CONTRAPPUNTI
pag. 1 / Settembre 2013
MENSILE DI CULTURA SPETTACOLO COSTUME
Redazione via Cardinale Mimmi, 32 - 70124 Bari. Spediz. in Abb.to Postale 70% CNSA BA - Anno XX N. 6 (187). Giugno 2014
Il «Valle d’Itria» taglia il 40° nastro. E pensare che era stato boicottato dai
circoli culturali di Martina che lo giudicarono «pericolosamente fuorviante»
PROSIT, FESTIVAL!
Se questo
non è
un miracolo
U
n tempo, d’estate in Puglia,
scrupolosamente
chiusi
i teatri, anche la musica
andava in vacanza. Soltanto sulle
accaldate, roventi piazze del Salento, al calar della sera, Carlo Vitale allestiva palcoscenici all’aperto
per portare l’opera lirica anche nei
paesi più piccoli. Ma non a Martina Franca. Accadde però che
nella primavera del 1975, proprio
a Martina maturò un progetto,
un’idea venuta ad Alessandro Caroli, appassionato di musica e nella
vita funzionario della sede Rai di
Bari. Non lo conoscevo, lo conobbi quando venne a parlarmene.
Ma, gli chiesi non poco incuriosito,
proprio a Martina? E mi disse che
aveva progettato addirittura un festival, che si sarebbe inaugurato il
27 agosto con «Orfeo ed Euridice»
di Gluck. Un’opera che non si era
mai data nemmeno al Petruzzelli.
E infatti all’annuncio, a scattare
era stato proprio Carlo Vitale, diciamo che era un affronto al suo
orgoglio: una iniziativa così impor-
Franco Chieco
(continua a pag. 2)
Michele Damiani - L’elegante barocco di Martina saluta il 40° Festival della Valle d’Itria
Dal 18 luglio al 3 agosto tre opere, vari concerti e il premio ad Alberto Zedda
Sempre titoli rari di varie epoche, poi «la festa»
Dal 18 luglio al 3 agosto, il Festival della Valle d’Itria celebrerà il quarantennale
con un programma di grande interesse e curiosità a partire dall’opera inaugurale,
La donna serpente di Alfredo Casella, opera moderna eppure di non frequentissimo
ascolto. Laboratorio di scoperta o di [ri]scoperta il Valle d’Itria ha consegnato alla
pratica teatrale corrente partiture dimenticate, semisconosciute trovando una sintesi
(continua a pag. 10) Dino Foresio
TORNA A SETTEMBRE
BUONE VACANZE
pag. 2 / Giugno 2014
Dalla prima pagina
Se questo non è un miracolo
tante sfuggiva alla sua intraprendenza?
Non ci pensò due volte. In men che non
si dica, organizzò uno spettacolo lirico
all’aperto a Lecce, il 4 agosto nell’Anfiteatro Romano di piazza Sant’Oronzo. Ci teneva, e non ne fece mistero, ad
essere il primo a rappresentare proprio
l’«Orfeo ed Euridice» in Puglia. E così
un’opera tanto rara per le nostre scene,
apparve ben due volte nello spazio di
soltanto tre settimane: incredibile ma
vero, a Lecce nella versione di Vienna, a
Martina in quella di Parigi.
Nasce così un festival che entrerà
nella storia. Una storia singolare dai
risvolti paradossali. Non è possibile
dimenticare che la manifestazione, calata di colpo e con un impatto traumatico su un territorio invero impreparato,
provocò una autentica scossa tellurica.
La «città», più che restare perplessa, si
dimostrò apertamente ostile, ritenendola una iniziativa «non popolare». E
a sostenerlo con veemenza, con furore,
erano soprattutto taluni accreditati circoli culturali che non esitavano a definirla «pericolosamente fuorviante».
Per fortuna, a scongiurare le ipotesi di
chiusura, che sembravano inevitabili,
era Paolo Grassi allora sovrintendente
della Scala, prossimo ad assumere la
presidenza della Rai. Perentori furono i
suoi «messaggi» affinché Franco Punzi,
al tempo sindaco di Martina, si assumesse insieme a Lorenzo D’Arcangelo l’onere di «salvare» un festival che,
nonostante fosse puntualmente a corto
di risorse finanziarie, andava imponendosi all’attenzione internazionale per
l’originalità della sua linea «ideologica» sapientemente tracciata da Rodolfo
Celletti e Alberto Zedda. Una linea che
presto si era rivelata un punto di riferimento aperto al nuovo e senza dubbio
squisitamente culturale, tutt’altro che
una vetrina aristocratica, di tipo esclusivo, elitario, un’occasione mondana da
svago sotto le stelle.
Siamo giunti alla «edizione 40». È
questo il miracolo del festival che ha
cambiato radicalmente la vita della
città che lo rifiutava, quando nel pieno
dell’estate alle dieci di sera – sintomatica, non casuale ma scientifica coincidenza – non riuscivi mai a trovare un
bar aperto un minuto prima che iniziasse l’intervallo dello spettacolo. È stato
il festival a cambiare radicalmente il
volto di quella città che di proposito
aveva abbassato le saracinesche dei negozi: ebbene quella stessa città, qualche
anno dopo, si è arricchita di nuove insegne, e con la tipica vivacità cosmopolita del «dopo spettacolo», ha scoperto
CONTRAPPUNTI
«Fantastico» Damiano D’Ambrosio al Collegium Musicum
Antipasti pietanze frutta
bizzarra musica in cucina
L’Expo 2015 programmato a Milano, incentrato (opportunamente!) sull’alimentazione, ha innescato un fervore creativo di preludi… e prologhi…, estrinsecatisi
con varie modalità. Può pertanto essere inserito in questa cornice culturale risplendente di internazionali caleidoscopici cristalli, il concerto tenuto dal Collegium Musicum nell’Auditorium Vallisa di Bari, sul tema «La cuisine fantasque». Autentico
protagonista è stato il compositore lucano Damiano D’Ambrosio, il quale ha magistralmente elaborato per orchestra da camera i brani pianistici rossiniani «Quatre
Hors-d’oeuvres» e «Quatre Mendiants» («Quattro Antipasti» e «Quattro qualità di
frutta secca»), articolandoli in un unico Divertissement, in ossequio alla constatazione della crescente importanza che l’arte culinaria assume nel processo culturale
ed economico della società. Il titolo del Divertissement, «La Cuisine fantasque»,
«sembra appropriato – afferma D’Ambrosio – se si attribuisce all’aggettivo fantasque il significato di bizzarro, estroso e, se si vuole, ammiccante, del tutto consono
al carattere dell’autore (Rossini), quale appare dalle sue numerose lettere, in cui
spesso metafore gastronomiche sono evocate e declinate per illustrare concetti musicali e giudizi estetici».
L’esemplare esecuzione dei brani da parte del Collegium Musicum, diretto da
Rino Marrone, è stata integrata dalla voce di Vito Signorile, il quale ha gustosamente recitato testi tratti dalle lettere di Gioacchino Rossini. I «quattro antipasti» offerti
all’ascolto erano: «Ravanelli, Acciughe, Cetriolini, Burro»; le «Quattro qualità di
frutta secca» erano: «I fichi secchi, Le mandorle, L’uvetta, Le nocciole». Ciascun
brano era strutturato in più movimenti e, dal punto di vista ritmico, l’autore ha «cercato un montaggio serrato nella distribuzione dei temi (spesso accuratamente sezionati) ai singoli solisti. Nel brano «L’uvetta», dedicato da Rossini «alla mia piccola
pappagallina», D’Ambrosio ha inserito una voce ad libitum «che imitasse il volatile
con i versi estrosi e burleschi dello stesso Rossini». La «Tarantella» conclude strepitosamente la serie dei brani gastronomici, esaltandone l’agile freschezza e il brio.
L’elaborazione cameristica delle pagine pianistiche rossiniane, condotta con geniale intuito creativo da Damiano D’Ambrosio, ha scandagliato la cifra stilistica del
Rossini, optando spesso per l’espansione motivica, ed estrinsecando per l’ensemble
ciò che, come sempre, negli spartiti pianistici rossiniani è latente. Il suo linguaggio
idiomatico spesso suggerisce le scelte coloristiche opportune. Damiano D’Ambrosio è autore di numerose partiture orchestrali, cameristiche e corali. Originalità, rispetto della tradizione compositiva, e insieme rivisitazione della tradizione secondo
personali e innovativi orientamenti musicali, costituiscono le peculiarità. Docente
di composizione. D’Ambrosio è stato allievo della grande Scuola dell’indimenticato Raffaele Gervasio, e ne ha assimilato, altresì, il brillante gusto timbrico e l’abile
maestria nell’orchestrazione.
Adriana De Serio
un nuovo modo di vivere, affollando
i ristoranti, le trattorie, attardandosi a
passeggiare per il corso, come a Salisburgo, a Bregenz, Glyndebourne, Aix
en Provence, Verona, Torre del Lago.
Del festival oggi si parla molto anche
all’estero. A Martina giungono assiduamente critici e spettatori tedeschi,
francesi, svizzeri, persino americani e
giapponesi. Forse perciò – e diciamola
tutta – qualcuno potrebbe addirittura
sorridere se gli ricordassi che un giorno
questo festival veniva accusato di essere «non popolare» (ma che significa?).
E stenterebbe a credere che un giorno
pretenziosi, provincialotti circoli culturali, discettando goffamente di musica
(!), affilavano le armi della polemica
«sociale» per definirlo «pericolosamente fuorviante».
Piuttosto, dove sono oggi costoro?
Dove sono finiti quanti, all’epoca, firmavano bellicosi manifesti, proclami e
documenti (i famosi «documenti» della
kultura dell’epoca!), in nome di una sociologia da strapazzo. E mi ricoprivano di insulti volgarotti, nero su bianco,
perché io difendevo, nero su bianco, i
valori, i criteri rigorosi, gli obiettivi
evidenti di un festival di cui essi incoscientemente auspicavano, pretendevano «la definitiva scomparsa».
È questo il miracolo di un festival
che è rimasto povero (di soldi) ma indiscutibilmente ricco (di idee). Il sottoscritto ha avuto la fortuna, ne é felice,
di essere stato fra i pochi testimoni della nascita di una bella, prestigiosa realtà. Prosit!
Franco Chieco
CONTRAPPUNTI
pag. 3 / Giugno 2014
Il capolavoro di Leoncavallo è tornato al Petruzzelli dopo 38 anni
Ridi Pagliaccio, ma fra le sbarre
Marco Bellocchio racconta l’opera, a posteriori
Una regia che non stravolge, uno spettacolo che funziona anche sul versante musicale.
Paolo Carignani sul podio di un’orchestra che vanta ormai una sua precisa identità
Perché no? Avrebbe tutti i titoli, Marco Bellocchio, per fare
il ministro di grazia e giustizia, in un paese che è afflitto dal
problema e dalle conseguenze del sovraffollamento delle carceri. Non scherzo, l’idea m’è venuta un’ora dopo la conclusione dei «Pagliacci» di Leoncavallo, in scena al Petruzzelli
(dopo ben 38 anni e senza il tradizionale accoppiamento con
«Cavalleria rusticana» di Mascagni). Il pluripremiato cineasta emiliano è tutt’altro che un dissacratore dell’opera lirica,
anzi con i «Pagliacci» sembra a suo agio, non sente il bisogno di stravolgere trama e vicende. Semmai intende superare
gli eventi. Il copione prevede che Canio, il pagliaccio della
commedia, uccide Nedda, la sua giovane compagna, e Silvio, il suo spasimante. Lo fa coram populo, sulla ribalta ad
una spanna dal «suo» pubblico che deve commuoversi pur
sapendo che si tratta di pura finzione scenica. Ed é ben consapevole che non potrà evitare le manette (e infatti nelle regie
di Zeffirelli, spuntano sulla scena almeno due carabinieri). Di
conseguenza, si farà avanti Tonio, per dire «La commedia è
finita…». Come sappiamo, tutto accade sulla piazza di un paesino della Calabria dove si é fermata, a Ferragosto, una compagnia di guitti, e Tonio, nel Prologo, ci terrà ad avvertire il
pubblico: «…vedrete amar sì come s’amano gli esseri umani;
vedrete de l’odio i tristi frutti».
La regia di Bellocchio, invece, va oltre gli eventi, li rievoca a posteriori, portandoci all’interno del carcere dove è rinchiuso Canio, colpevole di un duplice omicidio. E nel cortile
del penitenziario, immaginiamo all’ora dell’aria, fa svolgere
lo spettacolo scrupolosamente così come l’ha scritto e volu-
to Leoncavallo (autore, rammentiamolo, anche del libretto).
Tutto scorre a puntino, e lo spettacolo funziona. Semmai, vien
da chiederci: aperto anche ai bambini e rispettoso della parità
di genere, in Italia, più «rieducativo» di così, dove lo troviamo un carcere?
Funziona anche sul versante musicale. Il maestro Paolo Carignani, disponendo di un’orchestra che vanta ormai una sua
precisa identità, ha colto l’ardore e la varietà degli umori e
dei colori di cui è ricca la partitura (a lungo frettolosamente
vituperata), soprattutto nell’intrico armonico di quel «gioco
tragico» che, siamo al second’atto, segna mirabilmente la
finzione del teatro nel teatro. Quando – a osservarlo almeno da mezzo secolo é René Leibowitz, autorevole musicista
radicale – «i due piani dell’azione scenica tendono a confondersi lasciandoci una sola intensa impressione di vertigine».
Abbiamo anche ascoltato ottimi cantanti. Anzitutto il tenore
Stuart Neill, voce calda e perentoria per un possente Canio.
Una Nedda di intensa tenerezza è Maria Katzarava. Un Tonio
dalla vocalità fremente, tagliente è il baritono Alberto Gazale,
mentre Dario Solari, l’altro baritono, rende con impeto l’ingenua passione del giovane Silvio per Nedda (toccante il duetto
famoso). Gustoso anche l’Arlecchino di Francesco Marsiglia.
Positivo, ci è stato riferito, anche il giudizio sul secondo cast:
Giuseppe La Malfa sul podio, Yusif Eyvazov (Canio), Sofia
Solovy (Nedda), Elia Fabbian (Tonio), Marcello Rosiello
(Silvio), Emanuele D’Aguanno (Arlecchino). Coro adulto e
voci bianche assolutamente impeccabili.
Franco Chieco
Sette concerti, il 13 giugno dirige Nicola Piovani. Collaborazione con il Petruzzelli
L‛Orchestra di Lecce un‛estate dalla classica al jazz
Nicola Piovani, ma anche Paolo Fresu, Uri Caine, Enrico Rava, Raffaele
Casarano ed i Sud Sound System per la
stagione sinfonica estiva dell’Orchestra
«Tito Schipa» di Lecce che spazierà
dalla classica al jazz. Un programma
dunque molto ricco e variegato che
prevede dal 13 giugno al 24 luglio sette concerti che a Lecce si svolgeranno
fra il Chiostro dei Teatini, il Cortile dei
Celestini e l’Anfiteatro Romano. A firmarlo il direttore artistico Ivan Fedele,
leccese di nascita, tra i massimi compositori contemporanei ed una delle voci
più rappresentative ed eseguite all’estero da alcune delle più rinomate compagini, e da due anni anche direttore della
Biennale Musica di Venezia.
L’inaugurazione, venerdì 13 giugno
al Chiostro dei Teatini, sarà con Nicola
Piovani che incontra per la terza volta
l’orchestra «Tito Schipa» dopo le serate
«magiche» del 2009, quando dal podio
diresse le sue indimenticabili colonne
sonore, e di tre anni fa quando fu protagonista con Luca De Filippo del racconto sinfonico «Padre Cicogna», tratto dal
poemetto di Eduardo De Filippo scritto
nel 1969. In questa circostanza eseguirà
nuovamente le sue celebri colonne sonore tratte dalla «Notte di San Lorenzo»
e «Good morning Babilonia» dei fratelli Taviani, da «La vita è bella» di Benigni, chiudendo con la «Suite Fellini»
(La voce della luna, Ginger & Fred).
Vincitore del premio Oscar proprio per
le musiche del film «La vita è bella»,
Nicola Piovani non ha certamente bisogno di presentazioni.
Pianista, compositore e direttore d’orchestra, Piovani ha anche ricevuto tre
David di Donatello per «Ginger e Fred»
di Fellini, «Caro diario» e «La stanza
del figlio di Moretti», quattro premi
«Colonna sonora», due Nastri d’argento e due Ciak d’oro. Con «L’équipier»
di Philippe Lioret ha ottenuto la nomination al César, il premio del pubblico
e la menzione speciale della giuria al
festival «Musique et cinéma» di Auxerre. Il 20 giugno, sempre ai Teatini, Michele Carulli dirigerà brani di Giovanni
Gabrieli (Canzoni e Sonate per ottoni),
Giacomo Puccini (Capriccio Sinfonico), Pëtr Il’ič Čajkovskij (Capriccio
Italiano per orchestra op. 45), Felix
Mendelsshon-Bartholdy (Sinfonia n. 4
«Italiana» in la maggiore. op. 90).
Venerdì 27 giugno, nel Cortile dei
Celestini l’Orchestra «Tito Schipa» ed
il Coro del Conservatorio «Tito Schipa»
Eraldo Martucci
(continua a pag. 8)
pag. 4 / Giugno 2014
CONTRAPPUNTI
Registrato in un dvd il dittico rappresentato dalla Filarmonica Romana
Fadwa e Lena, donne sognano la libertà
Due storie laceranti scolpite in un dramma musicale
Rappresentato in prima assoluta a Roma per la stagione
dell’Accademia Filarmonica Romana, Donna, Serva della
mia casa è un dittico di teatro musicale contemporaneo che
ora possiamo rivedere in un dvd prodotto della stessa istituzione. Due atti unici, commissionati dalla Filarmonica a due
giovani compositori Daniele Carnini e Dimitri Scarlato, che
rappresentano coraggiosamente storie ispirate a fatti di cronaca dei nostri giorni sul tema della violenza contro le donne.
Fadwa di Scarlato si ispira alla vicenda di HinaSaleem, la
giovane di origini pakistane, assassinata dal padre
nel 2006 in provincia di
Brescia. Sua unica colpa
l’amore ricambiato da un
ragazzo italiano. La Storia di Lena di Carnini trae
spunto dalla vicenda di
Natascha Kampusch, la ragazza austriaca rapita per dieci anni
e vittima di segregazione e umiliazioni.
Il contributo del comitato «Donne per il nostro tempo» ha
reso possibile l’attuazione di questo progetto. Donne di tutte
le età, mestieri, opinioni politiche e fedi religiose hanno condiviso l’iniziativa. Accanto a queste donne in una rete di collaborazioni improntate a rapporti interpersonali di amicizia
e solidarietà, compaiono Amnesty International, Donne per
la Dignità, Casa Internazionale delle Donne, Telefono Rosa,
Comitato per la promozione e la protezione dei diritti umani,
Stampa Romana, Tavola Valdese – Ufficio Otto per Mille e
ancora Ambasciata del Regno del Marocco, Forum Austriaco
di cultura, Reale Ambasciata di Norvegia, Fondazione Spinola Banna per l’Arte, Lega e altre istituzioni.
La rappresentazione di Fadwa inizia con urla laceranti di
rabbia e disperazione nello stesso tempo. Il padre musulmano uccide la figlia che ha osato disobbedirgli. Una storia che
si svolge a ritroso in un racconto di mancata integrazione di
Saalih, il padre, che continua a frequentare solo ed esclusivamente gente che professa la sua stessa religione e che vive
il dramma della lingua che non conosce, della mancanza di
lavoro, della ostilità e della diffidenza. Il dramma dell’immigrazione.
La figlia Fadwa ha un nome profetico: colei che si sacrifica.
È un’adolescente che scopre l’amore di un ragazzo italiano,
una società completamente diversa e che di conseguenza vive
la sua conflittualità di violenze e restrizioni con il padre integralista. Convinta di aver raggiunto una maturità superiore a
quella del padre, lo considera un bambino al suo confronto.
Persino il momento della preghiera comune si svolge in una
scena simmetrica e mai così distante.
Fra le due figure si inserisce il Prete che conforta i due
personaggi e che sostiene la «litania» dell’accoglienza. «La
religione e la terra dove sei nato non ti rendono migliore o
peggiore di altri». A Fadwa che gli chiede consiglio, risponde di seguire il suo pensiero e infatti il pensiero di Fadwa si
adagia fra le braccia del suo ragazzo. A Saalih, il buono, il
giusto, chiede pazienza e comprensione, perché la diversità
fa paura. A dramma compiuto non gli resta che chiedere perdono: voleva aiutare, ma non aveva capito. Non è riuscito a
ricostruire una speranza. Sfondo della rappresentazione è un
coro schierato che accusa il prete di intromissioni e gli immigrati di mancata integrazione, ma che nella scena finale si
stringe con lo stesso prete intorno a Fadwa, vittima innocente
del suo destino.
La stanza di Lena non è la mera descrizione di una storia
di dolore, ma mette a fuoco «il sogno di libertà di una donna
e la sua indomita voglia di autoaffermazione», come dichiara
la stessa protagonista del dramma reale, Natascha Kampusch.
Lena è una bambola su un letto con le sbarre e canta la filastrocca dei colori. È l’immagine della resistenza insopprimibile
della donna, purtroppo sempre più soppressa. Il dialogo con il
suo lui, che non ha neppure un nome, è quello
fra due persone che non
si ascoltano. Dichiarata la
sua fragilità, Lena prende
coscienza dei diktat di un
lui che decide il bene, il
male, la luce e la vita: il
signore dei giocattoli. Ripresa la sua filastrocca dei colori che
in questa fase di coscienza diventano i colori dell’umiliazione
e delle punizioni, decide di ribellarsi, le luci vanno a dissolvere
l’immagine della bambola e illuminano la sagoma di una donna
che ha ritrovato la sua libertà. «È oggi che voglio vivere».
Oltre all’attualità del tema e dall’efficacia dei libretti di Dimitri Scarlato per Fadwa e di Renata M. Molinari per La stanza di Lena, lo spettacolo convince per il taglio concettuale
deciso dal regista Cesare Scarton: l’Unicità. Perché l’Unicità
è la donna, punto focale dello spettacolo drammatico. L’Unicità sono i due lavori decisamente distinti in due differenti
strutture che confluiscono in un’unica rappresentazione che
inizia con un omicidio e che in una naturale catarsi prosegue
sfociando naturalmente in una forma di liberazione. L’Unicità
coglie nel titolo Donna, Serva della mia casa i due lavori:
Fadwa e La stanza di Lena.
L’Unicità è la scenografia basilare che in un unico contenitore modulare rappresenta i due lavori per dare allo spettatore un
senso di continuità. Unicità è infine il letto sul quale si svolgono le scene delle due rappresentazioni l’omicidio e la liberazione dalla prigionia. In una perfetta linearità di pensiero si assiste
a un passaggio di consegne fra le due donne che subiscono un
rapporto devastante con l’uomo, che sia amante o padre padrone. Un rapporto morboso di possesso che si esplicita nel
primo lavoro in una accecante fede religiosa che nulla concede
all’immediatezza di una relazione adolescenziale e nel secondo
in un rapporto che annulla l’altro da sé. Se non nella realtà,
almeno nella rappresentazione non è data una via di scampo ai
due protagonisti maschili che ricorrono al suicidio.
La scenografia efficace pur nella sua essenzialità riesce a
cogliere gli stati d’animo dei protagonisti, e i costumi aiutano
a definire i personaggi. Fadwa, la ragazza pakistana che ormai
vive in Occidente, emancipata dal velo, veste come una qualsiasi adolescente del paese ospite. Lena, in posizione statica,
perché immobilizzata fisicamente oltre che psicologicamente,
indossa un vestito da bambola. La stessa bambola oggetto dei
desideri del suo uomo. Il contrasto con tanto colore risalta
sullo sfondo di personaggi grigi che siano il padre, l’amante,
il coro o gli altri personaggi.
In entrambi i racconti si giunge al finale senza respiro.
L’integrazione di scena e musica è un feedback di emozioni:
magia del teatro.
Due racconti su un tema di
attualità, entrambi con un finale
senza respiro: la magia del teatro
Maria Cristina Caldarola
CONTRAPPUNTI
pag. 5 / Giugno 2014
La commedia di Nicola Saponaro messa in musica da Angelo Inglese
La bottega dei sogni (andati in fumo)
Storie e personaggi, ecco rivivere il Fantasma dell’Opera
Sabato 10 maggio: ancora una volta il Petruzzelli si è aper- centuale e propone come sposo un bravo giovine, l’ingegnere
to, sotto l’occhio benevolo di San Nicola che rende questa Cicciomessere, capo dell’ufficio tecnico del Comune, brava
città una capitale religiosa nel mondo. Ma forse non tutti san- persona anche se di povere origini e di insopportabile cognono che questa città ha anche un altro nume, che è il Fantasma me. Infatti Maria, appostatasi nel gabinetto della bottega per
dell’Opera – così come lo conobbe Antonio Rossano – che poter osservare il candidato sposo, lo trova passabile ma a
abita il Politeama. E l’altra sera si è incarnato nelle storie e nei condizione che cambi il suo cognome dal popolano Cicciopersonaggi dello spettacolo «La bottega dei sogni», un’opera messere nel più signorile Messeni.
buffa rappresentata in forma di concerto con cantanti, che il
La cronaca ci dice che anni dopo qualcuno, con involonmusicista Angelo Inglese ha composto su libretto del dram- taria citazione scarpettiana, operò una ulteriore metamorfosi
maturgo Nicola Saponaro. L’evento è stato finanziato dalla per cui i signori Cicciomessere-Messeni diventarono i princiestinguenda Amministrazione Provinciale, col supporto della pi Messeni Nemagna. Ma i due fratelli sono disposti a passare
relativa orchestra. In verità dietro l’evento – che un prolo- sopra la mancanza di sostanza dello sposo perché egli potrebgo del comico barese Ciardo ha cercato di trasformare in un be favorire la concessione di licenze di costruzione. Spinti
pezzo di sapore elettorale – si poteva leggere la domanda sul anche della passione per l’opera i fratelli decidono che con le
destino delle orchestre provinciali della Puglia, a seguito della molte monete che giacciono nel pozzo verrà costruito un poliabolizione delle Provincie. Certo bisognerebbe vederle non teama. In fase di avvio essi sollecitarono e si avvalsero, grazie
tanto come delle spese, ma come delle risorse, degli strumenti alla nuova parentela, delle agevolazioni che comprendevano
per far emergere e soddisfare un potenziale nuovo pubblico; il terreno in concessione gratuita per 99 anni; ma soprattutse cioè la Regione spostasse una parte delle notevoli risorse to dell’impegno formale del Comune a non consentire che
che eroga dalla offerta (gli oltre 200 enti di spettacolo finan- venissero costruiti altri teatri concorrenziali sul suolo cittaziati) alla domanda (gli oltre 200 istituti scolastici superiori dino. Vedremo poi che, con astuzia da Commedia dell’arte,
pugliesi comprensivi di alunni e famiglie) si potrebbe vedere il Comune aggirò questo solenne impegno facendo costruire
il problema sotto una luce diversa. Comunque la questione un nuovo teatro ma non sul suolo cittadino bensì sull’acqua
dovrà essere affrontata seriamente in altra sede. Ma tornia- cittadina, cioè sulle palafitte del Teatro Margherita.
mo all’opera, che Angelo Inglese ha arricchito di una muLa costruzione del Politeama dunque non era un sogno ma
sica gradevole e spiritosa,
un progetto fondato sull’idea
dirigendola con fervore sul
di creare una azienda teatraMusica & Letteratura
podio dell’Orchestra della
le con un suo mercato, da
Provincia (hanno cantato
veri e seri operatori culturali
Sandra Pastrana, Roberto
ante litteram, come non ce
Jachini Virgili, Giuseppe
ne sono più stati fino ai noAltomare, Carmine Monaco,
stri giorni, in cui si vive del
Cesidio Iacobone). In breve
più puro assistenzialismo
la trama vede agire cinque
pubblico. E il suo mercato
personaggi: il cavaliere don
era non solo una borghesia
«Straniero sono giunto, straniero vado via. Maggio mi ha
Onofrio Petruzzelli, suo frain cerca di protagonismo e
sorriso, la fanciulla mi ha parlato d’amore. Ora il mondo
tello minore don Antonio, la
di crismi culturali ma anè triste, la strada sepolta nella neve. Non posso scegliere
loro sorella donna Maria, il
che una piccola borghesia
il tempo del mio viaggio, da solo dovrò andare in questa
commesso della ditta Nicoin cerca di facili emozioni
oscurità. Mio compagno sarà l’ombra di luna sui prati imlino Scattarelli, detto «Venda operetta; cioè un pubblibiancati. Buona notte, amore mio!». Così scriveva il poeta
to» per la velocità di corpo e
co pagante in un politeama
tedesco Wilhelm Müller (1794-1827) nel II volume della
mente, e l’ingegnere Angelo
di 3.000 posti – condizioni
raccolta «Gedichte aus den hinterlassenen Papieren eines
Cicciomessere. L’azione si
che il Teatro Piccinni non
reisenden Waldhornisten [Poesie dalle carte postume di
svolge nel retrobottega del
garantiva – che poteva renun girovago suonatore di corno silvano]», pubblicate nel
loro negozio in via Melo
dere sostenibile e proficua
1824 e dedicate all’amico Ludwig Tieck, lo scrittore berdurante l’ora dell’intervallo.
l’impresa. Partendo da quelinese che, con Novalis e i fratelli Schlegel, condivideva
I fratelli Petruzzelli non si
ste premesse e forse senza
gli ardori spirituali del conclamato Romanticismo tedesco.
sono sposati ed hanno dedineppure rendersene conto,
Müller fu poeta dalla vena lirica facile e spontanea in cui,
cato tutto il loro tempo e le
essi costruirono il più grantra amori irrisolti, angosce esistenziali e viaggi senza meta,
loro energie a vendere tessude teatro privato del mondo,
domina il motivo del mormorio del ruscello, dello scorrere
ti ed a riempire di monetine
circostanza che – al di là
incessante del tempo, del monotono crepitare della ruota
il pozzo secco che hanno in
delle intenzioni – un secolo
del mulino e del mugnaio (in tedesco «Müller» come il suo
casa. Fra gli altri impegni i
dopo sarà poi forse la causa
cognome), alter-ego dell’irrequieto scrittore, deluso dalla
fratelli hanno urgenza di madell’incendio e della storia
vita e dall’amore che, se nel mondo poetico evocava lande
ritare la sorella Maria, che
infinita per la ricostruzione
di desolata solitudine, nella vita reale con valore di soldato
ha le «caldacine» – come si
del teatro.
Alessandro Cazzato
dice a Bari – ed ha superato
Però lo spettacolo dell’al(continua a pag. 11)
Bepi Acquaviva
i trent’anni. Il commesso si
(continua a pag. 6)
improvvisa mezzano a per-
Schubert, viaggio
d‛inverno
ruota della vita
pag. 6 / Giugno 2014
CONTRAPPUNTI
Ormai i giornali preferiscono occuparsi di cronaca e del vacuo gossip
La critica cinematografica vive se…
Attenti agli spazi che si va conquistando la rete
Nell’ambito del fittissimo programma (troppo fitto: sarebbe meglio ridimensionarlo) del Bifest svoltosi a Bari, una
sezione particolarmente interessante è stata quella occupata
dalla Tavola rotonda che ha avuto ad oggetto la critica, intitolata con un pizzico di ironia «La critica cinematografica è
morta! viva la critica cinematografica!». Vi hanno partecipato
i critici di alcuni quotidiani (la «Gazzetta del Mezzogiorno»
era rappresentata da Anton Giulio Mancino) fra cui Paolo
Mereghetti del «Corriere della sera», autore di un monumentale quanto fortunato dizionario del film. Si è trattato di un
convegno vero e proprio, che purtroppo ha richiamato poco
pubblico (infatti non c’erano neppure gli addetti locali ai lavori). Ciò non ha compromesso ovviamente la rilevanza della
manifestazione, nonostante il tema conduttore, principalmente quello sulla «decadenza» della critica cinematografica,
fosse già stato esaminato in altre occasioni, essendo uno di
quegli argomenti che periodicamente negli ultimi anni sono
riproposti all’attenzione dei lettori e soprattutto degli interessati, cioè i critici: non soltanto quelli più letti perché scrivono
sui quotidiani ed hanno di per sé una più ampia audience, ma
anche quelli che scrivono sulle riviste specializzate.
L’oggetto del convegno implica molti temi collaterali, primo fra i quali la sempre più accentuata riduzione dell’interesse del lettore comune circa i problemi critici legati al film,
che ha il suo pendant nel fatto che talvolta, per fortuna non
frequentemente, la rubrica cinematografica viene assegnata a
giornalisti di grande nome ma di incerta specializzazione su
una materia che richiede conoscenze appropriate. Ma più in
generale come sintomo di questo fenomeno va segnalata la
consuetudine di dare la prevalenza sulla critica vera e propria alla notizia insignificante relativa ai cineasti e alla loro
vita privata e pubblica: un punto di vista che trascura irrimediabilmente il film come oggetto da analizzare con strumenti
appositi. Naturalmente non bisogna generalizzare, resistono
ancora a questo andazzo critici molto acuti e intelligenti (mi
riferisco ai quotidianisti) il cui giudizio su un film si rivela
spesso interessante, stimolo all’approfondimento e al confronto: insomma esempi preziosi di come dovrebbe essere
esercitata la critica cinematografica.
Dalla quinta pagina
La bottega dei sogni (andati in fumo)
tra sera costituisce solo il primo tempo di questo dramma. In realtà c’è un
secondo tempo che inizia negli anni
’80, quando entra in ballo la politica
che darà alla vicenda una torsione tragica, in un contesto che è decisamente
cambiato. Infatti la legislazione italiana degli ultimi decenni consentiva
solo ai teatri di proprietà pubblica di
candidarsi al titolo di Enti lirici ed
essere così beneficiari di un cospicuo
finanziamento, assai maggiore rispetto a quello di un teatro privato quale
è un «Teatro di tradizione». È dunque
questo il vero nodo dell’intera vicenda. Un nodo però che non è risultato
A tal proposito particolarmente acuta nonché pungente è stata la relazione introduttiva di Piero Spila, Vicepresidente del
SNCCI e curatore della rivista «Cinecritica» (all’incontro era
presente anche il Presidente, Franco Montini, che ha guidato gli
interventi): con la sua relazione introduttiva ha cercato di delineare un identikit del critico «ideale», quello che non indulge
a certi aspetti negativi del suo mestiere: nel lungo elenco di ciò
che non dovrebbe essere la critica cinematografica proposto da
Spila c’è l’invito a lasciare da parte le «stellette», pratica ormai
invalsa nel proposito di riassumere «numericamente» il giudizio su un film che richiede semmai un’argomentazione ben più
motivata di una così sbrigativa valutazione, il cui risultato più
sicuro è quello di alimentare la pigrizia del lettore.
Della critica in senso stretto, dei suoi fini dovrebbero prendersi carico le numerose riviste cinematografiche: non soltanto quelle tradizionali e cartacee ma anche quelle sul web. Fra
i suoi aspetti discutibili c’è talvolta l’adozione di uno lessico
contorto e esasperato, la prassi di un ermetismo che contrasta
con la chiarezza che dovrebbe esserne il requisito fondamentale, disatteso per una sorta di narcisismo intellettuale. Non
tutti coloro che sono interessati al cinema e vogliono avvicinarsi ai suoi problemi teorico-estetici hanno il necessario
bagaglio di conoscenze specifiche per comprendere una scrittura brillante quanto impervia.
Ma la novità vera in tale campo è data dall’allargamento
dell’orizzonte verificatosi in questi ultimi tempi grazie alla
rete: una proliferazione di testate dell’universo internet, all’interno del quale si notano ovviamente molti punti di contatto
con la critica tradizionale cartacea. Ne ha parlato Maurizio De
Bonis, antesignano e sostenitore di questo fenomeno, che se
assicura una più larga circolazione delle idee non garantisce
quel processo selettivo cui è sottoposta la critica tradizionale.
Si trova comunque del buono, del meno buono, dello scadente
e dell’ottimo in ambedue i campi, come è stato fatto notare e
come è logico che sia. Ma a favore delle riviste della rete c’è
da riscontrare un’apprezzabile attenzione alla storia del cinema e ai suoi protagonisti nonché alle loro opere: un versante
invece poco o punto battuto dalle riviste cartacee.
evidente a chi non era addentro alla
materia come magistrati, opinionisti
e tuttologhi che si sono esercitati nelle sedi più varie attorno alla vicenda
dell’incendio. A quasi tutti è sfuggito
che qualcuno aveva deciso che l’incendio era l’unica possibilità per poter far diventare il Petruzzelli un Ente
lirico, per poter sottrarre il teatro alla
proprietà privata, che sarebbe stata
costretta a contravvenire alla norme
della concessione comunale che imponeva ai proprietari di restaurare
l’immobile in caso di incendio o di
crollo.
Dunque il lungo e ricorrente racconto del Fantasma dell’Opera ha preso
di volta in volta le forme e i generi del
melodramma, dei tourbillons piccanti
dell’ operetta, della commedia, del tea-
Vito Attolini
tro danza e dei grandi spettacoli forniti
dall’agenzia di Mario Dradi alla gestione di Ferdinando Pinto. E poi alla
lista degli spettacoli manca il cinema,
in particolare il genere «noir». Ed è
strano perché si sa che la Puglia è oggi
una regione cinematografica quant’altre
mai grazie anche all’opera della Apulia
Film Commission, l’ente regionale che
promuove location e produzioni ambientate in Puglia. Mi chiedo come mai
non si sia mai pensato di produrre un
film o un programma TV sulle vicende
del Petruzzelli: una nuova Gomorra pugliese che finalmente alzi il sipario su
quel putrido e maleodorante buco nero
nella storia della città. Ma forse, anche
grazie allo spettacolo a cui abbiamo assistito, qualcuno ci penserà.
Bepi Acquaviva
CONTRAPPUNTI
pag. 7 / Giugno 2014
Apprezzato a Berlino, «In grazia di Dio» è un forte messaggio di Þducia
Potete essere felici, nonostante tutto
Quattro «leonesse» salentine in un bel Þlm di Edoardo Winspeare
Qui non vorrei morire dove vivere / mi tocca, mio pae- rappresentare la metafora di un Sud che ce la può fare, senza
se, / così sgradito da doverti amare… (Vittorio Bodini)
i soliti piagnistei su se stessi e senza aspettare gli improbabili
Presentato con successo nella sezione Panorama all’ultimo aiuti dall’alto. «Volevo raccontare un mondo femminile nel
Festival del cinema di Berlino, In grazia di Dio (Italia, 128’) quale gli uomini fossero satelliti – spiega Winspeare – Penso
è il nuovo lungometraggio di Edoardo Winspeare (classe che le donne siano le colonne della società e ho visto come
1965), regista salentino che in Germania è di casa, avendo di fronte alla crisi si dimostrino più forti e reattive rispetto
studiato alla Film Hochschule di Monaco e avendo presentato agli uomini. Poi mi piace molto la figura della donna merial Filmfest berlinese il suo primo film, Pizzicata, nel lontano dionale».
1995 (seguito da Sanguevivo, 2002, Il miracolo, 2003, GaNel film non ci sono attori, solo gente del luogo. Il suo falantuomini, 2008 e L’anima attesa, 2013). Ma Winspeare è scino sta anche nella verità di grandi attori per caso, perché,
anche documentarista, produttore, sceneggiatore e attore ed è come dice Winspeare, «le loro facce esprimono un’anima e
profondamente legato alla sua terra (è cresciuto a Depressa, il dialetto le preserva dal ridicolo; al loro posto, sarebbero
vicino a Tricase): quest’ultima opera è stata girata interamen- goffi anche i più consumati professionisti». E sono proprio gli
te nel Salento, a tre chilometri da casa tra Corsano e Giuliano attori l’aspetto più sorprendente di questo film: sono i volti,
di Lecce. Winspeare è stato il primo a cogliere, appunto da gli sguardi, i toni sempre autentici delle protagoniste (Celeste
Pizzicata in poi, lo spirito del Salento: lì entrava nel mistero Casciaro, Laura Licchetta, Barbara De Matteis e Anna Boccadelle antiche tradizioni, per poi affrontare in maniera profon- damo, che di mestiere fanno la mamma, l’estetista, la barista,
da, film dopo film, le connessioni tra classi sociali alte e fuo- la cuoca) a dare vitalità e malinconia struggente a questa pelrilegge, civiltà, misteri della fede e della ritmica.
licola low budget (appena 500mila euro, raccolti con il sosteFilm della piena maturità, In grazia di Dio è tutto sommato gno del baratto, delle cooperative contadine, dei produttori di
un film sulla tradizione, anche se qui i valori e gli umori di pasta, vino, olio locali e la regione). «Non tutto è in vendita»,
una terra così unica devono confrontarsi stavolta con la cro- dice Adele al ricco signore che vuole comprare la masseria.
naca, e l’urgenza, della crisi economica. Due fratelli (Adele Non sono in vendita, per la gente del Sud, dignità e voglia di
e Vito), che gestiscono una piccola industria tessile a con- cambiare. Lei (Celeste Casciaro, nella vita moglie del regista)
duzione familiare, si ritrovano sommersi dai debiti e dalla è l’archetipo della donna salentina: fiera, orgogliosa, diffidenconcorrenza della manodopera cinese. E mentre Vito emigra te. L’unica figura maschile è il coproduttore del film, Gustavo
in Svizzera, Adele assieme alle altre componenti femmini- Caputo, che fa un tenero corteggiamento alla protagonista.
li della famiglia (tre generazioni diverse, forti e imperfette
Pur con alcune imperfezioni e qualche dilatazione tempoin egual misura) provano a
rale di troppo, In grazia di
reagire: una madre vedova
Dio è un film importante e
cerca di tenere unita la famirappresenta (come ci ricorda
glia e contemporaneamente
Roberto Saviano) «la prima,
s’innamora dell’unico uomo
vera opera su cosa stiamo
affidabile in tutto il film; la
diventando e cosa stiamo
La Città di Conversano continua a guardare avanti. Ma,
figlia maggiore vende casa
perdendo». Ed è una sana lesempre ed opportunamente, con lo sguardo rivolto indiee bottega e porta tutte quanzione a tanta paccottiglia citro per seguire i percorsi segnati dalla sua antica e ricca
te in una masseria sul mare,
nematografica nostrana, farstoria cercando di riscoprire le proprie radici nel mondo
l’ultima proprietà rimasta;
cita di piaggerie estetiche e
dell’arte, della musica, dell’archeologia ed anche dell’abla sorella minore e la figlia
di furbizie autoriali: l’intento
bigliamento, del design e della moda in genere, soprattutadolescente sono deboli (la
di Winspeare non è quello di
to quella artigianale, attraverso le recuperate o ricostruite
prima vorrebbe diventare
drammatizzare né educare o
fonti documentarie con il coraggioso incessante studio di
attrice, la seconda rimane
denunciare: racconta e basta.
ricerca e di approfondimento di giovani studiosi che fanno
incinta ed è quanto mai diCome nelle altre sue opecapo all’Archivio Storico Diocesano «D. Morea», diretto
sorientata). Eppure queste
re, l’elemento locale è molto
dall’instancabile don Angelo Fanelli. Perché la parte midonne, con tutte le loro deforte, ma il tema è universagliore, responsabile e studiosa della comunità cittadina è
bolezze, si rivelano quattro
le: la metamorfosi della crisempre più convita che «nella cultura c’è il futuro». Ebbeleonesse, capaci di ritrovare
si economica, la crisi vista
ne, proprio presso la sala-forum dell’Archivio-Biblioteca
proprio nella memoria ancome possibilità, come un
Diocesano, ormai unanimemente considerato «tabernacolo
cestrale della loro terra la
nuovo inizio. In fondo, si
della memoria», si sono succeduti Incontri con la Storia
forza per andare avanti: risitratta di una storia di felicidi notevole livello con larga partecipazione popolare, nel
stemano la vecchia struttura
tà, nonostante le peripezie e
corso dei quali sono stati presentati, alla presenza dell’Ordi poche stanze e coltivano
i conflitti.
dinario Diocesano mons. Domenico Padovano, del sindaun orto che consente loro di
Un film duro e dolce al
co di Conversano avv. Giuseppe Lovascio e dell’archivista
tirare avanti e di scambiare
tempo stesso. «È un film suldell’Abbazia di Noci padre Gennaro Galluccio, gli ultibeni essenziali con altri abila possibilità di essere felici,
mi due volumi (n.17 e n.18) della Collana «Crescamus»
tanti della zona, costruendo
nonostante tutto». Chiunque
Domenico Roscino
un po’ alla volta una nuova
possa farlo, vada a vedere In
(continua a pag. 10)
prospettiva economica.
grazia di Dio.
Alfonso Marrese
Queste donne potrebbero
Conversano rievoca
l‛antico artigianato
pag. 8 / Giugno 2014
CONTRAPPUNTI
Una antologia di Vittorio Polito, cultore della baresità, pubblicata da Levante
Sanda Necole, il più internazionale
Il miracolo dei bimbi risuscitati unisce Oriente e Occidente
«Sanda Necòle, Tu cha si’ l’attane, acchiaminde dò, damme
na mane…». «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi», diceva Brecht. Fortunata invece quella benedetta dai santi: all’amara
considerazione dello scrittore tedesco, sembra fare eco l’ispirata
pluralità di poeti e autori che hanno dedicato «un pensiero» a San
Nicola. È il patrono di Bari, le sue reliquie sono custodite nella
cripta sotto la Basilica romanica della Città Vecchia, il suo culto attrae devoti e pellegrini di lingue e riti cristiani differenti ed è
certamente uno dei più diffusi al mondo, come sottolinea il priore
dei custodi domenicani del Santo, padre Lorenzo Lorusso, nella
presentazione della nuova fatica di Vittorio Polito («San Nicola,
il dialetto barese e... Miracoli, leggende e curiosità», aprile 2014,
258 pag. 24 euro).
L’inesauribile cultore della baresità ha curato un’antologia di
prosa, di testi, articoli e versi, in particolare, di numerosi autori,
soprattutto vernacolari, a partire dal primo poeta dialettale, Francesco Saverio Abbrescia. Un volume ben vestito dagli editori cittadini Levante e che merita attenzione, a partire da una copertina
elegante e ben scelta. Su fondo cobalto, riproduce un collage di
legno, una tecnica mista dell’artista barese Anna Maria Di Terlizzi,
raffigurante un San Nicola stilizzato modernamente, in biancorosso e paramenti gialli, a cavallo del galletto Barium,
Fange stà nzime azzeccàte, fange stà nzime acchecchiàte…
Un santo internazionale. Il più internazionale. E unisce Oriente e
Occidente. Drei finger, drie vinger, trois droigts, three fingers (tre
dita): è infatti la versione in tedesco, olandese, francese, inglese,
in varie lingue mondiali, di un passo del leggendario miracolo dei
bambini risuscitati («Come ho ben dormito», «Pure io m’ero assopito», «Credevo d’esser proprio in paradiso!»). Testimonia la
notorietà planetaria del vescovo di Mira e protettore di Bari. Uno
dei santi più conosciuti e venerati al mondo, assimilato da ogni popolo attraverso le proprie rappresentazioni tipiche (si pensi a Santa
Klaus e non solo). Un Santo per tutte le latitudini, sottolinea Nico
Veneziani, cardiologo e a sua volta ricercatore di tradizioni locali,
che a sostegno dell’universalità del culto nicolaiano cita una corrispondenza di Luigi Barzini dall’Estremo Oriente. Il grande giornalista riportava di aver visto in Giappone, al tempo della guerra
russo-nipponica del 1904-05, un’icona di San Nicola adorna di
fiori freschi, nel tempio scintoista di una città che ospitava prigionieri di guerra dell’esercito zarista.
Sanda Necòle, Sanda Necòle mì, acchiamindeme notte e dì…
Protagonista del lavoro di Polito è San Nicola, indubbiamente. È
evidente, però, che raccontarlo attraverso «miracoli, leggende e
curiosità» rappresenta il mezzo. Il fine è indubbiamente esaltare
il dialetto e quindi l’identità barese, attraverso le espressioni, tra
le più sincere e spontanee, di quella lingua materna e paterna che
più dell’idioma nazionale è capace di esprimere sentimenti con la
massima autenticità e naturalezza. «Per Baresità – fa presente Vittorio Polito, già curatore con Rosa Lettini, sempre per Levante, di
un’antologia di preghiere dialettali («Pregáme a la barése», 2012)
– s’intende tutto quello che riguarda Bari: dialetto, tradizioni, folclore, cucina, monumenti, chiese, modi di dire, comportamenti,
proverbi, soprannomi, usi e costumi, teatro, poesie e, prepotentemente rientra anche il nostro San Nicola e tutto quello che lo
riguarda, dialetto compreso».
E mmenz’o casine e a le lite, acchiaminde le figghie e u marite… Non solo racconti agiografici e miracoli, soprattutto un Patrono al quale ci si rivolge col tu, con amorevole rispetto, più che
confidenza. Gli si dedicano rime baciate (Quand’è bedde u Sande
neste quanne iesse pe la feste…, Vito Barracano), si rivolgono
preghiere (Gloriùse e sande vèscheve de Criste…), si cantano ninne nanne (la popolare e anonima Sanda Necòle va pe mmàre, va
vestùte a marenàre…). Si cerca di guadagnare la sua benevolenza, indirizzandogli confessioni irrituali simpaticamente sfacciate,
come quella della «devota Tua Domenichella Jusco»: Care Sanda
Necole, veleve sci a la chijèssie pe chembessarme, ma po’ ssò penzate, ci megghe du Sande mì pe discenge cusse peccate citte citte?
(Caro San Nicola, volevo andare in chiesa per confessarmi, ma
poi ho pensato: chi meglio del Santo mio per dirgli questo peccato
zitto zitto?). Che poi, la trasgressione è tutta qua: Domenichella
non sa resistere ai ricci di mare, tanto pungenti fuori, quanto deliziosi dentro.
Fange acchià la Pasce e l’Amòre, non nge sì lassàne ijnd’ò
delòre… E fortunata quella terra che ha i poeti a renderla dolce
e amorevole e, dentro e fuori. Di poesia c’è un grande bisogno
in questa terra del Santo, nella quale i ragazzi sembrano essersi
dati di questi un modello unico di riferimento, tutt’altro che un
esemplare di buona educazione, che li rende acuminati e pungenti
come i ricci. Per fare amare e rispettare da tutti la Città di Sande
Necòle, i suoi cittadini di domani dovrebbero imitare di meno gli
Antonio Cassano e seguire di più i Vito Maurogiovanni ed, ora, i
Vittorio Polito.
Felice Laudadio
Dalla terza pagina
L’Orchestra di Lecce un’estate dalla classica al jazz
di Lecce si uniranno, dirette da Giovanni Pellegrini, per una
delle composizioni più note ed emblematiche di Carl Orff per
soli, coro e orchestra, i «Carmina Burana».
Gli ultimi quattro appuntamenti saranno i meno «classici»,
ad iniziare dal 4 luglio all’Anfiteatro Romano, quando l’orchestra, diretta da Pasquale Corrado, incontrerà i Sud Sound
System per una prima esecuzione assoluta appositamente
commissionata dalla Fondazione Ico «Tito Schipa» con gli
arrangiamenti di Accursio Cortese.
Ed poi la grande attesa per i due appuntamenti (al Cortile
dei Celestini) in collaborazione con la Fondazione Petruzzelli
e Teatri di Bari. Sabato 12 luglio l’orchestra, diretta da Carlo
Tenan e con ospiti d’eccezione Uri Caine al piano e Paolo
Fresu alla tromba, eseguirà brani di George Gershwin (An
American in Paris), George Gershwin / Gil Evans (Porgy and
Bess per tromba e orchestra jazz), Ludwig van Beethoven /
Uri Caine (Diabelli Variations per pianoforte e orchestra) Uri
Caine / Paolo Fresu («I loves you Porgy» and other music).
Sabato 19 luglio la grande chiusura con «Rava On The
Road», con musiche di Enrico Rava e arrangiamenti di Paolo
Silvestri, che nell’occasione salirà anche sul podio. Con la
tromba di Rava ci saranno la chitarra di Roberto Cecchetto, il
pianoforte di Giovanni Guidi, il contrabbasso di Stefano Senni e la batteria di Zeno De Rossi. La grande chiusura, infine,
ai Celestini il 24 luglio, ancora con il Jazz e la musica sinfonica che dialogheranno nel concerto-evento «Jazz Bistrot». Tra
i protagonisti, oltre al sassofonista salentino Raffaele Casarano e l’orchestra diretta da Alfonso Girardo, anche l’eclettico
Erik Honoré. Un progetto «made in Salento» che coinvolge
pure i musicisti Mirko Signorile (piano), Marco Bardoscia
(contrabbasso), Cristiano Calcagnile (batteria) e Alessandro
Monteduro (percussioni).
Eraldo Martucci
CONTRAPPUNTI
pag. 9 / Giugno 2014
Nostalgico addio alla «Dueffe» all’ombra del conservatorio musicale
Leo Morelli, guardando all’Arcadia
Un sogno interrotto la sua pittura immersa nell’Olimpo
«Il dolore è sordo, il dolore è muto. Il dolore è sordomuto. Sordo perché ascolta solo sé stesso, muto
perché non ci sono parole che possano parlarne» (Andrea G. Pinketts, scrittore). Tranne quelle scritte di circostanza, che un artista «figurativo» le riceve, almeno
qui dalle nostre parti, più nelle esequie che in vita...
Ci sono «ricordi» che angustiano, ma che noi della
nostra generazione in questa stagione dei commiati,
dovremmo capacitarci ad affrontare come un «arrivederci». Noi che da sognatori, abbiamo una visione
della vita forse un tantino più filosofica, richiamati da
quella «conversione» spirituale che ci vuole liberi delle ombre e protesi verso la luce del sole. In un magma
culturale che rimesta natura e sacralità, sogno e fantasia, umanità e realtà. Dura inesorabile realtà! Quei
sentimenti che nell’amico Leo Morelli si erano amalgamati, artisticamente ed esistenzialmente, finché era
approdato forse ad una vita meno aspra e ingenerosa,
all’apparenza rassegnata, al vuoto della sua compagna. Ritrovando sé stesso in scelte espressive lungo il
viaggio evolutivo intimo, alla ricerca dell’io profondo
e consolatorio, con le evoluzioni di un briciolo di nipotina che gli gironzolava intorno. Inondandogli quel Leo Morelli, particolare di Elegia Mitologica (1991)
suo cuore, che si è fermato d’improvviso il lunedì
dell’Angelo, volando forse attraverso il «giardino»
dell’Arcadia, le atmosfere bucoliche, il trionfo degli dei. ricco di fermenti giovanili, già all’Accademia di Roma a
Perché le sue scelte espressive da tempo si erano immerse partire dal 1958, allievo di Pericle Fazzini, «lo scultore del
in quell’Olimpo celeste e poetico, secondo gli schemi cari ad vento», per quel sommovimento di masse agitate (il «Cristo
una certa letteratura secentesca romana e non solo, con alcune che risorge» nella Sala Nervi in Vaticano!). Una lezione che
incursioni nel romanticismo francese.
l’allievo immagazinerà, perché rientrando a Bari, in lui erano
A pensare che qualche giorno prima (Giovedi Santo), por- preponderanti quel che gli artisti romani (Vespignani, Attardi,
tando via amareggiati quei due nostri dipinti dal Torrione An- Calabria, Ferroni.... con i critici Micacchi, Del Guercio) –
gioino di Bitonto, l’ultimo sguardo fu alle sue opere, lì sospese superate le esperienze neorealistiche – erano approdati alla
di fronte, con una Venere solare e formosa che s’adagiava dis- «Nuova Figurazione». La fuga dalle campagne e le tute blu,
tesa (che qui illustriamo), in una scena mitologica dai colori lo sdradicamento umano e il suburbio in degrado, i cimiteri
vibranti; quasi per ricordare a noi stessi: dobbiamo avvertirlo di carcasse... Nel 1968/69 con altri quattro colleghi fonda «Il
che venga a riprendersi i suoi, prima che si disperdano. Sareb- Fante di Fiori», che legherà le sue sorti a quei protagonisti.
be l’ennesina jattura, uno sfregio insopportabile, come tutti Finché l’ideologia li dividerà, per scelte diverse che spaziergli artisti che reclamano la propria dignità dalle Istituzioni, anno attingendo all’ironia e alla dissacrazione del consumincredibilmente supponenti, affogate nel profitto.... di chie- ismo con quella pittura cosiddetta «oggettiva». Che si andrà a
dere, depauperare e mai «riconoscere»!
sfumare in certe contaminazioni «surrealistiche» con la scomUn percorso di esperienze molteplici e coerenti nella «figu- posizione dell’immagine e la ricostruzione caustica e grottesrazione», quello di Leo Morelli, artista valente e generoso; ca degli attori della scena contemporanea. Negli Anni ‘80 nei
turbamenti esistenziali, rimemora le lezioni ai corsi di Nudo
in Accademia e alle bellezze neoclassiche dei maestri epocali, rivisita i loro capolavori, allineandosi ai «citazionisti», la
«Nuova Maniera». Il drammatico «Viaggio sulla zattera» di
Théodore Géricault, sarà il punto focale, perché si aprisse al
mondo de’ Gentili col Mito dei personaggi dell’Olimpo.
MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE «POLTRONA AGGIUNTA»
Intanto apre la «Dueffe», un caffèletterario e galleria
d’incontri
fra artisti, all’ombra del Conservatorio musicale.
FRANCO CHIECO
Mentre le sue opere si fanno più avvincenti, in un disegno
direttore responsabile
lieve a descrivere baccanali, ninfe semidei ed eroi, centauri
Redazione: via Cardinale Mimmi, 32 - 70124 Bari - Tel. 080.5610992
e sileni, in masse e volumi plastici, forme e rotondità in una
Una copia € 2,00 - Abbonamento annuo € 21,00
eleganza creativa di metafore e allegorie festanti, tormenti,
Conto corrente postale n. 21682703 - Cod. Þsc. P. Iva 04699910727
Fotocomposizione La Matrice - Bari, Via Trevisani, 196/a - Tel. 080.5231546
inquietudini, misteri. Un «sogno» tramontato, interrotto;
Stampa: Tipolito Mare - Bari, Via Torre dei Cani, 1 - Tel. 080.5341413
probabilmente visionario, per altri Eden, nell’abbraccio di un
Registrazione Tribunale di Bari n. 1213 del 2-3-1995
Amore ritrovato, indissolubile, per l’eternità.
Manlio Chieppa
pag. 10 / Giugno 2014
Dalla prima pagina
Sempre titoli rari anche di varie
epoche, poi «la festa»
tra momento scientifico, momento esecutivo e momento, per così dire, ricreativo. L’opera caselliana, datata 1932
e tratta da una fiaba teatrale di Carlo
Gozzi, sarà diretta dal maestro Fabio
Luisi, nato e cresciuto artisticamente
al festival ed oggi star di riconosciuto
prestigio internazionale. Lo spettacolo,
coprodotto con la Fondazione Teatro
Regio di Torino, sarà firmato dal regista Arturo Cirillo, Dario Gessati per le
scene e Gianluca Falaschi per i costumi. Stesso collaudato team della rotiana
Napoli milionaria del 2010.
Secondo importante titolo operistico
(in realtà una festa teatrale) l’Armida del bitontino Tommaso Traetta (27
luglio, Palazzo Ducale). Un omaggio
ad un grande musicista nato in Puglia
e tra i massimi esponenti della scuola
napoletana. Si tratta ovviamente di una
prima esecuzione in tempi moderni nella revisione critica commissionata alla
musicologa leccese Luisa Cosi. Dopo il
grande successo ottenuto nel 2010 con
la Rodelinda di Haendel, ritornerà a drigere al festival, nel repertorio a lui più
congeniale, il maestro Diego Fasolis.
La regia sarà affidata alla francese Juliette Deschamps, le scene porteranno
la firma di Nelson Willmotte e i costumi
verranno realizzati da Vanessa Sannino.
Nei due ruoli protagonistici canteranno
Roberta Mameli, Marina Comparato e
Simon Ewards, affiancati da alcuni giovani cantanti di indiscusso valore come
Federica Carnevale, Mert Sungu e Leonardo Cortellazzi.
Il restaurato Chiostro di San Domenico ospiterà (25 luglio) la prima esecuzione in tempi moderni del divertimento in un atto del vescovo-compositore di
Castelfranco veneto Agostino Steffani:
La lotta d’Ercole con Acheloo a cura
dell’Accademia Belcanto «R. Celletti»
e diretta dal maestro Antonio Greco. La
regia sarà di Benedetto Sicca, apprezzato giovane regista di prosa al suo debutto nell’opera lirica.
Innumerevoli le proposte collaterali,
a partire dalla serata dedicata al Premio Celletti (19 luglio), che quest’anno verrà doverosamente assegnato
a uno dei padri artistici del Festival:
Alberto Zedda. Il tradizionale concerto sinfonico a Palazzo Ducale (29 luglio) sarà ancora una volta diretto da
Omer Meir Wellber. Vi saranno poi i
tre programmi di Concerto dell’Europa
(22,23 e 24 luglio), frutto di una significativa collaborazione internazionale,
che ha preso le forme di un progetto
pluriennale europeo condiviso tra Italia, Svezia, Estonia e Gran Bretagna.
CONTRAPPUNTI
Completano il cartellone il consueto Concerto per lo Spirito in Basilica
il 23 luglio, altri due concerti del ciclo «Novecento e oltre». Ai musicisti
dell’Orchestra Internazionale d’Italia si affiancheranno per alcuni concerti quelli della ICO «Magna Grecia» di Taranto che suoneranno anche nell’opera per ragazzi di Britten.
Nell’edizione 2014 collaboreranno il
Coro della Filarmonica di Stato «Transilvania» di Cluj-Napoca diretto da
Cornel Groza e nove danzatori/performers di Fattoria Vittadini.
Il cartellone dei quarant’anni si chiuderà con un autentico evento: un omaggio alla storia e ai protagonisti del Valle
d’Itria, una festa musicale affidata al
talento del coreografo e regista Nikos
Lagousakos. Una vera e propria fantasmagoria di immagini, musica, coreografia e canto, che ripercorrerà i quattro
decenni del festival. Molti e suggestivi
effetti visuali e scenici esalteranno le
forme e lo spirito del Palazzo Ducale,
con la tecnica del videomapping affidata all’estro immaginifico del videoartist
Matthias Schnabel. Una carrellata di
immagini, dal bianco e nero dei primi
anni a quelle dei bozzetti e figurini storici, di manifesti e fotografie fino ai più
recenti spettacoli, racconterà il festival
con la materia stessa di cui è pervasa la
sua storia: volti, scenografie, emozioni.
Sei performers si esibiranno in assoli,
passi a due e pezzi d’assieme. Anghela
Alò curerà l’originale e articolata drammaturgia della serata che accompagnerà
il pubblico nell’immersione di una performance multimediale: un ideale percorso musicale di omaggio alla storia
del Festival.
Dino Foresio
Dalla settima pagina
Conversano rievoca
l’antico artigianato
dell’Archivio Diocesano. I volumi sono
stati illustrati magistralmente dal dott.
Antonio Fanizzi, che ha sviluppato il
tema: «Le carte di Conversano: un
percorso storico». Si tratta di un lavoro molto interessante da cui emergono
pagine finora sconosciute della storia
antica della città, estratte con perizia
dalle ricercatrici ed autrici del vol.17,
Rosaria Colaleo e Mariarosaria Lippolis, dalle pergamene del «Fondo Conversano», che datano dal 901 al 1266,
provenienti dal monastero di S. Benedetto e conservate presso l’Archivio
Diocesano; mentre il vol. n.18, scritto
dalle stesse ricercatrici insieme alla collega Aurora Martino, approfondendo
«le carte degli Acquaviva d’Aragona,
conti di Conversano e duchi di Nardò
negli archivi spagnoli» (di Barcellona,
Simancas e Madrid), costituisce un ulteriore contributo al decisivo recupero
della memoria sommersa della città nel
periodo degli Acquaviva d’Aragona fra
i secoli XVI-XVIII.
La stessa sala-forum dell’Archivio
Diocesano ha ospitato la serata dedicata alla presentazione della mostra
«Moda Arte nell’abbigliamento tra ‘800
e ‘900», che – come è stato rilevato
dall’ideatrice ed organizzatrice, la prof.
Fulvia Fiorino Dotoli (di origine martinese e ormai conversanese d’adozione),
e dalla relatrice ufficiale prof. Patrizia
Calefato – «riscopre la storia del nostro
passato, narrandola nei dettagli con
l’ago e il filo, con l’intento di proporre e valorizzare i mestieri e le arti del
nostro territorio barese e regionale. Soprattutto per dare la spinta giusta alla
ripresa dell’Artigianato, cui devono
guardare i giovani, oggi più che mai,
per dare sfogo alla loro creatività». Infatti, sono oltre trecento i «pezzi» della
mostra inaugurata subito dopo ed allestita nelle sale a piano terra del Palazzo
Vescovile in piazza Conciliazione, messe a disposizione degli organizzatori dal
Vescovo mons. Padovano, e che hanno
suscitato tanto apprezzamento nei numerosi visitatori. Molto ammirati sono
i capi ricamati, i vestiti luccicanti di lustrini, paillettes e monili vari, gli abiti
da sposa del primo novecento, gli abiti
lunghi da sera di velluto e di seta dalle
linee fluide, tempestati di coralli, il tabarro e, particolarmente, la «mantilla»
bianca della festa e quella della Settimana Santa e tanti altri elementi (ventagli, scialli, borsette e perfino scarpe
e bottoni d’epoca) di alto artigianato.
Che si inseriscono nello stile Liberty con decorazioni di fiori e farfalle e
figure femminili del periodo de l’Art
Nouveau, in un’atmosfera di eleganza e
di colori, tanto da far profferire al sindaco Lovascio: «L’arte della moda ci
veste di gioia e ci invita all’ottimismo»;
e a mons. Padovano:» Questa mostra
merita tanta attenzione! Contiene uno
scrigno di storia, di arte, di buon gusto
estetico che fa onore soprattutto al genio femminile».
La mostra, allestita insieme alla prof.
Fulvia Fiorino Dotoli dalla specialista
Mara Trione, titolare dell’atelier Nebraska di Bari, con la collaborazione
dell’Associazione culturale «L. Sturzo»
di Conversano e di un gruppo di signore di Bari, rimarrà aperta al pubblico, la
mattina dalle 10 alle 12,30 e il pomeriggio dalle 18 alle 20, fino alla prima
settimana di giugno, allorché si spera,
tempo permettendo, di allestire la festosa e gustosa edizione 2014 della «Sagra
della ciliegia ferrovia».
Domenico Roscino
CONTRAPPUNTI
DISCHI
pag. 11 / Giugno 2014
Rivediamo il capolavoro di Richard Strauss in una storica edizione andata
in scena a Salisburgo nel 1965
Una deliziosa Arianna a Nasso
Karl Böhm arteÞce di una esecuzione che esalta lo splendore della partitura. Una lezione è la
regia di Günther Rennert: non servono artiÞci per assecondare le trame del teatro nel teatro
Tante grazie alle tecnologie se oggi possiamo ammirare, mento insiste nel mescolare i due generi. Nell’isola di Nasso,
merito di un dvd, una «Arianna a Nasso» di straordinaria Arianna è afflitta per essere stata abbandonata da Teseo, ma
bellezza andata in scena a Salisburgo nell’agosto del 1965 corrono a consolarla la piccante, spiritosa Zerbinetta e quattro
avallata dalla autorevole direzione musicale di Karl Böhm e Maschere, finché non sbarca una divinità (Bacco) a eleggerla
dalla storica regia di Günther Rennert. È un capolavoro in- sua sposa. Prevale, dunque, lo spirito romantico ed ecco lo
comparabile, questa singolare opera di Richard Strauss che stupendo monologo di Arianna e l’ardente duetto finale della
sfida il tempo anche per l’originalità della
stessa con Bacco.
concezione teatrale, un prologo di una quaAvvincente l’esecuzione che vede prorantina di minuti e un atto di altri 80 minuti.
tagonista la formazione cameristica della
Un’opera che forse è il frutto più delizioso
Filarmonica di Vienna: è il campo giusto
del sodalizio intellettuale del musicista baperché Karl Böhm possa sfoggiare tutta la
varese con Hugo von Hofmannsthal, basato
sua sensibilità nell’esaltare lo splendore delsu una vicenda paradossale che fa convivere
la partitura. Di straordinario livello le voci.
il serio e il comico mediante un geniale gioHildegard Hillebrecht, cantante di innegaco di incastri che si richiama alla veneziana
bile musicalità, è una Arianna di affasciCommedia dell’Arte. Situazioni che si acnante intensità espressiva. Reri Grist, voce
cavallano e si rincorrono: lo spirito romanlimpida e tecnica spericolata, «esplode»
Richard Strauss
tico che domina nelle fasi auliche e ci rivela
nella famosa travolgente aria di coloratura
tutto lo spessore della dottrina straussiana, la vivacità, la fre- di Zerbinetta. Bravissima anche Sena Jurinac nel rendere la
schezza che percorre con eleganza le intromissioni burlesche. vibrante malinconia del Compositore, così come Jess Thomas
Questa la trama. Nel palazzo del «più gran signore di Vien- delinea con ardore appassionato il duplice ruolo del Tenore
na» fervono le prove di uno spettacolo per il dopo banchetto, (nel prologo) e di Bacco. Sono le immagini in bianco e nero
quando un maggiordomo annuncia che il padrone di casa, per a ricordarci che lo spettacolo è «datato» (sta per compiere
non ritardare i fuochi d’artificio, vuol dimezzare i tempi per mezzo secolo!). Ma proprio per questo reca tutto il fascino,
cui l’opera seria dovrà essere eseguita contemporaneamente il gusto di una concezione del teatro irrinunciabile. Günther
al balletto. Un ultimatum mortificante che getta nella coster- Rennert resta un grande maestro, e ce lo dimostra con le armi
nazione il giovane Compositore. Così il Prologo compie un della semplicità se vogliamo più disarmante. Non servono arsalto indietro, fino al Settecento: agli intermezzi buffi che si tifici per assecondare le trame del teatro nel teatro. (Un dvd
eseguivano fra un atto e l’altro delle opere serie. Ma quando TDK DV-CLOPAAN).
Franco Chieco
si passa alla seconda parte, denominata «L’Opera», il procediDalla quinta pagina
Schubert, viaggio d’inverno
ruota della vita
volontario calcava i campi di battaglia
delle guerre antinapoleoniche per poi
dedicarsi, deluso nelle aspirazioni di
libertà dal pesante clima politico della
Restaurazione, alla guerra di indipendenza del popolo greco contro il dominio turco, guerra sentita e cantata nei più
accesi Griechenlieder, che valsero al poeta il soprannome di Griechen-Müller.
Poeta soldato, dunque, la cui impronta nella letteratura tedesca sarà lasciata,
però, dalla morbida cantabilità lirica
della vicenda dell’infelice mugnaio e
dell’eterno viandante delle lande innevate, raccolte da Franz Schubert
(1797-1828) rispettivamente per i cicli
liederistici Die schöne Müllerin [La
bella mugnaia, 1823] e Die Winterreise [Il viaggio d’inverno, 1827]. Composto pochi mesi prima della morte, Il
viaggio d’inverno è un ciclo di 24 Lieder per canto e pianoforte, un poetico
viaggio immaginario del deluso che va
senza meta, un percorso allegorico che
conclude una vita di dolore e disillusione nella landa desolata di un’epoca
che nel gelo politico, nella glaciazione
di anime e di cuori, ha raffreddato perfino gli ideali. Così anche il Wanderer
Schubert va, deluso e sospinto dal vento
dell’inverno che gli congela le lacrime,
dal dolore che, spezzando gli ultimi ricordi, gli congela l’anima, dall’inerzia
del suo stesso corpo privo di sensi, di
sentimenti e di sogni, che lo conduce
su strade deserte tra stridule grida di
cornacchie e latrati di cani selvatici.
Avrebbe forse preferito il fragore vivo
della tempesta, ma la natura gli concederà solo una foglia caduca, un’ultima
speranza svanita. E mentre brandelli di
nuvole riflettono l’antica lotta del suo
cuore, egli continua a vagare solo e senza un dio, ad attraversare strade, rupi e
passaggi nascosti, ovunque emarginato,
respinto, rifiutato perfino da un freddo
cimitero, dove già verdi ghirlande invitano al riposo.
Ma, in fondo alla via, un compagno lo
attende: è Der Leiermann, l’uomo con
l’organetto, un Orfeo straccione che,
scalzo sul ghiaccio, barcollando gira la
manovella. Nessuno lo ascolta, nessuno
lo guarda, i cani gli ringhiano intorno
ma lui lascia che tutto vada come vuole,
che tutto sia come deve, e nella totale
indifferenza continua a girare la manovella di un organetto che non avrà riposo. Il poeta non lo evita, il musicista
non rifugge: «Oh, meraviglioso vecchio
strampalato! e se venissi con te? Suoneresti i miei canti sul tuo organetto?». Su
quella nenia infinita gira la ruota della
vita, il tempo del passato e del futuro,
cristallizzato sull’ostinato melodico,
sulle terze minori della melodia del
pianoforte, sul malinconico declamato
discendente del canto, su una nota finale che non conclude e che rimanda
alla “parabola senza fuoco” del viandante straniero ed estraniato, che però
ha preso coscienza che ogni ricerca di
un «senso centrale» o di un «principio
fondante» risulta vana. Ultima struggente confessione di un musicista la cui
agonia può avere fine solo nella follia.
Alessandro Cazzato
pag. 12 / Giugno 2014
CONTRAPPUNTI
Programmi dal classicismo al novecento, concerti per le scuole
La Primavera dei Solisti Dauni
E in autunno la classica rassegna dei Teatri Possibili
Con la «Primavera Musicale» i Solisti
dauni hanno realizzato nei mesi di marzo
e aprile scorsi la prima parte della loro 42a
Stagione concertistica. Dodici le manifestazioni, tenute presso il Teatro del Fuoco, l’Aula Magna del Liceo Polivalente
Poerio e il Salone Regio del Palazzo Dogana di Foggia, dedicate ad alcune fra le
composizioni cameristiche più celebri dal
Classicismo al Novecento, di cui otto in
esclusiva per gli studenti, nel rispetto dei
protocolli d’intesa con importanti Istituti
scolastici di Foggia. Il primo programma
ha proposto il Quartetto in Si bem magg.
K 458 di W.A.Mozart e il Quartetto n. 1 in
Sol magg. Hob III, n. 75 di F.J. Haydn per
2 violini, viola e violoncello, con i Solisti
Saveria Mastromatteo e Laura Aprile (vio-
lini), Pasquale Lepore (viola) e Nicola Fiorino (violoncello) e con la presentazione di
Michela Tanzi. Il secondo programma ha
visto l’esecuzione del Trio n. 2 in Mi bem
magg. Op. 70 di L. van Beethoven e il Trio
in re min op. 63 di R. Schumann, per violino, violoncello e pianoforte, con i Solisti
Francesco D’Orazio (violino), Nicola Fiorino (violoncello) e Gianpaolo Nuti (pianoforte), e con la presentazione di Francesco Mastromatteo. Il terzo programma ha
proposto l’interpretazione del Trio n. 1 in
Si bem Magg D 898 di F. Schubert e del
Trio n. 2 in Do magg. Op. 87 di J. Brahms,
per violino (Anna Pugliese), violoncello
(Nicola Fiorino) e pianoforte (Domenico
Monaco), con la presentazione di Giulio
D’Angelo.
La Primavera Musicale si è conclusa
con l’interpretazione dei Contrasts per
violino, clarinetto e pianoforte di B. Bartòk
la Suite italienne per violino e pianoforte e
la Suite dall’Histoire du Soldat per violino,
clarinetto e pianoforte di I. Strawinski. Per
l’occasione si sono esibiti i Solisti: Federico Guglielmo (violino), Vincenzo Conteduca (clarinetto), Nunzio Aprile (pianoforte), con la presentazione di Agostino
Ruscillo. Nel corso della manifestazione
conclusiva si è tenuta la cerimonia del Premio Teatri Possibili, sponsorizzata dal Rotary Club Umberto Giordano di Foggia: il
presidente dei Solisti dauni, Gianni Buccarella e il direttore artistico Domenico Losavio, insieme al presidente del Rotary Giordano, Pasquale Vaira, hanno premiato i tre
giovanissimi vincitori: Cecilia Caccavo, 3a
G Scuola Media Bovio (1° Premio Scuole
Medie Inferiori), Viola Teresa – 2a P Liceo
Polivalente Poerio e Valentina Capparella,
2a B Liceo Classico Lanza (1° Premio exaequo Scuole Medie Superiori). Ancora
una volta le sinergie con il territorio si sono
concretizzate con Enti patrocinanti, anche
attraverso convenzioni e protocolli d’intesa con scuole di diverso ordine e grado di
Foggia e provincia.
Il Progetto Musica 2014 dei Solisti dauni proseguirà nel prossimo autunno (ottobre e novembre) con le manifestazioni in
prima esecuzione della Rassegna Teatri
Possibili. Il primo appuntamento (23 ottobre) prevede la realizzazione dello spettacolo «Chaplin. La storia di un vagabondo», con musiche originali di Mario Rucci
e testi di Francesco Nikzad, con l’attore
Giuseppe Rascio, la regia di Roberto Galano e I Solisti dauni diretti da Domenico
Losavio. Seguirà il 30 ottobre lo spettacolo
Soirèe Satie, di e con Giulio D’Angelo,
con testi e musiche di Erik Satie, il soprano karina Oganian e l’ensemble i Solisti
dauni diretto da Domenico Losavio. Su
testi tratti dai racconti di G. B. Basile sarà
realizzato lo spettacolo «Tre favole da Lo
cunto de li cunti: La gallenella, Lo polece,
Zezzola», voce narrante di Paolo Panaro e i
Solisti dauni diretti da Domenico Losavio.
La rassegna si concluderà il 13 novembre
con lo spettacolo dal titolo Sancio, su testo
di Miguel de Cervantes riadattato da Leonardo Losavio, con musiche originali di
Mario Rucci, con gli attori Roberto Galano
e Leonardo Losavio e I Solisti dauni diretti
da Domenico Losavio. La scenografia degli spettacoli è affidata a Nicola delli Carri,
le luci a Vania Taronna.
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