioni che operano in collaborazione sarà possibile stimolare la partecipazione degli enti comunali e costruire la rete necessaria. Molto è in movimento ed a questo non potrà mancare la capacità di relazionarsi con le aree geografiche d’Italia da sempre vicine al nostro territorio per costruire importanti momenti di condivisone e progettare insieme nuove opportunità di relazione. SU D IT ALIA Puglia: prime riforme innovative nel welfare Ma a San Giovanni Rotondo prevale l’immobilismo politico e programmatico. I giovani scappano e il turismo religioso langue. Per governare la crisi bisogna utilizzare vere professionalità e non improvvisarsi tali Michele Crisetti La Puglia sembrava una regione felice, ordinata, grazie al governo dell’energico governatore Vendola. Invece lo scenario è drasticamente cambiato. Quali le ragioni viste dal di dentro della regione? mi 15 anni si sono succedute 5 amministrazioni di diverso colore politico, 3 di centrosinistra e due di centrodestra. Sono cambiate le “sigle” politiche ma i metodi di governo sono stati del tutto simili. Si è guardato troppo al presente, al vicino, ad operazioni di corto respiro. Solo che sommando il tutto si è compromesso anche il futuro. La regione Puglia, negli ultimi anni, ha investito molto su riforme innovative del welfare, non solo in termini economici, ma soprattutto in moderne forme di gestione dei bisogni che sapessero coniugare allocazione efficienti delle risorse e livelli di prestazioni di qualità. Quindi, grande merito va riconosciuto a chi ha saputo guidare questi processi. Però anche noi abbiamo dovuto scontare la negativa congiuntura economica che si è abbattuta su un territorio che soffre da decenni di mancata programmazione di infrastrutture e modelli di sviluppo (vedi caso Ilva) capaci di essere al passo con i tempi, si aggiunga che non ancora si è inciso in modo netto sul sistema clientelare (vedi scandalo sanità) che genera diffusa corruzione, vero e pesantissimo freno a qualsiasi ragionato e serio sviluppo culturale prima che economico. La crisi economica continua a coinvolgere anche la città del Santo. Cosa viene fatto per l’economia locale ma anche per rinvigorire lo spazio del Santo fuori dai confini locali? Mi verrebbe da dire nulla se solo si avesse piena coscienza della situazione. Ci si affida ad iniziative estemporanee sperando in un ritorno positivo con l’unico effetto di essere citati in qualche articolo giornalistico di testate locali. Non manca la buona volontà, manca l’utilizzo di professionalità, che pure ci sono, necessarie per governare processi complessi, come lo sviluppo turistico-religioso. In buona sostanza una volta eletti a Palazzo San Francesco (sede del comune) “miracolosamente” si diventa esperti di tutto. Occorre fare programmi articolati con un’ opera di interconnessione tra tutti i settori del governo cittadino e in una visione aperta a tutti e non autoreferenziale. Anche perché il tempo è scaduto e bisogna attrezzarsi per l’emergenza. Il turismo non vive di spontaneismo. Anche la tranquillità di San Giovanni è mutata. Il vento della contestazione ha raggiunto la città di Padre Pio, dove c’è il centro destra? Cosa è successo? Per San Giovanni Rotondo non parlerei di contestazione quanto piuttosto di affannosa e spesso inconcludente ricerca di stabilità politica. Negli ulti- 5 6 Parliamo dei giovani. Com’è la situazione? Cosa fa la pubblica amministrazione, compreso l’ospedale, da sempre il polo dell’economia locale? L’epopea del Sud a fumetti Una donna al centro della storia che rilegge la discussa questione meridionale C’è molto fermento, abbiamo talenti nello sport, nella musica, nella fotografia, nella pittura, nelle professioni, nell’imprenditoria. Alcuni di questi hanno anche risonanza nazionale. Spesso si tratta di ragazzi che hanno studiato fuori con risultati di assoluta eccellenza. Sono veramente una speranza. La pubblica amministrazione si accorge di loro “dopo” non “durante” con qualche eccezione come i Laboratori Urbani Artefacendo nati grazie al progetto regionale “Bollenti spiriti” dove si tengono attività musicali, di artigianato e di produzione di materiali multimediali, interamente gestiti da giovani e con ottimi riscontri in termini di iniziative e successo. Anche il volontariato vede impegnati molti giovani. Insomma sono fiducioso, sapranno fare meglio di noi. L’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” ha compiti diversi da una pubblica amministrazione nel senso che il suo settore è specifico, però si mostrato sempre molto attento ai giovani, sia pure in un contesto che è particolare, molti, infatti, sono gli studenti che partecipano a stages in modalità di alternanza scuola-lavoro presso l’ospedale. Il Sud a fumetti per raccontare l’epopea del Mezzogiorno dopo l’Unità d’Italia: un tentativo anche di rileggere la nostra storia nazionale, facendo parlare i protagonisti di questo tempo, anche per capire le radici e le ragioni delle attuali contraddizioni e del divario tra le due parti d’Italia. Un’idea nata quando cominciammo a studiare i rapporti tra il Nord e il Sud e le vicende storiche legate alla saga di Padre Pio e dei bolognesi. Il cinema ha dedicato qualche film alle vicende in questione, come il Brigante di Tacca di Lupo (con Amedeo Nazzari) ed ambientato nel Gargano. La storiografia si è a lungo esercitata a studiare questo intreccio con un approccio troppo “nordista”. Ora noi abbiamo ideato una figura femminile, simbolo del riscatto del Sud. Una donna, perchè le donne sono state grandemente protagoniste della storia del Sud, a cominciare nel dominio borbonico e poi all’epoca della Legge Pica (nell’Italia unita), una versione odierna della legge antiterrorismo (del Novecento). Non crede che ci voglia un grande programma di rilancio della vocazione religiosa di San Giovanni, con l’apporto di tutte le forze politiche, culturali sociali? Perché non fa una proposta in tal senso. Alla prima parte della domanda rispondo, molto sinteticamente, si. Questa città ha bisogno di riscoprire il suo essere comunità, lo sviluppo conosciuto in pochissimo tempo ha bisogno di essere ricondotto verso una programmazione più razionale e adatta ai tempi. Contemporaneamente non va persa l’identità che San Pio ha indelebilmente dato a questo territorio. Si viene a San Giovanni essenzialmente per pregare, intorno a questa importante realtà, per milioni di persone, bisogna costruire tutta una serie di spazi, eventi e servizi coerenti con il messaggio di San Pio. Se si perde di vista questo elemento centrale, come pure in parte succede, abbiamo perso il nostro essere riconosciuti e il nostro essere unici grazie al Santo e alle nostre radici, che non significa, va da sé, non essere al passo con i tempi. Si è scelto il disegno perchè consente di rendere più immediata e plastica la storia che raccontiamo, ma anche di personalizzare e di cogliere sfumature e situazioni che vogliamo narrare. Il Sud a fumetti è un’idea completamente nuova. Quindi a parte gli ambienti, le figure, la storia vogliamo raccontarla tutta noi. E’ un lavoro originale, un pezzo di letteratura storica raccontata col segno del disegno. Ed importante sarà anche l’artista che già da tempo lavora con noi. La protagonista è una donna perchè vogliamo recuperare il ruolo centrale svolto dalle donne nella storia del Sud. Non è una soluzione di genere per rincorrere la moda. E’ una scelta che si rifà alla storia vera del Sud. Non abbiamo una tesi precostituita. Vogliamo raccontare la vera storia del Sud, del predominio del Nord, della arretratezza del Sud ed anche della sua grande civiltà. Una storia resa emblematica – nel fumetto - attraverso l’esempio e la guida di una giovane donna che scopre i mali, i ritardi, i soprusi nel Sud. Abbiamo discusso a lungo ed abbiamo steso la traccia della storia. Ora stiamo cercando di precisare i personaggi, l’ambientazione, i particolari con grande fedeltà ai tempi e al momento. Un lavoro impegnativo ma, anche piacevole, avvincente. Stiamo discutendo come divulgarlo. Sicuramente questa è una storia che riguarda tutti, percìò crediamo di raccogliere contributi, suggerimenti, e dei sostenitori. Un lavoro difficile se si vuole un lavoro di grande prestigio. Giusy Ferro 7 AT T U ALIT A’ Da Benedetto XVI a Francesco, il pastore della gente Una svolta epocale (con i due papi). Duemila anni di storia, ma la Chiesa sa sempre rinnovarsi e in modo formidabile. L’elezione di Papa Francesco delude tutte le previsioni e spariglia gli schemi della storia secolare della Chiesa Benedetto XVI e Papa Francesco Mons. Vittorio Formenti invece ricordano le parole che un Vescovo tedesco, oggi Cardinale Karl Lehmann, aveva pronunciato in un’intervista poco dopo l’inizio del pontificato, affermando che Papa Ratzinger ci avrebbe abituato alle sorprese tra le quali, a suo dire, non sarebbe mancata quella delle sue possibili dimissioni in caso di inadeguatezza fisica al peso dell’incarico. Tutti noi facciamo fatica ad immaginare la rottura della tradizione ultramillenaria dei papi eletti a vita, che ha avuto pochissime eccezioni, peraltro non paragonabili con la situazione della Chiesa di oggi, ma il Codice di Diritto Canonico aveva già previsto tale possibilità. Chi ha vissuto accanto al Papa emerito, ricorda bene il suo incedere stanco degli ultimi tempi con l’ausilio di un bastoncino e la magrezza del suo volto scavato dalla fatica. Dunque non si deve affatto leggere tale decisione come volontà di rottura né, tanto meno, come scelta “divina” per scuotere la Chiesa, bensì come legittima decisione di lasciare la guida della barca di Pietro a forze più fresche e rinnovate. Vittorio Formenti, monsignore di curia (addetto alla pubblicazione dell’Annuario pontificio), con un ricco retroterra in Lombardia di cui conserva la grande praticità e l’attivismo, ci offre una riflessione sulle vicende che hanno portato alle dimissioni di Papa Ratzinger e alla elezione del nuovo Papa Francesco. A Mons. Formenti abbiamo posto una serie di domande per riflettere sul nuovo corso della Chiesa dei poveri prefigurata da Papa Francesco. In appendice presentiamo una breve scheda del recente libro di Massimo Franco che offre una panoramica ragionata sulle vicende che hanno sottinteso l’elezione del nuovo Papa. Una radiografia molto accurata che offre il respiro più ampio nel quale si colloca l’esprit della Chiesa romana. Un contributo prezioso e ragionato che cerca di collocare e di leggere la Chiesa nella crisi dell’Italia e dell’Occidente. Una sua riflessione, come uomo di fede e come membro della Chiesa, sulle dimissioni del Papa. Sono un atto di razionale “rottura” nella Chiesa moderna e/o una scelta”divina” per scuotere e rilanciare la Chiesa stessa? Le dimissioni del Papa, dentro la Chiesa struttura, come sono state vissute e interpretate? Il sentire che lei ha potuto cogliere direttamente, ma anche la sua opinione. Molti - troppi - tuttologi, opinionisti, gente comune, giornalisti sui media di tutto il mondo hanno inteso formulare dietrologie su una decisione che Papa Benedetto XVI aveva preso da tempo, dopo averne parlato come possibile opzione nel libro-intervista con Peter Seewald “Luce del Mondo” nel 2010. Pochi Se vogliamo ipotizzare un segno premonitore alla decisione, dovremmo tornare alle immagini di Papa Benedetto il quale, il 4 luglio 2009 deponeva il pal- 8 dimostrato di essere ancora una volta la protagonista mondiale per interpretare anche le aspirazioni moderne dell’umanità, dei suoi valori. Ma riconferma anche il suo predominio millenario? Cosa ne pensa? lio - uno dei segni della sua carica di Pontefice ricevuto al momento dell’elezione- sulla tomba di S. Celestino V a Sulmona, senza peraltro lasciarci influenzare dall’espressione dantesca relativa al “gran rifiuto”. Certo, tutti avremmo voluto che Benedetto, dopo un pontificato tutto in salita, dopo avere raccolto la difficile eredità del Beato Giovanni Paolo II, dopo avere affrontato con coraggio temi e decisioni che hanno profondamente inciso nel processo di pulizia della “sporcizia della Chiesa”, portasse a termine altre iniziative, come la riforma della Curia Romana auspicata da numerosi cardinali. Ma alle forze umane di una persona, anche se Papa, non si può chiedere l’impossibile. Lo spettacolo che ci viene quotidianamente offerto dalla prassi dei detentori di un incarico civile, politico o legislativo, raramente ci offre esempi di rinuncia spontanea al potere come ha fatto Benedetto. Certo, la Chiesa è anche potere, se rapportata alle sue istituzioni e strutture culturali, assistenziali, organizzative. Ma tutti dobbiamo riconoscere che tale potere rappresenta un servizio, con i relativi oneri connessi. Il Vangelo ci dice: “I poveri li avrete sempre con voi”. E, nel mondo, quale altra realtà organizzata oltre la Chiesa può dirsi all’avanguardia nell’offrire ai poveri le sue strutture, il valore e l’impegno di un volontariato generoso e disinteressato che si ispira al Vangelo, le forze di quattrocentoquindicimila sacerdoti, di oltre settecentomila religiose, di quarantamila diaconi permanenti, di oltre tre milioni di operatori pastorali impegnati in ben centoventitremila istituzioni di solidarietà e beneficenza? Il gesto del Papa propone una Chiesa che, al di là della sua natura religiosa, divina, si vuole immergere in una evangelizzazione, sempre più umana, concreta? Il tema dell’evangelizzazione è stato costantemente presente nel magistero di Benedetto XVI, ed ha fatto da sfondo alle sue tre lettere encicliche, ma soprattutto è stato trattato nei discorsi dei suoi ventiquattro defatiganti viaggi pastorali. Benedetto ha attestato con una caratterizzante espressione di gioia che la Chiesa, sia pure mediante una crescita dai ritmi lenti, continua a rappresentare il sale della terra, ma ha altresì preso atto che le cifre riguardanti le chiese della prima evangelizzazione, quelle grosso modo legate ai paesi occidentali, denotano uno scoraggiante processo di secolarizzazione. Per questo ci ha regalato due importanti iniziative. Una strutturale ed operativa: il nuovo “Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione”, l’altra, quale stimolo alla riflessione e alla preghiera, l’Anno della Fede, con la Lettera Apostolica “Porta Fidei” nella quale ci ha indicato la strada maestra da percorrere per riscoprire la bellezza del credere. La storia terrena della Chiesa, dalla sua nascita, si è intrecciata con le vicende storiche e le categorie della cultura occidentale. Come, secondo lei, tutto il mondo occidentale vive la scelta delle dimissioni del Papa, e come ne sarà influenzato? Il mondo occidentale si è affidato alla logica del profitto, di un benessere e di un consumismo fine a se stessi. Nella cultura corrente, dopo l’Illuminismo, ha finito per prevalere il primato di una ragione nemica della fede e sovente Dio è stato messo alla porta e relegato in ammuffite sagrestie. Né possiamo scordare i danni causati da due nefasti totalitarismi del secolo scorso, quando, in nome del prevalere di leggi razziali o di uno statalismo assoluto senza Dio due tiranni sanguinari hanno provocato macerie, anche materiali, ma soprattutto milioni di vittime innocenti. Ora ci accorgiamo, anche solo vivendo la crisi mondiale dell’economia, che tocca pure necessità primarie delle nostre famiglie, l’attualità delle parole evangeliche “non di solo pane vive l’uomo”. In questo senso dobbiamo ricordare Benedetto come un vero protagonista del pensiero alto e della coscienza retta, con l’auspicio che il suo gesto coraggioso di dimettersi aiuti tutti, credenti e non, a far riflettere su un domani nel quale Dio continui ad avere pieno diritto di cittadinanza, nel quale la logica dell’essere abbia la prevalenza su quella dell’avere e i principi dell’etica mettano al centro l’uomo e la sua dignità e non i surrogati di un liberismo sfrenato. Quindi gli incidenti terreni della Chiesa (dalla pedofilia allo Ior) sono stati per il Papa, sottile e agguerrito teologo, una specie di pretesto per rifondare la Chiesa e le sue basi costitutive? Non parlerei di “incidenti”, ma di dolorosa constatazione della natura teandrica della Chiesa, il cui volto splendente è quello di Cristo che l’ha fondata, ma le cui membra sono inficiate dalla dimensione del peccato, anche gravissimo, che ne deturpa l’intero corpo. Si tratta di peccati peraltro enfatizzati dagli operatori dei media, ai quali può fare comodo puntare il dito verso un capro espiatorio - in questo caso la Chiesa stessa - senza pensare che una mostruosità come la pedofilia, oppure l’uso del denaro secondo una logica di mero profitto, hanno discepoli in tutte le categorie dell’umano. Da questo punto di vista Benedetto non si è mai nascosto dietro le parole, affrontando con un coraggio indomito situazioni che hanno comportato anche incisioni dolorose nel corpo della Chiesa. La Chiesa, cioè, in questo modo si candida a guidare anche il futuro delle società terrene e le sue fondamenta cristiane spesso affievolite nell’ultimo secolo? La Chiesa, con la scelta delle dimissioni papali, ha La Chiesa grida il suo diritto di essere presente nel- 9 la società non in forza dell’esercizio di un potere, ma in forza della missione affidatale da Cristo: “Andate in tutto il mondo…” E ci va nonostante la sua missione sia contrastata, nonostante il numero dei martiri continui a crescere, forte dell’imperativo “non abbiate paura” e della certezza che “le forze del male non prevarranno”. viaggi pastorali del Beato Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, soffre tuttavia ancora di gravi problemi sociali che necessitano di una rinnovata at tenzione ai problemi dei poveri delle favelas, degli emarginati, dei tanti “meninos da rua”. Un Papa Latino-Americano rappresenta sicuramente la speranza di una nuova vitalità di iniziative per lo sviluppo e la crescita umana e cristiana di tali Comunità. C’è quindi un rilancio della spiritualità per ridurre il materialismo anche tecnologico che assedia la religione, la società umana e i singoli individui? Uno stile nuovo, quello di Papa Francesco, emblematico anche nel nome e nella figura della storia della Chiesa. Come sarà vissuto questo stile immediato, diretto, proprio dentro la Chiesa istituzione, a Roma? Formuliamolo come auspicio e affidiamolo, anche con la nostra preghiera, all’impegno del nuovo Papa, al quale auguriamo di saper parlare al mondo con il linguaggio di Dio, non disgiunto dalla capacità di comunicare con un sapiente linguaggio umano portatore di speranza e comprensibile da tutte le persone. Papa Francesco, fin dal momento dell’elezione, ha sparigliato schemi rituali e comportamentali legati alla storia secolare della Chiesa, ma ha subito fatto capire la sostanza del suo annuncio: i po. veri innanzi tutto rappresentano per lui la continuità di un impegno pastorale portato avanti come Arcivescovo a Buenos Aires con l’essenzialità degli strumenti evangelici nell’annuncio del regno: “andate senza bastone e senza bisaccia”. Ora lo attendono le sfide della nuova evangelizzazione già enucleate dal predecessore Benedetto. Le novità del suo stile di vita vanno di pari passo con le parole che, giorno dopo giorno, lasciano trasparire la sua capacità comunicativa, semplice, essenziale, comprensibile da tutti. Colgo, fra le tante, una sua provocazione lanciata ai giovani “Non lasciatevi rubare la speranza!”. In un mondo dominato dalla logica del profitto, del potere politico ed economico, dalla presenza ancora di tante armi di distruzione di massa, ci sentiamo tutti, giovani e anziani, destinatari di quel messaggio. Che tuttavia, esige il nostro apporto, fatto di preghiera per Francesco, Vescovo di Roma, dotato di un solo potere: quello del servizio. Auguri, Padre Santo Francesco! Il Conclave si è concluso rapidamente con l’elezione di un nuovo Papa che testimonia l’attenzione della Chiesa ai problemi cruciali del mondo odierno, come la povertà, le sofferenze, gli ultimi. Una Chiesa quasi come un faro per l’umanità e i suoi problemi anche concreti, quotidiani? Una volta ancora il credente legge l’elezione di un nuovo Papa con gli occhi della fede, e conclude che i criteri di scelta dello Spirito Santo non corrispondono con quelli dei giornalisti. E, tuttavia, la scelta di un Pontefice scelto dai Cardinali “ai confini del mondo” risponde ad una logica dell’attuale distribuzione geografica della Chiesa. L’America conta la presenza di circa la metà dei cattolici nel mondo, per cui era prevedibile che la scelta del nuovo Pastore potesse essere orientata a premiare un continente ove le comunità cristiane sono presenti da oltre cinque secoli ed organizzate in riferimento ad una fede radicata e vissuta. La scelta dell’America Latina, meta di vari 10 I L P E R SO NA G G I O Il mestiere di avvocato in una città del benessere A colloquio con Guido Clausi Schettini. La lezione degli avvocati Alberto Zoboli e Filippo Sgubbi. Dal satanismo al caso Delbono: l’intensa attività di un avvocato vincente Devo dire che la clientela dell’avvocato penalista è abbastanza eterogenea. Una frase scherzosa in uso tra colleghi lo accosta, infatti, alla donna di malaffare che va con tutti e, in genere, si fa pagare in anticipo. Battute a parte, ritengo che tutti i clienti ed i loro casi siano unici e singolari e, in tal modo, mi approccio agli stessi. E’ indispensabile ascoltare le persone ed usare un po’ di psicologia, anche al fine di comprendere come tutelarle nel modo migliore. della riviera romagnola per accertare chi aveva dipinto un quadro di contenuto esoterico, che aveva un notevole rilievo processuale. In ogni caso, la preparazione del difensore gioca un ruolo decisivo, anche per il rapporto che, grazie alla stessa, può instaurarsi con il Pubblico Ministero e con il Giudice. Bologna è una piazza adeguata per emergere nel suo campo, o meglio per adeguare e affinare la professione? Qual è il livello medio degli avvocati? Ci riveli se lei ha una tecnica, una metodologia particolare nell’affrontare casi e processi. Ci faccia eventualmente un esempio. Ritengo che il livello medio degli avvocati bolognesi sia elevato. Per me il confronto dà certamente la possibilità di affinare la professione. Ritengo che sia indispensabile lo studio approfondito del caso. Occorre avere perfetta padronanza della vicenda per poterla calare nel contesto normativo. Quando il procedimento penale è in corso si deve partire dall’esame del capo d’imputazione, per poi procedere alla disamina dei singoli atti d’indagine. Guido Clausi Schettini Processi politici anche a Bologna. Lei è stato protagonista di uno degli ultimi. Come l’ha vissuto? Ci dica cosa le ha insegnato questa vicenda. Racconti quello che può. Che cos’è un processo politico? Se con tale definizione si intende un processo che coinvolge un uomo politico quello di Flavio Delbono lo è stato. L’unica differenza con altre vicenda analoghe per il tipo di accusa consiste nella visibilità e nella conseguente esposizione mediatica delle parti e dei difensori. Questi ultimi non devono sostituire i propri assistiti, anche nei rapporti con i giornalisti, in quanto il processo resta sempre della parte e non deve diventare una vetrina per il difensore. Naturalmente, può essere utile, ove possibile, un’opera di consiglio e mediazione, anche rispetto a certe esternazioni “d’impeto”, alle quali, peraltro, deve stare attento anche il difensore, magari dopo un’udienza particolarmente combattuta. Com’è la sua situazione di difensore nel processo? Ci sono dei limiti, dei condizionamenti rispetto all’accusa? Che ruolo ha la preparazione e l’intraprendenza dell’avvocato? Ci faccia qui un esempio concreto. Intervista di Nicoletta Gandolfi Mi sono così laureato in diritto penale, con una tesi sui reati di sospetto, sotto la guida del prof. Filippo Sgubbi ed ho avuto l’onore di discutere il mio lavoro davanti alla Commissione presieduta dal compianto prof. Franco Bricola. Bologna annovera una lunga sequela di processi e di figure del foro. In qualche modo appartiene anche alla sua storia e alla sua scelta professionale? Per la verità no, in quanto la mia scelta professionale è avvenuta negli anni della maturità. Devo però riconoscere che, essendo mio padre avvocato, sin da bambino ho avuto occasione di conoscere numerosi suoi colleghi, con i quali vi erano anche rapporti di frequentazione familiare. Tra questi ricordo, in particolare, gli avvocati Nicola Chirco, Roberto Landi, Achille Melchionda e Alberto Zoboli che, poi, è stato il mio maestro. A volte, quindi, i discorsi potevano cadere su casi di cronaca giudiziaria. Ci parli del suo primo processo. Come lo ha vissuto, come si è concluso, cosa le ha insegnato? Il mio primo processo fu come parte civile davanti al Tribunale di Bologna nei confronti di una banda che aveva rapinato un furgone porta valori. Si ipotizzava anche la complicità del capo scorta, che infatti sedeva sul banco degli imputati in stato di custodia cautelare insieme agli altri. Ricordo che l’avv. Zoboli mi presentò al Presidente del Collegio, mi mise la toga, come una sorta di investitura, poi mi lasciò piena autonomia nella gestione della vicenda. Posso dire che la sua fiducia non era stata mal riposta, perché il Presidente alla fine del processo, che richiese molte udienze, gli fece i complimenti per come mi ero comportato. Tra l’altro, la causa si concluse con la condanna dei responsabili e il conseguente risarcimento del danno alla parte civile, con sentenza poi confermata nei successivi gradi di giudizio. Quali le ragioni del suo mestiere? Ci racconti come è nata questa sua professione e come l’ha vissuta? Come ho detto, la mia scelta professionale è nata e si è sviluppata all’interno di un ambiente certamente favorevole essendo avvocati mio padre e mio nonno materno (ed anche mia madre è laureata in legge). Ritengo che tale situazione abbia influito indirettamente (poiché nessuno dei miei familiari l’ha sollecitata) sulla mia scelta, per cui ho vissuta la professione come lo sviluppo di un percorso, per così dire, naturale. La mia decisione si è poi consolidata negli anni dell’Università, con lo studio delle discipline penalistiche, che mi hanno particolarmente appassionato. E’ in grado di tracciare un identikit dei suoi clienti? C’è una filosofia dei clienti o sono tutti unici, singolari? Quindi come ha dovuto approcciarsi? 11 Indubbiamente, la parità tra accusa e difesa che dovrebbe essere alla base del processo penale entrato in vigore nel 1989 non si è pienamente realizzata. Peraltro, in questi anni sono stati fatti dei passi avanti (si pensi alla disciplina delle indagini difensive). A volte, il difensore deve sopperire con il suo impegno alla sproporzione delle forze in campo. Ricordo, ad esempio, il processo contro i satanisti che si svolse a metà degli anni novanta e nel quale erano impegnati per la Pubblica Accusa numerosi investigatori e consulenti tecnici. Insieme all’avv. Nicola Chirco svolgemmo personalmente diverse indagini difensive e, così, girammo diversi negozi di animali per verificare dove e quando era stata acquistata una tarantola o ci recammo in un paese Nicoletta Gandolfi Il tribunale di Bologna 12 SCUO L A Una storia organica della scuola per capirne le contraddizioni Una nuova storiografia che riscriva la storia della scuola come storia sociale. Un primo tentativo fatto da Dina Bertoni Jovine, cinquant’anni fa. Una rilettura critica per riformare sulle esigenze reali la scuola dell’autonomia e dei precari Giusy Ferro era prioritario, come pressante era lo scontro tra conservatori e progressisti, una storia della scuola era storia dell’educazione, di analisi pedagogiche e istituzionali. Una storia costruita sulle esigenze delle classi dominanti. Col tempo è emersa invece la rilevanza dei suoi attori: gli insegnanti da una parte, gli alunni e le famiglie dall’altra. Cosicchè la scuola si è andata collocando sempre più nella dimensione sociale e territoriale, strettamente legata alla storia del costume italiano, delle famiglie, del vivere sociale. Una scuola oggi, quella dell’autonomia, che sposta il suo centro sul territorio cercando l’osmosi con l’istituzione. In quest’ottica precipuo diventa il lavoro dello storico, che richiede un gran senso di responsabilità per muoversi nell’immenso e variegato materiale che si può reperire sulla scuola. Oltre alle fonti normative e delle correnti pedagogiche, non si può tralasciare la documentazione amministrativa (registri di classe, note, verbali, circolari etc.), che percorre, dal di dentro, l’evoluzione scolastica sulla dimensione economico – sociale, oltre che su quella pedagogico - didattico, fino ad arrivare all’altra documentazione (temi, lavori di classe e di gruppo, esperienze didattiche) che rileva la crescita culturale, l’evoluzione della società e dei singoli. E sicuramente una scuola attiva e partecipata, che vuole migliorarsi, dovrebbe fare tesoro di tanto materiale che serve da analisi dei percorsi fatti e convalida dei risultati. Ma il loro utilizzo presup- Cento cinquant’anni di storia della scuola, un anniversario recente (2011) sul quale non c’è stata ancora una riflessione globale, e neppure sulle differenze tra la scuola del nord e la scuola del sud. Differenze mai affrontare negli studi sulla scuola unitaria. Una distinzione forse utile a capire anche le sue contraddizioni attuali, la meridionalizzazione del personale operativo e degli insegnanti, oltre alla sua prevalente femminilizzazione. Una analisi che potrebbe aiutare a comprendere anche le contraddizioni del sistema scolastico, la sua tortuosità, la realtà di un sistema che per oltre cent’anni è stato offerto alle élite e non all’intero paese, diventando scuola di massa solo nell’ultimo ventennio del trascorso Novecento. Quindi il sistema scolastico italiano sta attraversando un forte momento di crisi, dove la programmazione economica la fa da padrona su quella educativa. Considerarla come uno qualsiasi degli enti che la pubblica amministrazione deve gestire è davvero limitante. E le sue esigenze di riforma, se devono essere serie, richiedono una visione di insieme della sua natura, del suo ruolo di organizzazione votata alla crescita culturale e formativa di una comunità e di un paese. E la centralità del sistema scolastico emerge se si parte da una storia della scuola. Ma di quale storia deve dotarsi per non essere nuovamente ridotta a interpretazioni parziali? Dagli albori della scuola pubblica italiana, quando il compito di costruire una identità nazionale 13 pone la costituzione strutturata e responsabile di archivi appositi che tutt’ora mancano del tutto. Una storia della scuola così intesa, che diventa parte della storia sociale, davvero si fa strumento prezioso per riforme ponderate e ben impiantante. Pioniera, in Italia, in questo tentativo è la Storia della scuola italiana dal 1870 ad oggi (Edit. Riuniti giugno 1958) di Dina Bertoni Jovine, che racconta la realtà scolastica non quale semplice appannaggio dei pedagogisti; animata dal più ampio clima del dopoguerra di promozione degli studi storici per l’esigenza di fare i conti con la passata esperienza del fascismo, la Jovine fa propria la lezione di Gramsci, che volendo mettere a punto una nuova linea politica per la promozione della scuola di massa, incoraggia nuovi studi interpretativi per lo studio della storia sociale italiana. La Jovine offre quindi il suo speciale contributo di specialista dell’educazione per un più autentico discorso sulla scuola, nella convinzione che per una sua adeguata riforma si debba partire dalla conoscenza delle radici storiche dei problemi da affrontare; la Nostra ripercorre la storia della scuola italiana attraverso l’intreccio della storia della pedagogia con quella istituzionale - politica e sociale. Vi è infatti un primo tentativo di individuare le esigenze e i contributi dei singoli attori della scuola, seppur ancora non ben definiti e semplicisticamente accorpati senza molte sfumature. Il lavoro della Jovine è significativo perché è uno dei primi tentativi, con questo nuovo criterio, di sintesi della storia della scuola in Italia, prendendo in considerazione il periodo che va dalla Legge Casati fino agli anni Cinquanta del secondo dopoguerra. Metodologicamente innovativo, il libro non inserisce nella cornice istituzionale le correnti pedagogiche, ma inverte il percorso individuando tre macroaree pedagogiche, quella del positivismo, dell’idealismo e del pragmatismo, e all’interno di questi quadri descrive l’evoluzione scolastica dalle scelte istituzionali alle reazioni e alle esperienze del corpo docente e delle classi sociali. Poche sono state le ricostruzioni successive che han- no seguito questo criterio, mentre oggi si rende necessario, per la storiografia contemporanea di settore, un lavoro in questa direzione, ancor più significativo per la nuova scuola dell’autonomia e del territorio. In sostanza, quanto l’idealismo gentiliano ha influenzato anche la scuola democratica, la politica della scuola sempre governata da ministri della Pubblica Istruzione, come espressione della DC, del ceto conservatore, tradizionale, e del sindacalismo autonomo di area cattolica? E’ forse necessario rileggere criticamente questi due periodi storici per analizzare gli elementi di continuità e di prevalenza nella cultura scolastica della tradizione umanistico - retorica rispetto alle correnti del pensiero scientifico, una dicotomia che è sempre rimasta presente nella lunga storia repubblicana. Mentre nel contempo nasce una scuola di massa (una diffusa scolarizzazione) non solo relativamente agli studenti, ma anche la contemporanea crescita del fenomeno insegnanti come esercito di precari, sottopagati e sottoqualificati, che assegnano la scuola italiana agli ultimi posti, almeno in Europa. Quindi una scuola generatrice di precari in tutti i sensi che inondano l’università (con la crescita di enormi deficit) e che producono insegnanti di modesto livello. Situazione che la Jovine (ferma alla metà degli anni Cinquanta), non poteva oggettivamente conoscere. Un libro, il suo, che offre un impianto essenziale, preciso, erudito, stimolante, una base cioè per completare la storia fino ai giorni nostri. Molti studi specialistici esistono sul mercato ma quello di Ermanno Gorrieri sulla giungla retributiva (siamo a metà anni Sessanta) propone una tesi realistica ma contro corrente rispetto alle tendenze prevalenti: la necessità della scolarizzazione non passa attraverso l’acquisizione della laurea, bensì attraverso un percorso elaborato sulla base delle reali necessità della società. Un messaggio in apparenza antipopolare, ma una possibile soluzione per garantire la piena occupazione e con un capitalismo non distorto dall’eccessiva finanziarizzazione, che invece ha portato all’attuale crisi e recessione. 14 mia intuizione nella sua alta spiritualità e conoscenza del Cristo – un vero uomo del Vangelo. L ’ A R TI STA Una mano pittorica ispirata da Padre Pio L’intervista ad Antonio Ciccone, il celebratore raffinato ed originale del Santo di Pietrelcina. Quasi un modello per gli artisti che si occupano di arte sacra. Luoghi e immagini del Gargano fanno da cornice alla sua spiritualità Non c’è a San Giovanni un museo delle opere dedicate a Padre Pio. Cosa ne pensa? Non c’è un vero e proprio museo delle mie opere su Padre Pio – ma ci sono diverse collezioni private in San Giovanni Rotondo: Teleradio Padre Pio, Fondazione Casa Sollievo della Sofferenza, Hotel Parco del Marchese di Canistro Onofrio. Spero un giorno il Comune di San Giovanni Rotondo si decida a costruire un classico/contemporaneo museo! ANTONIO CICCONE PERCORSO DELLE OPERE VISITABILI AL PUBBLICO A SAN GIOVANNI ROTONDO Chiesa di Sant’Onofrio - Piazza del Carmine Antonio Ciccone – cartone per La Natività – 1986 – carboncino e brace/tela su tavola – m 3x5,30. (L’affresco La Natività si trova a Ponte Buggianese (PT) nella sala delle adunanze del santuario di Nostra Signora del Buonconsiglio). Banca Cooperativa Cassa Rurale ed Artigiana - Viale Kennedy, 11 Antonio Ciccone – Composizione 1992-1993 – acrilico/tela su tavola – m 2,55x3,07. (Quest’opera fu eseguita “per La Cassa Rurale ed Artigiana di San Giovanni Rotondo nel 75° dalla fondazione” ). Chiostro Comunale Antonio Ciccone – La Resurrezione – 1988-2006 - tecnica mista – m 8,50x4,20. (Opera donata al Comune dalla famiglia Dal Lago). Biblioteca Civica “Michele Lecce” - Via dei Cappuccini, 16 Antonio Ciccone – Ritratto di Michele Capuano – carboncino – cm 100x70; ritratto di Francesco Paolo Fiorentino – 1989 – carboncino – cm 100x70; ritratto di Giorgio Dal Lago – 1988 - carboncino – cm 100x70 (donato al Comune di San Giovanni Rotondo nell’occasione della presentazione dell’opera La Resurrezione); ritratto di Antonio Tedesco – 1992 - carboncino – cm 100x70 e alcune litografie. Collezione dei Padri Cappuccini Antonio Ciccone – collezione di opere su Padre Pio – anni 1971-77c. (Info. Tele Radio Padre Pio - Viale Cappuccini, 99 0882 413113). Autoritratto di A. Ciccone Convento dei Frati Minori Cappuccini “Santa Maria delle Grazie” - Sala San Francesco Antonio Ciccone – San Francesco d’Assisi – 1959 – affresco – m 3,20x2 Battistero Antonio Ciccone- Resurrezione – 1962 – affresco – m 3x5 Battistero; Antonio Ciccone – Le Stimmate di San Francesco – affresco – 1964 Hotel Parco del Marchese di Canistro Onofrio - Contrada Coppe – Case Nuove Tel. 0882 418032 (telefonare per appuntamento) Fax 0882 450364 Antonio Ciccone – Collezione di opere recenti su Padre Pio P. Pio e il Gargano di A. Ciccone Antonio Ciccone Ci racconti in breve come è nata la sua vocazione artistica e ne descriva anche le tappe salienti. scimento. Mi sento in armonia con la città. Adoro la sua architettura. Sono nato con una forte vocazione al disegno. L’ambiente ispirazione? Raccontò Antonio: <<Ai primi del 1953 facevo l’imbianchino, il pastore, il lattaio e, a parte, dipingevo e disegnavo qualsiasi cosa mi trovassi davanti. Avevo 14 anni. Sapendo che gente di tutto il mondo ricercava Padre Pio per averne consiglio, pensai di andare a trovarlo per confessarmi ed esporgli il mio desiderio di studiare pittura. Finita la confessione, aprii il rotolo di disegni, di acquerelli e di schizzi fatti con la brace e glieli mostrai. Padre Pio specialmente si soffermò su un’enorme testa di un crocefisso ripresa dal Guercino, la guardò intensamente, posò la sua mano stigmatizzata sulla mia testa, e mi disse, con quella voce caratteristica di padre affettuoso: Porta pazienza e vedrai che un giorno, presto, la Divina Provvidenza ti aiuterà. E prega il Signore - >>. (Tratto da Padre Pio di Antonio Ciccone p. 18). che sente di più qual è per la sua Il mio ambiente preferito è il mio studio dove lavoro da solo. Disegno e dipingo con le diverse tecniche acquisite: ricordi, immagini, colori e spazi sui monti del Gargano! Le sue origini sono a San Giovanni, la città di Padre Pio: quanto la vicinanza, l’esperienza hanno influenzato la sua figura, la sua cultura, le sue opere? L’influenza di Padre Pio è stata ed è molto forte dato che l’ho conosciuto da ragazzo e sento molta gratitudine per essere stato incoraggiato a persistere e ad avere fiducia nel lungo cammino dell’arte. Qual è il senso delle sue opere non religiose? C’è sempre una contiguità con queste? Con l’aiuto di Padre Pio, l’anno seguente mi trovai a Firenze a studiare arte negli studi di Pietro Annigoni e Nerina Simi. Tutto ciò che esprimo nella mia arte è legato al senso dello Spirito della creazione. Le ragioni della sua sede attuale a Firenze: c’ è una motivazione specifica? Come ha interpretato, come legge Padre Pio anche rispetto ad altri colleghi? Ho studiato arte a Firenze. Amo i maestri del Rina- La mia interpretazione di Padre Pio è secondo la 15 16 Opere di A. Ciccone: P. Pio - Comprensione; Tania e Oliver; sopra La Natività A R TE Novecento. Arte tra le due guerre in Italia Una miscellanea nazionale di grande prestigio (e con i nomi più belli) raccolta ai Musei San Domenico di Forlì. Architetti, pittori , scultori e grafici pubblicitari, partendo dalla classicità, danno una nuova immagine della realtà Rosanna Ricci 17 miti e protagonisti della prima metà del Novecento secondo 14 sezioni divise per temi per dimostrare come gli artisti cercavano di guardare alla classicità. Infatti si va dal culto della patria all’ascesa e caduta dell’immagine di Mussolini, dai grandi cantieri tra monumentalismo e razionalismo alla Italia rurale. Altre sezioni riguardano l’aeropittura ossia l’Italia vista dai cieli, l’arte grafica tra pubblicità e consenso, un popolo di artisti: artista e artiere, le maschere e quindi il gran teatro della vita, il mito classico. il popolo del mare , il culto del corpo e l’ideologia dello sport, la moda, la maternità e infine il male di vivere. Inquietudini, queste ultime, che sfociarono con Guttuso e Manzù in urla di dolore per gli orrori della seconda guerra mondiale. La mostra intende allontanare ogni sospetto di revisionismo e portare invece in luce ‘la grande carica innovativa e l’altissimo livello artistico da una parte – le parole sono di Antonio Paolucci, presidente del comitato scientifico - e tecnico artigianale dall’altra che gli Italiani seppero raggiungere in quegli anni.’ Troppo spesso, purtroppo, l’aver associato molti artisti al regime fascista li ha lasciati in ombra e non sono stati studiati col dovuto distacca e la necessaria attenzione. Biglietto: intero 10 €, ridotto 8 €, speciale 4 €. Orario di visita: da martedì a venerdì 9,30 -19; sabato, domenica e giorni festivi 9,30 -20. Lunedì chiuso. Dinamica dell’azione di Prampolini dopo il secondo conflitto mondiale. In questo periodo il letterato Massimo Bontempelli diede vita alla rivista ‘900 identificando la nascita della nuova cultura proprio dopo la prima guerra mondiale. La simmetria degli oggetti, la classicità delle forme si rifà ai modi dell’arte del 1400. Esemplare è l’opera che apre la mostra: ‘La città ideale’ 1480/1490 attribuita ad un pittore dell’ambito di Piero della Francesca: tutto questo per dimostrare che molte opere si rifanno all’arte rinascimentale compresa anche l’architettura. A questa nuova immagine della realtà si rivolgono gli architetti, pittori e scultori, ma anche i grafici pubblicitari come dimostrano i manifesti (ad esempio Bitter Campari, Auto Balilla) realizzati in quegli anni. La nuova armonia tra antico e moderno ebbe rappresentanti illustri come Felice Casorati, Carlo Carrà, Achille Funi, Mario Sironi, Arturo Martini e Adolfo Wildt ( a cui è stata dedicata una grande mostra lo scorso anno) i quali, grazie anche a Margherita Sarfatti, cercarono un’arte che poteva essere coerente con la situazione politica del momento. Fu celebrata la mitologia fascista attraverso soprattutto la scultura monumentale, la pittura murale e l’architettura pubblica . Queste forme furono anche l’espressione più evidente di quel periodo che ebbe la massima considerazione nelle opere urbanistiche ed architettoniche. Nella mostra sono presenti non solo gli artisti che aderirono ai programmi del regime partecipando ai concorsi e La prestigiosa sede dei musei San Domenico di Forlì ospita fino al 16 giugno la più grande retrospettiva dedicata all’arte della prima metà del Novecento, periodo tanto controverso e poco conosciuto. La mostra, dal titolo ‘Novecento. Arte e vita in Italia tra le due guerre’, è l’ottavo evento espositivo promosso dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con l’Amministrazione Comunale forlivese. Curata da Fernando Mazzocca con la collaborazione di Stefano Grandesso, Maria Paola Maino, Ulisse Tramonti, Anna Villari e coordinata da Gianfranco Brunelli, l’esposizione ha lo scopo di indagare sulla produzione artistica di quegli anni (architetti, pittori, scultori, grafici, pubblicitari, orafi, creatori di moda) ma anche sulla vita quotidiana. Fu in quegli anni che avvenne il cosiddetto ‘ritorno all’ordine’ dopo la decadenza delle ‘avanguardie’. In questo modo la mostra offre la possibilità di una visione a tutto tondo per capire qual era la realtà di quegli anni e che cosa di questa realtà è rimasto oggi. ‘Il Novecento – ha osservato Piergiuseppe Dolcini, presidente della Fondazione - è stato il secolo delle grandi ideologie, delle forti e drammatiche contrapposizioni, del comunismo, del fascismo, del movimento cattolico, del socialismo, del liberalismo. Un secolo buio, di grandi sofferenze, ma anche illuminato dalla luce forte della democrazia, nelle aspettative e nelle speranze, dai forti contenuti sociali.’ La mostra prende l’avvio dal primo dopoguerra e si conclude alle pubbliche commissioni, ma anche quelli che cercarono un nuovo rapporto fra tradizione e attualità come dimostrano le oltre 450 opere esposte. Le sperimentazioni di quegli anni furono varie: si passò dal realismo magico ai miti del Novecento fino alla metafisica come dimostrarono i maggiori protagonisti del tempo: Severini, Carrà, Casorati, Balla, Depero, De Chirico, Cagnaccio di San Pietro, Oppi, Dudreville, Dottori, Donghi, Campigli, Sironi, Funi, Guidi, Conti, Sbizà , Ferrazzi, Prampolini, Maccari, Rosai, Soffici, Guttuso . Notevoli furono anche le sculture come quelle di Biancini, Andreotti, Baroni, Martini, Thayaht, Rambelli, Messina, Manzù, Drei. Gli autori quattrocenteschi che ispirarono gli artisti del Novecento furono soprattutto Giotto, Mantegna, Piero della Francesca e Masaccio che divennero modello anche per quegli artisti, come Picasso e Derain, che avevano scomposto la figura con forme cubiste ricomponendola poi secondo la classicità della tradizione italiana. In quel periodo anche gli oggetti della vita quotidiana si inserirono nella stessa atmosfera di ritorno al classico come avvenne in Cambellotti e Pagano a cui vanno aggiunti i gioielli creati da Alfredo Ravasco senza poi dimenticare anche gli aspetti della grande moda italiana negli abiti e nelle calzature. Il professor Fernando Mazzocca ha più volte sottolineato che la mostra va vista tenendo presente Forlì. Roberto Pinza e’ il nuovo presidente della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì Il nuovo Consiglio di amministrazione della Fondazione si e’ insediato i1 7 maggio e ha provveduto ad eleggere Roberto Pinza come presidente e direttore di Legacoop Forlì - Cesena; Monica Fantini come vice presidente. Nel prendere possesso della carica, Pinza ha proposto la costituzione a breve delle commissioni consultive che saranno chiamate ad operare sin dalla prossima settimana, quando avra’ luogo la prima seduta pienamente operativa del Cda. Il presidente ha infatti sottolineato “la necessita’ di valutare con urgenza ogni possibile intervento in grado di rafforzare, anche con soluzioni innovative, l’azione della Fondazione in campo economico e sociale, così da incidere, nei limiti del possibile, sugli effetti che la crisi comporta a danno del sistema territoriale, a partire dalle famiglie e dal mondo del lavoro e delle imprese”. Il primo a congratularsi con Pinza e’ il presidente della Provincia Massimo Bulbi (Pd): “Alla soddisfazione particolare nei confronti di un protagonista della nostra storia recente, locale e nazionale a cui mi lega un forte rapporto trenten nale, si unisce il plauso per le modalita’ ampiamente democratiche e partecipative con cui gli organi di governance della Fondazione, ben rappresentativi del territorio, sono giunti alla sua designazione”. Dopo “la lunga e lungimirante guida di Piergiuseppe Dolcini”, conclude Bulbi, “con Roberto Pinza giunge al vertice un uomo d’indiscussa esperienza amministrativa, giuridica, economica e politica”. Pinza e’ stato eletto dai membri del Cda Fabrizio Fornasari, dell’accademia dei Benigni di Bertinoro, Massimo Balzani, direttore di Unindustria Forli’ - Cesena, Enzo Cortesi, presidente di Cna Forli’ Cesena, la stessa Fantini di Legacoop, l’imprenditrice Costanza Zannoni, la presidente di Domus Coop Angelica Sansavini, il chirurgo Giorgio Maria Verdecchia, il docente universitario Filippo Cicognani. Sottosegretario al ministero del Tesoro nel primo governo Prodi e nel primo governo D’Alema, Pinza, avvocato civilista, e’ stato deputato e senatore e ha fatto parte del secondo governo Prodi come vice ministro all’Economia e alle Finanze. 18 R I CE R CA Indirizzi dei cattolici forlivesi nel secondo Novecento Una storia intensa dall’Opera dei Congressi al volontariato. Il magistero ecclesiale e l’impegno dei cattolici nella politica, nel sociale e nella cultura con eminenti figure quali Mattarelli, Melandri, RuffIlli, Valli e una vasta rete di sacerdoti Abbiamo escluso un racconto cronachistico anche perchè ne esistono diversi e di pregio. Vogliamo offrire in un saggio completo, ragionato anche a più voci cosa hanno significato i cattolici e come intendono muoversi nel futuro locale e forse nazionale. Per questo offriremo la nostra ricerca ad una ventina di saggi ed esperti per raccogliere rilievi, osservazioni ed anche eventuali contributi. In tal modo speriamo di offrire un caposaldo significativo nelle vicende storiche dei cattolici. Successivamente potremmo afforntare anche singole figure ed eventi in modo da realizzare una vera e propria biblioteca a più voci sulla storia e sulle realizzazioni dei cattolici. andranno studiati attentamente anche per la eterogeneità delle opinioni e dei risultati conseguiti. C’è una originalità dei cattolici con il grande impegno nel sociale e nel volontariato. Cosa significa? Nel forlivese si sviluppa in modo particolare la nascita della cooperazione e del volontariato: e quest’ultimo diventa una delle caratteristiche principali dell’impegno dei cattolici. Un fenomeno sul quale concentreremo l’analisi e al cui interno nascono significative figure come Annalisa Tonelli ed altre. Un volontariato che si orienta verso il mondo della scuola (con Lamberto Valli), della cooperazione, della comunicazione, (don Pippo). Esperienze che cercheremo di leggere in una visione unitaria, perchè connotano in modo forte l’impronta dei cattolici moderni, contemporanei. Qual è la partenza del vostro saggio? La centralià della Chiesa come istituzione a cominciare dagli inizi del secolo, quando è ancora operante la Rerum Novarum e l’Opera dei Congressi. Poi analizzeremo il ruolo e le scelte dei vescovi in rapporto alla politica e al sociale e quindi la nascita dei movimenti collaterali, dalle Acli a Comunione e Liberazione e alle loro figure principali come Salvatore Gioiello e don Francesco Ricci. Cosa vuole significare questa ricerca sui cattolici forlivesi? Intanto evidenziare un contributo imporante nella realtà storica e sociale della Romagna e ricostruire anche l’originalità della loro identità compreso la rilvalutazione delle figure più significative e del contributi nazionali di Roberto Ruffilli, Gino Mattarelli, Lamberto Valli e Leonardo Melandri. Che c’è quindi un’anima, un riferimento anche storico nel cattlicesimo democratico forlivese. Inoltre che c’è un modello, un esempio di come i cattolici con la scelta del sociale, del volontariato hanno prefigurato un modello di società, di ruoli delle classi sociali, di partecipazione importanti per costruire uno Stato moderno, democratico e partecipato. Una riflessione che vuole aprire, cioè, un dibattito e un approfondimento storico, culturale e politico. Sul piano politico come analizzerete il ruolo e la politica dei cattolici? Antonino Russo Un recente quaderno-intervista al forlivese don Erio Castellucci sulla famiglia e sulla pastorale sociale nella sua città ci ha consentito un breve screening sul fenomeno cattolico in una provincia di radicate tradizioni repubblicane e della sinistra. In realtà c’erano già state ricerche sulle coop bianche, sulle casse rurali, sulla cultura e sul volontariato a Forlì. E’ nata cosi l’idea di una ricerca storica complessiva sui cattolici a Forlì. Ne parliamo con Giusy Ferro, una delle ideatrici del progetto del gruppo TempiNuovi. tre esiste una ricca pubblicistica settoriale, cronachistica oltre ad una interessante memorialistica. E non solo di fonte cattolica. Questo materiale, pur pregevole e utile sul piano documentario, non risponde al nostro assunto, su chi sono i cattolici e qual è stato il loro ruolo, che sono gli interrogativi ai quali vuole rispondere il nostro studio. Cosa vi ha spinti a studiare il fenomeno dei cattolici in una provincia romagnola? L’abbiamo circoscritto al secondo cinquantennio del Novecento per due ragioni essenziali. Una, di carattere storico, in quanto la prima parte del secolo appartiene definitivamente alla storia, anche se contiene germi importanti che si svilupperanno successivamente, mi riferisco all’entrata nel sociale dei cattolici dopo la Rerum Novarum. E’ chiaro che tutti quei riferimenti entrano nei cattolici moderni, ma dobbiamo collegarli al ruolo che questi svolgono direttamente anche e soprattutto nella politica. Quindi ci siamo concentrati sul secondo cinquantennio del Novecento più vicino all’oggi, ben attenti a saper leggere e interpretare figure ed eventi abbastanza ravvicinati e a cercare di mantenere una scrupolosità politica oggettiva e storica. Il cuore principale riguarderà la Democrazia Cristiana che ha avuto esponenti importanti, come Gino Mattarelli, Leonado Melandri e Roberto Ruffilli. Figure che hanno caratterizzato i cattolici nella loro azione politica in sede locale, regionale e nazionale. Entreremo anche nel particolare di come hanno influenzato la politica locale quando si è avviato negli anni Sessanta il primo cemtro sinistra fino alla successiva evoluzione politica che ha portato alla nascita del Partito popolare e all’ultimo impegno politico dei cattolici. Periodo ed esperienza che Lo studio, che periodo temporale intende abbracciare? Proprio l’originalità di quella terra ove il mondo cattolico ha dovuto convivere e confrontarsi con altre due importanti movimenti, quelli della sinistra in senso lato e quelli dell’area repubblicana che qui ha avuto le sue radici storiche. Fenomeni che hanno reso, appunto, originale il ruolo dei cattolici e che, abbiamo scoperto, è ricco di figure, di eventi e di fatti che vanno raccontati Qual è la metodologia che intendete seguire nella vostra ricerca? Intanto abbiamo compiuto una accurata analisi bibliografica per ricercare le fonti dell’esistente, traendone una prima conclusione. Manca una valutazione d’insieme della storia dei cattolici, men- La vostra sarà una ricerca, un saggio di interpretazione, di lettura ragionato del fenomeno cattolico? 19 20 I NI Z I A TI VE Un luogo a Bologna per onorare Padre Pio Il gemellaggio con San Giovanni Rotondo e i rapporti col frate di Pietrelcina nascono a Bologna nel 1919, con una saga di fedeli petroniani. Il prof. Tito Malfatti pensa alla piazza di Porta Saragozza come luogo dedicato al Santo getto della intitolazione delle strade, individuando la zona (sotto l’area del santuario e della Casa Sollievo della Sofferenza). Alla prima giunta ne è poi subentrata una di segno opposto e nonostante i ripetuti solleciti, la preparazione di programmi concreti per avviare la loro realizzazione, il progetto (largamente apprezzato dai cittadini, dal mondo ecclesiale e dalla stampa) non riesce ancora a decollare. Abbiamo mosso anche le forze sociali, imprenditoriali e culturali per un programma di iniziative; la Regione ha persino già dato il patrocinio (regione che con il presidente Vendola aveva firmato il primo album e sostenuta l’iniziativa del gemellaggio). A questo punto si è pensato di riprendere l’iniziativa da Bologna. Nella presentazione di uno dei libri sui bolognesi a San Giovanni Rotondo, al Collegio San Luigi, il futuro sindaco Virginio Merola lanciò lui stesso l’idea di intitolare un luogo a Bologna. Ora rifacendoci anche a quella proposta iniziale stiamo organizzando un programma di eventi per dotare la città, capitale della devozione per Padre Pio già dal 1920, come ebbe a definirla l’allora arcivescovo card. Nasalli Rocca. “Non girava tanto attorno alle cose, andava dritto ai problemi con un linguaggio semplice e una terminologia napoletana, popolare (ricordiamo che era nato a Pietrelcina). Tuttavia emanava un fascino che catturò tutti noi. Ci accorgemmo che la fede aveva trovato un autentico diffusore, che incuteva la fiducia nella fede e in Cristo. La gente non poteva sottrarsi al fascino delle sue parole oltre che alle opere che stava realizzando. Infatti in quegli anni stava realizzando la Casa Sollievo della Sofferenza e stava animando i gruppi di preghiera come mezzi per la diffusione della fede. L’aveva ricavata dalla predicazione di Pio XII che nel mezzo della guerra volle suscitare l’importanza della fede e della preghiera”. La conclusione di questo rapporto? “Nacque una lunga amicizia che andò avanti fino alla scomparsa di Padre Pio, con mio padre che divenne il suo otorino di fiducia e che raccoglieva anche le sue confidenze delle cose belle e delle traversie che incontrava sulla sua strada” Bologna ha già una statua dedicata a Padre Pio, ma non ha ancora una via o una piazza. Perché dunque un luogo intitolato a Padre Pio a Bologna? Piazza di Porta Saragozza - Bologna San Giovanni Rotondo Franca Macrini edificata la Casa Sollievo, una ex-imprenditrice che ha tessuto le file dei nascenti gruppi di preghiera e la fede nei confronti del santo e delle sue opere. Il libro di Vietti e Ferro fu una delle prime iniziative messe in cantiere a San Giovanni dalla locale giunta di centro sinistra (e dal sindaco Giuliani), come quella di intitolare una decina di strade ai principali eminenti bolognesi autori di questo rapporto con Padre Pio. Una ricerca addirittura che ha coinvolto gli studenti di due scuole (il Collegio San Luigi e l’Istituto Amaduzzi) che hanno scavato nella storia locale, ricostruendo eventi, figure e personaggi. Il fenomeno ha assunto un carattere popolare, con il coinvolgimento dei cittadini e degli studiosi. Di queste ricerche venne a conoscenza lo stesso papa Benedetto XVI nella sua visita a San Giovanni Rotondo nel 2010. L’iniziativa ha coinvolto altri studiosi e artisti, come la giovane e valente disegnatrice Rachele Ferro, che ha illustrato i numerosi libri e i materiali per mostre ed eventi nel corso di questi cinque anni. Finalmente si è decisi di passare dalla prima fase della conoscenza e della promozione dell’idea al tentativo di lasciare anche qualche segno visibile e concreto, oltre l’aspetto delle ricerche storiche e culturali, della raccolta delle testimonianze. Il progetto si muove dunque su de piani. Uno a San Giovanni Rotondo, il centro, il cuore della devozione a Padre Pio. La giunta di centro sinistra con l’allora assessore alla Cultura Carlo Macrini impostò infatti il pro- Una via a Bologna per Padre Pio, l’appello giunge dal Comitato per il gemellaggio tra Bologna e San Giovanni. L’dea è nata cinque anni fa nel 2008. quando fu pubblicato l’Album Padre Pio tra Lercaro e Marella, la prima ricerca curata da Giusy Ferro e Carlo Vietti che ricostruisce i rapporti storici e di fede tra le due città a partire dal 1919. Da questo progetto sono nate in seguito una serie di ricerche originali per approfondire le ragioni e i protagonisti di quella che abbiamo definito la saga di Padre Pio. Di questa saga si è parlato grandemente sulla stampa locale e nazionale. Il Resto del Carlino, La stampa e il Corriere della sera hanno seguito tutte le successive pubblicazioni contribuendo ad aumentare la conoscenza sui particolari rapporti tra le due città e riuscendo a ricostruire anche quel grande e numeroso fiume di bolognesi che si è trasferito a San Giovanni Rotondo e che ha operato per la realizzazione delle opere del santo di Pietrelcina. Come pure grande spazio viene dedicato al ruolo assunto da Padre Marella nell’alimentare i rapporti tra le due città e al contributo dato alle opere di Padre Pio, costituendo una specie di avamposto a San Giovanni organizzato dalle donne del frate bolognese. Anche questa una storia nella storia che ricostruisce un aspetto innovativo con Padre Pio e in particolare il suo rapporto con le donne, tra le quali ricordiamo anche la famosa Maria Basilio (la torinese della Venchi Unica, la fabbrica della cioccolata) che donò nel 1937 il terreno sul quale fu 21 “Penso che si possa intitolare quella Piazza a Porta Saragozza dove si trova, appunto, la statua di Padre Pio. Non scontenteremmo nessuno”. Lo chiediamo al prof. Tito Malfatti, antico sostenitore di Padre Pio: la vita sua e della famiglia si è infatti intrecciata con quella del Santo. Malfatti ci ha rilasciato la seguente testimonianza. Ora dovremo organizzare il progetto. Pensiamo quindi di predisporre un depliant con le tappe principali della storia di Padre Pio e della sua devozione, con i libri pubblicati e poi presentare l’idea in modo formale: pensiamo al Collegio San Luigi, ove abbiamo svolto altre manifestazioni. Il tempo adatto potrebbe essere a fine giugno, in modo da avviare realmente i progetti del gemellaggio, cominciando ancora una volta da Bologna. Forse questo revival del Santo a Bologna può servire a vincere una certa apatia nella città, e a contrastare le pedanti iniziative contro il finanziamento alle scuole private materne (pur difese dal Comune). Sta infatti crescendo un clima anticlericale frutto del malessere diffuso, di una crescente disgregazione della tradizionale devozione bolognese. “Siamo nel settembre del 1948 e con mio padre (il prof. Giovanni) ci dobbiamo recare a Bari per un convegno medico (mio padre è esperto in odontoiatria). Già nell’immediato dopoguerra era esploso il fenomeno Padre Pio. In tutta Italia si parla del frate di Pietrelcina, compreso la rossa Bologna. I giornali raccontano delle sue opere e a San Giovanni Rotondo inizia l‘epopea della nascita della Casa Sollievo della Sofferenza. Anche noi in famiglia cogliamo l’occasione di incontrarlo e conoscerlo”. Ci parli del primo incontro? “L’incontro con Padre Pio non fu certo formale e non ci furono particolari e lunghi permessi da richiedere. Lo incontrammo semplicemente nel convento. Ci parve subito un frate alla mano, con le sue mani bendate (i segni delle stimmate). Le formalità furono ridotte al minimo. Noi eravamo incuriositi di fronte a quella figura concreta, forte, popolare che parlava un linguaggio diretto, immediato, che scrutava come per penetrarti, per capirti subito. Mio padre spiegò brevemente la sua devozione e la sua storia. Io ascoltavo attento, assorto. Mi colpì la sua immediatezza, la sua decisione, la sua franchezza”. Può darsi che Padre Pio aiuti i bolognesi. Comunque non più manifestazioni occasionali, ma un ciclo annuale di eventi nella società e nella scuola. Riportiamo la fede attiva anche dentro le scuole. Lanceremo questi temi anche nel prossimo sito che Leviedellastoria sta preparando. In che senso Prof. Malfatti? 22 R E L I G I O NE L’epopea di Padre Pio raccontata da vicino Il libro di Padre Alimonti. Un frate vicino al futuro Santo che offre con grande cuore una nuova testimonianza collettiva sul frate di Pietrelcina vanni offrendo a Padre Pio una giornata di digiuno: “Avevo con me solo acqua e pane. Mi comparve di notte e mi chiese cosa avevo portato. Non cercava il cibo, ma cercava me. Parlando di Gesù e del Paradiso. Alla fine mi accarezzò il viso”. Gli episodi sono dunque tantissimi e meritano tutti di essere letti e meditati. Padre Alimonti ricorda ancora la meraviglia della nascita di Padre Pio a Pietrelcina fino alla sua adorazione per l’arcangelo Michele. Man mano che si citano gli episodi di vita vissuti si vorrebbe, quasi, trascrivere tutto il libretto per coglierne l’intimità della sua fede assoluta in Dio e in Padre Pio. Poi abbiamo gli altri due volumetti con una breve presentazione di fra Mariano Di Vito, direttore della Voce di Padre Pio. I tre testi non sono il solito libro su Padre Pio, ma una raccolta di racconti, di tante situazioni che “si sono intrecciate con quella di un uomo, di un frate cappuccino e di un sacerdote che ha avuto il coraggio di alzare gli occhi al Cielo e di dire a Dio come faceva Mosè: - O perdona a questo popolo o cancellami dai libri della vita. -”. Sono dunque 112 ritratti delle principali figure legate a Padre Pio. C’è quasi tutto il gruppo dei bolognesi, da Alberto Del Fante che iniziò i rapporti e scoprì la figura di Padre Pio fino a Federico Abresch, a Maria Basilio, al Card. Lercaro. Ma ci sono dei vuoti. Mancano Carolina Giovannini, Padre Marella, i proff. Salvioli e Malfatti, l’on. Elkan e tanti altri. Ci sono comunque tutti i nomi noti della saga del frate: tra i tanti, Barbara Word, Beniamino Gigli, Carlo Campanini, Carlo Kiswardy. i Morcaldi, Brunatto, i Sanguinetti, Maria Pyle, Nina Campanile, Giovanna Rizzani; e poi tutti i religiosi come Carlo Maccari, Gerardo di Flumeri, Papa Woytila (e suor Maria Foresti?). Un lavoro dunque complesso, un insieme di ritratti che configura indirettamente una vera e propria storia a biografie di Padre Pio. Grazie anche ai Gruppi di Preghiera dell’Abruzzo e al Santuario Madonna dei Sette Dolori che hanno edito i tre libretti. Giusy Ferro Una nuova testimonianza sull’epopea di Padre Pio. Ne è autore padre Guglielmo Alimonti, un seguace del frate che ha cercato di offrire una sintesi, una raccolta di testimonianze di quelli che sono stati i fedeli di prima mano del Santo di Pietrelcina. La ricerca si compone di tre volumetti: I miei giorni con Padre Pio e altri due intitolati Vicino a Padre Pio. Testi che offrono un nuovo contributo autentico alla storia lunga e amplissima di Padre Pio e che consta di quasi duemila libri dedicati alla figura del Santo. La ragione? La scrive lo stesso autore nella presentazione: “Avrei continuato a tenere questi ricordi nel segreto del cuore, perchè mi piace vivere intimamente ciò che appartiene al mio intimo…ora però non potevo dire di no all’esortazione amorevole del vescovo Michele Castoro”. Il caso del colloquio con lo scultore Messina, per disegnare la nuova Via Crucis, dapprima riluttante (“Le mie mani non sono più adatte”), poi quando seppe che la richiesta era venuta dallo stesso Padre Pio rispose: “Se è cosi non posso dire di no, ma sarà Padre Pio a darmi la forza”. In altra occasione: “La sua pazienza e la sua bontà mi fortificavano. Più volte e più volte ha risposto alle mie richieste di aiuto. E Padre Pio mi ha ricordato: hai la fede, puoi pregare, devi seguire il dovere della fedeltà”. Il primo volume riporta una sessantina di episodi e riflessioni raccontate in modo chiaro e semplice e “provenienti tutte dal cuore”. Bisognerebbe trascriverle tutte. Possiamo, solo, spigolarne qualcuno, un piccolo florilegio per far capire l’animo di Padre Alimonti. “Stando vicino a lui provavo la viva sensazione che la Madonna coprisse anche me, quando avvolgeva la persona del Padre. Così maternità di Maria e paternità di Padre Pio mi riparavano insieme”. “Quando al mattino accompagnavo Padre Pio in sacrestia dove rimaneva in preghiera, fino alle cinque, io restavo in piedi: in quel mistico silenzio risuonò la sua voce: - Uaglio ma non ti puoi mettere a sedere?-.” Un giorno che Padre Alimonti era intenzionato a domandargli il perchè dei tanti impegni, rispose: “Non ti risparmiare”. “Il suo consiglio non era fare meno per far bene, ma fare tutto e fare meglio”, dice Alimonti. Leggiamo dunque. La bara di Padre Pio era circondata di garofani rossi, ma dopo poche ore non ce n’era più neppure uno: “Erano rimasti solo alcuni steli. Chiesero anche quelli e presto finirono”. Copertina del libro di padre Alimonti. Sopra, P. Pio circondato da giovani confratelli Un altro giorno Padre Alimonti partì per San Gio- 23 24 I NTE R NE T In rete nasce l’occhio critico sulla vita e sui fatti Aprire un dialogo interattivo sulla rete per fare opinione, ma anche per costruire insieme nuovi progetti editoriali e di cultura. Non una moda, ma uno strumento per fare comunicazione Un sito di servizio anche. Offerto a enti, imprese, istituzioni che vogliono entrare in contatto con professionisti della comunicazione. Un scelta anche questa? vita attiva della città e non solo. Nel sito pubblicheremo i titoli, una sintesi dei libri e alcune immagini. Libri che potranno essere richiesti alla nostra sede, ma che comunque si trovano nelle biblioteche cittadine, in particolare nei quartieri. La nostra esperienza nel campo della comunicazione aziendale, istituzionale ha una lunga tradizione con ottimi risultati con enti e imprese significative della città. Intendiamo offrirci dunque alle aziende ben disposti a progettare ricerche, studi e piani comunicativi. Tutti sapranno che c’è un ricco background di professionalità anche per rivalutare la comunicazione scritta (rispetto a quella digitale) che erroneamente si è persa nel mercato comunicativo, editoriale, forse perché i neofiti del digitale non riescono a cogliere anche la complementarietà tra i due mezzi comunicativi. E che comunque il mezzo a stampa non ha perso la sua centralità anche sul mercato pubblicitario. Ma molto dipende dalla creatività dei progetti. E la rivista dal titolo uguale a quello del sito che ruolo svolge? Abbiamo iniziato da sette anni a pubblicarla periodicamente, una volta al mese, un bollettino con il quale abbiamo trattato gli argomenti delle nostre ricerche, illustrato le nostre attività, con un occhio ai fatti più rilevanti della città ed anche nazionali. E’ stato ed è uno strumento utile, il primo collegamento con i nostri referenti che seguono le nostre attività. Un modo per essere presenti nel contesto culturale della città. Ora cercheremo di pubblicare la serie storica dei bollettini per offrire una ulteriore possibilità di conoscenza Nella vostra storia ci sono anche progetti di solidarietà come quello rivolto a Padre Pio. Ci sarà spazio anche per questi? Tra le vostre attività annoveriamo corsi e seminari sulla stampa e sulla comunicazione. Un settore che ha dato buoni risultati. Come pensate di proseguire? Marilena Bevilacqua stra storia e al nostro lavoro e quindi intendiamo far conoscere il nostro retroterra: una trasparenza per qualificarci ed evitare che il nostro sito sia un passatempo di precari, di dilettanti, di commercianti. Infatti sul mercato c’è di tutto e questo ingolfa le comunicazioni ed abbassa anche il livello e la qualità dei siti. Il nostro sito può essere una opportunità di conoscenza, una possibilità di impegno, un canale di lavoro e di solidarietà. Poi è chiaro che starà anche a noi comprendere chi abbiamo dall’altra parte. Ci sarà dunque un periodo di rodaggio. Ora Leviedellastoria correrà anche su internet: una scelta per moltiplicare i contatti e far conoscere di più il nostro lavoro di studi e ricerche, ma anche quell’attualità critica e ragionata che è stata l’altro motivo alla base della nascita della rivista. Al direttore Carlo Vietti chiediamo di illustrarci le caratteristiche del sito e i programmi editoriali del gruppo. Entrate anche voi dunque nella democrazia digitale? Non è per noi una scelta sull’onda della “moda” dilagante. Tra noi c’è stata sempre la coscienza del valore del mezzo digitale. Qualcuno l’ha praticato anche in epoca pionieristica. Ricordo che diedi vita agli inizi degli anni Ottanta (dopo avere girato e studiato le applicazioni in Europa) al primo giornale telematico, cogliendo l’importanza comunicativa e diffusionale dello strumento internet e dei sistemi satellitari di comunicazione, come il gps. Per accrescere la nostra capacità comunicativa e documentaria abbiamo così deciso di investire nel mezzo per stare meglio nel sistema interattivo. Siete anche editori, ma di libri tutti specifici, particolari. Quali sono i vostri criteri e i vostri temi? E’ vero. Una caratteristica fondamentale è la pubblicazione di libri nati e legati alle nostre ricerche storiche, politiche, culturali. Libri originali, preziosi, di qualità scritti con la collaborazione di enti ed istituzioni che apprezzano il nostro lavoro di ricercatori. In questi ultimi anni ne abbiamo pubblicati una decina. Ma nella storia di ognuno di noi c’è un curriculum più ampio di libri. Possiamo dire quasi un centinaio. I temi prescelti riguardano aspetti particolari, anche sconosciuti, innovativi non solo della città, ma anche della cultura. Un lavoro nel quale si cimentano gli autori del gruppo ed anche esperti a noi collegati, da architetti a professori, a insegnanti, a religiosi, a urbanisti, a medici. Una realtà di professionisti inseriti nella Come vi presentate sul mercato telematico? Intanto cercheremo di offrire un breve identikit del nostro gruppo. Chi siamo e da dove veniamo, cosa ci proponiamo di fare. E’ necessario che la gente conosca la nostra storia per non essere uno dei tanti comunicatori digitali. Teniamo molto alla no- 25 E’ proprio partendo da questa esperienza che vogliamo incentivare quelli che chiamiamo progetti di solidarietà. Quando, ad esempio, si tratta di aiutare qualcuno in Italia e fuori. Pensiamo a cittadini che cercano lavoro o che sono ammalati o disabili, a giovani fuori sede che vogliono trovare una casa ad equi prezzi a Bologna, ad immigrati che vogliono inserirsi nella città ed hanno bisogno di studiare, di apprendere la lingua. Ma ci sono progetti più ampi: far conoscere il lavoro di una comunità, aprire un ponte di iniziative con il terzo mondo, aiutare una comunità religiosa all’estero, etc. Pensiamo che internet possa essere un vasto mercato per indirizzare e canalizzare chi vuole aiutare gli altri. Vedremo. La nostra attività fin dall’inizio ha privilegiato i corsi informativi, per trovare e promuovere giovani e ragazze nel campo della comunicazione. Li abbiamo tenuti anche presso le scuole superiori. Ora intendiamo rivolgerci alle imprese. C’è la necessità di avere giovani laureati in grado di misurarsi con esperienze pratiche, che possiamo offrire per il nostro background e per la rete di contatti. E’ un modo per raccogliere e selezionare direttamente sul mercato i nuovi comunicatori senza criteri preclusivi. Sarà indispensabile la volontà e la qualità per riuscire in un campo e in un mercato nel quale c’è troppo superficialità ed improvvisazione. La società anche bolognese ci sembra un po’ statica con una informazione omologata, appiattita. Con il sito volete intervenire a scoprire problemi e questioni sul funzionamento e sulla vita istituzionale, politica e sociale della città? Ma tutto questo progetto presuppone che si apra un dialogo con i vostri possibili corrispondenti. Come vi organizzerete? Il nocciolo del progetto è quello di una iniziativa interattiva; dialogare con gli altri, con chi accede alla rete. Vogliamo offrire una serie di opportunità facendo conoscere chi siamo e cosa proponiamo. L’invito è quello di entrare in rete con noi per chiedere, sapere e collaborare. Ma anche per co struire un giornale quotidiano, uno scambio di idee, di progetti, di informazioni. Il sito può essere uno strumento anche per avere dei nuovi collaboratori ed inserirsi nella nostra attività. Ci sembra che l’informazione sia troppo stucchevole e spesso il megafono per posizioni personalistiche o interessi di potere. In realtà quello che succede nella città e dentro il potere non viene mai fuori. Forse bisogna ritornare ad una sana e vivace controinformazione. Oggi il degrado della politica in particolare costituisce un freno alla partecipazione e alla democrazia. Cercheremo di fare un giornalismo investigativo rivolgendoci ai cittadini. Qui potranno trovare uno strumento libero per raccontare quello che non funziona nella nostra città, le prevaricazioni, le clientele, le raccomandazioni. In sostanza vogliamo rendere più trasparente la città anche a Bologna, vincendo una certa sonnolenza che ormai sta abbassando la qualità e la vita. www.leviedellastoria.weebly.com 26 I L R A CCO NTO Periferia: un viaggio in treno e la ragazza con il poncho Sognavo il viaggio di Elio Vittorini in Conversazione in Sicilia. Invece c’era la Bologna del Duemila e la sua animalità senza pudore, città ormai sempre più in degrado, urbano e culturale Giorgio Versari l’eccitazione forte, ripetuta, desiderata è trattenuta a stento. “Signori biglietti”, chiede forte il controllore. La coppia cerca di uscire dal poncho e annaspa nelle tasche alla ricerca dei biglietti. Il giovanetto cerca di ricomporsi frugando i biglietti nella borsa e che porge un po’ stordito al controllore. La ragazza invece lo squadra silente e imperturbabile. Non si coglie nessun cenno della repentina eccitazione; negli occhi non c’è nemmeno il segno del piacere, ma solo l’animalità dell’atto da poco consumato. I due giovani poi si guardano e scoppiano in una risata sguaiata, prolungata. Nessun riguardo nei confronti della gente, che forse per loro non esiste nemmeno. Si infilano degli auricolari per ascoltare musica. Non so quale. Rimangono per un po’ muti, silenti; ogni tanto si lanciano qualche sguardo complice, intenso. Mancano ormai quindici minuti per Bologna. Ora ricominciano a parlare in modo sempre sgrammaticato. Discorsi banali: “Quando ci rivediamo? Stasera vieni da me? Passo all’università devo incontrare un gruppo, forse ceniamo tutti insieme. Gianni è un balordo, mi chiede sempre soldi, ma non sono la sua banca”. La ragazza telefona: “Papi mi fai una ricarica su questo numero. Sto tornando a Bologna. Mi raccomando paparino metti 50 euro”. Finalmente il poncho si è aperto e posso scrutarla. E’ un pomeriggio, qualsiasi, di lavoro, su un treno affollatissimo di pendolari dalla riviera adriatica. Sono in seconda classe, dopo una giornata di interviste impegnative per il nuovo libro dei cattolici forlivesi. Sto tornando a casa. Trovo a fatica un posto. Accanto a me due giovani e una ragazza. Il loro abbigliamento è singolare, direi selvaggio, soprattutto quello della ragazza con una specie di poncho che ogni tanto si apre. Cerco di dormire, ma il tentativo è arduo per il chiacchiericcio continuo e il linguaggio sgrammaticato ed osceno. Mi sembrano studenti. Uno dei ragazzi ha una piccola borsa dalla quale spuntano alcuni libri, ma non so di cosa si tratti. Forse sono iscritti a qualche facoltà inutile, come scienze delle comunicazioni, la fabbrica degli inoccupati. Vorrei spostarmi, ma non ci sono posti liberi. Devo sopportarli fino a Bologna per un’ora. Sono costretto a sentirli. Ed io che pensavo di riposarmi. Forse pretendo troppo su questi vagoni di periferia. I loro dialoghi sono un po’ in codice e c’è anche il loro trambusto o meglio il loro ansimare un po’ bestiale. Siamo a qualche decina di centimetri e quindi quello che succede non puoi non vederlo od intuirlo. Si sente la ragazza fremere sotto il poncho: si intuisce che è masturbata dal giovanetto accanto che ad un certo punto infila anche la testa sotto il telo riparatore. E qui 27 Quasi integralmente. Rimango un po’ a fissarla, ad osservare anche il suo gesticolare, le smorfie, la mimica sgraziata del viso e in parte del corpo. E’ dunque una studentessa dell’Università. Giovanissima. Sembra che abbia vent’anni. Magrissima, ma con un corpo un po’ abnorme per le braccia troppo lunghe. I capelli a caschetto, sporchi, non curati, mal tagliati. Nessun segno di trucco. Naso a patata e labbra sottili. Le mani sono tozze con due o tre anellacci dozzinali. Che spesso fa scivolare dentro l’inguine per poi annusarle. Seno libero e inesistente, coperto da una maglietta bianca sudicia. I calzoni sono jeans sdruciti mezzi sbottonati, scarpacce di plastica, superusate. Il corpo è puzzolente. Analogo il look del giovanetto accanto con una barbetta a pieno viso di stile ottocentesco, forse più per incuria che per gusto. Quello accanto a me, anonimo, ha sempre dormito. Forse non si conoscono nemmeno. La ragazza non alza mai gli occhi di fronte a sé. O guarda l’amichetto o il soffitto della carrozza o il suo corpo, spesso toccandosi quasi con piacere. La situazione della ragazza mi richiama un antico ricordo letterario di Conversazione in Sicilia. Con il giovane Elio Vittorini in viaggio nella sua terra natia. In un treno di terza classe trova una ragazza, tutta vestita di nero, accaldata (siamo in piena estate). I due sono silenti, ma parlano i loro sguardi e i loro corpi, soprattutto quello della ragazza: capelli neri e lunghi, il viso perfetto, greco, il corpo tutto fasciato che ne evidenzia la sensualità e che esplode quando accavalla le gambe con la gonna che si sposta e si alza facendo scoprire le sue rotondità singolarmente bianche. Mentre assaporo queste immagini, l’altoparlante annuncia che siamo a Bologna. Mi ritrovo di fronte, invece, la ragazza anonima del mio viaggio. In stazione grida all’amichetto. “Ci siamo. Andiamo: vieni con me alle Due Torri”. E così i due ragazzi spariscono in mezzo alla folla anonima che abbandona il treno. Li vedo ancora per un attimo correre frenetici nel sottopassaggio della stazione. Il viaggio è finito. ani), che ogni tanto si incontrano sotto i portici, sono lì, silenziosi, a chiedere l’aiuto al passante. E il cittadino esercita pazientemente la sua misericordia. Invero il fenomeno che sta crescendo sempre più nella città del benessere, quella che il Card. Biffi ebbe a definire la città sazia, per poi attirarsi contro tanti strali inopportuni. Era stato lungimirante anche quando aveva scorto che l’immigrazione scomposta stava diventando un pericolo per la quiete e lo sviluppo ordinato della città, che vivevano travolte le culture radicate nella città, la fisionomia della storia, l’abitudine e la qualità degli antichi bolognesi. Nel mio percorso tra le antiche strade riscopro altre situazioni di degrado: penso a tutti i pub e al clima rumoroso, fracassone e assordante. Musica altissima, sporcizia lasciata nei dintorni. Spesso offese e insulti a chi preferirebbe nel passeggio un po’ di quiete e di educazione. Se non compaiono i coltelli, a volte la persona per bene rischia di essere presa a cazzotti. I violenti non si distinguono per genere: maschi e femmine sono identici. L’abbigliamento è una scelta, un gusto personale, ma c’è spesso una vera e propria divisa comune: giubbotti e calzoni sdruciti per i maschi, gonne al pube e camicette di stracci per le femmine. Nelle viuzze seminascoste c’è anche di peggio tra effusioni ed amplessi malamente nascosti anche in presenza di giovinetti e di minori. E meglio tacere e girare l’angolo. Poi di mattina arriva la nettezza urbana a spazzare i rifiuti indifferenziati. Il sindaco, forse, cerca di tenere pulita la città, i cartelli sono affissi sui cassonetti dell’immondizia, ma i vigilantes dove sono nelle ore notturne del divertimento? Gli straordinari costano troppo. Forse qualche lettera appare sui giornali. Ma il livello della città sta sempre più degradando. Se poi ci spostiamo nel quartiere universitario, la situazione diventa ancor più critica. Può darsi che lì ritroverei i giovani punk del treno (si erano dati appuntamento proprio lì). Così il cerchio si chiude. Forse vale la pena (è una curiosità) ripassare nel quartiere. Quando abitavo lì c’erano dietro il Comunale le macchinette scambia siringhe, gli spacciatori si affollavano a vendere le loro “presine”. Facemmo petizioni e proteste, Ma fu inutile. Qualcuno disse che veniva a studiare all’università proprio per questa libertà di acquisto. Era il 1990. Non è cambiato niente. Ed anch’io mi inoltro nella Bologna di tutti i giorni, che conosco a menadito. Sono le strade che dalla Stazione portano nel quartiere signorile del centro città. E cosi rileggo quelle vie e quelle viuzze con ancora impressi i dialoghi e i monologhi recentissimi sul treno, il degrado di quei giovani precari un po’ sfarinati. Oggi faccio più caso alla gente che incontro, alla situazione del percorso urbano. La mia è una riflessione silenziosa, ed anche preoccupata. Non c’è solo ogni centro metri chi ti vende un giornale e poi ti chiede un euro e quindi un caffè: tutti giovani aitanti, a volte di colore, con una simil divisa gialla. Mentre i poveri (sempre anzi 28